Cernuschi - Marinai e Spie [PDF]

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Zitiervorschau

SAGGISTICA E DOCUMENTAZIONE

MARINAI E SPIE Processi per spionaggio e fucilazioni in Italia, 1933-1943

ENRICO CERNUSCHI (*)

Ancora oggi, con la regolarità di una

moneta falsa, presunte storie di spionaggio e tradimenti in capo alla Regia Marina durante la seconda guerra mondiale continuano a far capolino sulla stampa quotidiana e in libreria. In un mondo che continua a credere, a livello diffuso, a leggende come quelle della papessa Giovanna e di Anastasia, figlia sopravvissuta dello Zar, le speranze di riuscire a raddrizzare, col passare del tempo, questo stato di cose sono pressoché nulle. Niente impedisce, però, di esaminare, sulla solida base degli atti processuali del tempo, quello che successe davvero, prima e durante l’ultimo conflitto mondiale, tra le file della Marina e di formulare, alla fine, qualche conclusione non peregrina in merito a questa particolare forma di guerra indiretta sul mare, di per sé eterna come tutto quello cha attiene all’acqua salata.

Dodici pallottole

I termini della questione sono, dal punto

di vista giuridico e procedurale, assolutamente netti e definiti. Il reato di spionaggio rientrava, infatti, nella competenza del Tribunale Speciale per la difesa dello Stato, istituito dal nascente regime nel 1926 e competente esclusivo in materia di «Tradimento della Patria». Tra il 1926 e il 1943 quella corte, priva della possibilità di ricorrere in appello o di impugnarne la sentenza, irrogò 42 condanne capitali, 31 delle quali eseguite, tutte mediante fucilazione (1). 25 delle 31 esecuzioni erano attinenti al reato di spionaggio (2); cinque dei fucilati erano coinvolti in episodi relativi alla Regia Marina e tre di costoro erano ufficiali, sottufficiali o dipendenti di questa Forza Armata, richiamati oppure in Servizio Permanente Effettivo. Data una forza media di circa 80.000 uomini, tra ufficiali, sottuffi-

(*) Cultore di storia navale fa parte del Comitato scientifico della rivista STORIA militare. Pubblica regolarmente in Italia, Gran Bretagna e negli Stati Uniti. I suoi libri più recenti sono On Seas Contested e Le navi ospedale italiane 1935-1945.Classe 1960, è un bolognese radicato a Pavia dove lavora come funzionario di una delle maggiori banche italiane.

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Un manifesto italiano dell’epoca di Gino Boccasile celebre illustratore italiano.

ciali, graduati e comuni fino alla guerra e di oltre 250.000 nel corso del conflitto è un po’ poco per scrivere, come ha fatto qualcuno, di una: «(…) Marina piena zeppa di traditori, dalle furerie fino al piano nobile del Ministero e ai vertici dello Stato Maggiore, come testimoniano le carte processuali», ma andiamo con ordine. Il primo caso fu quello, emerso nel 1933 e descritto con abbondanza di particolari da Enzo Magrì nel di lui saggio citato in bibliografia, del Capo Ugo Travaglia. Vittima del sistema classico consistente nel fargli perdere la testa per una bella francese, anzi 70

monegasca, anzi italiana da Brescia, tale Camilla Agliardi, afflitta apparentemente da parecchi quattrini, lo sventurato sottufficiale andò incontro alla propria rovina passando al Deuxième Bureau transalpino alcuni lucidi di disegni relativi ai piani costruttivi di alcune unità in quel momento sullo scalo. Scoperto affrontò la condanna e l’esecuzione, avvenuta a Forte Braschi, con grande dignità. La donna, condannata anch’essa e definita, dopo la guerra, con una certa esagerazione, «la Mata Hari italiana» trascorse i successivi undici anni in prigione prima di essere sbrigativamente liberata dai Francesi grazie alla collaudata acquiescenza davanti a tutto del primo ministro Badoglio pochissimi giorni prima della di lui caduta e del correlato, definitivo allontanamento del Maresciallo dalla vita pubblica italiana (3). Seguì, nell’agosto 1938, la scoperta, a opera dei Carabinieri per la Marina e della Polizia, di una rete spionistica inglese formata in buona parte da elementi già austriaci passati, dopo il 1919, nelle file della Regia Marina. Il maggiore imputato, degradato con infamia e fucilato subito dopo, il 6 marzo 1939, da un plotone di marinai al comando del tenente del CREM Antonio Langiu, fu, come ha ricordato l’ammiraglio De Courten nelle proprie memorie edite dall’Ufficio Storico della Marina Militare, il tenente di vascello Antonio Scarpa. Costui aveva fatto in precedenza, tra il 1915 e il 1918, per conto degli Italiani, lo stesso mestiere di spia fornendo al Reparto Informazioni della Regia Marina parecchie utili notizie da comandante di torpediniere dell’Imperial Regia Marina asburgica. Il flusso di informazioni, spesso molto tempestive, attinenti alle uscite, alle operazioni e agli sbarramenti in Alto Adriatico era stato anzi tale che a un certo punto la KuK Marine, avendo mangiato la foglia, aveva cerRivista Marittima-Maggio 2012

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cato con insistenza un inesistente cavo telegrafico clandestino che, secondo lo Stato Maggiore di Pola, doveva collegare «per forza» la penisola istriana alle coste avversarie. In realtà i messaggi erano saltuariamente ritirati da idrovolanti della Regia Marina che ammaravano di notte in due località convenute. Contattato dai Britannici nel 1935 Scarpa, assieme ad altri suoi ex connazionali, era stato successivamente richiamato e assegnato alla base sommergibili di Augusta, cosa questa che permise agli Inglesi di mettere le mani, nel 1937, sia sulla prima edizione di quell’anno del cifrario di Maricosom SM 19 S sia, per un certo periodo, le relative tabelle di sopracifratura. Preso in castagna dopo aver comunicato la sistemazione difensiva di quella piazzaforte fu processato, condannato e giustiziato. I sospetti circa l’avvenuta compromissione delle comunicazioni dei sommergibili erano peraltro già emersi, come testimonia il notissimo Diario di Ciano, già l’8 settembre 1937 spingendo, di conseguenza, la Marina a cambiare immediatamente le tabelle, introducendo quello stesso mese le nuove serie Bis e Ter, sia spingendo, di conseguenza, gli Inglesi a rubare, il 7 dicembre 1937, la macchina cifrante meccanica Enigma matricola «K-203» venduta dai Tedeschi agli Spagnoli avviando poi, a partire dall’aprile 1938, una prima stagione di lettura, durata dodici mesi, dei messaggi amministrativi trasmessi dalla Regia Marina con quella macchina cifrante grazie al periodico acquisto (e non, come è stato detto, alla decrittazione) del relativo libro delle chiavi. Successivamente, alla fine del maggio 1940, essendo ormai imminente l’inizio della guerra con la Francia, il controspionaggio della Marina pose termine a un’operazione di infiltrazione in atto sin dall’anno precedente nei confronti di una rete Rivista Marittima-Maggio 2012

informativa transalpina attiva tra la Liguria e Taranto. Come esca fu utilizzato, essendo ormai compromesso, il piano delle difese di Augusta. I vertici dell’organizzazione francese (avendo messo le mani, in precedenza, su una copia dei disegni del torrione delle «Littorio» passati loro da un disegnatore dell’Ansaldo) abboccarono e finirono con le manette ai polsi nel giro di poche ore. Nel dicembre 1939 erano già stati arrestati anche due furieri dell’Arsenale di Taranto accusati di aver passato quello stesso anno ai Francesi le veline di alcune lettere dell’Arsenale. Processati assieme al loro contatto italiano, un disertore dell’esercito chiamato Aurelio Cocuzza, il cui nome era già stato rivelato da Marc’Antonio Bragadin nel 1969, uno degli sciagurati dipendenti dell’Arsenale, avvicinati anch’essi, inizialmente, da una «bella crudele», fu condannato a morte e fucilato il 22 dicembre 1940. La notizia dell’esecuzione fu opportunamente divulgata per vie traverse dando, in questo modo, l’impressione che si trattasse di una vicenda legata alla di poco precedente «notte di Taranto» dell’11 novembre 1940 allo scopo di soddisfare, in questo modo, il turbamento dell’opinione pubblica. Si trattò di un’iniziativa propagandistica del partito fascista presa al massimo livello con l’avvallo dello stesso Mussolini e destinata, in seguito, come vedremo, a dare la stura alle «voci» contro la Marina con esiti negativi ancora oggi attuali. Mimmo Franzinelli ha successivamente fatto il nome, nel proprio Guerra di spie, del furiere condannato alla pena capitale: Francesco Ghezzi. Più delicato è, per contro, il caso di Laura d’Oriano, unica donna fucilata in Italia, fino all’armistizio dell’8 settembre 1943, per spionaggio. L’esecuzione ebbe luogo il 16 gennaio 1943 a poco più di un anno dall’arresto, avvenuto il 26 dicembre 1941, e 71

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del successivo processo. Secondo quanto si disse la D’Oriano aveva iniziato la propria attività informativa a beneficio dei Francesi e, per il loro tramite, degli Inglesi dall’autunno del 1940 in poi. Messa sotto osservazione, di lì a un anno, dal Reparto Informazioni della Regia Marina, entrò clandestinamente in Italia nel dicembre 1941. Fece appena in tempo a spedire da Genova un paio di lettere (subito intercettate), scritte con l’inchiostro simpatico, relative alle navi da guerra osservate in porto salvo essere arrestata subito dopo. Questa vicenda, ricordata anche in televisione nel 2011 mediante un appassionato sceneggiato televisivo dovuto anche alla devozione di una di lei discendente è, complessivamente, abbastanza nota. Anche la memorialistica ha ricordato con simpatia questa trentenne sfortunata caduta in un gioco troppo grosso e pericoloso. La verità processuale, tuttavia, come si insegna a Giurisprudenza, non è quella assoluta. Il confronto delle fonti permette, pertanto di apprezzare qualche cosa di più circa quel caso tanto particolare da meritare, a cura del regime, un’insolita pubblicità nel gennaio 1943 sul genere di quella, per intenderci, già propagandata nel dicembre 1940. Il generale Cesare Amé, responsabile del Servizio Informazioni Militare del Regio Esercito tra il settembre 1940 e l’agosto 1943, ricordò, invero, nel proprio Guerra segreta in Italia, apparso nel 1954, che: «Su segnalazione del Servizio germanico venne identificata e arrestata a Bordeaux una giovane italiana che, in intimità con militari della nostra base di sommergibili colà organizzata, segnalava al Servizio nemico i movimenti delle nostre unità subacquee». In realtà i Tedeschi, come vedremo, brancolarono nel buio ancora per due anni e mezzo. La «soffiata» fu viceversa opera, alla fine di agosto del 1941, dei Servizi polacchi. Es72

