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Dunque, come si comincia a studiare il pianoforte? Per lungo tempo si è cominciato a studiarlo con i martelletti…
Non che questa tecnica non sia buona, anzi è ottima… mia zia Nina, che è morta a 93 anni, e suonava il pianoforte in maniera ancora riconoscibile, aveva studiato con i martelletti, perciò non dico che questo non possa produrre buoni effetti; ma quando li produce? Quando l’alunno istintivamente stabilisce, senza che l’insegnante glielo dica, che sta adoperando due tecniche: una tecnica di peso sulla nota tenuta, e una tecnica di percussione su quella percossa; egli sta reggendo con il pollice il peso del braccio, e sta esercitando la percussione sulle altre dita. Cosa se ne deduce? Che la tecnica con la nota tenuta è l’accoppiamento di due tecniche: una tecnica di peso ed una di percussione; e noi non possiamo pretendere questo dal principiante: egli dovrà studiarle separatamente. La tecnica delle note tenute è importantissima, difficile e risolutiva di molti problemi, ma bisogna utilizzarla quando l’esecutore sia già in possesso dei due tipi di attacco del tasto: attacco del tasto con il sostegno del peso, e attacco del tasto con la percussione. Come si comincia allora lo studio del pianoforte? È ormai da un secolo e più che Ludwig Deppe ha escogitato un “primo motus” verso il pianoforte che si chiama CADUTA D’AVAMBRACCIO. Deppe non ha scritto alcun metodo, ma due suoi volonterosi alunni lo hanno fatto. Come si effettua la caduta al pianoforte? Il primo passo che deve fare l’alunno (non solamente il principiante, ma colui che voglia ricostruirsi una tecnica, eliminando lo spreco di energia che per una vita ha fatto davanti al pianoforte) è quello di praticare la caduta dell’avambraccio. La caduta dell’avambraccio, come principio, sembra una cosa semplice, ma non lo è. Essa è composta di due fasi: una derivata dal sostegno, dalla contrazione e dal rilassamento dell’avambraccio; l’altra derivata dalla prensilità (termine adoperato dal Brugnoli… una delle cose giuste del suo trattato) appena a contatto con la tastiera. Mi spiegherò meglio. Guardate questa figura rappresentante un avambraccio piegato, e considerate il flessore profondo (N.B.: la figura seguente è derivata dal libro di A. Lavoratore: “L’arte pianistica di Vincenzo Scaramuzza”): se tendo l’avambraccio e lo tengo sospeso, mando in contrazione questo tendine,
detto appunto flessore profondo dell’avambraccio. Esso è importantissimo: è sufficiente infatti contrarlo per far sì che l’avambraccio non pesi più sulla mano. Provate a muovere il mio avambraccio: è completamente riposato, ma è contratto in questo punto… adesso rilasso qui… se provate nuovamente a muoverlo, capite che sono due condizioni completamente differenti: in una l’avambraccio è sospeso, nell’altra è completamente rilassato. Chi mi fa sostenere il peso dell’avambraccio? È il tendine flessore. Domanda: “Come si fa a contrarre solamente questo tendine e non il resto?” Risposta: “Basta pensarci. Tieni l’omero riposato e piega l’avambraccio… ecco, solamente la mano è pendente; e se la sollevo, sono gli estensori che la reggono. Faccio subito un salto di diversi capitoli, e arrivo alla questione delle ottave: perché le ottave di avambraccio sono più facili di quelle di polso? Perché quelle di polso impongono a cinque diversi complessi tendinei di funzionare rapidamente; viceversa, quelle di avambraccio chiedono solamente al flessore profondo dell’avambraccio di intervenire. Quindi le ottave si fanno con l’avambraccio, e non con la cosiddetta articolazione del polso; questa è una prerogativa di alcuni pianisti che hanno questa particolare predisposizione. Ma se dobbiamo insegnare le ottave, è bene insegnare a farlo con la caduta dell’avambraccio. Parlando dunque di caduta, la prima mossa è quella di sollevare l’avambraccio e di lasciarlo ricadere: è la cosa più facile di tutte. I guai cominciano quando andiamo a farlo sulla tastiera, perché la mano, lasciata libera di cadere, suonerebbe dei tasti a caso. Bisogna allora preparare separatamente il dito ad effettuare una flessione (= uso del tendine flessore). Prendo ad esempio il secondo dito, con la falangetta che fa presa sul tasto. Partendo da sotto la falange ungueale sviluppo una contrazione che va da qui fino all’interno del gomito. In parole povere,
