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Storia romana – Giovanni Geraci, Arnaldo Marcone [Editio Maior] Storia Università degli Studi di Milano 46 pag.

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Storia romana – Giovanni Geraci, Arnaldo Marcone [Editio Maior] PRIMA STESURA 2018: PAGINE 43, 24.000 PAROLE Parte prima – I popoli dell’Italia antica e le origini di Roma Capitolo 1 – “L’Italia preromana” Le primissime fonti che abbiamo in merito agli insediamenti preistorici dell’età romana sono di carattere prevalentemente mitico e leggendario, con singoli eroi, molte volte provenienti dalla Grecia o dalle rovine di Troia in fiamme, si stabiliscono con primi insediamenti sulle coste italiane e fondano dinastie. In Italia tra l’età del Bronzo a quella del Ferro si assiste a un grosso mutamento, si passa da miriadi di piccoli gruppi umani separati a entità para statali di città molto più popolose e riunite, principalmente sul settore appenninico di tutta la penisola, diminuendo gli insediamenti di numero ma aumentando questi di ampiezza e popolazione. Nel corso dell’età del Bronzo gli scambi tra i gruppi italici e le popolazioni mediterranee greche e micenee si amplia molto, dato che ora l’Italia diventava un sito interessante per i commerci. Nella pianura emiliana abbiamo lo sviluppo delle società terramaricole, con insediamenti su palafitte. Molte popolazioni indigene si legarono a popolazioni esterne che si stabilivano qui o che scambiavano prodotti, arrivando alla grossa differenziazione tra culture e lingue indoeuropee e non indoeuropee. Importante in questa fase a partire dall’VIII secolo a. C. la nascita delle colonie greche della Magna Grecia, che fiorirono e consolidarono il loro potere e commercio in Italia, con la nascita di città molto popolose (fino a 20.000 abitanti). Il nome Italia ha diverse probabili origini, inizialmente dato solo alla Calabria e parte della Campania, forse data dal nome osco viteliu, essendo quelle pianure ricche di bestiame. Capitolo 2 – “Gli Etruschi” Non abbiamo informazioni sugli etruschi dati dagli etruschi stessi, ma solo da reperti archeologici di altre civiltà che li hanno studiati o che hanno commerciato con loro. Tratto interessante è il loro rapporto di scambio con i greci, da cui presero un simile alfabeto e parte del pantheon. Nel pieno della loro estensione gli etruschi controllavano buona parte del centro e sud Italia, con anche degli appezzamenti più a nord, ma non riuscirono mai ad organizzarsi come stato, se non una lega (più che altro religiosa) tra le maggiori dodici città. La loro decadenza arrivò con lo scontro tra loro e popolazioni greche, la perdita del nord lasciata ai Celti, ma soprattutto lo scontro con i romani, che furono molto influenzati da loro ma che li assorbirono. Forte negli etruschi era la componente religiosa, importanti erano gli aruspicini nelle viscere animali. Famoso è il “Fegato di Piacenza”. La loro componente religiosa e statale-religiosa è ravvisabile nella sedia curule romana, nel fascio littorio, nel trionfo dell’imperator, nei giochi. Simili agli aruspici posso essere visti agli auspici romani con il volo degli uccelli. Non siamo in grado di capire da dove venissero esattamente gli etruschi, dato che la loro lingua è un riadattamento del greco ma conosciamo solo 8.000 vocaboli, la maggior parte dei quali di carattere religioso o nomi di persone (morte). Probabilmente furono popoli che si postarono dalla Grecia in mare e che si stabilirono in piane inabitate dopo aver commerciato con la popolazione locale. 1

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La loro arte era molto affermata nel tema funerario, sia per le loro tombe che rappresentavano le case degli aristocratici, sia per le loro costruzioni architettoniche avanzate. Inoltre, i loro monili in oro e ferro, le loro ceramiche di bucchero (annerite e simili al ferro), erano molto ben conosciuti dai mercanti di tutto il Mediterraneo, che infatti ritenevano gli etruschi re del mare con i loro commerci, e gli storici parlano anche di un dominio degli Etruschi sui popoli dell’Italia, con poi un lento ma graduale abbandono della potenza dopo aver perso i territori a nord, presi dai Celti, ed essere gradualmente inglobati dai romani, a sud.

Capitolo 3 – “Roma” Le origini della nascita di Roma sono come ben noto avvolte da svariate leggende, le fonti storiografiche non sono più tarde che di un certo periodo, quindi tutte le prime informazioni sulla Roma arcaica e regia sono di difficile interpretazione, i greci se ne interessarono tardivamente i primi storici romani scrivevano in greco (Fabio Pittore e Cincio Alimento). Alla fine del III secolo a. C. abbiamo il poema epico di Cneo Nevio sulla prima guerra punica, e successivamente egli Annales di Ennio, che trattavano dalle origini di Roma. Successiva e di maggiore importanza fu la colossale opera di Livio sulla storia di Roma. Dionigi di Alicarnasso scrisse la Storia di Roma arcaica, cercando di dimostrare che Roma avesse origini elleniche. Sappiamo che la leggenda principale è quella poi ripresa nell’Eneide, nella quale Enea scappa da Troia in fiamme, vaga per l’Italia, e successivamente il suo nipote Romolo costruisce Roma (753 a. C.). Dopo la morte e ascensione al cielo di Romolo regnano 7 re, e con la cacciata dell’ultimo Tarquinio il Superbo si instaura la Repubblica (509 a. C.). Che fonti possono aver utilizzato i vari storici antichi per cercare di dare un velo di verità a queste origini probabilmente mitiche? Ci sono molte fonti perdute, o di cui ci sono arrivati solo frammenti. Inoltre grande è la tradizione delle antiche famiglie di Roma, che celebravano le imprese dei loro antenati, facendoli arrivare fino a origini deistiche. Inoltre, ci sono anche molte tradizioni orali, sia raccontate di padre in figlio, sia raccontate dagli aedi durante i banchetti (carmina convivalia e teoria in merito alle origini di Roma tramite questi carmina di Niebuhr), ovviamente queste come le altre sono modificabili e poco sicure. Inoltre importanti sono i registri degli avvenimenti dell’anno, gli Annales, tenuti dal pontefice massimo, e pubblicati per la prima volta in 80 libri dal pontefice Mucio Scevola. Nel 1899 venne scoperto il Lapis Niger, una tomba nera posta a lato del foro, sotto la quale è stato trovato un piccolo templio con una statua di un re, probabilmente era la presunta tomba di Romolo, questo attesta un culto di Romolo come re fin da tempi antichi di Roma. In linea generale i due filoni dell’origine di Roma sono o quella per cui i romani fossero genti autoctone sviluppatesi in Italia, oppure che fossero parte di continue migrazioni greche. Andando oltre le leggende della edificazione di Roma, i pochi reperti archeologici ci fanno pensare all’esistenza di diversi villaggi autonomi sui colli e nell’area piana (anche se paludosa per un periodo), che successivamente si ingrandirono e unirono insieme. Roma si trova su una sponda del Tevere, mentre invece l’area di influenza etrusca sulla parte opposta del fiume ha il suo confine, in questo modo possiamo capire sia le differenze sostanziali tra i due popoli, ma anche i contatti commerciali e culturali. Durante l’VIII secolo a.C. ci fu un incremento della popolazione romana, quando le comunità del Latium vetus si ampliarono e spostarono e di conseguenza come abbiamo già scritto iniziò un processo di “orientalizzazione”, con i mercanti greci attirati da queste 2

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formazioni più grandi e ricche. Nemmeno i romani stessi sanno come si sono formati, la maggior parte delle storie a riguardo sono leggendarie e senza fondamento. Le ricerche archeologiche hanno dato alla luce vari insediamenti preromani nelle zone laziali, ma nulla di certo. Ovviamente anche la letteratura e la storiografia antica si è basata su fatti non confermati. Lo stato romano monarchico aveva delle peculiarità poi in parte rimaste o riadattate durante la Repubblica. La popolazione era divisa in gruppi religiosi e militari, detti curie, mentre un’altra formazione erano le tribù, inizialmente tre e con origine probabilmente etrusca. Successivamente ogni tribù fu divisa in dieci curie, e ognuna di queste curie doveva dare fanti e cavalieri, 1000 e 100, e tra esse inoltre vennero scelti 100 senatori, tra gli uomini anziani e colti delle tribù. La monarchia romana era elettiva, con il re affiancato dai patres, i proto senatori. Il re era anche capo supremo religioso ed era affiancato da dei sacerdoti, tra cui spuntava il pontefice massimo, che teneva oralmente i ricordi annuali degli avvenimenti, in una seconda fase come sappiamo poi scritti. Un’altra differenza era quella tra patrizi e plebei: sono state avanzate diverse ipotesi, come quella per la quale i patrizi erano i successori dei patres e i plebei erano invece i clienti, ma molto più ovvia è la differenziazione puramente economica. A partire dagli ultimi anni della monarchia si hanno notizie e ritrovamenti archeologici che confermano ciò di un grande ampliamento urbanistico di Roma, che le permise di accrescere la sua potenza sulle altre popolazioni nel Lazio. La regia, il primo edificio pubblico e casa del re, un tempio dedicato a Vulcano, Il Foro, i primi edifici pubblici, il tempio di Giove sul Campidoglio. Le istituzioni famigliari romane da sempre sono state definite nella familia: l’insieme di padre, madre, figli, nipoti, servi e schiavi, che vivendo tutti nella stessa casa e sotto le dipendenze del padre, pater familias con la potestas assoluta su tutti, e con diritto di vita e di morte, oltre che di adozione, sposalizio, ripudio etc… Gli antenati erano i manes, che diventavano spiriti protettori della casa ed era compito del padre e dei figli maschi organizzare le cerimonie in loro onore. La donna, la moglie, aveva potere sui sottoposti della casa, ma era ovviamente inferiore in tutto al marito. Con essa egli non aveva la potestas, ma la manus, poteva punirla quando e come voleva, e poteva ucciderla in caso di adulterio, o ripudiarla con un motivo valido. Le donne si sposavano presto, non prima dei 12 anni per legge, e spesso erano già fidanzate da bambine. Esistevano tre modi principali per sposarsi, tutti di carattere giuridico o di compra-vendita, passando dall’autorità paterna a quella maritale. La confarreatio consisteva nel dividersi una focaccia di farro, la macipatio era una compravendita, la più utilizzata era l’usus, un anno di convivenza con il fidanzato. Il ripudio nella maggior parte dei casi era una deciso unilaterale del marito, col passare degli anni ci fu la possibilità del divorzio anche da parte delle donne. L’alimentazione romana, almeno nella sua prima fase, passò da un’agricoltura e allevamento seminomade a stanziale, ma sempre di sussistenza, il farro e il grano era gli alimenti più consumati. Il terreno romano, spesso palustre, non era dei migliori, dunque si dovevano adattare le coltivazioni, e si adottava un sistema di rotazione di campi coltivati e campi per bestiame. Per un primo periodo l’arrivo dei Volsci e l’occupazione di parte del territorio romano fu motore di gravi crisi di carestia. La proprietà della terra a Roma in una fase arcaica e forme regia era collettiva, cosa che poi diventò privata e trasmissibile per via ereditaria. Inizialmente solo la casa e l’orto antistante la stessa (heredium infatti era l’orto in lingua latina antica), con invece lotti di terreno per il pascolo o per il 3

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raccolto assegnati in maniera casuale.

Parte seconda – “La Repubblica di Roma dalle origini ai Gracchi” Capitolo 1 – “La nascita della Repubblica” Per la nascita della Repubblica romana le fonti antiche sono le stesse che abbiamo citato prima, dunque Dionigi di Alicarnasso, Tito Livio, la Biblioteca storica di Diodoro Siculo, la Vita di Pubicola inserita all’interno elle Vita Parallele di Plutarco, e la Storia Romana di Cassio Dione. Gli Annali generici ovviamente sono da prendere in considerazione, insieme agli argomenti trattati all’interno delle Storia di Polibio e del suo excursus sulle istituzioni romane. Molti aspetti della vita di tutti i giorni o strica sono ravvisabili della letteratura antiquaria, che tratta di temi letterari e grammaticali, quali De lingua latina di Varrone o Le Notti attiche di Aulo Gellio. Gli aspetti giuridici sono ritrovabili all’interno dell’Enchiridium del giurista Pomponio, e infine ci sono i Fasti, documenti incisi su pietra, i fasti consolari e quelli capitolini. La Repubblica nasce ufficialmente il 510 a. C., con la cacciata di Sesto Tarquinio, figlio di Tarquinio il Superbo, che aveva violentato Lucrezia, moglie di un nobile romano. Dato che le informazioni storiche relative a questo periodo e ai decenni successivi sono da ritrovarsi solo in opere più tarde, o nei Fasti, che sono molto incongruenti, gli studiosi tendono a spostare il vero e proprio inizio della Repubblica intorno al 470-450 a. C., pensando a un periodo di anarchia dopo la cacciata dell’ultimo re. I nuovi poteri repubblicani sono ora divisi principalmente tra due consoli, eletti annualmente, che gestiscono lo stato, affiancati dai sacerdoti, pontefici, auguri e il rex sacrorum (chiamato così perché infatti non poteva avere incarichi politici). I consoli erano di pari grado, dunque uno poteva opporsi alle decisioni dell’altro, e comunque la loro annualità e la loro elettività da parte dell’assemblea popolare ne limita i poteri dispotici. Ai consoli sono affiancati anche i questori, che li aiutano nelle questioni finanziarie. I censori, di successiva costituzione, tenevano il censimento della popolazione e la lista dei senatori (gli ex consoli). Nel caso ci fossero problemi non facilmente sanabili, si poteva dare i poteri in mano a un dictator, la cui carica non poteva superare i 6 mesi + 6 mesi eventuali, e con la quale si avevano poteri illimitati per poter risolvere le crisi di governo. All’interno della importantissima sfera religiosa romana, che gestiva politica, società e guerre romane, abbiamo varie figure. I flamini erano sacerdoti che esercitavano la personificazione delle tre maggiori divinità a livello terreno, con anche flamini minori che avevano divinità minori. Il collegio dei pontefici, con a capo la massima autorità religiosa, il pontefice massimo, gestiva tutte le norme regione non in mano agli altri. Il collegio degli auguri aveva in mano la interpretazione degli auguri e la volontà degli dei, prima di fare qualsiasi cosa si consultavano loro. I doveri sacri faciudis invece erano custodi di antichi libri di profezie, i Libri Sibillini, consultati nel caso in cui ci fossero prodigi nefasti o situazioni incontrollabili. Infine i feziali dichiaravano guerra, ma rispettando tutto il cerimoniale sacro per poterla dichiarare in maniera “giusta”. Il Senato come abbiamo detto era composto da ex magistrati, ed era vitalizio. Doveva controllare le decisioni politiche prese dai consoli e dagli altri magistrati, ma essendo composto da ex di loro, ovviamente non aveva interesse nell’andare contro le loro decisioni. Le assemblee popolari, composte dai cittadini maschi, adulti, liberi, romani, erano un’altra 4

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situazione romana. Come premesso, non erano prettamente popolari, dato che non molta parte della popolazione poteva parteciparvi, ma l’iter per diventare cittadino romano era molto più agevolato rispetto a quello che avveniva in Grecia, per esempio i liberti acquisivano la cittadinanza, tutti i figli legittimi acquisivano alla cittadinanza, ma anche i figli illegittimi di un padre cittadino. Emblematico è il racconto di tale Appio Claudio che si trasferì a Roma con 5.000 familiari e venne accolto lo stesso giorno. Le assemblee popolari non erano un unico organismo, come nelle poleis greche, ma erano divise in quattro: comizi curiati, comizi centuriati, comizi tributi e concili della plebe. I comizi centuriati sono rappresentazione dei cittadini divisi in cinque classi di censo, al di sopra di esse stavano i cavalieri, che avrebbero fornito la cavalleria per la guerra, mentre tra esse c’erano i fanti. Il problema di questi comizi era che le decisioni venivano prese a maggioranza di unità di voti delle classi, dunque la maggior parte delle volte le prime due classi, le più ricche, votavano compatte e vincevano le votazioni, con l’elezione di consoli e censori. In tempi più antichi erano semplicemente divisi in supra classem (che avrebbero dato la cavalleria) e infra classem (che avrebbero dato la fanteria). I comizi tributi eleggevano i questori, ma anche qui ci fu una forte disuguaglianza, dato che si votava per tribù, ma le tribù urbane per tradizione erano quattro, mentre quelle nelle campagne erano in perenne aumento, fino a 31, e il voto dei proprietari terrieri influiva dunque molto maggiormente. Le assemblee popolari non potevano discutere o modificare quello deciso, ma erano comunque chiamate per dare una conoscenza generale a tutti i cittadini delle decisioni che venivano prese. Venivano chiamati contiones, potevano accettare o respingere le decisioni, e venivano convocate dopo 8 giorni, per permettere a tutti di riflettere bene sulla decisone da prendere, descritte insieme all’annuncio di convocazione. Era ovvio che le decisioni venivano prese quasi unicamente dalla classe dirigente, ma questa stessa era molto legata agli ideali repubblicani e quindi non volle mai diventare una oligarchia, annualmente c’erano ricambi ed elezioni, e le volontà dittatoriali subito represse nel sangue.

Capitolo 2 – “Il conflitto tra patrizi e plebei” La crisi che investì il mondo romano nel corso del V secolo a. C. fu determinata dalle guerre, dalle carestie di cui abbiamo già parlato, dalla fine degli scambi commerciali con gli etruschi, distrutti dagli stessi romani. I piccoli agricoltori, colpiti da carestie e malattie, non riuscivano a tenere i campi, quindi erano obbligati a venderli ai grandi proprietari terrieri, e poi diventare loro schiavi per ripagare i debiti, in una forma giudica chiamata nexum. La plebe richiedeva con forza la fine della leva militare obbligatoria, la redistribuzione dei terreni pubblici e maggiori diritti rispetto a quanti ne avessero i patrizi, e nel frattempo prendeva coscienza della sua forza data la modifica dell’assetto militare di Roma: non più cavalieri e fanti, ma falange oplitica compatta presa dai greci. In questo modo tutti erano allo stesso livello, anche per il fatto che la corazza per lungo tempo era da pagare privatamente. In questo modo uno sciopero dei plebei avrebbe danneggiato l’economia romana e avrebbe lasciato l’esercito senza difese. Nel 494 a. C. dunque si ha la secessione dell’Aventino, con i plebei che fisicamente si spostarono su quel colle. Vennero creati i concili dei tribuni della plebe e le decisioni della plebe erano plebiscitarie. I tribuni della plebe passarono da due fino a dieci, erano inviolabili (avevano la sacrosanctitas) e difendevano i diritti e gli interessi della plebe, e potevano convocare le assemblee 5

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ed esporre i problemi della plebe (ius agendi cum plebe). Vennero creati anche gli edili plebei, ma forse furono più tardi, con le stesse prerogative degli edili curuli. Questa prima secessione ebbe un risultato politico, che permise quindi ai plebei di ottenere poteri politici e rappresentanza. Nello specifico, potevano andare in aiuto di un plebeo colpito da una ingiusta sentenza di un magistrato, e potevano porre il veto sulle decisioni dei magistrati, con la ius auxilii e la ius intercessionis. La vicenda quasi mitica di Spurio Cassio, console che tentò una redistribuzione delle terre e venne tacciato di volontà di tirannide da tutti, plebei compresi, e quindi ucciso, fa vedere come queste nuove concessioni fatte ai plebei fossero di interesse per la plebe ricca, che voleva più potere politico e avvicinarsi alla nobilitas, più che una vera volontà di classe unita contro lo sfruttamento. Nel 451 a. C. venne imposta una commissione di decemviri per la redazione scritta di un codice giuridico, passato poi alla storia come Leggi delle XII Tavole (X Tavole più II Tavole l’anno successivo). Il loro maggiore esponente, il patrizio Appio Claudio, tentò di prendere il potere a Roma ma venne fermato e giustiziato, dopo una seconda secessione. Queste XII Tavole però non furono completamente efficaci per eliminare i privilegi di rango, dato che non tutti sapevano leggere pochi sapevano interpretare i concetti giuridici, dunque l’élite culturale che coincideva con l’élite politica le teneva in pugno. Caio Canuleio fece votare un plebiscito per il quale i matrimoni misti tra patrizi e plebei erano fattibili, di fatto facendo entrare i plebei all’interno delle più alte cariche dello stato, dato che nel loro sangue in parte poteva scorrere sangue patrizio. Ovviamente i patrizi non erano d’accordo, e fecero diversi espedienti per ritardare ciò, quali per esempio far votare al Senato la decisione se avere consoli plebei o meno, e infatti solo 50 anni dopo l’introduzione di questa norma si ha un console plebeo. Si pensa però che ci fossero già e affiancassero come tribuni consolari i veri consoli. Nel 387 a. C. per rispondere alla crisi, ci fu la divisione di terra di nuovi terreni conquistati. Per consuetudine, un cittadino romano poteva avere quanto ager publicus quanto ne potesse arare, solo che ovviamente i nobili avevano molti schiavi e quindi potevano prendersi la maggior patte degli spazi. Vennero fatte delle importanti proposte da parte die consoli Licinio e Sesto, quali la ridistribuzione delle terre tra tutti, e l’ingresso dei plebei al consolato. Ovviamente queste proposte erano invise al patriziato, che tentò in tutti i modi di allontanarle, ma infine nel 367 a. C. Marco Furio Camillo venne chiamato alla dittatura per risolvere una situazione ingestibile. Le proposte di Licinio e Sesto vennero accettate e promulgate, delle detrazioni fiscali per i debitori e delle rateizzazioni dei debiti, almeno uno dei due consoli doveva sempre essere plebeo e infine che non si potevano avere più di 500 iugeri a tesa (125 ettari), solo che se una persona contravveniva alla legge aveva solo una multa (diversamente dalla successiva legge gracchiana che confiscava e redistribuiva le terre), dunque fu una regolamentazione poco utile. Vennero create due cariche nuove: i pretori, che amministravano la giustizia, e i gli edili curuli, patrizi, che organizzavano ora i ludi maximi in onore di Giove, prima in mano ai consoli. In questo modo alcune cariche erano tolte ai consoli, che ora potevano essere anche plebei, e venivano create figure nuove per non appesantire i compiti dei singoli, e allo stesso tempo non dare troppo potere ai plebei. Ovviamente con il passare degli anni tutte le altre cariche dello stato vennero prese anche dai plebei, quindi gli edili curuli, i dittatori, i censori, i pontefici, gli auguri, potevano essere anche plebei, ovviamente con il passare degli anni. Nel 326 o 313 a. C. venne eliminata la schiavitù per debiti, con la legge Petelia Papiria, e vennero molto più utilizzati gli schiavi conquistati durante le guerre. Tra il V e il IV secolo a. C. vediamo 6

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come i plebei sfumassero molto di significato di classe, e si inserissero all’interno del mondo romano fino alle massime cariche repubblicane. Durante la censura di Appio Claudio Cieco (312-311 a. C.) ci fu il tentativo da parte dello stesso di compilare liste di senatori nelle quali c’erano anche plebei, inoltre fece sì che ci posse registrare anche nelle tribù extra urbane, aumentando il potere dei plebei, prima confinati in quelle urbane più piccole. Queste sue due azioni vennero però contestate e abolite. Appio Claudio costruì il primo acquedotto e la via che collegava Roma a Capua, detta infatti Via Appia. Alla fine di questa grande lotta tra patrizi e plebei si giunse alla Legge Ortensia del 287 a. C., con la quale le decisioni prese nelle assemblee della plebe dovevano avere valore legale per tutti. La nuova élite di plebei ricchi si denominò nobilitas, ed era una nobiltà patrizio-plebea. Anche questa ovviamente divenne in breve molto gelosa del proprio status, e infatti i pochi che riuscivano a scalare in fretta le vette del consolato senza passare per il cursus honorum erano detti homines novi, dato che venivano dal nulla e senza famiglie facoltose dietro.