sendo rimasta Roma, sin dall’ottobre 1939, l’ultima potenza maggiore a riconoscere ancora l’originario governo di Varsavia (sbrigativamente internato, su preghiera degli Anglo-francesi, in Romania nel settembre 1939 e sostituito, a Londra, da un governo in esilio creato in provetta dagli Inglesi ricorrendo ad alcuni vecchi fuoriusciti di loro gradimento), i Polacchi avevano infatti avviato, sin dal maggio 1941, a un complesso gioco di sponda volto a preservare, per quanto possibile, il loro disgraziato Paese e i suoi ancora più sventurati abitanti dal doppio incubo nazista e sovietico passando, in cambio, di tanto in tanto, utili informazioni e proponendo i propri buoni servigi in vista dell’auspicata pace generale data, tra l’altro, l’assenza di uno stato di guerra tra loro e gli Italiani (4). Fermo restando, pertanto, il fatto che tutti i memoriali postbellici in materia di spionaggio e controspionaggio sono sempre da prendere con le molle, gli atti del processo affermano, a loro volta, che la D’Oriano svolse una missione informativa a Bordeaux, dove conobbe tra l’altro, nell’estate 1941, tre distinti marinai italiani prima di lasciare le coste dell’Atlantico nel settembre 1941. In realtà proprio i tempi sono decisivi per definire i corretti contorni, e le correlate responsabilità, di questa storia. I Francesi hanno infatti rivelato da oltre mezzo secolo l’attività dell’ingegner Jacques Stosskopf, un alsaziano dipendente dell’Arsenale di Lorient. Padrone di un tedesco perfetto e di nervi a tutta prova, Stosskopf giocò sin dal 19 giugno 1940 il ruolo del perfetto collaborazionista rischiando grosso con i propri compatrioti salvo passare sin dalle primissime battute ai Britannici utili informazioni in merito ai movimenti dei battelli dell’Asse. La sua rete, allargatasi nel tempo e denominata Sea-Star, fu Rivista Marittima-Maggio 2012

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infine scoperta dai Tedeschi il 21 febbraio 1944. In occasione del processo, indetto a Fribourg-en-Brisegau, l’accusa germanica documentò la responsabilità di quella rete in merito agli affondamenti dei sommergibili U51, silurato dal battello inglese Cachalot davanti a Belle-île il 20 agosto 1940, Faà di Bruno (distrutto, secondo gli stessi Inglesi, su appuntamento, dal caccia inglese Havelock l’8 novembre 1940 a ponente del faro di Cordouan), Tarantini, silurato il 15 dicembre 1940 alla foce della Gironda dal battello britannico Thunderbolt, e Bianchi, affondato dal similare inglese Tigris il 5 luglio 1941, ovvero il giorno dopo la propria partenza da Bordeaux. Data la delicatezza della questione è comprensibile che non sia mai stato possibile fare piena luce sull’intera vicenda anche se Giuseppe Conti, a pagina 322 del suo Guerra di spie, scrive tra virgolette, riprendendo dagli atti del procedimento, che la D’Oriano «(…) per sua stessa ammissione, aveva già compiuto missioni spionistiche a Bordeaux,presso quella nostra base di sommergibili». Stosskopf, preso assieme a 108 altri elementi della propria rete informativa, fu torturato selvaggiamente e infine ucciso nel campo di concentramento di Struthof il 1 settembre 1944. Una fine orribile, peggiore, se possibile, di quella della D’Oriano e analoga all’agonia dei marinai del Tarantini rimasti bloccati a prora e che tentarono invano di uscire dal battello affondato prima di morire soffocati (5).

Il segno dei tempi

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saurite, in questo modo le quattro, tristi vicende di spionaggio ai danni della Regia Marina passate dall’Aula IV del Tribunale di Roma dedicata al Tribunale Speciale e concluse con la scarica del plotone di eseRivista Marittima-Maggio 2012

cuzione, è necessario registrare una curiosa evoluzione nel tempo di quegli stessi fatti. A due generazioni di distanza da quegli avvenimenti, infatti, il clima e il ricordo sono mutati, nel tempo. La primogenitura di questo stato di cose, destinato evidentemente a documentare la fine, psicologica, delle grandi tensioni italiane legate alla seconda guerra mondiale, spetta alle iniziative, messe in atto nel 1992, di iscrivere retroattivamente il povero Ugo Travaglia nelle file del socialismo e dei suoi martiri. Si trattava, in assenza di elementi che certo non emergono dalle carte processuali (dove una simile circostanza sarebbe stata, casomai, un’aggravante) dell’ennesimo frutto del complesso d’inferiorità provato dal vecchio PSI nei confronti del Partito Comunista sin dal pomeriggio del 26 aprile 1945, momento dell’entrata in Milano dei primi contingenti di duri dell’Oltrepo destinati a prevalere immediatamente sui pochi «partigiani di città» meneghini, «con le scarpe basse e la barba fatta» tosto accusati di scarso mordente e, soprattutto, «di voler fare al rivoluzione d’accordo con la Muti e la Decima MAS». La repentina fine, di lì a poco, di quel partito non avrebbe comunque riposto nel dimenticatoio quel remoto caso del 1933. Altri autori, infatti, avrebbero ripreso quella storia ponendo, questa volta, nel ruolo dell’eroina, la presunta «Mata Hari», Camilla, facendone, con disinvoltura, una protagonista dell’antifascismo in nome del femminismo. Il medesimo merito sarebbe stato riconosciuto, in seguito, anche alla povera D’Oriano. Ferma restando la necessità, per qualsiasi giornalista, di edulcorare i fatti per vendere i propri prodotti, resta tuttavia da chiedersi se questo favore a posteriori sia del tutto opportuno. Politici navigati e di gran vaglia come, per esempio, Togliatti e La 73

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Malfa, infatti, oggi annoverati tra i padri nobili della Patria, furono infatti sempre attentissimi nell’evitare, durante e dopo la guerra fino a tutti gli anni Sessanta e Settanta, qualsiasi coinvolgimento dei partiti comunista e azionista (diventato, in seguito, repubblicano) con quei fourgons de l’adversaire carichi di fuoriusciti coperti d’infamia, non a caso, da Stendhal nonostante le contemporanee critiche di quel grande scrittore nei confronti di Bonaparte. Furono così volutamente dimenticate, per il bene delle istituzioni e la concordia dei cittadini, vicende importanti e di grande spessore umano quali l’attività di spionaggio e guerriglia svolta in Africa Orientale tra il 1939 e il 1940, per conto di Francesi e Inglesi, di un gruppo di combattenti d’eccezione reduci dalla Spagna ricordati in seguito, e pressoché clandestinamente, nel 1971, da Enzo Rava nel proprio I compagni. Parimenti trascurato fu pure il grosso appoggio logistico assicurato nel 1941, dopo la parentesi del Patto RibbentropMolotov, dalle cellule comuniste della Venezia Giulia ai partigiani sloveni sfociato, infine, dal 1942 in poi, nella lotta armata (6). E anche il tentativo messo in atto in Sicilia nella primavera 1943, nell’ambito della concentrazione antifascista, dagli esponenti comunisti Franco Grasso e Giuseppe Montalbano allo scopo di formare dei nuclei armati destinati a operare dietro le linee italiane e tedesche in vista della futura invasione, fu messo nel dimenticatoio, tanto più che in quell’occasione costoro scoprirono che i separatisti dell’isola (in contatto con gli Inglesi sin dai primi giorni del 1940) avevano già monopolizzato le armi e, soprattutto, gli uomini disposti a battersi in quel senso (7). Parimenti misconosciuto restò inoltre il ruolo giocato dai maquis formati da lavoratori e fuoriusciti italiani in Francia dopo il novembre 1942, 74

epoca dell’occupazione italo-tedesca della Zona libera francese. Eppure si trattò di un’azione assai più attiva di quella dei partigiani francesi — i quali totalizzarono in tutto, tra l’agosto 1941 e la fine del dicembre 1943 l’uccisione di appena 41 soldati tedeschi (8) — culminata nell’assalto presso Nizza a un furgone portavalori della IV Armata verificatosi l’11 maggio 1943 concluso con un grosso grisbì e con la morte di due carabinieri cui seguì una severissima inchiesta e l’arresto dei colpevoli, condannati nell’agosto 1943. Fu necessaria, per contro, una personalità controcorrente come quella di Indro Montanelli per dichiarare che nel giugno 1943 il Partito d’Azione stava tentando di formare una banda armata in Valsassina (9). L’iniziativa fallì sul nascere in seguito alla solita retata della polizia, ma non era in realtà la prima. Forti dei solidi legami messi in piedi ben prima della seconda guerra mondiale, i Britannici si aspettavano, infatti, dai pochi ma apparentemente determinati azionisti, molto di più. Già il 20 dicembre 1940 il ministro Hugh Dalton, Direttore del SOE (Special Operations Executive) aveva chiesto ai «suoi» milanesi di assassinare Mussolini nel corso di una visita del dittatore data per imminente nel capoluogo lombardo. La secca replica (They all will be killed!, ossia «Si faranno ammazzare tutti») formulata da Churchill nei confronti del piano e riportata nel proprio diario dello stesso Dalton va a sua volta messa a confronto con l’asciutta replica di quel disinvolto ministro, titolare del dicastero dell’Economic Warfare No doubt. But that is war. If they can add to the confusion and loss of morale, they will help us to a victory (10). Il mancato arrivo a Milano del Capo del governo italiano e una certa qual riluttanza dei congiurati provocarono, alla fine, la Rivista Marittima-Maggio 2012

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cancellazione dello schema sollevando l’irritazione di Dalton il quale avrebbe parlato, anche in seguito, fino al 1945, di «scarso ardimento» dei suoi Italiani (11). Convinto, alla fine, che chi fa sa sé fa per tre Hugh Dalton tentò nuovamente il colpo nell’agosto 1942. Il 26 di quel mese, infatti, tre commandos britannici sbarcarono nei pressi di Riccione dal sommergibile Turbolent con l’ordine di uccidere «Musso», in quel momento in villeggiatura nella cittadina romagnola, per poi raggiungere la Svizzera grazie ad alcune complicità locali. Catturati da uomini della Regia Guardia di Finanza poco dopo aver preso terra i tre finirono in un campo di prigionia, mentre il Primo Ministro italiano rientrò, subito dopo, a Roma in volo (12). La discrezione che ha avvolto, fino a ieri, queste iniziative azioniste è, di per se, tanto più spiacevole in quanto ha impedito, tra l’altro, per molto tempo di apprezzare l’importanza, ai fini storici e correnti, di un dialogo per così dire «socratico» verificatosi mediante uno scambio di lettere avvenuto nel gennaio 1942 tra il Foreign Office, ovvero il Ministero degli Esteri inglese, e il SOE. L’oggetto del contendere tra le due organizzazioni era il valore da attribuire alle promesse che i Servizi britannici, sempre tra loro divisi e in guerra, avevano formulato nei confronti dei loro interlocutori italiani, parimenti l’un contro l’altro armati, anche se accumunati dal comune desiderio di liberare l’Italia dal fascismo e di prendere il potere al suo posto. La serena e conclusiva risposta del Ministro degli Esteri inglese fu quella di non preoccuparsi troppo. L’unico scopo delle varie promesse più o meno generose fatte era, infatti, soltanto quello di determinare una …German occupation della penisola in seguito a una crisi politica romana. Dopo di che il peso delle successive, reciproRivista Marittima-Maggio 2012

che uccisioni tra i due ex partner dell’Asse e le relative distruzioni avrebbero messo comunque gli Italiani superstiti nella condizione di non poter più pretendere, in ogni modo, nulla da Londra, neppure nel caso, giudicato possibile e auspicabile, di un successivo analogo rivolgimento in Germania destinato finalmente a spianare la strada a un’ala ragionevole del partito nazista in vista di un rinnovato accordo anglo-tedesco da sottoscrivere sui cadaveri francese e italiano sul genere di quello santificato dal trattato navale tra Londra e Berlino del 18 giugno 1935, successivamente rovinato dalle mene del «diavolo grosso» Mussolini (13). 75

