DMT M Spirito-1 [PDF]

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Zitiervorschau

Karnak - 3

Rick Strassman

DMT LA MOLECOLA DELLO SPIRITO Prefazione di Andrea Doria Traduzione di

Laura Visioli

Rick Strassman DMT - La molecola dello spirito titolo originale: DMT - The Spirit Molecule traduzione: Laura Visioli revisione: Giovanni Picozza, Valeria Pizzichini, Andrea Colamedici © 2001 Rick J. Strassman, md Italian language rights handled by Agenzia Letteraria Internazionale, Milano

© 2014 Spazio Interiore Edizioni Spazio Interiore Via Vincenzo Coronelli 46 • 00176 Roma Tel. 06.90160288 www.spaziointeriore.com [email protected] illustrazione in copertina Stefano Mayorca, Ayahuasca

sviluppo eBook [email protected] I edizione: aprile 2015 Questo e-book contiene materiale protetto da copy right e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente prev isto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo cosí come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una v iolazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civ ilmente e penalmente secondo quanto prev isto dalla Legge 633/1 941 e successiv e modifiche. Questo libro elettronico non potrà in alcun modo essere oggetto di scambio, commercio, prestito, riv endita, acquisto rateale o altrimenti diffuso senza il prev entiv o consenso scritto dell’editore. In caso di consenso, tale libro elettronico non potrà av ere alcuna forma div ersa da quella in cui l’opera è stata

pubblicata e le condizioni incluse alla presente dov ranno essere imposte anche al fruitore successiv o.

INDICE

PREFAZIONE di Andrea Doria

DMT - LA MOLECOLA DELLO SPIRITO RINGRAZIAMENTI INTRODUZIONE PROLOGO: LE PRIME SEDUTE

PARTE I CONCETTI BASILARI Capitolo 1 DROGHE PSICHEDELICHE: SCIENZA E SOCIETÀ Capitolo 2 COSA È LA DMT Capitolo 3 LA PINEALE: LA GHIANDOLA DELLO SPIRITO Capitolo 4

LA PINEALE PSICHEDELICA

PARTE II CONCEPIMENTO E NASCITA Capitolo 5 89-001 Capitolo 6 LABIRINTO

PARTE III SET, SETTING E DMT

Capitolo 7 ESSERE UN VOLONTARIO Capitolo 8 ASSUMERE LA DMT Capitolo 9 SOTTO EFFETTO

PARTE IV LE SESSIONI Capitolo 10 INTRODUZIONE RELAZIONI DEI CASI

ALLE

Capitolo 11 SENTIMENTI E PENSIERI Capitolo 12 MONDI INVISIBILI Capitolo 13 CONTATTO VELO: 1

ATTRAVERSO

IL

Capitolo 14 CONTATTO VELO: 2

ATTRAVERSO

IL

Capitolo 15

LA MORTE E IL MORIRE Capitolo 16 STATI MISTICI Capitolo 17 DOLORE E PAURA

PARTE V INTERRUZIONE Capitolo 18 E QUINDI? Capitolo 19

SUL FINIRE DELLA RICERCA Capitolo 20 CALPESTARE UN SUOLO SACRO

PARTE VI COSA PUÒ E POTRÀ ESSERE Capitolo 21 DMT: LA MOLECOLA DELLO SPIRITO Capitolo 22 LE PROSPETTIVE FUTURE DELLA RICERCA PSICHEDELICA

EPILOGO

Ai volontari e alle loro relazioni

Non possediamo abbastanza immaginazione da renderci conto di quello che stiamo perdendo. Jean Toomer

PREFAZIONE di Andrea Doria

Quando mi è stato chiesto di scrivere la prefazione per questo libro a stento ho trattenuto l’entusiasmo, e sono certo nonostante ciò di non peccare di un eccesso di impeto se affermo sin da ora che il libro che reggete tra le mani in questo momento non è soltanto la testimonianza più

autentica di una delle ricerche scientifiche tra le più importanti del nostro secolo, ma è per il sottoscritto qualcosa di più personale e intimo: la chiusura di un cerchio. Lessi per la prima volta The Spirit Molecule nella sua edizione in lingua originale nel 2004, e proprio in quel periodo mi trovavo immerso nel bel mezzo di un percorso di crescita personale che potremmo definire per convenzione “spirituale”. Così, come molti altri viandanti in cerca di improbabili risposte nel vasto universo dei

misteri del mondo, mi sono ritrovato, uno dopo l’altro, ad approdare curioso sui lidi di svariate “isole filosofiche”, terre senza dubbio ricche di insegnamenti che a quel tempo mi apparivano affascinanti e maestose nel loro aspetto esotico più superficiale. Ciò accadde fin quando non mi resi conto che, esattamente come le vere isole che popolano interi arcipelaghi sul pianeta Terra, le “isole filosofiche” sono separate, distaccate l’una dall’altra dalle abbondanti acque delle incomprensioni umane. Ognuna di

queste isole nasconde tesori senz’altro unici ma che difficilmente, se non in sporadici casi, condividono qualcosa in comune con le altre; inoltre, le verità che nascono dalle risposte che l’uomo si è dato per fornire un significato a tali misteri hanno senso unicamente se si decide di fermarsi a vivere entro i confini delle proprie terre. Non appena si avverte l’esigenza di approfondire, di entrare maggiormente nel dettaglio, poiché quanto ottenuto fino a quel momento non è stato sufficiente a soddisfare quell’innato

desiderio di conoscere l’inconoscibile, è necessario raccogliere il proprio fardello sulla schiena e spostarsi altrove, verso altri lidi, i cui insegnamenti finiscono sempre per aggiungere nuovi “elementi” e nuove “verità”, spesso in netto contrasto con quanto già appreso in precedenza. Con l’aumento degli elementi e le verità che si vanno ad accumulare nel proprio bagaglio aumenta proporzionalmente il numero delle domande, le quali a loro volta conducono inesorabilmente l’ormai esausto viandante a porsi infinite

domande, sempre più contorte e complicate, se non addirittura spiaccicate ai confini più remoti della ragione. Questo purtroppo è il rischio che corre chiunque intenda affrontare un cammino di un certo tipo, ed è un rapporto impari che si ha con la conoscenza perché, per paradosso, più alto è il numero delle domande generate dalle risposte che abbiamo ricevuto da terzi e meno risulta esservi una concreta possibilità di ottenere qualcosa di definitivo e di appagante per se stessi. In altre parole, è assai più facile affrontare

le cosiddette “fatiche d’Ercole” che arrivare a definire una “teoria filosofica del tutto” coerente, pescando semplicemente qua e là dalle varie dottrine che il mercato ha da offrire. Più mi inoltravo negli oscuri meandri dell’esoterismo, colmo fin negli abissi del mio cuore del più puro spirito d’avventura, più le contraddizioni di tali insegnamenti emergevano da ogni dove e mi assillavano la mente, la quale per sadico divertimento – a mio totale dispetto – se la cantava e suonava più o meno in questo modo: «Se

tutto quanto è collegato, se tempo e spazio sono, come asseriva Einstein, “modi in cui pensiamo”, banali convenzioni prive di senso al di fuori della nostra percezione ordinaria, le domande che devi seriamente porti sono: CHI SEI TU? e CHI È L’ ALTRO in questo complicato videogioco che chiami vita?» Ora non mi si fraintenda. DMT – La molecola dello spirito, benché il titolo possa di primo acchito darlo a pensare, non è un libro “spirituale” nel senso più stretto del termine. Non contiene ricette per illuminazioni istantanee su

ordinazione, ma è un serio testo scientifico dotato di un certo piglio divulgativo che però, volendo, può aiutarvi a chiudere un cerchio di domande importanti. Non potrà in alcun modo dirvi chi siete, tantomeno condurvi illesi a nuove presunte verità di origine spirituale, utili a riempire ulteriormente quello stracolmo calderone che è la proposta contemporanea. È piuttosto un testo che, nella semplice esposizione di ciò che è avvenuto durante i coraggiosi esperimenti condotti dal dr. Rick Strassman alla Scuola di Medicina

dell’Università del New Mexico, sarà in grado di fornire a chiunque una base solida di elementi utili a delineare un nuovo orizzonte, senz’altro più cristallino nei confronti di ciò che definiamo Coscienza o Natura delle Realtà “altre”, dipanando così molte nebbie. Ritengo DMT – La molecola dello spirito in assoluto il testo più importante degli ultimi tredici anni. Mi ha permesso di uscire da quell’overdose di informazioni a cui mi ero sottoposto per l’amore che provavo nei confronti della

conoscenza, aiutandomi così a delineare un aspetto più “armonico” di quanto conosciamo circa le meccaniche dell’Universo; sono certo fornirà anche a molti di voi la grande opportunità di unire tutti quei puntini rimasti per una ragione o per l’altra ancora scollegati tra di loro, in quel torbido terreno composto da tutte quelle straordinarie esperienze che, ogni notte, più o meno dalle 3 e 33 in poi, affrontiamo quando andiamo a coricarci: sogni lucidi, incontri con esseri di altre dimensioni (più o meno socievoli), entità mitologiche

o psicopompe, viaggi astrali, viaggi nel tempo, incontri con i tulpa e chi più ne ha più ne metta. Tutte questioni ritenute solitamente di scarsa rilevanza, o più semplicemente considerate il frutto di problematiche inconsce rimaste irrisolte, le quali, durante la notte, per chissà quali misteriosi processi cognitivi non del tutto chiariti, sarebbero utili al cervello per dare un “senso” alle nostre banali esperienze quotidiane. E se non fosse esattamente così? E se quei mondi fossero in realtà più reali di quanto non lo riteniamo

possibile, sebbene ognuno di essi sia legato indissolubilmente al nostro “Io” profondo? Potremmo definirli “mondi-specchio” nel quale riconoscere la nostra vera natura che giace indisturbata sotto la maschera che indossiamo? Ecco, gli esperimenti compiuti dal dr. Strassman sono senza ombra di dubbio quanto di più vicino possediamo, in termini di dati e informazioni reali, tangibili, per definire meglio cosa siamo (e non chi) rispetto a questi fenomeni e quali siano le meccaniche coinvolte in questi processi notturni che

danno luogo a tali esperienze che così tanto stravolgono la nostra vita. Durante il periodo settennale nel quale mi sono trovato a gestire il mio blog di informazione AutomiRibelli.org, attualmente in standby per motivi di tempo e motivazione, ho trattato diverse volte l’argomento N,Ndimetiltriptamina, o DMT , legato a un’altra questione più complessa del “semplice” cammino di crescita personale: le faccende delle cosiddette abduction (rapimenti alieni). A dire il vero sono stato uno dei primi a dedicarvi diversi articoli,

in quanto in Italia in quel periodo si andava diffondendo a mio avviso una certa vena “terroristica” nei confronti di questo delicato argomento, e perciò ritenevo opportuno cercare di informare i miei lettori che, forse, una possibile soluzione del problema era da ricercarsi anche altrove. Avendo già letto DMT – La molecola dello spirito svariati anni prima, ero perfettamente a conoscenza su quanto ebbero a dire quei sessanta volontari che parteciparono allo studio del dr. Strassman durante i cinque anni di

sperimentazione; perciò ho esposto in più di un’occasione le ragioni per le quali non mi trovavo del tutto in sintonia con la conclusione secondo cui queste esperienze possedessero unicamente dei connotati negativi e vedessero l’uomo unicamente come un povero topolino da laboratorio nelle mani di un sadico predatore d’anime. Ora, vi prego, non travisate il mio discorso. Mi rendo perfettamente conto della necessità di andare cauti quando si trattano questi argomenti, perché diviene molto facile urtare la sensibilità di chi vive

queste esperienze sulla propria pelle e avrebbe qualcosina da dire a riguardo. Ma è altrettanto necessario, però, arrivare a comprendere che per capire cosa realmente accada durante le nostre notti è necessario avere il coraggio di andare oltre, evitando di semplificare. Gli elementi in gioco in un’esperienza come quella del rapimento alieno sono innumerevoli e richiedono da parte nostra la massima attenzione. Purtroppo pochi diedero importanza alle mie impressioni quando affermai che c’era qualcosa

di affrettato nel trattare questo argomento attraverso valutazioni troppo deterministiche sulla sua natura, senza aver preso in considerazione tutti gli studi disponibili, primo fra tutti quello portato avanti dal dr. Rick Strassman. Spesso mi sono prodigato perfino con un certo affanno ad informare circa questo studio i diretti protagonisti italiani delle indagini sulle abduction, senza purtroppo ricevere grande interesse, se non addirittura nessuno.

Quale sarebbe dunque il pomo della discordia? È presto detto. Questo libro porta alla luce nel suo contesto generale un tema ben specifico e non privo di importanza: la dimetiltriptamina, una delle molecole endogene (psichedeliche) più potenti esistenti in natura, è presente in determinate piante – come ad esempio la Banisteriopsis caapi, una delle due piante che costituiscono la bevanda sacra conosciuta come Ayahuasca – ma non solo. A determinate condizioni di carattere endocrino e a seconda del soggetto, durante la fase

notturna è possibile rinvenire tracce di DMT nel fluido cerebrospinale di un essere umano per pochissimi minuti (poco meno di cinque), dopo che questa è stata sintetizzata qualche istante prima dalla ghiandola pineale situata al centro del nostro cervello. Avete capito bene: durante i sogni, e parlo di quelli più lucidi, vividi e coscienti, ossia in una profonda fase REM, siamo praticamente sotto l’effetto di una tra le sostanze psichedeliche più potenti al mondo. Per comprendere al meglio le ragioni per le quali ciò accade durante le

nostre notti più “movimentate”, mediamente tra le 3 e le 4 del mattino, occorre spiegare che la sua sintesi avviene mediante l’assunzione quotidiana di un amminoacido essenziale, il triptofano, il quale è presente in quantità più o meno grande in tutti i cibi di uso comune, come ad esempio la carne, il formaggio, il vino e le uova. Il triptofano interagisce con la serotonina (5idrossitriptamina, 5-HT ), e dall’unione di questa interazione vi è una sintesi maggiore di melatonina, la quale a sua volta, a

determinate condizioni, muta in una molecola dalla forma assai più caratteristica, la pinolina, e dalla pinolina si passa alla DMT .* Ora, come afferma lo stesso Strassman nell’esposizione del suo lavoro, ciò può essere visto come una sfida alla realtà delle esperienze che si vivono durante i rapimenti alieni, perché immediatamente si potrebbe essere indotti a ritenere che chi vive strane esperienze notturne con questi “esseri” sia in realtà un poveraccio che dopo aver mangiato pesante si è fatto un brutto trip. Non è assolutamente

così: una volta arrivati in fondo a questo libro ognuno di voi avrà la possibilità di constatarlo di persona. La DMT sembra piuttosto agire come una sorta di “chiavistello” attraverso una specifica interazione con la nostra biologia, mostrandosi in grado di aprire “porte” percettive della coscienza individuale e proiettarla verso altre dimensioni della psiche a noi ignote. Un altro dei passaggi chiave che mi ha condotto a ritenere il lavoro compiuto dal dr. Strassman più unico che raro è emerso leggendo alcune testimonianze riportate nei

prossimi capitoli, nelle quali spicca chiaramente un dato tanto significativo quanto purtroppo a mio avviso sottostimato: in seguito alla somministrazione di una normale dose di dimetiltriptamina, iniettata per via endovenosa, svariati soggetti descrivono un rapporto che definiscono “amorevole” con un alieno gentile, che li abbraccia e dice di amarli come figli; loro si sentono benissimo in quello stato, e si trovano in perfetta sintonia con lui. Quando invece agli stessi soggetti venivano somministrate dosi di DMT

maggiorate, quindi più cariche rispetto al loro range di sopportazione biochimica, lo stesso alieno diventava aggressivo nei loro confronti, generando tutto quell’insieme di esperienze traumatiche vissute dai soggetti durante un classico rapimento. Come poteva essere possibile, dunque, che l’alieno mostrasse una dicotomia così estrema, rispondendo addirittura emotivamente a una precisa intossicazione – seppur sotto controllo medico – del sistema nervoso del soggetto? È possibile

dunque che vi siano persone che per chissà quali condizioni psicofisiche siano in grado di sintetizzare questa molecola in maggiori quantità rispetto ad altri, tanto da procurarsi delle piccole overdose notturne, al punto da scatenare un dramma interiore? Ma soprattutto, se è verosimile la possibilità che l’alieno possegga comportamenti differenti a seconda del nostro stato nervoso, è dunque parte di una realtà “esterna” a noi, oppure è una parte integrante e indissolubile della nostra psiche?

Quando posi questa domanda al dr. Strassman in una delle svariate conversazioni intercorse via Skype, con tono sereno mi rispose: «Io ritengo, per l’esperienza concessami dallo studio che abbiamo intrapreso, che questi “esseri” siano fuori di noi, e allo stesso tempo potrebbero essere riflessi del nostro stato interiore. È difficile distinguere tra queste due alternative, ma è anche imperativo riuscirci per risolvere molti enigmi che ancora ci circondano». Ed è sul riflessi di uno stato interiore che vorrei fermarmi e

lasciarvi finalmente alla lettura, non prima però di aver lanciato a tutti una simpatica provocazione: la DMT è una molecola illegale inserita nella tabella I del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e delle sostanze psicotrope, pertanto la sua assunzione è vietata per legge. Così, adesso che sapete che essa viene sintetizzata da ognuno di noi, ogni notte, in minori o maggiori quantità, citando un mio vecchio amico vi ricordo che «quando sogniamo siamo tutti fuorilegge perché la ghiandola pineale è un

laboratorio di droghe illegali». Buona lettura Andrea Doria

DMT LA MOLECOLA DELLO SPIRITO

RINGRAZIAMENTI

Innumerevoli colleghi, organizzazioni e associazioni hanno fornito il loro supporto in ogni fase di questo studio. Alcuni meritano un ringraziamento speciale. Lo scomparso Daniel X. Freedman, medico del Dipartimento di Psichiatria dell’Università della California di Los Angeles (UCLA ), che mi ha sempre sostenuto in questo

progetto e mi ha permesso di ottenere i primi ed essenziali fondi per realizzarlo. Il personale della Food and Drug Administration e il Drug Enforcement Administration degli Stati Uniti, che hanno mostrato la loro straordinaria flessibilità e prontezza nel rispondere alle inusuali circostanze di questa ricerca. Clifford Qualls, biostatistico presso l’Università del New Mexico, che si è dedicato incessantemente per ore, giorni e settimane all’elaborazione di calcoli presso il Centro di Ricerca, a casa sua e a casa mia. David Nichols,

della Purdue University, che ha preparato la DMT , senza la quale questo studio non avrebbe visto la luce. In ogni momento di questa ricerca, il Dipartimento di Medicina dell’Università del New Mexico mi ha fornito l’aiuto accademico, fisico e amministrativo per il mio lavoro. Il dottor Walter Winslow, responsabile del Dipartimento di Psichiatria, mi ha concesso parecchia libertà d’azione essendo all’epoca uno dei suoi pochi ricercatori. Dopo che il dr. Winslow andò in pensione, è stato il dr.

Samuel Keith a seguirmi nelle questioni sia di carattere amministrativo che accademico. Il dottor Alan Frank, responsabile dello Human Research Ethics Committee dell’Università, ha fatto fronte alle mie richieste in modo onesto e corretto. Esprimo la mia gratitudine al General Clinical Research Center (GCRC) dell’Università del New Mexico per avermi assistito nel corso dei miei studi su melatonina, DMT e psilocibina. Il dottor Jonathan Lisansky, collega del Dipartimento di Psichiatria e del Centro di Ricerca

dell’Università del New Mexico, mi ha presentato lo scomparso Glenn Peake, medico e direttore scientifico del GCRC: insieme mi hanno convinto a trasferirmi ad Albuquerque nel 1984. Il dottor Philip Eaton prese abilmente le redini del GCRC dopo la morte improvvisa del dottor Peake e quando gli dissi di aver deciso di studiare le sostanze psichedeliche mi fece un cenno d’intesa. Il dr. David Shade, Joy Mc Leold e Alberta Bland mi hanno aiutato per anni nelle ricerche di laboratorio in modo davvero professionale. Lori

Sloane, del Centro Elaborazione Dati, si è occupata dell’efficienza dei macchinari con un’abilità sorprendente e mi ha insegnato a utilizzare dei programmi che altrimenti avrei impiegato anni ad apprendere. Un ringraziamento speciale va anche al personale ospedaliero e ambulatoriale, al personale della cucina, allo staff dell’amministrazione, in particolare a Kathy Legoza e Irene Williams. Grazie alle infermiere Laura Berg e Cindy Geist per il loro considerevole supporto,

contraddistinto da precisione, disciplina e un tocco di brio. Ringrazio altresì l’infermiera Katy Brazis che con la sua competenza ha contribuito a realizzare i primi colloqui psichiatrici. Una generosa donazione dalla Scottish Rite Foundation for Schizophrenia Research fu d’aiuto nello stabilire il valore scientifico del progetto di ricerca sulla DMT . In seguito, un sostegno finanziario più consistente per le ricerche sulla DMT e sulla psilocibina fu fornito dal National Institute on Drug Abuse,

una

divisione

del Institutes of Health.1

US

National

Per la stesura di questo libro, John Barlow e la Rexx Foundation, così come Andrew Stone, hanno fornito un input finanziario decisivo, mentre il sostegno successivo della Barnhart Foundation ha permesso al progetto di andare avanti speditamente. Rick Doblin, della Multidisciplinary Association for Psychedelic Studies (MAPS), ha gestito abilmente e con generosità i fondi concessi da Stone e dalla Barnhart Foundation. Ned Naumes della Barnhart Foundation,

Sylvia Thiessen e Carla Higdon di MAPS hanno coordinato in modo impeccabile le entrate e le uscite delle somme di denaro. Ringrazio amici, colleghi, studenti, insegnanti e mentori che nel corso degli anni hanno fornito idee e sostegno al progetto: Ralph Abraham, Debra Asis, Alan Badiner, Kay Blacker, Jill e Lewis Carlino, Ram Dass, David Deutsch, Norman Don, Betty Eisner, Dorothy e James Fadiman, Robert Forte, Shefa Gold, Alex Grey, Charles Grob, Stan Grof, John Halpern, Diane Haug, Mark Galanter, Mark Geyer, Chris Gillin,

George Greer, Abram Hoffer, Carol e Rodney Houghton, Daniel Hoyer, Oscar Janiger, David Janowsky, Karl Jansen, Sheperd Jenks, Robert Jesse, Robert Kellner, Herbert Kleber, Tad Lepman, Nancy Lethcoe, Paul Lord, David Lorimer, Luis Eduardo Luna, John Mack, Dennis e Terence McKenna, Herbert Meltzer, David Metcalf, Ralph Metzner, Nancy Morrison, Ethan Nadelmann, Ken Nathanson, Steven Nickeson, Oz, Bernd Michael Pohlman, Karl Pribram, Jill Purce, Rupert Sheldrake, Alexander e Ann Shulgin, Daniel Siebert, Wayne

Silby, Zachary Solomon, Myron Stolaroff, Juraj e Sonja Styk, Steven Szára, Charles Tart, Requa Tolbert, Tarthang Tulku, Joe Tupin, Eberhard Uhlenhuth, Andrew Weil, Samuel Widmer e Leo Zeff. Grazie anche alla mia ex moglie, Marion Cragg, che ha sempre appoggiato me e la mia ricerca con i suoi preziosi consigli e indicazioni nel corso di tutte le disavventure sopraggiunte. Ringrazio tutte le persone che hanno letto interamente o in parte le bozze del libro, fornendomi numerosi e utili consigli: Robert

Barnhart, Rick Doblin, Rosetta Maranos, Tony Milosz, Norm Smookler, Andrew Stone, Robert Weisz e Bernard Xolotl. Un enorme grazie a Daniel Perrine per aver reso la migliore idea possibile delle strutture molecolari del libro. Ringrazio Alex Grey per la sua copertina artistica,2 che ammiro profondamente, e per avermi fatto avvicinare alle tradizioni spirituali, laddove Jon Graham ha apprezzato ciò che ha scorto nel mio progetto. Ringrazio Rowan Jacobsen, che è stato tutto ciò che un editor può essere e anche

di più, e Nancy Ringel, la cui attività di revisione è stata impareggiabile, apportando parecchi miglioramenti al testo. Sono grato all’abate, oggi scomparso, della comunità buddhista zen di cui ho fatto parte, così come alle diverse comunità monastiche e secolari per il loro insegnamento, la loro guida e il potente modello di pragmatismo mistico che propongono. I miei più sinceri ringraziamenti vanno alla mia famiglia: senza i miei genitori Alvin e Charlotte Strassman, mio fratello Marc

Strassman e mia sorella Hanna Dettman, nulla di tutto ciò sarebbe stato possibile. Infine, rendo onore, mi inchino ed esprimo la mia stima a tutti i volontari. Il loro coraggio nel lasciarsi condurre in questo viaggio sulle ali della molecola dello spirito, la loro fiducia nel team di ricerca che si è preso cura del loro corpo e della loro mente mentre si avventuravano nell’oltre, e la loro leggerezza, mantenuta nell’ambiente più austero e rigido immaginabile per assumere sostanze psichedeliche, saranno di

ispirazione per le nuove generazioni di cercatori. 1. Il National Institutes of Health finanziò i progetti sulla melatonina (RR 00997-10), sulla DMT ( R 03 DA 06524) e sulla psilocibina ( R 01 DA 08096), e le attività generali del Clinical Research Center (M01 RR 00997). 2. L’autore fa riferimento alla copertina dell’edizione originale realizzata da Alex Grey. [N.d.T.]

INTRODUZIONE

Nel 1990 ho iniziato la ricerca, la prima fatta dopo più di vent’anni negli Stati Uniti, sugli effetti delle sostanze psichedeliche, o allucinogene, sugli esseri umani. Questi studi hanno esaminato gli effetti della N,N-dimetiltriptamina, uno psichedelico estremamente potente e di breve durata. Nel corso dei cinque anni del progetto, ho

somministrato circa quattrocento dosi di DMT a sessanta volontari. La ricerca è avvenuta presso il Dipartimento di Medicina dell’Università del New Mexico, ad Albuquerque, dove avevo assunto l’incarico di Professore Associato di Psichiatria. Sono rimasto affascinato dalla DMT perché essa è già presente nel corpo umano. Credevo che la fonte della DMT fosse la misteriosa ghiandola pineale, un minuscolo organo situato al centro del nostro cervello. La medicina moderna sa ancora poco riguardo al ruolo svolto da

questa piccola ghiandola, sebbene essa possieda un’intensa storia “metafisica”. Descartes, ad esempio, credeva che essa fosse la “sede dell’anima” e le tradizioni spirituali sia occidentali che orientali pongono il nostro massimo centro spirituale entro i suoi confini. Di conseguenza, mi sono domandato se un’eccessiva produzione di DMT da parte della ghiandola pineale fosse coinvolta negli stati “psichedelici” che avvengono in modo naturale: la nascita, la morte, gli stati di pre-morte, le psicosi e le esperienze mistiche. Solo in

seguito, quando lo studio era già ben avviato, ho iniziato a esaminare anche il ruolo che la DMT aveva nelle esperienze di rapimento alieno. Il progetto sulla DMT si basava sulle innovative scoperte scientifiche sul funzionamento della mente, in particolar modo quelle che hanno a che fare con la psicofarmacologia della serotonina. In questa ricerca è stata tuttavia la mia personale formazione, segnata da un decennale rapporto di addestramento ai precetti del Buddhismo Zen all’interno di un monastero, a influire in maniera

notevole sul modo di preparare e assistere le persone durante le loro sessioni sotto effetto di sostanze psicoattive. DMT – La molecola dello spirito ripercorre cosa sappiamo in generale sulle droghe psichedeliche, focalizzandosi in particolare sulla DMT . Ripercorre inoltre il progetto di ricerca sulla DMT a partire dai suoi primi passi attraverso l’intricato labirinto di commissioni e comitati di revisione fino al momento della sua effettiva realizzazione. Nonostante fossimo tutti convinti delle proprietà potenzialmente

benefiche delle sostanze psichedeliche, la ricerca non aveva finalità terapeutiche; per questo motivo, i soggetti della ricerca erano tutti volontari sani. Il progetto ha prodotto una notevole quantità di dati biologici e psicologici, molti dei quali sono già stati pubblicati nella letteratura scientifica. D’altra parte, non avevo scritto quasi nulla sulle vicende dei volontari. Spero che i numerosi estratti che ho selezionato tra più di mille pagine di appunti facciano arrivare il senso degli straordinari effetti emozionali,

psicologici e spirituali prodotti da questa sostanza. Nel 1995, alcuni problemi interni ed esterni all’ambiente di ricerca l’hanno portata al termine. Nonostante le difficoltà incontrate, rimango ottimista circa i possibili benefici dell’uso controllato di sostanze psichedeliche. Stando a quanto ho appreso nel corso della ricerca in New Mexico, propongo qui un’ampia panoramica del ruolo che la DMT svolge nella nostra vita e concludo con la proposta di un programma di ricerca e di un setting

ideale per un futuro lavoro con la DMT e con altre droghe simili. Willis Harman è stata una delle menti più brillanti ad addentrarsi nel campo della ricerca psichedelica. All’inizio della carriera, insieme ai suoi colleghi, somministrò LSD ad alcuni scienziati con lo scopo di potenziare la loro capacità di risolvere problemi. Scoprirono che l’LSD mostrava potenti effetti positivi sulla creatività. Questa ricerca decisiva resta il primo e unico progetto scientifico che si è avvalso di sostanze psichedeliche allo scopo di

migliorare il processo creativo. Quando incontrai Willis una trentina di anni dopo, nel 1994, era presidente dell’Istituto di Scienze Noetiche, un’organizzazione fondata dall’astronauta Edgar Mitchell, il sesto uomo ad aver messo piede sulla Luna. L’esperienza mistica di Mitchell, stimolata dall’osservazione della Terra durante il viaggio di ritorno, lo spinse ad approfondire lo studio di quei fenomeni che, pur non trovando spazio nella scienza tradizionale, potrebbero portare a

un’applicazione più ampia del metodo scientifico. Durante una lunga passeggiata lungo la catena costiera nella zona della California centrale, Willis mi disse in modo deciso: «Almeno dovremmo approfondire il nostro discorso sugli psichedelici». È in risposta alla sua richiesta che ho inserito nel libro idee altamente speculative unite alle mie motivazioni personali per effettuare questa ricerca. Questo approccio non soddisferà pienamente nessuno da ogni punto di vista. C’è un’intensa frizione tra

ciò che conosciamo a livello intellettuale, o addirittura intuitivamente, e ciò che sperimentiamo assumendo DMT . Come esclamò uno dei volontari dopo la sua prima sessione ad alto dosaggio: «Wow! Non mi sarei mai aspettato questo!» O come disse Dogen, un maestro buddhista giapponese del XIII sec.: «Dobbiamo essere sempre sconvolti dalla verità». Gli appassionati della cultura psichedelica potrebbero non gradire la mia conclusione: la DMT non ha effetti positivi in sé e per sé; si

tratta piuttosto del contesto nel quale viene assunta a rivelarsi importante. Chi è a favore del controllo sulle droghe potrebbe condannare questo libro, considerandolo un incoraggiamento all’assunzione di sostanze psichedeliche e una celebrazione dell’esperienza con la DMT . I praticanti e i rappresentanti delle religioni tradizionali potrebbero rifiutare l’idea di raggiungere stati mistici e di ottenere informazioni di carattere spirituale attraverso l’uso di droghe. Le vittime di rapimento alieno, e coloro che le sostengono,

potrebbero interpretare la mia teoria secondo cui la DMT è profondamente coinvolta in queste eventi come una sfida alla “verità” delle loro esperienze. Gli oppositori e i propugnatori del diritto all’aborto potrebbero criticare la mia idea che il rilascio di DMT da parte della ghiandola pineale al quarantanovesimo giorno dopo il concepimento segni l’ingresso dello spirito nel feto. I neuroscienziati potrebbero opporsi all’idea che la DMT influisca sulla capacità del cervello di ricevere informazioni, anziché limitarsi soltanto a

produrre percezioni. Inoltre potrebbero rigettare l’ipotesi secondo cui la DMT consentirebbe al cervello umano di percepire la materia oscura e gli universi paralleli, reami dell’esistenza popolati da entità consapevoli. Tuttavia, se non avessi descritto tutte le idee sottostanti allo studio sulla DMT e l’intero prisma di esperienze dei volontari, ne sarebbe uscito solamente un racconto parziale. E senza le proposte radicali che ho avanzato nel tentativo di comprendere le sessioni dei volontari, DMT – La molecola dello

spirito potrebbe avere, nella migliore delle ipotesi, solo un piccolo spazio nella discussione sulle sostanze psichedeliche; e nella peggiore, ne ridurrebbe il campo di interesse. Ne andrebbe della mia onestà se non condividessi le mie personali ipotesi e teorie, che nascono da decenni di studio e dall’ascolto di centinaia di esperienze. Questo è il motivo per cui l’ho fatto. Questo è ciò che è accaduto. Questo è ciò che penso a riguardo. È molto importante per noi comprendere cosa sia la coscienza.

Ed è altrettanto importante collocare le droghe psichedeliche in generale, e la DMT in particolare, all’interno di una matrice culturale e individuale in cui si abbia il massimo beneficio e il minor male possibile. In un’area di indagine così ampia è bene non rigettare alcuna idea prima di averla effettivamente confutata. Ed è nell’interesse di approfondire il dibattito sulle sostanze psichedeliche che ho scritto DMT – La molecola dello spirito.

PROLOGO: LE PRIME SEDUTE

Una mattina di dicembre del 1990 iniettai a Philip e a Nils una dose consistente di DMT per endovena. Questi due uomini sono stati i primi ad aver assunto DMT all’interno del progetto di ricerca, e mi stavano aiutando a determinare la dose ottimale e le modalità di

somministrarla. Erano le nostre “cavie” umane. Due settimane prima, avevo dato a Philip la primissima dose di DMT . Come racconterò, l’iniezione intramuscolare fattagli nella spalla non diede risultati pienamente soddisfacenti. Passammo allora alla modalità endovenosa: fu così che Nils ricevette la sua prima dose di DMT la settimana dopo. La reazione di Nils indicò che la dose che gli somministrammo era troppo poca. E così oggi Philip e Nils avrebbero ricevuto dosi di DMT per endovena di gran lunga maggiori.

Era difficile credere che avremmo veramente somministrato la DMT a dei volontari umani. L’iter di due anni, nel quale avevamo cercato di ottenere permessi e fondi e che sembrava non finire mai, era finalmente giunto al capolinea. Conseguire l’obiettivo non era mai stato così simile a una lotta continua per raggiungerlo. Philip e Nils avevano già avuto esperienze con la DMT , e ne ero contento. Circa un anno prima di iniziare questo studio avevano partecipato a una cerimonia nella quale un guaritore peruviano aveva

dato a tutti i partecipanti l’ayahuasca, il leggendario infuso contenente DMT . I due uomini furono entusiasti di assumere la DMT per via orale, e il giorno seguente, quando uno dei partecipanti la rese disponibile, erano impazienti di fumarla in forma pura. Volevano sentirne gli effetti molto più velocemente e intensamente di quanto permettesse la forma liquida. Philip e Nils, fumando la DMT , fecero le classiche esperienze: un rapido e imprevedibile susseguirsi di effetti, uno spettro caleidoscopico

di allucinazioni visive e una separazione della coscienza dal corpo fisico. E, molto curiosamente, c’era la sensazione che ci fosse altro, da qualche parte all’interno del mondo allucinatorio al quale questo straordinario psichedelico permetteva loro di accedere. La loro precedente esperienza con la DMT fu un elemento molto importante nell’averli resi i primi volontari. Philip e Nils conoscevano gli effetti della DMT . Ancor più determinante era che conoscevano gli effetti del fumarla, il che gli avrebbe permesso di valutare

l’adeguatezza dei due diversi metodi di somministrazione della DMT che stavo considerando – per via intramuscolare (IM) o per endovena (IV ) – nel riprodurre tutti gli effetti che si manifestano col fumarla. Dato che i consumatori a scopo ricreativo solitamente fumano la DMT , volevo riprodurne in maniera più fedele possibile gli effetti così come si manifestano con questa forma di assunzione. Il giorno in cui Philip ricevette la prima dose di DMT per via intramuscolare ero già avanti con i ragionamenti. Forse la modalità IM

sarebbe stata troppo lenta e leggera rispetto al fumare la droga. Stando a ciò che avevo letto sulla somministrazione di DMT per via intramuscolare, era necessario un minuto prima che iniziassero gli effetti; un lasso di tempo di gran lunga maggiore rispetto a quando la sostanza veniva fumata. Ad ogni modo, siccome tutti i saggi pubblicati in precedenza sulla ricerca con la DMT , a eccezione di uno, riportavano la descrizione della somministrazione intramuscolare, fui costretto a iniziare con questa modalità. La

letteratura più antica indicava che la dose che stavo per dare a Philip, 1 mg/kg, circa 75 mg, probabilmente sarebbe stata una dose moderatamente alta. Philip aveva quarantacinque anni quando iniziò a partecipare alla ricerca. Occhialuto, con la barba, di statura e corporatura media, era uno psicologo, psicoterapeuta e conduttore di workshop di fama internazionale. Era pacato ma diretto, e tutti i suoi amici e pazienti nutrivano per lui un grande affetto. All’epoca, Philip stava iniziando le pratiche per un divorzio che sarebbe

diventato particolarmente lungo e problematico. La sua vita era stata segnata da profondi cambiamenti, perdite e successi, ma sembrava in grado di affrontare le cose positive e quelle negative con la stessa equanimità. Amava dire che il titolo del suo manuale di auto-aiuto sarebbe stato: Sopravvivere alla propria vita. Erano trascorsi almeno cinque anni dall’ultima volta che avevo fatto un’iniezione a qualcuno per via intramuscolare ed ero nervoso all’idea di dover somministrare la prima dose di DMT in questa

maniera. Cosa sarebbe successo se avessi sbagliato? L’ultima iniezione di questo tipo probabilmente era a base di aloperidolo, un antipsicotico, e l’avevo somministrata a un paziente agitato, affetto da psicosi. A questo genere di pazienti spesso gli infermieri o la polizia legavano prima mani e piedi per assicurarsi che il loro comportamento imprevedibile e spaventato non sfociasse in violenza. Le braccia dei pazienti erano dunque sufficientemente ferme per permettermi di fargli l’iniezione.

Cercai di ricordarmi la sicurezza con cui facevo iniezioni intramuscolari, dato che in passato ne avevo fatte a centinaia. Il segreto era quello di vedere la siringa come una freccia. Quando ero studente di medicina mi era stato insegnato che per fare un’iniezione occorreva lanciare questa “freccia” in direzione del muscolo deltoide della spalla o del grande gluteo a livello delle natiche. Un singolo colpo fluido, allentando la pressione non appena l’ago penetrava il muscolo attraverso la pelle, solitamente dava risultati eccellenti. Ci esercitavamo

sui pompelmi. Philip, tuttavia, non era né un pompelmo né un grave paziente psicotico che mi era stato portato per la sedazione forzata. Era un collega, un amico e un volontario che si trovava al mio stesso livello e a quello del mio staff. Philip sarebbe stato l’esploratore. Io e Cindy, la nostra infermiera ricercatrice, saremmo invece rimasti al “campo base” per ascoltare il suo resoconto dopo il suo ritorno. Mentre provavo la mia tecnica di iniezione nell’aria, attraversai il

corridoio ed entrai nella camera di Philip. Lui era sdraiato sul letto; la sua nuova ragazza, Robin, gli sedeva a fianco. Il bracciale della macchina per misurare la pressione gli avvolgeva il braccio. Durante il corso della seduta avremmo controllato di frequente il battito cardiaco e la pressione sanguigna. Spiegai ciò che sarebbe successo: «Inumidirò la tua spalla con l’alcol. Prendi tutto il tempo che ti serve per concentrarti. Poi ti infilerò l’ago nel braccio, lo ritrarrò per assicurarmi di non aver penetrato

un vaso sanguigno e poi premerò lo stantuffo della siringa. Potrà farti male, oppure no. Non lo so proprio. Dovresti sentire qualcosa nel giro di un minuto o anche meno. Però non so cosa sarà questo qualcosa. Sei il primo». Philip chiuse gli occhi per un attimo, come per prepararsi a entrare in un territorio sconosciuto, in mondi che lui solo avrebbe percepito, lasciandoci indietro a controllare le sue funzioni vitali. Spalancò i suoi occhi per guardarci brevemente ancora una volta, poi li chiuse di nuovo, fece un profondo

respiro ed espirando disse: «Sono pronto!» L’iniezione fu eseguita senza intoppi. Dopo poco più di un minuto, Philip aprì i suoi occhi e iniziò a respirare profondamente. Sembrava essere in uno stato alterato di coscienza. Le sue pupille erano dilatate, iniziò a emettere dei gemiti e i tratti del suo volto si distesero. Chiuse gli occhi, mentre Robin gli teneva la mano. Se ne stava disteso estremamente calmo e rimase in silenzio con gli occhi chiusi. Cosa stava succedendo? Stava bene? La

pressione e il battito sembravano regolari, ma che ne era della sua mente? Avevamo esagerato con il dosaggio? O forse non stava avendo effetti di alcun tipo? Dopo circa venticinque minuti dall’iniezione, Philip aprì gli occhi e alzò lo sguardo verso Robin. «Avrei potuto prenderne di più» disse sorridendo. Tirammo tutti un sospiro di sollievo. Un quarto d’ora più tardi, quaranta minuti circa dopo l’iniezione, Philip iniziò a parlare lentamente, in modo titubante:

«Non ho mai perso il contatto con il mio corpo. A differenza di quando ho fumato la DMT , le immagini erano meno intense, i colori non così profondi e i motivi geometrici non si muovevano in modo altrettanto veloce». Cercò la mia mano per avere sicurezza. Le mie mani erano sudate per l’agitazione e si mise a ridere bonariamente della mia ansia, che era di sicuro maggiore della sua! Alzandosi per andare in bagno, Philip barcollava. Bevve del succo d’uva, mangiò uno yogurt e compilò

la scala di valutazione. Mentre camminavamo da un edificio all’altro, dove avevo delle occupazioni da svolgere, si sentiva “sballato”, confuso, a disagio. Era importante stare con lui, osservare come avrebbe reagito nelle due ore successive. Philip sembrava stare abbastanza bene dopo tre ore dall’iniezione di DMT da consentire a Robin di portarlo a casa. Ci salutammo al parcheggio dell’ospedale e gli dissi di aspettarsi una telefonata quella sera. Quando poi parlammo, Philip mi raccontò che lui e Robin erano

andati a pranzo dopo aver lasciato l’ospedale. Era diventato subito più vigile e attento. Nel viaggio verso casa si sentiva euforico e i colori gli apparivano più brillanti, ovunque guardasse. Sembrava piuttosto allegro. Alcuni giorni dopo Philip mi inviò un resoconto scritto. Il commento più significativo è l’ultimo: «Mi aspettavo di saltare a un livello superiore, di lasciare il corpo e la coscienza egoica, il salto nello spazio cosmico. Ma questo non è avvenuto».

Questa soglia a cui si riferisce Philip è quella che ora chiamiamo la “soglia psichedelica” per la DMT . La si oltrepassa quando c’è la separazione della coscienza dal corpo e gli effetti psichedelici si sostituiscono completamente all’ordinario contenuto della mente. C’è un senso di meraviglia e di soggezione, e si ha l’innegabile certezza della realtà dell’esperienza. Chiaramente, ciò non si era verificato con 1 mg/kg di DMT iniettata per via intramuscolare. Era un bene avere Philip a rivestire il ruolo di esploratore. Era

psicologicamente maturo e stabile, e conosceva gli effetti degli psichedelici in generale e della DMT in particolare. Poteva effettuare dei paragoni chiari e comprensibili tra le diverse droghe e i diversi modi di assumerle. Il suo caso fu una valida conferma della nostra decisione di ingaggiare solo chi avesse già avuto esperienza con gli psichedelici. Il resoconto di Philip non lascia dubbi sul fatto che gli effetti della DMT somministrata per via intramuscolare siano più lenti di quelli della DMT fumata. Considerai di aumentare il dosaggio. Tuttavia,

anche se si fossero manifestati i massimi effetti, dubitavo che questa modalità di somministrazione avrebbe provocato il rush, che è un altro segnale tipico di quando la DMT viene fumata. Durante questo rush, che di solito si verifica nei primi quindici-trenta secondi dopo aver fumato la DMT , il trasferimento da un ordinario stato di coscienza a una realtà psichedelica travolgente avviene con una rapidità mozzafiato. È questo effetto da “cannone nucleare” che i consumatori di DMT trovano così paurosamente attraente. Avevamo

senz’altro bisogno di una modalità più rapida per far entrare la DMT nel sistema. La maggior parte di coloro che assumono DMT a scopo ricreativo la fumano in una pipa, spolverata con marijuana o con un’altra pianta non psicoattiva. Questo non è il metodo ideale per introdurre la DMT all’interno del nostro corpo. La droga spesso prende fuoco, il che è sconcertante quando si cerca di inalare più vapore possibile. L’odore della DMT che brucia è estremamente nauseabondo, simile a quello di plastica bruciata. Nel

momento in cui la sostanza comincia a fare effetto e la stanza sembra iniziare a disgregarsi in frammenti di cristallo, e il corpo sembra fare lo stesso, diventa quasi impossibile sapere se si sta inspirando o espirando. In questo stato di intossicazione, immaginate di inalare all’interno dei vostri polmoni la maggior quantità possibile di questa sostanza che sta bruciando e che ha l’odore di un blob chimico! Il modo più veloce ed efficace di somministrare la DMT è tramite iniezione. Le iniezioni

intramuscolari dipendono dal flusso ematico relativamente limitato che circola attraverso i muscoli per far defluire la droga, e si tratta del tipo di iniezione più lenta. Le droghe possono anche essere trasferite nella pelle, o per via sottocutanea, dove il flusso ematico un po’ più abbondante ne fa un metodo di somministrazione più veloce, sebbene di solito più doloroso. L’iniezione all’interno di una vena è il metodo migliore. Dal punto di iniezione il sangue carico di droga ritorna al cuore. Il cuore pompa questo sangue attraverso i polmoni;

da qui ritorna di nuovo nel cuore e poi attraversa il resto del corpo, compreso il cervello. La durata dell’intero processo, definito dai fisiologi come “tempo di circolo braccio-lingua”, di solito è di sedici secondi.3 Mi consultai con il collega che aveva prodotto la DMT , David Nichols, ricercatore presso la Purdue University nell’Indiana. Era d’accordo sul fatto che mi occorreva passare alla via di somministrazione endovenosa. Riflettendo sulla nostra reciproca ansia in merito a questo

cambiamento di programma, aggiunse seccamente: «Sono contento che tocchi a te e non a me». Era il momento di sentire il parere del dottor W., il medico della Food and Drug Administration (FDA ) il quale, dopo avermi aiutato a portare avanti il progetto nei due anni del processo normativo, stava ora supervisionando la sua esecuzione. Quando gli chiesi la sua opinione, si mise a ridere e disse: «Tu sei l’unico ricercatore al mondo che sta somministrando la DMT . Sei tu l’esperto. Decidi tu».

Aveva ragione, ma ero nervoso all’idea di penetrare in un territorio così sconosciuto in modo così rapido, dopo aver somministrato solo una dose di DMT . C’era solo un altro studio pubblicato in passato che descriveva la somministrazione di DMT per endovena, ma era stata effettuata su pazienti psichiatrici e non su volontari sani.4 Quel progetto degli anni ’50 esaminava pazienti gravemente compromessi affetti da schizofrenia, la maggior parte dei quali non era in grado di riportare molto della propria esperienza. In effetti, il battito di

una donna sfortunata non fu percepibile per un breve lasso di tempo dopo aver ricevuto la DMT per endovena. È stato in considerazione di questo resoconto che sono stato così prudente riguardo alle funzioni cardiache di tutti i potenziali volontari.5 Il dottor W. mi consigliò di provare circa un quinto della dose intramuscolare nel passare alla modalità per endovena. «Ciò probabilmente ti darà livelli inferiori di DMT nel sangue e nel cervello rispetto a quelli che hai prodotto somministrandola per via

intramuscolare, e dovresti avere più margine di manovra» disse. «Probabilmente in questo modo non darai una dose eccessiva a nessuno». Nel nostro caso, ciò significava convertire la dose intramuscolare di 1mg/kg in 0.2 mg/kg di DMT per via endovenosa. Philip e Nils si erano offerti entrambi volontari con grande entusiasmo per questa nuova e insondata fase dello studio: trovare un dosaggio soddisfacente di DMT da somministrare per endovena ai volontari. Poiché entrambi avevano fumato in precedenza la DMT ,

saremmo stati in grado di paragonare in maniera diretta gli effetti dell’iniezione endovenosa a quelli della droga fumata. E, nel caso di Philip, avremmo confrontato la modalità intramuscolare con quella endovenosa. Nils aveva trentasei anni quando iniziò il nostro studio. Quando era più giovane si era arruolato nell’esercito con il desiderio di specializzarsi nel campo degli esplosivi. Tuttavia, vide ben presto di non essere adatto al servizio militare e fece richiesta di congedo

anticipato per motivi psicologici. Si dà il caso che Philip fosse lo psicologo che aveva fatto la valutazione su Nils, e da allora erano rimasti amici. Nils era avidamente interessato alle droghe in grado di alterare la mente ed era sempre alla ricerca di una pianta dimenticata o di un prodotto animale in grado di produrre effetti di questo tipo. Aveva scritto diversi pamphlet divulgativi, incluso uno nel quale annunciava la sua scoperta delle proprietà psichedeliche del veleno del rospo del Deserto di Sonora.

Questo veleno contiene alti livelli di 5-MEO-DMT , un composto strettamente legato alla DMT . Quando viene fumato, ha effetti piuttosto impressionanti. Nils era un giovane alto e smilzo, la cui compagnia risultava molto piacevole. Aveva assunto LSD molte volte, «perdendone il conto dopo la centocinquantesima dose». La prima volta che aveva fumato la DMT , l’anno precedente a casa di Philip, era stato profondamente scosso. «Ha prodotto delle forti percezioni telepatiche» disse, «provocando legami mentali con le

persone attorno a me. Ciò era spiazzante e travolgente. Fu molto eccitante quando una voce interiore mi parlò. Era la mia intuizione che si relazionava direttamente con il mio essere. È stata l’esperienza più intensa della mia vita. Ci voglio tornare. Vedevo uno spazio diverso con strisce luminose di colore. Non riuscivo ad alzare le mani, ho viaggiato di brutto. È una Mecca mentale, uno straordinario punto di riferimento per tutti gli altri psichedelici. Attorno a me sembravano esserci degli insetti alieni e mi sono reso conto che

anch’essi facevano parte di questo spazio». Nils ricevette 0.2 mg/kg di DMT per endovena circa una settimana dopo la prima dose intramuscolare di Philip. Le mie sensazioni erano simili a quelle che avevo provato per l’iniezione a Philip; in pratica, sebbene questo giorno fosse una pietra miliare, sembrava anche una prova generale prima di cominciare a fare sul serio. Con molta probabilità avremmo dovuto aumentare la dose. Il giorno della sessione di Nils da 0.2 mg/kg, lo trovai disteso sul letto

dell’ospedale nella sua stanza del Centro di Ricerca, nel suo solito sacco a pelo militare. Portava sempre con sé quel sacco a pelo ovunque andasse, sia in senso letterale che metaforico: nei suoi viaggi on the road e quando assumeva droghe psichedeliche. Cindy e io sedemmo ai lati di Nils. Gli fornii una breve anticipazione di cosa aspettarsi. Annuì per farmi procedere. A metà dell’iniezione, Nils disse: «Sì, ne sento il sapore». Nils si rivelò uno dei pochi volontari in grado di sentire il

sapore della DMT iniettata per endovena non appena il sangue carico di droga affluiva attraverso la bocca e la lingua per raggiungere il cervello. Era un sapore metallico, piuttosto amaro. «Sembra abbastanza veloce» pensai. I miei appunti sono tanto sommari quanto gli effetti di questa dose di DMT iniettata a Nils. Ciò poteva essere dovuto alla sua natura taciturna o al fatto che nessuno di noi rimase particolarmente colpito dall’intensità dell’esperienza.

Osservò, tuttavia, che 0.2 mg/kg corrispondevano «forse da un terzo a un quarto» di una dose completa, in relazione alla sua esperienza in cui aveva fumato la DMT . Sentendomi forse un po’ troppo fiducioso per quanto semplici erano state queste prime due sessioni – l’intramuscolare di Philip e l’endovenosa di Nils – decisi di procedere immediatamente a triplicare la dose: da 0.2 passai a 0.6 mg/kg. La mia fiducia era prematura. Col senno di poi, sarebbe stata più ragionevole una mossa più cauta

raddoppiando la dose, portandola a 0.4 mg/kg. Grazie al cielo, non ero passato direttamente agli 0.8 mg/kg, il che sarebbe accaduto se avessi seguito le considerazioni di Nils secondo cui 0.2 mg/kg era un quarto di una dose completa. Quella mattina sia Philip che Nils stavano dunque per ricevere 0.6 mg/kg di DMT per endovena. Ad Albuquerque quel giorno c’era il sole, faceva freddo e soffiava il vento, ed ero contento di lavorare al chiuso. Entrai nella stanza di Nils nel Centro di Ricerca. Era sdraiato nel suo sacco a pelo, in attesa della

sua prima dose da 0.6 mg/kg. Cindy aveva già sistemato un piccolo ago in una vena dell’avambraccio, la vena porta attraverso cui avrei iniettato la soluzione di DMT direttamente nel suo sangue. Lei si sedette alla sua destra e io alla sua sinistra, dove dal suo braccio penzolava la cannula della flebo. C’era anche Philip; se tutto fosse andato bene con Nils, avrebbe ricevuto la stessa dose più tardi nel corso della mattinata. Si sedette ai piedi del letto, curioso di quello che Nils stava per sperimentare e pronto a fornire supporto morale a

tutti noi. Sospettavamo che avremmo potuto aver bisogno di lui anche per un supporto fisico. Iniettai la soluzione di DMT un po’ più rapidamente di quanto feci con la dose precedente da 0.2 mg/kg: impiegai trenta secondi abbondanti anziché un minuto. Credevo che un’iniezione più rapida potesse richiedere una minor diluizione della DMT nel flusso sanguigno. Ciò avrebbe generato livelli di picco più elevati di DMT nel sangue e, di conseguenza, nel cervello. Dopo che l’iniezione della droga fu completata, Nils esclamò con

eccitazione. «Riesco a sentirla... Eccola qui!» Subito dopo, iniziò a tossire e a girarsi nel sacco a pelo. Poi si tirò su a sedere con un sussulto, esclamando: «Sto per vomitare!» Ci fissò, intontito e incerto. Cindy e io ci guardammo l’un l’altra nello stesso momento, rendendoci conto di non avere nessun contenitore dove potesse vomitare. Non avevamo previsto che i nostri soggetti di ricerca potessero avere la necessità di vomitare. Nils balbettò: «Ma non ho fatto colazione... e quindi non c’è nulla da vomitare».

Nils diventò agitato e sistemò il cuscino e il sacco a pelo sopra la faccia. Si raggomitolò in posizione fetale, lontano da noi e dalla macchina per la misurazione della pressione del sangue, attorcigliando i fili che collegavano il bracciale all’unità. Non riuscimmo a rilevare i dati né ai due minuti, né ai cinque minuti, quando sapevamo che la sua pressione e il suo battito sarebbero stati ai livelli più alti e potenzialmente più pericolosi. Cercò di saltare fuori dal letto agitando in maniera per lo più sconnessa gambe e braccia: in una

persona alta un metro e ottanta era un considerevole ammasso di arti. Quando Cindy, Philip e io unimmo le forze e lo risistemammo in quel letto che ora sembrava troppo piccolo, le sue mani erano fredde e sudate. Al sesto minuto vomitò in un cestino che avevamo trovato nel ripostiglio. Poiché per farlo doveva mettersi seduto, riuscimmo a rimetterlo a letto e ad avere i dati sulla pressione e sul battito cardiaco. A questo punto, dieci minuti dopo l’iniezione, i suoi valori erano sorprendentemente normali.

Si allungò verso Cindy, toccandole il braccio e il maglione. Sembrava come sul punto di accarezzarle i capelli, ma sembrò dimenticarsi rapidamente di quello che stava per fare. Nils allora mi fissò, dicendo: «Ora ho bisogno di guardare te, non Philip o Cindy». Feci del mio meglio per apparire calmo, rispondendo al suo sguardo con il mio, pregando in silenzio che stesse bene. Al diciannovesimo minuto, si alzò sui gomiti e rise. Sembrava parecchio stordito: pupille dilatate, sorriso ebete, borbottava cose insensate.

«Credo che la dose massima migliore sia tra 0.2 e 0.6» disse infine. Ridemmo tutti e la tensione nella stanza si allentò un po’. Nils era ancora in possesso della sua autoironia, persino in quel momento. «C’era il movimento del sé» continuò. «Sono deluso che stia finendo. Era una caffetteria di colori. Una sensazione familiare. Sì, sono tornato. Loro erano là e ci siamo riconosciuti a vicenda». «Loro chi?» chiesi.

«Nessuno o niente di identificabile come tale». Sembrava ancora completamente sotto effetto. Non volevo pressarlo. Scosse il capo e aggiunse: «Scendere dall’alto era molto colorato, ma rispetto a lassù era noioso. Lassù, sapevo di essere tornato dove ero stato quando avevo fumato l’anno scorso. Lasciare quel posto mi ha provocato una sensazione di solitudine. Credevo di essere davvero stato male. Ti sentivo mentre ti protendevi verso di me, come se stessi morendo e tutti voi steste

cercando di resuscitarmi. Speravo che tutto andasse bene. Stavo solo tentando di comprendere quello che stava accadendo dentro». Fece una pausa, poi concluse: «Sono stanco. Vorrei schiacciare un pisolino, ma non ho poi così tanto sonno». Nils aveva poco da aggiungere, se non che aveva una fame da lupi avendo saggiamente saltato la colazione. Mangiò voracemente mentre completava la nostra scala di valutazione. Così persino Nils pensava che la dose di 0.6 mg/kg fosse troppa!

Trascorsi alcuni minuti nella sala d’attesa dell’infermeria, riflettendo su ciò che avevamo appena visto. Dal punto di vista cardiaco, la pressione di Nils e il suo battito erano aumentati solo moderatamente, sebbene avessimo perso i valori del presunto valore massimo. Inoltre, sembrava non esserci alcun danno fisico a seguito del dosaggio di 0.6 mg/kg di DMT per endovena. Tuttavia, non ero sicuro se la brevità del resoconto di Nils fosse dovuta al non riuscire a ricordare ciò che era successo, oppure alla sua tendenza a tenersi

per sé la maggior parte di quello che era accaduto. Avevamo di sicuro oltrepassato la soglia psichedelica. L’immediatezza e l’intensità dei sintomi iniziali, la natura indiscutibile dell’esperienza, la sensazione inusuale descritta da Nils, tutto riconduceva a un trip completo da DMT . Ma era forse troppo oltre la soglia psichedelica? Nils era uno che si autodefiniva un osso duro, poiché rispetto a molti altri gli occorrevano dosi maggiori della stessa droga per raggiungere livelli analoghi di percezioni

alterate. Come sarebbe andata con Philip? Philip e io camminavamo per l’atrio illuminato del Centro di Ricerca. Superammo Nils alla postazione infermieristica, in cerca di altro cibo. Si sentiva benissimo. Era rassicurante vedere che stesse così bene poco dopo il suo salto tormentato nell’abisso della psiche. «Sei sicuro di volere la stessa dose?» chiesi a Philip. «Sì» mi rispose senza alcuna esitazione. Io non ne ero così sicuro.

Se Philip si fosse rifiutato di sottoporsi a un’esperienza simile a quella di Nils, la mia ansia sarebbe diventata più tollerabile. Forse si sarebbe accontentato di 0.5 o 0.4 mg/kg. Sarebbe stato abbastanza facile da fare, potevo semplicemente fermarmi prima di svuotare l’intera siringa piena della soluzione di DMT . Anche se credevo che 0.6 mg/kg fosse un dosaggio sicuro per il fisico, gli effetti potenzialmente distruttivi a livello mentale si sarebbero dispiegati di fronte a tutti noi in maniera ancora più drammatica di quanto era

accaduto durante la sessione di Nils. Ad ogni modo, Philip non sarebbe stato da meno del suo amico e compagno psiconauta. Era pronto per la sua dose di 0.6 mg/kg. C’era una marcata tendenza nei nostri volontari a perseverare persino in previsione di un’esperienza psichedelica distruttiva. Ciò fu evidente durante i test di tolleranza, che ebbero luogo l’anno seguente, nel 1991, in cui i volontari ricevettero quattro dosi elevate di DMT a distanza di soli trenta minuti l’una dall’altra. Non un volontario, per quanto fosse

sfinito, rifiutò la quarta e ultima dose. Il desiderio di Philip di prendere la stessa dose di Nils mi mise di fronte a un dilemma scientifico, personale ed etico. La mia formazione mi aveva insegnato che, quando le circostanze lo richiedono, un medico non dovrebbe evitare di prescrivere una dose abbastanza alta di un medicinale. Ad esempio, dosi molto alte potrebbero essere necessarie per una risposta terapeutica completa in pazienti altrimenti resistenti alla terapia. Inoltre, era importante informarsi

sugli effetti tossici per essere in grado di individuarli velocemente in diverse circostanze. Quest’ultimo punto è ancora più importante quando si sta studiando una nuova droga sperimentale. Rientrava nella mia autorità e responsabilità di principale ricercatore del progetto dire a Philip che non volevo che ripetesse un’esperienza con 0.6 mg/kg di DMT , come quella di Nils. Tuttavia Nils ora sembrava star bene. Ancora più importante, lui era stato il primo e l’unico a ricevere questa dose. Quella mattina avevo in programma

due sedute da 0.6 mg/kg proprio per determinare se quella dose provocava risposte simili in due persone diverse. Mi piaceva Philip e lui voleva assolutamente la sua dose di 0.6 mg/kg. Ma quanto contava il fatto che fossimo amici? Non volevo assecondare la sua richiesta solo perché temevo che il nostro rapporto venisse compromesso, ma volevo che la sua partecipazione a questa prima fase dello studio tornasse utile anche a lui. Per certi versi, ci stava facendo un favore. Philip abitava lontano da

Albuquerque e sarebbe stato sconveniente per lui tornare di nuovo per ricevere 0.6 mg/kg, qualora 0.4 o 0.5 mg/kg non fossero state dosi sufficienti. C’erano diverse priorità in conflitto tra loro. Speravo di aver preso la decisione giusta nell’acconsentire a dare a Philip quei 0.6 mg/kg. Entrando nella sua stanza, salutammo Cindy e Robin, la ragazza di Philip, che erano già lì ad aspettarci. Lui si mise comodo sul letto. Stava per iniziare una nuova seduta da 0.6 mg/kg di DMT somministrata per endovena.

La stanza di Philip, spoglia e asettica, aveva un pavimento di linoleum lucidato con la cera, pareti color rosa salmone e dietro il letto tubi per l’ossigeno, per l’aspirazione delle secrezioni e la fuoriuscita dei liquidi. Aveva affisso un poster di Avalokitesvara, il bodhisattva della compassione dalle mille braccia, all’esterno della porta del bagno di fronte al suo letto. Una televisione, collegata a un groviglio di cavi, pendeva dal soffitto rivolta verso il suo letto, stretto e automatizzato, coperto da finissime lenzuola d’ospedale. L’impianto di aria

condizionata ronzava rumorosamente. Philip si sdraiò sul letto e si mise il più comodo possibile. Cindy inserì in maniera delicata e sicura una flebo endovenosa in una vena dell’avambraccio. Anche il bracciale per la misurazione della pressione era avvolto attorno allo stesso braccio. Nell’altro braccio di Philip era stata introdotta una flebo endovenosa più grande, dalla quale potevamo estrarre il sangue per misurare le concentrazioni di DMT dopo la somministrazione. La flebo era collegata a una sacca di plastica

trasparente che filtrava la soluzione salina sterile all’interno della vena per evitare la coagulazione del sangue nella provetta. Io e Cindy ci sedemmo ciascuno a un lato di Philip, senza sapere cosa aspettarci alla luce della precedente reazione di Nils. Robin si sedette sul bordo, vicino ai piedi del letto. Philip, reduce della sessione snervante di Nils di solo un’ora prima, aveva bisogno di un po’ di preparazione. Sapeva cosa aspettarsi da noi mentre sarebbe stato sotto effetto, sdraiato sul letto. In caso di bisogno, lo avremmo

subito soccorso. Gli augurammo buona fortuna. Chiuse gli occhi, si distese, fece alcuni respiri profondi e disse: «Sono pronto». Guardavo la lancetta dei secondi sull’orologio a parete, aspettando che toccasse il 6 per poter cronometrare l’iniezione di trenta secondi, terminandola nel momento in cui la lancetta si sarebbe fermata sul 12, che avrebbe segnato il time zero. Erano quasi le dieci di mattina. Non appena finii di inserire l’ago della siringa nella flebo, ma prima di premere lo stantuffo e svuotare

la soluzione di DMT nella vena di Philip, bussarono alla porta in modo rumoroso e insistente. Alzai lo sguardo, mi fermai, rimossi l’ago dalla flebo, misi il tappo di protezione e posai la siringa sul comodino accanto al letto di Philip. Il direttore del laboratorio del Centro di Ricerca stava aspettando fuori la porta. Entrai nell’atrio per non farmi sentire dall’interno della stanza. Mi disse che i precedenti campioni di sangue per le analisi sulla DMT erano stati raccolti in modo sbagliato e che occorreva fare in modo diverso. Gli dissi che

avremmo modificato il nostro metodo. Tornai nella stanza di Philip e presi posto nuovamente accanto al suo letto. Sembrava ignaro dell’interruzione; iniziava a volgersi verso di sé e a lasciarsi andare, atteggiamento che scoprimmo essere il più morbido ingresso possibile nei reami della DMT . Per lui il viaggio era già iniziato. Mi scusai per l’interruzione e, cercando di alleggerire l’atmosfera, dissi: «Dove eravamo rimasti?» Philip rispose con un grugnito; aprì gli occhi, annuì per farmi procedere

e li richiuse. Tolsi il tappo alla siringa e reinserii l’ago nella cannula endovenosa. Cindy annuì confermando che anche lei era pronta. «Bene, qui c’è la DMT » dissi. Iniziai a iniettare lentamente e con attenzione 0.6 mg/kg di DMT nella vena di Philip. A metà dell’iniezione il respiro di Philip gli si bloccò in gola, come un colpo di tosse che sembra non finire mai. Presto imparammo che ogni volta che questo blocco del respiro seguiva un’iniezione ad alto

dosaggio ci attendeva un viaggio movimentato. Tranquillamente, dissi a Philip: «È tutta dentro». Venticinque secondi dopo aver completato l’iniezione, iniziò a gemere: «Io amo, io amo...» La sua pressione aumentò moderatamente, ma la sua frequenza cardiaca saltò a 140 battiti al minuto dal valore di riposo di 65. Questo aumento del battito cardiaco è equivalente a quello che può verificarsi dopo aver corso per tre o quattro rampe di scale. Ma in

questo caso, Philip non si era mosso di un millimetro. Passato un minuto, Philip si sedette guardando Cindy e me con occhi grandi e tondi. Le sue pupille erano molto dilatate. I suoi movimenti erano automatici, a scatti, come quelli di una marionetta. Sembrava che dietro le azioni di Philip non ci fosse nessuno. Si chinò verso Robin e le accarezzò i capelli: «Io amo, io amo...» Era successo due volte quella mattina: un volontario, in uno stato

confusionale da DMT , era attratto dai capelli di una donna. Nils da quelli di Cindy, Philip da quelli di Robin. Forse era l’immagine più evocativa di una realtà vivente, organica e familiare disponibile quando ci si guardava attorno in una desolata stanza d’ospedale in uno stato altamente psichedelico. Con nostro sollievo, si distese senza bisogno di sollecitazioni o assitenza. La sua pelle era fredda e sudata, come già era accaduto a Nils. Il suo corpo era nella classica situazione “combatti o fuggi”: pressione sanguigna e battito

cardiaco elevati, sangue che dalla pelle si spostava in profondità negli organi interni, ma il tutto mentre non stava facendo alcuna attività fisica. Era difficile estrarre il sangue di Philip: gli alti livelli degli ormoni dello stress provocarono un restringimento dei piccoli muscoli che ricoprono le vene, riducendo l’afflusso sanguigno superfluo verso la pelle. Al decimo minuto, Philip iniziò a sospirare: «Che bello, che bello!» Lacrime iniziarono a scorrergli lungo le guance.

«È ciò che definiresti un’esperienza trascendente. Sono morto e sono andato in paradiso». Circa trenta minuti dopo l’iniezione, le sue pulsazioni e la pressione sanguigna erano normali. «Stavo volando nell’immensità. Non c’era spazio né dimensione». «Che cosa hai sentito quando il tuo respiro si è bloccato in gola?» domandai. «Ho sentito una sensazione di contrazione e di freddo nella gola. Mi ha spaventato. Credevo che forse avrei smesso di respirare. Per un attimo ho pensato: “Lascia andare,

arrenditi, lascia andare”, poi il rush della droga ha spazzato via anche questo». «Ti ricordi di esserti seduto e aver accarezzato i capelli di Robin?» «Cosa ho fatto?» Quarantacinque minuti dopo l’iniezione, bevendo del tè e senza più sentire alcun effetto della droga, Philip non riusciva a ricordare di essersi seduto, di averci guardato o di aver toccato Robin. Poco dopo appariva rilassato e noi avevamo fiducia che Robin si sarebbe presa cura di lui.

La sera seguente parlai con Philip. Si sentiva un po’ indebolito, ma aveva dormito molto bene. I suoi sogni erano stati «più interessanti del solito», sebbene non particolarmente strani. Nonostante ciò, non riusciva a ricordarne nessuno. Il giorno dopo aveva lavorato dieci ore piene, sebbene non a tutto spiano. «Nessuno a parte me si sarebbe accorto che ero stanco» disse. Sorprendentemente, queste sono le sole annotazioni che ho da quella seduta e dal resoconto del giorno seguente. Ciò strideva parecchio

con le descrizioni, di solito piuttosto eloquenti, che Philip faceva delle sue sessioni con le droghe. Forse, il fatto che aveva attraversato la mattinata senza correre rischi era il dato più importante che ci occorreva sapere. Quella sera, tornando a casa in macchina tra le montagne fuori Albuquerque, impiegai il tempo a ripensare agli avvenimenti del giorno. Ero contento che sia Nils che Philip fossero usciti indenni dalla loro dose di 0.6 mg/kg di DMT . Tuttavia, non avevo imparato molto su quello che avevano davvero

sperimentato. I loro resoconti erano estremamente brevi e mancavano di dettagli. Perché i resoconti di Philip e Nils erano così scarni? Una possibilità era la statespecific memory, il fenomeno per cui gli eventi sperimentati in uno stato di coscienza alterato possono venire ricordati chiaramente solo rientrando in quello stato, ma non in uno stato di coscienza ordinario. Ciò avviene sotto l’influenza di sostanze come alcol e marijuana, e di farmaci come i sedativi Valium, Xanax o i barbiturici. Ma si origina

anche da stati alterati di coscienza non indotti da droghe, come l’ipnosi o i sogni. Nel caso di Philip e Nils, questa ipotesi sarebbe stata plausibile se in seguito essi avessero ricordato di più delle loro sedute da 0.6 mg/kg lavorando con dosi inferiori e più gestibili di DMT . Tuttavia, ciò non si verificò minimamente in nessuno dei due nel corso della loro successiva partecipazione al progetto. Un’altra possibilità è che Nils e Philip avessero sofferto di un leggero delirium, una “sindrome cerebrale organica acuta” o uno

“stato confusionale acuto”. Delirium deriva dal latino de, che significa “da” o “fuori da”, e lira, “solco”; letteralmente, “uscire dal seminato”. Il delirium può avere origine da fattori fisici come febbre, ferite alla testa, mancanza di ossigeno, basso livello di zucchero nel sangue. Inoltre, un’esperienza profondamente traumatica dal punto di vista psicologico può causare uno stato delirante, come accade ai sopravvissuti a gravi traumi o disastri. Non sapevo fino a che punto il “trauma psicologico” potesse aver

contribuito alla confusione di Nils e Philip e alla loro incapacità di ricordare la maggior parte di ciò che era accaduto durante le sessioni con la DMT . Quanto poteva essere una reazione psicologica agli effetti della droga piuttosto che un effetto diretto della droga stessa? Vale a dire, salire una scala per vedere uno spettacolo incredibilmente scioccante potrebbe gettare una persona in uno stato confusionale o delirante, ma la causa risiede in ciò che si è visto e non nella scala in sé. Cosa videro Nils e Philip di così bizzarro, incomprensibile e

totalmente aberrante da far sì che le loro menti si spegnessero per risparmiargli di vedere in modo chiaro quello che c’era? Forse era meglio dimenticare. In entrambi i casi, sia che fosse stata troppo la droga o troppo l’esperienza, quale che fosse l’effetto di questi 0.6 mg/kg di DMT endovenosa in questi due esperti veterani della psichedelia, in pratica emerse solo questo dato: «Troppo». Come Philip disse in seguito: «Era un bagliore cosmico, una tempesta di colori, stupefacente, come se fossi stato gettato in mare durante

una tempesta e stessi girando vorticosamente senza controllo, stappato come un tappo di sughero». Telefonai nuovamente a Dave Nichols per parlare della dose di DMT . Quanto sarebbe dovuta essere una più bassa “alta” dose? Una riduzione a 0.5 mg/kg avrebbe significato diminuire la dose solamente di un sesto, mentre 0.4 mg/kg erano esattamente un terzo in meno. Dovevamo procedere per tentativi. Sebbene volessi assicurarmi che l’alta dose dispiegasse un effetto completo,

non volevo causare traumi psicologici ai nostri volontari. Mi sentivo un po’ incerto dopo gli eventi della giornata con Philip e Nils. «Primo, non fare danni» è la massima fondamentale per la medicina in generale, e ancora di più per la ricerca sull’uomo. Creare un gruppo di volontari con danni psichici non era un’opzione possibile. Mantenendo in primo piano nella nostra discussione gli effetti delle sessioni da 0.6 mg/kg di Philip e Nils, decidemmo di fare di 0.4 mg/kg la dose massima di DMT per la ricerca.

Alcuni giorni dopo telefonai al primo pioniere della DMT , il dr. Stephen Szára, per discutere del dosaggio. Il dr. Szára aveva scoperto gli effetti psichedelici della DMT iniettandosela nel suo laboratorio di Budapest, in Ungheria, a metà degli anni ’50. (Nel corso delle prime fasi della ricerca psichedelica condotta su soggetti umani era normale per i ricercatori sottoporsi per primi agli esperimenti.) Ora stava per terminare una lunga e illustre carriera al US National Institute on Drug Abuse a Washington.

«Ha mai ecceduto nel somministrare DMT ai suoi volontari?» gli domandai. Il dottor Szára ci pensò per un momento, poi rispose con il suo elegante accento dell’Europa Orientale: «Sì. Non ricordavano nulla. Non riuscivano a far tornare alla mente i ricordi dell’esperienza. L’unica cosa che gli restava era la sensazione che fosse successo qualcosa di terribile. Non credevamo valesse la pena somministrare quel tipo di dosi». È sorprendente come molti dei temi che sarebbero emersi durante i

cinque anni successivi apparvero già quella mattina di dicembre, quando somministrai le dosi di 0.6 mg/kg di DMT a Philip e a Nils: esperienze spirituali, di pre-morte e di contatto con loro nei reami della DMT . Io mi ero sentito in conflitto tra l’amicizia e gli obiettivi della ricerca. I limiti dell’ambiente ospedaliero e del modello medico erano stati subito evidenti. Il bisogno di somministrare dosi psichedeliche complete era già frenato dalla consapevolezza che potessero causare reazioni negative. C’era un vasto team di colleghi e

organi di controllo che assistevano il progetto in modi diversi. In una forma o nell’altra, nelle sedute da 0.6 mg/kg di DMT di Philip e Nils c’era già tutto questo. Torniamo ora al contesto di questa ricerca, all’enorme mole di conoscenze sulle droghe psichedeliche e al modo in cui la scienza e la società hanno usato queste informazioni. Poi potremo iniziare a capire il ruolo speciale che la DMT assume nel nostro corpo e le incredibili funzioni che può dispiegare nella nostra vita.

3. Il modo più veloce per far giungere la DMT al cervello è, di sicuro, iniettarla direttamente all’interno di questo organo delicato. Non conosco alcuno studio nel quale i ricercatori abbiano somministrato droghe psichedeliche a soggetti umani in questo modo. Tuttavia esiste un rapporto che descrive la somministrazione diretta di LSD nel liquido cerebrospinale per mezzo della puntura lombare. Poiché il liquido cerebrospinale bagna il cervello, permette un accesso diretto a esso. In questo caso, gli effetti dell’LSD iniziano quasi istantaneamente. Vedi Paul Hoch, Studies in Routes of Administration and Counteracting Drugs, in Lysergic Acid Diethylamide and Mescaline in Experimental Psychiatry, a cura di Louis Cholden, Grune & Stratton 1956, pp. 8-12. 4. Ci sono state persone che hanno usato la modalità endovenosa di somministrazione della DMT in contesti avulsi dalla ricerca o ricreativi.

Uno degli uomini a cui avevo posto delle domande durante il processo di sviluppo della scala di valutazione, negli anni ’60 l’aveva assunta in questo modo. La sua opinione fu che era «solo leggermente più rapida» rispetto a quando la si fumava. 5. William J. Turner Jr. e Sidney Merlis, Effect of Some Indolealkylamines on Man, in «Archives of Neurology and Psychiatry», n. 81, 1959, pp. 121-129.

PARTE I

CONCETTI BASILARI

Capitolo 1

DROGHE PSICHEDELICHE: SCIENZA E SOCIETÀ

La storia dell’utilizzo da parte dell’uomo di piante, funghi e animali per i loro effetti psichedelici è di gran lunga più antica della storia documentata e probabilmente precede la comparsa dell’uomo moderno. Ronald Siegel e Terence McKenna, ad esempio,

sostengono che i nostri antenati scimmie imitavano gli altri animali mangiando cose che gli provocavano un comportamento insolito. In questo modo scoprirono le prime sostanze psicoattive. Esistono sempre più prove materiali a sostegno del fatto che molte antiche culture usavano gli psichedelici per il loro effetto sulla coscienza. Gli archeologi hanno scoperto antichi disegni africani di funghi che spuntano dal corpo umano, e scoperte recenti sulla pittura rupestre nord-europea di epoca preistorica lasciano

fortemente intendere l’influsso di una coscienza alterata per mezzo di psichedelici. Alcuni autori hanno avanzato l’ipotesi che il linguaggio si sia sviluppato grazie agli psichedelici, che permisero una crescente comprensione e associazione dei suoni emessi dai primi ominidi. Altri suggeriscono che gli stati psichedelici abbiano formato le basi della prima consapevolezza umana dell’esperienza religiosa. Le visioni, gli stati estatici e i voli dell’immaginazione resi possibili dalle droghe psichedeliche hanno

assegnato a queste sostanze un ruolo significativo in molte culture antiche. Centinaia di anni di ricerca antropologica hanno dimostrato che queste società usavano gli psichedelici per mantenere la solidarietà sociale, sostenere le pratiche di guarigione e ispirare la creatività in campo artistico e spirituale. Gli indigeni del Nuovo Mondo usavano, e continuano a usare, un’ampia gamma di piante e funghi psicoattivi. Molto di ciò che conosciamo sugli psichedelici deriva dall’aver indagato le sostanze

chimiche trovate dapprima nei materiali presenti nell’emisfero occidentale: DMT , psilocibina, mescalina e diversi composti simili all’LSD. I coloni europei rimasero sorpresi e allarmati dall’uso così ampio e diffuso di queste piante psichedeliche da parte degli indigeni del Nuovo Mondo. La loro reazione era forse dovuta alla mancanza di piante e funghi allucinogeni in Europa. Altrettanto importante era l’associazione delle sostanze psicoattive alle arti magiche. La Chiesa occultò in

maniera efficace le informazioni sull’uso di quelle sostanze sia nel Vecchio che nel Nuovo Mondo, e perseguitò i sostenitori e i praticanti di quelle conoscenze. È solo negli ultimi cinquant’anni che ci siamo resi conto del fatto che l’uso dei funghi allucinogeni da parte degli indigeni messicani non si estinse completamente nel XVI secolo. Fino alla fine del tardo ‘800, in Europa c’era poco interesse o scarsa possibilità di accedere alle piante e alle droghe psichedeliche. Alcuni autori descrissero le proprie reazioni “psichedeliche” all’oppio e

all’hashish, ma la quantità necessaria perché si manifestassero gli effetti psichedelici era difficile da assumere, eccessiva o pericolosa. Questa situazione iniziò a cambiare con la scoperta della mescalina all’interno del peyote, un cactus originario del Nuovo Mondo. Negli anni ’90 dell’800 alcuni scienziati tedeschi isolarono la mescalina dal peyote. Il più letterato tra coloro che ne indagarono gli effetti ne acclamò la capacità di dare accesso a un “paradiso artificiale”. Ad ogni modo, l’interesse riguardo alla mescalina

in ambito medico e psichiatrico era sorprendentemente circoscritto, e i ricercatori pubblicarono solo un numero limitato di saggi fino alla fine degli anni ’30. La spiacevole nausea e il vomito che spesso si manifestavano con la mescalina possono aver avuto qualcosa a che fare con la mancanza di interesse nei suoi riguardi. Un’altra ragione alla base dello scarso entusiasmo per la mescalina poteva essere dovuto alla mancanza di un contesto scientifico e medico nel quale studiarne gli effetti. A quell’epoca era la psicanalisi

freudiana la forza predominante nella psichiatria. Sebbene lo stesso Freud fosse fortemente attratto dalle droghe psicoattive come cocaina e tabacco, i suoi studenti lo erano di meno. Per di più, Freud diffidava della religione e credeva che l’esperienza religiosa o spirituale fosse una difesa contro paure e desideri infantili. Questo atteggiamento probabilmente non contribuì a incoraggiare gli studi sulla mescalina, date le sue implicazioni con la spiritualità dei nativi americani. Poi l’LSD fece la sua comparsa rivoluzionaria.

Nel 1938 il chimico svizzero Albert Hofmann stava lavorando con l’ergot, un fungo della segale, nella Divisione Prodotti Naturali dei Laboratori Sandoz, già all’epoca un’importante casa farmaceutica. Sperava di trovare un farmaco in grado di fermare le emorragie uterine post-partum. Uno di questi composti a base di ergot era l’LSD25, o dietilamide dell’acido lisergico. Non evidenziando alcun effetto farmacologico significativo sull’utero delle cavie del laboratorio, ne accantonò lo studio. Cinque anni dopo, un “curioso

presentimento” fece riprendere in mano a Hofmann lo studio sull’LSD, e per caso ne scoprì le potenti proprietà psichedeliche. La cosa impressionante dell’LSD era che provocava effetti psichedelici a dosi di milionesimi di grammo, il che significava che possedeva una potenza più di mille volte superiore alla mescalina. In effetti, Hofmann finì quasi in overdose assumendo quella che riteneva una quantità troppo esigua per essere psicoattiva: un quarto di milligrammo. Hofmann e i suoi colleghi svizzeri non tardarono a

pubblicare le loro scoperte nei primi anni ’40. A causa della notevole alterazione dello stato mentale provocata dall’LSD, e considerato il contesto della psichiatria tradizionale in cui i ricercatori lo studiarono, gli scienziati decisero di sottolineare le sue proprietà “similpsicotiche”.6 Gli anni che seguirono alla Seconda Guerra Mondiale furono entusiasmanti per la psichiatria. Oltre all’LSD, gli scienziati scoprirono anche le proprietà “antipsicotiche” della Clorpromazina o Torazina. La

Torazina permise ai pazienti affetti da gravi malattie mentali di migliorare al punto da venire dimessi dagli ospedali psichiatrici in numeri senza precedenti. Questo e altri farmaci antipsicotici permisero finalmente ai dottori di fare dei progressi nel trattamento di alcune delle nostre malattie più invalidanti. Il moderno settore della “psichiatria biologica” nacque in quegli anni. Questa disciplina, che studia la relazione che intercorre tra la mente umana e la sua chimica cerebrale, era figlia di questi due

strani partner: LSD e Torazina. E la serotonina organizzò l’incontro. Nel 1948 i ricercatori scoprirono che la serotonina trasportata nel flusso sanguigno era responsabile della contrazione dei muscoli che ricoprono vene e arterie. Questo fu di vitale importanza per capire come controllare il processo emorragico. Il nome serotonina deriva dal latino sero, “sangue”, e tonin, che significa “stringere”. Alcuni anni più tardi, a metà degli anni ’50, venne scoperta la serotonina nel cervello degli animali da laboratorio. Esperimenti

successivi dimostrarono l’esatta collocazione e i suoi effetti sulle funzioni elettriche e chimiche delle singole cellule nervose. Le droghe o gli interventi che modificavano le aree del cervello di un animale contenenti serotonina ne alteravano profondamente il comportamento sessuale e l’aggressività, così come il sonno, la veglia e un’ampia gamma di funzioni biologiche fondamentali. La presenza e la funzione della serotonina nel cervello e nel comportamento animale confermarono il suo ruolo

di

primo conosciuto.7

neurotrasmettitore

Contemporaneamente, gli scienziati mostrarono che le molecole di LSD e di serotonina apparivano molto simili tra loro. Dimostrarono allora che LSD e serotonina si contendevano molti degli stessi siti cerebrali. In alcune situazioni sperimentali, l’LSD inibiva gli effetti della serotonina; in altre, lo psichedelico simulava i suoi effetti. Queste scoperte qualificarono l’LSD come lo strumento più potente a disposizione per indagare sulle

relazioni tra mente e cervello. Se le straordinarie proprietà a livello sensoriale ed emozionale dell’LSD dipendevano dal modificare la funzione della serotonina presente nel cervello in maniera definita e comprensibile, sarebbe stato possibile “dissezionare chimicamente” particolari funzioni mentali nelle loro componenti fisiologiche di base. Altre droghe psicoattive dagli effetti similmente ben caratterizzati sui diversi neurotrasmettitori potevano condurre a decodificare la varietà

delle esperienze coscienti nei loro processi chimici sottostanti. Decine di ricercatori nel mondo somministrarono una vertiginosa varietà di sostanze psichedeliche a migliaia di volontari sani e pazienti psichiatrici. Per più di vent’anni, il generoso sostegno finanziario di enti governativi e privati sovvenzionò queste ricerche. I ricercatori pubblicarono centinaia di saggi e decine di libri. Molte conferenze, incontri e convegni internazionali trattarono delle ultime scoperte nella ricerca psichedelica.8

I Laboratori Sandoz fornirono LSD ai ricercatori in modo che potessero provocare un breve stato psicotico nei volontari sani. Gli scienziati speravano che esperimenti di questo genere potessero far luce su quei disturbi psicotici, come la schizofrenia, che si verificano in modo spontaneo. La Sandoz raccomandò anche di somministrare l’LSD al personale medico dei reparti psichiatrici per creare un’empatia con i pazienti psicotici. Quei giovani dottori furono stupefatti da questo contatto temporaneo con la follia. Il brusco

incontro con ricordi e sentimenti precedentemente inconsci fece supporre a questi psichiatri che tali proprietà di espansione mentale potessero potenziare la psicoterapia. Numerose pubblicazioni suggerirono che i normali meccanismi della talk therapy erano molto più efficaci con l’aggiunta di una sostanza psichedelica. Decine di articoli scientifici documentarono il notevole successo nella cura di pazienti, in precedenza non trattabili, che soffrivano di

ossessioni e compulsioni, stress post-traumatico, disturbi dell’alimentazione, ansia, depressione, alcolismo e dipendenza da eroina. I veloci progressi descritti dai ricercatori che facevano uso della “psicoterapia psichedelica” incoraggiarono altri ricercatori a studiare gli effetti positivi di queste droghe nei malati terminali. Mentre sulle condizioni mediche soggiacenti si riscontrarono blandi effetti, la psicoterapia psichedelica in questi pazienti rivelò effetti sorprendenti dal punto di vista

psicologico. La depressione scompariva, la necessità di farmaci per la cura del dolore diminuva in maniera consistente, e l’accettazione da parte dei pazienti della malattia e della loro prognosi accresceva considerevolmente. Inoltre, i pazienti e i loro familiari sembravano approcciarsi a questioni profonde ed emotivamente intense in una maniera mai riscontrata prima. La rapida accelerazione della crescita psicologica risultante da questo nuovo trattamento sembrava promettente soprattutto nei casi in

cui il tempo era fondamentale. Alcuni terapeuti credevano che un’esperienza trasformativa, mistica o spirituale fosse responsabile di molte di queste “miracolose” risposte alla psicoterapia psichedelica.9 Inoltre, divenne presto evidente che le esperienze descritte dai volontari sotto la profonda influenza degli psichedelici erano sorprendentemente simili a quelle di chi praticava la meditazione orientale. Il sovrapporsi tra l’alterazione della coscienza causata dalle droghe psichedeliche e quella

indotta dalla meditazione attirò l’attenzione di scrittori al di fuori degli ambienti scientifici, compreso il romanziere e filosofo spirituale inglese Aldous Huxley. Huxley ebbe esperienze straordinariamente positive con mescalina e LSD sotto l’occhio vigile dello psichiatra canadese Humphrey Osmond, che gli fece visita a Los Angeles negli anni ‘50. Ben presto Huxley scrisse delle sue sessioni con la droga e delle riflessioni che gli ispirarono. I suoi scritti sulla natura e sul valore dell’esperienza psichedelica erano avvincenti ed eloquenti, e

ispirarono molti individui a tentare di raggiungere – e i ricercatori a generare – l’illuminazione spirituale attraverso le sostanze psichedeliche. A dispetto del fatto che queste idee fomentarono la nascita di un imponente movimento favorevole alla sperimentazione popolare degli psichedelici, Huxley restava un accanito sostenitore della teoria per cui solo un ristretto gruppo di intellettuali e artisti avrebbe dovuto accedervi. Non credeva che gli uomini e le donne comuni fossero in grado di far uso degli psichedelici

nei modi più sicuri e proficui possibili.10 In ogni caso, gli studi sulle malattie terminali e le discussioni sulle somiglianze tra gli effetti delle droghe psichedeliche e le esperienze mistiche unirono religione e scienza in un legame precario. La ricerca stava andando molto più in là dei progetti originali della Sandoz. A complicare ulteriormente le cose ci fu la fuga dell’LSD dal laboratorio negli anni ’60. Notizie di ricoveri d’urgenza, suicidi, omicidi, malformazioni congenite e

alterazioni cromosomiche riempirono i media. Il ben pubblicizzato abbandono dei principi della ricerca scientifica da parte di Timothy Leary e del suo team all’Università di Harvard fu la causa del loro licenziamento. Questi avvenimenti rinforzarono il crescente sospetto che persino gli scienziati avessero perso il controllo di queste potenti droghe psicoattive.11 I media esagerarono ed enfatizzarono gli effetti negativi delle droghe psichedeliche a livello fisico e psicologico. Alcuni di questi

resoconti derivavano da scarse ricerche; altri erano semplicemente inventati. Successive pubblicazioni assolsero gli psichedelici dall’accusa di grave tossicità e di danneggiare i cromosomi. Tuttavia, questi studi successivi generarono molto meno scalpore di quanto avevano fatto gli iniziali resoconti compromettenti. Nella letteratura psichiatrica si moltiplicarono i saggi che descrivevano i bad trip o le reazioni psicologiche avverse agli psichedelici. Per affrontare queste preoccupazioni nell’ambito della mia ricerca, ho letto ogni

documento che descriveva tali effetti negativi e pubblicato i risultati. Era chiaro che la percentuale delle complicazioni di carattere psichiatrico era incredibilmente bassa nei setting di ricerca monitorati, sia nei volontari sani che nei pazienti psichiatrici. Tuttavia, quando individui instabili o affetti da disturbi psichici assumevano sostanze psichedeliche alterate o sconosciute, mescolate con alcol o altre droghe, in un setting senza controllo e adeguata supervisione, si verificavano dei problemi.12

In risposta all’ansia mostrata dall’opinione pubblica sull’uso incontrollato di LSD, e nonostante le obiezioni di quasi ogni ricercatore nel campo, nel 1970 fu approvata dal Congresso una legge che dichiarava illegali l’LSD e altri psichedelici. Il governo disse agli scienziati di restituire le loro forniture di droga, la documentazione necessaria per ottenere e mantenere nuove forniture di psichedelici per la ricerca divenne un’impresa, e c’era poca speranza riguardo a nuovi progetti. Il denaro per gli studi si

esaurì e i ricercatori abbandonarono i loro esperimenti. Con le nuove leggi sulle droghe in vigore, l’interesse nella ricerca psichedelica si estinse quasi con la stessa rapidità con cui un tempo si era destato. Era come se le droghe psichedeliche fossero diventate “sconosciute”. Considerando il ritmo intenso della ricerca sugli psichedelici solo trent’anni fa, è incredibile quanto poco insegnino oggi a riguardo i programmi di studio in medicina e psichiatria. Gli psichedelici furono la principale area di sviluppo in

psichiatria per oltre vent’anni Ora i giovani medici e psichiatri non sanno quasi nulla in merito. Quando ero studente di medicina nella metà degli anni ’70, meno di dieci anni dopo il cambiamento delle leggi sulle droghe, gli psichedelici furono l’argomento di appena due lezioni nei miei quattro anni di studio. Persino ciò costituiva un’informazione più ampia di quella ricevuta dagli studenti nella maggior parte degli altri istituti di medicina, perchè all’Albert Einstein College of Medicine di New York, dove mi

sono formato, c’era un gruppo di ricerca che svolgeva esperimenti sugli animali. Nella metà degli anni ’90 tenni un seminario sulle droghe psichedeliche rivolto agli psichiatri più anziani dell’Università del New Mexico, probabilmente l’unico nel suo genere in quella regione nel corso di moltissimi anni. Il disinteresse accademico nei riguardi degli psichedelici poteva essere dovuto, in parte, all’assenza di una qualsiasi ricerca in corso sull’uomo. In ogni caso, è normale per i medici “in fase di formazione” informarsi sulle principali teorie e

tecniche del passato, anche se non sono più viste con favore. Le droghe psichedeliche, tuttavia, sembrarono aver abbandonato ogni discussione in campo psichiatrico. La maggior parte delle teorie, delle tecniche e delle droghe nel campo della psichiatria clinica segue un corso evolutivo prevedibile non appena vengono introdotte, testate e messe a punto per successivi impieghi. Pertanto non deve affatto sorprendere se iniziarono a emergere risultati contrastanti nel momento in cui si accumularono più dati, nel corso

della prima ondata della ricerca psichedelica. All’entusiasmo si sostituirono prevedibilmente obiezioni sul fatto che gli psichedelici potessero produrre un “modello di psicosi” o una “cura” nei casi non trattabili con la psicoterapia. Per gli scienziati, il modo naturale di procedere nella ricerca psichiatrica è quello di affinare problemi, metodi e applicazioni. Questo non si verificò mai con le droghe psichedeliche. Anzi, il loro studio attraversò un’evoluzione estremamente innaturale. Iniziarono come

“droghe della meraviglia”, si tramutarono in “droghe dell’orrore” e poi si ridussero al nulla. Credo che agli studenti di medicina e ai tirocinanti in psichiatria venga insegnato così poco sulle droghe psichedeliche non perché la ricerca sia terminata, ma a causa di come sia terminata. Ciò ha profondamente demoralizzato la psichiatria accademica, che ha dunque voltato le spalle alle droghe psichedeliche. La ricerca psichedelica è stata un capitolo bruciante e umiliante nella vita di molti dei suoi più eminenti

scienziati, tra i migliori e più brillanti psichiatri della loro generazione. Molti dei più apprezzati ricercatori nordamericani ed europei di oggi, sia in campo accademico che nell’industria farmaceutica, ora a capo delle principali facoltà universitarie e presidenti di organizzazioni psichiatriche nazionali, hanno iniziato la loro carriera professionale partendo dalla ricerca sulle droghe psichedeliche. I membri più influenti della loro professione scoprirono che la scienza, i dati e la

ragione erano incapaci di difendere la loro ricerca contro l’attuazione di leggi repressive alimentate da opinioni e sentimenti, e dai media. Una volta approvate queste leggi, l’amministrazione governativa e le agenzie di finanziamento revocarono velocemente i permessi, le droghe e il denaro. Le stesse droghe psichedeliche che i ricercatori ritenevano essere l’unica chiave di accesso alle malattie mentali, e che avevano dato la possibilità di far carriera a molte persone, divennero temute e odiate.

Un altro problema era che gli psichedelici stavano diventando un’imbarazzante fonte di contesa persino all’interno della stessa psichiatria. Gli psichiatri di estrazione biologica avevano poca pazienza nei confronti dei colleghi che “avevano trovato la religione” e propagandavano gli effetti spirituali di queste droghe. Questi ultimi consideravano di mentalità ristretta e repressi i loro colleghi “cerebrali”. La psichiatria non è mai stata particolarmente a suo agio con le questioni di carattere spirituale, e infatti si originò nel settore

un’ulteriore spaccatura per contendersi i risultati della ricerca psichedelica: la psicologia “transpersonale”. Così, quantomeno qualche ricercatore psichedelico avrebbe potuto serenamente sentirsi sollevato dal non dover più affrontare molti degli effetti complessi, contraddittori e confusi che tali droghe producevano nei pazienti, in loro stessi e nei loro colleghi. Perché qualcuno avrebbe dovuto desiderare di tenere una conferenza su questo imbarazzante capitolo nella storia della psichiatria

accademica di fronte a un pubblico gremito di brillanti studenti di medicina? Il primo gruppo di ricercatori psichedelici era composto per la maggior parte da scienziati professionisti, non da fanatici. Sapevano di non dover criticare pubblicamente il comportamento dei loro colleghi e benefattori. Era meglio imparare dall’esperienza.13 Dopo aver passato in rassegna alcuni dei momenti salienti della storia degli psichedelici, vediamo ora cosa fanno.

Gli psichedelici manifestano i loro effetti a seguito di un complesso intreccio di tre fattori: il set, il setting e la droga. Il set è ciò che noi stessi ci aspettiamo, sia nell’immediato che nel lungo periodo. È il nostro passato, il nostro presente e il nostro potenziale futuro; le nostre preferenze, idee, abitudini e sentimenti. Il set include anche il nostro corpo e il nostro cervello. L’esperienza psichedelica dipende anche dal setting: chi o cosa c’è o non c’è nelle nostre immediate vicinanze; l’ambiente in cui ci

troviamo, sia esso naturale o urbano, interno o esterno; la qualità dell’aria e i suoni dell’ambiente, e così via. Il setting ha a che fare anche con il set di chi è con noi mentre assumiamo la droga, che si tratti di un amico o di uno sconosciuto, che sia rilassato o teso, che sia una guida che ci sostiene o uno scienziato. Poi c’è la droga. Per prima cosa, come la chiamiamo? Persino tra i ricercatori non c’è accordo su questo punto cruciale. Alcuni non usano nemmeno la parola droga,

prefendole piuttosto molecola, composto, agente, sostanza, medicinale o sacramento. Anche se convenissimo di chiamarla semplicemente droga, si noti quanti nomi diversi abbia: allucinogeno (procura allucinazioni), enteogeno (genera il divino), misticomimetico (riproduce stati mistici), onirogeno (provoca sogni), fanerotimo (riproduce sensazioni visibili), fantasticante (stimola la fantasia), psicodislettico (provoca disturbi mentali), psicotomimetico e psicotogeno (rispettivamente simula o provoca

psicosi), psicogeno e schizogeno (un veleno che causa rispettivamente psicosi o schizofrenia). Questa attenzione posta sui nomi non è di poco conto. Se tutti fossero d’accordo su cosa è o fa uno psichedelico, di sicuro non esisterebbero così tanti termini per definire la stessa droga. La moltitudine di etichette riflette il profondo dibattito, che va avanti tuttora, sulle droghe psichedeliche e i loro effetti. Gli scienziati raramente riconoscono l’importanza del nome

che danno agli psichedelici, nonostante sappiano quanto fortemente le aspettative modificano gli effetti della droga. Tutti gli studenti di psicologia imparano ciò durante i loro primissimi corsi, quando passano in rassegna le fondamentali ricerche pubblicate negli anni ’60. In questi esperimenti veniva iniettata ai volontari l’adrenalina, l’ormone del “combatti o fuggi”, nell’ambito di diversi set di aspettative. L’adrenalina provocava degli stati di calma e di rilassamento in quei volontari ai quali era stato detto che

avrebbero ricevuto un sedativo. Se gli veniva detto che la droga sperimentale era stimolante, i volontari sentivano i più tipici effetti energetici e ansiogeni.14 Pertanto, il nome con cui chiamiamo la droga che assumiamo, o che somministriamo, influenza le nostre aspettative su ciò che quella stessa droga farà. Modifica addirittura i suoi effetti e il nostro modo di interpretarli e di considerarli. Nessun altro nome dato a una droga influisce così potentemente sugli effetti che dispiega come nel caso degli

psichedelici, perché essi amplificano oltremodo la nostra suggestionabilità. Oltre al modo in cui chiamiamo gli psichedelici, anche i termini che applichiamo a coloro che ne fanno uso hanno ripercussioni sul set e sul setting, e quindi sulla risposta della droga. In qualità di colui che assume la droga, ci poniamo come soggetti della ricerca o come volontari? Clienti o celebranti? In qualità di colui che la somministra, ci consideriamo guide, facilitatori o dei ricercatori? Sciamani o scienziati?

Provate a fare questo esercizio mentale. Immaginate come potreste sentirvi in qualità di “soggetto della ricerca” sotto l’effetto di un “agente psicotomimetico”. Poi pensate di nuovo: come vi sentireste nel ruolo di “celebrante” in una “cerimonia” con un “sacramento enteogenico”? In che modo questi diversi contesti potrebbero influenzare la vostra interpretazione delle allucinazioni e gli intensi sbalzi d’umore provocati dalla droga? Vi sembrerebbe di impazzire o di avere un’esperienza di illuminazione?

Se steste somministrando degli psichedelici, che tipi di comportamento vi aspettereste dai soggetti della ricerca e quali trascurereste? Molto dipenderà da ciò che starete somministrando: se uno “schizogeno” o un “fantasticante”. Potreste incoraggiare una out of body experience (OBE) in un contesto “sciamanico”, ma potreste interrompere i medesimi effetti somministrando un antipsicotico in una situazione “psicotomimetica”.15

Allucinogeno è il termine medico più comune per indicare le droghe psichedeliche, ed enfatizza gli effetti sulle percezioni, per lo più visive, di queste droghe. In ogni caso, sebbene gli effetti degli psichedelici sulle percezioni siano consueti, non sono gli unici effetti e nemmeno i più apprezzati. Le visioni in effetti possono distrarre dalle proprietà più ricercate dell’esperienza, quali un’intensa euforia, profonde intuizioni intellettuali e spirituali, e il dissolvimento dei confini fisici del corpo.

Preferisco il termine psichedelico, “che manifesta la mente”, rispetto ad allucinogeno. Gli psichedelici ti mostrano quel che c’è dentro la tua mente e cosa avviene al suo interno: i pensieri subconsci e i sentimenti nascosti, insabbiati, dimenticati, celati alla vista, forse addirittura completamente inaspettati, ma cionondimeno presenti in modo incalzante. In relazione al set e al setting, la stessa droga, con la stessa dose, può provocare risposte molto diverse nella stessa persona. Un giorno può accadere poco o nulla; un altro

giorno, ti levi in volo, colmo di rivelazioni estatiche e penetranti; un altro giorno ancora, ti fai strada a fatica in un terribile incubo. La natura generica di psichedelico, un termine che si presta a così tante interpretazioni, si adatta a tutti questi effetti. Il termine psichedelico ha assunto vita propria sia dal punto di vista culturale che linguistico. Oggi può riferirsi a un particolare stile artistico, al modo di vestire, o perfino a un insieme di circostanze particolarmente intenso. Quando lo si trova in un discorso sulle droghe,

il termine psichedelico agita inoltre le emozioni e i conflitti intensi degli anni ’60 su questioni di carattere politico e sociologico non direttamente correlate. Molti di noi, quando sentono il termine “psichedelico”, pensano oggi a “controcultura”, “ribelle”, “liberale” o “di sinistra”. Ad ogni modo, correrò i miei rischi e lo utilizzerò in questo libro. Credo che sia il termine migliore che abbiamo. Spero di non offendere chi lo trova discutibile. A prescindere dal termine con cui le chiamiamo, molti di noi

concordano sul fatto che le droghe psichedeliche siano della cose fisiche, chimiche. È a questo livello più elementare che possiamo iniziare a capire cosa sono e come agiscono. I diagrammi che accompagnano le seguenti descrizioni mostrano la struttura chimica di svariati composti psichedelici. Le sfere simboleggiano gli atomi, il più comune dei quali è il carbonio, che non è contrassegnato. “N” significa azoto, “P” fosforo e “O” ossigeno. Numerosi atomi di idrogeno sono uniti ad altri atomi all’interno delle

molecole; tuttavia, ce ne sono così tanti che avrebbero confuso inutilmente il diagramma, così qui non li ho inclusi. Ci sono due principali famiglie chimiche di droghe psichedeliche: le fenetilamine e le triptamine.16 Le fenetilamine derivano dal “composto-madre” fenetilamina. La fenetilamina più celebre è la mescalina, che deriva dal cactus peyote del sud-ovest americano. Un’altra famosa fenetilamina è l’MDMA o “Ecstasy”. L’altra principale famiglia chimica di droghe psichedeliche è quella

delle triptamine. Possiedono tutte un nucleo, o una particella elementare di base, di triptamina. La triptamina è un derivato del triptofano, un aminoacido presente nella nostra dieta La serotonina è una triptamina – 5-idrossitriptamina, per essere esatti – ma non è psichedelica. Contiene un atomo di ossigeno in più rispetto alla triptamina.