Capitolo 3 – “La conquista dell’Italia” Le fonti per questo capitolo sono sempre le stesse di quelli scorsi, in aggiunta abbiamo i fasti Trionfali, dove vengono narrate le conquiste militari di Roma. Tra il V e il IV secolo a. C. abbiamo lo stravolgimento militare della fine del dominio etrusco, e quindi turbolenze all’interno dei confini e degli alleati di Roma, fosse uniti sotto una Lega Latina, che di sicuro sappiamo che volessero staccarsi da Roma, ora che l’altra grande potenza si era sfibrata. Non sappiamo se questa Lega fosse stata organizzata da Roma, o se Roma ci fosse mai entrata. Sappiamo che durante l’ultimo periodo monarchico questa probabile lega attaccò Roma, che si difese anche grazie al mitico aiuto di Castore e Polluce, e quindi nel 493 a. C. si ha il foedus Cassianus di non belligeranza tra Roma e la Lega, e inoltre c’era anche un intento difensivo bilaterale, un’alleanza, che passava da guerre condotte insieme (con condottieri però solo romani) e divisione di terre e bottino. Vengono mantenuti i diritti che già c’0erano all’interno della lega: lo ius migrazioni, lo ius connubii e lo ius commercii. Ultima parte degli accordi della prima Roma fu con la popolazione degli Ernici, stanziata tra i Volsci e gli Equi, che erano nemici di Roma, quindi un’alleanza con uno stato-cuscinetto molto utile. Non si è capito se ci fosse o meno una triplice alleanza tra Roma, Lega latina e Ernici. I nemici successivi di Roma furono le miriade di piccole popolazioni che affollavano il Lazio, Equi, Volsci e Sabini, con le quali si avevano scaramucce e una guerra a bassa intensità, che però si aggiunsero alle cause della già citata crisi romana del V secolo a. C. Queste guerre furono necessarie per il fatto che queste popolazioni appenniniche si dovettero spostare per trovare pascoli migliori e posti nuovi in cui vivere, e le migrazioni di massa intaccarono il territorio romano. La spiegazione mitica e deistica delle migrazioni è detta primavera sacra: questi diversi popoli seguirono vari animali totemici che li portarono a stanziarsi in varie località. Con i Volsci si ricorda una guerra, una forte offensiva dei Volsci che minacciò Roma, guidata dal rinnegato Gneo Marcio Coriolano, mentre con gli Equi famoso è l’episodio della dittatura di Cincinnato, strappato forzosamente dal suo aratro, e subito ritornatoci finita la guerra, vero esempio di uomo romano dedito al lavoro anche nella vecchiaia. Con i Sabini invece le battaglie arrisero prima ai romani, poi dopo riuscirono a scacciare i sabini dal 7

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Campidoglio dopo che si erano arroccati in seguito a un raid nel 460 a. C., grazie all’intervento degli alleati di Tuscolo. Il conflitto con Veio fu invece più forte, 483- 474 a. C., e fu anche esempio della antica tipologia di guerra aristocratica: dove i veiesi si erano posti, vennero attaccati ma vinsero contro la gens Fabia e i propri clientes, che avevano i loro terreni confinanti, quindi non da tutta la popolazione romana ma solo dalla frangia aristocratica interessata (ultimi momenti tra le guerre tra clan per i propri territori e le guerre di Roma come popolo unito in falange oplitica). Durante la seconda guerra veiese Veio stessa fu presa e distrutta, e infine la terza guerra fu raccontata da Livio prendendo grosso spunto dall’epica troiana, fino ad arrivare a Marcio Furio Camillo che con l’evocatio strappava Giunione dalle mani dei veiesi e la prendeva come nuova divinità romana, promettendole un tempio in cambio della vittoria. Il lungo assedio di Veio fece diventare l’esercito romano un esercito regolare, con l’introduzione dello stipendium, e ovviamente di una nuova tassa, il tributum, sui cittadini, per far fronte a queste nuove spese di guerra. Interessante notare come questa tassa colpisse di più chi era più ricco, dunque chi guadagnava di più spendeva più per la guerra. La conquista di Veio diede anche molti terreni nuovi, alcuni lasciati come ager publicus altri dati ai veterani-coloni in proprietà privata. Una nuova forte minaccia fu l’invasione gallica, narrata da Livio durante il periodo di Tarquinio Prisco, dove i Galli erano spinti dal fatto che i loro numero erano diventati troppi per il nord Italia, e quindi Segoveso attaccò la Spagna e Belloveso attaccò il sud Italia. Invece Polibio ritiene che l’invasione sia avvenuta tutta in un solo colpo e un secolo dopo, nel V secolo a. C., ma siamo più propensi a credere a Livio. I Senoni, l’ultima delle tribù galliche che arrivarono, attaccarono prima gli etruschi, e nel farlo vennero difesi anche da tre ambasciatori romani che si trovavano lì, solo che non avrebbero potuto farlo. Dunque per le regole del bellum iustum i galli attaccarono Roma, e la saccheggiarono, nel 390 a. C. La tradizione storiografica si divide in quella romana, che parla di resistenza estrema del Campidoglio, e in quella greca, che non lo menziona. Da notare poi come i Galli come arrivarono scomparvero: non ci saranno più contatti o scontri tra loro e i romani, abbiamo però delle testimonianze storiche che dicono che poco dopo i Galli vennero usati dal tiranno di Siracusa come mercenari, dunque si spostarono verso il sud Italia. In realtà il sacco di Roma da parte dei Galli non fu un evento così traumatico, dato che la storiografia successiva ci parla di molte migliorie fatte in breve tempo. Per prima cosa vennero erette le mura serviane, nel 378 a. C., e nello stesso tempo le azioni di attacco e di consolidamento dei confini di Roma aumentano fortemente: vengono sottomesse altre città e popolazioni, la loro cultura immutata, diventano cittadini romani con oneri e onori, e diventano quindi municipi di Roma, in questo modo la dominazione non è pressante e odiosa ma più soft. Venne rinnovato il Foedus Cassianus, e le ultime popolazioni che non avevano avuto grossi contatti con i Romani decisero per le alleanza, impaurite dal forte espansionismo di Roma. L’espansione romana di questo primo periodo è stata valutata in tre termini diversi: imperialismo difensivo (teoria di Mommsen), per via degli attacchi che prima avevano subito dalle popolazioni che ora attaccavano, e quindi conducevano delle guerre giuste, oppure la volontà di essere guerreschi per mantenere il proprio status sociale all’interno della civitas romana (teoria di Harris), e infine il terzo e più probabile, la anarchia interstatale multipolare, per la quale in tempi così remoti non si ha una popolazione che soggiace le altre, ma tante piccole che sono sempre in lotta tra loro, vivono di guerra (teoria di Eckstein). Il merito di Roma fu quello di fare molti patti e di avere al suo fianco socii, in questo modo creava una rete e ampliava il suo potere volta per volta. 8

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Altra popolazione importante e che diede molti problemi ai romani fu quella dei Sanniti. In un primo momento Roma scelse la strada della diplomazia, concludendo un patto di non belligeranza e di divisone dei territori di dominio nel 354 a. C. Successivamente le popolazioni campane riunite sotto la Lega Campana, e nel 343 a. C. i Sanniti attaccarono Teano, che ovviamente chiese aiuto alla Lega, la quale a sua volta chiese aiuto a Roma. Una situazione difficile per Roma, che aveva stipulato un patto con le popolazioni sannitiche. Decise infine di aiutare i campani quando i capuani decisero di darsi in toto a Roma, con la formula della deditio in finem, dunque con la vittoria di Roma il territorio campano sarebbe stato in mano ai romani. La prima guerra sannitica 343-341 a. C. si risolve velocemente a favore dei romani, i quali però poi chiesero una tregua per riprendere le forze e sedare una rivolta interna all’esercito. Venne rinnovata l’alleanza con i Sanniti, e a loro venne dato Teano, e ai romani Capua. Questa alleanza fece sì che la vecchia Lega Latina attaccasse Roma, ora sostenuta dai Sanniti, e la Grande guerra latina venne vinta dai romani, la Lega disciolta e le città sotto di essa inglobate come municipia da Roma. Una cosa che Roma fece per un periodo ma che col tempo abbandonò fu la civitas sine suffragio, dunque la cittadinanza ai nuovi cittadini, ma senza la possibilità di votare in assemblea a Roma ne di essere eletti per le cariche pubbliche. Invece il fatto che Roma mantenesse ancora molti socii, che potevano in molti casi essere città combattute prima, era molto utile dato che Roma non avrebbe avuto le possibilità di controllare direttamente un territorio così amplio, dunque delegava il potere per quanto mantenesse un controllo, e soprattutto non doveva chiedere tasse ai socii per l’esercito dato che lo organizzavano autonomamente: meno imposizioni fiscali, meno odio, più autoorganizzazione, ma comunque sicurezza di avere una serie di popolazioni ed eserciti dalla propria. Infine, c’era anche il fundus fieri, cioè città alleate di Roma ma non controllate direttamente potevano recepire autonomamente norme di legge romane relative solo a Roma. Arriviamo alla seconda guerra sannitica, 326-304 a. C., che fu combattuta dato che Napoli, l’ultima città semi libera, era divisa tra un patriziato filoromano e una popolazione filo sannita. In questo secondo conflitto abbiamo per la prima volta la figura di un console Pubilio Filone, le cui attività vengono prorogate per la prima volta da parte del Senato di un anno, diventando proconsole (notiamo come il Senato fosse pronto a piegare per necessità il regolamento, ma non che volesse rivoluzionarlo). All’interno di questo conflitto ricordiamo le infami Forche Caudine del 321 a. C., con la sconfitta dei romani, e a una probabile tregua. Con il ritorno delle ostilità, ancora a favore dei Sanniti, i romani capitarono di dover modificare le proprie tattiche, presero le armi sannitiche e le centurie vennero spaccate, non più 100 ma una sessantina di uomini, divisi su tre file, in questo modo era più facile combattere in spazi angusti. La pace, avvenuta dopo la conquista di Boviano (e nel frattempo dopo aver sconfitto delle truppe etrusche a nord), fece sì che venisse riconfermato il trattato del 354 a. C. Nel 298 a. C. le ostilità ripresero con l’attacco da parte dei Sanniti della Lucania, e della difesa accorsa da Roma. Ma il fronte si spostò subito molto più a nord, dove il comandante supremo dei Sanniti, Gellio Egnazio, dopo una lunga marcia si fece amiche tutte le popolazioni a nord di Roma, Etruschi, Galli e Umbri. Nel 295 a. C. a Sentino ci fu il maggior scontro della storia d’Italia, che come al solito vide quasi vincitori i Sanniti, se non fosse per il sacrificio con il rituale della devotio compiuto dal console Publio Decio Mure, che emulò il padre, e fece vincere i romani. Questo unito al fatto che le truppe di appoggio ai Sanniti non erano sempre presenti, mentre invece gli alleati romani erano molti e ben disciplinati. I Sanniti tentarono una resistenza con la chiamata alle armi di tutta la popolazione che controllavano, e anche con un reparto scelto di guerrieri che avevano 9

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giurato di combattere fino alla morte, la legio linteata. In ogni caso, nel 293 a. C. ad Aquilonia vennero sconfitti e dunque nel 290 a. C. chiesero la pace. In questo modo i romani acquisivano ancora più territori, soprattutto di quelli degli alleati dei Sanniti, e anche in questo caso non furono particolarmente crudeli contro la popolazione. Da questo si distacca l’abbattimento della città ribelle di Volsinii, che venne ricostruita in un altro sito dopo essere stata distrutta dai romani. Nello spiazzo dove prima c’erano i già citati Senoni, venne costituito l’ager gallicus, con la città di Senigallia (Sena Gallica ai tempi). Ora che il centro Italia era sotto l’egemonia romana, la Magna Grecia era il prossimo spazio di conquista. Alcune città si erano strette sotto la Lega Italiota, con capitale Taranto. In un primo omento non erano i romani il problema, ma le popolazioni italiche, schiacciate dall’espansione romana, che si spostavano verso sud, e quindi entravano nei confini della Magna Grecia. La Lega comunque ebbe vita breve e le città dovettero difendersi singolarmente, chiedendo aiuto volta per volta alla madrepatria greca. Nel 285 a. C. la città greca di Turi era minacciata dai Lucani, e chiese per prima aiuto a Roma, seguita da altre. Nel frattempo, aveva stretto un patto di non aggressione con Taranto, solo che mandò per sfida ma nello stesso tempo con una buona motivazione navi nel golfo di Taranto, come presidio richiesto dalle popolazioni che si erano legate a Roma, che quindi le attaccò, e cacciò da Turi la guarnigione romana. Taranto, ora che la guerra era inevitabile, chiese aiuto a Pirro, comandante in capo della Lega Epirotica, e condottiero molto famoso. Egli si propose come protettore dell’ellenismo della Magna Grecia, per evitare che questa fosse sottomessa ai barbari romani, visti anche come eredi dei troiani (da qui si comincia ad attestare il mito di Roma troiana). Il suo era anche un volere fortemente politico, dato che Taranto erano in realtà colonia spartana, ma i re spartani che prima l’avevano difesa o erano morti o erano stati cacciati dai tarantini stessi, e quindi Pirro tentava così di avere più potere anche in patria. Nel 280 a. C. Pirro sbarcò con un esercito molto imponente, e gli elefanti, i romani per rispondere a questa imponenza furono costretti a chiamare alle armi tutti i cittadini, anche i nullatenenti, ma vennero sbaragliati a Eraclea, anche per il fatto di non aver mai visto gli elefanti. Velocemente le città del sud Italia si schierarono con Pirro, e i Sanniti per la quarta volta organizzarono un’alleanza contro i romani. Pirro capì ben presto che non poteva assediare le lunghe mura di Roma, quindi chiese una trattativa, nella pratica di lasciargli tutte le città del sud Italia, e il Senato data la situazione di totale emergenza rifiutò ma dopo lunghi tentennamenti, con orazioni contro queste trattative portate avanti di Appio Claudio Cieco, che diceva che in questo modo Roma avrebbe perso gran parte del suo potere. Nel 279 a. C. ci fu lo scontro ad Asculum, che vide la perdita dei romani, ma anche grosse perdite nel campo avverso (da qui l’espressione “vittoria di Pirro”). La situazione era però in favore dei romani, che giocavano in casa: Pirro era obbligato a pagare migliaia di soldati mercenari, e quindi a chiedere moltissimi tributi, mal visti dalla popolazione del sud Italia. Nel 279 a. C. inoltre i romani strinsero un’alleanza con la talassocratica Cartagine, che tolse vigore alle truppe di Pirro in Sicilia, mentre a nord Roma si poteva meglio riarmare. La doppia morsa di Cartagine in Sicilia e Roma che premeva sulla Magna Grecia fece sì che Pirro non riuscì a reggere, chiedendo prima troppi soldi, poi obbligato a saccheggiare i templi e quindi visto solo come un despota e non un difensor fidei greco, e infine nel 275 a. C. presso la futura Benevento venne sconfitto e si ritirò nell’Epiro, morendo pochi anni dopo. Tutte le colonie della Magna Grecia passarono in mano romana, che ideologicamente preferivano un dominatore barbaro a un despota ellenico. È questo il momento in cui nella storiografica greca Roma diventa importante e comincia a essere presa in considerazione, e abbiamo notizia anche di una richiesta di amicizia da parte del faraone Tolomeo II d’Egitto. 10

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Capitolo 4 – “La conquista del Mediterraneo” Le Storie di Polibio sono la migliore fonte che possediamo in merito a questo periodo, scritte proprio per celebrare la grandezza romana, dopo che il suo autore era stato portato schiavo a Roma e aveva conosciuto il circolo intellettuale di Scipione Emiliano. Oltre a lui, abbiamo in sempre presente Livio, e i 44 libri di Pompeo Trogo sulle Storie Filippiche, che in parte si legano a Roma. Il cristiano Paolo Orosio con le sue Storie contro i pagani parla di questo periodo, e ancora possiamo utilizzare alcune Vite parallele di Plutarco. Aumenta con il contatto greco la documentazione epigrafica, prendendo spunto da un motivo già ben inserito nel mondo greco. Va detto che a parte Polibio tutti gli autori citati scrissero secoli dopo gli avvenimenti, e colsero a piene mani dagli Annali di cui parlavamo a inizio volume. L’ascesa di Roma nel Mediterraneo non poteva che continuare verso sud, dunque ci si volge verso i vecchi alleati, i Cartaginesi. Nel 264 a. C. accade che i Mamertini, mercenari italici che avevano assistito Agatocle a Siracusa, conquistarono Messina, e per un primo periodo si fecero aiutare dai cartaginesi, i cui scopi erano quelli di conquistare tutto lo Stretto. In breve tempo però i Mamertini si sentirono soffocati, e dunque chiesero aiuto a Roma. La situazione nuovamente non era semplice: da un lato si trattava di vecchi alleati contro mercenari senza scrupoli che avevano messo a ferro e fuoco una città, d’altra parte il non intervento avrebbe fatto sì che Cartagine conquistasse buona parte della Sicilia, regione molto ricca. Un altro problema era quello per cui Cartagine aveva vasti territori e la migliore flotta del Mediterraneo (utilizzata infatti dai romani), e questo poteva essere un problema in una guerra. Infine uno storico filo cartaginese, Filino, parla di un concordato per il quale Cartagine aveva potere sulla Sicilia, firmato da Roma, ma nessuno ha mai trovato documenti per verificare. La Prima guerra punica (264-241 a. C.) nel primo periodo arrise ai romani, molto più forti su terra: in breve tempo vinsero le difese cartaginesi e fecero accordi con Ierone di Siracusa, ma le città costiere erano ben rifornite dalle navi cartaginesi. Nel 260 a. C. tuttavia la flotta romana (composta anche molto da quinqueremi guidate da comandanti e da marinai dei vari socii di Roma) vinse i cartaginesi a Milazzo, con l’uso dei corvi per poter agganciare le navi e combattere “su terra”, sulla tolda. Nel 256 a. C. iniziò l’avanzata in terra africana, nei possedimenti cartaginesi, inizialmente il console Regolo ebbe la meglio con suo esercito di terra, conquistando Tunisi, ma poi venne battuto da dei mercenari spartani e la flotta venne distrutta in parte, negli anni successivi altre due flotte mal gestite dai prefetti vennero distrutte da battaglie navali o tempeste, questo azzerò il potenziale marittimo romano, ma allo stesso tempo Cartagine non aveva molte forze di terra, si era in una situazione di poche forze da ambo le parti. Nel frattempo i cartaginesi erano anche impegnati a sedare delle rivolte nei loro possedimenti in Numidia, dato che con l’arrivo dei romani le popolazioni sotto i cartaginesi si erano ribellate, questo ovviamente distribuiva le forze. Dopo pochi anni, nel 241 a. C. Roma aveva ricostruito la flotta, con un grande prestito da parte dei cittadini facoltosi, e presso le Egadi la flotta cartaginese venne sconfitta da Lutazio Catulo, e il nuovo comandante in capo Amilcare Barca dovette chiedere la pace. Roma acquisiva denaro, potere e la Sicilia. Questo territorio era il primo grande territorio fuori da Roma conquistato, diventando la prima provincia. Questa terra, le altre poi, avrebbero pagato tributi annui in grano e altre merci (e oro poi), gestite da un governatore e da pochi altri burocrati. Le province erano assegnate annualmente, in questo modo si cercava di eliminare malgoverno, corruzione, volontà di possedimenti dispotici etc…. Venne creata la quaestio de repetundis, per le eventuali corruzioni scovate. Il problema erano le imposte, riscosse da publicani, società private non gestite da Roma, che spremevano molto più del dovuto. All’interno delle repubbliche c’erano le poche civitates 11

