Appunti Antropologia Teologica [PDF]

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Zitiervorschau

PONTIFICIA FACOLTÀ TEOLOGICA DELL’ITALIA MERIDIONALE SEZIONE S. TOMMASO D’AQUINO - NAPOLI

PROF. CACCIAPUOTI

APPUNTI DI ANTROPOLOGIA TEOLOGICA

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ANTROPOLOGIA TEOLOGICA Lezione del 20 Febbraio 2018 1. INTRODUZIONE Dall’indice generale del testo di Ancona: “Antropologia Teologica” incomincio a trattare dell’INTRODUZIONE che è strutturata in 4 punti: 1. la riflessione teologica intorno all’uomo - la vera e propria proposta dell’antropologia teologica; 2. l’impostazione cristocentrica dell’antropologia teologica. Quando parliamo dell’uomo in antropologia pensiamo sempre al verbo incarnato, all’uomo perfetto che è Gesù Cristo; 3. l’antropologia teologica che si interessa dell’uomo a confronto con la cultura generale che ha come tema fondamentale l’essere dell’uomo e si pone anche lei la domanda: “Chi è l’uomo? Cosa fa? Perché esiste?”; 4. il senso di questo libro. L’uomo, oggetto di studio e di ricerca, non è un argomento facile da studiare, è una realtà composita in cui, immediatamente e a prima vista, notiamo che il suo studio è pieno di difficoltà, di oscurità che non riusciamo mai bene ad illuminare con la nostra scienza o con le nostre conoscenze. È un elemento complesso l’uomo. Non possiamo dire che esso è semplicemente e solamente un oggetto predefinito e, laddove parliamo dell’uomo, parliamo di tanti elementi che fanno l’uomo. Infatti l’uomo viene studiato sia dalle scienze umane sia dalle scienze naturali (fisiche o biologiche cioè quelle che si chiamano le scienze dure che si confrontano con le scienze pure che sono quelle umanistiche). Anche nella Bibbia, nella Rivelazione di Dio all’uomo, troviamo all’interno molteplici aspetti riferiti all’uomo (ora ci sembra simile agli angeli ora, invece simile al diavolo). Quindi possiamo dire che il discorso sull’uomo è sempre aperto. Da quando l’homo sapiens ha cominciato a riflettere su se stesso il discorso non è mai stato chiuso. Naturalmente questo vale non per chi “si lascia andare” nella sua vita ma per coloro che si pongono delle domande critiche, storiche, culturali, religiose su se stessi. L’antropologia umana non significa soltanto studiare l’“altro”, così anche l’antropologia teologica non significa soltanto che cosa Dio ci insegna sull’altro simile a me ma soprattutto cosa Dio dice di me. L’antropologia teologica significa conoscere l’altro dopo che io ho conosciuto me. “Ama il prossimo tuo come te stesso” significa: “Ama te stesso” cioè: “Conosci in fondo te stesso”. 2

Il verbo “amare” nella Bibbia indica l’unione sessuale, intima. Se conoscerai profondamente te stesso allora potrai conoscere ed amare anche l’altro, il tuo prossimo, chi ti sta accanto. Essendo questa la situazione, dal momento che ci sono diverse prospettive dalla quale si può incominciare ad osservare l’uomo (prospettive che ci danno sempre delle visioni parziali e mai globali, dell’oggetto uomo) possiamo dire che la conoscenza dell’uomo è destinata ad essere escatologica cioè tale che si potrà raggiungere soltanto in un futuro che per noi credenti equivale al ritorno del Messia, alla Parusia. Per i non cristiani il discorso è questo: “Io potrò conoscere l’essenza dell’uomo solo in un futuro indefinito, in un futuro che non so quando avverrà, quando finirà”. Quindi il discorso sull’uomo è una retta aperta all’infinito (infinito = mai definitivo). 2. QUANDO NASCE LA RIFLESSIONE TEOLOGICA INTORNO ALL’UOMO E COME VIENE ALLA LUCE IL CONCETTO DI ANTROPOLOGIA TEOLOGICA

I primi secoli del pensiero cristiano, con una lunga scia che arriva verso la metà del Settecento, non si pone come oggetto principale quello di scrivere un trattato intorno all’uomo. Le notizie, le costruzioni teologiche intorno all’uomo venivano disperse in diversi manuali dogmatici:  Il primo trattato in cui si parla dell’uomo è il: “De Deo creante” (“Il Dio che crea”). In questo ambito vasto della creazione dell’uomo si inseriscono le notizie relative all’uomo, alla rivelazione umana su Dio.  Così anche il secondo trattato: “De Deo elevante” (“Il Dio che eleva ed innalza”). Dio innalza con i suoi doni l’uomo ad un piano più elevato di quello delle creature. Dio ha creato l’uomo insieme alle sue creature ed adesso, quest’uomo, lo pone al di sopra di tutte le creature come signore e dominatore del mondo.  Un altro trattato che riguardava soltanto il singolo momento della storia umana, il: “De peccato originali” (“Sul peccato originale”) parla solo esclusivamente di questo argomento.  E infine, un altro trattato ancora separato, era il: “De novissimis” (“I novissimi”: morte, giudizio, inferno e paradiso). Intorno alla seconda metà del 1600, soprattutto grazie all’opera rivoluzionaria portata da Cartesio, tutta la scienza filosofica e la cultura europea, incentrano il loro interesse su una figura particolare, l’uomo così come può essere conosciuto al di fuori di una religione. Fino ad allora anche il filosofo prende in considerazione le affermazioni teologiche, quelle rivelate nella Bibbia, mentre da Cartesio in poi ci si domanda: “È possibile studiare l’uomo a prescindere dai dati rivelati? È possibile accettare soltanto quello che i teologi dicono sull’uomo in questi vari trattati ed 3

accettarli come dati definitivi perché imposti dal Magistero della Chiesa?”. Da questo momento in poi, dalla svolta antropologica in poi, si comincia a ragionare sopra questa possibilità epistemologica che è possibile fare dell’uomo un oggetto di studio secondo il modello delle scienze naturali (cioè nella maniera oggettiva non precostituita da alcuna precomprensione di tipo religiosa). Nonostante questa buona volontà di menti illuminate come Cartesio, Spinoza, Locke, possiamo dire che il loro tentativo di creare un’immagine unitaria dell’uomo, prescindendo dal discorso teologico, non ha raggiunto nessun punto definitivo. Ognuno di questi autori è stato superato dall’altro e così, d’allora in poi fino al mondo presente, le immagini ed illustrazioni dell’uomo variano continuamente, ciascuna viene criticata dall’altra. Così abbiamo: l’uomo moderno, l’uomo della post modernità, l’uomo marxista, l’uomo democratico… Si può dire che è un dato certo e ormai assodato, l’antropologia teologica rende comprensibile e credibile quello che la fede dice sull’uomo. Allora questo è il motivo fondamentale per cui si può parlare di un’antropologia teologica come scienza. L’antropologia teologica, come scienza, tende a far comprendere e rendere credibile, i dati della Rivelazione in una maniera, quanto più possibile unitaria e diretta sia all’infinito ma secondo un punto dell’infinito nel quale le sue verità e le sue coscienze saranno impersonate nel ritorno del Messia. La scienza antropologica si pone sullo stesso piano delle scienze umane (dialoga con la filosofia, con la cultura, con le religioni, scienze biologiche, con le neuroscienze). Esiste un punto nevralgico nella nostra impostazione teologica. Come tutte le scienze hanno una base fondamentale sulla quale operano, così anche noi abbiamo il punto d’inizio, un punto nevralgico dal quale non possiamo allontanarci e di cui non possiamo fare a meno. Questo punto è la figura di Gesù Cristo. In “Optatam totius” n°16, al capitolo IV, afferma che tutte le discipline teologiche vengano rinnovate per mezzo di un contatto più vivo con il mistero di Cristo. Allora, ogni teologia, e quindi anche l’antropologia teologica, deve avere come suo fondamento, la figura di Cristo. Allora il nostro modo di fare scienza antropologica cristiana deriva da un rapporto personale che possiamo stabilire e dobbiamo stabilire con la figura di Gesù Cristo. Quest’ultimo non è soltanto un oggetto morto ma è una persona vivente con cui possiamo entrare in contatto e possiamo studiare il suo mistero. 1 Cor 2,10.12: “Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio. Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere ciò che Dio ci ha donato.” Allora, con la forza che ci viene data dall’Alto, con la capacità dello Spirito Santo che è in noi, possiamo studiare l’uomo tenendo fisso il principio fondamentale: che noi siamo in Cristo e Cristo in noi come una persona vivente che ci guida nella ricerca su noi stessi e sui nostri simili. 4

In “Optatam totius” n°16 si afferma che abbiamo bisogno di un contatto più vivo con il mistero di Cristo e con la storia della Salvezza. Gesù Cristo, quindi, non dove essere visto come un oggetto cultuale, fermo ma, la figura di Cristo, deve essere sempre inserita nella storia della Salvezza, attraverso la quale Dio crea l’uomo e lo destina alla felicità eterna insieme con Lui. Questo serve per dire quali sono i confini e i caratteri della scienza antropologica. Nonostante abbia questi caratteri così chiari, sarebbe una disfatta ed un errore gravissimo non confrontarsi con altri progetti antropologici che prescindono da questa impostazione cristocentrica che abbiamo dato. Questa è la nostra visione dell’uomo: teologica e storica salvifica. Noi ci confrontiamo con i vari progetti antropologici esistenti nelle culture, religioni, scienze, mantenendo la nostra specificità cristiana. Non ci sentiamo inferiori a nessuna altra scienza. Vogliamo soltanto presentare i caratteri essenziali della nostra specificità dai quali non vogliamo uscire. Infatti la differenza con le altre visioni culturali dell’uomo sta proprio in questo: noi siamo convinti che Gesù Cristo, incarnato, crocifisso e risorto è l’immagine completamente realizzata dell’uomo storico. Mentre le altre scienze riflettono su un possibile modello dell’uomo, noi abbiamo un punto di vista tale dal quale possiamo dire: già esiste il modello compiuto di uomo. L’antropologia teologica accetta ogni contributo per inculturarsi nelle categorie di un’altra cultura: scienze, religione… Non rimaniamo chiusi nel nostro perimetro scientifico-ontologico ma vogliamo invece conoscere, con grande spirito di curiosità, quello che gli altri hanno da dire intorno all’uomo e vedere fino a che punto c’è una possibilità di inculturazione nella continuità tra quello che diciamo noi e quello che dicono gli altri. Questo contributo che viene accettato dall’antropologia teologica, fa in modo che la nostra proposta e il nostro modello diventi ragionevole anche per le altre culture (per es. il concetto di compassione tra l’induismo, buddhismo e il cristianesimo ci sono delle similitudini). Questo è anche un atteggiamento profetico: accogliamo le culture diverse e diamo la nostra visione dell’uomo in un dialogo di amicizia. Oggi, nella cultura occidentale, l’uomo è guardato nella maggior parte dei casi soltanto come un uomo non più religioso. La religione viene considerata come una distrazione dell’esistenza umana e della intelligenza dell’uomo: è un oppio, è una fantasia creata per assicurare e rasserenare le coscienze. L’antropologia teologica davanti a questa visione così profana dell’uomo non si rifugia nel proprio ambito ristretto ma si apre a queste provocazioni e ripropone il modello rivelato di Gesù Cristo come modello che non disumanizza (come vorrebbe l’antropologia profana). Il nostro modello di uomo personifica sempre di più l’uomo e valorizza sempre di più la persona umana. Il nostro modello di uomo è l’uomo che si perfeziona, si personalizza, si umanizza sempre di più. Questo noi dobbiamo affermare davanti alla cultura profana. La religione non disumanizza ma rende più uomo l’uomo. 5

Nell’attuale situazione interculturale l’antropologia teologica deve manifestarsi come una provocazione dialogica, serena, aperta all’altra o alle altre visioni. Spingiamo le altre visioni dell’uomo a porsi l’interrogatorio ultimo: “Chi è l’uomo? Che cos’è l’uomo? Come è possibile giungere all’uomo completo che può dire di sé: io sono una creatura perfettamente realizzata?”. I diversi contesti nei quali noi ci troviamo sono molto simili alla situazione dei profeti all’interno della religione ebraica. Il profeta è colui che rimprovera, che manifesta con tutta la chiarezza possibile, il peccato d’Israele. Ma il profeta non è mai il pessimista puro. Il profeta è un provocatore perché manifesta il peccato d’Israele ma, contemporaneamente, dice come riprendersi dal peccato, come risollevarsi, come ritornare a Dio. L’immagine più precisa è quella di Ezechiele: “Io vi darò un cuore di carne, toglierò da voi il cuore di pietra”. Il profeta è una persona che mostra una soluzione: lasciare intervenire Dio nella vita dell’uomo per divinizzarlo, per umanizzarlo. Con tutte le cose che Israele ha commesso di sbagliato, allontanandosi da Dio, quest’ultimo, per la sua fedeltà all’Alleanza, non si è allontanato dal suo popolo. Dio ha reso un solo uomo, Abramo, il capostipite di un intero popolo. Ognuno dei membri di questo popolo diventa immagine di quel Dio che ha salvato Abramo dalla religione dei Padri, dalla sua religione politeista e lo ha invece fatto diventare conoscitore fedele dell’unico vero Dio, del Dio che parla, del Dio che provoca l’uomo ad una risposta. Il profeta questo fa: dice all’uomo: “Ritorna sulle vie di Abramo. Ritorna ad essere fedele al tuo Dio come ha fatto Abramo e nella fede di Abramo tu sarai libero. Come Abramo ha accettato la proposta di Dio («Esci va dalla tua casa in una terra straniera che io ti indicherò») così anche tu potrai allontanarti dalla tua dimora profana ed avvicinarti ad un altro modello che è rappresentato da Cristo”. Questo modello, con tutta la calma e la serenità possibile, va presentato alle altre culture. Il Cristianesimo propone un nuovo umanesimo che si basa sul rapporto con Dio. Dio che crea l’uomo lo rende sempre, ogni giorno più uomo. Dio che è persona rende ogni giorno, ogni persona, sempre più simile a Dio, immagine e somiglianza di Dio.

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Lezione del 23 Febbraio 2018

La nostra antropologia non è disumanizzante ma è un progetto di maggiore umanizzazione e di personificazione dell’uomo. Quanto più l’uomo si sforza di imitare il modello Gesù Cristo diventa più uomo e più persona. 3. ELEZIONE-PREDESTINAZIONE DELL’UOMO Ciò che è importante nell’antropologia teologica è il rapporto tra Dio e l’uomo. Questo è l’elemento fondamentale del nostro studio. Non guardiamo mai l’uomo isolato in se stesso ma l’uomo legato ad altri. Il primo “altro”, il primo “tu” al quale l’uomo singolo è legato è Dio, il suo Creatore e il suo Salvatore. L’uomo è imperfetto, debole, capace di peccare ma cerca, nonostante tutto, di liberarsi da questa inferiorità e diventare sempre migliore tentando di raggiungere un modello di perfezione che, come abbiamo detto, è Gesù. Il tipo di rapporto tra uomo e Dio viene espresso biblicamente e ripreso anche nella storia della teologia dalla coppia elezione-predestinazione, ovvero Dio sceglie, elegge un popolo e lo predestina cioè gli offre gratuitamente la possibilità di perfezionarsi fino a raggiungere il mondo di Dio. La predestinazione è lo scopo per cui un essere intelligente viene creato. La parola fondamentale di questa coppia è predestinazione perché indica lo scopo ultimo, il fine ultimo per cui Dio ha voluto creare una creatura che parli con sé e si metta in relazione con sé. Questo Dio ha voluto nel suo progetto eterno: non rimanere solo. Neppure all’interno dei rapporti intrapersonali della Trinità immanente non gli è bastata questa comunicazione infinita ma ha voluto esternarla, moltiplicarla, prima della creazione delle creature angeliche (spiriti intelligenti), poi anche nella creazione dell’uomo (spirito + materia, spirito incarnato). Perché Dio ha voluto fare questo? Per estendere la sua capacità di comunicazione, per estendere il suo amore. Poiché c’era bisogno di un oggetto, o meglio un soggetto umano per raggiungere questo scopo, Dio sceglie gratuitamente, senza nessun motivo particolare, un uomo ed un popolo che possa raggiungere lo scopo prefisso, quello della comunicazione perfetta tra uomo e Dio, con l’elezione, la scelta d’Israele (prima un solo uomo Abramo e poi un intero popolo disceso da lui). Dio sceglie non perché arbitrariamente vuole privilegiare qualcuno ma, semplicemente, volendo raggiungere il progetto di comunicazione infinita d’amore, ha bisogno necessariamente di fare una scelta secondo il suo programma.

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L’elezione è un atto configurato al fine, è un atto predestinato ad uno scopo. L’elezione è l’atto compiuto su qualcuno. La predestinazione è lo scopo che, colui che è stato scelto, deve raggiungere.

4. IL CONCETTO DI ELEZIONE E PREDESTINAZIONE NELLA SACRA SCRITTURA Come dirà Ancona, questo concetto di elezione-predestinazione è l’idea centrale dell’AT e NT. I due Testamenti, Antico e Nuovo, parlano di un disegno di Dio rivolto a salvare tutta la creazione (1 Tm 2,4). Il primo atto di questa scelta è Israele, ma dobbiamo dire che questa non è a senso esclusivo: Dio ha già predestinato in sé tutta l’umanità a partecipare alla comunione con Lui. Gli inizi di questa comunione sono caratterizzati da una scelta unica che è in funzione della predestinazione che vale per tutta l’umanità. Allora l’elezione d’Israele è soltanto un principio di una elezione che riguarderà tutti gli uomini della terra.

4.1.