Il “nonno” di tutti gli attuali psichedelici, l’LSD, contiene un nucleo di triptamina, così come l’ibogaina, uno psichedelico di origine africana con proprietà antidipendenza altamente pubblicizzate. Anche la DMT è una triptamina ed è lo psichedelico più semplice. Basta aggiungere due gruppi metili alla molecola di triptamina e il risultato è la “dimetiltriptamina”: DMT .17 Una delle più celebri triptamine psichedeliche è la psilocibina,

l’ingrediente attivo dei funghi allucinogeni. Quando questi funghi vengono ingeriti, il corpo rimuove un atomo di fosforo dalla psilocibina, convertendola in psilocina. La psilocina differisce dalla DMT solo per un atomo di ossigeno. Mi piace pensare alla psilocibina/psilocina come a “DMT attiva a livello orale”. Un’altra importante triptamina è la 5-metossi-DMT , o 5-MEO-DMT . Differisce dalla DMT per l’aggiunta di un solo un gruppo metile e di un atomo di ossigeno.

Molte delle piante, funghi e animali che contengono la DMT possiedono anche la 5-MEO-DMT . Come per la DMT , coloro che fanno uso di 5-MEO-DMT di solito la fumano.18 Oltre alla loro struttura chimica, gli psichedelici svolgono delle attività. Qui la chimica diventa farmacologia: lo studio dell’azione delle droghe. Un modo per descrivere l’azione degli psichedelici è considerare la rapidità dei loro effetti e la loro durata.

Gli effetti di DMT e 5-MEO-DMT sono straordinariamente rapidi e di breve durata. Abbiamo somministrato la DMT per endovena, nel qual caso i volontari l’hanno percepita nel giro di pochi battiti, raggiungendo il massimo degli effetti tra il primo e il secondo minuto, e tornando “normali” tra i venti e i trenta minuti dall’assunzione. LSD, mescalina e ibogaina hanno una durata più lunga. Gli effetti iniziano dai trenta ai sessanta minuti dopo averle ingerite. Gli effetti di LSD e mescalina possono durare dodici ore, quelli

dell’ibogaina fino a ventiquattr’ore. Gli effetti della psiclocibina durano un po’ meno: iniziano nel giro di trenta minuti e durano dalle quattro alle sei ore. Un altro aspetto basilare della farmacologia è il “meccanismo di azione” o il modo in cui le droghe influiscono sull’attività del cervello. È una questione cruciale, perché è tramite l’alterazione della funzione cerebrale che gli psichedelici trasformano la coscienza. I primi esperimenti psicofarmacologici sull’uomo e sugli animali suggerirono che LSD,

mescalina, DMT e altre droghe psichedeliche dispiegavano i loro effetti principali sul sistema serotoninergico del cervello. La ricerca sugli animali, a differenza di quella sull’uomo, è continuata negli ultimi trent’anni e ha decretato senza ombra di dubbio il ruolo primario di questo neurotrasmettitore. Per decenni la serotonina è stata la sovrana dei neurotrasmettitori, e la situazione non è cambiata molto. I più recenti, sicuri ed efficaci farmaci antipsicotici hanno tutti effetti singolari sulla serotonina.

Anche gli antidepressivi di ultima generazione, dei quali il più noto è il Prozac, modificano in maniera specifica la funzione di questo neurotrasmettitore. Oggi crediamo che gli psichedelici simulino in alcuni casi l’effetto della serotonina e in altri lo inibiscano. I ricercatori si stanno ora occupando di determinare a quali dei circa venti diversi tipi di recettori della serotonina si attaccano gli psichedelici. Questi siti di attracco multipli per la serotonina sono presenti in grandi concentrazioni sulle cellule nervose

in alcune aree cerebrali, dove regolano importanti processi di carattere fisico e psicologico: cardiovascolari, ormonali, di termoregolazione, ma anche del sonno, della fame, dell’umore, delle percezioni sensoriali e del controllo motorio. Ora che abbiamo visto cosa sono e cosa fanno gli psichedelici nel mondo dei dati oggettivi e misurabili, spostiamo la nostra attenzione sul modo in cui ci toccano, perché è solo nella mente che notiamo i loro effetti.

È importante ricordare che, sebbene comprendiamo molto della farmacologia degli psichedelici, non sappiamo quasi nulla di quel che succede nella chimica del cervello in relazione all’esperienza soggettiva e interiore. Ciò vale sia per gli psichedelici che per il Prozac. In poche parole, siamo lontani dal capire come l’attivazione di specifici recettori della serotonina si traduca in nuovi pensieri ed emozioni. Noi non percepiamo il blocco di un recettore della serotonina; piuttosto, percepiamo l’estasi. Non vediamo l’attivazione del lobo

frontale; osserviamo invece angeli e demoni. È impossibile prevedere con certezza ciò che accadrà dopo aver assunto in un giorno qualsiasi una droga psichedelica. Ciononostante, parleremo in termini generali dei loro effetti soggettivi, per avere l’idea di una reazione “tipica”. Ciò è possibile facendo la media delle nostre personali esperienze e di quelle degli altri, e di tutti i trip che ci sono stati prima di noi. (Con trip mi riferisco agli effetti completi di una tipica droga psichedelica come LSD, mescalina, psilocibina o DMT . È

difficile definire un trip, ma di certo sappiamo quando ne stiamo avendo uno!) Le seguenti descrizioni non si riferiscono agli psichedelici “leggeri”, come MDMA o marijuana, e non descrivono nemmeno le reazioni a basse dosi di psichedelici, i cui effetti sono simili a quelli di altre droghe non psichedeliche, come le anfetamine. Gli psichedelici influenzano tutte le nostre funzioni mentali: percezione, emozione, pensiero, consapevolezza corporea e coscienza di sé.

Spesso, ma non sempre, gli effetti sulle percezioni e sulle sensazioni sono quelli primari. Gli oggetti nel nostro campo visivo appaiono più luminosi o più offuscati, più grandi o più piccoli, e sembrano mutare di forma e fondersi. Sia a occhi chiusi che aperti, vediamo cose che hanno poco a che fare col mondo esterno: motivi roteanti, colorati e geometrici dai contorni incerti, o immagini ben nitide di oggetti animati o inanimati, in varie condizioni di movimento o attività. I suoni sono più bassi o più forti, più acuti o più attutiti. Sentiamo

nuovi ritmi nell’aria. Nell’ambiente prima silenzioso compaiono canti o suoni meccanici. La pelle è più o meno sensibile al contatto. La nostra capacità di gustare e odorare diventa più o meno acuta. Le nostre emozioni traboccano impetuosamente oppure si placano. Ansia o paura, piacere o rilassamento, tutti gli stati d’animo crescono e calano, sono intensi in maniera schiacciante, oppure assenti in modo frustrante. Agli estremi si trovano il terrore e l’estasi. Due stati d’animo opposti

possono coesistere nello stesso momento. I conflitti emozionali diventano più dolorosi, oppure sopraggiunge una nuova accettazione delle emozioni. Si ha una nuova comprensione dei sentimenti degli altri, oppure una totale indifferenza nei loro confronti. I nostri processi mentali accelerano o rallentano. I pensieri stessi diventano più confusi o più chiari. Notiamo l’assenza di pensieri o è impossibile contenere il flusso di nuove idee. Arrivano nuove intuizioni sui problemi, oppure ci

troviamo intrappolati senza speranza in una gabbia mentale. Il significato delle cose assume un’importanza maggiore delle cose stesse. Il tempo collassa: due ore passano in un attimo. Oppure il tempo si espande: un minuto contiene una serie infinita di sensazioni e idee. Il nostro corpo è caldo o freddo, pesante o leggero; i nostri arti si espandono o si restringono; ci muoviamo verso l’alto o verso il basso nello spazio. Sentiamo che il corpo non esiste più, oppure che la mente e il corpo sono separati.

Ci sentiamo più o meno in controllo di noi stessi. Sentiamo come gli altri influenzano la nostra mente e il nostro corpo in modo benefico o spaventoso. Il futuro è nelle nostre mani, oppure il fato ha determinato tutto e non c’è nulla da fare. Gli psichedelici influiscono su ogni aspetto della nostra coscienza. È questa coscienza straordinaria che separa la nostra specie da tutte le altre inferiori a noi e che ci dà accesso a quello che consideriamo il mondo divino sopra di noi. Forse c’è un altro motivo per cui gli

psichedelici sono così spaventosi e così fonte di ispirazione: incrinano e distendono i pilastri fondamentali, le caratteristiche strutturali e intrinseche della nostra identità umana. Queste sono le droghe psichedeliche. Esiste un contesto ampio e complesso nel quale esaminarle, una prospettiva che pochi apprezzano. Non sono sostanze nuove e sappiamo molto sul loro conto. Hanno fatto il loro ingresso nell’era moderna della psichiatria biologica, e il loro abuso, ampiamente divulgato dai media,

ha prematuramente fatto cessare gli sforzi in direzione di una ricerca sull’uomo straordinariamente fertile. È stato in questo calderone ribollente di conflitti, ambivalenze e controversie che ho cercato di trovare un punto da cui partire e una chiara visuale per delineare il mio programma di ricerca. Dove avrei potuto trovare un appiglio? In che direzione avrei dovuto guardare? Avevo bisogno di una chiave con cui aprire la serratura che teneva sepolta la ricerca psichedelica.

Al di fuori di questa palude virtuale emerse una piccola molecola oscura: la DMT . Non potevo ignorare il suo richiamo, sebbene non avessi idea di come l’avrei raggiunta. E non potevo nemmeno immaginare dove mi avrebbe condotto una volta trovata. 6. Per pubblicazioni di dati storici riguardo all’importanza degli psichedelici presenti in natura, si vedano Marlene Dobkin de Rios, Hallucinogens: Cross-Cultural Perspectives (University of New Mexico Press 1984); Peter Furst, Flesh of the Gods: The Ritual Use of Hallucinogens (Waveland 1990). Per riflessioni più speculative su questi argomenti si faccia riferimento a Ronald Siegel,

Intoxication: Life in Pursuit of Artificial Paradise (EP Dutton 1989); Terence McKenna, Il nutrimento degli dei (Urra 2001); Paul Devereux, The Long Trip: A Prehistory of Psychedelia (Penguin 1997). L’opera di Wasson resta la più esaustiva riguardo le funzioni spirituali delle sostanze psichedeliche naturali. Si veda R. Gordon Wasson, Carl A. P. Ruck e Stella Krammrisch, La ricerca di Persefone: enteogeni e le origini della religione, in E. Zolla (a cura di), Il dio dell’ebbrezza. Antologia dei moderni Dionisiaci (Einaudi 1998). Per un dibattito più approfondito sulle specifiche piante e il loro ruolo all’interno delle società indigene, si veda Richard E. Schultes e Albert Hofmann, Plants of the Gods (McGraw Hill 1979). Per la chimica di queste piante si veda Richard E. Schultes e Albert Hofmann, Botanica e chimica degli allucinogeni (Cesco Ciapanna

1983) e Jonathan Ott, Pharmacotheon (Natural Products Co. 1993). Il racconto di Albert Hofmann sulla scoperta dell’LSD non smette mai di deliziare: LSD: il mio bambino difficile (Urra 1995). 7. I neurotrasmettitori consentono l’interazione chimica tra le cellule nervose nel cervello. Una cellula trasmittente rilascia un neurotrasmettitore, che in seguito si allaccia all’apposito sito recettore della cellula che lo riceve. Questo punto di attracco del trasmettitore al recettore dà inizio a una serie di attività che terminano nel rilascio del neurotrasmettitore della cellula ricevente, e il processo continua su questa linea. Altri noti neurotrasmettitori sono la norepinefrina (noradrenalina), l’acetilcolina e la dopamina. 8. Per avere un’idea dell’enorme quantità di informazioni accumulatesi in quegli anni, si

veda Abram Hoffer e Humphrey Osmond, The Hallucinogens (Academic Press 1967). Quasi quarant’anni dopo la sua pubblicazione, resta eccezionalmente il miglior libro di testo disponibile su queste droghe. 9. Per un eccellente resoconto delle basi scientifiche della psicoterapia abbinata agli psichedelici, vedi Walter N. Pahnke, Albert A. Kurland, Sanford Unger, Charles Savage e Stanislav Grof, The Experimental Use of Psychedelic (LSD) Psychotherapy, in «Journal of the American Medical Association», n. 212, 1970, pp. 1856-1863. 10. Aldous Huxley, Le porte della percezione. Paradiso e inferno, Mondadori 1991. 11. Gli storici spesso mettono in contrasto l’approccio a ruota libera e “per tutti” di Leary, riguardo all’uso degli psichedelici, con l’opinione di Huxley per cui il loro uso deve essere limitato

a una piccola cerchia di leader e artisti. Resta comunque il fatto che senza l’approccio relativamente senza regole di Leary (vedi Timothy Leary, Flashbacks, JP Tarcher 1997) e Ken Kesey (vedi Paul Perry, On the Bus, Thunder’s Mouth Press 1997) sarebbe stato improbabile per molti di noi entrare in contatto con queste sostanze. 12. Rick J. Strassman, Adverse Reactions to Psychedelic Drugs. A Review of the Literature, in «Journal of Nervous and Mental Disease», n. 172, 1984, pp. 577-595. 13. Le successive rivelazioni del coinvolgimento della CIA nella somministrazione di LSD e altri psichedelici a ignari cittadini e a reclute dell’esercito aggiunse vergogna e imbarazzo a questa già penosa situazione. Per un resoconto esaustivo di questo notevole capitolo sulle operazioni di sicurezza nazionale interna

americana si veda: Martin A. Lee e Bruce Shlain, Acid Dreams: The Complete Social History of LSD, the CIA , the Sixties, and Beyond (Grove Press 1986); e Jay Stevens, Storming Heaven: LSD and the American Dream (Grove Press 1998). 14. Stanley Schachter e Jerome E. Singer, Cognitive, Social, and Physiological Determinants of Emotional State, in «Psychological Review», n. 69, 1962, pp. 379399. 15. Oltre a dare origine a tutti questi nomi, gli psichedelici hanno ispirato un bel seguito. Non conosco altre droghe, a eccezione forse della marijuana, con così tante associazioni che si occupano dell’informazione a riguardo e ne sponsorizzano l’uso. Esistono parecchie associazioni psichedeliche con migliaia di soci sostenitori. Pubblicano riviste, newsletter,

giornali e siti web. Organizzano e sponsorizzano conferenze, pubblicano e distribuiscono libri. Il defunto dottor Freedman dell’UCLA , uno dei primi ricercatori sull’LSD, e una forza propulsiva dietro la mia ricerca, coniò il termine cultogeno, riferendosi allo zelo con cui i sostenitori e i nemici del loro uso si affrettarono a dare semplici e unidirezionali descrizioni dei loro effetti. I consumatori di oppiacei, cocaina e solventi non si organizzano in modo così efficiente. Che cosa c’è di così unico negli psichedelici da fare in modo che provochino reazioni così evangeliche? 16. Anche droghe di altre famiglie chimiche possono essere psichedeliche, ma solo entro i limiti di una quantità ridotta. Ad esempio, i composti della famiglia della Belladonna, come lo stramonio, provocano allucinazioni e processi di pensiero alterati. Tuttavia, questi effetti si hanno nel contesto di uno stato confusionale o

delirante, in presenza di pericolosi disturbi della funzione cardiaca e di regolazione della temperatura corporea. Spesso i ricordi sono scarsi, e a seguito di averne assunta “un po’ troppa” può derivarne una grave tossicità, inclusa la morte. D’altro canto, non vi sono casi in cui le droghe psichedeliche siano state direttamente letali. Anche droghe come la ketamina (“K” o “special K”) e la fenciclidina ( PCP o “polvere d’angelo”) producono effetti psichedelici. Tuttavia, vengono utilizzate in primo luogo come agenti anestetici e in dosi maggiori causano incoscienza. Le “classiche” droghe psichedeliche quali LSD o mescalina non provocano anestesia generale. Inoltre, la ketamina, il PCP e le droghe a base di Belladonna dispiegano i loro effetti psicoattivi attraverso un meccanismo farmacologico diverso da quello di LSD, psilocibina e DMT. Per i nostri scopi limiterò il mio discorso sugli

“psichedelici” a quelli con strutture e proprietà farmacologiche simili. Per un resoconto di tutte le sostanze con proprietà psichedeliche, vedi Peter Stafford, Enciclopedia psichedelica (Cesco Ciapanna Editore 1977). 17. I gruppi metili, formati da un atomo di carbonio e tre di idrogeno, sono essi stessi l’aggiunta più semplice possibile a una molecola organica. 18. La 5-MEO-DMT è l’ingrediente attivo nella secrezione della ghiandola del veleno del rospo del deserto di Sonora, Bufo Alvarius. La droga non si ottiene leccando questi rospi, come riportato da fonti errate. Piuttosto, gli intrepidi consumatori si procurano un rospo e, senza causargli dolore, “spremono” il veleno su una lastra di vetro. Lasciano andare il rospo, fanno asciugare le secrezioni e le fumano in una pipa. Vedi Wade Davis e Andrew T. Weil, Identity of a

New World Psychoactive Toad, in Ancient Mesoamerican, 1988, pp. 51-59.

Capitolo 2

COSA È LA DMT

N,N

dimetiltriptamina, o DMT , è la straordinaria protagonista di questo libro. Sebbene semplice dal punto di vista chimico, questa molecola dello “spirito” permette alla nostra coscienza di accedere alle più incredibili e sorprendenti visioni, pensieri e stati d’animo. Dischiude la porta a mondi che si trovano oltre la nostra immaginazione.

La DMT è presente nel corpo di ogni essere umano ed esiste ovunque nel regno vegetale e animale. Fa parte del corredo genetico tipicamente umano e di altri mammiferi, animali marini, piante e piselli, rospi e rane, funghi e muffe, cortecce, fiori e radici. L’alchimista psichedelico Alexander Shulgin dedica alla DMT un intero capitolo del libro TIHKAL: Tryptamines I Have Known and Loved. Intitola questo capitolo in modo appropriato, “La DMT è ovunque”, e dichiara: «La DMT è [...] in questo fiore qui, in quell’albero

lassù e nell’animale laggiù. In pratica è pressochè ovunque scegli di guardare». Infatti si farebbe prima a indicare dove non è stata trovata la DMT , anziché dove è presente.19 La DMT si trova principalmente nelle piante presenti in America Latina, dove gli esseri umani ne conoscono le straordinarie proprietà da alcune decine di migliaia di anni. Tuttavia, è solo negli ultimi centocinquant’anni che abbiamo ottenuto qualche indizio dell’antico legame della DMT con la nostra specie.

A partire dalla metà dell’800, gli esploratori dell’Amazzonia, nello specifico l’inglese Richard Spruce e il tedesco Alexander von Humboldt, descrissero gli effetti di insolite polveri da fiuto psicoattive e delle infusioni di piante preparate dalle tribù indigene. Nel ventesimo secolo, il botanico americano Richard Schultes proseguì questa ricerca, pericolosa quanto appassionante. Particolarmente impressionanti erano gli effetti e il modo di somministrazione delle polveri da fiuto allucinogene.

Le tribù indigene dell’America Latina usano tutt’ora queste polveri a cui hanno dato diversi nomi, tra cui yopo, epena e jurema. Ne assumono dosi enormi, a volte una trentina di grammi o anche di più. Una tecnica plateale di assumerle consiste nell’avere un compagno che soffi con forza la miscela di polveri attraverso una cannuccia o una pipa nel naso dell’altra persona. L’energia del soffio può essere sufficiente per far cadere a terra il contenitore. Spruce e von Humboldt riportarono che i nativi erano

immediatamente frastornati da queste polveri psichedeliche. Tuttavia non si spinsero al punto di provarle di persona. Gli bastò guardare gli indigeni contorcersi, vomitare e balbettare frasi senza senso sotto l’effetto delle droghe. Questi primi esploratori ascoltarono racconti di visioni fantastiche, “viaggi fuori dal corpo”, previsioni del futuro, localizzazioni di oggetti perduti, contatto con antenati defunti e altre entità disincarnate. Un altro miscuglio di piante, consumato in forma di bevanda,

sembrava produrre effetti simili, ma a un ritmo più lento. A questa infusione sono stati dati nomi diversi, tra cui ayahuasca e yagé. Questa bevanda ispirò molte delle pitture rupestri – che oggi prenderebbero il nome di arte “psichedelica” – disegnate sulle pareti delle dimore dei nativi. Spruce e von Humboldt portarono in Europa alcuni campioni di queste piante psichedeliche del Nuovo Mondo. Qui, queste piante giacquero indisturbate per decenni, poiché non vi era l’interesse né la tecnologia per ulteriori analisi sui

loro effetti o sulla loro composizione chimica. Mentre le piante psichedeliche erano abbandonate negli archivi dei musei di storia naturale, il chimico canadese R. Manske sintetizzò una nuova droga, chiamata N,Ndimetiltriptamina o DMT , in una ricerca indipendente. Come descrisse in un articolo scientifico del 1931, Manske aveva prodotto diversi composti attraverso modifiche chimiche della triptamina. Era interessato a queste sostanze, tra cui la DMT , perché si trovavano in una pianta tossica del

Nord

America, d’estate.20

il

calicanto

Come tutti sanno, Manske produsse la DMT , ne osservò la struttura e poi lasciò la sua scorta in un angolo del laboratorio ad accumulare lentamente polvere. Fino ad allora, nessuno sapeva dell’esistenza della DMT nelle piante psicoattive, delle sue proprietà psichedeliche o della sua presenza nel corpo umano. Nei circoli scientifici dell’epoca vi era scarso interesse per gli psichedelici. Nei primi anni ’50, le scoperte dell’LSD e della serotonina diedero

uno scossone alle solide fondamenta della psichiatria di stampo freudiano e gettarono le basi per il nuovo mondo delle neuroscienze. Vi era un’accesa curiosità sulle droghe psichedeliche tra i crescenti circoli di scienziati che si definivano “psicofarmacologi”. I chimici iniziarono ad analizzare cortecce, foglie e semi di piante, descritte come psichedeliche un centinaio di anni prima, alla ricerca dei loro componenti attivi. La famiglia delle triptamine era un ambito logico sul quale concentrarsi, dato che sia la

serotonina che l’LSD sono triptamine. Il successo non tardò ad arrivare. Nel 1946, O. Gonçalves sintetizzò la DMT da un albero sudamericano usato per le polveri da fiuto allucinogene e pubblicò le sue scoperte in Spagna. Nel 1955, M.S. Fish, N.M. Johnson e E.C. Horning pubblicarono il primo saggio in lingua inglese che descriveva la presenza della DMT in un altro albero strettamente legato alla produzione di polveri da fiuto. Ad ogni modo, sebbene sapessero che la DMT era una componente delle

piante che producevano effetti psichedelici, gli scienziati non sapevano se la DMT stessa fosse psicoattiva.21 Negli anni ’50, il chimico e psichiatra ungherese Stephen Szára lesse degli effetti altamente psicoattivi di LSD e mescalina. Ordinò allora dell’LSD ai Laboratori Sandoz per poter iniziare i suoi studi sulla chimica della coscienza. Poiché Szára si trovava al di là della Cortina di Ferro, la casa farmaceutica svizzera non voleva rischiare che il suo potente LSD finisse nelle mani dei comunisti,

così respinse la sua richiesta. Lui, imperterrito, consultò i recenti saggi che descrivevano la presenza di DMT nelle polveri da fiuto allucinogene dell’Amazzonia. Nel 1955, sintetizzò quindi un po’ di DMT nel suo laboratorio di Budapest. Szára ingerì dosi sempre maggiori di DMT , ma non sentì nulla. Provò ad assumerne un intero grammo, che costituiva una dose centinaia di migliaia di volte maggiore rispetto a una dose attiva di LSD. Cercò di scoprire se qualcosa nel suo sistema gastrointestinale stesse impedendo l’azione della DMT assunta per via

orale. Forse occorreva iniettarla. La sua intuizione anticipò la successiva scoperta dell’esistenza di un meccanismo nello stomaco che distrugge la DMT assunta per via orale non appena viene ingerita, meccanismo che, migliaia di anni fa, i i nativi sudamericani trovarono il modo di bypassare. Nello spirito del “chi va per primo”, nel 1956 Szára si fece un’iniezione intramuscolare (IM) di DMT . In questo caso, utilizzò circa metà di quella che ora sappiamo essere una dose “completa”: «Nel giro di tre o quattro minuti

cominciai ad avere percezioni visive che erano molto simili a quello che avevo letto nelle descrizioni di Hofmann [sull’LSD] e Huxley [sulla mescalina] ... Ero molto, molto eccitato. Era ovvio che il segreto era questo».22 Dopo aver raddoppiato la dose, ebbe a dire: «Comparvero dei sintomi [fisici], come una sensazione di formicolio, tremore, una leggera nausea, [dilatazione delle pupille], innalzamento della pressione sanguigna e aumento del battito cardiaco. Contemporaneamente si

manifestarono fenomeni eidetici [immagini residue o “tracce” di oggetti percepiti visivamente], illusioni ottiche, pseudoallucinazioni, e poi allucinazioni vere e proprie. Queste ultime consistevano in motivi orientali colorati in modo vivace e in movimento, e in seguito vidi delle scene meravigliose cambiare rapidissimamente. I volti delle persone sembravano maschere. Il mio stato emotivo si spingeva a volte fino all’euforia. La mia coscienza era completamente riempita dalle allucinazioni e la mia

attenzione era saldamente legata a esse; pertanto non riuscivo a fare un resoconto di ciò che stava accadendo attorno a me. Dai quarantacinque minuti a un’ora dopo, i sintomi scomparvero e riuscii a descrivere ciò che era successo».23 Szára ingaggiò rapidamente trenta volontari, per lo più giovani colleghi medici ungheresi. Tutti ricevettero dosi complete di DMT .24 Un medico uomo riportò: «Il mondo intero è splendido... L’intera stanza è permeata di spiriti. Mi fa impazzire... Ora è troppo!... Mi

sento esattamente come se stessi volando... Ho la sensazione che questo sia al di sopra di ogni cosa, al di sopra della terra. È rassicurante sapere che sono ritornato di nuovo sulla terra... Tutto ha una tinta spirituale, ma è così reale... Sento di essere atterrato...» Un medico donna dichiarò: «Come è semplice tutto... Di fronte a me si trovano due divinità, calme e illuminate dal sole... credo che mi stiano dando il benvenuto in questo nuovo mondo. C’è un silenzio profondo, come nel deserto... Sono finalmente a casa... Che gioco

pericoloso: sarebbe così facile non ritornare. Sono a malapena consapevole di essere un medico, ma questo non è importante; i legami familiari, gli studi, i progetti e i ricordi sono molto distanti da me. Solo quest’altro mondo è importante; sono libera e completamente sola». Il mondo occidentale aveva scoperto la DMT , e la DMT era entrata nella sua coscienza. Nonostante gli sporadici bad trip tra i suoi volontari, a Szára piaceva la breve durata della DMT . Era relativamente facile da usare,

completamente psichedelica, e gli esperimenti potevano essere condotti in poche ore. Dopo essere fuggito dall’Ungheria con la sua fornitura di DMT nei tardi anni ’50, incontrò un collega berlinese che lo reclutò per uno studio sull’LSD. Finalmente Szára poté provare questo leggendario psichedelico. Trovò interessanti i suoi effetti, ma la durata di dodici ore era un tempo troppo lungo per i suoi gusti. Dopo essere emigrato negli Stati Uniti, l’interesse primario della ricerca di Szára continuò a essere la DMT . Gli fu molto utile nel suo

nuovo impiego al National Institute of Health di Bethesda, nel Maryland, dove lavorò per più di trent’anni. Qui fu direttore per molti anni della Ricerca Preclinica al National Institute on Drug Abuse prima di andare in pensione nel 1991. Altri gruppi convalidarono e ampliarono la scoperta di Szára che la DMT deve venire iniettata per avere effetto. Tuttavia è incredibile quante poche informazioni dettagliate diedero i ricercatori, a parte Szára, riguardo alle sue proprietà psicologiche.

Ad esempio, dopo che Szára lasciò l’Ungheria, il suo vecchio laboratorio riportò solo che la DMT causava nei volontari sani «uno stato [psicotico] [...] dominato da allucinazioni colorate, perdita della realtà spazio-temporale, euforia, alcune esperienze deliranti, e talvolta contrassegnato da ansia e adombramento della coscienza».25 Uno dei centri americani più attivi nel campo della ricerca psichedelica sull’uomo era il Public Health Service Hospital di Lexington, nel Kentucky. Qui, gli uomini che stavano scontando pene detentive

per la violazione delle leggi sulla droga ricevettero diverse sostanze psicoattive nella speranza che la loro partecipazione alla ricerca gli permettesse di ricevere un trattamento più favorevole in prigione. Tuttavia, abbiamo letto degli effetti della DMT in questi studi, secondo cui «a livello mentale consistevano in ansia, allucinazioni (di solito visive) e distorsioni percettive».26 Ancora meno rivelatori furono gli studi presso l’US National Institute of Mental Health. Qui, un gruppo di soggetti della ricerca con esperienza

nell’uso degli psichedelici aveva il solo compito di fornire un numero che indicasse quanto “su di giri” andassero con una dose completa di DMT . Gli autori commentano, tuttavia, che la maggior parte di questi volontari esperti «andò su di giri più di quanto gli fosse mai capitato».27 La “sottocultura psichedelica” ha scoperto la DMT subito dopo la comunità di ricerca, ma i primi resoconti dei suoi effetti le fecero guadagnare il titolo di “droga del terrore”. William Burroughs, autore de Il pasto nudo, fu uno dei primi a

sperimentare sul campo la DMT . Gli incontri di Burroughs e dei suoi colleghi britannici con essa furono sgradevoli. Leary riferisce il racconto di Burroughs a proposito di uno psichiatra e del suo amico che si iniettarono insieme la DMT in un appartamento di Londra. L’amico iniziò ad andare nel panico e agli occhi dello psichiatra sembrava che si stesse trasformando in un «rettile strisciante che si contorceva». «Il dilemma del dottore era: dove andava fatta un’iniezione endovenosa [di un antidoto] a un

serpente

marziano

dai

tratti orientali che si contorceva?»28 Questo è un ottimo esempio dell’impatto di un set e di un setting negativi: due persone sotto l’effetto di una dose di DMT iniettata, in uno squallido appartamento, uno responsabile dell’altro. Davvero una “droga del terrore”. Fu arduo per la DMT scrollarsi di dosso la sua terribile reputazione, anche dopo che Leary fece una descrizione positiva dei suoi effetti. La DMT conobbe un po’ di popolarità tra coloro che ne apprezzavano la breve durata. Alcuni individui

coraggiosi pensarono fosse possibile assumere la DMT durante il pranzo e così ottenne l’ambiguo epiteto di “trip dell’uomo d’affari”.29 Nonostante la costante produzione di articoli sulla DMT da parte di Szára e di altri studiosi, essa restò per lo più una curiosità farmacologica: intensa, di breve durata, presente nelle piante. L’LSD aveva decisamente avuto la meglio sulla DMT , producendo un’impressione significativa sulla comunità di ricerca psichiatrica. Ad ogni modo, tutto cambiò quando i

ricercatori scoprirono la DMT nel cervello di topi e ratti, e le vie nervose tramite cui il loro corpo produceva questo potente psichedelico. La DMT esisteva anche nel corpo umano? Sembrava probabile, perchè gli scienziati avevano scoperto alcuni enzimi di cui è composta la DMT in campioni di tessuto polmonare umano, mentre stavano effettuando la ricerca di quegli stessi enzimi in altri animali. La sfida era iniziata. Nel 1965 un gruppo di ricercatori tedeschi pubblicò un saggio sulla più

importante rivista scientifica britannica, Nature, annunciando di aver isolato la DMT dal sangue umano. Nel 1972, lo scienziato vincitore del premio Nobel Julius Axelrod, dell’US National Insitutes of Health, riportò di averla trovata nel tessuto cerebrale umano. Ulteriori ricerche dimostrarono che la DMT poteva trovarsi anche nell’urina umana e nel liquido cerebrospinale che bagna il cervello. Non ci volle molto prima che gli scienziati scoprissero le vie nervose, simili a quelle degli animali meno evoluti, attraverso cui il corpo

umano produceva la DMT . La DMT divenne allora il primo psichedelico endogeno umano.30 Endogeno significa che un composto viene prodotto all’interno del corpo: endo, “dentro”, e geno, “generato” o “formato”. Pertanto la DMT endogena è DMT prodotta all’interno del corpo. Ci sono altri composti endogeni con i quali, nel corso degli anni, siamo diventati familiari. Ad esempio, composti endogeni simili alla morfina sono le endorfine. Tuttavia, la scoperta della DMT nel corpo umano suscitò meno scalpore

di quanto fece quella relativa alle endorfine. Come vedremo più avanti nel corso di questo capitolo, il sentimento anti-droghepsichedeliche, dilagante all’epoca negli Stati Uniti, spinse i ricercatori a rivoltarsi contro gli studi sulla DMT endogena. Gli scopritori delle endorfine, al contrario, vinsero premi Nobel. A quel punto, si sollevò spontaneamente la domanda cruciale: «Che cosa fa la DMT nel nostro corpo?» La risposta della psichiatria fu: «Forse provoca malattie mentali».

Questa risposta era ragionevole, se consideriamo il mandato della psichiatria a comprendere e trattare le gravi psicopatologie. Ad ogni modo, era insufficiente rispetto a tutte le altre possibili risposte meritevoli dal punto di vista scientifico. Limitandosi a indagare il ruolo della DMT nelle psicosi, gli scienziati persero un’opportunità unica di addentrarsi più in profondità nei misteri della coscienza. Gli scienziati credevano che l’LSD e altri “psicotomimetici” provocassero un “modello di

psicosi” di breve durata nei volontari sani. Pensavano che, trovando uno “psicotomimetico endogeno”, la causa e la cura potenziale delle gravi malattie mentali sarebbero state a portata di mano. La DMT , in qualità di primo psicotomimetico endogeno conosciuto, suggerì che la ricerca potesse essere giunta al termine. Ad esempio, si poteva somministrare DMT a dei volontari sani per provocare una psicosi, ed eventualmente sviluppare nuovi farmaci per bloccarne gli effetti. In seguito, i pazienti psichiatrici

avrebbero ricevuto questa “antiDMT ”. Se un’eccessiva quantità di DMT prodotta naturalmente stava causando le psicosi dei pazienti, questa anti-DMT avrebbe avuto degli effetti antipsicotici. Queste indagini sulla DMT stavano giusto venendo aggiornate quando, nel 1970, il Congresso approvò una legge che ne limitava strettamente l’uso legale, così come quello di altri psichedelici. Divenne quasi impossibile condurre una qualsiasi nuova ricerca sull’uomo con la DMT . Subito dopo, nel 1976, un articolo pubblicato da alcuni scienziati del

National Institute of Mental Health (NIMH) suonò le campane a morto per gli studi sull’uomo con la DMT . Gli autori erano ricercatori di alto livello, molti dei quali avevano somministrato la DMT a esseri umani. Avevano giustamente concluso che le prove che mettevano in relazione la DMT con la schizofrenia erano intricate e improbabili. Tuttavia, anziché proporre una ricerca più attenta e approfondita nelle aree in cui c’era disaccordo, gli autori concludevano così: «Come ogni teoria scientifica che si rispetti, il modello della DMT US

sulla schizofrenia in definitiva sopravviverà o morirà per mano dei dati che genera a livello euristico. Ci auguriamo che, nell’immediato futuro, dati ulteriori diano a questa teoria nuove possibilità o una morte onorevole».31 Questa “morte onorevole” giunse ben presto. Entro un anno o due, comparve l’ultimo articolo sulla ricerca umana con la DMT . Pochi scienziati versarono lacrime per la sua scomparsa. La DMT era forse stata sepolta viva da coloro le cui carriere e reputazioni erano messe a

repentaglio da una così controversa area di ricerca? Il campo della psicosi da DMT non era diverso da qualunque altro tentativo della psichiatria biologica di indagare sulle complesse e incerte relazioni tra mente e cervello. Il suo abbandono sembra essere stato motivato tanto da fattori politici quanto da argomentazioni scientifiche. In generale, c’erano due tipi di studi che indagavano la teoria della psicosi da DMT . In uno si comparavano i livelli di DMT nel sangue di pazienti malati e di

volontari sani. Nell’altro progetto di studio si mettevano a confronto gli effetti soggettivi delle droghe psichedeliche con quelli di stati psicotici spontanei. Il gruppo del NIMH, che svalutò la teoria di una relazione tra psicosi e DMT , portando alla scomparsa della ricerca umana con la DMT , criticò entrambi gli approcci. Puntarono sulla mancanza di consistenti differenze tra i livelli di DMT nel sangue dei volontari e dei pazienti psicotici; respinsero anche l’affermazione secondo cui gli effetti della DMT e i sintomi della schizofrenia dimostravano una

somiglianza sufficiente a giustificare ulteriori ricerche. Per prima cosa, ragioniamo sui dati dei livelli ematici. Sostanzialmente, tutti gli studi sulla DMT misuravano la concentrazione nel sangue prelevato dalle vene dell’avambraccio. Tuttavia, sembra irragionevole supporre che questi livelli riflettano fedelmente la funzione della DMT in diverse aree cerebrali incredibilmente piccole e altamente specializzate. Trovare uno stretto legame tra i livelli ematici e gli effetti cerebrali sarebbe ancora meno probabile se

la DMT si originasse in primo luogo nel cervello. Questa difficoltà è riconosciuta da tutti gli scienziati, persino per quelle note sostanze chimiche prodotte dal cervello come la serotonina. Numerosi studi non sono riusciti a mettere in relazione in maniera convincente i livelli di serotonina nel sangue prelevato dall’avambraccio con le diagnosi psichiatriche che presentavano presunte anomalie della serotonina nel cervello. Inoltre, era improbabile, utilizzando i livelli di DMT nel sangue, poter trarre una

qualsiasi effettiva conclusione sulle differenze tra gli individui normali e quelli affetti da psicosi. Pertanto, se i ricercatori in campo psichiatrico richiedono dati di questo tipo per tutte le sostanze chimiche prodotte dal cervello, dove sta l’appello a seppellire la serotonina? Nel caso del paragone tra schizofrenia e intossicazione da DMT , la faccenda diventa ancora più oscura. La schizofrenia è una sindrome particolarmente complessa. Ci sono diverse forme: “paranoide”, “disorganizzata” e “indifferenziata”. Ci sono molti

stadi, tra cui “iniziale”, “acuto”, “finale” e “cronico”. Ci sono persino i sintomi “prodromici”, che esistono prima che la malattia diventi abbastanza grave da venir diagnosticata. Inoltre, i sintomi della schizofrenia si sviluppano nel corso di mesi e anni, e gli individui cambiano il loro comportamento per gestire le loro insolite esperienze. Questi adattamenti creano a loro volta nuovi sintomi e comportamenti. Non è ragionevole aspettarsi che una singola droga, somministrata una sola volta a una persona sana,

simuli la schizofrenia. Oggi nessuno afferma che ciò sia possibile. Anzi, anche allora era opinione generale che l’intossicazione dovuta ad assunzione di droghe psichedeliche e la schizofrenia si sovrapponessero in maniera significativa. Allucinazioni e altre distorsioni sensoriali, processi mentali alterati e repentini sbalzi d’umore, disturbi nella percezione della propria identità fisica e personale: tutto ciò si può manifestare in alcuni casi di schizofrenia e di stati psichedelici. In psichiatria ci sono sempre somiglianze e differenze tra i

disturbi che cerchiamo di comprendere e i modelli che utilizziamo per studiarli. Siamo sempre alla ricerca di modelli migliori, ma usiamo quelli che abbiamo ricordandoci dei loro limiti. Il rifiuto del gruppo del NIMH degli effetti della DMT nel produrre un “valido” stato psicotico non era in linea con la teoria, la pratica e i dati accettati dalla ricerca psichiatrica.32 Se la base scientifica per interrompere la ricerca sull’uomo con la DMT era così misera, perché allora venne interrotta? Qual era il

significato dietro la retorica di “vita e morte”, “possibilità” e “morte onorevole”? I dati richiedevano spiegazioni ulteriori. Invece, questi scienziati federali si allontanarono da un campo di ricerca estremamente promettente e incoraggiarono altri a fare lo stesso. La DMT si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato. Una ricerca razionale sulle sue funzioni fu messa da parte dal furore anti-psichedelico che accompagnava l’uso indiscriminato e l’abuso di queste droghe. La mossa di limitare l’accesso alle

droghe psichedeliche, per rispondere alle paure diffuse per la salute pubblica, si ripercosse sulla ricerca sulla DMT , così come era accaduto per la ricerca sull’LSD e sugli altri psichedelici. Gli interessi politici avevano sopraffatto i principi scientifici.33 Bloccati nelle sabbie mobili dei tentativi di dimostrare il suo ruolo nella schizofrenia, e travolti dall’ondata dei sentimenti antipsichedelici, nessuno di coloro che stava studiando la DMT osò continuare a porsi la domanda più ovvia e incalzante, che la ricerca

sull’uomo non era finora riuscita ad affrontare. Era un enigma che non potevo ignorare: «Cosa fa la DMT nel nostro corpo?» La DMT è la più semplice delle triptamine psichedeliche. A paragone di altre molecole, la DMT è piuttosto piccola. Il suo peso è di 188 “unità molecolari”, il che significa che non è molto più grossa del glucosio, lo zucchero più semplice presente nel nostro corpo, che ne pesa 180, ed è solo dieci volte più pesante di una molecola d’acqua, che ne pesa 18. In confronto, consideriamo il peso

dell’LSD, di 323, o quello della mescalina, di 211.34 La DMT è strettamente legata alla serotonina, il neurotrasmettitore che gli psichedelici influenzano in modo così ampio. La farmacologia della DMT è simile a quelli di altri noti psichedelici: influisce sui siti recettori della serotonina quasi allo stesso modo dell’LSD, della psilocibina e della mescalina. I recettori della serotonina sono diffusi attraverso il corpo e si possono trovare nei vasi sanguigni, nei muscoli, nelle ghiandole e nella pelle.

Tuttavia, è il cervello il luogo in cui la DMT dispiega i suoi effetti più interessanti. Qui, alcuni siti pieni di recettori della serotonina sensibili alla DMT sono coinvolti nei processi dell’umore, delle percezioni e del pensiero. Sebbene il cervello neghi l’accesso alla maggior parte delle droghe e delle sostanze chimiche, sembra avere una particolare passione per la DMT . Non si esagera quando si dice che il cervello “ne ha un gran desiderio”. Il cervello è un organo estremamente sensibile, in particolare alle tossine e agli

squilibri metabolici. Una barriera quasi impenetrabile, la barriera ematoencefalica, impedisce agli agenti indesiderati di lasciare il sangue e attraversare le pareti capillari all’interno del tessuto cerebrale. Questa barriera si estende persino per tenere lontani i carboidrati complessi e i grassi, che altri tessuti utilizzano per produrre energia. Il cervello, invece, brucia solo le forme più pure di carburante: zuccheri semplici o glucosio. In ogni caso, alcune molecole essenziali sono “trasportate

attivamente” attraverso la barriera ematoencefalica. Piccole molecole specializzate nel trasporto le traghettano all’interno del cervello; si tratta di un processo che richiede una consistente quantità di energia. Nella maggior parte dei casi, è ovvio il motivo per cui il cervello trasporta attivamente particolari composti nel suo sacro territorio; gli aminoacidi necessari al mantenimento delle proteine nel cervello, ad esempio, sono ammessi. Venticinque anni fa, alcuni scienziati giapponesi scoprirono che

il cervello trasporta attivamente la DMT , attraverso la barriera ematoencefalica, all’interno dei suoi tessuti. Non conosco altre droghe psichedeliche che il cervello tratti con tale fervore. Questo è un dato impressionante che dovremmo tenere a mente quando ricordiamo quanto facilmente gli psichiatri biologici respinsero l’idea secondo cui la DMT ha un ruolo cruciale nella nostra vita. Se la DMT fosse solo un irrilevante e insignificante sottoprodotto del nostro metabolismo, perché mai il cervello

si darebbe così da fare per portarla al proprio interno?35 Una volta che il corpo produce o introduce la DMT , alcuni enzimi la degradano nel giro di pochi secondi. Questi enzimi, chiamati monoammino ossidasi (MAO), si trovano in alte concentrazioni all’interno di sangue, fegato, stomaco, cervello e intestino. La presenza diffusa delle MAO è il motivo per il quale gli effetti della DMT sono di così breve durata. Ogni volta e in qualsiasi parte sia presente, il corpo si assicura che venga consumata rapidamente.36

In un certo senso, la DMT è “cibo per il cervello”, ricevendo un trattamento simile a quello del glucosio, la sua preziosa fonte di energia. Fa parte di un sistema di “alto turnover”: la sostanza entra velocemente e altrettanto velocemente viene utilizzata. Il cervello trasporta attivamente la DMT attraverso il proprio sistema di difesa e altrettanto rapidamente la degrada. È come se la DMT fosse necessaria al mantenimento delle ordinarie funzioni cerebrali. Solo quando i livelli diventano troppo alti per le “normali” funzioni,

iniziamo a vivere delle esperienze singolari. Ora che abbiamo fatto un riassunto della storia e della scienza che si celano dietro la DMT , ritorniamo alla domanda più impellente, quella a cui nessuno ha adeguatamente risposto: «Cosa fa la DMT nel nostro corpo?» E in maniera più specifica, chiediamoci: «Perché la produciamo nel nostro corpo?» La mia risposta è: «Perché è la molecola dello spirito». Cosa è, dunque, una molecola dello spirito? Cosa deve fare e come

potrebbe farlo? Perché la DMT è il principale candidato? L’artista visionario Alex Grey ha dato una brillante interpretazione artistica della molecola DMT . La sua arte mi ha aiutato a pensare a queste domande in modo più chiaro. Vediamola ora più attentamente e consideriamo come essa rifletta le proprietà necessarie di una sostanza chimica di questo tipo.

Una molecola dello spirito deve generare, con un certo grado di attendibilità, determinati stati psicologici che consideriamo “spirituali”: stati d’animo di immensa gioia ed eternità, e la certezza che ciò che stiamo sperimentando sia “più reale della realtà”. Una sostanza di questo tipo ci potrebbe condurre all’accettazione della coesistenza degli opposti, come la vita e la morte, il bene e il male; alla consapevolezza che la coscienza continua dopo la morte; a una profonda comprensione dell’unità

di fondo di tutti i fenomeni; a una sensazione di saggezza e amore che pervade tutta l’esistenza. Una molecola dello spirito ci conduce inoltre verso i reami spirituali. Di solito questi mondi sono invisibili a noi e ai nostri strumenti, e non sono accessibili nel nostro normale stato di coscienza. Tuttavia, la teoria secondo cui questi mondi esistono “solo nella nostra mente” è tanto probabile quanto quella secondo cui in realtà essi esistono di per sé “fuori” di noi. Se semplicemente cambiassimo la capacità ricevente

del nostro cervello, potremmo comprenderli e interagire con essi. Oltre a ciò, ricordiamoci che una molecola dello spirito non è spirituale in sé e per sé. Essa è uno strumento o un veicolo. Si pensi a essa come a un rimorchiatore, a una carrozza, a un esploratore a cavallo, qualcosa a cui possiamo agganciare la nostra coscienza. Ci attira all’interno di mondi che solo lei conosce. Occorre tenersi forti, e dobbiamo essere preparati, poiché i reami spirituali contengono sia il paradiso che l’inferno, sia la fantasia che l’incubo. Sebbene il

ruolo della molecola dello spirito possa sembrare “angelico”, non c’è garanzia che non possa condurci verso il demoniaco. Perché la DMT è un candidato così attraente per essere la molecola dello spirito? I suoi effetti sono straordinariamente e completamente psichedelici. Abbiamo letto alcuni dei primi resoconti riguardo a queste proprietà fatti da individui – che non erano stati preparati e non si aspettavano nulla – che parteciparono ai primi studi clinici

negli anni ’50 e ’60. Leggeremo ancora molto di più su quanto realmente incredibili siano gli effetti della DMT sull’alterazione delle percezioni nei nostri volontari molto esperti e ben preparati. Altrettanto importante è il fatto che la DMT esiste nel nostro corpo. La produciamo in modo naturale. Il nostro cervello la rintraccia, la introduce e prontamente la digerisce. In quanto psichedelico endogeno, la DMT può essere coinvolta in stati psichedelici che si verificano spontaneamente e che non hanno nulla a che fare con

l’assunzione di droghe, ma le cui somiglianze con gli effetti prodotti da queste ultime sono sorprendenti. Sebbene questi stati possono certamente includere le psicosi, dobbiamo considerare nel nostro discorso anche altre condizioni al di fuori del campo delle malattie mentali. Forse grazie alle ali della DMT endogena possiamo sperimentare altri stati mentali, in grado di cambiare la vita, associati a nascita, morte, pre-morte, esperienze di contatto con entità e alieni, e consapevolezza mistica/spirituale. Li analizzeremo

molto più dettagliatamente in seguito. In questo capitolo abbiamo imparato il “cosa” sulla DMT . Adesso dobbiamo spostare la nostra attenzione al “come” e al “dove”. Abbiamo fatto un lavoro preparatorio a seguito del quale possiamo ora introdurre la misteriosa ghiandola pineale. Nel suo ruolo di potenziale “ghiandola dello spirito”, o produttrice di DMT endogena, essa sarà l’argomento dei prossimi due capitoli. Inizieremo anche ad analizzare le circostanze nelle quali il nostro corpo può

produrre quantità psichedeliche di DMT . 19. Alexander Shulgin e Ann Shulgin, Transform Press 1997, pp. 247-284.

TIHKAL,

20. R.H.F. Manske, A Synthesis of the MethylTryptamines and Some Derivatives, in «Canadian Journal of Research», n. 5, 1931, pp. 592-600. 21. O. Gonçalves de Lima, Observaçoes Sôbre o Vihno da Jurema Utilazado Pelos Indios Pancarú de Tacaratú (Pernambuco), in «Arquiv. Inst. Pesquisas Agron.», n. 4, 1946, pp. 45-80; M.S. Fish, N.M. Johnson e E.C. Horning, Piptadenia Alkaloids. Indole Bases of P. Peregrina (L.) Benth. and Related Species, in «Journal of the American Chemical Society», n. 77, 1955, pp. 5892-5895.

22. Stephen Szára, The Social Chemistry of Discovery: The DMT Story, in «Social Pharmacology», n. 3, 1989, pp. 237-248. 23. Stephen Szára, The Comparison of the Psychotic Effects of Tryptamine Derivatives with the Effects of Mescaline and LSD-25 in SelfExperiments, in «Psychotropic Drugs», a cura di W. Garattini e V. Ghetti, Elsevier 1957, pp. 460467. 24. A. Sai-Halasz, G. Brunecker e S. Szára, Dimethyltryptamin: Ein Neues Psychoticum, in «Psychiat. Neurol.», n. 135, 1958, pp. 285-301. 25. A. Sai-Halasz, The Effect of Antiserotonin on the Experimental Psychosis Induced by Dimethyltryptamine, in «Experientia», n. 18, 1962, pp. 137-138. 26. D.E. Rosenberg, Harris Isbell e E.J. Miner, Comparison of Placebo, N-Dimethyltryptamine,

and 6-Hydroxy-N -Dimethyltryptamine in Man, in «Psychopharmacology», n. 4, 1963, pp. 3942. 27. Jonathan Kaplan, Lewis R. Mandel, Richard Stillman, Robert W. Walker, W.J.A. Vandenheuvel, J. Christian Gillin e Richard Jed Wyatt, Blood and Urine Levels of N ,N Dimethyltryptamine Following Administration of Psychoactive Dosages to Human Subjects, in «Psychopharmacology», n. 38, 1974, pp. 239245. 28. Timothy Leary, Programmed Communication During Experiences with DMT, in «Psychedelic Review», n. 8, 1966, pp. 83-95. 29. Questi dubbi sugli effetti della DMT fecero in modo che la droga restasse relativamente nell’ombra finché Terence McKenna, durante la metà degli anni ’80, non iniziò a prodigarsi pubblicamente nell’elogiarla. Più di ogni altro,

McKenna innalzò la coscienza della DMT al suo attuale livello senza precedenti attraverso conferenze, libri, interviste e registrazioni. 30. Per un completo resoconto che riassume i dati sulla DMT endogena vedi Steven A. Barker, John A. Monti e Samuel T. Christian, N ,N Dimethyltryptamine: An Endogenous Hallucinogen, in International Review of Neurobiology», n. 22, 1981, pp. 83-110. 31. J. Christian Gillin, Jonathan Kaplan, Richard Stillman e Richard Jed Wyatt, The Psychedelic Model of Schizophrenia: The Case of N ,N -Dimethyltryptamine, in «American Journal of Psychiatry», n. 133, 1976, pp. 203208. 32. Nonostante le riserve sulla teoria che associava la DMT alla schizofrenia, vale la pena notare che nei venticinque anni successivi al suo abbandono da parte degli scienziati non ci sono

stati candidati altrettanto qualificati per ricoprire questo ruolo. 33. In questo contesto, è avvincente studiare il modo in cui i venti dell’opinione pubblica e di quella politica modellano il programma scientifico della comunità dei ricercatori. Oggi ci sono diversi finanziamenti e pubblicazioni sul “modello della ketamina” nei casi di schizofrenia. Come discusso in precedenza, la ketamina è un farmaco anestetico, basse dosi del quale producono effetti psichedelici. Come nel caso delle “classiche” droghe psichedeliche, esiste una sovrapposizione tra gli effetti della ketamina e i sintomi della schizofrenia. In ogni caso, le differenze e le somiglianze tra la schizofrenia e la ketamina sono probabilmente tante quante quelle che sussistono tra la schizofrenia e i comuni psichedelici. Ci sono almeno due ragioni che spiegano l’attuale progresso, relativamente senza ostacoli,

degli studi nel campo della ketamina. Oggi esistono molte più scale di valutazione, in grado di fare paragoni statistici tra gli stati indotti dalla droga e quelli schizofrenici, che forniscono un supporto matematico più oggettivo per individuare le somiglianze tra la schizofrenia e l’intossicazione da ketamina. Questo approccio, tuttavia, può tendere a mascherare le reali differenze cliniche tra le due condizioni. Furono queste differenze reali che fecero sì che i primi ricercatori rigettassero l’utilità di un confronto tra gli effetti della comune droga psichedelica con i sintomi della schizofrenia. Un’altra e probabilmente più significativa differenza è che la ketamina è una droga “legale”. Ci sono poche restrizioni che ne limitano l’uso nella ricerca umana. Nonostante ciò, il recente aumento della popolarità dell’uso ricreazionale della ketamina sta rafforzando il monitoraggio e i controlli nei suoi confronti.

Inoltre, le preoccupazioni sul peggioramento dei sintomi della schizofrenia con la ketamina, e la natura del consenso informato per questi studi, stanno facendo crescere le inquietudini sulla ricerca psichedelica sulla ketamina, in maniera simile a come era avvenuto nei precedenti studi psichedelici. 34. Produrre la DMT “da zero” in laboratorio non è difficile. Un chimico abbastanza esperto può produrla nel giro di alcuni giorni, con poco sforzo. La difficoltà nel farla non consiste nel meccanismo di produzione, ma nel procurarsi gli ingredienti necessari, o precursori. Gli enti federali antidroga controllano le forniture di questi precursori in modo molto severo, e occorre un permesso per acquistare qualsiasi cosa che possa essere trasformata in una droga psichedelica conosciuta. 35. Toshihiro Takahashi, Kazuhiro Takahashi,

Tatsuo Ido, Kazuhiko Y anai, Ren Iwata, Kiichi Ishiwata e Shigeo Nozoe, 11 C -Labelling of Indolealkylamine Alkaloids and the Comparative Study of Their Tissue Distributions, in «International Journal of Applied Radiation and Isotopes», n. 36, 1985, pp. 965-969; Kazuhiko Y anai, Tatsuo Ido, Kiichi Ishiwata, Jun Hatazawa, Toshihiro Takahashi, Ren Iwata e Taiju Matsuzawa, In Vivo Kinetics and Displacement Study of Carbon-11-Labeled Hallucinogen, N ,N -[11 C ]Dimethyltryptamine, in «European Journal of Nuclear Medicine», n. 12, 1986, pp. 141-146. 36. Da alcune imprese inimmaginabili della “chimica preletterata”, i nativi del Sudamerica impararono a combinare le piante che contenevano DMT con altre che possedevano dei composti anti-MAO, o MAO inibitori. In presenza di questi ultimi, la DMT ingerita poteva resistere al

degrado operato dagli enzimi abbastanza a lungo da penetrare nel flusso sanguigno e dispiegare i suoi effetti psicologici, prima che le MAO si attivassero in maniera sufficiente da smaltirla. Questo è il segreto per cui l’ayahuasca riesce a rendere la DMT attiva per via orale. L’assorbimento più lento da parte di stomaco e intestino significa che gli effetti della DMT nell’ayahuasca durano dalle quattro alle cinque ore, rispetto ai pochi minuti di quando la DMT viene iniettata.

Capitolo 3

LA PINEALE: LA GHIANDOLA DELLO SPIRITO

Una delle motivazioni più profonde dietro lo studio sulla DMT era la ricerca delle basi biologiche dell’esperienza spirituale. Molto di ciò che ho appreso nel corso degli anni ha fatto sì che mi domandassi se la ghiandola pineale produceva DMT durante gli stati mistici e altre

esperienze spontanee simili a quelle psichedeliche. Queste sono idee che sviluppai prima di intraprendere la ricerca del New Mexico. Nel capitolo 21 allargo queste ipotesi per includere le scoperte che abbiamo fatto durante gli esperimenti stessi. In questo capitolo riassumerò quello che sappiamo della ghiandola pineale. Nel capitolo successivo elaborerò questi dati per proporre le condizioni nelle quali la pineale, nel suo ruolo di possibile ghiandola dello spirito, potrebbe

produrre quantità psicoattive di DMT endogena. Nei primi anni ’70, quando ero studente alla Stanford University, condussi delle ricerche di laboratorio sullo sviluppo del sistema nervoso dei feti di pollo. Ero curioso di sapere come una singola cellula fecondata potesse diventare un organismo completamente adulto e funzionante. Era un campo di indagine interessante e volevo vedere se mi piaceva la scienza di laboratorio. Meno nobilmente, credevo anche che una ricerca

opzionale aumentasse le mie probabilità di accedere alla Facoltà di Medicina. Nonostante la passione che nutrivo per questa ricerca, mi sentivo colpevole per il fatto di uccidere dei feti di pulcini. Avevo degli incubi in cui i polli mi inseguivano per paesaggi oscuri e sinistri. In questi sogni, mi mettevo in salvo salendo sulla lavatrice di mia madre! Inoltre, non mi sembrava che la scienza di laboratorio mi avrebbe dato la possibilità di studiare quegli argomenti che mi interessavano

sempre di più. A Stanford seguivo corsi su sonno e sogni, ipnosi, psicologia della coscienza, psicologia fisiologica e buddhismo: insomma, tutte materie d’avanguardia a quei tempi nelle università della California. Nel tentativo di sistemare le cose, andai a parlare con uno degli psichiatri del servizio sanitario per gli studenti. Lui mi consigliò di incontrare James Fadiman, uno psicologo che lavorava alla Facoltà di Ingegneria di Stanford. Chiamai la segretaria di Jim, fissai un appuntamento e seguii le

confuse indicazioni per raggiungere l’ala di Ingegneria dell’università. Dopo aver imboccato strade sbagliate e vicoli ciechi, trovai finalmente l’ufficio di Jim. Era seduto con la schiena rivolta alla finestra. Il sole inondava la stanza e non riuscivo a vederlo chiaramente a causa della luce abbagliante. L’effetto alone attorno alla sua testa aumentò la mia leggera ansia. Sapevo che si sarebbe trattato di un incontro importante. Per allentare il nervosismo, iniziai la conversazione e gli chiesi cosa stesse facendo uno psicologo come

lui al Dipartimento di Ingegneria. Lui ridacchiò e rispose: «Insegno agli ingegneri come pensare. Sono intelligenti, nessun dubbio su questo, ma possono davvero risolvere i problemi in modo fantasioso? Come si approcciano al processo creativo? Li aiuto a guardare le situazioni da prospettive diverse». Non sapevo nemmeno che Jim aveva lavorato con Willis Harman, che stava somministrando droghe psichedeliche allo scopo di incrementare la creatività in un vicino istituto di ricerca. I risultati

di questo studio, pubblicati trent’anni fa, restano gli unici dati di questo tipo nella letteratura medica e hanno mostrato il grande potenziale di queste sostanze nello stimolare i processi creativi. Mi chiedo quanti studenti di ingegneria dell’Università di Stanford, sotto la sua supervisione, abbiano preso parte a questi studi!37 Jim si protese in avanti e l’accecante bagliore del sole aumentò. Chiese: «E cosa ci fai tu qui?» Glielo dissi. Le mie idee erano formulate male. Ero attratto dagli

psichedelici. Avevo appena iniziato a praticare la Meditazione Trascendentale. I miei studi mi stavano portando all’interno di territori molto interessanti. Sembrava esserci un filo che attraversava tutto, ma qual era? Dove potevo cercare un fattore unificante? Jim si spostò all’indietro sulla sedia, aveva un’aria pensierosa, o almeno così sembrava: il suo viso quasi non si vedeva a causa dei raggi del sole alle sue spalle. «Dovresti cercare nella ghiandola pineale» disse infine. «Mia moglie

Dorothy sta girando un film sull’esperienza della luce interiore descritta dai mistici. La ghiandola pineale la sta attraendo in qualità di sorgente metafisica di questa luce, che molte tradizioni considerano il sommo risultato. Forse essa genera davvero quella luce all’interno delle nostre teste». «Come si scrive “pineale”?» chiesi, prendendo appunti. Chiacchierammo ancora un po’ dei miei progetti post-laurea. Il nostro breve incontro terminò. Su consiglio di Jim, iniziai allora a indagare su ciò che si conosceva

della ghiandola pineale, un minuscolo organo collocato al centro del cervello. Quell’anno scrissi diverse relazioni per il mio corso in cui iniziai a tracciare l’ampio spettro delle teorie che avrei sviluppato in seguito.38 Le tradizioni spirituali occidentali e orientali sono piene di descrizioni di una luce bianca dal bagliore accecante che accompagna la profonda realizzazione spirituale. Questa “illuminazione” di solito è il risultato di un avanzamento della coscienza attraverso diversi livelli di sviluppo spirituale, psicologico ed

etico. Tutte le tradizioni spirituali descrivono tale processo e le sue fasi. Nell’ebraismo, ad esempio, la coscienza si muove attraverso le sefirot, o centri di sviluppo spirituale, della tradizione cabalista, al cui apice si trova Keter, o Corona. Nella tradizione ayurvedica orientale questi centri sono chiamati chakra, ed esperienze particolari accompagnano similmente il movimento di energia attraverso di essi. Anche il chakra più elevato è chiamato Corona, o Loto dai Mille Petali. In entrambe le

tradizioni, questa Corona, sefirah o chakra, si colloca al centro e alla sommità del cranio, che anatomicamente corrisponde alla ghiandola pineale.39 Leggiamo per la prima volta della ghiandola pineale negli scritti di Erofilo, un medico greco del III secolo a.C. dell’epoca di Alessandro Magno. Il suo nome deriva dal latino, pineus, relativo al pino, pinus. Questo piccolo organo è quindi piniforme, o a forma di pigna, e non è più grande dell’unghia del mignolo.

La ghiandola pineale è unica nella sua posizione isolata all’interno del cervello. Tutte le altre aree cerebrali sono appaiate, nel senso che hanno le controparti sinistra e destra; ad esempio, ci sono i lobi frontali destro e sinistro e i lobi temporali destro e sinistro. In quanto unico organo spaiato all’interno del cervello, la ghiandola pineale restò una curiosità anatomica per quasi duemila anni. Nessuno in Occidente aveva idea di quale fosse la sua funzione. L’interesse per la pineale aumentò dopo aver attirato l’attenzione di

René Descartes. Il filosofo e matematico francese del XVII secolo, che disse «Penso dunque sono», aveva bisogno di una fonte per quei pensieri. L’introspezione gli mostrò che era possibile pensare solo un pensiero per volta. Ma da quale area del cervello potevano emergere questi pensieri spaiati e solitari? Descartes propose che fosse la pineale, l’unico organo single del cervello, a generare i pensieri. Credeva inoltre che la posizione della pineale, direttamente sopra una delle vie secondarie fondamentali attraverso cui passa il

liquido cerebrospinale, rendesse ancora più probabile questa funzione. I ventricoli, cavità vuote in profondità all’interno del cervello, producono il fluido cerebrospinale. Questo liquido chiaro, salato e ricco di proteine fornisce al cervello un cuscinetto, proteggendolo da colpi e urti improvvisi. Trasporta inoltre le sostanze nutritive in profondità nel tessuto cerebrale, e allo stesso tempo porta via i prodotti di scarto. All’epoca di Descartes, l’afflusso e il riflusso del liquido cerebrospinale attraverso i ventricoli sembravano

perfettamente adeguati per i corrispondenti movimenti dei pensieri. Se la ghiandola pineale “secerneva” i pensieri nel fluido cerebrospinale, quale modo migliore per il “flusso di coscienza” di farsi strada nel resto del cervello? 40 Descartes aveva anche un profondo lato spirituale. Credeva che il pensiero, o l’immaginazione umana, fosse fondamentalmente un fenomeno di carattere spirituale reso possibile dalla nostra natura divina, che condividiamo con Dio. I nostri pensieri sono perciò

espressione della nostra anima e la prova evidente della sua esistenza. Descartes credeva che la ghiandola pineale svolgesse un ruolo essenziale nell’espressione dell’anima: «Sebbene l’anima sia collegata al corpo intero, c’è una parte di esso [la ghiandola pineale] nella quale esercita le proprie funzioni in modo maggiore rispetto a qualsiasi altro luogo. [...] [La ghiandola pineale] è così “sospesa” tra i varchi che contengono gli spiriti animali [che guidano la ragione e trainano le sensazioni e il movimento] che

possono essere messi in moto da loro [...]; e trasportano questo moto all’anima. [...] Poi viceversa, la macchina corporea è costituita in modo tale che ogni volta che la ghiandola viene mossa in una direzione o in un’altra dall’anima, o per un qualsiasi altro motivo, spinge contro gli spiriti animali che circondano i pori cerebrali».41 Descartes suggerì pertanto che la ghiandola pineale fosse in qualche modo la “sede dell’anima”, l’intermediario tra il fisico e lo spirituale. Il corpo e lo spirito si incontravano qui, influenzandosi

reciprocamente, e le ripercussioni si estendevano in entrambe le direzioni. Quanto vicino alla verità era Descartes? Cosa sappiamo oggi sulla biologia della ghiandola pineale? Possiamo collegare questa biologia alla natura dello spirito? La ghiandola pineale degli animali più vecchi dal punto di vista evolutivo, come le lucertole e gli anfibi, viene chiamata anche “terzo occhio”. Proprio come i due occhi vedenti, il terzo occhio possiede una lente, una cornea e una retina. È fotosensibile e aiuta a regolare la

temperatura del corpo e la pigmentazione della pelle: due funzioni essenziali alla sopravvivenza di questi animali, strettamente legate alla luce dell’ambiente. La melatonina, il principale ormone pineale, è presente nelle ghiandole pineali primitive. Mano a mano che gli animali salirono lungo la scala evolutiva, la pineale si è spostata verso l’interno, più in profondità nel cervello, più nascosta e inaccessibile alle influenze esterne. Sebbene la pineale degli uccelli non sia più

posta alla sommità del cranio, resta tuttavia sensibile alla luce esterna a causa delle sottilissime ossa che la ricoprono. La pineale dei mammiferi, incluso l’uomo, è sepolta ancora più in profondità nei recessi del cervello e non è direttamente sensibile alla luce, perlomeno negli adulti.42 È interessante ipotizzare che la ghiandola pineale, considerato il suo ruolo “spirituale”, abbia avuto bisogno di una maggiore protezione dall’ambiente attraverso una collocazione più in profondità all’interno del cranio.

La ghiandola pineale umana diventa visibile nello sviluppo del feto a sette settimane, o quarantanove giorni, dopo il concepimento. È stato molto interessante scoprire che questo è quasi l’esatto momento nel quale si può vedere chiaramente la prima indicazione del sesso, maschile o femminile, del feto. Prima di questo periodo il sesso del feto è indeterminato o sconosciuto. Perciò la ghiandola pineale e la più importante differenziazione dell’umanità, nel genere maschile e

femminile, compaiono nello stesso momento. La ghiandola pineale umana non è in realtà parte del cervello. Piuttosto, si sviluppa a partire da tessuti specializzati nella laringe del feto. Da lì, migra verso il centro del cervello, dove sembra trovare il posto migliore ove dimorare. Abbiamo già notato la vicinanza della ghiandola pineale ai canali del liquido cerebrospinale, il che permette alle sue secrezioni di raggiungere con facilità i recessi più profondi del cervello. Per di più essa si posiziona in vicinanza strategica

rispetto ai fondamentali centri cerebrali delle emozioni e delle percezioni. Questi centri sensoriali o percettivi sono chiamati collicoli visivi o uditivi, piccoli ammassi di tessuto cerebrale specializzato. Sono delle stazioni di scambio per la trasmissione dei dati sensoriali ai siti cerebrali coinvolti nella loro registrazione e interpretazione. In pratica, gli impulsi elettrici e chimici che partono dagli occhi e dalle orecchie devono passare attraverso i collicoli prima di poterne avere la percezione a livello

mentale come immagini e suoni. La ghiandola pineale è sospesa direttamente sopra questi collicoli, separata solamente da uno stretto canale di liquido cerebrospinale. Tutto ciò che la pineale secerne e immette in questo liquido viene subito depositato sopra i collicoli. Inoltre, il cervello limbico o “emozionale” circonda la minuscola ghiandola pineale. Il sistema limbico è una serie di strutture cerebrali intimamente coinvolte nell’esperienza di stati d’animo quali gioia, rabbia, paura, ansia e piacere. Di conseguenza, la pineale

ha un accesso diretto anche ai centri emozionali del cervello. Per molti anni i fisiologi considerarono la ghiandola pineale dei mammiferi l’equivalente di un “appendice cerebrale”, ovvero un organo rudimentale e residuo, un retaggio del cervello rettiliano senza alcun ruolo conosciuto. La svolta avvenne nel 1958 con la scoperta della melatonina ad opera del dermatologo americano Aaron Lerner. Questa scoperta, e quelle a essa collegate, diedero inizio a quella che si può definire l’era delle

“ipotesi della funzione pineale della melatonina”. Lerner era interessato alla vitiligine, un disturbo della pelle che si manifesta con la depigmentazione o lo schiarimento di aree di pelle lungo il corpo. Uno studio del 1917 osservò che l’estratto della pineale bovina schiariva la pelle di una rana. Lerner pensò allora che vi fosse un fattore pineale coinvolto nella vitiligine. Polverizzò le ghiandole pineali di oltre dodicimila bovini e finalmente individuò il composto responsabile dello schiarimento

della pelle. Lo chiamò melatonina, perché schiariva la pelle contraendo il pigmento nero in speciali cellule: melas sta per “nero” e tonina per “contrarre” o “spremere”. (A dispetto di tutto il lavoro svolto da Lerner, oggi ci sono poche prove circa il ruolo della melatonina nel causare la vitiligine.)43 Allo stesso tempo, gli scienziati stavano alterando i cicli di luce e buio per meglio capire l’effetto della luce sulla riproduzione, una questione non di poco conto se si considera il valore economico, per l’industria zootecnica, di un

allevamento dai ritmi adeguati. Scoprirono che il buio costante inibiva le funzioni riproduttive e riduceva gli organi genitali; stimolava inoltre la crescita della ghiandola pineale e la produzione della melatonina. Dall’altro lato, la luce costante riduceva la pineale e i livelli di melatonina, e accresceva le funzioni riproduttive. Utilizzando questi studi sperimentali, gli scienziati conclusero che la melatonina era il fattore pineale fondamentale: in sua presenza le funzioni riproduttive rallentavano, mentre aumentavano in sua

assenza. In breve, la melatonina possedeva potenti effetti antiriproduttivi.44 Ora che la pineale ha perso un po’ del suo mistero, possiamo domandarci in che modo la melatonina è collegata alle presunte proprietà spirituali di questa ghiandola. Credevo fermamente che ci fosse una molecola dello spirito, da qualche parte nel cervello, che attivava o supportava stati di coscienza alterati, di carattere mistico o di altro tipo, che avvenivano spontaneamente. La mia prima ipotesi fu che la

melatonina prodotta dalla ghiandola pineale fosse questa “molecola dello spirito”, l’interprete chimico attraverso il quale il corpo e lo spirito si incontravano e interagivano. Se la melatonina aveva delle profonde proprietà psichedeliche, allora la mia ricerca del mezzo attraverso cui la pineale influiva sulla nostra vita spirituale era terminata. Il nome completo della melatonina è N-acetil-5metossitriptamina. Dal suo nome e dalla sua struttura possiamo dedurre che, come la DMT e la 5-

metossi-DMT , la melatonina è una triptamina. Abbiamo una buona comprensione di come il corpo regola la produzione di melatonina. Essa è “l’ormone dell’oscurità”. La luce spegne la produzione di melatonina sia durante le ore del giorno che in quelle notturne in presenza di luce artificiale. Più ore di buio durante la notte, maggiore sarà la quantità di melatonina prodotta. Più ore di luce durante il giorno, minore sarà la melatonina. Oltre a indicare se è giorno o notte, gli schemi di produzione della

melatonina rivelano all’animale il periodo dell’anno in cui si trova. Questi effetti a lungo termine della melatonina gli permettono dunque di preparare l’adeguata risposta alla stagione: si avrà allora la gestazione durante la primavera o l’autunno, il letargo durante l’inverno e la perdita di grasso in estate.

La noradrenalina e l’adrenalina (o norepinefrina ed epinefrina) sono i due neurotrasmettitori che attivano la sintesi della melatonina nella ghiandola pineale. Essi vengono rilasciati direttamente sulla pineale dalle cellule nervose che vi entrano a malapena in contatto. I

neurotrasmettitori si fissano a dei recettori specializzati che danno avvio al processo chimico di formazione della melatonina. Anche le ghiandole surrenali producono l’adrenalina e la noradrenalina, rilasciandole nel flusso sanguigno in risposta allo stress. Sono fattori fondamentali quando il corpo reagisce al pericolo: è la risposta del “combatti o fuggi”. In ogni caso, solo l’adrenalina e la noradrenalina rilasciate dalle terminazioni nervose vicino alla ghiandola pineale, e non dalle ghiandole surrenali, hanno un

qualche effetto sulle funzioni pineali. Questo non era ciò che ci saremmo aspettati. Poiché la ghiandola pineale non è originata dal tessuto cerebrale, essa esiste al di fuori della barriera ematoencefalica e dovrebbe reagire con prontezza alle droghe e ai farmaci trasmessi per via ematica. Nonostante ciò, il corpo protegge la ghiandola pineale con accanita tenacia. Le impennate, legate allo stress, di adrenalina prodotta dalle surrenali e di noradrenalina secrete nel sangue non raggiungono mai la

pineale. Il sistema di protezione della ghiandola pineale, composto da cellule nervose “spazzine”, semplicemente fa pulizia dell’adrenalina e della noradrenalina veicolate per via ematica in maniera incredibilmente efficiente. Non sorprende che questa barriera renda quasi impossibile stimolare la ghiandola pineale a produrre melatonina durante il giorno. Minuscoli vasi sanguigni circondano la pineale; così, quando essa produce la melatonina, l’ormone entra rapidamente nel

flusso sanguigno e si diffonde in tutto il corpo. La pineale secerne la melatonina anche direttamente nel liquido cerebrospinale, dove può avere effetti sul cervello in maniera ancora più veloce. La funzione della melatonina nell’uomo è incerta, nonostante i considerevoli progressi nel comprendere i suoi effetti in altri animali. C’è un grande interesse nel determinare se la melatonina abbia gli stessi effetti sulla funzione riproduttiva degli uomini, così come avviene negli altri mammiferi. Nell’uomo i livelli di melatonina si

riducono drasticamente durante la pubertà. Alcuni ricercatori credono che ciò possa permettere all’apparato sessuale di liberarsi dalle restrizioni della ghiandola pineale e iniziare così a funzionare in modo adulto. Mancano ancora prove definitive. Non è nemmeno dimostrato scientificamente che la melatonina svolga un ruolo nel jetlag, nella depressione invernale, nella regolazione del sonno, nel cancro e nell’invecchiamento.45 Una sostanza chimica, per poter essere definita una molecola dello spirito, deve possedere come

minimo degli effetti psichedelici. L’impressionante analogia a livello chimico della melatonina alla DMT e alla 5-metossi-DMT significa che anch’essa è fortemente psicoattiva? Alcune delle prime ricerche suggerirono che la melatonina avesse proprietà psicoattive. Ad esempio, somministrarla in dosi elevate prima di andare a dormire sembrava causare sogni vividi. Tuttavia, è difficile interpretare esattamente gli studi più vecchi, che non indagavano, né misuravano, gli effetti psichedelici della melatonina. C’era solo un modo per

scoprire se la melatonina era psichedelica: somministrarla a dei volontari umani. Dopo aver ottenuto la specializzazione in psichiatria, trascorsi un anno a Fairbanks, in Alaska, lavorando presso il locale centro di salute mentale. L’esperienza nell’Artico mi introdusse nel nuovo campo della “depressione invernale”. Questa sindrome risvegliò l’interesse nella biologia umana della ghiandola pineale e della melatonina. La ricerca sul loro ruolo nella depressione invernale ci avrebbe

aiutato a capire e trattare un’ampia gamma di sindromi stagionali. Questa sorprendente coincidenza mi fornì un contesto per iniziare a sondare i misteri della pineale. Tuttavia, sapevo ben poco della ricerca sull’uomo e così cercai altre strade per proseguire la mia formazione. Mi trasferii a San Diego per ottenere una borsa di studio di un anno per la ricerca in psicofarmacologia clinica presso l’Università della California. Imparai a stendere proposte di ricerca e a compilare moduli per i

finanziamenti, a organizzare gli esperimenti e a somministrare droghe sperimentali in ambiente ospedaliero. Assegnai e perfezionai scale di valutazione, raccolsi campioni di sangue e di altro materiale biologico, e analizzai e compilai dati. Seguendo ad Albuquerque un collega di San Diego, il dottor Jonathan Lisansky, iniziai a lavorare sotto la supervisione del dottor Glenn Peake, endocrinologo pediatrico. Glenn era il direttore scientifico del General Clinical Research Center dell’Università del

New Mexico, un centro di ricerca di spicco fondato dal US National Institutes of Health. Insieme a Glenn e a Jonathan realizzai uno studio completo, della durata di tre anni, sugli effetti della melatonina su volontari sani. Da esso emerse il primo, e finora l’unico, ruolo documentato svolto dalla melatonina nella fisiologia umana: essa favorisce l’abbassamento della temperatura corporea nelle prime ore del giorno. Esiste un ritmo giornaliero in molte funzioni biologiche dell’uomo. Una delle più forti è la

temperatura corporea, in cui si verifica un brusco calo alle 3 del mattino, lo stesso momento in cui si hanno i massimi livelli di melatonina. Studiammo diciannove volontari maschi, che rimasero svegli per tutta la notte esposti a una luce abbastanza forte da impedire una qualsiasi produzione di melatonina. In questi soggetti, l’abbassamento della temperatura corporea non era così marcato, per cui ci domandammo se ciò fosse dovuto alla mancanza di melatonina. La somministrazione di melatonina ai

volontari provocò un normale abbassamento della temperatura corporea. Da questi risultati avanzammo l’ipotesi che la melatonina svolgesse un ruolo rilevante nel calo della temperatura corporea che avviene in tutti noi nelle prime ore del giorno.46 I risultati per me più preziosi erano quelli derivanti da diverse scale di valutazione che misuravano le proprietà psicologiche della melatonina. Le mie letture sull’argomento mi avevano fatto sperare di scoprire profondi effetti psicoattivi in questo prodotto della

ghiandola pineale. Tuttavia, scoprimmo che la melatonina aveva effetti poco più che sedativi e rilassanti. Ero deluso dalla mancanza di significativi effetti psicoattivi nella melatonina. Quando ormai il progetto stava volgendo al termine, una notte ricevetti una telefonata dall’unità di ricerca che mi comunicava che uno dei volontari aveva ricevuto per sbaglio una dose di melatonina dieci volte maggiore rispetto a una dose normale. Trattenni a stento il mio entusiasmo. Poteva essere molto

interessante. Se basse dosi di melatonina avevano avuto effetti così timidi, questo incidente avrebbe potuto rivitalizzare la mia ricerca sulle sue proprietà psicologiche. Ascoltai attentamente la descrizione dell’infermiera ricercatrice su come lo staff medico aveva sbagliato a calcolare la quantità di melatonina da somministrare. Sembrava davvero un errore. Il battito cardiaco e la pressione sanguigna del volontario continuavano a essere regolari. Era

il suo stato mentale, tuttavia, che destava il mio maggiore interesse. «Come sta?» chiesi. «Bene» disse l’infermiera sbadigliando, «sto faticando molto per tenerlo sveglio e fargli compilare la scala di valutazione. Non riesce a tenere gli occhi aperti!» «Non ha allucinazioni o cose del genere?» accennai speranzoso. «Per sua sfortuna, no, dottor Strassman» mi rispose ridendo. «No, no, sono contento che stia bene» dissi, tornando velocemente a un tono più professionale.

Questo evento, più di ogni altro, mi convinse che la melatonina non fosse psichedelica. Ad ogni modo, ciò che avevo letto mi continuava a persuadere che la ghiandola pineale fosse il luogo principale nel quale cercare la molecola dello spirito. Torniamo dunque ai dati e alle idee che si svilupparono dopo aver riflettuto su questo. Inizieremo col considerare la funzione della ghiandola pineale nella formazione di DMT . 37. Willis W. Harman, Robert H. McKim, Robert E. Mogar, James Fadiman e Myron J.

Stolaroff, Psychedelic Agents in Creative Problem-Solving: A Pilot Study, in «Psychological Reports», n. 19, 1966, pp. 211227. 38. Più di vent’anni dopo, nel 1995, incontrai Dorothy Fadiman a un convegno a Manaus, nell’Amazzonia brasiliana. Quando tornò in California, mi mandò il suo video degli anni ‘70 sulla luce, dal titolo Radiance. Il cerchio finalmente era chiuso. 39. Il chakra della Corona, o Petali, non è lo stesso del Quest’ultimo si trova al centro mezzo agli occhi, appena al di anatomicamente corrisponde alla ghiandola pituitaria.

Loto dai Mille “terzo occhio”. della fronte, in sopra di essi, e maggiormente

40. La relazione tra il liquido cerebrospinale e la coscienza ha di recente ricevuto il sostegno della ricerca neuroscientifica. Vi sono livelli molto alti

di particolari recettori della serotonina sulla superficie delle cellule che ricoprono i ventricoli. Sono queste cellule di rivestimento a produrre il liquido cerebrospinale. L’LSD si fissa a questi recettori con una forza straordinaria. Forse gli psichedelici alterano davvero la nostra coscienza, in maniera così potente, controllando la produzione di questo speciale liquido cerebrale. Descartes e i suoi seguaci rideranno di cuore di queste scoperte “moderne”! 41. Vedi R. Descartes, “L’interrelazione tra anima e corpo”, in I principi della filosofia, in Opere filosofiche, vol. 3, parte I, Laterza 1986, pp. 51-53. 42. Non sappiamo se l’apertura nel cranio, la fontanella, che è situata direttamente sopra la pineale del neonato, permetta di far entrare sufficiente luce da influire sulla ghiandola. 43. Aaron B. Lerner, James D. Case, Y oshiyata

Takahashi, Teh H. Lee e Wataru Mori, Isolation of Melatonin, the Pineal Gland Factor That Lightens Melanocytes, in «Journal of the American Chemical Society», n. 30, 1958, p. 2587. 44. F. Karsch, E. Bittman, D. Foster, R. Goodman, S. Legan e J. Robinson, Neuroendocrine Basis of Seasonal Reproduction, in «Recent Progress in Hormone Research», n. 40, 1984, pp. 185-232. 45. Con l’avanzare dell’età, aumenta il deposito di calcio nella ghiandola pineale. Così calcificata, segnala in maniera eccellente la linea mediana del cervello ai raggi X e durante la TAC. Ad ogni modo, un’esigua quantità di questo calcio si accumula nelle cellule che producono melatonina. Sebbene i livelli di melatonina diminuiscano con l’età, ciò è indipendente dal grado di calcificazione della pineale.

46. Rick J. Strassman, Clifford R. Qualls, E. Jonathan Lisansky e Glenn T. Peake, Elevated Rectal Temperature Produced by All-Night Bright Light Is Reversed by Melatonin Infusion in Men, in «Journal of Applied Physiology», n. 71, 1991, pp. 2178-2182. Le prime ore del mattino sono anche il momento in cui è più probabile trovarsi nello stato di sonno in cui si sogna e diversi studi suggerirono che notevoli quantità di melatonina incrementassero l’attività onirica. Non siamo stati in grado di esaminare questa ipotesi nei nostri esperimenti, perché era necessario che i soggetti stessero svegli con gli occhi aperti in modo che la luce impedisse la produzione di melatonina. Se la melatonina stimolava l’attività onirica durante il sonno, allora ci saremmo dovuti aspettare meno sogni vividi nei volontari la cui produzione di melatonina era stata inibita. Curiosamente, le droghe che impediscono la

formazione di melatonina nelle ore notturne aumentano l’attività onirica anziché diminuirla.

Capitolo 4

LA PINEALE PSICHEDELICA

Ancora prima di cominciare lo studio sulla melatonina, le pubblicazioni di carattere scientifico che avevo consultato indicavano che poteva non essere lei la molecola dello spirito. Cercai allora di scoprire se la ghiandola pineale producesse altri composti con proprietà psichedeliche. Tuttavia,

sebbene fossi agli esordi della mia carriera, e molto prima di cominciare ad abbozzare il progetto di ricerca sulla DMT , scoprii rapidamente quanto potessero essere controverse queste idee. Nel 1982 trascorsi un anno di formazione in psicofarmacologia clinica presso l’Università della California di San Diego. Mi concentrai soprattutto sulla relazione che intercorreva tra la ghiandola tiroidea e l’umore, ma allo stesso tempo appresi tutto ciò che potevo sulla ghiandola pineale.

Uno dei miei insegnanti era il dottor K., un’autorità nel campo dei ritmi biologici, della melatonina e del sonno. A metà della mia formazione, decisi di esporgli alcune delle mie idee nascenti riguardo a un ruolo psichedelico della ghiandola pineale. Stavamo camminando lungo uno degli innumerevoli corridoi del San Diego Veterans’ Administration Hospital, conversando in modo sconclusionato e toccando vari argomenti. Quando ci fu una pausa, colsi l’occasione.

«Crede che la ghiandola pineale possa produrre composti psichedelici? Sembra avere tutti gli ingredienti giusti. Forse in un qualche modo fa da mediatrice tra i diversi tipi di stati psichedelici spontanei, come ad esempio le psicosi». Temendo di addentrarmi troppo a fondo, evitai di menzionare le mie idee più controverse circa il ruolo che la pineale potrebbe svolgere nel provocare stati più insoliti, quali le esperienze mistiche e di pre-morte. Il dottor K. si fermò di colpo e si voltò. Aggrottò le sopracciglia e mi

scrutò intensamente attraverso gli occhiali. Una minaccia palpabile scintillò nei suoi occhi. «Oops!» pensai. «Lascia che ti dica una cosa, Rick» disse lentamente, in tono deciso. «La ghiandola pineale non ha nulla a che vedere con le droghe psichedeliche». Fu l’ultima volta quell’anno in cui pronunciai le parole pineale e psichedelico nella stessa frase. Nonostante ciò, continuai a esaminare le fonti scientifiche e iniziai a sviluppare alcune delle teorie che danno forma a questo

libro. Lo studio del lavoro di altri scienziati e i risultati della mia ricerca successiva sulla melatonina si aggiunsero alla quantità di prove sulla cui base ho formulato le seguenti ipotesi. Queste ipotesi non sono ancora state dimostrate, ma derivano da dati scientificamente validi combinati con osservazioni e insegnamenti di carattere spirituale e religioso. Molte di queste idee possono venire testate utilizzando strumenti e metodi disponibili. Le implicazioni di queste teorie sono profonde e allarmanti, ma creano

anche un promettente contesto di speranza. L’ipotesi più generale è che la ghiandola pineale produca quantità psichedeliche di DMT in momenti eccezionali della nostra vita. La produzione di DMT da parte della pineale è la rappresentazione fisica di processi non-materiali ed energetici. Ci fornisce il veicolo per sperimentare in maniera cosciente il movimento della nostra forza vitale durante le sue manifestazioni più estreme. Esempi specifici di questo fenomeno sono i seguenti.

Quando la nostra forza vitale individuale entra nel feto – il momento in cui diventiamo davvero degli esseri umani – passa attraverso la ghiandola pineale e provoca il primo flusso primordiale di DMT . In seguito, alla nascita, la pineale rilascia una maggiore quantità di DMT . In alcuni di noi, la DMT prodotta dalla pineale fa da intermediaria nelle cruciali esperienze di meditazione profonda, psicosi ed esperienze di pre-morte.

Quando moriamo, la forza vitale abbandona il corpo attraverso la ghiandola pineale, rilasciando un altro flusso di questa psichedelica molecola dello spirito. La ghiandola pineale contiene gli elementi essenziali necessari a produrre la DMT . Ad esempio, possiede i più alti livelli di serotonina rispetto al resto del corpo, e la serotonina è il precursore fondamentale nella produzione della melatonina da parte della pineale. La ghiandola pineale, inoltre, è in grado di convertire la serotonina in

triptamina, un passaggio cruciale nella formazione di DMT . Nella pineale si trovano anche, in concentrazioni straordinariamente elevate, gli unici enzimi in grado di convertire la serotonina, la melatonina e la triptamina in composti psichedelici. Questi enzimi, i metiltransferasi, si attaccano a un gruppo metile – cioè formato da un atomo di carbonio e tre di idrogeno – sopra altre molecole, metilandole. È sufficiente metilare due volte la triptamina per ottenere la di-metil-triptamina o DMT . Siccome possiede i livelli più

alti di enzimi e di precursori necessari, la ghiandola pineale è il luogo più ragionevole per la formazione di DMT . Incredibilmente, nessuno ha mai cercato la DMT nella pineale. La ghiandola pineale produce anche altre sostanze potenzialmente psicoattive, le betacarboline. Questi composti inibiscono la scomposizione della DMT da parte delle monoammino ossidasi (MAO). Uno degli esempi più eclatanti di come lavorano le beta-carboline è l’ayahuasca. Alcune piante che contengono le

beta-carboline sono combinate con altre piante che contengono DMT per produrre questo infuso psichedelico di origine amazzonica, il che rende la DMT attiva per via orale. Se non fosse per le beta-carboline, le MAO presenti nell’intestino distruggerebbero rapidamente la DMT ingerita, che non avrebbe alcun effetto sulla nostra mente. Non è sicuro che le beta-carboline siano, di per sé, psichedeliche. In ogni caso, esse amplificano in modo marcato gli effetti della DMT . Pertanto, la ghiandola pineale può produrre la DMT e delle sostanze

chimiche che ne potenziano e ne prolungano gli effetti. In quali circostanze la ghiandola pineale potrebbe produrre la DMT anziché la melatonina, che è minimamente psicoattiva? Per far sì che ciò accada, è necessario oltrepassare una o più delle seguenti barriere che normalmente impediscono la produzione di DMT nella pineale: il sistema di protezione cellulare attorno alla ghiandola pineale; la presenza di un composto

anti-DMT nella ghiandola pineale; la blanda attività degli enzimi metiltransferasi che producono DMT ; l’efficienza degli enzimi MAO nel degradare la DMT . Il principio guida della prima ondata della ricerca umana sulla DMT era il confronto tra DMT e stati schizofrenici. Per di più, questo era il contesto nel quale gli scienziati studiarono questi quattro diversi elementi del sistema umano della DMT . Da questi studi sulle psicosi

possiamo rilevare dati a sostegno delle mie ipotesi su come la pineale può produrre DMT . L’enfasi sulla relazione tra DMT e psicosi, dunque, non è perché credo che questo sia l’unico ruolo della DMT endogena. Anzi, la psicosi è l’unico stato alterato di coscienza che si verifica in maniera naturale per il quale abbiamo dati reali. Sono convinto che anche altre condizioni “psichedeliche spontanee”, come le esperienze spirituali e di pre-morte, condividano una simile relazione con la DMT endogena. Questi studi,

tuttavia,

devono realizzati.47

ancora

essere

Molto probabilmente, il fattore principale che inibisce l’eccessiva produzione di DMT nella pineale è l’eccellente sistema di difesa della ghiandola stessa, del quale abbiamo parlato nel capitolo precedente. L’esempio più conosciuto di questa difesa è la difficoltà che incontriamo quando cerchiamo di stimolare la produzione diurna di melatonina. L’adrenalina e la noradrenalina, i neurotrasmettitori che stimolano la formazione notturna di melatonina,

sono chiamate complessivamente catecolamine. Le cellule nervose in contatto con la ghiandola pineale rilasciano queste catecolamine, che attivano degli specifici recettori sul tessuto della pineale dando inizio alla sintesi della melatonina. Anche le ghiandole surrenali producono l’adrenalina e la noradrenalina, rilasciandole nel flusso sanguigno in risposta allo stress. Tuttavia, quando le catecolamine prodotte dalle surrenali raggiungono la pineale per via ematica, le cellule nervose che la circondano immediatamente le

fanno entrare e le smaltiscono. Inoltre, le circostanze in cui avviene il rilascio delle catecolamine da parte delle ghiandole surrenali, come nei momenti di stress o durante l’esercizio fisico, non stimolano la formazione diurna di melatonina. Abbiamo realizzato una ricerca che lo dimostra in maniera piuttosto chiara. Atleti di alto livello fecero una maratona ad altitudini elevate, correndo per lo più oltre i 3.000 metri. Abbiamo misurato la melatonina prima e dopo la corsa. Per la maggior parte degli atleti fu

quasi un’esperienza di pre-morte. I livelli di melatonina in questi atleti registrarono lo stesso aumento di quelli misurati di notte durante il sonno – quasi un’esplosione della chimica cerebrale! Nonostante ciò, abbiamo potuto constatare che è possibile superare la barriera difensiva della pineale se lo stress è sufficientemente grande.48 Secondo i neuroscienziati, questa barriera all’attivazione della pineale esiste perché per un animale sarebbe problematico percepire “scuro” il suo ambiente durante le ore del giorno. Poiché la pineale

rilascia la melatonina solo di notte, il rilascio diurno di melatonina sarebbe “percepito” come se ci fosse buio in un momento “sbagliato”, e l’animale sarebbe disorientato. Tuttavia, questa spiegazione non regge. La secrezione diurna di melatonina non è abbastanza “pericolosa” da meritare un sistema difensivo così complesso ed efficace. Gli effetti della melatonina non sono immediati, bensì impiegano ore o anche giorni per manifestarsi. Per di più, la luce del giorno sopprime quasi all’istante la produzione di melatonina,

riportando il sistema al punto di partenza prima che si verifichi qualsiasi disordine interno. D’altra parte, consideriamo cosa potrebbe accadere se lo stress inducesse la pineale a produrre facilmente DMT anziché melatonina. La DMT provoca una paralisi fisica e produce un’ondata di allucinazioni inaspettate e travolgenti che coinvolgono vista ed emozioni. Sicuramente, frequenti scariche nel rilascio di DMT sarebbero di gran lunga più pericolose per un animale che non se si trattasse di melatonina.

Può darsi che sia così difficile la produzione di melatonina durante il giorno perché qualsiasi intrusione all’interno del sistema di sicurezza della ghiandola pineale viene respinta. La pineale erige una barriera contro lo stress eccessivo che protegge in egual misura tutto ciò che si trova dietro di essa. Pertanto, un set di circostanze nelle quali la DMT può venire prodotta nella pineale si ha quando l’emissione di catecolamine è troppo elevata per impedire alla barriera della ghiandola di respingerle.

È anche possibile che il sistema di protezione della pineale non funzioni in maniera normale negli individui psicotici. Ci sono dei validi dati indiretti che lo confermano. Lo stress aggrava gli stati allucinatori e maniacali nei pazienti psicotici. I livelli di DMT in tali pazienti sono legati al grado di psicosi: più intensi sono i sintomi, più alti sono i livelli di DMT . Sappiamo che la DMT aumenta anche negli animali sottoposti a stress. Nelle psicosi, i livelli più comuni di catecolamine a seguito di situazioni di stress possono travolgere le inadeguate

difese della ghiandola pineale, producendo così troppa DMT , che può dunque causare o aggravare i sintomi nei pazienti psicotici.49 Un altro elemento che normalmente protegge il corpo dalla produzione di quantità psichedeliche di DMT nella pineale risiede nella ghiandola stessa. Un particolare tipo di proteina, di piccole dimensioni, scoperta per la prima volta nel sangue, ha mostrato di interferire con l’attività degli enzimi responsabili della formazione di DMT . Nella ghiandola pineale si trovano dei livelli

piuttosto elevati di questa proteina, una specie di “anti- DMT ”. Se questo stesso inibitore venisse bloccato, sarebbe più probabile la formazione di DMT . Dove era meglio procurarsi un’anti-DMT per evitare la formazione eccessiva di DMT , potenzialmente pericolosa, se non dove essa stessa era stata prodotta e cioè nella ghiandola pineale? Anche i dati ricavati dalla ricerca sulla psicosi rafforzano questa tesi. Negli anni ’60, a soggetti affetti da schizofrenia vennero somministrati degli estratti della ghiandola pineale come trattamento sperimentale. I

loro sintomi migliorarono in maniera evidente. La spiegazione di questa scoperta fu che gli estratti della pineale fornivano ai pazienti una dose extra di anti-DMT che nella loro ghiandola era carente. Furono quindi più capaci di contrastare i livelli patologicamente elevati di DMT e i sintomi della psicosi migliorarono.50 Altri due possibili freni alla produzione di DMT nella pineale sono collegati agli enzimi: quelli che producono e quelli che degradano la molecola dello spirito all’interno del corpo.

I ricercatori hanno scoperto che gli enzimi metiltransferasi che formano la DMT sono più attivi negli stati di schizofrenia che in condizioni normali. Questo accrescerebbe la produzione di DMT . Gli scienziati hanno osservato diversi tessuti umani per cercare la fonte di questa anomala funzione enzimatica, ma sfortunatamente non studiarono la ghiandola pineale.51 Infine, se il sistema MAO che di solito annienta la DMT fosse difettoso, potrebbe rimanere una maggiore quantità di DMT e produrre

sintomi psichedelico-psicotici. Le MAO sono meno efficienti negli schizofrenici rispetto ai volontari sani, e può essere che gli schizofrenici non smaltiscano la DMT in maniera sufficientemente rapida dal loro sistema. Ciò potrebbe anche tradursi in livelli di DMT troppo elevati per le ordinarie funzioni mentali. Quando i ricercatori esaminarono l’attività delle MAO in alcuni tessuti umani, sfortunatamente non valutarono la loro attività nella pineale nei casi di schizofrenia.

Occupiamoci ora di stati alterati di coscienza meno patologici, ma comunque relativamente comuni e che si verificano spontaneamente, nei quali la DMT prodotta dalla pineale potrebbe avere un ruolo. Il sogno lucido è uno di questi. Il momento più probabile per l’attività onirica è anche quello in cui i livelli di melatonina sono massimi, vale a dire attorno alle 3 di notte. Siccome la melatonina possiede solo leggeri effetti sulla psiche, ciò suggerisce l’intervento di un altro composto della pineale i cui livelli siano equivalenti a quelli

della melatonina. La DMT è un buon candidato. Comunque, nessuno ha ancora indagato sui ritmi seguiti dalla DMT nell’arco delle 24 ore, nei volontari sani, nel tentativo di mettere in relazione i livelli di DMT e l’intensità o la frequenza dell’attività onirica. Jace Callaway ha suggerito che le beta-carboline derivate dalla pineale possono essere implicate nei sogni. Sebbene gli incerti effetti psicologici delle beta-carboline facciano sorgere alcuni dubbi su questa ipotesi, resta il fatto che le betacarboline prodotte dalla pineale

potrebbero certamente stimolare in modo indiretto l’attività onirica grazie ai loro effetti stimolanti della DMT .52 Anche la meditazione o la preghiera possono originare profondi stati alterati di coscienza. La produzione di DMT nella pineale potrebbe essere alla base di queste esperienze mistiche e spirituali. Tutte le discipline spirituali fanno dei resoconti assolutamente psichedelici delle esperienze trasformative il cui conseguimento è l’obiettivo della loro pratica. Luce bianca accecante, incontri con

entità demoniache e angeliche, emozioni estatiche, senso di eternità, suoni paradisiaci, sensazione di esser morti e poi rinati, contatto con una presenza amorevole e potente che sottostà a tutta la realtà: queste esperienze trascendono ogni definizione. Inoltre, sono tipiche di una completa esperienza psichedelica da DMT . In che modo la meditazione potrebbe provocare il rilascio di DMT nella ghiandola pineale? Diverse discipline meditative portano a un’accurata

sintonizzazione dell’attenzione e della consapevolezza, per esempio tramite la concentrazione fissa sul respiro. L’attività elettrica del cervello, per come viene misurata da un encefalogramma, riflette questa sincronizzazione o ri-unione dell’attività cerebrale. Diversi studi hanno riportato che i meditatori esperti producono un modello di onde cerebrali più lento e più simmetrico rispetto a quello che contraddistingue gli stati di consapevolezza ordinaria. Più “profonda” è la meditazione, più lente e forti sono le onde.

Altre tecniche integrano queste pratiche focalizzate sull’attenzione con metodi quali il canto. I canti, utilizzando parole che derivano da lingue antiche con proprietà spirituali presumibilmente uniche, possono causare profondi effetti psicologici. Le pratiche di visualizzazione, nelle quali si creano immagini via via più complesse e dinamiche tramite l’occhio della mente, possono anch’esse condurre a stati mentali elevati ed estatici. In queste condizioni c’è una qualità dinamica eppure immobile

dell’esperienza, come un’onda all’interno di un fiume. Sembra che l’onda non si muova affatto, mentre l’acqua scorre ovunque attorno a lei. In effetti, è l’acqua che scorre a produrre l’onda. E quelle onde creano una nota o un suono unico. Tale fenomeno delle onde, producendo una particolare nota o un suono associato alla loro frequenza, stabilisce campi di influenza ampi e diffusi. Gli oggetti all’interno di questi campi vibrano simpateticamente, o alla stessa frequenza, un fenomeno chiamato “risonanza”.