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Audiatur et altera pars

Esaurita in questo modo la doverosa ana-

lisi delle intenzioni immediate e di lungo moto degli avversari e dei loro più o meno consapevoli strumenti, è ora opportuno domandarsi cosa è successo, contemporaneamente agli episodi di spionaggio verificatisi ai danni della Regia Marina documentati in precedenza, dall’altro lato della collina. I Francesi eseguirono sbrigativamente, nel 1944 e nel 1945, una lunga serie di fucilazioni per spionaggio e tradimento che interessarono, in primo luogo, numerosi corsi, oltre ad alcuni Italiani, tra i quali la figlia dell’ammiraglio Giulio Vannutelli, giudicata colpevole di «crimini contro la Marine Nationale». Gli Inglesi furono parimenti discreti. La cronaca ricorda, tra gli altri, oltre al caso dello sfortunato irredentista maltese Carmelo Borg Pisani, medaglia d’oro e ben noto in Marina, impiccato nel novembre 1942, il capitano dei Seaforth Highlanders Norman Baille-Stewart, spia al soldo dell’Asse e, dopo la fuga in Germania, commentatore radiofonico da Berlino durante la guerra o, ancora, Theodore Schurch, iscritto alla British Union of Fascist e informatore dei Servizi italiani in Inghilterra sin da prima della guerra. Soldato in Nord Africa e preso prigioniero a Tobruch nel giugno 1942 si mise immediatamente in contatto con il SIM operando già dalla fine di quello stesso mese come finto ufficiale britannico riuscendo, in questo modo, a raccogliere diverse utili informazioni nei vari campi contumaciali di prigionia dove venivano confinati i nuovi arrivi. Tra i suoi «clienti» più ingenui figurò il fondatore dei celebri SAS David Stirling, preso dai cavalleggeri di Monferrato in Tunisia nel gennaio 1943 (14). Schurch proseguì quest’attività in Italia fino al 1945 e fu impic76

cato in patria il 4 gennaio 1946. Non diversa fu la sorte di John Amery, figlio di Leo, ministro per l’India del gabinetto di guerra di Churchill. Fondatore, durante la guerra, del Britisches Freikorps delle SS, fu altresì un attivo propagandista in Italia. Catturato a Milano il 29 aprile 1945 fu impiccato a Londra il 19 dicembre 1945. La sentenza pronunciata il mese precedente dal presidente dell’Alta Corte criminale Justice Humphries: «Hai tradito la Corona e il tuo Paese, e pertanto hai perso il diritto a vivere» potrebbe essere definita tacitiana, ance se un po’ brutale e non proprio in linea con l’attuale buonismo vigente in Italia (ma non in Gran Bretagna, dove ancora oggi i bambini festeggiano, il 5 novembre, lo squartamento in piazza del cattolico Guy Fawkes, protagonista della fallita «Congiura delle polveri» contro il parlamento protestante). La medesima sorte capitò a Duncan Scott-Ford, un marinaio dell’incrociatore Gloucester nel Mediterraneo durante il 1940; lo sventurato, infatti, dimostrò un’eccessiva passione per donne troppo costose per la propria modesta paga precipitando ben presto in un vortice di furti e, infine, tradimenti e modesti segreti passati al nemico per qualche spicciolo che lo portarono, il 3 novembre 1942, a salire i tredici gradini della forca. Altri casi, come quello del capitano dell’Indian Army Patrick Stanley Vaughan Heenan, agente al soldo dei Giapponesi sin da prima della guerra scoppiata, infine, nel 1941 centro quel Paese, furono per contro sbrigativamente liquidati a botta calda nel corso del consueto «tentativo di fuga». Non è viceversa mai emerso il nome del sottufficiale del cacciatorpediniere inglese Decoy che una notte del novembre 1938 passò, a Shanghai, il primo dei due volumi (ovvero il cifrario) del Naval Chypher. Rivista Marittima-Maggio 2012

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Quella pubblicazione, contenente gli indirizzi, i nomi dei comandanti, delle unità navali, delle autorità destinatarie, i numeri, le date e i gradi e i primi di latitudine e longitudine, facilitò molto, assieme alla tabella delle frequenze, fotografata anch’essa in quella stessa occasione, l’opera di ricostruzione delle nuove tabelle di sopracifratura dei decrittatori italiani fino al 20 agosto 1940 in quanto il Naval Chypher (denominato in seguito No 1) era il principale codice della Marina britannica ed era in dotazione comune a tutta la Royal Navy a livello planetario. L’intera operazione fu ideata e diretta dal capitano di fregata Francesco Camicia, comandante dell’avviso Lepanto di stanza in Cina (15). Gli Statunitensi ricordano a loro volta, ancora oggi con raccapriccio, Rita Zucca, in arte Axis Sally, la voce più sexy della radio durante l’ultimo conflitto mondiale. Speaker italo-americana della radio milanese tra il 1942 e il 1945 svolse una non dimenticata opera di propaganda tra i soldati dell’US Army in Nordafrica e in Italia annunciando, tra l’altro, la sera dell’8 luglio 1943, ai wonderful boys del 504° Reggimento paracadutisti dell’82ª Divisione aviotrasportata Statunitense, che erano attesi perché: «(…) i playboy da strapazzo del comando del colonnello Willis Mitchell hanno parlato troppo». «Sappiamo dove vi lancerete e vi prenderanno ragazzi, arrendetevi». Previsione puntualmente confermata la notte successiva con un totale di oltre cinquanta parà presi senza pressoché colpo ferire dal I Gruppo Squadroni Cavalleggeri di Palermo. Quanto al sottotenente Martin James Monti dell’USAAF, disertò col suo aereo il 13 ottobre 1944 parlando ogni sera, da allora in poi, alla radio con rara efficacia, tanto da essere definito, in seguito, the most famous propagandist associated with the Rivista Marittima-Maggio 2012

American Free Corps, ovvero quella fantomatica Legione George Washington delle SS che gli Americani hanno esorcizzato al pari del ricordo di Ezra Pound, massimo poeta statunitense del secolo Ventesimo e voce alla radio italiana tra il 1941 e il 1945, oltre che dichiarato estimatore dell’etica (ma forse la parola giusta sarebbe estetica) della Decima MAS e della Marina Repubblicana dopo l’8 settembre 1943 (16). Quanto alle Marine jugoslava ed ellenica il Reparto Informazioni dello Stato Maggiore curò sin dal 1919 l’infiltrazione di propri uomini, a partire dall’Accademia, con un particolare riguardo al comparto delle telecomunicazioni. Il risultato di questi sforzi facilitò grandemente, in pace e in guerra, dagli anni Trenta in poi, la lettura dei codici di quelle Marine balcaniche, salvo pagare ulteriori dividendi nel 19401941 a partire dalle paralisi delle comunicazioni che afflisse la piccola flotta di Belgrado e che ridusse il capo di Stato Maggiore di quella Marina, l’ammiraglio Julian Luterotti, a un naufrago isolato e ramingo tra le montagne della Bosnia mentre le sue navi (inclusi i sommergibili Ostvenik, Smeli e Hrabri) cadevano intatte in mano italiana il 17 aprile 1941. Data la molteplicità e il livello degli episodi appena ricordati appaiono pertanto fuori posto certe polemiche che stigmatizzano gli episodi documentati verificatisi in Italia citando, per contro, per esempio e modello le altre Marine e, più in generale, le varie nazioni coinvolte in quel medesimo conflitto.

Doppio gioco

Uno dei maggiori pericoli connessi al

complicato gioco delle spie è quello degli agenti doppi. Di per sé inevitabili e, anzi, 77

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indispensabili, costoro sono infatti esposti, tra i tanti rischi, anche a quello di finire sotto processo in quanto la riservatezza più assoluta circa il loro vero ruolo è la condizione necessaria e sufficiente della loro stessa attività. Appare esemplare, sotto questo aspetto, la vicenda dell’allora guardiamarina Goliardo Zanfranceschi, offertosi volontario nel 1933 per recitare la parte, di sapore piuttosto letterario, dell’ufficiale giovane, scioperato e facilmente accalappiabile, per qualche tempo, dai Servizi avversari. Il contatto, ai danni dei Francesi, riesce e la cosa si chiude, apparentemente, nel giro di qualche mese. Nel gennaio 1939, però, il suo nome torna buono, in quanto già schedato in precedenza come possibile fonte dal Duexième Bureau, per l’opera di infiltrazione e pedinamento della rete che porterà, alla fine, a decine di arresti e alla fucilazione di Cocozza e Ghezzi. Chiamato in correo dalla difesa degli imputati l’ufficiale, diventato nel frattempo comandante di sommergibili e giudicato sempre potenzialmente utile per ripetere ancora una volta il gioco, dovrà aspettare l’occupazione della zona libera della Francia del novembre 1942 per poter essere finalmente prosciolto, il 23 del mese successivo, mediante un atto di «giustizia di gabinetto». Proprio per evitare in futuro altre analoghe grane l’ammiraglio Domenico Cavagnari, capo di Stato Maggiore della Marina tra il 1934 e il 1940, dispose, per il seguito, che in vista dell’allestimento di altre simili trappole, la parte dell’ufficiale troppo brillante e potenzialmente traditore fosse interpretata da personale, appositamente addestrato, non appartenente alla propria Forza Armata. E fu per questo motivo che nel 1939 il capitano dei Reali Carabinieri (poi generale dell’Arma) Giuseppe Scordino indossò fittiziamente la divisa della Ma78

rina per risalire le maglie della maggiore rete francese in quel momento attiva in Italia fino all’arresto di tutti gli elementi individuati nel maggio 1940. Non diversa fu la sorte di un altro ufficiale di Marina, questa volta nei ruoli della riserva, Paolo Tur, fratello del più noto ammiraglio Vittorio Tur e residente, sin dal 1922, in Francia, dove viveva in odore di antifascismo. Avvicinato dai Francesi (per conto dei Britannici) nell’estate 1940 fornì loro, per un anno, probabilmente per arrotondare, pezzi e bocconi dell’Almanacco Navale suscitando, alla fine, la reazione irritata di Londra, finalmente svegliatasi. Il gioco riprese, a un più alto livello, nell’autunno 1941, dopo che il controspionaggio della Marina italiana aveva scoperto alcuni microfoni francesi nascosti nei locali della Commissione d’armistizio in Francia e in Tunisia. Contemporaneamente, inoltre, i Carabinieri avevano individuato in flagranza di spionaggio un’avvenente trentenne marsigliese trapiantata a Parigi, Marie-Madeline Méric, moglie di un ufficiale superiore e soprannominata Hérisson (Istrice), intenta a carpire informazioni presso il nucleo della Commissione navale italiana di Hyères. Sorvegliata, da allora, a sua insaputa, la donna permise di arrestare, di lì a poco più di un anno, oltre trenta esponenti del réseau Alliance, (detto, dagli Italiani, la rete de «Gli animali» data l’abitudine di usare nomi di copertura che spaziavano dall’aquila allo struzzo) onore e vanto, ancora oggi, della letteratura spionistica francese, nonostante l’attività di quei volonterosi resistenti d’integerrima fede nazionalista, sparsi lungo la Costa Azzurra e legati anche alla confraternita Sea-Star ricordata in precedenza, sia stata, in realtà, uno dei più clamorosi fischi transalpini dell’ultima guerra (17). Da allora, infatti, incominciò un complesso gioco, del genere «parlare a suocera affinché nuoRivista Marittima-Maggio 2012

