Cesare Boni Come Prepararci A Lasciare Il Corpo [PDF]

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Zitiervorschau

COME PREPARARCI A LASCIARE IL CORPO Cesare Boni Questa lezione sul morire, è tratta dal libro Dove va l’anima dopo la morte? di Cesare Boni, pubblicato da Helvetica Edizioni. Cesare Boni è stato docente alla Scuola di Specializzazione in “Psicologia del Ciclo della Vita” ed ha insegnato nei Corsi di Perfezionamento dell’Università Statale “Federico II°” di Napoli. E’ stato organizzatore e relatore di numerosi convegni universitari internazionali sulla conoscenza della vita e della morte in Italia e all’estero. Ha confrontato i suoi studi e le sue esperienze col Prof. Moody, la Prof.ssa Kubler Ross e i maggiori studiosi occidentali di questa fase dell’esistenza.

Come prepararci a lasciare il corpo

di Cesare Boni

Come possiamo rendere la nostra mente amica per evitare che ci crei dei problemi in punto di morte? La Bhagavad Gita (8.5) assicura tutti dicendo: “Comunque, se al momento della morte esci dal tuo corpo ricordando me soltanto, allora ti fonderai con me”. Per poter pensare soltanto a Dio al momento della morte, la paura della morte deve aver trovato soluzione da tempo. Ciò non avviene con una conoscenza teorica della morte, ma soltanto con una pratica costante di meditazione che ci permetta non solo di conoscere la via che porta allo stato trascendentale dell’Essere, ma di avere col nostro Sé assoluta familiarità. Ho visto il mio signore con gli occhi del mio cuore e gli ho chiesto: “Chi sei?”. Egli mi ha risposto: “Te”. (Al-Hllaj, Sufi persiano). Espongo me stesso alla morte ogni giorno (S.Paolo, I° Corinti. 15.31)

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Solo così le paure, le ansie, le angosce, il dolore del distacco saranno da lungo tempo superate e la via luminosa che porta all’incontro col Divino trascendente si aprirà di fronte a noi. “L’ultimo pensiero ed emozione sono di enorme impatto sul nostro immediato futuro dopo la soglia della morte”. Questa è la ragione veramente essenziale dell’accompagnamento del morente. Insieme ad un’opera umana e ad un desiderio meraviglioso di esprimere compassione, l’assistenza al morente dovrebbe servire per indirizzare la sua attenzione sulla vera natura della morte, cioè la realizzazione del Divino. Dovremmo tutti morire con un pensiero soltanto: la certezza e la splendida aspettativa di unirci a Dio. L’ultimo pensiero al momento della morte ha un effetto causale di grande importanza sul nostro futuro. (Sogyal Rinpoche). Se (il morente) percepisce ciò che è senza suono, senza tatto, senza forma, imperituro, senza sapore, eterno, senza odore, senza principio né fine, che sta al di là del grande (Atman), che è duraturo, l’uomo è liberato dalle fauci della morte. (Katha Upanishad, 1.3.15). L’uomo che quando viene la fine diventa equanime, anche per il breve tempo di un respiro, raggiunge me e si realizza per l’eternità. (Mahabharata). Quando ci dividiamo in mente e materia, nell’intervallo che precede il nuovo sviluppo del corpo successivo, la mente e insieme a lei tutte le sue fantasie sono prive di sostegno materiale. Quando questo avviene la mente è immersa nella sua natura trascendentale. Se riusciamo a riconoscere nel bardo questa essenziale condizione dela natura della nostra mente avremo grandi possibilità di ottenere l’illuminazione. (Padmashambhava). Chi mi ha conosciuto e chi ha conosciuto la natura degli esseri materiali e degli esseri divini e conserva tale conoscenza anche al momento della morte raggiunge l’unione con me. (Bhagavad Gita, 7.30). 2

Chiunque al momento della morte si ricorda di me soltanto, raggiunge subito la mia dimora, senza alcun dubbio… Senza dubbio sono i pensieri, i ricordi del morente all’istante di lasciare il corpo che determinano la sua condizione futura… Chi all’istante della morte fissa tra le sopracciglia la sua energia vitale con devozione profonda e si assorbe nel mio ricordo verrà certamente a me. (Bhagavad Gita, 8.5-10) Conquistare la paura della morte, conquistare la morte è della più alta utilità in tutti i sadhana spirituali. Uno dei raggiungimenti del sadhana della Yoga è affrontare la morte senza paura e con gioia. Il più alto dovere di uno Yogi è preparare qui e ora una morte piena di pace. (Swami Shivananda, Bliss divine, 121). Pensate a Dio nel momento della morte e lo realizzerete. (Ananda Mayi Ma). La nuova incarnazione è determinata dai pensieri che il defunto ha al momento della sua morte. (Narada Upanishad). L’ultimo pensiero di un uomo determina il suo futuro destino. L’umo desidera sempre morire in pace con la sua mente fissa in Dio. Per questa ragione si canta al capezzale di un morente la Bhagavad Gita o i Vishnu Sahasranama (i mille nomi di Vishnu), per aiutare il morente a dimenticare i suoi attaccamenti e pensare a Dio. E’ tuttavia difficile conservare la coscienza di Dio in quei momenti se non si è disciplinata la mente con le pratiche nel periodo della vita. Non viene dalla pratica di un paio di giorni o di una settimana o di un mese. Swami Shivananda, Bliss divine 119).