Un esempio dei potenti effetti della risonanza è quando una determinata nota manda in frantumi un bicchiere di vetro nonostante il suono non sia particolarmente forte. Il bicchiere vibra simpateticamente, o risuona, alla stessa frequenza del suono circostante. Alcune note possono creare una tensione insostenibile all’interno della particolare struttura del bicchiere, finché questo non esplode. In maniera simile, le tecniche di meditazione che si avvalgono del suono, della vista o della mente

possono creare particolari modelli di onda i cui campi generano risonanza nel cervello. Millenni di dispute ed errori hanno stabilito che determinate parole “sacre”, immagini visive ed esercizi mentali dispiegano in maniera unica gli effetti desiderati. Tali effetti possono verificarsi a causa dei particolari campi che generano all’interno del cervello. Questi campi fanno in modo che sistemi multipli vibrino e pulsino a determinate frequenze. Possiamo percepire la nostra mente e il nostro corpo entrare in risonanza con

questi esercizi spirituali. Certamente, anche la ghiandola pineale risuona alle stesse frequenze. Un processo di risonanza può avvenire nella pineale in maniera simile all’esempio del bicchiere di vetro, sebbene non proprio in modo così distruttivo. La pineale inizia a “vibrare” a frequenze che indeboliscono le sue molteplici barriere contro la formazione di DMT : la barriera cellulare della pineale, i livelli di enzimi e le quantità di anti-DMT . Il risultato finale è un’ondata psichedelica della

molecola dello spirito prodotta dalla ghiandola pineale, che dà luogo a stati soggettivi di consapevolezza mistica.53 Fin qui abbiamo preso in considerazione situazioni che non costituiscono una minaccia per la vita: psicosi ed esperienze spirituali. Ora possiamo occuparci di casi più drammatici, anch’essi quasi sempre accompagnati da realtà soggettive di carattere psichedelico: esperienze di nascita, morte e pre-morte. Non si esagera nel dire che la nascita, la morte e le esperienze di pre-morte sono eventi

straordinariamente “stressanti”. La forza vitale fa tutto il possibile per preservare la propria residenza in difficoltà. In questi momenti si hanno enormi emissioni di ormoni dello stress, incluse adrenalina e noradrenalina, le catecolamine che stimolano la pineale. Partiamo dalla nascita. Questa esperienza è fortemente psichedelica per una madre non sottoposta ad anestesia. Per non parlare di quanto lo sia per il nascituro! Sappiamo che la DMT è presente negli animali da laboratorio neonati. Non c’è motivo

di credere che non sia presente anche nei neonati umani. Tuttavia, nessuno finora ha indagato sulla presenza di DMT nei neonati umani o nelle loro madri al momento del parto. Durante il parto naturale viene rilasciata un’enorme quantità di catecolamine. La massiccia fuoriuscita di questi ormoni dello stress sulla ghiandola pineale della madre e del nascituro può bastare per superare il sistema di difesa della pineale e attivare il rilascio di DMT . Se la madre è stata sottoposta ad anestesia, la produzione di

catecolamine è minore, ed è ridotta al minimo in caso di parto cesareo. Pertanto, queste due ultime situazioni possono produrre un minore rilascio di DMT , ammesso che ve ne sia, da parte delle ghiandole pineali della madre e del nascituro. Alti livelli di DMT al momento della nascita forniscono una spiegazione per quella che è un’opinione diffusa nella psicoterapia psichedelica. Secondo Stanislav Grof, uno psicoterapeuta con un’esperienza senza pari che ha utilizzato l’LSD nel trattamento dei pazienti, molto di

ciò che accade durante le sessioni di terapia psichedelica è un riallestimento del processo della nascita. Grof ha scoperto che chi nasce a seguito di un parto cesareo è meno capace di “lasciarsi andare” nella terapia con gli psichedelici rispetto a chi nasce con il parto naturale. La presenza di livelli psichedelici di DMT durante il parto naturale, e di scarsi livelli in caso di parto cesareo, dovuti al rilascio insufficiente di DMT stimolata dagli ormoni dello stress, può forse spiegare questa scoperta.54

Può darsi che per poterci “lasciar andare” da adulti a qualsiasi intensa esperienza emotiva abbiamo bisogno della base risolutiva, affidabile e sicura della nostra prima “seduta a dose elevata di DMT ” che avviene in modo naturale al momento della nascita. In caso contrario, più tardi, in età adulta, l’esposizione a questi stati inusuali e inaspettati ci catapulterà verso una serie di esperienze completamente sconosciute e disorientanti che ci incuteranno paura. Non disponiamo di precedenti attendibili di simili

esperienze conclusesi con successo. Consistenti impennate nei livelli degli ormoni dello stress contrassegnano anche le esperienze di pre-morte o NDE (near death experiences). La maggior parte della letteratura descrive le NDE come esperienze mistiche, psichedeliche e travolgenti a livello psicologico. Potrebbe anche trattarsi di momenti in cui i meccanismi di protezione della pineale vengono sommersi e si attivano dei percorsi per la produzione di DMT altrimenti inattivi.

Sappiamo davvero molto poco sulla fisiologia della morte. Cosa succede al nostro corpo, al nostro cervello e alla nostra mente quando moriamo? Quanto dura il processo? Termina nel momento in cui smettiamo di respirare? O c’è un motivo per cui molte tradizioni indicano quando spostare o seppellire il corpo? Perché si preoccupano di non disturbare la coscienza residua? Occorre anche riflettere sugli effetti della decomposizione del tessuto della pineale sulla nostra coscienza, sia all’approssimarsi della morte che

dopo. Il tessuto della pineale può ancora produrre DMT per alcune ore, e forse anche di più, in chi sta morendo o è morto da poco, e potrebbe avere effetti sulla coscienza residua. Mentre le onde cerebrali del nostro cervello morto segnano un encefalogramma piatto, che ne è del nostro stato mentale interiore durante quei momenti? Per iniziare a verificare l’ipotesi che il tessuto della pineale in via di decomposizione produca composti psichedelici, molti anni fa raccolsi le ghiandole pineali di circa una

decina di cadaveri umani che mi procurai presso un obitorio locale. Le inviai a un altro laboratorio affinché venisse misurata la DMT . Sfortunatamente i cervelli non erano stati congelati, e nemmeno rimossi subito dopo il momento della morte e messi dentro l’azoto liquido, un congelamento immediato che arresta ogni processo di decomposizione da quel momento in avanti. In queste ghiandole pineali non trovammo tracce di DMT . Anche se ve ne fosse stata qualcuna, è probabile che il lungo ritardo nell’analizzare i

tessuti, in alcuni casi diversi giorni, abbia causato la loro scomparsa prima delle analisi. Infine, le droghe psichedeliche potrebbero influenzare la ghiandola pineale, e così usarla, tramite la formazione di DMT , come un intermediaro della loro attività. Sulla ghiandola pineale si trovano i recettori dell’LSD, e la mescalina accresce i livelli di serotonina nella pineale. Le beta-carboline accelerano la formazione della melatonina, oltre alla loro proprietà, già descritta in precedenza, di amplificare e

prolungare gli effetti della DMT . E la DMT è il più potente tra i diversi psichedelici che stimolano la produzione di melatonina nella pineale. La DMT , promuovendo la formazione dei suoi possibili componenti essenziali, ricalca il processo della combustione, per il quale da un piccolo fiammifero si può generare un enorme falò. Il fiammifero inizia col bruciare della carta per poi estendersi ai rami. I rami che bruciano propagano il fuoco ai tronchi, finché non ne risulta un incendio divampante.

Allo stesso modo, le diverse circostanze di cui abbiamo discusso, che contribuiscono alla produzione endogena di DMT , potrebbero costituirsi già con una piccola quantità di materiale appena formato. Queste condizioni possono avviare un processo di produzione sempre maggiore, tramite l’aumento dei livelli dei precursori necessari. Alla fine, si raggiunge un punto critico che segna una completa scarica psichedelica di DMT nella pineale. Il “fuoco” psichedelico si spegne dopo aver

fatto il suo corso e aver esaurito la scorta delle materie prime. Questa “ipotesi della funzione pineale della DMT ” ci permette di chiudere diverse questioni lasciate aperte dall’ipotesi della funzione pineale della melatonina. Una di queste, della quale peraltro ho già trattato, riguarda il motivo per cui la ghiandola pineale è dotata di un sistema di difesa così potente contro lo stress. L’ipotesi melatonina non risponde in maniera adeguata a tale questione. L’ipotesi DMT fornisce invece una spiegazione molto più

soddisfacente: il corpo difende così strenuamente la ghiandola pineale per evitare di essere debilitato dai quotidiani livelli di stress che rilasciano quantità psichedeliche di DMT . Un altro enigma irrisolto dall’ipotesi melatonina riguarda la posizione piuttosto particolare della ghiandola pineale. Essa non è nemmeno formata da tessuto cerebrale, bensì deriva da cellule specializzate originate nella laringe del feto. Perché allora si sposta, in ognuno di noi, al centro del cervello?

Dalla sua particolare postazione, la pineale entra a malapena in contatto con le stazioni sensoriali della vista e dell’udito. È circondata dai centri emozionali del sistema libico, e questa posizione le permette di immettere in maniera rapidissima le sue sostanze direttamente nel liquido cerebrospinale. Normalmente si crede che la posizione della ghiandola pineale le permetta di rispondere al meglio alle condizioni di luce. Tuttavia, il tragitto dagli occhi alla pineale è stranamente tortuoso. I nervi che

collegano gli occhi alla pineale in realtà escono dalla testa e deviano attraverso il collo, prima di ritornare alla ghiandola pineale in profondità all’interno del cranio. Sarebbe già abbastanza funzionale per la ghiandola trovarsi nel collo o nella parte superiore del midollo spinale e rilasciare la melatonina direttamente nel flusso sanguigno per segnalare le condizioni di luce all’animale che la ospita. Può darsi che la posizione della pineale sia congeniale per far sì che la melatonina possa influenzare gli importanti centri cerebrali vicini,

come la ghiandola pituitaria, che regola la funzione riproduttiva. Eppure tale esigenza non necessita di una collocazione della pineale in profondità nel cervello. La melatonina trasportata dal sangue proveniente da qualche altra parte potrebbe svolgere ottimamente il proprio ruolo, come avviene per gli ormoni secreti dalle ovaie e dalle surrenali. Forse la melatonina ha bisogno di un accesso immediato al liquido cerebrospinale, e questo potrebbe essere il motivo per cui la pineale pende dall’estremità di un

ventricolo che contiene tale fluido. Tuttavia, la ghiandola pineale rilascia un flusso costante di melatonina che dura per molte ore e i cui effetti si sviluppano nel corso di giorni e settimane. Un ormone con le caratteristiche della melatonina non ha bisogno di accedere al liquido cerebrospinale. Infine, le proprietà psicologiche della melatonina sono alquanto insignificanti. Questi effetti psicoattivi secondari non giustificano l’immediato accesso ai collicoli e al sistema limbico, ovvero le strutture cerebrali profonde che

regolano le percezioni e le emozioni. Pertanto, non occorrerebbe che la pineale si trovasse al centro del cervello, se questa sua posizione avesse lo scopo di supportare il ruolo della melatonina nella nostra vita. Se la ghiandola pineale producesse DMT , invece, ciò ne legittimerebbe di certo la posizione strategica. Un rilascio di DMT che avvenisse direttamente nei centri visivo, uditivo ed emozionale, che la pineale contatta a malapena, influenzerebbe in modo profondo la

nostra esperienza interiore. Vedremmo, sentiremmo, percepiremmo e penseremmo le cose in un modo inimmaginabile rispetto a quanto potrebbe fare la melatonina. A causa della sua durata straordinariamente breve, di soli pochi minuti, la DMT trarrebbe anche vantaggio dalla ridotta distanza, solo pochi millimetri, tra la pineale e importanti strutture cerebrali. Si potrebbe propagare direttamente in tali aree cerebrali per mezzo del liquido cerebrospinale senza dover prima

passare nel sistema circolatorio. Se la DMT entrasse prima nel sangue, gli enzimi MAO la distruggerebbero molto prima di poter ritornare nel cervello per dispiegare i suoi profondi effetti sulla mente. Queste considerazioni tralasciano di fatto una delle maggiori obiezioni alla teoria della psicosi da DMT : l’assenza di differenze tra i livelli di DMT nel sangue nei volontari sani e nei pazienti affetti da psicosi. Vedremo ora che le concentrazioni di DMT nel sangue della vena dell’avambraccio possono avere poco a che fare con i suoi effetti

sulle distinte aree cerebrali, aree in prossimità delle quali la DMT viene scomposta in modo quasi altrettanto rapido di quando è stata prodotta. Questo ragionamento sviluppa ulteriormente l’idea che il tessuto della pineale in via di decomposizione influisca sulla coscienza residua dopo la morte. Se questa DMT post mortem si riversasse direttamente nel liquido cerebrospinale, la semplice diffusione le permetterebbe di attaccarsi ai centri sensoriali ed

emozionali. Non servirebbe nemmeno un cuore che pompa. Dopo aver visto due teorie sulla funzione della ghiandola pineale negli esseri umani, il modello della melatonina e quello della DMT , è il momento di addentrarsi nell’analisi delle implicazioni di questi due paradigmi contrapposti. Nell’ultimo capitolo ho descritto come la ghiandola pineale, tramite la melatonina, inibisca la funzione riproduttiva. In questo capitolo considero invece l’ipotesi che la DMT prodotta dalla pineale apra i nostri sensi a profonde esperienze

psichedeliche. È come se all’interno della ghiandola pineale vi fosse una potente dinamica o tensione tra i due ruoli che essa può svolgere: uno spirituale e uno sessuale. È interessante notare come molte discipline religiose credano che il celibato sia necessario per raggiungere gli stati spirituali più elevati. La spiegazione di tale idea è che l’attività sessuale canalizza l’energia richiesta per un completo sviluppo spirituale. Si può scegliere la vita nella carne o la vita nello spirito. Eppure, il celibato non è in linea con la riproduzione e c’è un

conflitto tra la continuazione della specie e il conseguimento antisessuale della massima fioritura spirituale dell’individuo. È possibile che questo conflitto venga intessuto a livello biologico nella ghiandola pineale. Risorse preziose possono rivolgersi alla formazione della melatonina, importante a livello riproduttivo, o della DMT , indispensabile dal punto di vista spirituale: l’ormone dell’oscurità o la sostanza chimica della luce interiore. Ad ogni modo, questa contrapposizione può essere più

apparente che reale. Si consideri ad esempio la possibilità che la DMT prodotta dalla pineale intervenga nell’estasi sessuale, che è il risultato di uno sforzo fisico, dell’iperventilazione e delle intense emozioni dell’atto sessuale. Durante l’orgasmo emergono aspetti psichedelici. Gli effetti estremamente piacevoli della produzione di DMT attivata per via sessuale possono essere infatti uno dei fattori principali che stimolano il comportamento riproduttivo. I praticanti del Tantra mirano a raggiungere il meglio di entrambi

questi mondi. Questa disciplina spirituale riconosce che l’eccitazione sessuale e l’orgasmo generano stati altamente estatici, e quindi utilizza l’atto sessuale come una tecnica meditativa. Combinando il sesso alla meditazione, i praticanti del Tantra accedono a stati di consapevolezza inaccessibili con una sola delle due pratiche. Il rilascio di DMT da parte della pineale, stimolato sia da una profonda meditazione che da un’intensa attività sessuale, può allora dar luogo a effetti

psichedelici particolarmente spiccati. C’è un terzo elemento che unisce tra loro la riproduzione e un’elevato stato di coscienza, la matrice energetica all’interno della quale vengono messe in atto queste priorità della pineale in concorrenza tra loro. Si tratta dello spirito o forza vitale. È difficile introdurre il concetto di “spirito” in qualsiasi discussione di carattere scientifico in generale e nella biologia in particolare. In ogni caso, è ancora più difficile non farlo quando i fenomeni lo richiedono. Al

fine di trattare direttamente e in maniera approfondita le questioni sollevate dal materiale che ho presentato, dobbiamo affrontare questo problema. Come definiamo lo spirito? Si paragoni la vita alla morte: lo stato dell’essere vivi a quello dell’essere morti. Un momento stiamo pensando, ci muoviamo e proviamo sensazioni. Le cellule si dividono, rimpiazzando quelle morenti con cellule fresche per il fegato, i polmoni, la pelle e il cuore. Il momento dopo non stiamo più respirando; il nostro cuore ha

effettuato il suo ultimo battito. Qual è la differenza? Cosa se n’è andato che c’era appena prima? C’è qualcosa che ci “anima” quando è legato al nostro corpo. Se presente nella materia, si mostra tramite il movimento e il calore. Nel cervello, esso fornisce il potere di ricevere e trasformare in consapevolezza i nostri pensieri, stati d’animo e percezioni. Quando se ne è andato, è come se una luce si fosse estinta e un motore si fosse fermato. Qualunque cosa esso sia, la presenza di questa forza animata

ci permette di interagire in questo tempo e in questo spazio. Sebbene non sia “personale”, questo spirito o forza vitale ha una “storia” legata alla nostra specifica concentrazione di materia animata. Ha sperimentato le cose insieme noi, sebbene sia rimasto immutato nella sua essenza a seguito di tali eventi. I suoi movimenti hanno creato dei campi di influenza unici attraverso note o suoni generati dalle nostre attività mentali e fisiche. Quando il corpo è troppo debole per contenerlo, lo spirito lo lascia. Un po’ di esso va verso altra

materia, un’altra parte raggiunge l’ambiente dietro i campi. Quei particolari campi generati dalla sua adesione al nostro corpo, comunque, restano per un po’ prima di dissolversi. Più forte è il campo, o più alta è la nota, più tempo gli servirà per dissolversi. Uno dei motivi più forti del mio interesse per la ghiandola pineale riguarda la funzione da essa svolta nella vita dello spirito. Ne capii l’importanza e il potenziale verso la metà degli anni ’70, quando ero uno studente di medicina. Venni a sapere che esisteva una coincidenza

sorprendente tra la ghiandola pineale e le credenze buddhiste sulla reincarnazione. Non posso enfatizzare abbastanza la forte impressione che questa scoperta ebbe su di me, né il modo in cui essa diede forza alla mia ricerca di un ruolo spirituale della ghiandola pineale e della molecola dello spirito al suo interno. Sapevo già che il Libro Tibetano dei Morti insegna che all’anima della persona appena morta sono necessari quarantanove giorni per “reincarnarsi”. Praticamente, trascorrono sette settimane dalla

morte di un individuo fino a che la forza vitale “rinasca” nel suo nuovo corpo. Ricordo molto chiaramente come, diversi anni dopo, sentii un brivido lungo la schiena quando, leggendo il mio libro di testo sullo sviluppo del feto umano, scoprii che lo stesso intervallo di quarantanove giorni contrassegnava due eventi fondamentali nella formazione dell’embrione umano. Occorrono quarantanove giorni dal concepimento per vedere i primi segnali della presenza della pineale nell’uomo. E sempre dopo quarantanove giorni si ha la

differenziazione sessuale del feto. In pratica, la rinascita dell’anima, la ghiandola pineale e gli organi sessuali necessitano tutti di quarantanove giorni per manifestarsi. Ho scoperto questa sincronicità quand’ero poco più che ventenne e allora non sapevo bene come interpretarla. Non lo so tuttora. Difatti, le teorie legate a fenomeni assai diffusi basati sulle somiglianze possono rivelarsi nel tempo dei pii desideri, come la “teoria delle segnature” dell’antica scienza erboristica, la quale

suggerisce che le proprietà di un erba dipendono dal suo aspetto: se una pianta aveva la forma di un cuore, allora doveva essere adatta a curare i disturbi cardiaci. Quel che io propongo è piuttosto una “teoria del tempo trascorso”. Se i testi buddhisti e l’embriologia umana rivelano che diversi tipi di sviluppo richiedono quarantanove giorni, allora gli eventi devono essere collegati. Tale associazione forse risulta incerta dal punto di vista logico, ma da quello intuitivo è comunque appetibile.

Come potrebbe l’insorgenza fisica della pineale e degli organi riproduttivi, quarantanove giorni dopo il concepimento, coinvolgere la forza dello spirito o forza vitale? Nel momento in cui moriamo, se le esperienze di pre-morte sono attendibili, avviene un radicale mutamento nella coscienza, che non è più identificata con il corpo. La DMT prodotta dalla pineale rende disponibili questi particolari contenuti della coscienza fuori dal corpo. Tutti i fattori descritti in precedenza si combinano tra loro per dare origine all’ultimo rilascio

di DMT : rilascio di catecolamine; abbassamento delle barriere e aumento della produzione di DMT ; riduzione dell’anti-DMT ; tessuto della pineale in via di decomposizione. Inoltre, è possibile che la ghiandola pineale sia l’organo più attivo all’interno del corpo al momento della morte. Potremmo dire che la forza vitale esce dal corpo attraverso la pineale? La conseguenza di questo rilascio di DMT nella nostra mente cerebrale in fase di spegnimento è quella di tirare via i veli che di solito celano ciò che i buddhisti tibetani

chiamano il bardo, ovvero gli stati intermedi tra questa vita e la prossima. La DMT apre i nostri sensi interiori a questi stati intermedi con la loro moltitudine di visioni, pensieri, suoni e sentimenti. Nel momento in cui il corpo diventa del tutto inerte, la coscienza ha completamente lasciato il corpo ed esiste ora come un campo tra molti campi di cose manifeste. La molecola dello spirito non serve più per sondare questi reami. Ci ha portato sull’altra sponda e ora siamo soli. Durante i successivi quarantanove giorni, useremo la

nostra volontà, o l’intenzione, per esaminare la nostra impronta unica nella vita, le esperienze accumulate, le memorie, le abitudini, le tendenze e gli stati d’animo della vita che è finita. Questo faccia a faccia cosciente con la nostra storia personale, quando è completo, ci permette di raggiungere quei campi dove tutto è unificato. È come quando viene suonata una campana: il suono all’inizio è forte, poi giunge a essere un rumore di sottofondo, infine gradualmente svanisce.

Ciò che resta va a costituire la materia della prossima forma di vita che sembra più appropriata per la successiva elaborazione delle questioni irrisolte. Esiste una risonanza, una vibrazione simpatetica, dei campi fra loro simili: un Do minore è attratto da un altro Do minore, i tratti animali da altri animali, le proprietà delle piante da altre piante, le caratteristiche umane da altri esseri umani. Nel caso degli esseri umani, queste tendenze non ancora assimilate, questo lavoro non

portato a termine, può entrare nel feto solo quando è “pronto”. Anche questa preparazione può richiedere quarantanove giorni, e può assumere la forma di una ghiandola pineale in grado di sintetizzare DMT . La pineale potrebbe agire come un’antenna o come un parafulmine per l’anima. E la differenziazione sessuale in maschile e femminile, che si verifica proprio nello stesso momento, fornisce la struttura biologica attraverso la quale la forza vitale può adesso affermare se stessa.

Il movimento di questa energia, la forza vitale residua del passato che passa nel presente, attraversando la pineale e raggiungendo il feto, potrebbe essere il primo e il più primordiale bagliore di DMT . Questa è l’alba della coscienza, della mente, della consapevolezza come un'entità biologica e sessuale differenziata. La luce accecante della DMT , secreta dalla pineale all’interno del cervello in formazione, segna il passaggio attraverso questa soglia. Fino a questo spartiacque di quarantanove giorni, il feto può essere solo un essere fisico, anziché

fisico-spirituale. Di conseguenza, trascorsi questi quarantanove giorni possiamo davvero considerare il feto come un individuo senziente e quindi come un’entità spirituale? Questo capitolo suggerisce che gli stati alterati di coscienza che avvengono spontaneamente derivano da elevati livelli nella produzione di DMT da parte della pineale. Ad ogni modo, cosa potrebbe succedere se qualcuno non avesse più la ghiandola pineale, per esempio a causa di un cancro o di un ictus? Avrebbe accesso alle esperienze coscienti originate dalla

endogena allo stesso modo di chi ha la ghiandola pineale intatta? Gli enzimi e i precursori all’interno della pineale non si trovano soltanto in essa, anche se l’alta concentrazione di questi composti e la posizione indubbiamente strategica occupata dalla ghiandola la rendono la fonte ideale della molecola dello spirito. I polmoni, il fegato, il sangue, gli occhi e il cervello possiedono tutti le materie prime necessarie a produrre la DMT . Per alcuni anni, infatti, i ricercatori si sono riferiti scherzosamente alla schizofrenia DMT

come a una malattia dei polmoni a causa dell’alta concentrazione all’interno dei polmoni degli enzimi necessari alla formazione della DMT . Questi altri organi possono produrre la DMT quando si verificano le stesse condizioni che stimolano la ghiandola pineale a produrla. Per quanto radicali fossero queste teorie, credevo che potessero venire dimostrate tramite il metodo scientifico tradizionale: progettando esperimenti, analizzando dati e ridefinendo le teorie sulla base dei risultati ottenuti passo dopo passo

dalla ricerca. Quindi, il passo successivo alla formazione di ipotesi era determinare se la DMT somministrata alle persone avrebbe riprodotto le caratteristiche di quelle esperienze. Se gli effetti prodotti dalla DMT assunta dall’esterno fossero stati simili a quelli presumibilmente causati dalla DMT endogena, come nelle esperienze di pre-morte e durante gli stati mistici, allora le mie ipotesi sarebbero state più forti. Inoltre, avevo bisogno di trovare un modo per poter intraprendere uno studio sperimentale sull’uomo con la DMT .

Tuttavia, stavo studiando la melatonina e gli effetti di questo ormone pineale non somigliavano nemmeno lontanamente a quelli della DMT . Studi ulteriori sulla fisiologia della melatonina sembravano dunque inutili. Un articolo che scrissi a San Diego sulle reazioni avverse agli psichedelici, pubblicato nel periodo in cui stavo realizzando il progetto sulla melatonina, attirò l’attenzione di Rick Doblin, un indefesso promotore e raccoglitore di fondi per la ricerca sulle droghe psichedeliche. Nel 1985 mi invitò a

una conferenza in cui incontrai le principali personalità nel campo della ricerca e della terapia psichedelica. I rappresentanti di una grande varietà di discipline si erano riuniti per discussioni ad ampio raggio e di vasta portata in merito all’esperienza psichedelica. Questi nuovi colleghi mi fornirono supporto, ispirazione, preziosa esperienza e informazioni essenziali. Mi permisero di iniziare a farmi un’idea di come sarebbe dovuto essere un progetto sulla ricerca psichedelica.

Nel 1987, il mio mentore all’Università del New Mexico, Glenn Peake, morì improvvisamente il giorno di Natale, tornando dalla sua corsa mattutina sotto la neve. Intristito e addolorato, vidi vacillare la traiettoria della mia ricerca. C’era stata una separazione tra la ricerca che credevo fosse “rispettabile” e ciò che invece ero personalmente più incline a studiare. C’era il mio studio sulla melatonina e poi il mio interesse per gli psichedelici. La morte prematura di Glenn accelerò la chiusura di questo gap. Durante il

suo funerale, ricordai alcuni dei suoi consigli più diretti: «Fa’ ciò che veramente vuoi nella ricerca. Che ti importa di quello che pensano gli altri?» Decisi di terminare la mia ricerca sulla melatonina e tentare un progetto sulla DMT . Resi partecipi di questa mia idea i presidenti, i direttori e i responsabili delle divisioni universitarie che mi avevano aiutato negli esperimenti sulla melatonina. Tutti erano convinti che un cambiamento del campo di indagine comportasse un rischio reale seppur ragionevole. Ad

ogni modo, tutti furono di supporto al progetto di ricerca sugli psichedelici, «se è ciò che davvero vuoi fare». Gli anni di preparazione erano finiti. Adesso o mai più. Era il 1988. 47. Sebbene la DMT possa essere coinvolta sia in esperienze spirituali che psicotiche, è importante fare una distinzione tra di esse. Ci sono alcune sovrapposizioni tra le esperienze spirituali e le psicosi; ad esempio, l’elettrizzante sensazione di imminenza, l’intensificarsi delle percezioni visive e uditive, e un cambiamento nella percezione del tempo. Di solito, comunque, le esperienze mistiche sono il risultato di uno sforzo maturo e cosciente per ottenerle. Il praticante ne va alla ricerca, c’è un

contesto intellettuale e morale che le incoraggia e le sostiene, e la loro espressione è autorizzata e accettata dalla società. Dall’altro lato, i sintomi della schizofrenia sono per lo più imprevisti, indesiderati e si manifestano in persone con precedenti disturbi comportamentali o emozionali. C’è poco supporto sociale per queste esperienze, e sia l’individuo che coloro che hanno a che fare con lui vorrebbero che questi sintomi se ne andassero via. Così come nel caso dei nostri volontari, il set e il setting hanno a che fare con l’esperienza da DMT tanto quanto la droga stessa. Il modo in cui una persona si adatta alla presenza di DMT prodotta naturalmente nella propria vita dipende da un contesto ancora più ampio di set e setting: chi è la persona, le sue esperienze e le sue aspettative, il suo modo di interagire e interpretare gli effetti della DMT, e il contesto sociale nel quale essi si

verificano. 48. Rick J. Strassman, Otto Appenzeller, Alfred J. Lewy, Clifford R. Qualls e Glenn T. Peake, Increase in Plasma Melatonin, beta-Endorphin, and Cortisol After a 28.5-Mile Mountain Race: Relationship to Performance and Lack of Effect of Naltrexone, in «Journal of Clinical Endocrinology and Metabolism», n. 69, 1989, pp. 540-545. Lo stato di euforia degli atleti non è solo una sensazione di esaltazione legata al rilascio delle endorfine. Ci sono anche dei cambiamenti sensoriali: un campo visivo più brillante e chiaro; una sensazione di leggerezza del corpo, quasi come se si fluttuasse al di sopra del suolo; una sensazione che il tempo rallenti drasticamente. Tutti questi effetti sono stati riportati anche dai volontari che hanno assunto una dose minima di DMT. Forse sia gli atleti che i volontari coinvolti nello studio sulla DMT stavano

descrivendo gli effetti dello stesso evento biologico: livelli di DMT eccessivi, ma non pienamente psichedelici, nel cervello. Nel caso degli atleti, la massiccia impennata di adrenalina e noradrenalina poteva stimolare la produzione di DMT nella pineale e causare un’esperienza spontanea da DMT a basso dosaggio. Purtroppo non siamo stati in grado di misurare la DMT in quel punto e non abbiamo potuto verificare l’ipotesi. 49. Robin M. Murray, Michael C.H. Oon, Richard Rodnight, James L.T. Birley e Alan Smith, Increased Excretion of Dimethyltryptamine and Certain Features of Psychosis. A Possible Association, in «Archives of General Psychiatry», n. 36, 1979, pp. 644649. 50. L. Bigelow, Effects of Aqueous Pineal Extract on Chronic Schizophrenia, in

«Biological Psychiatry», n. 8, 1974, pp. 5-15. 51. Richard Jed Wyatt, J. Christian Gillin, Jonathan Kaplan, Richard Stillman, Lewis R. Mandel, H.S. Ahn, W.J.A. Vandenheuvel e R.W. Walker, N ,N -Dimethyltryptamine – A Possible Relationship to Schizophrenia?, in «Advances in Biochemical Psychopharmacology», n. 11, 1974, pp. 299-313. 52. Jace Callaway, A proposed mechanism for the visions of dream sleep, in «Medical Hypotheses», n. 26, 1988, pp. 119-124. 53. Anche i campi magnetici possono influire sulla coscienza, come nelle variazioni della consapevolezza di cui ci si accorge quando si è in prossimità di determinati luoghi o formazioni geologiche, i cosiddetti power spots. Studi recenti descrivono il modo in cui i campi magnetici influenzano la funzione della pineale, in particolare inibendo la formazione della

melatonina. Tali effetti possono piuttosto deviare l’energia della pineale e delle materie prime che servono a produrre la DMT. In un altro capitolo propongo una relazione tra la DMT e le abduction aliene. Ad ogni modo, è una buona occasione per notare come queste esperienze accadano talvolta in prossimità di luoghi ad alta intensità energetica, che producono potenti campi magnetici. Inoltre, gli incontri con alieni si verificano spesso in determinati luoghi rurali, il che farebbe pensare agli effetti di campi magnetici. 54. Jane Butterfield English, Different Doorway: Adventures of a Caesarean Born, Earth Heart 1985. Grof sviluppò una terapia “psichedelica” senza droghe tramite l’iperventilazione prolungata. Da trenta minuti a un’ora di iperventilazione controllata danno origine a uno stato di coscienza profondamente alterato, che molti

paragonano all’esperienza con una dose elevata di sostanze psichedeliche. Questa tecnica ha mostrato di avere delle ripercussioni profonde sul metabolismo: il ph del sangue diventa più alcalino, o basico; i livelli di calcio aumentano; la barriera ematoencefalica diminuisce la propria efficienza; i livelli degli ormoni dello stress aumentano sensibilmente. Tutti questi fattori possono agire simultaneamente per attivare nella ghiandola pineale vie raramente utilizzate di sintesi della DMT. Si veda Stanislav Grof, La mente olotropica, Red 1996.

PARTE II

CONCEPIMENTO E NASCITA

Capitolo 5

89-001

C’erano due campi separati ma sovrapposti sui quali avrei dovuto lavorare per mettere a punto uno studio della DMT sull’uomo. Uno era il regno della ricerca clinica, l’altro quello delle regole. In questo capitolo mi concentrerò sulla scientificità dello studio: l’effettiva proposta di ricerca. Il prossimo capitolo descriverà il labirinto di

comitati e agenzie attraverso cui è dovuto passare il protocollo. La Human Research Ethics Committee presso l’Università del New Mexico esamina qualsiasi progetto che riguarda gli studi sull’uomo. Tale comitato contrassegna tutte le proposte di ricerca di questo genere con un numero: le prime due cifre corrispondono all’anno e le successive tre indicano l’ordine di arrivo del protocollo. Presentai la proposta per la DMT verso la fine del 1988; fu la prima a essere esaminata dal comitato durante la

riunione di gennaio. Pertanto, divenne la 89-001. La prima frase, per la quale impiegai ore a scriverla e riscriverla nel tentativo di trovare una perfetta battuta d’inizio, diceva: «Questo progetto partirà da un riesame della psicobiologia umana dell’abuso della triptamina allucinogena N,Ndimetiltriptamina (DMT ), che è anche un allucinogeno endogeno». Fu quasi due anni dopo, il 15 novembre 1990, che la Food and Drug Administration mi scrisse: «Abbiamo completato il nostro esame [...] e abbiamo concluso che

è ragionevolmente sicuro procedere con lo studio da lei proposto». Avevo già avuto esperienza delle difficoltà che si incontrano nel somministrare una droga psicoattiva e a rischio di abuso a degli esseri umani. Diversi anni prima di decidere di tentare uno studio sulla DMT , sottoposi un protocollo alla Food and Drug Administration (FDA ). La droga in questione era l’MDMA , comunemente nota come Ecstasy, una droga stimolante con proprietà blandamente psichedeliche.

Nei primi anni ’80, una rete eterogenea di terapeuti somministrava questa droga ai propri pazienti come un complemento alla psicoterapia. Non era illegale, e questi psichiatri e psicologi trovavano che i suoi effetti erano più affidabili e facili da maneggiare rispetto all’LSD. Con loro disappunto, com’era successo decenni prima con l’LSD, di questa “droga della meraviglia” si iniziò presto a farne un grande abuso negli ambienti universitari. Inoltre, alcuni articoli scientifici iniziarono a riportare che la MDMA provocava

danni cerebrali nelle cavie da laboratorio. Nel 1985, l’U.S. Drug Enforcement Administration (DEA ) collocò dunque l’MDMA all’interno della categoria legale più restrittiva per le droghe, la Tabella I. Quasi tutti i terapeuti che usavano l’MDMA cercarono di far cambiare idea alla DEA . Io intrapresi un’altra strada e chiesi il permesso di somministrarla nel rispetto del suo nuovo status legale. Inoltrai una richiesta alla FDA nel 1986, proponendo di somministrare MDMA a dei volontari umani e misurarne gli effetti psicologici e

fisici. Quando mi risposero con la loro formula standard – «Se non le daremo alcuna risposta nel giro di trenta giorni, potrà procedere» – pensai tra me: «Fantastico! Potrò iniziare la ricerca entro un mese!» Invece, come un orologio, la FDA mi chiamò dopo ventinove giorni per dirmi che non potevo ancora procedere. Presto arrivò una lettera nella quale indicavano dettagliatamente le loro preoccupazioni riguardo agli effetti neurotossici dell’MDMA . Non sapevano quando ci sarebbero stare sufficienti informazioni per

permettermi di andare avanti. Poteva trattarsi di diverso tempo. La mia richiesta per l’MDMA languì tra gli archivi della FDA e non se ne seppe più nulla. Tuttavia, venni a sapere che la FDA era un ente piuttosto conservatore. Doveva esserlo. Ciò mi venne chiarito durante una conversazione informale con il dottor L., il direttore della divisione della FDA responsabile dell’esame della mia proposta di ricerca sull’MDMA . Nel 1987, partecipai con il dottor L. a un convegno scientifico e ci trovammo per caso l’uno accanto

all’altro durante una pausa caffè. Dopo essermi presentato, gli chiesi se mi avrebbe permesso di studiare l’MDMA nei malati terminali, viste le sue preoccupazioni per eventuali danni cerebrali a lungo termine nei volontari sani. In un modo che può sembrare sprezzante e brutale, gli dissi che ciò non sarebbe stato un gran problema per coloro a cui restavano solo sei mesi di vita. Per di più, aggiunsi coraggiosamente, poteva essere l’inizio di un lavoro psicoterapico con i malati terminali. Il dottor L. rispose in modo asettico: «Anche i malati terminali

hanno dei diritti e non vorrai sacrificare la loro morte. Oltretutto, a volte le diagnosi di questi pazienti sono errate». In seguito mi scrisse per riconfermare la sua opposizione a qualsiasi tipo di studio sull’MDMA che coinvolgesse malati terminali. Anni dopo, mentre ero a metà dello studio sulla DMT , la FDA mi inviò una lettera nella quale mi domandava se volevo ritirare la richiesta di permesso per la ricerca sulla MDMA . Sembrava una buona idea, così acconsentii. Poiché il mio progetto sulla melatonina stava cominciando a

rivelare inequivocabilmente i timidi effetti psicologici di questo ormone prodotto dalla pineale, decisi di andare a trovare un caro amico e collega le cui opinioni su questi argomenti erano per me molto preziose. Seduti nell’attico della sua casa nel nord della California, nell’agosto 1988, trascorremmo un giorno intero a esaminare scrupolosamente un’ampia serie di approcci con i quali strutturare un progetto di ricerca psichedelica sull’uomo. Al tramonto eravamo giunti a due conclusioni relativamente semplici ma solide.

Primo: la DMT era chiaramente la droga da studiare. Era incredibilmente interessante e in tutti i nostri corpi ne circolava un po’. Secondo: ogni progetto di ricerca psichedelica non doveva entrare in conflitto con i timori correnti sull’abuso delle droghe, ma anzi avrebbe dovuto tenerne conto. Il governo degli Stati Uniti stava spendendo miliardi di dollari per contrastare i problemi associati all’uso incontrollato di sostanze. Sicuramente un po’ di quel denaro avrebbe potuto finanziare uno studio della DMT sull’uomo. Anziché

lottare contro il governo per far sì che eliminasse le restrizioni legali, era più ragionevole appellarsi direttamente al pensiero scientifico che, in definitiva, guida la ricerca. Tutti noi volevamo infatti conoscere cosa facevano droghe come la DMT e il modo in cui lo facevano. I miei colleghi nel settore della ricerca psichedelica non erano particolarmente ottimisti sulle possibilità di successo di un progetto sulla DMT . Il caso dell’MDMA ne aveva scoraggiati molti. «Sai cosa?» pronosticò qualcuno. «L’unico articolo che scriverai sarà

su come non avrai potuto realizzarlo. Guarda che ne è stato del tuo protocollo sulla MDMA ». Ad ogni modo, avevo lavorato da solo al mio progetto sull’MDMA . Per lo studio sulla DMT avevo il supporto e la consulenza del dottor Daniel X. Freedman. Lo conobbi nel 1987 in uno dei tanti convegni scientifici ai quali iniziavo a partecipare. Questo genere di conferenze, e la rete di relazioni che ne consegue, sono parte del rituale di iniziazione a una carriera di successo nella ricerca. Il dr. Freedman era così piccolino da

ricordare uno gnomo, e probabilmente era l’individuo più potente negli Stati Uniti nel campo della psichiatria. Aveva iniziato la sua carriera al Dipartimento di Psichiatria dell’Università di Yale, studiando l’LSD sugli animali da laboratorio. Poi aveva voltato pagina, diventando direttore del Dipartimento di Psichiatria dell’Università di Chicago. Quando lo conobbi si era di nuovo trasferito ed era professore e vice-direttore del Dipartimento di Psichiatria all’Università della California di Los Angeles.

Era stato presidente dell’American Psychiatric Association, come del resto di ogni altro principale ente di psichiatria biologica. Piuttosto che occupare una posizione di governo nel settore sanitario, aveva deciso di esercitare il suo potere come direttore della più prestigiosa rivista accademica di psichiatria, Archives of General Psychiatry. Accettando o rifiutando un articolo qualsiasi delle migliaia che riceveva in continuazione da aspiranti ricercatori, era in grado di agevolare o stroncare una carriera.

Freedman formò decine di eccellenti ricercatori sia in ambito accademico che industriale. Telefonava in piena notte a qualunque persona con cui desiderasse discutere delle ultime idee di ricerca o degli sviluppi politici. Aveva un’energia illimitata e sembrava quasi non aver bisogno di dormire. Era un fumatore accanito e beveva quantità infinite di caffè spaventosamente forte. Affascinante e seducente, era capace di infuriarsi all’improvviso se qualcuno risvegliava la sua ira.

Il suo scritto del 1968, Sull’uso e l’abuso dell’LSD, influì in maniera determinante sul mio pensiero.55 Ammiravo il suo approccio pragmatico ma di larghe vedute nei confronti della ricerca psichedelica in ambito clinico. Sebbene negli anni ’50 avesse lavorato con pazienti schizofrenici sotto l’influenza di LSD, aveva effettuato quasi esclusivamente studi sugli animali. I suoi primi articoli sulla farmacologia degli animali sotto LSD segnarono le basi per i futuri approcci di laboratorio volti a valutare il ruolo della serotonina

negli effetti delle droghe psichedeliche. Inoltre, nel 1966, Freedman testimoniò di fronte alla commisione del Senato degli Stati Uniti, presieduta dal senatore Robert Kennedy, che relegò il destino delle droghe psichedeliche in una categoria legale ristretta. Freedman nutriva seri dubbi sulla possibilità di realizzare una buona ricerca psichedelica sull’uomo. Credeva che i volontari avessero troppe aspettative sugli effetti della droga. Era preoccupato inoltre per il rischio di “personale inaffidabile”, un riferimento eufemistico

all’assunzione di droghe da parte dei membri di un gruppo di ricerca. Quest’ultima preoccupazione predisse in maniera infallibile alcuni dei problemi che il nostro stesso gruppo avrebbe incontrato nel New Mexico. Nei nostri incontri e attraverso la nostra corrispondenza, Freedman dichiarò che mi avrebbe fornito qualsiasi tipo di aiuto a patto che la mia ricerca sulla DMT fosse incentrata unicamente sulla farmacologia. Temeva che la ricerca nel campo della psicoterapia sarebbe sfociata in entusiasmo

irrazionale, risultati discutibili e controversie scientifiche. Secondo lui era più sicuro e funzionale, in primo luogo, confermare ed estendere l’abbondanza di dati derivanti dagli animali da laboratorio. Sebbene la sua logica fosse inoppugnabile, l’aderenza a questo modello biomedico preparò il terreno per alcuni problemi che si svilupparono più avanti nel corso della nostra ricerca. Sotto la guida del dottor Freedman, scrissi uno studio sulla DMT , il progetto della “reazione al dosaggio”. Era semplice, sensato e

realizzabile, e conteneva quattro particolari obiettivi: Ingaggiare come volontari “consumatori in buona salute ed esperti di allucinogeni”. Sviluppare un metodo per misurare la DMT nel sangue. Creare una nuova scala di valutazione per determinare gli effetti psicologici della DMT . Individuare le risposte psicologiche e fisiche ai diversi dosaggi di DMT .

Dopo aver brevemente riassunto la storia degli psichedelici all’interno della psichiatria accademica, sottolineavo il fatto che mentre gli studi sugli animali erano proseguiti, gli esperimenti sull’uomo erano rimasti parecchio indietro. Gli psichedelici continuavano a essere noti come droghe d’abuso e capire ciò che facevano, e il modo in cui lo facevano, avrebbe affrontato delle reali preoccupazioni per la salute pubblica. Facevo inoltre un esame dei dati pubblicati in precedenza sulla DMT

riguardanti sia gli animali che l’uomo, e stilavo un elenco delle qualità che la rendevano il candidato ideale con il quale riprendere la ricerca sull’uomo con le droghe psichedeliche. Notavo che una delle migliori ragioni per scegliere la DMT era che pochissime persone ne avevano sentito parlare. Qualora i media fossero venuti a conoscenza della mia ricerca, le avrebbero dedicato molta meno attenzione rispetto a un progetto sull’LSD. Poi riesumai il tema degli psicotomimetici endogeni,

sostenendo che i ricercatori dovevano ancora trovare un candidato migliore in grado di indurre un processo schizotossico in modo naturale. I ricercatori stavano sviluppando nuove droghe antipsicotiche che inibivano gli stessi recettori della serotonina che gli psichedelici attivavano. Pertanto, più conoscenze si avevano sulla DMT , maggiori informazioni si potevano ottenere riguardo ai disturbi psicotici. Se fossimo riusciti a bloccare gli effetti della DMT negli individui sani, forse avremmo potuto avere una nuova

arma nel nostro armamentario contro la schizofrenia. Suggerii anche che la breve durata degli effetti della DMT ne avrebbe reso più facile l’utilizzo rispetto a droghe con una durata maggiore, in particolare all’interno di un setting potenzialmente negativo come quello di un ambiente ospedaliero. Infine, la DMT aveva una storia comprovata, circa la sicurezza del suo uso, nelle ricerche condotte sull’uomo pubblicate in precedenza, nello specifico negli studi condotti dal dottor Szára.

Queste premesse condussero a formare le basi teoretiche per studiare la DMT : il modello biomedico. Gli psicofarmacologi avevano fermamente stabilito che gli psichedelici, inclusa la DMT , attivavano molti degli stessi recettori cerebrali sui quali agiva la serotonina. La ricerca condotta sugli animali da laboratorio, che era proseguita per decenni dopo che quella sull’uomo era terminata, rivelò i particolari tipi di recettori serotoninergici coinvolti. Era sulla base dei dati sugli animali che intendevo verificare se accadeva lo

stesso nell’uomo. Le variabili biologiche più importanti dovevano essere di natura neuroendocrina. La neuroendocrinologia è lo studio del modo in cui le droghe influenzano gli ormoni, stimolando innanzitutto alcune aree cerebrali. Ad esempio, l’attivazione di specifici recettori della serotonina nel cervello provoca un aumento del livello di specifici ormoni pituitari nel sangue, quali l’ormone della crescita, la prolattina e la betaendorfina. Gli ormoni che cambiano in risposta alle droghe rivelano i tipi

di recettori cerebrali sui quali influiscono quelle droghe. I recettori della serotonina regolano anche il battito cardiaco, la pressione sanguigna, la temperatura corporea e il diametro delle pupille. Avrei misurato anche questi valori nel tentativo di classificare in maniera meticolosa altri segnali dell’attivazione dei recettori della serotonina da parte della DMT . Questi erano dati oggettivi, numerici. Nello studio avrei coinvolto solo individui esperti nell’uso degli psichedelici. Dei volontari esperti

sarebbero stati in grado di riportare meglio gli effetti della droga rispetto a coloro che non avevano idea di cosa aspettarsi. Per di più, era meno probabile che questi veterani venissero colti da panico sotto l’influenza degli effetti estremamente potenti della DMT , i quali potenzialmente sarebbero stati più sconvolgenti all’interno dell’ambiente angusto del centro di ricerca dell’ospedale. Infine, c’erano anche le questioni sulla responsabilità, sgradevoli ma reali. Mi dovevo difendere da qualsiasi causa che poteva venire intentata

nei miei confronti se le persone sostenevano di aver iniziato ad usare gli psichedelici a causa della loro partecipazione allo studio. Se avevano fatto uso di psichedelici in passato, sarebbe stato più difficile sostenere che lo studio li aveva introdotti a queste droghe. I volontari dovevano poi essere in grado di svolgere le loro attività a livelli relativamente alti, nel lavoro o nella scuola, e di avere relazioni stabili. Ciò mi avrebbe assicurato che fossero sufficientemente radicati nella realtà quotidiana per poter gestire quello che sarebbe

stato uno studio rigoroso e impegnativo. Volevo che avessero un supporto, oltre il team di ricerca, al quale potersi rivolgere in caso di necessità al di fuori delle sedute. Ci sarebbe stato un accurato monitoraggio medico e psicologico dei volontari. Le donne non dovevano essere incinte, né doveva esserci la probabilità che lo diventassero; avremmo inoltre fatto i test dell’urina per le droghe ricreative prima di ogni giorno della ricerca.56 Passando in rassegna le tecniche per misurare gli effetti psicologici

degli psichedelici, arrivai alla conclusione che tutti i questionari precedenti presumevano che i loro effetti fossero sgradevoli e di carattere psicotico. Una scala più recente, con un minor margine di errore, basata su risposte di persone a cui piacevano gli psichedelici, poteva fornire una prospettiva più ampia sui loro effetti. A tale scopo, proposi di fare più colloqui possibile con persone che facevano uso ricreativo di DMT . Questi individui avrebbero offerto una panoramica più ampia degli effetti della DMT , gettando le basi di una

nuova scala di valutazione. Mano a mano che la ricerca progrediva, potei dunque modificare il questionario in maniera appropriata. Era necessario sviluppare anche una tecnica di analisi, o metodo di misurazione, della DMT nel sangue. C’erano diverse tecniche di analisi più vecchie tra le quali poter scegliere, e volevamo verificare quale fosse la più facile e la più precisa. Probabilmente avremmo scelto quella utilizzata dai ricercatori del National Institute of Mental Health, lo stesso gruppo che

aveva scritto l’articolo sulla “morte onorevole” della DMT . Sulla base di uno studio risalente al 1976 che descriveva gli effetti della DMT sugli ormoni, calcolammo che dodici volontari sarebbero bastati per mostrare statisticamente le differenze significative tra dosi di DMT e un placebo di soluzione salina. Nella maggior parte degli studi sulla reazione alla dose di qualsiasi nuova droga, viene prima data una dose “elevata”, poi una “bassa”, e infine una o due dosi “medie”, in modo da descrivere l’intero spettro degli effetti. Volevo

somministrare quanta più DMT possibile, così decisi che ogni volontario partecipante allo studio avrebbe ricevuto un placebo e quattro dosi di DMT (una elevata, una bassa e due medie). I volontari avrebbero ricevuto le diverse dosi di DMT per randomizzazione e in doppio cieco. Randomizzazione significa che le dosi non rispettano un particolare ordine nella sequenza con cui vengono assegnate, come se un tiro di dadi stabilisse il giorno in cui somministrare una determinata dose. Clifford Qualls, biostatistico

del General Clinical Research Center dell’Università del New Mexico, creò una sequenza randomizzata delle dosi necessarie sul suo computer, la sigillò in una busta e la spedì alla farmacia universitaria. Doppio cieco significa invece che né io, né i volontari, avremmo saputo quale dose avrebbe ricevuto un volontario un dato giorno. Solo il farmacista era in possesso della lista su cui era indicata in dettaglio la sequenza specifica delle dosi per ciascuna persona.

Lo scopo degli studi randomizzati in doppio cieco è di ridurre il ruolo dell’aspettativa nell’influenzare i risultati. Nel capitolo 1 ho accennato a come gli studi tradizionali abbiano dimostrato il potere dell’aspettativa nel determinare gli effetti della droga. Analogamente, se i volontari avessero saputo quando avrebbero ricevuto una bassa dose di DMT , le loro risposte avrebbero potuto venirne influenzate. Avrebbero potuto reagire in un modo coerente con quello che si aspettavano dovesse provocare una bassa dose,

piuttosto che con quello che effettivamente accadeva, sia che quel giorno gli fosse stato somministrato un placebo o una dose media. Inoltre, prima di addentrarci in un complicato studio in doppio cieco, pensavamo fosse meglio introdurre i volontari nello studio somministrandogli inizialmente due dosi di DMT non in cieco. Una bassa dose iniziale di 0.05 mg/kg li avrebbe introdotti all’interno del setting di ricerca senza avere un effetto così forte da disorientarli. Una successiva dose elevata da 0.4

mg/kg avrebbe fatto sperimentare ai volontari il massimo grado di ebbrezza che avrebbero potuto raggiungere durante qualunque altro giorno della ricerca in doppio cieco. La chiamavamo “dose di calibratura”. Se qualcuno riceveva la sua prima dose elevata a metà dello studio, ma non sapeva che essa costituiva il massimo dosaggio, avrebbe potuto ritirarsi per paura di avere effetti ancora maggiori con dosi successive. Ricevendo una dose elevata non in cieco, i volontari potevano scegliere se abbandonare subito lo studio, prima di

cominciare a raccogliere una serie di dati su di loro. Così i soggetti avrebbero ricevuto in realtà sei dosi di DMT : due non in cieco e quattro in doppio cieco. I test sulle nuove droghe includono sempre un placebo, e così sarebbe stato anche per il nostro studio. Gli studi in cui viene impiegato un placebo di controllo aiutano ulteriormente a separare gli effetti provocati dall’aspettativa da quelli della droga. Placebo deriva dal latino e significa “ti compiacerò” o, parafrasando, “soddisferò le tue aspettative”. Molti di noi pensano al

placebo come a una sostanza innocua, a cui ci riferiamo in termini di placebo inattivo. Le pillole di zucchero sono l’esempio più celebre di placebo inattivi. Nel nostro studio sulla DMT , il placebo era una soluzione fisiologica o salina. Nella pratica, è estremamente difficile mantenere in doppio cieco uno studio con il placebo. Gli effetti delle droghe attive sono solitamente più evidenti rispetto a quelli della soluzione fisiologica o dello zucchero, e sia i soggetti sottoposti alla ricerca che lo staff di

ricercatori riescono quasi sempre a notare la differenza. Tuttavia, in questa prima fase del progetto sulla DMT , incentrata sulla reazione al dosaggio, volevamo impiegare un placebo per vedere se i volontari e noi del personale medico riuscivamo a distinguere tra la dose minima della droga e nessuna dose. A tale scopo, il giorno del placebo svolse una funzione preziosa.57 C’erano degli inconvenienti in questo piano. I volontari di solito avevano una forte ansia prima di ricevere la prima dose in doppio

cieco. Sarebbe stato oggi il giorno di una nuova, devastante, dose elevata? O si potevano rilassare? Se era evidente che le prime sedute in doppio cieco non avevano implicato la dose elevata, l’ansia cresceva prima delle ultime sessioni, in un modo che non avveniva per coloro che si erano tolti il pensiero avendola già ricevuta in una sessione precedente. Sebbene l’ordine randomizzato con cui tutti i volontari ricevevano la loro serie completa di dosi avesse probabilmente equilibrato a livello statistico questo fattore, a un livello

umano c’era comunque un prezzo da pagare. Mi posi anche il problema di come avremmo affrontato effetti collaterali di carattere psicologico e fisico. Il primo tipo di risposta alle reazioni di panico nei soggetti sarebbe stato caratterizzato dall’uso di un dialogo volto a rassicurarli e sostenerli. Se questo non avesse funzionato, ci saremmo avvalsi di un tranquillante minore, come il Valium iniettabile; se qualcuno fosse andato completamente fuor controllo, saremmo invece ricorsi a un tranquillante maggiore, come la

Torazina. Per contrastare le reazioni allergiche, come un principio di soffocamento o un grave eczema, erano disponibili degli antistaminici da iniettare per endovena. Nel caso in cui la pressione sanguigna fosse aumentata troppo, sarebbero state efficaci delle compresse sublinguali di nitroglicerina, lo stesso rimedio che viene dato a coloro che soffrono di angina pectoris. Aggiunsi una lista di alcune decine di riferimenti che supportavano le idee che avevo messo a punto. Tra questi vi erano una serie di articoli della prima fase

della ricerca psichedelica sull’uomo. Vi erano articoli che descrivevano ciò che conoscevamo degli effetti psichedelici sugli animali e sui recettori della serotonina. Anticipando le preoccupazioni riguardo alla sicurezza, indicai anche una mia precedente pubblicazione sugli effetti negativi degli psichedelici. In essa suggerivo che, se le persone erano mentalmente sane, ben preparate e strettamente sottoposte a supervisione prima, durante e dopo l’esperienza, le possibilità di seri e prolungati effetti negativi dal punto

di vista psichiatrico erano estremamente scarse. Copie della proposta raggiunsero tutte le commissioni preposte al controllo sulla ricerca sull’abuso di droga, compresa la Human Research Ethics Committee dell’Università del New Mexico, la Food and Drug Administration e la Drug Enforcement Administration degli Stati Uniti. Lo studio si sarebbe svolto al General Clinical Research Center dell’ospedale dell’Università del New Mexico, e così inviai una copia della proposta anche lì. Il Centro di Ricerca poteva

coprire i costi per l’analisi delle numerose quantità di campioni di sangue per rilevare i livelli di DMT e di ormoni, pertanto sottoposi un bilancio di previsione al loro laboratorio. Ma ora arrivava il difficile: mettere d’accordo tutti coloro che erano responsabili della gestione e del finanziamento di questo progetto sul fatto che fosse sicuro, degno di venire realizzato e meritevole di essere sovvenzionato. 55. Daniel X. Freedman, On the Use and Abuse of LSD, in «Archives of General Psychiatry», n.

18, 1968, pp. 330-347. 56. Non abbiamo raccolto questi test dell’urina al fine di scartare i volontari. Anzi, eravamo interessati a vedere se coloro che risultavano positivi al test avevano delle esperienze psichedeliche diverse rispetto a quelle dei volontari che non facevano uso di droghe ricreative. Nel nostro primo studio, i test positivi furono solo una manciata e i dati di questi volontari non differivano da quelli dei volontari i cui test erano risultati negativi. Negli studi successivi, eliminammo quindi questi costosi test. 57. Chiedemmo ai volontari di indovinare quale dose avevano ricevuto durante i giorni del doppio cieco. Era facile dire qual’era la dose elevata. Ma era interessante scoprire quanto fosse difficile distinguere tra le dosi intermedie, di 0.1 mg/kg e 0.2 mg/kg. Ancor più

sorprendentemente, molti soggetti della ricerca confusero la dose minima con il placebo di soluzione salina. La nostra scala di valutazione si rivelò più accurata dei volontari nel catalogare, dalla più alta alla più bassa, la dose ricevuta ogni giorno. In pratica, i questionari mostravano chiaramente che la dose di 0.2 mg/kg dava luogo a marcati effetti di carattere psicologico rispetto alla dose di 0.1 mg/kg, così come la dose di 0.05 mg/kg rispetto al placebo, anche quando le sensazioni dei volontari circa le dosi erano sbagliate.

Capitolo 6

LABIRINTO

Negli Stati Uniti, il Controlled Substances Act del 1970 esiste allo scopo di proteggere la popolazione dalle droghe potenzialmente pericolose. Questa legge è anche una barriera che impedisce l’accesso a tali droghe da parte della comunità di ricerca in ambito clinico. È il labirinto attraverso il quale deve passare chiunque voglia

realizzare una ricerca sull’uomo con le droghe psichedeliche. Il Controlled Substances Act inserì tutte le droghe in “tabelle” in base al loro «potenziale d’abuso», «all’uso terapeutico attualmente consentito» e alla «sicurezza d’uso sotto supervisione medica». Le droghe all’interno della Tabella I, quella più restrittiva, sono quelle con un «elevato potenziale di abuso, prive di utilità terapeutica e non sicure sotto supervisione medica». Nonostante le obiezioni di decine di ricercatori psichiatrici di alto livello, compreso il dr. Daniel

Freedman, il Congresso inserì l’LSD e tutte le altre droghe psichedeliche all’interno della Tabella I. La Tabella II contiene droghe come le metanfetamine e la cocaina. Hanno un elevato potenziale d’abuso, ma una qualche utilità medica: ad esempio, la cocaina viene impiegata come anestetico locale negli interventi chirurgici agli occhi e le metanfetamine sono utilizzate nel trattamento dei bambini iperattivi. La codeina, un antidolorifico comunemente usato, è inserita nella Tabella III perché ha un

potenziale d’abuso inferiore alle droghe della Tabella I e II; inoltre, quando assunta sotto supervisione medica, dà luogo a reazioni negative limitate e di minor gravità. Le droghe della Tabella IV , come Xanax e Valium, hanno un potenziale d’abuso inferiore rispetto alle droghe della Tabella III e manifestano un numero limitato di controindicazioni associate al loro utilizzo medico. Nel caso degli psichedelici, l’elevato potenziale di abuso che i legislatori riscontrarono non era l’uso compulsivo e indiscriminato

che comunemente si verifica nel caso di droghe come eroina e cocaina. Gli psichedelici non causano assuefazione o dipendenza. Infatti, uno dei loro tratti caratteristici è che dopo tre o quattro dosi giornaliere non producono più alcun effetto, e interromperne bruscamente l’uso non provoca dipendenza. Piuttosto, erano i loro intensi effetti a rivelarsi così profondamente disturbanti e talvolta disabilitanti. A causa di tali effetti altamente destabilizzanti, il Congresso decise che gli

psichedelici dovevano essere strettamente controllati. I ricercatori clinici negli anni ’50 e ’60 riconobbero e in genere presero in considerazione i particolari pericoli dell’LSD e di altri psichedelici. In questo modo, poterono prevenire o affrontare subito con successo qualunque reazione psicologica negativa a queste droghe. Tuttavia, l’uso incontrollato di queste droghe fra la popolazione, e la rottura dei protocolli di ricerca da parte di Leary e dei suoi colleghi di Harvard, sulla quale i media si concentrarono

in maniera intensa, portarono a ovvie conclusioni. Queste droghe stavano causando problemi ben noti e si doveva porre un freno alla situazione per limitare i danni. Per invertire la tendenza all’abuso, il Congresso evidenziò le proprietà negative degli psichedelici a scapito di quelle positive o neutrali. Quello che un giorno era “sicurezza sotto supervisione medica”, il giorno successivo divenne “mancanza di sicurezza sotto supervisione medica”. La loro “utilità terapeutica” in quanto strumenti di ricerca e di aiuto nella

psicoterapia si trasformò improvvisamente in “attualmente non accettabile per l’uso terapeutico”. Era all’interno di questo buco nero che avrei dovuto addentrarmi per condurre il protocollo sulla DMT attraverso il sistema normativo. Il processo iniziò nel dicembre 1988. Nel corso dei due anni successivi tenni un’agenda sulla quale annotai ogni telefonata, lettera, incontro, comunicazione via fax e discussione riguardo al protocollo sulla DMT , lo 89-001. Feci un riassunto di questi appunti,

estrapolando le informazioni più rilevanti ottenute da questi rapporti, e nel 1990 scrissi un articolo subito dopo aver ottenuto il permesso di iniziare lo studio. Mi riferivo a esso come se avessi scritto un documento intitolato Che ne sarebbe se venissi investito da un autobus? Era importante che altre persone sapessero farsi strada all’interno di questo intricato labirinto. Era possibile, e c’era una via attraverso cui passare. Se non fosse emerso altro dal progetto sulla DMT , perlomeno volevo

lasciare

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I primi guardiani dei reami normativi erano due commissioni della Scuola di Medicina dell’Università del New Mexico: il General Clinical Research Center Scientific Advisory Committee e la Human Research Ethics Committee. Il primo si occupò dell’aspetto scientifico della mia proposta. I colleghi ricercatori della commissione esaminarono il valore scientifico dello studio e offrirono dei suggerimenti correttivi.

Decisero inoltre se permettere che la ricerca venisse svolta presso il Centro di Ricerca e se finanziare gli innumerevoli esami del sangue che avevo richiesto. All’epoca facevo parte anch’io di questa commissione, avendo condotto nei due anni precedenti il progetto sulla melatonina al Centro di Ricerca. La Human Research Ethics Committee si occupò degli aspetti relativi alla sicurezza della ricerca. I suoi compiti erano di assicurarsi che il progetto avesse un profilo di sicurezza accettabile e che il documento per il consenso

informato spiegasse chiaramente la natura dello studio e i suoi rischi. Fu uno straordinario punto a mio favore che il presidente di tale commissione fosse un deciso sostenitore del libertarismo, secondo il quale l’individuo viene prima dello Stato. Credeva che le persone istruite potessero decidere con la loro testa. Il suo motto, in qualità di capo di una delle più importanti commissioni di revisione scientifica, trasmetteva un grande incoraggiamento: «Non siamo qui per recitare il ruolo di Dio».

Il documento per il consenso informato è un elemento cruciale nella ricerca sull’uomo. In esso, il ricercatore descrive gli obiettivi del protocollo e il motivo per cui lo sta effettuando. Il consenso stabilisce in modo minuzioso, attraverso tediosissimi dettagli, cosa aspettarsi dalla partecipazione al progetto. Elenca i potenziali rischi e i benefici legati alla partecipazione come volontari, descrive in dettaglio il modo in cui il team di ricerca farà fronte ai rischi e informa i volontari che riceveranno gratuitamente tutta l’assistenza necessaria in caso di

effetti avversi. Il consenso ricorda al potenziale soggetto della ricerca che la partecipazione è completamente volontaria e continuativa. Egli si può però ritirare in qualsiasi momento e per qualsiasi ragione, senza alcuna penalizzazione e senza che gli venga negata l’assistenza di cui ha bisogno. Nel caso in cui un volontario si sentisse trattato ingiustamente, il documento sul consenso informato fornisce i nomi e i numeri di telefono delle persone a cui rivolgersi per esporre le proprie lamentele.

Mentre stavo negoziando con le commissioni universitarie, iniziai anche a lavorare con le due agenzie federali degli Stati Uniti che costituivano le ultime, e più consistenti, barriere normative. A loro spettava l’ultima parola. La prima era la US Drug Enforcement Administration (DEA ). Aveva un dipartimento dislocato ad Albuquerque, ma il quartier generale era a Washington. La DEA avrebbe deciso se autorizzarmi a possedere DMT . In caso affermativo, tale autorizzazione avrebbe preso la

forma di un “permesso per la Tabella I”. L’altra agenzia federale normativa era la US Food and Drug Administration (FDA ), anch’essa con sede a Washington. La FDA avrebbe deciso se valeva la pena e se fosse sicuro somministrare DMT a dei volontari di una ricerca sull’uomo. Se accordato, il permesso della FDA avrebbe preso la forma di un “permesso per un’indagine su una nuova droga”. Quando sottoposi il protocollo alle commissioni universitarie, precisai che lo studio non sarebbe iniziato

finché la FDA e la DEA non avessero dato la loro autorizzazione per somministrare la DMT . Ad ogni modo, le agenzie federali richiedevano innanzitutto l’approvazione delle commissioni locali. Il documento sul consenso informato avrebbe costituito un ostacolo considerevole, pertanto fui molto chiaro con la commissione circa gli effetti che ci si poteva aspettare dalla DMT . Non volevo dare ai volontari la falsa sicurezza che si sarebbe trattato di una passeggiata, ma allo stesso tempo non volevo

nemmeno spaventarli enfatizzando gli eventuali effetti negativi. A pagina due del consenso, il volontario poteva leggere: Prendo atto che gli effetti principali di questa droga sono di carattere psicologico. Possono verificarsi allucinazioni visive e/o uditive, così come altre alterazioni della percezione. La mia percezione del tempo potrebbe risultare alterata (dilatazione temporale o viceversa). Potrei sperimentare emozioni molto intense, sia piacevoli che sgradevoli. Stati d’animo e pensieri opposti

potrebbero essere vissuti nello stesso tempo. Potrei essere estremamente sensibile e consapevole dell’ambiente; viceversa, potrei anche manifestare totale indifferenza nei confronti dell’ambiente. Potrei avere la sensazione che il mio corpo e la mia mente si siano separati. Potrebbero essere percepite sensazioni di morte imminente o effettiva, oppure uno stato confusionale. L’euforia è molto comune. L’avvio dell’esperienza è rapido, e con le dosi più elevate è già molto intensa nel giro di 30 secondi. Raggiunge i

massimi livelli tra i 2 e i 5 minuti e generalmente, tra i 20 e i 30 minuti, si avverte solo un lieve stato di esaltazione. Ritornerò in condizioni normali entro un’ora dall’iniezione. Riguardo ai rischi, il modulo per il consenso informato era breve, ma onesto: I principali effetti della DMT sono di carattere psicologico e sono stati descritti sopra. Di solito durano meno di un’ora. Raramente, reazioni emotive a questi effetti possono durare più a lungo (ad esempio dalle 24 alle 48 ore). Posso stare al Centro di Ricerca per tutto

il tempo necessario a ristabilirmi, notte compresa, se lo desidero. [...] La DMT è sicura dal punto di vista fisico. Si verificano leggeri e limitati aumenti della pressione sanguigna e del battito cardiaco. Sarebbe stato prematuro e inappropriato inserire all’interno del documento sul consenso informato che la partecipazione allo studio sulla DMT avrebbe offerto dei potenziali benefici. Sebbene sapevo che i volontari avrebbero probabilmente apprezzato le loro esperienze con la DMT , tutt’altra cosa era dichiarare che stavo

offrendo un trattamento per una condizione diagnosticabile. Pertanto, il consenso proseguiva col dire: Non trarrò alcun beneficio personale dalla partecipazione allo studio. Tuttavia, i potenziali benefici sono una maggiore comprensione del meccanismo di azione degli agenti allucinogeni. Una settimana dopo la presentazione del progetto sulla DMT , il comitato etico mi chiese di aggiungere la frase «attualmente non accettata per l’uso terapeutico» nel paragrafo introduttivo del

consenso informato. Risposi dicendo che questa frase avrebbe inutilmente allarmato i possibili volontari. Inoltre, se mi fosse stato concesso il permesso di condurre lo studio, la frase, nel senso stretto del termine, non sarebbe più stata vera. La DMT sarebbe infatti stata accettata per l’uso terapeutico, in questo caso come strumento di ricerca clinica. Accettarono questa risposta. La riservatezza e l’anonimato erano questioni importanti che avrei dovuto affrontare con il comitato etico, il Centro di Ricerca e

l’amministrazione dell’ospedale dell’Università. Quasi tutti i volontari dello studio sulla DMT avevano un lavoro e una famiglia, e si preoccupavano di non metterli a repentaglio ammettendo l’uso di droghe illegali. La confessione di aver infranto la legge era un prerequisito affinché venissero ammessi nella ricerca, dato che solo esperti utilizzatori di droghe psichedeliche potevano prendervi parte. Incontrai lo staff del dipartimento che si occupava degli archivi delle cartelle cliniche e il personale degli uffici di

accettazione, il caporeparto dell’infermeria, l’amministratore del Centro di Ricerca e l’avvocato dell’ospedale. Insieme elaborammo un accordo complicato ma efficace. I registri delle visite effettuate nell’ambulatorio del Centro di Ricerca avrebbero contenuto importanti informazioni mediche. Ciò poteva essere estremamente utile nel caso in cui un volontario, nel corso della ricerca, avesse sviluppato dei problemi di salute per i quali sarebbero occorsi dei valori di riferimento, per esempio riguardo alle funzioni cardiache.

Inoltre, mettemmo il vero nome del volontario sulla scheda che conteneva i risultati delle visite mediche e dei test di controllo in laboratorio. In questa scheda non c’era alcun riferimento all’uso di droga e nemmeno un collegamento alla mia ricerca. Il documento sul consenso informato, che di solito era allegato alla scheda, richiedeva il vero nome del volontario sulla riga della firma. Per motivi di riservatezza, conservai sotto chiave, nel mio studio di casa, tutti i consensi informati che erano stati firmati. Un’annotazione sulla

scheda prendeva il posto del “vero nome”: «Consenso firmato. Conservato dal responsabile scientifico della ricerca». Tutti i volontari ricevevano poi un codice identificativo, tipo DMT -3. Da qui in avanti avrebbero avuto solo questa identità anonima, e io sarei stato l’unica persona a conoscerne la chiave. Ognuno di essi riceveva una nuova scheda clinica contrassegnata solo dal loro numero DMT . La prima volta che usammo il codice fu durante le visite psichiatriche nelle quali i volontari raccontarono nei dettagli

la loro storia circa l’uso di droga e i loro problemi emotivi. C’era un’ultima preoccupazione, relativa a come le agenzie esterne avrebbero utilizzato le schede al fine di valutare gli effetti a lungo termine dell’esposizione a droghe sperimentali. Nei miei studi sulla melatonina avevo inserito una frase nel consenso informato che affermava come i fornitori di melatonina e la FDA avrebbero potuto controllare le schede dei pazienti per individuare qualsiasi rischio o problema associato all’assunzione di melatonina.

Quando introdussi questa stessa dicitura nel consenso informato per la DMT , i possibili volontari fecero delle obiezioni. Eppure doveva esserci un meccanismo per poter legittimare un’indagine sui possibili rischi a lungo termine derivanti dall’uso di DMT . Tuttavia, ciò doveva essere volontario. Il compromesso che raggiungemmo fu che se la FDA o i fornitori di DMT volevano interrogare i soggetti della ricerca o visionare le loro cartelle cliniche, dovevano prima parlarne con me. Avrei verificato con i singoli

volontari per vedere chi fosse interessato. I registri della ricerca potevano certamente costituire delle prove legali, ma senza la chiave di accesso ai codici identificativi il loro uso sarebbe stato limitato. Mi sarei rifiutato di divulgare questa chiave, avvalendomi del segreto professionale. Si sarebbe creato scompiglio, ma ne valeva la pena. A quanto pare, nei cinque anni di ricerca sulla DMT , con più di sessanta volontari coinvolti, non ci fu mai una violazione della riservatezza o dell’anonimato. E

nemmeno ci fu, nei cinque anni successivi alla fine della ricerca, alcuna richiesta da parte delle autorità di esaminare le cartelle cliniche dei volontari. Il Research Center’s Scientific Advisory Committee riconobbe che l’aspetto scientifico del protocollo sulla DMT era relativamente completo e lineare. I principali ostacoli erano di carattere etico, politico e amministrativo, campi in cui aveva meno potere e responsabilità rispetto al comitato etico.

Tuttavia, vi erano alcune preoccupazioni in merito alla sicurezza e alla responsabilità. Il Centro di Ricerca mi chiese di tenere i volontari in ospedale durante la notte per assicurarsi che venissero tenuti sotto controllo dallo staff medico per un intero giorno dopo la loro partecipazione. Risposi che questo avrebbe ridotto il numero dei possibili volontari. Negli studi precedenti sulla DMT , dopo aver partecipato alla ricerca durante la mattina, i volontari erano stati mandati a casa nel pomeriggio con buoni risultati

quanto a sicurezza. Si dissero dunque d’accordo. I ricercatori del Centro di Ricerca volevano inoltre stabilire l’ora migliore del giorno in cui somministrare la DMT . Esisteva un ritmo giornaliero nella sensibilità alla DMT ? Le risposte migliori si avevano di mattina o nel pomeriggio? Risposi che non lo sapevo, ma che somministrando DMT a tutti alla stessa ora del giorno, durante il mattino, avremmo normalizzato quel dato. Avremmo potuto studiare le possibili

variazioni della sensibilità durante il giorno in una ricerca successiva. I miei colleghi ricercatori richiesero inoltre un maggior numero di dati dalla letteratura sulla ricerca sugli animali per rilevare i livelli sanguigni dei vari ormoni che volevo misurare. Questi riferimenti erano facili da procurarsi. Infine, volevano che i volontari fornissero dei campioni di urina per verificare l’eventuale abuso di droghe. Nel giro di un mese, il 19 febbraio 1989, il Centro di Ricerca approvò il protocollo sulla DMT . Per di più, fu

d’accordo a finanziare la mia richiesta di testare i livelli ormonali e di sviluppare un metodo di misurazione della DMT nel sangue umano. Tre giorni dopo anche il Human Research Ethics Committee approvò la ricerca. Iniziai allora a cercare una fonte di DMT . Allo stesso tempo mi dovevo anche assicurare che, una volta trovata, fosse legale per me possederla. Il più semplice di questi due compiti era quello che riguardava il possesso, e ciò dipendeva dalla concessione da

parte della DEA di un permesso per la Tabella I. Nell’aprile 1989 affrontai con la farmacia dell’ospedale universitario la questione dei requisiti di sicurezza che la DEA avrebbe richiesto per far tenere in magazzino una droga della Tabella I. Siccome i farmacisti avevano già lavorato in uno studio sulla marijuana, credevano che le loro misure di sicurezza fossero adeguate. Inoltrai allora la richiesta di permesso per la Tabella I alla DEA . Illustrava che il permesso era

necessario per entrare in possesso di DMT per uso da laboratorio per poter iniziare a sviluppare un modo per misurare la DMT nel sangue umano. In seguito, il permesso si sarebbe dovuto estendere alla DMT da somministrare ai volontari. La DMT per uso umano doveva essere più pura rispetto a quella destinata agli studi di laboratorio. La somministrazione di DMT ai volontari non sarebbe cominciata fino a quando la FDA non avesse approvato la ricerca e la purezza della droga.

Una sezione del modulo di richiesta della DEA chiedeva il “numero di droga” della DMT . Chiamai l’ufficio della DEA a Washington e un dipendente cercò la DMT sull’elenco nazionale dei codici delle droghe. Il numero corrispondente fu inserito nell’apposito spazio. Due settimane dopo chiamai la DEA , ma non avevano alcun documento che attestasse la ricezione della mia richiesta. La persona con cui parlai disse: «Ci stiamo trasferendo in un nuovo

ufficio e si trova tutto negli scatoloni». Passarono altre due settimane e ancora nessuna notizia della mia richiesta. Tuttavia, nel giro di alcuni giorni, ricevetti indietro l’intero modulo di richiesta. Avevano bisogno dell’esatto codice della DMT , che mi indicarono su un foglio di carta allegato. La persona con la quale avevo parlato in precedenza mi aveva dato il numero sbagliato. Inserii il codice esatto e inviai la richiesta “riveduta e corretta” quello stesso giorno.

La DEA voleva anche un permesso per la Tabella I da parte della New Mexico Board of Pharmacy; nel giro di alcune settimane mi procurai anche questo certificato. «Dipende tutto dalla DEA » sentenziò il personale della commissione farmaceutica. La DEA mi confermò che avrebbe approvato la richiesta per la DMT da destinare agli studi di laboratorio a patto che la farmacia dell’ospedale e il personale avessero superato i controlli di sicurezza previsti. Il modulo passò da Washington a

Denver e da Denver ad Albuquerque. L’agente D., ispettrice capo della DEA presso l’ufficio di Albuquerque, venne all’Università per incontrarmi e fare un’ispezione della farmacia all’inizio di giugno del 1989. Prese nota del nome, dell’indirizzo, del numero di telefono e del numero di previdenza sociale di tutti i membri del personale farmaceutico che avrebbero potuto entrare in contatto con la DMT . Trovò alcune falle nella sicurezza e ci chiese di munirci di un congelatore dotato di

lucchetto da mettere nella camera di sicurezza destinata ai narcotici. Disse che non potevo avere una copia della chiave del congelatore, la dovevano avere solo i farmacisti dell’ospedale. Se fosse scomparsa una qualsiasi delle droghe, in questo modo nessuno avrebbe potuto sospettare che l’avessi rubata io. Ogni tanto aveva l’abitudine di fare battute inquietanti: «Bene, così non verrà spedito in prigione», oppure: «Non si preoccupi, non la porteremo via in manette per questo».

Cercai di ridere con lei. Quando ci salutammo, riassunse così la situazione: «È lei a rischiare il culo... Se qualcosa dovesse andare storto – furto, perdite, cattiva gestione dei documenti – sarà lei a doverne rispondere». La visita dell’agente D. mi rese piuttosto ansioso, ma furono le sue ultime parole a rivelarsi le più allarmanti: «A proposito, dove ha intenzione di procurarsi la DMT da dare ai volontari?» Verso la fine del mese, la DEA approvò in linea generale la mia richiesta di permesso per avere la

da destinare agli studi di laboratorio. Promisi che non avrei somministrato quella droga di purezza inferiore ai volontari e che avrei aspettato l’approvazione della FDA sulla DMT per uso umano prima di iniziare la ricerca. Tuttavia, la DEA aveva ancora il compito di decidere se farmi entrare in possesso di DMT per uso umano, perché si trattava di una diversa partita di droga. Nel marzo del 1989, a una settimana dall’approvazione dello studio sulla DMT da parte dell’Università e subito dopo aver inviato i moduli di richiesta alla DEA , DMT

contattai i Laboratori Sigma a St. Louis, nel Missouri. La Sigma mi aveva già procurato la melatonina per il progetto sulla pineale umana. La DMT era inserita nel loro catalogo e chiesi se me ne potevano vendere un po’. Richiesi una partita di DMT per gli studi di laboratorio, nel tentativo di misurare i livelli di DMT nei fluidi corporei. Feci inoltre richiesta di una partita di DMT da destinare a soggetti umani. La Sigma mi disse che non c’erano problemi per fornirmi la DMT destinata agli studi di laboratorio; solamente, era necessario il

permesso per la Tabella I da parte della DEA . Ottenere la partita di DMT per uso umano sarebbe stato più complicato: la Sigma avrebbe infatti dovuto redigere una documentazione specifica per la FDA , una sorta di “macro-file sulla droga”. La Sigma mi suggerì di contattare i ricercatori che avevano già somministrato la DMT in studi precedenti per scoprire chi gliel’avesse fornita. La Sigma avrebbe poi saputo quali dettagli fornire alla FDA . Se ci fossero stati dei problemi nello scoprire queste

informazioni, ci suggerirono di avvalerci del US Freedom of Information Act. Questa legge autorizza i cittadini a richiedere informazioni privilegiate a patto di non violare le norme in materia di sicurezza vigenti all’interno del territorio nazionale americano. Ottenni una lista di tutti i permessi in vigore sulle droghe sperimentali per poter entrare in contatto con chiunque ne avesse uno per la DMT . Sfortunatamente non ce n’erano. La mia ricerca di un qualche permesso di vecchia data, attraverso il Freedom Information

Act, non ebbe successo. Presso la FDA non c’erano documenti o file di precedenti permessi per la DMT . Il modulo di richiesta per somministrare la DMT a soggetti umani passò alla FDA alla fine di aprile. Chiesi il ripristino dei vecchi permessi per la DMT utilizzati dalla prima generazione di ricercatori, sperando che la stessa FDA riuscisse a trovare quei vecchi file nascosti. Uno dei ricercatori che aveva somministrato la DMT a soggetti umani, co-autore dell’articolo sulla “morte onorevole”, permise alla FDA di dare un’occhiata nei suoi archivi

a nome mio. Tuttavia, in una corrispondenza successiva, mi comunicò di non avere informazioni sulla droga e di non ricordare chi fosse stato il suo fornitore. Mi augurò buona fortuna. Nei primi giorni di maggio la FDA inviò la sua prima lettera, firmata dalla signora P., nella quale mi avvertiva che, se non si fossero messi in contatto entro un mese, la ricerca poteva procedere. Naturalmente, non avevo DMT di nessun tipo. Ad ogni modo, la mia richiesta aveva ora un numero di protocollo. La Sigma era quindi

disposta a discutere con la FDA per redigere un macro-file sulla droga per me. A giugno, la signora P. della FDA mi comunicò che la Sigma non stava fornendo sufficienti informazioni sulla composizione della loro DMT . La Sigma replicò che i suoi fornitori europei di DMT si rifiutavano di trasmettere qualsiasi informazione di quel tipo: si trattava di un segreto commerciale. Inoltre, era preoccupata che la FDA stesse chiedendo più informazioni sulla DMT di quanto avesse fatto per altre droghe fornite in passato per

ricerche sull’uomo. La Sigma mi diede il nome del chimico della FDA che si sarebbe occupato della mia richiesta: la signora R. Nel corso del successivo anno e mezzo, io e lei avremmo avuto decine di conversazioni. Chiesi alla signora R. perché la FDA stesse richiedendo più informazioni sulla DMT di quanto avesse fatto per la melatonina nella mia precedente ricerca. Lei rispose: «Ogni caso è a sé». La Sigma si lamentò del fatto che la FDA si stesse comportando in modo irragionevole. La FDA non

avrebbe proseguito oltre finché non avesse avuto ulteriori informazioni. Quando chiesi alla signora R. se sapesse chi fossero i fornitori della Sigma, precisando che avrei voluto contattarli direttamente, mi diede i loro nominativi. Quando chiesi conferma alla Sigma, si alterarono per quella che considerarono una violazione della privacy. Nonostante ciò, accettarono di inviare alla FDA tutte le informazioni in loro possesso sulla loro DMT . Chiesi alla signora R.: «Se la DMT fornita dalla Sigma non dovesse soddisfare i requisiti necessari,

potrei purificarla per farla rientrare nei vostri standard?» Aveva dei dubbi a riguardo. Il direttore della divisione della FDA dove aveva lavorato in passato era il collega che mi disse, in quel convegno sulle neuroscienze di qualche anno prima, che «anche i malati terminali hanno dei diritti». In passato, aveva bloccato tutte le richieste dei ricercatori per purificare le partite di droga destinate agli studi di laboratorio in modo da poterle utilizzare su soggetti umani.

«Forse ora è diverso» disse. «Questa è una nuova divisione, con nuovi direttori». Era vero. La crescente ondata di AIDS e dell’abuso di droghe misero in luce i ritardi nel processo di approvazione delle droghe da parte della FDA . Per sopperire a tali ritardi, si formò una nuova divisione per fare rapidi controlli sulle nuove droghe. Per fortuna, la mia richiesta per la DMT fu inoltrata a questa nuova divisione anziché a quella del dr. L., dove la mia proposta di ricerca sulla MDMA non fece mai alcun progresso.

Passarono diversi mesi e la signora R. non ricevette mai alcuna informazione dalla Sigma. La Sigma riteneva che la FDA avesse violato la loro privacy e probabilmente non voleva proseguire oltre in quello che sarebbe stato un lungo e complicato iter. Cosa si poteva fare per metterli d’accordo? Rinunciai alla speranza di poter ottenere DMT per uso umano dalla Sigma. Nell’agosto del 1989 arrivò dalla FDA una lettera prolissa che elencava dettagliatamente venti diversi requisiti che doveva possedere la DMT per uso umano. Non si

sollevavano problemi circa la sua tossicità generale, il che avrebbe richiesto complessi e costosi test sugli animali. Né vi erano preoccupazioni circa il valore scientifico dello studio. Con tali presupposti, mi sentii molto incoraggiato. Contattai allora il collega chimico che in passato aveva fatto il suo tragico pronostico sul fatto che la mia unica pubblicazione avrebbe avuto come oggetto il mio fallimento nell’ottenere il permesso per condurre la ricerca. Gli chiesi in

modo diretto: «Mi farai un po’ di DMT ?» Rifiutò. Non credeva che il suo attuale laboratorio rispettasse i requisiti necessari per essere qualificato come “laboratorio di produzione”. Sarebbe stato troppo dispendioso in termini di tempo e denaro cercare di metterlo a norma. Chiesi anche al dottor David Nichols, chimico e farmacologo presso la Purdue University, nell’Indiana. Mi suggerì di parlare con il dottor K., del National Istitute of Mental Health, che dirigeva un programma di ricerca sulle droghe

difficili da reperire. Il dottor K. disse che il suo contratto proibiva l’uso dei suoi composti nell’uomo, ma non era escluso che in futuro avrebbe potuto richiedere di sintetizzare droghe per uso umano. Il dottor K. mi consigliò di chiamare Lou G., un vecchio collega che lavorava in un laboratorio chimico di produzione a Chicago. Risultò che Lou, che aveva continuato a lavorare lì dopo che un’altra impresa aveva acquisito la sua compagnia, aveva fornito molta della DMT per gli studi sull’uomo in America. Tuttavia, la sua impresa di

Chicago non aveva dato a quei ricercatori nessun tipo di informazione tossicologica circa la produzione della droga e la sperimentazione sugli animali. Lou fece una risata al telefono e disse: «Gli abbiamo solo detto che era pura, al 95% più o meno. Le cose erano molto più facili allora». Scrissi al National Institute on Drug Abuse (NIDA ), chiedendogli se avessero della DMT per uso umano. Trascorso un mese, gli scrissi di nuovo. Il signor W. rispose che le droghe della NIDA di solito arrivavano da un laboratorio della

Carolina del Nord, diretto dal dottor C. Chiamai il dottor C., che mi disse che non potevano produrre droghe per uso umano. Quando gli ricordai di un recente studio pubblicato nel quale il suo laboratorio lo aveva già fatto per un altro progetto di ricerca, mi disse che avrebbe visto cosa si poteva fare. Anche se avesse acconsentito a produrre la droga, non avrebbe però redatto il macrofile sulla droga per la FDA . «Non voglio la responsabilità» disse. «Non ho l’assicurazione per

produrre droghe per uso umano. Il mio contratto non lo prevede». Il dottor C. mi suggerì di ottenere un po’ di DMT dalla NIDA e di purificarla fino al 99,5% di purezza richiesto. Pensava che potessero avere 5 grammi di DMT “da qualche parte”. Quando lo domandai al signor W., mi rispose: «La nostra DMT è troppo vecchia. E non abbiamo nessun dato di produzione». «Abbiamo un contratto con il dottor C.» continuò. «Loro producono quello che gli chiediamo. C’è un altro laboratorio che prepara

le droghe per uso umano. Credo che il problema principale siano gli scarsi movimenti di DMT , al giorno d’oggi. Per noi non sarebbe molto remunerativo impiegare tanto denaro dal nostro contratto per una droga ancora così poco nota. Mi lasci vedere cosa posso fare». Alcune settimane dopo, il signor W. mi richiamò dicendo che il dottor C. poteva fare la DMT , ma avrei dovuto pagarlo. Il dottor C. era disposto a fare un preventivo, ma ribadì che non aveva intenzione di redigere il file sulla droga richiesto dalla FDA . «È troppo lavoro».

Ciò non era molto promettente. Quando chiesi alla signora R. della FDA se avessi potuto redigere da solo il file sulla DMT preparata dal dottor C., mi disse che mi avrebbe fatto sapere. «Se il dottor C. produrrà la DMT , potrò davvero usarla?» «Mi consulterò con il personale della sezione abuso di droghe» rispose. «Perché non potrei?» «Non lo so» rispose. «Forse il nostro direttore, il dottor H., le telefonerà».

Il preventivo del dottor C. sul costo della DMT era di più di 50.000 dollari. «Bene» dissi, «grazie per avermi fatto sapere». Un’altra porta era stata chiusa. Telefonai alla signora R.: «Sembra che la fortuna non sia dalla mia parte. Cosa suggerisce di fare?» «Andrò al Federal Archives Building a vedere se riesco a trovare i file sulla DMT dei precedenti ricercatori». Nel luglio del 1989 la signora R. trovò i file di queste vecchie ricerche. «I dati al loro interno sono

pessimi» disse. «Non c’è nulla: nessun dato sugli animali, né di carattere chimico. Abbiamo chiuso il progetto. Non hanno mai risposto alle nostre richieste, mandandoci i rapporti di avanzamento. Non le potrà essere di alcun aiuto». «Come avete fatto ad approvare quella ricerca?» «Non lo so. Non lavoravo ancora qui». Cercò di assumere un tono fiducioso. «Le invierò le informazioni di cui ha bisogno per redigere il suo file sulla droga». Le informazioni che mi inviò erano pensate per le grandi aziende

farmaceutiche quali Lilly, Merck o Pfizer. Non avevano nulla a che fare con un ricercatore indipendente. Chiamai la signora R.: «Ho bisogno di aiuto. Perché non mi sta aiutando?» «Il nostro direttore è il dottor H. Ecco il suo numero di telefono. Insista per parlare con lui». Chiamai l’ufficio del dottor H. La sua segretaria disse: «Le occorre parlare con il dottor W.». Prima che potessi protestare, aveva trasferito la chiamata al dottor W.

«Sono il dottor W.!» tuonò la voce amichevole ma autoritaria all’altro capo del telefono. «Sono l’unico dottore dell’unità sull’abuso di droghe in questa nuova divisione. So cosa sta attraversando. Siamo qui per aiutarla. Non disperi». «Come posso ottenere della DMT per uso umano?» chiesi. «Trovi qualcuno che la faccia per lei». «Che ne dice di Dave Nichols della Purdue?» proposi. «È una possibilità» rispose. «Potrebbe parlare lei con Dave?»

«Il dr. Nichols deve scrivere al direttore, il dottor H. Qui c’è il suo indirizzo. La funzionaria che lavorerà alla sua richiesta è invece la signora M. La chiami tra due settimane». Sentii che con quella telefonata qualcosa si era smosso. Telefonai a Dave Nichols. Stimò un prezzo di 300 dollari per la DMT (il solo costo della fornitura). Mentre si stavano effettuando tutte queste telefonate, sapevo che le sovvenzioni esterne all’Università erano fondamentali affinché il progetto potesse ottenere tutta la

legittimità necessaria. Un supporto finanziario supplementare mi avrebbe fatto guadagnare del tempo per trovare della DMT per uso umano e avrebbe aiutato il Centro di Ricerca a pagare una parte del lavoro che avevo richiesto. Ciò avrebbe senz’altro aumentato il sostegno del protocollo da parte del Centro di Ricerca. Riesaminando alcune vecchie ricerche sulla DMT e la schizofrenia, venni a sapere che la Scottish Rite Foundation, un ramo della Massoneria, ne aveva finanziate alcune attraverso il suo programma

di ricerca sulla schizofrenia. Pensai allora di inviare una richiesta di finanziamento. Il mio progetto sulla DMT già trattava dell’importanza di comprendere gli effetti della DMT nel suo possibile ruolo di schizotimico endogeno. Bisognava solo modificarlo un po’ per enfatizzare tale aspetto più chiaramente. Scrissi al dr. Freedman, informandolo della mia richiesta di sovvenzione alla Scottish Rite Foundation. Mi rispose che faceva parte del loro comitato di revisione scientifica e che “forse” avrebbero concesso un finanziamento

annuale. Nel giro di un mese, nel settembre 1989, arrivò una notifica di conferimento del finanziamento della durata di un anno per il progetto. Scrissi di nuovo al dr. Freedman, aggiornandolo sulla ricerca di DMT per uso umano. Scarabocchiò una nota sulla mia lettera e ne inviò una copia al direttore del National Institute on Drug Abuse, che era stato un suo studente. La sua lettera, piuttosto concisa, terminava così: «A Strassman serve qualcuno della NIDA che sia disposto a collaborare. Qualche idea?»

A settembre telefonai al sig. W. della NIDA . Era appena ritornato da una riunione con il dr. C. in cui avevano discusso di come procurare ai ricercatori droghe della Tabella I. «Vogliamo essere d’aiuto» disse. «Chiami la signora B. della DEA e veda se le può dire come ottenere il permesso per il dr. Nichols di produrre una piccola partita di DMT per lei. Se la quantità è troppo grande, dovrebbe essere nominato fornitore ufficiale, ma non sarebbe in grado di garantire i requisiti di sicurezza necessari». Chiamai la signora B.

«Dave Nichols può produrre un po’ di DMT per uso umano per il mio progetto?» Lei iniziò: «Be’, se il dr. Nichols ha intenzione di essere un produttore, gli occorrerà rispettare dei parametri di sicurezza piuttosto severi. C’è un ufficio della DEA vicino alla sua università? Potrebbero fargli una visita e dirgli come è opportuno muoversi. Poi il dr. Nichols potrà decidere se è in grado di rispettare le loro indicazioni». Sentii che la mia voce stava iniziando a diventare rauca. Mi

preoccupai di quanto fossi vicino a perderla. «Ho cercato ovunque della DMT per uso umano: alla Sigma e presso un altro laboratorio chimico, al National Institute on Drug Abuse, al National Institute of Mental Health, dai primi ricercatori, dal dottor C. della Carolina del Nord. Dave Nichols è disposto a produrne un po’ per me, a un prezzo incredibilmente conveniente. Ha bisogno del suo via libera. Ho ottenuto un finanziamento esterno e il Centro di Ricerca dell’Università sostiene il progetto. Sto

impazzendo. Mi sto strappando i capelli. Ho le gengive che sanguinano. Mia moglie non mi sopporta più!» Ci fu una pausa. Sentii come se stesse allontanando la sedia dalla scrivania. «Oh» disse, sembrando sinceramente preoccupata. «Mi faccia dare un’occhiata... Sì, c’è una clausola nel regolamento relativa ai “casi eccezionali”. Il dr. Nichols può produrre una piccola partita se gli darà la sua collaborazione. In questo modo non occorrerà che il

suo laboratorio debba rispettare norme di sicurezza supplementari». La sentii estrarre un grosso libro da non so dove: «È accettabile per lui produrla...» e iniziò a leggere un testo «...se e nella misura in cui...» Leggeva troppo velocemente perché riuscissi ad annotarmi le informazioni. La signora B concluse: «Mi faccia scrivere dal dr. Nichols. Ecco il mio indirizzo. Dovrà chiedere una rettifica del suo attuale permesso, dichiarando quanta DMT produrrà. Controllerò con il nostro farmacista

per accertarmi che si tratti di una quantità ragionevole». «Bene» conclusi. «Mi sembra perfetto. Apprezzo davvero il suo aiuto». Telefonai al dottor W. Mi confidò ufficiosamente che il mio progetto stava mettendo in luce una lacuna delle leggi sulle droghe: come possono dei ricercatori fare uno studio sulle droghe d’abuso? Poi mi descrisse in dettaglio come soddisfare i venti requisiti stabiliti dalla FDA nella lettera di quattro pagine che mi aveva inviato alcuni mesi prima. Questi passaggi

avrebbero fornito alla FDA le informazioni di cui aveva bisogno per determinare se la DMT fosse “sicura per l’uso umano”. Il Dipartimento di Psichiatria dell’Università del New Mexico acconsentì a pagare a Dave Nichols i 300 dollari per la DMT . Tuttavia, non avrebbero compilato l’assegno fino a quando la DEA non avesse rilasciato il permesso per la Tabella I. La DEA non avrebbe approvato la richiesta di Dave per poter produrre la DMT , né il mio permesso per entrarne in possesso, fino a quando

la FDA non avesse approvato il protocollo. La FDA non poteva darmi l’autorizzazione fino a quando non fossi entrato in possesso della droga e avessi fatto i test di sicurezza. Alla DEA occorreva anche la conferma della FDA che Dave potesse andare avanti e produrre la droga. Quattro mesi dopo, nel gennaio 1990, finalmente Dave ricevette l’approvazione della DEA per produrre la DMT . Ordinò subito i precursori e si mise al lavoro. Nel frattempo, avevo ricevuto una partita di DMT da laboratorio dalla Sigma e l’avevo messa nel

congelatore dotato di lucchetto all’interno della camera di sicurezza destinata ai narcotici della farmacia dell’ospedale. Erano cento milligrammi, un decimo di grammo, all’interno di una piccola fiala. Il Centro di Ricerca iniziò a sviluppare un metodo per misurare la DMT nel sangue umano. Inoltre, ricevetti un punteggio elevato dalla NIDA per fare domanda di finanziamento per il mio studio sulla DMT con buone probabilità di poterlo ottenere. Due finanziamenti approvati ma niente droga! Era paradossale. Tutti volevano che la

ricerca venisse realizzata, ma nessuno sapeva come procurarmi la droga necessaria a svolgerla. Entro febbraio la DEA aveva raccolto informazioni sufficienti dalla FDA per sapere che il protocollo era abbastanza buono perché la FDA lo approvasse “in linea generale”. La DEA acconsentì a darmi il permesso per la Tabella I. Tuttavia la signora L., il mio contatto presso di loro, mi telefonò dandomi alcune cattive notizie: «La Diversion Control ha bloccato il permesso».

«Cos’è la Diversion Control?» chiesi. «Cercherò di chiedere che facciano eccezione per la sua richiesta. La richiamerò la settimana prossima». Il giorno seguente, la signora B. della DEA , la donna che aveva sbloccato l’impasse, mi telefonò per dirmi che Dave era un produttore a tutti gli effetti e avrebbe dovuto quindi rispettare ulteriori requisiti di sicurezza. Non sapevo cosa dire. «Non so cosa dire» le dissi. «Qui c’è il nome e il numero di telefono dell’agente della DEA di

Indianapolis, vicino alla Purdue University. Lui è responsabile per quella zona. Dirà al dr. Nichols cosa deve fare». Mi richiamò quello stesso giorno: «Mi scusi. Il dr. Nichols sta facendo un’altra droga e abbiamo mischiato quella richiesta con la sua per la DMT . È stato un mio errore. Può andare avanti secondo il programma». Dave mi contattò alla fine di quella settimana, dicendo che i legali della Purdue gli stavano sconsigliando di produrre la DMT per questioni relative alla

responsabilità professionale. Chiamai il signor W. della NIDA e gli chiesi se in passato ci fossero stati reclami per negligenza nelle ricerche che prevedevano l’uso di droghe della Tabella I. Mi diede qualche notizia incoraggiante: «Non ci hanno mai citato in giudizio per aver fornito marijuana, una droga della Tabella I , per la ricerca sull’uomo. Si assicuri solo di avere un ineccepibile documento per il consenso informato». Quel giorno telefonò di nuovo e mi fece parlare con il legale della

NIDA ,

che mi disse: «Potrebbe venire citato in giudizio lei per primo, poi la sua università, poi forse la FDA e più remotamente il dr. Nichols. Tutto quello che lui sta facendo avviene nel rispetto delle norme della FDA . Non è suo il compito di decidere chi somministra quale dose a chi: questa è una sua responsabilità, dr. Strassman». Lo dissi a Dave e lui mi rispose: «Spero che tu sappia quello che fai. Per me e per i nostri avvocati è un vero atto di fede nei tuoi confronti». Maggio e giugno trascorsero alla ricerca di un laboratorio per

condurre i test richiesti dalla FDA non appena la DMT fosse arrivata. Un test richiedeva che la DMT venisse esaminata in un laboratorio esterno, ma i primi due laboratori che contattai si rifiutarono di lavorare con una droga della Tabella I . Infine, una terza compagnia accettò di effettuare i test. Entro il luglio 1990 Dave aveva prodotto la droga e stava conducendo tutti i test che occorrevano alla FDA per determinarne la natura e la purezza. Era pura quasi al 100%.

All’inizio di luglio inviò cinque grammi di DMT alla mia clinica tramite un corriere espresso. Quel giorno la tenni nel mio ufficio e prima di ritornare a casa la portai alla farmacia dell’ospedale. Chiamai il dottor W. per dirgli che la DMT era arrivata e che potevano volerci alcuni mesi per eseguire tutti i test e raccogliere i risultati. «Metti tutto insieme e invialo alla signora R., il chimico, e alla signora P.» disse. «Chiamale dopo una settimana. Ti diranno di non aver mai visto la tua lettera. Poi chiamami se nel giro di due

settimane non ricevi notizie. Una volta un poveretto, dopo aver ottenuto il permesso dovette aspettare un mese prima che gli trovassimo qualcuno che gli scrivesse una lettera». La farmacia preparò della DMT diluita in soluzione salina. Era questo il modo in cui l’avrei somministrata ai volontari. Il farmacista la divise in cento fiale di vetro. I campioni per i test della FDA sarebbero venuti da lì. Avevo alcune domande dell’ultimo minuto e a settembre chiamai la signora R. Non ci eravamo parlati per alcuni

mesi. «Ho bisogno di far mente locale sul suo caso» disse. Dopo alcune conversazioni telefoniche mi fornì le informazioni necessarie. Per la fine di ottobre tutti i test erano stati completati e la DMT li passò tutti. Misi insieme il tutto, lo imballai e lo inviai alla FDA per posta celere. Dopo una settimana iniziai le chiamate. Nessuno rispose ai numerosi messaggi che lasciai in segreteria. Telefonai al dottor W. «Qual è il problema?» domandò. «Di solito mi telefona quando le cose non stanno andando bene».

«Posso iniziare la mia ricerca sulla DMT ?» «Andrò a dare un’occhiata per vedere cosa riesco a scoprire». Telefonai di nuovo all’inizio di novembre. La segretaria mi informò che la loro divisione aveva cambiato ufficio, ma che controllavano i messaggi ogni mezz’ora. La sera del 5 novembre 1990 la signora M., il mio funzionario di progetto, mi telefonò: «Il blocco al suo progetto è stato rimosso». «Una conferma verbale è tutto quello che mi occorre?» «Sì».

«L’Università non lo accetterà. Potrebbe mandarmi una lettera via fax?» chiesi. «Gliela manderò domani». Il mese di novembre nelle montagne del New Mexico è freddo e secco, ventoso e rigido. Feci molte di queste telefonate dalla mia casa nelle Manzano Mountains, a sudest di Albuquerque. Qualche volta scherzavo con gli amici sul fatto che i miei moduli di richiesta dovevano essere approvati solo perché nessuno del District of Columbia poteva godere di un panorama bello come il mio.

Il laboratorio tessile della mia ex moglie era in un edificio separato, distante poco più di una decina di metri dalla casa. Riattaccando il telefono dopo quell’ultima conversazione con la signora M., mi preparai ad affrontare il vento freddo e mi avviai lentamente verso casa, camminando lungo il sentiero di ghiaia che mi scricchiolava sotto i piedi, per condividere le notizie ricevute. «Hanno detto che posso iniziare». Mi sdraiai sul freddo pavimento di cemento con lo sguardo rivolto al soffitto.

«È grandioso, caro» replicò la mia ex moglie chinandosi a terra per darmi un bacio sulla guancia. Nei successivi dieci giorni telefonai ogni giorno chiedendo del fax. Arrivò il 15 novembre. Alla fine del fax scritto a mano la signora M. aveva annotato: «Buon Giorno del Ringraziamento!» Quel giorno il laboratorio universitario mi chiamò per dirmi che la DMT che era stata messa nelle fiale di vetro si era decomposta del 30% ed era troppo diluita per essere usata. Chiamai il tecnico di laboratorio.