Predestinazione nell’AT Israele comprende la sua storia come un evento di alleanza con Dio. L’alleanza stabilisce un

rapporto preferenziale tra i due soggetti. Soprattutto il Deuteronomio attesta che Dio sceglie Israele per un puro dono di amore, non per caratteristiche particolari. Quando Dio sceglie il primogenito di Israele, cioè Abramo, esistevano già dei popoli e delle civiltà di gran lunga superiori a quelle alla quale apparteneva Abramo. Esistevano gli Egiziani, gli Ittiti, i Greci, i Romani eppure Dio non guarda questa perfezione qualitativa. Dio guarda semplicemente ad un uomo, Abramo, che risponde ad una domanda: “Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò.” (Gen 12,1). Dio ha bisogno di una persona che dica “sì” alla sua volontà, al suo volere. Ci sarà un momento particolare nella storia d’Israele in cui il concetto di alleanza sarà molto più compreso in profondità. È il momento dell’esodo dall’Egitto. Dio sceglie un uomo singolo, Mosè, che come rappresentante di un popolo singolo, del popolo d’Israele, viene liberato con la potenza di Dio dalla schiavitù d’Egitto. Questo è un momento importante per la storia d’Israele perché significa che Dio ha rinnovato l’alleanza che ha stabilito tanti anni prima con Abramo. Dio libera un popolo attraverso un uomo che di per sé non è dotato di nessun talento in particolare ma, anzi, è un uomo che balbetta. Ci sono altri due modelli di alleanza che nella storia d’Israele Dio stipula con il suo popolo: 1. elezione del re, che avviene quando il popolo, non accontentandosi più della sovranità di Dio, chiederà al Signore di dargli un re così come tutti i popoli circum-vicini. Poiché 8

questa richiesta viene dal popolo e non da Dio, quest’ultimo si può mantenere non fedele a questa promessa: Dio concede Davide ma nello stesso tempo lo può rimuovere. 2. Elezione di una città sovrana, Gerusalemme, costruita dagli uomini con il suo tempio da Salomone. Questa è una iniziativa umana e Dio non si sente legato a questa forma di alleanza e manda Babilonia a distruggere Gerusalemme e successivamente l’impero romano. Dio è fedele ad un’alleanza quando è lui a prendere un’iniziativa della salvezza. Quando è invece il popolo a prendere l’iniziativa di fare l’alleanza con Dio, Dio accetta solo per un compiacimento amorevole ma non per una decisione determinata e definitiva. Inoltre quando Dio sceglie il suo popolo lo fa affinché possa essere santo, cioè “separato”. L’alleanza con Dio è bilaterale: non solo il Signore si offre spontaneamente ad Israele ma anche l’uomo deve corrispondere a questa relazione d’amore (= conoscere in profondità, cioè avere una relazione intima). Il modello a cui ci si ispira è quello dell’amore totale, unificazione, completante, perfezione del divino. Dio in questa relazione non prevede una “legge del taglione” (occhio per occhio) ma è un Padre misericordioso che ha scelto Israele per un atto di amore. Per questo, se un israelita ha trasgredito ad una legge di Dio, vuol dire che lo ha fatto perché non ha ricevuto sufficiente amore nei confronti del Signore. In ogni caso questo amore si può rinnovare: l’uomo, colpito dalla misericordia di Dio, viene rinnovato e può continuare ad amare il suo Dio. La separazione dagli altri popoli e l’unione amorosa con Dio ha un segno esterno che indica l’unione particolare con Dio: il rito della circoncisione. Ogni membro del popolo di Dio deve essere segnato fisicamente per indicare la differenza che nel suo corpo stesso ha nei confronti degli altri popoli. Questo gesto avveniva anche in altri popoli del vicino Oriente ma con scopi diversi: superstizione e fecondità. Per il popolo d’Israele la circoncisione significava fedeltà a Dio. Esiste un altro segno che indica la fedeltà a Dio: lo herem (“sterminio”). Il popolo d’Israele può provare la shoah, cioè l’eliminazione nei suoi confronti, ma Israele, nei suoi primi secoli di vita viene invitata da Dio stesso a proclamare e a compiere lo sterminio (l’herem) contro le altre nazioni con il quale Israele deve combattere per conquistare la terra di Canaan. È un modo questo per confermare agli occhi d’Israele che nessun altro popolo può vivere accanto ad esso, accanto al popolo che ama Dio e che ha con Lui uno stretto rapporto di amore. In un primo momento la visione salvifica che si manifesta nella elezione, predilezione d’Israele, è molto chiusa, molto ristretta. Israele crede di essere l’unico popolo al mondo destinato ad essere salvato da Dio. Siamo ancora in una fase iniziale della vita d’Israele. Lentamente cresce nella coscienza d’Israele una idea più aperta per cui capisce che la sua funzione non è soltanto quella di essere l’unico popolo prediletto da Dio separato dagli altri ma diventa un popolo 9

mediatore della Salvezza anche per gli altri popoli. Israele può essere un segno, in mezzo ai popoli che servono altri dei, dell’amore verso l’unico Dio. Quando nasce in Israele questa idea di pensare alla salvezza, allora sorge in Israele una consapevolezza ulteriore: Israele si sente un popolo sacerdotale. Il sacerdote per eccellenza è colui che prende una vittima, la uccide e la offre a Dio. Israele diventa un popolo tutto sacerdotale perché accoglie in sé tutto un altro popolo e lo offre a Dio come una vittima a suo favore. Come Israele è stato scelto da Dio così si fa mediatore di elezione a Dio per tutti gli altri popoli con i quali intesse dei rapporti di vicinanza, di convivenza. Tutto questo va bene fino a quando il regno d’Israele prospera. C’è un momento nella storia d’Israele (siamo intorno al VI secolo a.C.) quando succede una tragedia che fa mettere in discussione tutta la struttura che abbiamo esposto del rapporto tra uomo e Dio: la caduta d’Israele in mano di Babilonia. Quando il popolo viene deportato in Babilonia, l’idea che sorge nella mente del popolo è quella di essere stato abbandonato dalla mano di Dio. Il popolo si chiede: “L’alleanza è finita per sempre?”. Qui i profeti si dividono:  profeti prima dell’esilio.  Profeti dopo l’esilio. Il profeta dopo l’esilio è ottimistico. Egli incoraggia a non perdersi d’animo perché Dio rimarrà fedele alla sua alleanza. Dio vuole ristabilire un rapporto speciale con il suo popolo però, anche qui, i profeti del post esilio, ricordano che l’amore scegliente, eleggente, predestinante di Dio è un amore che richiede risposte esigenti. L’ amore di Dio è un amore gratuito che ama riconoscenza e non l’infedeltà da parte d’Israele e dovrà seguire le Leggi del Signore come pegni di amore. In primo luogo è Dio che mi ama e che mi dà i comandamenti. In secondo luogo io lo amo ed osservo i suoi comandamenti. Quindi, anche qui, il progetto di riappacificazione, di elezione, spetta solo a Dio. Con la riappacificazione, il popolo diventa missionario affinché tutti i popoli del mondo si riuniscano per osservare il patto di alleanza con Dio (come afferma il Trito Isaia) nella nuova Gerusalemme.

4.2.

Predestinazione nel NT

Anche i discepoli di Gesù fanno la stessa esperienza di quello che è avvenuto in Israele: i 12 apostoli vengono scelti uno ad uno direttamente da Gesù. Nessuno di loro si avvicina a Gesù ma è Lui che li sceglie nel momento in cui stanno riparando le reti. Coloro che sono stati scelti da Dio capiscono che Egli vuole stabilire con loro una particolare esperienza di amore, di alleanza e comprendono subito che il loro messaggio si riferisce alla fine della Storia. Gli apostoli 10

comprendono che Gesù li ha scelti per un compito che non finisce soltanto sulla terra ma che sorpasserà il tempo presente e arriverà fino al momento sconosciuto nel quale il Messia ritornerà sulla terra. Il rapporto con Dio da parte degli apostoli, in questo momento (il discepolato dei 12 con Gesù), è in un continuo perfezionamento del rapporto tra Chiesa che sta nascendo e Dio. L’evento fondamentale che rende chiara la volontà di Dio di stringere una nuova alleanza con questo piccolo numero di persone raccolte intorno a Gesù è il momento della Pentecoste. Quest’ultima apre immediatamente gli occhi dei discepoli all’idea che l’alleanza di Dio continua attraverso di loro. Come Israele ha sperimentato la sua alleanza con Dio, così gli apostoli sperimentano il loro rapporto gratuito con un rappresentante di Dio, suo Figlio incarnato Gesù. “L’eletto di Dio”, espressione usata dai sinottici in riferimento a Gesù, sta a dimostrare che il concetto di elezione, di scelta per la predestinazione finale ora viene applicato alla figura di Gesù. I discepoli sono coinvolti direttamente da Gesù nell’evento dell’evangelizzazione durante la vita terrena di quest’ultimo. Solo da Lui sono chiamati, scelti liberamente, costituiti come gruppo per condividere l’offerta di grandezza che Gesù fa per tutti i popoli della terra. Rimane sullo sfondo negli scritti di Paolo, in maniera molto chiara, che Dio non ha dimenticato il popolo d’Israele. In Rom 9,11, Paolo collega l’escatologia con la conversione degli ebrei. Il Vangelo di Giovanni aggiunge un’importante conseguenza a questo modo di vedere l’alleanza tra Dio e l’uomo (discepoli-apostoli). Questo Vangelo presenta il progetto di Dio di amare non più un popolo ma, globalmente parlando, il mondo. La Parola di Dio viene mandata al mondo, come viene espresso nel Prologo di Giovanni, dove “il mondo” significa tutti gli uomini e non un popolo in particolare o degli uomini particolarmente prescelti. Dio vuole parlare adesso tramite il suo Verbo divino a tutti gli uomini e a tutte le realtà positive che sono nel mondo, nonostante che ci sia un rifiuto da parte delle forze negative appartenenti al mondo. Allora il mondo è una realtà duplice dove ci sono luce e tenebre:  la luce accoglie il Verbo di Dio;  le tenebre lo respingono. Anche Giovanni si muove sulla stessa dinamica dell’accettazione-rifiuto. In un primo tempo l’uomo può anche rifiutare il progetto salvifico di Dio ma l’autore sacro ci viene a dire che la salvezza tocca solo coloro che riconoscono ed accolgono Gesù come salvatore del mondo. Secondo Paolo anche qui Dio elegge e predestina mostrando amore, sapienza e misericordia. La scelta di Dio per Paolo non è arbitraria ma segue un disegno preciso: salvare tutti gli uomini, tutta l’umanità attraverso il suo Figlio incarnato. Paolo è il teologo più decisivo di questa idea mediatrice del Figlio di Dio nei confronti della salvezza universale e solo grazie al verbo di Dio 11

incarnato che tutta l’umanità può essere salva davanti a Dio. Non c’è una salvezza immediata ma una salvezza mediata attraverso il Cristo morto e risorto. Nella pericope di Rom 8,28-30 è disegnato chiaramente il piano di Dio attraverso 5 piani in salita: 1. quelli che egli da sempre ha conosciuto; 2. li ha anche predestinati a essere conformi all'immagine del Figlio suo; 3. quelli che poi ha anche predestinati li ha anche chiamati; 4. quelli che ha chiamato, li ha anche giustificati; 5. quelli che ha giustificato, li ha anche glorificati. Ora tutti gli uomini sono stati chiamati, scelti da Dio per entrare in comunione con il Figlio. Se Gesù è stato crocifisso, morto e risorto, questo evento non ha toccato solo la sua persona e neanche gli apostoli che stavano in diretta comunicazione con Lui. Il sangue di Cristo è stato versato affinché tutti gli uomini potessero godere della libertà dei figli di Dio e questo godimento è talmente forte che possiamo dire che, con Rom 8,24, noi siamo salvi nella Speranza. La nostra speranza è quella di condurre la storia di Dio in contatto con l’umanità fino al ritorno del Messia. Non abbiamo una certezza ma abbiamo la speranza che, se saremo fedeli al patto di amore che Dio ci ha invitati a stringere assieme con Lui, allora potremo essere veramente salvi cioè giustificati dal nostro male, dal nostro peccato e resi degni di vivere assieme con Dio. C’è la possibilità del rifiuto? L’opera degli apostoli è destinata ad essere accettata da tutti gli uomini della terra o è anche soggetta al rifiuto? Dio considera sempre come possibilità il rifiuto da parte dell’uomo perché l’uomo resta libero e Dio che si mantiene fedele per sempre alla sua alleanza, bontà, amore verso l’uomo. Quest’ultimo può servirsi della sua libertà, come si sono serviti gli Ebrei per allontanarsi dalla sua volontà di fare amicizia, alleanza con Lui. Se gli stessi Ebrei, con la volontà e con la libertà, che Dio ha lasciato loro, desiderassero ad essere il popolo privilegiato di Dio, noi saremo davanti ad una duplice posizione:  da un lato ci troveremmo con un “albero di ulivo”, cioè l’antico Israele, troncato, spezzato.  Dall’altro lato, su questa pianta di ulivo buono viene innestata una “pianticella nuova”, quella della civiltà greco romana, in cui le promesse di Dio passano ad un’altra nazione. Se gli Ebrei, volessero ritornare a riprendere l’antica alleanza con Dio, sarebbero “innestati” loro stessi una seconda volta nell’ulivo buono perché la bontà fondamentale del popolo d’Israele, così come la concepisce Dio, è rimasta identica: Dio si mantiene fedele alle sue promesse. Allora, l’antico ulivo tagliato, dimezzato a causa della colpa d’Israele, si rigenera attraverso l’alleanza con gli altri popoli e, adesso la nuova alleanza con il popolo d’Israele è stretta in maniera più efficace di 12

quanto non avvenga con i pagani perché è ad Israele che appartengono le promesse dei Patriarchi. I pagani, allora, devono essere consapevoli che la loro chiamata è una chiamata d’amore da parte di Dio ma una chiamata che si impone in secondo piano rispetto all’amore verso Israele, che è la pianta originariamente amata da Dio. I pagani devono essere consapevoli che essi ricevono la salvezza da parte di Dio in una maniera esigente. I comandamenti, che valevano per gli Ebrei, erano pegni di amore per cui Dio manifestava la sua alleanza verso il suo popolo, valgono adesso anche per i pagani che devono essere fedeli al Signore. Profeticamente Paolo annuncia che, alla fine dei tempi ci sarà un’unica salvezza sia per i pagani che per gli Ebrei. Il disegno ultimo paolino è quello di una riconciliazione totale. Questa consapevolezza paolina è espressa anche in un altro passo evangelico Ef 1,3-14. In questo inno, i cristiani affermano di essere da sempre preeletti da Dio e la preelezione di Dio è quella di vivere in comunione con noi, non immediatamente ma attraverso una mediazione, non più d’Israele ma di Gesù Cristo con la sua Chiesa. Gli ebrei e i pagani costituiscono le due fondamenta sulle quali Dio può agire per la salvezza di tutto il mondo. La fine del mondo sta in una visione paolina, quella nella quale sia gli ebrei che i pagani risultano immagine e somiglianza del Figlio suo e vivono insieme in una felicità senza fine.

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Lezione del 2 marzo 2018 5. TEOLOGIA E MAGISTERO: TEMA DELLA PREDESTINAZIONE 1Tm 2,4: “Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi”. I padri della Chiesa non trattarono con profondità il tema della predestinazione. Si riferirono al pensiero di Paolo sull’uomo e sulla creazione, quando esorta l’uomo a condurre una vita santa alla luce della resurrezione. Fecero riflessioni soprattutto moraleggianti sull’uomo: i Cristiani, morti al peccato, devono rivestirsi di Cristo. Dio ha voluto salvare tutti i popoli attraverso la vita di Cristo e la resurrezione, che diventa vita vera attraverso lo Spirito Santo, “zoopoion”, ovvero colui che dona la vita e continua a realizzare il mistero di Cristo; dall’incarnazione all’Ascensione, nella Chiesa creata da Gesù per essere il contenitore di tutto questo mistero. Lo Spirito Santo rende la Chiesa attiva. Prima che fosse donato loro lo Spirito nel giorno di pentecoste, i discepoli e le donne avevano paura, non sanno che fare, temono ritorsioni. Lo Spirito Santo mette l’uomo in ascolto e pur creando vita nuova, lascia liberi, mette in moto il mistero di Cristo. L’uomo può comportarsi come vuole davanti all’offerta di salvezza di Dio. L’uomo è responsabile della sua salvezza: Dio vuole che tutti siano salvi ma non costringe nessuno. Il vero responsabile della salvezza resta l’uomo, come nel giardino dell’Eden. Da Agostino in poi la salvezza diventa un tema teologico. Le domande ricorrenti sono: mi salvo dopo la mia vita terrena? Sarò unito a Cristo? Dove andrò? Tra le fiamme del ricco Epulone o dove sta Abramo? In quale regno andrò? Sono scelto e predestinato per il regno di Dio o per la perdizione? Ciò da cosa dipende? Dal mio impegno o dalla volontà di Dio? Gli inizi di Agostino sono pessimistici. Proveniva dal manicheismo, eresia che affermava la lotta tra due divinità: una buona che si manifesta nel NT e una cattiva che si manifesta nell’AT. Il primo Agostino affermava, infatti, la teoria della doppia predestinazione: i buoni predestinati al paradiso e i dannati all’inferno. Tutti gli uomini sarebbero destinati alla dannazione perché da Adamo in poi tutti sono caduti. I pagani sono maestri di immoralità. Il peccato originale si diffonde semplicemente con l’atto sessuale, quindi ogni uomo che nasce sarebbe meritevole di essere punito. Allora Dio è ingiusto? No, Dio resta giusto ma in un modo che sfugge all’uomo. Dio poteva limitare gli effetti del peccato originale ad Adamo ed Eva ma non lo ha fatto. Ciò non lo comprendiamo, è un mistero che solo lo Spirito Santo scruta. Solo lo Spirito scruta le profondità di Dio. Dall’esterno possiamo solo riconoscere che alcuni sono stati scelti per la salvezza perché si sono mostrati eticamente buoni, e ricevono per benevolenza di Dio la salvezza eterna. L’uomo si salva non per la conseguenza delle sue scelte e dei suoi meriti, ma piuttosto Dio dona per sua misericordia la salvezza al giusto, anche se l’uomo agisce bene, altrimenti Dio si troverebbe ad 14