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ra intenda», diretto dal responsabile della commissione, l’ammiraglio Vincenzo De Feo, durato fino al novembre 1942. Dopo l’occupazione della Provenza, infine, i Francesi del generale Giraud avanzarono, all’inizio della primavera 1943, passando per Tur, vaghe proposte in vista di una pace generale di compromesso in Europa che avrebbe dovuto risparmiare il più possibile gli interessi di Roma e Parigi. Data la delicatezza della questione furono prontamente informati il capo di Stato Maggiore, ammiraglio Arturo Riccardi, il titolare del Servizio Informazioni Segrete della Marina, l’ammiraglio Franco Maugeri, e il Capo del governo. Il governo del Nordafrica francese, ancora nominalmente fedele al Maresciallo Pétain, affermava, in buona sostanza, che una pace europea o, quantomeno, italiana era possibile chiedendo, in cambio dei propri buoni uffici, che fossero risparmiate dalla demolizione le due navi di linea moderne della Marine Nationale sabotate a Tolone in vista di un loro recupero dopo la guerra. Soprattutto domandavano che fossero risparmiati i pezzi di grosso calibro di quelle navi. L’idea dell’esecutivo di Algeri era, infatti, quella di riparare e completare, a spese degli Stati Uniti, sulla scia di quanto stava già avvenendo, in quel momento, con la gemella Richelieu, anche la moderna nave di linea Jean Bart, a quel tempo adagiata sul fondo a Casablanca, per poter partecipare a pieno titolo, nel 1945-1946, con un’omogenea divisione sotto il proprio comando, alla guerra del Pacifico contro i Giapponesi allo scopo di conservare in questo modo il proprio impero indocinese. Disposto come sempre a dar corda a qualsiasi possibilità, per quanto fievole, pur di uscire dal ginepraio della guerra mondiale dopo l’entrata degli Stati Uniti nel Mediterraneo, Mussolini diede il proprio assenRivista Marittima-Maggio 2012

so riservandosi, come nel caso di altri funkspiel e utilizzi di agenti doppi, di dirigere personalmente la cosa (18). Allo scopo di alimentare questa pianticella così promettente e di compromettere, allo stesso tempo, anche il parallelo servizio segreto degaullista, in quel momento intento a combattere una lotta mortale con i rivali di Algeri, si decise, nell’aprile 1943, di passare ai transalpini, a mo’ di prova di buona volontà, una serie di documenti già compromessi, ovvero quegli stessi disegni del torrione del Littorio già copiati e inviati in Francia nel 1939, da un disegnatore dell’Ansaldo. In realtà i Francesi si stavano facendo delle grosse illusioni. Gli Americani, già occupatissimi con l’incubo logistico del Richelieu (voluto da Roosevelt e non dall’US Navy) avevano infatti già detto, chiaro e tondo, che non intendevano sprecare altro tempo e denaro per lo Jean Bart, tanto più che quella nave aveva una sola torre ed era priva di pezzi di grosso calibro. Per niente scoraggiati (19) i transalpini spiegarono, a loro volta, che quell’unità era destinata a servire, un giorno, contro i Giapponesi e non in Europa; l’unità avrebbe potuto essere pertanto dotata dei pezzi da 330 mm dei «Dunkerque» qualora fossero stati trovati, tra tutti, dopo la fine delle ostilità, quattro o cinque cannoni di quel tipo ancora efficienti; in alternativa, sempre secondo il governo francese del Nordafrica, si sarebbe potuto ricorrere, non si sa a quale titolo, ai pezzi di riserva delle «Littorio» della Regia Marina. La polizia italiana (e non i Carabinieri, come è stato scritto da qualche commentatore poco informato) (20) arrestò però, tra l’aprile e il maggio 1943, nell’ambito di indagini di tutt’altro tipo, tutti i componenti della rete degaullista prima che fossero passati i documenti al nemico (21) arrivando, ben presto, anche al 79

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Tur. Subito dopo i vertici del Servizio Informazioni Militari dell’Esercito si impadronirono della vicenda e si affrettarono a depositare il malloppo sulla scrivania dello stesso Mussolini il quale, probabilmente sospirando, prese atto della cosa e passò l’incartamento alla Marina «per competenza» (22). Lo scandalo, ovviamente, fu grosso e, a scanso di guai con i Tedeschi (oltre che per la natura, tutto sommato piuttosto velleitaria, delle proposte filtrate da Algeri) il Primo Ministro italiano decise, infine, il 10 giugno 1943, di far mozzare con la fiamma ossidrica i cannoni del Dunkerque mentre quelli, sabotati senza speranza di riparazione, dello Strasbourg rimasero, apparentemente, intatti. L’ammiraglio Tur, caduto in disgrazia, fu trasferito a Napoli e suo fratello finì, in pendenza di giudizio, in prigione fino al maggio 1944. Soltanto allora Mussolini, a cadavere ancora caldo degli ammiragli Campioni e Mascherpa (fatti fucilare a Parma in nome della ragion di Stato e per dare una «spiegazione» all’andamento disastroso della guerra avallando, con quell’esecuzione, la leggenda del tradimento di Supermarina) si decise, su pressioni della Decima, a far rilasciare, con tante scuse, il minore dei fratelli Tur, anche se costui dovette aspettare gli anni Cinquanta per risolvere definitivamente la propria questione personale, sia dal punto di vista legale sia amministrativo. In realtà, però, i contatti italo-francesi in vista di una pace di compromesso che tutelasse entrambe le nazioni latine non cessarono mai. Dopo la pausa del maggio-giugno 1943, infatti, essi ripresero su iniziativa della Regia Aeronautica culminando, nell’agosto di quello stesso anno, in un doppio canale informativo con Algeri gestito dal SIA (Servizio Informazioni dell’Aeronautica) (23) fino a quando anche 80

questo contatto non fu brutalmente troncato dal generale Ambrosio, capo di Stato Maggiore Generale, e da Badoglio allo scopo di assicurare al generale Castellano il monopolio delle trattative armistiziali. Fermo restando il fatto che i Francesi ci restituirono la cortesia nel giugno 1948 quando insistettero più di tutti gli altri per ottenere, senza ulteriori ritardi, il taglio dei cannoni di grosso calibro delle due «35.000» italiane superstiti, l’intero schema appena descritto non fu mai rivelato al comandate del Servizio Informazioni Militari dell’Esercito, il generale Cesare Amé. La rigida riservatezza operativa sempre osservata dalla Marina nei confronti degli altri Servizi italiani, al di là dei periodici contatti dei relativi vertici e dell’attività, modesta, degli ufficiali di collegamento, fu infatti sempre rispettata. Non si trattò di una precauzione sbagliata a giudicare, per esempio, dal suicidio ad Atene, nel maggio 1943, del generale Donato Tripiccione, già capo del SIM tra il luglio 1937 e l’agosto 1939, dopo che il controspionaggio aveva scoperto una bionda inglese «spia patentata» annidata, assieme ad altre allegre colleghe, nel vertice del comando dell’XI Armata italiana nella capitale greca (24), tosto sostituito in toto confinando agli arresti domiciliari anche l’ex comandate dell’armata, il generale Carlo Geloso, e affidando l’inchiesta al sempre severissimo e temibile ammiraglio Cavagnari. Amé tuttavia, perso sin dalla fine del 1940 dietro al sogno impossibile di un’unificazione di tutti i Servizi sotto un’unica direzione, la sua, destinata a trasformarlo in un capo onnipotente, non accettò mai le scelte, giudicate arroganti e snobistiche, della Marina. Di conseguenza le sue memorie non mancano mai di stigmatizzare, neanche tanto velatamente, l’operato del Reparto Informazioni dello Stato Maggiore Rivista Marittima-Maggio 2012

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della Regia Marina formulando nelle proprie memorie ricordate in bibliografia critiche e accuse come «Nulla veniva modificato nei riguardi della competenza in materia (difensiva, nda) della Marina e dell’Aeronautica»; «Il SIM era l’organo che per esperienza e preparazione aveva capacità di presidiare, indirizzare e sviluppare tale attività. Il suo compito, peraltro, come ho detto, era limitato al campo dell’Esercito; — un complesso difensivo apparteneva al Servizio informazioni della Marina ed era da questo direttamente azionato. Oltre a mansioni specifiche di polizia militare, esso svolgeva attività di controspionaggio circoscritta ai territori di interesse militare marittimo e cioè basi navali, piazze marittime e stabilimenti appartenenti alla Marina»; «Il Servizio Informazioni delle Marina mantenne costante atteggiamento di intransigenza nei riguardi della autonomia della sua attività di controspionaggio e della esclusività di azione dei suoi organi nelle zone di sua competenza»; «Tali reti risorsero poco dopo e operando per conto del Servizio inglese furono molto dannose a noi nel campo navale, come dirò in seguito»; «Solo dopo la liberazione fu dato infatti conoscere che nel corso degli anni 1941 e 1942 il Servizio francese della resistenza era venuto in possesso di numerose informazioni di alta importanza navale passate agli Inglesi e da questi considerate preziose per la condotta delle operazioni contro la flotta italiana nel Mediterraneo»; «Intanto, mentre si sviluppava il conflitto, andava facendosi più viva l’attività offensiva del Servizio nemico nel campo navale. Sintomi ed elementi sempre più numerosi e chiari lo facevano comprendere»; «Nessuna forma di collaborazione (difensiva con la Marina) venne peraltro né ordinata, né promossa, né richiesta che valesse a dare unità e convergenza all’azione». Queste affermazioni alRivista Marittima-Maggio 2012