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“Non avere più attaccamenti” (proprietà-amicize-mogliemarito-figli-persone care-vita ecc.). Non avere attaccamenti non significa non amare, ma significa essere profondamente certi che amore non significa possesso. Kahlil Gibran ci sollecita a farlo con due risposte. Nella spiegazione del matrimonio dice: “Amatevi l’un l’altra, ma non fatene una prigione d’amore … Riempitevi a vicenda le coppe, ma non bevete da una coppa sola. Datevi cibo a vicenda, ma non mangiate dello stesso pane. Cantate e danzate insieme e siate giocondi, ma ognuno di voi sia solo, come sole sono le corde del liuto, sebbene vibrino di una musica uguale” e quando parla dei figli dice: “I vosti figli non sono i vostri figli … essi non vengono da voi, ma attraverso di voi e non vi appartengono, benché viviate insieme”. Questo raggiungimento è senz’altro molto difficile. In sanscrito è chiamato vairagya e può essere perseguito praticando costantemente la meditazione. La meditazione è la forma più alta di distacco perché ci allontana dalla consapevolezza di essere il nostro corpo, di essere la nostra mente. Durante la meditazione la nostra vera identità è col Sé e da quella prospettiva possiamo vedere il nostro corpo funzionare, la nostra mente pensare. Diveniamo così certi di non essere le nostre azioni, né i pensieri, né i nostri desideri. Essi scorrono come un film sullo schermo della nostra mente, mentre il Sé, che siamo noi, osserva non coinvolto. Chi non si è staccato dal peccato o non è tranquillo, equanime e focalizzato, non ha la mente serena e quindi non riesce a raggiungermi con piena conoscenza. (Katha Upanishad). “Testamento molto chiaro ed equilibrato” (discutetelo con i figli in vita. Tutto sia accettato da tutti). Una delle ragioni più ricorrenti di litigio tra i componenti la famiglia è il testamento. Nella nostra tradizione il testamento non solo non vene discusso con gli eredi, me viene conservato segreto o addirittura depositato da un notaio. Spesso, in maniera espressa e subdola, è motivo di ricatto morale. L’apertura del testamento è sempre un momento di incertezza, di esaltazione o di delusione. Ancora oggi vi sono famiglie che non hanno più nessun rapporto o sono ancora in completa rottura per il testamento di un bisnonno. I pronipoti probabilmente non conoscono nemmeno i motivi per i quali è loro negato di avere rapporti. 4

I libri e le esperienze di pre-morte (NDE) sono estremamente chiare in proposito. Dicono che, al di là della soglia della morte, per un periodo di tempo più o meno lungo, il morto continua a vivere e a presenziare alle vicende della propria famiglia. Sarà quindi presente all’apertura del testamento, specie se questo, di proposito, favorisce uno o più membri a scapito di altri. Qualsiasi inadempienza al testamento o qualsiasi rifiuto di accettazione, causerà nel morto uno stato di agitazione e di reazione. Questi lo terranno ancor più legato ad un piano di esistenza che egli invece dovrebbe lasciare in tutta serenità. “Atmosfera più serena possibile senza forti emozioni”. Abbiamo visto che nella fase del morire i pensieri sono di enorme importanza. Dovremmo quindi cercare di mantenere l’atmosfera attorno al morente assai serena. Egli infatti non deve essere distratto dall’unico pensiero che è a quel punto veramente importante: il pensiero di Dio. Qualsiasi argomento o emozione sarà causa di distrazione verso l’unico obiettivo che deve essere perseguito. Dovremmo permettere al morente di aprire se stesso all’esperienza della sua natura trascendentale, anche se non ne avesse mai percepita l’esistenza, e questo potrà essere fatto soltanto da un’assistenza silenziosa, compassionevole e amorevole. Lo stato mentale al momento della morte è di cruciale importanza. Fidati dell’esperienza della tua natura trascendentale. Fidatene profondamente e lasciati andare. Non devi imparare, acquisire o capire niente di nuovo. Lascia soltanto che tutto ciò che ti è stato trasmesso di positivo nella vita sbocci dentro di te e si apra sempre più profondamente. (Bardo Thodol). In punto di morte di solito gli atteggiamenti con i quali si ha una lunga consuetudine prendono il sopravvento e dirigono la rinascita. Per lo stesso motivo si genera un forte attaccamento verso noi stessi, perché temiamo di entrare in uno stato di non esistenza. Questo attaccamento svolge una importante funzione al momento della morte e negli stadi successivi. Lo stato mentale al momento della morte è quindi decisivo. (Commento al Bardo Thodol di 5