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liberae et immunes, che non pagavano tributi e si amministravano da sé, per esempio perché si erano consegnate senza combattere, mentre invece le altre erano civitates stipendiariae, perché pagavano. I tempi tra la prima e la seconda guerra punica furono necessari per ristabilire le posizioni di potere e ampliare le forze di entrambi gli schieramenti. A Cartagine la situazione non era florida, bande di mercenari si ribellavano e fu compito del generale Amilcare Barca sedare le rivolte. Stessa cosa accadde in Sardegna, solo che i sardi chiesero aiuto a Roma, e quindi i cartaginesi non potendo combattere di nuovo i romani lasciarono Corsica e Sardegna nelle mani romane, creando la seconda provincia romana dopo quella siciliana, che come abbiamo già scritto era stata presa ai cartaginesi dopo la fine della prima guerra punica. I sardi non si dimostrarono una popolazione facile da piegare comunque, e mai lo saranno. Nell’Illiria le rotte navali greche che avevano rapporti economici coi romani erano disturbate dalla forte pirateria, che Roma volle risolvere con una guerra contro gli Illiri, che vinta diede la possibilità a Roma di partecipare ai giochi istmici, creando un forte legame di amicizia con i greci, e dando ufficialmente a Roma lo status di potenza talassocratica nell’Adriatico. Il nord Italia, preso ai Galli, venne redistribuito ai ceti popolari grazie alla lex flaminia, proposta dal tribuno Caio Flaminio. Essendo vasti territori e lontani da Roma, erano dei centri pre-cittadini, amministrati direttamente da Roma e senza autonomia. Nel frattempo i Galli sconfitti si spostavano per le regioni, annientati però nel 225 a. C. in Etruria dai romani, i quali decisero di occupare del tutto la val Padana e edificare a Milano, dove c’era il centro maggiore dei galli. La conquista completa del nord Italia fu portata avanti con determinazione e con massacri, uniti alle deportazioni forzate di popoli che non si sarebbero arresi mai. Venne costruita la prima grande via di collegamento da Roma al nord, la via Flaminia. Molti nuovi territori da bonificare e da rendere fertili entrarono in possesso romano, che li divise in ager publicus, distribuzione individuale e nascita di colonie. I cartaginesi si spostarono in Spagna, dove più forti erano le loro posizioni, per riorganizzare lì un centro operativo ed essere pronti ad attaccare i romani. Questi ultimi gli imposero dei confini separati dal fiume Ebro, anche se esisteva una città, Sagunto, che aveva degli accordi con i romani ma si trovava in territorio cartaginese. Annibale, nuovo capo militare, decise di dichiarare l’attacco verso Sagunto per poter iniziare la guerra, e subito appena dichiarata si lanciò via terra verso le Alpi, per attaccare i romani su terra in casa loro, non avendo più una flotta. Nel 218 a. C. partì da Nuova Cartagine, evitò lo scontro con i romani in Spagna, si fece amiche le tribù galliche distrutte in precedenza dai romani, ma perse molti uomini nella traversata delle Alpi, in pieno inverno. Sul Trebbia ci fu la prima vittoriosa battaglia per Annibale. Continuò la sua traversata fino agli Appennini, e sconfisse presso il lago Trasimeno le truppe di Scipione e uccidendo il console Flaminio, gettando panico a Roma, dato che la sua marcia sembrava inarrestabile. Venne chiamato come dictator (cosa che non accadeva da anni) Fabio Massimo, definito Cunctator, “Temporeggiatore”, che diceva di non cercare lo scontro con Annibale, ma di aspettare che le sue truppe si stancassero. Strategia vincente, ma che non fu vincente per tutte le popolazioni fuori Roma che per anni soffrirono le incursioni cartaginesi. A lui venne affiancato il magister equituum Rufo, cosa fuori dal regolamento comune, dato che in questo modo c’era una dittatura doppia. Nel 216 a. C. presso Canne l’esercito romano di Varrone e di Lucio Emilio Paolo subì una delle peggiori sconfitte della sua storia, ricordata per sempre anche per la tattica militare eccezionale della tenaglia mantenuta da Annibale. In questo modo tuti erano sicuri della prossima caduta di 12

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Roma, e Annibale sfruttò a suo favore questo sentimento, facendosi amico le popolazioni assoggettate a Roma, che fortunatamente non furono tutte. Roma immise nel suo esercito schiere di uomini prima esentati, anche schiavi, per poter reggere l’urto, e si tenne vicina le popolazioni amiche, mentre invece quelle passate al nemico erano mal organizzate e in preda agli interessi dei diversi ceti, nella maggior parte dei casi erano stati quelli aristocratici a spingere per l’allontanamento da Roma, sperando in una sua futura e prossima sconfitta finale. Roma nel frattempo sconfiggeva il nuovo re siracusano, Ieronimo, nipote di Ierone, che si era messo con Annibale, e mantenne una flotta nell’Adriatico per evitare che Filippo V di Macedonia, anch’egli alleato di Annibale, lo attaccasse. I romani stanziati in Spagna per anni riuscirono a bloccare i rifornimenti militari per Annibale, ma alla lunga vennero sconfitti in Spagna, dunque il comando passò a Publio Cornelio Scipione figlio, che poi sarà l’Africano, che nel 209 a. C. distrusse Nuova Cartagine e poi sconfisse il fratello di Annibale, Asdrubale, poi ucciso nella successiva battaglia del Metauro da due consoli romani. Scipione tornò in Italia, divenne console nel 205 a. C. e iniziò i preparativi per attaccare i cartaginesi in Africa, con anche l’aiuto della cavalleria sovrano della Numidia Massinissa, loro storico alleato. La battaglia finale avvenne a Zama, nel 202 a. C., e vinsero i romani, ponendo fine alla guerra. I cartaginesi dovettero dare buona parte della Spagna, facendo creare ai romani la Spagna Ulteriore e Citeriore, e non poté dichiarare guerre senza il consenso di Roma, mentre avevano il potente Massinissa come re socio e amico che controllava la situazione. In Italia la situazione dopo quindici anni di guerre e scorrerie non era delle migliori: i campi erano stati abbandonati per anni dai contadini-soldati, che ora si trasferivano a Roma in cerca di fortune, i campi non abbandonati erano stati vandalizzati e derubati in continuazione, molti terreni nuovi erano in mano al latifondo dei grandi proprietari terrieri, che non assumevano nemmeno i contadini, avendo schiere di più facili e rimpiazzabili schiavi. Roma fu implacabile con chi si era allontanato da lei, e per evitare che successivamente popolazioni a lei amiche le si rivolgessero contro prese dei seri provvedimenti: moltissimi territori del sud Italia vennero confiscati e resi ager publicus, molte città poste sotto il controllo diretto dei romani, in altre parti veterani dell’esercito vennero mandati per essere proprietari di terreni espropriati alla popolazione. La creazione di colonie doveva essere utile per aumentare il controllo indiretto di Roma sulle popolazioni a lei legate, ma nello stesso tempo si ha una forte crisi dei medi e piccoli produttori e coltivatori, falcidiati da guerre, confische, latifondi comprati in blocco da facoltosi romani, perdita di vite umane dato che la maggior parte dei soldati erano gli stessi contadini, distruzione fisica e saccheggio dei campi per tutte le guerre annibaliche. Questo portò a un abbandono dei campi ormai inservibili e au un inurbamento di molti contadini, che andarono a ingrossare le città. Inoltre, si sviluppò l’aristocrazia senatoria, grazie a tutto l’ager publicus che si era andato via via creando, che anche se limitata da leggi che facilmente aggirava con i prestanome, prese tutto il terreno disponibile e strozzò i piccoli proprietari, ora suoi dipendenti, oltre a tutta la larghissima schiera di chiavi, moltissimi di provenienza guerresca, che avevano a disposizione. Si sviluppa il sistema della villa. Pochi anni dopo la fine della seconda guerra punica Roma si impegnò nella seconda guerra macedonica, contro l’eterno avversario Filippo V. Nel 201 a. C. le tensioni che si erano sviluppate con gli attacchi verso la lega etolica vennero visti come un atto di guerra da Roma, che procedette come di consueto, ma sta volta per una guerra ben poco temibile, ma solo per acquisire terreni e denaro, e anche per rifarsi della sconfitta di Canne, che per anni gravò sull’onore romano. In breve tempo tutte le città greche si schierarono con Roma, palesemente più forte dei macedoni, e quindi 13

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Filippo fu obbligato a chiedere la pace, nel 198 a. C. Gli venne lasciato il regno, cosa che gli Etoli non videro bene, e che sfrutteranno successivamente. Roma decise di non annettere la Grecia come provincia. Poco dopo sarebbero dovuti ritornare in Grecia, per combattere la guerra siriaca contro Antioco III, che venne richiesto anche dagli Etoli per liberarli dal dominio romano, ma che venne sconfitto dopo una lunga guerra fredda, che vide le truppe romane passare sul territorio greco (e anche macedone, ora fedele ai nuovi patti con Roma) per combattere i siriaci nel loro stato. Roma confermò la sua politica di non creare province troppo lontano dal centro, quindi sia la Siria che la Grecia rimasero indipendenti, la prima venne spartita tra gli alleati territoriali romani. La terza guerra macedonica iniziò nel 171 a. C., dato che i romani sentirono le velleità nazionalistiche di alcuni stati greci, soprattutto del nuovo re Perseo, figlio di Filippo V. A Pidna venne sconfitto e la monarchia decadde in Macedonia. Ancora i romani non vollero una provincia, ma divisero la Macedonia in quattro repubbliche indipendenti che pagavano tributi a Roma, e per il resto della Grecia fecero salire al potere ovunque i gruppi di aristocratici sempre stati filo-romani, e deportarono 1.000 personalità importanti della Lega Achea che si erano comportate in maniera ambigua: tra loro c’era Polibio. Il bottino macedone fu così alto che venne abolito il tributum, cioè la tassa che i cittadini romani pagavano per il mantenimento dell’esercito. Poco dopo ci si rese conto che i governi aristocratici greci erano tirannici, e che le pulsioni nazionalistiche erano troppe. Roma attaccò la Macedonia, iniziando la quarta guerra macedonica, fece della Macedonia provincia in brevissimo tempo, distrusse la Lega Achea e qualsiasi altra lega che si era creata, per evitare riemergere di volontà nazionali all’interno del paese. Vennero inviati emissari romani su tutto il territorio per controllare e stabilizzare la situazione. Corinto venne saccheggiata e distrutta. A Cartagine la situazione era florida, i debiti di guerra saldati prima del tempo e molto grano veniva inviato a Roma. Il problema erano gli scontri con Massinissa, che si poteva permettere tutto essendo alleato principale dei romani, e sapendo che i cartaginesi non potevano rispondere. La situazione si fece tesissima dopo che Massinissa si impadronì di tutta una ricca regione tecnicamente sotto il controllo cartaginese, il partito della guerra prevalse e Asdrubale venne inviato contro la Numidia, venendo completamente distrutto. I cartaginesi impazziti di paura acconsentirono a qualsiasi cosa chiesta dai romani, e già avevano condannato a morte Asdrubale e i suoi, ma quando Roma chiese di abbandonare Cartagine, lo spirito del popolo cartaginese vinse (e anche le necessità di avere una industria economica marittima), Asdrubale venne rimesso al potere e iniziò un assedio contro Cartagine che si risolse solo con l’intervento di Lucio Emilio Paolo e Scipione l’Emiliano. Cartagine nel 146 a. C. venne distrutta, saccheggiata e messo il sale sulle sue rovine, e venne creata la provincia d’Africa. La fine del metus hostilis, o specificamente metus Punicus, secondo Sallustio avrebbe portato a scontri interni a Roma, dato che non c’era più necessità di coalizzarsi contro il nemico comune, anche se già da tempo ridotto a nulla rispetto al potere preponderante romano. La situazione spagnola era tale per la quale la parte occupata dai romani era divisa in Spagna Ulteriore e Citeriore, le milizie stabilite lì erano pagate da un tributo che la popolazione locale dava loro, e per il resto Roma dava in appalto a dei privati le miniere presenti. La Spagna come abbiamo detto era stata occupata solo in parte, e la guerriglia celtibera e lusitana era molto resistente contro i romani. Vennero proposte due tattiche: la prima, offensiva, fu quella di Catone, utile solo nel primo momento. La seconda, di trattati di pace, fu portata a vanti da Tito Sempronio Gracco, padre del tribuno della plebe di cui parleremo. La situazione comunque non era facile da gestire, e ogni anno 14

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le popolazioni riprendevano vigore e terreni prima conquistati dai romani, che ebbero molti casi di defezione e problemi interni, essendo una tipologia di guerra non affrontata da Roma quasi mai. Di tutte le guerricciole combattute, emblematica fu quella dell’assedio di Numanzia, dove il console Mancino nel 137 a. C. fu costretto a sottoscrivere una pace umiliante per Roma. Questo accordo non venne preso in considerazione dal Senato, che mandò Scipione Emiliano a distruggere la città per l’offesa ricevuta. Mancino venne inviato umiliato ai numantini nudo e legato, che non lo accettarono e lo rinviarono a Roma: perse la cittadinanza romana.

Parte terza – La crisi della Repubblica e le guerre civili (dai Gracchi a Azio) Capitolo 1 – “Dai Gracchi alla guerra sociale” Pochissima è la storiografia di questo periodo che ci è arrivata, tutte le fonti che possediamo solo più tarde. Abbiamo dei pezzi delle Storie di Polibio, delle periochae di Livio, dei piccoli brani di Velleio Patercolo. Le monografie più lunghe solo le Vite di Tiberio e Caio Gracco di Plutarco di Cheronea. Le tipiche problematicità delle guerre che portavano poi a distruzione dei campi, ma poi anche a presa di potere da parte dei latifondisti, portarono a un forte inurbamento Roma. Le guerre di conquista fecero costruire moltissime opere pubbliche, date però in mano ad aziende private. Si sviluppò un forte movimento ellenista a Roma, dato che moltissimi schiavi erano greci, e portarono anche spesso e volentieri la loro conoscenza a livello filosofico e pratico. In Sicilia ci furono fortissime rivolte servili, le cui cause scatenanti erano ovviamente l’estremo sfruttamento al quale questi schiavi e servi erano dati a fare, e queste rivolte furono così forti che ci vollero anni e vari consoli per fermarle. Date le problematicità già esposte soprattutto sui terreni e sui contadini senza lavoro che migravano a Roma, vediamo la creazione di due fazioni della nobilitas: gli optimates e i populares, le cui aspirazioni sono tradite dagli stessi nomi, per quanto tutte e due parte della stessa classe. Tiberio Gracco, nel 133 a. C., anno del suo tribunato della plebe, volle provare a riprendere in mano una riforma agraria, assolutamente necessaria per Roma, la cui ultima proposta affossata era stata quella di Caio Lelio nel 140 a.C. I terreni sarebbero stati dovuti ridistribuire e assegnarne una parte ai poveri, inalienabile, di 7,5 iugeri. Necessario era anche per ricostruire una classe di piccoli proprietari terrieri, anche per far fronte alle necessità di soldati. Ogni persona avrebbe ricevuto al massimo 500 iugeri (125 ettari) di terreno, con l’aggiunta di 250 iugeri per ogni figlio, fino a un massimo di 1000 iugeri. Ovviamente i senatori erano contrari, e per quanto i loro terreni fossero in gran parte illegali (ottenuti tramite sotterfugi e prestanome), cercarono di non far passare questa legge, utilizzando Marco Ottavio come tribuno della plebe che si doveva opporre. Ottavio venne destituito per ovvie incongruenze con il suo ruolo, e la legge Sempronia agraria passò. L’opposizione continuò e Tiberio Gracco venne ucciso dal pontefice massimo e altri sodali, dopo che egli si propose di nuovo come tribuno della plebe, avendo paura che finita la sua sacrosanctitas sarebbe stato ucciso. La legge non venne però abrogata e la commissione triumvirale che era stata preposta alla ridistribuzione delle terre operò, anche se ben presto ci si rese conto delle antipatie che oltre al Senato questa legge faceva alle aristocrazie italiche. Fulvio Flacco, parte della commissione, propose che i soci italici che ne avessero fatto richiesta potessero diventare cittadini romani, ma la cosa non venne nemmeno discussa per via dell’assurdità della proposta, che venne ritirata. Un preludio alla successiva guerra sociale. 15

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Nel 123 a. C. il fratello minore, Caio Gracco, venne eletto tribuno della plebe, e continuò la legge del fratello. Ci furono delle leggi frumentarie, che permisero ad ogni cittadino della città di Roma di avere frumento tutti i mesi, con l’edificazione di granai statali. Questa nuova legge si legò all’annona, che era la commissione che riforniva i mercati di Roma dei beni di consumo, tra cui anche il grano. Erano comunque due cose ben diverse. Caio Gracco volle limitare lo strapotere del Senato togliendogli dei poteri a livello dell’annona, in questo modo le malversazioni e le ruberie si sarebbero dovute attenuare, anche perché vennero divisi i tribunali che si occupavano delle quaestio de repetundis: ora solo i cavalieri ne facevano parte, così che non ci fossero troppi interessi coincidenti tra giudici e giudicati. I senatori utilizzarono un altro tribuno, Druso, per inficiare il lavoro di Gracco, che perse prestigio e non venne rieletto. Successivamente per non far costruire la colonia di Cartagine vennero fatti dei cattivi presagi, si svilupparono degli scontri, il senato prese posizione e decretò il senatus consultus ultimum (per la prima volta), con il quale solo i senatori avevano potere in tutta Roma, e i sostenitori di Gracco vennero uccisi, Gracco preferii il suicidio assistito. Le riforme gracchiane vennero mitigate ma non abolite, ma per esempio venne abolita la inalienabilità dei lotti popolari, in questo modo ritornarono in parte ai senatori. I romani in questo momento consolidano i loro confini e aumentano: creano la provincia d’Asia con la distruzione del regno di Pergamo, dato che il nuovo sovrano non era alleato di romani, aumentano i loro territori con delle città in Gallia, finalmente nel 106 a. C. dopo svariate guerre conquistano tutta la Dalmazia. La Numidia era passata nelle mani di Micipsa, che raccoglieva l’eredità di un paese molto ricco e con molti commercianti esteri che venivano da loro. Il problema si pose quando alla morte di Micipsa i tre figli si vollero spartire il regno: il più forte, Giugurta, uccise Iempsale e fece fuggire Aderbale, che si rifugiò a Roma e chiese aiuto. Al Senato fu facile dirimere la situazione dividendo in due il regno, dandolo a entrambi. Giugurta però attaccò il regno del fratello, ma il suo errore fatale fu l’uccisione dei romani presenti. Ovviamente questo portò alla guerra contro Roma, nel 111 a. C. Lucio Calpurnio Bestia fu inviato a combatterlo, e dopo dei successi gli chiese una pace con condizioni molto lievi. Ovviamente era una cosa impensabile per i romani, che lo destituirono subito e diedero il comando a un altro, che però perse una battaglia importante. Il Senato diede dunque il comando a Metello, accompagnato da Mario. Metello vinse molte battaglie ma non riuscì a vincere la guerra, che era condotta come se fosse una guerriglia per fiaccare i romani. Il comando venne dato nelle mani dell’homo novus, Mario. Questo dovette prendere nuovi soldati dai registri capite censi, quelli dei nullatenenti (cosa mai fatta e che divenne normale solo dopo Mario), dato che molte truppe erano state perse in questa guerra e in quella contro i Cimbri e i Teutoni. Mario utilizzò la diplomazia, fece passare degli alleati quali Bocco dalla sua parte che tradirono Giugurta. Nel 104 a. C. Mario ridivenne console, e Giugurta venne portato in trionfo a Roma e giustiziato. Mario venne rieletto console per cinque anni consecutivi, per far fronte alla minaccia contro i Cimbri e i Teutoni, stanziati in Spagna e in Gallia (partendo da luoghi molto più a nord e dovendo migrare), che erano molto forti ma mal organizzati. Per qualche anno non si fecero vedere, e Mario poté riorganizzare l’esercito con comandi più grandi e meglio addestrati, e quando tornarono ai confini le popolazioni barbare, vennero sconfitte: 102 a. C. i Teutoni ad Aquae Sextie (Aix-enProvence), 101 a. C. i Cimbri presso i Campi Raudii, forse a Vercelli. Nel frattempo che Mario passava la sua vita a combattere, a Roma si alleò con Lucio Appuleio Saturnino, per proporre delle leggi agrarie per far sì che i veterani di Mario potessero ottenere delle 16

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terre in Africa. Questa unione tra i due fece sì che Saturnino proponesse varie leggi di carattere agrario e di costruzione di colonie per poter ottenere vari terreni e darli a suoi alleati, solo che durante delle rielezioni scoppiarono dei tumulti e il Senato subito si affrettò a proclamare il consultum ultimum, obbligando Mario a doversi rivoltare contro il suo alleato: Saturnino venne ucciso insieme ai suoi alleati, e il prestigio di Mario si abbassò grandemente, facendolo uscire dalla scena romana. Il figlio omonimo di Druso, anch’esso tribuno della plebe, fece varie proposte invise al Senato, tra cui quella di dare la cittadinanza ai soci italici, che da sempre avevano aiutato lealmente Roma a difendersi ed a attaccare, ma che non ricevano tutti i diritti del cittadino romano. Col tempo infatti la situazione era peggiorata, e i soci italici chiedevano a gran voce di diventare cittadini romani. Druso venne assassinato, e quindi iniziò la guerra sociale, nel 90 a. C., con l’uccisione di cittadini romani ad Ascoli. Si allearono vari soci, ma non l’Etruria, l’Umbria e la Magna Grecia. La guerra non fu facile, dato che i combattenti erano ugualmente armati e ugualmente addestrati allo stesso tipo di attacco. Venne creata una capitale, Italica, che batteva moneta e sarebbe dovuta diventare la nuova capitale. Gli scopi però non erano uguali per tutti: alcuni volevano distruggere Roma, altri volevano obbligarla a farli diventare cittadini, adducendo come motivazione il fatto che si prendessero un sacco di spese e di soldati loro per Roma, e questa si prendesse tutto il potere e la gloria. Con calma durante la guerra vennero fatti diventare cittadini gli alleati romani, le comunità che avessero deposto subito le armi, e con la lex Plautia Papiria anche tutti gli italici che avessero fatto richiesta entro 60 giorni dall’avvio della legge. Infine, sempre nel 89 a. C., tutti i transpadani divennero cittadini romani.