tro non erano, come sappiamo oggi, che l’eco degli incontri periodici tra i generali Amé e Cavallero verificatesi nel 19411943, e documentate nei Diari del Comando Supremo, durante i quali i due personaggi (ben presto spalleggiati dai Tedeschi) si ripetevano l’un altro, secondo quanto appare dagli ordini del giorno di quei colloqui, che le perdite subite dal traffico con il Nordafrica non potevano essere causate che dallo spionaggio avversario (25), nonostante l’opinione contraria del contrammiraglio Maugeri, titolare dei servizi della Marina dal giugno 1941, il quale propendeva, casomai a favore di un intelligente utilizzo, da parte britannica, della ricognizione fotografica e di decrittazioni dei codici dell’Aeronautica e dell’Esercito, giudicati tutt’altro che sicuri nonostante i ripetuti ammonimenti in questo senso avanzati dal Reparto Informazioni della Marina. Trattandosi di uomini nati entrambi nell’Ottocento ed essendo, ovviamente, ignari delle decrittazioni britanniche nei confronti delle macchine cifranti tedesche e italiane, i generali italiani possono, peraltro, essere facilmente compresi e scusati. Per costoro, infatti, (nonostante l’esperienza corrente dei buoni risultati ottenuti dai decrittatori dell’Esercito nel campo tattico in Africa) non poteva esserci, a livello di categoria mentale diffusa in merito a un fenomeno così vasto come il traffico navale nel Mediterraneo, una spiegazione diversa da quella delle cosiddette «barbe finte» così come avvenne ancora, puntualmente, dieci anni dopo, per Trizzino con il suo Navi e poltrone. Amé conservò comunque il dente avvelenato nei confronti della Marina anche diversi anni dopo la guerra, tanto da pagare di tasca propria, durante gli anni Cinquanta, un lunghissimo memoriale di Paolo Tur venduto da costui al generale dei Carabinieri Giuseppe Pièche quando quest’ultimo 81

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ricopriva il ruolo di responsabile della sicurezza di una nota impresa torinese. Si trattò di quattrini sprecati. In realtà quello che veniva contestato non era il fatto che la Marina fosse oggetto di contatti e vere e proprie offerte armistiziali da parte degli Angloamericani. Ciò avvenne, in effetti, da parte statunitense, nell’agosto 1943, quando gli Americani indirizzarono una lettera in questo senso all’ammiraglio Massimo Girosi; missiva fatta subito propria dal generale Ambrosio all’insaputa del capo di Stato Maggiore della Marina, l’ammiraglio Raffaele de Courten. Un’altra, distinta ed esplicita offerta fu inoltre avanzata, il 30 agosto 1943, data l’ormai grossa premura di Washington a sistemare le cose nel Mediterraneo, dall’addetto navale dell’US Navy a Lisbona al proprio omologo italiano; anche questo contatto fu peraltro lasciato cadere, il 3 settembre, da De Courten, non appena fu informato dell’accaduto dall’ammiraglio Maugeri) (26), quanto che gli avversari preferissero rivolgersi, per i loro feelers, a quella Forza Armata anziché all’Esercito. Sin dall’autunno 1942, infatti, se non addirittura dal novembre 1940, era in corso a Roma una furiosa gara a gomitate tra le varie fazioni del fascismo, i generali, esponenti di Casa Savoia e i massimi imprenditori italiani per arrivare primi al traguardo, giudicato politicamente vincente, di una pace separata con gli Anglosassoni. Proprio il SIM di Amé, tra l’altro, dopo aver arrestato, nel settembre 1942, in flagrante reato di spionaggio, la fascinosa contessa polacca Maria Christina Sapieha (nata Radzwill e imparentata con la casa reale portoghese dei Braganza), aveva pensato bene, dopo aver appreso che la stessa era in contatto anche con gli Statunitensi, di relegarla agli arresti domiciliari all’Excelsior senza mai mancare di farle avere con regolarità fasci di rose rosse allo sco82

po di assicurarsi un possibile canale con Washington (effettivamente attivato, nell’estate 1943, sotto la direzione del generale Giulio Fatterappa Sandri, asso del controspionaggio del SIM e corrispondente del Corriere della Sera), per conto della Principessa di Piemonte fino a quando il generale Castellano non riuscì, ai primi di agosto, a bloccare anche questo schema inducendo il Re a relegare la poco amata e invadente nuora a Sant’Anna di Valdieri) (27). Alla fine, come è noto, Amé fu allontanato lui pure, il 18 agosto 1943, dalla direzione del SIM (affidata al generale Giacomo Carboni) e destinato ad assumere il comando della divisione Cacciatori delle Alpi a Lubiana. Si trattava di un ruolo delicatissimo visto che la Slovenia era proprio la cerniera dell’atteso congiungimento (nel caso l’armistizio italiano fosse stato tosto seguito, come si credeva in quel momento, dalla caduta di Hitler e da una pace generale successiva a un nuovo novembre 1918 tedesco) tra la nuovamente indipendente Austria e gli Inglesi (28), ma Amé pensò bene di non assumere quell’incarico. Probabilmente quel navigato ed esperto ufficiale, esponente — proprio a Vienna — dei Servizi sin dagli anni Venti e da sempre aggiornato, al pari dei propri colleghi Mario Roatta (capo di Stato Maggiore dell’Esercito) ed Efisio Marras (in quel periodo addetto militare a Berlino), di quanto stava realmente bollendo in pentola in Europa dal 1930 in poi, aveva già intuito quello che stava per succedere: ovvero che la dilettantesca e gelosa gestione da parte dei generali Ambrosio e Castellano dell’armistizio avrebbe inevitabilmente schiacciato l’Italia tra il martello tedesco e l’incudine britannica nonostante la buona volontà degli ingenui Statunitensi. Fermo restando il fatto che il doppio gioco è la materia prima di qualsiasi operaRivista Marittima-Maggio 2012

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zione segreta è evidente, a questo punto, che la Regia Marina non ebbe — per precisa volontà propria — alcuna parte nella confezione del disastro armistiziale. Le attività di double cross, come dicono i Britannici, furono casomai quelle, diciamo così, istituzionali. Spicca, tra queste, la riuscita infiltrazione delle reti informative inglesi tra gli operai d’origine slovena dei cantieri di Monfalcone e di Trieste ancora oggi ben documentate dai rapporti dell’Intelligence conservati al PRO. Basti pensare, per esempio, alla grossa soddisfazione con cui, il 7 aprile 1942, il Foreign Office comunicò all’Ammiragliato, da Berna, che i suoi uomini avevano appreso che erano

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stati impostati a Monfalcone five destroyers e che, a memoria dell’informatore, era la prima volta che dei cacciatorpediniere erano ordinati laggiù. Si trattava, in realtà, di corvette, ma la notizia era ritenuta ancora buona a Londra l’anno successivo (29). Il capolavoro di quest’opera di «intossicazione» delle fonti slovene fu però un rapporto, planato il 9 dicembre 1941 sulla scrivania del Primo Lord del Mare, l’ammiraglio sir Dudley Pound, che stabiliva definitivamente il fatto che la nave da battaglia Cavour, dopo il siluramento di Taranto dell’anno prima, era stata riparata e che avrebbe ripreso servizio, una volta addestrato nuovamente l’equipaggio, di lì a tre mesi. A partire dalla primavera 1942, pertanto, sarebbe stato necessario conteggiare nuovamente anche quell’unità nel totale, già giudicato pericolosamente alto, delle corazzate dell’Asse in Europa (30). Anche la successiva pianificazione, fatta all’inizio del giugno 1942, dei due convogli inglesi per Malta dava il Cavour operativo, assieme alle altre tre navi di linea ammodernate italiane e a una «35.000» (in realtà erano due) (31) mente il manuale Restricted statunitense ONI 202 del febbraio 1943 riportava alcune fotografie in navigazione del Cesare scattate dalla ricognizione aerea nel 1941 con la didascalia Cavour. Ancora all’epoca dello sbarco in Sicilia gli Anglo-americani ritenevano che i due «Cesare» fossero entrambi disponibili e tenuti in Adriatico al riparo dalle incursioni aeree salvo poter passare nel Mar Jonio a seconda delle necessità laddove il Cesare era, in realtà, dal gennaio 1943, adibito a nave scuola cannonieri a Pola in precarie condizioni di efficienza mentre il Cavour, una volta ripresi i lavori di nuovo ammodernamento sospesi nel giugno 1943, non sarebbe stato completato prima di sei mesi. 83

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Notevole fu pure l’attività del comune di 1ª classe Floriano Ghirlandini del SIS (nome di copertura dato dal contrammiraglio Maugeri al Reparto Informazioni nel giugno 1941), il quale, abilmente infiltratosi correndo rischi enormi, «aveva fatto arrestare, nel primo semestre 1943, centinaia di partigiani slavi» (32).

Il traditore senza volto

Dopo aver esaminato alcune delle innu-

merevoli sfaccettature che caratterizzano sempre l’attività dell’intelligence, è ora opportuno tornare all’argomento oggetto di queste pagine: i traditori nell’ambito navale e la loro sorte per far luce, per la prima volta in assoluto, in merito a una delle più dibattute vicende relative a quest’argomento spinoso: la notte di Taranto. Pochi giorni dopo quel riuscito e irripetibile attacco aeronavale britannico (33) il Reparto Informazioni apprese, leggendo un messaggio del Naval Intelligence inglese cifrato con un codice, il «No 1 S.P. o 23 o 7 P Blok» (34), acquistato qualche tempo prima tramite un intermediario in Svizzera, che il successo dell’azione era stato assicurato dalla collaborazione di un alto ufficiale di Supermarina. La vicenda è nota essendo stata divulgata, a suo tempo, da una pellicola di successo e da un eccellente libro di memorie, Uomini ombra, del comandante Mario de Monte, pubblicato nel 1955 (35). Un po’ meno noto è, per contro, il fatto che un’identica notizia pervenne contemporaneamente, alla Pubblica Sicurezza, come ricordò nel 1961, Guido Leto, all’epoca Capo dei Servizi politici e investigativi della Direzione Generale di Polizia, nel suo Polizia segreta in Italia scrivendo che: «Una fonte modesta ma preziosa (…) mi informò che esisteva una Fonte Roberts 84

che comunicava agli Inglesi notizie di altissimo interesse per la Marina (…) successivamente fu possibile intercettare qualche comunicazione radio, che confermò in pieno l’importanza dell’affare. Il Capo della Polizia rese edotto, oltre che Mussolini, il Sottosegretario di Stato alla Marina che pare, per altra via, ne fosse informato (…)». Alcuni elementi di Supermarina (cinque in tutto, tra i quali un ufficiale, cugino dell’industriale Olivetti, in odore di antifascismo radicale) furono allontanati. Poche settimane dopo seguì un nuovo telegramma «P Blok» che riferiva di una truculenta riunione di gerarchi nazisti in Austria dove si sarebbe parlato apertamente di approfittare della crisi italiana in Grecia in corso in quel periodo per riannettere, brutalmente, l’Alto Adige e, magari, anche Trieste. La misura era ormai colma e le reazioni di Mussolini pressoché incontrollabili quando, fortunatamente, i decrittatori della Regia Marina e, in particolare, l’allora capitano di corvetta Luigi Donini, riuscirono a venire a capo del mistero. La Royal Navy, come è stato ricordato in precedenza, aveva adottato nell’agosto 1940 sia un nuovo Cypher sia un nuovo Code oscurando efficacemente, in questo modo, modo, i propri telegrammi più importanti. Nell’attesa di riuscire a ricostruire, con pazienza, il cifrario e i vermi di sopracifratura delle tabelle, i decrittatori italiani e tedeschi avevano aggredito i codici minori avversari (ogni Marina aveva, mediamente, in contemporaneo servizio almeno una dozzina di codici, di maggiore o minore sicurezza e importanza). Il nuovo codice amministrativo appariva, tra tutti, quello potenzialmente più interessante, ma fino alla fine di novembre non era stato possibile venirne a capo. Il 30 di quel mese, improvvisamente, Donini ebbe un’intuizione folgorante, ben presto confermata Rivista Marittima-Maggio 2012