Sogyal Rinpoche). Quando il Profeta, a lui il saluto e la benedizione, uscì con noi dalla moschea, incontrammo un uomo: “O inviato da Dio, a quando l’ora ultima?”. Il santo Profeta gli rispose: “Cos’hai preparato in vista di quell’ora?”. L’uomo disse: “O inviato di Dio, in vista di quell’ora non ho detto molte preghiere né molte ripetizioni del nome, ma ho amato Dio nel suo inviato”. Maometto sorrise e rispose: “Allora tu sarai con chi hai amato”. (Anas Ibn Malik). “Sistemate i problemi irrisolti“. Sarebbe indispensabile nella vita non avere mai contrasti con nessuno, ma ciò è veramente difficile, spesso impossibile perché i contrasti fanno parte del nostro karma. Il karma è il risultato delle azioni compiute nel passato. In ogni caso dovremmo cercare di risolvere queste difficoltà di rapporto. Questo può avvenire sia chiedendo la collaborazione dell’altra persona, sia, se questa non accetta nessuna soluzione, avendo assolutamente chiarito all’interno di noi che ogni onda di reazione ad azioni passate è scomparsa. Bisogna essere certi che, in tutta innocenza, i nostri problemi irrisolti abbiano, almeno per noi, trovato definitiva soluzione. “Ricevere dai parenti l’autorizzazione a morire e dare a noi stessi la stessa autorizzazione”. Dovremmo cercare di arrivare al momento della morte avendo chiarito assai bene la ragione della morte e i suoi aspetti positivi. Solo se questi saranno chiari saremo in grado di accettare la nostra morte e la morte degli altri quando e in qualunque modo questa avvenga. Si attraversano molte fasi nell’agonia, ma l’augurio che facciamo ad ogni essere umano è quello di arrivare a varcare la soglia tra questo e l’altro mondo in assoluta accettazione, pace e armonia. Vi sono due tipi di accettazione, una passiva, che consiste nel vivere la morte come il peggiore dei mali, ma tuttavia inevitabile. Vorremmo cercare in tutti i modi di evitare la morte, perché la riteniamo la nostra peggiore nemica, ma la natura reclama i suoi diritti e a questi dobbiamo piegarci. Moriremo quindi in una accettazione dolorosa. Il secondo tipo di accettazione è attivo. Abbiamo ormai consolidato all’interno di noi le ragioni profonde dell’esistenza della morte. Siamo assolutamente certi che la morte sia una benedizione per l’uomo, così come lo è stata la sua nascita. Il cammino evolutivo ha 6

assolutamente bisogno dell’alternarsi di questi due momenti nel ciclo della vita. Saremo quindi contenti di essere nati, contenti di vivere, contenti di vivere a lungo, contenti di morire.

Colui che sa che l’anima è saggezza, senza vecchiaia, eternamente giovane, non teme la morte, poiché sarà libero dai propri desideri, immortale, perché saprà di essere l’unica cosa esistente, libero da ogni mancanza. (Atharva Veda, X,8,43,44). Morire non è altro che cambiare di vestito. (Ananda Mayi Ma). Sperimentato l’infinito, siamo liberi dalla morte e la vita diviene un gioco della nostra esistenza terrena. (Vivekananda). Dopo aver perduto suo figlio, Rabbi seguiva il feretro danzando. Alcuni Hassidici furono stupiti. Rabbi spiegò: “E’ un’anima pura che mi è stata affidata. Quest’anima pura oggi rendo al Divino”. (Rabbi Levi Yitzhak). Un mio caro amico, con una pratica di yoga consolidata ormai da anni di meditazione, ha perduto il suo unico figlio di diciotto anni, improvvisamente. Al suo funerale consolava i compagni di scuola del figlio dicendo: “Non piangete, un’anima si è liberata”. “Essere assistiti, se è possibile, dagli amici spirituali”. Al momento della morte, non sappiamo in che stato sarà la nostra mente e se saremo in grado di conservarla ferma e stabilizzata nell’esperienza del trascendente. Saranno quindi di estrema utilità gli amici spirituali che ci ricordino, momento dopo momento, di non permettere alla nostra mente di andare su pensieri futili di attaccamenti o negatività, alle nostre emozioni di prendere il sopravvento, alle nostre paure di guidarci fuori strada. La compagnia di coloro che ci amano e hanno compassione di noi, ci metterà nelle condizioni di seguire i loro avvertimenti e le loro preghiere. Ricordate di non forzare mai secondo i vostri pensieri o intendimenti, anche se sono assolutamente in buona fede, quelle che sono state le certezze o le credenze del morente nella sua vita. Se il morente crede nell’insegnamento di una qualche religione ed ha espresso il desiderio di morire con i suoi conforti religiosi, dovrà essere vostra premura 7

