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Carl Heinrich Carsten Reinecke nacque ad Altona, nei pressi di Amburgo, il 23 giugno 1824; ad otto anni diede il suo primo concerto come pianista. Fu allievo di suo padre Johann Peter Rudolf Reinecke (1795-1885), che lo seguì sia nello studio del pianoforte che nella composizione. Non seguì studi regolari, ma preferì avere insegnanti privati. Grazie alle sue doti fu notato da personalità importantissime del panorama musicale romantico, fra le quali ad esempio Mendelsshon e Schumann che gli dedicò le 4 Fughe per pianoforte op. 72. Fu un affermato virtuoso del pianoforte, amato e ricercato dal pubblico; nel corso delle tornées intraprese in Europa, strinse amicizia con i maggiori musicisti dell’epoca. Nel 1851 Ferdinand Hiller, brillante allievo di Mendelsshon, lo volle come insegnante al Conservatorio di Colonia. Nel 1860 si stabilì a Lipsia in qualità di direttore d’orchestra al Gewendhaus e professore di pianoforte al Conservatorio. Carl Reinecke, che morì a Lipsia il 10 marzo 1910, ebbe modo di estendere la sua attività musicale su un arco temporale molto lungo, caratterizzato da importanti rivoluzioni in campo musicale, però come compositore, il fatto di aver conosciuto personalmente in giovane età Mendelsshon e Schumann, lo legò costantemente a questi due modelli, allo stile dei quali rimase fedele per tutta la vita. Nonostante sembra probabile che fosse presente alla prima rappresentazione dell’Elektra di Richard Strauss (25 gennaio 1909) e che abbia potuto conoscere i primi esperimenti di musica atonale di Schönberg, Webern e Berg, prese le distanze dalle nuove direzioni verso le quali la musica del XX secolo si stava volgendo; nella sua autobiografia infatti scrisse: “Sono rimasto fedele con assoluta convinzione alle mie idee artistiche di un tempo, che ho conservato fino ad oggi, perché non posso e non voglio seguire le strade per le quali si sono incamminati i compositori moderni, dato che a mio avviso esse non conducono affatto verso il bello, e dato che non considero come dei progressi le cosiddette conquiste di quei compositori; al contrario sono convinto che esse non servano affatto a salvare la vera arte”. Reinecke fu un compositore fecondo, come testimoniano i suoi 288 lavori con numero d’opera progressivo e gli oltre 75 senza numero d’opera. Il suo stare ancorato alla tradizione, la mancanza di volontà di seguire le nuove tendenze compositive, da un lato gli garantirono in vita un notevole successo editoriale, però dall’altro la sua musica venne considerata sorpassata e fu presto dimenticato dopo la sua morte. L’attuale fortuna di Reinecke è in gran parte legata alle sue opere per flauto che rappresentano un importante anello di congiunzione fra il flautismo di primo e tardo Ottocento, in quanto in particolare le sonate per flauto e pianoforte erano diventate sempre più rare dopo quelle composte da Friedrich Kuhlau, probabilmente perché il flauto non era più stato apprezzato come strumento solista e salottiero; in questo senso le composizioni per flauto solista di Reinecke rivestono un ruolo importante nel periodo romantico, in quanto sono tra i pochi brani di spessore dedicati al flauto durante il Romanticismo, che non fossero le innumerevoli parafrasi d’opera che, all’opposto, fecero da padrone nel corso dell’Ottocento. L’opera per flauto di Reinecke è costituita da: Sonata “Undine” per flauto e pianoforte op. 167 (1882) Tre Cadenze per il concerto per flauto, arpa e orchestra di W. A. Mozart, senza numero d’opera (1885) Concerto in re maggiore per flauto e orchestra op. 283 (1908) Ballade per flauto e orchestra op. 288 (1909-1910, il suo ultimo lavoro in assoluto) La Ballade op.288 è un brano di sapore tardo-romantico, di carattere espressivo e lirico, diviso in tre sezione secondo uno schema ABA, costituito da un Adagio iniziale in re minore, introdotto in modo drammatico dall’orchestra che anticipa l’entrata del flauto. La sezione centrale, l’Allegro che si avvia in la minore, ha un rubato di leggere semicrome su arpeggi spezzati, che richiedono all’esecutore una buona padronanza del doppio staccato. Segue quindi l’Adagio finale che modula rapidamente alla tonalità originale, per terminare però nel più solare re maggiore. La Ballade fu quasi certamente composta su richiesta di Maximilian Schweder (1853-1940), primo flauto della Gewandhaus Orchestra e professore del Conservatorio di Lipsia. Essendo l’ultima opera di Reinecke, venne concepita oltre l’ottantaquattresimo anno di età e la cosa appare straordinaria sia
se si considera la freschezza dell’inventiva melodica e la melanconia dell’atmosfera generale, sia valutando l’assoluto disinteresse di Reinecke per la contemporaneità con le prime opere atonali di Schömberg. La Ballade conferma il legame indissolubile di Rinecke agli schemi compositivi di Mendelsshon, votato particolarmente alle forme libere e brevi. Nella versione con accompagnamento d’orchestra i colori della strumentazione rafforzano considerevolmente il carattere espressivo del brano.