avere un debito nei suoi confronti. Ciò si scontra con 1Tm 2,4: Agostino non risolve il dilemma ma afferma semplicemente l’iniziativa di Dio. Tra il 429 e il 430 Agostino affronta il tema della predestinazione in modo sistematico. Abbiamo il pensiero del secondo Agostino: precisa che la predestinazione non è per tutti gli uomini, ma solo per gli eletti: abbiamo una sola predestinazione fin dall’eternità. Gli eletti sono coloro che da Dio sono preparati ad accettare il dono della salvezza, senza alcun loro merito. È necessaria la libertà di Dio e la libertà degli uomini. Dio prepara alcuni uomini ad essere liberi di accettare il dono della salvezza. La salvezza e la predestinazione hanno un valore Cristologico: se Cristo non fosse risorto non ci sarebbe stata salvezza: Cristo ha espiato il peccato di tutti. Dio non elegge prima dell’evento pasquale: infatti, Dio sceglie il giusto e il dannato solo a partire da Cristo. I pagani giusti si sono salvati perché si sono comportati bene pur non avendo ascoltato il Vangelo di Cristo, mentre i pagani malvagi, che non avevano seguito la legge naturale, si sono dannati. La distanza riguarda solo i pagani, infatti, coloro che hanno scelto il vangelo sono giudicati in base alla conformità a Cristo. Il primato della salvezza spetta a Dio, ma c’è bisogno della Grazia e della libera accettazione da parte dell’uomo della volontà di Dio. Dio è giusto, ma non si può comprendere perché lascia qualcuno o molti senza grazia. Ciò non si riesce a comprendere. Il magistero, da parte sua, non ha mai accettato nessuna di questa due tesi, non si è mai espresso ufficialmente. Né su quella della doppia, né su quella della semplice predestinazione. Il magistero non ha espresso mai la dannazione per nessuno. Nell’alto medioevo rinasce la controversia su Agostino e la predestinazione nell’ambito della teologia monastica: il suo pensiero, letto in maniera letterale, viene travisato. In epoca carolingia, travisando l’Apocalisse, si pensava che stesse venendo la fine del mondo e cresceva la curiosità di sapere chi fosse stato scelto per il bene e chi per il male. Esponenti della controversia furono: Godescalco ( 800-869), Ravallo Vallo (780-856) e Incmaro di Laon (806-882). Godescalco segue alla lettera il pensiero originario di Agostino, quello della doppia predestinazione: gli eletti destinati alla vita eterna e i dannati destinati alla morte. Questo ebbe delle conseguenze ecclesiologiche: quando parliamo di eletti e di dannati parliamo sempre di battezzati. In epoca carolingia il paganesimo è finito. L’Europa è tutta evangelizzata. La Chiesa, in linea di principio, non può intervenire sulla volontà di Dio; ma, per lo stretto legame tra Cristo e la Chiesa, possiamo dire che l’universale volontà di salvezza di Dio viene pronunciata dalla Chiesa, la quale condanna ed assolve. Solo all’interno della Chiesa ci può essere un giudizio di salvezza e di condanna. Se quest’unità tra Cristo e la Chiesa è vera, allora Dio non fa più paura, ma fa paura la Chiesa, che si sostituisce a Dio nel dispensare il dono di Grazia della salvezza. La Chiesa, infatti, 15

potrebbe non essere sempre immagine dell’Amore misericordioso di Dio. Davanti a queste affermazioni di Godescalco, Rabano Mauro convocò il sinodo di Magonza (848). In esso si ribadisce la dottrina tradizionale: la volontà di Dio non è limitata dalla Chiesa, essa è al di sopra. Godescalco è condannato al carcere. Come suo custode è scelto Icmaro di Laon. Egli raduna un altro sinodo, quello di Quiercy (853). In esso Godescalco è condannato come eretico perché non vuole ritrattare e afferma la vera e probabile predestinazione di Dio, ma se esiste è solo per i buoni, gli eletti:

coloro che rifiutano il bene di Dio per un interiore malvagità sono loro stessi i

responsabili della loro dannazione. Non è Dio che li condanna. Dio offre a tutti la sua salvezza, ma alcuni la rifiutano vivendo lontani dal Vangelo. In quest’ottica possiamo leggere 1Tm 2,4, dove si dice che Dio vuole che tutti siano salvi. Possiamo prendere in esame la storia del ricco Epulone: è solo lui il responsabile della sua dannazione, come spiega Abramo. Dio sapeva dall’eternità chi si sarebbe allontanato dalla salvezza. Dio è prescienza eterna e non obbliga ad accettare l’offerta di salvezza. Dio predestina i buoni, non i dannati, che diventano tali solo per la loro volontà libera. La disputa non finisce con il sinodo di Quiercy. Ci fu l’intervento del monaco dell’abbazia di Corbie: Ratramno (800-868). Egli cerca di riabilitare Godescalco. Si serve di Giovanni Scoto che traduce il testo dello pseudo Dionigi in latino, che si è ritenuto per tutto il medioevo opera dell’unico ateniese che si convertì a Paolo nell’areopago di Atene. Scoto cercò di far emergere la misericordia di Dio, ridimensionando molto il tema della predestinazione. A questo punto il concilio di Douzy nell’871 impone il silenzio sul dibattito mostrandosi favorevole ad un agostinismo moderato. Godescalco rimase in prigione fino all’ultimo momento della sua vita. Il tema della predestinazione verrà ripreso solo nell’epoca dei riformatori con Calvino.

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Lezione del 06 Marzo 2018

6. AMARTOCENTRISMO DI AGOSTINO LA DOPPIA PREDESTINAZIONE. Adesso vediamo come la scolastica medievale e l’età moderna affrontano questo dibattito sulla predestinazione e pre-elezione. La teologia Medievale è un teologia che analizza, che vuole attraverso domande, questioni e vari significati etimologici della parola, giungere a cercare una verità sicura, completa, chiara. Questo suo ricercare la verità ad ogni costo, favorisce il rinnovo del dibattito sul tema della predestinazione di Agostino. Così come l’età antica e alto Medioevo lo aveva lasciato aperto. Dal IX al XII i teologi della scolastica rinnovano le questioni: sulla caduta dell’uomo nel peccato e la salvezza eterna dell’uomo, (nonostante il silenzio imposto dal Concilio di Douzy) e se Dio lascia all’uomo la responsabilità della sua dannazione o della sua salvezza. Per rispondere a questo quesito bisogna ricordare 2 autori Pietro Lombardo (sacerdote e insegnante dell’università di Parigi) e Alessandro di Hales. Essi si domandano: se la predestinazione di Dio è un atto della sua intelligenza (se Dio conosce in anticipo la fine di quest’uomo) o un atto della volontà arbitraria di Dio (Dio non sa cosa fa l’uomo o fa finta di non saperlo, è lui con atto di libero arbitrio decide o di mandarlo in paradiso o all’inferno). Tommaso Per poter rispondere a queste domande interviene Tommaso: segue una via nuova per il suo tempo e lega la predestinazione, non alla volontà, né all’intelletto di Dio, ma alla provvidenza di Dio. Dio provvede il bene dell’uomo, non può provvedere il male essendo il sommo bene, la somma Misericordia, il sommo amore è trinità di amante amato e amore. La predestinazione è legata sì alla prescienza di Dio, ma una prescienza che vuole salvare l’uomo. Dio anche se conosce il male che l’uomo può commettere, può intervenire con un atto di predestinazione e può liberare l’uomo dal peccato, quindi portarlo alla salvezza. Il piano di salvezza che Pré-esiste in Dio è quello del fine della salvezza universale di tutti gli uomini, esso è espressione del desiderio di Dio di permettere a tutti gli uomini di abitare il paradiso. Un altro elemento che Tommaso oltre quello della provvidenza divina è quello della Cristologia. Tommaso Pensa al fine universale e definitivo di Dio (salvare gli uomini) è legato alla creazione in Cristo: tutti gli uomini sono legati ad immagine e somiglianza di Dio, prototipo di 17

questa immagine e somiglianza dell’uomo con Dio è il Figlio, cioè Cristo. Se questo è vero Dio che intende salvare tutti coloro che sono stati creati ad immagine e somiglianza del figlio, allora Dio non può dannare nessuno perché dannerebbe un’immagine del Figlio. Quello che vuole Dio è che regni infinita gloria di se stesso, egli non crea per avere servi a sua disposizione, ma per avere degli interlocutori che ricevono il suo amore e siano capaci di rispondere alla sua offerta d’amore. La scelta dell’amore di Dio nei confronti di un uomo è libera da interessi. Dio gradisce dall’ uomo un atto di gratitudine di Obbedienza, il non tradimento della sua lealtà infinita. Quando Dio si trova di fronte all’infedeltà dell’uomo reagisce allontanandolo da sé. Ricordiamo il racconto di Gn 3, Dio non li abbandona, ma gli dà una generazione che si estende con tutta l’umanità, e Dio vuole che tutta l’umanità rappresenti la sua gloria (ogni uomo che vive è grandezza di Dio), e la gloria che l’uomo può dare a Dio è l’abbandono del male per una vita perfettamente giusta, santa, beata. Quindi Tommaso con questi 2 correttivi: della provvidenza e della Cristologia, lega il concetto di coscienza all‘intelletto, ma ne fa semplicemente uno strumento per affermare la volontà di Dio di portare alla salvezza quante più anime possibili.

Giovanni Duns Scoto (1265/66-1308) Scoto lega la predestinazione dell’uomo alla volontà umana: alla sua libertà (ritorno al concetto francescano). Non c’è nessuna promessa di salvezza che Dio deve realizzare con l’uomo. Il rapporto tra Cristo e la creatura avviene senza bisogno di una grazia santificante, cioè di un amore particolare di Dio. Per Scoto non c’è bisogno di dire che c’è un amore che lega Dio e l’uomo. Dio fonte di amore, non ha bisogno di manifestare ed estroflettere (deve mandare al di fuori di sé) l’amore che lui custodisce nella S.S. Trinità, Dio non ha bisogno di amare, l’amore in cui egli vivi gli basta. L’uomo e Dio sono 2 entità solidarie, una di fronte all’altra. Ed entrambi questi oggetti posseggono una libertà: quella di salvare (Dio) e quella di salvarsi o dannare (uomo). La predestinazione è semplicemente un atto della volontà di Dio libera e assoluta, che nessuno può interrogare o ci può entrare (1 Cor 2,10), solo lo spirito può scrutare il mistero di Dio, senza intervento dello Spirito Santo il teologo non può conoscere gli abissi di Dio. Per secoli il dibattito si placa e ogni scuola teologica avvalora le proprie tesi, questa è la riprova come il concilio di Douzy non è stato proprio ascoltato. Verso il 1500 con la riforma e controriforma il tema si ripresenta. A ritornare sul tema e a riaccendere il dibattito sarà Calvino.

Calvino 1509-1564 Calvino nelle sue opere (la predestinazione e il compendio di teologia: le istituzione cristiane) non fa altro che riprendere la tesi di Godesclaco e afferma: Dio ha nelle sue mani una 18

doppia predestinazione dipendente dalla volontà, che è libera, sovrana, intransigente e immutabile, davanti alla quale l’attività dell’uomo non ha nessun valore. La vita dell’uomo sulla terra è una tragedia continua, perché l’uomo non può mai avere dei segni sicuri della sua salvezza, della sua elezione al bene o della sua destinazione al male eterno. L’uomo può solo affidarsi alla benevolenza di Dio: sapendo che il suo “agire bene” ha solo un valore etico. Questo agire bene non gli permette di raccogliere meriti per pagarsi la salvezza eterna, cioè il paradiso. Il paradiso è solo un dono di Dio ed anche senza meriti l’uomo può ottenerlo. Quindi occorre solo accettare la volontà di Dio affidandosi alla sua Grazia. L’unico segno che l’uomo può seguire è il figlio incarnato in Cristo. Seguire l’esempio di Cristo è l’unico segno che ti permette di guadagnarti i meriti della felicità eterna. Dopo il concilio di Trento che non dà nessuna risposta concreta, il dibattito si interessa del rapporto tra grazia di Dio e libertà dell’uomo. La domanda allora diventa se mi posso salvare senza la grazia (benevolenza) di Dio? Dio blocca la mia libertà di decidere, perciò sono costretto ad obbedire a Dio per salvarmi? Quindi gli argomenti sono raccolti sotto la “controversia de AUXILIIS” gli aiuti che Dio può dare all’ uomo per ottenere la salvezza. Se Dio è colui che salva, vediamo come lo aiuta a salvarsi. Si formano 2 scuola: Quella intorno al gesuita Molina Louis Quella intorno al domenicano Domingo Banez Molina Louis (1535 – 1600) La teologia di Molina: Dio offre la grazia, ma essa agisce efficacemente solo quando la libertà umana l’accoglie (l’uomo è libero di accogliere o meno l’offerta di grazia) questa tesi è citata anche come teologia del Congruismo (sproporzionalità tra azione e premio) o Merito De Congruo= ricompensa che non ha nessuna parità con l’opera da ricompensare. Dio aiuta l’uomo solo per convenienza, per una sua benignità, e molto spesso Dio vuol premiare un’opera che di per sé non è proporzionata al bene ricevuto.

Domingo Banez La sua Teologia afferma: la grazia di Dio è sufficiente e efficace alla salvezza senza alcun atto di esplicita risposta da parte dell’uomo. Dio predestina fisicamente nel corpo, nella volontà e nella libertà dell’uomo la grazia che deve servire all’uomo per salvarsi. Tale tesi è chiamata predeterminismo de Condigno= parità assoluta con il premio. E’ il premio che si deve offrire per ottenere un atto giusto, fedele a una promessa. Dio misura esattamente la quantità di grazia che 19

dona all‘uomo e in base a questa quantità di grazia ricompensa l’azione dell’uomo. Parità completa premio e azione. Le due scuole porto avanti anche 2 espressioni che ci possono essere utili perché ritornano nel dogma dell’Immacolata Concezione: La scuola molinista: Dio aiuta l’uomo dopo che il suo intelletto ha conosciuto i meriti che l’uomo si ha acquisito durante la vita, allora salva. (Dio dopo aver guardato nel suo intelletto i meriti che si sarebbe guadagnato, allora salva) La scuola di Banez: “prima dei meriti riconoscuiti da Dio”. Prima di considerare i meriti che l’uomo si sarebbe assicurato attraverso le sue opere buone, Dio liberamente dona la salvezza a costui che se le meritato. Il dogma dell’Immacolata Concezione dice: Dio guardando precedentemente i meriti di Maria ossia la grazia di Maria e la resurrezione di Cristo che avrebbe reso Maria libera dal peccato originale, Dio pensa dall’eternità una donna concepita immacolatamente. La concezione Immacolata di Maria è possibile perché Dio nella sua conoscenza infinta guarda al futuro, e guarda la bontà di Maria e al Mistero Pasquale che avrebbe liberata da ogni contagio del peccato originale. Dio per incarnarsi aveva bisogno di una creatura interamente pura, assolutamente libera del peccato originale, ma la liberazione dal peccato originale può avvenire soltanto dal mistero Pasquale. Dio prevedendo antecedentemente l’efficacia del Mistero Pasquale di Dio su una creatura che si chiama Maria e la purifica e allora le forma fin dall’eternità un grembo santo nel quale incarnare il figlio di Dio. Gesù liberamente lo accetta. Ci dà un esempio di decidere in piena libertà se accogliere o meno la grazia di Dio. La predestinazione entra in campo quando si tratta di comprendere il rapporto tra la grazia di Dio e la libertà dell’uomo (Gesù è stato libero o no, poteva rifiutarsi di soffrire? Secondo il professore si poteva rifiutare. Gesù ha scelto liberamente di aderire al Padre). Molina continua dicendo che Dio conosce in anticipo i meriti dell’uomo per cui la grazia accompagna l’agire dell’uomo. BanezInvece afferma che Dio non tiene conto della sua conoscenza previa dei meriti dell’uomo, ma è la grazia che predetermina fisicamente l’azione dell’uomo. Banez è convinto che Dio sia libero e sovrano e determina l’agire dell’uomo in maniera infallibile. Molina afferma che l’azione di Dio opera solo se c’è accoglienza da parte della volontà dell’uomo. Collaborare con la nostra azione alla volontà di Dio. Per Molina ha una particolare concezione della coscienza della conoscenza di Dio, cioè l’Intelletto di Dio. 20