procurarglieli, specie quando è ancora cosciente. Allo stesso modo, se il nostro vecchio nonno ha vissuto secondo delle certezze che sono discordi o contrarie a quelle nelle quali noi crediamo, sarà assolutamente necessario lasciarlo morire con e nelle sue certezze, senza approfittare della debolezza del suo corpo e della sua mente per cercare di convertirlo a ciò che noi crediamo essere la via migliore per lui. Quindi, se il nonno è stato un mangiapreti, dovrà morire da mangiapreti e noi dovremo essere così aperti, non solo nell’assecondarlo, ma anche nel credere fermamente che il Divino non opera discriminazioni o favoritismi. Lo accoglierà nella sua luce come il migliore degli esseri devoti. Se la persona morente è in grado di farlo, cercherà di mettere in pratica da sola, sin dal principio, gli insegnamenti ricevuti; se non lo è, un maestro, un fratello di Vajra (un amico spirituale) o un amico a lui caro, devono stargli vicino e ricordargli i segni della morte: “Questo è il segno della terra che si dissolve in acqua …” e così via, dopo di che si dovrà aiutare il morente ad assumere l’impegno del pensiero costante, dicendogli: “Focalizzati senza distrarti. Realizza l’amore e la luce che sono in te, per il beneficio di tutti gli esseri”. (Bardo Thodol). “Lasciare suonare vicino al suo orecchio la sua musica spirituale preferita”. Abbiamo visto che l’udito è l’ultimo ad essere perduto e che, quando il senso dell’udito si sarà riassorbito nella mente, rimarrà comunque vigile il senso della qualità sonora sensibile non manifestata (shabda), che durerà ancora per lungo tempo al di là della soglia della morte. Utilizzate la musica solo se siete certi che questo era il mantra o la sinfonia o l’armonia che il morente utilizzava per entrare in meditazione o per raggiungere livelli di quiete molto profondi. Non inventatevi in questi momenti nulla di nuovo, né cercate in nessun modo di imporre al morente le vostre conoscenze o le vostre certezze. La musica deve essere la sua e non la vostra. Il potere del suono è straordinario. Pochi mesi fa è morto un mio caro amico che aveva avuto, in vita, qualche difficoltà ad accettare o seguire qualsiasi sentiero spirituale. Era un uomo straordinario, ma le sue convinzioni politiche e sociali gli hanno impedito, fino alla fine, di aprirsi a qualsiasi pratica, 8

non solo religiosa, ma anche di introspezione profonda. Quando ormai il cancro lo stava divorando ha, però, trovato conforto e sollievo nel suono del mantra “Om Namah Shivaya”. Questo canto gli è stato compagno sino alla fine: E’ morto serenamente. “Pensare costantemente al proprio maestro”. Il maestro non è un essere comune, ma colui che, non solo ha percorso interamente il cammino della conoscenza, ha realizzato il Divino e vive permanentemente nello stato di coscienza dell’unità. E’ colui che è in grado di guidare passo passo il discepolo agli stessi traguardi che egli ha raggiunto. Il maestro ha bruciato interamente il proprio karma e non avrebbe quindi nessuna necessità di rimanere ancora su questo piano di esistenza, ma lo fa perché noi abbiamo ancora necessità di relazionarci con una forma umana e di utilizzare la nostra mente, il nostro intelletto e i nostri sensi per percepire gli insegnamenti che ci porteranno alla realizzazione. Il maestro non è quindi soltanto luce divina, conoscenza assoluta, ma è soprattutto amore incarnato. Due sono i suoi compiti principali: risvegliare in noi la nostra energia divina, indirizzandoci sulla via del ritorno a casa, e accompagnarci per mano fino alla realizzazione. Abbiamo visto che la realizzazione del Divino dentro di noi è l’unica ragione della vita e della morte, quindi il maestro ci accompagnerà senza ombra di dubbio attraverso la soglia. Sarà con noi ancor prima della nostra morte fisica e ci sarà compagno nelle fasi successive.

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