«Come ha calcolato la concentrazione?» «In base al peso della DMT purificata» rispose. «Non è purificata. È una soluzione salina».59 «Ah, non lo sapevo. Mmm, vediamo. Ha ragione. È la concentrazione corretta, dopotutto. Mi scusi». Quattro giorni dopo diedi a Philip la prima dose di DMT . 58. 1. Rick J. Strassman, Human Hallucinogenic Drug Research in the United States: A PresentDay Case History and Review of the Process, in

«Journal of Psychoactive Drugs», n. 23, 1991, pp. 29-38. 59. La forma in soluzione salina era indispensabile affinché la DMT si dissolvesse nell’acqua. È come per la cocaina: in forma pura non si scioglie nell’acqua, mentre lo fa se è in sali

PARTE III

SET, SETTING E DMT

Capitolo 7

ESSERE UN VOLONTARIO

Ottenni l’approvazione per lo studio sulla DMT alla fine del 1990 e subito, con Philip e Nils nel ruolo di cavie, determinai il dosaggio ottimale e la modalità di somministrazione della droga. Era ora di iniziare a ingaggiare i volontari. Sebbene avessi trovato molti volontari tra i miei amici di vecchia data, dovevo ampliare il

gruppo dei soggetti della ricerca, coinvolgendo persone al di fuori della mia cerchia di conoscenze. Ero restio a far pubblicità. Un annuncio di questo tipo sarebbe potuto sfociare in una marea di telefonate e non avevo il tempo per parlare con tutti coloro che avrebbero chiamato solo per curiosità. Un appello pubblico, inoltre, sarebbe potuto arrivare ai media locali, attirando attenzioni indesiderate. Nel considerare la possibilità di reclutare degli studenti dell’Università del New Mexico, mi

ricordai dei problemi che Leary e i suoi collaboratori avevano avuto ad Harvard per aver coinvolto dei laureandi nel loro programma. Se avessi fatto propaganda in università alla ricerca di volontari, questi avrebbero dovuto essere studenti laureati, piuttosto che i più giovani e meno maturi studenti non laureati. Inoltre, non volevo inserire più di un rappresentante per ciascuna facoltà. La ricerca di Leary ad Harvard aveva creato delle cricche di studenti universitari che facevano uso di droga. Tali studenti avevano sviluppato una mentalità

del “noi” contro “loro” che aveva contribuito a generare forti contrasti all’interno delle facoltà tra coloro che erano coinvolti nella ricerca psichedelica e coloro che non lo erano. Tale ostilità, contrassegnata da invidia e spirito di competizione, fu un fattore decisivo per l’espulsione da Harvard del gruppo di Leary. Diversi volontari di questo nuovo gruppo erano mie conoscenze in società o in campo professionale. Due erano colleghi del dipartimento di psichiatria, uno era amico della mia ex moglie e sette facevano parte

di una comunità nella quale sarei entrato alcuni anni dopo l’inizio della ricerca. Le circa trenta persone che rimanevano vennero a sapere dello studio tramite il passaparola; alcuni erano amici dei volontari, altri avevano ricevuto le newsletter psichedeliche che descrivevano la ricerca di Albuquerque, altri ancora ne furono informati casualmente durante conversazioni in cui si discuteva di tali argomenti. Per comodità inventerò un ipotetico volontario di nome Alex, un maschio di trentadue anni, sposato, che lavora come

programmatore di software fuori Santa Fe. Dal momento che la maggior parte dei soggetti della ricerca erano uomini, spero che nessuno se ne abbia a male per aver preso un maschio come volontario tipo. Il primo passo di Alex era quello di telefonare al mio ufficio; gli avrebbe risposto la segretaria del dipartimento di psichiatria e in seguito un membro del team di ricerca. Dopo un breve colloquio sull’età, le precedenti esperienze psichedeliche e la sua salute fisica e mentale, fissavo un appuntamento

con Alex per incontrarlo nel mio ufficio del dipartimento. Prima dell’incontro gli inviavo una serie di documenti, tra cui una copia del modulo sul consenso informato, alcuni articoli sulla DMT e un articolo che avevo scritto alcuni anni prima sulla ghiandola pineale, la DMT e la coscienza. In seguito, quando il progetto era già ben avviato, includevo anche gli articoli che riportavano i risultati del nostro lavoro. Questo incontro durava come minimo un’ora. Dovevo saperne abbastanza su Alex da decidere se

coinvolgerlo o meno nello studio. In maniera analoga, Alex aveva bisogno di accertarsi che fossi qualcuno di cui potersi fidare, dal momento che avrei supervisionato le sue profonde esperienze psichedeliche con la DMT . Una questione importante riguardava la stabilità della sua vita all’epoca. Se fosse stata caotica, sarei stato riluttante a ingaggiarlo. Se si fosse trovato in una fase di transizione, avrebbe potuto decidere di trasferirsi nel corso dello studio. Se la sua capacità di mantenere le relazioni fosse

sembrata scarsa, avrebbe potuto non riuscire a far fronte ai potenti effetti destabilizzanti della DMT . Avrebbe potuto avere problemi a fidarsi del team di ricerca mentre era sotto effetto, oppure non avrebbe potuto essere in grado di trovare supporto tra una sessione e l’altra nel caso in cui le sue esperienze fossero state particolarmente traumatizzanti. Se Alex stava facendo uso di droghe o di alcolici, avrebbe dovuto limitarne le quantità o smettere di assumerli. Ciò valeva in particolare nel caso della cocaina o degli

psichedelici, in quanto avrebbero potuto influenzare le sue risposte alla DMT . Le informazioni riguardo precedenti esperienze con le droghe psichedeliche erano di fondamentale importanza. Il numero di tali esperienze non era così importante quanto il fatto che fossero state completamente psichedeliche. Poiché le sessioni con alte dosi di DMT lo avrebbero probabilmente catapultato nello spazio psichedelico molto più di quanto gli fosse capitato in passato, volevo essere ragionevolmente

sicuro che Alex fosse perlomeno familiare con quel territorio. «Quanto lontano ti sei spinto durante un’esperienza psichedelica?» domandavo ad Alex. «Hai creduto di morire o di perdere ogni contatto con il tuo corpo e con il mondo esterno?» Era difficile scoprire se Alex fosse saldo e responsabile sotto effetto. In un certo senso ero più interessato a sentire dei suoi bad trip anziché delle sue esperienze positive, perché sapevo che il nostro setting avrebbe generato alcuni momenti spiacevoli.

Idealmente, la natura della ricerca psichedelica è altamente collaborativa. Oltre al fatto di sentirmi a mio agio con Alex, lui aveva il diritto, e la responsabilità verso se stesso, di sapere cosa avrebbe provato quando gli avrei somministrato la DMT . Alex domandava quali erano le mie motivazioni per la ricerca, cosa speravo di scoprire e come supervisionavamo le sessioni. Si chiedeva se svolgessi qualche pratica religiosa e mi faceva domande sulla mia personale esperienza con gli psichedelici. Il

modo in cui rispondevo alle sue preoccupazioni e alle sue domande gli fornva preziose informazioni di carattere emotivo. Una settimana dopo ci incontravamo al 5-East, l’ala di ricerca dell’ospedale dell’Università del New Mexico, per gli esami clinici. Prelevavamo il sangue per i test medici di base ed effettuavamo un elettrocardiogramma (ECG) per valutare la sua salute cardiaca. Ci raccoglievamo tutti attorno ad Alex per guardare le sue vene gonfiarsi sotto la pelle dopo che l’infermiera gli aveva posto il laccio

emostatico al di sopra del gomito. Delle vene efficienti erano un elemento importante per una partecipazione soddisfacente dei volontari, dato che avremmo prelevato molto sangue. Se le vene di Alex collassavano o si ostruivano facilmente, ciò gli avrebbe causato parecchia tensione durante le sessioni. Esaminavo in modo estremamente dettagliato la sua storia clinica e lo sottoponevo a una visita medica. I risultati dei test clinici erano importanti, così come lo era stabilire tra noi una solida

relazione prima di somministrare e di ricevere la DMT . Il fatto di porre ad Alex delle domande talvolta imbarazzanti sulla sua salute, di toccarlo e di relazionarmi con lui a un livello fisico di base aiutava a stabilire un fondamento di fiducia e confidenza sul quale speravo che avremmo potuto fare affidamento nel momento in cui si sarebbe trovato nella morsa delle potenti, disorientanti e potenzialmente regressive sessioni di DMT . I valori degli esami in laboratorio di Alex e quelli dell’ECG erano normali, così procedevamo con la

visita psichiatrica. Questo colloquio psichiatrico formale seguiva la compilazione di un formulario di novanta pagine e potevano volerci diverse ore. Laura, la nostra infermiera ricercatrice, effettuava tutti i colloqui; era la loro prima occasione per conoscersi. Laura poi congedava Alex con un’ulteriore pila di questionari e scale di valutazione. Dopo che ce li riconsegnava, fissavamo le prime sessioni di prova, non in cieco, con la DMT : una bassa dose di 0.05 mg/kg seguita da una dose elevata di 0.4 mg/kg il

giorno seguente. Per Alex e gli altri uomini le prime sessioni potevano aver luogo ogniqualvolta i nostri programmi lo permettevano. Nel caso delle donne avevamo invece bisogno di standardizzare il periodo del ciclo mestruale nel quale avremmo potuto effettuarle. Decidemmo che alle donne sarebbero state somministrate le prime due dosi, e tutte quelle successive, durante i primi dieci giorni dopo il termine delle mestruazioni. Il giorno del suo ingresso, Alex lasciava la sua auto nel parcheggio

sul lato meridionale dell’ospedale. Diceva al custode che stava entrando per uno “studio sperimentale” e gli veniva data l’etichetta appropriata. Dopo aver attraversato il cavalcavia del trafficato Lomas Boulevard, raggiungeva l’Ufficio Accettazione dove il personale lo registrava come DMT -22 per poi condurlo al quinto piano del Centro di Ricerca. Alex oltrepassava l’ambulatorio ed entrava nel reparto dopo aver varcato una serie di doppie porte. Alex si registrava al bancone dell’infermeria, dove lo accoglieva

una delle infermiere di turno. «Buongiorno DMT -22» diceva. «Come va?» «Bene, anche se è strano essere chiamato DMT -22». «Oh, non ti preoccupare. Noi ci siamo abituati. Vieni, lascia che ti sistemi il tuo braccialetto d’identificazione». Gli allacciava dunque il braccialetto al polso e lo conduceva nella stanza 531. All’inizio usavamo qualsiasi stanza del Centro di Ricerca fosse disponibile. L’ideale era averne una situata in un luogo tranquillo,

lontano dai rumori della postazione infermieristica e della cucina, ma non troppo vicina alle doppie porte che conducevano al 5-East. In certi giorni avevamo poca scelta riguardo alla stanza e pertanto il setting poteva essere lugubre. Ad esempio, a volte dovevamo usare una stanza rivestita di piombo che si trovava alla fine del reparto, destinata ai pazienti sottoposti a radioterapia per il cancro. Altri giorni dovevamo usare la “stanza di trazione”, destinata ai pazienti che soffrivano di molteplici traumi e fratture alle

ossa. Una “gabbia” sopra il letto forniva speciali punti di accesso per corde, pulegge e cavi che permettevano di mantenere sospesi gli arti ingessati dei pazienti. Alcuni volontari affermarono di non essere infastiditi dalla gabbia, ma personalmente la trovavo inquietante e raccapricciante. Dopo un paio di sessioni in cui fummo costretti a girarle intorno, mi assicurai che la struttura venisse smontata prima di iniziare. Un’altra stanza alla fine dello stesso reparto era la stanza dei trapianti di midollo osseo.

Completamente sterilizzata, con un soffitto pieno di ventole ad alta potenza e due serie di doppie porte che la separavano da un’anticamera, era un ambiente asettico dove i pazienti soggetti a gravi infezioni potevano restare relativamente al sicuro. Fortunatamente c’erano degli interruttori che permettevano di spegnere le ventole. Ci occorreva una stanza più bella e feci richiesta per ristrutturare una stanza del reparto per la quale avremmo avuto la priorità nell’assegnazione. I finanziamenti concessi dal National Institute on

Drug Abuse includevano i fondi per questa ristrutturazione. Scegliemmo la stanza 531. Questa stanza era quadrata, di circa quattro metri e mezzo per lato, ed era abbastanza tranquilla, essendo l’ultima del corridoio sul lato nord. Alla fine del corridoio c’era una porta che dava sulle scale, e di traverso, ma più vicina alle scale, c’era la stanza rivestita di piombo. Direttamente di fronte alla stanza 531 c’era l’entrata della stanza per i trapianti di midollo osseo, ma dalla nostra porta era difficile vedere cosa ci fosse dentro.

Mi rivolsi al dipartimento di ingegneria clinica dell’ospedale per fare alcune modifiche alla stanza. I falegnami coprirono i tubi e i fili che spuntavano dal pannello dietro il letto e costruirono un armadietto sotto il lavandino per nascondere le tubature. La porta fu isolata per proteggere la stanza dai rumori provenienti dal corridoio. E dopo una seduta particolarmente snervante nella quale l’altoparlante sul soffitto continuava a strombazzare rumori molesti, l’elettricista installò un interruttore, controllato dalla postazione

infermieristica, in grado di disattivarlo. Potemmo fare ben poco per il letto perché doveva essere a norma, e gli speciali letti d’ospedale sono scandalosamente costosi. Una testiera e una pediera in legno davano alla stanza un tocco piacevole. Ad ogni modo, un bell’arredamento faceva la differenza: una sedia a dondolo e un poggiapiedi per me, una sedia comoda e larga per Laura o per le altre infermiere e due sedie per i visitatori.

Insieme alla mia ex moglie, un’artista dell’arazzo, studiammo attentamente diversi campioni di stoffa per ricoprire le sedie prima di trovarne uno che faceva al caso nostro. Il motivo doveva infondere tranquillità, ma non essere troppo scialbo da deprimere o smorzare l’umore e le percezioni dei volontari nel momento in cui avrebbero aperto gli occhi. Doveva inoltre essere coerente con i particolari effetti visivi provocati dall DMT , ma non così stimolante da spaventare o disorientare i volontari nel momento in cui avrebbero rivolto il

loro sguardo alla stanza nel loro stato fortemente alterato. Il motivo migliore era un gradevole blu dalle sfumature colorate, con puntini, macchioline e fantasie all’interno. Uno spesso tappeto azzurro chiaro e le pareti ridipinte con un rassicurante blu tenue al posto del precedente bianco acceso diedero il tocco finale al rinnovamento della stanza. Nonostante queste modifiche alla stanza 531, restarono però alcuni piccoli e insormontabili problemi. Dato che ora la stanza era isolata acusticamente dal corridoio

esterno, la ventola sul soffitto era più rumorosa che mai. Molti volontari non vi facevano caso, ma altri ne erano piuttosto infastiditi. Inoltre, la parete del bagno confinava con la doccia della stanza affianco. Si sentiva chiaramente quando qualcuno usava la doccia. E se la persona stava male, sentivamo i colpi di tosse, i gemiti e i pianti attraverso la parete. Un altro fattore sul quale non avevamo controllo erano i rumori provenienti dall’esterno dell’ospedale. Il caotico aeroporto internazionale di Albuquerque e

un’importante base militare dell’Aeronautica degli Stati Uniti si trovavano pochi chilometri a sud dell’ospedale. Sebbene i voli si concentrassero a sud, lontano dall’ospedale, talvolta le condizioni atmosferiche costringevano i jet a passare sulle nostre teste. Il rumore, per quanto attutito dai doppi vetri delle finestre, poteva essere stridente. Anche i rumori provenienti dall’area circostante l’ospedale potevano essere irritanti, in particolare quelli che giungevano dal compattatore di rifiuti che si

trovava proprio sotto la finestra della stanza 531. Una volta che Alex si era sistemato nella stanza 531, l’infermiera che lo aveva accompagnato gli misurava il battito cardiaco, la pressione sanguigna, il peso e la temperatura. Qualcuno del personale della cucina veniva a chiedere ad Alex cosa avrebbe voluto bere e mangiare dopo la sessione: uno spuntino, una colazione, un pasto vegetariano o a base di carne. Raramente ricevemmo lamentele riguardo al cibo!

Laura era l’infermiera che mi avrebbe assistito quel giorno. Al suo arrivo, iniziava a preparare la dose minima. Metteva sotto il braccio di Alex un telo di plastica blu di circa 35 cm per proteggere le lenzuola dalla soluzione antisettica e per assorbire le macchie di sangue che sarebbero potute fuoriuscire dalla cannula endovenosa prima di poterla tappare. Quindi disinfettava la zona dell’avambraccio in cui avrebbe inserito la flebo con la soluzione sterile. Posizionava poi il bracciale per la misurazione della pressione attorno all’altro braccio e

rilevava nuovamente il battito cardiaco e la pressione sanguigna. Durante i primi giorni di test non in cieco con la DMT non prelevavamo il sangue. Tutto quello che ci occorreva per somministrare la DMT era un piccolo ago. Tuttavia, se avessimo voluto prelevare dei campioni di sangue, Laura avrebbe inserito nell’altro braccio un’apparecchio più complicato, composto da alcune cannule aggiuntive che permettevano di prelevare il sangue e di fornire allo stesso tempo un costante ricambio di soluzione salina sterile nella

vena. Dopo aver prelevato il sangue, Laura avrebbe iniettato all’interno della vena un po’ di eparina, una sostanza anticoagulante, per ridurre la possibilità di trombosi. L’ostruzione di quell’ago avrebbe significato una giornata particolarmente impegnativa, poiché tutto dipendeva dalla misurazione dei livelli delle diverse sostanze nel sangue. Nei giorni di prelievo dovevamo tenere congelati i campioni, e a tale scopo tenevamo accanto al letto un contenitore con del ghiaccio. Bisognava aspettare prima di

trasferire nelle provette il sangue raccolto nelle siringhe. Era meglio rimuovere i tappi di queste provette prima che iniziasse la seduta, altrimenti avrebbero prodotto un botto fastidioso al momento dell’apertura. Infine c’era la sonda rettale o “termistore”. Volevamo misurare la temperatura diverse volte prima, durante e dopo la somministrazione di DMT . Bisognava dunque mantenere il termometro nella giusta posizione durante la sessione, piuttosto che richiedere ad Alex di interagire attivamente

con un’ulteriore apparecchiatura. I dati più attendibili sulla temperatura sono quelli rilevati a livello rettale, e ciò ci fece propendere per l’utilizzo di una sonda rettale. Laura gliela inseriva mezz’ora prima della seduta e restava in posizione fino a quando avevamo finito. La sonda, di circa 3 mm di diametro, era costituita da un tubo rivestito in gomma piuttosto flessibile. Si inseriva per circa 10-15 cm senza causare alcun disagio, eccetto in coloro che soffrivano di emorroidi. Nonostante venisse fissata col nastro adesivo,

talvolta scivolava fuori se un volontario era particolarmente agitato durante la sessione. Solo Nils rifiutò la sonda rettale. La sonda era collegata a un piccolo computer portatile che rilevava la temperatura ogni minuto. Lo agganciammo al corrimano del letto e dopo la fine della sessione scaricavo i dati direttamente nei computer del Centro di Ricerca. Prima che tutti questi preparativi fossero finiti, anche in una giornata di prelievi del sangue in doppio cieco, Alex era rimasto nella stanza

per non più di venti minuti. Eravamo efficienti. Di solito arrivavo nel reparto circa 30-40 minuti prima della somministrazione di DMT . Chiedevo all’infermiera dell’accettazione che aspetto aveva Alex per avere una prima idea di come sarebbe stata la mattinata. Nella stanza 531, scambiavo alcune battute con Alex e poi andavo a prendere la DMT . Dopo aver fatto sei rampe di scale per raggiungere il piano terra, giravo a destra facendomi strada nel corridoio minato di contenitori. La solida porta di metallo della

farmacia era a sinistra. Un avviso scritto in grassetto ordinava: NON SUONARE PIÙ DI UNA VOLTA . SPINGERE RAPIDAMENTE E CON DELICATEZZA DOPO CHE LA PORTA SI È APERTA .

Premevo il pulsante del citofono. Una videocamera a circuito chiuso era puntata su di me. C’erano giorni in cui, nonostante il mio buonsenso, suonavo più di una volta: non riuscivo ad aspettare troppo a lungo nel corridoio. A volte non ero abbastanza svelto da spingere subito la porta quando si apriva e dovevo suonare di nuovo.

All’interno c’era un bancone che percorreva in lunghezza una stretta anticamera, da cui si innalzava una parete, alta circa un metro e venti, di vetro spesso, probabilmente antiproiettile. Oltre il vetro si vedevano alcuni farmacisti al lavoro, e dietro di loro c’era il deposito di tutti i medicinali dell’ospedale, compresa la camera di sicurezza destinata ai narcotici. Il farmacista assegnato alla ricerca apriva la stanza dei narcotici, oltrepassava alcune porte e apriva il lucchetto del piccolo congelatore che conteneva le nostre droghe.

Aveva riempito la siringa con la dose programmata di DMT la sera prima. Metteva solo il tappo alla siringa, perché inserirvi un ago era un procedimento scomodo e potenzialmente pericoloso: avrebbe potuto iniettarsi per sbaglio la DMT . La soluzione con la droga all’interno della siringa era congelata e la mettevo nel mio taschino affinché potesse iniziare a scongelarsi mentre firmavo i vari moduli. Tornando al reparto, annunciavo alle infermiere al bancone che l’iniezione avrebbe avuto luogo di lì

a quindici minuti. Il mio avvertimento aveva l’intento di creare un’atmosfera di serenità all’interno di quel reparto, di solito molto frenetico. Le infermiere avevano sentito alcune strane storie dai volontari, e a volte persino urla e pianti provenire dalla stanza delle sessioni, e dunque sapevano che stava per iniziare qualcosa di serio. Disattivavano l’altoparlante della stanza 531 e aspettavano il mio ritorno dopo circa un’ora. Poi andavo in infermeria e preparavo una siringa di soluzione salina sterile per l’infusione che avrebbe

seguito l’iniezione di DMT . Inserivo un ago nella siringa contenente DMT e infine mi infilavo in tasca dei tamponi imbevuti di alcol per disinfettare l’estremità del catetere in cui avrei iniettato la DMT ad Alex. Tornavo nella stanza di Alex e mettevo fuori la porta il cartello Sessione in corso. Non disturbare. A volte non bastava nemmeno questo. In un paio di occasioni alcuni inservienti, abituati a entrare nelle stanze dell’ospedale a proprio piacimento, si introdussero nella stanza rumorosamente durante le sessioni. Anche le telefonate

inattese erano sgradite. Dopo essermi assicurato che il telefono fosse staccato dalla presa, andavo a sedermi sulla mia sedia accanto ad Alex. «Qui c’è la DMT » gli dicevo, estraendo la piccola siringa dal taschino e posandola sul letto accanto alla gamba di Alex. Impiegavamo alcuni minuti a passare in rassegna i punti più importanti e a prepararci per la sessione. Mentre parlavamo, aprivo il cassetto superiore del comodino accanto al suo letto e prendevo un’altra fiala contenente la

soluzione salina sterile. Inserendo l’ago nella fiala, prelevavo una quantità di soluzione salina sufficiente quasi a riempire la siringa contenente la DMT . Tale volume supplementare nella siringa rendeva più facile controllare la velocità dell’iniezione. Le infermiere volevano che tenessi separate le fiale contenenti soluzione salina per questo scopo da quelle che usavano loro. Temevano che se una goccia o due di DMT si fosse versata in una delle loro fiale, ciò avrebbe potuto causare un inaspettato e spiacevole

trip a uno degli altri pazienti del reparto. Mentre parlavo e ascoltavo, davo inizio al mio personale rituale: sistemavo il mio taccuino giallo in una cartellina portablocco e scrivevo il numero DMT di Alex, la data, il numero di protocollo e la dose. Nel margine sinistro tracciavo una colonna dei minuti in cui avrei misurato la pressione sanguigna e il battito cardiaco: -30, -1, 2, 5, 10, 15 e 30. «Hai fatto qualche sogno la notte scorsa?» domandavo.

I sogni di un volontario la notte prima dello studio avrebbero potuto darci un’idea del tipo di paure, speranze e desideri circa l’imminente sessione o quelle precedenti. Alex non ne ricordava nessuno. Tiravo fuori dalla tasca la siringa con la soluzione salina e i tamponi imbevuti di alcol e li mettevo tutti sul letto accanto alla soluzione di DMT . «Hai assunto qualche farmaco stamattina o ieri sera?» «No».

«Cosa farai dopo la sessione di oggi?» «Ho alcune ore di lavoro da sbrigare. Poi non ho molto da fare. Mi rilasserò, penserò al più e al meno e mi farò una bella dormita». A volte queste brevi conversazioni sembravano dei veri e propri colloqui di counseling o delle sedute di terapia. Problemi nelle relazioni, preoccupazioni sul lavoro o nello studio, questioni di carattere spirituale o religioso sollevate dalla partecipazione alla ricerca: era importante esprimere tutto ciò prima di iniziare un’avventura così

intensa e profonda nei reami della DMT . Iniziavo a dire ad Alex cosa aspettarsi. «Oggi la dose di DMT è piccola. Potresti quasi non accorgertene. Ma non sottovalutare troppo la cosa. È meglio essere eccessivamente preparati che colti di sorpresa. Noi non faremo quasi nulla quando la DMT sarà dentro di te. Ci siederemo tranquilli, staremo attenti, ti controlleremo, saremo a tua disposizione e ti circonderemo di sensazioni e pensieri positivi. Se avrai bisogno di contatto umano,

basta che allunghi la mano e qualcuno la prenderà. Se perderai il controllo, saremo qui per aiutarti. Ad ogni modo, si tratta della tua esperienza, non della nostra. Per lo più, sarai da solo». Nelle prime sessioni dello studio sulla DMT raccomandavo ai volontari di chiudere gli occhi prima di iniziare e di riaprirli quando gli effetti cominciavano a svanire. A volte, tuttavia, lo shock iniziale di un’esperienza ad alto dosaggio di DMT spingeva automaticamente ad aprire gli occhi nel tentativo di orientarsi. Ciò, quasi sempre,

peggiorava le cose. La stanza, già piuttosto minacciosa, poteva assumere ai loro occhi tinte ancora più inquietanti, e sia io che l’infermiera, con i nostri volti inesorabilmente trasfigurati, probabilmente non avremmo avuto un aspetto gradevole. Pertanto, a questo punto della sessione mettevamo a tutti i volontari delle mascherine nere, come quelle di seta morbida utilizzate da chi viaggia in aereo o da chi ha bisogno di dormire durante il giorno. Fu piuttosto difficile reperirle nelle farmacie locali.

Dopo aver fatto questa introduzione, dicevo: «Prenditi tutti il tempo che ti serve per prepararti. Ti potrebbe essere d’aiuto concentrarti sul respiro o sulla sensazione del tuo corpo nel letto. Ciò faciliterà il processo del lasciarsi andare. Quando sei pronto, fammelo sapere. Ti avvertirò cinque o dieci secondi prima di iniziare l’iniezione. Mi piace cominciare a somministrare la droga quando la lancetta dei secondi del mio orologio si trova nella posizione giusta. Adesso disinfetto la cannula con dei tamponi imbevuti di alcol.

Come questo. L’alcol evaporerà quasi immediatamente, così l’odore non ti disturberà. Ora inserisco l’ago nella cannula, ma ancora non inietterò la DMT . Per me è più facile che l’ago sia già in posizione, per non dover poi andare a tentoni per inserirlo nel modo corretto quando l’iniezione sta per iniziare. Ti dirò io quando comincerò. Potrai sentire freddo oppure un pizzicore. Forse brucerà leggermente o la sentirai ribollire; alcune persone descrivono queste sensazioni. La DMT entra in circolo nel giro di 30 secondi. Quando l’avrò iniettata

completamente, te lo dirò. Poi ci saranno 15 secondi di iniezione di soluzione salina attraverso la cannula per essere certi che non siano rimasti residui di DMT nel catetere. Ti dirò quando avrà inizio e quando terminerà. Qualche domanda?» «È tutto abbastanza chiaro». A questo punto, il saliscendi della tensione nella stanza era sempre emozionante. Solo uno dei nostri volontari aveva già assunto una droga ricreazionale per endovena, ma nessuno di loro aveva mai assunto uno psichedelico in quel

modo. Tale novità bastava già di per sé a farci stare all’erta più del solito. Mentre spiegavo il procedimento ad Alex e preparavo questa piccola dose, già pensavo al modo in cui avrebbe reagito alla dose elevata il giorno successivo. Tuttavia, non c’era alcuna garanzia che questa dose minore non potesse avere degli effetti maggiori. Alcune persone si erano ritirate dopo questa prima sessione. Altri invece li avevamo dovuti escludere perché la loro pressione sanguigna era salita oltre il limite massimo prestabilito.

«Alex, inizia velocemente» proseguivo. «Forse ancora prima che l’iniezione sia terminata. Può essere un po’ spaventoso. Fa’ del tuo meglio per restare vigile e rilassato, pronto ma passivo. Gli effetti massimi si avranno nel giro di un paio di minuti. Poi rilassati e aspetta un momento prima di iniziare a parlare. È forte il desiderio di parlare subito dopo l’esperienza, ma perderesti alcuni dei sottili effetti del down se non aspetti almeno dieci o quindici minuti, perfino oggi. Bene, iniziamo. Sei pronto?»

«Certo, sono pronto» rispondeva Alex. Per rilassarsi e lasciarsi andare completamente in modo da sperimentare con successo i pieni effetti della DMT era meglio che i volontari stessero sdraiati per l’iniezione. In caso contrario, ci sarebbe stata tanta agitazione inutile per far assumere ad Alex una posizione più comoda mentre stava perdendo l’ordinaria consapevolezza del corpo e iniziava il rush degli effetti psichedelici. Sistemavamo il letto. Ad alcuni volontari piaceva avere la testa un

po’ sollevata. Altri preferivano tenere le ginocchia piegate, per cui alzavamo quella parte del letto o mettevamo un cuscino sotto le ginocchia. Ci assicuravamo anche che le mascherine fossero ben posizionate. Alcuni profondi respiri, varie aggiustatine ai vestiti, alle braccia, alle gambe e ai piedi, e poi le parole di Alex: «Vai avanti». «Bene, inizieremo tra 5 secondi... Ok, adesso inizio». Premendo lentamente lo stantuffo della siringa, speravo che non ci sarebbe stata alcuna ostruzione, che

avrebbe indicato la presenza di un coagulo o il fatto che l’ago non aveva centrato la vena. Dopo 30 secondi la siringa era vuota e la toglievo dalla cannula del catetere. «La DMT è dentro». Con i denti toglievo il tappo che proteggeva l’ago della siringa con la soluzione salina. Mentre lo inserivo, dicevo: «Qui c’è la soluzione salina». Quindici secondi dopo, togliendo quell’ago, dicevo: «Bene, ho finito». Oltre a far prendere dimestichezza ad Alex con i dettagli tecnici

dell’assunzione di DMT per endovena, il giorno della piccola dose era il momento perfetto per spiegargli come compilare il questionario. Avremmo impiegato un’ora a esaminare ogni dubbio che aveva sul significato di particolari termini o frasi. Dopo alcune sessioni, Alex poteva completare il questionario in dieci minuti. Prima di concludere questa sessione iniziale gli dicevo: «Non mangiare o bere troppo stasera. Fatti una bella dormita. Ricordati di saltare la colazione. Se devi prendere del caffè, assicurati di

berlo almeno due ore prima di venire qui». Si trattava di consigli dettati dal buonsenso. Nel caso in cui la DMT avesse causato una forte nausea, era meglio essere a stomaco vuoto. Tuttavia non valeva la pena avere mal di testa per astinenza da caffè. Mettevo la data sulla scheda di DMT -22 e scrivevo: «Basso dosaggio tollerato senza problemi. Il paziente viene mandato a casa per passare la notte con il permesso dell’ospedale. Ritornerà domani mattina per la dose elevata».

Alex ritornava la mattina successiva. Seguivamo la stessa procedura del giorno prima fino al momento dell’iniezione. Guardavo Laura, che si trovava all’altro lato del letto, e notavo che accanto a lei c’era un cestino per il vomito, pronto all’occorrenza. Gettavo i tamponi usati e i loro involucri nel cestino e iniziavo: «È veloce come l’altra, ma molto più forte. Ti potrebbe spaventare. Non cercare di opporre resistenza, perché di solito è impossibile». «Va bene» diceva Alex, sorridendo debolmente ma in modo deciso.

«Cosa fai di solito quando vieni travolto da un’esperienza psichedelica?» «Di solito faccio dei respiri lunghi e profondi. L’ho imparato nel corso di anni di meditazione. Oppure potrei toccare questo» disse, indicando il suo mala tibetano. Altri volontari potevano tenere in mano un feticcio, una pietra o un pezzo di legno. Alcuni potevano canticchiare, cantare o pregare. Altri ancora evocavano l’immagine di un maestro, di un amico o di una persona amata. Coloro che avevano alle spalle anni di intensa pratica

meditativa iniziavano a meditare prima dell’iniezione di DMT e cercavano di mantenere l’equilibrio mentale nel corso dell’intera sessione. «A volte le persone credono di essere morte» dissi, «di trovarsi in punto di morte, oppure pensano che abbiamo esagerato con la dose. Finora nessuno ha subito dei danni. Questa è una dose sicura dal punto di vista fisico, sebbene la pressione e il battito cardiaco faranno probabilmente un bel salto. Se ci saranno problemi, sapremo farvi fronte. Se credi di essere morto, ci

sono due modi per poter gestire l’esperienza. Uno è quello di lottare, gridare e cercare di fermarla, l’altro è quello di lasciarsi tranquillamente andare e vedere con curiosità cosa succede. Ovviamente è più facile a dirsi che a farsi». «So di cosa stai parlando». «Probabilmente non ti accorgerai del primo rilevamento della pressione dopo due minuti. Ma dopo cinque minuti sarai in fase di down a sufficienza per accorgerti del secondo». Avevo finito di compilare il mio taccuino: DMT -22, data, numero di

protocollo, dose. Colonne per i dati relativi alla pressione sanguigna e al battito cardiaco. Quando tutto era stato detto e fatto, noi tre – Alex, Laura e io – ci guardavamo l’un l’altro. Se un aereo fosse passato sopra di noi, ci saremmo fermati aspettando che passasse. Mano a mano che si avvicinava il momento dell’iniezione, l’aria nella stanza e nell’intero reparto si faceva più densa. C’era ancora qualcosa da dire. Alex si metteva la mascherina e noi gli abbassavamo la testiera del

letto. Preparavo tutte le siringhe e avvicinavo la mia sedia. Laura si scaldava le mani per prepararsi a tenere quelle di Alex nel caso in cui avesse avuto bisogno di un contatto amorevole. «Sei pronto?» gli chiedevo. «Sì» mi rispondeva con un sussurro. «Buona fortuna. Staremo qui ad aspettarti» diceva Laura. Guardavo la lancetta dei secondi del mio orologio, mentre si avvicinava al numero 9. «Inizierò tra circa 5-10 secondi» dicevo.

Poi, quando la lancetta dei secondi toccava il 12, gli dicevo sommessamente: «Adesso inizio l’iniezione...» Passavano dieci, venti, trenta secondi, iniettando lentamente la droga nella vena di Alex. In quegli istanti, i miei sentimenti erano sempre intensi e contraddittori: gelosia per la sua imminente esperienza fantastica, tristezza per qualsiasi sofferenza che lo avrebbe potuto affliggere, dubbi misti a certezze circa la saggezza di quello che stavo facendo. «La DMT è dentro».

Il tempo scorreva in maniera accelerata e rallentata allo stesso tempo. I miei movimenti erano veloci, ma anche appesantiti. Alex sarebbe stato bene? Sarebbe stato in grado di gestire il suo viaggio? Sentivo il cuore battermi nel petto. Saremmo riusciti noi a gestire il suo viaggio? Non si poteva tornare indietro. «Qui c’è la soluzione salina...» Prima di finire la mia frase, Alex mormorava: «Eccola...» Proprio mentre finivo di dire che l’iniezione della soluzione salina era terminata, Alex faceva un profondo

respiro per poi sospirare rumorosamente. Sapevo che probabilmente non aveva sentito la fine della mia frase, e probabilmente non si sarebbe ricordato nemmeno della sua rumorosa espirazione. Appoggiandomi indietro sulla mia sedia, sospiravo anch’io, sebbene in modo silenzioso, guardavo la collega infermiera e poi fissavo il corpo immobile di Alex. Un minuto. Novanta secondi. Era quasi ora della prima misurazione della pressione. Stava per raggiungere il picco massimo e non avrebbe

sentito l’anello di metallo del bracciale. Le sue ultime parole riecheggiavano nella mia testa e nel mio cuore. «Eccola...»

Capitolo 8

ASSUMERE LA DMT

Dodici volontari parteciparono allo studio sulla reazione alla dose, per il quale impiegai buona parte del 1991. Ogni volontario ricevette una dose minima e una massima di DMT non in cieco e successivamente in doppio cieco. Due dosi intermedie e un placebo di soluzione salina completavano questa serie di iniezioni.

Dopo aver definito in maniera esauriente gli effetti della DMT durante lo studio sulla reazione alla dose, il progetto successivo investigò se fosse possibile sviluppare tolleranza a ripetute iniezioni di DMT . La tolleranza sopraggiunge quando la stessa dose di una droga produce effetti più leggeri se assunta ripetutamente. L’LSD, la psilocibina e la mescalina provocano tutte una tolleranza rapida e quasi completa dopo tre o quattro dosi giornaliere. In altre parole, una quantità che ha

provocato effetti altamente psichedelici il primo giorno, se assunta quotidianamente, il quarto giorno dà effetti a malapena visibili. La DMT sembrava anomala in quanto era piuttosto difficile dimostrarne la tolleranza, persino in quegli animali ai quali erano state somministrate delle dosi complete ogni due ore per ventun giorni di fila. L’unico studio sull’uomo pubblicato, nel quale dei ricercatori avevano dato una completa dose intramuscolare due volte al giorno per cinque giorni,

non

aveva tolleranza.60

rilevato

alcuna

I resoconti “sul campo” dei consumatori ricreazionali di DMT erano contrastanti. Alcuni credevano di poter fumare la DMT tutte le sere senza riscontrare una diminuzione degli effetti, mentre altri sostenevano di poterla assumere solo per due o tre volte di fila prima di diventare immuni ai suoi effetti. Ad ogni modo, un fattore importante di queste storie è la fatica: è difficile fumare grandi quantità di DMT ripetutamente in una sola sessione. Forse la

“tolleranza” derivava dal non aver introdotto una sufficiente quantità di DMT nei polmoni dopo il secondo o il terzo trip. L’assenza dello sviluppo di tolleranza era anche uno dei fattori che rendevano la DMT simile a uno schizotossico naturale. Se si sviluppava tolleranza alla DMT endogena, allora i sintomi psicotici della schizofrenia, per esempio, sarebbero durati solo finché la tolleranza non si fosse consolidata. Siccome i sintomi psicotici sono di solito cronici e costanti, dimostrare che la DMT non produce tolleranza

sarebbe una prova evidente del suo possibile coinvolgimento in questi disturbi. C’erano altri motivi per cui ero attratto dagli studi sulla tolleranza. La breve durata degli effetti della DMT sembrava limitarne l’utilità come strumento per un qualsiasi lavoro interiore di carattere psicologico o spirituale. Tutto ciò che si poteva fare era tenersi forte durante il rush. Nel momento in cui i volontari tornavano in sé, era già iniziata la fase di down. L’ingresso ripetuto nei reami della DMT poteva fornire migliori condizioni per

usufruire delle sue profonde proprietà psichedeliche. Un’altra ragione, sebbene non così chiaramente articolata, per intraprendere questo studio subito dopo quello sulla reazione alla dose, era che si trattava di un studio “puro” sulla DMT . I protocolli successivi al progetto sulla tolleranza avrebbero iniziato a esaminare i meccanismi di azione attraverso l’alterazione della serotonina e di altri recettori cerebrali, utilizzando diverse droghe in combinazione con la DMT . Dentro di me sapevo che questi studi, che

cercavano di replicare nell’uomo gli esperimenti condotti su cavie da laboratorio, sarebbero stati complicati. Ripensandoci, credo che volessi procrastinare il più a lungo possibile l’avvio di questo tipo di progetti. Avanzai l’ipotesi che la breve durata della DMT fosse la causa del fallimento degli studi precedenti nel dimostrare la tolleranza. In tutti gli esperimenti sulla tolleranza a LSD, psilocibina e mescalina veniva somministrata una sola dose al giorno. Tuttavia, i loro effetti duravano dalle sei alle dodici ore,

mentre quelli della DMT durano molto meno. Ciò suggeriva la necessità di somministrare la DMT a intervalli di tempo molto più brevi, dai 30 ai 60 minuti, in modo da dimostrare come gli effetti diminuivano nel tempo. L’altra opzione consisteva in una continua somministrazione per endovena, una “flebo” di DMT nelle vene dei volontari. Tuttavia mi piaceva l’idea che le persone avessero il down dopo ogni iniezione, in modo che potessimo sentire cosa era successo. Con l’opzione della flebo continua la

comunicazione sarebbe stata problematica. Dopo due mesi di prove, determinai che il programma migliore sarebbe stato di quattro iniezioni di 0.3 mg/kg di DMT somministrate a intervalli di 30 minuti. Questa dose, sebbene altamente psichedelica, era appena al di sotto della dose massima di 0.4 mg/kg. Un uomo, Cal, riuscì a reggere quattro iniezioni da 0.4 mg/kg a distanza di mezz’ora l’una dall’altra. Tuttavia, sua moglie Linda risultò completamente sfinita dopo tre dosi e rifiutò la quarta nel

corso del lavoro preliminare. Ricordandomi di quanto straziante si era rivelato aver somministrato troppa DMT a Philip e a Nils, feci un passo indietro e fissai un livello inferiore. Era meglio essere prudenti. Ingaggiammo tredici volontari per lo studio sulla tolleranza, molti dei quali avevano già partecipato al progetto sulla reazione alla dose. I nuovi soggetti della ricerca furono sottoposti agli stessi esami e ricevettero la loro dose minima ed elevata non in cieco.

Sebbene i test di tolleranza fossero in doppio cieco e placebocontrollati, il “cieco” si rivelava entro pochi secondi dalla prima iniezione: si trattava di una dose elevata di DMT oppure di soluzione salina. E, se fosse stata DMT , ci sarebbero stati altri tre grandi trip prima della fine della mattinata. Prelevammo dei campioni di sangue come per il progetto sulla reazione alla dose e fornimmo una versione ridotta della scala di valutazione che si poteva compilare in circa cinque minuti. I tempi erano molto ridotti, ma

funzionavano alla perfezione. I volontari iniziavano a parlare dopo circa 10-15 minuti e poi compilavano la scala di valutazione. Avremmo avuto la possibilità di esaminare il loro viaggio e di prepararci per il prossimo durante i seguenti 5-10 minuti. Se fossero state quattro iniezioni di soluzione salina, avremmo trascorso la mattinata in conversazioni più rilassate. Lo studio mostrò che non c’era tolleranza agli effetti psicologici di ripetute iniezioni di DMT . L’esperienza aveva la stessa

intensità psichedelica la quarta volta così come la prima. Per questo motivo, proprio come avevo sperato, i soggetti erano maggiormente in grado di rielaborare e di mettere a frutto le esperienze ripetute con dosi elevate piuttosto che una singola esperienza isolata. Molti dei racconti più toccanti dei volontari che troviamo nei capitoli successivi derivano da questo studio.61 Dopo aver dimostrato quali effetti causava la DMT , il modello biomedico richiedeva di determinare il modo in cui essi si

manifestavano. Si tratta degli studi sul meccanismo di azione. Siccome la nostra ricerca era basata sulla farmacologia, queste indagini ulteriori avrebbero cercato di stabilire quali recettori cerebrali erano coinvolti negli effetti della DMT . Il primo progetto fu quello sul pindololo, una sostanza utilizzata nella pratica medica per diminuire l’elevata pressione sanguigna attraverso l’inibizione di alcuni recettori dell’adrenalina. Un’altra proprietà del pindololo è quella di bloccare uno specifico recettore

della serotonina nel cervello, l’1A . Poiché nel cervello degli animali la DMT si attacca saldamente ai recettori 1A , questi potrebbero essere coinvolti negli effetti della DMT . Se ad esempio il blocco del recettore 1A col pindololo avesse causato un’esperienza emotivamente meno intensa con la DMT , avremmo potuto supporre che esso regola le risposte emotive provocate dalla DMT . Risultò invece che il pindololo aumenta in maniera significativa gli effetti psicologici e relativi alla pressione sanguigna della DMT .

Undici volontari parteciparono allo sudio sul pindololo, alcuni dei quali erano dei veterani degli studi sulla tolleranza e sulla reazione alla dose. Rispetto allo studio sulla tolleranza, questo protocollo produsse esperienze meno “drammatiche” di lavoro interiore, sebbene ve ne furono alcune piuttosto intense. Lo studio successivo sul blocco dei recettori della serotonina utilizzò la ciproeptadina, un antistaminico dotato di proprietà antiserotoninergiche. In questo caso, la ciproeptadina impedisce

alle droghe di attaccarsi al recettore 2A della serotonina, che i ricercatori suppongono sia il più importante nel controllare il funzionamento gli psichedelici. Questo protocollo era strutturato allo stesso modo di quello dello studio col pindololo: i volontari, infatti, ricevettero la ciproeptadina alcune ore prima della DMT . Otto volontari completarono questo studio. La maggior parte di essi erano nuovi. Sembrava esserci una certa limitazione degli effetti, così somministrammo la dose elevata,

0.4 mg/kg, con e senza l’inibitore della serotonina. Dato che la ciproeptadina chiaramente non incrementava gli effetti della DMT , speravamo che l’utilizzo di questa dose elevata ci avrebbe fornito l’occasione migliore per stabilire un significativo grado di attenuazione della DMT . Tuttavia, le proprietà sedative del farmaco erano così spiccate che resero complicata l’interpretazione dei dati. Era difficile dire in che misura si era verificato il blocco specifico della DMT e in che misura si trattava

invece di una comune azione sedativa. A questo punto stava diventando difficile coinvolgere nuovi volontari o indurre i veterani a ritornare. Chi avrebbe mai voluto assumere un farmaco che annullava gli effetti della DMT ? Avrei potuto convincere i volontari sottolineando il fatto che avrebbero ricevuto due dosi pure ed elevate di DMT : una durante il primo giorno degli esami e l’altra in combinazione con un placebo di ciproeptadina. Ad ogni modo, mi sentivo pieno di scuse e giustificazioni per questo progetto,

un po’ come un venditore di auto usate. Iniziai anche altri esperimenti che avevano ricevuto l’approvazione dell’università e della FDA . Tuttavia, non ottennero fondi a sufficienza per effettuare indagini su vasta scala. Uno di questi, lo studio sul naltrexone, continuava i precedenti esperimenti sul meccanismo d’azione volti a determinare i recettori cerebrali che regolano gli effetti della DMT . In questo caso, il naltrexone inibisce i recettori dell’oppio e per questo motivo è

utile nel trattamento della dipendenza da eroina. Studi condotti sugli animali hanno mostrato alcune interazioni tra gli oppiacei e gli psichedelici, e il naltrexone potrebbe aiutarci a saperne di più su questa relazione negli esseri umani. Per questo progetto iniziammo un lavoro preliminare con tre volontari. Tuttavia, uno di loro stette così male dopo aver assunto il naltrexone da ritirarsi subito dopo la prima sessione. Negli altri due volontari osservammo effetti

piuttosto scarsi e così decidemmo di non proseguire oltre. Un altro progetto pilota era volto a scoprire se il ciclo mestruale influisse sulla risposta alla DMT . Molte donne riportano variazioni legate al ciclo per quanto riguarda la sensibilità agli psichedelici. Inoltre, gli studi condotti sugli animali indicavano chiaramente che gli ormoni sessuali influenzavano la risposta agli psichedelici e ad altre droghe che attivano la serotonina. In Willow, una donna che di solito aveva delle esperienze con la DMT piuttosto intense e profonde,

dividemmo il ciclo in iniziale, centrale e finale. In quest’unica volontaria non emersero chiare differenze negli effetti psicologici. Siccome non avevamo fondi per approfondire questo interessante aspetto della ricerca sulla DMT , non coinvolgemmo altri volontari. Ci rivolgemmo anche alla tecnologia. Tre uomini ricevettero dosi da 0.4 mg/kg di DMT al Centro di Ricerca mentre registravamo l’andamento delle loro onde cerebrali tramite un elettroencefalogramma (EEG). Speravamo che questo ci avrebbe

mostrato quali aree cerebrali erano più o meno attive durante l’assunzione di DMT . Si trattava di studi complessi, perché l’EEG era un apparecchio estremamente ingombrante e rumoroso che richiedeva una regolazione costante. Per di più, c’erano diciotto elettrodi saldamente attaccati al cuoio capelluto dei volontari con uno dei collanti dall’odore più forte che avessi mai sentito. Sebbene tutti e tre i soggetti avessero avuto delle risposte “complete” alla DMT , il setting era terribilmente spiacevole.

Non ingaggiai altri volontari, perché prima volevo assicurarmi che i dati fossero significativi al punto da giustificare il disagio. I risultati non furono particolarmente eclatanti e dunque non proseguimmo con gli esperimenti con l’EEG. Infine, approfittai di una ricerca d’avanguardia basata sulle tecniche di brain imaging che si stava svolgendo all’Università del New Mexico. Si trattava di una “risonanza magnetica funzionale” (RMF), ovvero una variante di risonanza magnetica del cervello che misura il metabolismo

cerebrale anziché solo la sua struttura. Ad esempio, avremmo potuto essere in grado di mostrare che le aree del cervello coinvolte nella vista utilizzavano una maggiore quantità di glucosio dopo un’esperienza visionaria con la DMT . Molto più imponente dell’EEG, il macchinario della RMF dominava il setting in maniera assoluta. Il tomografo, le apparecchiature di supporto e lo staff richiedevano un edificio apposito dall’altro lato del campus. Questi furono gli unici studi sulla DMT condotti al di fuori del Centro di Ricerca.

Il macchinario per la risonanza magnetica genera campi magnetici di elevata intensità energetica e non possono esserci oggetti di metallo nella stanza e nemmeno nel corpo della persona. In caso contrario, il metallo sarebbe immediatamente attratto dalla forza magnetica del macchinario. La stanza che lo ospita è dunque buia e piuttosto fredda, perché ciò riduce la potenza necessaria a mantenere i campi magnetici. Lo spazio all’interno del quale facevamo scorrere i volontari per le scansioni era un tubo metallico

stretto e lucido. Sapevo che molte persone avevano avuto il loro primo attacco di panico durante una risonanza magnetica a causa dello spazio ristretto nel quale si dovevano infilare. Ora ne capivo il motivo. La cosa peggiore era il rumore. Il macchinario contiene un rullo voluminoso che va avanti e indietro, quasi come una lavatrice, ma dieci volte più velocemente e cento volte più rumorosamente. Il bang-bangbang-bang-bang-bang-bang del rullo mi ricordava un martello pneumatico. Chiunque stava

all’interno del tomografo, o nella stanza, doveva mettersi i tappi per le orecchie. Ma anche così, il rumore dava sui nervi. Ciò nonostante, alcuni dei nostri volontari erano incredibilmente forti. Gli piaceva la DMT , volevano essere d’aiuto negli esperimenti ed erano curiosi di sapere cosa avrebbero mostrato le rilevazioni. Restavo da solo con loro nella stanza della risonanza magnetica, mentre altri quattro o cinque ricercatori, in contatto attraverso un interfono, sedevano al pannello dei comandi dall’altro lato di una

spessa finestra insonorizzata. La scansione iniziava, iniettavo la DMT e rimanevo nella stanza per tutta la sessione, controllando la pressione e fornendo supporto morale. Durante il trip, i mie colleghi effettuavano delle scansioni ogni pochi minuti. Malgrado gli sforzi, la fatica e le aspettative, anche questi dati non si rivelarono particolarmente significativi. Il team della risonanza magnetica credeva che alcune rilevanti e costose modifiche all’apparecchio ne avrebbero aumentato la capacità di rilevare i

cambiamenti a livello cerebrale indotti dalla DMT . Ad ogni modo, non mi piaceva l’apparecchiatura e non volevo esporre nessun altro volontario – e nemmeno me stesso – a quel rumore assordante, a quello spazio claustrofobico e ai potenti campi magnetici che generava. Sebbene possa sembrare che avessi perso ogni modestia o buonsenso, considerando il tipo di studi in cui coinvolsi i volontari, fissai un limite con la radioattività. Le scansioni con la tomografia a emissione di positroni (PET )

forniscono immagini fotografiche a colori molto buone dell’attività cerebrale, utilizzando quella che credevo fosse una quantità irrilevante di materiale radioattivo. Individuai alcuni colleghi interessati a questo studio sulla DMT con la PET . Le scansioni con la PET avrebbero senz’altro fornito un’analisi più dettagliata dell’azione della DMT all’interno del cervello. Tuttavia, quando scoprii l’esatta quantità di radiazioni impiegate, decisi di lasciar perdere. Questi ultimi due capitoli hanno descritto il set e il setting dei nostri

studi: chi erano i volontari, in quali circostanze e in che tipi di ricerca hanno ricevuto la DMT . I capitoli precedenti hanno passato in rassegna quel che sappiamo della droga stessa. Ora che l’analisi del set, del setting e della droga è stata completata, possiamo iniziare a vedere dove conduce la molecola dello spirito. 60. Gillin et al. (1976); B. Kovacic ed Edward F. Domino, Tolerance and Limited CrossTolerance to the Effects of N ,N Dimethyltryptamine (DMT) and Lysergic Acid Diethylamide-25 (LSD) on Food-Rewarded Bar Pressing in the Rat, in «Journal of

Pharmacology and Experimental Therapeutics», n. 197, 1976, pp. 495-502. 61. Rick J. Strassman, Clifford R. Qualls e Laura M. Berg, Differential Tolerance to Biological and Subjective Effects of Four Closely Spaced Doses of N ,N -Dimethyltryptamine in Humans, in «Biological Psychiatry», n. 39, 1996, pp. 784795.

Capitolo 9

SOTTO EFFETTO

Descrivere a cosa assomigliano i reami della DMT è facile quanto raccontare a parole un’arrampicata in montagna, l’orgasmo sessuale, le immersioni subacquee o altre esperienze non verbali intense e mozzafiato. Ad ogni modo, poiché la maggior parte di noi non parteciperà mai a un progetto di ricerca sulla DMT , cercherò di fornire

una panoramica generale di ciò che accade dopo aver ricevuto diverse dosi di DMT per endovena.62 Una dose completa di DMT per endovena provocava nei volontari, quasi istantaneamente, intense visioni psichedeliche, la sensazione che la mente si fosse separata dal corpo ed emozioni travolgenti. Questi effetti rimpiazzavano completamente qualunque cosa avessero avuto per la mente prima della somministrazione della droga. Per la maggior parte delle persone, le dosi psichedeliche di DMT erano 0.2 mg/kg, 0.3 e 0.4 mg/kg.

Gli effetti si manifestavano subito dopo l’iniezione di DMT della durata di 30 secondi, e i volontari si trovavano completamente immersi nel mondo psichedelico non appena finivo di iniettare la soluzione salina nei successivi 15 secondi. Il picco massimo della risposta alla DMT si raggiungeva entro due minuti, e i volontari sentivano che stava iniziando il down solo dopo 5 minuti. La maggior parte di essi, sebbene fosse ancora moderatamente sotto effetto, era già in grado di parlare 12-15 minuti dopo l’iniezione. Quasi tutti si

sentivano relativamente normali dopo 30 minuti. Misurammo frequentemente i livelli di DMT nel sangue dopo averla iniettata e verificammo che il decorso degli effetti psicologici e i livelli di DMT nel sangue si sovrapponevano perfettamente. In pratica, i livelli di DMT nel sangue raggiungevano il loro picco dopo 2 minuti ed erano quasi impercettibili dopo 30. Poiché il cervello trasporta attivamente la DMT attraverso la barriera ematoencefalica all’interno dei suoi confini, è ragionevolmente certo che alcuni livelli di DMT nel

cervello aumentino tanto velocemente quanto i livelli del sangue. Dosi inferiori di DMT – 0.1 e 0.05 mg/kg – solitamente non erano psichedeliche, ma di sicuro producevano degli effetti psicologici, soprattutto di carattere emotivo e fisico, sebbene alcune persone particolarmente sensibili ebbero consistenti risposte psichedeliche e fisiche persino a queste piccole dosi. Anzi, alcuni volontari si ritirarono perché non gradivano l’intensità di 0.05 mg/kg. Esonerammo anche altri soggetti

dopo questa piccola dose perché la reazione della pressione sanguigna destò in noi la preoccupazione di come il loro cuore avrebbe retto il giorno successivo a una dose otto volte superiore. Mentre gli intensi effetti psicologici della DMT si sviluppavano, il corpo fisico faceva lo stesso con la sua costellazione di reazioni. Inizialmente, il corpo reagiva alla dose elevata con la tipica reazione da stress del “combatti o fuggi”. Il battito cardiaco e la pressione avevano uno sbalzo repentino, e il loro decorso

seguiva strettamente le reazioni psicologiche. Dopo un po’ di tempo, eravamo in grado di presagire l’intensità della sessione del volontario in base all’aumento della pressione. In media, le pulsazioni schizzavano da circa 70 battiti al minuto fino a 100. Ad ogni modo la variazione era ampia. In alcuni soggetti il battito saliva fino a 150, mentre in altri non andava oltre i 95. Anche la pressione sanguigna balzava da valori di 110/70 a una media di 145/100. Il battito e la pressione diminuivano tanto

rapidamente quanto erano aumentati, e già iniziavano a calare tra le rilevazioni del secondo e del quinto minuto. Ogni ormone della ghiandola pituitaria che misurammo aumentava rapidamente. Ad esempio, i livelli ematici delle betaendorfine endogene, sostanze simili alla morfina, iniziavano ad aumentare in maniera costante dopo due minuti dalla somministrazione di DMT , e raggiungevano il loro picco al quinto minuto. La DMT stimolava anche delle impennate nel rilascio

di vasopressina, prolattina, ormone della crescita e corticotropina. Quest’ultima è un ormone che stimola le ghiandole surrenali a produrre il cortisolo, un potente e polivalente steroide dello stress simile al cortisone. L’innalzamento di questi ormoni potrebbe avere generato alcuni effetti di tipo psicologico (ne parlerò nel capitolo 21). Con un’alta dose di DMT raddoppiava il diametro della pupilla, da 4 mm a quasi 8, e la reazione massima si raggiungeva al secondo minuto. La temperatura

corporea impiegava più tempo ad aumentare: iniziava al quindicesimo minuto e continuava a salire fino a quando non rimuovevamo la sonda rettale dopo sessanta minuti. Di tutti i fattori biologici che misurammo, l’unico a non aumentare fu la melatonina, l’ormone secreto dalla ghiandola pineale. Fu una sorpresa che ancora una volta mi spinse a confrontarmi con la natura misteriosa e incredibile di questa potenziale ghiandola dello spirito.

È possibile che la DMT somministrata dall’esterno non fosse uno stimolo abbastanza forte da superare il meccanismo di difesa della pineale che abbiamo visto in precedenza. Se è chiaro che gli ormoni dello stress aumentavano in risposta alla molecola dello spirito, è possibile tuttavia che non raggiungessero un livello abbastanza alto da stimolare la produzione diurna di melatonina. Un’altra possibilità è che la DMT esogena stimolasse effettivamente la ghiandola pineale a produrre una quantità maggiore della sua DMT

endogena. In ogni caso, il nostro metodo per la misurazione della DMT nel sangue non era in grado di distinguere tra le due sorgenti della molecola dello spirito. I volontari certamente non percepivano l’innalzamento dei livelli di prolattina e nemmeno avevano coscienza dell’aumento della pressione. Piuttosto, erano le immagini, gli stati d’animo e i pensieri che scorrevano nella loro mente a definire l’essenza degli effetti della molecola dello spirito. I momenti iniziali della prima dose elevata di DMT non in cieco

travolsero quasi tutti i volontari. Un rush intenso, rapido e almeno temporaneamente ansiogeno si sviluppava attraverso il corpo e la mente, e iniziava ancora prima che avessi finito l’iniezione di soluzione salina. È difficile dare una corretta descrizione del rush. Il mio dizionario utilizza termini quali «un movimento turbolento improvviso, un impulso, un assalto; una sensazione di urgenza o di fretta; un violento o rapido movimento». Quasi senza pensarci, quando iniziavano gli effetti alcuni

volontari esclamavano: «Ecco, ci siamo!» Alcuni paragonarono questa sensazione a un treno merci, all’epicentro di un’esplosione o a un cannone nucleare. Alcune persone riportarono che il respiro gli si era bloccato in gola o che il vento li aveva spazzati via. Chi aveva già fumato DMT era avvantaggiato, essendo in grado di anticipare questo assalto disorientante. Ad ogni modo, ritenevano che il rush della DMT assunta per endovena fosse più rapido e potente. Quasi tutti sottolinearono le “vibrazioni” causate dalla DMT , la

sensazione di una potente energia che pulsava attraverso di essi a una frequenza molto rapida ed elevata. Commenti tipici furono: «Temevo che la vibrazione mi facesse esplodere la testa», «I colori e la vibrazione erano così intensi che pensavo di scoppiare», «Non credevo che sarei rimasto dentro la mia pelle». Questo tsunami di effetti portava velocemente a perdere la consapevolezza del corpo, facendo credere ad alcuni volontari di essere morti. La dissociazione tra la mente e il corpo andava di pari passo al

dispiegarsi delle visioni. In genere, sentivamo frasi come: «Non avevo più un corpo», «Il mio corpo si era dissolto, ero pura consapevolezza». Sembrava esserci la sensazione chiaramente identificabile di un movimento della coscienza lontano dal corpo, come un “cadere”, un “sollevarsi”, un “volare” in assenza di gravità e in rapido movimento. Alcuni volontari maschi, ma non le donne, avvertirono delle sensazioni nei loro genitali. Sebbene talvolta fossero piacevoli, in genere erano neutrali o leggere. Nessuno eiaculò.

Il rush dei primi effetti provocava inevitabilmente un po’ di paura e ansia. Tuttavia, la maggior parte dei volontari si calmava nel giro di 1530 secondi attraverso la respirazione profonda, il rilassamento fisico o qualsiasi altra tecnica conoscessero per lasciarsi andare. Forse grazie alle esperienze psichedeliche precedenti, riuscivano di frequente a separare le emozioni dalle reazioni fisiche del corpo senza andare nel panico. Le visioni erano gli effetti sensoriali predominanti di una dose completa di DMT . Di solito c’era una

piccola differenza tra ciò che i volontari vedevano a occhi aperti e a occhi chiusi. Ad ogni modo, aprire gli occhi spesso faceva sì che le immagini si sovrapponessero a ciò che c’era nella stanza, causando un effetto disorientante. Questo fu uno dei motivi per cui decidemmo di mettere a tutti i volontari delle mascherine di seta nera prima della somministrazione di DMT . I soggetti videro ogni sorta di cose immaginabili e inimmaginabili. Le meno complesse erano dei disegni geometrici caleidoscopici, che a volte avevano caratteristiche dello

stile maya, islamico o azteco. Ad esempio, «bellissime ragnatele rosa, un prolungamento della luce», «minuscoli colori geometrici incredibilmente intricati, come se fossero un pixel di un televisore a colori». I colori di queste figure erano più brillanti e intensi, e avevano una profondità maggiore rispetto a quelli che si vedono in un ordinario stato di coscienza o durante i sogni. «Era come il blu del cielo del deserto, ma su un altro pianeta. I colori erano cento volte più intensi». Le differenze tra lo sfondo

e il primo piano potevano annullarsi, creando una serie di immagini infinite che occupavano per intero il campo visivo del volontario. Era impossibile dire cosa fosse “davanti” e cosa “dietro”. Molti usarono il termine “quadridimensionale” o “oltredimensionale” per descrivere questo effetto. C’erano anche delle immagini più distinte e specifiche. Comprendevano «un uccello fantastico», «l’albero della vita e della conoscenza», «una stanza da ballo con lampadari di cristallo».

C’erano «tunnel», «scalinate», «canali» e «un disco d’oro roteante». Altri videro il «lavoro interiore» di macchine e corpi: «l’interno dei circuiti di un computer», «la doppia elica del DNA » e il «diaframma pulsante intorno al cuore». Ancora più impressionante fu l’apprensione per le figure umane e “aliene” che sembravano essersi accorte della presenza dei volontari e interagivano con essi. Si potevano riconoscere delle entità non umane quali «ragni», «mantidi», «rettili» e

«qualcosa di simile al cactus del genere saguaro». Le visioni duravano finché l’organismo dei volontari non metabolizzava rapidamente la DMT . La stanza era fastidiosamente luminosa quando si toglievano la mascherina e aprivano gli occhi. Gli oggetti nella stanza, irradiati di luce propria, si muovevano ondeggiando. I soggetti riportavano delle percezioni esageratamente profonde, e a volte restavano come incantati dai disegni sulla porta di legno del bagno.

Alcuni volontari ci dissero di un particolare blocco nella normale fluidità delle loro visioni: «I tuoi movimenti non erano tuoi, non erano più fluidi e coordinati», «Sembravate robotici, vi muovevate in modo spasmodico, più meccanico e geometrico». Circa la metà dei volontari sperimentò effetti uditivi: i suoni erano diversi oppure udivano cose che noi non sentivamo. Questi effetti erano più marcati durante il rush di DMT . A volte era poco più di una intensificazione dei suoni ordinari. Alcuni volontari

diventarono apparentemente sordi, tanto da non sentire il motore stridente della macchina per misurare la pressione e qualunque altro rumore esterno. Tuttavia, era piuttosto raro che i volontari sentissero delle voci distinte o della musica. Piuttosto c’erano dei suoni semplici, descritti in maniera diversa come «di tono acuto», «gemiti e ronzii», «brusii», «bisbigli e scricchiolii». Molti notarono una somiglianza tra gli effetti uditivi della DMT e quelli del protossido di azoto, che provoca una distorsione oscillante e

ondeggiante dei suoni, simile a un wah-wah. Occasionalmente c’erano quei rumori divertenti che si sentono nei cartoni animati, tipo sproing e boing. A volte i volontari perdevano l’orientamento e dimenticavano di trovarsi in un ospedale o di essere coinvolti in uno studio sperimentale. Rivelando la loro forza e agilità mentale, alcuni di essi conservavano il proprio punto di vista perfino in queste condizioni: «La mia mente si trovava decisamente in un altro luogo, ma continuava a ragionare su

quello che stava accadendo». Tuttavia, ci furono sessioni in cui la confusione del rush iniziale accompagnò i volontari fino a quando gli effetti della sostanza iniziarono a scomparire. La maggior parte delle persone trovò eccitante, euforica e straordinariamente piacevole la dose elevata di DMT . A volte tale estasi era collegata alle visioni. L’euforia poteva anche derivare dalle nuove intuizioni acquisite durante la sessione: «Mi sento benissimo, come se avessi avuto una rivelazione». Spesso era pura

beatitudine senza un oggetto particolare. Per altri la paura e l’ansia erano quasi insopportabili. Per definire questi stati d’animo facevano commenti del tipo: «L’ho odiato. Non ho mai avuto così tanta paura», «Era minaccioso», «Un’incredibile tortura che credevo non avesse più fine». Sebbene molti soggetti della ricerca sperimentarono degli stati d’animo intensi con la DMT , sia positivi che negativi, alcuni riferirono di quanto le loro sessioni fossero state prive di emozioni: «Ho

provato ad agitarmi di fronte a quello che vedevo, ma semplicemente non ero in grado di avere una risposta emotiva». Quando gli effetti della DMT si stabilizzavano, la droga rivelava un’influenza incredibilmente leggera sulla capacità di pensiero e di ragionamento dei volontari: «La mia mente non era per nulla alterata. Ero attento a ciò che stava accadendo»; «Quando è cominciato il down, ho assunto l’attitudine del giornalista, trasformandomi in un attento osservatore».

Altri, tuttavia, percepirono il loro modo di pensare come anormale e in effetti giunsero perfino a domandarsi se la DMT potesse causare pensieri psicotici. «Tutto sembrava a posto, ma solo un po’ spento. Sembrava che l’orologio stesse per muoversi ogni volta che lo guardavo. I colori nella stanza erano sinistri». Un altro disse: «Sai come gli schizofrenici parlano dei diversi significati delle cose? Di come una foglia per terra assuma un grande significato? Quel genere di cose».

Un effetto comune era la perdita dell’ordinaria percezione del tempo. Ad esempio, quasi tutti si sorprendevano di quanto fosse tardi quando scoprivano che ora era, credendo che fossero passati solo alcuni minuti. Nonostante ciò, si sperimentava una profonda sensazione di eternità nel culmine dello stato provocato dalla DMT . I volontari di solito trovavano che la dose elevata causasse una perdita di controllo quasi totale. Si sentivano del tutto indifesi, impotenti, incapaci di agire e interagire nel mondo “reale”. «Mi

sentivo come un bambino, indifeso, incapace di fare qualunque cosa». I volontari, a questo punto, erano felici di trovarsi in un ospedale! Oltre alla perdita totale di controllo, alcuni volontari percepirono un’altra “intelligenza” o “forza” dirigere le loro menti in maniera interattiva. Ciò era particolarmente comune nei casi di contatto con “entità”. Quasi tutti i soggetti della ricerca credevano che la prima dose elevata di DMT non in cieco li avrebbe condotti «più in alto di quanto fossero mai stati». Tuttavia, questa

prima sessione di solito era contrassegnata dall’ansia più di qualunque altra seduta con dosi elevate a cui avrebbero partecipato in seguito. Una volta che i volontari erano preparati a perdere il controllo, era più facile per loro farlo. Capivano che l’esperienza della droga era essenzialmente sicura, che sarebbero sopravvissuti e che non avrebbero accusato nessun danno di carattere fisico o psicologico. Un’altra cosa che li aiutò fu la crescente fiducia che riponevano nella nostra capacità di supportarli mano a mano che il

nostro lavoro insieme andava avanti. Sebbene gli effetti più sbalorditivi si ebbero con dosi elevate di DMT , anche le dosi inferiori produssero una varietà di reazioni, molte delle quali furono piacevoli e interessanti per i volontari. La dose somministrata nello studio sulla tolleranza, 0.3 mg/kg, era completamente psichedelica e per alcuni era la dose preferita, dato che provocava l’intero spettro di effetti psicoattivi ma con un po’ meno ansia.

La dose da 0.2 mg/kg costituiva la soglia in cui iniziavano a emergere in maniera inequivocabile i tipici effetti psichedelici. Quasi tutti avevano delle visioni relativamente intense, ma gli effetti uditivi erano rari. Alcuni volontari particolarmente sensibili preferivano la dose da 0.2 mg/kg a quelle da 0.3 o 0.4 mg/kg. La dose da 0.1 mg/kg era la meno popolare. Predominavano gli effetti vibratori ed energetici, ma non si entrava mai all’interno di una completa esperienza psichedelica. I volontari si sentivano “sospesi”,

fastidiosamente tesi, sia fisicamente che mentalmente. «Il mio corpo sembra come se sapesse di pepe» disse qualcuno. «Questa dose ha tutti effetti negativi a livello fisico senza nessuno di quelli positivi a livello mentale». La dose minima di DMT , di 0.05 mg/kg, era piacevole, e quasi tutti i volontari sentivano come se stessero sorridendo o ridendo dopo averla assunta. Un volontario che in precedenza aveva fatto uso di eroina riteneva che questa dose avesse qualcosa in comune con quella droga: «Ho provato una sensazione

di tepore come se fossi avvolto nell’ovatta». Poche persone sperimentarono degli effetti relativamente intensi con questa piccola dose di DMT che gli veniva somministrata il primo giorno. Quando accadeva, era indicativo del fatto che il giorno successivo la dose elevata sarebbe potuta rivelarsi particolarmente forte. Per i lettori che conoscono gli altri psichedelici, gli effetti della DMT possono sembrare più o meno tipici. Sebbene le sue proprietà siano molto simili a quelle dell’LSD, della mescalina e della psilocibina,

c’è qualcosa di incomparabile che contraddistingue la molecola dello spirito. Non so se sia a causa della rapidità con cui entra in azione o per la sua particolare struttura chimica. Forse è perché il cervello già la conosce e si mette attivamente alla ricerca di questo psichedelico endogeno. Qualunque siano le ragioni, i volontari, dopo aver raggiunto i limiti estremi della molecola dello spirito, tornarono con racconti di incontri che né io né loro credevamo possibili. Ed è a queste storie che volgeremo ora la nostra attenzione.

62. I risultati dello studio sulla reazione alla dose nel quale definimmo gli effetti delle diverse quantità di DMT vennero pubblicati nel 1994 nella rivista del dr. Freedman, Archives of General Psychiatry. Un articolo descriveva i dati biologici, le risposte psicologiche e la nuova scala di valutazione. Freedman ebbe particolare cura di questi articoli, chiedendo che venissero scritti e riscritti più volte. Purtroppo morì un anno prima che fossero pubblicati, e non ebbe dunque la possibilità di godersi la pubblicazione di quei lavori che testimoniavano la realizzazione di un sogno a lungo coltivato: la ripresa della ricerca psichedelica sull’uomo. Si veda Rick J. Strassman e Clifford R. Qualls, Dose-Response Study of N ,N -Dimethyltryptamine in Humans. I: Neuroendocrine, Autonomic, and Cardiovascular Effects, in «Archives of General Psychiatry», n. 51, 1994, pp. 85-97; e Rick J. Strassman, Clifford R. Qualls, Eberhard H.

Uhlenhuth e Robert Kellner, Dose-Response Study of N ,N -Dimethyltryptamine in Humans. II: Subjective Effects and Preliminary Results of a New Rating Scale, in «Archives of General Psychiatry», n. 51, 1994, pp. 98-108.

PARTE IV

LE SESSIONI

Capitolo 10

INTRODUZIONE ALLE RELAZIONI DEI CASI

Nel corso di ciascuna sessione di DMT , presi nota in modo dettagliato di ogni aspetto degli eventi del giorno: cosa facevano e dicevano i volontari; come apparivano e come io li percepivo; le condizioni del reparto, il tempo, la politica mondiale; il comportamento e lo stato emotivo delle altre persone

all’interno della stanza, compresa l’infermiera che mi assisteva, la famiglia o gli amici del volontario e i visitatori; e infine i miei personali pensieri e stati d’animo. Quando tornavo nel mio ufficio, dettavo questi appunti alla mia segretaria che poi li trascriveva al computer. Una volta stampate, queste note occuparono più di mille pagine di testo a interlinea singola. Dopo aver completato uno specifico esperimento con la DMT , inviavo al volontario una copia di queste note, chiedendogli di correggerle per renderle più

complete, chiare e accurate, e di aggiungere qualsiasi cosa gli fosse venuta in mente dopo la fine dello studio. Alcuni volontari integrarono i miei appunti con annotazioni di diario, lettere, opere d’arte e poesie legate ai loro incontri con la molecola dello spirito. Sebbene la maggior parte delle sessioni fosse caratterizzata da elevate quantità di DMT , c’erano anche diversi giorni in cui si somministravano bassi dosaggi e il placebo. Erano giornate tranquille in cui era possibile discutere e confrontarsi sulle precedenti

sessioni con dosi elevate. Era utile per i volontari poterlo fare in uno stato mentale meno alterato, se non completamente normale. L’onda d’urto di un’esperienza intensa con la DMT si estendeva molto al di là della singola sessione, continuando a ripercuotersi su tutti gli aspetti della vita della persona per giorni, mesi o anni. La DMT agisce in modo consistente sulla nostra coscienza, ma non in maniera totale. Se possiamo limitare il numero del tipo di esperienze prodotte dalla DMT , potremmo iniziare a concentrarci su

una serie di ipotesi che ci aiutino a comprenderle. Fare dei raggruppamenti dettati dalla coerenza e dalla ragionevolezza ci aiuterà a dare un senso alla serie incredibilmente ampia di storie che stiamo per sentire. Dividere tali esperienze in categorie era utile anche per verificare l’ipotesi secondo cui la DMT somministrata dall’esterno provoca degli stati alterati di coscienza simili a quelli riportati da persone che hanno avuto esperienze psichedeliche spontanee: esperienze di pre-morte,

stati mistici e il fenomeno definito abduction aliena. Se gli stati indotti dalla droga e quelli che si verificano spontaneamente avessero mostrato una forte analogia, si sarebbe rafforzata l’ipotesi secondo cui la DMT endogena svolge un ruolo nel produrre queste esperienze psichedeliche spontanee. Si sarebbe aperto un ampio campo di possibilità per studiare, comprendere e applicare queste scoperte in modo proficuo. Tre categorie maggiori includono quasi tutte le diverse esperienze riportate in questi resoconti.

Sebbene la maggior parte delle sessioni ne comprendesse almeno due, di solito era predominante una sola categoria.63 Le tre categorie distinguono tra esperienze personali, invisibili e transpersonali. Le esperienze personali con la DMT erano limitate ai processi mentali e fisici di ciascun volontario. La DMT li aiutava ad aprire nuove strade all’interno della loro psicologia personale e a relazionarsi in maniera diversa con il corpo. Il capitolo 11, Sensazioni e pensieri, presenta diversi esempi di questo

tipo di risposte. Una volta che i volontari iniziavano ad avvicinarsi ai confini di questa categoria, cominciavano a emergere temi di carattere spirituale. L’esperienza personale diventava allora transpersonale. Il segno caratteristico della categoria dell’invisibile è l’incontro con realtà parallele apparentemente solide e indipendenti. Quando questi piani di esistenza erano abitati, il contatto tra i nostri volontari e questi “esseri” dava luogo alle sessioni di DMT più allarmanti e imprevedibili. Tratto di

queste storie bizzarre nei capitoli 13 e 14. Le sessioni più preziose e ricercate erano quelle transpersonali, che comprendevano esperienze mistico-spirituali e di pre-morte. Le descrivo nel capitolo 15, La morte e il morire, e nel capitolo 16, Stati mistici. L’ultimo capitolo sui resoconti dei casi, Dolore e paura, affronta gli effetti negativi, spaventosi e potenzialmente dannosi della DMT sui volontari. Qui troviamo gli aspetti negativi di tutti e tre i tipi di

esperienze: personale, invisibile e transpersonale. Questa introduzione è il luogo adatto per iniziare a trattare di come abbiamo risposto a ciò che i volontari dicevano e facevano durante le loro sessioni con la DMT . Nel capitolo 7 ho descritto come, dopo aver somministrato la DMT , io e l’infermiera sedevamo tranquilli ciascuno a un lato del letto della persona, permettendole di fare la sua personale esperienza senza interferire, se non per guidarla nei passaggi essenziali. Tuttavia, non potevamo mantenere un

atteggiamento completamente neutrale e passivo nel momento in cui qualcuno iniziava a parlare di esperienze che gli procuravano confusione o ansia. Se un volontario aveva bisogno del nostro aiuto e e del nostro supporto, glielo fornivamo. C’è un confine sottile tra il supportare una persona e il raccontarle che tipo di esperienza sta attraversando. Dopo una dose elevata di DMT , i volontari erano estremamente suggestionabili, aperti e vulnerabili. Questi fattori richiedevano una particolare

sensibilità in relazione al campo interpersonale che si era creato nella stanza. Riflessioni, assistenza, indicazioni, consigli e comprensione sono tutt’altra cosa rispetto a critiche, discussioni, convinzioni e lavaggio del cervello. 63. Dobbiamo distinguere questa classificazione dai dati derivanti dalla scala di valutazione degli allucinogeni. Sebbene più avanti descriva lo sviluppo e l’uso di questa scala, è opportuno dire cosa essa misuri e in che modo differisca dalle categorie di esperienze che seguono. L’oggetto della scheda di valutazione era la mente, non il singolo volontario. La scala forniva il punteggio numerico dei vari aspetti dell’intossicazione acuta da DMT sulla base di una

comprensione teorica del modo in cui la mente funziona. In questo sistema, una serie di funzioni, incluse percezioni, emozioni, consapevolezza del corpo, pensiero e tendenze abituali si combinano tra loro in modo uniforme, e il risultato è quello che normalmente sperimentiamo come il nostro attuale stato mentale. Le classi di effetti che suggerisco in questo capitolo, d’altro canto, si riferiscono all’esperienza della persona, non solo a quelle della sua mente. Gli effetti acuti in se stessi fanno certamente parte di questa esperienza, ma non le danno alcun significato. È solo all’interno del contesto del singolo individuo, con il suo corpo, il suo spirito e la sua mente, che le sessioni assumono un vero valore.

Capitolo 11

SENTIMENTI E PENSIERI

Nella maggior parte dei casi, le esperienze personali con la DMT si svolgono entro i confini del corpo e della mente di un individuo: i regni delle sensazioni e dei pensieri. In quanto tali, i fenomeni che incontreremo non sono molto diversi da ciò che qualunque psicoterapeuta può sentire dai propri pazienti: sensazioni basate

sul corpo e pensieri basati sulla mente. Molti dei volontari speravano, più o meno consapevolmente, in una svolta spirituale con l’aiuto della DMT : desideravano una risposta definitiva riguardo al motivo della loro esistenza o il raggiungimento di un’unione con il Divino, dove cessano tutti i conflitti e prevale un’imperturbabile certezza. Tuttavia la DMT , come una vera molecola dello spirito, dava ai volontari il viaggio di cui avevano bisogno, piuttosto che quello che desideravano.

Alcuni soggetti della ricerca risolsero dei difficili problemi personali durante le loro sessioni. In seguito, si rendevano conto di averli affrontati con atteggiamento positivo e si sentivano meglio. Sembravano essersi attivati i processi di base della psicoterapia: riflettere, ricordare, sentire, mettere in relazione le emozioni con i pensieri. Per la maggior parte di noi è difficile affrontare sentimenti dolorosi, e la DMT può rendere più agevole confrontarsi con essi. Le sessioni di DMT , ad esempio, aiutarono Stan a contattare

sentimenti troppo forti per poter essere affrontati in uno stato di coscienza ordinario. I sogni sono uno strumento fondamentale per qualsiasi tipo di crescita personale e di comprensione di sé, e la DMT può generare immagini altamente simboliche, simili al sogno. Le sessioni di Marsha sono uno splendido esempio di come la molecola dello spirito sia in grado di mostrarci ciò che abbiamo bisogno di sapere per mezzo di questo particolare aspetto del suo potere.

Per molti di noi, le esperienze traumatiche mettono in scena ricostruzioni drammatiche e dolorose di situazioni in cui affrontiamo quegli stessi sentimenti ripetutamente. Una dose elevata di DMT condivide molte delle caratteristiche dei traumi fisici e psicologici. Vedremo come è possibile utilizzare questi aspetti a proprio vantaggio nella storia di Cassandra. Mi aspettavo di vedere molti volontari ripercorrere i propri conflitti emozionali e psicologici nel corso di questo studio. Sessioni di

questo tipo avrebbero potuto aprire la strada a sedute di psicoterapia psichedelica. Avremmo notato in che modo la DMT influiva positivamente sui volontari, per poi incorporare quegli effetti in un successivo protocollo sui trattamenti psicologici. La prima generazione di scienziati psichedelici aveva reso tali progetti di terapia il perno delle attività di molti centri di ricerca. In sostanza, avremmo ripercorso le loro tracce in previsione di un rinnovamento del loro lavoro per applicarlo al contesto contemporaneo.

Ero pronto per questo tipo di sessioni. Credevo che, attraverso l’uso degli psichedelici, i volontari avrebbero potuto trarre intuizioni significative circa i propri conflitti personali, le difficoltà e i sintomi psicosomatici. Inoltre, per diversi anni mi ero sottoposto alla psicoterapia analitica, l’avevo praticata e insegnata, e ciò mi aveva preparato ad affrontare le emozioni dolorose che sarebbero emerse durante alcune sessioni con la DMT . Stan aveva quarantadue anni quando ci incontrammo e iniziò a partecipare agli studi sulla DMT . Sua

moglie era una terapista del respiro che seguiva molti pazienti presso il Centro di Ricerca. Pensava che il marito potesse essere interessato al progetto, così mi fece chiamare da lui. Era uno dei consumatori di psichedelici più esperti tra tutti coloro che presero parte allo studio, avendo assunto LSD «più di quattrocento volte». «Non per niente viene chiamato acido» disse ridendo durante il nostro primo incontro. Prendeva LSD o funghi a intervalli di qualche mese, assumendoli in compagnia di alcuni

amici intimi, fortemente convinti come lui degli effetti positivi di queste droghe. Stan era sposato, aveva una figlia giovane e ricopriva una posizione di grande responsabilità all’interno dell’amministrazione locale. Era un uomo di statura e corporatura media, di bell’aspetto, attento alla propria immagine. Era poco propenso a parlare della sua esperienza interiore, ed espresse il motivo del suo interesse nello studio sulla DMT in modo piuttosto conciso: «Per legittimare lo studio e per un’indagine personale».

Per Stan la dose minima di DMT da 0.05 mg/kg fu tranquilla. Come molti altri, sentì l’impulso di sorridere all’inizio della sessione. Il giorno successivo Stan avrebbe ricevuto la dose massima. Con il mio carico di aghi, siringhe e tamponi disinfettanti, entrai nella stanza e lo trovai seduto a gambe incrociate su un cuscino da meditazione, con lo schienale del letto sollevato in modo da formare un angolo il più retto possibile. Era una delle poche persone che stava meglio in posizione seduta anziché sdraiata.

Stan non disse molto riguardo all’esperienza con la dose elevata. Più che altro, era rimasto colpito dalla potenza dell’assalto iniziale degli effetti. In effetti, pensava che gli sarebbe perfino piaciuta una dose di poco maggiore di 0.4 m/kg. In ogni caso, non era sicuro se la DMT avesse degli effetti positivi. «Non è così efficiente come l’LSD o la psilocibina. È troppo veloce. Non ci si riesce proprio a lavorare. Si è totalmente fuori controllo. Non era un’esperienza spirituale e aveva anche ben poco di emotivo».

Tutto ciò che riuscì a vedere furono «un sacco di colori caleidoscopici nelle tinte del blu e del viola». Stan completò con successo lo studio sulla reazione alla dose, ma l’esperienza non gli lasciò un’impressione particolarmente profonda. Ad ogni modo, gli piaceva partecipare alla ricerca e voleva essere informato su quando iniziavano i test di tolleranza. Circa un anno dopo, Stan firmò per partecipare al progetto sulla tolleranza. Nel frattempo erano accadute molte cose. La moglie

aveva avuto una ricaduta dei suoi seri disturbi psichiatrici e stava effettuando le pratiche per il divorzio. Era in atto una battaglia piuttosto dura per la custodia della figlia di otto anni, che al momento abitava con lui. Mi chiedevo se le sedute di DMT gli avrebbero fornito un po’ di chiarezza nelle sue emozioni per questi momenti difficili. Sebbene gli obiettivi dello studio restassero inalterati, Stan era un essere umano che stava sperimentando una grande perdita, e se potevamo

aiutarlo nel contesto del progetto, tanto meglio. Il suo primo giorno in doppio cieco fu con la droga attiva: quattro dosi elevate e consecutive di DMT tramite iniezione. Le prime due dosi lo aiutarono a fare chiarezza sullo stress da cui era oppresso. «Mmm. C’erano i colori tipici. Scommetto che supererò anche le prossime dosi, nonostante l‘ansia». Punzecchiandolo simpaticamente in riferimento al suo “machismo psichedelico”, ma allo stesso tempo incoraggiandolo ad andare più in

profondità, gli dissi: «Non credevo che avessi altra scelta». Era sdraiato tranquillamente con la mascherina sugli occhi. «Mi piace la mascherina». «In effetti, si stanno rivelando piuttosto utili... Hai avuto qualche pensiero o sensazione?» «Ho un po’ d’ansia, più o meno. Non ricordo di averla provata prima». Gli diedi questo suggerimento: «Ora ci sono molte più cose che si stanno verificando nella tua vita. Mi domando se la tua ansia non sia legata all’incertezza e alla perdita di

controllo che caratterizzano la tua vita in questo momento. Questa è una droga che provoca la perdita del controllo. Potrebbe metterti a disagio». «Avverto una leggera nausea» disse cinque minuti dopo la terza iniezione. Ho notato che la nausea, durante gli stati alterati di coscienza, è spesso un modo con cui il corpo ci distrae dall’ansia e dalla tristezza. Durante la meditazione o l’ipnosi, oppure quando si assumono droghe psichedeliche e perfino marijuana,

in un certo senso è più facile sentirsi male anziché tristi. «Non ho intenzione di mollare. Non preoccuparti. Forse è la combinazione dell’ansia e della mia sinusite. Una parte della ma ansia è legata a come mia figlia affronterà il prossimo anno scolastico. Ora è al quinto anno. Devo decidere questa mattina. Sta vivendo un periodo difficile a causa del divorzio e, in particolare, ha un rapporto difficile con sua madre. È dura anche per me, ma per lei lo è ancora di più». «Sono sicuro che sia dura anche per tua moglie. È una situazione

terribile». «Sì, in un certo senso vorrei che ci fosse una dose ancora più alta. Potrei spazzare via tutti i problemi». «Vorresti far piazza pulita di tutto?» «Sì, esatto».64 «Che ne dici di altre due dosi?» Sorrise. «Ho due emozioni molto contrastanti: paura e trepidazione». Forse, se si fosse sdraiato, Stan si sarebbe potuto sentire più al sicuro, così da lasciare andare un po’ di controllo e “vomitare” le sue tossine

emotive interne, nel caso in cui avesse avuto bisogno di espellerle. «Vuoi stendere la testa?» gli chiesi. «Non credo che faccia differenza, comunque va bene, proviamo. Hai qualcosa dove posso vomitare, nel caso ne avessi bisogno?» «Certo, abbiamo un cestino. Non è bello, ma è grande e capiente». Dopo la terza dose prese la mano di Laura con la mano destra e la mia con la sinistra. «Non sono sicuro sulla quarta dose. Non so se posso reggerne un’altra».

«Sono passati solo tre minuti. Vediamo come ti senti tra un pò». Al quinto minuto disse in tono ironico: «Ne riceverò una quarta per te, Rick». «La terza dose sembra essere quella più forte». «Lo stai dicendo apposta...» «Non proprio. Le persone sembrano stravolte dopo la terza dose, ma si riprendono dopo la quarta». «Credo di avere molti sentimenti irrisolti». «Questo ha un senso». «È facile dirlo, per te».

«Lo so, scusami se ti sembro poco serio. Perché credi che queste cose siano irrisolte?» «Le emozioni sono intense. Stanno lì, ma credo che mi stia proteggendo da esse per affrontare il divorzio. Non è del tutto piacevole, per dirla con un eufemismo. L’intensità emotiva aumenta ogni volta, ma ora mi sento per lo più sereno. Quel sentimento irrisolto se n’è andato. Forse è accaduto qualcosa. Magari tra quindici minuti non parlerò più in questi termini».

Dieci minuti dopo la sua quarta e ultima iniezione, Stan emise un sospiro attraverso le labbra socchiuse e disse: «Questa volta il viaggio è andato molto meglio. Era come se stessi cavalcando tre onde senza tavola. Ti travolgono per prepararti alla quarta, che è spettacolare. Ho voglia di rifarlo!» Ci mettemmo tutti a ridere, alleviati dal fatto che stesse meglio. Nel caso di questo uomo, che teneva così tanto a se stesso, la precedente ammissione di avere l’ansia doveva essere indice di sentimenti profondamente intensi.

Trascorse i successivi minuti tranquillamente sdraiato, rilassandosi e godendosi la pace interiore da poco trovata. Stan sembrava ricaricato e di buonumore dopo la quarta dose. Pranzò e se ne andò via subito dopo aver finito. Un paio di giorni dopo parlammo al telefono. «Mi sento bene» mi disse. «Ieri e oggi ho sentito una leggera euforia, probabilmente legata all’esperienza. Non ero sicuro di continuare con tutte e quattro le dosi. Infine è scattato qualcosa e ho deciso. Forse

è stato un abbandonarsi. Mi ha davvero fatto passare attraverso alcuni cambiamenti. Con la prima dose c’è stato un mix di emozioni. La seconda e la terza sono state travolgenti, c’era molta ansia irrisolta. La quarta è stata il momento di svolta». «C’è stato qualche tema che ha contrassegnato le tue sessioni?» domandai. «Non molto. È come se il sistema nervoso venisse completamente risucchiato, liberandoti di alcune cose. Era qualcosa di puramente energetico. Ci sono stati degli effetti

a catena. Qualcosa è accaduto, qualcosa è cambiato tra la terza e la quarta dose. Dopo la terza, mi sono semplicemente arreso». Stan teneva a debita distanza i suoi sentimenti. Come molti dei nostri volontari, gli piacevano gli psichedelici perché intensificavano le emozioni. Riusciva a sentire qualcosa con grandi quantità di LSD, magari sensazioni non proprio piacevoli o positive, ma che comunque erano meglio di niente. Ogniqualvolta ci troviamo bloccati nella nostra vita, di solito è perché non riusciamo a entrare in

relazione con i sentimenti che accompagnano quella situazione. Sebbene nel caso di Stan sembrò senz’altro esserci uno sconvolgimento capace di abbattere gradualmente le sue resistenze psicologiche, anche l’elaborazione cosciente gli fu d’aiuto. Era ansioso e insicuro. Sebbene sapesse in un certo senso di che cosa si trattava, non era però in contatto con le sue emozioni profonde. La sua ansia “fluttuante” era tutt’altro che senza nome. La sua vita era in subbuglio e il solo fatto di rendersene conto lo aiutò a iniziare un processo di

cambiamento. Il potere emotivo della DMT lo spinse poi verso alcune soluzioni. La battuta di Stan sul fatto di assumere l’ultima dose di DMT per me, piuttosto che per se stesso, mise in luce un conflitto interessante: avevamo bisogno di dati, ma eravamo anche preoccupati di far fronte alle necessità dei volontari. Se Stan avesse avuto un’esperienza chiaramente traumatica che con sembrava in grado di affrontare, avremmo interrotto lo studio. Ma, mostrandosi intenzionato a

proseguire, non prendemmo in considerazione l’idea di fermarlo prima del previsto. Ciononostante, la sua battuta mostrava di avere un fondo di verità. Le visioni che i volontari avevano sotto DMT a volte ricordavano i sogni. E, come disse Freud, i sogni sono «la strada maestra verso l’inconscio». Osservare, pensare e discutere dei sogni può aiutarci a comprendere le emozioni nascoste, di cui ci accorgiamo solo attraverso i sintomi dolorosi che si manifestano nello stato ordinario di veglia.

Supponiamo che qualcuno sviluppi una paralisi alla mano destra e che svariati esami medici non rivelino alcun problema fisico. Viene mandato da uno psichiatra, che gli chiede di ricordare i suoi sogni. Quella notte il nostro ipotetico paziente sogna di picchiare il suo capo al lavoro. Lo psichiatra supporrà che la sua mano paralizzata simboleggia la profonda rabbia nei confronti del capo, una rabbia che non sapeva di avere. Forse sono emozioni che ha paura di provare, perché non sa cosa potrebbe succedere se lo facesse.

Una luce si accende nella mente del paziente, ed egli riacquista la funzionalità della mano! Sebbene un esempio del genere ricordi i cartoni animati dal sabato mattina, cattura però il processo essenziale tramite cui il lavoro sui sogni può essere utile a livello personale. I sintomi non sono così spesso evidenti come le paralisi, ma di solito includono ansia, depressione o problemi nelle relazioni. L’approccio che adottammo nella supervisione delle sessioni di DMT fu il più neutro possibile dal punto di

vista clinico, ma sarebbe stato negligente ignorare le problematiche psicologiche che emergevano dalle esperienze dei volontari. A volte dovevo decidere rapidamente se occuparmi della trama psicologica personale che un volontario aveva iniziato, o se spingerlo in profondità quel tanto che bastava per vedere delle soluzioni alla sua confusione o incertezza. Dovevo anche tenere in considerazione il rischio che tali commenti o interpretazioni potessero causare alcuni effetti destabilizzanti nella sua vita. Nel

caso di Marsha, ad esempio, lei stava lottando per il proprio matrimonio. Quando entrò nello studio sulla DMT , Marsha aveva quarantacinque anni, due divorzi alle spalle e stava con il suo attuale marito da sei anni. Lei era di origine afroamericana, mentre suo marito era bianco. Aveva una franchezza e un senso dell’umorismo deliziosi. Il suo umore sembrava decisamente migliorato in quell’ultimo anno rispetto al periodo precedente. Aveva provato un grande sollievo dopo essersi ritirata da un

programma scolastico che trovava disumano e non rispettoso della sua razza e cultura. Tuttavia, i continui problemi a casa ruotavano attorno al marito, che era più depresso di lei, e stava pensando di lasciarlo. Marsha aveva fatto uso di droghe psichedeliche forse una trentina di volte nella sua vita, trovandole capaci di spalancare le porte della mente. Si propose come volontaria per il nostro studio «per dare una mano ai miei amici», «per sperimentare la droga al di là della curiosità e dello stupore», «per mettermi alla prova» e «perché mio

marito non può assumerla: di conseguenza, può condividerla indirettamente con me». Il marito aveva la pressione sanguigna leggermente alta e pertanto era stato escluso dalla ricerca. Marsha affrontò bene la bassa dose iniziale di DMT . La dose elevata del giorno successivo la catapultò completamente al di fuori del corpo. Si spaventò nel ritrovarsi all’interno di una bellissima struttura a cupola, un Taj Mahal virtuale. «Credevo di essere morta e di non poter più tornare indietro. Non so cosa sia successo. Tutt’a un tratto,

BAM!

Mi sono ritrovata di là. È stata la cosa più bella che abbia mai visto». Marsha descrisse in maniera molto dettagliata quello che vide e come venne trasformata durante la sua esperienza. Fu una mattinata estremamente piacevole. Ascoltammo il suo resoconto senza che ci fosse bisogno di aggiungere altro. Le era piaciuto. C’era stato poco conflitto e prendemmo parte alla sua gioia. Marsha in seguito partecipò allo studio sulla ciproeptadina. Quando giunse il momento della sua quarta

sessione in doppio cieco eravamo quasi sicuri, considerando gli effetti delle precedenti, che questa dose finale fosse da 0.4 mg/kg. «Spero di incontrare alcuni dei miei antenati oggi» disse, «e che mi aiutino ad affrontare le attuali difficoltà della mia vita». Parlò del suo matrimonio; suo marito era stato in terapia e il terapista gli aveva suggerito di essere più sincero con Marsha. Di conseguenza, le aveva detto che non gli piaceva che lei stesse ingrassando, perché ciò spegneva in lui il desiderio sessuale. Mi

domandò se pensavo che fosse grassa. Aggirai la sua domanda e le suggerii: «Forse c’è dell’altro oltre alla semplice questione del peso». Annuì e iniziammo a prepararci per l’iniezione. Pochi minuti prima di somministrare a Marsha la DMT suo marito entrò nella stanza, pronto per unirsi alla sessione. L’atmosfera nella stanza era un po’ triste, ma anche carica di speranza. Iniziò a parlare quindici minuti dopo l’iniezione.

«Non avrei mai immaginato che sarebbe stato così. Nessuna transizione. Nessun universo stellato o puntini luminosi come l’ultima volta. Sai cosa è successo? Ero su una giostra! C’erano tutte queste bambole vestite nello stile di fine Ottocento, a grandezza naturale, uomini e donne. Le donne portavano dei corsetti: avevano seni prosperosi, sederi abbondanti e girovita strettissimi. Roteavano tutte attorno a me sulle punte dei piedi. Gli uomini portavano dei cappelli a cilindro e andavano su biciclette a due posti. Una giostra

dopo l’altra... e un’altra ancora. Le donne avevano dei cerchi rossi dipinti sulle guance, e c’era la musica di un organetto in sottofondo. C’erano anche dei clown che si muovevano velocemente dentro e fuori la scena; non erano i personaggi principali, ma i più indaffarati, in un certo senso erano più consapevoli della mia presenza rispetto ai manichini». Sembrava simile a un sogno. Diverse volte avevo sentito parlare altri volontari di un incontro con clown o giullari. Tuttavia, essi

sembravano meno importanti rispetto alla giostra e ai sentimenti di Marsha al riguardo. Prima dell’iniezione stavamo parlando di questioni “terapeutiche”. Decisi di indossare l’abito del terapeuta e di vedere cosa succedeva. Quando qualcuno racconta un sogno in una sessione di terapia, di solito chiedo: «Che sensazioni hai provato?» «Domanda sbagliata, provi con un’altra». In quel momento Marsha non era pronta per “lavorare” sul sogno, e così le diedi una risposta riguardo

agli aspetti più superficiali della sua esperienza, ovvero l’atmosfera carnevalesca. «Era divertente?» «Sì». Potevamo scendere più in profondità? «È stato davvero divertente?» «Sì, però non c’era nessun Taj Mahal. Speravo di vedere i miei antenati, un tempio, oppure degli africani alti vestiti con vecchi abiti». «E invece eri a una fiera di carnevale». «Un delirio! Ero l’unico essere umano lì. Loro avevano questi

sorrisi dipinti sulla faccia, non cambiavano mai espressione. Ho pensato: “Hey, che sta succedendo?” C’era quel tipo di energia sessuale che si manifesta nel volere di più, nel desiderio di eccitarsi... di volere di più. Non mi ero mai sentita così con la DMT . Suppongo che i manichini erano talmente belli che mi sono eccitata». Si tolse la mascherina e guardò il marito. «Scopiamo!» esclamò. Mi misi a ridere. «Mi dispiace, ma dovrete aspettare finché non tornate a casa».

«Le persone hanno esperienze sessuali sotto l’effetto della DMT ?» mi domandò il marito. Sebbene fosse una domanda sensata, non c’entrava molto con i temi personali ed emozionali che erano emersi. Dovevo rispondere, ma lo feci in modo molto rapido nella speranza di ritornare al punto a cui eravamo arrivati. «C’è dell’energia sessuale, ma di solito non quel tipo di sensazioni che si hanno nei rapporti sessuali». Sapevo di dover essere rapido se volevo essere di qualche aiuto nell’interpretare gli aspetti onirici

della sessione di Marsha. Cosa stava cercando di dirci la molecola dello spirito? «I manichini erano bianchi? Erano anglosassoni?» «Sì, tutti. Non c’era nessuna persona di colore». «È interessante. La DMT sembra avere un proprio programma. Che cosa ne deduci?» «Non riesco a venirne a capo. Sono esausta e affamata». «Sembrano un’esagerazione o una caricatura della bellezza anglosassone. È interessante se lo poniamo in relazione a quello che

dicevamo prima, e cioè alle tue preoccupazioni sul peso». «È vero, forse dovrei godermi il mio fisico». Guardò il marito e disse: «Ho raccontato a Rick che pensavi che fossi grassa, e che questo faceva parte della tua terapia». Sembrava un po’ imbarazzato. «Da giovane ero proprio snella. Quando ho conosciuto mio marito pesavo dieci chili in meno di adesso. Sembravo un figurino. Non è per niente la mia cultura. Anzi, per me la forma ideale è grossa e tonda, con un seno prosperoso e la vita e i

fianchi abbondanti. Magro è qualcosa di orribile nella mia cultura. Usavano una parola gergale per indicare il termine magro, ma io non sapevo cosa volesse dire. Sembra che parlassero di qualcosa di brutto, malato e cattivo». Il marito di Marsha si assentò per andare in bagno. Quando tornò, si rese conto che Marsha aveva bisogno di parlare di queste cosa in sua assenza e così se ne andò al lavoro. Io e lei continuammo questa conversazione per un po’, per poi passare ad altri argomenti.

Di solito non ero così impositivo con i volontari come lo fui quel giorno con Marsha. Tuttavia, le sue visioni da DMT sembravano così perfettamente legate alle sue attuali difficoltà che non potevo ignorare il messaggio che la molecola dello spirito ci stava mandando. Il marito di Marsha, di origine anglosassone, la stava paragonando alla sua immagine ideale di donna, che Marsha non rispecchiava per nulla. Il suo fisico non andava bene. Ad ogni modo, i “manichini” raffiguranti uomini e donne anglosassoni erano senza vita,

immagini dipinte che giravano in tondo senza uno scopo. Marsha ricordava l’orgoglio con il quale la sua famiglia accoglieva l’immagine abbondante della femminilità, e cercava di farla propria. Sentiva che la propria sessualità innata era abbastanza buona, e voleva fare sesso per riconnettersi con suo marito a quel livello di base. Sorpreso e stupito, in quel momento era difficile per lui affrontare le necessità emotive della moglie. Si trattava di una versione in miniatura dei problemi che stavano vivendo.