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nel corso di alcune ore di lavoro intensissimo. Il cifrario (ovvero il vocabolario) del nuovo Administrative Code era, in realtà, il vecchio amico Chyper (ora ribattezzato 1) acquistato in Cina nel 1938. Come gli Inglesi avrebbero confermato dopo la guerra il vecchio 5-Figure code (ovvero a gruppi di 5) era semplicemente stato riutilizzato tale e quale come 4-Figure eliminando la prima cifra. Entro una settimana fu così possibile leggere diversi nuovi telegrammi che, messi a confronto con analoghe informazioni rilevate dal «P-Blok» evidenziarono tali e tante contraddizioni da destituire da ogni fondamento il presunto codice britannico comprato in Svizzera e utilizzato, in realtà, da Londra, sin dal principio, per svolgere opera di disinformazione. Due anni dopo la Regia Marina avrebbe reso la cortesia agli Inglesi (36), ma nel frattempo la questione fu considerata chiusa. Questa stessa storia tornò tuttavia d’attualità nell’ottobre 1942. Il primo di quel mese, infatti, come ebbe infatti modo di ricordare, nel 1993, William Millard, Senior Air Adviser, nel 1942, presso Bletchhley Park, l’oggi celebre sede dei servizi interforze di decrittazione inglesi, si verificò un fatto increscioso (37). In seguito a un piano lungamente studiato una squadriglia di cacciatorpediniere britannici salpò da Alessandria ai primi del mese allo scopo di intercettare nottetempo un convoglio italiano diretto a Tobruch la cui partenza era stata rivelata da un messaggio Enigma della Luftwaffe messo in chiaro da ULTRA. Di solito si provvedeva, in questi casi, a inviare in zona un ricognitore allo scopo di confermare la notizia e, soprattutto, di farsi notare, coprendo in questo modo la decrittazione. In quel caso, però, non fu possibile dar corso a quella copertura e, con disappunto (worrying), come scrisse il Millard, l’uscita andò a vuoto perché il Rivista Marittima-Maggio 2012

convoglio fu cancellato. Quest’episodio, per quanto minore, causò grande irritazione sia a Churchill sia all’Ammiragliato. Oltre a confermare, proprio alla vigilia della battaglia finale di El Alamein, la dannata sfortuna che perseguitò sempre, nel 1942-1943, l’ammiraglio sir Henry Harwood, successore di Andrew B. Cunningham alla testa della Mediterranean Fleet, destinatario oltretutto, in quell’occasione, di un pesante cicchetto da parte di Churchill in persona, la vicenda fu ulteriormente complicata dall’intercettazione di un messaggio avversario nel quale si esprimevano, per la prima volta …doubting the security of the Enigma cipher. Allo scopo di tutelare il segreto delle proprie decrittazioni l’intelligence inglese …contrived a notional agent in one of the Adriatic ports, ovvero denunciò un proprio agente attivo in un porto adriatico. Ancora una volta, peraltro, i Britannici confermarono la loro tendenza a strafare. L’informatore (un maresciallo della Regia Aeronautica presso l’idroscalo di Brindisi) fu infatti indicato, contemporaneamente, mediante i soliti contatti minori e buoni per tutti gli usi, sia al controspionaggio del SIM sia a i Tedeschi, i quali sollevarono immediatamente una furiosa polemica in merito alla rilassatezza della vigilanza dei loro alleati meridionali. Senza sospettare di essere stato usato, Amé si affrettò a recarsi dal maresciallo Cavallero rispolverando, per l’occasione, tutte le proprie critiche nei confronti della Marina e ottenendo seduta stante, il 9 ottobre 1942, la facoltà di «fare con i suoi agenti invasione in pieno di Brindisi e di Taranto», come riferisce il Diario del maresciallo Cavallero, nonostante il sottocapo di Stato Maggiore della Marina, l’ammiraglio Luigi Sansonetti, e il responsabile dei Servizi, Maugeri, escludessero il fatto che le notizie par85

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tissero dai porti propendendo, casomai, per indiscrezioni verificatesi a Roma, dove troppa gente, tra comandi e ministeri, conosceva troppe cose parlandone liberamente al telefono. In effetti l’oggetto del contendere era piuttosto modesto. I Centri CS (ossia controspionaggio) della Marina dipendenti dall’Ufficio E (retto, a sua volta, durante la guerra, dal maggiore dell’Arma Francesco Pontani, con come secondo il capitano Scordino ) erano 11 nel 1940 e dipendevano dai vari Dipartimenti. Formati da un ufficiale inferiore dei Reali Carabinieri e da una dozzina, al massimo, di uomini (inclusi alcuni informatori fiduciari nei porti e negli stabilimenti d’interesse per la Marina), dovevano occuparsi delle indagini specifiche e della repressione di attività spionistiche e sabotatrici, oltre che della propaganda antimilitare e dell’addestramento degli agenti destinati al servizio offensivo. Col tempo i CS aumentarono fino a 29. La clamorosa irruzione di Amé non sortì risultati di sorta, nonostante il 10 ottobre lo stesso Mussolini, sempre suggestionato, fino all’ultimo, dall’idea delle spie inglesi attive contro le navi di quella Marina che aveva creato, in vent’anni, con tanti sforzi e sacrifici, avesse ordinato di accentrare, con effetto immediato, l’accentramento di tutta l’attività di controspionaggio sotto la direzione e la responsabilità del responsabile del SIM. Questo provvedimento, a ogni modo, non era destinato a durare. Nel giro di qualche giorno, infatti, i vertici della Regia Marina persuasero il dittatore a cambiare, ancora una volta, idea. Superando l’opposizione del SIM la Forza Armata ricostituì un proprio servizio di Polizia Militare con struttura organica analoga a quella dei soppressi centri CS e compiti limitati all’azione preventiva riuscendo a combattere effi86

cacemente, in questo modo, diversi tentativi di sabotaggio britannici verificatisi tra la Tunisia e Napoli nella primavera 1943, come conferma il Diario del Comando Supremo alla data del 2 aprile 1943. Nel frattempo qualche ulteriore, importante dettaglio era emersa nel corso dell’interrogatorio di due Italiani, travestiti da ufficiali di Marina e al soldo degli Inglesi, catturati il 9 ottobre 1942 in Campania poche ore dopo essere stati sbarcati dal sommergibile P 37 proveniente da Malta. Si trattava dei fratelli Egone e Amauri Zaccaria, infine fucilati il 10 novembre 1942. Costoro, infatti, dopo aver preso terra clandestinamente in Calabria, avevano portato a Taranto, alla fine di febbraio del 1941, una valigia contenente una radio. L’apparecchio era stato ritirato proprio dal sottufficiale dell’aeronautica appena arrestato, la cui vicenda merita, a questo punto, una breve descrizione. In vista dell’attacco notturno di aerosiluranti, da lanciare mediante navi portaerei, contro Taranto, messo allo studio nel settembre 1940 i Britannici avevano bisogno, ovviamente, di informazioni aggiornate. La ricognizione aerea fotografica, indispensabile per questo genere di missione, aveva però incontrato ben presto grosse difficoltà. Un sorvolo a questo scopo effettuato dall’idrovolante quadrimotore «Sunderland N9020» il 1 novembre 1940 partendo da Malta si era concluso, infatti, con la perdita del velivolo, intercettato e abbattuto sopra Augusta da due «Macchi C. 200» del 1° Stormo. Le successive missioni di ricognizione sull’obiettivo furono pertanto effettuate dagli assai più veloci bimotori di costruzione statunitense «Martin Maryland» del 431 Flight di Malta, uno dei quali sfuggì di misura, il 7 novembre, a quattro «C. 200». Le fotografie scattate rivelarono una serie di macchie che potevaRivista Marittima-Maggio 2012

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no essere, forse, un inatteso sbarramento di palloni. Il Comandante in Capo della Mediterranean Fleet, davanti a quest’imprevisto, chiese, secondo quanto riferito da C. Babington Smith nella propria storia della ricognizione fotografica britannica intitolata Evidence in Camera, se potesse esserci un’altra via per accertare l’esistenza e le caratteristiche di quei problematici palloni ottenendo, come laconica risposta, un «No, assolutamente no». Questo brano indisse a sua volta il recensore del libro in parola per la Rivista Marittima, l’ammiraglio Aldo Cocchia, a scrivere, nell’aprile 1958, che: «È chiaro da questa risposta che i servizi britannici d’informazione avevano in Italia ramificazioni molto meno estese di quando non si sia vociferato in giro a guerra finita». La versione di quegli stessi avvenimenti narrata, tuttavia, l’anno dopo, da Don Newton e Cecil Hampshire nel proprio Taranto è diametralmente opposta in quanto costoro affermarono che, in realtà, l’esistenza delle misteriose macchie come palloni fu, dopo quel colloquio e prima dell’attacco, «confermata ufficialmente dal servizio informazioni e determinò le ultime varianti del piano d’attacco». Dopo aver ricorso all’Humint per questa bisogna gli Inglesi ordinarono inoltre al loro uomo, sempre sotto la minaccia di denunciarlo, di ritrasmettere, pochi giorni dopo, mediante la radio nella valigia che aveva in dotazione sin da prima della guerra, alcuni lunghi messaggi cifrati inviatigli avendo cura di farlo in un’area presso la città di Taranto. Dopo aver eseguito quest’ultimo, pericolosissimo compito avente l’evidente scopo di farlo intercettare e radiogoniometrare, il sottufficiale distrusse e disperse, come da istruzioni, l’apparecchio, salvo riceverne puntualmente uno nuovo tre mesi dopo. La nuova radio fu utilizzata, per il seguito, soltanto per ricevere fino a quando non soRivista Marittima-Maggio 2012