Per Molina Dio possiede una scienza Media (conoscenza intermedia) tra passato dell’uomo e futuro dell’uomo. La scienza Media fa conoscere a Dio in anteprima le scelte dell’uomo e dunque gli permette di conoscere anche la libera accettazione

della grazia venuta da Dio da parte

dell’uomo. Questa conoscenza anticipata dell’opera dell’uomo viene chiamata da Molina: “Futuribile” è il frutto della conoscenza media di Dio, che sa in anticipo se l’uomo accetterà o meno la grazia di Dio. Il grande difetto di questi due sistemi teologici è quello di non tenere conto della realtà del mistero della Pasqua, sono deboli sotto il profilo Cristologico. Invece sono ricchi sotto il profilo soteriologico: tengono conto della salvezza, ma meno della parte dell’incarnazione e del Mistero di Cristo. Sarà la teologia contemporanea ad affrontare il tema del rapporto libertà/grazia di Dio per cercare di dare ancora una risposta. Nella riflessione Contemporanea il teologo che ha dato il decisivo contributo al rapporto libertà e grazia di Dio è stato Karl Barth che imposta subito il discorso tra libertà dell’uomo e grazia di Dio in chiave Cristologica: il primo ad essere stato eletto o predestinato alla vita in Dio è stato Gesù Cristo. Prima riflessione Barth inserisce il tema elezione nella predestinazione nel Basso orizzonte della grazia di Dio data al suo figlio Gesù Cristo, se esso è stato scelto per essere l’immagine dell’uomo allora ogni uomo che dovrà essere salvato da Dio, sarà salvato in quanto immagine e somiglianza del suo figlio unigenito. Rimane tuttavia un mistero insondabile davanti al quale non è possibile procedere razionalmente sul perché Dio (secondo la visione evangelica di Barth di estrazione calvinista e non luterana) abbia sacrificato il suo figlio alla croce, esso rimane un mistero della S.S. Trinità. Quello che possiamo dire che Gesù e insieme soggetto e oggetto dell’elezione predestinazione. Gesù si incarna per svelare all’uomo la verità dell’elezione. Dio se ci ha scelti è perché ci predestina alla vita felice totalmente assente dal dolore e dalla sofferenza e dalla disobbedienza di Dio che potremmo vivere dopo la nostra morte. Dio ci predestina alla salvezza futura incredibilmente misericordiosa e bella. Contemporaneamente Gesù è anche l’eletto, perché si impone volontariamente come colui che obbedisce al desiderio del Padre e per questo è eletto. La cosa più incomprensibile di tutto è che l’elezione di Gesù alla vita felice con Dio include anche il peccato dell’uomo, cioè il rifiuto dell’uomo alla grazia di Dio. Gesù si immola affinché questo disobbedire da parte dell’uomo, non possa preservare la salvezza dell’uomo. Gesù si sacrifica per tutti. “Dio si allea con il Popolo, anche se sa che il popolo lo tradirà” Rm 9,11. Inoltre Dio anche se sa che l’uomo lo disobbedirà egli 21

comunque fa un’alleanza. Dio si scopre eternamente misericordioso perché non rifiuta Gesù perché si è fatto carico dei peccati dell’umanità, non lo colpisce con la maledizione, ma lo premia con la gloria della resurrezione. La resurrezione è la ricompensa che Dio misericordioso dona al figlio che si è prima offerto alla volontà di Dio e poi lasciato crocifiggere dai peccati dell’uomo. Seconda riflessione Altro accento che viene messo in rilievo dalla teologia di Barth è molto vicino a quella di Agostino, comprende il concetto che l’elezione e predestinazione non è solo un evento che riguarda un singolo, ma un evento di misericordia che avviene quell’ambiente che è la Chiesa, cioè insieme di tutti i credenti e battezzati. L’evento di Cristo include tutta la Chiesa e tutto quanto Israele. Il popolo d’Israele sono i primi ad essere stati eletti poiché hanno alleanze con Dio e poi tutti i pagani ai quali Dio propone lo stesso progetto di salvezza, e si dà il caso che Israele rifiuta il suo liberatore e i pagani cioè la Chiesa nata da Gesù accetta la volontà di Dio. Quando Israele si convertirà a Dio e riceverà totalmente la salvezza da Dio, allora sarà la fine del mondo. Paolo lega la fine del mondo alla conversione di Israele. Se è vero che la comunità di coloro che sono salvati è il luogo dove Dio manifesta la sua misericordia e la sua salvezza, allora la comunità sente il bisogno di annunciare Cristo al Mondo. La ricchezza del dono di Dio che ci ha dato il Cristo, non possiamo tenercela nascosta dentro di noi. Noi siamo fatti anche ad immagine della S.S. Trinità, perché tutte le cose che la Chiesa opera al di fuori sono comuni alle tre persone, come la Trinità di Dio è particolarmente felice in sé, però sente il bisogno di uscire dai suoi limiti e di creare uomini ai quali manifestare il suo amore, così anche la Chiesa sente il bisogno di annunciare la parola di Dio a uomini fuori da sé. La Chiesa deve annunciare che Israele ha rifiutato la salvezza di Dio come ai tempi dei Profeti, e adesso è lei che sarà il popolo eletto. La Chiesa come singolo può rifiutare la salvezza di Dio, la Chiesa non è sicura di rimanere sempre fedele al suo Dio. La Chiesa è libera di accettare o meno la Grazia di Dio e sa anche che Dio accetta il peccato dell’uomo ed è pronto ad annullarlo e a ricoprirlo di Misericordia, grazie al mistero di Cristo. Dio non guarda tanto al rifiuto della Chiesa, quanto la possibilità di perdonarla. Per Barth inoltre bisogna considerare che anche ogni singolo uomo è responsabile della scelta tra fede in Dio e incredulità in Dio. Chi viene eletto è colui che scopre la sua fede profonda verso Cristo visto come eletto da Dio, si accorge che seguendo Cristo come eletto da Dio, egli abbia raggiunto un grado elevato di umanità, a prescindere dai peccati, dai rifiuti commessi nei confronti di Dio, non si preoccupa di questi peccati, guarda più alla fede perché sa che Gesù Cristo ha espiato i suoi peccati dell’umanità. 22

Dio rimane benevolo nei suoi confronti, e non va mai dimenticato che il peccatore può ritornare ad essere eletto. Il peccato dell’uomo non è una realtà definita, immutabile, ma è una realtà trasformabile. L’uomo può in ogni momento della giornata cambiare stato e accettare la grazia di Dio e ritornare eletto. Se si vuole muovere una critica a questa visione di Barth si può affermare che è molto cristocentrica, mettendo da parte la realtà del Dio unico che opera direttamente nei confronti dell’uomo.

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Lezione del 09 Marzo 2018 7. ELEZIONE E PREDILEZIONE

Predilezione significa volontà di Dio di salvare tutti gli uomini (cfr 1Tm 2, 4 tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità). Questo desiderio di Dio si scontra con la realtà che non tutti gli uomini sono predisposti alla salvezza o per disinteresse o perché si comportano in maniera malevola tale che non può essere perdonata. E’ chiaro dalla Sacra Scrittura che Dio si mostri nei confronti dell’uomo compiacente, generoso, benevolo, anche senza tenere conto dei meriti dell’uomo. Dio è anche colui che nella sua misericordia allontana i peccatori. La prima cosa che fa Dio nel volersi manifestare e nel voler mettere in pratica la sua giustizia è quella di chiamare un popolo a ricevere il dono della salvezza. Anche se l’Amore intratrinario è sufficiente a Dio e di questo Amore Dio ne è appagato, Egli vuole far conoscere ad altri questo Amore per un atto di totale generosità. Dio è pronto a riempire de congruo ( in una misura sovrabbondante) le azioni del suo popolo nella misura in cui il popolo si manterrà fedele all’alleanza. Dio scegliendo un popolo, sceglie anche singoli personaggi di un popolo. Tale scelta è dovuta per la elezione e la predestinazione di uomini e donne che possano maturare nella coscienza responsabile. Dio ama il popolo e i singoli uomini affinché questi diventino più uomini, cioè che crescano nella loro capacità di perfezionare se stessi e gli altri. Il sentimento con cui Dio sceglie è una espressione della sua carità, è un fattore sentimentale che ci apre i segreti del sentimento più intimo dell’essenza divina. L’Amore di Dio verso chi crea è un’amore che rende felici, che fa mettere in relazione di completezza. Dio prima sceglie Abramo e poi sceglie il popolo d’Israele, questa estensione del concetto di elezione e predilezione si allarga ancor di più quando nel rapporto tra Dio e il suo popolo interviene la figura di Gesù Cristo. Gesù è l’eletto attraverso il quale tutti i popoli della terra possono venire prescelti e predestinati a conoscere l’Amore di Dio. Attraverso Gesù tutti gli uomini e le donne della terra possono essere salvi. Questo sentimento di scelta si rivolge a tanti singoli al punto tale che questi costituiscano una comunità di amati. Una comunità che ha la sua genesi nell’iniziativa di Dio. L’unica condizione che Dio pone al popolo dei rieletti e che venga ri-amato, questa non è un imposizione ma è una condizione intrinseca al dinamismo dell’ Amore. L’uomo liberamente sente di ricambiare l’Amore di Dio o rifiuta di mettere in atto il rifiuto di questa esigenza che sente dentro di sè. L’uomo può rifiutare l’Amore di Dio. Dio essendo Amore assoluto può anche revocare il suo amore verso il suo popolo. 24

La promessa di salvezza rimane per sempre non si distrugge mai. Una caratteristica che dobbiamo sempre tenere presente è che l’elezione e la predestinazione di Dio pur incominciando storicamente da Abramo è un piano e un progetto che viene definito da Dio fin dall’eternità, l’Amore di Dio si fa storia in un determinato momento storico anche se ha inizio nei misteri intimi della Trinità, da sempre c’è questo progetto amorevole per l’uomo. Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo contemporaneamente decidono la creazione dell’uomo e la storia della salvezza nei confronti di una creatura amata e capace di riamare ma capace anche di rifiutare l’amore. L’elezione di una comunità appartiene a tutta la Trinità, la scelta che tutta la Trinità fa non va considerata mai in maniera irresponsabile; cioè parliamo sempre di una relazione responsabile e profonda che comporta anche un duro abbandono di sè all’altro. Nella Trinità la parola Amore è un impegno constante e continuo del Padre di amare il Figlio, del Figlio di amare il Padre e l’amore dei due che scorre verso l’altro e determina il cerchio trinitario. Quando Dio crea l’uomo come creatura dell’Amore ha già creato il mondo nel quale collocare il mondo e prima ancora ha creato le creature angeliche e già all’interno di questa creazione Dio ha dovuto subire il rischio di una disobbedienza di mettersi al posto di Dio e l’intervento di Dio in questo caso ha provocato una scelta, come gli angeli buoni hanno scelto Dio e gli angeli malvagi hanno scelto per Satana. Con la scelta di Dio di tenere accanto a sè gli angeli che lo hanno scelto e di allontanare da sè gli angeli malvagi già ci è stata una scelta di salvezza e di dannazione; eppure vediamo come Dio davanti a queste forme di rifiuto e di ribellione non si ferma nella sua opera creatrice, continua ad andare avanti perché fin dall’eternità la Trinità si è posta come sostanza dell’ Amore nonostante il rischio del rifiuto. L’amore di Dio è così grande che non rifiuta mai il ritorno del figliol prodigo, il malvagio non viene condannato per sempre da Dio, la creatura umana può sempre ritornare all’Amore del Padre. Dio aspetta fino alla fine della vita dell’uomo perché l’uomo ritorni a Lui. Il rapporto che si crea tra Dio e la sua creatura è lo stesso rapporto che all’interno della Trinità esiste fra le tre persone in modo particolare fra la prima persona della Trinità e la seconda persona, l’amore che vibra tra le due persone è l’amore paterno e filiale. La prima persona della Trinità è Padre perché è ingenerato, dal Padre esce da sempre per generazione il Figlio, per cui il Figlio obbedisce alla volontà del Padre. Lo Spirito che è Amore è lo stesso amore di paternità e filiazione, è lo stesso tipo di Amore che c’è tra le prime due persone. Quando l’uomo fa esperienza della salvezza immediatamente si assimila alla figura del Figlio perché il Figlio viene come prima persona eletta e prescelta per la salvezza da parte di Dio. Il credente viene assimilato al Figlio, ama il suo Dio come un figlio ama il padre, c’è un rapporto di somiglianza tra l’amore all’interno della trinità e l’amore umano nei confronti di Dio. La consapevolezza di essere figlio di Dio non si ferma all’istante nel quale io mi accorgo di essere 25

prediletto dal Padre, ma mi fa comprendere che la mia caratteristica ad essere figlio di Dio è chiamata ad una tensione di perfezionamento continuo. Il mio rapporto di figlio nei confronti del Padre non può essere fissato in una maniera unica e determinata nello spazio e nel tempo ma si sviluppa giorno per giorno a seconda delle concrete condizioni in cui il figlio viene a vivere, cioè si adatta e risponde al contesto storico nel quale il figlio salvato ed eletto da Dio vive, il suo Sit Im Leben, il luogo vitale in cui il credente vive concretamente. Non esiste una doppia predestinazione, Dio predestina tutti alla felicità eterna se qualcuno si perde è per sua responsabilità. L’uomo è l’unico responsabile della salvezza e della condanna non esiste alcuna doppia predestinazione, Dio prende sul serio il comportamento umano. Anche se Dio richiama sempre il peccatore alla conversione tale richiamo è un richiamo sofferente. Un altro aspetto che dobbiamo considerare all’interno del rapporto tra uomo e Dio è l’elezione come chiamata alla diaconia. E’ interessante notare l’uso che si fa del termine diaconia per indicare il servizio dell’uomo nei confronti del creato, il termine è utilizzato in una terminologia esclusivamente antropologica non liturgica. Compito che deriva dall’elezione e dalla predestinazione è quello di servire e salvare anche il creato. Le conseguenze del peccato di disobbedienza di Adamo ed Eva non hanno solo conseguenze umane ma anche conseguenze universali. Il caos determinato dal peccato originale ha determinato anche un caos nel rapporto tra creato e creature. Il fatto che l’uomo venga chiamato ad essere figlio di Dio, eletto, prescelto come figlio di Dio, significa che la consapevolezza della chiamata spinge a comprenderla come valida anche per il creato. Non posso sentirmi salvato da solo, all’interno della Chiesa se non sono responsabile anche attraverso il mio ambito vitale. Dio determina dei carismi particolari perché determinate categorie di uomini e donne possano essere deputate alla salvaguardia del creato. Il creato è anch’esso un ente eletto e prescelto da Dio. Dio prima di creare l’uomo su questa terra , ha creato un cosmo vivibile da parte di creature e da parte di piante ecc. tutto questo è in funzione della predestinazione dell’uomo. Senza la predestinazione del cosmo non ci poteva essere predestinazione per l’uomo. Dio essendo trinità perfetta ha creato il mondo in maniera trinitaria cioè in una maniera nella quale si manifestano i rapporti trinitari di amore ingenerato, di amore generato, amore spirato da entrambi. Il mondo è immagine della Trinità come l’uomo è immagine della Trinità. Quando vedo il mondo davanti a me devo immaginare che lì tutta la Trinità sta determinando il bene delle creature o il male a causa della irresponsabilità dell’uomo. 26

E’ esigenza dell’uomo esprimere al di fuori di stesso la consapevolezza di essere amato da Dio, amare il mondo è necessità dello statuto particolare dell’essere uomo. L’elezione di Dio è strettamente legata a Gesù Cristo, perché in Gesù vediamo chiaramente l’atto divino in cui consiste l’elezione, Gesù è l’eletto per sempre dal Padre, colui che è venuto sulla terra a mostrare la natura del Padre e a renderci figli del Padre. In Gesù Cristo possiamo trovare il contenuto particolare della elezione e della predestinazione dell’uomo. Dio elegge Gesù perché compia tutta l’opera della salvezza attraverso il suo mistero cioè attraverso il mistero dell’incarnazione, Pasqua, Ascensione, Pentecoste e Parusia. Dio non solo sceglie i puri ma può eleggere anche i peccatori, se Dio vuole l’elezione è aperta anche ai peccatori. Esempio di questo tipo di elezione è quella dell’apostolo Paolo, da persecutore ad apostolo. Gesù viene prescelto e viene eletto fondamentalmente perché è stato capace di obbedire al Padre, questa obbedienza del Figlio è totalmente libera in tal modo la totale obbedienza dell’uomo prescelto da Dio è libera. La stessa libertà concessa al Figlio di Dio è concessa al Figlio dell’uomo, il quale diventa figlio adottivo del Padre. La volontà salvifica di Dio è aperta a tutte le genti del mondo, senza limiti di alcun genere. All’interno dello sviluppo della storia dal momento dell’incarnazione del Figlio di Dio, i cristiani portano il messaggio di salvezza perché tutti siano creature, figli chiamati a manifestare l’amore di Dio a tutti i popoli. Il Figlio di Dio attraverso il mistero pasquale crea un popolo di rendenti, la Chiesa conosce due momenti della sua esistenza. Il primo è costituito dalla predicazione di Gesù ai dodici apostoli che rappresentano il germe della Chiesa. Questo germe della Chiesa è reso amorfo dalla morte di Gesù ed è solo a Pentecoste che questo germe riceve la vita, diventa capace di annunciare il mistero di Dio al mondo con l’aiuto dello Spirito Santo. La Chiesa così diviene testimone vivente del mistero di Cristo e la testimonianza è costitutivo della Chiesa stessa. La Chiesa è rivolta ad annunciare il regno di Dio, e attraverso l’annuncio si genera il kerigma generando la fede. Coloro che hanno ricevuto la fede e il battesimo allargano le fila della Chiesa che adesso è il popolo dei salvati, coloro che Dio scegli per essere fatti salvi. Attraverso la missione della Chiesa ogni uomo può conoscere la salvezza donata da Dio. L’uomo non può esigere la salvezza perché la salvezza è un atto libero che proviene dalla volontà di Dio. Accettare l’offerta di salvezza che viene da Dio significa ricevere anche una particolare caratteristica del suo agire, il comportamento dell’uomo viene profondamente trasformato. Lo Spirito Santo plasma ciascun eletto secondo il modello di Cristo, ogni eletto attraverso il battesimo viene ri-creato, ha una creazione ulteriore che lo rende figlio di Dio e lo aiuta a realizzare il raggiungimento della salvezza eterna. 27

Nessuno di noi può essere certo della salvezza o della dannazione ma si è certi dell’ Amore di Dio che alla fine trionferà e il trionfo dell’amore di Dio significherà salvezza per tutti tranne per quelli che nella piena libertà hanno rifiutato l’amore di Dio.