Un altro modo in cui la DMT influisce sulla mente e sul corpo in maniera potenzialmente utile è attraverso la creazione di un’esperienza traumatica controllata. Trauma deriva da una parola greca che significa “ferita”. Il mio dizionario definisce il trauma come «un grave shock emozionale che ha effetti profondi e spesso duraturi sulla personalità». Le esperienze traumatiche di solito sono fuori dal nostro controllo. Ad esempio, non scegliamo di avere un’infanzia violenta, di essere esposti a disastri

naturali o provocati dall’uomo, né di subire delle minacce alla nostra vita. Una volta che abbiamo vissuto degli eventi simili, la tendenza naturale della mente è di erigere un muro contro i sentimenti di paura, impotenza e ansia che hanno minacciato di travolgerci in quei momenti. Nonostante ciò, il trauma non affrontato viene a galla nella nostra vita. Possiamo trovarci più e più volte in situazioni che riproducono i fantasmi o le ombre propri dei sentimenti che hanno caratterizzato il trauma. È come se fossimo

costretti a ripetere alcuni tipi di relazione per portare alla luce i sentimenti che non siamo riusciti a dominare o a controllare la prima volta, di solito quando eravamo dei bambini indifesi. Ad esempio, un coniuge violento riproduce i sentimenti prodotti da un genitore violento. Possiamo notare inoltre che è difficile costruire dei profondi legami emotivi, perché l’intimità ci rende pericolosamente vulnerabili. Se stiamo per superare le conseguenze di un trauma, bisogna affrontarle in maniera diretta. Di solito ciò richiede di sperimentare

nuovamente, in modo volontario, i sentimenti provocati dal trauma all’interno di un ambiente sicuro e solidale. Il problema, innanzitutto, è come accedere a questi sentimenti. Per molti versi, una dose elevata di DMT è traumatica in quanto induce una perdita di controllo e un annichilimento dell’identità personale. La parola “shock” fu usata diverse volte durante le sessioni. Anch’io utilizzavo questa parola mentre preparavo le persone alla loro prima sessione da 0.4 mg/kg. Alcuni volontari ci

consigliarono di stampare delle magliette con la frase Sopravvissuto a 0.4 da distribuire a chi aveva superato con successo la sessione. Sono certo che molti dei nostri volontari fossero attratti dal progetto sulla DMT perché prometteva un’esperienza traumatica travolgente ma strutturata, a cui sottoporsi volontariamente. Sperimentando l’assoluta perdita di controllo in un’ambiente protetto, sarebbe stato possibile entrare in contatto in maniera più completa con alcune

emozioni dolorose per poi riconoscerle e liberarsene. Cassandra, ad esempio, era una di quei volontari per i quali le emozioni derivanti da un vecchio trauma, non espresse né percepite fino in fondo, ostacolavano la sua vita attuale. Cassandra aveva ventidue anni, quasi la volontaria più giovane, quando aderì al progetto sulla DMT . Il suo modo di fare e il suo aspetto fisico facevano emergere dei sentimenti conflittuali in molte delle persone che incontrava, me compreso. La sua andatura e il suo

modo di vestire avevano un non so che di mascolino, ed era bisex. Sia gli uomini che le donne trovavano attraenti il suo viso gradevole e il suo corpo sinuoso e androgino. L’atteggiamento volutamente noncurante riguardo all’aspetto fisico e alla cura di sé la faceva sembrare una specie di bambina abbandonata a se stessa, ed era facile provare per lei un senso di protezione materna: le infermiere più anziane del reparto volevano darle da mangiare e farle il bagno. Possedeva anche un’intelligenza acuta, un’ironia laconica e un modo

di fare diretto. Cassandra era una giovane donna complicata e occorreva un po’ di tempo per capire con chi avevi veramente a che fare. Cassandra soffriva nelle relazioni. I genitori divorziarono prima che compisse un anno e sua madre l’allevò senza darle le dovute attenzioni. Questa situazione raggiunse l’apice all’età di sedici anni, quando sua madre la lasciò sola con il patrigno per una settimana. Durante questo periodo lui la violentò ripetutamente, rafforzando la sua estrema

ambivalenza verso gli uomini e le donne: se da un lato provava sfiducia e odio, dall’altro aveva bisogno del loro amore e della loro protezione. Dopo questa esperienza sviluppò i sintomi dei disturbi da stress posttraumatico: durante i rapporti sessuali della sua prima relazione di lunga durata tornò a rivivere alcuni momenti della violenza. A vent’anni decise che non avrebbe mai voluto avere figli e così si sottopose a un intervento di legatura delle tube. Cassandra era passata per diverse relazioni di breve durata, sia

terapeutiche che romantiche. All’inizio idealizzava e rendeva romantica la figura del terapeuta o dell’innamorato. Poi viveva la delusione e il disprezzo per la loro incapacità di darle quella comprensione di cui aveva parecchio bisogno. Era amica di uno dei nostri volontari maschi, e dopo aver completato i test di tolleranza ebbe una relazione sessuale con lui. Subito dopo lei lasciò il paese, senza lasciare alcun indirizzo. Inserisco qui la storia di Cassandra anche se potrebbe rientrare nei capitoli sul contatto

con entità o sulle esperienze mistiche. Le sue sessioni inclusero incontri con i “clown”, che la portarono a uno stato di profonda serenità mai sperimentato prima. Tuttavia, l’effetto primario di quelle entità fu di farla sentire amata e felice, anche se la soluzione spirituale ai suoi conflitti arrivò solo dopo un sofferto processo psicologico. Come molte di quelle che presenterò, le sessioni di Cassandra erano dunque incroci di generi diversi. Inoltre, era come se con Cassandra stessi facendo della

psicoterapia, piuttosto che fornirle un’assistenza spirituale nell’interpretazione di fenomeni “transdimensionali”. Per questo, l’inserimento del suo caso nella categoria delle esperienze personali, relative ai pensieri e alle sensazioni, si collega al tipo di risposta che la sua sessione suscitò tanto in me che in lei. Aveva alcune aspettative ben precise circa la sua partecipazione allo studio: «Voglio vedere che sensazione dà la DMT ». Inoltre ci chiese di non farle troppe domande:

«Così posso semplicemente godermi gli effetti». Non fummo affatto sprovveduti nel considerare la capacità di Cassandra di affrontare alte dosi di DMT . Sapevamo del suo temperamento potenzialmente esplosivo ed era particolarmente importante evitare di farla sentire costretta o forzata a fare qualcosa. Non volevamo che si replicasse nessuna tematica di violenza nella stanza 531. Per Cassandra la dose bassa iniziale di DMT fu leggera e piacevole. Ci incontrammo il giorno

seguente per la sua dose elevata da 0.4 mg/kg non in cieco. Mentre cominciava la fase di down, disse: «Qualcosa mi ha preso la mano e mi ha strattonato. Sembrava voler dire: “Andiamo!” Poi ho iniziato a volare in un ambiente affollato, simile a un circo. Prima d’ora non ero mai stata fuori dal corpo in questo modo. All’inizio ho sentito un prurito nel punto in cui la droga è stata iniettata. Abbiamo attraversato un labirinto a un ritmo incredibilmente veloce. Dico “abbiamo” perché mi sembrava di essere accompagnata.

Era fantastico. C’era una stranissima attrazione circense, piuttosto stravagante. È difficile descriverla. Sembravano dei clown, stavano recitando per me. Erano vestiti in modo buffo, con dei campanelli sul cappello e dei grandi nasi. Ad ogni modo, avevo la sensazione che potessero prendersela con me e che non fossero proprio così amichevoli. Lo voglio rifare! Voglio vedere se riesco a rallentarlo». Il giorno dopo telefonai a Cassandra.

«È impossibile dargli un senso» mi disse. «Piuttosto lo farei di nuovo per vedere cosa succede. È bello avere un cambio di prospettiva e vedere quanto sono insignificanti i miei problemi quotidiani. Mi sono sentita in pace. C’è stato un attimo in cui volevo che finisse, talmente era intenso, ma mi sono ricordata di respirare e di mettermi comoda. È così strano, è impossibile prepararsi, sapere cosa attendersi. Preferirei non analizzare troppo». E fu d’accordo a partecipare allo studio sulla tolleranza.

Cassandra era di buonumore quando la incontrai nella stanza 531 un mese dopo. «Ho lasciato il lavoro al ristorante dove lavoravo» iniziò. «Non so cosa mi riserverà la vita adesso. Ho incontrato una donna che mi piace davvero, penso molto a lei». «Cosa pensi oggi dello studio?» le domandai. «Il mese scorso, mentre mi stavo riprendendo dalla dose elevata, mi sono davvero sentita nel mio corpo per la prima volta in vita mia. Di solito vivo nella testa. Ricordo quella sensazione. È stato

terapeutico. Mi è piaciuta la sensazione di essere nel mio corpo». «Riesci a portarla con te?» «È difficile farlo tutto d’un colpo» rispose. «Ho perso il contatto con il mio corpo per così tanto tempo, in lotta contro di esso, che immagino sarà un processo graduale». Si scoprì che questo primo giorno di test sulla tolleranza in doppio cieco era con la droga attiva. Lo capimmo al secondo minuto, quando il battito di Cassandra e la sua pressione aumentarono sensibilmente.

Quella mattina non disse molto sulla sua prima dose. Sembrava sentirsi a proprio agio, con i documenti stretti al petto. Quando terminò di rispondere alla prima delle quattro scale di valutazione, disse: «Ho pensato molto alla mia nuova amica. È stato bello, ma la prossima volta voglio che sia il mio viaggio». Quando fu in grado di parlare dopo la seconda dose, disse: «È divertente, stavolta mi sono lasciata andare di più. Non c’era proprio nessun problema. Era come se tutto fosse bello. Non ci sono state

rivelazioni o allusioni significative. Il corpo è proprio un ingombro, non è vero? Ho sentito chiaramente la presenza degli altri. Erano gentili nei miei confronti, carini e premurosi. Sembravano piccoli, come se potessero entrare nel mio corpo e nella mia mente. Ho avuto la completa sensazione di aver perso il mio corpo, ma le piccole presenze sapevano in qualche modo come entrarci». «Come ti senti a proposito della terza dose?» «Dovresti brevettarla, ma scommetto che ormai è troppo

tardi. Se solo potessi mantenere questa sensazione! Se lo facessero tutti, ogni giorno, il mondo sarebbe decisamente un posto migliore! La vita sarebbe di gran lunga migliore. Il potenziale del bene è così grande. Sentirsi bene con se stessi... Credo che anche la meditazione sia fatta per portarti nello stesso posto». «Non sono sicuro che sia possibile». «Nemmeno io». Dopo dieci minuti che si trovava nel pieno della terza dose, Cassandra iniziò a sorridere. Proprio in quel momento si sentì

un tremendo tossire nel corridoio di fuori. «Posso ancora sentirla. Tengo tutta questa roba, tutte le stronzate, nella parte sinistra del mio addome. Questa volta mi è arrivato il messaggio di sbarazzarmi di tutto ciò. Riesco ancora a sentire il rilassamento. È calda e pungente». Sembrava un’apertura. Se Cassandra avesse reagito con ostilità o evitato di rispondere ai miei commenti, l’avrei lasciata in pace. Ad ogni modo, sembrava chiedere aiuto. «A cosa ti stai aggrappando?»

«Al dolore». «Quale dolore?» «Credo a tutto il dolore». Iniziò a piangere. «Credo che sia tutto il dolore che abbia mai provato». «Ce n’è tanto lì?» «Sì» e iniziò a piangere in modo più forte. «Va bene sentirlo, va bene piangere, e anche lasciarlo andare». «Questo è l’aspetto positivo: liberarsene». Al quindicesimo minuto sospirò: «Sento di avere un corpo nuovo. È di gran lunga più consapevole».

«È il tuo». Fece un sorriso tirato e poi riprese a piangere più profondamente. «Non sono lacrime di tristezza, ma lacrime di illuminazione». «Non importa». La sentii adirarsi nel dire: «Certo che importa!» «Credo che siano una sorta di lacrime purificatrici» azzardai, riflettendo con più attenzione sul suo caso. «Sì, dopo stamattina sarò un guru. Hai presente come tutti cerchino il significato e lo scopo della vita? Ecco, si tratta di sentire in questa

maniera. Ma la vita normalmente non facilita le cose». «In che senso?» «Tutto ciò che riguarda la vita in generale. Non è molto stimolante. Non ti viene insegnato a concentrarti su di te, a renderti conto della forza che hai dentro. La vita ti proietta nel ruolo della vittima. So di aver usato un luogo comune, ma credo sia vero. Le cose accadono quando non hai il controllo della tua vita. Queste esperienze con la DMT hanno un effetto simile ai più alti livelli di meditazione, permettendoti di

accedere al tuo potere interiore e alla tua forza. Sai quella domanda della tua scala di valutazione sulla “potenza superiore o Dio”? Ecco, ho delle difficoltà con questo concetto perché implica che vi sia un elemento esterno, mentre contatto qualcosa di più profondo e di più interno. Questa sessione è stata più unitaria, in termini di presenze che ho incontrato e per il fatto di essere maggiormente oggetto della loro attenzione. Nel primo viaggio c’ero solo io, nel secondo viaggio c’erano soprattutto le presenze; questo è stato una combinazione».

«Che ne pensi della quarta dose che sta arrivando?» «Sarà la migliore, ancora meglio delle precedenti. Sto andando sempre più in profondità attraverso questi strati». Subito dopo aver dato a Cassandra la sua ultima dose, delle persone cominciarono a parlare ad alta voce fuori dalla porta. Al sesto minuto sentimmo un gran fracasso. Cinque minuti dopo, Cassandra disse: «Mi sento molto amata». «È una bella sensazione». «Sì, accogliente».

Sembrava triste e tamburellò le dita sul letto. «Lo sento parecchio». C’era un terribile rumore fuori dalla porta, qualcuno stava usando un trapano. Era incredibile come i volontari riuscissero a ignorare il rumore di un reparto ospedaliero e a vivere delle esperienze così profonde. Cassandra si tolse la mascherina ma tenne gli occhi chiusi. Poi li socchiuse appena, fissando dritto davanti a sé. Guardò il soffitto e ricominciò a piangere. «Cosa senti?»

«Andrà tutto bene. Non devo preoccuparmi di tutti i miei dubbi, di cose tipo: “Dove andrò? Cosa farò?” È rassicurante». «Una sensazione di ottimismo?» «Sì, mi dà molto sollievo. Sento come se ci fossero migliaia di parti separate di me stessa e questa droga fosse in grado di riunirle. È una sensazione di completezza». «Hai detto di sentirti amata». «Era una sensazione di calore al petto. L’ho sentito espandersi. È stato davvero fantastico. Ero amata dalle entità o qualsiasi cosa fossero.

Era molto piacevole e rassicurante». Alcune settimane dopo, parlai al telefono con Cassandra. «Ci sono stati dei forti cambiamenti a livello fisico, molto positivi» disse. «È come se mi fosse stato restituito lo stomaco. Adesso, per la prima volta dopo anni, sono in grado di respirare profondamente nello stomaco. Sono più ottimista. Ora questa sensazione è un po’ diminuita, ma non eccessivamente. Durante la meditazione sono in grado di ricontattare quell’ottimismo. È stato come

ricevere un massaggio profondo ai tessuti. Durante il terzo viaggio ero davvero in grado di lasciar andare tutto. Credo di esser stata ferita lì dentro quando sono stata violentata. È lì che nascondo le cose e mi proteggo, stringendole costantemente. Per anni ho trattenuto questi sentimenti tenendoli stretti nell’addome. Ora mi sento molto più libera. La DMT è molto meglio di qualsiasi altra terapia che abbia mai provato. Tutte le terapie mi ricordavano di quanto fossero e sono brutte le cose. Con la DMT mi sono vista e

sentita come una brava persona, come se fossi amata dai folletti della DMT ». «Folletti?» «Avevo la sensazione che ci fossero tantissimi ospiti. Erano allegri e si sono divertiti parecchio a farmi sentire amata. Ad ogni dose aumentava progressivamente anche l’appagante sensazione di sicurezza e benessere. Sarebbe bellissimo poter fare una sessione di DMT una volta l’anno per fare il punto della situazione, vedere dove mi trovo e curarmi. La sensazione di libertà nel mio

addome è ancora lì. La costrizione allo stomaco un po’ è tornata, ma su un altro piano riesco a ricordare di essere riuscita a liberarmene davvero». «Può essere un utile punto di riferimento» aggiunsi. Freud coniò il termine transfert per indicare il modo in cui le persone reagiscono abitualmente agli altri, come se questi fossero figure importanti della vita passata di quella persona. In terapia, i sentimenti di controtransfert sono quelli che il terapeuta proietta sul suo cliente.

La vita di Cassandra era piena di sentimenti di transfert per le persone con cui aveva una relazione. Siccome non esiste transfert senza controtransfert, le persone reagivano in maniera altrettanto forte. Aver condiviso con me la sua sensazione di benessere poteva rivelarsi una trappola o un’opportunità. Avevamo bisogno di considerare la nostra relazione senza questa danza disorientante di transfert e controtransfert. Il mese seguente Cassandra tornò per la seconda parte dei test di

tolleranza: le quattro dosi consecutive di placebo. Dopo aver terminato con la quarta dose di soluzione salina, la ringraziai per aver partecipato allo studio. «Grazie, è stato facile parlare con te». Interpretai questa sua frase come un’apertura per lavorare ancora un po’ prima di salutarci. Era lucida e in buone condizioni, così affrontai direttamente il tema principale. «Mi domando se all’inizio hai avuto qualche difficoltà a fidarti di un medico uomo che ti avrebbe

fatto perdere il controllo somministrandoti una droga». «Volevo fare questa esperienza» rispose. «Mi sono fidata di te. Non sono mai stata davvero preoccupata. Hai cambiato la mia vita!» Conoscendo la tendenza di Cassandra a elevare le persone su un piedistallo per poi buttarle giù, replicai con molta attenzione: «Io ti ho aiutata a creare il contesto affinché tu potessi cambiare la tua vita». «Suppongo di sì. La DMT ti spoglia di tutto per farti arrivare all’anima. So che non c’è nulla di cui

preoccuparsi. La DMT mi ha mostrato come guardare al di là di tutto questo. In sostanza, tutto si sistemerà. Mi viene in mente un pensiero di Samuel Coleridge: se fai un sogno meraviglioso e riporti indietro una rosa e poi ti svegli e la rosa è ancora nella tua mano, significa che il sogno era reale. Quando sono ritornata a casa e ho visto i lividi e i buchi nel braccio, mi sono davvero sentita in quel modo: era successo veramente e davvero ero stata dove ero stata e avevo provato quel che avevo provato».

Il caso di Cassandra ci mostra come sia estremamente importante reagire in modo appropriato a qualsiasi questione la DMT sollevi. Le avevo detto il minimo indispensabile per farla proseguire nel suo processo di cambiamento, senza cercare di giudicare, di riconoscermi dei meriti o tradendo la sua fiducia in altro modo. In caso contrario, avrei vanificato l’importante lavoro che stava facendo e molto probabilmente Cassandra lo avrebbe vissuto come un’altra violazione della sua integrità.

Con Cassandra ci fu una miscela che comprendeva diverse tematiche. Ad ogni modo, il tema principale sembrava essere stato l’aver ricontattato il trauma psicologico dello stupro attraverso i sintomi del suo dolore addominale. La DMT le rese più facile stabilire un contatto emozionale con ciò che il suo dolore fisico rappresentava e con il luogo da cui aveva avuto origine. La molecola dello spirito le fu d’aiuto nel mostrarle di poter perdere il controllo, in particolare con un uomo in posizione di potere accanto a sé, e di sentirsi amata e al

sicuro allo stesso tempo. La questione di chi l’aveva amata e le aveva detto che era buona, e la natura di quell’amore, ci portano in altre categorie, quali il contatto con entità e la spiritualità. Sia Marsha che Cassandra fecero degli incontri con clown e presenze che sembravano risiedere da qualche altra parte rispetto alla stanza 531. Ora esamineremo questi altri mondi, e coloro che li popolano, ai quali ci può condurre la molecola dello spirito. Non sono di natura personale, né transpersonale. Piuttosto, sono

invisibili, e per i volontari e il team di ricerca si rivelarono abbastanza impressionanti e inaspettati. 64. Questa idea è comune tra le persone che fanno uso di psichedelici a scopo di crescita personale. Ha a che fare con il valore catartico della purificazione e della liberazione. Un’intensa e significativa esperienza emotiva si potrebbe rivelare molto più utile rispetto a una lunga analisi verbale condotta su quello stesso conflitto. Nella pratica medica, tuttavia, sono necessari entrambi i metodi per gestire i blocchi emozionali all’interno di un percorso di crescita. La catarsi senza nessuna comprensione potrebbe non avere effetti a lungo termine. D’altro canto, la comprensione senza alcun contatto di tipo emotivo conduce di solito a ben pochi progressi reali.

Capitolo 12

MONDI INVISIBILI

In questo capitolo inizieremo a seguire la molecola dello spirito in un territorio più inaspettato. Si tratta di un terreno non così facile da riconoscere o da comprendere, perché le esperienze che vi hanno luogo non sono chiaramente collegate ai pensieri, ai sentimenti o al corpo dei volontari. Piuttosto, suggeriscono dei livelli indipendenti

di esistenza dei quali siamo per lo più solo vagamente consapevoli. Questi resoconti sfidano la nostra visione del mondo e alzano l’intensità emotiva del dibattito: «È un sogno? Un’allucinazione? Oppure è reale?» «Dove si trovano questi luoghi? Dentro o fuori di noi?» Queste sono solo alcune delle domande sulle quali inizieremo a riflettere mano a mano che passeremo in rassegna i seguenti racconti. I volontari hanno già menzionato questi luoghi. Marsha si avventurò nel “Taj Mahal”, mentre Cassandra

venne catapultata nella “stravagante attrazione circense” piena di clown e di altri esseri. In questo capitolo mi concentrerò sulla questione del dove. In quali luoghi ci conduce la DMT prendendoci per mano? Si tratta di un elemento indispensabile da considerare per tracciare la mappa del territorio della molecola dello spirito. Un aspetto interessante di questi resoconti è il fatto che essi siano per lo più degli estratti anziché dei rapporti delle intere sessioni. Di rado l’ambiente della DMT da solo occupava la posizione centrale nel

corso del viaggio di qualcuno. Di sicuro, gli spazi nei quali i volontari si ritrovarono erano estremamente insoliti. Ad ogni modo, era più importante il significato o lo stato d’animo, le informazioni, associate al luogo in cui si trovavano. Certamente, non appena altre “forme di vita” iniziavano a comparire in questi spazi, era difficile non esserne completamente travolti, e questi resoconti sono giustamente oggetto di capitoli separati. Nonostante la loro natura misteriosa, questi estratti sono

introduttivi. Preparano il terreno per il successivo livello di esistenza al quale conduce la molecola dello spirito. Il dove è lo sfondo, lo scenario. Il chi va al nocciolo di questi temi. Prima di tutto, però, facciamo la conoscenza del paesaggio. Al livello biologico di base c’era la percezione del DNA e di altre componenti biologiche. Karl fu il nostro primo volontario dello studio sulla reazione alla dose: DMT -1. Iniziò a parlare circa due minuti dopo l’assunzione della sua dose minima non in cieco: «C’erano

delle spirali di quello che sembrava il DNA , rosse e verdi». Anche Philip, della cui tormentata esperienza con la dose da 0.6 mg/kg abbiamo già parlato, individuò il noto motivo a doppia elica, stavolta con la dose in doppio cieco da 0.4 mg/kg. «Le immagini si sono ritirate all’interno di tubi, come dei protozoi, come l’interno di una cellula, e si vedeva il DNA che roteava e si muoveva a spirale. Sembravano simili a gelatina, come dei tubi all’interno dei quali vi era

attività cellulare. Era come averne una visione al microscopio». Anche Cleo, la cui esperienza di illuminazione sarà discussa in un capitolo successivo, vide l’immagine del DNA : «C’era una spirale simile al DNA formata da cubi incredibilmente brillanti. Io “sentivo” i cubi ogni volta che la mia coscienza si allontanava». Vedremo più in dettaglio anche l’esperienza di Sara, di contatto con altre entità, in uno dei capitoli successivi. Comunque è interessante notare il suo riferimento al DNA : «Ho sentito che

la DMT liberava l’energia della mia anima e la spingeva attraverso il DNA . È quel che mi è successo quando ho perso il mio corpo. C’erano delle spirali che mi ricordavano cose che avevo visto al Chaco Canyon. Forse era il DNA . Forse gli antichi lo conoscevano. Il DNA viene introdotto nell’universo come in un viaggio spaziale. Una persona ha bisogno di viaggiare senza il proprio corpo. È ridicolo pensare a un viaggio nello spazio con delle piccole navi».65 Alcuni soggetti ebbero esperienza di una rappresentazione di

informazioni a livello biologico meno ovvia del DNA . Vladan, un regista di quarantadue anni dell’Europa dell’Est, era uno dei soggetti più impegnati della ricerca: si era offerto volontario nella maggior parte degli studi pilota volti a determinare le dosi e l’esatta combinazione delle sostanze da impiegare con la DMT . Inoltre, nello studio dosimetrico preliminare, aveva ricevuto più psilocibina rispetto a chiunque altro. Con una dose relativamente bassa di DMT , da 0.1 mg/kg, nel corso dello

studio sul pindololo, vide dei simboli ricchi di significati. «Nel momento di picco apparvero delle immagini morbide e geometriche. Erano cerchi e coni tridimensionali con ombreggiature. Si muovevano parecchio. Era quasi come guardare un alfabeto, ma non era quello inglese. Sembrava un alfabeto fantastico, un incrocio tra le rune e la grafia russa o araba. Sentivo che conteneva delle informazioni, dei dati. Non era casuale».66 In seguito, durante la sessione dei test pilota sulla ciproeptadina,

Vladan ricevette 0.2 mg/kg di DMT e di nuovo vide le figure simili alle lettere dell’alfabeto. «Era come vedere dei pannelli con una forma ritagliata all’interno e dai bordi smussati, come una sorta di geroglifici. Non erano dipinti ma ritagliati, e riuscivo a vedere i colori attraverso di loro». Un altro esempio lampante delle trasformazioni visive del linguaggio e dei numeri arriva da Heather. All’età di ventisette anni era una delle nostre volontarie più esperte: aveva preso psichedelici quasi duecento volte, aveva fumato DMT

più di dieci volte, e conosceva piuttosto bene la marijuana, gli eccitanti e l’MDMA . Inoltre, aveva assunto la bevanda contenente DMT , l’ayahuasca, dieci volte. Dopo essere riemersa dalla sua prima dose elevata di DMT non in cieco, disse: «C’era una donna che ha parlato spagnolo per tutto il tempo del viaggio. Il suo accento era piuttosto particolare; forse non era spagnola, ma lo sembrava da come parlava. A un certo punto ha detto: “Regular”.67 Ha gettato una coperta bianca sulla scena per poi ritrarla ripetutamente. Era davvero

strano. C’erano dei numeri. Sembrava numerologia e linguaggio. C’erano tutti questi colori e poi tutti questi numeri, dei numerali romani. I numeri si trasformavano in parole. Da dove vengono le parole? La donna voleva coprire con la sua coperta sia le parole che i numeri. È iniziata come una tipica esperienza da DMT , ma poi è andata oltre, al di là di dove ero mai stata con la DMT . C’è quel suono squillante quando stai salendo lassù, poi sono passata alla questione del linguaggio o dei

numeri. Era completamente inspiegabile. Forse stava cercando di insegnarmi qualcosa. Il primo numero che ho visto era un 2, poi ho guardato attorno e c’erano numeri dappertutto. Erano separati nei loro piccoli contenitori, poi i contenitori si sono fusi e i numeri si sono mescolati tra loro formando cifre ancora più alte». Eli era un architetto di trentotto anni e uno dei nostri soggetti di ricerca più coraggiosi. Aveva già avuto un’esperienza di regressione con l’LSD, e si era ritrovato a osservarsi dall’alto in un momento

della propria infanzia. Quando ricevette la dose da 0.4 mg/kg durante i test con la ciproeptadina, annotò: «Quello che è interessante è che ho iniziato ad avere una serie di allucinazioni e poi mi sono detto: “Ah, questo è il Logos”. C’è il nucleo giallo-blu del significato e della semantica, fondamentalmente».68 Risi per come aveva usato la parola “fondamentalmente”: «È facile per te dirlo». «Lo so! È come una catena di parole o il DNA o qualcosa del genere. Sono tutti qui intorno, sono ovunque. Dopo le forme amebiche

di colore blu, fu la volta di diversi spazi vuoti “pulsanti”. “Ce ne sono moltissimi” ho pensato. Una bella sensazione. Poi sono esplosi in una realtà caotica. Quando mi sono guardato attorno, mi sembrava che il significato o i simboli fossero lì. Una specie di essenza della realtà in cui è stato immagazzinato il significato di tutto. E io ho fatto irruzione nella sua stanza principale». Cercando di stare al passo con Eli, dissi con stupore: «Sembra come se tu sia passato attraverso una specie di membrana, raggiungendo una

sensazione di significato e di certezza». «Appunto! Non so se è a causa del mio interesse per i computer, ma sembravano i puri bit della realtà. È molto più di semplici uno e zero. È un livello superiore, sono bit davvero potenti». Eli proseguì a descrivere la “stanza” nella quale aveva fatto irruzione. Con questo resoconto, la prospettiva fornita dalla DMT inizia ora ad ampliarsi. «Ero in una stanza bianca, provavo certe emozioni e sentimenti che mi davano la

sensazione di trovarmi in una realtà coesistente. Come in un sogno, dovevo essermi scontrato con l’auto contro alcuni ragazzi ispanici all’interno del loro veicolo. Erano arrabbiatissimi con me. Allora gli ho detto: “Se mi odiate, odiate voi stessi. Le nostre culture sono mescolate, e quindi non c’è bisogno di difendersi da questo”. La loro cultura, la nostra cultura, erano coreali, esistevano simultaneamente. La stanza bianca era per lo più costituita da luce e spazio. C’erano dei cubi accatastati con delle icone sulle superfici, come un Logos della

coscienza. C’era luce, ma c’erano molte altre informazioni che arrivavano». Altri volontari si ritrovarono all’interno di stanze che somigliavano a stanze da gioco o a delle nursery, delle specie di sale d’attesa fatte apposta per loro, ricche di significato e di profondità. Gabe, un medico di trentatré anni, viveva e lavorava in una lontana comunità rurale. Era uno dei pochi volontari che aveva già fumato DMT . Dopo aver ricevuto la dose da 0.4 mg/kg di DMT in combinazione con la ciproeptadina, riportò quanto

segue: «C’erano alcune scene o forme simili a quelle che ci sono in una nursery. Non c’erano bambini, ma culle e diversi animali, vivaci. Mi è passata davanti una scena o una sensazione dell’infanzia. Era come se mi trovassi dentro un passeggino, immagini di un bambino. Era quasi spaventoso. Non riesco a descriverlo. Forse potrei disegnarlo. Era come se fossi in una stanza, da bambino, con un passeggino. Nella stanza c’erano persone che somigliavano a cartoni animati, ma non erano quello che volevo vedere».

Aaron era all’avanguardia nell’utilizzo di tecnologie legali per lo sviluppo della coscienza: supporti elettronici come quei macchinari in grado di direzionare le onde cerebrali, integratori e vitamine, e le discipline spirituali orientali. Aveva quarantasei anni quando iniziò a lavorare con noi. Aaron era uno dei pochi volontari ebrei del nostro studio e per questo sentivo una particolare affinità nei suoi confronti. Era fiducioso ma scettico; non vedeva l’ora di vivere l’esperienza, ma pregava di uscirne indenne.

Durante la sua sessione di DMT con l’aggiunta del pindololo, scorse due elementi dei mondi invisibili: l’aspetto del linguaggio informazionale e il tema della stanza da gioco/nursery. «Non ci sono porte, non c’è nulla attraverso cui passare. Qui è buio e di là ci sono delle immagini, ma non puoi farci nulla. Erano dei geroglifici maya. Era interessante. I geroglifici si sono trasformati in una stanza, come se fossi un bambino. C’erano dei giocattoli, come se fossi un ragazzino Era così. Era carino».

Su una scala leggermente più vasta, la molecola dello spirito condusse un altro volontario a una specie di “appartamento”. Tyrone aveva trentasette anni quando partecipò allo studio sulla reazione alla dose. Era stato un mio studente, un laureando in psichiatria che avevo seguito per un anno in qualità di supervisore. Quando si riebbe dalla sua dose di DMT da 0.2 mg/kg in doppio cieco, riferì: «Era una scena in cui c’erano degli appartamenti del futuro!» E si mise a ridere, tanto lo trovava incredibile.

«Erano come dei quartieri residenziali stupendi. Erano rosa, arancioni, quel tipo di colori, giallo, molto brillanti». «Come facevi a sapere che erano del futuro?» gli chiesi. «I posti per sedersi, per fare le cose, i banconi erano modellati sulla base delle pareti. Non ho mai visto nulla di simile. Aveva davvero un aspetto moderno. La natura quasi organica dell’appartamento era meravigliosa. Non solo era funzionale, ma nell’arredamento stesso c’era vita, come se fosse stato modellato sulla base di qualcosa di

vivo, un animale o un essere vivente. Ero incantato dagli appartamenti. Provavo un’ammirazione artistica, come quando si guarda un bel quadro e ci si perde dentro, ci si perde nella felicità. Alla fine ho proseguito oltre gli appartamenti e sono entrato all’interno di uno spazio, una crepa nella terra. Non era orizzontale, ma verticale. Una crepa nello spazio». Aaron prese parte anche allo studio con l’EEG. Alcuni giorni dopo la sessione in cui ricevette la dose da 0.4 mg/kg di DMT , ci inviò delle note scritte a mano che forniscono,

meglio di quanto potrei fare io, una descrizione di dove era stato quel giorno. Ora vedremo qualche scorcio della natura abitata da questi spazi strani. «Non si poteva tornare indietro. Dopo qualche attimo mi sono accorto che stava succedendo qualcosa alla mia sinistra. Ho visto uno spazio psichedelico con colori fluorescenti che si avvicinava a una stanza in cui le pareti e il pavimento non avevano dei limiti definiti e nemmeno dei bordi. Vibrava e pulsava come l’elettricità. Di fronte a me si ergeva un tavolo simile a un

podio. Sembrava che alcune presenze mi stessero dando/servendo qualcosa. Volevo sapere dove mi trovavo e come risposta ho “percepito” che quel luogo non mi riguardava. La presenza non era ostile, più che altro sembrava infastidita e brusca». La dose in doppio cieco di Philip da 0.4 mg/kg fu decisamente più facile da gestire rispetto al sovradosaggio di 0.6 mg/kg. In questa sessione, il luogo si espande così tanto da permettere di arrivare

a osservazioni su scala ancora più vasta. «Quelle immagini inarrestabili, accompagnate da stridori e crepitii, non sono durate a lungo. Poi mi sono trovato al di sopra di un paesaggio insolito, simile alla Terra, ma molto poco terrestre. C’erano delle specie di montagne. Era molto accogliente e invitante. Era così reale che ho dovuto aprire gli occhi. Quando l’ho fatto, l’immagine del soffitto si è sovrapposta alla scena. Ho richiuso gli occhi e l’interferenza è scomparsa. Era come un manifesto fosforescente

dai colori estremamente accesi, ma molto più complesso. Ero sospeso per chilometri sopra di esso. Ne avevo la chiara sensazione corporea, non era soltanto una percezione visiva. C’erano dei telescopi, o antenne paraboliche, o delle torri idriche con delle antenne in cima. Vorrei poterti condurre là e mostrartele. L’orizzonte si stendeva ampio. Il sole era diverso: diversi colori e sfumature rispetto al nostro sole». Concludiamo questo capitolo con la descrizione di Sean di un mondo della DMT molto simile al nostro.

Tuttavia, quel mondo non aveva nulla a che fare con la stanza 531 ed era abitato da esseri diversi da me e Laura. Mi piace questo esempio perché unisce il materiale di questo capitolo con quello dei capitoli successivi. In altre parole, quel mondo si trova “da qualche altra parte”, con “qualcuno al suo interno” e con “qualcosa che succede”, ma è così familiare da ingannarci riguardo al suo “essere altro”. Più avanti, leggeremo in dettaglio dell’esperienza di illuminazione di Sean. Ad ogni modo, per i nostri

scopi, è interessante notare quel che ci raccontò dopo la sua terza sessione da 0.3 mg/kg di DMT durante lo studio sulla tolleranza. Quasi come un ravvedimento, prima di ricevere la sua quarta e ultima dose disse: «Be’, c’erano delle persone e delle guide. Io mi trovavo presso una famiglia di messicani nella veranda di una casa nel deserto. All’esterno c’era un giardino. C’erano dei bambini e delle cianfrusaglie. Io giocavo con i bambini, facevo parte della famiglia. Avevo la sensazione che un uomo anziano stesse in piedi dietro di me

o attorno a me. Volevo parlare con lui, ma in qualche modo mi ha fatto capire che era più importante far visita alla giovane ragazza. Regnava un’atmosfera di tranquillità, benevola. Sembrava tutto così naturale e perfetto nel suo svolgersi. Non era affatto un sogno e ho pensato: “Sembra un meraviglioso giorno qualsiasi”, poi mi sono fermato e ho pensato: “No, sto facendo un viaggio”. C’erano anche degli uomini di colore che sembrava mi stessero strattonando. Ho provato la strana sensazione di venire estratto. Mi

sentivo frastornato. Venivo chiamato da qualche altra parte». Cercando di mantenere il suo flusso di pensieri, suggerii: «Sembra un libro di Carlos Castaneda».69 «Già, non è vero? Non ci avevo pensato». Forse si potrebbe pensare che queste percezioni non sono così strane, dopotutto. Tutti noi sogniamo luoghi e cose fantastiche. Ad ogni modo, i nostri volontari non solo vedevano queste cose, ma avevano l’incrollabile certezza di trovarsi davvero in quel luogo.

Aprendo gli occhi in qualsiasi momento, la nostra realtà si sovrapponeva alla realtà invisibile che gli si stava manifestando. Non erano addormentati. Erano iperconsapevoli e svegli, in grado di dirsi cosa fare in questo nuovo spazio. È incredibile quante volte li ho sentiti dire: «Mi sono guardato intorno e ho visto...» Ascoltando queste esperienze, io stesso ho iniziato ad allargare i miei orizzonti di psichiatra e ricercatore. Facevo pochi commenti sui resoconti dei volontari in merito a questi regni invisibili. Era difficile

stargli dietro e non sapevo cosa dire. È stato a questo punto che iniziai a lottare con la tendenza a considerare queste storie come sogni o prodotti dell’immaginazione amplificata dalla DMT . Dall’altro lato, iniziai anche a dubitare del mio stesso modello che descriveva quel che succede con la DMT . Le persone si trovavano davvero da qualche altra parte? Di che cosa erano esattamente testimoni? Non si tratta di domande banali. Come già abbiamo visto nel capitolo precedente, è fondamentale fornire delle risposte delicate, empatiche e

incoraggianti quando si lavora con persone sotto l’effetto della DMT . Un’osservazione sbrigativa, contrassegnata da dubbi o scetticismo, potrebbe far star male qualcuno o farlo sentire svilito, e quindi condurlo rapidamente ad avere una reazione negativa o demoralizzante. Ne è un esempio il secco rifiuto di Sean al mio suggerimento che la scena della famiglia messicana fosse basata sul ricordo dei libri di Carlos Castaneda. Sean era con loro; non si trattava di nient’altro.

Oltre alla necessità di tenermi al passo con i loro racconti e di fornirgli delle risposte empatiche, dovevo anche aiutare i volontari a capire cosa gli fosse successo. Quando si entra in quei mondi invisibili, la difficoltà maggiore si riscontra nel dare un senso a quello che sta accadendo. Come vedremo nei prossimi due capitoli, tale questione diventava ancora più pressante quando nelle sessioni dei volontari predominavano gli incontri con entità. 65. Chaco Canyon è uno spettacolare sito di

antiche rovine a circa tre ore a nord-ovest di Albuquerque. Fu popolato per secoli dagli Indiani Anasazi, probabilmente precursori delle tribù Pueblo contemporanee. Il luogo originario da cui provengono gli Anasazi, e quello che raggiunsero dopo aver abbandonato il canyon durante la metà del XIII secolo, restano due dei grandi misteri archeologici mondiali. Le loro conoscenze in campo astrologico erano estremamente sofisticate, e gli Anasazi misero a punto un proprio sistema di irrigazione e delle tecniche agricole davvero sorprendenti, se si considera la tendenza alla siccità di quella zona. Il Chaco Canyon affascina tutti coloro che lo visitano, e molte persone vi si recano in pellegrinaggio con un fervore quasi mistico. 66. Le rune sono un antico strumento di divinazione utilizzato nei paesi nordici, simile all’ I-Ching e ai Tarocchi. Le rune risalgono almeno al 1000 a.C. e utilizzano pietre con dei simboli

incisi, anziché bastoncini o carte. Le moderne rune hanno venticinque simboli diversi. 67. Regular in spagnolo significa “regolare”, “normale”, “ordinario”. Nella pronuncia corretta l’accento è sull’ultima sillaba. 68. Nella filosofia classica greca e neo-platonica, il Logos è la ragione cosmica che dà al mondo ordine, scopo e intelligenza. 69. Carlos Castaneda fece una ricerca antropologica sul campo, nel deserto del Messico. Trascorse anni in compagnia di uno sciamano indigeno, Don Juan Matus. Molti degli episodi che Castaneda descrive iniziano come dei semplici incontri con Don Juan e i suoi amici, all’interno di scenari simili a quelli descritti da Sean. Si veda, ad esempio, Carlos Castaneda, Gli insegnamenti di Don Juan, Rizzoli 1999.

Capitolo 13

CONTATTO ATTRAVERSO IL VELO: 1

Il materiale di questo capitolo e del successivo è il più insolito e difficile da comprendere. È anche il più misterioso e quando le persone mi chiedono: «Cosa hai trovato?», è l’argomento più difficile a cui sottrarsi. Mentre rivedevo i miei appunti, mi sorprendevo in continuazione

nel constatare quanti dei nostri volontari – in un modo o nell’altro almeno la metà – erano entrati in contatto con loro o con altri esseri. C’era chi li definiva “entità”, “esseri”, “alieni”, “guide” e “aiutanti”. Le “forme di vita” assomigliavano a clown, rettili, mantidi, api, ragni, cactus e figure stilizzate. Mi stupisco ancora adesso nel leggere nei miei appunti commenti del tipo: «C’erano questi esseri», «Ero guidato», «Mi furono subito addosso». È come se la mia mente rifiuti di accettare quello che è scritto lì sopra, nero su bianco.

Forse ho difficoltà con queste storie perché sfidano il comune senso della realtà e la mia stessa visione del mondo. Il nostro attuale approccio alla realtà si basa sulla coscienza ordinaria e sui suoi strumenti come uniche vie di conoscenza. Se non possiamo vedere, sentire, odorare, gustare o toccare le cose nel nostro ordinario stato di coscienza, oppure attraverso i nostri sensi amplificati dalla tecnologia, allora non sono reali. Perciò, si tratta di esseri “non materiali”.

Al contrario, le culture primitive sono in contatto costante con gli abitanti dei mondi invisibili e non hanno difficoltà a stare a cavallo tra i due mondi. Spesso lo fanno con l’aiuto di piante psichedeliche. Molti scienziati moderni, pur avendo una fede salda nella spiritualità, sono tuttavia profondamente combattuti tra le proprie convinzioni personali e quelle professionali. Ci può essere una profonda contraddizione tra ciò che affermano e ciò che sentono. È difficile essere “oggettivi” in materia di cuore e di spirito. Gli

scienziati possono categorizzare la loro fede tralasciando di verificare le loro intuizioni spirituali. In altri casi possono annacquare la natura della loro fede per mantenere un po’ di coerenza con la loro comprensione intellettuale. Magari ignorano semplicemente la presenza di angeli e demoni nelle antiche scritture, oppure li considerano manifestazioni simboliche o fantastiche di un’immaginazione religiosa eccessivamente fervida. La mancanza di un dialogo aperto su questi temi rende molto più

difficile anche solo immaginare di poter ampliare il nostro punto di vista sulla realtà dei mondi immateriali usando il metodo scientifico. Cosa accadrebbe agli studi sui reami spirituali se potessimo accedervi in modo affidabile usando molecole come la DMT ? Oltre alle questioni che riguardano l’esistenza dei mondi immateriali o spirituali, dobbiamo anche considerare di estendere la nozione di ciò che possiamo percepire al loro interno. Sono in grado le nostre strutture spirituali e

religiose di accogliere ciò che si trova all’interno di questi diversi livelli di esistenza? Le storie che stiamo per sentire vanno oltre gli incontri ragionevolmente “semplici” con il Divino o con gli angeli, e non sono particolarmente chiare e ordinate, né sono in armonia con ciò che ci aspetteremmo dalle esperienze spirituali. Spero che questi resoconti accrescano l’interesse per i mondi non materiali tramite l’utilizzo di qualunque mezzo, sia esso intellettuale, intuitivo o tecnologico. Quando ci sarà

sufficiente interesse, allora tali fenomeni potranno diventare un argomento degno di essere oggetto di indagine scientifica. Paradossalmente, potremmo dover fare maggiore affidamento sulla scienza, specialmente sui campi indipendenti della cosmologia e della fisica teorica, rispetto alle nostre più conservatrici tradizioni religiose per ottenere dei modelli e delle spiegazioni soddisfacenti di queste esperienze nel “mondo dello spirito”. Mi aspettavo di ascoltare questo genere di esperienze una volta

iniziato a somministrare la DMT . Conoscevo i racconti che Terence McKenna fa delle “macchine elfiche” che aveva incontrato dopo aver fumato dosi elevate della droga. Anche dai colloqui con venti esperti fumatori di DMT , fatti prima di intraprendere la ricerca nel New Mexico, erano emersi racconti di simili incontri. Poiché la maggior parte di queste persone era della California, a dire il vero ascrissi queste storie all’eccentricità della West Coast. Quindi non ero preparato dal punto di vista intellettuale, né da

quello emotivo, alla frequenza con la quale si verificarono gli incontri con le entità nel corso del nostro studio, e nemmeno alla natura totalmente bizzarra delle esperienze. E non sembravano esserlo nemmeno molti dei volontari, perfino quelli che avevano fumato DMT in passato. Altrettanto sorprendenti erano gli elementi comuni di ciò che questi esseri facevano con i nostri volontari: li manipolavano, comunicavano con loro, gli mostravano delle cose, li aiutavano o gli facevano delle domande. In

sostanza si trattava di una strada a doppio senso. Per quanto strani possano essere i resoconti che seguono, la nostra ricerca degli anni ‘90 non fu la prima nella letteratura scientifica a descrivere esperienze di contatto indotte dalla DMT . Esistono anche dei resoconti degli anni ’50. Questi casi più vecchi sono degni di nota in quanto fanno da preludio alle storie che avremmo ascoltato quasi quarant’anni dopo. Ciò che è ancora più singolare è che non sono stato in grado di trovare nessun resoconto simile in soggetti di

ricerca che avevano fatto uso di altri psichedelici. Solo con la DMT le persone si incontrano con loro, con altri esseri all’interno di un mondo non materiale. Questi vecchi estratti clinici giungono da pazienti affetti da schizofrenia, molti dei quali furono ricoverati in ospedale per anni, se non decenni. Non erano particolarmente eloquenti, acuti o prestanti. Ricevettero la DMT durante studi volti a determinare quanto fosse simile alla schizofrenia lo stato prodotto dalla DMT . I ricercatori erano anche

interessati a definire se i pazienti nei quali la psicosi si era manifestata in maniera spontanea fossero più meno sensibili agli effetti della DMT . Nel corso di uno studio presso il primo laboratorio di Stephen Szára in Ungheria, un paziente affetto da schizofrenia riportò ciò che segue dopo un’alta dose di DMT ricevuta per via intramuscolare: «Ho visto dei sogni così strani, ma solo all’inizio... ho visto delle strane creature, gnomi o qualcosa del genere, erano neri e si muovevano in continuazione».70

Anche un team di ricerca americano somministrò la DMT a pazienti affetti da schizofrenia. Dei nove soggetti, l’unica che riuscì a dire qualcosa sulla propria esperienza fu una povera donna, la quale, dopo aver assunto una dose consistente da 1.25 mg/kg di DMT per via intramuscolare, affermò: «Ero in un posto grande e loro mi facevano male. Non erano umani... erano orribili! Mi trovavo in un mondo abitato da persone arancioni».71 Questi aneddoti dovrebbero trattenerci dall’assumere un

atteggiamento troppo compiaciuto nel ritenere che quanto riportato dai nostri volontari fosse un fenomeno puramente new age degli anni ’90. La molecola dello spirito aveva rivelato i mondi invisibili e i loro abitanti alla scienza occidentale molto prima che la nostra ricerca iniziasse. Il primo incontro di Karl con le forme di vita, così come le sue visioni del DNA descritte nel capitolo precedente, offrì un preludio delle successive storie più complesse narrate da altri volontari. Karl era un fabbro di quarantacinque anni.

Era sposato con Elena, della cui esperienza di illuminazione parleremo più avanti. Dopo otto minuti dall’iniezione di una dose elevata non in cieco, descrisse questo incontro: «Era davvero strano. C’erano parecchi folletti. Erano dispettosi e irascibili, forse quattro di loro comparvero al lato di un tratto di autostrada che percorro abitualmente. Controllavano la scena, era il loro territorio! Erano alti all’incirca come me. Tenevano alzati dei manifesti, mostrandomi gli scenari incredibilmente belli, complessi, dai

motivi geometrici vorticosi, che si trovavano al loro interno. Uno di essi mi impediva di muovermi. Non c’era verso di poter controllare qualcosa, erano loro ad avere il controllo di tutto. Loro volevano che io guardassi! Ho sentito delle risate: erano i folletti che ridacchiavano o parlavano velocemente, cinguettando e squittendo». Nel capitolo precedente abbiamo letto dell’esperienza di Aaron riguardo ai mondi invisibili. Torniamo ora alla sua prima dose elevata di DMT non in cieco. Circa

dieci minuti dopo l’iniezione, mi guardò ridendo: «All’inizio c’era una serie di immagini simili a un mandala, delle visioni come di gigli. Poi una cosa simile a un insetto mi è venuta dritta in faccia, volandomi sopra mano a mano che la droga scendeva. Questa cosa mi ha risucchiato fuori dalla testa, spingendomi nello spazio. Era chiaramente lo spazio, un cielo nero con milioni di stelle. Mi trovavo in una sala d’attesa molto grande, o qualcosa del genere. Era molto lunga. Mi sentivo osservato dall’insettoide e da altri

come lui. Poi hanno perso interesse. Sono stato portato nello spazio e mi sono messo a osservare». Aaron riassunse così i suoi incontri con questi esseri dopo una successiva dose elevata in doppio cieco: «C’è uno scenario sinistro, un lato alieno, insettoide e non molto piacevole in tutto questo, non è vero? Non del tipo: “Stiamo venendo a prenderti, figlio di puttana”. È più come essere posseduti. Nel corso dell’esperienza c’è la sensazione che qualcun’altro o qualcos’altro prenda il controllo. È come se ci si dovesse difendere da

loro, chiunque essi siano, ma certamente sono lì. So che ci sono, così come loro sanno di me. È come se avessero un loro programma. È come fare una passeggiata in un quartiere diverso. Non sei più molto sicuro di cosa sia la normalità. Quegli esseri rettiliani hanno una natura così differente». «E per quanto riguarda la paura?» domandai. «Qual è la peggior cosa che potrebbero fare se fossero liberi di arrivare a te?» «Ecco il punto. È la sensazione che ciò sia possibile a essere così strana».

In uno dei capitoli seguenti leggeremo dei problemi fisici incontrati da Lucas dopo la sessione con la dose elevata. Ad ogni modo, è interessante esaminare una parte della lettera che ci scrisse alcuni giorni dopo quell’esperienza: «Non c’è nulla che ti possa preparare a questo. C’è un suono, un bzzzz. È iniziato e si è fatto sempre più forte e sempre più veloce. Io stavo andando avanti e a un certo punto BUM! C’era una stazione spaziale sotto di me e alla mia destra. C’erano almeno due presenze, una su ogni lato, che mi guidavano

verso una piattaforma. Sapevo che c’erano anche numerose entità all’interno della stazione spaziale: degli automi, creature simili ad androidi che sembravano un incrocio tra manichini da crash test e le truppe imperiali di Guerre Stellari, con l’eccezione che si trattava di esseri viventi e non di robot. Sembravano avere delle fantasie a scacchi su alcune parti del corpo, in particolare nella parte superiore delle braccia. Stavano eseguendo una specie di lavoro tecnologico di routine e non mi prestavano attenzione. In uno stato

di travolgente confusione, ho riaperto gli occhi». Fu a questo punto, nella stanza 531, che il battito e la pressione di Lucas precipitarono a livelli quasi non registrabili. Nel capitolo 15 leggeremo dell’esperienza sciamanica di morte e rinascita di Carlos, originata dalla sua prima dose elevata di DMT non in cieco. Nel corso di una delle sessioni con dosi elevate, anche lui incontrò degli esseri che cercarono di aiutarlo con la sua ansia: «C’è questo mondo completamente diverso con opere architettoniche e

paesaggi. Là ho visto uno o due esseri. Sono sessuati, ma la loro pelle non era color carne. Comunicavo con loro ma non c’era abbastanza tempo. Ero così teso, eccitato e agitato quando arrivai lì. Loro volevano cercare di ridurre la mia ansia in modo che potessimo comunicare». Gabe, del cui viaggio in una nursery o in una stanza da giochi abbiamo letto nel capitolo precedente, sentì una sensazione ancora maggiore di cura e attenzione nei suoi confronti da parte degli “spiriti” durante la sua

prima sessione di DMT con la dose elevata: «C’è stata un’iniziale sensazione di panico. Poi dei colori meravigliosi si sono combinati insieme per poi dar forma a degli esseri. C’erano moltissime entità. Mi parlavano senza emettere alcun suono. Era più come se mi stessero benedicendo, gli spiriti della vita mi stavano benedicendo. Dicevano che la vita era bella. All’inizio sentii come se stessi attraversando una caverna o un tunnel, come se stessi viaggiando nello spazio a un’alta velocità. Mi sentivo come una palla che stava precipitando».

Molti incontri dei volontari con le forme di vita all’interno di questi mondi non materiali comportavano la forte sensazione di uno scambio di informazioni. Il tipo di informazioni variava notevolmente. A volte riguardava la “biologia” di questi esseri. Chris aveva trentacinque anni, era sposato e vendeva computer. Aveva anche del talento artistico e recitava in una compagnia teatrale locale. Prima di iniziare la nostra ricerca aveva fatto uso di psichedelici già cinquanta-sessanta volte. Sperava che le sessioni con la DMT lo

avrebbero sospinto in uno stato di consapevolezza che aveva cercato di raggiungere nel corso degli otto anni di uso di LSD, del quale però aveva avuto solamente alcuni barlumi. La sua dose elevata non in cieco fu l’esperienza più rassicurante della sua vita. La separazione dalla mente e dal corpo avvenne facilmente, e ne conseguì che «se la morte è così, non c’è nulla di cui preoccuparsi». Alcune settimane dopo, Chris ritornò per lo studio sulla tolleranza.

Dopo la prima dose, sollevò la mascherina e disse: «C’erano molte mani che cercavano di sentire i miei occhi e la mia faccia. Era tutto un po’ confuso. C’erano più persone. Cercavano di riconoscermi e di identificarmi. C’era molta intimità. All’inizio ho pensato che si trattasse della mascherina sulla mia faccia, ma non lo era senz’altro!» Mentre stava compilando la scala di valutazione, aggiunse: «Per arrivare in quel posto sono dovuto passare attraverso una specie di spazio poco benevolo. Era come se vi fossero degli artigli o delle

tenaglie che in qualche modo cercavano di difendere quel luogo». Erano delle giornate lunghe e aveva bisogno di un incoraggiamento. Mi lasciai guidare dall’intuito: «Se è necessario, lascia che ti strappino a brandelli, così poi potrai continuare». «Lo smembramento è parte dell’iniziazione sciamanica, non è vero? Ho sentito la presenza di una specie di drago. E c’erano gli stessi colori: rosso e giallo oro». «I colori potrebbero essere una specie di drappo o di tenda. Per quanto belli siano, ci puoi passare

attraverso per raggiungere l’altra parte». Dopo essersi ripreso dalla seconda dose, sembrava intontito e si aggrappava a parole che sembravano inadeguate. «Era selvaggio. Non c’erano colori, ma c’era il solito suono piacevole, un ruggito, una specie di ronzio interno. Poi sono apparsi tre esseri, tre forme fisiche. I loro corpi emanavano dei raggi che poi tornavano indietro. Erano rettiliani e umanoidi, cercavano di farmi comprendere non con le parole ma con i gesti. Volevano che guardassi

all’interno dei loro corpi. Ho guardato dentro e ho capito la riproduzione, come si è prima della nascita e il passaggio nel corpo. Dopo aver compreso quel che volevano comunicarmi, non sono svaniti, ma sono restati lì per un po’ di tempo. La loro presenza era molto solida». A quel punto della ricerca avevo già sentito di molti incontri del genere e potevo dunque avvalorare la sua esperienza: «Non te lo aspettavi». «Cerco di programmare e di procedere con un’idea di cosa

vedere, ma semplicemente non ci riesco. Pensavo che stessi sviluppando la tolleranza, ma poi, tutt’a un tratto... sono spuntati questi tre tizi o esseri». Sembrava un po’ in difficoltà nel raccontare la sua esperienza, e cercai di entrare in empatia con la sua perplessità dicendogli: «È davvero strano». «Certo che lo è. Mentre mi toglievo la mascherina, non ero sicuro di volertene parlare». La terza dose di Chris fu relativamente tranquilla. Restò consapevole del proprio corpo, del

suo battito nel petto e dello stomaco che brontolava per la fame. La sua quarta dose approfondì i temi delle tre sessioni precedenti e si concluse con molte caratteristiche di un’esperienza mistica: «Stavano cercando di farmi vedere quante più cose possibili. Comunicavano attraverso le parole. Sembravano dei clown, dei buffoni, dei pagliacci o dei folletti. Ce n’erano tantissimi impegnati nei loro giochetti. Mi ci ero abituato. Ero incredibilmente calmo e mi sembrava di trovarmi in un luogo straordinariamente tranquillo. Poi

ho ricevuto un messaggio che mi diceva che mi era stato dato un dono, che quello spazio era mio e che potevo andarci in qualunque momento. Dovevo sentirmi fortunato ad avere una forma, a essere vivo. La scena andò avanti all’infinito. C’erano delle mani di colore blu, cose che svolazzavano, e poi migliaia di cose sono uscite da queste mani blu. Ho pensato: “Che spettacolo!” Era davvero curativo. Era parte di me, non qualcosa di separato. Ciò mi rassicurava sul fatto che tutto questo non sarebbe sparito: era mio ed era stata

stabilita una connessione. L’intera esperienza è stata davvero fondamentale per il mio sviluppo spirituale. Era quello che avevo cercato di fare con l’LSD, una sorta di auto-iniziazione. Con l’LSD per certi versi aveva funzionato e per altri no». Ancora più strani sono i racconti di come queste forme di vita dei mondi invisibili hanno agito, in modo più o meno invasivo, sui volontari nel corso delle sessioni con la DMT . Jim, un insegnante di trentasette anni, era un volontario che non

amava parlare molto delle sue esperienze. Durante lo studio sulla tolleranza parlammo di come andare oltre i colori brillanti, che finivano col distrarlo. Sentiva che ci potevano essere delle entità dietro i colori, e lo incoraggiai ad andare a vedere se ci fossero. Dopo essere riemerso dalla sua ultima dose, disse in modo sbrigativo e tagliente: «Come mi hai suggerito, sono andato con loro. C’erano dei ricercatori clinici che esploravano l’interno della mia mente. Mi hanno inserito nelle pupille delle specie di lunghi arnesi a fibra ottica».

Erano anni che avevamo smesso di usare il pupillometro, perciò non aveva nulla a che fare con quello che stava succedendo nella stanza 531. Gli domandai come gli era sembrato. «Era abbastanza strano, ma ho pensato che fosse causato solo dalla droga». Jeremiah, all’età di cinquant’anni, era uno dei nostri volontari più anziani. Era andato in pensione di recente dopo aver prestato servizio nell’esercito per decenni e stava iniziando una nuova fase della sua vita professionale, seguendo un

corso di formazione in counseling clinico. Inoltre stava dando avvio alla sua terza famiglia, e a metà dello studio sulla reazione alla dose si sottopose a un intervento di lifting al volto. Era un uomo molto impegnato. Nel corso dei primi minuti della sua dose elevata di DMT non in cieco, Jeremiah se ne uscì con diverse esclamazioni: «Oh!», «Wow!», «Incredibile!» Iniziò a illuminarsi, un sorriso enorme dipinto sul viso. Sembrava passarsela molto bene. «C’era una nursery tecnologicamente avanzata, con un

solo Gumby, alto quasi un metro, che si prendeva cura di me.72 Mi sentivo come un neonato. Non un neonato umano, ma un neonato imparentato con quegli esseri intelligenti rappresentati dal Gumby. Lui sapeva che ero lì, ma non era particolarmente interessato. Era come se da parte sua vi fosse un interesse distaccato, simile a quello di un genitore che guarda il figlio di un anno all’interno del box. Mentre mi addentravo in tutto ciò, ho sentito un suono: hmmm. Poi due o tre

voci maschili che parlavano. Una di loro ha detto: “È arrivato”. Ho sentito l’evoluzione compiersi. Questi esseri intelligenti ci osservano. C’è speranza oltre il casino che abbiamo combinato. Non potevo modificare per nulla quell’esperienza. Non me la potevo aspettare e nemmeno immaginare. Fu una sorpresa totale! Cercai di aprirmi all’amore, ma fu sciocco da parte mia. Tutto quello che potevo fare era osservare». Trovai questo ultimo commento particolarmente interessante perché metteva in dubbio la mia congettura

che ciò che Jeremiah aveva incontrato fosse un prodotto della sua mente, anziché una “reale” percezione. “Aprirsi all’amore” è un modo di dire simbolico per indicare lo sforzo di tramutare in amore l’ansia provocata da un’esperienza inaspettata o spiacevole. Se quello che Jeremiah aveva appena visto era solo frutto della sua immaginazione, sarebbe stato in grado di alterare le sue reazioni. Il fatto di percepire “sciocco” il suo tentativo mi fece ricordare dell’inutilità di cercare di “aprirsi all’amore” nei confronti di un

camion in arrivo. “Aprirsi all’amore”, dopo essere stato catapultato in una nursery aliena, era una risposta talmente inutile e inappropriata da sembrare sciocca. Alcuni mesi più tardi Jeremiah ricevette la sua dose da 0.4 mg/kg di DMT in doppio cieco. Al quinto minuto iniziò a dire: «È stata molto più forte della prima dose massima. È un mondo diverso. Ci sono degli strumenti fantastici, cose che sembrano macchine. Una persona azionava alcuni di questi arnesi. Io mi trovavo in una grande

stanza, mentre lui era da qualche altra parte nella stessa stanza. Mi gira un po’ la testa... tutti i mie sensi sono acuiti... sento dei piccoli tremori per tutto il corpo». «Forse chiudere gli occhi ti può aiutare. Ecco, lascia anche che ti copra con una coperta». «C’era una grande macchina al centro, con dei tubi rotondi che quasi si arrotolavano, non proprio come dei serpenti, ma in un modo più tecnico. I tubi non erano aperti all’estremità. Erano dei tubi solidi, di colore blu-grigio, fatti di plastica? Sembrava che la macchina mi

stesse ricablando o riprogrammando. C’era un umano, per quel che ne posso dire, in piedi accanto a una specie di console, che rilevava i dati e azionava dei comandi. Era occupato, impegnato nel suo lavoro. Ho osservato alcuni dei risultati su quella macchina, forse si riferivano al mio cervello. Era un po’ inquietante, e così intenso da sembrare insopportabile. Tutto era iniziato con un gemito, un ronzio». L’ultima sessione in doppio cieco di Jeremiah fu con la dose da 0.2 mg/kg, meno intensa ma

indubbiamente psichedelica. In questa sessione era circondato dalla gabbia di trazione ortopedica, la quale, a detta sua, non gli dava fastidio. Quella mattina Josette aveva sostituito Cindy come nostra infermiera. Dopo dieci minuti, Jeremiah iniziò: «C’erano quattro diversi esseri che mi guardavano dall’alto, come se mi trovassi sul letto di una sala operatoria. Ho aperto gli occhi per vedere se eravate tu e Josette, ma non si trattava di voi. Avevano fatto qualcosa e ora stavano osservando i risultati. Sono molto

avanzati dal punto di vista scientifico e tecnologico. Stavano guardando proprio al di sopra della gabbia di trazione di fronte a me. Credo che stessero dicendo: “Arrivederci, fatti vivo!”». Josette disse che alcune delle cose descritte da Jeremiah le ricordavano di alcuni sogni “strani” che aveva fatto, e proseguì raccontandocene uno. Jeremiah ribatté: «Quello che hai descritto era un sogno. Questo invece è reale. Totalmente inaspettato ma assolutamente costante e oggettivo. Si potrebbe

spiegare la sensazione di essere osservati con il fatto che voi guardavate le mie pupille, mentre i tubi che sentivo nel mio corpo potrebbero essere i tubi che sto osservando ora. Ma sarebbe una metafora, mentre quello che ho vissuto non lo era affatto. È una realtà indipendente e costante». Josette raccolse gli ultimi campioni di sangue e lasciò la stanza, chiudendo la porta dietro di sé. Io e Jeremiah ci rilassammo. «La DMT mi ha mostrato la realtà del fatto che esiste un’infinita varietà di realtà. C’è la reale

possibilità di dimensioni parallele. Potrebbe non essere così semplice come se si trattasse di altri pianeti alieni con i loro tipi di società. Questa è troppo vicina. Non è come alcuni tipi di droga. È un’esperienza con una nuova tecnologia piuttosto che con una droga. Puoi scegliere se venirne coinvolto o meno. Continuerà a svolgersi anche se non gli presti attenzione. Non ritorni da dove sei partito, ma da dove le cose sono continuate dal momento in cui tu sei partito. Non si tratta di un’allucinazione, ma di

un’osservazione. Quando sto lì non mi sento drogato, ma sono lucido e sobrio». Le sessioni di Dmitri proseguono con i temi riguardanti la sperimentazione e i test sui volontari una volta che la molecola dello spirito li aveva condotti nei reami non materiali. Quando iniziò lo studio con la DMT , Dmitri aveva ventisei anni. Era di origine greca e viveva con Heather, della cui esperienza nei mondi invisibili abbiamo letto nel capitolo 12. Era uno scrittore e un editor, oltre che un navigato e

determinato esploratore dello spazio interiore. Aveva fumato DMT una sessantina di volte, fatto uso di LSD «centinaia di volte», provato la ketamina dalle cinquanta alle cento volte e l’MDMA una trentina di volte. Quando giunsi nella sua stanza, Dmitri non era particolarmente entusiasta del programma del giorno: «Non sono particolarmente eccitato, so che si tratta solo di una piccola dose». «Aspetta che arrivi domani» gli risposi. Dieci minuti dopo l’iniezione di quella prima piccola dose, Dmitri

disse: «Era una quantità abbastanza psichedelica, più di quanto mi aspettassi». Il giorno seguente si unirono a noi il dottor V. e il suo assistente, il signor W. Il dottor V. lavorava per la NIDA , l’agenzia che finanziava la mia ricerca. Stava mettendo a punto un progetto per curare i tossicodipendenti con l’ibogaina, un allucinogeno di origine africana. Voleva vedere gli effetti di una potente droga psichedelica somministrata in un setting di ricerca.

Il signor W. era stato tra i più disponibili, all’interno del labirinto burocratico, durante la mia ricerca di DMT per uso umano. Ero felice di condividere con lui i risultati della sua collaborazione. Quel giorno era con noi anche la ragazza di Dmitri, Heather. Considerando Dmitri, Laura e io, in totale eravamo sei persone. La stanza 531 era affollata. Quasi subito dopo aver completato l’iniezione, Dmitri iniziò a respirare in maniera rapida e profonda. Sospirava ripetutamente e sbadigliava come per espellere la

tensione fisica. Dopo circa nove minuti, chiese dell’acqua e ci ringraziò quando gliene offrimmo alcuni sorsi. Dopo essersi bagnato le labbra iniziò: «Mi sento come se fossi in un lieve stato di shock. Mi sento tremare tutto». «Qui c’è una coperta». «Grazie». «Non dimenticarti di respirare. C’è molta energia da rilasciare». Chiesi a Laura di andare fuori in corridoio e spegnere gli interruttori di alcuni apparecchi che stavano suonando. Dmitri non era completamente sicuro di cosa

stavamo facendo. Decise di ignorare il trambusto. «La prima cosa che ho notato è stata una bruciatura dietro il collo. Poi c’era questo forte ronzio. All’inizio sembrava il ventilatore, però era un rumore a sé. Ha iniziato a inghiottirmi. Mi sono lasciato andare e poi... WHAM! Mi sentivo come se fossi in un laboratorio alieno, in un letto d’ospedale come questo, ma si trovava laggiù. Era una specie di piattaforma di atterraggio o un’area di recupero. C’erano degli esseri. Stavo cercando di trovare un modo

per capire cosa stesse succedendo. Sono stato trasportato con un carrello. Il luogo non sembrava alieno, ma la sensazione era quella. C’era uno spazio tridimensionale. Mi aspettavo di vedere delle creature tipo cartoni animati, come una pubblicità dell’LSD, ma qui il motto era: “Oh mio Dio! Oh mio Dio!” È stata diversa da qualsiasi altra esperienza con la DMT che ho avuto. Avevano uno spazio pronto per me. Non erano così sorpresi come lo ero io. Era incredibilmente nonpsichedelico. Ero in grado di

prestare attenzione ai dettagli. C’era una creatura principale che sembrava essere dietro a tutto, supervisionando ogni cosa. Gli altri erano dei subordinati, o degli insubordinati. Hanno attivato un circuito sessuale e ho ricevuto una scarica di incredibile energia orgasmica. Una buffa mappa è apparsa all’improvviso come i raggi X dei cartoni animati, e un’illuminazione gialla indicava che il relativo sistema, o la serie di sistemi, erano a posto. Stavano verificando i miei strumenti, testandoli. Quando stavo

per riemergere, non potevo fare a meno di pensare che fossero “alieni”. Sono così dispiaciuto per non avergli parlato. Ero confuso e in soggezione. Sapevo che mi stavano preparando per qualcosa. In un certo senso avevamo una missione. Avevano delle cose da mostrarmi, ma stavano aspettando che prima familiarizzassi con l’ambiente, con i movimenti e col linguaggio di quel luogo». L’atmosfera nella stanza era surreale. Era piena di persone e c’era una storia molto singolare.

Speravo che il dottor V. e il signor W. stessero bene. Mi domandai anche se la settimana seguente avrei perso il mio finanziamento. O forse l’avrei visto raddoppiare? «Non era come una delle abduction da parte degli UFO di cui ho sentito parlare. Questi esseri erano amichevoli. Avevo un legame con uno di loro. Mi stava per dire qualcosa, o ero io che stavo per parlargli, ma non riuscivamo a stabilire una vera e propria connessione. Era quasi un legame di carattere sessuale, ma non si trattava di sesso inteso come atto

sessuale quanto di una comunicazione che coinvolgeva il corpo intero. Ero pervaso da sentimenti d’amore nei loro confronti. Il loro lavoro aveva sicuramente qualcosa a che fare con la mia presenza. Di cosa si trattasse esattamente, resta un mistero». Concludiamo questo capitolo con uno dei casi più impressionanti di intervento realizzato su uno dei volontari da parte di questi esseri di un altro mondo. Nell’esperienza vissuta da Ben, non si limitarono a sottoporlo a test e a sondare i suoi

meccanismi, ma gli impiantarono anche qualcosa nel corpo. Ben aveva ventinove anni e si era recentemente trasferito da Seattle. Nel giro di dieci anni aveva cambiato ben trenta lavori. Era un vecchio amico di Chris, del quale abbiamo già visto l’esperienza di contatto con entità. Nel corso di uno dei suoi periodi di lavoro più lunghi, Ben aveva prestato servizio come poliziotto militare per due anni. Era un tipo duro: sbarbato, con i capelli quasi completamente rasati, un fisico muscoloso e un modo di

fare molto diretto. Era in costante ricerca di novità e cambiamenti, per cui non c’è da sorprendersi se tra le motivazioni per cui voleva partecipare allo studio sulla DMT aveva scritto: «Sono un esploratore, e mi aspetto di vivere un’esperienza interessante». Come nel caso di Dmitri, anche la sessione di Ben con la dose minima non in cieco fu relativamente forte. La sua alta sensibilità alla DMT ci fece presumere che forse il giorno successivo avrebbe avuto una delle più intense esperienze

psichedeliche della sua vita. Lo invitai a prepararsi. Sebbene quel giorno fosse un po’ nervoso, Ben non vedeva l’ora di cominciare con la sua dose elevata non in cieco. Ci misi un po’ più tempo del solito per prepararlo, e gli consigliai di provare a fare qualche profondo respiro mentre la DMT entrava. «Potresti fare un inspirazione e non ricordarti altro; potresti perfino non accorgerti della successiva espirazione. Questo significa che sarai lì».

Ben cercò di respirare profondamente mentre la droga stava entrando. Poi il suo respiro si calmò quando ormai era sotto l’effetto della droga. Si poteva vedere chiaramente il suo cuore battere nel petto. Dopo circa tre minuti il suo collo mostrava un po’ di orticaria, una reazione che si era già manifestata in diversi altri volontari che avevano vissuto delle esperienze davvero stupefacenti. All’ottavo minuto vi furono degli spasmi in tutto il corpo e Ben si schiarì la voce.

Era ora di cercare di riportarlo a terra: «Ti sto per coprire con una coperta. Se puoi, cerca di mandare il respiro dove c’è tensione». Rallentò il respiro e cominciò a calmarsi; un grande sorriso gli apparve sul volto. Rimase in silenzio per trentasei minuti, più a lungo rispetto alla maggior parte dei nostri volontari, finché non lo svegliai. «È cominciato con un suono. Era acuto come un cavo saldamente tirato. C’erano quattro o cinque di loro. Mi furono subito addosso. Per

quanto strano possa sembrare, somigliavano a dei cactus saguaro giganti, molto peruviani nel colore. Erano dei cactus flessibili, mutevoli e geometrici. Non erano solidi. Non mostravano un atteggiamento benevolo, ma nemmeno negativo. Facevano delle vere e proprie indagini. Sembrava che sapessero di avere poco tempo e volevano sapere che cosa io – ovvero quella creatura che si era presentata – stessi facendo. Non ho risposto, ma loro sapevano. Non appena si sono convinti che ero a posto, hanno proseguito con le loro faccende».

I suoi occhi erano aperti, lucidi e fissavano il soffitto. Sembrava incapace di comprendere quel che gli era appena successo. «Lo so, ti sembra incredibile. Anche per noi lo è, ma è successo». Con titubanza, quasi non fosse davvero sicuro di volercelo raccontare, disse: «Ho sentito come se qualcosa mi venisse inserito nell’avambraccio sinistro, proprio qui, qualche centimetro sotto il tatuaggio a forma di catena che ho sul polso. Era un oggetto lungo, per niente rassicurante. Faceva semplicemente il suo lavoro».

«Hai avuto paura?» gli domandò Laura. «Forse all’inizio, quando il mio ego era appena stato spazzato via. Quando mi erano addosso, c’era più una sensazione di confusione che di paura. Cercavo più che altro di capire cosa stesse accadendo. E poi loro erano lì, ma non ho avuto nemmeno il tempo di chiedergli: “Chi diavolo siete? Vediamo i vostri documenti!”». C’è una coerenza sorprendente e impressionante tra i resoconti dei volontari che hanno come oggetto il contatto con esseri dei mondi

invisibili. I suoni e le vibrazioni si sviluppano finché la scena si trasforma in modo quasi esplosivo in un regno “alieno”. I volontari si ritrovano su un letto, o su una piattaforma di atterraggio, in una specie di laboratorio o in una stanza tecnologicamente avanzata. Gli esseri dall’intelligenza superiore di questi “altri” mondi sono interessati al soggetto; in apparenza sembrano pronti al suo arrivo e non perdono tempo nel “mettersi al lavoro”. Può esserci una particolare entità al comando che dirige gli altri. Spesso i volontari fanno commenti sulla

qualità emozionale delle relazioni che si creano con questi esseri: amore, premura o distacco professionale. Il loro “lavoro” sembrava essere quello di fare dei test, esaminare, analizzare e perfino modificare la mente e il corpo dei volontari. Talvolta all’inizio venivano fatti dei test, e se i risultati si rivelavano soddisfacenti, avevano luogo ulteriori interazioni. Inoltre, essi comunicavano con i volontari cercando di trasmettergli informazioni per mezzo di gesti, telepatia o immagini visive. Lo

scopo del contatto era misterioso, ma molti soggetti percepirono un tentativo benevolo da parte di quegli esseri per migliorarci come individui o come razza. Rimasi confuso e stupito dalla natura bizzarra e dal tono sincero di questi resoconti. Le mie risposte brevi e secche ai racconti dei volontari in questo capitolo rivelano chiaramente le mie perplessità. All’inizio cercai di evitare la tentazione di sviluppare un qualsiasi modello esplicativo, sia a mio beneficio che a quello dei volontari. Dopo un po’, tuttavia, noi

tutti avevamo bisogno di dare un senso a questo tipo di sessioni. In qualità di psichiatra, accarezzavo l’idea che la frequenza e la coerenza di questi resoconti, nonché il loro forte realismo, avrebbero avvalorato una spiegazione di carattere biologico. Stavamo attivando specifiche aree nel cervello, strettamente collegate tra loro, che innescano una sequenza di visioni e di sensazioni a livello della mente. In quale altro modo potrebbero così tante persone riportare simili esperienze con creature rettiliane o insettoidi?

Credevo che queste esperienze fossero allucinazioni, sebbene piuttosto complicate: semplici prodotti della chimica cerebrale originati da una droga “allucinogena”, tipo un sogno lucido. Durante le sessioni con dosi elevate di DMT , in alcuni volontari si verificava il movimento rotatorio dei bulbi oculari all’interno delle orbite, similmente al “movimento rapido degli occhi” (REM) che si ha durante il sonno quando si sogna. Forse la DMT induceva uno stato di sogno lucido.

Ad ogni modo, i soggetti della ricerca si opposero in maniera tenace a queste spiegazioni di carattere biologico, perché riducevano la vastità, la consistenza e l’innegabilità dei loro incontri. Come si poteva credere che ci fossero delle parti di tessuto cerebrale che, una volta attivate, mostravano per un attimo incontri con esseri, esperimenti e riprogrammazioni? Nemmeno l’ipotesi che si trattasse di un sogno lucido soddisfaceva il bisogno dei volontari di trovare un modello che desse un senso alla loro esperienza.

Molti di loro iniziavano i loro resoconti dicendo: «Non era un sogno» o «Non me lo sarei potuto inventare nemmeno se avessi voluto». A un livello leggermente più teorico, cercai una spiegazione di tipo psicologico. In pratica, queste esperienze erano il simbolo di qualcos’altro: desideri, paure e conflitti irrisolti. Ad ogni modo, queste spiegazioni “simboliche” non ebbero maggior successo. Persino le mie interpretazioni più ostinate facevano gradualmente fiasco. In che modo tali esperienze potevano

riflettere aspetti psicologici inconsci come tendenze all’aggressività e alla dipendenza? Per alcuni volontari il bisogno di dare un senso alle sessioni più bizzarre risultava quasi accademico: «Era solo la droga». Per altri, tuttavia, questo bisogno si faceva più pressante. Come avrebbero potuto accogliere l’esperienza appena fatta? Era stata la loro immaginazione? Ma come aveva potuto la loro immaginazione creare uno scenario più reale di quello della coscienza ordinaria? E se quello fosse stato “reale”, come

potevano ora vivere la propria vita sapendo dell’esistenza di altri universi paralleli e invisibili abitati da forme di vita intelligenti? Chi sono questi esseri? Qual è la natura della loro relazione con i volontari una volta stabilito il “contatto”? A un certo punto decisi dunque di abbandonare l’approccio riduzionista e materialistico del tipo: «So io di cosa si tratta». Non che ciò mi aiutasse a sentirmi più a mio agio con quello che mi veniva raccontato. Ma almeno non avrei più rischiato di peggiorare le cose interpretando le esperienze delle

persone nel modo sbagliato. Interpretare, spiegare o al contrario minimizzare i loro resoconti di solito portava i volontari a chiudersi, e sapevo che avrei perso dei pezzi importanti e preziosi dell’intera storia se non riuscivo a incoraggiarli a parlare. Così, come un esperimento mentale, decisi di agire come se i mondi che i volontari avevano visitato e gli esseri con i quali avevano interagito fossero reali, proprio come lo era la stanza 531, il letto d’ospedale, l’infermiera e io stesso. C’era ora la libertà di

rispondere in maniera più empatica e di vedere dove ciò ci avrebbe condotto. Ciò rese anche possibile iniziare a considerare altre vie per comprendere quei resoconti inspiegabilmente coerenti dei volontari. Nonostante ciò, c’era un certo disagio nell’adottare questo approccio in risposta ai resoconti sul contatto. Iniziai a domandarmi se non stessi per iniziare ad addentrarmi in una specie di psicosi condivisa. Anche i volontari se lo chiedevano. Dopo aver sentito di

incontri simili dai loro compagni durante una riunione indetta alla fine dello studio, alcuni soggetti decisero di formare un gruppo di supporto della DMT che si incontrava ogni mese o due. Il motivo? «Non posso parlare con nessuno di queste cose». «Nessuno capirebbe, è troppo strano». «Voglio ricordare a me stesso che non sto impazzendo». 70. Z. Boszormenyi e Stephen I. Szára, Dimethyltryptamine Experiments with Psychotics, in «Journal of Mental Science», n. 104, 1958, pp. 445-453.

71. William J. Turner Jr. e Sidney Merlis, Effect of Some Indolealkylamines on Man, cit. 72. Gumby era un personaggio di uno spettacolo televisivo americano per bambini della fine degli anni ’50 e dei primi anni ’60. Era fatto di un materiale simile all’argilla modellato su di un filo metallico. In questo modo era possibile fargli assumere diverse forme, e ciò era molto apprezzato dai bambini che creavano così il proprio Gumby, alto una trentina di cm. Il fido compare di Gumby era Pokey il cavallo. Gli animatori piegavano e muovevano i corpi di argilla di Gumby e Pokey, e poi li filmavano utilizzando la fotografia time-lapse, dando in questo modo l’impressione del movimento.

Capitolo 14

CONTATTO ATTRAVERSO IL VELO: 2

In questo capitolo descriveremo due dei casi più complessi di contatto con entità che abbiamo visto nella nostra ricerca in New Mexico. Sebbene siano qualitativamente simili ai racconti già letti nel capitolo precedente, si distinguono in virtù dei loro dettagli e del significato particolarmente

profondo che hanno avuto per i volontari, Rex e Sara. Le loro storie esemplificano quanto lontano la DMT , la molecola dello spirito, ci possa condurre all’interno di mondi e scenari che non possiamo lontanamente immaginare. Queste sessioni particolari rappresentano la punta di diamante di questa serie di esperienze intense e assolutamente inaspettate. Mi lasciarono inoltre allibito e sconcertato nel vedere dove la molecola dello spirito ci stava conducendo. Fu a questo punto che iniziai a chiedermi se non mi fossi

spinto troppo oltre con questa ricerca. Le esperienze erano tali che i modelli della mente, del cervello e della realtà iniziavano a sembrare troppo limitati per recepire e contenere la natura di quello che volontari come Rex e Sara stavano sperimentando. Cominciai anche a domandarmi quanto fossimo in grado di fornire supporto, comprensione e aiuto ai nostri volontari nell’integrare queste esperienze ultraterrene. Stavamo aprendo il vaso di Pandora? Come avrebbero vissuto la loro vita i volontari da quel momento in poi,

dopo aver sperimentato una realtà tanto inspiegabile quanto reale? Cosa potevamo dirgli per attenuare la loro confusione? Sara era DMT -34 e Rex DMT -42. Quando si offrirono come volontari, più di due anni e mezzo dopo l’inizio del progetto sulla DMT , avevamo raggiunto una certa familiarità, sebbene fosse una familiarità un po’ turbolenta, con i racconti di incontri con forme di vita intelligenti. Se le loro sessioni avessero avuto luogo prima nel corso della ricerca, probabilmente non gli saremmo stati così d’aiuto e

nemmeno avremmo appreso tutti i dettagli dei loro racconti. Può darsi che le sessioni di Rex e Sara siano state così straordinarie perché entrambi riuscirono a sospendere immediatamente la propria incredulità e il proprio turbamento nel momento in cui la molecola dello spirito aprì le porte dei mondi invisibili e gli presentò gli abitanti di quei luoghi. Sia Rex che Sara avevano attraversato molte vicissitudini nella loro vita ed erano incredibilmente capaci di mantenere la lucidità anche in situazioni stressanti e spaventose.

Affrontarono dunque quel tipo di esperienze con l’intento di imparare il più possibile da esse, senza trascurare nulla, ma accogliendo tutto quello che potevano. Rex aveva quarant’anni quando si offrì come volontario nel nostro studio. Mentre prestava servizio nelle forze armate aveva assunto PCP , o polvere d’angelo, pensando che si trattasse di THC, il componente attivo della marijuana. Ciò scatenò una psicosi e fu ricoverato in un ospedale psichiatrico per una settimana. Era andato al college per alcuni anni,

ma aveva abbandonato gli studi a causa delle difficoltà economiche e della mancanza di una casa. Dopo aver affrontato un divorzio in giovane età, aveva sofferto di depressione. Nonostante queste difficoltà la sua attuale salute emotiva era buona, e avevamo poche preoccupazioni circa la sua capacità di far fronte al nostro studio. Rex aveva un aspetto da duro, ma era molto più mite di quello che sembrava. Gli occhi, i capelli e i baffi scuri risaltavano ancora di più sulla sua carnagione pallida. Fu

l’unico volontario che si rivolgeva a me più spesso come “Dr. Strassman” anziché “Rick”. Sebbene fosse un falegname specializzato, aveva anche vinto dei concorsi locali di scrittura creativa. Era vagamente vicino alla religione Wicca, i cui rituali sono basati sulla natura. Queste furono le sue motivazioni per fare il volontario: «Voglio esplorare le potenzialità della mente, la natura della realtà concreta e di quella percepita, e il nostro rapporto con la realtà e con Dio. Spero di ottenere perlomeno

una maggiore conoscenza di me stesso». La reazione di Rex alla sua prima dose di DMT , quella minima somministrata non in cieco, fu sorprendentemente forte e sapevo che il giorno successivo avrebbe avuto delle esperienze potenti. Dopo cinque minuti dalla prima iniezione con la dose minima, disse: «Sentivo un ronzio. Non riesco a dire se si trattava del climatizzatore. Poi ho sentito come se all’improvviso accanto a me ci fossero uno o più alieni, vagamente umanoidi. Erano circondati da

colori serpeggianti che seguivano i contorni del loro corpo. Stando a quanto avevo letto, mi aspettavo di trovare dei folletti e non qualcosa del genere. Il letto girava e oscillava in modo sgradevole e allarmante. Sentivo un po’ di oppressione al petto. Questa sensazione si trasformò poi in una presenza aliena. Cercai di stabilire un contatto e di rilassarmi. La presenza sembrava mantenere un maggior controllo: era interessato a me e alla mia paura. Ricordo che quando da bambino provavo la stessa sensazione di

paura, cercavo di rilassarmi dicendo a me stesso: “La cosa peggiore che mi può capitare è di raggiungere Dio”». Sapevo che il giorno successivo Rex avrebbe avuto un incontro potenzialmente devastante con gli esseri che aveva appena visto. Mi sembrò giusto avvisarlo, prepararlo meglio che potevo, sulla base delle altre esperienze. Ciononostante, fu strano sentirmi dire: «Sembrano proprio interessati a te, alle persone, in particolare alle loro sensazioni».

«Fico!» disse cercando di mantenere un tono disinvolto. «Sii pronto a venire smembrato domani. So che è un suggerimento sinistro, ma sembra che ti stia aspettando un viaggio veramente tosto». Il mattino seguente, al risveglio, ero nervoso. Che ne sarebbe stato di Rex? Entrambi eravamo preoccupati dalla sua reazione a una dose che era un ottavo di quella che avrebbe ricevuto oggi. Ci mettemmo subito al lavoro. «Credo di essere preoccupato più

che altro per le vertigini, ho paura di stare male» mi disse. Il suo commento mi fece ricordare di una pratica di meditazione tibetana che avevo imparato molti anni prima. Il metodo consisteva semplicemente nel chiedere ripetutamente a se stessi: «È questo ciò che sono?» Qualunque risposta si dava – «Il mio corpo», «Il mio lavoro», «Le mie relazioni» – l’importante era chiedersi di nuovo: «È questo ciò che sono?» Il corpo, la mente, il senso d’identità, le opinioni, i sentimenti, tutto iniziava a svanire. Questa meditazione mi

aveva turbato così tanto che ero corso fuori a vomitare. Mi domandavo se a Rex sarebbe accaduto qualcosa del genere. «A volte la nausea e le vertigini possono essere collegate a qualcosa che non vuoi riconoscere, qualcosa di profondo ma evidente. C’è qualcosa di importante in questi giorni a cui stai cercando di non pensare?» «Ho rotto con la mia ragazza circa sei settimane fa e stamattina le ho telefonato. Non sono sicuro se lasciarla sia stata una buona idea». Donne. Relazioni. Fiducia.

«E riguardo al tuo matrimonio? Com’è stato?» «Le fu diagnosticata una schizofrenia paranoide. Era tremenda. Mi ha fatto delle cose orribili». Era il momento di buttarsi. «In un certo senso, c’è una specie di paura di impegnarsi» suggerii. «Impegnarsi per te vuol dire venire sfruttati da qualcuno che è completamente pazzo». «Sì» e fece il collegamento. «Ho anche avuto paura della reazione fisica alla droga, di ammalarmi e di morire per una reazione allergica.

Mi sono chiesto se fossi allergico alla droga, con tutta quella pressione che ho avvertito nel petto e nella testa». Ritornando alle sue emozioni, e non al modo simbolico con cui il suo corpo reagiva a esse, continuai a insistere: «La questione dell’impegno è importante. Prima un impegno con te stesso, e poi, una volta preso, un impegno a non avere più un io. Sostanzialmente, un impegno ad aver fiducia che qualcuno ti accudirà, e non abuserà di te, quando ne avrai bisogno».

Andammo avanti per un po’ con questo tema. Dopo mezz’ora sembrava molto più calmo, sebbene ora fossi io ad avere mal di stomaco e le vertigini. Rex era riuscito a sbarazzarsi della sua paura trasferendola su di me. Gli dissi che adesso probabilmente potevamo iniziare. Feci su e giù per il corridoio alcune volte, camminando a passo svelto, andai in bagno a lavarmi la faccia con l’acqua fredda, dopodiché mi sentivo abbastanza in forma. Nei primi minuti dopo l’iniezione Rex restò tranquillamente disteso.

Vedo nei miei appunti il seguente commento dopo aver annotato quanto calmo fosse: «Grazie a Dio». Al settimo minuto, iniziarono a comparirgli sul collo segni di orticaria. Laura prese la fiala di antistaminico che tenevamo a portata di mano nel caso in cui l’orticaria si fosse fatta troppo grave o qualora la reazione allergica si fosse estesa ai polmoni e avesse iniziato ad ansimare. Rex aveva un sistema allergico davvero iperattivo. Come se avesse percepito le nostre preoccupazioni, allungò la mano sinistra e Laura gliela prese.

Al decimo minuto Rex si tolse la mascherina e iniziò a parlare: «All’inizio, quando stavo partendo, c’erano queste creature insettoidi intorno a me. Stavano chiaramente cercando di manifestarsi. Io stavo lottando per liberarmi dell’idea di chi sono o di chi ero. Più lottavo e più diventavano indiavolati, indagando nella mia psiche e nel mio essere. Finalmente sono riuscito a liberarmi di alcune parti di me, perché non ero più in grado di tenermi dentro così tante cose di me tutte insieme. Nel momento in cui l’ho fatto, mi sono aggrappato

ancora all’idea che tutto era Dio, che Dio era amore e che mi stavo arrendendo a Dio e al suo amore perché ero sicuro di stare per morire. Nel momento in cui ho accettato la mia morte e la mia dissoluzione nell’amore divino, gli insettoidi hanno cominciato a cibarsi del mio cuore, divorando i sentimenti di amore e di abbandono. Non è come l’LSD. Le cose si stringevano davvero attorno a me, a differenza dell’immensità dello spazio che si sente con l’LSD. Non c’era la percezione dello spazio.

Tutto era vicino. Non ho mai visto niente del genere. Erano interessati alle emozioni. Mentre mi stavo aggrappando al mio ultimo pensiero, che Dio è amore, mi hanno chiesto: “Anche qui? Anche qui?” Io gli ho risposto: “Sì, certo”. Erano ancora lì ma allo stesso tempo stavo facendo l’amore con loro. Si stavano cibando di me come se stessero facendo l’amore con me. Non so se fossero maschi o femmine o qualcos’altro, ma era qualcosa di estremamente alieno, sebbene non per forza sgradevole. Mi è arrivato con certezza il

pensiero che stessero manipolando il mio DNA , modificandone la struttura. Poi iniziò a svanire. Non volevano che me ne andassi». Ricordandomi di molte altre storie precedenti, dissi: «Sì, sono interessati a noi e ai nostri sentimenti. E no, non vogliono che ce ne andiamo». «Quell’intensità totale era quasi insopportabile. Più lottavo e più quelle figure diventavano sinistre. Ora avrò bisogno di andare in terapia: fare sesso con degli insetti!»

Aggrappandomi ancora a una spiegazione di carattere psicologico per queste strane esperienze, provai a dire: «Sono loro. Le tue paure, i tuoi limiti». Ma Rex non abboccò: «Mmm. Forse, non lo so. Era una comunicazione non verbale. La frase “Anche qui? Anche qui?” non la espressero a parole. Si trattava di una comunicazione empatica, telepatica». Al ventottesimo minuto non sembrava ancora completamente “ritornato”. «Come ti senti ora?»

«In questo preciso momento? Il mio corpo non sembra del tutto mio. C’è ancora qualcosa dell’altra dimensione che vi scorre dentro. Mi sento pervaso da qualcosa di estraneo». «Come ti senti emotivamente?» «Emotivamente, emotivamente... Mi sento leggermente euforico». «Sei felice di essere vivo?» Rise, guardandomi più attentamente: «Sì! Sono contento di essere vivo!» «Potresti essere svenuto mentre si stavano cibando di te. Non ne sarei sorpreso. Probabilmente

farebbe svenire la maggior parte delle persone». «Giusto, è vero. A seconda della persona, potrebbe davvero spingerti oltre il limite. Si tratta del proprio sé? Si tratta di altro? Semplicemente non lo so. Non so da dove provengano queste cose». Come spesso accadeva, rispondere alla scala di valutazione aiutò Rex a colmare alcune lacune del suo racconto. Fece eco a ciò che molti volontari avevano affermato riflettendo sulla realtà dei loro incontri con questi esseri di un altro mondo: «Sul fatto di essere “su di

giri” non so che dire. Ero in possesso delle mie capacità. Ero in grado di osservare in maniera abbastanza chiara. Non mi sentivo stordito o drogato; stava accadendo e basta». Rex ritornò alcune volte per gli studi-pilota per il progetto sul pindololo. Per prima cosa avrebbe ricevuto una dose di DMT . Una volta svaniti gli effetti, gli avremmo somministrato una dose di pindololo per via orale e la stessa dose di DMT novanta minuti dopo. A questo punto, il pindololo avrebbe

dispiegato il suo massimo effetto sui recettori della serotonina. Le dosi da 0.05 e da 0.1 mg/kg di DMT prima senza e poi con il pindololo risultarono relativamente tranquille. Utilizzammo il tempo per analizzare l’incontro con gli insetti alieni divoratori che aveva avuto con la dose elevata. «Ora ho la sensazione che ci sia qualcosa di più a cui non riesco ad accedere nella vita ordinaria. Credo che sia la sensazione di aver stabilito un contatto alieno. Credo di poter avere la possibilità di un

tale contatto nella vita di tutti i giorni. Ci spero. So che è là». «Qual è la natura del sesso con gli alieni?» dovetti chiedergli. «Diresti che è come un rapporto sessuale o è più una sensazione? O cos’altro?» «È positivo e accogliente. Forse è più simile al momento che segue il rapporto sessuale, quando ci si sente vivi e lucidi». Rex ritornò per due dosi da 0.2 mg/kg, una senza e una in combinazione al pindololo. La prima dose da 0.2 mg/kg sembrò avere su di lui un effetto leggero: «Mi rendo conto che quell’intenso

ronzio e le vibrazioni sono un tentativo da parte delle entità della DMT di comunicare con me. Gli esseri erano là e stavano facendo degli esperimenti di qualche tipo su di me. Ho visto un volto minaccioso, ma poi uno di loro ha cercato in qualche modo di tranquillizzarmi. Poi lo spazio si è aperto attorno a me. C’erano creature e macchine. Sembrava di trovarsi nelle profondità dello spazio. Sia le creature che le macchine erano circondate da brillanti colori psichedelici. Lo spazio continuava all’infinito. Loro

lo stavano condividendo con me, permettendomi di vedere tutto ciò. C’era una femmina che, nel momento in cui credevo di stare per morire, è apparsa e mi ha tranquillizzato. Mi ha accompagnato durante la visione delle macchine e delle creature. Quando ero con lei mi sentivo profondamente rilassato e sereno». Ero contento che alla fine Rex avesse trovato un po’ di sostegno all’interno dei suoi trip. «Finalmente un’amica!» «Sì, aveva una testa dalla forma allungata. Credo che i guardiani mi

stessero impedendo di vederla». Cercando di nuovo di interpretare psicologicamente la sua esperienza, dissi: «I guardiani sono prodotti da te. Rappresentano ciò che ti impedisce di vedere quello che c’è lì». E di nuovo, proprio come l’ultima volta, Rex mi rimproverò gentilmente: «Lo so, ma sembrano proprio qualcosa di diverso. Sembrano dei guardiani della soglia, dei custodi. Stavano riversando la comunicazione dentro di me, ma era così intenso che non riuscivo a sopportarlo. Dal volto dell’entità

che mi tranquillizzava fuoriuscivano dei raggi di luce psichedelica di colore giallo. Stava cercando di comunicare con me. Sembrava molto interessata a me e agli effetti che stavo sperimentando grazie ai suoi tentativi di interazione. C’era qualcosa circondato di verde, proprio di fronte a me, in alto. Stava ruotando e facendo delle cose. Lei mi stava mostrando, perlomeno così sembrava, come usare questa cosa che assomigliava al terminale di un computer. Credo che volesse che cercassi di

comunicare con lei tramite quello strumento, ma non riuscivo a capire come funzionava». Ritornammo circa novanta minuti dopo, consapevoli del fatto che questa seduta da 0.2 mg/kg di DMT col pindololo avrebbe potuto essere per lui l’esperienza più intensa mai vissuta con la DMT . Lo avvisai: «Considerando quanto intensa è stata la tua prima sessione da 0.2 mg/kg, questa potrebbe essere piuttosto pesante. Sei pronto?» «Credo di si!» Dopo due minuti la pressione di Rex era piuttosto alta, 180/130, e

feci segno a Laura di ricontrollarla al terzo minuto. Era ancora alta, mentre il battito cardiaco stava rallentando, un normale meccanismo fisiologico di difesa per proteggere il cervello e gli altri organi da un eccessivo aumento della pressione. Ad ogni modo, sembrava stare bene. Al quinto minuto la sua pressione diastolica si assestò sopra i 105. Pensai fra me e me: «La risposta della pressione è troppo elevata». Al dodicesimo minuto si tolse la mascherina, sembrava sconvolto:

«È davvero strano. È come se fossi disteso in un bagno bollente». «Hai caldo?» «Mmm, un po’. Più che altro mi sento intorpidito. Le cose nella stanza sembrano strane. È iniziato davvero forte. Credevo che sarebbe durato per sempre e che non sarebbe mai finito. Si trattava dello stesso posto, con le luci al neon che permettevano di distinguere tutto. Mi trovavo in un’enorme, infinito alveare. C’erano degli esseri insettoidi ovunque. Erano in uno spazio ipertecnologico».

Sollevò le braccia sopra la testa, guardò la mano destra e rise. «A un certo punto ho sentito qualcosa di bagnato a contatto con tutto il mio corpo. Stavano facendo gocciolare delle cose su di me. Tutto lì dentro era amichevole. Non credo di aver perso conoscenza, ma non riesco a ricordarmi tutto». Fissò il soffitto, perplesso. «Mi dispiace, dottore. Non riesco a ricordare». «Va bene. Sei ritornato. È questo ciò che conta». «Ce n’era uno che mi stava a fianco» disse provando a sforzarsi.

«C’era la solita vibrazione pulsante. Volevano che mi unissi a loro, che restassi con loro. Ne ero tentato». «Forse quello che non riesci a ricordare è il luogo in cui sei stato». «Ho guardato in basso verso un corridoio che si estendeva all’infinito. Forse è stato qui che mi sono perso. I movimenti caleidoscopici e fruscianti erano intensi e sono durati a lungo. Poi si sono ridotti e mi sono ritrovato in quell’alveare. C’era un altro essere ad aiutarmi, diverso da quello che ho visto prima.

Era molto intelligente e per nulla umanoide. Non era un’ape, ma le somigliava. Mi stava facendo fare un giro dell’alveare. Era davvero molto amichevole e ho sentito una calda energia sensuale irradiarsi attraverso l’alveare. Ho pensato che doveva essere una cosa meravigliosa vivere in un ambiente così amorevole e sensuale. L’essere mi ha detto che quel luogo è ciò che ci riserva il futuro. Non so perché me lo ha detto, né cosa significava, e se considerarla una cosa positiva o meno. Rammento che mentre stava iniziando il down mi sono detto:

“Voglio ricordare, voglio ricordare”, ma non ci riesco». Dove era stato Rex? Chi erano quegli esseri insettoidi così interessati a lui e che avevano intrecciato delle complesse relazioni, cibandosene e consumandolo, ma anche amandolo e allevandolo? I miei tentativi di fornire un’interpretazione personale di carattere psicologico venivano ignorati, il che accadeva spesso con i nostri volontari quando cercavo di aiutarli a interpretare le loro esperienze in questa maniera.

Rex viveva bene le sue esperienze e le comprendeva a modo suo, riuscendo a collegarle ai sogni via via sempre più complessi e simbolici che iniziò a fare. Cominciò anche a interpretare più seriamente tutto quello che riguardava le piante psichedeliche e lo sciamanesimo. Prima di una delle ultime sessioni dello studio col pindololo, mi chiese di dare un’occhiata a un neo infetto sulla gamba. Gli dissi di consultare immediatamente un dermatologo, che gli diagnosticò un melanoma maligno. Rex non avrebbe più

potuto partecipare a nessun’altro studio fino a quando il suo cancro non fosse stato curato. Per fortuna il melanoma non si era diffuso e fu sufficiente rimuoverlo. Nel frattempo, però, avevo lasciato il New Mexico. Sara iniziò a partecipare al progetto sulla DMT quando aveva quarantadue anni. Viveva con il suo secondo marito, Kevin, il loro figlio piccolo e altri due figli più grandi che aveva avuto dal primo matrimonio. Sara era una scrittrice freelance e stava frequentando una scuola di specializzazione. Era di

corporatura robusta, aveva i capelli rossi e degli scintillanti occhi azzurri. Il suo modo di fare era diretto e quando parlava abbozzava spesso un sorrisetto malizioso. Probabilmente era la volontaria che aveva maggiormente sofferto di depressione, avendo ecceduto con i tranquillanti quando aveva tra i venti e i trent’anni. Fu ricoverata in ospedale per due settimane dopo un tentativo di suicidio e in seguito assunse per diversi anni degli antidepressivi. Nonostante ciò, da dieci anni non prendeva alcun farmaco e si era ristabilita in modo

eccellente, ed era una dei soggetti della ricerca più contenti e profondi. Sara ci disse che un “angelo” le aveva fatto visita da piccola quando aveva la febbre alta, e ora era in contatto con degli “spiriti guida” dai quali riceveva consigli e aiuto. Si considerava «più sensibile della maggior parte delle persone alle energie psichiche e di guarigione». Praticava la religione Wicca, come Rex, ed entrambi si erano conosciuti all’interno della grande comunità Wicca. Sara si offrì come volontaria per lo studio per una «personale

comprensione ed espansione della coscienza. Spero di riuscire ad avere una maggiore comprensione di me stessa e delle mie relazioni con l’universo e i mondi invisibili». Le sue principali paure erano di «trovarsi persa nell’abisso e di non riuscire a essere abbastanza coraggiosa per far fronte alle sfide». L’esperienza di Sara con la piccola dose di DMT fu come quella di altri volontari: piacevole, rilassante e accompagnata dall’impressione che ci sarebbe stato dell’altro. Il giorno successivo, tuttavia, la sessione con la dose elevata fu profonda e

intensa. Vediamo ora gli appunti che mi inviò a distanza di una settimana dagli eventi di quella mattina: «Rick disse: “Va bene, inizieremo tra quindici secondi”. La sua mano fredda sulla mia era l’ultimo e confortante legame con la realtà. Cercai di contare i battiti del cuore, una specie di appiglio mentale a cui potermi aggrappare. Arrivai a contarne tre. C’era un suono, come un ronzio che si trasformò in un sibilo, e poi fui sbalzata fuori dal mio corpo a una velocità tale e con una forza

tale che sembrava la velocità della luce. I colori erano aggressivi e terrificanti; mi sentii come se mi stessero consumando, come se mi trovassi su un nastro trasportatore che procedeva a una velocità supersonica verso i dischi psichedelici del cosmo. Ero terrorizzata. Mi sentivo abbandonata, completamente e totalmente persa. Non sono mai stata così sola in vita mia. Come descrivere la sensazione di sentirsi l’unica creatura nell’universo? Ci sono dei suoni: un canto dai toni acuti, simile a delle voci

angeliche. Ma non sono rassicuranti. Sono impersonali e non fanno caso a me. Sono solamente parte del rumore di fondo di quell’esplosione attraverso il vuoto dell’universo. Era come se mi stessi muovendo a ritroso dalla vita all’interno di un corpo fisico verso la vita come semplice forma di energia. L’essenza di chi sono era l’unica cosa presente nel vuoto, ed era ritornata nell’area di transizione della vita nella quale le anime aspettano di incarnarsi. Mi trovavo in un luogo dove non c’erano forme fisiche di vita, solo colori e suoni.