pravvenne l’arresto. Il sottufficiale, comunque, non arrivò al processo in quanto la formula utilizzata «colpito dal rimorso o dal destino» lascia supporre una fine, comune tragica, della sua vicenda. Chi scrive non intende, inoltre, divulgarne il nome per buoni motivi: il primo è che esiste una legge che impedisce la divulgazione delle generalità fino a 70 anni dalla morte degli interessati e il fatto di essere, evidentemente, l’unico a rispettarla non priva la norma di efficacia. Il secondo è che non mi sento, personalmente, sulla base dei pochi elementi che emergono dalla documentazione britannica (38), di formulare un giudizio. Qualunque sia stata la molla che ha spinto quell’uomo ad agire in quel modo, forse una donna — come spesso accadde i questi casi —, forse il denaro o, magari, entrambi, l’interessato ha pagato il prezzo massimo che si possa chiedere a un uomo, e ciò chiude la questione. Quello che vale la pena di ricordare, per contro, è che in ogni epoca qualsiasi traditore prezzolato, per quanto prezioso, abile o fortunato, può essere sempre venduto in ogni istante dal proprio controllore per favorire l’infiltrazione o la copertura di qualcun alto, magari meglio raccomandato o, addirittura, per proteggere al prezzo della sua vita un insieme di circuiti elettrici, tastiere e stampanti. Dopo quest’ennesima tragedia Amé poté scrivere, infine, nelle proprie memorie, che, dal punto di vista della sicurezza delle notizie sui movimenti navali italiani «(…) al principio del 1943 la situazione poté essere alquanto migliorata». Si trattò, in realtà, dell’invio, per il seguito, in Tunisia, del traffico cifrato mediante la macchina meccanica C 38 in dotazione alla Marina (e principale obiettivo dei crittografi britannici, data la constatata impenetrabi87

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lità dei cifrari convenzionali redatti dal Reparto Telecomunicazioni) ricorrendo al moderno cavo telegrafico sottomarino francese posato tra Tunisi e la Sicilia tagliato nel giugno 1940, appena ripristinato e non intercettabile.

Gli altri casi

A

questo punto è possibile accennare, brevemente e nell’ordine: — alla sentenza del 6 marzo 1961 che stabiliva l’innocenza dei capi di Stato Maggiore della Marina Domenico Cavagnari, Arturo Riccardi e Raffaele de Courten «in ordine ai fatti denunciati da Antonino Trizzino» coi suoi libri; — alla sentenza di condanna, nel 1967, nei confronti dello stesso Trizzino per la prefazione dell’edizione italiana del volume The Quiet Canadian, di Harford Montgomery Hyde, dove si denunciava con toni apocalittici il tradimento dell’ammiraglio Alberto Lais, già capo dei Servizi fino al 1939 e, in seguito, addetto navale a Washington, in quanto costui avrebbe passato a una procace spia inglese, detta Cynthia, il cifrario della Marina italiana provocando, così, la notte di Matapan. La consegna del codice sarebbe avvenuta in circostanze boccaccesche il giorno della partenza di Lais dagli Stati Uniti, dopo che era stato dichiarato «persona non grata» da Washington per attività clandestine laggiù. Fermo restando il fatto che non si capiva bene cosa se ne facesse, in America, l’ammiraglio del codice principale della Squadra, bastò esibire la pagina del New York Herald Tribune del 26 aprile 1941 con la notizia della partenza, quel giorno, di Lais, con tanto di fotografia scattata a bordo del transatlantico spagnolo Marques de Comillas, per chiudere la questione, visto che la notte di Ma88

tapan risaliva al 28 marzo 1941. Non ci voleva, d’altra parte, molto. Come ha scritto il professor Lucio Ceva, anni dopo, a questo proposito, non senza criticare, in merito a Matapan, il fatto che un certo autore di un libro apparso nel 1981 omettesse: «(…) e non ne vediamo la ragione — l’apporto arrecato dalla lettura del messaggio della Luftwaffe sul concentramento dei caccia bimotori in Sicilia» che diede l’avvio all’intera vicenda, liquida la storia di Cynthia come una delle tante «favole» e «panzane» britanniche in materia di intelligence e, più in generale, di guerra, concludendo, parlando della Marina italiana: «(…) però nessuno ha mani dubitato che essa sia sempre stata composta di gentlemen. Cosicché non è neppure immaginabile che la segreta intimità di una signora abbia potuto essere ricambiata con un Morgengabe (il dono mattutino alla sposa secondo l’antica usanza tedesca) di così inammissibile grevità quale un cifrario militare» (39). — alla grottesca vicenda delle «navi vendute» (ovvero la pretesa offerta di vendere a prezzo di liquidazione, durante l’inverno 1940/1941, per qualche decina di migliaia di dollari, le corazzate italiane agli Inglesi da parte dei Capi di Stato Maggiore della Marina italiana consegnandole a domicilio in Cirenaica) divulgata con grande battage pubblicitario nel 1982 e rivelatasi una bufala presa per buona da qualcuno che aveva evidentemente scambiato i documenti inglesi, letti in maniera totalmente acritica e senza confronti e verifiche di sorta, per il Vangelo (40). Avendo così esaurito tutte le storie si presunti scandali, tradimenti e altre infamie attribuite, con leggerezza giornalistica, alla Regia Marina e ai suoi uomini prima e durante la seconda guerra mondiale, è possibile, finalmente, tirare le fila, sine ira et studio, dell’intera questione. Rivista Marittima-Maggio 2012

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Nella sua storia il Tribunale Speciale emise, tra il 1926 e il 1943, 324 sentenze per spionaggio. 205 di queste risalgono al periodo compreso tra il gennaio 1940 e il luglio 1943. 55 furono in carico ad attività a favore dei Francesi, 74 in merito alla Jugoslavia, 16 relativamente alla Gran Bretagna e 4 in capo agli Stati Uniti, oltre ad altre 56 sentenze non specificate, ma relative a «notizie riferite ad amici» per le quali non mancarono le assoluzioni. Tre procedimenti per spionaggio sovietico furono avviati nel giugno 1943, ma non arrivarono alla sentenza dato il sopravvenuto scioglimento di quella Corte. Il dato per nazionalità di cui sopra è però falsato, poiché l’attività contro le reti francesi e jugoslave portata in tribunale nel 1941-1943 per un totale di 98 processi riguardava, in realtà, operazioni avvenute tutte a beneficio britannico. La possibilità che si verificassero episodi di spionaggio, legata come è alla natura umana, era data, in effetti, per scontata sin dall’epoca della guerra. Come scrisse, nel 1940, l’allora capitano Alberto Bechi Luserna, uomo di punta dei Servizi e futura prima medaglia d’oro, alla memoria, del Regio Esercito dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, nel proprio godibilissimo Britannia in Armi: «Il metodo di lavoro del Secret Service è essenzialmente basato sul nobile istituto della corruzione. Valendosi cioè della dovizia di fondi a disposizione esso assolda nel Paese dove opera degli agenti di nazionalità locale — in ogni popolo vi sono delle scorie umane suscettibili di essere comprate — e le fa “lavorare” per loro. È assai raro il caso di un inglese che sfidi personalmente il rigore delle leggi e il controllo delle polizie per tentare di persona qualche impresa arrischiata di spionaggio. Occorre però convenire, a sua discolpa, che quelle poche volte in cui uno Rivista Marittima-Maggio 2012

slancio di amor patrio lo ha spinto, con adeguata scorta di barbe finte e occhiali neri — a fare dello spionaggio militante, egli ha sempre finito col combinare dei guai. Ragion per cui le sue stesse superiori autorità fanno su di lui dolce pressione perché se ne stia tranquillo, dietro una scrivania, e sfoghi il suo spirito d’avventura leggendo romanzi gialli». Con la sola variante dello scrivere, anziché soltanto leggere, romanzi del genere si tratta, non a caso, del perfetto ritratto di Ian Fleming, ex «agente segreto» in pantofole e autore, a partire dal 1953, delle storie di 007 James Bond.

Conclusione

L’attività di spionaggio e controspionag-

gio, quando è condotta bene (cosa che non avvenne, per esempio, nel caso dei Tedeschi e dei Giapponesi durante l’ultimo conflitto mondiale) da entrambe le parti è, come la guerra di mine, un tragico gioco a somma zero dove i successi e le perdite si equivalgono in omaggio alla legge dei grandi numeri. Anche sotto questo punto di vista, pertanto, la Regia Marina, prima e durante la guerra, non ha demeritato. Scandali, tradimenti eccetera a opera degli «indignati speciali», di turno sono, pertanto, del tutto fuori luogo. Come ha scritto, infatti, recentemente il professor Mariano Gabriele in merito alle «briciole di verità e non poche spiritose invenzioni britanniche in materia di decrittazioni, spionaggio eccetera, queste appartengono (…) a quel nutrito consesso di storiografi britannici che scrivono molto su cose che conoscono poco, ma vengono presi sul serio dal nostro provincialismo nazionale meno informato di loro» (41). n 89