2 – “I primi grandi scontri tra fazioni in armi” Le fonti che possediamo sono Le guerre mitridatiche e Le guerre civili di Appiano, le Vite di Mario e Silla di Plutarco, ancore le periochae di Livio, La congiura di Catilina di Sallustio e alcuni discorsi e orazioni di Cicerone. Mentre era in corso la guerra sociale a Roma, i possedimenti della neonata provincia d’Asia erano minacciati dai sovrani asiatici che si spostavano dall’Oriente verso i loro confini. Con la reggenza di Mitridate VI Eupatore i vari regnicoli in lotta tra loro vennero variamente conquistati, quali la Paflagonia e la Galazia, il Bosforo, la Coclhide, la Crimea, la Cappadocia. Roma si accorse bene delle mosse espansionistiche di questo sovrano, con il quale padre aveva avuto rapporti. Nel 104 a. C. Mario si era recato in una missione diplomatica e di osservazione, e nel 92 a. C. Silla riprese la Paflagonia in stallando regnanti amici di Roma. Durante la guerra sociale Mitridate riprese la Cappadocia e la Bitinia, che dovevano dunque ritornare sotto possesso romano. Ovviamente molto facile era la guerra contro i romani, e Mitridate poteva giocare con tutti la carta del sovrano legittimo filoellenico che liberava le popolazioni dal dominio romano, e fu estremamente efficace. La maggior parte dei territori greci e dell’Asia Minore si ribellarono a Roma e decine di migliaia di romani e affiliati vennero trucidati nei modi peggiori da Mitridate. Nell’88 a. C. dopo che un esercito aveva liberato parte della Grecia, Silla venne mandato per combattere contro questo re e i suoi nuovi alleati. Nel frattempo era necessario cercare di inserire senza far danni tutti i nuovi cittadini romani nelle tribù, evitando che questi fossero troppi e nelle votazioni riuscissero a vincere sulle decisioni 17

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romane, si decise di inserirli in un numero limitato di tribù. Inoltre, la guerra mitridatica aveva tolto molto denaro e soldati, era necessario richiamare dall’esilio gli esiliati, abbassare i debiti, e Druso propose anche di inserire i neocittadini in tutte e trentacinque le tribù. Druso venne incaricato di fare tutto ciò, e decise pure per mettere Mario al posto di Silla a comando dell’esercito per la guerra mitridatica. Silla, appena udita questa notizia, capendo che avrebbe perso il forte bottino e la gloria, marciò con le sue truppe su Roma: da qui cominciamo a vedere che i soldati erano molto più legati ai propri comandanti invece che a uno stato lontano e spesso ostile. Silla occupò Roma e Mario fuggì in Africa, mentre tuti gli oppositori politici vennero giustiziati. Silla ritornò ben presto in Grecia e vinse le resistenze, mentre invece il consenso a Mitridate andava scemando in tutta l’Asia. Mario e Cinna tornarono a Roma e fecero strage dei nemici, Silla venne dichiarato nemico pubblico di Roma. Mario morì poco dopo, Cinna si impose con una breve dominazione per risolvere i problemi dei nuovi cittadini italici, che infine vennero inseriti in tutte e trentacinque le tribù. Da qui a breve verrà ucciso dai suoi stessi soldati. Nel frattempo in Grecia ci sono due armate romane: quella di Silla, e una inviata da Cinna. Non si scontrarono, lavorarono in maniera parella per ricacciare Mitridate in Asia. La fine della prima guerra mitridatica, nel 85 a. C., fece sì che Bitinia e Cappadocia tronassero ai loro re, Mitridate si ritirasse nel suo regno e pagasse una indennità di guerra. Ci fu poi una veloce seconda guerra mitridatica, 83-81 a. C., con il governatore d’Asia Murena che continuava ad invadere i possedimenti di Mitridate, ma venne fermato da Silla stesso. Silla, aiutato dal giovane e ricco Gneo Pompeo (poi definito Magno per i suoi successi militari in Sicilia) e dal ricchissimo (e dopo ancora più ricco) Crasso, ritornò in patria e vinse tutte le resistenze mariane partendo dal sud Italia e arrivando fino a Roma, e costituì le liste di proscrizione. Queste liste fecero modificare la composizione dell’aristocrazia romana, qualche famiglia si arricchì in maniera spropositata in pochi anni, molte famiglie vennero annientate. Silla con la lex Valeria divenne dictator a tempo indefinito, e fu necessaria questa misura dato che andava riordinato lo stato: molti nuovi cittadini, nuove famiglie aristocratiche: i tribuni della plebe persero molto potere, il Senato venne ridotto e immessi amici di Silla, e ogni proposta doveva passare prima dal Senato. Nel frattempo, un sacco di soldati sillani vennero inseriti in terreni espropriati con le liste di proscrizione, modificando la composizione sociale dei territori. Nel 79 a. C. abdicò dalla dittatura, si ritirò a vita privata e morì. Tra le riforme sillane pre e dopo le guerre mitridatiche ricordiamo della riforma del Senato, distrutto da Silla e rimpiazzato da suoi uomini, e il fatto che i tribuni della plebe perdessero gran parte dei loro poteri, quali la proposta di leggi o far partire un cursus honorum. Poco dopo la fine politica di Silla, Marco Lepido, padre del futuro Lepido triumviro, tentò una marcia su Roma per eliminare le riforme sillane, ma il Senato gli si oppose con il consultum ultimum e venne attaccato da Pompeo, che ricevette l’imperium senza aver prima rivestito altre cariche, in aperta opposizione alle norme sillane. La rivolta venne stroncata in breve tempo. Poco dopo Pompeo venne nuovamente utilizzato dal Senato per distruggere le ultime sacche di resistenza anti sillana in Spagna, con il mariano Quinto Sertorio che si era asserragliato lì e aveva costituito un suo senato, una sua capitale, e delle scuole di formazione. Non fu facile per Pompeo vincerlo, ma dopo 5 anni, nel 71 a. C., tutte le sacche di resistenza erano state domate. Nel frattempo, nel 73 a. C., si era sviluppata la terza grande rivolta schiavile, capitanata dal gladiatore Spartaco e da altri, con punto di partenza a Capua e presto arrivata in tutto il sud Italia. Crasso venne chiamato per distruggere questo esercito di sbandati, divisi ognuno dalle aspirazioni personali di bottino o di 18

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volontà di tornare in patria, e le ultime resistenze vennero distrutte da Pompeo che tornava dalla Spagna. Con tutte queste vittorie in pochissimi anni Pompeo fu facilitato a presentare la sua richiesta di consolato, e nel 80 a. C. la ottenne, insieme a Crasso. Le riforme sillane nel giro di pochi anni prima del 70 a. C. vennero smantellate, ritornarono le distribuzioni di grano, i tribunati della plebe ripresero potere, molti senatori sillani vennero eliminati. Le operazioni in Asia Minore ricominciarono: la minaccia della pirateria disturbava le lente navi merci che attraversavano il Mediterraneo, colpendo anche gli interessi romani, che risposero colpendo le roccaforti piratesche fino all’interno dell’Isauria, dando a Vatia il soprannome di Isaurico, e poi a Metello, che divenne Cretico per la sua vittoria sull’isola. Nel frattempo Mitridate riprese il conflitto, dato che si accorse che il testamento del re della Bitinia che dava i suoi terreni in mano ai romani dopo la sua morte era probabilmente un falso, e voleva ancora riconquistare quei terreni. Mitridate venne ricacciato per tutta l’Armenia, fin dopo la nuova capitale di Tigrane, ma i soldati romani, stanchi di aver compiuto marce forzate inoltrandosi molto in Asia, chiesero e ottennero la destituzione di Lucullo, e anche l’aristocrazia romana lo volle abbattere perché abbassò molto le tasse in Asia, cercando di aiutare la popolazione vessata. Pompeo assunse l’imperium infinitum, in pratica il massimo comando in quasi tutti i territori romani per combattere la guerra contro i pirati e la guerra contro Mitridate, entrambe risolte con la forza d’urto romana, arrivando a far suicidare Mitridate stesso nel 63 a. C. Poco prima liberò Gerusalemme e la Palestina e instaurò uno stato autonomo ma sotto il controllo del governatore della Siria, appena diventata provincia romana. Le vittorie militari di Pompeo in Asia Minore e più verso il medio oriente raddoppiarono e più l’estensione del dominio romano in quei luoghi. Nel mentre che Pompeo si trovava coinvolto nei teatri di guerra orientali, a Roma un aristocratico decaduto, ma arricchitosi con le proscrizioni, Catilina, tentò di entrare al consolato, nel 65 a. C. La sua proposta venne respinta perché accusato di concussione. Le ingentissime spese per la campagna elettorale lo abbatterono, ma due anni dopo venne aiutato da Crasso, cui era collegato il giovane povero Giulio Cesare, per ricandidarsi nuovamente al consolato. Invece vinse Cicerone, un homo novus, amico di Pompeo, che durante la campagna elettorale aveva accusato Catilina di corruzione e di nefandezze varie. Catilina venne abbandonato dal ricco Crasso, e perse nuovamente le elezioni anche se aveva promesso nella terza campagna elettorale la cancellazione dei debiti, e quindi tramò la sua vendetta, che doveva essere un colpo di stato. Il piano venne scoperto da Cicerone, che utilizzò il Senato per il consulum ultimum, e Catilina fuggì con il suo esercito a Fiesole, e a Roma veniva condannato a morte. Un esercito consolare lo vinse a Pistoia, e come raccontano le cronache morì sul campo di battaglia “con tutte le ferite sul petto”. Cicerone venne salutato come pater patriae e per tutta la sua vita continuò a glorificarsi.

Capitolo 3 – “Dal ‘primo triumvirato’ alle Idi di marzo” Il De bello gallico di Cesare, le vite di Plutarco dei protagonisti del capitolo, le orazioni e le lettere di Cicerone, ancora le periochae di Livio, sono le maggiori fonti che abbiamo su questo periodo. Pompeo ritorno a Roma nel 62 a. C. ma non gli venne subito dato il trionfo, anche se smobilitò subito le truppe. Nel 60 a. C. tornò dal governo in Spagna Ulteriore Cesare, che era diventato imperator per aver combattuto in quelle provincie. Pompeo amareggiato, Cesare voglioso di potere 19

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ma senza denaro e senza protezioni, e Crasso molto ricco ma che non riusciva a destreggiarsi nella politica romana, strinsero un patto segreto, chiamato a posteriori primo triumvirato, per differirlo dal “secondo” triumvirato (che nei fatti fu il primo e l’unico della storia romana) di Antonio, Lepido e Ottaviano. Il patto consisteva nel dare a Cesare il consolato, il quale avrebbe fatto una legge agraria per dare terre ai veterani di Pompeo, e Crasso avrebbe ottenuto vantaggi per i cavalieri e le compagnie di appaltatori di cui faceva parte. L’accordo si cementificò anche con il matrimonio tra Giulia, la figlia di Cesare, e Pompeo. Ovviamente Cesare divenne console e fece approvare queste leggi per i due altri contraenti del patto. Cesare finito l’anno consolare, lasciò “in regalo” al Senato il tribuno della plebe Clodio. Diventato tribuno per adozione, dopo degli scandali religiosi che gli preclusero per sempre il consolato, fece approvare delle leggi per impedire al Senato di condannare qualcuno senza che questi potesse difendersi, le assemblee pubbliche non potevano più essere stoppate se non in casi eccezionali, la distribuzione di grano doveva essere gratuita e per tutti i cittadini, questo aumento considerevolmente costi e richiedenti. Infine, si condannava all’esilio chiunque avesse fatto andare a morte qualcuno senza che questi si fosse potuto appellare al popolo (palese attacco a Cicerone). Cesare iniziò una lunga guerra di conquista dei territori gallici, andando in aiuto alle popolazioni degli Edui, che subivano attacchi dalle altre popolazioni migranti. Gli Edui vennero attaccati da Ariovisto, poi obbligato da cesare a ritirarsi, e in quel contesto appellato come re amico dei romani, ma poi dato che le migrazioni continuavano, lo sconfisse al di qua del Reno. Le truppe stanziate in quei territori diedero fastidio ai Belgi, mentre nel frattempo il figlio maggiore di Crasso vinceva nei territori bretoni e normanni. Nel 57 a. C. Cesare dichiarò la Gallia sotto il dominio romano, anche s più di metà di essa non era ancora stata pacificata, ma non era difficoltoso per il fatto che Cesare era un ottimo capo militare, molto amico della truppa, e che le popolazioni galliche non erano minimamente pronte a uno scontro di quella portata e non erano per nulla alleate tra loro. Una seconda serie di accordi venne presa a Lucca tra Cesare, Pompeo e Crasso: Cesare avrebbe avuto il comando militare in Gallia per altri 5 anni e con il doppio delle legioni, e Pompeo e Crasso sarebbero diventati consoli. Nel 54 a. C. iniziò la campagna militare in Britannia, compiuta da Cesare stesso che era passato direttamente dalla Gallia alla Britannia. Mentre era impegnato in Britannia, Vercingetorige, re degli Arveni, iniziò una rivolta, sostenuto da varie popolazioni galliche, e si ritirò nella sua città fortezza di Alesia, dove venne assediato dai romani, e impedito agli alleati di portare rifornimenti, con una tattica del doppio cerchio, uno rivolto alla fortezza, uno rivolto all’esterno contro gli alleati. Nel 51 a. C. Cesare proclamò la provincia della Gallia, e pochi anni dopo Vercingetorige fu portato in trionfo a Roma e decapitato sul Campidoglio. Crasso, dopo aver ottenuto il consolato, alla fine di questo ebbe in assegnazione come da accordi la Siria, che confinava con il regno partico, che era pervaso da lotte dinastiche e nelle quali Crasso volle entrare per vincere i Parti, anche se nessuno gli consigliò questa mossa. Infatti, giunto con l’esercito al primo scontro contro i Parti, nel 53 a. C. a Carre, le truppe romane vennero sbaragliate completamente e rubate le insegne imperiali: questa fu un’altra delle pesantissime sconfitte romane da sempre ricordate da tutti e cui ogni console, comandante e poi imperatore avrebbe cercato di risolvere, con le insegne recuperate solo nel 21 a. C. da Augusto. Crasso fu catturato e ucciso, si dice versandogli oro fuso in gola. Rimaneva del triumvirato solo Pompeo e Cesare, e il primo con tempo si allontanò da Cesare, fino a passare nelle fila nemiche. Nel frattempo, la situazione a Roma era di pura anarchia, con bande di 20

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militari di vari comandanti che si scontravano tra loro per il potere. Il Senato decise di dare il consolato a Pompeo, sine collega. I detrattori di Cesare stavano solo aspettando il momento in cui finissero i suoi incarichi istituzionali e ritornasse un privato cittadino, che senza protezione sarebbe stato possibile uccidere. Cesare per ovviare al problema chiese di essere candidato al consolato senza essere fisicamente presente a Roma, con una clausola che gli era stata fatta dai tribuni della plebe nel 52 a. C. Sempre nel 52 a. C. però Pompeo aveva fatto passare la legge per la quale dovessero passare 5 anni tra una magistratura e un’altra, e che ci fosse l’obbligo di presentarsi. Nel 50 a. C. il tribuno della plebe Curione propose e fece votare al Senato la legge per la quale sia Cesare che Pompeo dovessero abbandonare le cariche pubbliche. Cesare rispose che alo avrebbe fatto se anche l’altro lo avrebbe fatto, cosa che ovviamente non gli venne confermata, e anzi il Senato si schierò con Pompeo. Cesare capendo che la situazione si stava addensando, decise per il colpo di mano: nel 49 a. C. attraversò in armi il Rubicone (confine entro il quale non si poteva entrare con un esercito a Roma), e iniziò dunque la guerra civile tra Cesare e Pompeo. Pompeo scappò in Grecia, inseguito mentre era ancora in Italia dall’avanzata inesorabile di Cesare che stava scendendo per tutto il sud Italia per fermare la sua partenza. Cesare iniziò la guerra contro i pompeiani in Spagna, con le sue truppe stanziate in Gallia, poi tornò a Roma, ridivenne console, e attaccò Pompeo via mare assediando la città di Durazzo dove Pompeo si era barricato. Pompeo si spostò in Tessaglia, e finalmente lì ci fu una battaglia di terra tra i due eserciti, a Farsalo, nel 48 a. C. Pompeo scappò in Egitto ma appena sbarcato venne decapitato da Tolomeo XII. Cesare rimase per un lungo periodo in Egitto per cercare di conquistarlo, fece un figlio con la regina Cleopatra. Gli ultimi pompeiani erano stanziati in Africa, presso il sovrano Giuba, re di Numidia. Nel 46 a. C. A Tapso Cesare li vinse, e fece della Numidia una provincia romana. Poco dopo tornò in Spagna e vinse le resistenze dei figli di Pompeo, Sesto e Cneo. Nel 44 a. C. ormai era inutile continuare a dare il consolato a Cesare, che divenne dittatore perpetuo, oltre che ad assumere ruoli di tribuno della plebe, designare magistrati, prendere decisioni senza consultare il Senato. Fece attuare delle leggi per dare la cittadinanza a tutta l’Italia, aumentò il numero dei senatori, facendoli arrivare a 900, molti dei quali suoi protetti, raddoppio il numero dei presenti per ogni carica, per rendere più facile il cursus honorum ai suoi. Moltissime terre vennero date ai suoi veterani, sia in patria che nelle provincie, e le distribuzioni di grano gratuite vennero confermate ma ridotto il numero dei beneficiari. Ingenti opere pubbliche migliorarono Roma e diedero lavoro a molti operai. In questo modo Cesare si fece amico la plebe, il suo esercito, tutti i senatori e gli aristocratici suoi amici. Come sappiamo, il 15 marzo del 44 a. C., le Idi, venne assassinato mentre si recava in Senato da una congiura ordita dal figliastro Bruto e da altri. Si aveva la paura che il suo potere pressoché illimitato sfociasse in una volontà di regno, inoltre un personaggio così potente per forza di cose era inviso a molti e per forza di cose il suo potere per molti doveva essere fermato con la forza.