Gli angeli che intonavano i canti erano lì solo per osservarmi, non per confortarmi. Ma nonostante la loro indifferenza, riportai indietro un’incredibile sensazione di Amore. Una presenza maschile cerca di comunicare con me, ma non capisco. Uso la mia mente per chiedergli: “Cosa?” La risposta è confusa. Sta cercando di dirmi che avrei visto qualcosa. Ma cosa? Provo a domandargli: “Lo saprò quando lo vedo?” La presenza mi ripete che vedrò qualcosa. È attraverso la luce dell’orizzonte che io vedo nella vasta oscurità? C’è un

grande boato. Interferisce con la voce, perché so che è il volo di ritorno che mi riporterà “là fuori”. Sto tornando. La Voce se n’è andata. Inizia con il mio viso che sembra irrigidirsi, indurirsi anziché rilassarsi. Sento il bracciale per la misurazione della pressione. Il resto del mio corpo arriva tutto insieme, e so di essere ritornata completamente. Mi tolgo la mascherina. Provo un affetto profondo e intenso per Laura e Rick, le prime persone che vedo. Mi volto a guardare Kevin. Che gran sollievo».

Sara ritornò anche per lo studio sulla tolleranza. Ecco i suoi appunti di quel giorno memorabile. Non c’è quasi bisogno di aggiungere le mie note. Dose 1 «Nel primo trip c’erano molti colori in movimento. Avevo paura, ma continuavo a dirmi: “Rilassati, arrenditi, accogli l’esperienza”. Poi ho visto qualcosa che posso descrivere solo come una specie di casinò di Las Vegas, con una miriade turbinante di luci lampeggianti. Ero piuttosto delusa. Mi aspettavo una profonda

esperienza spirituale e mi ritrovavo Las Vegas! Ma subito, prima di avere il tempo di essere delusa, sono salita verso l’alto e ho visto dei clown che si stavano esibendo. Sembravano delle marionette o dei pagliacci animati. Ho avuto l’impulso irrefrenabile di ridere. All’inizio avevo mantenuto un atteggiamento abbastanza consapevole, ma non sono riuscita a contenermi e ho riso fragorosamente guardando quei clown. Rick mi aveva avvertito che è normale imbattersi nei clown.

Infatti poi mi ha detto: “Oh, hai visto i clown?”, come se fossero dei vecchi amici o qualcosa del genere. Poi ha aggiunto: “Sì, sono spassosi”. Mi sono sentita più sicura e non più così spaventata». Dose 2 «Stavolta quei colori energici e vorticosi mi erano familiari. All’improvviso, un’entità vibrante è apparsa all’interno dei disegni. È strano descriverla come una specie di “Campanellino” di Peter Pan. Cercava di convincermi a seguirla. All’inizio ero riluttante, perché non sapevo come trovare la via del

ritorno. Quando ho cambiato idea e ho deciso di andare con lei, l’effetto della droga ha iniziato a svanire e non ero più abbastanza “fatta” per seguirla. Le ho detto: “Ora non posso venire con te. Vedi, vogliono che ritorni”. Non sembrava essersi offesa, e infatti mi ha seguito fino a che non ho percepito che avevamo raggiunto il suo confine. Ho sentito come se mi stesse salutando. Il rientro è stato lento, e quasi non volevo togliermi la mascherina. Gli occhi di tutti erano così brillanti quando me la sono tolta!»

Sapevo che Sara era sul punto di scoprire qualcosa, ma la sua forte reazione alle allucinazioni colorate la stava in un qualche modo trattenendo. «Puoi decidere di non entrare in contatto con i colori? Non puoi fare a meno di vederli, ma puoi evitare di reagire a essi». «È meglio avere l’intenzione di fare qualcosa, come voler vedere di nuovo quella piccola creatura luminosa e pulsante?» «La cosa migliore è non avere alcuna intenzione. Se hai l’intenzione di fare qualcosa e poi

non succede, gli rimbalzerai contro. Reagirai contro di essa. Senti solamente il tuo corpo disteso sul letto e cerca di svuotare la mente». Sara annuì e facemmo tutti una pausa per guardare fuori dalla finestra, ammirando la bellezza dei nuvoloni grigi che si stavano formando nel cielo primaverile. Sembrava esausta. Dose 3 «Ho capito che quanto diceva Rick era vero, che la parte più intensa di ogni trip aveva luogo mentre si è intrappolati in questi colori. Questa volta, mi sono fiondata rapidamente

dall’altra parte. Ero in uno spazio oscuro. All’improvviso sono comparsi degli esseri. Erano mascherati, come delle sagome. Erano felici di vedermi e mi dissero che avevano già avuto un contatto con me in una forma individuale. Sembrava che fossero contenti che avessimo scoperto questa tecnologia. Mi sentivo come un ricercatore spirituale che si era spinto troppo oltre, e che, anziché incontrare il mondo dello spirito, aveva superato la propria destinazione, finendo su un altro pianeta.

Questi esseri volevano saperne di più sui nostri corpi fisici. Mi dissero che gli esseri umani esistono su diversi livelli. Avevo bisogno di ricollegarmi con il mio corpo in tempo per il controllo della pressione e per il prelievo del sangue. Era come se fossero loro, anziché Laura, a raccogliere le informazioni, e apprezzavano la mia collaborazione. In un certo senso avevamo qualcosa in comune. Mi dissero di “accogliere la pace”. Ho sentito che iniziavo ad allontanarmi da loro nel momento in cui gli effetti della droga stavano

svanendo. Mentre iniziava il down, ho visto queste cose del loro mondo che non riesco proprio a descrivere. Pensavo a come i nativi del Sud del Pacifico riuscirono a vedere solo le piccole barche del Capitano Cook e non le sue grandi navi fino a quando non vi salirono effettivamente a bordo e le toccarono con mano. Il rientro è stato molto difficile. Ho sentito una specie di perdita, ma ho percepito il raggio trainante dell’amore di Kevin e l’ho seguito». Secondo i miei appunti, Sara a un certo punto si era alzata per andare

in bagno. Al suo ritorno aveva detto: «Sono stanca, ma sono pronta per la quarta dose». «Questa è l’ultima. Ce la puoi davvero fare». «Mi raccomando di ritornare» aggiunse Kevin. Al quinto minuto la pressione sanguigna e il battito cardiaco aumentarono più di quanto era accaduto nel corso di tutta la mattinata, anche a confronto della rilevazione del secondo minuto, quando di solito le risposte dei soggetti si attestano ai livelli massimi. Stava certamente facendo

un grande sforzo, ma solo più tardi avremmo scoperto in merito a cosa. Al decimo minuto, i miei appunti indicano che mormorò: «Abbiamo anche noi delle cose che possiamo offrirti. La spiritualità... Ok, sbrigati. Per di là, per di là. L’ho fatto per te. Di là, puoi uscire». Dose 4 «Andai direttamente nelle profondità dello spazio. Sapevano che stavo tornando ed erano pronti per me. Mi dissero che c’erano molte cose che potevano condividere con noi, nel momento in cui avessimo imparato a

instaurare un legame più prolungato. Di nuovo, volevano qualcosa da me, non solo delle informazioni di tipo fisico. Erano interessati alle emozioni e ai sentimenti. Gli dissi: “Abbiamo qualcosa che possiamo darvi: la spiritualità”. Credo che ciò che intendevo realmente fosse l’Amore. Cercai di individuare il modo per farlo. Sentii un’incredibile energia, una brillante luce rosa con i contorni bianchi, prendere forma alla mia sinistra. Sapevo che si trattava dell’energia spirituale e dell’Amore. Loro erano alla mia

destra, così distesi le mani attraverso l’universo e mi preparai a fare da ponte. Lasciai che questa energia mi attraversasse per farla arrivare fino a loro. Dissi qualcosa del tipo: “Vedete, l’ho fatto per voi. Ora ce l’avete”. Mi ringraziarono. Stavo iniziando a ritornare da quel viaggio con la DMT , stavo perdendo quota. Dovevo tornare indietro. Ero un po’ delusa che quell’esperienza fosse consistita nel “dare”, mentre ciò che volevo era l’illuminazione spirituale. Avrei forse dovuto chiedere prima qualcosa in cambio? Credo di non

sentirmi a mio agio nei panni di un emissario spirituale terrestre. Tuttavia, feci del mio meglio. Ho sempre saputo che non eravamo soli nell’universo. Pensavo che l’unico modo per incontrarli fosse tramite le luci luminose e i dischi volanti provenienti dallo spazio. In effetti non mi era mai capitato di incontrarli nel nostro spazio interiore. Credevo che le uniche cose che potevamo incontrare fossero quelle presenti nella nostra sfera personale di archetipi e mitologia. Mi aspettavo spiriti guida e angeli, non forme di vita aliene».

I miei appunti aggiungono questo piccolo scambio verso la fine della sessione: «Ho visto delle specie di apparecchiature, da cui fuoriuscivano dei bastoncini con delle gemme a goccia. Sembravano delle macchine». «È probabile che fossero macchine». Gli appunti di Sara contengono anche la descrizione del suo stato mentale in seguito a queste sessioni: «È difficile mettere in ordine tutto questo. Era reale? Di certo sembrava reale, ma lo sembrano

anche i sogni mentre stiamo sognando. Eppure c’era qualcosa di diverso da un sogno, perfino dai sogni lucidi che talvolta faccio. C’erano davvero altre forme di vita là fuori? Ho davvero inviato loro il potere dell’Amore e della spiritualità? Cosa ancor più preoccupante, mi avevano marchiato in un qualche modo? Ora mi stanno osservando? Ciò mi fa sentire un po’ pazza e molto confusa. Quel che è peggio, mi sento molto isolata nella mia esperienza. Come potrebbe comprenderla una persona che non

è stata di là? Forse tutta questa storia mi ha fatto impazzire. Di certo so che ha cambiato la mia vita. Che ne farò adesso di questa esperienza? Come farò a tenermi dentro qualcosa di così grande?» Prima di iniziare lo studio sulla DMT non mi era per niente familiare la letteratura sul fenomeno dell’abduction aliena. E lo stesso valeva per molti dei nostri volontari. Non sapevo quasi nulla al riguardo, né avevo il desiderio di saperne di più. Sembrava un argomento ancora più anticonvenzionale dello studio sulle

droghe psichedeliche! Ad ogni modo, quando iniziammo a sentire così tanti racconti di incontri con entità, sapevo di non poter più ignorare il fenomeno. Nonostante il buonsenso, ora mi sento obbligato a misurarmi con le mie opinioni in merito all’esperienza di contatto con “forme di vita aliene”. Esaminiamo dunque le cosiddette esperienze di abduction aliena. Noteremo l’impressionante somiglianza tra questi contatti avvenuti spontaneamente e quelli riportati durante lo studio sulla DMT . Questa notevole sovrapposizione

potrebbe facilitare l’accettazione della mia teoria per cui l’esperienza di abduction aliena è resa possibile da un livello eccessivo di DMT nel cervello. Ciò può verificarsi in modo spontaneo per mezzo di qualsiasi condizione, descritta in precedenza, che attiva la formazione di DMT nella ghiandola pineale. Può anche aver luogo quando i livelli di DMT aumentano per aver assunto la droga dall’esterno, come nel caso del nostro studio. La nostra cultura moderna è affascinata dalle esperienze di abduction aliena. Lo psichiatra

John Mack ha pubblicato diversi resoconti di “addotti”, persone che lui definisce “sperimentatori”, nei libri Rapiti! Incontri con gli alieni e Passport to the Cosmos.73 Quando l’abduction ha inizio, Mack dice: «La coscienza è disturbata da una luce intensa, da suoni che somigliano a canti senza parole, da strane vibrazioni corporee o paralisi [...] o dall’apparizione di uno o più umanoidi o perfino di strani esseri simili all’uomo all’interno del loro ambiente». Mack enfatizza la sensazione di vibrazioni ad alta

frequenza riportata da molti addotti, che potrebbe fare in modo che si sentano come se si stessero disgregando a livello molecolare. Alcuni addotti si trovano in ambienti familiari, come «un parco con altalene», con figure che emergono dallo sfondo. Gli addotti spesso si trovano anche su una specie di tavolo operatorio o lettino da visita. Gli sperimentatori sono totalmente sotto il controllo degli alieni. Nonostante la natura certamente insolita e bizzarra di quello che stanno vivendo, non hanno alcun dubbio che

l’esperienza sia del tutto reale; anzi, la descrivono come «più reale della realtà». Durante questa fase preliminare si manifestano livelli di ansia variabili, specialmente se una persona percepisce che la coscienza si sta separando dal corpo. Per molti, l’esperienza della paura è già di per sé trasformativa. “Lasciarsi andare” al terrore sembra cambiare la natura dell’esperienza da negativa a positiva. La persona può “fluttuare” o, al contrario, farsi strada «all’interno di un tunnel curvo che sembra contenere delle

specie di computer e altre apparecchiature tecniche». Una volta arrivati, «si vedono strani esseri che si muovono indaffarati, svolgendo dei compiti che gli sperimentatori non comprendono bene». Di solito gli addotti riferiscono di aver visto dei tunnel pieni di energia e dei cilindri di luce all’interno di questi ambienti. L’alieno “tipico” assomiglia a quelli generalmente raffigurati dai media: testa grande, corpo magro, grandi occhi, bocca piccola se non assente, pelle grigia. Ad ogni modo, Mack riporta anche frequenti

descrizioni di rettili, mantidi e ragni. Alcuni addotti percepiscono una specie di riprogrammazione neuropsicologica o un trasferimento incredibilmente rapido di informazioni tra gli esseri e lo sperimentatore. Gli alieni possono comunicare utilizzando un linguaggio di simboli visivi universali anziché suoni o parole. Molti addotti raccontano uno scenario complesso in cui gli alieni utilizzano delle macchine per la riproduzione allo scopo di allevare degli «ibridi umano-alieni».

Tuttavia, Mack riferisce che il progetto di ibridazione «non è affatto tutto ciò che accade. [...] Gli addotti possono essere osservati molto da vicino [...] e anche esaminati, esplorati e monitorati. A volte gli sperimentatori sentono che gli alieni si stanno occupando della loro salute, in particolare attraverso esami rattali e al colon, e riportano perfino delle guarigioni. [...] Altre volte gli sperimentatori sostengono che gli siano state inserite delle sonde nel cervello attraverso il naso, le orecchie e gli occhi, e possono sentire una trasformazione

a livello della psiche. [...] Degli impianti vengono inseriti sottopelle [...] e hanno la certezza che si tratti di una specie di dispositivo per rintracciarli e monitorarli». Gli addotti affermano che «gli esseri sembrano essere enormemente interessati al nostro corpo e alle nostre emozioni; sembra, come si dice degli angeli, che invidino il nostro essere incarnati, [...] hanno bisogno di qualcosa che solo l’amore umano può dare». Questo può perfino prendere la forma di incontri sessuali tra alieni e umani. Tali

esperienze «possono andare dall’indifferenza e dall’assenza di contatto fisico fino all’estasi, al di là di ciò che essi conoscono dell’amore terreno». Come descrive Mack, «l’esperienza di un legame tra uno o più alieni e l’addotto è un aspetto notevole e significativo dell’esperienza. [...] Di solito i ricordi iniziali [...] sono di contatti freddi e distaccati nei quali gli alieni (in particolare i rettiliani grigi o gli esseri dalle sembianze di mantidi religiose) rendono la persona del tutto vulnerabile». È frequente

negli addotti percepire di avere un legame speciale con un alieno in particolare. Ed è come se questo alieno fosse “al comando”. La relazione può in seguito svilupparsi fino a raggiungere un grande senso di familiarità, un rapporto denso di significato, e perfino un legame d’amore tra l’addotto e l’alieno. Diversi dei soggetti di Mack riportano di essere “salutati” dagli alieni quando emergono nella loro realtà; gli alieni dicono telepaticamente: «Bentornati!» Alcuni riferiscono di

una serie di incontri iniziati durante l’infanzia. Gli sperimentatori spesso raccontano che gli alieni li avvisano con una certa enfasi che la Terra è in pericolo. Le loro abduction sono legate a questo, in quanto essi forniscono il materiale riproduttivo per il progetto di ibridazione o decidono di diffondere il messaggio della degradazione ambientale a un pubblico più ampio. Mano a mano che il lavoro di Mack con i suoi soggetti progrediva, egli notò un altro elemento ricorrente fondamentale

dell’esperienza di abduction. Si tratta della natura trasformativa e spirituale dell’incontro: «La percezione del collasso spaziotemporale, la sensazione di entrare in altre dimensioni della realtà o in altri universi [...] la sensazione di essere connessi con tutta la creazione». La sensazione degli addotti di sentirsi parte di quel mondo può essere così forte da indurli a desiderare di “non ritornare”. Molti addotti non hanno più avuto paura della morte, sapendo che la loro coscienza sarebbe sopravvissuta alla morte

del corpo. Una persona prese addirittura in considerazione l’idea di suicidarsi per poter tornare in quello stato di beatitudine che aveva vissuto nel corso delle sue abduction. La somiglianza dei resoconti di Mack delle abduction aliene con i contatti descritti dai nostri volontari è innegabile. Come si può dubitare, dopo aver letto i resoconti degli ultimi due capitoli, che la DMT provochi i “tipici” incontri con gli alieni? Se presentassimo i racconti dei nostri volontari, eliminando ogni riferimento alla DMT , chi

sarebbe in grado di distinguerli da quelli degli addotti? I contatti con forme di vita provenienti da altre dimensioni, essendo sconvolgenti e inquietanti, non comparivano mai tra le motivazioni dei volontari per partecipare alla ricerca. E nemmeno era qualcosa che mi aspettavo avvenisse con una certa frequenza. Piuttosto, erano stati transpersonali, mistici e spirituali ai quali aspiravano i volontari. E proprio a questi stati volgeremo ora la nostra attenzione.

73. John E. Mack, Rapiti! Incontri con gli alieni (Mondadori 1995) e Passport to the Cosmos (Crown 1999).

Capitolo 15

LA MORTE E IL MORIRE

Da quando Raymond Moody pubblicò La vita oltre la vita nel 1975, e Kenneth Ring Life at Death nel 1980, l’espressione “esperienza di pre-morte” è entrata a far parte del nostro vocabolario.74 Questi insoliti stati di coscienza notevolmente alterati si verificano quando il corpo si trova di fronte a circostanze che minacciano la vita,

come nel caso in cui uno scalatore cade da un dirupo. Inoltre possono avvenire quando il corpo è già in punto di morte, come dopo un grave attacco di cuore o mentre si sta annegando. A grandi linee, un’esperienza di pre-morte (NDE, near-death experience) è contrassegnata dalla sensazione di un rapido viaggio attraverso un tunnel, talvolta accompagnato da voci, canzoni o musica. C’è la presenza di “altri”: parenti, amici e membri della famiglia vivi o morti. Questi esseri possono anche assumere la forma

di spiriti, angeli o di altri “aiutanti”. Può arrivare la comprensione che uno sia davvero morto. Molti sperimentano un’immensa pace e serenità, mentre altri raccontano di immagini ed emozioni terrificanti. Alcuni vivono un “riassunto della loro vita”, una sequenza veloce e ordinata di ricordi personali che terminano al momento presente. Altri ancora sentono il “comando” di ritornare in vita perché non è arrivato il loro momento per morire. Le NDE possono culminare nella fusione in una luce bianca

indescrivibilmente amorevole e intensa che emana dal divino. Ciò conduce a una esperienza mistica o spirituale in cui tempo e spazio perdono ogni significato. Coloro che sperimentano una NDE si sentono avvolti da qualcosa di più grande di loro, che precedentemente non potevano immaginare: la “sorgente di tutto ciò che esiste”. Si ha la certezza che la coscienza continui a esistere dopo la morte. Coloro che raggiungono il livello mistico della NDE ritornano con un grande apprezzamento per la vita, una minore paura della morte, e una

riorganizzazione delle proprie priorità verso scopi meno materiali e più spirituali. È indiscutibile la sensazione di realtà di tutti quelli che sperimentano le esperienze di premorte; spesso si sentono espressioni come: «Era più reale della realtà». Per quelli che “tornano” da una NDE è difficile descrivere la propria esperienza; spesso dicono che «va oltre il linguaggio». Siccome una delle teorie che mi ha spinto a intraprendere la ricerca sulla DMT era la convinzione che la

molecola dello spirito viene rilasciata dalla ghiandola pineale al momento della morte, o poco prima, ascoltai attentamente questo tipo di esperienze. Se la DMT somministrata dall’esterno avesse riprodotto le caratteristiche di una NDE, ciò avrebbe avvalorato la mia ipotesi secondo cui la DMT endogena è implicata nelle esperienze di premorte che si verificano in maniera naturale. Tuttavia, soltanto in due soggetti della ricerca, Willow e Carlos, i temi della morte e del morire furono predominanti durante le sessioni.

Inoltre, alla luce di quello che effettivamente constatammo nel corso della ricerca, trovo ora quella iniziale aspettativa piuttosto ingenua. Il problema nel prevedere le numerose NDE aveva a che fare con il set e il setting. Certamente, molti volontari sperimentarono una radicale e completa separazione della coscienza dal corpo. Per molti di noi, ciò potrebbe tradursi nella sensazione di essere morti. Tuttavia, molte delle nostre reclute avevano già vissuto questo tipo di dissociazione durante precedenti

esperienze psichedeliche, e dunque sapevano già di cosa si trattava quando si verificò al Centro di Ricerca. Si resero conto che non stavano morendo e che non erano nemmeno prossimi alla morte, e di conseguenza poterono osservare lo svolgersi degli effetti con un equilibrio e una padronanza di sé di gran lunga maggiori. Non andarono nel panico, ma si mantennero attenti e concentrati per osservare e ricordare quel che stava accadendo. Nel giro di pochi minuti, gli effetti della DMT svanivano ed essi rientravano nel loro corpo.

Di certo, se la loro esperienza fuori dal corpo fosse durata più a lungo di quei pochi minuti, e se davvero ci fossimo sforzati per rianimarli, si sarebbe trattato di una più “classica” NDE. Tuttavia, i nostri volontari stavano vivendo delle esperienze inusuali che probabilmente solo i più inesperti e impreparati avrebbero interpretato come esperienze di morte o di premorte. Vediamo ora alcune sessioni in cui vi sono dei riferimenti occasionali al tema della morte. In esse, i volontari si riferiscono con

una certa disinvoltura alla natura “simile alla morte” di un’esperienza con la dose elevata di DMT . In seguito vedremo più in dettaglio le sessioni di Willow e di Carlos, nelle quali i temi relativi alla morte e alla pre-morte assunsero un ruolo di primo piano. La sessione di Elena con la dose elevata di DMT condivise molti elementi caratteristici di un’esperienza di illuminazione spirituale. Ne parleremo nel prossimo capitolo. Per ora mi limiterò a citare un suo commento all’interno di una lettera che mi

inviò un anno dopo la sua partecipazione allo studio sulla DMT : «Più di una volta le sessioni di DMT mi hanno fatto dono dell’autentica conoscenza personale del fenomeno descritto nell’Introduzione ai Morti all’interno del Libro Tibetano dei Morti. Ancora più straordinario è il dono di sapere che ho sperimentato il morire e il ritornare». I commenti di Elena non furono gli unici riferimenti al Libro Tibetano dei Morti. In questo testo vecchio di secoli, i praticanti del Buddhismo tibetano hanno tracciato una mappa dei differenti

stati del bardo che una persona attraversa lungo il cammino che conduce dalla morte alla rinascita nella prossima forma di vita. Il bardo è talvolta definito come “stato intermedio”, ovvero quello che si colloca tra la vita, la morte e la rinascita. Molte descrizioni dei bardo riecheggiano con precisione i resoconti delle persone che hanno avuto una esperienza di premorte.75 Sean, la cui esperienza di illuminazione sarà esamanita nel prossimo capitolo, fece questa osservazione in una delle giornate

in cui ci aiutò a sviluppare il programma dei dosaggi per lo studio sulla tolleranza: «È così incredibile, così strano, al di fuori di ogni controllo, che devi per forza imparare qualcosa. Credo di aver imparato cosa vuol dire morire e trovarsi completamente inermi in balia di qualcosa. È stato utile». Eli, che abbiamo incontrato nel capitolo 12, ci scrisse dopo la sua prima dose elevata di DMT : «Intontito, mi sentii trattenuto. Mi rilassai e l’ambiente iniziò a cambiare in maniera evidente. Sapevo che mi sarei addentrato nel

primo bardo della morte, che ero già stato qui molte altre volte e andava bene così. “È proprio come l’ultima volta” pensai. Una sufficiente continuità con la mia coscienza da sveglio mi mandò quest’altro pensiero: “Ma questa è la prima volta che lo attraverso”. Ne conclusi che ero uscito dal tempo e dallo spazio e che stavo sperimentando il mio percorso “ordinario” del morire, oppure che ero collegato a un momento nel futuro nel quale, di nuovo, saprò che questa è la volta in cui c’ero, in quel momento, adesso”».

Alcuni mesi più tardi, durante un altro studio, Eli disse: «Non temo più la morte. È come se un momento sei lì e poi ti ritrovi da qualche altra parte, è proprio così. Credo che abbia questo effetto. Questi esperimenti mi stanno aiutando nella lettura del Libro tibetano del vivere e del morire.76 So cosa vuol dire essere completamente liberi». Anche Joseph, un imprenditore trentanovenne di origini italiane, notò quanto simili alla morte fossero le esperienze con la DMT : «Credo che la dose elevata somigli

al trauma della morte. Ti proietta fuori dal corpo. Sotto l’effetto della DMT sarei riuscito a sopportare la morte e anche altre esperienze fisiche più intense. Potrebbe rivelarsi una droga utile per le persone ricoverate negli ospizi o per i malati terminali». A differenza di questi volontari, i temi di morte e pre-morte dominarono i viaggi di Willow e Carlos in compagnia della molecola dello spirito. Vediamo ora le loro storie. Willow aveva trentanove anni quando si unì al progetto sulla DMT .

Era sposata e viveva in un’area semirurale. Era un’assistente sociale che lavorava in ospedale con i tossicodipendenti. Vedeva l’ironia della sua partecipazione al nostro studio e apprezzò le nostre preoccupazioni circa la riservatezza e l’anonimato. Willow faceva uso di droghe psichedeliche due-tre volte l’anno e in totale le aveva assunte una trentina di volte. Si candidò come volontaria per il progetto sulla DMT «per curiosità e per poter sperimentare degli stati di coscienza

più profondi ed elevati allo scopo di ottenere delle intuizioni su di me». La dose base non in cieco provocò a Willow degli effetti più forti rispetto alla media. «Non ho mai avuto così tante visioni» disse. La avvisai della dose dell’indomani: «Sarà come precipitare da una scogliera». «Mi piace immaginarmi così coraggiosa da saltar giù da una scogliera». Il mattino seguente ci mettemmo subito al lavoro, dedicando poco tempo agli aggiornamenti o alle

chiacchiere. Non erano ancora le otto quando finii di somministrare la DMT a Willow. Il suo corpo ebbe un leggero scatto. Sebbene dopo tre minuti un aereo passò sopra l’ospedale, nella stanza e nel reparto si era creato quel profondo e completo silenzio che ogni tanto avevamo la fortuna di avere durante le sessioni di DMT con dosi elevate. Willow restò sdraiata, perfettamente immobile, per i seguenti venticinque minuti. Poi iniziai a diventare inquieto e le chiesi con delicatezza come stava.

«Bene. È un posto davvero incantevole. Quasi non me ne voglio andare. Le transizioni sono completamenti. Come sono. Chi sono. All’inizio ho visto un tunnel o un canale di luce alla mia destra. Ho dovuto girare per entrarci. Poi l’intero processo si è ripetuto a sinistra. Era stato fatto apposta in questo modo. Era come se ci fosse una sorgente, molto più lontano. Diventava più grande mano a mano che si andava avanti, come un imbuto. Era luminoso e vibrava. C’era della musica, una specie di

colonna sonora per me sconosciuta, che si intonava al tono emozionale degli eventi e che mi attirava dentro. Io ero piccolissima, mentre il tunnel era molto grande. Sulla destra c’erano dei grandi esseri accanto a me. Ho avuto la sensazione di muovermi ad alta velocità. Tutto il resto era insignificante paragonato a questo. Le cose mi sfrecciavano accanto da prospettive differenti. Era molto più reale della vita. I tunnel a sinistra e a destra si sono uniti davanti a me. C’erano dei piccoli gremlin, delle facce per lo

più. Avevano ali e code. Gli ho prestato poca attenzione. Gli esseri più grandi erano lì per sostenermi e aiutarmi. Quello era il loro regno. Era come se vi fosse sia il bene che il male: i gremlin contro gli esseri alti. Questi ultimi erano amorevoli, sorridenti e tranquilli. Qualcosa mi attraversò rapidamente. Ricordo di aver pensato a un certo punto: “Qui inizia la separazione”. Sentivo il mio corpo solo quando deglutivo o respiravo, ma non era tanto una sensazione fisica, quanto una maniera di fluttuare attraverso

l’esperienza. Ho avvertito con forza: “È questo il morire e va bene così”. Avevo sentito del tunnel luminoso, ma non mi aspettavo che fosse così. Credevo che sarebbe stato soprattutto di fronte a me, invece comparve sia a destra che a sinistra per poi congiungersi al centro. E non era nemmeno così luminoso come pensavo. Sono sorpresa che la DMT sia nel corpo. C’è per un motivo, per morire oggi. Avevo la sensazione di stare per morire, di lasciarmi andare e di separarmi, dopo che gli

esseri nel tunnel mi prestarono il loro aiuto». «Come ti senti a essere ritornata di nuovo all’interno del tuo corpo?» «Per il momento, bene». Sembrava pensierosa. «Di là è tutto davvero molto diverso. Non c’è il corpo, non ci sono parole o suoni a limitare le cose. All’inizio ho visto uno spazio profondo, bianco, con delle stelle. Poi è iniziata questa esperienza multidimensionale. Era viva. Era la vivacità che sentivo. Il mio corpo cercava di dire: “Ricorda il corpo”, mentre mi addentravo in quel

luogo. Non era un lamento disperato ma un tentativo di mantenere reale l’esperienza dal punto di vista dei sensi. Il corpo mi rivoleva indietro. Credevo di riuscire a vedere la luce lì sotto, la luce del mondo. Era come se si fosse alzato un piccolo velo su una realtà alternativa e simultanea». Alcuni mesi più tardi, Willow ricevette un’altra dose elevata di DMT durante lo studio sul ciclo mestruale. Quando si risvegliò, iniziò a parlare: «Assomiglia a uno scherzo dell’universo. Se tutti

sapessimo cosa ci attende, ci uccideremmo. Ecco perché stiamo in questa forma così a lungo, per rendercene conto. È anche il motivo per cui è così difficile ricordarne l’immediatezza. Ho letto dei libri sulle esperienze di pre-morte: Salvato dalla luce e Abbracciata dalla luce. Entrambi danno una buona descrizione dello stato originato dalla DMT . Leggendoli, l’argomento mi era familiare.77 Chiunque dovrebbe provare almeno una volta una dose elevata di DMT . Non so se quegli esseri oggi

mi stavano dicendo: “Prova la morte una volta” oppure “Prova la vita una volta”. Quel luogo è così pieno e completo che l’idea di questo luogo è quella di provare a essere altrettanto completo. Però quando sono tornata nel mio corpo era così pesante e limitante. Inoltre, qui ho una strana percezione del tempo. L’eternità è un attributo di quel luogo». Sebbene non sia mai una buona idea definire “classica” l’esperienza di qualcuno con la DMT , credo che non sia del tutto fuori luogo utilizzare questo termine per

descrivere l’esperienza di pre-morte di Willow. La sua coscienza si separò dal corpo, si mosse rapidamente attraverso un tunnel, o dei tunnel, verso una calda, amorevole e onnisciente luce bianca. Degli esseri l’aiutarono lungo il percorso, mentre altri minacciavano di rallentarla. Una bellissima melodia la accompagnò durante le prime fasi del viaggio. Il tempo e lo spazio persero ogni significato. Fu tentata di non ritornare, ma si rese conto che doveva condividere le straordinarie informazioni ricevute in quel

mondo. C’erano sfumature di carattere mistico e spirituale nel suo riunirsi alla luce bianca e bearsi in essa. La consapevolezza nascente di Willow nei confronti di una «luce lì sotto, la luce del mondo», ci ricorda di uno degli ultimi bardo del Libro Tibetano dei Morti. Si tratta dello stadio nel quale l’anima inizia a cercarsi un nuovo corpo in cui incarnarsi, vede le luci del mondo e inizia la sua discesa. Il suo commento sul fatto che tutti si suiciderebbero se sapessero quanto è straordinario “l’aldilà” fa

emergere un’altra somiglianza tra le esperienze di Willow e quelle delle NDE che si verificano in maniera naturale: coloro che hanno avuto un’esperienza di pre-morte non corrono a suicidarsi. Piuttosto, restano con la consapevolezza che c’è vita dopo la morte e che la transizione perde il suo travaglio. E così riescono a vivere una vita più piena, perché la paura della morte, che porta tanti alla disperazione, è diminuita in maniera considerevole. Era interessante sentire che aveva trovato le esperienze di pre-morte descritte in celebri libri simili a

quelle vissute con la DMT . Avevo bisogno di qualche prova in più per convincermi che eravamo sulla strada giusta nel mettere in relazione alti livelli di DMT con le NDE. Carlos fu una sfida. Esuberante, diretto e giocosamente polemico, aveva quarantaquattro anni quando si unì alla ricerca sulla DMT . Proveniva da una famiglia indioispanica del Messico del Nord, era stato sposato per quasi vent’anni e aveva due figli adulti. Lavorava come programmatore informatico e aveva studiato presso l’Università

del New Mexico per alcuni anni. Era anche un praticante di sciamanesimo urbano. Come tale, guidava un gruppo in cui i canti, le visualizzazioni e altri insegnamenti fornivano ai suoi studenti la possibilità di sperimentare un’ampia varietà di stati di coscienza. Faceva più cose contemporaneamente. Carlos era ben informato su molte sostanze psicoattive. Aveva assunto psichedelici «più di un centinaio di volte» e descriveva i loro effetti come qualcosa di «assolutamente bizzarro». Recentemente aveva

preso i semi della Datura stramonium, o stramonio comune, una pianta altamente tossica e pericolosa che provoca delirio e a volte terribili scollamenti dalla realtà. Non c’è molta differenza tra dosi psichedeliche e dosi letali di questi semi. Carlos non si aspettava molto dalla «medicina dell’uomo bianco». Questo fatto suscitò in me una singolare dicotomia. Da un lato, volevo fargli vedere chi possedeva la droga migliore – di certo non la più nobile delle reazioni, ma così era! – dall’altro, temevo che non fosse

saggio da parte sua farsi beffe della DMT e che l’intensità dei suoi effetti avrebbe potuto sorprenderlo in negativo. Può darsi che il suo atteggiamento sprezzante nascondesse delle paure più profonde. Il giorno della dose minima non in cieco trovammo Carlos seduto sulla mia sedia a dondolo. Era arrivato con quasi due ore di anticipo. Non stava lasciando nulla al caso e mi stava sfidando, nemmeno così sottilmente, mettendosi sulla “sedia dell’autorità”.

«Questo sarà un giro dell’isolato fino al minimarket locale, piuttosto che un viaggio in qualche altro luogo» disse come prima cosa. Prima di iniziare, volle benedire la DMT verso “le quattro direzioni” e per il bene della comunità. Si trattava della preparazione sciamanica tradizionale di una sostanza psicoattiva. Le sue benedizioni erano semplici ma profonde, e instaurarono con successo un sentimento di riverenza nei confronti del “lavoro”, più intenso rispetto a quanto accadeva di solito.

La sua esperienza con la dose minima sembrò abbastanza leggera. E lo fu fino a quando non cominciò a tremare, quindici minuti dopo l’iniezione. Inizialmente erano solo leggeri brividi, che però nel giro di poco tempo si trasformarono in scosse violente per tutto il corpo. «Odio questa parte. Il mio corpo, la mia energia inizia a vibrare. È come dopo qualunque viaggio di tipo spirituale, è come una scossa di terremoto. Ogni volta che prendo una qualsiasi droga psicoattiva, tremo per un po’. Succede anche

agli altri?» mi chiese, mostrando un’inaspettata vulnerabilità. Gli risposi con cautela, avendo scorto nelle sue parole un’apertura per instaurare un rapporto più sincero e profondo. «A volte succede, in particolare dopo la dose elevata. Di solito non si verifica nel caso di una piccola dose. Mi chiedo se non si tratti della paura». Si sentiva effettivamente a disagio, tremava e sembrava quasi spaventato. «Non ti preoccupare, non è niente. Non importa se si tratta di una dose grande o piccola di una

qualsiasi sostanza. Tremo per gli effetti post-traumatici». Il suo tremore iniziò a scomparire mentre compilava il questionario. Dopo averlo completato, si sentiva bene, fece uno spuntino leggero e se ne andò. Più tardi io e Laura discutemmo della reazione di Carlos a questa piccola dose di DMT . Mentre lui minimizzava gli effetti, il suo corpo aveva mostrato una reazione ben diversa. Pensammo che fosse meglio cambiare leggermente le regole e somministrargli la dose da

0.2 mg/kg prima di passare a quella da 0.4. Quando glielo dissi, Carlos non si oppose: «Voi sapete cosa è meglio fare». Questa decisione sembrava giustificata. Quando entrai nella stanza la settimana dopo, Carlos stava tremando in maniera preoccupante dopo che l’infermiera del reparto non era riuscita per tre volte a inserirgli la flebo endovenosa. Nel suo modo brusco che stavamo imparando a riconoscere, disse: «È

cominciato negli anni ’70, quando un giorno entrai in una chiesa». Mi avvicinai a lui più preoccupato per la sua salute che per il timore che la DMT dell’uomo bianco non funzionasse. «Sarà un bella botta» lo avvertii. «Ti darà un’idea di come potrebbe essere una dose doppia rispetto a questa. Si tratta di una dose psichedelica». «Bene, non vedo l’ora. Mi piacerebbe che avesse effetti ben più che psichedelici». L’iniezione procedete senza problemi. Dodici minuti dopo, fece

una sonora risata ed esclamò: «Accidenti! Non c’è alcun contenuto spirituale... proprio per niente! Fammi delle domande». «Cosa è successo?» «Mi stavo chiedendo: “Cos’è questo?” Poi è arrivata. È la droga. Questo è quello che fa. C’era troppa roba da elaborare. È come quando si cerca di ascoltare della musica a un volume troppo alto. Non sapevo cosa stava succedendo. Mi chiedevo se fossi morto. Ho preso così tanti psichedelici e non mi è mai capitato nulla di simile. Il mio sistema

nervoso era annichilito, il mio spirito frantumato». «Cosa intendi per “spirito”? Mi sembra che tu ti riferisca all’immagine che hai di te stesso, alla tua identità». «Be’, potremmo discutere sui termini». «Quando penso allo spirito, penso a qualcosa che non nasce e non muore, che esiste prima ed esiste dopo, e che non dipende dal corpo». «Sono abituato all’ “Io” che è il corpo, e dato che posso lasciarlo, non dipende dal corpo».

La nostra conversazione sembrò aumentare il suo entusiasmo. «Ho visto chi sono a un livello essenziale. Sai che esiste un particolare spettro di suoni e immagini sul quale una persona si può sintonizzare e che costituisce il sé individuale? Quello si è svelato completamente ed era lì». «Ricorda... questa è solo metà della dose elevata». «È spaventoso se ci penso». Era il mio turno: «Ora l’avrai!» Aveva davvero intenzione di prendere una quantità doppia di DMT ? Avrei preferito che rifiutasse

in quel momento, anziché pentircene tutti quanti in seguito. «Come ti senti a proposito di una dose doppia rispetto a questa?» «Qual è il senso? In che modo può questa esperienza essere d’aiuto a me, all’umanità o alla comunità di cui faccio parte? Se ritornassi con una straordinaria verità, sarebbe magnifico». «Be’, hai parlato incessantemente per venti minuti del “nulla”» dissi con una risata. Ad ogni modo, non appena finì di compilare la scheda di valutazione, disse: «Credo che completerò

questo studio. Riceverò la dose da 0.4 e poi farò lo studio sul pindololo. Ma non credo che farò altro. Credo che gli sciamani del Sud America usino altre piante per completare e rendere la DMT più ragionevole. La DMT pura sembra vuota e vacua». La mattina della dose da 0.4 mg/kg trovai Carlos sudato e tremante quando entrai nella stanza. «È soprattutto una paura di tipo fisico. È lo stress. Non c’è modo di prepararsi. Arriva all’improvviso. Con la Datura mi viene la paura

della morte, ma riesco gradualmente a farla svanire. Invece con la dose da 0.2 mg/kg della scorsa settimana ho pensato che mi aveste dato la droga sbagliata, credevo di esser stato avvelenato e che sarei morto. La costrizione è terribile. Faccio uso di sostanze per lasciare il corpo, non per sottoporlo a costrizione». Cercai di infondergli un po’ di conforto: «Questa dose è maggiore come quantità, ma la qualità resta la stessa». Quando iniziai a somministrargli la droga, si mise a cantare, ma

s’interruppe all’improvviso a metà dell’iniezione salina. Dopo due minuti emise un grande sospiro, e dopo tre minuti e mezzo riprese a cantare, questa volta più a bassa voce. Al dodicesimo minuto disse: «Per favore, toglietemi la mascherina». Laura gliela sfilò. «È stata una cosa davvero singolare. Per circa tre minuti e mezzo non sono stato umano. Questa dose crea un livello di stress che non ha precedenti negli annali della storia di Carlos».

Si schiarì la voce e disse: «Ho incontrato il Creatore». «Creatore di cosa?» «Il Creatore di tutto. Mi era già successo, ma non a questo livello». «A uno dei nostri volontari piace dire: “Puoi ancora dirti ateo fino alla dose da 0.4”». «È vero». Carlos fece un respiro profondo e iniziò a raccontarci cosa era successo. Era difficile seguire il ritmo con cui raccontava la sua incredibile storia. «C’era il suono dell’intero universo, più simile a un ronzio.

Era penetrante e travolgente. Ho pensato: “Porca miseria, come ci sono finito dentro?” Le cose non andavano bene, anzi andavano sempre peggio. Poi la mia capacità di percepire come essere umano ha cominciato a vacillare. Non c’erano più emozioni, perché le emozioni si sviluppano solo fino a un certo punto. Ho visto un uomo disteso in una stanza d’ospedale. Era nudo, con una persona su ciascun lato, una donna e un uomo. All’inizio non assomigliavano a nessuno che conoscessi. Erano dei comunissimi

esseri umani. Poi ho realizzato che eravamo io, te e Laura. Il modo in cui si comprendono le cose era totalmente diverso da questa realtà. Io non sapevo di far parte di alcun tipo di studio. Ma c’era qualcosa, in quest’uomo, che non andava. Era lì per ristabilirsi. L’ospedale era un centro di guarigione. Ciò che non andava con lui era la morte. L’uomo nudo era morto. Lo aveva ucciso lo stress provocatogli dalla DMT . Non è comparso nessuno dei miei guardiani e protettori. Non ne erano a conoscenza.

L’uomo è stato guarito, molto più che guarito. È rinato. È stato curato dalla morte, sanato dalla morte. E poi è diventato il creatore di un intero universo. Gradualmente sono diventato sempre più denso e ho recuperato la mia presenza ordinaria. Ho osservato la creazione nell’universo: dall’energia mentale di base fino alla frequenza vibratoria della materia. Ho capito che stavo ricostruendo l’ospedale e la stanza. Mano a mano che il mondo prendeva forma, io volevo vederlo e quindi ho chiesto che mi

venisse tolta la mascherina. Sono rimasto affascinato dalle mie dita, come un neonato. Ho fatto delle lezioni su come l’universo è un costrutto della nostra mente, e qui stava accadendo proprio questo. Il mio atteggiamento era diverso quando ho saputo che vi avevo creati io. Vi sentivo così vicini da considerarvi come un figlio e una figlia. Potrei dire che ciò che ho vissuto è una classica esperienza di morte e rinascita. L’avevo già vissuta prima, ma in un modo diverso. Aveva un simbolismo, una consistenza e

un’atmosfera spettacolari mischiati a iridescenze ed effetti incredibili. Se fosse stata meno intensa, allora sarebbe stata un’esperienza molto classica. La dose da 0.2 mg/kg è stata sconcertante, questa è andata oltre. Sapevo che esiste un confine oltre la vita, ma non ho mai pensato che avrei potuto essere là, a una così giovane età. È una di quelle cose di cui parlano le persone anziane, del tipo: “Un giorno ci andrò”. È semplicemente il luogo e il momento sbagliato. Mi aspetto che questo genere di cose accadano

mentre mi trovo in montagna con i miei amici in un contesto più cerimoniale». Sebbene fossi rimasto colpito dalle caratteristiche della sessione, mi domandavo anche quali altre cause ne stavano alla base. Il fatto di aver “creato” Laura, me e l’ambiente ospedaliero aveva invertito l’equilibrio di potere all’interno della stanza. Carlos non aveva più bisogno di avere paura di noi e della DMT . Nonostante ciò, non serviva a nulla fare una simile interpretazione. Certamente per lui avrà avuto del valore. Mi limitai

invece a occuparmi dei sentimenti che erano emersi mentre parlava. «Eri sorpreso». «Davvero una sorpresa». Carlos non aveva avuto quel tipo di esperienza di pre-morte di cui si legge spesso nella letteratura scientifica popolare. Il caso di Willow è invece l’esempio di questa versione più contemporanea delle NDE. In ogni caso, la sessione di Carlos con la dose elevata di DMT rivelò molte caratteristiche simili a quelle riportate dai praticanti di sciamanesimo come parte dell’iniziazione ai regni superiori

delle loro pratiche; vale a dire, l’esperienza della morte e della rinascita.78 Carlos si percepì come già morto piuttosto che sul punto di morire. Vide il suo corpo nudo e senza vita sdraiato sul letto, sebbene non proprio nel modo in cui lo aveva lasciato, dato che era vestito prima che la molecola dello spirito entrasse nel suo cervello. Nel momento in cui rinacque, si ricostituì anche il suo universo. E di nuovo possiamo vedere il culmine mistico di un’esperienza di premorte. Carlos sperimentò la

Creazione in un modo simile all’esperienza di Sara con la dose elevata che abbiamo visto nel capitolo precedente, e a quella di Elena che vedremo nel prossimo: un’energia potente che rallentava di vibrazione per diventare infine materia. Carlos, sentendosi come un neonato, si meravigliò delle proprie dita allo stesso modo di un bambino affascinato dalla scoperta del suo corpo. C’è una progressione dalla serie di esperienze personali a quelle di tipo transpersonale originate dalla DMT . È possibile lavorare sui propri

problemi di carattere psicologico e psicosomatico per mezzo della luce e del potere della molecola dello spirito. Affrontare un’esperienza di pre-morte conduce a quella che sembra essere la fine di tali complicazioni, simulando o preannunciando come sarà dopo l’abbandono del corpo fisico. Le esperienze di pre-morte sembrano avere l’impatto maggiore su coloro che compiono il passo successivo all’interno di questa misteriosa esperienza, ovvero l’ascesa a un livello di consapevolezza spirituale. I

volontari e io stesso credevamo che fossero proprio questi mondi, ai quali la DMT permette di accedere, a racchiudere la promessa più grande di una potente trasformazione personale. È all’interno di questi luoghi visionari della DMT che adesso ci inoltreremo. 74. Raymond A. Moody, La vita oltre la vita (Mondadori 1977) e Kenneth Ring, Life at Death. A Scientific Investigation of the NearDeath Experience (Coward, McCann and Geoghegan 1980). 75. W.Y . Evans-Wentz, Tibetan Book of the Dead (Oxford University Press 1974). 76. Rinpoche Sogyal, Il libro tibetano del vivere

e del morire (Astrolabio-Ubaldini 199$). Si tratta di una versione moderna del Libro Tibetano dei Morti. 77. Dannion Brinkley, Salvato dalla luce (Sperling&Kupfer 1996) e Betty J. Eadie, Abbracciata dalla luce, (Sperling&Kupfer 1994). 78. Mircea Eliade, Lo sciamanismo e le tecniche dell’estasi (Edizioni Mediterranee 1974) e Michael Harner, La via dello sciamano (Edizioni Mediterranee 1995).

Capitolo 16

STATI MISTICI

Uno dei fattori preponderanti della mia decisione di fare carriera nel settore della ricerca psichedelica fu la somiglianza esistente tra le esperienze con alte dosi di psichedelici e le esperienze spirituali. Anni dopo, erano questo tipo di sessioni che speravo di osservare, studiare e comprendere

durante la ricerca sulla DMT nel New Mexico. Il dibattito sull’importanza spirituale delle esperienze psichedeliche infuriò fintanto che le persone fecero uso di queste sostanze per i loro profondi effetti psicologici sulla psiche. Ad esempio, libri come The Varieties of Psychedelic Experience fanno esplicito riferimento all’opera di William James, Le varie forme dell’esperienza religiosa, risalente ai primi anni del xx secolo. Recentemente, l’opera Entheogens and the future of religion perpetua

una lunga e controversa tradizione nel sostenere che qualsiasi profonda pratica spirituale includa dei sacramenti psichedelici.79 Durante le mie prime visite in quella comunità di Buddhismo Zen presso la quale ho studiato, sollevai la questione con molti dei giovani monaci americani. Quasi tutti risposero che le droghe psichedeliche, in particolare l’LSD, all’inizio gli avevano aperto le porte su una nuova realtà. Fu l’obiettivo di consolidare, rafforzare e ampliare quel loro primo flash psichedelico che li condusse verso una vita

ascetica e comunitaria, basata sulla meditazione. Naturalmente, mi domandai se le droghe psichedeliche potevano accelerare e agevolare il raggiungimento di stati estatici senza gli “effetti collaterali” della pratica istituzionale, quali il comportamento ritualistico e il ritiro dal mondo. La risposta che emerse dallo studio del New Mexico fu complessa: gli psichedelici potevano indurre stati simili alle esperienze spirituali, ma non avevano lo stesso impatto. Ancora più eloquente di

queste risposte relativamente semplici fu la reazione della mia comunità buddhista al solo fatto di aver osato chiedere e discutere di questo argomento. Ad ogni modo, sto correndo troppo. Allo scopo di stabilire le strette similitudini tra l’esperienza spirituale e quella resa possibile dalla molecola dello spirito, inizierò esaminando brevemente le caratteristiche di un’esperienza spirituale. I tre pilastri del sé, del tempo e dello spazio sono tutti soggetti a

una profonda trasfigurazione in un’esperienza spirituale. Non esiste più alcuna separazione tra il sé e ciò che non è il sé: l’identità personale e tutto ciò che esiste diventano un tutt’uno. In effetti, non c’è un’identità “personale” perché comprendiamo, al livello più basilare, l’unità e l’interdipendenza di tutto ciò che esiste. Passato, presente e futuro si fondono insieme nell’eternità del momento presente. Il tempo si ferma poiché non “scorre” più. L’esistenza non dipende più dal

tempo. L’adesso e il poi, il prima e il dopo, tutto si congiunge in questo punto preciso. Brevi periodi di tempo contengono un enorme quantità di esperienze. Dal momento in cui il nostro sé e il tempo perdono i loro confini, lo spazio diventa immenso. Come il tempo, anche lo spazio non è più collocato in un punto definito, ma si trova ovunque, illimitato, senza barriere. Il qui e il lì sono un’unica cosa. Tutto è qui. In questo tempo e spazio infinitamente estesi e senza alcun sé definito, ci fermiamo a

esaminare tutte le contraddizioni e i paradossi, vedendo che tra essi non c’è più conflitto. Siamo in grado di contenere, assimilare e accogliere tutto ciò che appare nella nostra mente: il bene e il male, la sofferenza e la felicità, il piccolo e il grande. Ora abbiamo la certezza che la coscienza continua a esistere dopo la morte fisica, e che esisteva da molto prima di aver assunto questa particolare forma fisica. Vediamo l’intero universo all’interno di un filo d’erba e sappiamo com’era il nostro volto

prima che i nostri genitori si conoscessero. Sentimenti eccezionalmente potenti si riversano nella nostra coscienza. Siamo in estasi, e l’intensità di questa gioia è tale che il nostro corpo non riesce a contenerla, sembra aver bisogno di disincarnarsi temporaneamente. Sebbene la beatitudine sia intensa, ci sono anche una pace e una serenità di fondo che non vengono toccate nemmeno da questa felicità incredibilmente profonda. C’è una sensazione marcata del sacro e del divino. Entriamo in

contatto con una realtà immutabile, eterna, immortale e non creata. È un incontro personale con il Big Bang, Dio, la Coscienza Cosmica, la fonte di tutta l’esistenza. In qualsiasi modo la chiamiamo, sappiamo di aver incontrato l’essenza e la sorgente dell’esistenza, dalla quale scaturiscono amore, saggezza e potere a livelli inimmaginabili. La chiamiamo “illuminazione” per la presenza della luce bianca che manifesta lo splendore del creato. Potremmo incontrare delle guide, angeli o altri spiriti disincarnati, ma

passiamo oltre nel momento in cui confluiamo nella luce. Adesso i nostri occhi, finalmente, sono davvero aperti e vediamo chiaramente le cose, in una “luce nuova”. L’importanza e la grandezza dell’esperienza sono soggettive. Può esserci utile per mettere a fuoco il resto della nostra vita in direzione della realizzazione, della completezza e del lavoro su di sé attraverso le intuizioni ottenute. Alcune esperienze di questo tipo si sono manifestate nei nostri volontari nel contesto di una classe

di incontri più potente, tra cui la guarigione psicosomatica, il contatto con le entità o le esperienze di pre-morte. Ad esempio, le esperienze di pre-morte di Willow avevano una natura profondamente spirituale. E le sessioni di Cassandra durante i test sulla tolleranza implicarono qualcosa di più di un semplice lavoro sui propri traumi; sentì anche la presenza di entità profondamente amorevoli e guaritrici. In questo capitolo, ascolteremo le esperienze di tipo

spirituale che predominarono nelle sessioni dei volontari. Queste sessioni con la DMT furono alcune delle più soddisfacenti della ricerca. Siccome le sessioni di Elena e Sean si verificarono relativamente presto nel corso dello studio, contribuirono a dimostrare la validità e l’importanza di studiare le proprietà più sublimi della molecola dello spirito. Quando ebbe luogo l’esperienza spirituale di Cleo, ero già in procinto di lasciare l’università. Pertanto, riguardo alle sue sessioni avevo un atteggiamento in un certo senso più

disilluso. Tuttavia, se ogni incontro dei volontari con la DMT fosse stato così gratificante come il suo, ci sarebbero state meno motivazioni per fermare la ricerca. La supervisione di queste sessioni fu relativamente facile, perlomeno all’inizio. Conoscevo il percorso fatto di pratica, studio ed esperienza. Le difficoltà emersero nell’interpretazione degli effetti e nella valutazione della loro importanza. Si trattava di “reali” esperienze di illuminazione? Come potevo saperlo? E con chi mi sarei potuto consultare a riguardo?

Sebbene l’esperienza spirituale di Cleo avvenne dopo quella di Elena e Sean, si rivelò in un certo senso meno impegnativa. Perciò preferisco raccontarla per prima. Questo ci fornisce una buona preparazione al luogo in cui ci porteranno gli incontri degli altri due volontari. Cleo aveva quarant’anni quando iniziò il nostro studio. Era ipovedente a causa di una malformazione genetica agli occhi. Nonostante ciò non si era abbattuta, riuscendo a ottenere una laurea e un diploma in massaggioterapia.

Adesso era iscritta a un master in counseling. Capelli rossi, corporatura minuta e un temperamento focoso, Cleo era nata in una famiglia ebrea, ma nel corso del tempo aveva iniziato la pratica di rituali volti a celebrare la natura all’interno della fede Wicca. Una volta, sotto effetto di LSD, Cleo vide un “episodio di una vita precedente” nel quale veniva bruciata sul rogo perché era una strega. Sua padre l’aveva molestata quando era una bambina, e i ricordi di questa esperienza emersero per la prima volta durante un recente

trip con i funghi psilocibinici. Da piccola aveva la fobia della neve, e quando si trovava a contatto con essa andava in iperventilazione e vomitava. Ora non era più disturbata da questa paura irrazionale: l’aveva risolta diversi anni prima lavorandoci sopra con la psilocibina. Di solito non uso la parola “indomabile”, ma Cleo sembra proprio incarnare questo atteggiamento come poche persone di mia conoscenza. I motivi che la spinsero a partecipare allo studio riflettevano il suo spirito pionieristico e

altruistico: «Sono curiosa. Credo di essere pronta per il passo successivo. Credo in questo genere di ricerca, da un punto di vista scientifico, e sono convinta che gli allucinogeni possano avere un valido uso clinico e terapeutico». Incontrai Cleo nella stanza 531, il pomeriggio in cui doveva ricevere la dose minima, mentre stava estrando i tarocchi dal suo mazzo. Quelli che prese mostravano farfalle e viaggiatori: temi di buon auspicio. A quindici minuti dall’iniezione, disse: «Ho avuto la lievissima

sensazione di un richiamo a seguire qualcosa. Era come una luce all’orizzonte, come due strade che si congiungevano nell’orizzonte. C’erano degli occhi che mi osservavano, in modo amichevole. Volevano vedere chi c’era, e sembravano dirmi che più tardi li avrei seguiti». Il mattino seguente Cleo mi fece delle domande sul consiglio che le avevo dato il giorno prima riguardo al modo di prepararsi per ricevere la dose elevata: «Cosa intendevi dire quando mi hai suggerito di “attraversare” i colori?»

«Sembra che le persone possano essere ipnotizzate dai colori» risposi. «Se riescono a oltrepassare il velo che i colori sembrano rappresentare, spesso si accede a maggiori informazioni e sensazioni rispetto ai soli colori». Diciannove minuti dopo averle somministrato la dose elevata di DMT , fuori iniziò a nevicare. Mi ricordai della vecchia fobia di Cleo per i fiocchi di neve. Laura si alzò dalla sua sedia e alzò il termostato. «Rick, so perché sei diventato uno psichiatra». «Perché?»

«Per dare questo alla gente». Le dissi che aveva ragione. «Mi aspettavo di “uscire”, ma invece sono entrata dentro ogni cellula del mio corpo. Era straordinario. Non era solamente il mio corpo... erano loro... erano proprio loro... tutto è connesso. Oh, questo è ciò che ho fatto. Bene». Rise della sua incapacità di esprimersi. Dopo mezz’ora parlò in modo più comprensibile: «Ho sentito la DMT entrare e bruciare nelle vene. Era difficile respirarci dentro. Poi sono

iniziati i disegni, e mi sono detta: “Attraversiamoli”. A questo punto si sono aperti e mi sono ritrovata da qualche altra parte. Credo che sia stato a quel punto che sono uscita nell’universo, essendo, danzando con un sistema stellare. Mi sono chiesta: “Perché sto facendo questo a me stessa?” E la risposta è stata: “Questo è quello che hai sempre cercato. È quello che tutta te stessa ha sempre cercato”. C’era un movimento di colori. I colori erano parole. Ho sentito cosa

mi stavano dicendo i colori. Stavo cercando di guardare fuori, ma loro dicevano: “Vai dentro”. Stavo cercando Dio all’esterno. Mi hanno detto: “Dio è in ogni cellula del tuo corpo”. E lo sentivo, completamente aperta alla sensazione, continuavo ad aprirmi ancora di più e l’ho accolta semplicemente dentro di me. I colori continuavano a dirmi delle cose, ma lo facevano in modo da farmi sentire non solo quello che stavo vedendo, ma anche in modo da percepirlo con ogni cellula. Dico “percepire”, ma era un modo di percepire senza pari, come se

sapessi ciò che stava avvenendo nelle mie cellule, che Dio è presente in ogni cosa e che siamo tutti in connessione l’uno con l’altro, che Dio danza all’interno di ogni cellula della vita, e che ogni cellula della vita danza in Dio». In una lettera che mi inviò alcuni giorni dopo, Cleo scrisse: «Sono cambiata. Non sarò mai più la stessa. Dire solo questo sembra quasi sminuire l’esperienza. Non credo che chi ascolti o legga di questa esperienza possa afferrare veramente ciò che ho provato e comprenderlo profondamente e

completamente. L’euforia continua nell’eternità. E io sono parte di quella eternità». Cleo era pronta e ben preparata per le sue sessioni di DMT . Pertanto, quando la molecola dello spirito la chiamò nella stanza 531, rispose con slancio. Nella sua sessione vediamo molti elementi caratteristici di un’esperienza spirituale: la sospensione dei confini ordinari di spazio e tempo, la natura estatica degli incontri, l’incapacità del linguaggio di descrivere l’esperienza. Sperimentò la certezza della sua natura divina;

tutte le sue domande trovarono una risposta durante quei brevi ma intensi momenti. Elena fu una delle nostre prime volontarie, aveva trentanove anni quando iniziò. Era bassa di statura, atletica, mora, dal carattere emotivo e dal modo di fare scherzosamente brusco. Viveva con Karl (DMT -1) e sua figlia in un piccolo paese fuori Taos. Elena aveva fatto uso di psichedelici una ventina di volte nel corso della sua vita. Più recenti erano le sue quasi cento esperienze con l’MDMA , che riteneva avessero

contribuito alla sua decisione di rallentare la carriera professionale. Aveva venduto la casa e l’attività di consulenza, e aveva iniziato un intenso lavoro interiore. Sperava che partecipando allo studio sulla DMT avrebbe potuto «giungere a una comprensione più chiara delle mie verità spirituali». Elena e Karl erano una coppia divertente. Li conoscevo da anni, e offrirono un solido e significativo supporto durante il periodo estenuante che ho descritto nel capitolo 6. Non c’è da stupirsi che divennero DMT -1 e DMT -2.

La sessione di Elena con la bassa dose non in cieco fu traquilla. Tuttavia, era molto preoccupata il giorno seguente mentre preparavo la siringa con una quantità di DMT otto volte superiore. Il suo battito passò da 65 a 114 e la pressione da 96/66 a 124/70 solo guardandomi preparare l’iniezione! Le sue pupille ampiamente dilatate contribuirono ad aumentare la tensione che si respirava nella stanza. Cercai di stemperare l’atmosfera posando la siringa e restandomene tranquillo. Niente da fare. L’energia era sul punto di straripare. Anche Karl e

Cindy la sentivano e sembravano agitati. «Be’, che ne pensi?» azzardai fiducioso. Elena fece un sorriso dei suoi «Starò bene. Ho solo paura di quello che porterà l’ignoto. Iniziamo». Dopo quarantacinque secondi dalla fine dell’iniezione, Elena iniziò a gemere, a sospirare, a risucchiare l’aria e a soffiarla fuori. La forza dei suoi movimenti rese impossibile rilevare la pressione e il battito al secondo minuto. Le sue mani erano fredde e sudate, e il viso

le si fece pallido. Le sue pulsazioni aumentarono ancora di più, fino a 134, durante la rilevazione del quinto minuto, mentre la pressione era stabile. La sua testa oscillava lentamente avanti e indietro, e talvolta annuiva. Si leccò le labbra, sbadigliò, sospirò, sembrava non trovare pace. Nel giro di quattro minuti finalmente iniziò a calmarsi. Il colorito del viso ritornò al tredicesimo minuto, e restò tranquillamente distesa. Dieci minuti dopo esplose in una risata, che crebbe fino a diventare fragorosa. Al trentesimo minuto

iniziò a parlare animatamente. Sebbene avessi preso appunti, il resoconto che scrisse il giorno seguente descrive la sua esperienza meglio delle mie note stenografiche. «Prima che tu mi dicessi: “Bene, abbiamo finito”, si risvegliò in me un’energia così potente che non è possibile descriverla con le parole. Ha scosso il mio cuore. Il turbinio dei colori mi ha fatto ricordare l’esperienza visiva del giorno prima, ma moltiplicata per milioni di volte. Potevo solo tener duro, ricordando di non cadere nella trappola di

quello spettacolo di luci. Poi tutto si è fermato! L’oscurità ha fatto spazio alla luce, e dall’altro lato dello spazio tutto era completamente immobile. Poi le parole “solo perché è possibile” emersero dal nulla e mi invasero. L’immensa energia cercò di insinuarsi in tutte le possibilità. Era “amorale”, ma era amore, nient’altro che amore. Non c’era un dio benevolo, ma solo questa potenza primordiale. Tutte le mie idee e convinzioni sembravano assurdamente ridicole. Non volevo dimenticarmene. Sapevo che avrei

potuto aprire gli occhi ed entrare in contatto con quelli attorno a me. Ma all’inizio dovevo aspettare che tutto questo si consolidasse, per consentire all’esperienza di cristallizzarsi, in modo da poterla condividere con gli altri. Mi chiesi: “Perché tornare indietro?” Non volevo aprire gli occhi. Quando lo feci, la stanza mi apparve molto luminosa, ma del tutto diversa da come me la ricordavo». Alcuni mesi dopo, nello studio sulla reazione alla dose, Elena ebbe la possibilità di visitare nuovamente

quello stato con una dose elevata in doppio cieco. Questa volta era molto meno ansiosa prima di iniziare. Dopo venti minuti, iniziò a parlare: «È stata veloce e potente, ho sentito un’incredibile pressione crescermi nella testa e spingermi indietro. Mi ha fatto esplodere nel mondo in cui la pura energia vivente inizia a prendere forma. Quando ha iniziato a rallentare, ho visto il processo di separazione della coscienza. Questo rallentamento crea la forma e la coscienza. Prima di esso, la

coscienza non è presente. Non è involontario, ma nemmeno consapevole. È reale, fatta di una propria sostanza, non frammentata. È sorprendente quanto lentamente di muovano le cose qui sulla Terra! Esce e rallenta verso il margine esterno, verso i suoi confini, nella forma. C’è un infinito flusso di creazione, senza sforzo, e poi questo enorme processo lo riporta indietro. Anche il mio piccolo frammento di energia procede dentro e fuori, né più né meno di qualunque altro. Non puoi morire. Non puoi andare via. E nemmeno aggiungere o

sottrarre. C’è un continuo flusso che è l’immortalità. Il concetto di “io sono” viene e riviene. Ne ho la certezza. C’erano un sacco di paradossi. Non ero disorientata, però mancava un orientamento. Non sapevo dove mi trovassi, né chi fossi, ma non c’era niente da sapere sul chi o sul dove fossi. Non dovevo chiedermi cosa fare dopo. Non ci sono spazi vuoti, erano tutti riempiti». Sebbene Elena avesse descritto come “amorale” l’essenza del suo incontro, la sua gioia e la meraviglia suggerivano che l’aveva trovato

tutt’altro che freddo o senza vita. Piuttosto, «era amore», ed era stata così felice da considerare l’idea di non ritornare. Comprese il ciclo di nascita e rinascita con la conseguente certezza soggettiva dell’immortalità. Come Carlos nel capitolo precedente, anche lei vide quello che i moderni studiosi di cosmologia suppongono sia la sorgente dell’universo. All’inizio non c’è nulla, poi c’è il Big Bang, dal quale le particelle, rallentando e raffreddandosi, diventano elementi della materia. E dalla materia

derivano i nostri stessi corpi e menti separati. La storia di Sean è significativa per la sua combinazione di elementi diversi. Le sue sessioni condividono le caratteristiche delle esperienze dei mondi invisibili, di quelle di contatto con entità, oltre che degli stati mistici. Tuttavia, la sua esperienza di illuminazione costituisce il culmine a cui venne progressivamente condotto attraverso altri tipi di effetti. Sean aveva trentotto anni quando iniziammo a lavorare insieme, e ricevette la maggiore quantità di

rispetto a ogni altro volontario. Prese parte a ogni esperimento in doppio cieco o placebo controllato, così come agli studi pilota volti a determinare le dosi ottimali di DMT da utilizzare in combinazione con il pindololo e la ciproeptadina. Partecipò inoltre allo studio sulla DMT con l’ EEG e a diverse sessioni con la psilocibina nel corso di un lavoro preliminare con quella sostanza. Capelli di un color biondo rossiccio, carnagione chiara, di corporatura e statura media, aveva un modo di fare gentile e un DMT

temperamento pacato. Solo dopo aver passato un po’ di tempo con lui si aveva modo di apprezzarne il forte carattere, l’intelligenza acuta e curiosa, e l’umorismo pungente. Era un avvocato presso una delle maggiori aziende di Albuquerque. Ad ogni modo, lavorava solo parttime per avere il tempo di dedicarsi alla sua altra grande passione: coltivare una grande varietà di alberi indigeni. In precedenza aveva assunto LSD circa trentacinque volte, e funghi psilocibinici e mescalina un paio di volte. Le sue motivazioni per

partecipare allo studio sulla DMT sono semplici, in linea con il suo approccio alla vita: «Voglio provare un altro tipo di allucinogeno. Non so proprio cosa aspettarmi, ma non ho paura di una nuova esperienza, né di me stesso e di quello che potrei fare». La sessione di Sean con la dose bassa di DMT non in cieco andò bene, mentre la dose elevata del giorno successivo fu un’aberrazione. Il catetere endovenoso si era allentato, e inavvertitamente iniettai la droga sottopelle anziché nella vena. Lo

sospettavo, ma non ne fui completamente sicuro fino a quando non si trovò nel pieno dello studio sulla reazione alla dose condotto in doppio cieco. Andò molto più su di giri con alcune di queste dosi di quanto aveva fatto con quella che credevamo fosse la sua prima dose elevata. Gli effetti di questa dose iniziale non in cieco da 0.4 mg/kg impiegarono un po’ di tempo a manifestarsi e non furono molto maggiori rispetto a quelli della dose minima ricevuta il giorno prima. L’iniezione sembrò strana già

mentre gliela stavo facendo, ma non mi venne in mente di aver mancato la vena. Non credevo di poter fare quell’errore. Forse Sean era una di quelle persone che mi aspettavo potessero avere una piccola reazione alla droga. Durante uno dei giorni dello studio in doppio cieco, Sean ricevette quella che poi si scoprì essere la dose da 0.2 mg/kg. A causa della sua reazione a questa dose sconosciuta, iniziai a pensare che forse c’era stato un problema con la prima dose elevata. Anche lui era di quell’avviso.

«Scommetto che è questa la dose elevata, e non quella dell’altra volta. Non sono mai stato così su di giri. La venatura nella porta si è semplicemente aperta!» Sean cominciò a partecipare abbastanza presto allo studio, quando non avevamo ancora iniziato a utilizzare regolarmente le mascherine, e all’inizio gli piaceva tenere gli occhi aperti. Ciò mi permise di aiutarlo a riflettere più intensamente sulle immagini prodotte dalla DMT e sulla loro natura talvolta dispersiva.

«Vediamo se riesci a concentrarti sullo spazio all’interno delle venature del legno, piuttosto che sulla venatura in sé. Potresti andare oltre, una volta che sarai più in confidenza con ciò che accade con la DMT . Le visioni e le manifestazioni non sono tutto ciò che c’è lì». «Ero giusto sul punto di perderlo. Non avevo la percezione di quello che voi due stavate facendo, sentivo solo che eravate lì vicino. Ero contento di conoscervi entrambi; sarei stato a disagio se foste stati degli sconosciuti».

I suoi commenti circa il trovarsi a proprio agio in nostra presenza la dicevano lunga sulla variabile, tanto importante quanto poco discussa, costituita dal rapporto esistente tra chi somministra e chi riceve la droga. Sentirsi a proprio agio con chi si ha accanto favorisce il lasciarsi andare; l’ansia e la sfiducia conducono al risultato opposto. Alcune settimane dopo ricevette il placebo, il che gli diede il tempo di riflettere sulla sua sessione precedente. «Credo che l’ultimo viaggio fosse un’esperienza di pre-morte. Tutto è

più vivo adesso. Non sono annoiato, persino quando dovrei esserlo! È stato il timore reverenziale e la paura di Dio. Non ho pensato quasi a nient’altro nei due giorni seguenti. Il desiderio di parlarne con tutti è svanito dopo tre-quattro giorni». È curioso il fatto che Sean avesse avuto un’esperienza così profonda senza che nessuno di noi ne fosse a conoscenza. Ciò mi suggerì di prestare molta attenzione a come le diverse persone si trovassero a proprio agio o avessero la capacità di discutere delle proprie sessioni,

in particolare subito dopo che si erano verificate. Sean si candidò per il progetto pilota sulla tolleranza, volto a stabilire la dose appropriata di DMT da somministrare e il tempo che doveva trascorrere tra un’iniezione e l’altra. Un giorno ricevette quattro iniezioni da 0.2 mg/kg a intervalli di un’ora. Quando si stava per riprendere dalla terza dose, disse: «Non riuscivo a guardare tutto, c’era molta confusione. Qualcosa mi ha chiesto: “Cosa vuoi? Quanto ne vuoi?”».

Sean citò questo episodio in maniera del tutto casuale. Fu la prima volta che disse di aver sentito “l’altro”. «Gli ho risposto che volevo vedere meno cose, ma in modo più approfondito. Ciò ha ridotto l’intensità di quello scenario confuso, crepitante e colorato con motivi cinesi. Il tutto si è fatto più ordinato e nitido. Mi sento più libero all’idea di andare là fuori. Non sono smarrito. Faccio domande e ricevo risposte». Sean ritornò per le quattro dosi da 0.3 mg/kg a intervalli di un’ora.

Ebbe una giornata particolarmente movimentata. Sebbene i miei appunti registrarono molto di ciò che accadde durante la sua sessione, la lettera che Sean mi inviò in seguito è ancora più completa: «La prima sessione fu davvero uno spasso. Sentii sollevarmi dal letto per circa un metro. Le immagini si svilupparono velocemente in un motivo luminoso e scintillante dalle tonalità bluverde. Chiesi: “Sei ancora qui?” Non ricevetti risposta, così mi misi a osservare una città situata in basso, su una pianura, in un orizzonte

lontano che mutava in una varietà di tinte e colori, con molte “cose” indefinite che fluttuavano nell’ “aria” sopra la città. Poi notai una donna di mezza età, con il naso aguzzo e la pelle verdognola, che sedeva alla mia destra guardando questa città cangiante in mia compagnia. Teneva la mano destra su un quadrante che sembrava comandare il panorama che stavamo osservando. Si girò appena verso di me e mi chiese: “Cos’altro vorresti?” Io le risposi

telepaticamente: “Be’, cos’altro hai? Non ho idea di quel che puoi fare”. Poi si alzò, camminò fino alla destra della mia fronte, la toccò e la scaldò; quindi utilizzò un oggetto affilato per aprire un pannello nella mia tempia destra, liberando una considerevole pressione. Questo mi fece sentire molto meglio di prima, sebbene sapessi che mi sarei sentito bene nel posto precedente». La seconda dose di Sean fu impegnativa, disturbata dal rumore di un aspirapolvere fuori dalla stanza e dall’orribile stridore del camion della spazzatura fuori dalla

finestra. Temporaneamente confuso e in preda all’ansia, Sean poté fare ben poco in quella sessione. Dose 3 «Per la prima volta in assoluto ero in uno stato di vuoto mentale prima dell’iniezione di DMT . Non avevo pensieri, speranze, paure o aspettative. Il viaggio iniziò con una sensazione di formicolio elettrico nel corpo, e all’improvviso arrivarono le allucinazioni visive. Poi notai cinque o sei figure che camminavano rapidamente di

fianco a me. Avevo la sensazione che fossero degli aiutanti, dei compagni di viaggio. Una figura umanoide maschile venne verso di me, stese il braccio destro verso il mosaico di colori luminosi e chiese: “Che ne pensi di questo?” I motivi caleidoscopici divennero immediatamente più luminosi e accelerarono il loro movimento. Un secondo e poi un terzo essere mi domandarono la stessa cosa, ripetendo quello che aveva fatto il primo. A quel punto decisi di andare oltre, più in profondità.

Vidi immediatamente una luce abbagliante, di colore giallo-bianco, proprio di fronte a me. Decisi di aprirmi a essa: ne venni consumato e diventai parte di essa. Non c’erano più differenze: nessuna figura o linea, ombra o contorno. Non c’era nessun corpo, non vi era niente all’interno o all’esterno. Ero privo di personalità, di pensiero, di tempo, di spazio, di un senso di separatezza o di ego. Non c’era nulla all’infuori della luce bianca. Non ci sono simboli nel mio linguaggio che possano descrivere quella sensazione di pura esistenza, unità

ed estasi. C’era una straordinaria sensazione di quiete e di estasi. Non ho idea di quanto tempo restai in questa concentrazione di pura energia, o in qualunque altro modo possa descriverla. Finalmente sentii che stavo rotolando lentamente, scivolando all’indietro su una rampa, lontano da questa Luce. Potevo vedermi mentre lo facevo: ero un essere innocente, nudo, sottile e luminoso che risplendeva di calda luce gialla. La mia testa si era fatta più grossa, mentre il corpo era quello di un bambino di quattro anni. Le onde

della Luce mi toccavano mentre il mio corpo si allontanava. Stavo quasi impazzendo di felicità quando terminò il mio scivolare lungo la rampa». Di sicuro, non avevamo idea di quel che stava succedendo a Sean. I miei appunti indicano che nove minuti dopo la terza iniezione Sean affermò: «Credo di essere tornato». Dopo aver completato la scala di valutazione, disse: «È interessante. Ho scelto di entrare in una luce abbagliante». «Mi fa piacere che tu abbia scelto di entrarci, anziché aspettare e

osservare» dissi per incoraggiarlo. «Non fu una scelta tanto consapevole». «Fede può voler dire saltare da un precipizio con ottimismo». «Non ero così spaventato». Fece una pausa e sorrise. «Non posso credere di star facendo questo, che tu stia facendo questo». Torniamo a quanto scrisse nella sua lettera in merito alla sua quarta e ultima dose di quel giorno: «C’erano persone fatte di filo metallico dappertutto, andavano in bicicletta, come se fossero

programmate, come i personaggi di un videogioco che si divertono. Li guardai. Erano di colore blu-verde e correvano tutti attorno a me. Era come trovarsi su un parcheggio a torre. Ho dimenticato cosa successe alla fine. Andarono avanti a lungo! Continuavo a chiedermi se sarebbe accaduto qualcos’altro. Lentamente il viaggio si concluse, ma non ricordo come». Quel giorno era quasi alla fine. Il volto di Sean era pallido quando si tolse la mascherina. Si portò le ginocchia al petto. «Sembri stanco» gli disse Laura.

«No, non sono stanco. Mi sento solo un po’ confuso». Si guardò attorno, posò lo sguardo su me e Laura e sospirò: «Che giornata!» Sicuramente ci sono delle analogie sorprendenti tra le esperienze spirituali spontanee e quelle indotte dalla DMT in alcuni individui. Le sessioni con dosi elevate di Cleo, Elena e Sean furono estatiche, rivelatorie, rivoluzionarie e profonde. Tutti e tre i volontari erano persone stabili ed equilibrate che avevano conoscenza dei concetti religiosi. Le parole che

usarono per descrivere le loro sessioni sono incredibilmente simili a quelle utilizzate dai più grandi mistici di tutte le epoche. La DMT riproduce molte delle caratteristiche di un’esperienza di illuminazione: sensazione di eternità, ineffabilità, coesistenza degli opposti, contatto e fusione con una presenza estremamente potente, saggia e amorevole, che talvolta si sperimenta come una luce bianca; certezza che la coscienza continui dopo la morte del corpo fisico; conoscenza diretta

dei “fatti” principali della creazione e della coscienza. Sebbene gratificato e incantato da queste sessioni, domande sempre più grandi iniziarono a profilarsi mano a mano che ascoltavo questi resoconti. Per il fatto che la DMT è in grado di generare stati mistici, ciò significa che tali esperienze siano necessariamente positive? Oppure, detto in altre parole, hanno un’influenza spirituale in coloro che le sperimentano? Se così fosse, mi sarei sentito giustificato nel catalogare questi incontri come propriamente spirituali. Inoltre, gli

occasionali effetti negativi della DMT sarebbero stati più facili da accettare in presenza di reali esperienze trasformative vissute da alcuni volontari. Queste riflessioni portarono a due diverse questioni di carattere medico: gli effetti negativi da un lato, e i benefici a lungo termine dall’altro, generati dall’incontro con la molecola dello spirito. Allo scopo di iniziare a tracciare un bilancio complessivo, prendiamo ora in considerazione il lato oscuro della DMT .

79. Robert Master e Jean Houston, The Varieties of the Psychedelic Experience, Park Street Press 2000; William James, Le varie forme dell’esperienza religiosa, Morcelliana 2009; Robert Forte, Entheogens and the Future of Religion, Council on Spiritual Practices 1997.

Capitolo 17

DOLORE E PAURA

Per scrivere questi capitoli sulle sessioni con la DMT ho riesaminato ogni pagina dei miei appunti. Mi ci volle un mese per rivederli tutti e per sistemare i resoconti dei volontari nelle diverse categorie di esperienze. Una di queste riguardava gli “effetti negativi”, tra i quali inserii le reazioni difficoltose o problematiche alla DMT . Alcuni

elementi di venticinque sessioni con i volontari finirono in questo “contenitore”. Tali effetti negativi variavano da quelli più lievi, di minore entità e di breve durata, a quelli che si rivelarono terrificanti, pericolosi e persistenti. Venticinque su un totale di sessanta volontari sembra un gran numero. All’epoca, non ebbi mai l’impressione che quasi la metà dei volontari stava avendo dei problemi. Stavo forse minimizzando le difficoltà nel desiderio di andare avanti nella ricerca a qualunque costo?

Questo numero era sorprendente anche perché speravo di ridurre l’incidenza di reazioni spaventose alla DMT inserendo nello studio solo volontari sani che avevano già fatto uso di psichedelici. Questa sembrava una strada più sicura del coinvolgere persone che non avevano idea di cosa aspettarsi o che già manifestavano disturbi psicologici. Osservando più in dettaglio queste sessioni, diventò chiaro che la grande maggioranza di questi problemi erano, se non proprio di lieve entità, di breve durata; il che,

per certi versi, mi rassicurò. Uno dei motivi principali per cui scelsi la DMT come sostanza con cui riprendere la ricerca psichedelica in campo clinico era la breve durata dei suoi effetti. Prevedevo che, per quanto male potessero andare le cose, perlomeno non sarebbero durate troppo a lungo. Il setting della ricerca aveva tutte le caratteristiche per indurre delle risposte negative alla droga, e questo può aver contribuito all’alta frequenza di reazioni negative. L’ambiente ospedaliero era piuttosto sgradevole, anche se

alcuni volontari erano rassicurati dal fatto che avremmo potuto rispondere prontamente a qualunque emergenza di carattere medico. Oltre all’effettivo ambiente fisico costituito dal Centro di Ricerca, anche l’assetto della ricerca contribuiva a creare una tensione di solito assente nei comuni setting psichedelici. I prelievi di sangue, la compilazione dei questionari e diverse altre procedure sperimentali influivano nei rapporti con i volontari. Volevamo ottenere qualcosa da loro, non si trattava

soltanto della loro esperienza psichedelica, e questa aspettativa non poteva essere ignorata. Mi aspettavo che quasi tutti provassero un po’ di ansia non appena gli effetti della DMT iniziavano a manifestarsi. Sapevo che molte persone si sarebbero trovate a lottare per mantenere il controllo, in particolare con le dosi più elevate. Il mio rispetto per le proprietà profondamente dirompenti della DMT aiutò i volontari a sentirsi compresi circa la naturale preoccupazione che precede l’assunzione di dosi

massime della molecola dello spirito. Facemmo del nostro meglio nel curare dettagli quali odori, gesti, discorsi, stati d’animo e il comportamento di chiunque fosse presente nella stanza. Questa attenzione ai dettagli contribuì notevolmente a proteggere i nostri soggetti da influenze esterne che avrebbero potuto provocargli uno stato d’ansia non necessario o disturbarli in altro modo. Ci rendemmo conto che mantenere un atteggiamento incoraggiante, attento e comprensivo era la

garanzia migliore contro effetti negativi gravi, e il modo migliore per gestirli qualora fossero emersi.80 Il tema delle reazioni avverse assume notevole importanza nel valutare il rapporto rischi-benefici nel lavoro con gli psichedelici. I benefici erano maggiori dei rischi? Vale la pena correre il rischio di effetti negativi a fronte degli effetti positivi? Questo capitolo affronta il lato oscuro della DMT , mentre il successivo si concentrerà su quanto utili si siano rivelate le esperienze dei volontari nel lungo periodo.

La letteratura più vecchia sulla ricerca sperimentale accenna ad alcuni tipi di reazioni negative che si possono avere con la DMT . Uno dei soggetti di Stephen Szára in uno studio sulla DMT con l’EEG effettuato negli anni ’50 era un medico donna. Nel momento di massimo effetto della DMT somministratale per via intramuscolare, esclamò: «È spaventoso perché non riesco a interrompere [anche aprendo gli occhi] [...] È così sgradevole! Oh, che brutto. Sarebbe stato meglio cadere svenuta. Ne avrò ancora per

un’ora? Mi dia qualcosa per morire rapidamente, sarebbe meglio morire. Come ha potuto farmi questo?»81 In seguito Szára riassunse le cinque reazioni “paranoidi o ingannevoli” nei suoi primi trenta volontari: «Questi soggetti riferirono dopo un paio di giorni che erano convinti che qualcuno volesse ucciderli o avvelenarli durante l’esperimento. La DMT era il veleno, e la persona che conduceva l’esperimento l’assassino. Un soggetto divenne molto violento nel

corso dell’esperimento e dovette essere contenuto con la forza».82 Le descrizioni di Szára sono insolitamente disinvolte per un ricercatore psichiatrico. Di solito è abbastanza difficile avere la chiara percezione di cosa accada esattamente durante le sessioni con le droghe psichedeliche in un’ambiente di ricerca. Questo è particolarmente frequente quando si verificano reazioni negative nel corso di studi nei quali il team di ricerca ha degli interessi personali nel dimostrare gli effetti positivi della droga.83

Le reazioni negative alla DMT da parte dei nostri volontari del New Mexico non erano qualitativamente diverse da quelle dei volontari coinvolti in altri tipi di sessioni e delle quali abbiamo parlato. Tali reazioni negative comprendevano aspetti di tutte le categorie descritte in precedenza: temi di carattere psicologico, mondi invisibili, contatto con esseri non materiali, esperienze mistiche e di pre-morte. Ciò che rese negativi gli effetti non fu l’esperienza in sé, ma la reazione a essa dei volontari. Le risposte dei volontari agli elementi ansiogeni

determinavano conseguentemente se avrebbero continuato una discesa spaventosa oppure se si sarebbero tirati fuori verso una soluzione più positiva. Ida fu una di quei pochi volontari che si ritirò dalla ricerca dopo la dose minima non in cieco. Aveva trentanove anni all’epoca in cui partecipò allo studio sulla DMT e aveva conosciuto la mia ex moglie durante un seminario sulla spiritualità femminile tenutosi ad Albuquerque. Aveva tre figli ed era stata infelicemente sposata per quasi la maggior parte della sua

vita. Aveva un senso dell’umorismo pungente che sembrava nascondere una gran quantità di rabbia e rancore. Era difficile stare rilassati accanto a lei, perché non era facile dire se stava ridendo con te o di te. Era interessata allo studio sulla DMT perché era attratta dallo sciamanesimo. Aveva assunto LSD e funghi psilocibinici una ventina di volte nella sua vita, ma nemmeno una volta da quando aveva messo su famiglia circa vent’anni prima. Entrando nella stanza 531 il pomeriggio della piccola dose non in cieco di Ida, mi sorpresi nel

vederla seduta sul letto a leggere un numero del New Yorker. Fu la prima e unica volta in cui un volontario si preparò in questo modo alla prima sessione di DMT . Sembrava nervosa. Continuò a sfogliare le pagine mentre le davo le mie indicazioni. C’era tensione e inquietudine nella stanza, e mi trovai a balbettare delle frasi anziché far scorrere i miei soliti discorsi, il che mi allarmò ancor prima che la mia mente cosciente si accorgesse del forte stato d’ansia di Ida.

Quattro minuti dopo l’iniezione, gli occhi di Ida si aprirono velocemente. Mi guardò e poi subito distolse lo sguardo. Un minuto dopo, iniziò a parlare: «Non mi è piaciuta. Non mi è piaciuta la sensazione. La mia testa era caldissima. Ero fuori dal mio corpo. Facevo fatica a respirare». «È piuttosto veloce, non trovi?» «Forse per te». «Mi riferisco all’assalto iniziale. Ti è sembrato che durasse tanto?» «Speravo che finisse non appena ho iniziato a sentirla. Ho percepito gli effetti mentre stava entrando la

soluzione salina. Non sarei riuscita a muovermi se mi avessi chiesto di farlo. Mi sono guardata i piedi e non li riconoscevo come miei. È stato spaventoso, e non mi sentivo al sicuro». Non ci fu modo di darle una dose otto volte superiore il giorno seguente. «Sai, non a tutti piace questa droga». «Io l’ho odiata». «Finiamola qui, considerala un’esperienza. Non c’è bisogno di sfidare la sorte». «Ok».

Dalla cucina le portarono un pessimo pranzo: tacos di carne misteriosa. L’epilogo perfetto di una sessione difficile. Quella sera le telefonai. Si sentiva bene, ma mi confermò di non voler prendere mai più la DMT . Per alcuni volontari le esperienze con le dosi elevate si rivelavano estremamente inquietanti, al punto da abbandonare lo studio dopo queste sessioni. Ken era uno di loro. Ken, ventitré anni, si era trasferito ad Albuquerque solo alcuni mesi prima di imbarcarsi nel nostro progetto di ricerca. Con i capelli

lunghi e ondulati, portati in modo sportivo, e una moto vistosa, era uno dei volontari più appariscenti. Si era trasferito nel New Mexico per frequentare un corso di formazione in una scuola di medicina alternativa, avendo abbandonato un’altra università perché si sentiva «come una pecora». Aveva preso l’MDMA abbastanza spesso e ammise di avere difficoltà nel limitarne l’uso. Gli piacevano «il divertimento, l’esaltazione, l’amore, il senso di appartenenza, la profondità e la spiritualità» che procurava. Curiosamente, tralasciò

di rispondere al questionario sull’uso delle classiche droghe psichedeliche, ma notai la cosa solamente dopo che abbandonò lo studio. Se me ne fossi accorto prima, avrei avuto delle remore riguardo le sue esperienze con queste droghe decisamente più potenti. C’era qualcosa in Ken che mi turbava. Aveva sempre questo atteggiamento rilassato e new age, e io e Laura ci chiedevamo come fosse il suo lato ombra. Dov’erano la sua ansia, la sua rabbia e i suoi limiti? Cosa di preciso lo rendeva

così? Sembrava svolazzare nella vita anziché assumere un vero e proprio ruolo in essa. Ovviamente, col senno di poi, questo sarebbe stato il punto di partenza per le sue successive complicazioni, ma era difficile poter prevedere la sua reazione negativa alla DMT . La dose minima da 0.05 mg/kg non comportò alcuna difficoltà. «Ho provato una sensazione di serenità e di eccitazione, come con l’MDMA . C’erano alcuni colori. È stato piacevole. Mi chiedo come sarà la dose elevata di domani».

Non ero sicuro di come avrebbe affrontato il giorno successivo. Per me l’MDMA è una droga leggera. Le persone che la preferiscono agli psichedelici tendono a non gestire bene lo stress, sia nella loro vita, sia quando assumono delle droghe intrippanti più potenti. Mi piace definire l’MDMA come una droga “tutta luce e amore”, in quanto accentua gli stati positivi e minimizza quelli negativi. Se solo la vita fosse così semplice! Il giorno successivo Ken indossava dei pantaloni di cotone leggero larghi e scoloriti e una

maglietta dalle vivaci fantasie psichedeliche. Le infermiere dell’accettazione fecero dei commenti su quanto fosse carino. Il suo respiro sembrò fermarglisi in gola non appena l’iniezione di soluzione salina ripulì ogni traccia della dose elevata di DMT dal suo catetere endovenoso. Stando alle reazioni di Philip e di altri volontari alle dosi elevate di DMT , quel piccolo moto di soffocamento quasi sempre era il segno di un effetto potente. La testa di Ken oscillava avanti e indietro, e i piedi andavano su e giù

in modo involontario, come per scaricare la tensione in eccesso. Al quinto minuto circa ritrovò la calma, ma fece una smorfia e scosse la testa. Dopo un paio di minuti si tolse la mascherina e fissò dritto davanti a sé. Le sue pupille erano ancora dilatate, così io e Laura restammo seduti tranquilli, aspettando che ritornasse completamente. Al quattordicesimo minuto, pur sconvolto ma mantenendo una certa compostezza, si mise a raccontare: «C’erano due coccodrilli sul mio petto. Mi schiacciavano e poi mi

hanno sodomizzato. Non sapevo se sarei sopravvissuto. All’inizio credevo di sognare, di avere un incubo. Poi mi sono reso conto che stava accadendo realmente». Ero contento che non gli avessimo inserito la sonda rettale, dato che si trattava di un giorno di test. Delle lacrime si formarono nei suoi occhi, ma restarono lì. «Sembra raccapricciante» gli dissi. «È stato orribile. Non ho mai avuto così tanta paura in tutta la mia vita. Volevo chiederti di tenermi la mano, ma ero tenuto

fermo così saldamente da non riuscire né a muovermi né a parlare. Cristo!» L’esperienza era terminata e potevamo dargli dei piccoli consigli per lasciarla andare e cercare di superare il trauma degli assalitori rettiliani. Era stato aggredito, e il massimo che potevamo fare era cercare di aiutarlo ad accettare e magari anche a imparare qualcosa dalla sessione. «Cosa ne pensi?» «Non ne ho la più pallida idea. Era come se mi stessero punendo».

Mi guardò direttamente negli occhi e mi chiese: «Le prossime dosi saranno così forti? Non credo che potrei sopportare di nuovo una cosa simile». Si stese sul letto tranquillamente, assimilando quello che gli era appena accaduto. Non voleva parlare troppo, ma compilò la scala di valutazione senza troppe difficoltà. Dopo aver fatto colazione sembrava più sereno ed equilibrato. Tornai nella stanza 531 dopo aver compilato le mie annotazioni sulla sua cartella. Sembrava essersi

ripreso e mi stava aspettando prima di lasciare l’ospedale. «Come ti senti adesso?» «Credo che questa droga non faccia per me. Preferisco la morbidezza dell’MDMA . Questa è troppo forte e intensa». «Va bene. Ci sono altre forti esperienze in serbo per te in questo studio, se decidi di continuare. È una buona idea fermarsi ora». Continuavo a pormi domande sul contenuto di quel suo incontro raccapricciante: «Hai una qualche idea del motivo per cui ti si sono presentati dei coccodrilli?»

«Non proprio. Mi piacciono i rettili, ho anche avuto un’iguana come animale domestico» disse ridendo. «Forse è stata una specie di regressione a una vita passata in Egitto». Restai in contatto con Ken, sebbene presto lasciò Albuquerque per trasferirsi in California. La sua reazione era stata così traumatica che temevo avrebbe potuto sviluppare dei danni psicologici permanenti. Ci chiedemmo se per caso avesse subito delle molestie sessuali da bambino, ma lui non ricordava nessun episodio del

genere e pertanto questa restò solamente un’ipotesi. In un certo senso, quella sessione lo spaventò per bene. Lo stupro dei rettilli era diventato un brutto ricordo al quale pensava raramente, ma i cui effetti si continuavano a ripercuotere all’esterno. Smise di prendere qualsiasi droga psicoattiva, compresa l’MDMA , e ridusse significativamente l’uso di marijuana. Trovò lavoro in un’erboristeria e andò a vivere con la sua ragazza. Gli sarebbe potuta andare molto peggio.

È facile, col senno di poi, collegare l’esperienza negativa di contatto con entità vissuta da Ken con la sua tendenza a respingere gli aspetti oscuri e ombrosi di se stesso. Le sue difese psicologiche erano troppo deboli per agire sotto la potente influenza della molecola dello spirito. Sebbene le sessioni stupefacenti con dosi elevate di DMT potessero assumere tinte fosche e minacciose, alcuni volontari fecero un lavoro notevole per sfruttare quell’esperienza a proprio vantaggio. Ad esempio, Andrea ebbe

una reazione di terrore nel momento in cui la molecola dello spirito la portò verso un’esperienza di pre-morte. Ad ogni modo, utilizzò la sua iniziale paura come catalizzatore di un’importante lavoro su di sé. Andrea aveva trentatré anni e abitava a nord di Santa Fe con i due figli e il marito. Erano entrambi degli sviluppatori di software e conoscevano piuttosto bene le droghe psicoattive. Andrea aveva preso psichedelici più di un centinaio di volte e alcuni anni prima aveva anche fatto uso di

grandi quantità di cocaina e metanfetamine. Da bambina Andrea iniziò a sperimentare quelle che chiamiamo “paralisi del sonno” e “allucinazioni ipnagogiche”. Quando si stava per addormentare, era incapace di muoversi e aveva delle brevi, terrificanti allucinazioni. Sua madre, una fervente cattolica, le diceva che era Satana che la torturava e che avrebbe dovuto pregare Gesù affinché la proteggesse. Queste esperienze terrificanti continuavano ancora

adesso, sebbene le capitassero raramente. Questa incapacità di immergersi serenamente nel sonno la preoccupava pensando al momento in cui avrebbe preso la DMT al Centro di Ricerca. Forse non sarebbe riuscita a rilassarsi completamente durante il rush iniziale degli effetti. Pensava di poter avere un’esperienza di premorte con la DMT e si chiedeva se sarebbe stata in grado di lasciare la consapevolezza del proprio corpo. Nonostante le sue preoccupazioni, ad Andrea piacque la dose minima.

Riassunse quello che provò con queste parole: «È stato divertente!» Il giorno successivo iniziò dicendo: «Stamattina, quando mi sono alzata, ho provato un momento di paura. Poi ho pensato che siccome le cose erano andate così bene ieri, allora lo stesso sarebbe accaduto oggi». Per qualche motivo avevo piazzato il kit d’emergenza –Valium in caso di panico e compresse di nitroglicerina in caso di pressione troppo elevata – accanto all’apparecchio per la misurazione

della pressione. Non ricordavo di averlo mai fatto prima. Andrea tossì ancora prima che giungessi a metà dell’iniezione di DMT . Sospirò profondamente una o due volte mentre la soluzione salina stava entrando. Poi urlò: «No! No! No!» Per tutto il minuto seguente continuò a gridare: «No! No! No!» Iniziò a tirar calci con le gambe e a dimenarsi. Suo marito le appoggiò la mano sulla gamba, dandole delle leggere pacche e massaggiandola. Io misi la mano sull’altro piede.

Al secondo minuto aveva smesso di gridare e sospirava; sembrava che si fosse calmata un po’. Le dissi: «Brava, respira semplicemente». «Va bene». Al quarto minuto notai che sotto la mascherina si stavano formando delle lacrime. «Puoi piangere». Cominciò a singhiozzare, andando avanti per circa cinque minuti, poi riprese a rilassarsi. «Ho urlato?» «Un paio di volte».

«Lo sapevo. Era difficile lasciarsi andare». «Ci sono parecchi sentimenti lì dentro». Rise in modo sommesso: «Mi sono offerta volontaria per questo, giusto?» «Sì, ho il tuo consenso informato a casa». «Non sono mai uscita veramente dal corpo. L’ho combattutto in ogni modo possibile. Credevo di stare per morire. Non volevo morire. Ero spaventata. Mi sono resa conto di avere un corpo per una ragione e

che avevo del lavoro da fare con questo corpo». A questo punto Andrea trasformò la sua paura in sfida, anziché in una sconfitta. «Quando stavo nella fase di down, non ero sicura di volerlo fare di nuovo, ma ora ho cambiato idea. Non credo che la prossima volta sarà così spaventoso. Era la morte. Mi sono vista in quel vuoto, nel vuoto. C’era solo il buio, ed era troppo. Non mi è mai successo nulla del genere. Con l’LSD o i funghi puoi creare le cose mentre sei ancora all’interno del tuo corpo e ti

puoi muovere sia all’interno che all’esterno di esso. Con questa droga non hai scelta. Ero completamente impreparata, sorpresa e spaventata». Quando tornai all’accettazione per compilare la scheda di Andrea, alcune infermiere del reparto mi chiesero se andasse tutto bene. Erano preoccupate dopo aver sentito le urla provenienti dalla stanza 531. «Ha avuto una partenza tosta, ma ora sta bene». Dopo trenta minuti dall’inizio della sessione Andrea si era ripresa

piuttosto bene e compilò la scala di valutazione. Nel giro di un’ora stava facendo colazione. È davvero incredibile la velocità con cui la DMT ci scaglia nell’abisso e poi ci fa ritornare! Quando parlammo al telefono il giorno dopo, mi disse: «Ora ho un’idea più precisa di quello che voglio fare nella mia vita prima di morire. Non sono ancora pronta a lasciare questo mondo. All’inizio ci siamo trasferiti nel New Mexico affinché potessi studiare al college, in particolare Scienze Motorie. Ma mi sono scoraggiata e non ho

completato gli studi. La mia vita è limitata, tuttavia, e se ho intenzione di riprendere i corsi, è questo il momento di farlo». Andrea ritornò il mese seguente per lo studio sulla tolleranza. Prima di iniziare, la misi di fronte alla sua paura. «Hai paura di perdere conoscenza? Se è così, va bene avere un black out. Puoi semplicemente svenire. Non preoccuparti. Potrai uscire di testa, ma poi ritornerai, andrà tutto bene. Oggi quattro dosi di DMT ti sfiniranno. Speriamo che riuscirai a

lasciarti andare senza troppo dolore e troppa paura». «Mi preoccupa solo dove andrò. Starò bene?» Fece un breve urlo soffocato quando la prima dose da 0.3 mg/kg le venne iniettata. Ad ogni modo, avendolo previsto, suo marito, Laura e io rispondemmo con prontezza mettendole le mani sulle braccia e sulle gambe. Si calmò rapidamente e durante la mattinata ebbe modo di lavorare sul tema che era emerso durante la sua prima dose elevata: la paura della morte

legata alla paura di come vivere appieno la sua vita. Come nel caso di molti volontari dello studio sulla tolleranza, Andrea arrivò a una soluzione estatica del suo stato d’ansia e di confusione nel corso della sua quarta sessione. Dopo diciotto minuti dall’inizio di questa sessione disse: «È stato un vero regalo, quest’ultima dose. Ero così angosciata e addolorata per le prime dosi, in particolare per la terza, che ho pensato: “Oddio, ho davvero intenzione di farlo di nuovo con quest’ultima dose?” E mi sono detta che sì, l’avrei ripetuto. Non mi

sarei mai arresa. E allora è stato facile. C’erano tutti questi esseri che dicevano: “Bene, ricordi quando eri giovane e piena di sogni e volevi imparare le tecniche del lavoro corporeo?” Non c’è ragione per cui non possa farlo adesso». Quando parlammo al telefono qualche giorno dopo, mi disse: «Ti sono davvero grata per quest’esperienza. Volevo davvero far piazza pulita di certe cose.84 Ha cambiato la mia prospettiva. Mi ha aiutato a rimettere a fuoco il mio interesse per il lavoro di guarigione.