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Lezione 13 Marzo 2018 8. LA CREAZIONE: ANTICO TESTAMENTO

Dopo aver approfondito il discorso sulla predestinazione legata al discorso di alleanza e salvezza dell’uomo, quindi la giustificazione per l’eternità, passiamo al primo argomento che interessa direttamente il corso di antropologia: premesso che tutto il campo del nostro pensare è sempre dominato da un concetto chiave e cioè che Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi (1 Timoteo 2,4). Guardiamo adesso la parte biblica della creazione, in modo particolare l’antico testamento. Incominciamo ad aprire il nostro sguardo sul concetto di creazione: la creazione del mondo e dell’uomo dal punto di vista dogmatico è il punto di partenza trinitario da dove è possibile comprendere il concetto di predestinazione e quindi di salvezza nel cosmo, infatti, quello che Dio crea è destinato alla salvezza, sia l’uomo che il creato. La creazione ha un carattere particolare e cioè essa non è Dio, non è una divinità in sé e per sé come credevano tante religioni orientali, ma da parte nostra diciamo che essa è totalmente diversa da Dio, è un mezzo efficace di cui si serve Dio per manifestarsi. La manifestazione che Dio ci offre nel creato ha un’impronta strettamente trinitaria dal punto di vista dogmatico, ma non dal punto di vista strettamente esegetico. Il creato mostra come Cristo e lo Spirito ci aiutano a vedere nella creazione una prima immagine di Dio Padre. infatti, già quando Lui crea predestina ad un fine di completamento, di compiutezza e di perfezione. Dio sceglie di manifestarsi mai ugualmente a tutte le religioni del mondo, ma sceglie il come manifestare il suo essere, il creare e il salvare. Il Padre ci fa vedere come il mondo e l’uomo siano stati strutturati per ricevere qualcosa. Chi riceve questo dono dal Padre è innanzitutto il Figlio per opera dello Spirito che sempre opera perché sia la creatura che il mondo possono essere capaci di conformarsi al Figlio. Dio crea un mondo trinitario, mondo e uomo sono manifestazione del Dio Uno e Trino. La creazione allora è un primo momento in cui la Trinità esce da se stessa e pone determinati esseri, e se questo è vero la creazione non è solo un presupposto, cioè qualcosa distinto dall’uomo, ma è un composto simultaneo di creatura umana e di creature non umane, la creazione gode di una contemporaneità come mostrano i racconti di genesi. Tutto il creato viene fornito di Spirito e viene destinato alla salvezza. Dio crea secondo una linea vettoriale che parte dalla creazione e tende al compimento finale, infatti parliamo di una creazione continua. Dal Nuovo Testamento leggiamo quello Antico in continuità fra loro e si comprende come sia presente nell’Antico una caratteristica di Dio: Egli possiede una volontà libera per manifestare il suo piano salvifico; non esclude altri popoli e altre culture, ma con Israele stringe un patto particolare. I due testamenti, infatti, si unificano in questo pensiero unico: Dio crea e continua a far creare finché raggiunga la perfezione finale. Israele comprende di essere stato creato come popolo particolare 29

chiamato ad essere un collaboratore prescelto da Dio. L’alleanza globale con Dio che si manifesta ad Israele deve insieme con esso estendersi a tutto il mondo creato. Ma quali caratteristiche ha il Dio creatore? La fede d’Israele parte da un fenomeno non creativo, ma dal fenomeno dell’esodo, fenomeno che inizia con Mosè, che diventa il centro del credo; Israele fa esperienza di essere alleato con Dio perché Egli l’ha liberato dalla schiavitù. Se Dio ha salvato Israele allora quello stesso Dio l’ha anche creato necessariamente e ha stabilito con i padri un’alleanza particolare d’amore nei secoli. Durante l’esodo Israele capisce che la creazione e l’alleanza sono entrambe azioni di Dio simultanee. Von Rad e Westerman rappresentano solo i due punti estremi dell’interpretazione esegetica a riguardo: Von Rad da un lato sostiene che la fede nella creazione è un prodotto successivo all’alleanza d’Israele e quindi non c’è simultaneità tra creazione e alleanza, infatti, tutti i popoli saranno obbedienti a Dio grazie alla testimonianza di Israele. Dall’altro invece Westerman approfondisce ed estende il concetto di simultaneità tra alleanza e creazione a tutto quanto l’Antico testamento che esprime in ogni momento un Israele che ha pensato alleanza e creazione contemporanee e non si possono scegliere passi particolari come i vari credo per dire che Israele soltanto in un certo istante è riuscito a comprendere che Dio l’ha salvato e lo ha anche creato. Israele dirà che il suo creatore ha dovuto creare anche tutti gli altri popoli esistenti accanto a quello di Israele, infatti se Dio è uno allora anche tutti gli altri popoli che non credono nello stesso dio sono stati creati da uno solo. Dunque le due idee di creazione e alleanza sono distinte, ma sono entrambi fondamentali per il credo d’Israele. Il punto unificatore sta nel pensare che Dio è l’unico che crea e che salva simultaneamente. L’antico testamento attesta una presenza attiva di Dio, infatti, usa un verbo che si può adattare solo al soggetto Dio, il verbo barà, un’azione sola di Dio: mettere in essere, creare dal nulla. Nei testi dei salmi poi abbiamo dei testi oranti attraverso i quali Israele manifesta il suo rapporto con Dio e la consapevolezza di essere creati e salvati da Adonai. Babilonia poi farà bene ad Israele, poiché si confronterà con una teologia diversa dalla sua e cioè con il credo materialistico. L’unico Dio vivente è Adonai e solo Lui va adorato. Quando durante l’esilio gli idoli di bronzo non basteranno alla sofferenza di Israele allora il popolo si ricorderà dell’alleanza dell’unico Dio. Questo popolo che parla di un dio che si intrattiene faccia a faccia con Mosè e così poi attraverso i profeti sentono la viva voce di questo dio che parla. I primi due capitoli della Genesi in particolare spiegano come Dio è intervenuto a dare ordine e vita a qualche cosa, e sarebbe molto facile pensare che Dio ha dominato con il suo cosmos il caos che era. Quando parliamo della creazione di Dio, non bisogna pensare al caos come qualcosa di pre-esistente a Dio. La persona che crea insieme a Dio è la Sapienza ed è presente anche nella coscienza dell’uomo, in particolare nella funzione morale dell’uomo. Quindi la sapienza significa ordine in due significati: ordine cosmico e ordine etico. Nell’universo esiste una legge che 30

organizza tutta la grande macchina dell’universo, ognuna di queste creature segue una propria legge, cosi nella coscienza morale dell’uomo si riconosce il bene e il male, il giusto e l’ingiusto, l’uomo è ispirato a comprendere che anche dentro di se esiste una legge da rispettare e uno stimolo ad agire bene. Quando il giusto è colpito, come Giobbe, risulta difficile coniugare la creazione e l’alleanza che Dio ha compiuto. La parola mondo richiama il fatto che il mondo non si è prodotto da solo, ma dipende da Dio e dalla sua azione e tutte le creature hanno dentro di sé una legge, (de cause secondae come la chiama Tommaso dopo la causa prima che è Dio Padre creatore). Tutto ciò che è creato è chiamato a mantenersi in vita per sempre. Vedere il mondo allora come collaboratore di Dio, Dio che distribuisce ad ogni creatura una funzione propria, vengono chiamate per nome da Dio stesso del primo racconto e non dall’uomo come nel secondo racconto e ciò indica che Dio è il proprietario di ciò che crea e vuole condividere la sua creazione con l’uomo. Dio crea in principio, quando inizia la storia, allora la storia è carica di possibilità e tutte le cose che verranno saranno macchiate da questa carica di possibilità. L’idea di caos è il contrario di tutto ciò che accadrà all’esistenza, Dio non trasferisce tutta la sua esistenza nel mondo tale da creare un altro dio, ma crea partendo da un qualcosa della sua vita, amandolo e dandogli vita entro certi limiti. Il cosmo si sottrae ad ogni considerazione filosofica, quindi non è una creatura a se stante, esiste solo il dorso di ogni creatura, il contrario e il doppio di ogni creatura, ecco perché leggiamo le diverse coppie nelle Genesi (luce-tenebra ecc.ecc.); dal nulla non proviene il nulla, diversamente invece che il nulla possa essere un qualche cosa lo dice la nostra fede, infatti, sostentiamo che solo Dio ha il potere sul cielo sulla terra e sul loro contrario e tutto ciò è sottomesso all’unico principio creatore, anche le tenebre. La differenza non è cosmo/caos, ma di cosmo e anticosmo, entrambi soggetti sottoposti all’unico ordinatore di ogni ente. Solo quando la terra è separata dal mare allora quest’ultima diventa casa per tutti gli esseri viventi. Dio alla fine della creazione benedice, cioè produce da se stesso altri elementi, trasmette la vita, secondo la progressione della generazione, l’unico pianeta terra creato può essere casa degli esseri viventi, tutti quanti i doni di Dio che ha provveduto al tutto, al necessario per il prolungamento della vita, di questi, gli esseri umani avranno una responsabilità specifica.

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Lezione del 16 Marzo 2018

9. L’UOMO: CREATO A IMMAGINE E SOMIGLIANZA DI DIO

La volta scorsa abbiamo letto il primo racconto della creazione e abbiamo visto come l’autore sacerdotale divide la creazione secondo i giorni e si apre attraverso l’alternanza delle stagioni (secondo le fasi della luna). Il pianeta Terra è l’unico luogo dove esiste una vita intelligente. Dal punto di vista della fede, l’intelligenza dell’uomo è un dono di Dio che gli ha fatto al momento della creazione, insieme a quello della creazione. La creazione può essere interpretata da un punto di vista trinitario: il Padre progetta, il Figlio realizza e lo Spirito Santo vivifica. La prima grande differenza che emerge nel creato: è tra creature che non sono ragionevoli e l’uomo che è creato come creatura intelligente e capace di sentimenti. Antico Testamento: Dio all’interno della Trinità vive delle relazioni personali e nel momento in cui decide di creare l’uomo a sua immagine e somiglianza, implicitamente vuole creare una creatura intelligente, cioè una persona con cui dialogare attraverso il suo Verbo (la sua Parola). Alle altre creature, Dio può solo imporre delle leggi, all’uomo invece impone solo il divieto di non mangiare dell’albero del bene e del male posto al centro del giardino dell’Eden. Quest’unica legge data all’uomo è veramente limitata. Sappiamo che si tratta di racconti inventati, storie prese dalle altre religioni circostanti (soprattutto durante il periodo dell’esilio babilonese), ma a noi non interessa la letterarietà del testo, quanto piuttosto quello che è il messaggio che si vuole trasmettere: l’uomo è il signore del creato e all’uomo viene imposta una norma regolativa della sua vita. La genesi esprime attraverso il mito il modo con cui è avvenuta la limitazione del dominio assoluto dell’uomo. Cosmologia ed antropologia sono collegate e si richiamano a vicenda. Dio crea tutte le cose per salvarle, cioè per dare loro la possibilità di avere uno stato di vita sovrannaturale, il più vicino possibile al suo proprio stato di vita che è quello eterno. Non possiamo distinguere la creazione degli esseri viventi dalla creazione dell’uomo: l’uomo viene creato insieme a tutta la creazione. Ciò significa che tutto il creato è chiamato alla salvezza insieme all’uomo. Il mondo (flora e fauna) non esisterebbe senza l’uomo, allo stesso modo questi non potrebbe sopravvivere se non ci fossero creature deputate al suo sostentamento. Quindi uomo e creazione devono essere visti in concomitanza e simultaneità di vita, di azione e di futuro. Lo scopo della creazione è in fin dei conti soteriologico (di salvezza). Adesso vediamo come l’uomo viene creato ad immagine e somiglianza di Dio. 32

Nella creazione l’uomo rappresenta la controfigura stessa di Dio (immagine e somiglianza significa che l’uomo è una controparte di Dio all’interno della creazione). Ireneo di Lione dice che l’uomo vivente è la gloria (la luce, lo splendore) di Dio. Con la sua semplice vita l’uomo dà lode a Dio. La seconda parte di questa frase, generalmente non citata, è altrettanto importante perché dice che la vita dell’uomo consiste nella visione di Dio (non ho bisogno di andare in Paradiso per vedere il volto di Dio, ma già adesso sulla terra la vita dell’uomo non ancora toccato dal peccato originale è una vera e propria contemplazione del Dio vivente). Lo scopo della creazione dell’uomo è custodire la sua dimora; l’uomo ha il compito di provvedere alla custodia del creato, luogo in cui lui e le altre creature vivono. Essere custode significa essere responsabile della conservazione delle altre creature: Dio che ha creato tutte le cose, le pone nelle mani dell’uomo che è invitato a conservarle con l’opera della sua intelligenza. L’intelligenza dell’uomo fa scoprire le leggi, i movimenti, le cause e gli effetti, i segreti del creato perché egli possa usarle per il bene dello stesso. Gen 1, 26-28 chiarisce esplicitamente questa idea, chiamando l’uomo come un rappresentante del creatore. L’immagine e la somiglianza di Dio, dunque consistono nella funzione di abitare e far sviluppare la casa dell’uomo che è tutta quanta la creazione. Ci sono due espressioni ebraiche che indicano l’immagine e la somiglianza: selem (l’immagine come rappresentante cosmico, ossia l’uomo quale icona vivente di Dio) e berut (la copia o imitazione. Questo concetto era conosciuto soprattutto alla religione egiziana che parlava di una rappresentanza di Dio, che però era ristretta alla figura del re: solo lui rappresentava sulla terra la copia del dio sole. Nel caso della genesi il concetto di copia della divinità è estesa a tutti gli uomini che nascono sulla terra. Inoltre mentre nella religione egiziana l’immagine divina era legata anche al potere profano del faraone; in Israele era invece semplicemente l’espressione della vita dell’uomo). Dire che l’uomo è immagine e somiglianza di Dio non significa che l’uomo è Dio, perché tra le creature e Dio c’è una distanza ontologica (nel panteismo Dio si confonde con le creature; nell’idealismo hegeliano, Dio per completarsi deve necessariamente crearsi un mondo). Dio è pienamente felice e realizzato nella Trinità; Egli vuole solo comunicare tutto questo alle altre creature, in particolare all’uomo. Da un punto di vista strettamente ontologico, le due espressioni immagine e somiglianza di Dio, dicono poco sulle qualità (natura) dell’uomo, piuttosto ci aprono la mente a comprendere la funzione dell’uomo all’interno del creato. Anche nella duplicità uomo-donna della coppia va vista l’immagine e somiglianza di Dio (maschilità e femminilità insieme rappresentano l’immagine e la somiglianza di Dio). In gen 1,28 Dio dice all’uomo “soggiogate la terra”. 33

In gen 2,15 invece, le espressioni bibliche sono meno impositive, leggiamo che “Dio pose l’uomo nell’Eden perché lo coltivasse e lo custodisse”. Dunque abbiamo due complessi di pensiero: nel primo racconto troviamo espressioni di dominazione e soggiogamento della creazione, nel secondo racconto (quello più antico) abbiamo le espressioni della coltivazione e della custodia del giardino. Questo secondo significato specifica il senso del soggiogare e del dominare. Dio non può creare l’uomo per distruggere la creazione, Dio non vuole un dominio che porti alla morte, ma una custodia che faccia prosperare la vita e avvicini la creazione alla salvezza finale. Custodire e coltivare significa riuscire a capire le leggi ed i meccanismi della natura per il bene di tutto il cosmo. L’uomo è amministratore di Dio, ossia egli mette ordine nella creazione secondo la volontà di Dio, le indicazioni che gli vengono dalla sua immagine fondamentale. Quando l’uomo si troverà davanti al suo prototipo (Dio) dovrà rendere conto della propria attività di custode dell’essere. In gen 5,3 leggiamo che Adamo genera con Eva un figlio di nome Set a sua immagine e somiglianza; significa che l’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio, può trasferire autonomamente questa somiglianza anche ai suoi discendenti. Nel medioevo si discute sulla questione dell’anima, se sia trasmessa dai genitori (al pari dell’immagine e somiglianza) o sia soffiata da Dio. L’anima si può staccare dall’uomo oppure vive e muore con lui? L’anima e il corpo sono due elementi complementari dell’essere uomo, come il sinolo di materia e forma di cui parlava Aristotele, ma sono anche ontologicamente differenti perché il corpo è il complesso delle attività biologiche e l’anima il complesso delle attività intellettuali. Corpo, materia e spirito si uniscono al momento in cui si nasce per opera di Dio. La parte materiale dell’uomo proviene dai genitori, la parte spirituale proviene da Dio. Nel momento della morte, a causa del peccato d’origine, questi due elementi si separano: il corpo diventa nuovamente polvere, mentre l’anima ritorna a Dio. Questa situazione di separazione è però solo temporanea e irregolare perché corpo ed anima si desiderano a vicenda, l’anima infatti è stata plasmatrice intelligente del corpo. Alla fine dei tempi, quando il figlio dell’uomo ritornerà a giudicare tutte le cose, i corpi ritorneranno alle loro anime. L’anima non può rimanere isolata dal suo corpo; la persona totale si costituirà per il giudizio definitivo. Il soffio vitale da parte di Dio avviene nell’istante del concepimento; l’embrione non è solo materia umana, ma anche parte divina.

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Ci sono due espressioni medievali che esprimono il rapporto tra corpo ed anima: 

“entia quae”: significa che corpo ed anima sono essenzialmente divisi e completi, senza nessuna possibilità di correlazione;



“entia quibus”: significa che l’uno è fatto per l’altro e non possono esistere separati;, se ammettiamo una separazione, dobbiamo per forza affermare la loro temporalità della divisione perché essa avviene soltanto per un certo tempo, ma poi si deve ricomporre.