Capitolo 4 – “Agonia della Repubblica” Ucciso Cesare, i cesaricidi non si preoccuparono molto di eliminare anche i due altri collaboratori principali, cioè Antonio e Lepido. I cesaricidi inoltre non avevano un vero programma politico, e non vennero ben accolti nel dal Senato né dalla popolazione romana, cui Cesare era molto amico. Lepido propose la via dura, attaccarli subito e ucciderli, ma prevalse la linea di Antonio, vero leader 21

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della situazione, cioè quella di aspettare, dare l’amnistia ai congiurati, ma poter organizzare i funerali di stato per Cesare. Durante questi fece un’orazione così acuta (e Shakespeare la interpreta benissimo N.d.A.) che la popolazione si rivolta contro i cesaricidi, i quali preferiscono fuggire. Antonio legge il testamento di Cesare nel quale egli lasciava i suoi giardini e 300 sesterzi ad ogni cittadino romano, e la maggior part della sua eredità in mano al figlio adottivo molto giovane, Ottavio. Questo, venuto a sapere dell’eredità, tornò a Roma, la accolse, e giurò di onorare la memoria paterna con la vendetta contro i cesaricidi. Antonio per ora era ancora il massimo esponente politico di Roma, e non si curò moltissimo del nuovo arrivato, che comunque aveva sulle spalle il peso del padre. Antonio nel 43 a. C. combatté e perse la breve guerra di Modena, nella quale egli pretendeva la provincia della Gallia Cisalpina, anche se erano diversi gli accordi presi prima. Contro di lui venne inviato anche il giovane Ottavio. I due consoli che lo accompagnavano morirono negli scontri, e dunque Ottavio chiese ed ottenne di diventare console, e dopo aver marciato su Roma nel 43 a. C., gli venne concesso: tolse le amnistie ai cesaricidi e si fece ratificare l’adozione di Cesare, facendosi chiamare Cesare anche lui (nella storia però è passato come Ottaviano e poi Augusto, dunque così lo chiameremo). Ottaviano, Antonio e Lepido si incontrarono nel 43 a.C., e messe da parte le rivalità decisero per la costituzione di un triumvirato, il primo a livello ufficiale, il secondo per la storiografia. Questo triumvirato doveva essere utilizzato per la ricostruzione dello stato. Vennero ricostituite le liste di proscrizione, necessarie sia per eliminare un po’ di nemici politici, sia per fare cassa. Con il denaro ottenuto, poterono muovere le armi verso l’Oriente, dove erano stanziati Bruto e Cassio, ma non prima di aver divinizzato Cesare, rendendo Ottaviano figlio di un dio. A Filippi, in Macedonia, nel 42 a. C., si ebbe il primo vittorioso scontro, successivamente sia Bruto che Cassio si suicidarono. Le proscrizioni, il cambio di regime, e tutte le novità politiche avevano disgregato la vecchia classe dirigente romana, ormai sostituita in gran parte da nuove famiglie, italiche e non romane, messe lì da Antonio e Ottaviano, quindi fedeli a loro. È con questo cambio di passo che fu più facile poi decidere per il passaggio dalla Repubblica al principato, dato che ormai le decisioni “repubblicane” erano impossibili da prendersi, il Senato non aveva più potere, ma questo era nelle mani del comandante militare di turno. Antonio prese il potere in tutto l’Oriente, volendo continuare il processo di guerra contro i Parti, a Lepido andò l’Africa, a Ottaviano la Spagna, e il compito di sistemare i veterani delle legioni e di combattere contro Sesto Pompeo che con azioni di pirateria disturbava il traffico del Mediterraneo, e aveva basi in Sicilia e Sardegna. Se fosse riuscito in tutti questi scopi, avrebbe avuto grande prestigio militare, inoltre era vicino a Roma, al cuore pulsante della politica. La questione delle terre ai veterani fu risolta con l’esproprio di terre ai piccoli proprietari terrieri, dato che l’ager publicus non esisteva più da tempo, e domò anche le successive rivolte scoppiate. Strinse un’alleanza con Antonio, a Brindisi nel 40 a. C., dove ufficialmente ad Antonio veniva dato l’Oriente e a Ottaviano l’Occidente, e a Lepido l’Africa. Sesto Pompeo si lamentò di non essere stato inserito in nessun patto, e minacciò ancora con le sue scorrerie. Venne quindi data a lui Sicilia, Sardegna, Corsica e Peloponneso di Antonio. Sesto non riusciva però a conquistare il Peloponneso di Antonio, e un suo ufficiale aveva dato a Ottaviano Corsica e Sardegna. Ottaviano si trovò in difficoltà, chiese aiuto ad Antonio e in questo modo rinnovarono il triumvirato. Negli accordi Antonio avrebbe dato una flotta a Ottaviano per distruggere Sesto Pompeo, e Ottaviano avrebbe dovuto dare 20.000 soldati per l’Oriente. Sesto Pompeo venne distrutto a Milazzo e Nauloco dal console Agrippa, fugge e verrà ucciso l’anno 22

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dopo, nel 36 a. C. Ormai Ottaviano era molto forte e molto onorato a Roma, condusse anche delle guerre vittoriose contro i Pannoni per avere il trionfo militare. Antonio si legò sentimentalmente e con due gemelli a Cleopatra, la madre di Cesare Tolomeo e regina del ricco Egitto. Poco dopo Antonio tornò in Italia per il rinnovo del triumvirato e sposò Ottavia, la sorella di Ottaviano. Tornò in Oriente, cercando di vincere contro i Parti, ma inutilmente. In una seconda battuta riuscì a inserirsi nelle crisi dinastiche del regno partico e a creare principati a lui fedeli. Nel 36 a. C. tentò una grande spedizione infruttuosa, perdendo molte truppe nella ritirata per l’inverno, e ne fece una seconda nel 34 a. C. poco utile. Nel frattempo, nel 35 a. C. Ottaviano non aveva ridato indietro la flotta a Antonio, e gli aveva inviato 2.000 e non 20.000 legionari, tra cui anche la moglie Ottavia. Antonio infuriato la rimandò indietro, cadendo nel tranello: in questo modo Ottaviano poteva dire che Antonio era un traditore della patria, e che aveva sposato una sovrana, Cleopatra, ripudiando Ottavia. Antonio di tutta risposta diede onori al figlio naturale di Cesare, Cesare Tolomeo, ricordando a tutti il fatto che Ottaviano era un adottivo, non un figlio naturale. Nel 31 a. C. Ottaviano si pose come difensore dell’Italia e dello stato romano, dichiarando guerra a Cleopatra (ma ovviamente anche al nemico Antonio), e durante i battagli navale di Azio il suo prefetto della flotta Agrippa vinse le navi egizie e antoniane. Antonio e Cleopatra si ritirarono in Egitto, ma Ottaviano li incalzò per terra su due fronti, e quindi scelsero il suicidio. L’Egitto divenne provincia romana. Parte quarta – L’Impero da Augusto alla crisi del III secolo” Capitolo 1 – “Augusto” Il principato di Augusto diede larghissimo spazio a storici, poeti, scrittori per esprimere il proprio estro, ovviamente indirizzato a favore del principato e alla figura di Augusto. Oltre ai soliti Cassio Dione, Velleio Patercolo, alcune periochae di Livio, Svetonio e una biografia in greco di Nicola di Damasco, anche molti poeti dell’epoca, quali Virgilio, Orazio, Tibullo, Properzio e Ovidio cantarono della munificenza di Augusto. Le Res Gestae, l’autobiografia di Augusto, vennero incise a Roma e in tutte le provincie romane, cosicché abbiamo la possibilità di ritrovare reperti in varie parti dell’ex impero romano, e in varie lingue. Papiri e monete sono molto utili per ricostruire il periodo, dato che i princeps e poi gli imperatori sono sempre raffigurati nell’effige della moneta. Tacito scrive gli Annali e le Storie, per quanto ci siano pervenuti sono alcuni pezzi della monumentale opera storiografica a favore del regime. Seneca scrisse varie opere filosofiche, scientifiche, comiche (l’Apokolokuntosis), politiche. Abbiamo la Historia Naturalis di Plinio il Vecchio, che narra anche dell’eruzione del Vesuvio del 79 d. C. Dal 31 a. C. si comincia a parlare di principato romano, decaduta la Repubblica dopo che finalmente dalla guerra civile emerse vittorioso Ottaviano Augusto. Il principato non fu una costruzione di un giorno, ma un processo continuato per anni, pieno di insidie e di non facile gestione, maturato con scelte diverse da Augusto e i suoi massimi collaboratori seguendo un filo logico di fondo, ma adattandosi alle situazioni del reale volta per volta. Appena vinta la battaglia di Azio, ci si trovava davanti a una situazione per la quale i nemici di Ottaviano non erano stati completamente cancellati, circa 300 senatori erano passati nelle file antoniniane, le legioni dovettero essere disperse per non fomentare rivolte, ma non vennero adeguatamente pagate ne dato 23

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loro bottino. Mecenate, cavaliere romano di orientamenti imperiali-augustei, scoprì e fece pagare con la vita una congiura ordita dal figlio omonimo del triumviro Lepido. Ottaviano per primo non aveva fiducia nei propri senatori, riteneva che un suo allontanamento temporaneo da Roma avrebbe portato a rivolte, girava armato in senato e perquisiva i senatori stessi. Ai senatori fu impedito di allontanarsi dall’Italia a meno che non avessero dei terreni di competenza nelle vicinanze. L’esercito venne molto sfoltito, dato che gigantesco e costosissimo, e facile alla rivolta: vennero date ai veterani terre e poi un contributo in denaro, o la cittadinanza romana dopo anni di servizio, le legioni passarono da 75 a 26. Va specificato che Ottaviano non divenne da subito princeps ed eliminò qualsiasi altra forma politica a Roma, ma venne durante questi anni continuamente eletto console e l’altro console era sempre un suo fidato. Nel 28 a. C. ci fu una priva lectio senatus, una scansione dei senatori e una cacciata di quelli antoniani, e aggiunti altri di fedeli a Ottaviano. Egli stesso divenne princeps senatus. Nel 27 a. C. Ottaviano decise di togliersi formalmente tutti i poteri e tenere i poteri solo nelle provincie non pacificate, in questo modo teneva sotto di sé la maggior parte dell’esercito e poteva condurre lui le campagne militari ed acquisire bottino e trionfi. Sempre in questo anno venne chiamato dal Senato Augusto. Negli anni successivi alterò periodi a Roma con periodi nei territori non pacificati, per permettere prima di tutto che a Roma esistesse ancora formalmente un governo con una rappresentanza politica, poi per stare vicino alle sue truppe e tenere amiche, per conquistare nuovi territori. Nel 26 a. C. si ammalò molto e dovette tornare a Roma, avendo paura di morire. Prese in seria considerazione di dare a Marcello, suo nipote, il futuro comando dell’impero romano, fu il primo designato al comando futuro, ma da un lato Augusto si riprese e dall’altro poco dopo Marcello morì. Durante tutto il periodo del comando imperiale di Augusto ci furono delle piccole rivolte di singoli, soppresse molto velocemente, o di screzi quali il fatto che con Augusto sempre console, c’era il 50% di possibilità di in meno di diventarle: decise dunque nel 23 a. C. di abbandonare il consolato e ottenne l’imperium proconsolare, sempre nelle provincie non pacificate. Ottenne per poter esercitare potere politico anche a Roma la tribunicia potestas, cioè i diritti dei tribuni della plebe. Tra le ultime mosse politiche abbiamo la diplomazia con i Parti per poter riottenere le insegne imperiali perdute da Crasso durante la battaglia di Carre, e il fatto che alla morte di Lepido divenne lui pontefice massimo. Risistemò ancora l’organo senatorio, riportandolo come ai tempi di Silla a 600 membri, lo rese ereditario. Costituì l’ordo senatorius e l’ordo equester. Risistemò l’architettura romana, con un tempio per Cesare, il nuovo Pantheon, il Mausoleo della famiglia imperiale (con davanti le Res Gestae scolpite nel bronzo), l’Ara Pacis. Creò un corpo di pompieri, e sistemò gli approvvigionamenti di acqua e di grano, date le inondazioni e le crisi frumentarie che ancora colpivano Roma. Divise Roma in quartieri e l’Italia in 11 regioni. L’esercito venne riformato, ora era composto solo da volontari, professionisti della guerra, che servivano per vent’anni l’esercito e avevano una paga fissa (oltre al bottino). Venne istituita la guardia pretoria, un corpo di élite cittadino con una paga più alta e la stanzia a Roma. Venne istituita pure una truppa ausiliaria composta di italici e una flotta con stanza a Miseno e Ravenna, e dopo anni di servizio gli italici di queste due formazioni acquisivano la cittadinanza romana. Augusto promosse delle leggi morali e di procreazione: ci furono leggi per aiutare a fare più figli, per avere più aiuti da parte dello stato, mentre invece gli scapoli pagavano delle tesse specifiche, leggi contro l’adulterio, leggi contro la suntuosità dei banchetti e l’ostentazione della ricchezza. 24

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Di carattere militare furono le azioni sul continente: la pacificazione della Spagna, da sempre difficile da stabilizzare, le conquiste delle popolazioni transalpine. Mancò la conquista più importante, la Germania. A proposito di ciò non si può non ricordare un’altra delle poche ma famose sconfitte romane: 9 d. C., Selva Teutoburgensis, Varo. 20.000 soldati abbattuti, tre legioni annientate. Le truppe romane furono attirate con l’inganno dal traditore Arminio, capo dei Cherusci. La frontiera romana si attestò per lungo tempo sul Reno. Oltre al già citato Marcello, in vari momenti Augusto pensò al suo erede: il secondo fu il prefectus classis e suo intimo collaboratore Agrippa, ma che morì nel 12 a. C. Augusto adottò i suoi figli, ma poi si concentrò sui figli della terza moglie: Druso e Tiberio. Entrambi ricevettero l’imperium militare e si distinsero in varie campagne ai confini dell’Impero. Tiberio però si esiliò volontariamente a Rodi per degli screzi familiari, e nel frattempo Augusto già stava guardando ai figli di Agrippa che aveva adottato, Caio e Lucio. Nel 9 a. C. Druso morì, nel 4 a. C. morì Caio, nel 2 a. C. morì Lucio. Tiberio venne richiamato in patria, adottò il nipote Germanico, figlio di Druso. Augusto adottò sia Tiberio che Agrippa Postumo, un figlio di Agrippa nato dopo la morte di questi. Agrippa Postumo fu comunque considerato pazzo e abbandonato, Tiberio invece celebrò il trionfo sui Germani (o almeno, quel poco che conquistarono in maniera effimera).

Capitolo 2 – “I Giulio Claudi” Le fonti in nostro possesso sono principalmente le Vite di Svetonio, gli Annales di Tacito, gli scritti filosofici e comici di Seneca. Nel 14 d. C. Ottaviano Augusto morì, e subito venne titolato divus dal Senato. Tiberio, finale erede del potere di Augusto, capì da subito di non essere alla stessa altezza del predecessore, quindi inizialmente chiese al Senato di poter condividere i poteri, ma quest’ultimo lo spinse ad assumerli totalmente lui, come princeps. Dal 14 d. C. al 37 d. C. abbiamo il principato di Tiberio, che non fu di “facile” gestione come quello di Augusto. Infatti, se da un lato il Senato si era reso conto del fatto che non si sarebbe potuti tornare alla Repubblica, dall’altra parte chiedeva più libertà, e allo stesso modo l’esercito protestava per le dure condizioni di vita. A livello militare, si cercò ancora di vincere sui Germani, ma le conquiste erano effimere e in poco tempo i territori veniva persi, per lungo tempo il confine rimase sul Reno. Ci furono degli esigui successi di Germanico su Armio nel 16 d. C., che in parte aiutarono a disfarsi del ricordo della disfatta di Teutoburgo. Inoltre, tra le tribù germaniche non correva buon sangue e si combattevano tra loro, Armio stesso fu ucciso nel 19 d. C. con tradimento. Germanico si spostò in altri teatri di guerra ottenendo onore e poteri, e questo poteva essere un problema per Tiberio. Nel 19 d. C. entrò in Egitto, andando contro le disposizioni imperiali per le quali non si poteva entrare in un’altra provincia senza il consenso del princeps. Poco dopo Germanico morì in circostanze misteriose, e subito si pensò ad un omicidio politico commissionato da Tiberio e da Pisone, fedele di Tiberio. Il Senato condannò Pisone, che però si suicidò. Altro personaggio che alzò un po’ troppo la testa fu Seiano, che a partire dal 23 d. C. cominciò a radunare vicino Roma vari castra pretoria, visti da Tiberio in maniera difensiva e quindi apprezzati, 25

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ma che erano fedeli a Seiano e quindi potevano essere anche utilizzati per attaccare la città. Druso nel frattempo morì, e a Tiberio cominciavano a mancare i familiari, così come successe ad Augusto. In questo modo Seiano si ritagliò ancora più potere avvicinandosi a Tiberio. In questo clima si moltiplicarono i processi contro i traditori o presunti tali dello stato, aizzati dai delatores, persone che di professione accusavano con vere o finte accuse personaggi illustri, e se nel caso avessero vinto, avrebbero incamerato parte dei beni. Tra essi ci fu anche il caso del senatore Cremuzio Cordo, ucciso perché in un suo scritto aveva difeso i cesaricidi. Seiano continuò il suo lavoro di avvicinamento al princeps, chiedendogli anche di entrare nella famiglia imperiale spostando Livilla, vedova di Druso, ma Tiberio rifiutò di concederglielo. Nel 26 d. C. Tiberio lasciò Roma per ritirarsi a vita semi-privata, e questo ovviamente lo allontanò dalla vita politica e permise a Seiano di ingrandire il suo potere, ora quasi indisturbato. Nel 31 d. C. Seiano divenne console con Tiberio, ma varie voci contro Seiano giunsero alle orecchie di Tiberio, che in poco tempo decise per arrestarlo e giustiziarlo. Gli ultimi anni di vita e di potere di Tiberio non furono facili, tra continue condanne per lesa maestà verso oppositori, finti oppositori, amici di oppositori già uccisi etc, una crisi finanziaria data da crediti mal gestiti (che Tiberio risolse anticipando molti milioni), e terremoti nella provincia d’Asia (risolti anche qui con opere di ammodernamento e ricostruzione). Inoltre, gli eredi al principato scarseggiavano, Tiberio nel suo testamento nominò sia il figlio di Druso, Tiberio Gemello, e Caio detto Caligola. C’era pure Claudio tra i possibili, ma nessuno lo prendeva in considerazione perché era un personaggio timido e chiuso in biblioteca. In questi ultimi anni inoltre ci furono varie questioni militari di confine da dover risolvere, quali sedizioni in Tracia per il cambio del re, rivolte in Gallia contro le tasse troppo alte, soluzione di conflitti tra popolazioni del nord Africa, rimozione del prefetto Ponzio Pilato in Giudea (e annessa piccola vicenda di Gesù Cristo), e i soliti cambi di regime in Partia e Armenia. Nel 37 d. C. Tiberio morì, e il suo successore fu subito indicato in Caligola, che si affrettò a uccidere Tiberio Gemello. Tra il 37 d. C. e il 41 d. C. ci fu il principato di Caligola, che iniziò in parte la “tradizione” per la quale si era eletti per acclamazione delle proprie truppe, segno del potere di una persona. Le fonti sono tutte o quasi filo senatorie, molto ostili a questa figura, vista come un dittatore sanguinario pronto a succhiare via denaro e beni al popolo, ma non è da considerarsi come una posizione storiografica ufficiale dato che le fonti avverse furono sempre estremamente floride di falsità per ogni imperator romano. Durante i primissimi mesi del suo principato decise solo per celebrare la sua famiglia, tenuta in mala considerazione da Augusto, assegnare a loro spazi nel mausoleo imperiale, dare titoli divini etc… Poco dopo ebbe una difficile malattia, da cui poi alcuni deducono una pazzia, visti poi i continui processi per lesa maestà e per veri o presunti tentativi di congiure. Si spostò in Germania per fermare il colpo di stato di Getulico contro di lui, e poi nel mentre che era lì iniziò un’impresa per la conquista della Britannia, poi portata avanti dal successore Claudio. Ci fu anche uno scontro con gli Ebrei di Gerusalemme, dato che lui voleva mettere nel loro tempio una sua statua, ma ovviamente gli Ebrei lo consideravano un gesto altamente impuro e sacrilego, e la situazione si sgonfiò solo per via del fatto che i governatori in loco temporeggiarono per adempire alle richieste di Caligola, il quale nel frattempo morì, assassinato da una congiura pretoriana. Il principato successivo fu quello dello zio Claudio, dal 41 d. C. al 54 d. C. Anche qui la storiografia 26

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filo senatoria ce lo presenta come una persona sciocca e inetta, intento solo ai suoi studi eruditi. Fece delle modifiche rispetto al precedente principato: tolse il reato di lesa maestà, richiamò dall’esilio un po’ di persone, cercò nuovi buoni rapporti con il Senato. Importante fu il fatto che iniziò la burocrazia e l’amministrazione a Roma, prima gestita dai magister equituum, ora invece gestita da vari liberti che col tempo divennero potentissimi, e su vari uffici quali generale, finanze, corrispondenza, attività in presenza dell’imperatore, e il bibliotecario del princeps. Costruì vari opere pubbliche, soprattutto di approvvigionamento di frumento tramite i fiumi, dato le continue carestie a Roma, e la costruzione di nuovi acquedotti per le richieste di acqua sempre più imponenti per una città che sempre aumentava. Nel 49 d. C. decise per l’espulsione degli Ebrei da Roma. La sua impresa militare più importante fu la conquista (parziale) della Britannia. Sposò in prime nozze Messalina, che gli diede due figli, tra cui Britannico, poi alla morte di lei, sposò Agrippina Minore, e adottò il figlio di lei già nato, Nerone. Claudio raccomandò per il comando sia Nerone che Britannico, ma nel 54 d. C. morì in circostanze poco chiare, probabilmente ucciso dalla moglie Agrippina, che aveva molto potere e molte mire sul figlio Nerone. Nerone regnò dal 54 d. C. al 68 d. C., e con lui abbiamo la vera deriva assolutistica del principato a Roma. Inizialmente venne guidato nelle scelte dal Seneca e Afranio Burro, essendo ancora molto giovane, e ovviamente dalla figura imponente della madre Agrippina, che Nerone odiava. Infatti, dopo che ella si oppose alla volontà di Nerone di legarsi a un’altra donna e di divorziare dalla figlia di Claudio, decise di ucciderla, nel 58 d. C. Cercò di simulare un incidente in barca, ma la cosa non andò in porto (ahr ahr) e quindi Agrippina fu uccisa nella sua villa da Aniceto e sicari. Subito a Roma si capì che era Nerone il mandante. Nerone si comportava un po’ come gli pareva, era un grande cultore della classicità greca e quindi fece grandi investimenti per portarla a Roma, con rappresentazioni, teatri, lui stesso si esibiva, era amato dal popolo per questo suo lato. Dalla morte di Burro in poi, nel 62 d. C., la situazione precipitò, dato che Seneca aveva deciso di non andare contro ai suoi voleri, per paura di morire. Sposò Poppea, che Agrippina non voleva. Nel 64 d. C. ci fu un grandissimo incendio a Roma, vennero accusati i cristiani e per questo perseguiti, c’è chi dice che fu colpa invece di Nerone stesso, dato che dalle macerie fece spazio per costruire al centro di Roma la sua immensa Domus Aurea. Per risolvere la crisi monetaria abbassò la percentuale di argento e oro nelle monete, e ovviamente incamerò beni alla vecchia maniera, con le proscrizioni. Scoprì infatti la congiura ordita da Caio Pisone, e sterminò moltissime persone legate a questo personaggio, inoltre scoprì un’altra congiura, di Annio Viniciano, e agì ugualmente. Si ribellò il delegato gallico Vindice, mentre Nerone si trovava da mesi in Grecia per partecipare ai vari giochi e contesti di poesia che erano stati organizzati quell’anno. Vindice venne fermato, ma questo scatenò varie ribellioni che culminarono con la ribellione dei pretoriani stessi, fino a che a Nerone non rimase altro che il suicidio. Con lui finisce la dinastia Giulio-Claudia, dato che non aveva figli, eredi, adottati, e tutti i possibili eredi al trono imperiale erano stati negli anni falcidiati.