faccio esercitare un’azione di traino al dito, e per essa naturalmente al tendine flessore. Noi infatti vediamo solamente la parte esterna del dito, ma al suo interno ci sono delle innervature, dei tessuti… ma ciò che regola il dito è questa zona (da qui a qua sotto), e quello che dobbiamo fare è sviluppare una contrazione che parta da qua e si diffonda al braccio, in maniera tale da poter esercitare un’azione di traino nei riguardi dell’avambraccio, conducendolo a questa situazione… Provate a prendere la punta del mio gomito e a sollevarlo un poco lentamente mentre effettuo la contrazione; poi rilasciate, e vedrete che sono rimasto con il dito appeso al tasto. Adesso faccio cessare l’azione del flessore: succede che il dito ricade. Io rifaccio la contrazione: è una flessione, un esercizio di ginnastica elementare, piuttosto semplice, ma che bisogna pensare, perché la conseguenza è non solo che il dito è in grado di sostenere il peso del braccio, ma che il tendine flessore è stato allenato a sviluppare l’energia necessaria nel momento in cui si deve percuotere il tasto. Quindi la flessione ha un duplice scopo: reggere il peso del braccio e rinforzare il tendine flessore nella tecnica brillante. In altre parole, il flessore ha due funzioni: sostenere il peso del braccio e sviluppare l’energia idonea a percuotere il tasto; quest’ultima proviene solamente dal flessore, cioè da sotto l’avambraccio, perciò la sensibilità dell’insegnante sta proprio nel guadare come prima cosa ciò che sta succedendo in questo punto (ciò che infatti avviene sopra l’avambraccio è altrettanto importante, ma viene in un secondo momento). L’esercizio principale è dunque la flessione: piego l’avambraccio e lo porto al di sopra della tastiera, tenendo il tendine estensore a riposo (cioè la mano pendente) e faccio la caduta dell’avambraccio sulla tastiera. Nel momento in cui tocco il tasto con il 2° dito, sviluppo la contrazione di cui ho parlato prima, cioè la contrazione del flessore; ripeterò poi lo stesso esercizio con ogni altro dito, ed osserverò che la sonorità è sempre la stessa, perché non sarà più la forza del singolo dito che agisce ma piuttosto il peso del braccio, che agisce ed uguaglia ogni caduta. Chiameremo dunque questa prima fase, in cui teniamo rappresa la falange ungueale, FLESSIONE PRENSILE: è il gesto tipico dell’afferrare, tipico del bambino. A questa dobbiamo far seguire una percussione, perché abbiamo detto che due sono i modi di attaccare il tasto: una reggendo il peso del braccio, e l’altra percuotendo il tasto. Perciò alla flessione prensile facciamo seguire una FLESSIONE ARTICOLARE (in parole povere, l’articolazione). Domanda: “Nella flessione prensile il braccio è completamente rilassato?” Risposta: “Rilassato in tutte le parti che non servono; solamente il tendine flessore è contratto”. Ora faccio questa percussione sul dito, con due tipi di tecnica: alternati però, non contemporanei… [tutti i metodi scritti dai grandi pianisti sono sbagliati, perché sono
scritti da artisti e non da persone che hanno ragionato. Prima un esercizio con note libere (Hanon n. 1), poi uno con note tenute… no! C’è un metodo solo! Brahms, grande genio della musica, ne ha scritti 51 di esercizi, tutti sbagliati… o meglio, semplicemente inutili, dei “germi di musica”, non esercizi per pianoforte… non parliamo degli esercizi di Cortot, che sono stato obbligato a studiare personalmente quando ho frequentato la sua scuola… questo non toglie nulla alla sua grandezza come genio dell’interpretazione pianistica, ma avrebbe fatto molto meglio a non scrivere quegli “Esercizi razionali”… che sono quanto di più irrazionale io conosca, o quantomeno sono superflui. Con una certa maligna soddisfazione, presto sottolineerò un aspetto dell’esecuzione pianistica: vi farò vedere come certe maniere di suggerire lo studio dei passaggi siano sbagliate]. Vediamo ora se qualcuno vuole sperimentare la caduta dell’avambraccio: prendi il 2° dito, rilassati completamente ed aggrappati, senza però contrarre… utilizza solo il dito: la contrazione dev’essere solamente sotto il dito… ora ripeti un po’ più velocemente… (Fa provare ai partecipanti delle cadute, effettuate in successione su queste note):
Suonate solamente con le dita, isolandole, senza utilizzare l’avambraccio. Un controllo importante: se sentiamo delle contrazioni dell’omero mentre stiamo facendo la flessione articolare, significa che non la stiamo facendo bene. La dissociazione muscolare è una pura ipotesi, che nella realtà non esiste, perché i muscoli funzionano sempre associati; un’approssimazione della dissociazione muscolare si può tuttavia ottenere.