Gen 9,6 dice che è vietato uccidere una creatura perché è somigliante a Dio; ciò significa che la colpa del peccato originale non ha distrutto la caratteristica dell’uomo di essere a immagine e somiglianza di Dio (l’uomo rimane immagine e somiglianza di Dio con il suo corpo e la sua anima). Con la traduzione dall’ebraico in greco della Settanta, fatta ad Alessandria d’Egitto, incomincia a svilupparsi una riflessione sulle qualità intrinseche dell’uomo influenzata molto fortemente dalla dottrina delle idee di natura platonica e neoplatonica. Come si trattava delle qualità dell’anima nei trattati di Platone e di Fedro, così Sap 2 specificamente ci parla della somiglianza con Dio. Sap 2,23 dice che la somiglianza è indice di immortalità, per cui l’uomo non muore mai. Significa che la morte coinvolge insieme il corpo e l’anima. Sap 2,23 afferma che Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità, perché lo ha fatto a immagine della propria natura: se Dio è incorruttibile, anche l’uomo lo è. Una nota negativa ci viene dal versetto successivo che molto realisticamente riconosce che questa incorruttibilità può essere perduta, quindi deve essere ristabilita. Sap 2,24 afferma che la morte è entrata nel mondo per l’invidia del diavolo. Sap 3,1 riprende il tema, ma distingue tra buoni e malvagi, giusti ed ingiusti: “le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, nessun tormento le toccherà”. L’immortalità, allora, viene limitata soltanto alle persone che hanno vissuto con la sapienza di Dio e con rettitudine di vita. L’uomo può perdere l’immortalità, ma si salva se ritorna sulla via della salvezza. Una considerazione a parte va fatta sulla creazione del settimo giorno, il giorno del riposo. Secondo gen 2,1-3, il settimo giorno è il culmine dell’attività creatrice di Dio, lo scopo, il punto finale al quale Dio tendeva, cioè Egli creava in funzione di un suo riposo. La creazione diventa il luogo in cui Dio vuole riposare ed il tempo in cui la creatura e il creatore si incontrano di nuovo in maniera totale per festeggiare la gioia della creazione intera. E a Dio piace abitare con le sue creature perché è soddisfatto di ciò che ha realizzato.

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Il documento sacerdotale (P), che rinveniamo nell’esodo, collega intenzionalmente i due racconti della creazione: il momento in cui il popolo ebraico è stato creato ed il momento in cui il popolo ebraico viene ricreato dopo la fuga dalla schiavitù d’Egitto (Es 19,1 – 40, 38). Il ciclo narrativo del Sinai viene messo a paragone con il ciclo della creazione: come Dio creando aveva anche dato delle norme dispositive all’uomo su come conservare e custodire il creato, così durante il lungo periodo dell’esodo, Dio insegna agli ebrei le leggi per poter vivere felici nella nuova terra promessa. Durante l’esodo, il sabato della creazione avviene quando finalmente gli ebrei costruiscono in mezzo al deserto un santuario per Dio. Alla base del monte Sinai c’è la tenda dell’incontro (presenza di Dio); la gloria di Dio copre la montagna per sei giorni, al settimo giorno Dio chiama Mosè e lo incontra nel fuoco per donargli un altro essere creato da Dio (si tratta della nuova creazione perché Dio concede a Mosè una nuova legge di vita: i dieci comandamenti. Chi non osserva questa legge cade nell’infedeltà, nel tradimento sponsale). Dio entra nella sua dimora (la tenda del convegno), ma rimane invisibile agli occhi del popolo, solo Mosè può entrarvi e guardare Dio faccia a faccia, e ne viene talmente illuminato che quando esce deve coprirsi il volto con un velo. Questa dimora voluta da Dio, sarà il luogo dove Egli raccoglie il popolo e rivela qualcosa di nuovo ad Israele tramite Mosè. La costruzione del santuario, quindi, continua la creazione che non si è completata con il settimo giorno. La dimora diventa il luogo in cui Dio si fa comprendere come liberatore di Israele e di tutta la creazione. La creazione, dunque, non si conclude con il settimo giorno, ma è aperta al futuro dove ci sarà la pienezza che ancora resta da sperimentare. Il completamento finale sarà “comunionale”, non personale. Le creature si incontreranno tra di loro e con Dio in un orizzonte di festa. Il sabato della creazione anticipa il sabato eterno a cui tende la storia di Israele (il cui tempo non è ciclico, ma vettoriale). Ci sarà un momento in cui il ritmo del progredire verrà meno e si stabilirà una distinzione definitiva tra lavoro e festa. La comunione profonda con Dio porrà fine alla parola lavoro e sottolineerà solo la parola festa/gioia. Tutto questo lo possiamo dedurre mettendo in relazione il racconto dell’esodo con quello della genesi. Il racconto javista, che è il secondo racconto, quello più antico di gen 2,4b-3,24, viene considerato dagli esegeti non come un racconto vero e proprio della creazione, quanto piuttosto un racconto legato alla caduta dell’uomo nel peccato delle origini. Allora il racconto delle origini, è il racconto dell’origine dell’Eden in cui l’uomo e sua moglie avrebbero peccato.

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Dio crea solo per amore, il mondo è buono, va amministrato dall’uomo secondo il volere di Dio, raggiunge il fine della salvezza. Al pensiero degli agiografi è assolutamente estraneo il dare qualunque senso scientifico ai due racconti della creazione (a differenza delle altre religioni vicine); loro interesse è solo il discorso teologico che sottolinea la presenza di Dio come artefice della creazione completa dell’uomo e della donna per una loro salvezza. Dio ha creato l’uomo per la sua gloria e per trasmettergli la sua benevolenza; questo contenuto essenziale lo ritroviamo anche nella letteratura successiva all’antico testamento, la così detta letteratura extra canonica (qumran, il giudaismo ellenistico, il giudaismo rabbinico ecc.), dove non ci sono intenzioni scientifiche e dualistiche (due divinità che si oppongono e lottano cosmicamente tra loro: bene e male): qui c’è solo l’unicità di Dio che è bene, ed interviene ogni volta che la sua legge viene trasgredita per riportare tutte le cose nella giusta relazione con lui. Nuovo Testamento:. Il tema fondamentale del Nuovo Testamento non sono né la cosmologia né l’antropologia, ma l’elezione/predilezione di Gesù Cristo, il Figlio che dall’eterno è stato prescelto da Dio per incarnarsi nel mondo. La creazione del mondo e dell’uomo è il primo momento dell’azione salvifica di Dio che avverrà grazie alla mediazione del Cristo. Le testimonianze del NT riguardo la creazione, sono tutte relative alla salvezza mediante Gesù Cristo. Il tema della creazione non è la scienza sul creato, ma la salvezza dell’uomo nel creato (questo è lo scopo della scrittura del NT). Non viene spiegato come Gesù interviene sulle malattie e sulle morti, agli agiografi non interessa infatti il “come”, bensì il “cosa” ha fatto Gesù. Le testimonianze cristologiche più evidenti sono quelle di Paolo e Giovanni, mentre nei sinottici e in altri testi troviamo affermazioni meno esplicite (da questi scritti emerge il tema che Dio è unico, padre di tutte le creature, ha stabilito un piano di salvezza, in particolare ama gli uomini). Ci sono diversi esempi che rivelano come l’attenzione di Gesù sia rivolta al creato opera di suo padre (guardate i passeri, i gigli...; la tempesta sedata, la pesca miracolosa, ecc.).

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Lezione del 20 Marzo 2018

10. LA MEDIAZIONE DI GESÙ CRISTO NELLA CREAZIONE

Dando uno sguardo alle espressioni di Gesù che si rivolgono, in modo particolare, al creato ci fanno notare come l'attenzione di Gesù non fosse rivolta soltanto ai malati nel corpo e nello spirito ma anche alle bellezze naturali che poteva contemplare nella sua terra. “Guardate i passeri, guardate i gigli, io faccio come fa una gallina con i suoi figli, il grano sotto terra deve morire, Gesù che arrostisce il pesce sulla brace” e così via. Queste sono alcune delle espressioni che ci mostrano come Gesù era fautore di una custodia del Creato e questa sua stessa sensibilità la trasmette a noi e ci chiede di essere come Lui, ammiratori delle bellezze di Dio attraverso il creato. Ricordando quello che ci dice Paolo all'inizio della Lettera ai Romani, attraverso la bellezza del creato, i pagani avrebbero dovuto riconoscere la bellezza di Dio; invece non solo non l'hanno riconosciuta ma si sono abbandonati ai peccati più spregevoli della carne. Continuando su questa linea gesuologica o gesuana, cerchiamo di intravedere un'altra figura, quella del mediatore della creazione. Gesù non solo apprezza la creazione ma la apprezza perché è stata fatta anche attraverso di Lui. In 1 Cor 8,6 compare una formula pre-paolina, protocristiana che contiene importanti elementi riguardanti la creazione: " per noi c'è un solo Dio, il Padre dal quale tutto proviene e noi siamo per lui (per, scopo, fine); un solo Signore, (Kyrios), Gesù Cristo in virtù del quale, (dia, per mezzo di) esistono tutte le cose e noi esistiamo grazie a Lui”. Con l'uso delle proposizioni, haec/haes, collegate al Padre e al duplice dia riferito al Figlio, si distinguono le due funzioni a proposito della creazione che non è, solo esclusivamente del Padre ma anche del Figlio. Il Padre è l'origine e lo scopo della creazione mentre Gesù Cristo è il mediatore della creazione ed è anche la sola redenzione, è il principio grazie al quale noi possiamo mantenerci in essere, esistere in virtù del quale esistono tutte le cose, e noi esistiamo grazie a Lui. Paolo fa una distinzione tra le cose che esistono e, noi. Tutte le cose sono le creature, visibili e invisibili, di carne o di erba, quindi fauna e flora, e poi dice parlando degli uomini: noi esistiamo grazie a Dio distinguendo le due parti della creazione: l'uomo come essere intelligente e le creature. L’unico mediatore, questa espressione la troviamo anche in Atti 4,12, esiste prima della creazione, è pre-esistente. Da questo punto di vista il tema si ritroverà nella speculazione sapienziale del primo giudaismo cioè il tema della mediazione del Kyrios nella creazione avvenuta da parte del Padre, il primo giudaismo nel II sec. d.C. con una letteratura sapienziale che c’è riportata nella Bibbia nei libri del Siracide e della Sapienza, sviluppa proprio questo tema la sapienza che sta accanto a Dio e collabora con Lui nella creazione del mondo. Questa medesima idea della mediazione del Kyrios o della sapienza della Sophia, la ritroviamo 38

anche nei commenti del filosofo e conoscitore della Bibbia, Filone di Alessandria, vissuto tra il 20 a.C. e il 45 d.C., era un greco di formazione ellenistica ma molto interessato all’ebraismo e che ha dato per primo, all’interno del giudaismo, dei commenti su tutto l’antico testamento, in modo particolare sul Pentateuco. Attraverso le sue opere e i suoi commenti ritorna di nuovo questa idea della Sophia o del Logos che accompagna Dio nell’opera della creazione. Proprio perché il Signore, il Kyrios, esisteva prima della creazione, allora il creato proviene dalla Sua volontà, non si è posto da solo in essere, ma proviene da un progetto globale sul mondo, un progetto che riguardava la creazione di un’entità altra da sé. Dio vuole uscire dalla solitudine del suo perimetro ontologico, vuole mettere in atto non una sua copia, perché la copia di Dio già c’era ed era il Figlio, irradiazione della Sua gloria e impronta della Sua sostanza. Come dice la lettera agli Ebrei, l’immagine di Dio già esisteva si voleva creare da parte di Dio, da parte della Trinità, qualcosa di completamente altro da sé non invisibile ma visibile, non materiale ma spirituale insieme, non spirituale al massimo ma materiale anche. Mediatore della creazione e della redenzione è Gesù Cristo che opera non in maniera autonoma, proprio perché è mediatore, e non è l’ideatore o il creatore è soltanto frammento, frammento da realtà spirituale. Tutto quello che fa, lo fa perché il Padre, l’attore dell’atto della creazione, gli dà indicazioni su come operare. Da un certo punto di vista il Figlio è subordinato al Padre. Da un altro punto di vista però il mediatore ha anche una sua autonomia creatrice, non è soltanto un meccanico ripetitore dei comandi del Padre ma possiede anche una propria volontà e una propria determinazione creatrice sul mondo. Risponde a Dio e tuttavia Cristo possiede una propria creatività, tutto ciò è stato importantissimo per la formulazione della nostra fede sulla creazione da parte anche di Gesù «per mezzo di Lui tutte le cose sono state create» Gv 1,10. La stessa cosa si ripete nell’inno cristologico di Col 1,20 «per mezzo di lui e in vista di lui tutte le cose sono state create» e ancora all’inizio di Col 1,16 «in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili». Paolo elenca alcuni esempi di queste creature invisibili che sono state create prima delle creature visibili, parla di troni, dominazioni, principati, potenze e conclude dicendo che tutte le cose sono state create. C'è stata, dunque, una pre-creazione di esseri, che supponiamo, essere personali ed angelici, tra chi è rimasto fedele a Dio diventando Suo strumento conoscitivo per gli uomini e chi, invece, si è schierato contro di Lui. Su queste quattro realtà (troni, dominazioni, principati, potenze) abbonderà la riflessione dello pseudo Dionigi, l’areopagita, il quale cercherà di capire a quali entità corrispondono queste quattro definizioni che da Paolo. Sono esseri invisibili, angelici che hanno anche delle corrispondenze cosmologiche, cioè corrispondono ad alcuni astri del cielo. Il rabbinismo, soprattutto dopo Qumran svilupperà ulteriormente con la kabbalah questa linea d’interpretazione biblica di questo versetto di Paolo. 39

Nell’inno di Col 1,15-20 si afferma che la creazione ha un significato cristologico globale, perché all’inizio del v.16 si dice che furono create tutte le cose. La posizione di Cristo, dunque, è tale che il mondo non è per niente estraneo e sconosciuto a Cristo, ma è avvenuto grazie all’intervento di Gesù Cristo. Nulla è estraneo all’intervento del mediatore Gesù Cristo. La posizione del Kyrios è centrale tra le due parti dell’inno. La prima parte dell’inno, vv. 15-17, è relativa alla creazione di tutte le cose e alla precedenza, sopra tutte le cose, da parte del Figlio di Dio. La seconda parte dell’inno (vv.18-20) è relativa alla redenzione e pacificazione universale della creazione, il valore creativo della presenza del Kyrios è un valore universale. È evidente che dietro questi versetti c’è l’indizio di un precedente atto creativo e probabilmente di un precedente conflitto cosmico, perché al v.20 si parla di riconciliazione ἀποκαταλλάξαι, significa che prendo da cose contrapposte elementi che riunisco insieme. C'è stato, quindi, uno scollamento nella prima creazione e il Kyrios viene per portare questo scollamento alla riunificazione. Necessariamente è dovuto avvenire un movimento, un momento di separazione di tutte le cose rispetto al primo principio Creatore e probabilmente anche di conflitto tra di loro e nei confronti del Creatore. L’unico mediatore è venuto a mediare non solo tra l’uomo e Dio, nel momento del peccato originale, ma è venuto anche a riconciliare il conflitto che si era stabilito tra le creature create precedentemente all’uomo e il Creatore stesso. Abbiamo una doppia figura di riconciliazione perché duplice è il modo di esistere nella creazione di Dio, come c’è il modo della creazione invisibile dei troni, principati, potenze, così c’è l’elemento della creazione dell’uomo e del mondo. Sia nel mondo invisibile sia in quello visibile c’è stato un momento di conflittualità, di disobbedienza, di volontà di rendersi autonomi dal principio e rimanere soli facendo la propria volontà. Il Kyrios viene nel mondo a riportare la pace e l’unità attraverso queste creature disgregate, disunite e dissolte dalla pacificazione primitiva, originaria. Con la riconciliazione operata da Gesù, il significato di tutta la creazione è dato proprio da Lui. Il significato della creazione è che tutta la creazione è pacificata insieme, è raccolta insieme grazie alla bontà della mediazione di Cristo. In ogni cosa che noi possiamo vedere ordinata, armonica, equilibrata, c’è l’impronta di Gesù Cristo che ha riconciliato cielo e terra, Creatore e creature. Il fatto che Egli sia chiamato primogenito di tutte le cose vuol dire che Egli è il fondamento della nuova creazione e della coesione avvenuta dopo la dispersione. Gesù Cristo è il capo del corpo della Chiesa, la riunione di tutti i suoi fedeli, è principio, pienezza di ogni cosa, è riconciliatore universale, e queste caratteristiche si richiamano le une dalle altre. Come immagine visibile del Dio invisibile, Cristo rende la trascendenza di Dio comprensibile alla ragione umana, quindi la riconciliazione non ha soltanto un valore sentimentale o anche amichevole ma ha, anche, il profondo significato teologico, ecclesiologico e cristologico. Dal punto di vista teologico la riconciliazione di tutte le cose, operata da Cristo, rende comprensibile la trascendenza di Dio alla 40