Capitolo 3 – “L’anno dei quattro imperatori e i Flavi” 27

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Tra il 68 e il 69 d. C. avviene il famoso anno dei quattro imperatori, da cui uscirà vittorioso e con un impero continuato Vespasiano. Ormai vediamo come l’asse dell’impero si sia spostato da Roma, e che le decisioni vengano prese in base alla forza dei soldati che si ha, e a quanto questi siano fedeli. Galba era un anziano senatore, governatore in Spagna, che inizialmente non accettò di essere acclamato dai soldati, ma poi venne ratificato dai senatori. Da subito si adoperò per la repressione delle dissidenze, tra cui quella di Sabino, ma poi non riuscì ad avere amico l’esercito, dato che questi aveva promesso 30.000 sesterzi se fosse stato eletto. Dunque, a gennaio, quando c’era il tipico rinnovo della fedeltà da parte dell’esercito, ci furono vari ammutinamenti, soprattutto delle legioni stanziate in Germania, che acclamarono Vitellio imperatore. Ma a Roma stava Otone, che fece linciare in piazza Galba e i suoi sostenitori, e venne acclamato imperatore dai pretoriani. Otone dovette affrontare l’avanzata delle truppe germaniche che volevano l’abbattimento di Galba per mettere sul trono Vitellio, e che ovviamente non si fermarono di fronte al cambio di regime. Vitellio combatté e vinse presso Cremona le truppe di Otone, ma non fu in grado di mantenere la calma tra le sue truppe, che si diedero a saccheggi e simili. Vennero congedate la maggior parte, ma nel frattempo le truppe che si stavano muovendo da nord per Otone non accettarono l’insediamento di Vitellio. Vespasiano aveva l’appoggio delle truppe che prima appoggiavano Otone, e che combatterono sempre nei pressi di Cremona le truppe di Vitellio. Antonio Primo, a capo di queste truppe, riuscì ad entrare a Roma e vincere i vitelliani, e Vespasiano venne acclamato imperatore mentre si trovava in Egitto, per delle questioni frumentarie per Roma. Con Vespasiano inizia la dinastia di Flavi, che ebbe come successori i due figli di Vespasiano, ormai si stava consolidando tra le varie cose anche l’ereditarietà dell’impero, per permettere stabilità. Dovette per prima cosa vincere le ribellioni accadute in Gallia, dopo aver sentito della guerra civile che si stava sviluppando a Roma. Si voleva costituire un impero gallico autonomo, tutto iniziò con la rivolta dei Batavi di Giulio Civile. Vespasiano inviò la bellezza di nove legioni per combattere Batavi e i Celti, a cui si erano alleati, e vinse le loro resistenze e il fatto che come al solito non erano abbastanza uniti tra tribù. Nel frattempo, il figlio Tito era stato inviato a reprimere la ribellione in Giudea, culminata con la presa di Gerusalemme del 70 d. C. e la distruzione del Tempio. Le precedenti amministrazioni, le guerre civili e simili avevano distrutto completamente l’economia di Roma, furono necessari vari lavori di amministrazione, che diedero a Vespasiano il titolo di tirchio, e la famosa frase attribuitagli “pecunia non olet”, in occasione del pagamento per i bagni pubblici. Venne utilizzato molto denaro per dare molto lavoro e ricostruire Roma, mezza distrutta da vari incendi. Ricordiamo la costruzione dell’Anfiteatro Flavio, chiamato comunemente Colosseo, sorto sulle rovine della Domus Aurea di Nerone, ma anche di Fori, Archi di Trionfo, templi etc… L’aumento delle entrate fu dato da una corretta amministrazione del fisco, con nuove imposizioni fiscali nelle diverse province di Roma, alcune delle quali ricchissime, come quella d’Asia. Vennero ripresi molti terreni usurpati illegalmente e resi nuovamente pubblici. I maestri di grammatica e retorica vennero stipendiati dallo stato. Venne data la cittadinanza a molte legioni provinciali. Vennero riportate nei loro ranghi molte legioni utilizzate per la guerra civile, per poter tenere a bada i confini dell’impero. In Oriente venne finalmente abbandonata la pratica dei re amici, che portavano solo a continue guerre dinastiche a cui ogni imperatore e anche prima doveva 28

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intromettersi, e vennero annesse come provincie. Tito fu imperator dal 79 d. C. al 81 d. C., e durante il suo breve impero fu ricordato come una personalità munifica e attenta ai destini del popolo romano, dovendo affrontare l’eruzione del Vesuvio del 79 d. C., una epidemia di peste e un incendio a Roma nel 80 d. C. Durante tutti questi avvenimenti si mostrò rapido nei soccorsi, dando poi anche la possibilità di ricostruire la città di Roma ed edificare nuovi edifici. Morì in breve tempo per malattia. Domiziano, che fu imperatore dall’81 d. C. al 96 d. C. invece venne ricordato come un sovrano dispotico, e alla sua morte per congiura fu decretata la damnatio memoriae. Questo accadde sia per motivazioni reali, quali i caratteri autocratici che via via aumentarono, sia per i continui giri di vite e le esecuzioni che avvennero per paura di essere detronizzati, ma anche perché in linea generale tutti gli imperatori romani che non furono in buoni rapporti con il Senato vennero dipinti dalla storiografia senatoria stessa come dei sovrani cattivi. Domiziano non aveva avuto prima di diventare imperator delle alte cariche ne aveva compiuto operazioni militari, quindi dovette sbrigarsi farle per potersi giustificare dinnanzi a un mondo che viveva di guerre e conquiste. Fece una campagna contro i Catti tra l’82-83 d. C., popolazione germanica, e riuscii ad oltrepassare il Reno, costruendo fortificazioni molto estese su tutto il confine, il limes, per poter difendere meglio i nuovi confini romani e i legionari stessi che vi stanziavano con la popolazione locale. Dopo questa campagna si fregiò del titolo di Germanicus, volle cambiare nome ai mesi, volle poi negli anni successivi essere appellato dominus e deus, celebrò con sfarzo il trionfo. Ovviamente tutte pratiche invise al Senato. Agricola in Britannia aveva compiuto varie conquiste militari, spingendosi fino alla Caledonia (odierna Scozia) e volendo arrivare fino in Ibernia (odierna Irlanda). Domiziano decise però di richiamarlo in patria, sia perché stava avendo troppi successi, sia perché le spese di mantenimento delle truppe erano troppo elevate rispetto ai successi militari acquisiti. Si preferì infatti spendere denaro e legioni per confermare i limes con la Germania. Vinse in Dacia (odierna Romania) contro Decebalo, ma poco prima di celebrare il trionfo giunse notizia della sollevazione di Lucio Antonio Saturnino, governatore della Germania, che i suoi soldati avevano innalzato ad imperatore. Le truppe mandate contro di lui fecero perdere colpi in Dacia, facendo sì che Decebalo potesse stipulare una pace, nella quale non perdeva i suoi territori ma diventava dipendente dell’impero romano. Era una mezza pace, sicuramente non positiva per la grandezza che Domiziano voleva dare di sé. Dalla rivolta di Saturnino in avanti iniziarono moltissimi processi verso i veri o presunti oppositori politici, e nessuno si sentiva al sicuro, dato che Domiziano uccideva anche i suoi collaboratori e familiari più stretti. Per la rivolta di Saturnino però oltre ai suoi legionari e a lui stesso, nessun altro venne colpito soprattutto in Senato. Si è pensato quindi a una rivolta data dalle condizioni di vita delle legioni molto lontane in luoghi di confine e di scontro sempre molto caldi quali la Germania. Tra il I e il II secolo d. C. si sviluppa e si amplia il cristianesimo, iniziato dal suo fondatore Gesù, detto dai suoi discepoli il Cristo. Inizialmente sviluppatosi solo in Palestina, dove nelle comunità ebraistiche vi erano diverse sette con diverse visioni dell’ebraismo, dai più ortodossi ai più moderati, da chi voleva collaborare con i romani fino ai rivoluzionari apocalittici. Con il tempo poi prima gli apostoli e poi tutti i discepoli propagandarono il messaggio di Gesù in tutto l’impero. Tra le figure che si impongono durante il I secolo d. C. c’è quella di Paolo di Tarso, fariseo convintamente anti-cristiano e persecutore che poi si convertì, e fu il simbolo della necessità di 29

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diffondere il Vangelo anche tra i non Ebrei, i cosiddetti “gentili”. Scrisse molte lettere a comunità varie, dall’Oriente fino al cuore di Roma. L’autorità romana affrontò come abbiamo scritto in maniera diversa il culto cristiano. Inizialmente Augusto con gli Ebrei ebbe un tono conciliatorio, li lasciò stare e lasciò le loro convinzioni religiose. Con il passare degli imperatori gli ebrei vennero via viva perseguitati ed espulsi da Roma, per via della loro religione molto chiusa ed esoterica, e per via del fatto che non volessero riconoscere le divinità romane e la divinità degli imperatori, inoltre il loro messaggio era visto come di volontà di rivolta verso il dominio romano. Vennero poi accusati di essere stati i fautori dell’incendio di Roma sotto Nerone. Abbiamo una preziosa testimonianza di una lettera tra Traino e Plinio il Giovane, governatore della Bitinia, il quale gli chiese come comportarsi con i cristiani. Traino disse di perseguitarli solo se accusati da almeno due persone. Con gli omicidi ai danni dei cristiani iniziò a spargersi la voce dei martiri, e con gli anni il cristianesimo divenne un affare non più ignorabile dalla politica romana, dato che raggiunse stabilmente Roma e si insediò fino alle più alte cariche dello stato.

Capitolo 4 – “Il II secolo” Le fonti che abbiamo sono quelle di Plinio il Giovane, sia per le sue lettere e corrispondenze, sia per il suo Panegirico per Traiano. A livello politico e filosofico si sviluppa la stagione della seconda sofistica, con una rinascita culturale del modo greco. Marco Aurelio scrive un’opera autobiografica di carattere filosofico, “A sé stesso”. Con ormai il cristianesimo che si espandeva, dobbiamo prendere la considerazione i Vangeli, gli Atti degli Apostoli, le Lettere di Paolo, le varie produzioni apologetiche del cristianesimo come quelle di Giustino. Le già citate Storie contro i pagani di Paolo Orosio, e anche gli Atti dei martiri, con le prime persecuzioni e i primi morti cristiani. La colonna di Traiano (guerra contro i Daci) e la colonna di Marco Aurelio (guerra contro i Marcomanni) sono documenti scolpiti su pietra molto importanti che illustrano le gesta di questi due imperatori e delle loro principali imprese militari. Gli ultimissimi anni del secondo secolo sono un periodo di transizione tra la fine cruenta di Domiziano e l’impero di Traiano. Venne preso quindi come imperatore di passaggio l’anziano, pacifico, senza poteri militari, senza eredi, che non poteva far male a nessuno Nerva, che fu imperatore tra il 96 e il 98 d. C. Nerva curò la reazione alla morte di Domiziano, cercando di scongiurare rivolgimenti militari, e nello stesso tempo abolendo i decreti più impopolari e richiamando in patria gli esiliati. Venne varata una legge agraria per dare lotti di terreno ai nullatenenti, con anche prestiti fatti dallo stato agli agricoltori, per rilanciare l’economia di sussistenza e combattere il crollo demografico. Inoltre, altra misura statalista fu quella di trasferire nelle casse imperiali la spesa per il mantenimento delle strade e delle stazioni di cambio. Verso la fine dell’impero di Nerva, i pretoriani chiesero la messa a morte di chi aveva assassinato Domiziano, solo che una mossa simile avrebbe delegittimato il potere stesso di Nerva. Dunque, egli battendo sul tempo tutti adottò Traiano, governatore della Germania Superiore, che in breve tempo succedette a Nerva. I pretoriani che avevano proposto di uccidere i congiurati di Domiziano vennero giustiziati, e il resto delle truppe giurò fedeltà al nuovo imperatore. Traino fu imperatore dal 98 al 117 d. C., e con lui si ebbe la percezione dell’optiums princeps, infatti tutta la storiografia su di lui è favorevole. Prima di rientrare a Roma preferì rimanere sul 30

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confine del Reno e del Danubio a stabilizzare le posizioni e ricacciare i tentavi di sfondamento. Con lui si ebbe l’espansione massimo dell’Impero romano, infatti si profuse molto nelle campagne militari sui confini, per vincere le resistenze avversarie, eliminare i tentativi di sfondamento, ridurre subito a provincia i territori conquistati e non invece darli in mano a re amici (in questo è più simile a un generale repubblicano). Le campagne di Dacia contro il re Decebalo ebbero una prima fase nel 101-102 d. C., con il veloce attacco di Traiano e l’ingresso nel regno dacico fino a raggiungere la capitale, Sarmizegetusa. In questa prima fase Decebalo accettò una pace con dure condizioni. In poco tempo le ostilità ripresero dato che i Daci attaccarono la guarigione romana, e ora Traiano scelse la linea ancor più dura, conquistando e distruggendo nel 106 d. C. la capitale, obbligando Decebalo al suicidio. La Dacia venne ridotta a provincia, e fu una grandissima vittoria, infatti questa regione era ricca di miniere d’oro, che andarono a ingrassare moltissimo le casse dello stato, per pagare migliorie architettoniche e imprese militari, e inoltre avvicinò il prezzo dell’oro a quello dell’argento, equilibrando i prezzi. Conquistò la nuova provincia d’Arabia, avendo ancor più controllo sul Medioriente e avendo la porta apra con il commercio verso l’India e il resto dell’Asia. Dal 113 d. C. iniziò un’ennesima guerra contro i Parti, sempre per via delle continue contese dinastiche all’interno di quel regno. Riuscì ad arrivare fino alla capitale, Ctesifonte, e dopo averla conquistata volle spingersi ancora più in là. Dopo violenti contro attacchi partici, che come era usuale dopo una fase di disgregazione si erano ricompattati, riuscì a mantenere la nuova provincia dell’Armenia e dell’Alta Mesopotamia, ma la Bassa Mesopotamia venne riconquistata dai Parti. Ad eccezione della Dacia nessuna di queste provincie nuove ebbe lunga vita. In Italia Traiano varò varie leggi a favore della popolazione, sia per i commerci (nuovo porto migliorato rispetto a quello di Claudio), che per i rifornimenti di grano e i sussidi iniziato da Nerva. Ci fu anche un consilium principis, composto di collaboratori stretti dell’imperatore, che lo doveva aiutare nelle decisioni. La guardia imperiale venne rinforzata e vennero ampliati i soldati scelti tra gli equites per la difesa personale del princeps. La morte di Traiano fece passare il comando nelle mani di Adriano, non sappiamo se per volontà di Traiano stessa. Adriano fu imperatore tra il 117 e il 138 d. C. Come Traiano e altri, anch’egli prima di arrivare a Roma per ricevere gli onori imperiali si trattenne in Oriente, dato che la situazione come abbiamo detto era molto instabile e i confini conquistati in breve tempo si ridussero, e la frontiera di nuovo si assestò sull’Eufrate. Anche la Dacia era in rivolta, ma venne pacificata e divisa ulteriormente in tre provincie: Superiore, Inferiore, Parolissense. Furono posti dei limiti anche in Britannia. Adriano pose fine all’espansionismo inutile romano, dato che molte delle conquiste avevano vita breve, e preferì invece continuare l’opera di edificazione dei limes e di confini ben stabili attorno a tutto l’Impero romano. Dopo un soggiorno di tre anni a Roma passò tutta la sua vita politica a girare per le provincie, stando a contatto diretto con i soldati e sempre indicando la costruzione di fortificazioni. Era un grande amante della cultura e della letteratura, fece costruire nuovi edifici a Roma e ad Atene. Nel 132 d. C. si sviluppò un’ennesima rivolta ebraica in Palestina guidata da Simone Bar Kochbà, che però sta volta fu repressa in maniera sistematica, con più di mezzo milione di morti, facendo 31

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pervenire in Palestina svariate unità militari e assediando la roccaforte nemica e vincendoli per fame, nel 136 d. C. Nei decenni successivi non si registrano rivolte. Adriano decise per la ristrutturazione del consilium principis, che prima era un organo semiufficiale, e ora invece venne ufficializzato e date delle cariche ai presenti, mettendo meno amici del princeps e più giuristi e avvocati. Inoltre, si adoperò per una più efficace divisione della giustizia, dividendo l’Italia in quattro distretti giuridici, anche s ricevette molte critiche perché in questo modo non si dava la possibilità a Roma di essere il centro del mondo. Antonino Pio fu costretto poi ad abolirlo. Negli ultimi anni di vita la salute di Adriano ebbe un forte tracollo, che lo portò a continui scatti d’ira, e inoltre intorno a lui cominciavano a muoversi gli avvoltoi della successione: per questo motivo nella ultima parte della sua vita fece eliminare varie persone. Nel frattempo, decise per la successione e per i successivi imperatori, adottando e obbligando al matrimonio varie persone. Decise che il suo successore sarebbe stato Antonino detto poi Pio, il quale dovette adottare per ordine di Adriano Comodo, Marco Aurelio e Lucio Vero, che sappiamo furono poi successivamente imperatori. Dal 138 al 161 d. C. ci fu il regno di Antonino Pio, chiamato così per la sua pacatezza, la mancanza di azioni militari offensive compiute da lui stesso e la mancanza di congiure ed eccidi. Non si spostò mai dall’Italia, ed ebbe sempre buoni rapporti con il Senato. L’unica volta in cui ci fu contraddizione è quando chiese ed infine ottené la damnatio memoriae per Adriano, dati i suoi ultimi anni di vita dediti all’eliminazione di avversari politici. Tutte le azioni militari vennero effettuate dai suoi generali, anche se poi prese comunque il trionfo. In Scozia continuarono il lavoro iniziato da Adriano e si spinsero più avanti, costruendo un nuovo muro, detto Vallum Antonini. Venne ampliata di poco la presenza in Germania e anche qui come Adriano si spese per la edificazione del limes e la sua fortificazione. Nel 161 e fino al 180 d. C. ci fu l’impero di Marco Aurelio, che fu inoltre il primo ad avere il doppio principato: infatti Marco Aurelio chiese ed ottenne di poter condividere il potere insieme a Lucio Vero, che era stato adottato insieme a lui da Adriano. Questo venne fatto probabilmente per evitare problemi dinastici, dato che Adriano non aveva mai preso in considerazione Lucio Vero ma sempre solo Marco Aurelio, e quest’ultimo decise invece di investirlo del comando massimo. In breve ci fu una nuova rivolta nel regno dei Parti, con la conquista dell’Armenia, che venne poi riconquistata presto dai romani. L’esercito romano poi si spostò e attaccò la Media e nello stesso tempo l’Arabia, dato che si era alleata. Nel 166 d. C. venne firmata una pace, accelerata dal fatto che si era diffusa in Oriente la peste. Questa situazione non fu positiva per Roma: grandi contingenti di truppe spostati in Oriente, pestilenza che arrivò fino a Roma con annessa carestia, popolazioni germaniche che ora avevano le difese romane scoperte e quindi potevano attaccare più facilmente. Venne creata una grande zona militare nei pressi delle Alpi per poter respingere l’attacco delle popolazioni barbare, che infatti fu vittorioso, ma nel ritornare a Roma, nel 169 d. C., Lucio Vero morì, lasciando da solo Marco Aurelio. I successivi undici anni furono continue battaglie con le varie popolazioni stanziate al confine del Danubio, Marcomanni, Quadi, Iazigi. Nel frattempo, all’inizio delle guerre di confine danubiane ci fu anche la guerra in Pannonia, che vide fasi alterne di vittorie e sconfitte, ma che infine vide vittoriosi i romani, che si ripresero pure il bottino che i 32

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Pannoni stavano portando via. Le guerre danubiane vennero vinte e i vari popoli costretti alla resa o integrati nei confini romani. Marco Aurelio tirò il fiato e decise di porre al suo stesso livello Commodo, come aveva fatto con Lucio Vero. Nel 178 d. C. i Marcomanni si ribellarono alle dure condizioni pace e Marco Aurelio insieme a Commodo decise di chiudere del tutto la partita distruggendoli, ma sfortunatamente morì improvvisamente. Gli succedette come era normale Commodo, che regnò dal 180 al 192 d. C., e che al contrario del predecessore, detto re-filosofo, venne dipinto come un vizioso e despota. Era assolutamente incapace di gestire uno stato, e soprattutto in una situazione di instabilità come quella, dunque delegò moltissimo potere e si disinteressò dei pubblici affari. Diversamente dal pensiero di Marco Aurelio, decise in breve di chiudere la campagna militare sul Danubio e di proporre una pace forzata, con dure condizioni di resa. Poco dopo ci furono le prime rivolte di palazzo, che allontanarono Commodo dalla sua stessa famiglia, inducendolo a uccidere molti oppositori e finti adulatori. Il fatto che a Commodo non interessasse il potere politico fece sì che un suo liberto, Cleandro, prese maggiore potere via via che si avvicinava alle grazie del principe, e cominciò a vendere cariche politiche. Commodo nel 190 d. C. lo usò come capro espiatorio per una carestia e lo lasciò alle ire della popolazione romana che lo uccise. Con il passare del tempo, Commodo cominciò a ritenersi un dio, volendo essere come Ercole, e si allontanò dal Senato, dopo aver fatto richieste di divinizzazione in terra e di cambio di nome della flotta e della popolazione romana con suoi epiteti. Molte divinità straniere vennero inserite nel pantheon di Roma. L’ultimo giorno del 192 d. C. cadde morto in una congiura di palazzo, e il suo operato dannoso venne distrutto completamente dalla damnatio memoriae ordinata dal Senato.