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NOTE (1) La macabra contabilità di cui sopra non include, pertanto, le 65 esecuzioni per reati comuni verificatesi in Italia tra il 1931 (epoca della reintroduzione della pena capitale nel Codice Penale) e il 1940 e le successive 22 irrogate per gli stessi motivi fino all’armistizio dell’8 settembre 1943. Tra l’11 giugno 1940 e il 31 agosto 1943, inoltre, il Regio Esercito e la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, come ha documentato il colonnello Filippo Cappellano (vedi Bibliografia), eseguirono 152 condanne a morte in capo a soldati italiani, libici, albanesi, montenegrini o del Regio Corpo Truppe Coloniali per diserzione e reati vari, spionaggio escluso, e 164 nei confronti di civili giudicati ribelli armati nei Balcani e in Africa Settentrionale. (2) Quattro, eseguite tra il 1928 e il 1933, furono per contro relative a delitti etichettati come politici (i casi Della Maggiora, Bovone, Schirru e Sbardellotto, gli ultimi dei due attinenti a progettati attentati a Mussolini) mentre le altre condanne alla pena capitale, non tutte eseguite, riguardarono, nel 1930 e nel 1941, atti definiti di terrorismo in capo a cittadini d’origine slovena. A queste seguirono, nel 1942, oltre ai casi di spionaggio, una serie di sentenze capitali contro partigiani e disertori italiani passati alle bande balcaniche. Nel 1943 si aggiunsero, inoltre, a queste fattispecie alcuni soggetti giudicati rei di episodi di sciacallaggio verificatisi a Torino dopo i bombardamenti aerei del novembre 1942. (3) Dimissionamento cui seguì, il 6 dicembre 1944, come ricorda Falcone Lucifero nel proprio L’ultimo Re, il precipitoso trasferimento del Maresciallo nell’ambasciata inglese di Roma, dove rimase nel corso del 1945, in seguito ai provvedimenti presi nei suoi confronti dalla Commissione d’inchiesta in merito agli avvenimenti dell’8 settembre 1943. (4) In particolare la causa scatenate dell’aumentata sorveglianza a Bordeaux fu la notizia del fallito agguato teso il 16 agosto 1941 dal sommergibile polacco Sokol, in seguito a precise istruzioni trasmesse dall’Ammiragliato, a un battello italiano atteso davanti alle foci della Gironda e fortunatamente giunto in ritardo all’appuntamento in seguito a un’avaria. Lettera all’autore di Andrzej S. Bartelski del 5 febbraio 2011. Per i rapporti italo-polacchi del 1939-1943 si veda, per esempio, di Luigi Lerro, Roma chiama Berlino: Liberate quei professori. L’intervento italiano per i docenti dell’Università di Cracovia arrestati dai nazisti, Nuova Storia Contemporanea, n. 4, 2002. Altra cortesia dei polacchi in esilio fu l’avvisarci in merito a una rete di sabotatori loro connazionali al servizio dei Britannici, ma infiltrati dai Russi, destinata a operare contro il nostro naviglio mercantile e prontamente neutralizzata. (5) Dopo la guerra i Francesi intitolarono a Stosskopf, il maggior affondatore della loro Marina nel corso del Ventesimo secolo, il complesso di bunker ex tedeschi di Lorient destinato ai loro battelli nucleari. (6) Giacomo Scotti, I disertori, Le scelte dei militati italiani sul fronte jugoslavo prima dell’8 settembre, Mursia, Milano, 1980. Giacomo de Antonellis, «I sabotaggi che il fascismo non svelò», in Storia Illustrata, Agosto 1976. (7) Sandro Attanasio, Gli anni della rabbia, Sicilia 1943-1947, ed. Mursia, Milano, 1984 pagine 87-95. (8) Cristopher Meumaier, «The Escalation of German Reprisal Policy in Occupied France 1941-42», in Journal of Contemporary History, Gennaio 2006. (9) Marcello Staglieno, Montanelli novant’anni controcorrente, ed. Mondatori, Milano, 2001, pagine 168169. Vedi, inoltre, PRO, FO 898/26, Giustizia e Libertà Project, April and May 1943. (10) British Library of Political and Economic Science, Dalton/1, Dalton diary, Dec. 20 1940. (11) Peter Sebastian, I Servizi Segreti britannici e l’Italia (1940-45), ed. Bonacci, Roma, 1986, pagina 101. (12) Giuseppe Conti, Una guerra segreta, ed. Il Mulino, Bologna, 2009, pagina 329. Arthur Hezlet, History of British and Allied Submarine Operations, edizione fuori commercio, Portsmouth, 2002. (13) PRO, FO 371, R 7549/3700/22 ed R 7661/3700/22. Vedi, inoltre, del professor Antonio Varsori, «Italy, Britain and the problem of a separate peace during the second world war», in The Journal of Italian History, 1978, n.3. Per la cronaca gli Statunitensi dovettero penare non poco, nel febbraio 1942, per bloccare il piano britannico (periodicamente comunque riproposto, in seguito, da Londra, con ostinazione, fino all’estate 1944) inteso a proclamare in Canadà un governo in esilio tedesco riconosciuto dagli Anglosassoni e capeggiato da Otto Strasser, capo dell’ala sinistra del partito nazista e rivale in esilio, dal 1933, del borghese Hitler. Roosevelt – Churchill, Carteggio segreto di guerra, ed. Mondatori, Milano, 1977, pagina 214. (14) Marziano Brignoli, «A cavallo del carro armato», in Storia Illustrata, aprile 1979. (15) Enrico Cernuschi, «Le decrittazioni della Regia Marina», in Storia Militare, aprile e maggio 2007. (16) Ezra Pound, Radiodiscorsi, Edizioni del girasole, Ravenna, 1998. Luca Gallesi, Ezra Pound, «L’ammiraglio Degli Uberti e Marina Repubblicana», in Storia Contemporanea, n. II 1996. È rimasta celebre la massima coniata da Pound in occasione della durissima prigionia subita a Pisa, in una gabbia, nel 1945, a opera dei suoi connazionali «Se un uomo non è disposto a correre qualche rischio per le sue idee, o le sue idee non valgono nulla o non vale niente lui».

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(17) Le presunte gesta degli «Animali» furono in seguito ricordate nel celebre film Caccia al ladro, con Cary Grant e Grace Kelly, del 1955, e da un serial televisivo della TV francese, con Lilli Palmer nel ruolo di Marie-Madeline Fourcade prodotto nel 1969 e diffuso anche in Italia, a conferma del fatto che in questa materia non contano i risultati, ma il ricordo che si lascia dietro di sé, magari con l’aiuto di un bravo scrittore e di uno sceneggiatore. (18) L’entusiasmo iniziale dei Francesi nei confronti «di quei fessi dei miliardari americani» era anzi tale che avevano chiesto, già nel dicembre 1942, alla missione tecnica statunitense appena arrivata a Mers-elKébir per liberare dai relitti quel porto, di recuperare dal fondo, raddrizzare e ricostruire la vecchia nave di linea Bretagne, affondata laggiù a cannonate dagli Inglesi il 3 luglio 1940. Vedi, a questo proposito, i pepati commenti del Direttore del parco di salvataggio statunitense, il comandante Edward Ellsberg, nel suo No Banners No Bugles, ed Dodd Mead, New York, 1949. Per la storia dell’aiuto statunitense alla risorta Marina francese e per i cannoni mancati dello Jean Bart si rimanda, inoltre, all’articolo scritto dall’ammiraglio Vezio Vascotto, «La caverna di Alì Babà», in Storia Militare, agosto 2011. (19) Mussolini, in effetti, seguiva personalmente sin dal 1923 tutte le maggiori operazione di infiltrazione. Quest’abitudine, se pure gli assicurò sempre, da un lato, informazioni di prim’ordine fino al 1945, dall’altro sviluppò oltre ogni misura la sua personale propensione al cinismo. Probabilmente il commento finale più corretto a questo proposito fu quello formulato da Vittorio Emanuele III al proprio Primo aiutante di campo, il generale Paolo Puntoni, all’indomani del 25 luglio 1943: «Credeva di essere il più furbo di tutti, ma aveva dimenticato che il più furbo, per definizione, non esiste». (20) Mauro Canali, Le spie del regime, ed. Il Mulino, Bologna, 2004, pagina 474. (21) Giuseppe Conti, op. cit., pagina 350. (22) Il contenuto dei documenti in parola è sempre stato descritto in maniera piuttosto fantasiosa. In realtà, oltre ai disegni delle «Littorio» ricordati in precedenza, esistevano una situazione, aggiornata a due mesi prima, del naviglio mercantile e delle unità di scorta tanto generica quanto generosa e notizie sparse sul morale del personale apparentemente scritte apposta per far piacere ai lettori britannici. Vedi Archivio dell’Ufficio Storico dell’Esercito, DS –SIM, 9 giungo 1943, all. n. 5 Comando Supremo – SIM, 9 giungo 1943, Promemoria, oggetto: attività del controspionaggio militare. (23) Archivio dell’Ufficio Storico dell’Aeronautica Militare, Fondo Informazioni, Commissione Italiana di Armistizio con la Francia, busta 14, fascicolo 4; busta 18, fascicolo 3; busta 19 fascicolo 5). (24) Gianfranco Bianchi, «Si paga il fio di tutti gli errori. I diari di De Bono», in Storia Illustrata, dicembre 1974. (25) Per esempio, dal Diario del Maresciallo Cavallero pubblicato da Cappelli, Bologna, nel 1948: «26 dicembre (1941) Ricevo il colonnello Amé. Lo spionaggio a Taranto mediante posta e radio clandestina, deve essere stroncato. Faccio presente che stiamo allestendo un convoglio e che siccome nei convogli precedenti si è sempre incontrata la squadra nemica, è evidente che vi è spionaggio». (26) Per queste vicende si rimanda a Enrico Cernuschi, La vittoria in prestito, supplemento della Rivista Marittima del maggio 2003 e alla successiva edizione ampliata pubblicata da Iuculano editore in Pavia nel 2006 e a: Patrizio Rapalino e Giuseppe Schivardi, Tutti a bordo, ed. Mursia, Milano, 2009. L’ammiraglio Maugeri era stato a sua volta informato, la stessa mattina del 3 settembre 1943, dei termini della questione dall’appena rientrato capitano commissario Mario Vespa (padre del noto giornalista televisivo), asso dei Servizi inviato appositamente a Lisbona da Maugeri una settimana prima per verificare la validità del contatto statunitense, avviato in seguito a precedenti iniziative a titolo personale promosse a luglio, in Portogallo, dalla principessa ereditaria Maria José. (27) Aldo Giambartolomei, «I Servizi segreti militari italiani», in Rivista Militare, Maggio-Giugno 1983. (28) Il cui sbarco a Porto Re, senza colpo ferire e subito dopo il previsto annuncio dell’armistizio italiano, era atteso, sin dalla tarda primavera 1943, un po’ da tutti a partire dai nazisti austriaci — i quali contavano di accogliere a braccia aperte i cugini inglesi — fino ai Cetnici, che attesero vanamente fino alla fine di settembre l’arrivo dei Britannici. Pier Arrigo Carnier, Lo sterminio mancato, ed. Mursia, Milano, 1982. (29) PRO, FO 371, 33218, R 2298. (30) PRO, ADM 205/10, Note by H R M to Pound, 9 Dec. 9 Dec. 1941. (31) PRO, ADM 199/1110 Operation Harpoon. (32) Mauro Canali, op. cit., pagina 495. (33) Per un’analisi del quale mi permetto di rimandare, scusandomi per l’ineleganza dell’autocitazione, all’articolo pubblicato dal sottoscritto e da Vincent P. O’Hara su Warship 2010: «Taranto: the Raid and Aftermath».

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(34) E non, come è stato scritto, Block. (35) Testo criticato in passato, salvo essere confermato, in seguito, in pieno a partire dalla nota e decisiva decrittazione italiana all’origine della battaglia di Punta Stilo. (36) Enrico Cernuschi, «Reciproci inganni», in Rivista Marittima, maggio 1999. (37) Codebreakers, the inside story of Bletchley Park (a cura di F.H. Hinsley e Alan Stripp), ed. Oxford University Press, 1993, pagina 28. (38) Custodita nel fondo PRO WO169, dove il nome del personaggio, preceduto da una drammatica sigla X seguita da un numero, è in compagnia di altri colleghi, alcuni dei quali bei nomi della politica e dell’imprenditoria del tempo, nessuno dei quali appartenente alla Marina. (39) Lucio Ceva, «L’intelligence britannico nella seconda guerra mondiale e la sua influenza sulla strategia e sulle operazioni», in Storia Contemporanea, febbraio 1982. (40) Il grande umorista inglese Jerome, quello per intenderci dei Tre uomini in barca, scriveva, non a caso, in merito a certi tipo umani: «Certa gente berrebbe anche acido solforico, purché sull’etichetta fosse scritto gin». (41) Mariano Gabriele, «Ultra Intelligence ed Enigma nella Guerra di Spagna», in Nuova Storia Contemporanea, gennaio-febbraio 2011.

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