ragione umana, questa è la profonda verità teologica nascosta dietro l’opera di riconciliazione del Cristo. Quello che prima era inconoscibile alla ragione umana adesso diventa razionale, ragionevole guardando a Cristo, il Kyrios, Figlio di Dio fattosi uomo, fattosi riconciliatore, la ragione umana può nuovamente avviarsi nel tentativo di capire il significato e il valore della creazione, che non appare più come qualcosa di disordinato ma qualcosa di profondamente ragionevole. Il Cristo è la razionalizzazione della creazione di Dio, è quel principio studiando il quale la nostra ragione può giungere a capire qualcosa del mistero della creazione di Dio. Essere primogenito della creazione (v.1,18) non significa che Egli è la prima creatura dell’opera creativa materiale e visibile di Dio, qui Paolo intende dire che Gesù Cristo è generato da Dio in precedenza, il simbolo di Calcedonia nel 451 dirà precisamente che Egli è generato e non creato, proviene da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero e non attraverso un atto di creazione esplicita da parte di Dio. Egli vive da sempre all’interno della Trinità, fin dall’eternità, senza tempo. Non ha conosciuto un momento in cui Dio ha detto «Sii tu Logos, Sii tu mediatore» questo non è avvenuto mai, Dio non ha mai usato la Sua parola per dire «Sii tu Cristo, sii tu mediatore». È evidente che l’esistenza del Cristo è senza tempo ma si confonde con l’eternità della Trinità, però rispetto alla creazione ha un piano diverso dal resto delle creature, è superiore rispetto al creato perché è il prototipo, è il modello ispiratore della creazione. Dio vive con Lui non in un rapporto meccanico, di causa ed effetto, per cui il Padre lo produce, ma è invece, nei confronti del Padre, come il Figlio eterno del Suo amore, Cristo è ispiratore del Padre da Figlio amato dal Padre, è chi con il Suo amore spinge il Padre a prendere qualcosa da Lui, un’idea, un progetto, un’azione, cui pensa il Logos da sempre, e il Logos amato da Dio e che Dio ama, spinge il Padre stesso a realizzare un’idea, un progetto che è venuto alla mente del Figlio e che il Padre lo assume, lo accetta e gli da il potere di realizzarlo. Così Padre e Figlio sono strettamente coinvolti nella realizzazione della creazione. L’espressione di 1Col 1,18 si deve completare con la fine del versetto stesso nel quale pone il Figlio di Dio su un ordine diverso rispetto al creato, possiede una supremazia sin dall’origine in relazione alla Trinità, dove vigono rapporti amicali, fraterni, amorevoli e non meccanici o ragionevoli. Perché in Dio non ci sono rapporti meccanici di causa ed effetto ma rapporto paterno, fraterno e filiale. Perché come esprime 1Gv 4,8, Dio è Amore! Chi non ama, non ha conosciuto Dio perché Dio è amore per questo all’interno della Trinità, le tre persone devono amare non semplicemente agire, scattare come un meccanismo ma devono dialogare. L’Amore è dialogo, è compiacimento reciproco, è apertura reciproca, è solidarietà reciproca. Tutte queste categorie, proprie di un Dio amore, vanno ricevute anche all’opera della creazione. La creazione, dunque, è riempita dalla presenza del Figlio di Dio, è Lui che la sostiene nell’essere e le dona vita, cioè permette di essere attuale, viva. Già nei vv.13-14 della prima lettera ai Colossesi è espressa 41

l’amorevolezza di Dio. Il Figlio è amante, amorevole nei confronti del Padre per mezzo del quale abbiamo la redenzione e il perdono dei peccati. È questo che Cristo, figlio di Dio è venuto a compiere, la salvezza dai peccati. Teologia, cristologia, soteriologia sono profondamente coimplicate nell’atto creativo di Dio. La presenza del Figlio di Dio fa in modo che ogni cosa sia creata per muoversi, per agire, per operare e la redenzione dev’essere vista sulla stessa linea poiché tutto ciò che è stato creato, è riconciliato mediante Cristo. Vi era stata una sorta di de-creazione, di ribellione cosmica nei confronti di Dio. Per quanto concerne il peccato originale possiamo attingere dal cap.3 della Genesi, su una precedente situazione di conflitto possiamo soltanto dedurre senza avere delle testimonianze chiare ed evidenti se non forse nell’apocalisse. Non esiste, dunque, nella creazione qualcosa di neutro o di estraneo a Gesù Cristo, perché Gesù è il senso, il significato e la verità di tutte le cose. Fin dall’eternità Gesù Cristo possiede una finalità positiva, viene sulla terra per portarci verso il bene e per reintegrarsi con la vita di Dio. Non c’è ombra di male, la riconciliazione implica, infatti, l'eliminazione dell’errato, del caduto, del peccato e si apre soltanto una prospettiva di salvezza, di redenzione perfetta, di ricostruzione dei rapporti positivi tra la creazione e il creatore. Un'altra caratteristica di Gesù all’interno della creazione: Gesù è il destino della creazione. Un altro testo di Paolo che ci permette di comprendere il piano creatore di Dio, il suo destino, il suo termine ultimo è l’inno di Efesini 1,3-14.20-23, questo è un inno alla gioia, non c’è più la condanna del Padre al serpente o la punizione del Padre nei confronti degli uomini o la maledizione alla terra che darà ad Adamo soltanto spine; ma c’è invece un’azione di amorevolezza, riconciliazione totale e universale. Il v.4 esprime il fine dell’incarnazione del Figlio, dell’opera del Figlio nella creazione. Si parla esclusivamente in modo speciale degli uomini e delle creature speciali, ci ha scelto, dice Paolo parlando agli efesini, per l’eternità con lo scopo di diventare santi e puri secondo un principio, un movimento di carità e di amore. Il v.10 fa riferimento alla riunificazione di tutte le cose sotto un unico principio quello del Figlio, tutte le cose disperse sono riunificate sotto un unico principio capo che è il Cristo. L'idea espressa non è tanto quella di un conflitto ma quanto di una riunificazione di ciò che era disperso, diviso, frammentario, molteplice, estraneo l’uno all’altro, ignorato l’uno dall’altro e forse, questa divisione, questa frammentarietà, è la conseguenza di un probabile conflitto precedente cosmico. Tutta la creazione si fa una, una sola cosa e un solo corpo grazie a Gesù Cristo. Se tutto vive in Lui, allora non c’è più opposizione, non c’è più scontro, non c’è più eliminazione reciproca, non c’è più estraneità l’uno nei confronti dell’altro ma tutti si conoscono, tutti si accettano, tutti si amano a vicenda, grazie alla ricapitolazione che tutto avviene completamente sotto la figura di Gesù Cristo. L’unico Signore esercita anche una sorta di responsabilità su tutte le cose create. A questo punto apriamo una breve parentesi e citiamo 42

1Cor 3,11 «nessuno può porre un fondamento diverso [alla fede, alla chiesa] da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo». In questa pericope c’è l’idea di una creazione, di un’umanità e di una chiesa che poggiano sopra un fondamento sicuro, l’unico fondamento assolutamente affidabile è Gesù Cristo, che ha riconciliato a se tutte le cose e ha ricapitolato in se tutte le cose. Lui è la pietra fondamentale, non bisogna pensare che Gesù si contraddica quando dirà a Pietro “Tu sei la pietra e su questa pietra fonderò la mia Chiesa” poiché l’unico fondamento inamovibile è Gesù stesso. In Ef 1,21-23 c’è un’altra idea che completa quella della ricapitolazione di tutte le cose in Cristo, non solo tutte le cose sono state riunificate in Cristo, ma sono anche state rese subordinate a Cristo (v.22), tutto sta sotto i piedi del Cristo, non solo sotto il capo ma sotto i piedi cioè è una soggezione universale, sottoposizione globale, totale, di tutte le cose. Ogni cosa è diretta da Lui, tende a Lui e nella Chiesa questa funzione di Principio e di capo gli è perfettamente riconosciuta. Anzi oggi è la Chiesa, l’unione di tutti quelli che credono in Lui e che si lasciano ricapitolare in Lui, che diventa lo strumento attivo attraverso il quale il capo può esercitare la sua attività. Il capo che è il mediatore della creazione a sua volta si sceglie una mediazione della Sua azione che è la Chiesa. La preminenza del Creatore, la Sua superiorità su tutto il creato si esercita proprio attraverso la Chiesa. Se la creazione è cristiforme, perché prende la forma del Suo capo, anche la Chiesa, di cui si serve il mediatore, ha questa caratteristica: è cristiforme; manifesta al mondo la forma del Cristo. L’Amato amato dal Padre, Amante. Chi vive nella Chiesa avverte immediatamente (qui ci ricolleghiamo alla teologia della creazione) la comunione con il cosmo, chi vive nella Chiesa, poiché la Chiesa è la mediazione del Creatore, sente immediatamente che il cosmo non è estraneo da essa ma anche la creazione è stata liberata, è stata salvata, riunificata, riconciliata sotto l’unico capo che è Gesù Cristo. Allora il credente in Gesù Cristo ama immediatamente e si riconcilia completamente con la creazione, con la creazione non intelligente ma ugualmente vivente, la vita della flora, la vita della fauna in generale, globale. È in questo modo e sotto questa specificità che ritorna il discorso del dominare la creazione, come si legge nei primi versetti della creazione quando Dio dice “soggiogatela, dominatela, custoditela, governatela”, tutto questo adesso è reso possibile dalla riunificazione del creato a Cristo, alla riconciliazione in Cristo delle creature e dell’uomo insieme. Il conflitto non esiste più! La creazione è profondamente legata a quella creatura che ne ha un primato perché dotata di libertà e intelligenza, ragione. Tutta insieme la Creazione, sia l’uomo sia le altre creature, avvertono il comune destino verso il raggiungimento di una pienezza cristologica. Teilhard de Chardin, il punto Omega, il Cristo realizzato in tutte le cose, pienamente manifestato in tutto quanto esiste, visibile e invisibile. Se c’è salvezza, se c’è eliminazione del male, eliminazione di contrapposizione a Dio in tutta la creazione, questo si deve al mediatore Gesù Cristo. Atti 4,12: «in nessun altro c’è salvezza, non vi è, infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli 43

uomini nei quali è stabilito che noi siamo salvati», principio soteriologico e cristologico totale, assoluto, globale, universale. Potremo dire che quell’espressione tipicamente medievale extra ecclesiam nulla salus va piuttosto interpretata nel senso di extra christum nulla salus, non ha salvezza chi è fuori dalla Chiesa ma non ha salvezza neppure chi vuole essere fuori Cristo poiché essere della Chiesa, vuol dire essere di Cristo, la Chiesa è legata a Cristo poiché sua mediatrice. Allora Cristo appare come mediatore e salvatore di tutte le cose. Queste due funzioni sono rivelate cristologicamente in maniera compiuta, perfetta nel prologo del vangelo di Giovanni. La creazione secondo la volontà di Dio e del Figlio, Gesù Cristo. Per Giovanni l’evento Cristo da una nuova creazione a quanto esiste. Il Logos di Dio ricrea, ma è il Logos incarnato, che media tra il mondo e l’uomo e salva la Creazione. In Principio era il Verbo quest’espressione usata da Giovanni rimanda a Gn 1,1 ‫בראשית‬, alla parola creatrice di Dio. Si distingue dal suo parallelo anticotestamentario perché non ha un significato cronologico dell’inizio della creazione ma teologico. Qui non è soltanto una parola di Dio che crea la luce o altre creature ma è la parola personale, è il Verbo di Dio, ma è la parola sussistente di Dio che si è fatta storia. Il Verbo, la Parola sussistente, pre-esistente al mondo fin dall’eternità, ha una preminenza su qualsiasi creazione successiva a Lui. Tutta la creazione esce dalle Sue mani, in eterno era pensata la realtà della creazione ora con l’incarnazione del Logos è iniziata la nuova creazione di tutte le cose a partire non dalla parola creatrice di Dio ma dalla parola salvatrice del Padre, la parola salvatrice del Padre è il Verbo, il Logos. Gv pone l’accento sul fatto che il Logos partecipa alla creazione, però non ci dice come della partecipazione, si afferma soltanto che Dio ha chiamato tutto all’esistenza mediante il Logos. Attraverso l’incarnazione del logos, il Creatore è anche il Salvatore del creato, il salvatore del mondo. Colui dal quale proviene non soltanto la legge che condanna ma anche e soprattutto la creazione e la salvezza, la grazia e la verità. Il Logos supera la legge, anche quella data da Dio attraverso Mosè, e dà inizio a una nuova era, l’era della grazia e l’era della verità. Grazia e Verità sono date dalla Persona divina di Gesù, a motivazione di amore e di volontà benefica di Dio, alle creature che accettano di essere amate dal Logos. Anche qui ritroviamo due affermazioni a noi note, il carattere della Creazione che viene da Dio e il carattere del possibile conflitto. Venne fra i Suoi e i Suoi non l’hanno accolto. A quanti però l’hanno accolto, ha dato il potere di diventare Figli di Dio (Gv 1,11-12), per cui può esserci anche il rischio del rifiuto, della non accettazione. Il Logos s’incarna ugualmente perché quest’offerta di salvezza ci sia, esiste nonostante il rifiuto. 1Gv 1,2: «quello che era da Principio, quello che noi abbiamo udito […] tutto ciò che le nostre mani toccarono del Verbo della vita, la vita, infatti, si manifestò, noi l’abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e gli annunciamo la vita eterna che era presso il Padre e che si manifestò 44

a noi» quindi si presenta tutta una rivelazione teologica della vita collegata al Logos. È stato visto e sperimentato da Giovanni eppure questa vita totale ed eterna poteva essere rifiutata. La luce splende nelle tenebre. Gv 1,10: il mondo è stato fatto per mezzo di Lui eppure il mondo non l’ha riconosciuto, c’è ancora la possibilità di un conflitto. Un versetto fondamentale per l’antropologia teologia 2Pt 1,4, si lega molto bene al versetto di Gv 1,12, esprime che non solo ha dato potere di essere Figlio di Dio ma addirittura di diventare partecipi della natura divina. Consortes divinae naturae: diveniamo come dei. Quello che Adamo ed Eva volevano fare, dietro la suggestione del demonio, lo compì Dio facendo incarnare Suo Figlio nel grembo di una Vergine, facendolo morire sulla croce, facendolo risorgere perché noi potessimo diventare Figlio di Dio e partecipi della natura divina, quasi dei. Immagine e somiglianza di Dio, Suoi Figli e Sue manifestazioni visibili.

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Lezione del 13 Aprile 2018

11. IL TEMA DELLA CREAZIONE NELLA TEOLOGIA CRISTIANA

Dopo la sezione biblica, passiamo alla prospettiva dello sviluppo storico teologico. Il pensiero cristiano sulla creazione nasce subito nella teologia, perché ogni altra credenza aveva i suoi miti cosmogonici. I primi pensatori cristiani si trovano davanti ad un grande problema: determinare se la divinità fosse una soltanto (come per Israele) o molte (come per i pagani). In particolar modo c’era la difficoltà data dallo “zoroastrismo” il quale parlava non di un solo Dio o molti dei, ma di due divinità per poter spiegare il mistero del bene e del male, del successo o dell’insuccesso, della beatitudine eterna dopo la morte o della condanna eterna. Dinanzi a questo dualismo si trovavano in difficoltà i pensatori cristiani, i quali di fronte al problema del male sembrava esistere una divinità malevola verso l’uomo che manda castighi e che rimprovera o che fa perdere in guerra il popolo di Israele. I pensatori cristiani devono necessariamente difendere la posizione che viene indicata da Gesù che Dio è unico, e che questa duplicità di effetti provengono da una sola volontà, un solo Essere che internamente è Trino. Affermando ciò, il monoteismo cristiano si discosta da quello ebraico perché questo Dio non è unico ma triplice, e queste tre persone costituiscono un’unità. I primi a trattare questo argomento furono i Padri Apostolici: Clemente Romano, Ignazio di Antiochia, Policarpo di Smirne (discepolo di Giovanni). Per loro il tema della creazione viene affermato come dato sicuro dalla Sacra Scrittura. Quindi loro risponderanno ai vari dubbi come dato di fede poggiato sulle scritture. La Scrittura comincia con la creazione di una cosmogonia, e quindi questo bastava come dato di fatto: Dio con la sua sola forza aveva creato il mondo e l’uomo. Il discorso si approfondisce con i Padri Apologisti: Giustino, Tertulliano. Data la loro elevazione culturale, non si preoccupano di difendere le loro tesi con il solo dato scritturistico, ma cominciano a confrontarsi con le tesi filosofiche già esistenti come quella platonica e quella neo-platonica che parlava anch’essa di una creazione ma che avveniva all’interno dell’essere supremo che non aveva nulla di sacro e di santo, era semplicemente un essere semplicemente esistente da cui le altre cose promanano per successione una dopo l’altra. Dall’uno si distacca la diade (la doppia divinità) dall’accoppiamento delle due altre due, dall’accoppiamento di queste due altre due e così via. Quindi si procedeva per discesa ed accoppiamento tra idee. Ad un certo punto, una di queste emanazioni intende riprodursi senza l’accoppiamento con un'altra emanazione e produce un’emanazione che chiama “sofia” (sapienza). Tale emanazione prodotta illecitamente, è considerata peccaminosa e tenta di essere esclusa dal cielo delle essenze e delle 46

esistenze e l’Uno decide di inviarla per punizione sulla terra. Da qui la creazione del pianeta terra e degli uomini, come una punizione per illegittima emanazione di sofia. Ecco come si spiega il male, il dolore, la sventura, il peccato che comunque non ha nulla di religioso ma ha natura ontologico, metafisica. Da queste dottrine nasce un movimento che diede molto da fare alla chiesa delle origini. Il movimento della “Gnosi”, che si interessava della creazione dell’uomo cercando di spiegare come dalla bontà iniziale dell’uomo, possa poi derivare il comportamento illecito, il male dell’uomo ponendo il problema della conclusione della vita di un uomo. In che modo la si poteva immaginare ed in che modo la si poteva esporre filosoficamente. Alla gnosi pagana, si contrappone una gnosi che nasce ad Alessandria: una gnosi cristiana, con il suo esponente Clemente di Alessandria per costruire una gnosi sacra da contrapporre a quella pagana. Quindi per gnosi cristiana, Clemente di Alessandria intende tutto l’insieme delle conoscenze della fede cristiana portate avanti dal cristianesimo nascente, e tutte quelle emanazioni filosofiche intellettuali vengono considerate dalla gnosi cristiana come la creazione da parte del Dio Uno e Trino di tutte le creazioni compreso l’uomo, il quale, come la sofia, anch’egli cadrà in un comportamento illecito, anche lui viene colpito dal peccato, dal male, con la sola differenza che Dio non lo lascia nella condizione di peccato, ma decide di salvarlo dalla sua condizione inferiore ed infelice, mandando un Salvatore per riscattare la colpa dell’uomo il quale potrà salvarsi attraverso la conoscenza di Gesù Cristo, la sequela di Gesù Cristo e dal battesimo. È il battesimo il sacramento attraverso il quale l’uomo peccatore rinasce perché viene liberato dalla colpa del peccato che ha ricevuto direttamente dalla congiunzione dei suoi genitori, dall’atto generativo. Quindi il peccato di Adamo ed Eva attraversa le generazioni, ma non vi rimane perché Dio che non è un semplice Uno (ovvero semplice entità metafisica) ma è una persona vivente ed amore provvidente che all’interno di se stesso, sa che cosa significa amarsi perché genera il figlio e spira lo spirito, fa di tutto per riscattare l’uomo dalla sua condizione illecita nella quale è caduto. Ireneo e Tertulliano sono gli esponenti principali della contrapposizione tra gnosi cristiana e gnosi pagana. Ireneo risponde soprattutto al dualismo, ovvero che l’uno produca da se stesso un numero due e poi tutte le altre e sostiene che poiché il mondo è unico e non esistono le altre realtà al di fuori di questo mondo, è creato dall’unico amore di Dio e che Dio creando questo mondo per amore, è libero di crearlo, non è costretto da nulla a creare, è la sua benevolenza che lo spinge a porre in essere le cose e gli uomini e che questo creatore, a differenza di quello della gnosi pagana è unico, non ha bisogno della partecipazione di mediatori o antagonisti, non ha bisogno neppure di un demiurgo. Non esiste, dice Ireneo, una dualità ma l’unico e solo Dio che ha creato l’unico e solo mondo è un essere Uno e Trino che opera in tutto secondo la sua iniziativa libera. La creazione è 47

segnata fortemente da impronta trinitaria. Il Padre si serve delle sue due mani non di emanazioni distaccate da sé. Il padre fonte della divinità si serve di due strumenti profondamente legati a lui, sono due progenie, sue con-creature, Il figlio e lo Spirito oppure Il Verbo e la Sapienza la quale non è più emanazione malvagia da cui è provenuto il male del mondo ma mano di Dio Padre, saggezza amorosa che circola tra Padre e Figlio. Il Verbo e lo Spirito non hanno esercitato la loro creazione con l’uomo sin da subito, ma prima dell’uomo vi è stata una creazione di esseri ragionevoli e soprannaturali ovvero gli Angeli. Allora quelle che la gnosi chiama emanazioni diventano per Ireneo gli esseri spirituali angelici.