Ci sono così tante cose che voglio fare. Non provo alcuna sensazione del tipo “va tutto bene”. Non c’era alcuna luce bianca durante la mia sessione. Ho ancora molto su cui lavorare. Parte della gioia che ho provato alla fine era una sensazione di realizzazione». Andrea avrebbe potuto continuare a lottare contro quei sentimenti di dolore e paura, peggiorando le cose. Sapevamo che avrebbe potuto avere delle difficoltà a lasciarsi andare, dopo che ci aveva raccontato di come la madre avesse paragonato i

suoi disturbi del sonno ad attacchi demoniaci. Nonostante ciò, grazie al nostro aiuto e a quello del marito, continuò a confrontarsi con la sua paura e trovò la tristezza e la confusione che vi si celavano dietro. Affrontando la sua ansia e le sue paure, lasciando andare le resistenze, ritornò con una più chiara percezione di chi era, di ciò che desiderava e dei piani per realizzare i propri obiettivi. Alcune delle sessioni di DMT più terribili implicavano problemi reali di vita e di morte legati alla pressione sanguigna che saliva o

cadeva a livelli pericolosi. Nel caso di Lucas, la pressione scese a livelli allarmanti, mentre nel caso di Kevin salirono a livelli spaventosamente alti. All’età di cinquantasei anni, Lucas era uno dei nostri volontari più anziani. Scrittore e imprenditore, viveva in un lontano paese nel nord del New Mexico, dove curava una serra che conteneva ogni varietà di piante esotiche dalle proprietà psicoattive. Lucas sapeva esprimersi bene, era intelligente e coraggioso. Durante il monitoraggio con l’elettrocardiogramma (ECG)

effettuato in ambulatorio risultò che i suoi valori non erano completamente nella norma. Il suo battito cardiaco era piuttosto lento, poco al di sotto dei 60 battiti al minuto, e soffriva di quella che è comunemente nota come “aritmia sinusale”. Quando inspirava ed espirava, il suo battito cardiaco rallentava e accelerava in misura maggiore rispetto a quanto avviene nella maggior parte delle persone. Mi consultai con il cardiologo, che interpretò i dati dell’ECG come una “variabile normale”, assicurandomi che non c’era da preoccuparsi se

Lucas non mostrava sintomi o segnali di disturbi cardiaci. La dose minima di Lucas ci fece pensare che il giorno successivo avrebbe potuto avere una sessione intensa. Come Rex, che era svenuto mentre si apprestava a entrare nell’alveare futuristico (si veda il capitolo 14), anche Lucas riportò di aver percepito una leggera sensazione di oscillazione, dondolio e vertigine: «È come se il letto dondolasse dolcemente. Come un’amaca che oscilla avanti e indietro».

Una parte della sessione di Lucas non in cieco con la dose elevata del giorno successivo – quella in cui arrivava in una stazione spaziale accompagnato da diversi automi umanoidi – è stata raccontata nel capitolo 12. Vediamo adesso gli aspetti più terrificanti di quella mattinata. Subito dopo aver terminato l’iniezione, Lucas divenne pallido e sospirò inquieto. Sollevò e distese più volte le gambe, poi guardò Cindy. «Cristo! Non avevo idea di cosa mi avrebbero fatto!»

Ebbe un conato di vomito. Mi guardai attorno. Non c’era nessun recipiente in cui poter vomitare. Cindy mi indicò una vestaglia appallottolata. Era tutto quello che avevamo e gliela diedi. Lucas la prese tra le mani e la osservò come se non capisse cosa fosse. «Mmh?» mugugnò. «Usalo» suggerii. Ebbe un altro conato, ma non vomitò nulla. «Cristo!» Mentre tentava di vomitare nella vestaglia, iniziò a scivolare giù dal letto a testa in avanti. Mi alzai,

raggiunsi Cindy al lato del letto e la aiutai a tirarlo indietro. Teneva la vestaglia premuta contro il suo viso. Al quinto minuto la sua pressione scese da 108/71 a 81/55, mentre le pulsazioni passarono da 92 a 45. Era pallido, in effetti stava diventando livido. Reggendosi la testa e tremando, stava per avere un collasso. Dopo due minuti il battito segnava 47 e la pressione 87/49. Cercammo di sistemare il letto – per sollevargli i piedi e abbassargli la testa – in modo da aumentare l’afflusso di sangue nel cervello.

Nella confusione era infatti impossibile azionare i comandi del letto. Dovevo chiamare la squadra di rianimazione per le emergenze cardiache? Oppure procurarmi dei farmaci per far aumentare la pressione? La DMT produce forti aumenti di pressione e temevo che se la sua circolazione si fosse ristabilita da sola e gli avessimo somministrato una dose consistente di adrenalina per far fronte al collasso, avremmo potuto esagerare e causargli un ictus per la pressione troppo alta.

«Stai andando bene» gli dissi. «Fa’ qualche respiro profondo e concentrati sul tuo respiro». Sembrava stordito e in cattive condizioni. I suoi parametri vitali si ristabilirono da soli nel giro dei successivi due minuti. Al dodicesimo minuto, la sua pressione si attestò sui 102/78 mentre il battito era di 73. Al quindicesimo minuto iniziò a descrivere il suo ingresso nella stazione spaziale. Terrificante fu ciò che vide dopo aver aperto gli occhi: «Ho guardato Cindy ed era

incredibilmente truccata da clown. Non era divertente, era malevola. Avevo paura di guardarla. In realtà non ti conosco per niente, Cindy, ma sembri davvero una brava persona. Era la droga. Di te, Rick, ho avuto solamente un flash: avevi una faccia che sembrava di acciaio inossidabile, con accenni di protuberanze e mammelle. Cindy era abbastanza cattiva. Non potevo guardarti direttamente: ciò avrebbe pregiudicato per sempre il tuo modo di trattare i pazienti». Iniziò a rilassarsi e proseguì raccontando concitatamente il suo

viaggio nello spazio. Facevo fatica a prestare attenzione, pensando a quanto vicini al disastro fossimo arrivati. Il suo furgone si ruppe durante il viaggio di ritorno a casa. La moglie lo andò a prendere e gli raccontò dei raccapriccianti ricordi di incesto infantile emersi in terapia. Altre due notizie li attendevano appena giunti a casa: un loro amico si era suicidato sparandosi un colpo alla testa e un altro stava rapidamente morendo di cancro. Quando ne parlammo il giorno successivo, Lucas si domandò:

«Cosa è reale? Cosa non lo è? Era come se un macigno, non un sassolino, fosse stato gettato in uno stagno e il suo eco si fosse sentito ovunque. L’uomo che si è suicidato lo ha fatto proprio mentre stavo prendendo la DMT , il che mi fa pensare a una sincronicità di un qualche tipo». Non avevo altra scelta che dirgli: «Sto pensando che sarebbe più sicuro per te abbandonare lo studio. Sei un elemento prezioso nella ricerca, ma non potrei sopportare che ti danneggiasse fisicamente».

Lucas protestò debolmente, ma comprese la mia decisione. Gli eventi di quella giornata lo avevano scosso seriamente. Mi chiese di andarlo a trovare, così verso la fine di quella settimana andai a casa sua e trascorsi una giornata con lui: si trattava della prima e unica visita a domicilio che feci nel corso dello studio sulla DMT . Ripercorremmo la sua sessione, quello che era accaduto e come si sentiva al riguardo. Verso la fine del pomeriggio era riuscito, in qualche modo, a ritrovare il proprio equilibrio. Nel giro di qualche

giorno tornò a sentirsi bene e riprese la sua normale routine. Prese parte a quasi ogni evento organizzato dopo la fine dello studio nel corso degli anni successivi e giunse a riconsiderare in maniera positiva la sua esperienza con la DMT . Kevin aveva trentanove anni ed era sposato con Sara, della cui storia abbiamo parlato nel capitolo 14. Era un individuo piuttosto serio, e nella sua carriera di matematico aveva trovato una certa prevedibilità che gli si adattava. Aveva fatto uso di psichedelici circa duecento volte e li

trovava «utili per una crescita emotiva e spirituale». Kevin era un uomo grande e grosso, una di quelle persone il cui corpo sembra svolgere un ruolo di protezione dal mondo esterno. Aveva un’ironia tagliente e una luce negli occhi, ma sembrava impiegare parecchia energia per tenere a bada certe paure, per esempio mostrandosi iper-razionale ed eccessivamente loquace. Anche Kevin passò a malapena i test di valutazione delle funzioni cardiache. La sua pressione era appena al di sotto del limite

consentito, e il suo ECG mostrò alcune anomalie “non ben definite”, che però non indicavano particolari problemi di cuore. Mostrando una straordinaria determinazione per entrare a far parte dello studio sulla tolleranza, iniziò a fare un regolare esercizio fisico, calò di una decina di chili e smise di bere caffè. Fece una visita a pagamento con un cardiologo privato e si sottopose a un test su tapis roulant, ottenendo in entrambi i casi un certificato di buona salute. La sua sessione con la dose minima non diede problemi, ma ero

preoccupato per il suo atteggiamento. Al secondo minuto dopo la sua piccola dose, disse: «Allora quando comincia? O è tutto qui? Oh, adesso sento degli effetti fisici: il mio cuore sta accelerando il battito e il bracciale per la pressione lo sento strano». Appariva troppo sprezzante. Volevo scuoterlo per prepararlo al grande trip del giorno dopo. A maggior ragione dopo avermi detto che quella sera sarebbe andato con la moglie e degli amici a mangiare

una grande pizza a base di carne e formaggio e a bere birra! Lo misi in guardia: «Mi preparerei per domani come se stessi andando a morire. Sii preparato per questo. Assumi un atteggiamento di timore e allo stesso tempo di fede. È questo il modo in cui io stesso mi preparo per le sessioni. Ti consiglio un pasto più leggero. Cerca di essere clemente con te stesso stasera e domani». Il giorno seguente sembrava nervoso mentre era disteso sul letto. Sara gli sedeva vicino, ai piedi del letto, pronta ad assisterlo.

«Sono preoccupato per la pressione» disse. «Anche noi, ma dovrebbe andare tutto bene. Abbiamo già avuto casi in cui la pressione è salita molto, ma si sono risolti in breve tempo». Il suo respiro accelerò dopo l’iniezione, ma restò immobile. La sua pressione massima, quella sistolica, subì un’impennata e raggiunse i 208 alla rilevazione del secondo minuto. Un allarme sulla macchina per la pressione, di cui non conoscevo l’esistenza, iniziò a suonare in modo acuto. Laura non riuscì a localizzare l’interruttore,

così spense tutta l’apparecchiatura. Le passai un’annotazione in cui avevo scritto: «Falla ripartire al quarto minuto». Vediamo ora le note che Kevin mandò alcuni giorni dopo a proposito di quanto era accaduto: «Sento un formicolio nel corpo. Una strana sensazione, come se venissi sollevato. Vedo dei colori che vengono verso di me nel buio. Poi vedo una luce, una griglia di cellule, simile a come appare la pelle al microscopio, con una luce bianca dietro. Tutt’a un tratto al mio lato destro vedo una figura.

Sembra una dea africana della guerra: è nera, ha una lancia, uno scudo e sembra avere una maschera sul viso. L’ho colta di sorpresa. Assume una posizione di difesa. Dice in tono aggressivo: “Osi venire qui?” Io rispondo mentalmente: “Credo di sì”. La scena davanti a me esplode in un modo che posso solamente paragonare alla serie televisiva Star Trek, nel momento in cui le navicelle spaziali sfrecciano oltre la velocità della luce. Sento una terribile spinta nel petto. Il mio cuore sta battendo all’impazzata.

Sento un flusso attraversarmi il corpo e penso: “Ci siamo. Rick e Laura mi hanno ucciso”. Poi il mio subconscio o qualcuno mi ha detto: “Stai morendo, non morire”. Lontano sento quello che sembra una specie di allarme. Credo che qualcosa sia andato davvero storto. Penso a Sara e al mio bambino. Combatto. Non ho intenzione di morire. Mi sento come se mi fossi tuffato da un trampolino di dieci metri, colpisco l’acqua e mi trovo sul fondo della piscina. Nuoto per risalire in superficie.

Gli effetti stanno per svanire. Sono ipersensibile alle persone nella stanza. Riesco a sentire il loro respiro e i loro movimenti. Sento la loro tensione». I miei appunti indicano che al terzo minuto Kevin disse: «Sono ancora qui». «Bene». La rilevazione della sua pressione sistolica del quinto minuto era scesa solo di due punti, si attestava sui 206, poi l’allarme scattò di nuovo. Sara sembrava preoccupata, mentre Laura si rivolse a me con

fare interrogativo. La situazione iniziò a diventare caotica. «È un allarme quello?» «Non è nulla, la tua pressione sta scendendo un po’». «È stato incredibile!» I miei appunti riportano che non appena Kevin iniziò a parlare, si sfregò la nuca. La sua pressione continuava a scendere lentamente. «Ho un po’ di mal di testa, alla base del collo» disse. Il suo mal di testa derivava probabilmente dallo stiramento delle arterie che permettono

l’espansione del cervello, le quali fortunatamente non subirono lacerazioni a seguito del forte aumento di pressione. Poi Kevin aggiunse: «Sarebbe interessante vedere se la guerriera nera comparirà di nuovo nelle prossime sessioni. Magari la prossima volta non sarà presa alla sprovvista». «Le prossime sessioni?» pensai. La pressione di Kevin tornò ai valori normali dopo trenta minuti. Era stanco, ma stava bene. Sapevo di aver evitato una collisione con qualcosa di veramente pericoloso.

Più tardi gli parlai nel mio ufficio. Sembrava allegro e determinato a continuare lo studio. «Ho vissuto molte esperienze psichedeliche nella mia vita» mi disse, «ma nulla che possa essere paragonato o che mi abbia potuto preparare a quello che mi è successo oggi. Sento di essere ritornato come una persona diversa. Ho capito che ci sono molti più mondi oltre a quello in cui viviamo. Anche se è stato spaventoso, non vedo l’ora di farlo di nuovo. La prossima volta voglio lasciarmi andare e vedere dove andrò e cosa

sperimenterò. Voglio saperne di più degli spazi che ho visitato». Laura e io acconsentimmo allora ad ammetterlo per le quattro dosi da 0.3 mg/kg nello studio sulla tolleranza. Sebbene fosse un dosaggio di poco inferiore alla dose massima da 0.4 mg/kg, continuavamo a chiederci: «E se gli prende un ictus?» La risposta ovviamente fu che non potevamo correre questo rischio. Kevin rimase deluso, ma noi tentammo di lavorare il più possibile con quello che aveva vissuto.

«Hai molto su cui meditare» gli dissi. «Hai fatto esperienza di una dose elevata di DMT , qualcosa che hanno fatto in pochi. Probabilmente mi sarei dovuto attenere scrupolosamente alle regole sin dall’inizio, quando l’elettrocardiogramma ha indicato quei valori anomali». Tornando a casa attraverso le montagne alla fine di quella giornata, mi domandai come mi sarebbero sembrati i segnali stradali che avevo incrociato sull’autostrada se Kevin fosse morto. Esausto,

cenai senza averne voglia e andai direttamente a letto. Un monitoraggio e una preparazione efficaci erano la chiave per mantenere poco frequenti gli effetti avversi che potevano manifestarsi nei volontari. Sebbene la percentuale degli effetti negativi avrebbe potuto essere ancora minore con uno screening migliore, è difficile capire come avremmo potuto migliorare i nostri metodi. Ripensandoci, una cosa che avrei potuto fare sarebbe stato di fidarmi di più della mia intuizione circa l’idoneità psicologica di alcuni

volontari e la salute del loro sistema cardiovascolare. Forse le nostre dosi di DMT erano troppo alte. Ci trovavamo sul filo del rasoio: una dose troppo bassa non avrebbe permesso di raggiungere la soglia psichedelica, ma una dose troppo alta, come nel caso di Philip (descritto nella prefazione), era pericolosa. Col senno di poi, la dose da 0.3 mg/kg avrebbe potuto essere una dose massima più adatta. Nessuno la sperimentò come “subpsichedelica”. Avevamo però scelto la dose da 0.4 mg/kg sulla base di

considerazioni mediche e alla luce degli scopi della nostra ricerca. Nonostante ciò, tale dose elevata di DMT avrebbe potuto compromettere la sicurezza e il benessere di quella minoranza di volontari che persero l’orientamento, lottarono strenuamente per ritrovarlo e furono traumatizzati nel corso del loro viaggio. Detto questo, resta il fatto che la molecola dello spirito non ci conduce sempre verso l’amore e la luce. Può anche aprirci gli occhi su realtà sconcertanti e segnarci con quelle esperienze più a lungo di

quanto possano fare le esperienze estatiche. La DMT è una droga potenzialmente pericolosa. Per questo motivo, occorre riflettere bene e a lungo prima di utilizzarla su noi stessi o sugli altri. 80. Potrebbe trattarsi solo di una mancanza di queste considerazioni dietro ai recenti resoconti sulle reazioni avverse nella ricerca sull’uomo con la ketamina. Si veda Anna Nidecker, Alleged Abuses Accelerate Reform, in «Clinical Psychiatry News», n. 26, 1998, p.1. In pratica, gli scienziati sapevano cosa stavano facendo? Avevano fatto uso loro stessi della ketamina? Quanto attentamente controllavano il setting nel quale i loro volontari ricevevano la ketamina? Che atteggiamenti assumevano e che

risposte davano quando si trovavano di fronte allo stato indotto dalla ketamina? Certamente, bisogna prendere in considerazione solo queste variabili leggendo i resoconti di effetti negativi durante la prima ondata di ricerca psihcedelica sull’uomo tra gli anni ’50 e ’60. 81. F. Kajtor and Stephen Szára, Electroencephalographic Changes Induced by Dimethyl-tryptamine in Normal Adults, in «Confinia Neurologica», n. 19, 1959, pp. 52-61. 82. A. Sai-Halasz, G. Brunecker e S. Szára, Dimethyltryptamin: Ein Neues Psychoticum, cit. 83. In tempi più recenti, Doblin ha portato alla luce un tipo di reazione negativa alla psilocibina nel noto studio Good Friday. L’articolo originale del 1966 (Walter N. Pahnke and William A. Richards, Implications of LSD and Experimental Mysticism, in «Journal of Religion and Health»,

n. 5, 1966, pp. 175208) dà una descrizione delle esperienze spirituali generate dalla psilocibina sugli studenti della Harvard Divinity School. Tuttavia, non si fece menzione di quel ragazzo andato fuori di testa che i membri del team di ricerca inseguirono per il campus, bloccarono a una porta e tranquillizzarono con un’iniezione di un farmaco antipsicotico! Si veda Rick Doblin, The Good Friday Experiment: A Twenty-Five Year Follow-Up and Methodological Critique, in «Journal of Transpersonal Psychology», n. 23, 1991, pp. 128. 84. Vedi la nota 1 del capitolo 11.

PARTE V

INTERRUZIONE

Capitolo 18

E QUINDI?

I nostri volontari hanno vissuto indubbiamente alcune delle più intense, insolite e sorprendenti esperienze della loro vita durante la ricerca sulla DMT . La molecola dello spirito li ha trascinati, spinti, trainati, sospinti dentro se stessi, all’esterno dei loro corpi, attraverso diversi livelli di realtà. Abbiamo letto di ogni sorta di sessione, molte

delle quali sembravano aiutare le persone a capire meglio il rapporto che avevano con loro stesse e con il mondo che le circondava. Ci siamo accorti anche del prezzo che alcune esperienze hanno fatto pagare alle nostre reclute. Ne è valsa la pena? Tutti quelli che hanno contribuito alla nostra ricerca si sono sentiti meglio nell’averne preso parte? Si sono sottoposti a qualche cambiamento produttivo nelle loro vite? C’era stato qualcosa che li abbia completamente appagati? In altre parole: «E quindi?»

La risposta che vi darò a queste domande è: «Dipende». Dipende dalla concezione che abbiamo di “beneficio”. I sottili cambiamenti del modo di fare, di prospettiva e creatività sono valide motivazioni per assumersi tutti i rischi di cui abbiamo parlato? O abbiamo bisogno di un segno ancora più visibile per capire che è accaduto qualcosa di favorevole? In cosa dovrebbe consistere questa prova? E se il risultato non è stato soddisfacente, per quale motivo non lo è stato? La colpa risiede nel set o nel setting?

Prima di iniziare lo studio, mi aspettavo che le persone sperimentassero delle profonde esperienze psichedeliche. Tuttavia, sappiamo bene quanto fugaci possano essere la maggior parte di queste intuizioni, comprensioni e prese di coscienza. Speravo che in un ambiente ospedaliero più sicuro, coerente e affidabile i nostri volontari sarebbero stati in grado di addentrarsi più in profondità e più lontano all’interno dell’esperienza psichedelica rispetto a quanto avessero mai fatto in precedenza. Probabilmente, date quelle

circostanze, gli effetti sarebbero durati molto più a lungo. Cosa potrebbe testimoniare un coinvolgimento totale che mettesse in pratica idee, percezioni, sensazioni alle quali viene dato accesso grazie alla molecola dello spirito? Un cambiamento lavorativo; iniziare la psicoterapia; cominciare a meditare regolarmente, all’interno o al di fuori di una disciplina spirituale istituzionalizzata; degli sforzi coordinati per modificare il proprio stile di vita, come ad esempio fare maggiore attività fisica, migliorare il

tipo di dieta o smettere di fare uso di droghe potenzialmente dannose e di alcol; spendere tempo e denaro per aiutare organizzazioni di beneficenza e umanitarie. In altre parole, le esperienze di illuminazione erano causa di un comportamento più illuminato? Quando i volontari venivano per la loro ultima sessione di qualsiasi particolare esperimento, gli chiedevo come avevano vissuto la propria partecipazione. «Cosa ti è rimasto dell’adesione a questo progetto?» Così cominciavo questo tipo di conversazioni.

Si trattava di una valutazione relativamente a breve termine di qualsiasi tipo di beneficio, dato che la durata degli esperimenti andava dai tre ai sei mesi. In tale contesto, la maggior parte di loro credeva di essere in qualche modo cresciuta, soprattutto dopo gli incontri a dosi elevate con la molecola dello spirito. Si trattava di impressioni informali e casuali ottenute nella stanza 531, dove la gestione delle sessioni e il raccoglimento dei dati si contendevano la nostra attenzione.

Raccogliemmo inoltre alcuni dati riepilogativi che avevano un riscontro a lungo termine dal primo gruppo di volontari. Laura contattò i soggetti che avevano partecipato allo studio originario sulla reazione alla dose e organizzò delle interviste da condurre di persona o per telefono. Quando lasciai il New Mexico, avevamo completato solo undici di questi colloqui formali riepilogativi. Quelli degli altri cinquanta volontari sono di indiscutibile importanza, e spero davvero di avere l’opportunità di completarli in futuro.

Abbiamo letto dell’esperienza spirituale di Sean nel corso dello studio sulla tolleranza. Un giorno, quando ricevette il placebo durante l’esperimento con la ciproeptadina, avemmo il tempo di parlare di altre cose oltre che della sua risposta immediata alla DMT . Dopo avergli fatto qualche domanda sui risultati generali della sua partecipazione alla ricerca, ci pensò su un minuto e disse: « Sembra che tu possa creare un mondo tutto tuo, in un certo senso. È sorprendente quello che può fare la mente!»

«Stai parlando della straordinaria esperienza avuta durante il progetto sulla tolleranza?» «Sì» disse. «Io la considero un’esperienza spirituale. L’altro giorno ho portato mia madre in chiesa. C’era una cerimonia che aveva a che fare con la Pasqua: Paolo sulla via di Damasco. Dopo aver incontrato Cristo rimase cieco per tre giorni. Penso che sia un po’ quello che è successo a me. Non riesco però esattamente a capire in che modo abbia influito sulla mia vita. Credo che una parte di questo abbia avuto qualche funzione

ognuna delle tre volte. Probabilmente, molto di tutto ciò ha influito nei cambiamenti avvenuti nella mia vita. Adesso riesco a gestire meglio la mia vita. Mi sento libero di fare nuove esperienze, e poi le faccio per davvero». Mike era un ragazzo di trent’anni, laureato, le cui sessioni erano state positive ma gli avevano sempre provocato un po’ d’ansia. Non era sicuro di ricordarsi completamente la sua prima sessione da 0.4 mg/kg, e non gli piaceva perdere l’orientamento. Ricevette il placebo

l’ultimo giorno dello studio sulla reazione alla dose, e gli chiesi che cosa gli era rimasto dal tempo trascorso nella nostra ricerca. «A volte ci penso» rispose. «Adesso, quando leggo, sono ancora più interessato alle zone periferiche di me stesso. Quando in gioventù feci uso di LSD, mi aprì la mente su altre possibilità di cui altrimenti non sarei stato consapevole. Anche la DMT potrebbe averlo fatto. Prima della ricerca facevo troppa fatica. Adesso sto guardando altre cose. Non riesco a pensare a nient’altro

che mi avrebbe potuto volgere verso quella direzione». Ciononostante, due anni dopo il suo entusiasmo era calato: «È stata un’esperienza all’interno della quale mi sono sentito infilato e conficcato, e in cui il mio cervello è stato bombardato dai farmaci; non proprio un’esperienza che ti cambia la vita. Ogni mese o due scorrono nella mia mente dei pensieri inerenti alla dose elevata. Comunque il mio risultato non è stato un cambiamento. Mi ha solamente ricordato che quando a vent’anni facevo uso di droghe ero

più spensierato e avevo più tempo per me». Abbiamo visto le esperienze di pre-morte di Willow nel capitolo 15. Dopo una piccola dose di DMT , si mise a riflettere sulla sua vita dal momento in cui era entrata a far parte dello studio: «La DMT mi ha fatto capire cosa si intende per transizione, per cambiamento, per morte. Recentemente, dopo la morte di mio suocero, ho capito che molto dipendeva dalla concezione che avevo della morte. Anziché essere scomparso, era solamente in una fase di transizione.

La DMT ha a che fare con la morte e con il morire. Infatti ho vissuto un’esperienza di pre-morte. Non si tratta della morte come uno stato di vuoto, anzi, è uno stato di pienezza. Mi è piaciuto per davvero. Non ho più paura della morte. Non ho bisogno di aspettare di morire per tranquillizzarmi e capire cosa si prova in quel momento. Al contrario, sono più accogliente e serena nei confronti della vita». Tyrone era quel volontario che durante lo studio sulla reazione alla dose si ritrovò nell’ “appartamento organico del futuro”. Un giorno in

cui ricevette del placebo siamo riusciti a riflettere sulla sua partecipazione. «Forse mi ubriaco di meno» ammise. «Mi servono ancora una o due birre la sera per andare un po’ fuori, ma non ne bevo quasi più cinque tutte in una botta, come facevo il sabato o il venerdì sera. Le cose sono più o meno rimaste uguali. La mia ragazza vuole che ci sposiamo. Io non sono mai stato sposato, è una decisione importante. Sto pensando a sistemarmi per sempre. Non so, forse tutto questo è frutto dello

studio o del punto in cui mi trovo in questa fase della mia vita. È probabile che mi abbia aiutato un po’, ma non in maniera così significativa». Due anni dopo, sottolineò: «Ho fatto delle riflessioni profonde allora, ma non le ho conseguentemente portate a compimento. Comunque era bello pensarci. Ma non ci ho pensato molto negli ultimi tre o quattro mesi. In generale penso di stare meglio, ma non credo che questo sia dovuto alla DMT . Ho attraversato un

trasloco importante e un cambiamento nel mio lavoro dopo la partecipazione allo studio, anche se questo era già nei piani. In sostanza non ci sono stati cambiamenti che posso attribuire esclusivamente alle esperienze con la DMT ». Stan, della cui esperienza terapeutica abbiamo letto nel capitolo 11, ha descritto alcuni possibili effetti della sua esposizione alla DMT sulla sua susseguente accresciuta sensibilità ai funghi allucinogeni. Ne parlammo verso la fine della sua

sessione con la dose minima in doppio cieco durante lo studio sulla reazione alla dose. «Da quando sono nella ricerca ho preso i funghi due volte» disse Stan, «e non ho mai viaggiato così tanto con gli psichedelici prima d’ora. Mi sono proiettato nella luce bianca e non ne sono più uscito. In precedenza, la scelta di rimanerci o tornare indietro non sembrava dipendesse da me. Ho visto come la luce bianca sia tutto quello che c’è, e che questo mondo è solo ombre e giochi di luce».

«Che mi dici di qualche cambiamento emozionale positivo?» «Può darsi che ci sia stata un’apertura dei canali psichici» rispose, «ma i trip erano per lo più privi di contenuto e di intuizioni. Forse adesso sono diventato un po’ più empatico, in sintonia, ricettivo. Se così fosse, si tratta di un cambiamento molto lieve. Ma non è dovuto alla DMT . Se guardo agli ultimi due mesi, mi accorgo che ci sono stati dei cambiamenti, ma le esperienze con la DMT non ne sono la causa diretta».

Continuammo a seguire Stan dopo la fine dei test sulla tolleranza. Il suo atteggiamento piuttosto reticente circa l’impatto con le sessioni con la DMT non era cambiato: «Forse è cambiata la concezione che ho di me stesso. Fare un viaggio del genere ti può portare a sentirti meglio con te stesso. Ad ogni modo, può prendere qualsiasi direzione. Non ci sono comunque state intuizioni, né spirituali né psicologiche. In ogni caso, ha davvero avuto un effetto catartico che ha posto le basi per qualcos’altro».

Nel capitolo 12, Mondi invisibili, e nel capitolo 13, Contatto attraverso il velo: 1, ho descritto una parte di quello che accadde ad Aaron. Un giorno, durante lo studio sul pindololo, gli fu somministrato del placebo, ed ebbe occasione di riflettere su ciò che era avvenuto nella sua vita per mezzo della DMT . «Gli effetti a lungo termine sono molto interessanti. La DMT mi porta in un altro stato. Non alterato in sé per sé, ma decisamente più aperto alla sincronicità, alla magia e alle opportunità che sono dietro l’angolo».

Durante lo studio di monitoraggio, Aaron disse: «La DMT mi ha scrollato un po’ di cose di dosso con la sua incontenibilità. Adesso sento di avere più controllo sulla mia realtà lasciandola scorrere liberamente; è un paradosso. Ho visto che l’esperienza con la DMT ha intensificato abilità verbali, visuali e musicali. Complessivamente, la DMT mi ha mostrato un altro livello o un altro sistema che avevo bisogno di vedere. Nulla di quello che pensavo o percepivo ha influito sul controllo delle sessioni. Ho conosciuto i benefici di quando si perde il

controllo». Anche Sara, che durante lo studio sulla tolleranza ebbe un’esperienza piuttosto complessa di contatto con entità non materiali, partecipò allo studio sul pindololo. Nell’ultima di quelle quattro sessioni abbiamo potuto fare il punto sulla sua partecipazione alla ricerca. «Le cose si sono espanse. Ora sono consapevole dell’esistenza di altri mondi che non fanno parte di questa realtà. Sento di avere un ricordo di quelle entità. La mia esperienza con loro è stata così reale che non è svanita col tempo,

come succede con le altre cose. Loro vogliono farci tornare indietro, vogliono darci insegnamenti e giocare con noi. Io voglio tornare indietro e imparare! Quanto vorrei che non controllassi chi prende la DMT !» Prima che Rex si sottoponesse alla sua sconvolgente sessione da 0.2 mg/kg di DMT con l’aggiunta del pindololo (descritta nel capitolo 14, Contatto attraverso il velo: 2), aveva ricevuto una dose inferiore di DMT con il pindololo. Conclusa quest’ultima sessione, gli chiesi

come si sentisse riguardo la sua partecipazione. «I miei impulsi creativi sono aumentati» rispose, «e ho scritto di più. Per quanto caotiche, le sessioni con la DMT mi hanno aiutato a essere più bilanciato. Averle sperimentate mi ha dato un senso di forza in me stesso molto più grande. Ho scritto alcune poesie sull’Altro. Ne avevo già scritte molte prima, ma ce ne sono anche altre che ho scritto subito dopo aver iniziato lo studio. La DMT mi ha messo faccia a faccia con alcuni aspetti del mio

subconscio che pensavo non esistessero nemmeno, come la mia paura di morire». Abbiamo letto dell’esperienza traumatica di Ken, violentato dai coccodrilli. Alcuni mesi dopo, lo chiamai per vedere come gli andavano le cose. Dalla voce mi sembrò inaspettatamente filosofico: «Ha cambiato per davvero ciò che provavo verso la morte. Non ne ho più paura come ne avevo prima. Ha cambiato realmente anche il mio modo di considerare la vita: fondamentalmente le cose non sono quello che sembrano. C’è stata

un’indiscutibile distruzione di aspettative. Anche la mia follia mi spaventa meno. C’è questo senso di colpa ebraico nel sentirmi bene ed essere normale, adesso però mi sento meno propenso a essere così. Non sono interessato a persone o a situazioni sociali di circostanza che per me non significano niente. Le amicizie che si sono rivelate poco importanti stanno svanendo piano piano». Di Frederick invece non abbiamo ancora sentito parlare; le sue esperienze con la DMT non furono

particolarmente degne di nota al di là degli effetti “tipici” di una dose da 0.4 mg/kg. Ad ogni modo, una mattina, dopo aver ricevuto una piccola dose della molecola dello spirito, ci disse di come gli effetti della DMT si fossero dispiegati nel tempo: «In generale, adesso sono più rilassato dopo quella dose da 0.4. È come se mi fossi tolto dei blocchi energetici. Tutta la forza che ho riversato in due anni di duro lavoro è difficile da smaltire. Quando stavano per svanire gli effetti della dose massima, ho sentito quanto l’energia fosse

bloccata dalle paure e come controllasse le cose. Non c’è stato niente di particolare, se non una maggiore lucidità e consapevolezza della mia condizione. Ora penso di meno agli obiettivi. Se le cose non si compiono in questo momento, prima o poi lo faranno». Gabe, il fisico di cui abbiamo già letto l’esperienza di contatto con altri esseri all’interno di una nursery, ha descritto alcune ripercussioni positive in seguito al suo incontro con la molecola dello spirito. Questa conversazione si è svolta la mattina in cui ha ricevuto

quattro infusioni saline nel corso dello studio sulla tolleranza. «L’aver partecipato allo studio mi ha dato una sensazione totalizzante di pace. È un mondo completamente diverso da quello in cui ti conducono gli altri psichedelici, presi anch’essi a dosi elevate. Riesco ad accedere a cose profonde che si trovano all’interno della psiche. È proprio là, è come lo schermo del cinema. È di fronte a te. Con l’LSD non è un film come lo è con la DMT . Per le due o tre settimane che hanno fatto seguito allo studio sulla tolleranza ero

molto più presente con le persone che lavorano con me. Io ero superpresente». L’overdose di Philip con la dose da 0.6 mg/kg di DMT si era verificata durante la fase iniziale dello studio, quando ci stavamo occupando di stabilire le dosi esatte di DMT “massima” e “minima” da somministrare nelle sessioni. Nei mesi successivi continuò ad accusare dei leggeri sintomi di panico ogni volta che si trovava in situazioni insolite e incerte. Ciononostante, ci lavorò sopra e alla fine riuscì a trovare la sua strada

attraverso lo studio sulla reazione alla dose. Nella sua intervista di monitoraggio con Laura, Philip affermò: «Adesso ho una sensazione più tangibile della coscienza divina e cosmica, unita a un senso alterato del mio io nel rapporto con gli altri. C’è un senso di connessione molto più forte con tutto quello che è intorno a me. Mi sento molto più integrato. La mia divinità personale non è più così astratta. Pensare e percepire si sovrappongono di più adesso».

Nonostante anch’egli credesse che ciò avesse modificato la sua capacità di farsi coinvolgere nella psicoterapia dei suoi pazienti, non riusciva a credere che ciò fosse palese anche per gli altri. Philip aveva ridotto l’utilizzo di psichedelici da quando era entrato nello studio sulla DMT . Ora ne faceva uso ogni due-tre mesi, anziché più volte al mese, e lo faceva con più cautela e nel contesto di un gruppo di sostegno. Non era sicuro di quanto ciò fosse il risultato di altri cambiamenti avvenuti nella sua vita – il trasloco e il divorzio – e quanto

invece derivasse dalle sue esperienze con la DMT . Don era un uomo di trentasei anni, faceva il cameriere e lo scrittore. Le sue sessioni transpersonali con alti dosaggi di DMT avevano talmente destabilizzato la sua visione del mondo da farlo smettere di scrivere per la prima volta dopo anni. Al contrario di Elena, quando Don si trovò faccia a faccia con l’immensa e impenetrabile natura della fonte di tutta l’esistenza, cadde nella disperazione. Mentre Elena era stata immersa nel misticismo

orientale, Don era stato educato nella fede cattolica, che continuava a professare. Elena aveva visto l’amore sottostante al vuoto “impersonale”. Don, al contrario, si sentì scioccato, impietrito e tradito dall’assenza di un Dio personale o di un Salvatore che stesse al fondo d’ogni cosa. La DMT aveva demolito le sue fondamenta spirituali e filosofiche, e si era ritrovato incapace di trovare qualcosa per sostituirle. Quando gli proposi di partecipare agli studi successivi aveva rifiutato; nonostante questo, mi tenne

comunque aggiornato. Si sentiva piuttosto bene. «Le cose ora vanno meglio di come andassero prima di iniziare lo studio» mi disse. «Nutro più entusiasmo per la vita, visto che per me si è trattato di un’esperienza di morte. Ho ripreso a scrivere e ho trovato un amico che mi dà una mano part-time. C’è qualcosa delle mie sessioni con la DMT in quello che scrivo, ma non tutto». Nel capitolo 15, La morte e il morire, abbiamo letto un breve stralcio di una delle sessioni di Ray con la dose elevata di DMT e l’EEG. Quando parlammo con lui alcuni

anni dopo, disse questo riguardo gli effetti a lungo termine delle sue sessioni con dosi elevate: «Il mio vocabolario mentale adesso è ricco di nuove parole per descrivere l’esperienza psichedelica. Considero le persone più come organismi. Credo che l’esperienza con la DMT convalidi alcune credenze spirituali, permettendo di comprendere in particolare il valore della soggettività, al di là e oltre l’efficacia e l’importanza scientifica». Ci mandò anche una fotografia del suo bambino, il cui secondo nome

era Strassman. Lucas, nonostante la sua esperienza estremamente reale di pre-morte fosse terminata quasi con un collasso cardiaco, riconobbe di aver ricavato qualcosa di positivo dalle sessioni. «Dopo aver preso la DMT non vedo più il mondo allo stesso modo» disse. «La mia mente è molto più vasta e distesa. L’esperienza mi ha dato nuovamente conferma di quale sia la mia strada e di quello in cui sono coinvolto. Tutto è stato consolidato, dalle mie convinzioni alle posizioni in campo spirituale».

Elena, della cui esperienza spirituale si è letto nel capitolo 16, mi inviò una lettera un anno dopo aver finito lo studio sulla reazione alla dose: «La maggior parte delle mie esperienze sono svanite con il tempo. Non è stato così con la DMT . Le immagini e le esperienze traumatiche provocate dalle mie sessioni sono divenute più chiare e distinte. Mi ricordo di essere stata capace di osservare il fuoco eterno della creazione senza venirne bruciata, e di essere riuscita a sostenere il peso dell’intero universo senza esserne schiacciata.

Tutto questo mi ha portato a ridimensionare la mia vita quotidiana e ora riesco a rilassarmi e ad accoglierla molto più facilmente. Le cose intorno a me non sono cambiate. Mi sento in pace nel sapere che la mia anima è immortale e che la mia coscienza è interminabile». Facciamo ora un riassunto di questi pochi colloqui e conversazioni di monitoraggio. I volontari hanno riportato un aumento della percezione del proprio io, una minore paura della morte e un apprezzamento

maggiore per la vita. Alcuni si sono accorti di avere più facilità nel rilassarsi e hanno deciso di affaticarsi un po’ meno. Diversi volontari hanno iniziato a bere meno alcol e hanno riscontrato una maggiore sensibilità alle droghe psichedeliche. Altri ancora hanno iniziato a credere fermamente nell’esistenza di diverse dimensioni della realtà. Abbiamo anche visto come alcuni abbiano ricevuto forti conferme e avvaloramenti delle ferme convinzioni che già possedevano. In questi casi, visioni e percezioni si sono ampliate e sono

diventate più profonde, ma in sostanza erano rimaste le stesse. Fortunatamente non ci sono stati effetti negativi a lungo termine con Philip, Lucas e Ken. Anche se non abbiamo sottoposto Kevin a un colloquio formale dopo quello che era successo con il suo preoccupante aumento della pressione, in seguito abbiamo avuto modo di vederci in modo informale, e lui sembrava non soffrire di alcun effetto negativo. I pochi esempi di cambiamenti visibili nelle vite “esteriori” dei volontari erano in un modo o

nell’altro già in corso prima di venire in contatto con la molecola dello spirito. Alcuni dei nostri soggetti affrontarono dei divorzi, ma nessuno era la conseguenza diretta degli effetti provocati dalla DMT . Forse Marsha e la sua dose elevata di DMT descritta nel capitolo 11, quando ebbe l’incontro con quelle figure porcellanate sulla giostra, la convinsero di appartenere alla sua cultura della East Coast. Aveva divorziato dal marito e lasciato il New Mexico. Ad ogni modo, prima di intraprendere il presente studio, era già stata

sposata e aveva due divorzi alle spalle che le permisero di capire chiaramente i problemi del suo attuale matrimonio. Nessuno però lasciò il proprio lavoro fisso per seguire una più profonda vocazione. A Peter, una delle nostre reclute, la DMT provocò visioni di una comunità nella quale aveva considerato la possibilità di trasferirsi. Ci si trasferì dopo aver completato lo studio sulla reazione alla dose, ma era un pensionato benestante, quindi il trasferimento gli risultò semplice e naturale.

Anche Sean prese decisioni produttive per il suo lavoro, infatti ridusse le sue estenuanti ore come legale per dedicarsi maggiormente alla cura del suo giardino, piantando più alberi nella sua lontana proprietà rurale. Inoltre, riuscì a superare con dignità la rottura con la sua ragazza di quel tempo e intraprese una nuova e più soddisfacente relazione nel corso dello studio sulla DMT . Nel caso di Sean, molti di questi cambiamenti erano già in corso prima che iniziasse a lavorare con noi.

Andrea, i cui «No! No! No!» risuonarono per tutto il Centro di Ricerca, sembrava essere una delle persone più propense a grandi cambiamenti nella propria vita. Le sue sessioni con le alte dosi di DMT le rivelarono sia il valore inestimabile che i limiti del corpo, e la aiutarono a ricordare i sogni che aveva da giovane riguardo il suo lavoro. Tuttavia due anni dopo, quando stavo per lasciare il New Mexico, non era andata più in là di alcuni depliant informativi sulle scuole di terapie naturali della zona.

Anche nel caso di Elena non ero molto convinto che avesse davvero tratto dei benefici concreti dalla sua esperienza. Siamo rimasti amici e continuai a restare in contatto con lei e con Karl, ma non sembravano esserci segni di cambiamenti significativi nei suoi abituali schemi di comportamento: il suo modo di interagire e reagire al suo stesso mondo non era cambiato. Il suo fu uno dei primi casi che mi rese riluttante nell’accettare a prescindere il potere trasformativo delle più profonde e incredibili esperienze spirituali.

Particolarmente deludente fu il fatto che nessuno aveva intrapreso un percorso psicoterapeutico o una disciplina spirituale per svolgere un ulteriore lavoro sulle intuizioni alle quali era giunto grazie alla DMT . Le poche persone per le quali la terapia costituiva un problema tornarono in terapia, o cominciarono a riprendere antidepressivi, perché ebbero una ricaduta dopo le loro sessioni di DMT con dosi elevate. Vale a dire, cercavano un rimedio agli eventuali effetti negativi invece di trarre vantaggio dalle svolte psicologiche o spirituali che

seguivano le loro sessioni. Perché nei nostri volontari non si riscontravano benefici evidenti? Nel corso delle sessioni, il nostro obiettivo non era aiutare le persone a risolvere i loro problemi. Non si trattava di studi sul trattamento terapeutico. I nostri volontari erano psicologicamente sani. Né era nostra intenzione sottoporre i soggetti del nostro studio a un trattamento. Noi volevamo assisterli e supportarli, e per lo più ci siamo riusciti, piuttosto che orientarli e guidarli verso una direzione specifica. Quando

abbiamo applicato principi o tecniche psicoterapeutiche, l’abbiamo fatto per necessità clinica o per precauzione. Abbiamo evitato accuratamente di sottoporre la maggior parte dei nostri volontari a un lavoro su un piano psicologico. In effetti, una delle mie domande più impellenti era se un ambiente neutrale avrebbe favorito delle risposte positive in coloro che avevano avuto delle intense esperienze con la DMT . Trovai un’altra risposta man mano che lo studio andava avanti. Mi resi conto in modo così

profondo e inequivocabile che la DMT non era di per sé terapeutica. D’altro canto, avevamo dovuto affrontare nuovamente l’importanza cruciale del set e del setting. Ciò che i volontari portavano nelle loro sessioni, così come il loro intero background di vita, era ugualmente importante, se non addirittura più importante, della droga in sé nel determinare il modo in cui affrontavano le loro esperienze. Senza un contesto adeguato – spirituale, psicoterapeutico o di qualsiasi altro tipo – nel quale sviluppare i loro

viaggi con la DMT , le loro sessioni sarebbero risultate solamente un’altra serie di intense esperienze psichedeliche e niente di più. Con il passare degli anni, ho iniziato a provare un’angoscia particolare nel sentire i resoconti dei volontari delle loro prime sessioni con dosi elevate di DMT . Era come se non li volessi ascoltare. Queste sessioni psicoterapeutiche, di pre-morte e spirituali, mi ricordavano continuamente di quanto fossero inefficaci nel compiere qualsiasi cambiamento significativo. Quello che volevo dire

era: «È molto interessante, ma adesso? A cosa è servito?» In generale, la mancanza di un impatto duraturo in queste sessioni aveva cominciato a sgretolare i fondamenti delle motivazioni che mi avevano spinto a intraprendere questo tipo di ricerca. Inoltre, i resoconti del contatto con mondi invisibili e con ciò che li occupava, per quanto formidabili, mi fecero concentrare troppo sulle loro inezie concettuali piuttosto che sulla loro realtà e sul loro significato. Il mio atteggiamento nei confronti delle sessioni con dosi elevate iniziò a

passare dalla speranza di scoperte sensazionali al sollievo nel sapere che i volontari ne erano usciti sani e salvi. C’era un chiaro bisogno di spostare l’attenzione della ricerca psichedelica che si stava svolgendo ad Albuquerque. I rischi erano reali, mentre i benefici a lungo termine erano vaghi. Ho iniziato a cercare un modo per equilibrare il rapporto rischio-beneficio. Per fare questo serviva uno sforzo molto più coordinato per sviluppare uno studio sulla terapia che prevedesse un lavoro con pazienti veri anziché

con volontari sani. Questo richiedeva anche l’uso di una droga che avesse effetti più duraturi, che lasciasse tempo per svolgere un lavoro di tipo psicologico nel momento in cui gli effetti raggiungevano la vetta massima. Nei due prossimi capitoli racconterò di come l’interruzione del mio lavoro abbia coinciso con l’avvio della ricerca sulla psilocibina, i cui effetti durano più a lungo della DMT , accompagnata da un programma per il trattamento dei pazienti. Le cose che accaddero fuori e dentro l’ambiente di ricerca

si sommarono fino a esercitare una pressione sia personale che professionale. A un certo punto ho sentito che avrei avuto meno da perdere, e più da guadagnare, interrompendo la ricerca psichedelica.

Capitolo 19

SUL FINIRE DELLA RICERCA

Innumerevoli difficoltà iniziarono a intaccare il nostro studio sulle droghe psichedeliche. Il loro effetto-domino mi portò a lasciare il New Mexico e a concludere la ricerca. In questo capitolo racconterò tutto quello che è successo.

Alcune difficoltà erano incorporate nella ricerca sin dal principio, ed era solo questione di tempo prima che iniziassero a dar luogo a dei problemi veri e propri. Il modello biomedico era il più evidente di questi impedimenti. Gli altri fecero seguito a una serie di circostanze avverse. Fu il caso della Human Research Ethics Committee dell’Università, che non ci diede il via libera per condurre il progetto sulla psilocibina al di fuori dell’ospedale, in un ambiente più confortevole.

Molti degli ostacoli li avevo già intravisti, ma li avevo sottovalutati nella speranza che potessero risolversi da soli. Non fu sorprendente la mancata creazione della promessa massa critica di collaboratori dell’Università del New Mexico. Avevo sospettato, ma mi occorreva verificarlo di persona, che i volontari avrebbero potuto sperimentare pochi effetti positivi duraturi in seguito alle singole sessioni con dosi elevate di DMT . Avevo tenuto nel team di ricerca un dottorando particolarmente problematico, che i problemi li

procurava anche agli altri. Avevo deciso di trascurare i resoconti di contatti con entità durante le sessioni di DMT e non ero pronto ad avere a che fare con la loro frequenza nel nostro lavoro. Avrei dovuto prevedere la reazione della mia comunità buddhista alla pubblica dichiarazione che esisteva un legame tra gli psichedelici e la stessa pratica buddhista. Alcuni sviluppi furono del tutto inaspettati, ma, ripensandoci, sembrerebbero legati allo sforzo di portare avanti la ricerca e agli effetti che essa aveva su tutti quelli che mi

circondavano. L’improvviso cancro che colpì la mia ex moglie rientra in questa categoria. Le ripercussioni che derivano dal lavoro con la molecola dello spirito risultano talmente complesse, diffuse e di vasta portata, che nessuno, a meno che non abbia preso parte allo studio sin dall’inizio, può veramente avere un’idea delle sue implicazioni. Ad ogni modo, lo scopo del presente libro è quello di raccontare tutta la storia. E ogni storia che si rispetti ha un proprio epilogo. Per coloro che ora stanno lavorando o

vorrebbero lavorare con le droghe psichedeliche è importante descrivere questi dettagli nello spirito di un “consenso informato”. È meglio che tu sappia ciò a cui stai per andare incontro. Ci sono stati diversi fili intrecciati nella trama di questi progetti, e nella fase iniziale si sono sistemati tutti in modo ordinato. Volevo somministrare parecchia DMT , vedere quello che avrebbero causato le diverse dosi, per poi aumentarne la quantità. I primi due progetti, ossia quello volto a rilevare la reazione alla dose e quello sulla

tolleranza, sembravano essere come l’antipasto e la portata principale. Le singole dosi elevate della molecola dello spirito erano altamente psichedeliche, e il loro ripetuto dosaggio ci permise di assimilare e di lavorare in modo più efficiente con l’accesso che offrivano verso i profondi stati alterati. Tuttavia, il modello che mi consentì di iniziare fu lo stesso che poi tenne a freno i successivi progetti di ricerca con la DMT . Il chiaro compito del modello biomedico è quello di analizzare, scavare ancora più in profondità e

dare una spiegazione descrittiva del fenomeno biologico in esame. Dato che questo modello è quello dominante nella ricerca psichiatrica, l’ho studiato a fondo per poi applicarlo nella presentazione degli studi sulla DMT . Durante lo studio sulla reazione alla dose e quello sulla tolleranza, le rilevazioni biologiche erano personalmente meno convincenti di quelle sugli effetti psicologici della DMT . I prelievi di sangue, la rilevazione dei parametri vitali e della temperatura corporea ci fornivano dati che dimostravano

matematicamente che qualcosa stava accadendo per davvero. Anche i dati derivanti dalla scala di valutazione riflettevano bene la realtà scientifica e oggettiva; in pratica, il questionario forniva un riscontro oggettivo degli effetti di tipo soggettivo. Nonostante ciò, i dati più interessanti e gratificanti erano stati ottenuti ascoltando e osservando i nostri volontari all’interno della stanza 531. Tuttavia, una volta avviata la procedura necessaria per la ricerca, il modello biomedico avrebbe rivelato dei limiti maggiori sul tipo

di studi che ci era consentito eseguire. Nel capitolo 8, Assumere la DMT , ho descritto questi studi di monitoraggio sulla DMT che indagano gli effetti del pindololo, della ciproeptadina e del naltrexone. Abbiamo combinato queste droghe che inibiscono i recettori con la DMT , e abbiamo poi confrontato gli esiti di questa combinazione con quelli della sola DMT . Abbiamo potuto dedurre il ruolo svolto dai relativi recettori nel mediare gli effetti della molecola dello spirito. Questo tipo di studi non metteva più al primo posto della nostra

indagine gli effetti soggettivi della DMT . Il meccanismo, adesso, era più importante dell’esperienza. Il contesto assumeva ora un’importanza colossale. Questi protocolli consideravano i soggetti non più come degli individui che stavano attraversando un’esperienza psichedelica, bensì come dei sistemi biologici con i quali poter definire il meccanismo d’azione della droga in modo più preciso. Non era così facile essere soddisfatti di questi studi come lo eravamo stati per quelli precedenti.

In effetti, i volontari facevano di tutto per incoraggiarmi a continuare a seguirli, come avevo fatto quando gli avevo chiesto di partecipare allo studio. Questo sconforto si era sommato alla sensazione di aver imparato qualcosa di profondo e fondamentale sui meccanismi della molecola dello spirito. Nell’ultimo capitolo parlo proprio di questa conclusione: la difficoltà nel trovare benefici duraturi e significativi a seguito delle sessioni con dosi elevate di DMT all’interno del nostro setting. Se consideriamo anche la

crescente frequenza degli effetti negativi, mi resi conto che il rapporto rischio-beneficio non era dalla nostra parte. Avevo bisogno di sostituire quel modello con un altro nel quale le persone avrebbero tratto beneficio dalla partecipazione agli studi. I due contesti entro i quali inserire progetti in cui le persone “stessero meglio” erano quello psicoterapeutico e quello spirituale. Un progetto basato sulla spiritualità appariva improbabile all’interno di un ambiente di ricerca clinica. Per questo ho iniziato a concentrarmi

su un progetto di carattere psicoterapeutico, uno studio psicoterapeutico affiancato alla somministrazione della psilocibina sui malati terminali. È a questo punto che ho sentito in maniera ancora più forte la mancanza di una più numerosa comunità di ricerca sulle droghe psichedeliche all’interno dell’università. Sebbene il Centro di Ricerca e il reparto di psichiatria supportassero in maniera innegabile e costante il mio studio, non vi erano altri colleghi psichiatri

della zona che avessero confidenza con la ricerca psichedelica. Ho intrapreso questo studio avvalendomi di un modello strettamente biomedico sulla base delle promesse degli altri ricercatori in campo psichedelico, soprattutto quelli di ambito psicoterapeutico, di unirsi a me una volta iniziata la ricerca nel New Mexico. Ero disposto ad assumermi le responsabilità riguardo al set e al setting, che erano legati al modello biomedico, in attesa che altri colleghi mi aiutassero a utilizzare

ulteriori tecniche di carattere terapeutico. Negli Stati Uniti esiste una vasta e capillare rete di scienziati e medici specialisti interessati alle droghe psichedeliche, la maggior parte dei quali ha degli stretti rapporti di collaborazione con il settore accademico e privato. Li ho conosciuti quasi tutti durante diversi convegni prima che iniziasse la ricerca sulla DMT . Questa rete di ricercatori psichedelici mi è sembrata molto più altruista e collaborativa della più numerosa comunità di ricerca biomedica.

Forse gli scienziati che credevano nel potere degli psichedelici avrebbero potuto unire le forze anziché competere tra loro. Ad ogni modo, a questi convegni c’era una lamentela generale circa il divieto del governo di studiare queste droghe. Se qualcuno, da qualche parte, fosse riuscito a intraprendere uno studio del genere, quel luogo sarebbe allora diventato il fulcro di un Rinascimento della ricerca psichedelica. Non appena risultò chiaro che avrei ricevuto il permesso per somministrare la DMT

e che avrei ottenuto delle sovvenzioni per lo studio, sembrò che l’Università del New Mexico sarebbe diventata proprio quel centro della ricerca psichedelica. Ero disposto ad accettare gli inconvenienti a breve termine legati al modello basato sulla sperimentazione animale come prezzo da pagare per dare avvio allo studio. Ad ogni modo, speravo che dopo aver accertato la sicurezza dell’uso degli psichedelici sotto la supervisione medica sarebbero cominciate molte più ricerche terapeutiche con il supporto dei

miei colleghi. Si sarebbe trattato di un leggero passaggio da quegli studi sulla reazione alla dose e sulla tolleranza verso progetti di terapia psichedelica. A conclusione di questo ambizioso studio sperimentale c’era lo sviluppo di nuove droghe psichedeliche con proprietà esclusive. Con la disponibilità di tutte le strutture cliniche, sarebbe stato facile valutare gli effetti delle nuove cure sia sui volontari sani che su quella specifica porzione di pazienti da trattare.

Sembrava un buon inizio. L’Università del New Mexico è l’università più importante dello stato e si trova al vertice di decine di facoltà universitarie e corsi di specializzazione medica per dottorandi, istituti professionali e istituti di medicina più prestigiosi. Ero convinto che, una volta iniziata la ricerca ad Albuquerque, circa la metà di quella decina di colleghi ben distribuiti sul territorio dello stato si sarebbe rapidamente unita a me. Mi avevano detto che lo avrebbero fatto.

Dopo che la Food and Drug Administration approvò il mio studio sulla DMT , che ebbe inizio verso la fine del 1990, chiesi la collaborazione dei miei colleghi. L’occasione che stavamo aspettando era finalmente arrivata. Loro risposero così: «Mia moglie crede che Albuquerque sia troppo piccola. Non ci sono abbastanza centri commerciali. E mia figlia non vuole lasciare i suoi amici». «Dobbiamo aspettare che nostro figlio porti a termine i suoi studi superiori di sette anni».

«L’Università del New Mexico è di seconda categoria. Non inizierei mai una ricerca in quel posto». «Ci siamo già trasferiti tante volte. Non posso trasferirmi di nuovo, a meno che non abbia la garanzia che stavolta si tratti di quella definitiva». «Devo aspettare di finire il dottorato in medicina e non so quando sarà». «Non voglio un lavoro così impegnativo: mi piace il mio lavoro part-time al centro di salute mentale. Mi sto per prendere

parecchi giorni di ferie per farmi dei ritiri di meditazione». Se ci ripenso, ero stato vittima della mia pia illusione. Era più facile parlare del valore trasformativo dell’esperienza psichedelica piuttosto che metterlo davvero in pratica. I miei colleghi potevano anche aver avuto delle nobili motivazioni, ma non erano disposti a impegnarsi in una ricerca i cui obiettivi avrebbero richiesto fatica e duro lavoro. Certamente c’erano anche altre motivazioni meno esplicite in quel repentino cambiamento nel loro

atteggiamento riguardo l’importanza di unire le forze per formare una massa critica di ricercatori psichedelici. Di sicuro, una di queste fu quel normale e giustificato, sebbene difficile da ammettere, stato d’ansia di chi intraprende per davvero questo tipo di lavoro. Chiunque non conosca nulla sulla somministrazione degli psichedelici già si innervosisce al solo sentirne parlare. Un’altra questione riguardava motivazioni di carattere politico. In sostanza, chi sarebbe stato il leader della ricerca psichedelica? Anziché

unire le nostre forze, alcuni colleghi considerarono la svolta di Albuquerque come un’occasione per porre le basi di una ricerca tutta loro, ponendosi a capo delle relative organizzazioni. Per quanto la mancanza di un supporto da parte dei colleghi ricercatori nel campo degli psichedelici costituisse una perdita dal punto di vista emotivo, l’avrei superata. Il problema era che adesso ero stato lasciato solo a occuparmi di tutto. Avevo intenzione di far proseguire la ricerca e di effettuare un

cambiamento di programma non appena fossi riuscito a ottenere l’aiuto di quei collaboratori. Quando lo studio sulla reazione alla dose fu quasi terminato, avevo bisogno di decidere in che modo avrei progettato i successivi moduli di richiesta di finanziamento e organizzato lo studio. Cominciare con la proposta di protocolli completamente sviluppati sulla psicoterapia mi sembrava un po’ avventato. Infatti non avevo alcuna conoscenza in quel campo della ricerca e sapevo che un tal genere di proposte non avrebbe ricevuto

finanziamenti. C’era la spinta a continuare gli studi seguendo il modello biomedico. Eravamo in possesso dei dati e del supporto del Centro di Ricerca, e si trattava del mio settore di competenza. Gli studi di monitoraggio incentrati sul meccanismo d’azione non sarebbero stati discutibili e avrebbero trovato i finanziamenti necessari. Potevo posticipare questo processo realizzando studi volti a misurare la reazione alla dose e forse anche la tolleranza di altre droghe come la psilocibina e l’LSD.

Ad ogni modo, i progetti di carattere neuroscientifico sarebbero diventati sempre più importanti. Qualunque studio di psicoterapia si sarebbe rivelato secondario, informale e limitato rispetto alla vera essenza del mio lavoro. Misi a punto diversi esperimenti sul meccanismo d’azione della droga, che ricevettero l’approvazione e anche un consistente finanziamento per permettermi di realizzarli. Contemporaneamente, ricevetti anche il via libera e la sovvenzione per realizzare uno studio sulla

reazione alla dose con la psilocibina. Dal punto di vista chimico la psilocibina, che è l’ingrediente attivo dei funghi allucinogeni, è strettamente legata alla DMT . È attiva per via orale e ha una durata molto più lunga. Inoltre, è di gran lunga più nota della DMT ; pertanto, venire a conoscenza dei suoi effetti si rivela molto importante in questioni di salute pubblica quando si parla di abuso di droga. La psilocibina ha una durata che va dalle sei alle otto ore, il che, per molti versi, era molto interessante.

Saremmo riusciti a studiarne gli effetti in modo più tranquillo rispetto alla DMT . Infatti con la psilocibina i volontari potevano partecipare agli esperimenti mentre si trovavano sotto effetto della sostanza, il che invece era impossibile nel caso della DMT , i cui effetti massimi si manifestavano nel giro di poco tempo, rivelandosi debilitanti. Tuttavia, il setting del centro di Ricerca restava un ostacolo per la progettazione e l’organizzazione dei protocolli con la psilocibina. Parecchi dei nostri volontari

coinvolti nello studio sulla DMT avrebbero approfittato dell’opportunità di partecipare a un progetto sulla psilocibina, se non fosse stato per il fatto di ritrovarsi a passare un giorno intero all’ospedale in uno stato alterato di coscienza. La breve durata della DMT di solito ci permetteva di trovare un momento di tranquillità all’interno del Centro di Ricerca. Eppure, nonostante questo, capitò molte volte che ci fossero diversi rumori che si ripercuotevano negativamente sulle sessioni dei

volontari con la DMT : i rumori degli aerei, le risa e le discussioni del personale medico, il trambusto dei carrelli, i lamenti e le urla dei pazienti, il rumore della ventola che stava sul soffitto e lo stridore del compattatore dei rifiuti. Particolarmente sgradevoli erano l’odore di cibo bruciacchiato, quello dei medicinali o quello intenso dei disinfettanti. Fonte di ansia continua era la presenza, rara ma costante, del personale ospedaliero che entrava nella stanza 531. Tutti questi fattori insieme rendevano un’intera giornata sotto l’effetto

della psilocibina un esercizio per i nervi. L’università possedeva alcune piccole case all’interno di un isolato dell’ospedale. Vi era un costante andirivieni di personale medico, amministrativo e di corpo docente. Alcune di queste case avevano dei piccoli cortili e dei giardini, e sembravano perfette per condurre una ricerca sulla psilocibina “fuori sede”. Così comunicai la mia intenzione di condurre la ricerca sulla psilocibina al di fuori dell’ospedale al personale del Centro di Ricerca, a

quello amministrativo, all’assistenza legale dell’ospedale dell’università, all’ufficio di Gestione del Rischio e alla Facoltà di Psichiatria. Tutti valutarono la mia richiesta come ragionevole, avveduta e realizzabile. Ad ogni modo, la Human Research Ethics Committee, che all’epoca era composta da molti membri che non sapevano nulla della nostra ricerca, non era a suo agio con i problemi di sicurezza che avrebbero potuto comportare degli studi condotti al di fuori del contesto ospedaliero. Volevano

assicurarsi che i servizi di sicurezza fossero a portata di mano per poter far fronte a un qualsiasi volontario che avesse reagito in maniera pericolosa, e volevano che il nostro studio continuasse a svolgersi nel più circoscritto ambiente ospedaliero. Come solitamente avviene, le loro paure condussero proprio all’esito che speravano di evitare. Alcuni dei coraggiosi volontari coinvolti nello studio sulla DMT acconsentirono a partecipare agli studi pilota sulla psilocibina nel corso dei quali avremmo stabilito le

dosi “minime”, “medie” e “massime” della droga. Alcuni si chiamarono fuori dopo le esperienze con la dose minima, avendo trovato la stanza d’ospedale e il setting troppo limitanti. Non vi furono problemi significativi con questi soggetti della ricerca, se non per il fatto che si sentivano angustiati e annoiati. In seguito però si verificò un grave incidente. Una di questi volontari era Francine, la fisioterapista che conobbi nel periodo in cui lavoravo all’ospedale come consulente psichiatrico. All’epoca dello studio

sulla DMT , somministrata con l’aggiunta del pindololo, aveva trentacinque anni. Quando studiava all’università aveva fatto un uso consistente di psichedelici, ma aveva smesso quando stava per iniziare il dottorato, per poi sposarsi e formare una bella e numerosa famiglia. Ero preoccupato dai suoi racconti di quando percorreva in macchina lunghe distanze, nuotava nei laghi e svolgeva altri tipi di attività che richiedevano attenzione e presenza mentre si trovava sotto l’effetto degli psichedelici. Forse stava

cercando di resistere agli effetti della droga tramite la sua iperattività. Fisicamente era piuttosto robusta, ma la sua struttura fisica era solo una delle cose che dava un’impressione di lei come di una persona profondamente ferita, chiusa in se stessa e repressa. Nonostante ciò, pur avendola sottoposta scrupolosamente a delle domande, non ero riuscito a cogliere nessun segno della sua incapacità di gestire ciò che le capitava nel momento in cui era sotto l’effetto della sostanza.

Francine tollerò la dose minima di DMT nella fase dello screening senza alcuna difficoltà, ma tenne il poggiatesta del letto alzato al massimo, quasi a formare un angolo di 90°. Appariva terribilmente a disagio, ma aveva negato qualsiasi tipo di fastidio. Parlò per l’intera durata della sessione: dal momento in cui iniziai a somministrarle la droga fino a quando non c’era più traccia di qualsiasi effetto. La misi chiaramente in guardia sulla dose massima del giorno successivo.

«Dubito che sia così forte. Dopotutto, in passato ho fatto uso di grandi quantità di LSD, e gli effetti erano leggeri». Le chiedemmo di mettersi la mascherina e di sdraiarsi prima di cominciare con la dose elevata del giorno successivo. Se fosse stata meno distratta dal desiderio di raccontarci di continuo ciò che le stava accadendo, probabilmente sarebbe riuscita a farsi trascinare più facilmente dagli effetti. Acconsentì di malavoglia a indossarla, mettendola sulla fronte in modo da poterla abbassare sugli

occhi in un secondo momento, «qualora mi servisse». Alzò di nuovo il poggiatesta. La sessione di Francine con la dose massima non le piacque per niente, e le ricordò di quanto tempo separasse il suo presente dai giorni spensierati all’università in cui viveva i suoi trip. Adesso aveva un vita piena di impegni, molte responsabilità e non era più sicura di quale elevato rischio a livello psichico avrebbe comportato assumere grandi quantità di droga. Come aveva fatto durante la sessione con la dose minima, tenne

gli occhi aperti e parlò per tutta la sessione. Uno dei commenti che riassume chiaramente il suo atteggiamento verso la molecola dello spirito, fu: «La DMT mi ha detto: “Vieni con me, vieni con me”, ma io non ero sicura di potermi davvero permettere di andare». A dispetto dei suoi timori, Francine completò anche gli studi sul pindololo senza difficoltà e si candidò impaziente allo studio pilota con la psilocibina. Credeva che la lenta progressione dei suoi effetti le sarebbe piaciuta di più

rispetto all’effetto da “cannone nucleare” della DMT . Francine, dopo una prima dose di psilocibina, visse un’esperienza di picco straordinariamente soddisfacente. Quel giorno si mostrò molto più collaborativa nei confronti della struttura del setting: rise, sghignazzò e fece delle esclamazioni di gioia per la maggior parte della sessione. Verso la fine di quella giornata, riassunse per noi la sua esperienza in questi termini: «È stata la cosa più incredibile che abbia mai vissuto. Non sono mai stata così su di giri. A confronto, la

dose da 0.4 di DMT sembra piccola. È stato il trip più forte. Potrei non volerne più fare uso. Perché dovrei? A che scopo? Di sicuro non occorrono dosi superiori di psilocibina». La dovetti riaccompagnare a casa in macchina perché suo marito non poteva staccare prima dal lavoro per venirla a prendere. Fu allora che scoprii quanto lui fosse ansioso per la partecipazione della moglie al nostro studio. Nella loro casa di città parlammo un po’ tutti e tre, e rimasi perplesso riguardo le paure del marito. Mentre me ne stavo

andando, Francine era ancora pallida e provata, ma felice. La dose che aveva ricevuto si rivelò essere inferiore a quella psichedelica negli altri partecipanti, così la aumentai della metà per la successiva serie di esperimenti. Francine telefonò a Laura perché sentiva il bisogno di “tenersi aggiornata” sulle sessioni degli altri volontari, non volendo essere considerata un “peso piuma del trip”. Seppur avessi qualche dubbio, alla fine acconsentii a riammetterla nello studio.

Quella mattina già si era preannunciata difficoltosa: prima che Laura e io arrivassimo, Francine aveva spostato il letto nel più remoto angolo della stanza. Non lo voleva rimettere al centro, nella sua posizione originaria. Inoltre, uno studente esterno di medicina era entrato nella stanza per incontrare Francine prima che gliela presentassi, andando così espressamente contro il mio volere. Francine era estremamente cauta rispetto alle questioni riguardanti l’anonimato, perché anche lei lavorava in ospedale. Per prima

cosa, quindi, le avrei chiarito la

questione della presenza di uno studente esterno. Entrambe queste irregolarità, ovvero il fatto che Francine avesse spostato il letto e la visita non autorizzata dello studente, mi provocarono una forte apprensione prima di iniziare. Stavo per disdire la sessione, ma poi vidi che tutti erano disposti a continuare. Quindici minuti dopo aver ingoiato la capsula di psilocibina, Francine divenne agitata,impaurita e ansiosa. Mi accusò di averle “incasinato” la mente. Quando la telefonata che fece in preda al

panico al marito ci interruppe nel bel mezzo della conversazione, incolpò le mie “onde cerebrali” per quelle difficoltà tecniche. Praticamente riusciva a tollerare solo Laura all’interno della stanza, e chiese che sia io che lo studente di medicina uscissimo per un po’. Mentre ci trovavamo alla postazione infermieristica decidendo come procedere, vidi il marito di Francine arrivare di corsa all’ingresso, entrare nella stanza 531 e portarla via. Si fecero strada passando davanti a Laura e si precipitarono fuori dal Centro di

Ricerca prima ancora che riuscissi a rendermi conto di ciò che stava accadendo. Quando suo marito mi passò davanti di corsa, disse: «L’ho già vista in queste condizioni». «Adesso me lo dice» pensai. Il personale della sicurezza arrivò troppo tardi. Mentre si trovava sotto l’effetto massimo della psilocibina, Francine era in giro per Albuquerque. Fortunatamente l’occhio vigile del marito la controllava e così quel giorno non corse alcun pericolo. Nonostante ciò, dovevo comunque fare un rapporto scritto e inviarlo a

tutte le commissioni dell’università e ai vari comitati che sovrintendevano lo studio. La FDA e la NIDA ricevettero anch’esse una copia del resoconto dell’incidente. Descrissi come durante la sessione di Francine si fosse verificata una «spiacevole, ma non del tutto inaspettata, reazione avversa. Sotto l’influenza di queste droghe possono verificarsi dei crolli psicotici, che sono quasi sempre di breve durata. Il volontario si è ripreso velocemente e non ha riportato alcun danno dalla sua sessione».

In senso stretto era vero. La mattina successiva Francine “stava bene” ed era tornata al lavoro, come se nulla fosse successo. Ad ogni modo, restava convinta del fatto che lasciare il Centro di Ricerca andando contro i nostri consigli, per di più mentre era sotto l’effetto della psilocibina, fosse l’unica cosa – anzi, la cosa coraggiosamente nobile – da fare. La mia “influenza negativa” le aveva lasciato poca scelta. Né Laura né io stesso, dopo diversi mesi, potemmo capire minimamente il perché della paura e dell’angoscia sperimentata quella

mattina. Facemmo delle modifiche ai nostri protocolli, richiedendo di parlare più attentamente con i coniugi dei volontari in modo da conoscere la natura e la fonte di un qualsiasi serio dubbio da parte loro. Stabilimmo con più chiarezza la necessità che il team di ricerca desse ai volontari l’autorizzazione definitiva per lasciare l’ospedale. Decidemmo anche di iniziare a somministrare la dose elevata di DMT a chiunque era interessato al progetto sulla psilocibina. Così facendo, potevamo stabilire con

maggiore esattezza la loro capacità di affrontare stati estremamente psichedelici. La sessione di Francine, in effetti, fece svanire ogni speranza di poter condurre la ricerca al di fuori dell’ambiente ospedaliero. Ne fui profondamente scosso. Francine era una donna intelligente e aveva esperienza con gli psichedelici, inoltre aveva già preso parte al lavoro con la DMT . Da un lato, ci aveva avvertito dicendoci che probabilmente dopo quell’esperienza estrema con la psilocibina non ne avrebbe più

voluta assumere. Dall’altro lato, non volevo deluderla rifiutando una sua ulteriore partecipazione. Le sue esperienze spiacevoli con la DMT sarebbero potute essere un campanello d’allarme circa la sua incapacità di scivolare completamente all’interno degli stati psichedelici, ma allora era ancora troppo presto per dirlo. Inoltre, avevo scelto di ignorare i segnali d’avvertimento di quella mattina: il fatto che Francine avesse spostato il letto e la visita non autorizzata dello studente di medicina.

Iniziai a dubitare della mia capacità di giudizio. Oltre a ciò, sorse in me la paura di somministrare dosi completamente psichedeliche di psilocibina all’interno dell’ospedale. Ma d’altronde, se non avessi somministrato quelle dosi complete e attive, che senso avrebbe avuto? Ci occorreva studiare le proprietà psichedeliche della psilocibina e non quelle sub-psichedeliche. Dosi inferiori non lo avrebbero permesso, mentre il setting avrebbe potuto rivelarsi inadeguato per dosi superiori.85

Con l’avanzamento dello studio iniziarono anche a emergere dei contrasti all’interno del team di ricerca. Uno particolarmente difficile vide protagonista Bob, un dottorando che lavorava part-time e che si unì a noi dopo che avevamo terminato i primi studi sulla reazione alla dose. Passai a Bob molti degli esami iniziali dei potenziali volontari dello studio con la DMT . Si occupò di richiamarli, fargli una prima serie di domande in merito all’idoneità e spiegargli gli studi ai quali avrebbero potuto prendere parte.

Poi incontrava Laura e me per discutere se far passare la persona alla fase successiva dei test di screening. Qualora avessimo avuto ulteriori domande, Bob si sarebbe occupato di trovare le risposte necessarie. Anche se il suo ruolo non era fondamentale, c’erano voluti diversi mesi perché avesse tutte le informazioni necessarie e conobbe bene molti volontari che parteciparono alla seconda fase dello studio. Quasi l’ultimo arrivato nel settore psichedelico, Bob era come un bambino in un negozio di

caramelle: trasudava entusiasmo per i nostri progetti e si mostrava molto collaborativo nell’ingaggiare nuovi soggetti. Trovava affascinanti i volontari e voleva trascorrere del tempo con loro. Lo appassionava assistere a convegni e conferenze in cui famosi scienziati della ricerca psichedelica ricordavano i “bei vecchi tempi” e la nuova generazione di ricercatori pianificava gli studi futuri. Ad ogni modo, per Bob era difficile capire quando era arrivato il momento di fermarsi. Uno dei nostri volontari lo invitò a casa sua

per far uso di droga e Bob non si lasciò sfuggire quell’opportunità. Quando gli esternai le mie preoccupazioni a riguardo, si mostrò ferito e replicò: «Tu fai questo da così tanto tempo, io ho bisogno di recuperare». Lo avvisai che non avrei più tollerato un comportamento del genere, ma il mio monito si rivelò poco meno di un semplice divieto. Ben presto, tuttavia, un altro incidente che aveva a che fare con la mia funzione di supervisione mi fece capire che non potevo permettermi di essere così

superficiale. Questo campanello d’allarme suonò all’interno della clinica psichiatrica nella quale vedevo i pazienti esterni sottoposti agli studi sperimentali dell’università. Per alcuni anni avevo prescritto delle cure a Leanne, una donna giovane, intelligente e di bella presenza che soffriva di una sindrome maniaco-depressiva. Tom, un nuovo tirocinante nel settore dei servizi sociali, si inserì all’interno dello studio dopo un po’ di tempo e capitò sotto la mia supervisione. Mi chiese di trovargli un paziente

equilibrato e ben disposto nei confronti della psicologia per sottoporlo a psicoterapia, e ovviamente pensai a Leanne. Iniziarono a lavorare insieme e, sulla base dei loro resoconti, la terapia stava andando bene. Anzi un po’ troppo bene, come si rivelò in seguito. Leanne e Tom iniziarono ad avere rapporti sessuali alcuni mesi dopo l’inizio della terapia. Né Leanne durante le nostre visite mediche, né Tom nelle sessioni settimanali di supervisione, fecero alcuna allusione in merito. Nel giro di

alcuni mesi Leanne chiese a Tom di lasciare la moglie e di sposare lei. Tom andò nel panico e mise fine alla relazione. Leanne allora fece causa a Tom, alla clinica e all’università. Tom minacciò poi di citarmi in giudizio per «non avergli fornito l’adeguata supervisione» se l’università gli avesse impedito di andarsene senza ripercussioni serie. L’università, che voleva evitare un lungo e dispendioso processo pubblico, risolse il caso in privato, e io evitai che il mio nome venisse fatto durante il processo. Alla luce di questa esperienza, in cui capii

fino a che punto ero responsabile del comportamento di coloro che lavoravano per me, anche se non sapevo quello che stavano facendo, decisi che era ora di riprendere il comando su Bob, il dottorando ribelle. Gridando e accusandomi di essere ingiusto, Bob non prese bene il mio divieto di assumere droghe in compagnia dei volontari. Il direttore di facoltà mi suggerì di mandarlo via. Ad ogni modo, il nostro team di ricerca era piccolo e ci sarebbero voluti mesi per formare un suo eventuale sostituto. Gli diedi una

seconda possibilità, dicendogli che avrebbe potuto continuare a lavorare nella ricerca se prometteva di non socializzare con i volontari. Il legale dell’università e il mio responsabile mi raccomandarono di fargli firmare una dichiarazione che riportava su carta questo impegno. Ciò mi avrebbe consentito di chiudere il suo coinvolgimento nel progetto in maniera pulita qualora avesse violato di nuovo l’accordo. Considerato l’entusiasmo che Bob aveva dimostrato per il suo coinvolgimento nello studio, fu piuttosto inaspettato sentirgli dire

che «aveva bisogno di tempo per rifletterci». Dopo una settimana acconsentì controvoglia a firmare la dichiarazione in cui gli veniva proibita ogni attività inappropriata che andasse oltre gli scopi della ricerca. Tuttavia, il suo scarso senso del limite e il desiderio di assumere le droghe con coloro che erano coinvolti nella ricerca si rivolse in un’altra direzione, ovvero nel voler assumere droghe con me. Un sabato Bob fece un viaggio in macchina di un’ora fino a casa mia, tra le montagne dietro Albuquerque, e apparve alla mia

porta senza preavviso. Dopo aver iniziato a dire allegramente e in maniera poco credibile: «Mi trovavo in zona e sono passato a trovarti», la conversazione si volse rapidamente al suo reale interesse: «Forse potremmo prendere insieme dei funghi psilocibinici». Ne fui sorpreso e gli chiesi cosa gli stava succedendo. «Ho così tanto da imparare sugli psichedelici, però ora non posso assumerli con i volontari. Ma tu hai così tanto da insegnarmi. Voglio attingere un po’ alla tua conoscenza ed esperienza. Quale idea migliore

se non farmi un trip con te, a casa tua?» Sentendomi come se avessi a che fare con un paziente psichiatrico con dei disturbi, cercai di concludere quella conversazione nel modo più veloce possibile: «No, non succederà. Puoi farti i trip con i tuoi amici, certamente, ma non con i volontari, né con me. La cosa migliore da fare, comunque, è sottoporti a un qualche tipo di terapia per parlarne. Hai bisogno di mantenere un po’ di distanza professionale da tutto questo, e

sembra che tu abbia difficoltà a farlo». Bob diventò rosso in viso e alzò di nuovo la voce: «Sapevo che non avrei dovuto passare a trovarti! Mi dispiace, non so cosa mi è preso! Credo che sia perché mi sento così solo, vorrei solamente sentirmi adeguato». «Va bene» dissi cercando di mostrargli il mio appoggio. «Pranziamo e poi te ne potrai tornare a casa». Ma non finì lì. Durante i mesi successivi, ogniqualvolta Laura, Bob e io ci incontravamo per parlare

della ricerca, Bob alzava la voce o arrivava quasi alle lacrime quando si parlava dell’assunzione di droghe sia con i volontari che con me. Ancor peggio, riversava questi suoi sentimenti nei rapporti con i potenziali volontari. Mi riportarono alcuni dei commenti che sbadatamente si lasciò sfuggire mentre parlava loro dello studio: «Rick è piuttosto rigido in questa ricerca, sai». O anche: «Non è bello che Rick si tenga per sé i sentimenti e le motivazioni che l’hanno spinto a intraprendere questo lavoro».

Inoltre non voleva dare ai volontari gli importanti moduli da firmare e gli articoli da leggere. Bob doveva andarsene, ma dirglielo non fu facile. In realtà, sembrava sollevato di non dover più lavorare in condizioni per lui così irragionevolmente limitanti. Purtroppo, adesso era libero di socializzare e prendere le droghe con chiunque desiderasse. Nonostante cercasse di tenerlo nascosto, non smisi mai di sentir parlare di lui. Infine, avevo dei problemi a comprendere appieno e ad

affrontare tutto ciò che la molecola dello spirito ci mostrava di poter fare. Durante il nostro studio, mi aspettavo si verificassero esperienze di pre-morte, spirituali e di carattere psicoterapeutico. Ad ogni modo, l’assenza di una svolta sostanziale mi fece dubitare della loro efficacia. Ero anche impreparato ad affrontare quei resoconti eccezionalmente frequenti che avevano come oggetto il contatto con entità. Essi misero alla prova la mia concezione della mente e della realtà. Inoltre, smagliarono e

logorarono anche la mia empatia e la capacità di offrire supporto ai nostri volontari. L’assenza di personale psichiatrico in possesso delle mie stesse competenze si aggiunse alla mia sensazione di isolamento e alle preoccupazioni su come avrei risposto a queste sessioni. Il modello biomedico stava rendendo difficile ingaggiare i volontari ed essere incoraggianti su ciò che li aspettava. I benefici a lungo termine sembravano minimi, mentre gli effetti negativi primeggiavano nettamente e

andavano aumentando. Non riuscivo ad accettare con serenità e nemmeno a comprendere l’alta frequenza con cui si verificavano i contatti con entità. I colleghi che aspettavo così tanto non si unirono a me nella ricerca, né al mio fianco, né per contendersi i preziosi finanziamenti e i collaboratori. Il setting ospedaliero per lo studio sulla psilocibina era poco pratico e potenzialmente pericoloso, il che mi rese pessimista riguardo la somministrazione di dosi complete. I conflitti all’interno del team di ricerca minacciavano ulteriormente

quella che era la mia già fragile presa sul progetto. Persino Margot, la mia massaggiatrice, era preoccupata, sebbene parlassi raramente della ricerca durante le nostre sessioni. Era una praticante di lavoro corporeo molto intuitiva che da anni incontravo una o due volte al mese. Durante una sessione in particolare, era diventata irrequieta e preoccupata mentre mi osservava disteso sul tavolo. «Vedo degli spiriti maligni che ti svolazzano attorno» mi disse. «Vogliono entrare in questo piano

utilizzando te e le droghe. Sono preoccupata. Non mi sembra una cosa buona». Margot appariva un po’ troppo new age perfino per il New Mexico. Mi misi a ridere e le risposi: «Be’, Margot, se busseranno non gli risponderò». Al di là di tutto, Margot restava una persona scrupolosa. Sia che fosse una metafora, un simbolo, o qualcosa di reale, un tremendo ammasso di negatività si era accumulato attorno a me. Che fare? Non dovetti aspettare a lungo per la soluzione, senza che la cercassi io

stesso direttamente. Anzi, giunse sul mio cammino in un modo terribile. La mia ex moglie, Marion, di colpo sviluppò un cancro. Fortunatamente si trattava di un tumore localizzato e il chirurgo era sicuro che dopo una breve operazione non ce ne sarebbe più stata alcuna traccia. Ad ogni modo, “per sicurezza”, il medico consigliò un’asportazione chirurgica più radicale, che Marion rifiutò, preferendo delle terapie mediche alternative. Contemporaneamente il mio figliastro, il figlio più piccolo di

Marion, era caduto in depressione e aveva lasciato la scuola mentre viveva con suo padre in Canada. Marion mi chiese se ci potevamo trasferire in Canada per stare vicino alla sua famiglia mentre si rimetteva, in modo da aiutare il figlio e per dare anche a me un po’ di respiro. Pur non sapendo come avrei potuto fare il pendolare fino ad Albuquerque, acconsentii a trasferirmi. Ogni due mesi organizzavo un soggiorno di due settimane nel New Mexico, cercando di condurre quanti più studi potevo in quel

lasso di tempo. Lo sfinimento fu tremendo, e quando ero via mi preoccupavo del gruppo di supporto locale. Nessuno conosceva lo studio meglio di me, nemmeno i volontari. Uno dei soggetti della ricerca dello studio con la psilocibina volto a determinare la dose da somministrare iniziò ad avere dei problemi. Vladan, della cui esperienza abbiamo già parlato nel capitolo 12, si trovò intrappolato in una spirale di pessimismo che aumentava a ogni sessione con la psilocibina, con un atteggiamento da “qual è il punto?” Non giunse

mai alla svolta che credeva potesse arrivare con le dosi più elevate. Al contrario, divenne più solitario e inquieto. Quando gli dissi che avremmo preferito che si prendesse una pausa prima di ricominciare con gli studi successivi, si procurò una pistola semiautomatica, «nel caso ci fosse l’Armageddon». Negò in maniera irremovibile di volerla usarla contro di noi. Non ne ero particolarmente rassicurato, così lo invitai nel mio ufficio durante una delle mie visite nel New Mexico per capire quanto fosse pericoloso. Mi tranquillizzai un po’ dopo aver

parlato con lui per ben due ore, ma alla fine rifiutò di rinunciare alla pistola. Ottenni il permesso per iniziare uno studio con l’LSD, ma decisi di aspettare. Le condizioni non sembravano promettenti per somministrare LSD al Centro di Ricerca. Per finire, la mia ex comunità di monaci buddhisti iniziò a criticare la mia ricerca e allo stesso tempo mi negò il suo aiuto. Questi ultimi eventi mi portarono a concludere la ricerca psichedelica, e saranno oggetto del prossimo capitolo.

85. La dose di psilocibina generalmente usata nei gruppi di ricerca svizzeri e tedeschi è di 0.2 mg/kg, meno della metà della dose che avevamo stabilito avesse un indiscutibile effetto psichedelico (ovvero 0.45 mg/kg). Sebbene questi gruppi abbiano pubblicato i loro dati sotto il nome di “effetti psichedelici della psilocibina”, non credo che l’oggetto del loro studio sia una sindrome tipica. Vedi E. Gouzoulis-Mayfrank, B. Thelen, E. Habermeyer, H.J. Kunert, K.-A. Kovar, H. Lindenblatt, L. Hermle, M. Spitzer e H. Sass, Psychopathological, Neuroendocrine and Autonomic Effects of 3,4Methylenedioxyethylamphetamine (MDE), Psilocybin and d-Methamphetamine in Healthy Volunteers, in «Psychopharmacology», n. 142, 1999, pp. 41-50; inoltre F.X. Vollenweider, K.L. Leenders, C. Scharfetter, P. Maguire, O. Stadelmann e J. Angst, Positron Emission Tomography and Fluorodeoxyglucose Studies of

Metabolic Hyperfrontality and Psychopathology in the Psilocybin Model of Psychosis, in «Neuropsychopharmacology», n. 16, 1997, pp. 357-372. Abbiamo continuato ad aumentare la dose fino a 1.1 mg/kg. A questo punto, i due volontari che la ricevettero dissero di sentire che era troppa. Uno di loro perse per un attimo l’orientamento, mentre l’altro ebbe una sensazione quasi schiacciante di “pressione mentale”. Prima che altre circostanze contribuissero a farmi lasciare l’università, era nostra intenzione somministrare la dose da 0.9 mg/kg come dose massima finale di psilocibina: una quantità più di quattro volte superiore alla “dose psichedelica” somministrata dai ricercatori europei.

Capitolo 20

CALPESTARE UN SUOLO SACRO

Generalmente, nell’ambito della ricerca clinica non viene caldeggiata l’inclusione della spiritualità, con i suoi fattori immateriali e quindi non misurabili. In questo capitolo vedremo che nemmeno la religione istituzionalizzata, non importa quanto possa essere incline al misticismo, aperta di mente o

rassicurante, prende seriamente in considerazione il potenziale spirituale della ricerca clinica con gli psichedelici. In questo libro ci sono alcuni passi nei quali faccio riferimento al mio interesse per la teoria e la pratica buddhista. Oltre ai contributi teorici e pratici alla ricerca, ho anche ricevuto un grande aiuto a livello personale e orientamento dai decenni di coinvolgimento in un monastero americano di Buddhismo Zen. La mia comprensione del Buddhismo ha permeato quasi ogni aspetto del

lavoro con la molecola dello spirito, dall’ispirazione originaria di intraprendere una ricerca nel campo degli psichedelici fino allo sviluppo di una scala di valutazione e dei metodi di supervisione delle sessioni. Essendo cresciuto in una famiglia ebrea nel sud della California tra gli anni ’50 e ’60, la mia formazione religiosa dava rilievo allo studio della lingua ebraica, alle festività, alla storia e alla cultura ebraiche. Inoltre, memori dell’Olocausto, eravamo a favore dello stato ebraico di Israele appena formatosi. In

quegli insegnamenti trovai poche indicazioni su come entrare direttamente in contatto con Dio, prerogativa solo degli antichi patriarchi: Abramo, Isacco, Giacobbe e Mosè. C’erano momenti di gioia durante la mia educazione ebraica. Intonare canti popolari ebraici e preghiere in grandi gruppi era qualcosa di estatico, sebbene a quel tempo non usassi quella parola. Tali erano anche le danze popolari israeliane che ci venivano insegnate, caratterizzate da movimenti rotanti e vorticosi. Oltre a questo, una delle

mie insegnanti di religione cercò di insegnarci a meditare. Quando chiudeva gli occhi lo facevamo anche noi, e poi con gli occhi socchiusi guardavamo in giro per vedere chi stava sbirciando. La nostra insegnante, seduta alla scrivania con le mani sul grembo e le dita intrecciate, aveva un’espressione di beatitudine sul volto. Un paio di volte, durante queste meditazioni che facevamo in classe, riuscii a sentire qualcosa dentro di me che percepii come buono, calmo e giusto, ma ne fui

anche spaventato e mi sentii un po’ a disagio nell’entrarvi in contatto. In seguito scoprii che gli insegnamenti religiosi e le pratiche orientali fornivano i metodi più accessibili per soddisfare l’aspirazione a verità più profonde che cominciò a emergere durante gli anni del college. In questo senso, sono molto simile a molti della mia generazione. Queste “nuove religioni” comprendevano lo Zen e altri tipi di Buddhismo, Induismo e Sufismo. L’enfasi che davano alla fusione mistica con la fonte di tutta l’esistenza risuonava

profondamente con quel bisogno di trovare la verità ultima delle cose. La sicurezza personale incarnata da quei maestri giapponesi, indiani e tibetani appena arrivati in America e gli esercizi spirituali che promettevano risultati attestati da generazioni di praticanti costituivano un binomio davvero molto allettante. La mia introduzione ai misteri dell’Oriente avvenne nella forma della Meditazione Trascendentale nei primi anni ’70. Traevo beneficio dallo stato di quiete e di serenità a cui conduceva questa pratica, anche

se non mi attraevano i fondamenti teorici che ne erano alla base. Poco dopo, scoprii nel Buddhismo sia la pratica che l’ispirazione intellettuale che stavo cercando. Il Buddhismo è una religione basata sulla meditazione, vecchia di 2.500 anni, che descrive e considera in termini imparziali, psicologici e facilmente accessibili tutti gli stati mentali che si possono immaginare, siano essi terribili, estatici, neutri, utili o dannosi. Inoltre, il Buddhismo offre una serie di precetti sia pratici che morali, basati sul principio di causa-effetto, che

permettono di applicare nella vita quotidiana le intuizioni derivanti dalla meditazione. Dovetti fare diversi tentativi prima di trovare una comunità buddhista che facesse per me. Ancora una volta, Jim Fadiman di Stanford mi indicò la giusta direzione segnalandomi un monastero Zen nel Midwest degli Stati Uniti guidato da un maestro orientale, una specie di eremita che però era anche molto affidabile. Nel 1974 partecipai a due ritiri di meditazione della durata di un fine settimana ed ebbi l’impressione di

essere arrivato a casa. I monaci erano sereni ma con i piedi ben piantati a terra, e trascorremmo insieme dei momenti piacevoli. La cosa che trovai più interessante fu che la maggior parte di loro aveva avuto il primo scorcio di cammino spirituale sotto l’effetto di droghe psichedeliche. Ovviamente non lo ammisero di loro spontanea volontà. Tuttavia, nei primi giorni spensierati al tempio capitava di frequente di aprirsi gli uni con gli altri. Era facile domandare: «Hai fatto uso di psichedelici prima di diventare un

monaco? Quanto hanno influito sulla tua decisione?» La stragrande maggioranza ne aveva fatto uso e con il loro ausilio aveva dato una prima occhiata allo stato di illuminazione. Un ritiro di cinque settimane nel monastero, durante una pausa dai corsi di medicina, mi aiutò a sviluppare un’efficace pratica buddhista. La meditazione era semplice: stare seduti in posizione comoda, schiena diritta, e semplicemente restare seduti. “Stare semplicemente seduti”, proprio come “camminare

semplicemente”, “lavare semplicemente i piatti”, “respirare semplicemente”. In altre parole, rivolgere tutta la propria attenzione a ciò che si sta facendo in quel momento. Quando si stava seduti, si stava semplicemente seduti. Nessun pensiero, fantasticheria, inquietudine, reazione emotiva, discorso o qualunque altra cosa potesse complicare il processo dello stare seduti. La respirazione, con i suoi movimenti regolari di inspirazione ed espirazione, fungeva da ottimo punto di riferimento al quale la mente

vagante avrebbe potuto aggrapparsi, focalizzando su di essa la sua attenzione ogniqualvolta i pensieri o le sensazioni avessero interrotto lo stato di pura consapevolezza. Quando tornai alla scuola di medicina, riservai una stanza per meditare durante la pausa pranzo e c’erano sempre una o due persone che si univano a me in quella “seduta” di mezz’ora. Strinsi dei rapporti molto forti con alcuni monaci, andavo regolarmente al monastero e ospitai un ritiro condotto da alcuni sacerdoti in viaggio per New York.

Il Buddhismo e la meditazione sembravano anche un terreno fertile per i miei studi universitari. Mi organizzai per iscrivermi a una scuola di medicina facoltativa, durante l’estate, per professionisti della salute mentale al Nyingma Institute, fondato da un lama tibetano sulle colline di Berkeley in California. Durante questo corso apprendemmo i principi e le pratiche della psicologia buddhista. Fu allora che per la prima volta venni a conoscenza dell’Abhidharma, il sistema di psicologia buddhista.

Abhidharma viene tradotto all’incirca come “catalogo degli stati mentali”. L’Abhidharma è composto da un centinaio di testi, ma il lama di Nyingma era interessato a illustrarci solo i principi fondamentali. Secondo uno di essi il corso normale dell’esperienza personale è in verità una sintesi armoniosa di diversi elementi. Questi aspetti cono chiamati skandha, o “ammassi”, i cinque “elementi” che costituiscono il nostro stato cosciente: forma, sensazione, percezione, coscienza e tendenze

abituali. Trascorremmo giorni a esaminare ciascuno di questi elementi, finché non raggiungemmo una definizione unanime con la quale avevamo dimestichezza e con cui potevamo esprimerci nei comuni termini occidentali. Un altro punto importante era la possibilità di (e i metodi per) dissolvere la colla che teneva uniti questi skandha. Destrutturando, perché di questo si trattava, la facciata della nostra percezione dell’io, i buddhisti credono che sia possibile accedere a strati più

profondi della realtà, della compassione, dell’amore e della saggezza. C’era una serie di fasi in quel processo, e un maestro esperto poteva aiutare il praticante di meditazione a riconoscerle e a progredire attraverso questi passi. Il Buddhismo ha perfezionato queste tecniche nel corso di millenni, e milioni di praticanti hanno verificato di persona e confermato l’efficacia di questi metodi e dei loro risultati. Sebbene queste meditazioni fossero più elaborate e complicate del semplice “stare seduti”, erano

affascinanti e portavano ai risultati promessi. Dovevo scrivere un articolo scientifico sulla mia esperienza estiva e colsi l’occasione per pubblicare una descrizione del sistema dell’Abhidharma, raccontando anche alcune mie personali esperienze di meditazione. Studiare l’Abhidharma mi fece pensare anche alla sua utilità nella valutazione degli stati psichedelici.86 Dopo essermi laureato in Medicina tornai in California per un tirocinio in Psichiatria, a

Sacramento. Qui aiutai a formare e a dirigere un gruppo di meditazione affiliato al monastero che si riuniva con cadenza settimanale e che sponsorizzava i ritiri condotti dai monaci. Per anni il gruppo si incontrò a casa mia, ed ebbi molte occasioni per parlare del mio interesse per gli psichedelici con i membri della comunità monastica. Nel monastero ero stato sottoposto a un’investitura laica nella setta buddhista i cui insegnamenti erano praticati dall’abate, e nel frattempo mantenevo stretti rapporti con i miei amici monaci che stavano per

diventare membri anziani della gerarchia sacerdotale. Dopo quattro anni di internato in Psichiatria presso l’Università della California di Davis, le opportunità di carriera e di formazione mi portarono lontano da Sacramento, ma vi feci ritorno due anni e mezzo più tardi per unirmi al loro ordine. Il gruppo di meditazione locale che avevo contribuito a formare si riuniva ancora, anche se la struttura originaria dell’organizzazione aveva subito un radicale mutamento. Molti monaci avevano lasciato l’ovile perché gli insegnamenti

erano diventati sempre più incentrati sull’insegnante e sulle sue esperienze spirituali. Allo stesso tempo, l’abate stava diventando sempre più solitario e si circondava solo di assistenti fidati. Inoltre, ora si era formata una gerarchia all’interno della comunità laica. L’atmosfera aveva preso una piega del tipo “o si è fuori o si è dentro”. Non vi era più spazio per uno scambio di idee informale e sereno. Quando in seguito mi trasferii nel New Mexico, mi consideravo ormai solo vagamente affiliato a quella comunità buddhista allargata che

faceva capo al monastero. Non avevo intenzione di avere a che fare con la struttura politica ora necessaria per avviare un gruppo locale di meditazione, ma mi misi in contatto con altri membri della zona e meditavo regolarmente insieme a loro in un contesto informale. Inoltre, restai in contatto costante con diversi monaci del monastero centrale, molti dei quali li conoscevo ormai da vent’anni. Sebbene la comunità monastica nel complesso avesse perso parte del suo lustro, la consideravo la mia

casa spirituale e vi celebrai il mio matrimonio nel 1990. Ci sono molti modi in cui la mia formazione buddhista, sia teorica che pratica, ha influenzato la ricerca sulla DMT . Uno di questi era il modo in cui effettuavamo la supervisione degli incontri dei volontari con la DMT . Il termine con cui si indica l’attività di supervisione delle sessioni con gli psichedelici è sitting (“seduta”). Molti sono convinti che derivi dall’idea del babysitting, ovvero l’accudire persone che si trovano in uno stato di forte

vulnerabilità, dipendenza e a volte di confusione. Ma il termine sitting si rivela ancora più importante se riferito alla meditazione. Io e le infermiere ricercatrici, sia Cindy che Laura, facemmo del nostro meglio per praticare lo “stare semplicemente in ascolto” mentre eravamo con i volontari: osservavamo il respiro, stavamo in allerta, lo sguardo fisso davanti a noi, pronti a reagire, mantenendo un atteggiamento positivo e consapevole, permettendo ai volontari di fare la loro esperienza

senza inutili intrusioni da parte nostra.87 La mia comprensione della meditazione mi fu inoltre d’aiuto nel guidare le persone attraverso le fasi dell’esperienza con la DMT . Ad esempio, applicai il modello della mente dell’Abhidharma quando insegnavo ai volontari a non lasciarsi travolgere dall’assalto dei colori o a esplorare lo spazio all’interno delle venature del legno della porta quando tenevano gli occhi aperti. Suggerire ai volontari di lasciarsi andare, di portare l’attenzione al respiro e alle

sensazioni del corpo e di mantenere la mente aperta ma fluida nei confronti di qualsiasi cosa incontrassero: tutti questi strumenti li avevo acquisiti nel corso di decenni di studio e di pratica della meditazione. Un altro esempio di come gli psichedelici e la meditazione buddhista trovarono un punto di congiunzione fu nello sviluppo della nostra scala di valutazione. I precedenti questionari di carattere psicologico volti a misurare gli effetti delle droghe psichedeliche avevano delle gravi

mancanze. Ritenevano infatti che gli psichedelici fossero “psicotomimetici” o “schizotossici”, di conseguenza mettevano in rilievo le esperienze sgradevoli. Molte di queste scale furono sviluppate da volontari, a volte detenuti ex tossicodipendenti, ai quali non veniva detto quale droga avrebbero ricevuto, né quali effetti si sarebbero potuti manifestare. Come alternativa a questa modalità di valutare l’esperienza psichedelica utilizzai un metodo basato sull’Abhidharma e sugli skandha per distinguere i diversi

stati mentali. Questo modello puramente descrittivo ben si combina con quello che è noto come “esame dello stato mentale”, utilizzato nei colloqui con i pazienti psichiatrici. Mentre si parla con un soggetto si cerca di esplorare con delicatezza la qualità delle sue funzioni cognitive di base, quali l’umore, il pensiero e le percezioni. I termini noti nell’Abhidharma – “forma”, “sensazione”, “percezione”, “coscienza” e “tendenze abituali” – divennero lo schema o la struttura entro cui si sviluppò la scala di valutazione, nonché il modo in cui

classificammo le risposte a quelle domande. Ad ogni modo, anziché chiamarli skandha, per un pubblico occidentale si rivelò più appropriato chiamarle “categorie cliniche”. Distribuimmo e analizzammo questo nuovo questionario, la Scala di Valutazione degli Allucinogeni, o HRS (dall’inglese Hallucinogen Rating Scale), alla fine di ogni sessione con la DMT per la durata dell’intero progetto. I risultati furono notevoli. È ormai ben noto nella psicofarmacologia clinica che un questionario valido è più sensibile

di qualsiasi altro fattore biologico nel valutare gli effetti di una droga. In altre parole, una scala di valutazione ben progettata distingue meglio i diversi dosaggi di una droga, o di differenti tipi di droghe, rispetto alla misurazione della pressione, del battito cardiaco o dei livelli ormonali. Mi auguravo che anche l’HRS avrebbe seguito questa tendenza, e lo fece senza difficoltà. Riuscimmo a distinguere meglio le risposte alle diverse dosi di DMT , così come gli effetti della DMT combinata con altre sostanze, utilizzando i punteggi dell’HRS

anziché misurando le variazioni di ogni singolo fattore biologico, compresi tutti i dati sull’attività cardiovascolare e sugli ormoni presenti nel sangue. Peraltro, questa scala di valutazione dimostrò la sapienza e la forza dell’approccio buddhista agli stati mentali. Clifford Qualls, medico e biostatistico che lavorava presso il Centro di Ricerca, mi affiancò nel raggruppare le domande dell’HRS utilizzando la suddivisione in “categorie cliniche”, ovvero il metodo basato sugli skandha, e

confrontammo questo metodo di analisi con un gran numero di modelli alternativi puramente statistici. La tecnica dell’Abhidharma era ugualmente valida, se non addirittura superiore, a quelle sviluppate esclusivamente su basi matematiche. Poiché la classificazione dei risultati eseguita tramite computer non era migliore della classificazione clinica, e dal momento in cui aveva più senso, a livello intuitivo, utilizzare gli skandha, propendemmo per questa seconda modalità. Da quel momento in poi, altri gruppi di

ricerca hanno utilizzato l’HRS e ne hanno confermato l’utilità nel misurare altri tipi di stati alterati di coscienza, sia quelli indotti da droghe che di altro tipo.88 Il Buddhismo mi ha anche aiutato a dare un senso alle sessioni di DMT . La sua ampia prospettiva comprende tutte le esperienze: spirituali, di pre-morte e perfino quelle relative ai mondi invisibili e non materiali. Tuttavia, mi dovetti scontrare con due gravi limitazioni dovute alla mia mancanza di un’educazione buddhista.