Parte quinta – Crisi e rinnovamento (III e IV secolo d. C.) Capitolo 1 – “La crisi del III secolo e le riforme di Diocleziano” Il III e il IV secolo hanno poca storiografia, abbiamo l’immancabile Cassio Dione ed Erodiano, con la sua Storia dell’Impero dalla morte di Marco, giuntaci comunque in riassunto. I testi più importanti di questo periodo, anche se fortemente condizionati dal parere politico, sono quelli cristiani, dato che ormai il cristianesimo era una di quelle varie religioni orientali che si stava affermando a Roma a discapito dei culti tradizionali, e che stava sorpassando tutte le altre. Tra di questi, abbiamo Tertulliano e Cipriano, e un Morte dei Persecutori di Lattanzio in epoca dioclezianea in merito alle stragi di cristiani. Il motivo per cui il culto cristiano insieme ad altri vari culti orientali si setto nell’Impero e a Roma fu dato dal fatto che in questi secoli siamo entrati in una lunga fase di declino che culminerà con la fine dello stesso impero. C’erano continui attacchi e tentativi di sfondamento da parte di decine di diverse tribù in tutto il Nord, ugualmente accadeva in Britannia. In Oriente il regno partico era la minaccia principale, per quanto fosse in continuazione scosso dagli stravolgimenti dinastici. Per lungo tempo non ci fu una discendenza imperiale ma solo continui colpi di mano da parte dei militari, la cosiddetta “anarchia militare”. In un clima così instabile era facile per i cittadini romani rifugiarsi in culti che permettevano la salvezza eterna in un mondo altro felice, mentre invece i culti tradizionali non ammettevano un dopo morte, o comunque non felice. Nello stesso tempo il potere 33

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si scagliò molto contro i cristiani e il loro culto, visto sia come utilissimo capro espiatorio, ma anche come possibile destabilizzatore dell’Impero, come già detto eliminava la deicità dell’imperatore. Alla morte di Commodo due furono le effimere figure che entrarono in scena, e che governarono in tutto un anno scarso: Elvio Pertinace e Didio Giuliano, in breve uccisi dai pretoriani perché non davano loro abbastanza denaro. La crisi che si era scatenata a Roma dopo la morte di Commodo fece sì che tre governatori alleati tra loro marciassero su Roma per ristabilire la situazione: Settimio Severo, Clodio Albino e Pescennio Nigro. In breve tempo si rivoltarono uno contro l’altro, ed emerse vincitore Settimio Severo, che fu imperatore romano dal 193 al 211 d. C. Passò gran parte del tempo sui confini, prima orientali, poi britannici, senza ottenere molto, ma senza far perdere la territorialità dei confini romani. Volle che Caracalla e Geta governassero insieme, ma subito dopo la morte di Severo Caracalla uccise Geta, e dal 211 al 218 d. C. governò similmente al padre, con continui spostamenti per le campagne militari. Viene ricordato per la Costitutio Antoniniana, con la quale rendeva (probabilmente, dato che il testo è molto corrotto) tutti i sudditi cittadini romani, a parte forse i barbari non ancora assimilati. Questo era assolutamente necessario per ampliare le casse dello stato, che dovevano pagare i continenti militari che dovevano presidiare i confini. Assassinato Caracalla, ci fu la disputa tra Macrino e Elagabalo, dato che il primo era un oscuro funzionario imperiale, l’altro si diceva essere figlio legittimo di Caracalla. In ogni caso, Elagabalo riuscì a raggiungere il potere e governò fino al 222 d. C., istaurando una religione solare orientale. Elagabalo venne assassinato e posto al trono Severo Alessandro, ricordato possibilmente dalla storiografia perché minorenne e facile da manipolare. Nel suo regno, dal 222 al 235 d. C. Severo Alessandro affrontò la minaccia persiana, ora ricostituitasi con la nuova dinastia sasanide, molto più agguerrita e vogliosa di conquistare terre da togliere al dominio romano. Nel 232 d. C. Severo Alessandro marciò contro il sovrano Ardashir, ma dovette abbandonare il campo per fronteggiare un’invasione in Germania. Abbandonando le truppe aveva perso il loro favore, venne dunque strangolato in Germania mentre le truppe davano potere a Massimino il Trace, primo imperatore che non si recò mai a Roma, preferì combattere i barbari. Da lui inizia il periodo del cinquantennio dell’anarchia militare, nella quale vari sovrani venivano issati dalle proprie truppe al comando e vivevano per circa due anni e mezzo prima di essere detronizzati e uccisi, spesso perché dovevano sguarnire una parte dell’impero per far fronte a una minaccia da una parte opposta. In questo contesto si formarono anche regni semi indipendenti all’interno dell’Impero romano, quale il trentennale regno gallico, gestito da militari in stanza lì. Di questa anarchia militare ricordiamo il regno di Filippo l’Arabo, che nel 248 d. C. festeggiò solennemente i mille anni di Roma. Ucciso Filippo, si passò a Decio, il quale era molto tradizionalista e quindi molto anticristiano, sono a lui attribuite grandi persecuzioni di cristiani nel 250-251 d. C., semplicemente se un cittadino romano non giurava di sacrificare sull’imperatore e sugli dei veniva ucciso. Morì l’anno dopo combattendo i Goti. Valeriano fu il primo che riuscii a governare un po’ più dei suoi predecessori, dal 253 al 260 d. C., ma la sua guerra contro i persiani di Sapore finì tragicamente, con la sua morte incarcerato in Persia, dopo aver lavorato per la costruzione di una diga ed essere stato portato in catene da Sapore per anni. Queste informazioni le troviamo nel testo trilingue fatto scrivere da Sapore, Le imprese 34

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del divino Sapore, dove si scrive che tre imperatori romani diversi avevano tentato di vincerlo, ma due erano morti e uno era stato catturato. Tra il 260 e il 268 d. C. fu la volta di Gallieno, che dovette perdere la Dacia, accettare che ci fosse un regno autonomo in Gallia e uno autonomo in Oriente (che comprendeva Siria, Mesopotamia e Palestina). Fece finire per circa quarant’anni le persecuzioni contro i cristiani, in questo lasso di tempo la Chiesa ebbe modo di ingrandirsi e di rendere Roma la città dove il vescovo aveva più importanza, e sviluppare anche i centri di potere di Antiochia, Cartagine e Alessandria. Dalla morte di Galleno ci fu la volta degli imperatori illirici, a carrellata: Claudio II, Aureliano, Tacito, Probo, Caro, Numeriano, Carino, tutti morti per assassinio o malattia. Questi imperatori svilupparono il loro lavoro contro le popolazioni barbariche erano arrivate fino alla Pianura padana, cingendo le mura di Roma con fortificazioni imponenti, tale era il pericolo che la città correva. Aureliano inoltre distrusse il regno autonomo gallico e il regno autonomo orientale, facendo ritornare coesione all’interno dell’Impero. Gli altri imperatori invece posero le loro forze contro i persiani, vincendoli varie volte. Alla fine di questi vari pronunciamenti miliari, si affermò il relativamente lungo regno di Diocleziano, dal 285 d. C. al 305 d. C. Diocleziano spostò la sede imperiale a Nicomedia, in Bitinia, che era considerata più sicura di Roma. Stabilì nuove disposizioni del potere: a due Augusti, che comandavano allo stesso tempo due parti dell’impero, erano affiancati ma sottomessi due Cesari, anch’essi detentori del potere territoriale. Alla fine del mandato i due Augusti avrebbero ceduto il posto ai due Cesari, che divenendo Augusti avrebbero dovuto prendersi due nuovi Cesari. Sistema della tetrarchia. Diocleziano regnò insieme a Cesare Massimiano, e i due Cesari furono Galerio e Costanzo Cloro. Ovviamente in questo modo gli organi repubblicani sopravvissuti, cioè tutti quelli facenti parte del cursus honorum e ovviamente il Senato a capo di essi cessavano di avere una forza politica, erano solo cariche onorifiche. Gli imperatori erano ormai completamente divinizzati, e ci si riferiva a loro come Giovio e Erculio, e il loro compleanno avveniva nel giorno di Giove ed Ercole. Diocleziano diminuì le provincie e l’Italia perse il privilegio, i suoi abitanti dovettero pagare le imposte dirette. Le provincie vennero divise sotto macro diocesi, rette da un vicario. A loro volta le diocesi furono divise in quattro grandi aree, divise tra i prefetti del pretorio. In questo modo migliore era l’organizzazione e la riscossione delle imposte, per via dei catasti che venivano fatti, e le imposte erano necessarie per il continuo pagamento delle truppe imperiali che dovevano proteggere tutto l’Impero, continuamente minacciato da vari lati. Diocleziano tentò di inserire un calmiere dei prezzi, ma fu poco utile. Forte fu la persecuzione dei cristiani del 303-304 d. C. che venne indotta in tutto l’Impero, ma principalmente ad Oriente. A Occidente Costanzo Cloro decise di farne poche e finirle subito, forse per una volontà di riconoscere il cristianesimo, forse per non voler creare rivolte. Alla fine, quando Galerio passò ad essere Augusto nel 311 d. C. decise che il cristianesimo era accettato in tutto l’Impero. Ovviamente il sistema tetrarchico andò in pezzi subito appena dovette essere rinnovato del tutto, e quando morì Costanzo Cloro l’esercito proclamò imperatore Costantino, figlio di Cloro, volendo continuare con una impostazione dinastica e non con una discendenza solo politica.

Capitolo 2 – “Da Costantino a Teodosio Magno: la Tarda Antichità e la cristianizzazione 35

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dell’Impero” Le opere che abbiamo come fonti sono varie ed eterogenee, abbiamo l’opera di storia contemporanea di Ammiano Marcellino, e i vari scritto in greco dell’imperatore Giuliano, figlio di Costantino. Gli scrittori cristiani sono ormai affermati teologi e vescovi, quali Girolamo, Ambrogio, Agostino, Giovanni Crisostomo. Ci sono due importanti fonti giuridiche, il Codice Teodosiano e il Codice giustinianeo, pubblicati con circa un centinaio di anni di distanza, che raccolgono moltissime disposizioni di legge dell’impero, sia prima che dopo il regno dei due imperatori che li hanno commissionati. Questo periodo storico prima era chiamato Basso Impero, ed era considerato uno dei tanti “secoli bui” della Storia, dato che si avvicinava alla fine dell’impero romano, ma negli anni è stato rivalutato, e ora si preferisce il termine “Tarda Antichità”, partendo circa dalla tetrarchia o dall’età severiana, fino ad arrivare all’invasione longobarda in Occidente (568 d. C.) o al regno di Giustiniano (565 d. C.). Come detto la tetrarchia ebbe vita molto breve, nel 311 d. C. Galerio moriva, nel 312 d. C. Costantino vinceva presso ponte Milvio le armate di Massenzio e conquistava Roma, sotto le insegne monoteistiche di Cristo. Nel 313 d. C. Licinio e Costantino si incontrano a Milano e tra le varie cose discutono anche di religione, da qui l’improprio nome di “Editto di Milano” (ma vediamo poi). Costantino continua la sua opera di cristiano, sedendo al sinodo di Arles per discutere tra rigoristi (i donatisti) e moderati riguardo il modo in cui comportarsi con i cristiani per che per salvarsi la vita abiurarono la loro fede. Nel 324 d. C. sconfigge e uccide Licinio ad Adrianopoli, e diventa unico imperatore. Nel 325 d. C. presiede al Concilio di Nicea per discutere della questione tra Alessandro e Ario, circa la natura umana o solo divina di Cristo. Costantino divise in quattro grandi prefetture il regno, che a sua volta era diviso in provincie, e date in mano ai prefetti del pretorio. Costituì i comites, cioè gli “amici” dell’imperatore, divisi per gradi in seconda battuta. Riguardo la questione dell’Editto di Milano del 313 d. C., vanno dette alcune cose: non fu un editto, non ebbe sede a Milano, non fu scritto da Costantino, i cristiani non ottennero lì la possibilità di vivere nell’impero perché l’avevano già ottenuta. Non fu un editto perché fu solo una miglioria della decisone presa dall’editto di Galerio del 311 d. C., non ebbe sede a Milano perché a Milano fu solo ratificato da Costantino dopo che era già attivo in tutta la parte orientale dell’Impero retta da Licinio, non fu scritto da Costantino per i motivi già detti, e idem i cristiani avevano già ottenuto due anni prima la possibilità di predicare. Costantino volle costruire Costantinopoli, gigantesca città in Oriente, che successivamente venne vista come in opposizione alla sede di Roma, ma che nei progetti costantiniani era una città nuova per reggere la parte orientale dell’Impero. Venne edificata con similitudini a Roma, anche qui ci fu un largo Senato (2000 membri in breve tempo). Costantino come abbiamo detto si convertì al cristianesimo, non sappiamo esattamente se per vera volontà di essere un cristiano o per calcolo politico, in ogni caso fu un passaggio epocale e fu il primo imperatore romano che modificò completamente l’assetto religioso dell’impero, da ormai tempo scosso da religioni non conformi a quella politeistica tradizionale. Si fece battezzare poco prima di morire per poter avere i peccati mondati, morì il giorno di pentecoste e quindi fu vista 36

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come una grande data, Costantino ed Elena tutt’ora sono festeggiati come santi per la chiesa ortodossa. Costantino fu molto bravo a gestire il suo impero, la nuova capitale, la riorganizzazione dello stesso, la nuova religione, ma non si pose molto il problema della successione, che come spesso accadde finì in un bagno di sangue. Alla morte di Costantino i nipoti vennero uccisi, il figlio Costantino II e Costante presero l’accordo di spartirsi l’Impero, ma nel 340 d.C. Costantino II fu ucciso da Costante per essere transitato nella sua parte di impero. Nel 350 d. C. Costante venne ucciso da un usurpatore. Costanzo II regnò insieme a uno dei pochi sopravvissuti, Giuliano. Giuliano venne indicato come imperatore dalle proprie truppe galliche nel 360 d. C., e ancora quindi ci si aspettava un bagno di sangue, evitato solo dalla repentina morte di Costanzo II nel 361 d. C. La storiografia pagana avversa al cristianesimo diede la colpa della decadenza dell’impero ai cristiani, e quindi ovviamente ai due capostipiti Costantino e Giuliano. Giuliano regnò solo per due anni, tra il 361 e il 363 d. C., e nel suo breve tempo due furono le attività che portò avanti: la guerra contro i persiani iniziata da Costanzo II e che andava conclusa, e il tentativo di ripristinare il paganesimo a Roma. Il suo tentativo di ripristinare l’”ellenismo” invece dell’”ateismo” era dettato dalla volontà di avere una religione che si comportasse allo stesso modo di quella cristiana, ma che in questo momento ormai non si stava più comportando così. Si lamenta infatti dei suoi sacerdoti che sono viziosi e che non si prestano più alle giuste pratiche religiose, che non accettano più gli stranieri. Durante le sue campagne militari in Oriente, stanziato ad Antiochia, non fu ben accolto nemmeno dalla popolazione pagana, e quindi durante il suo viaggio scrisse il Misogopon (Colui che odia la barba, dato che egli la portava alla maniera dei filosofi), una ripresa in prosa di lazzi e cantilene che gli venivano rivolte, ed è praticamente una satira contro sé stesso, caso unico per un imperatore romano. I cristiani lo chiamarono l’Apostata (anche se non ci furono persecuzioni anticristiane durante il suo regno). Alla rapida morte di Giuliano ci furono i tipici scontri politici per arrivare al potere: prima Gioviano, che morì presto, poi Valentiniano, che si scelse subito come collega il fratello Valente. Subito proclamò erede il figlio Graziano, per evitare ulteriori contese dinastiche. Spostò la capitale dell’Impero a Treviri, per potersi occupare meglio delle questioni di confine a nord. Nel 375 d. C. morì improvvisamente, e i soldati elevarono al trono imperiale il figlio Valentiniano II, all’insaputa sia di Valente che di Graziano. Valente dovette affrontare la minaccia degli Unni, che premevano dall’Asia sui Goti e li facevano spostare: questa nuova guerra fu un primo grande allarme di come l’esercito non fosse più in grado di sconfiggere le armate barbariche, e anche la stessa morte in battaglia ad Adrianopoli di Valente nel 378 d. C. è sintomatica. Graziano chiamò a condividere il potere Teodosio, dato che Valentiniano II era ancora un bambino. Teodosio strinse un patto con i Goti nel 382 d. C., lasciando loro la possibilità di avere un regno autonomo all’interno dell’Impero, solo dovendo dare soldati se necessario. Graziano si tolse la vita e Valentiniano II fu ucciso, in seguito a un tentativo di usurpazione portato avanti da Magno Massimo, cui dopo arrivò Eugenio. Teodosio lo sconfisse e si ritrovò da solo. Nel 380 d. C. decise per avere il cristianesimo come religione ufficiale dell’Impero, e nel 381 d. C. convocò il concilio di Costantinopoli per fare delle leggi antipagane. Protagonista insieme a 37

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Teodosio e ritratto dei tempi è il vescovo di Milano Ambrogio, che aveva molto potere e faceva capire ormai la correlazione di potere tra imperatore e vertici della Chiesa.