Come avrei dovuto rispondere a un volontario che mi avesse chiesto se aveva appena vissuto un’esperienza spirituale indotta dalla droga? Si trattava di una “reale” illuminazione oppure no? Come ho scritto più in dettaglio nel capitolo 16, Stati mistici, queste sessioni mi lasciarono senz’altro la sensazione che fosse avvenuto qualcosa di veramente profondo. E non c’era nessun dubbio da parte dei volontari sul fatto di aver vissuto l’esperienza più profonda e intensa della loro vita. Ad ogni modo, andava oltre la mia

formazione e la mia competenza stabilire la validità o la “certificabilità” della comprensione di un volontario con un modello di interpretazione diverso da quello psichiatrico. Un altro problema era il modo in cui mettere in relazione ciò che sapevo sugli approcci buddhisti con le entità non materiali con i racconti dei volontari. Ad esempio, le versioni tibetane e giapponesi del Buddhismo possiedono un albo completo di demoni, divinità e angeli. Avevo interpretato questi incontri come rappresentazioni

simboliche di alcune qualità di noi stessi e non come forme di vita immateriali e indipendenti. Quando i volontari iniziarono a raccontare dei contatti, la mia prima reazione fu: «Oh, questo è qualcosa di cui si parla anche nel Buddhismo. Sono solo aspetti della nostra stessa mente». Questi incontri, tuttavia, si fecero sempre più strani, e gli esseri iniziarono a sottoporre i volontari a test e perlustrazioni fisiche, inserendo oggetti al loro interno, divorandoli o violentandoli. La struttura di pensiero buddhista non

sembrava in grado di spiegare questo tipo di esperienze. Genericamente, potevo applicare il caratteristico scetticismo del Buddhismo evitando di considerare queste storie “speciali” o “reali”. In pratica, si trattava “semplicemente di incontri con altri esseri”. Queste apparenti forme di vita non erano necessariamente più sagge o affidabili di qualsiasi altra cosa che potremmo incontrare nella vita o nella nostra mente. Nonostante ciò, avevo bisogno di una guida sia per le esperienze spirituali che per gli aspetti del

“contatto” nel nostro lavoro. Iniziai a condividere le nostre scoperte, e i miei dubbi, con fidati amici monaci. Mi rivolsi di frequente alla Venerabile Margaret, una sacerdotessa buddhista che avevo conosciuto nel 1974 durante il mio primo soggiorno al monastero.89 Formatasi come psicologa clinica, Margaret era diventata una monaca buddhista dopo essersi resa conto di non voler lasciare questo mondo allo stesso modo in cui vi era entrata. Prima di cercare di aiutare gli altri voleva sperimentare la sua salute mentale e spirituale.

Comunque le piaceva la vita monastica, e così rimase nel monastero. Io e lei parlavamo la stessa lingua, condividevamo le stesse preoccupazioni e consideravamo la condizione dell’uomo dallo stesso punto di vista, avendo avuto la stessa formazione professionale. Prima di dare avvio allo studio sulla DMT , mi capitò di trascorrere alcuni giorni al monastero. La mia avventura di due anni nel labirinto normativo alla ricerca di permessi e fondi per iniziare la somministrazione di DMT stava

volgendo al termine. Margaret era diventata vice-abate e doveva rispettare una rigida scala di impegni. Trovammo comunque un’occasione per vederci e la aggiornai sulla mia vita personale e professionale. La conversazione si spostò verso il mio interesse nella somministrazione di DMT a soggetti umani in un contesto sperimentale. Avendola resa partecipe della mia ipotesi che la ghiandola pineale producesse la DMT durante i momenti mistici nella nostra vita, feci una congettura riguardo la sua

possibile implicazione nella morte e negli stati di pre-morte. Quella donna smilza e dal capo rasato congiunse la punta delle dita davanti alla bocca, tendendole verso l’interno e verso l’esterno. I suoi intensi occhi blu si socchiusero e guardarono oltre le mie spalle, fino a incontrare la parete bianca dietro di me. «Quello che suggerisci è qualcosa che solo una persona su un milione potrebbe fare» disse lentamente. Presi questo commento intenzionalmente ambiguo come un incoraggiamento ad approfondire la

questione. Ragionando sul ruolo degli psichedelici nello sviluppo spirituale, le feci notare quanti monaci, ormai appartenenti alla classe degli anziani, avevano avvertito per la prima volta la loro vocazione spirituale dopo aver fatto uso di LSD o di altre droghe. Margaret rise. «Sai, francamente non ti so proprio dire se i miei trip con l’LSD mi abbiano aiutato o meno nella pratica spirituale!» «Difficile da dire, non è vero?» replicai. «Già».

Guardò il suo orologio, raccolse la sua tazza di tè e si congedò educatamente. L’anno seguente, il 1990, mi sposai al monastero. Durante un incontro separato prima della cerimonia, chiacchierai con altri due monaci miei amici che adesso occupavano alcune delle cariche più alte all’interno dell’ordine. Entrambi avevano fatto uso di droghe psichedeliche al college insieme a un altro ragazzo che poi sarebbe diventato un mio caro amico in New Mexico. Questa nostra conoscenza comune era

famosa per utilizzare l’MDMA all’interno di un contesto psicoterapeutico. Entrambi i monaci mi chiesero di lui e del suo studio con la MDMA , e restarono altrettanto affascinati dai miei progetti di studio sulla DMT . Dopo aver concluso lo studio sulla reazione alla dose nel 1992, scrissi una lunga lettera a Margaret in cui descrivevo l’intera serie di storie che i volontari avevano condiviso con noi, incluse quelle relative alle esperienze di pre-morte, di illuminazione e di contatto con entità. Inoltre la resi partecipe della

mia sensazione che il setting fosse troppo asettico e che i volontari conoscessero troppo bene le droghe psichedeliche perché potessero trarne un qualche beneficio reale. Sollevai la questione di provare ad aiutare le persone in maniera più diretta, attraverso un progetto di psicoterapia con l’ausilio di psilocibina sui malati terminali. Ero stato condotto verso uno studio con i malati terminali perché il lavoro in questo settore si era rivelato promettente durante la prima ondata della ricerca psichedelica negli anni ’60. Inoltre,

l’enfasi sugli effetti positivi di esperienze spirituali e di pre-morte rese possibili dagli psichedelici aveva suscitato il mio profondo interesse. «Davvero interessante!» mi rispose Margaret. «Ma qual è lo scopo di tutto questo? Forse un futuro lavoro di “aiuto” darà maggiore visibilità a questo tipo di ricerca». Si domandava anche del rapporto rischi-benefici, suggerendomi di intraprendere uno studio del genere solo se fossi stato sicuro di una minima quantità di rischi e di un altrettanto alta

probabilità di benefici. Intuitivamente, mi chiedeva anche di considerare la mancanza di tempo a disposizione per far fronte a qualsiasi incidente derivante da una seduta di psilocibina dolorosa e problematica. Gli anni passarono velocemente, e prima della fine del 1994 le domande che mi ponevo sull’utilità della mia ricerca psichedelica si erano fatte più numerose. Gli effetti negativi si accumulavano e i benefici a lungo termine erano difficili da attestare. Inoltre, il costante contatto con i volontari

sotto effetto psichedelico iniziava a stancarmi. Misi al corrente Margaret di questi sviluppi. Come sempre, mi sosteneva in quello che sembrava più utile per la mia personale crescita spirituale. Se ciò avesse implicato lasciar perdere la ricerca, lo avrebbe capito. Ad ogni modo, mi incoraggiò a cercare qualcuno al quale poter trasferire il progetto, affinché il lavoro che avevo iniziato non terminasse in mia assenza. Le ulteriori circostanze, descritte nell’ultimo capitolo, mi portarono a trasferirmi in Canada, anche se

andavo continuamente ad Albuquerque per continuare a condurre gli studi. Dopo essermi trasferito, conobbi i membri del gruppo locale di meditazione degli affiliati al monastero e iniziai a partecipare a degli incontri di meditazione. In uno stato federale dall’altra parte del confine vi era uno dei rami più importanti dell’ordine, e il loro abate programmò un ritiro presso la nostra comunità. La Venerabile Gwendolyn arrivò e diede inizio a un seminario di un fine settimana.

Gwendolyn era entrata nell’ordine principale direttamente dalla casa dei genitori. Presso il monastero aveva avuto una serie di esperienze spirituali di incredibile profondità ed era un’insegnante di alto livello. Nonostante ciò, non era altrettanto esperta delle cose del mondo, e far funzionare un centro di meditazione in una città era una grande sfida per le sue capacità relazionali. Durante una seduta di counseling pastorale con Gwendolyn, la misi al corrente della ricerca condotta in New Mexico e di alcune delle mie

crescenti perplessità a riguardo. Ero contento di poter esporre la mia storia a una monaca che non sapeva nulla di me, e ascoltare un punto di vista diverso. Rimasi sorpreso quando, una settimana dopo, sentii la voce di Gwendolyn al telefono. «Dopo aver parlato con te sono stata male per tre giorni, la cosa mi ha turbato. Ho chiamato l’abate, che come sai sta per morire. Questa è stata la prima questione di cui si sia occupato personalmente in più di un anno. Ho parlato con lui, così come con altri monaci anziani.

Abbiamo deciso che devi terminare immediatamente la tua ricerca. Questa settimana ti scriverò una lettera più formale». «Fammici pensare» le risposi. Dopo due settimane mi arrivò una lettera, ma non da Gwendolyn, bensì da Margaret. Iniziava dicendo: «Spero che quello che ho sentito indirettamente non sia vero. Ma se lo è, fammi dire questo». Con questa premessa, avviava un’accusa contro la mia ricerca: quella passata, presente e perfino quella in progetto.

«La tua ricerca in campo psichedelico, in sostanza, è inutile, priva di alcun reale beneficio per l’umanità, e pericolosa; l’idea di somministrare degli psichedelici ai malati terminali è estremamente pericolosa. È la cosa più simile al voler “giocare a essere Dio” che abbia mai visto nel settore della salute mentale. Il tentativo di indurre esperienze di illuminazione tramite delle sostanze chimiche non potrà mai avere successo. Quel che farà, invece, sarà provocare una gran confusione nelle persone, con gravi ripercussioni su di te».

La lettera di Gwendolyn arrivò il giorno dopo. «[La tua ricerca] rappresenta un errato mezzo di sostentamento, secondo gli insegnamenti del Buddha. È ingannevole che la DMT possa generare delle esperienze di illuminazione e va contro gli insegnamenti del Buddha. I disturbi e la confusione mentale causati dagli allucinogeni ostacolano l’insegnamento religioso e possono provocare la rinascita in mondi caratterizzati da confusione e sofferenza. Questo è l’insegnamento e anche il mio

punto di vista, [dell’abate], [dell’ordine] e di tutto il Buddhismo. Ti esortiamo a cessare tali esperimenti». Ricordai a questi monaci degli anni trascorsi a parlare del mio interesse nel campo della ricerca psichedelica e della mia intenzione di realizzarla. Sottolineai, inoltre, il continuo interessamento per il mio lavoro da parte dei membri della comunità e il fatto che all’epoca non vi fu mai alcuna raccomandazione per evitarlo o abbandonarlo. Al contrario, vi erano stati entusiasmo e incoraggiamento a sfruttare questi

miei interessi per andare più in profondità nel mio rapporto spirituale con il mondo esterno. Ricordai le numerose conversazioni avute con i monaci che avevano confermato l’importanza delle loro esperienze psichedeliche nel condurli verso i primi barlumi di illuminazione. Inoltre, ero desideroso di discutere di alcune delle loro preoccupazioni. Tra queste, gli ovvi problemi legati alla credenza che un certo tipo di conoscenza fosse accessibile solo con l’ausilio di un agente esterno, cioè una droga.

Accettavo anche la possibilità teorica, messa in luce da Gwendolyn, che qualcuno potesse confondere un flashback psichedelico con una reale esperienza di illuminazione. Tuttavia, nessuno dei miei tentativi per ampliare il dialogo ebbe esito positivo. Cosa stava succedendo? L’abate stava per morire e cercava di fare in modo che i suoi insegnamenti restassero il più possibile incontaminati. Inoltre, i monaci anziani cercavano di influenzare le cariche elettive che

avrebbero determinato il futuro della comunità. Chi era il più fervido difensore dell’insegnamento? Coloro che inizialmente erano arrivati al Buddhismo tramite le proprie esperienze psichedeliche positive dovevano starsene zitti e fare quadrato con quelli che non avevano avuto la stessa esperienza. Gli psichedelici non potevano diventare motivo di divisione in un momento così delicato dell’esistenza del monastero. In seguito, nell’autunno del 1996, su un numero della rivista

buddhista americana Tricycle. The Buddhist Review comparve un mio articolo nel quale si parlava del ruolo degli psichedelici all’interno della pratica buddhista. In questo articolo presentai la prima sessione di Elena con la dose elevata, della quale abbiamo letto nel capitolo 16, Stati mistici. La sua esperienza costituiva l’esempio della possibilità di una svolta spirituale con la DMT in tutti coloro che si mostrano ricettivi, ovvero persone con una seria pratica di meditazione alle spalle, una certa solidità a livello psicologico e un

atteggiamento di umiltà e profondo rispetto nei confronti di droghe come la DMT . Avevo anche esternato la preoccupazione che esperienze isolate, all’interno di un contesto né spirituale né terapeutico, non fossero particolarmente efficaci nel portare grandi cambiamenti a lungo termine nei volontari. Per finire, concludevo nella maniera che segue: «Credo che vi siano dei modi in cui il Buddhismo e la comunità di ricerca psichedelica possano trarre dei vantaggi reciproci da un aperto, sincero, interscambio di idee, pratiche e principi morali. La

strutturazione etica e metodica della vita, dell’esperienza e delle relazioni fornita da migliaia di anni di tradizione buddhista condivisa ha molto da offrire alla comunità psichedelica. Questa tradizione ben sviluppata potrebbe infatti dare senso e coerenza alle esperienze psichedeliche isolate, sconnesse e non complete. Senza l’amore e la compassione che si alimentano con un esercizio quotidiano, la saggezza che deriva dall’esperienza psichedelica potrebbe essere dilapidata da un eccesso di narcisismo e autoindulgenza. Se

questo si può verificare anche all’interno della tradizione contemplativa buddhista, è comunque meno probabile che accada quando ci si trova in una comunità dinamica di praticanti, in un sistema di controlli ed equilibri. Dall’altro lato, gli zelanti praticanti buddhisti con uno scarso successo nelle loro meditazioni, ma ben avanti quanto a sviluppo morale e intellettuale, potrebbero trarre beneficio da una sessione psichedelica attentamente monitorata e preparata per accelerare la loro pratica. Gli

psichedelici possono fornire una prospettiva. E una prospettiva, a una persona che abbia tali inclinazioni, può essere di stimolo al lungo e duro lavoro che occorre per renderla una realtà vivente».90 Questo articolo segnò il mio destino nella comunità monastica. La mia affiliazione a vita nell’ordine ne avrebbe risentito. Gwendolyn inviò delle copie dell’articolo comparso sul Tricycle ai membri del mio nuovo gruppo di meditazione, oltre che ad altri gruppi e al monastero. All’interno vi scarabocchiò alcuni dei commenti

che avevo fatto durante quella che credevo fosse stata una seduta confidenziale di counseling pastorale. Scrisse alla congregazione locale, dicendogli di non venire a casa mia perché potevano esserci delle droghe psichedeliche. Il suo comportamento fu la goccia che fece traboccare il vaso dell’intera faccenda. Sporsi un reclamo ufficiale contro la sua violazione del rapporto confidenziale. Per quanto mettessi in discussione il comportamento di Gwendolyn, volevo una

dichiarazione definitiva dell’ordine in merito alla sua posizione nei confronti della mia ricerca. Risposero a entrambe le questioni. L’osservatorio monastico fu d’accordo nel riconoscere che Gwendolyn aveva violato il rapporto confidenziale, ma lo aveva fatto per un «bene maggiore», «per evitare che venissero commessi degli errori in nome del Buddhismo». Nessuno può dirsi buddhista se riconosce agli psichedelici un qualche ruolo nel Buddhismo stesso. Potevo fare ben poco. La santità aveva vinto sulla verità. Questo

particolare aspetto del Buddhismo non differiva molto da qualsiasi altra istituzione la cui sopravvivenza dipendeva da una piattaforma di idee uniformemente accettate. Solo essi potevano determinare quali domande erano ammissibili e quali no. In seguito seppi che la comunità monastica aveva eletto Margaret a capo dell’ordine. Le elezioni andarono bene anche per i due monaci che avevano fatto uso di psichedelici anni prima con quel mio amico del New Mexico. Uno fu eletto abate del monastero, mentre

l’altro vice-abate. E così anche le ambizioni politiche erano più importanti di un dialogo sincero. L’organizzazione non avrebbe mai ammesso e discusso apertamente del fatto che i loro tre insegnanti più importanti avessero fatto uso in passato di LSD o che avessero scelto la vita monastica in seguito all’ispirazione provocatagli dalla droga. Nonostante riuscissi a vedere oltre quell’ipocrisia che stava alla base del disconoscimento del mio lavoro da parte dei membri del

monastero, ne pagai comunque il prezzo. Insieme agli eventi e alle circostanze descritti nell’ultimo capitolo, la mia energia per continuare la ricerca si affievolì notevolmente. Dopo due lunghi viaggi ad Albuquerque per proseguire la ricerca, l’ulteriore pressione esercitata dalla mia comunità spirituale diede il colpo di grazia a quel che rimaneva del mio desiderio di continuare lo studio. Era ora di fermarsi. Diedi le dimissioni dall’università e restituii alla NIDA le droghe e i

fondi che mi avevano concesso l’anno precedente. Scrissi dei resoconti conclusivi su tutti i progetti e ne inviai delle copie ai comitati e alle commissioni che avevano collaborato con me nel corso degli ultimi sette anni. La farmacia pesò tutte le nostre droghe, le impacchettò e le inviò a un deposito protetto vicino a Washington DC. Le forniture di DMT , psiclocibina e LSD si trovano ancora lì. 86. Rick J. Strassman e Marc Galanter, The Abhidharma: A Cross-Cultural Application of

Meditation, in «International Journal Social Psychiatry», n. 26, 1980, pp. 283-290. 87. Questo metodo è alquanto simile a quello che Freud chiama “attenzione ugualmente fluttuante” da parte di uno psicanalista qualificato. L’analista fornisce supporto ascoltando seduto attentamente, per lo più in silenzio, a fianco o dietro il divano del paziente. Questo tipo di ascolto e di osservazione discreta da parte dell’analista rispecchia in gran parte ciò che si verifica interiormente durante la meditazione Zen. 88. Ad esempio ci sono ora traduzioni dell’HRS in diverse lingue, tra cui spagnolo, italiano, russo, portoghese, tedesco e olandese. Diversi gruppi di ricerca nel mondo l’hanno utilizzata per misurare gli effetti della ketamina, dell’ayahuasca, delle anfetamine, della psilocibina e dell’MDMA . Un gruppo di ricercatori

tedeschi per mezzo dell’HRS ha perfino misurato alcune caratteristiche che si manifestano nelle psicosi spontanee. 89. Come in molte comunità monastiche religiose tradizionali, Margaret adottò un nuovo nome dopo essere entrata nell’ordine sacerdotale. Dal momento che il suo e altri nomi sono giapponesi, e siccome non conosco questa lingua e mi dispiacerebbe inventare un nome che casualmente potrebbe avere un significato deplorevole o imbarazzante, ho deciso di usare degli pseudonimi inglesi. 90. Rick J. Strassman, DMT and the Dharma, in «Tricycle, The Buddhist Review», n. 6, 1996, pp. 81-88.

PARTE VI

COSA PUÒ E POTRÀ ESSERE

Capitolo 21

DMT: LA MOLECOLA DELLO SPIRITO

Sembra assurdo che una sostanza chimica così semplice come la DMT possa dare accesso a una così straordinaria varietà di esperienze: da quella meno drammatica a quella più incredibilmente devastante; dalle intuizioni di carattere psicologico agli incontri con gli alieni; dal terrore abietto

all’incontenibile beatitudine; esperienze di pre-morte, di rinascita, di illuminazione. Ognuna di queste scaturiva da una sostanza chimicamente imparentata con la serotonina, neurotrasmettitore cerebrale tra i più noti e fondamentali. È emozionante chiedersi perché la Natura, o Dio, abbiano creato la DMT . Quale vantaggio biologico o evolutivo scaturisce dal fatto che alcune piante vegetali e il nostro corpo sintetizzano la molecola dello spirito? Se la DMT viene davvero rilasciata nei momenti più

stressanti della nostra vita, è una coincidenza o si tratta di qualcosa di voluto? E in quest’ultimo caso, per quale ragione? Nei resoconti dei casi abbiamo visto quanto sorprendentemente si somiglino le esperienze dei volontari e gli stati di coscienza psichedelici che si verificano in maniera spontanea. Non si può ignorare il sovrapporsi delle descrizioni riportate dai soggetti della ricerca nelle sessioni con dosi elevate di DMT con quelle di persone che hanno vissuto spontaneamente esperienze spirituali, mistiche o di

pre-morte. Anche se prima di iniziare il nostro lavoro non mi aspettavo che i contatti con entità non materiali sarebbero stati così frequenti, la rassomiglianza tra quelli avvenuti “sul campo” e quelli avvenuti nella stanza 531 è indiscutibile. Le somiglianze tra i fenomeni spontanei e quelli indotti dalla DMT avvalorano la mia tesi secondo cui le esperienze “psichedeliche” spontanee sono mediate da elevati livelli di DMT endogena. Nel capitolo 4, La pineale psichedelica, ho elencato una serie di situazioni di

carattere biologico in cui la ghiandola pineale può sintetizzare la DMT , immaginando le implicazioni metafisiche e spirituali di queste possibilità. Come potrebbe allora questa molecola dello spirito – sia che venga prodotta dall’interno attraverso queste ipotetiche vie biologiche, o assunta dall’esterno come nel caso del nostro studio – modificare in maniera così radicale le nostre percezioni? In questo capitolo lasceremo la nostra immaginazione libera di prendere in considerazione ogni possibilità.

La maggior parte di noi, inclusi i neuroscienziati più cocciuti e i mistici non materialisti, accetta l’idea che il cervello sia una macchina, lo strumento della coscienza. È un organo formato da cellule e tessuti, proteine, grassi e carboidrati. Elabora i dati sensoriali grezzi che gli vengono inviati dagli organi di senso tramite elettricità e sostanze chimiche. Se accettiamo il modello che il cervello funziona da “ricevitore della realtà”, paragoniamolo allora a un altro ricevitore che tutti conosciamo: la televisione.

Attraverso l’analogia tra cervello e TV ci si può fare un’idea di come gli stati alterati di coscienza, compresi quelli psichedelici indotti dalla DMT , siano collegati al cervello come a un sofisticato ricevitore. Il livelli di cambiamento più semplici e comuni a cui dà accesso la molecola dello spirito sono quelli personali e psicologici. Tali effetti potrebbero essere come la regolazione delle immagini sullo schermo, quando si sistema il contrasto, la luminosità e lo schema dei colori. Queste “immagini” sono fatte da sensazioni, ricordi e

percezioni che non sono del tutto insolite o inattese. Non vi è nulla di particolarmente nuovo, ma quello che c’è viene ora visto con una chiarezza maggiore e nei più piccoli dettagli. Dosi minime di DMT provocavano questo tipo di risposte nei nostri volontari. Qualche volta si verificavano addirittura con le dosi elevate in coloro i cui bisogni e formazione richiedevano una revisione più profonda della propria vita e delle proprie relazioni. Nel realizzare tali aggiustamenti della coscienza la DMT non è molto

diversa da altre droghe o metodi che si utilizzano in psicoterapia. Gli eccitanti, in particolare le anfetamine e le metanfetamine come la MDMA , amplificano i processi mentali in un modo potenzialmente utile, e rendono più facile ricordare e pensare. Ingrandendo e chiarificando i sentimenti legati a tali ricordi e pensieri, ci permettono di affrontare e accettare quelle emozioni e di andare oltre. Molti di questi meccanismi si applicano anche in profonde sedute di psicoterapia. La perseveranza e il

supporto del terapeuta nel portare alla luce ricordi dolorosi e nel gestire le forti emozioni da essi evocate hanno effetti positivi simili. Nel nostro lavoro con la DMT , abbiamo visto gli effetti indotti dalla droga sullo stato mentale ordinario combinarsi con i nostri atteggiamenti solidali e incoraggianti per far emergere nuove e profonde intuizioni personali. Ad esempio, Stan riuscì a percepire in maniera più intensa e diretta l’ansia e lo stress causati dal suo divorzio e le sue ripercussioni

sulla figlia. Marsha, nelle sue surreali sedute popolate da caricature che incarnavano l’ideale di bellezza anglosassone, riuscì ad affrontare il dolore derivante dalla difficoltà del marito di accettarla per come era realmente, sia dal punto di vista fisico che culturale. Cassandra comprese finalmente la relazione tra la brutale violenza subita e il dolore addominale che si portava dietro da molti anni, iniziando così a liberarsene. Ci possono essere anche delle componenti biologiche in alcuni degli effetti liberatori, terapeutici e

curativi che abbiamo visto in questo tipo di sessioni. Ad esempio, l’euforia provocata dalla DMT aiutava i volontari a osservare la propria vita e i propri conflitti con un atteggiamento più risoluto. Queste sensazioni estatiche possono essere legate in parte al forte afflusso, indotto dalla DMT , di beta-endorfine, sostanze simili alla morfina prodotte dal cervello. La DMT stimolava inoltre un consistente aumento della vasopressina e della prolattina nel cervello. Gli scienziati ritengono che questi composti siano

importanti per le sensazioni di legame, attaccamento e solidarietà verso gli altri membri della specie. Forse l’aumento di queste sostanze cerebrali rese più facile per i volontari fidarsi di noi, lasciarsi andare agli effetti della droga ed esprimere con forza dinamiche personali attraverso modalità prima d’allora inimmaginabili. Cosa succede quando la molecola dello spirito ci spinge e ci forza oltre i livelli fisici ed emozionali della consapevolezza? Entriamo all’interno di mondi invisibili, mondi che normalmente non

percepiamo e della cui esistenza abbiamo solo una vaga idea. Ancora più sorprendente è che questi mondi sembrano essere abitati. A un certo punto, decisi di prendere per buoni i resoconti dei volontari. Questo esperimento mentale prese il posto della mia tendenza originaria a giustificare, interpretare o ridurre le loro esperienze a qualcos’altro, come ad esempio ad allucinazioni di un cervello confuso, a sogni o a un simbolismo psicologico. Adesso, dopo anni di ulteriori ricerche e riflessioni, credo che valga la pena

considerare seriamente la possibilità che queste esperienze fossero proprio ciò che apparivano.91 Ho faticato personalmente e professionalmente per sviluppare le seguenti spiegazioni radicali degli apparenti contatti dei volontari con entità non materiali. Anche dopo averle esposte, resto comunque scettico sul loro valore. Perché non potevo attenermi ai modelli testati e provati della biologia o della psicologia tradizionale? Dal punto di vista delle neuroscienze, forse i nostri

volontari avevano vissuto una vivida esperienza allucinatoria causata dall’attivazione da parte della DMT dei centri cerebrali responsabili della vista, delle emozioni e del pensiero. Dopotutto, le persone quando sognano sono completamente trasportate all’interno della realtà dell’esperienza che stanno vivendo. I rapidi movimenti oculari che si verificavano talvolta nei nostri soggetti avrebbero potuto indicare la presenza di uno stato di sogno lucido.

Tuttavia, i volontari erano convinti che ci fossero delle differenze tra ciò che sperimentavano durante il contatto con entità indotto dalla DMT e i loro sogni ordinari. Il fatto di osservare le stesse cose con gli occhi aperti e con gli occhi chiusi, in uno stato di coscienza vigile e attento, gli rendeva difficile accettare che fosse semplicemente un sogno. Anche per me era diverso ascoltare le loro storie di incontri rispetto ai sogni raccontati durante una seduta di psicoterapia. I resoconti dei nostri volontari erano così chiari,

convincenti e “reali” che continuavo a pensare: «Non ho mai sentito niente del genere nei sogni dei miei pazienti. Sono molto più bizzarri, ben ricordati ed emotivamente coerenti». Per di più, una spiegazione biologica sulla falsariga del sogno lucido o delle allucinazioni produceva di solito nei volontari una certa resistenza. Ciò poteva creare un sottile attrito che avrebbe limitato la profondità delle loro condivisioni e rivelazioni, così preziose per il nostro lavoro insieme. Un soggetto della ricerca

avrebbe potuto usare queste parole: «No, non era un sogno o un’allucinazione. Era reale. Ti posso spiegare la differenza. Ma se credi che lo sia, allora terrò per me gli aspetti più strani della mia sessione!» Qualsiasi tentativo di utilizzare i modelli esplicativi della psicologia rendeva i volontari ancora più inclini a respingere le mie interpretazioni in quanto inaccurate o inappropriate. I modelli della psicanalisi freudiana avrebbero spiegato le esperienze di contatto con entità come manifestazioni di

conflitti inconsci legati a impulsi di rabbia, di natura sessuale o di dipendenza. Ci sono stati certamente alcuni casi in cui ho utilizzato questo approccio per reagire ad alcune sessioni particolarmente surreali. Tuttavia, non potevo suggerire in buona coscienza che dietro le manipolazioni e le comunicazioni con gli esseri vi fosse un qualche impulso inconscio represso che affondava le sue origini nell’infanzia. La psicologia junghiana dà una visione più ampia del linguaggio

dell’inconscio, e include nel suo sistema i campi della mitologia, dell’arte e della religione più di quanto non faccia la scuola freudiana. Nonostante ciò, si tratta comunque di un modello psicologico e non di un modello fisico o biologico. Ad esempio, Jung si riferisce all’immagine di “oggetto volante non identificato” come a un desiderio di completezza rappresentato dal cerchio. Interpretare gli esseri come costrutti o proiezioni mentali, indipendentemente dall’ampiezza della scala, continua a convertire

l’esperienza in “qualcos’altro”. Non si concentra sulla schiacciante e convincente sensazione di certezza provata dalla persona che ha vissuto l’esperienza. Al di là di tali questioni intellettuali, dovevo affrontare continuamente la sfida emotiva dello sviluppare una relazione tra le esperienze dei volontari e la mia capacità di spiegarle. I miei studi, la mia formazione e la mia esperienza si armonizzavano bene con le descrizioni delle sessioni personali e transpersonali dei volontari, tra cui quelle che affrontavano

“sentimenti e pensieri”, stati di premorte e di rinascita ed esperienze mistiche. Comprendevo queste esperienze, i volontari sentivano che li stavo seguendo e che gli rispondevo in modo appropriato, e per questo l’attrito era minimo. Ad ogni modo, ogni volta che cercavo di reagire alle sessioni di contatto con le entità sulla base delle mie vecchie nozioni o credenze, semplicemente non funzionava. Ero bloccato. Così, decisi di dedicarmi all’esperimento mentale a cui faccio riferimento alla fine del capitolo 13, Contatto

attraverso il velo: 1. Praticamente, cercavo di rispondere ai resoconti di contatto con entità come se fossero veri. All’inizio, questo richiedeva semplicemente di ascoltare e di chiedere dei chiarimenti. In seguito, mano a mano che i racconti aumentavano, potevo empaticamente riferirmi ai resoconti di altre persone facendo capire ai volontari che io li comprendevo e accettavo quello che avevano da dire. In questo modo potevano condividere con me i loro incontri più insoliti e imbarazzanti.

Quindi, consideriamo l’ipotesi che quando i nostri volontari viaggiavano oltre i confini della DMT , quando si sentivano come se si trovassero altrove, stessero davvero percependo diversi livelli di realtà. Tali livelli alternativi sono reali come quello in cui ci troviamo. Il fatto è che il più delle volte non siamo in grado di percepirli. Avanzando questa ipotesi, non voglio scartare i modelli neurochimici e psicologici. Piuttosto, vorrei aggiungere le possibilità che abbiamo preso in considerazione per elaborare

spiegazioni utili per i volontari, intellettualmente soddisfacenti per i ricercatori e magari anche verificabili con metodi non ancora inventati ma teoricamente possibili. Ritornando all’analogia con la TV , questi casi suggeriscono che, invece di aver modificato solo la luminosità, il contrasto e i colori del programma precedente, abbiamo cambiato canale. Non è più Canale Normale, il programma che guardiamo nella realtà di tutti i giorni. La DMT fornisce un accesso regolare, ripetuto e affidabile ad

“altri” canali. Gli altri piani di esistenza sono sempre lì. In effetti, sono proprio qui, vengono trasmessi costantemente! Ma non possiamo percepirli perché non siamo stati programmati per farlo; i nostri circuiti ci mantengono sintonizzati su Canale Normale. Bastano solo uno o due secondi – quei pochi battiti che servono alla molecola dello spirito per raggiungere il cervello – per cambiare canale e aprire la nostra mente a questi altri piani di esistenza.92 Come può avvenire questo?

Capisco ben poco delle teorie della fisica sugli universi paralleli e la materia oscura. Quello che so, comunque, mi porta a considerarli possibili luoghi in cui la DMT ci può condurre una volta che ci siamo lasciati alle spalle tutto ciò che è personale. I fisici teorici propongono l’esistenza degli universi paralleli basandosi sul fenomeno dell’interferenza. Una delle dimostrazioni più semplici di come funziona l’interferenza è ciò che accade a un fascio di luce che passa attraverso una fessura o un buco su

un cartoncino. Sulla superficie dove la luce è proiettata appaiono alcuni cerchi e bordi colorati, e non i semplici contorni del cartoncino come ci si aspetterebbe. Gli scienziati, grazie a questo e ad altri esperimenti più complessi, hanno concluso che ci sono delle particelle di luce “invisibili” che interferiscono con quelle che vediamo noi, e che deviano la luce in maniera imprevedibile. Quando ha luogo l’interferenza, gli universi paralleli interagiscono gli uni con gli altri. In teoria, esiste un numero impensabile di universi

paralleli, o “multiversi”, ognuno dei quali è simile al nostro ed è governato dalle stessi leggi fisiche. Quindi, non ci sarebbe nulla di particolarmente strano o diverso in questi altri mondi. Tuttavia, quello che li rende paralleli è che le particelle che li compongono sono posizionate in maniera diversa in ogni universo. La DMT potrebbe permettere al nostro cervello ricevitore di percepire questi multiversi. Lo scienziato britannico David Deutsch, autore de La trama della realtà, è uno dei massimi teorici in

questo campo.93 Abbiamo intrattenuto una corrispondenza per discutere se la DMT potesse modificare le funzioni cerebrali e quindi rendere possibile l’accesso agli universi paralleli o la consapevolezza di essi. Deutsch dubitava che fosse possibile perché ciò avrebbe richiesto il “calcolo quantistico”, «in grado di distribuire le componenti di un compito complesso a grandi numeri di universi paralleli, per poi condividere i risultati». Quindi, il suo potenziale potere è inimmaginabile. Una delle

condizioni necessarie per il calcolo quantistico è una temperatura vicina allo zero assoluto, come il freddo che c’è nello spazio profondo. Pertanto, un contatto prolungato tra gli universi è improbabile in un sistema biologico. Nonostante questo, un tempo i fisici credevano che la superconduttività – quando l’elettricità passa attraverso cavi elettrici o altro materiale con una resistenza quasi nulla – potesse avvenire solo a temperature altrettanto basse. Tuttavia, nel

corso degli ultimi dieci-quindici anni i chimici hanno sviluppato nuovi materiali che permettono la superconduttività a temperature sempre più alte. Infatti si pensa che un giorno la superconduttività potrà avvenire anche a temperatura ambiente. Chiesi a Deutsch se il futuro del calcolo quantistico avrebbe potuto seguire una traiettoria simile. Sebbene considerasse questa un’analogia «abbastanza ragionevole», riteneva che la complessità del calcolo quantistico fosse di gran lunga superiore a

quella della superconduttività. «Un computer quantistico che funzioni a temperatura ambiente sarebbe qualcosa di enormemente più sorprendente della superconduttività a temperatura ambiente».94 Sapendone poco di fisica teorica, ci sono meno vincoli che mi frenano nel considerare ipotesi del genere. Il fatto che l’analogia tra la superconduttività e il calcolo quantistico sia «abbastanza ragionevole» mi incoraggia a fare il passo successivo nel formulare delle teorie sulla DMT e il cervello.

In uno scenario del genere, la DMT sarebbe l’ingrediente principale che modifica le proprietà fisiche del cervello in modo che il calcolo quantistico possa avvenire alla temperatura del corpo. Se così fosse, “guardare dentro” gli universi paralleli sarebbe un risultato possibile. Su questa falsariga, tuttavia, Deutsch non pensava che dare un’occhiata agli universi paralleli sarebbe stato particolarmente strano. «Anche se ci fosse una computazione quantistica nel cervello» disse, «a livello soggettivo

non si avrebbe la percezione di “vedere dentro i reami quantici” [espressione mia]. Non ci sarebbe proprio nulla di speciale. Proprio come in ogni altro esperimento sull’interferenza, una persona dovrebbe lavorare all’indietro partendo dalla logica, dalla statistica e dalla complessità del risultato dei pensieri di un soggetto per dedurre che questi abbia pensato “in maniera quantistica” prima di ottenere quel risultato».95 Il commento di Deutsch su quanto normale possa sembrare un universo parallelo mi ricorda alcune

delle storie di cui abbiamo sentito parlare nel capitolo 12, Mondi invisibili: incontri che sembravano apparentemente normali; esistenze ordinarie che non avevano assolutamente niente a che fare quello che stava accadendo al Centro di Ricerca; persone, scene e interazioni che in tutto e per tutto sembravano essere paralleli all’esistenza del qui e ora. Si consideri, ad esempio, l’atterraggio di Sean all’interno della scena di una famiglia incredibilmente normale in quella che sembrava una zona rurale del

Messico, e l’incontro di Heather con la donna che parlava spagnolo e che ripetutamente le gettava davanti una coperta bianca. Inoltre, molti volontari si erano trovati all’interno di stanze vuote, corridoi o appartamenti che sembravano simili a quelli presenti in questo mondo, ma con alcune differenze. Dall’altro lato, mi chiedo se gli universi paralleli che si sono formati, come il nostro, miliardi di anni fa ci apparirebbero particolarmente familiari. Per quanto le stesse leggi fisiche e biologiche possano influenzare il

nostro e gli altri mondi, gli organismi e le tecnologie che si sono sviluppati potrebbero aver preso una piega incredibilmente diversa. Forme di vita intelligenti rettiliane, insettoidi e dalle sembianze irriconoscibili non dovrebbero dunque essere sorprendenti, né la tecnologia spaziale avanzata dei viaggi nel tempo, i supercalcoli e la combinazione di biologia e tecnologia, così come riportato da molti volontari. I mondi più strani ai quali la DMT potrebbe condurci sono quelli che si

trovano all’interno del misterioso spazio della materia oscura. Lì, che potrebbe davvero essere anche qui, nessuno sa cosa troverà. La materia oscura comprende almeno il 95% della massa di questo universo. In altre parole, quasi tutta la materia dell’universo è invisibile. Non possiamo vederla. Non produce né riflette alcun tipo di radiazione, visibile o di altro genere. Sappiamo che si trova lì solo per i suoi effetti gravitazionali. La materia oscura deve esistere in virtù del fatto che l’universo visibile mantiene la sua forma particolare. Senza questa

massa, non ci sarebbe sufficiente gravità per tenere insieme l’universo, che volerebbe via in pezzi. Gli scienziati hanno nominato diversi candidati per il ruolo di “elementi” che compongono la materia oscura. La “normale” materia che irradia una piccola o nulla quantità di luce – pianeti, stelle morte o non ancora nate, buchi neri – costituisce circa il 20% della materia oscura. Tuttavia, è probabile che la maggior parte della materia oscura, se non tutta, sia composta da

particelle piuttosto diverse dai nostri protoni, elettroni e neutroni. Queste particelle “nere” potrebbero essere soggette a leggi fisiche completamente diverse, a differenza di quelle degli universi paralleli. Dato che ci troviamo in un mondo che ne è composto, con molta probabilità non le riconosciamo granché. I principali candidati per formare la materia oscura sono le WIMP (dall’acronimo inglese weakly interacting massive particles), ovvero particelle dotate di massa che interagiscono debolmente con

la materia normale. Vengono definite massicce solo in senso relativo, perché sono più grandi di un protone o di un atomo di idrogeno. Recenti ipotesi sulle WIMP suggeriscono la loro natura particolare, che ci fa subito pensare a molti dei resoconti dei nostri volontari: «Se le WIMP fossero state davvero originate nel Big Bang, saremmo circondati da queste particelle a causa dell’interazione gravitazionale con la materia visibile nell’universo. Infatti, mentre state leggendo questo libro

potrebbero esserci addirittura un miliardo di WIMP che ogni secondo fluiscono attraverso il vostro corpo, viaggiando alla velocità di milioni di chilometri all’ora. Comunque, siccome le WIMP interagiscono debolmente con la materia, la maggior parte di esse vi attraversa senza alcuna difficoltà».96 Enti scientifici degli Stati Uniti e di altre nazioni stanno stanziando miliardi di dollari per la costruzione di rilevatori di queste particelle nelle profondità della Terra. Stanno attendendo il flash di luce occasionale che potrebbe indicare

una rara collisione di una particella di materia oscura con una di materia normale. Queste sofisticate apparecchiature devono essere posizionate molto in profondità per impedire altre fonti di radiazione. Forse non servono sensori così dispendiosi. È possibile che la DMT alteri le caratteristiche del nostro cervello per percepire l’interazione delle WIMP con la materia normale. È difficile immaginare a cosa potrebbe assomigliare un mondo fatto di materia oscura, figuriamoci come potrebbero apparire coloro che lo popolano. Forse, qualcosa di

quello che alcuni volontari hanno descritto come una “visualizzazione dell’informazione” nel capitolo 12 è una diversa forma di “vita” della materia oscura: quei geroglifici in movimento, ricchi di significato, numeri e parole che fluttuavano trasmettendo informazioni. Entrambi questi livelli invisibili dell’esistenza, gli universi paralleli e la materia oscura, sono presenti nella stessa dimensione temporale di questa realtà. Sono quindi possibilità che dobbiamo prendere in considerazione per spiegare gli spazi in cui ci porta la DMT quando

la nostra coscienza non è più su questo piano di esperienza. L’immediatezza della transizione rende interessanti questi due punti di vista alternativi che riguardano i luoghi incredibilmente insoliti descritti dai volontari. Questo perché essi si trovano sia lì che qui. Dunque, la domanda sull’ “interno” versus l’ “esterno”, così come l’hanno posta i volontari, non ha più alcun senso. Il concetto di questi diversi livelli di realtà che permeano e pervadono la nostra realtà ci conduce ai resoconti sorprendentemente

frequenti dei volontari del tipo: «Mi stavano aspettando», «Mi diedero il benvenuto quando tornai da loro». Le entità si trovano a casa loro e stanno lavorando nel loro ambiente, e pertanto si tratta di un “lavoro del tutto normale” per loro. Noi, invece, possiamo solamente restare a bocca aperta dallo stupore, capaci a malapena di rispondere. Poiché di solito non vediamo o non sentiamo la presenza di questi esseri in altre circostanze, vale la pena indagare su come sanno quando aspettarsi il nostro arrivo. Forse, prima che possiamo vederli,

la nostra presenza è meno reale anche per loro. Potrebbero percepirci, ma non in modo particolarmente chiaro o tale da consentirgli di interagire con noi. È come se loro vedessero solo le nostre immagini, come allo specchio o attraverso una finestra. Quindi potrebbero essere pronti ma non ancora in grado di agire su di noi finché non oltrepassiamo la porta o passiamo dall’altro lato della finestra dove si trovano loro. Pensate a uno strumento che ha bisogno di temperature particolarmente alte per registrare e

inviare informazioni. A temperatura ambiente non funziona, è di colore grigio spento e sembra quasi invisibile poiché si mimetizza con l’ambiente circostante. Quando raggiunge la temperatura che gli permette di entrare in azione, oltre a essere in grado di svolgere le sue nuove funzioni di ricezione e trasmissione, si accende di un rosso brillante e risalta in maniera piuttosto chiara. Forse, cambiando la nostra consapevolezza in modo da percepire gli abitanti che popolano altri piani di esistenza, la DMT modifica anche “l’aspetto” della

nostra coscienza. Quindi diventiamo reali per quegli esseri quando essi lo diventano per noi. Ma come possono queste entità essere anche solo lontanamente consapevoli della nostra presenza se noi normalmente non abbiamo sentore della loro? Ancora una volta, stiamo pericolosamente giocando col fuoco nel pensare alle spiegazioni di questo fenomeno. Il semplice bisogno di tentare di comprendere ci mostra quanto il nostro pensiero sia andato fuori strada. Nonostante ciò, possiamo fare un altro piccolo passo per

interrompere l’incredulità e considerare tale questione. Può darsi che noi non siamo “oscuri” per gli abitanti della materia oscura, o “paralleli” per gli esseri intelligenti che hanno padroneggiato il calcolo quantistico. Noi siamo limitati nel dare esistenza a queste realtà alternative, impiegando un’enorme quantità di dati sperimentali derivanti da complicati calcoli matematici. È possibile che coloro che si sono evoluti all’interno di altri universi, o grazie alle loro specifiche leggi fisiche, ci possano effettivamente

osservare direttamente con i loro propri sensi, oppure usando particolari tipi di tecnologia. Dobbiamo porci la domanda che segue naturalmente. Quando siamo “là” e siamo entrati in contatto con gli esseri, con che tipo di corpo interagiscono? Da quello che abbiamo sentito, avvengono tutti i generi di manipolazione: aggiustamenti, impianti, contatti piacevoli o spiacevoli di carattere sessuale o fisico. Non si tratta di uno sforzo particolarmente difficile accettare l’ipotesi che nella materia oscura o negli universi paralleli si

possano verificare degli scambi da coscienza a coscienza. Più problematico è immaginare in che modo i cambiamenti nelle nostre abilità di ricevere nuovi livelli di realtà influenzino i nostri “corpi”. Nonostante ciò, credo che dobbiamo considerare l’argomento, anche solo in via preliminare. Mentre stiamo osservando, o piuttosto esistiamo su Canale Normale, il nostro corpo è denso, ha dei contorni distinti ed è sottoposto alla gravità. Quando stiamo percependo o ci trasferiamo su Canale Materia Oscura, potremmo

fare esperienza del nostro corpo attraverso le WIMP anziché tramite la luce visibile e la gravità. Con il nostro cervello che riceve livelli di realtà così nuovi e diversi, anche il nostro corpo non ci appare più lo stesso. Così come siamo indubbiamente certi della verità di ciò che vediamo, sentiamo e conosciamo sotto effetto della DMT , anche il nostro sé fisico assume una natura radicalmente diversa ma similmente reale. La vista e il suono giocano un ruolo infinitamente importante nella nostra ordinaria

consapevolezza, ed è proprio con questi sensi che all’inizio notiamo il nuovo luogo in cui ci troviamo. Comunque, il tatto, le sensazioni corporee e la materia possono anch’esse avere diverse capacità. Ritornando alla precedente analogia dello strumento grigio e rosso, possiamo sostituire facilmente l’ “inconsistenza” del grigio con la “palpabilità” e “solidità” del rosso. Una volta che noi e gli abitanti della materia oscura riusciamo a percepirci a vicenda con lo stesso mezzo, cioè utilizzando le WIMP, allora essi possono iniziare a

lavorare sui nostri corpi di materia oscura: a Sean fu sistemato l’orecchio, a Ben venne inserito un impianto sottopelle nell’avambraccio, a Jim fu introdotta una sonda nell’occhio, Jeremiah venne sottoposto a una riprogrammazione del cervello. Questi interventi hanno luogo utilizzando “cose” fatte di materia oscura (o che esistono negli universi paralleli). Perciò non vi è una “prova fisica” di questi interventi quando si ritorna su Canale Normale. Non utilizzano il materiale presente in questo

universo. Nonostante ciò, questi interventi sono avvenuti.97 Queste riflessioni sui mondi invisibili e i loro abitanti ci riconducono alle esperienze di abduction aliena. In effetti, questa discussione può essere fatta solo sulla base di tali esperienze e sulle loro modalità di svolgimento. Questa impressionante somiglianza è alla base dell’ipotesi che l’esperienza di abduction sia collegata a livelli eccezionalmente elevati di DMT prodotta dal cervello. Nel capitolo 4, La pineale psichedelica, ho suggerito l’idea di

un legame tra la DMT rilasciata dalla ghiandola pineale e le esperienze cruciali quali nascita, pre-morte, stati mistici e morte. Avevo scarso interesse per gli incontri con gli alieni, e ne sapevo poco. I risultati dello studio sulla DMT sfidarono la mia ignoranza e richiesero che includessi anche il “contatto” quale ulteriore fenomeno mediato da livelli eccezionalmente alti di DMT nel cervello. Nel suo lavoro sugli incontri avvenuti spontaneamente con gli alieni, John Mack sottolinea la frequenza con cui avvengono queste

esperienze durante momenti di crisi personale, traumi o perdite. Forse in questi individui lo stress e il dolore prevalgono sulla capacità della ghiandola pineale di evitare un eccessivo rilascio di DMT , innescando l’accesso a queste esperienze insolite. Inoltre, molti addotti hanno una storia di questi incontri che risale alla loro infanzia. Queste persone potrebbero avere la capacità di produrre DMT particolarmente attiva derivante da una predisposizione biologica a metterla in circolo, eventualmente combinata a uno stato intenso di

stress cronico o ricorrente. In precedenza abbiamo visto come alcune delle tendenze all’eccessiva formazione di DMT potrebbero manifestarsi utilizzando particolari enzimi o inibitori di enzimi. Mack nota anche che molti rapimenti nelle case delle persone hanno luogo nelle prime ore del mattino, proprio nel momento in cui la ghiandola pineale è più attiva. È possibile che la produzione di DMT nelle prime ore del mattino apra le porte agli incontri con gli alieni in questi individui predisposti?

È affascinante notare come Mack abbia recentemente avanzato l’ipotesi che la «riconnessione con la spiritualità» sia centrale nel fenomeno delle abduction. In modo simile, alcuni dei nostri casi di contatto indotti dalla DMT , come ad esempio quelli di Cassandra, Sean e Willow, hanno mostrato una transizione dalla sorpresa e dallo shock iniziali in presenza di quelle entità intelligenti a una più grande profondità di equilibrio spirituale e psicologico. Queste esperienze mistiche sono l’ultima serie di incontri ai quali la

molecola dello spirito può condurre. Esse erano l’obiettivo ultimo di molti dei volontari che parteciparono alla nostra ricerca. Perché, allora, così tanti dei nostri soggetti di ricerca si ritrovarono invece in mondi invisibili inaspettati? Può darsi che il potere selvaggio e sfrenato della DMT abbia fatto mancare loro il bersaglio. È come quando montiamo su una moto molto potente per la prima volta. La spinta all’indietro è talmente forte che spesso voliamo sul retro del veicolo o finiamo direttamente in

un fosso. Solo imparando a gestire la sua forza possiamo controllare il veicolo e andare dritti verso il nostro obiettivo. In modo simile, credo che i volontari che hanno avuto principalmente esperienze di contatto sarebbero potuti andare oltre e raggiungere il livello transpersonale con il tempo e la pratica necessari. I casi di Sean e Cassandra supportano questa teoria: passarono dall’esperienza di contatto con entità a esperienze mistiche e di guarigione durante le

ripetute esposizioni ad alte dosi di DMT nello studio sulla tolleranza. Un’altra spiegazione è meno ottimista. In pratica, alte dosi di DMT somministrata per endovena potrebbero spingere le persone in piani di realtà popolati da esseri perché la droga fa proprio questo. Dai abbastanza DMT alle persone e questo è ciò che succede. Mi viene in mente Jeremiah, nel capitolo 13, Contatto attraverso il velo: 1, quando venne trascinato nel laboratorio-nursery alieno. Cercò di indirizzare l’intensità dell’esperienza verso un incontro

spirituale di “apertura all’amore”. Tuttavia, si rese immediatamente conto che era impossibile. Forse la vera ultima funzione della DMT è proprio il contatto attraverso il velo, piuttosto che l’iniziazione a una consapevolezza spirituale. Se i numeri puri e semplici dei resoconti dei volontari sono indice della validità di questa ipotesi, dobbiamo considerarla probabile. Nei casi di stati di pre-morte e mistici, va considerato che la DMT fa molto di più che cambiare semplicemente canale, permettendoci di vedere il

programma di un altro canale. Ipotizzo questo a causa della natura vuota o priva di contenuti dell’esperienza mistica estrema. Non ci sono suoni, contatti, visioni, odori o sapori. Non ci sono pensieri, parole e tempo. Contemporaneamente c’è un indescrivibile senso di completezza, potere e comprensione. Tra un canale televisivo e l’altro c’è la “neve”, il rumore bianco e le immagini associate a ciò che sta “in mezzo” al materiale di programmazione delle diverse stazioni televisive. Cosa notiamo se

osserviamo e ascoltiamo con attenzione? Si tratta della vera natura della televisione in sé, con l’elettricità che vi scorre attraverso e che la stimola, portandola a far vedere qualcosa che sembra non essere nulla per la mente ordinaria alla ricerca di schemi definiti. In questo caso, la migliore analogia potrebbe essere che la DMT abbia riconfigurato le proprietà ricettive del cervello per smettere di ricevere le informazioni “dall’esterno”. È consapevole solamente della propria esistenza, della sua natura intrinseca. Mostra

la propria coscienza o le frequenze di risonanza che non hanno un contenuto particolare. Nonostante ciò, è la base da cui dipende il mantenimento di tutti i programmi: lo spazio occupato dai canali. Questo spazio tra un canale e l’altro, o l’assenza di canali, non è vuoto; anzi, è anch’esso pieno. Il contenuto dei programmi sostituisce questo vuoto perfetto con la loro indaffarata pienezza. E la sua natura non è nemmeno necessariamente “potenziale”. Anzi, è completa di per sé. Non ha bisogno di nient’altro per esistere

così com’è. Ma ha bisogno di qualcosa per prendere una forma, plasmarsi, per potersi manifestare. Per alcuni volontari, lo staccarsi della coscienza dal corpo sperimentato con la DMT era lo stimolo per cercare quello spazio tra i diversi livelli della realtà percepita. Proseguirono dritti verso quella vacua totalità sottostante la coscienza di sé e del mondo esterno senza più il supporto del corpo. Come Freud affermò anni fa: «L’ego è prima di tutto un iocorpo». Senza corpo, cosa restava? Soggetti della ricerca come Carlos e

Willow sperimentarono la coscienza mistica lasciandosi il loro corpo alle spalle. Altri volontari trovarono la via per arrivare alla loro natura essenziale attraverso un utilizzo più diretto della volontà. Sean si concesse di andare oltre e più in profondità nell’ignoto. Elena si liberò dalla visione selvaggia dei colori psichedelici che le oscuravano la loro vera natura senza forma. Entrambi riuscirono a ritrarsi e ad andare oltre solo grazie a quell’equilibrio soave, sul filo del rasoio, richiesto per fare quel salto

coraggioso nello spazio tra il pensiero, la percezione e il sentimento. La molecola dello spirito li condusse sul precipizio, ma toccava a loro fare il passo finale. Adesso che abbiamo trattato alcuni dei modi in cui la DMT prodotta naturalmente o somministrata dall’esterno permette di accedere a esperienze così singolari e sorprendenti, consideriamo il significato evolutivo della DMT prodotta in maniera spontanea. In altre parole, perché la DMT è presente in tutti i

nostri corpi? Si tratta di una coincidenza o c’è un motivo specifico? Dal punto di vista dei vegetali, dei funghi e degli animali che contengono DMT , è ragionevole prospettare che le altre specie, soprattutto gli esseri umani, li cerchino e li proteggano. Chi fuma, beve o mangia forme di vita ricche di DMT fa esperienza di viaggi affascinanti che vanno al di là dell’immaginazione. Le specie in grado di indurre esperienze psichedeliche dovrebbero collocarsi ai primi posti della classifica delle

risorse rinnovabili essenziali, giacché la loro sopravvivenza diventa importante per i propri simili. Ma allora perché gli esseri umani producono DMT ? Finora non è stata ancora scoperta nessuna forma di vita che fumi, mangi o beva la ghiandola pineale umana, quindi dobbiamo scartare l’ipotesi per cui la DMT , in un qualche modo, assicuri la nostra sopravvivenza fisica. Forse i nostri vecchi antenati che producevano DMT avevano qualche vantaggio di tipo adattivo rispetto a quelli che non la producevano. O

forse il loro accesso a diversi stati di coscienza gli permise di sviluppare migliori abilità di problem-solving rispetto ai membri della loro specie privi di DMT . Coloro che, alla fine, erano in grado di sintetizzare la DMT hanno soppiantato chi non ne era in grado. Sebbene vi sia un certo interesse per questo argomento, la presenza di DMT in così tante altre forme di vita facilmente reperibili in un certo senso lo indebolisce. In pratica, se qualcuno non riuscisse a produrre da sé la DMT , ad esempio tramite la meditazione profonda, vi sono

moltissime piante ricche di questa sostanza che sono più facili da utilizzare rispetto alle austere pratiche spirituali. Questo è certamente il caso delle persone che vivono in un ambiente ricco di DMT , come ad esempio l’America Latina. Un ragionamento più fecondo emerge dalle implicazioni del rilascio di DMT in condizioni di morte e di pre-morte. In questi momenti la forza vitale o lo spirito si muovono all’interno, al di fuori e attraverso il nostro corpo. Abbiamo parlato del meccanismo biologico di questa ipotesi nel capitolo 4. In

questo capitolo useremo queste idee per cercarne il possibile significato. A prima vista sembra che vi sia uno scarso vantaggio evolutivo per l’individuo o per la specie nel rilasciare le sostanze “illuminanti” quando moriamo. Tuttavia, Karl Jansen, uno psichiatra inglese, sostiene che un soggetto che si trova in uno stato di pre-morte trae effettivamente dei benefici dalle sostanze chimiche che il cervello produce in quel momento. Ciò sarebbe dovuto alle loro proprietà “neuroprotettive”.

In presenza di ketamina, l’ictus e altre forme acute di lesioni cerebrali risultano meno distruttive. Dati sperimentali sugli animali suggeriscono che nel cervello siano presenti sostanze simili alla ketamina. Quindi, durante le esperienze di pre-morte il cervello le potrebbe rilasciare per ridurre il danno cerebrale nel caso in cui l’individuo sopravviva. La natura dell’esperienza di pre-morte sarebbe dovuta agli “effetti collaterali” psichedelici della ketamina.98

Tuttavia, resta da scoprire il motivo per cui la ketamina abbia degli effetti psichedelici anziché sedativi. Sebbene il rilascio di composti neuroprotettivi sia una risposta adeguata in caso di premorte, gli effetti psichedelici collaterali non sono visibilmente benefici. Ci si deve quindi chiedere se queste proprietà spirituali siano una coincidenza o abbiano uno scopo particolare. Io suggerisco che le sostanze rilasciate dal cervello durante le esperienze di pre-morte abbiano effetti psichedelici per questo

motivo: perché è così. È come chiedersi perché c’è il silicio all’interno dei chip del computer. Perché il silicio funziona, fa il suo lavoro. Le sostanze che il cervello produce nei casi di pre-morte sono psichedeliche perché quelle sono le proprietà di cui la coscienza ha bisogno in quel momento. I composti psichedelici rilasciati durante questo tipo di esperienze mediano la coscienza che esce dal corpo. Questa è la loro funzione e questo è quello che fanno. La DMT è una molecola dello spirito proprio come il silicio è una molecola del

chip. Anziché far percepire alla mente la sensazione dell’abbandono del corpo, il rilascio di DMT è il mezzo attraverso cui la mente sente l’allontanamento da sé della forza vitale e del contenuto della coscienza. Queste teorie considerano il ruolo della DMT solo in particolari stati di coscienza. Tuttavia, potrebbe la DMT manifestare un effetto durante la nostra normale consapevolezza di tutti i giorni? Il fatto che il cervello trasporti attivamente la molecola dello spirito attraverso la barriera

ematoencefalica sembrerebbe confermarlo. Nel capitolo 2, Cosa è la DMT , ho posto l’attenzione sul fatto che il cervello sembra “aver fame” di DMT ; spende energia preziosa nel trasportare attivamente la sostanza dal sangue ai suoi angoli più nascosti. È come se la DMT fosse necessaria per le normali attività cerebrali. Forse solo la giusta quantità di DMT è coinvolta nel mantenimento da parte del cervello delle corrette proprietà riceventi. In pratica, mantiene il nostro cervello

sintonizzato su Canale Normale. Troppa DMT , ed ecco apparire sullo schermo della mente ogni genere di strano e inaspettato programma. Troppo poca, e la nostra visione del mondo si restringe e si appiattisce. Infatti, questo tipo di effetti che intorpidiscono ed esauriscono l’energia sono quelli che i volontari sani riportano quando assumono farmaci antipsicotici. Tali farmaci possono inibire gli effetti della DMT endogena. Forse vediamo e percepiamo ciò che facciamo su questo livello di esistenza proprio grazie alla giusta quantità di DMT

endogena. Essa è una componente essenziale nel mantenere la consapevolezza che il cervello ha della realtà di tutti i giorni. In un certo senso, possiamo considerare la DMT come un “termostato della realtà” che ci mantiene in una fascia ristretta di consapevolezza, quel tanto da assicurarci la sopravvivenza. Quando tutte le ipotesi, non importa quanto stimolanti, intriganti e rivoluzionarie, sono superate, cosa ci resta? Anche se un giorno risultasse che ciò che ho ipotizzato è vero, che cosa

otteniamo realmente dalla DMT ? Ancora una volta torniamo a chiederci: «E quindi?» A che scopo? Mano a mano che la ricerca del New Mexico si avvicinava al suo complesso epilogo, iniziai a lavorare sull’interrogativo più profondo sollevato dallo studio. All’inizio di questo capitolo ho introdotto la questione di quanto sia difficile accettare l’esistenza e gli effetti della molecola dello spirito nel nostro corpo. In maniera analoga, possiamo accettare la conclusione alla quale sono infine arrivato, e cioè che la natura della

è essenzialmente neutra e priva di valore in quanto tale? La molecola dello spirito non è né buona né cattiva, né positiva né dannosa in sé e per sé. Piuttosto, sono il set e il setting a determinare il contesto e la qualità delle esperienze alle quali la DMT ci conduce. Chi siamo e ciò che portiamo nelle sessioni e nella nostra vita in definitiva significano molto di più dell’esperienza con la droga in sé. Nonostante ciò, la DMT e gli altri psichedelici non scompariranno mai, specialmente quelli che il DMT

nostro cervello produce continuamente. Dobbiamo considerare tutto il loro complesso e misterioso potere in ogni computo della coscienza umana. Tali risposte negative non implicano quindi che non esistano anche molte risposte positive e incondizionate quando ci si interroga circa l’uso più congruo di tali sostanze. Il set e il setting che abbiamo utilizzato nello studio del New Mexico ci hanno fornito una notevole quantità di informazioni su ciò che è possibile fare o non fare con l’ausilio della molecola dello spirito. Adesso è arrivato il

momento di chiederci come impiegare quella conoscenza. È possibile farne buon uso? 91. Tra i volontari ci furono pochissimi contatti nel corso delle prime fasi della ricerca. Anche quando si incontrarono in occasioni sociali a casa mia o nei gruppi di supporto che si formarono verso la fine dello studio, tra di essi vi era una generale timidezza e un certo impaccio nel raccontare i loro strani incontri. Quando sentimmo per la prima volta dai volontari questi racconti insoliti, le conferenze e gli articoli di Terence McKenna non erano ancora molto popolari. Chiedevo spesso ai volontari se conoscevano qualche famoso resoconto di incontri avvenuti tramite la DMT con folletti o alieni insettoidi. Ma solo pochissimi ne erano a conoscenza. Pertanto, non ritengo che questi

resoconti fossero un caso di isteria di massa o di profezie auto-realizzanti. Anzi, se si fosse verificata una cosa del genere, mi sarei dovuto invece attendere un’epidemia di esperienze mistiche e di pre-morte, dato che io speravo fortemente che accadessero. 92. Prima che gli ingegneri delle telecomunicazioni sviluppassero l’opzione di picture-in-picture avrei potuto estendere questa analogia sostenendo che i livelli di realtà sono mutualmente esclusivi. In pratica, non si possono vedere contemporaneamente più canali. Ad ogni modo, ora ciò è possibile. Il concetto del picture-in-picture in effetti ci aiuta meglio a comprendere il paragone con la TV , soprattutto se consideriamo quante volte i volontari, aprendo gli occhi, videro i diversi livelli di realtà mescolarsi e confondersi. Sempre di frequente, i volontari manifestavano il desiderio di appartenere totalmente a quel nuovo mondo a

cui la DMT dava accesso, ricordandosi tuttavia che i loro corpi si trovavano nella stanza 531 dell’ospedale dell’università. Si trovavano contemporaneamente in più mondi: quale epico sforzo di multitasking! 93. David Deutsch, La trama della realtà, Einaudi 1997. 94. David Deutsch, comunicazione privata, gennaio 2000. 95. David Deutsch, comunicazione privata, giugno 1999. 96. Nigel Smith e Neil Spooner, The Search for Dark Matter, in «Physics World», n. 13, 2000, p. 4. 97. Il motivo per cui le entità o le intelligenze aliene desiderano interagire con noi resta una domanda cruciale. Molte delle esperienze di abduction raccolte da Mack descrivono progetti

volti a creare degli ibridi umano-alieni per ripopolare il nostro pianeta morente. Anche alcuni dei nostri volontari ritornarono con il motivo “dell’allevamento”, essendosi ritrovati all’interno di stanze con giochi, culle e altri oggetti dell’infanzia. Inoltre, il trasferimento di informazioni e la “messa a punto” e la “riprogrammazione” della coscienza seguono un procedimento simile a quello in cui una razza più avanzata ha intenzione di trasmetterci un po’ delle proprie conoscenze. Ciò si collega spesso all’incalzante degradazione ambientale che minaccia il nostro pianeta. Anche in questo caso si riscontrano delle somiglianze con alcuni racconti dei nostri volontari. Diversi dei nostri soggetti di ricerca si riferiscono anche alla natura non materiale di questi esseri, in particolare alla loro mancanza di emozioni legate all’amore e al senso di appartenenza, come elemento decisivo del loro interesse nei

nostri confronti. In qualche modo, interagendo e imparando da noi, sono in grado apprendere nuovamente conoscenze che hanno perso o dimenticato da molto tempo. Questi resoconti rasentano la “possessione da parte degli spiriti” e assumono dei significati allarmanti. Da un punto di vista meno serio, richiamano la giocosità di alcune delle figure descritte dai nostri volontari che rimandano a fate, folletti ed elfi appartenenti al nostro passato folkloristico. 98. Karl L.R. Jansen, The Ketamine Model of the Near-Death Experience: A Central Role for the N-Methyl-D-Aspartate Receptor, in «Journal of Near-Death Studies», n. 16, 1997, pp.5-26. (Ho fatto delle ricerche, ma non sono stato in grado di trovare alcuna informazione per scoprire se la DMT sia o meno una sostanza con proprietà neuroprotettive).

Capitolo 22

LE PROSPETTIVE FUTURE DELLA RICERCA PSICHEDELICA

Questo capitolo conclusivo tratta delle possibili prospettive dell’utilizzo e dello studio della DMT e di altre droghe psichedeliche. Questi scenari hanno il fine di ampliare il campo d’indagine sulle droghe psichedeliche, proprio come voleva Willis Harman durante

quella nostra passeggiata lungo la costa della California alcuni anni fa. Divulgatori e operatori ben informati potranno determinare nel modo migliore quanto accessibili e accettabili diventeranno queste droghe. Le applicazioni più proficue potranno emergere solo se riusciremo a lasciare da parte la paura, l’ignoranza e i pregiudizi associati agli psichedelici. Andrebbe anche evitato il modo di pensare velleitario e naif di alcuni sostenitori degli psichedelici, che finisce con l’indebolire i loro argomenti.

Le proposte che seguono sono basate su anni di profonde riflessioni e dibattiti sugli eventi dell’Università del New Mexico. Sebbene il quadro d’insieme che traccerà questo capitolo possa apparire eccessivamente ottimistico, è invece, al contrario, più realistico dei miei progetti di ricerca originari. Si basa, infatti, sull’anticipare e l’affrontare la maggior parte di quelle supposizioni implicite attorno al lavoro con gli psichedelici che portano inevitabilmente a esiti negativi e a conclusioni premature.

Una delle più importanti di tali ipotesi è che le droghe psichedeliche siano benefiche di per sé. È sufficiente assumerle per avere un risultato positivo. Un’altra ipotesi è che gli psichedelici sarebbero “solo” delle droghe. In pratica, i loro effetti sarebbero indipendenti dall’ambiente in cui le persone le assumono, così come dagli obiettivi, dalle aspettative e dai modelli di chi le somministra. Nella ricerca sulla DMT abbiamo riverificato di persona che nessuno di questi luoghi comuni è vero.

Quindi il modello che presenterò evita queste due fondamentali e pericolose falsità circa il lavoro con le droghe psichedeliche. Prima di scrutare nel futuro, diamo una rapida occhiata alla situazione attuale della ricerca. Diversi progetti di ricerca psichedelica sull’uomo, che utilizzano mescalina, psilocibina, ketamina e MDMA , sono ancora attivi negli Stati Uniti e in Europa. Nessuno però sta studiando la DMT . Tutti questi progetti usano il modello “psicotomimetico”, che paragona gli effetti psichedelici ai

sintomi della schizofrenia. Si tratta di studi sulla psicofarmacologia e sulla fisiologia del cervello. Attualmente sono in corso due programmi di psicoterapia psichedelica. Uno, nei Caraibi, è un programma di trattamento con l’ibogaina per l’abuso di sostanze; l’altro, che si svolge fuori San Pietroburgo, in Russia, studia la psicoterapia assistita con la ketamina, sempre per trattare l’abuso di droghe. Vedo molte vie possibili se immagino il lavoro futuro con la DMT e con altre droghe

psichedeliche. Una delle diramazioni più grandi è quella tra “ricerca” e “uso”. Alcuni si domandano perfino se “psichedelico” e “ricerca” siano parole che possano stare l’una vicino all’altra. Occupiamoci per prima cosa di questo punto. Nel contesto della ricerca c’è l’aspettativa di ottenere dei dati dai soggetti dello studio, cosa che influenza il rapporto tra chi somministra gli psichedelici e chi li assume. I volontari sanno di dover dare qualcosa al progetto, e i ricercatori vogliono qualcosa da

loro. Per chi si trova sotto effetto non è sufficiente fare il proprio viaggio. Allo stesso modo, per il ricercatore non è sufficiente aiutare il volontario a ottenere il miglior risultato possibile. Ciò genera delle aspettative, con l’inevitabile possibilità di delusione, risentimento e cattiva comunicazione. Il setting interpersonale viene sostanzialmente alterato. Esistono varie alternative a questo modello, tutte molto più popolari del modello di ricerca. Tuttavia, popolare non significa

necessariamente “migliore”. E spesso l’argomentazione contro il modello di ricerca è semplicemente che ci sono modi migliori per sperimentare queste droghe. Le culture indigene continuano a usare piante psichedeliche ancor più di quanto abbiano fatto nel corso di migliaia di anni. I membri delle chiese africane in Gabon assumono l’ibogaina per entrare in contatto con i loro antenati; in America Latina l’ayahuasca, un infuso che contiene DMT , consente all’anima di accedere ad altri mondi; nel Nord America il peyote

apre le porte dei mondi spirituali per scopi di assistenza e guarigione. Il moderno uso occidentale degli psichedelici in contesti non sperimentali è in continuo aumento. Molte persone assumono gli psichedelici da soli o in piccoli gruppi privati. In questi casi di uso “popolare”, gli psichedelici possono essere impiegati per ottenere differenti prospettive su se stessi, sulle proprie relazioni e sul mondo naturale. Alcuni ne fanno uso in grandi raduni, all’aperto o al chiuso, con o senza musica e spettacoli di luci abbaglianti. Un esiguo numero

di terapeuti psichedelici somministra queste droghe nel corso di terapie individuali o di gruppo. Esistono anche comunità che ne fanno un uso religioso, ad esempio quelle che utilizzano l’ayahuasca per scopi rituali e che si stanno diffondendo nel Nord America e in Europa. In tutti questi casi, l’illegalità dell’uso degli psichedelici impedisce un dialogo trasparente sui loro effetti all’interno di questi setting. Non c’è nulla di sbagliato in nessuno di questi modelli, ma è importante non confonderli o

scambiarli con la struttura della ricerca. La ricerca potrebbe un giorno scoprire dei modi nuovi di utilizzare gli psichedelici che non richiedano di ottenere dati dai partecipanti e di aderire a regole di interazione relativamente rigide. Allo stesso modo, i nuovi trattamenti e le tecniche terapeutiche, se si mostreranno utili nella ricerca, si faranno strada nelle interazioni professionali e sociali di tutti i giorni. Molti di questi conflitti sembrano derivare da una confusione sui motivi che stanno alla base dell’uso

degli psichedelici. Così, la risposta alla domanda «Qual è il modo migliore per assumere gli psichedelici?» è «Dipende». Se vuoi divertirti, allora prendili da solo o con gli amici e passa la giornata in un bellissimo ambiente. Se vuoi imparare qualcosa su te stesso e sulle tue relazioni, assumili con un terapeuta. Se ti vuoi sentire parte dell’umanità, prendili a un concerto, a un rave o in altri grandi raduni. Se vuoi sperimentare una relazione più profonda con il divino e le sue manifestazioni, prendili sotto la guida di un maestro

spirituale, in una comunità o immerso nella natura. Se vuoi contribuire agli sforzi della ricerca, offriti volontario per uno studio scientifico. Queste categorie sono alquanto arbitrarie e ogni tipo di effetto può verificarsi in qualsiasi di questi possibili setting: ad esempio, esperienze spirituali possono verificarsi in uno studio sperimentale, mentre effetti di carattere psicoterapeutico possono verificarsi in un contesto religioso. Tuttavia, i problemi e le difficoltà vengono fuori quando si cerca di mescolare diversi modelli a causa

della confusione tra l’autorità e i comportamenti accettabili. Ciò mi fu estremamente chiaro quando affrontai il conflitto tra i metodi aperti, grezzi ed empirici della scienza e le opposte priorità della mia comunità buddhista circa fede, discepolato e dottrina.99 Abbiamo bisogno di un dialogo aperto su come impiegare al meglio queste droghe nella nostra vita e nella società. Giacché una ricerca legittimata sarebbe maggiormente in grado di fornire un contesto per questo livello della discussione, mi

limiterò ad affrontare solo questo punto di vista. A livello di ricerca, possiamo dividere i progetti tra quelli che potrebbero essere svolti e quelli che dovrebbero avere luogo. In pratica, sebbene ci siano diverse domande che potremmo fare ed esaminare, il farlo potrebbe rivelarsi ingannevole e pericoloso. Quei pericoli ci potrebbero colpire in maniera diretta o indiretta, e potrebbero rivelarsi dannosi anche per altri organismi viventi. La mia principale preoccupazione sull’uso delle droghe psichedeliche

ha a che fare con una loro applicazione che sia utile piuttosto che astuta. Conoscere il modo in cui funziona l’illuminazione, come avvengono gli stati di pre-morte o i fenomeni di abduction aliena non è così utile come imparare a essere più generosi, saggi e compassionevoli. Ciò significa che il modello biomedico – “che smonta tutto per vedere come funziona” – potrebbe essere antitetico agli impieghi più fruttuosi delle droghe psichedeliche. Sono giunto a questa conclusione con una certa dose di ironia, dato

che molti degli studi che proporrò li ho concepiti diversi anni prima di effettuare la ricerca. Ora che questa fase del mio coinvolgimento con gli psichedelici è finita, non li sento più così importanti come una volta, né ho intenzione di realizzarli io stesso. Esaminiamo ora i possibili studi sperimentali con queste droghe e i loro potenziali benefici, limiti e lati negativi. I progetti sul meccanismo d’azione forniranno una sempre più perfezionata descrizione del tipo di recettori dei neurotrasmettitori

coinvolti negli effetti psichedelici. Anche le moderne tecnologie di brain imaging ci permetteranno di localizzare le zone del cervello influenzate da queste droghe. Ad ogni modo, sebbene sia possibile collegare specifici cambiamenti nella fisiologia del cervello ad alcuni effetti soggettivi, siamo ancora lontani dallo scoprire come gli uni si traducano negli altri. Si tratta, certamente, del sacro graal delle neuroscienze cliniche, ma potrebbe essere un obiettivo irraggiungibile, come trovare il centro di una cipolla: possiamo

togliere sempre più strati, ma il suo centro continuerà a sfuggirci. Nonostante ciò, avremo importanti informazioni teoriche e scientifiche. Una più sofisticata comprensione di pensieri, percezioni ed emozioni potrebbe portare a nuove cure per i pazienti nei quali i danni cerebrali o le malattie psicotiche limitano l’abilità di elaborare le informazioni. È altrettanto importante essere in grado di ribaltare gli effetti negativi acuti degli psichedelici in una situazione di emergenza. Infine, potremmo essere capaci di

sviluppare nuovi composti psichedelici dalle proprietà uniche. Questo tipo di ricerca dipende fortemente dagli studi sugli animali. Dovremmo bilanciare il nostro bisogno di conoscere con i principi fondamentali della compassione verso gli animali. Ciò riguarda ancor più coloro che sono interessati agli psichedelici per motivi di carattere terapeutico e spirituale. È “spirituale” uccidere un numero spropositato di animali da laboratorio per accrescere la nostra estasi religiosa o i nostri processi creativi?

Conosciamo già abbastanza bene il funzionamento di queste droghe. Focalizzarsi principalmente sul meccanismo d’azione o sullo sviluppo di una nuova droga potrebbe cullarci nella convinzione di stare studiando gli psichedelici nel migliore o più importante modo possibile. Forse possiamo spendere molto più tempo ed energia per capire come usare meglio le droghe che abbiamo già – come stiamo facendo adesso studiando il modo in cui si manifestano i loro effetti – o per progettare nuovi agenti chimici.

Possiamo esaminare perfino le esperienze più insolite e controverse a cui ci porta la molecola dello spirito scomponendole in parti più piccole. Per quanto siano insolite, restano comunque studi sul meccanismo di azione. Dovremmo ricordarci del mantra «E quindi?» quando indaghiamo, analizziamo e sperimentiamo in queste aree di indagine. In che modo ci sta aiutando ciò che impariamo? Spero di aver dato una dimostrazione convincente del fatto che gli stati psichedelici che si

verificano in maniera spontanea, come il contatto con gli esseri non materiali, le esperienze di premorte e mistiche, sono simili a quelli indotti nei nostri volontari tramite la somministrazione di DMT dall’esterno. Molte delle seguenti serie di studi si basano su queste analogie. Il primo passo consiste nell’esaminare il ruolo della DMT endogena nel mediare gli stati psichedelici spontanei di cui stiamo discutendo. Potremmo iniziare studiando il ruolo della ghiandola

pineale nel produrre la DMT endogena. Ci sono diversi modi non invasivi che utilizzano tecniche moderne di brain imaging per studiare la fisiologia della ghiandola pineale in una persona viva. Se la ghiandola dello spirito è più attiva durante i sogni, la meditazione profonda o le esperienze di abduction aliena, ciò potrebbe provare il suo ruolo in queste manifestazioni. Inoltre, potremmo utilizzare queste tecnologie per determinare se le droghe psichedeliche influenzano direttamente la ghiandola pineale.

Potremmo rimuovere le ghiandole pineali di animali che stanno per morire in diversi momenti dopo la loro morte. Se trovassimo quantità misurabili di DMT , ciò suggerirebbe che qualcosa di simile accade negli esseri umani. Il rilascio di DMT da parte della ghiandola pineale degli esseri umani nei momenti prima, durante o dopo la morte rafforzerebbe l’ipotesi che la molecola dello spirito accompagna l’allontanamento della coscienza dal corpo. Elevati livelli di DMT nei fluidi corporei durante i sogni e al

momento della nascita suggeriscono una relazione tra la DMT endogena e questi profondi spostamenti nella coscienza. Ancora più convincente sarebbe trovare alti livelli di DMT in persone che si trovano nel pieno di un’esperienza di pre-morte, mistica o di abduction. Potremmo considerare anche l’ipotesi che i bambini nati con un parto cesareo non siano stati esposti durante la nascita alla primordiale “sessione ad alto dosaggio di DMT ”. Nel capitolo 4 suggerisco che l’assenza di DMT nei

loro parti è responsabile di alcune difficoltà di tipo psicologico e spirituale che incontreranno nella loro vita gli adulti nati con il cesareo. Confrontare le loro risposte alla DMT con quelle di altri adulti nati con parto naturale potrebbe supportare questa idea. L’esposizione controllata alla DMT negli adulti nati con parto cesareo potrebbe permettergli di partecipare all’esperienza soggettiva di un normale parto naturale, e pertanto essere terapeutica. Un’altra serie di esperimenti prevede la somministrazione di DMT

a coloro che hanno già avuto delle esperienze psichedeliche spontanee per poi chiedergli di paragonare i due tipi di esperienza. Una somiglianza sostanziale confermerebbe il ruolo svolto dalla DMT endogena nell’evento spontaneo. La DMT somministrata dall’esterno potrebbe allora fornirci un accesso più controllato a quegli stati per poterli studiare e utilizzare in modo più efficace. Il più semplice di questi progetti sarebbe quello di indagare la relazione tra la DMT e il sonno (o il sogno) REM. Se la DMT

somministrata durante il sonno causasse l’immediato inizio dei tipici sogni, ciò confermerebbe il ruolo svolto dalla DMT prodotta in modo naturale in questo comune stato alterato di coscienza. Se la somministrazione di DMT riproducesse in parte o per intero le precedenti esperienze spontanee di pre-morte, illuminazione o abduction di una data persona, allora saremmo su un terreno ancora più solido nel sostenere un ruolo della DMT naturale in queste esperienze.

Iniziammo ad affrontare la questione delle esperienze di illuminazione avvenute in maniera spontanea oppure indotte dalla droga con una dei nostri volontari, Sophie, una ex suora di quarantadue anni. Aveva avuto un’esperienza mistica nel corso di un ritiro al suo monastero che la badessa confermò essere autentica. Sophie rivelò una reazione minima alla dose elevata di DMT , una prima conferma, piuttosto promettente, della mia ipotesi. In pratica, se la DMT aveva a che fare con la sua esperienza mistica, forse il suo

cervello aveva imparato a gestire quei livelli elevati prodotti in maniera naturale riducendo la sua sensibilità alla molecola dello spirito. Qualcosa di simile alla tolleranza. Ad ogni modo, l’altro volontario che mostrò una reazione ancora minore alla dose da 0.4 mg/kg di DMT mise a dura prova questa teoria. Charles, un barista trentaquattrenne, non aveva mai meditato in vita sua. Nel suo caso, supponemmo una predisposizione genetica per spiegare la sua debole reazione alla DMT . Era nato così.

Tuttavia, avrei dovuto essere più cauto nell’attribuire la piccola reazione di Sophie alla sua precedente esperienza mistica. Certo, è possibile che ciascuna di queste ipotesi fosse corretta per un particolare individuo, ma ci sarebbe stata una certa disonestà intellettuale nell’utilizzare quei dati per interesse personale.100 Anche se i progetti citati potevano fare molto per legittimare lo studio sugli stati mentali insoliti, non mi suscitavano più l’interesse di una volta. Ora sono meno interessato alla questione del “come” e più a

quella del “e quindi?” L’utilità di ciò che impariamo dipende dall’utilizzo che ne facciamo. Credo che il miglior uso di psichedelici in una ricerca sia trattare unicamente i disturbi dell’uomo e potenziare distintamente delle caratteristiche umane. Immaginiamo ora un setting ottimale, nel quale somministrare e ricevere le droghe psichedeliche, che accolga queste sfide. Un centro di tal genere avrebbe la sua sede in un bellissimo contesto naturale, ma avrebbe anche tutte le

attrezzature mediche necessarie per le emergenze. Ci sarebbero squisiti esempi di arte e architettura capaci di ispirare i partecipanti della ricerca. I ricercatori e lo staff dovrebbero avere una formazione psicoterapeutica, psichedelica e spirituale, e lavorerebbero sotto direzione medica. I protocolli si svolgerebbero nei settori della psicoterapia, della creatività, della spiritualità e in quelli che trattano il processo della morte. Ci sarebbero anche studi sul fenomeno di contatto con entità e sui suoi legami

con gli universi paralleli e la materia oscura. Abbiamo visto più volte come l’ambiente del Centro di Ricerca abbia influenzato negativamente le sessioni con la DMT . L’ambiente ospedaliero si rivelò perfino più problematico per le più lunghe sessioni con la psilocibina. Sebbene sia fondamentale la presenza di un setting più piacevole, uno di incredibile bellezza andrebbe ancora meglio per guidare e supportare i soggetti della ricerca durante le loro esperienze, quando sono estremamente suggestionabili

e vulnerabili. Nonostante ciò, vi sono degli effetti negativi degli psichedelici potenzialmente pericolosi dal punto di vista fisico, specialmente a livello cardiovascolare, e pertanto devono esserci le attrezzature e lo staff per farvi fronte. La formazione e l’esperienza dei medici ricercatori forniscono loro abilità uniche per apprezzare, rispondere e comprendere la reazione ai trattamenti dell’intero organismo. Di conseguenza, la legge pone nelle mani dei medici il privilegio e la responsabilità di

utilizzare le droghe. Nel campo della medicina, gli psichiatri ricevono l’addestramento più completo per gestire il comportamento umano e la sua relazione col corpo fisico. Tuttavia, la formazione medica tradizionale degli psichiatri dovrebbe costituire solamente un requisito preliminare per renderli capaci di somministrare le droghe psichedeliche a un altro essere umano. Uno dei più importanti requisiti addizionali dovrebbe essere quello di aver assunto gli psichedelici in prima persona.

Negli anni ’50 e ’60 l’autosperimentazione era uno strumento universalmente riconosciuto nel campo della psicofarmacologia. Similmente, e in contrasto con il protocollo vigente in America, i ricercatori psichedelici europei devono “farsi avanti per primi” nei loro studi. Tale approccio aumenta la qualità del consenso informato fornito dal ricercatore, fornisce dei dati pilota per un ulteriore raffinamento delle ipotesi e delle tecniche, e accresce l’empatia dei ricercatori con le esperienze dei volontari. I futuri

studi nel Nord America dovrebbero richiedere alle commissioni di controllo il permesso di seguire i colleghi europei su questa materia straordinariamente importante.101 Oltre a “esserci già stato di persona”, un ricercatore che ha in mente di somministrare gli psichedelici ad altre persone deve attentamente valutare le sue motivazioni per farlo. Un addestramento formale e supervisionato nell’autoanalisi è necessario per chiunque si trovi nell’importante posizione di somministrare droghe

psichedeliche alle persone. Sebbene vi siano molti sistemi di questo genere, credo che il modello psicanalitico sia il più meticoloso e completo. Indaga importanti esperienze infantili nel contesto dello sviluppo e del lavoro su di sé attraverso una stretta relazione con un terapeuta. Analizza inoltre le motivazioni inconsce e i desideri che influenzano il nostro comportamento e i nostri sentimenti. Questo lavoro interiore di tipo psicologico è fondamentale per aiutarci a entrare in relazione con i nostri soggetti della ricerca, i

cui bisogni interpersonali e le cui paure risultano notevolmente amplificati sotto l’incantesimo psichedelico. La comprensione delle sensibilità religiose nella maniera più profonda possibile è necessaria per essere pienamente d’aiuto mentre si supervisionano le sessioni psichedeliche. Ciò non significa semplicemente aver avuto un’esperienza personale di tipo religioso o spirituale, con o senza gli psichedelici. Piuttosto, implica una formazione e un’esperienza attorno al tema della sensibilità religiosa.

Una conoscenza della teologia, dell’etica e dei rituali potrebbero ulteriormente aiutarlo a entrare in empatia e a comprendere aspetti importanti di una completa esperienza psichedelica. Prima di realizzare la ricerca sulla DMT , non avrei mai pensato che la familiarità con il fenomeno dell’abduction aliena sarebbe stata importante per fornire la migliore supervisione possibile delle sessioni. Ad ogni modo, lo so adesso. Credo anche che sia utile avere delle conoscenze sulle teorie attuali dei “mondi invisibili”, come

la materia oscura e gli universi paralleli. Dotati di questo tipo di formazione e di esperienze, i ricercatori e il loro staff saranno pronti a capire, accogliere e rispondere a quasi tutto quello che potrebbe presentarsi nel corso di intense sessioni psichedeliche. Studi in corso in quest’area di ricerca ideale potrebbero generare una banca dati esauriente sulla reazione alla dose delle nuove e vecchie droghe psichedeliche. Grazie alla standardizzazione e all’ottimizzazione del setting,

potremmo scoprire cosa è veramente possibile fare con specifiche dosi di singole droghe. Inoltre, c’è molto da imparare dalle piccole dosi di psichedelici. Questi “piccoli trip” non sono tenuti in grande considerazione, ma possono avere degli effetti altamente positivi. Ad esempio, molti dei primi ricercatori nel campo della psicoterapia psichedelica preferivano trattare i pazienti con basse dosi di psicolitici perché erano più facili da usare e i pazienti ne riscontravano una maggiore efficacia terapeutica.

Davanti a una tazza di tè un giorno d’estate nella sua casa in Svizzera, Albert Hoffman, colui che scoprì l’LSD, condivise con me la sua passione per le dosi minime di questa droga. Lui e altri hanno descritto un’accelerazione del pensiero, una vivacizzazione nelle percezioni e un miglioramento dell’umore che porta a sottili ma profondi effetti sulle funzioni mentali. Gli effetti collaterali sono quasi inesistenti. Gli psichedelici possono aiutarci a trattare i nostri disturbi psicologici e psichici più gravi. Il centro di

ricerca psichedelico proposto si concentrerebbe molto su questo aspetto. Tuttavia, dobbiamo essere pronti per eventuali punti di vista contrastanti sulla guarigione che affioreranno nella progettazione e nell’interpretazione di questo tipo di ricerca. Ad esempio, ci sono diversi resoconti nella letteratura psichiatrica che descrivono il sollievo dei sintomi nei pazienti afflitti da disturbi ossessivocompulsivi o DOC (in inglese obsessive-compulsive disorder, con l’acronimo OCD) a seguito

dell’assunzione di funghi contenenti psilocibina. La sindrome DOC consiste in impulsi irresistibili a ripetere comportamenti e pensieri inutili che consumano enormi quantità di tempo ed energia. Il fatto che le droghe che agiscono sulla serotonina, come il Prozac, aiutino i pazienti affetti da DOC ha posto l’attenzione su questo neurotrasmettitore. I ricercatori hanno adesso intenzione di somministrare la psilocibina nel tentativo di trattare i pazienti affetti da DOC usando la fisiologia del recettore della serotonina come

modello di base. In realtà non è necessario alcun ricorso a sedute psicologiche, sebbene possano rivelarsi decisive per una comprensione totale dei suoi effetti positivi. Potremmo anche trattare condizioni che presentano deficit di tipo psicologico, non solo quelle che interessano i neurotrasmettitori e la salute, come ad esempio i disturbi da stress post-traumatico, l’abuso di alcol e droga, e l’angoscia e la sofferenza collegati alle malattie terminali.

Il disturbo da stress posttraumatico causa un senso di intrappolamento nel passato, un eterno ritorno all’indietro su una macchina del tempo verso eventi terribili. L’abuso fisico e sessuale sui bambini e l’esposizione a calamità naturali o a catastrofi provocate dall’uomo sono problemi in costante aumento nella nostra società. I primi studi fatti dai ricercatori della psicoterapia psichedelica avevano esaminato l’utilizzo di queste droghe nei casi di disturbi post-traumatici. Fino alla sua morte avvenuta di recente, lo

psichiatra olandese Jan Bastiaans ha utilizzato le droghe psichedeliche per trattare con successo diversi casi difficili di “sindrome del sopravvissuto” nei campi di concentramento.102 Molte persone abusano di droghe e alcol per liberarsi da simili ricordi ed emozioni dolorose. Ben presto, però, le complicazioni derivanti dall’abuso di queste sostanze diventano più preoccupanti dei problemi iniziali. È stato dimostrato che l’appartenenza alla Chiesa Nativa Americana, nella quale si fa uso di peyote, riduce l’incidenza

dell’alcolismo. Effetti simili sulla dipendenza da alcol e da cocaina sembrano verificarsi anche tra i membri delle comunità religiose del Brasile che fanno uso di ayahuasca.103 Infine, le reazioni negative al dolore e il deterioramento delle malattie terminali danno il via a una vasta gamma di sentimenti irrisolti. Il numero crescente di persone nate durante il boom demografico che ora stanno invecchiando e morendo, così come l’AIDS e altre epidemie aggiungono pathos al desiderio di una morte

serena e “buona”. Diversi studi precedenti hanno mostrato risultati promettenti a seguito di sessioni di terapia psichedelica con dosaggi elevati. Le implicazioni della nostra ricerca con la DMT possono rendere il lavoro con i morenti forse ancora più convincente. Se la DMT viene rilasciata in punto di morte, allora somministrarla a una persona viva fornirebbe una “prova generale” per la morte vera e propria. Il fatto di lasciarsi andare, di sperimentare l’esistenza di una coscienza indipendente dal corpo e di

incontrare una presenza potente e amorevole sono tutti elementi che sembrano dare un chiaro indizio di ciò che accade quando il corpo invecchia. Tuttavia, ci muoviamo su un terreno delicato quando consideriamo il lavoro con i morenti. Se un paziente avesse degli incontri terribili con la sua stessa psiche o con i mondi non materiali, potrebbe esserci pochissimo tempo utile per mettere le cose in chiaro. E se, per di più, non ci fosse nulla di simile tra l’esperienza del trapasso e una dose elevata di DMT ? Lo shock,

il disorientamento e la paura potrebbero rendere il processo del morire più difficile di quanto avrebbe potuto essere altrimenti. Oltre al trattamento dei disturbi clinici si potrebbero usare gli psichedelici per amplificare le caratteristiche della nostra esistenza normale, come la creatività, le abilità di problemsolving, la spiritualità e così via. L’istituto di ricerca che mi immagino condurrà questo genere di studi in maniera attenta e responsabile. Questo lavoro potrà essere d’aiuto per molte più

persone e avere un impatto più globale rispetto ai progetti di terapia basati strettamente sulla cura delle patologie. Stiamo assistendo a una disponibilità sempre maggiore di antidepressivi quasi privi di effetti collaterali, farmaci che ottimizzano le prestazioni sessuali, stimolanti e stabilizzatori dell’umore. Questi nuovi agenti chimici di facile utilizzo ci costringono a rivalutare i rischi e i benefici legati al farci stare meglio. Perché allora non usare gli psichedelici per far emergere la malattia piuttosto che curarla?

La DMT generò tra i nostri volontari idee, sensazioni, pensieri e immagini che non avrebbero mai potuto immaginare. Gli psichedelici stimolano l’immaginazione e quindi sono uno strumento logico per aumentare la creatività. I problemi che la nostra società e il nostro pianeta si trovano ad affrontare richiedono idee originali tanto quanto una tecnologia più avanzata e potente. Vi è un urgente bisogno di perfezionare le nostre abilità creative, e gli psichedelici possono essere un grande strumento per farlo.

Ho menzionato in precedenza gli studi degli anni ’60 di Harman e Fadiman sugli effetti positivi degli psichedelici sulla capacità di problem-solving. I soggetti della ricerca, tutti dei professionisti nel loro campo, riscontrarono che molte delle soluzioni trovate sotto effetto di psichedelici erano davvero efficaci. Attualmente vi sono molti modi ben collaudati per misurare la creatività, come quelli artistici, scientifici, psicologici, spirituali ed emozionali. Sarebbe dunque relativamente semplice rinnovare la ricerca sugli effetti degli

psichedelici su questa fondamentale qualità umana. Molte definizioni del termine “immaginazione” si riferiscono alla sua natura divina. Concepire e produrre qualcosa di nuovo ci permette di condividere un po’ del potere creativo di Dio. La nostra immaginazione ci fa espandere attraverso il pensiero verso luoghi in cui prima non esisteva nulla. Torniamo dunque al ruolo svolto dagli psichedelici nella spiritualità. Come ho suggerito nel capitolo 20, Calpestare un suolo sacro, esiste una logica linea d’azione nel

fondere gli psichedelici con una disciplina spirituale. Se un aspirante religioso non ha una conoscenza diretta degli stati sublimi che traboccano nelle scritture, nei rituali e nel discepolato, sessioni psichedeliche attentamente assistite e supervisionate potrebbero incoraggiarlo nel cammino di fede prescelto. Questo tipo di lavoro può anche aiutare a sviluppare un approccio più aperto e universale alla spiritualità. Possiamo cavillare su cosa sia biologico, psicologico o spirituale.

Risolvere conflitti interiori, porre fine a relazioni dannose con persone o sostanze e stimolare l’immaginazione possono essere tutti compresi e sostenuti tramite questi tre modelli. Ad ogni modo, usciamo dalla zona di comfort del ricercatore clinico quando abbiamo a che fare con soggetti che ritornano raccontando storie di contatto e interazione con quelle che sembrano essere entità non materiali indipendenti. In che modo studiamo allora queste proprietà “transdimensionali” della DMT ?

Dobbiamo iniziare immaginando che queste esperienze siano “possibilmente reali”. In altre parole, potrebbero indicare come stanno le cose in realtà alternative. I primissimi tentativi di indagare sistematicamente questi contatti dovrebbero determinare la densità e la stabilità degli esseri. Diminuendo il nostro turbamento in loro presenza, è possibile prolungare, espandere e approfondire le nostre interazioni con loro? Le persone che hanno incontrato esseri di aspetto, comportamento e “ambiente” simili riportano

anch’esse lo scambio di informazioni e messaggi analoghi? In un istituto del genere non ci sarà spazio solo per la ricerca. Gli studi sperimentali stabiliranno innanzitutto l’uso migliore degli psichedelici con indicazioni specifiche di carattere terapeutico, creativo o spirituale. Come in ogni altro setting in cui vengano applicate delle cure innovative, un maggior numero di persone potrà ricevere questi servizi specializzati. Durante la loro permanenza ci sarà una minore raccolta di dati e verrà posta una maggiore enfasi sulle

misure da intraprendere per gli obiettivi successivi. Conseguenza naturale della competenza disponibile in un tale istituto è che l’insegnamento e la formazione saranno attività di rilievo. Ci saranno continue opportunità di imparare dagli esperti in tutti quei campi che possono offrire informazioni e potenziamenti dell’esperienza psichedelica. Infine, questo centro di ricerca ospiterà una biblioteca completa e un archivio, così da essere punto di smistamento per ogni tipo di materiale educativo.

99. Ci sono esempi di modelli religiosi e scientifici che sembrano coesistere in rapporti migliori, come ad esempio la ricerca intrapresa all’interno di alcune delle moderne comunità religiose che ammettono l’uso di psichedelici, tra cui le comunità degli indiani d’America nelle quali si fa uso di peyote e quelle del Sud America in cui viene usata l’ayahuasca. Ad ogni modo, si tratta di un rapporto di convenienza e non di vere commistioni tra scienza e religione. I risultati scientifici non apporteranno modifiche alle pratiche e agli insegnamenti delle comunità religiose, né le intuizioni e le esperienze di carattere religioso cambieranno i metodi della ricerca scientifica. 100. Terence McKenna introdusse centinaia di persone alla DMT. Durante una visita alla sua riserva botanica nelle Hawaii, alcuni anni fa, parlammo proprio di questo. Egli stimò che forse il 5% di coloro ai quali aveva somministrato la

non aveva manifestato quasi alcun effetto. Quel 5% stimato da Terence è proprio la percentuale che si evince anche nel nostro studio: tre su sessanta volontari. DMT

101. F.X. Vollenweider, comunicazione privata, giugno 1993; L. Hermle, comunicazione privata, giugno 1993. 102. Ka-Tzetnik 135633, Shiviti: una visione, Sensibili alle foglie 1997. 103. Bernard J. Albaugh e Philip O. Anderson, Peyote in the Treatment of Alcoholism Among American Indians, in «American Journal of Psychiatry», n. 131, 1974, pp. 1247-1251; Charles S. Grob, Dennis J. McKenna, James C. Callaway, Glacus S. Brito, Edison S. Neves, Guilherme Oberlaender, Oswaldo L. Saide, Elizeu Labigalini, Christiane Tacla, Claudio T. Miranda, Rick J. Strassman e Kyle B. Boone, Human Psychopharmacology of Hoasca, a

Plant Hallucinogen Used in Ritual Context in Brazil, in «Journal of Nervous and Mental Disease», n. 184, 1996, pp. 86-94. Come esempio di modelli contrastanti che funzionano, molti sostenitori del trattamento della dipendenza dalle droghe con l’ibogaina consigliano una cura iniziale a base di farmaci affinché risulti efficace. Infatti, i membri di un comitato di ricerca sull’ibogaina della NIDA al quale partecipai cercarono di capire se ci fossero dei modi per bloccare gli effetti psichedelici “collaterali” di questa droga senza che ne venissero pregiudicate le virtù terapeutiche.

EPILOGO

Per quanto estenuante dal punto di vista professionale e personale, la ricerca psichedelica che ho condotto all’Università del New Mexico è stato il momento più stimolante e straordinario della mia vita. La ripresa di questo lavoro negli Stati Uniti era il sogno di una vita e sono felice di essermi trovato nel posto

giusto al momento giusto per realizzarlo. In quanto medico ricercatore con una vasta formazione ed esperienza di tipo psicoterapeutico e spirituale, mi credevo qualificato per iniziare questo rinnovamento americano della ricerca psichedelica sull’uomo. Per certi versi ero pronto, e per altri no, per i lidi verso cui mi avrebbe portato la molecola dello spirito. Siamo riusciti ad aprire una porta che era rimasta blindata per una generazione intera. Tuttavia il vaso, come quello di Pandora, una volta aperto ha lasciato uscire una forza

con un programma e un linguaggio propri. Si trattava di un potere che ha guarito, che ha provocato danni, che ha spaventato, la cui indifferenza si esprimeva in modi selvaggi e imprevedibili. Ogni volta sentivo che mi chiamava con una voce che era tenera, provocatoria, seducente e terrificante. Ma la domanda non cambiava mai. Si tratta della stessa domanda che si era posto anche Saul, un volontario che non abbiamo ancora incontrato, durante la su prima sessione con una dose elevata di

DMT .

Concludiamo quindi con la sua storia. Saul era uno psicologo di trentaquattro anni, sposato, atletico ed energico, con un pungente senso dell’umorismo e uno sguardo intenso. Aveva fatto uso di psichedelici già una quarantina di volte e da quasi vent’anni praticava la meditazione. (Avevo fatto del mio meglio per ingaggiare dei soggetti della ricerca con un background di meditazione. Sembravano più capaci di gestire l’ansia iniziale del rush della DMT e inoltre mi aiutavano a confrontare la

meditazione con gli stati mentali indotti dalla droga). Saul si offrì come volontario per lo studio sulla reazione alla dose perché «ho sentito parlare della DMT e ho sempre voluto provarla. In più, mi piace l’idea di poterlo fare all’interno di un ospedale, sotto supervisione medica». La dose minima di Saul fu leggera e il giorno dopo ritornò per la sua sessione da 0.4 mg/kg. A Saul piaceva scrivere e sebbene le mie annotazioni siano abbastanza complete, una lettera che lui stesso mi inviò descrive molto meglio la

sua esperienza: «Lo spazio vuoto nella stanza iniziò a scintillare. Apparvero dei grandi prismi cristallini, uno sfoggio selvaggio di luci che sfrecciavano in tutte le direzioni. Poi dei motivi geometrici più belli e intricati ricoprirono il mio campo visivo. Sentivo il mio corpo freddo e leggero. Stavo forse per svenire? Chiusi gli occhi, sospirai e pensai: “Dio mio!” Non sentivo assolutamente nulla, ma la mia mente era completamente piena di qualche tipo di suono, come l’eco di un grande rintocco di campana. Non

sapevo se stavo respirando. Confidavo che le cose sarebbero andate bene e che avrei lasciato quel pensiero prima che arrivasse il panico. L’estasi fu così intensa che il mio corpo non riusciva a contenerla. Quasi per necessità, ho sentito la mia coscienza scappare via, lasciandosi alle spalle il suo involucro fisico. Dalle furenti cascate gigantesche di colori fiammanti che si espandevano sul mio campo visivo, circondato da un ruggente silenzio e

da un’inesprimibile gioia, uscirono, o piuttosto emersero, loro. Dandomi il benvenuto, curiosi, cantarono addirittura: “Vedi adesso?” Sentii la loro domanda riversarsi e riempire ogni angolo possibile della mia coscienza: “Vedi adesso? Vedi adesso?” Voci squillanti, cantilenanti, che esercitavano una pressione enorme sulla mia mente. Non c’era bisogno di rispondere. Era come se qualcuno mi avesse chiesto, durante un ardente limpido pomeriggio d’estate nel deserto del New Mexico: “È luminoso? È

luminoso?” La domanda e la risposta sono le stesse. Oltre al mio “Sì!” ci fu un più profondo “Ma certo!” E alla fine un intenso e toccante “Finalmente!” Li “fissai” con i miei occhi interiori e fummo riconoscenti l’un l’altro. Mentre stavano scomparendo nel torrente di colori, che iniziava a svanire, riuscivo a sentire dei rumori nella stanza. Sapevo che stava iniziando il down. Percepii il mio respiro, il mio volto, le mie dita, ed ero vagamente consapevole di un’oscurità invadente. C’erano fiamme, fumo,

polvere, truppe di combattimento, enormi sofferenze? Aprii gli occhi».