Parte sesta – La fine dell’Impero romano d’Occidente e Bisanzio Capitolo 1 – “La fine dell’Impero romano d’Occidente” Le fonti che abbiamo sono molto più ricche delle epoche precedenti per via dell’aumento della possibilità di scrittura e di vicinanza con il nostro periodo, ma sono di varia rilevanza. Tra gli scrittori cristiani spuntano le varie opere di Agostino, gli epistolari di Gregorio Magno. le relazioni tra romani e barbari furono l’ultimo tassello che poi distrutto portò alla fine dell’Impero romano. I Goti erano la tribù che per prima era stata accordata all’interno dell’Impero come stato federato che doveva solo dare truppe nel caso di guerre, per il resto poteva continuare a vivere con le sue leggi e i suoi modi. I romani però fecero molte leggi per non permettere alle varie tribù barbare in parte integrate nell’Impero di amalgamarsi con la popolazione, quindi ci furono leggi contro i matrimoni misti, contro le usanze e i costumi barbari che non dovevano essere replicati dai romani, e i cristiani erano contro i barbari per una motivazione di carattere religioso, visti come “stranieri”. In ogni caso comunque i barbari vennero inseriti nell’esercito, e alcuni scalarono anche le vette dello stesso, arrivando a stretto contatto con il potere imperiale. Nel 395 d. C. la morte di Teodosio fece arrivare un nuovo importante cambiamento all’interno dell’Impero romano, cioè la divisione dello stesso in Orientale e Occidentale, con due separati imperatori, eserciti, capitali e giurisdizioni. I due imperatori furono i figli di Teodosio, Arcadio (cui toccò l’Oriente) e Onofrio (cui toccò l’Occidente). L’Occidente versava in una situazione di disastro imminente, con i barbari che prevedano su tutti i confini, e la grande possibilità di perdere molti terreni conquistati e di far sì che i barbari arrivassero fino a Roma. Stilicone fu il generale in carica in questo periodo, che cercò in tutti i modi di eliminare la minaccia barbara respingendoli fuori dai confini, anche se fu impossibile fermare la valanga inarrestabile. La Britannia si staccò completamente dall’Impero, i Vandali conquistarono la Spagna, la Gallia venne invasa. Stilicone capì di essere rimasto praticamente da solo, l’Impero d’Oriente non aveva interesse nell’aiutare quello d’Occidente, quindi decise per salvaguardare le sue aspirazioni e i suoi territori, stipulando un accordo con Alarico, capo dei Goti. Questo accordo consisteva in un attacco coordinato di Goti e romani contro Costantinopoli, ma alla fine non avvenne per mancanza di truppe, impegnate in vari scontri sui confini e contro i tentativi di usurpazione in Italia. Morì Arcadio, e Stilicone si mosse contro Onorio, che voleva prendersi il potere di entrambi gli imperi. La capitale nel frattempo era stata spostata a Ravenna, e lì molti militari vicini a Stilicone vennero uccisi per tradimento e accordo con il nemico, e lo stesso Stilicone pochi giorni dopo venne arrestato e decapitato. Il potere fu nelle mani di Olimpio, a capo della fazione anti-stiliconiana. Nel 408 Alarico assediò per due volte Roma e per due volte volontariamente tolse l’assedio, dopo aver fatto varie richieste agli imperatori romani, che dopo l’assassini di Olimpio passò nelle mani di Attalo, poi anche lui subito eliminato. Alla terza volta che le richieste non vennero prese in considerazione Alarico decise per saccheggiare Roma, nel 410 d. C. Non venne molto combattuto e sappiamo che non ci furono catastrofi, ma ovviamente fu un colpo durissimo per l’Impero, anche per i cristiani, tutti erano ormai consci della fine dell’Impero Romano. 38

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Poco dopo Alarico morì, risparmiando all’Italia ulteriori saccheggi. Arrivò al potere Valentiniano III, erede di Teodosio, convinto di ripristinare l’ordine e un unico imperatore sotto i due imperi. Nella realtà Valentiniano III era ancora un bambino, nelle mani della madre Gallia Placida, sorella del defunto Onorio, passata in varie mani, prima come parte della corte imperiale di Ravenna, poi regina dei Goti, poi imperatrice con un imperatore effimero. Abbiamo poche informazioni riguardo gli Unni, popolazione dell’Asia che mise in moto il processo per il quale i Goti dovettero ammassarsi alle frontiere e alla fine sfondare in Italia. Non conoscevano la scrittura, erano popolazioni nomadi, molto abili del tiro con l’arco e nella cavalcata. Poco prima del 440 d. C. gli Unni guidati dal loro re Attila disattesero a vari impegni presi con i romani e attaccarono il nord dell’Impero, conquistando varie piazzeforti romane. Continuò negli anni a fare razzie nell’impero romano, non essendo mai in grado di stabilirsi in maniera decisa, essendo una popolazione con una mentalità nomade, e senza una forte organizzazione, avevano solo delle razzie che potevano fare. In breve tempo si affermarono e riuscirono a stringere a sé molte altre popolazioni barbariche, ma ugualmente in poco tempo dopo la morte di Attila si disciolsero. Vennero fermati per la prima volta in maniera decisa presso i Campi Catalunici, dal nuovo generale Ezio, nel 451 d. C. Questo generale similmente a Stilicone si era opposto in maniera strenua alle invasioni barbariche, ma poi cadde in disgrazia e venne fatto assassinare da Valentiniano III, che a sua volta venne assassinato per questo. L’anno successivo, nel 455 d. C., Roma venne nuovamente saccheggiata, ora da parte di Genserico re dei Vandali. Da qui in poi negli ultimi convulsi anni dell’Impero Romano di Occidente sul trono di Ravenna si alternarono effimeri imperatori, che non furono in grado di reggere all’urto continuo dei barbari che erano dilagati nell’impero, che avevano conquistato la Spagna, la Gallia, la Britannia, l’Africa e che si riversavano in continuazione. Infine, nel 476 d. C. si ascrive l’ufficiale fine dell’Impero Romano d’Occidente, con la deposizione da parte di Odoacre lo sciro di Romolo detto Augustolo. Odoacre non volle prendere il trono imperiale, e rimase solo Zenone Imperatore d’Oriente.

Capitolo 2 – “I regni romano-barbarici” Nel 488 d. C. Teodorico, re dei Goti e amico di Zenone, scese in Italia per reclamare il trono imperiale, e sottrarlo a Odoacre. Nel 493 d. C. dopo varie battaglie si instaurò il regno degli Ostrogoti in Italia. Egli tentò di favorire l’integrazione tra Goti e romani, per favorire la rinascita di un regno, quindi si affiancò di consiglieri romani e promosse l’unione civile di tutti e due i popoli. Questa cosa però alla lunga non riuscì per differenze religiose, dato che i romani di Roma erano ormai tutti o quasi cristiani, mentre invece i Goti erano cristiani sì, ma ariani. Nel 526 d. C. Teodorico moriva lasciando il regno in mano alla figlia Amalasunta, che però fu assassinata nel 535 d. C., ponendo fine alla possibilità di unione tra Goti e romani. Ormai i barbari avevano conquistato vastissime parti dell’ex Impero Romano d’Occidente, e si dovevano rapportare con le popolazioni romane lì presenti: spesso il problema fu quello religioso, dato che o erano ariani o addirittura erano pagani del nord. C’è da dire però che molti autori cristiani si divisero: c’è chi disse che i barbari erano puri rispetto ai romani corrotti, e che la fine dell’Impero fosse una punizione divina, c’è chi preferì per il monachesimo e l’ascetismo, allontanandosi da un mondo troppo mutato ormai. C’è chi come Cassiodoro che scrisse una Storia dei Goti, visti come il nuovo legittimo regno romano-gotico e quindi giustamente installatisi in 39

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Italia. Cassiodoro stesso istituì un monastero che però non sopravvisse alla sua morte, il Vivarium, ormai unico centro insieme agli altri monasteri dove sopravviveva la cultura, sia classica che cristiana. Contemporaneo e più importante in questo ambito è San benedetto, che con i suoi monasteri benedettini e la sua Regola impose un dettame a tutta la cristianità monacale europea. L’età tardo antica si distinse per la costruzione di grandi chiese nelle nuove capitali, quali Milano (Ambrogio fece costruire la sua Basilica, San Nazaro, e San Simpliciano), e altri città d’Italia. Cambiò il tipo di alimentazione, ora non più le messi con vino, olio, miele e formaggio ma più la coltivazione appenninica e di montagna, dato che i terreni incolti erano diventati gigantesche paludi malsane. Ci fu un iniziale periodo di pace dopo la conquista di Teodorico ma poi si sviluppò la guerra grecogotica, che distrusse l’economia spostandosi tra nord e sud della penisola.

Capitolo 3 – “Bisanzio” Dala divisione dell’impero imposta da Teodorico ai figli nel 395 d. C., l’Impero Romano d’Oriente ebbe vita propria, si sviluppò, combatté i suoi nemici di frontiera, sviluppò la sua religione cristiano-ortodossa, e infine morì con l’invasione turca vari secoli dopo. Teodosio II respinse le invasioni Persiane e Unne, e riformò il diritto con il Codice Teodosiano. Dopo vari altri imperatori che regnarono in maniera più o meno consona, abbiamo il famoso Giustiniano, dal 572 al 565 d. C., il quale nuovamente dopo tempo mise mano al codice di leggi, creando il nuovo Codice Giustinianeo. Inoltre, diede avvio a una prospera fase edilizia, di cui ricordiamo la chiesa di Santa Sofia. Giustiniano voleva riconquistare l’Italia, e si avvalse del suo generale Belisario, che in varie battaglie si accaparra parte dell’Africa, della Spagna, della Corsica. Più difficile fu la campagna in Italia, la guerra greco-gotica, infine vinta dai “greci”. Giustiniano nel 554 d. C. emise la Prammatica Sanzione, nella quale le norme del diritto giustinianeo venivano adottate pure in Italia. A Costantinopoli l’imperatore era assimilato a un dio, si comportava come tale, non poteva essere visto da molte persone, pretendeva la proskunesis etc… Si parla infatti di sistema del cesaropapismo, per il quale il capo di stato è capo della chiesa, molto diversamente dalla Chiesa occidentale.

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DATE IMPORTANTI DELLA STORIA ROMANA – 753 a. C. – 568 d. C. VIII secolo a.C.   

753 a.C. Anno di fondazione di Roma da parte di Romolo; Inizio dell'età regia di Roma;

VI secolo a.C.    

509 a.C. Inizia la Repubblica romana: cacciata di Tarquinio il Superbo; Lucio Giunio Bruto e Lucio Tarquinio Collatino sono i primi consoli di Roma; 508 a.C. – Viene creata la carica di pontifex maximus.

V secolo a.C.    

494 a.C. prima secessione della plebe; per la prima volta sono eletti 2 tribuni della plebe e due edili plebei; 449 a.C. – I Decemviri pubblicano le leggi delle dodici tavole;

IV secolo a.C. 41

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396 a.C.  Roma sconfigge Veio dopo quasi 100 anni di conflitti; l'assalto finale è condotto da Marco Furio Camillo;  I soldati romani per la prima volta ricevono lo stipendium; 390 a.C.  I Galli Senoni sconfiggono l'esercito romano nella battaglia del fiume Allia;  Roma subisce il sacco da parte dei Galli; 366 a.C.  È eletto il primo console non patrizio: Lucio Sestino Laterano; 343 a.C. – Inizia la prima guerra sannitica; 342 a.C. 341 a.C.  Fine della prima guerra sannitica; 340 a.C. – Roma inizia la guerra latina e si allea con i Sanniti; 338 a.C. – Fine della guerra latina. La Lega Latina viene sciolta e il suo territorio posto sotto il controllo di Roma; 326 a.C. – Inizia la seconda guerra sannitica; 321 a.C. – Battaglia delle Forche Caudine; 305 a.C. – Battaglia di Boviano. I sanniti sono sconfitti; 304 a.C.  Gli Equi sono sconfitti;  Fine della seconda guerra sannitica;

III secolo a.C.       

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298 a.C.  Inizia la terza guerra sannitica; 290 a.C. – Fine della terza guerra sannitica; 287 a.C. - Lex Hortensia: i Plebisciti hanno valore di legge. 281 a.C. – Taranto chiede aiuto a Pirro re dell'Epiro; 280 a.C.  Pirro sbarca in Italia. Iniziano le guerre pirriche; 275 a.C. – I romani condotti da Manio Curio Dentato vincono la battaglia di Benevento; 272 a.C.  Pirro si ritira nell'Epiro e terminano le guerre pirriche.  Taranto si arrende a Roma. 264 a.C. – Inizia la Prima Guerra Punica contro Cartagine. 241 a.C.  Termina la Prima Guerra Punica con la vittoria romana;  È creata la prima provincia romana della Sicilia; 229 a.C. – Inizia la prima guerra illirica; 227 a.C.  Termina la prima guerra illirica con la richiesta di pace della regina Teuta; 218/201 a.C. – Seconda guerra punica contro Cartagine. Roma è sconfitta nella Battaglia della Trebbia; 216 a.C. – Annibale infligge una disastrosa sconfitta per Roma nella Battaglia di Canne; 214/205 a.C. – Prima guerra macedonica, i Romani vengono sconfitti; 42

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204/202 a.C. – Publio Cornelio Scipione Africano invade l'Africa. Annibale viene richiamato a combattere, ma viene sconfitto nella Battaglia di Zama del 202 a.C.; 202 a.C. – Seconda guerra macedonica, vittoria Romana.

II secolo a.C.    

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197 a.C.  La Spagna Ulteriore e la Spagna Citeriore diventano province romane; 180 a.C. – Lex Villia annalis: stabilisce un'età minima alle cariche del cursus honorum; stabilisce un intervallo di tempo di due anni da una carica all'altra; 149/146 a.C. – Terza guerra punica contro Cartagine; 146 a.C. – Scipione Emiliano pone fine alla minaccia cartaginese e macedone distruggendo le città di Cartagine e Corinto; vengono annesse alle province romane le province di Macedonia e d'Africa; 133 a.C. – Il tribuno della plebe Tiberio Gracco viene assassinato dopo aver approvato una riforma agraria; 112 a.C. – Inizia la guerra contro Giugurta, re della Numidia; 107 a.C.  Gaio Mario viene eletto console promettendo la fine della guerra entro un anno;  Riforme di Mario del sistema di reclutamento delle legioni romane; 106 a.C. – Gaio Mario viene eletto console per la seconda volta in absentia, per continuare la guerra contro Giugurta; 105 a.C.  Fine della guerra giugurtina con la cattura di Giugurta; 102 a.C. – L'esercito consolare guidato da Gaio Mario sconfigge i Teutoni nella battaglia di Aquae Sextiae;

I secolo a.C.           



91/88 a.C. – Guerra sociale, l'ultima ribellione dei popoli italici contro Roma; 89 a.C. – la Lex Plautia Papiria a seguito della Guerra Sociale, estende la cittadinanza romana a tutti gli italici 88 a.C. – Silla attraversa il pomerium con le sue legioni e invade Roma; 88/85 a.C. – Prima guerra mitridatica contro Mitridate VI del Ponto; 83/82 a.C. – Prima guerra civile tra Silla e la fazione popolare; Silla vince e diventa dictator; la carica di censore venne abolita (sarà poi ripristinata nel 70 a.C.); 83/82 a.C. – Seconda guerra mitridatica; Silla ritorna a Roma ed è nominato dictator; 73 a.C. – Guerra servile: ribellione di Spartaco a Capua; 74/66 a.C. – Terza guerra mitridatica, vittoria definitiva di Pompeo; 70 a.C. – Consolato di Pompeo e Crasso; 67 a.C. – Pompeo libera il Mar Mediterraneo dai pirati; 63 a.C.  Caduta di Gerusalemme;  Consolato di Cicerone; congiura di Catilina; 60/52 a.C. – Viene stretta, in una città di nome Lucca, un'alleanza politica non ufficiale tra Gaio Giulio Cesare, Gneo Pompeo Magno e Marco Licinio Crasso per governare la Repubblica. – Questa alleanza viene detta Primo triumvirato, anche se non è stato riconosciuto ufficialmente dalla legge come triumvirato; 43

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58/50 a.C. – Cesare intraprende la Guerra Gallica, ottenendo la provincia della Gallia Comata; 54/53 a.C. – Prima campagna contro i Parti; Crasso, totalmente sconfitto, viene ucciso; 49 a.C. – Cesare attraversa il Rubicone, iniziando così la seconda guerra civile contro gli Optimates, la fazione conservatrice del senato capeggiata da Pompeo; 48/45 a.C. – Cesare sconfigge gli Optimates in Grecia e in Africa; 44 a.C. – Cesare viene assassinato alle Idi di marzo; 44/42 a.C. – Terza guerra civile tra i cesaricidi, guidati da Bruto e Cassio, e gli eredi di Cesare, Ottaviano e Marco Antonio; 43 a.C. – Ottaviano, Marco Antonio e Marco Emilio Lepido formano il secondo triumvirato; 36 a.C. – Marco Antonio viene sconfitto dai Parti; 32 a.C. – Fine delle relazioni pacifiche tra Ottaviano e Marco Antonio; 31 a.C. – Ottaviano sconfigge in modo decisivo Marco Antonio e Cleopatra nella battaglia di Azio; 30 a.C. – Marco Antonio e Cleopatra si tolgono la vita; l'Egitto diventa una provincia romana; 27 a.C. – Fine della Repubblica, inizio del Principato: ad Ottaviano viene assegnato il titolo di Cesare Augusto;

I secolo           

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9 – Tre legioni romane comandate da Publio Quintilio Varo cadono in un'imboscata e vengono massacrate dai Germani nella Battaglia della foresta di Teutoburgo; 14 – Morte di Augusto; Tiberio diventa imperatore; 37 – Caligola diventa imperatore; 41 – Claudio diventa imperatore; 43 – Claudio ordina l'invasione della Britannia; 54 – Nerone diventa imperatore; 58/63 – Nerone intraprende la guerra con i Parti; in seguito stipula un trattato di pace; il controllo sull'Armenia viene rafforzato; 64 – Grande incendio di Roma; 66/74 – Prima guerra giudaica; 68 – Un colpo di Stato militare costringe Nerone al suicidio; fine della Dinastia giulioclaudia; Galba diventa imperatore; 69 – Anno dei quattro imperatori: dopo l'assassinio di Galba, Otone e Vitellio diventano imperatori per un breve periodo prima dell'ascesa al potere di Vespasiano verso la fine dell'anno; inizio della Dinastia flavia; 71/84 – Pacificazione della Britannia, conquista degli attuali territori del Galles e della Scozia; 72 - Vespasiano ordina l'inizio dei lavori di costruzione del Colosseo, originariamente conosciuto come Amphitheatrum Flavium. 79  Tito diventa imperatore;  24 agosto – Un'eruzione del Vesuvio distrugge Pompei ed Ercolano; 80 – Rovinoso incendio a Roma; 81 – Domiziano diventa imperatore; 96 – Domiziano viene ucciso; fine della Dinastia flavia; Nerva diventa imperatore; 98 – Traiano diventa imperatore. 44

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II secolo             

106 – Costruzione del Foro di Traiano e della Colonna di Traiano; 113/117 – Campagna di Traiano contro l'impero dei Parti; 115/117 – Seconda guerra giudaica; 117 – Adriano diventa imperatore; 121/125 – Adriano viaggia nella parte settentrionale dell'impero; 122 – Inizia la costruzione del Vallo di Adriano; 131/135 – Terza guerra giudaica; 138 – Antonino Pio diventa imperatore; 140/143 – Dopo una rivolta, Antonino Pio conquista la Scozia; inizia la costruzione del Vallo Antonino; 161/166 – Marco Aurelio diventa imperatore; 162/166 – Campagne militari vittoriose di Lucio Vero contro l'impero dei Parti; 180 – Morte di Marco Aurelio; Commodo diventa imperatore; 193  Commodo viene assassinato; Pertinace diventa imperatore;  dopo una sanguinosa guerra, Settimio Severo si liberò dei rivali e diventò ufficialmente imperatore;

III secolo              

211 – Morte di Settimio Severo; suo figlio Caracalla diventa imperatore; 212 - Caracalla estende a tutti gli abitanti dell'impero la cittadinanza romana. 217 – Assassinio di Caracalla; Macrino diventa imperatore; 218 – Eliogabalo usurpa il trono; 222 – Eliogabalo viene assassinato; Alessandro Severo diventa imperatore; 231/233 – Guerra contro la Persia; 235 – Alessandro Severo viene ucciso durante un ammutinamento militare; Massimino Trace diventa imperatore; 270 – Claudio il Gotico muore di peste; Aureliano diventa imperatore; 271  Campagna di Aureliano contro i Vandali e Iutungi; 275 – Aureliano viene assassinato; Tacito diventa imperatore; 276 – Morte di Tacito; Probo diventa imperatore; 284 – Numeriano muore; Diocleziano diventa imperatore; 285 – Diocleziano nomina Massimiano Augusto dell'Occidente mentre egli stesso si dichiara Augusto dell'Oriente; 293  Diocleziano affida il titolo di Cesare a Costanzo Cloro e Galerio;

IV secolo  



303 – Diocleziano ordina la persecuzione dei Cristiani; 305  Diocleziano e Massimiano abdicano; Costanzo Cloro e Galerio diventano Augusti; 306 45

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Costanzo Cloro muore vicino a York; suo figlio Costantino I viene proclamato imperatore; 308  Licinio è nominato Augusto; 310 – Massimiano si proclama nuovamente imperatore ma viene catturato da Costantino e si suicida; 312  Costantino sconfigge e uccide Massenzio nella Battaglia di Ponte Milvio;  Licinio sposa Costanza, la sorella di Costantino; Costantino si converte al cristianesimo; 313  Licinio sconfigge due volte Massimino Daia; Massimino muore a Tarso;  Costantino emana l'Editto di Milano, mettendo fine alle persecuzioni contro i Cristiani e proclamando la tolleranza religiosa in tutto l'Impero; 316 – Diocleziano muore; 317 – Costantino sconfigge Licinio nella Battaglia di Mardia; Licinio è costretto a cedere tutte le sue province europee tranne la Tracia; 318 – Scomunica di Ario; 324 – Costantino sconfigge Licinio nella Battaglia di Crisopoli; Licinio abdica; 325 – Concilio di Nicea; 330 – Costantino rende Costantinopoli capitale dell'Impero; 337 – Costantino muore a Nicomedia; i suoi tre figli Costantino II, Costanzo II e Costante I diventano imperatori; 338 – Costantino II sconfigge gli Alemanni; guerra contro la Persia; 360 – A causa di un imminente guerra contro la Persia, Costanzo II ordina a Giuliano di mandare diverse legioni come supporto; l'esercito si ammutina e proclama Giuliano Augusto; 361 – Costanzo II muore, nominando Giuliano come suo successore; Giuliano si dichiara apertamente pagano, ma il suo tentativo di ristabilire il paganesimo fallisce; 363 – Giuliano invade la Persia ma è costretto a retrocedere e viene ferito a morte in un combattimento; i soldati nominano Gioviano imperatore; 378 – Valente è sconfitto e ucciso dai Goti nella Battaglia di Adrianopoli; 395 – Teodosio I divide l'impero in due parti. 

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V secolo   

410 – Roma viene saccheggiata da Alarico I; 455 – Roma viene saccheggiata dai Vandali; 476  Il generale germanico Odoacre uccide Oreste, costringe Romolo Augusto ad abdicare e si proclama Rex Gentium;  Tradizionale data per la caduta dell'Impero romano d'Occidente;

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