Dio aveva bisogno di creare? Perché Dio crea? Ireneo dice che il Padre è autosufficiente e completo nella sua vita affettiva ontologicamente completo in tutto e questa sua completezza viene sottolineata nella creazione “dal nulla”, dove nulla non è materia preesistente con la quale il Dio unico ha avuto uno scontro, ma che al di là ed oltre del Padre non esisteva alcuna divinità concorrente.

Quali sono le funzioni particolari che assumono il Padre il Figlio e lo Spirito nella creazione del mondo? Possiamo usare la metafora dell’edificazione di un edificio: al Padre appartiene la progettazione dell’edificio, al Figlio appartiene l’esecuzione del progetto del Padre e lo Spirito perfeziona l’oggetto creato, lo mantiene nell’essere, lo fa non cadere e distruggersi ma lo mantiene nella sua esistenza e questa assistenza è continua come appare dalla denominazione dello Spirito “paraclito” colui che siede sempre accanto e mantiene sempre viva l’esistenza

dell’oggetto

progettato dal Padre ed eseguito dal Figlio. Tertulliano a Roma, dice semplicemente che tutto ciò che esiste è opera di Dio, non c’è bisogno di parlare di diverse creature perché quello che esiste appartiene ad un unico Dio. Se ci poniamo il problema della concorrenza tra luce e tenebre allora cadiamo nel peccato di considerare la divinità duale non unica. Se pensiamo invece che tutto è creato da un unico Dio e che il male proviene dall’opera dell’uomo allora non c’è bisogno di parlare di dualità di divinità in concorrenza tra loro. L’unico Dio ha tute le qualità e tutte le prerogative, ha un “solitario possesso di sé” e solo per un atto libero esce fuori di se e pensa di avere degli interlocutori. In Gn 1,26 l’espressione “facciamo” viene interpretata da Tertulliano come espressione trinitaria. Clemente di Alessandria utilizza all’interno della sua riflessione il termine che viene utilizzato da Giovanni “logos”. Per Clemente la teologia del logos è importante perché ci aiuta a capire come tutte le creature esistono già intellettivamente nella mente del logos e vengono alla luce 48

nel momento in cui il Padre progetta e dà ordine di esecuzione. In questo momento, il Figlio esegue e lo Spirito anima, da vita, da consistenza. L’evento più importante della cosmologia cristiana è quando il logos si incarna nella natura umana e diviene contemporaneamente Dio e uomo. IL logos diviene creatura, vuole intrecciare la propria esistenza divina con una esistenza umana. Vuole provare cosa significa essere creatura debole al di fuori della trinità. Però l’incarnazione del Logos, non è mai una degradazione del Figlio, un diventare immanente. Il logos presente nella figura completa di Gesù Cristo è sempre il Logos trascendente, legato strettamente alla vita di Dio. L’incarnazione non toglie nulla al Figlio della sua trascendenza, anzi poiché tutte le opere che la trinità compie al di là di sé stessa appartengono contemporaneamente al Padre, al Figlio e allo Spirito, possiamo dire in qualche modo che nel Logos che si incarna, Padre , figlio e spirito santo, fanno la stessa esperienza ovvero: san Paolo dice “siete tempio dello Spirito Santo e non dovete profanarlo” quindi non solo siamo la esecuzione che il Figlio ha fato del progetto del Padre ma anche la dimora dello Spirito che anima la chiesa nascente. Quindi per Clemente non c’è contraddizione tra pensiero cristiano e dottrine filosofiche del tempo soprattutto quelle caratterizzate dalla sacralità. Anzi, lui afferma che tutte le intuizioni filosofiche derivano da un'unica mente umana all’interno della quale tutte le possibili soluzioni ai problemi razionali sono contenute. Tale mente è per Clemente, Mosè, che per lui è un grande pensatore oltre che legislatore. Quindi ogni intuizione filosofica si può ricondurre alla rivelazione divina, per questo le dottrine platoniche e neoplatoniche contengono contenuti che indicano sacralità. Altro pensatore importante che però dopo la sua morte fu messo in disparte, è Origene il quale ritiene il tema della creazione dal punto di vista filosofico e dal punto di vista della rivelazione non sono in contrapposizione tra loro (seguendo il pensiero di Clemente) ma che si tratta di due blocchi di pensiero che possono intrecciarsi l’uno con l’altro. Esso pensa che ci sono tre mondi creati. Il primo è quello delle idee, mondo di essere intelligibili, coeterno a Dio (che ha sempre in mente le sue realizzazioni). Il secondo è il mondo delle intelligenze, quelle create, non quelle eterne ma quelle poste in essere da Dio nel momento in cui decide di creare. Il terzo mondo è quello attuale, il mondo iniziato dalla Risurrezione di Cristo, a partire dal mistero pasquale l’intelligenza globale di Dio del Logos e dell’uomo vengono aperte totalmente per accogliere la rivelazione di Dio e attraverso la Risurrezione contenuti nelle filosofie e nella rivelazione possono essere illuminati in quanto Logos del Padre. 1) La prima creazione: le creature sono tutte uguali e per Origene queste creature già formano una Chiesa, la Chiesa celeste, la chiesa preesistente a quella storica e siccome è già presente nella mente di Dio, è unita al Verbo. In un secondo momento, la caduta originale le 49

differenzia a seconda del loro libero arbitrio di cui sono state create. La caduta originale dipende dal fatto che queste idee intelligibili e preesistenti vengono depositate sulla terra in forma di immagine e somiglianza di Dio cioè trasformate in uomini e donne. È dopo la caduta del genere umano è per Origene il momento in cui avviene la separazione tra angeli e demòni. La caduta delle personalità intelligibili tra fedeli a Dio e disobbedienti a Dio avviene solo come conseguenza della caduta di Adamo ed Eva. Tale caduta ha anche una seconda conseguenza che le anime man mano che vengono generate diventano sempre più lontane da Dio e più disobbedienti e il male inizia a diffondersi nel mondo. Il mondo degli uomini non è altro che una seconda creazione perché dopo l’intervento di Dio sul peccato originale è stato dato loro il permesso di correggersi dall’errore della caduta originale. L’esistenza dell’uomo sulla Terra è quindi purificazione continua la quale raggiunge il suo apice con l’incarnazione del Logos e viene offerto come sacrificio a Dio come liberazione delle creature ragionevoli che hanno disobbedito a Dio quindi esiste un piano di salvezza eterno già preesistente nelle mente di Dio e consistente nella mente del Logos come sacrificio cruento del Logos a Dio Padre per la salvezza dell’uomo. Tutto questo è un progetto che Dio contiene dall’eternità non è un progetto contingente ma presente da sempre nella Trinità. 2) Dove va questa seconda creazione? Origene parla per la prima ed unica volta di “conflagrazione” ovvero trasformazione in fuoco di tutta la realtà che distrugge tutto ciò che è avvenuto di male e di negativo dopo la caduta di Adamo ed Eva e fa sì che corpi ed anime si ricongiungano l’una all’altra nel mondo dei beati divenendo delle persone eteree (appartenenti al cielo). La conflagrazione universale non è ancora la fine perché dopo la distruzione di tutto ci sarà la “apokatàstasi” ovvero il mondo separato tra bene e male verrà ricondotto nell’unità di Dio senza più differenza tra inferno e paradiso e gli uomini ancora in vita vengono riassunti nel mondo di Dio. Allora la vita umana non è altro che una uscita dal mondo di Dio ed un rientrare nella vita di Dio se condotta santamente. L’autore che dà ampio spazio alla creazione è Agostino nelle sue opere: “Le confessioni”, “Commento alla Genesi” e “La città di Dio”. Non dobbiamo dimenticare che Agostino è stato per 9/10 anni appartenente alla setta dei Manichei (i quali professavano un dualismo tra Dio del bene e Dio del male). Agostino non riuscirà mai a liberarsi dall’influenza di questo pensiero, non riuscirà mai a vedere nella mano di Dio la presenza anche del negativo, del male, delle tenebre. La risposta di Agostino vuole troncare ogni equivoco: una visione cristiana precisa ed accettabile sulla creazione può avvenire solo attraverso la fede. Ed infatti a partire dalla fede e solo dalla fede si può affermare che la creazione è un opera perfettamente trinitaria perché reca in sé le tracce delle tre persone divine come anche nell’uomo. 50

Per Agostino esistono due tipi di creazione: la creazione delle creature superiori che vivono nel cielo, le creature materiali che vivono sulla terra e le creature che vivono al di là del cielo, quello che lui chiama il cielo del cielo (all’epoca si pensava che la terra fosse avvolta da tre cieli oltre i quali c’era l’iperuranio). Nel cielo del cielo troviamo gli angeli, la dimora di Dio, la visione di Dio, la Sapienza (sia quella di Dio che quella che Dio ha donato a tutti noi) e soprattutto la Nuova Gerusalemme ovvero la fine della storia riassorbita in Dio nel mondo nuovo nella civiltà nuova, dove vivono tutti i beati. La terra per Agostino non viene riscattata alla fine del mondo (apokatàstasi per Origene) ma la terra rimarrà terra informe, un quasi nulla, senza creature, né sensibile né invisibile. Due argomenti particolari interessano Agostino: l’inizio del tempo e il problema del male. Il tempo per Agostino è creatura di Dio. Non esiste per Agostino un tempo prima della creazione. Dio vive in una realtà atemporale e soltanto quando mette in moto l’apparato cosmologico della creazione scattano le lancette del primo orologio cosmico. Come le creature insieme con le quali è stato creato, il tempo è limitato, finito. Questo serve ad indicare che le cose cambiano, non sono eterne ma hanno un preciso tempo da vivere che viene stabilito da Dio. Sulle lancette di questo orologio eterno ci siamo tutti noi ed ognuno ha a disposizione un tempo entro cui salvarsi. Le cose mutevoli sono in contrapposizione ontologica a quelle eterne: la creazione posta nel tempo cambia, è mutevole, passa dal momento di origini al momento di adultità, al momento di decadenza. Gli esseri viventi nel cielo non conoscono queste tre fasi ma vivono sempre in stato imperturbabile di felicità ed immortalità. Nell’uomo c’è un meccanismo che ci permette di sperimentare la presenza del tempo: nella coscienza possiamo renderci conto che il nostro tempo passa da un passato a un presente a un futuro. Nella coscienza il passato si manifesta come ricordo, memoria. Il presente si manifesta come percezione immediata della vita, la consapevolezza di vivere in un tempo. Il tempo futuro è invece l’attesa, la tensione verso la fine di questo ciclo di tempo per entrare nel mondo senza tempo. Per quanto riguarda il problema del male, Agostino lo mette in correlazione con il fatto che le creature non sono perfette ma limitate, hanno un dato preciso di bontà e di essere a seconda se durante la loro vita si avvicinano o si allontanano dall’immagine e somiglianza di Dio. Se sono manchevoli della perfezione dell’Essere, allora il male è semplicemente una assenza di comportamento buono e religioso nei confronti di Dio, non una realtà a se stante ma un venir meno della bontà da parte dell’uomo. Una volta che l’uomo si è reso responsabile del male, nella vita eterna il suo comportamento originario sarà giudicato secondo il metro della pienezza o imperfezione dell’uomo. Chi avrà raggiunto la piena perfezione di Dio e del suo essere attraverso l’agire buono entra nel mondo infinitamente buono di Dio. Chi si è privato della pienezza 51

dell’Essere e non si è comportato in modo adeguato rispetto alla voce della coscienza che lo spingeva a fare del bene sarà condannato per sempre (agostino usa l’espressione “massa damnata”). Giovanni Crisostomo e i Padri cappadoci sono altre figure che hanno trattato l’argomento della creazione. Nel primo medioevo ci sono due fonti da riguarda sull’argomento del male sotto la prospettiva della predestinazione al bene e al male. Tale argomento è diviso in due estremi: 

Predestinazione semplice: Dio condanna all’inferno chi vuole a prescindere dalle sue opere anche se buone.



Predestinazione doppia: Dio non predestina solo alcuni all’inferno, ma ci sono alcuni uomini e donne predestinati al bene eterno a prescindere da quello che hanno compiuto sulla terra. A favore della tesi predestinazionista si trovano lo Pseudo-Dionigi e Giovanni Scoto che

cercano di addolcire questa tesi affiancando (in maniera neoplatonica) a Dio un essere unico a cui Dio affida il destino dell’uomo. Tale idea verrà condannata da tre Concili: Nicea, Costantinopoli I, Costantinopolitano II.

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Lezione del 17 Aprile 2018

12. SITUAZIONE DEL XIII SECOLO E SAN TOMMASO Una delle problematiche del XII secolo era l’eresia dei catari e la risposta del concilio Lateranense IV del 1215. Si diffondeva la paura fra i credenti del giudizio finale: Gesù visto come un giudice facendo riferimento a MT 25, 31;46. Per questa causa nascono così i movimenti pauperistici: Francescano e Domenicani. San Francesco non prepara i suoi frati per combattere i cateri, pensa che il miglior modo possibile per combattere l’eresia sia l’evangelizzazione e la testimonianza. I domenicani invece processavano, mettevano a rogo e combattevano i cateri. L’eresia catara nasce sotto il segno di un dualismo più puro: un Dio buono: tutto ciò che ce di bello e buono viene da Lui Un Dio cattivo: tutto ciò che è legato alla materialità è sua creazione. Per i catari Gesù è un angelo e il suo corpo è destinato alla distruzione, è semplicemente un contenitore, riprendendo il nestorianesimo e arianesimo. La materia viene disprezzata in quanto c’è stato un’ incontro sessuale come in Adamo ed Eva che hanno ceduto al peccato originale. La salvezza per i cateri, significa non far parte dei mali naturali, si suppone che nasca nel sud del Francia ma non è confermato. Nel 1209 Innocenzo III organizza una crociata contro i cateri per eliminarli materialmente. Una seconda modalità fu data dal concilio Lateranense IV di forma dogmatica, esponendo una confessio della dottrina cattolica. I catari sono una forma particolare di eresia, perché hanno una organizzazione di controllo di mettere in pratica la sequela del vangelo in piccoli gruppi molto uniti. Ultima caratteristica dei catari è che essi non si misero mai in contrapposizione con la chiesa di Roma, non accettavano mai di essere considerati eretici, furono i loro sterminatori a definirli tali, da parte loro credevano sempre di essere dei buoni fedeli, buoni cristiani, fedeli all’insegnamento del vangelo; ecco perché opposero resistenza alla chiesa romana. Lateranense IV= (DOGMA) professione di fede il ruolo della creazione e della fede cattolica afferma un solo creatore annullando il dualismo; tutto il buono proviene dall’unico creatore che crea dal nulla. Non esiste creare qualcosa dal male, esiste solo un Dio creatore e buono, nessuna essenza esiste prima di Dio, da chi quindi deriva? Se eliminiamo il Dio Cattivo?

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Risposta del Lateranense IV: dalla libertà delle creature. Tutte le realtà intelligenti Angeli, anima e uomo sono create da Dio, create buone, e quindi libere essendo venuti da Dio. Se fossero cattivi dovrebbero essere schiavizzati e non esseri liberi. Dio sa che esistono angeli buoni e cattivi(demoni) come anche uomini che non stanno alla sua obbedienza esempio Adamo e Eva.

San Tommaso In questo contesto si inserisce San Tommaso; la scolastica in quei periodi è impegnata a confrontarsi con il modello platonico, fino ad allora seguito più o meno fedelmente dalla teologia classica il secolo XIII è segnato dall’ingresso di Aristotele nel panorama filosofico e teologico grazie alla traduzione delle sue opere degli arabi a Siviglia, il modello aristotelico seguiva Tommaso per comprendere l’opera di Dio. Dov’è nuovo Tommaso? Nella causa prima, Aristotele sia nella fisica e metafisica parla di un vertice dell’essere, cioè un primo motore immobile, causa prima da dove derivano tutti gli effetti. Questa catena di causa ed effetti è determinata dalla causa prima, che nessuno ha creato prima di se stesso perché, dall’eternità governa l’ordine dell’universo. Tommaso la chiama tale causa con il nome di Dio … tutto procede ordinatamente e ricondotto all’incontrario della causa –effetto. Dio causa efficiente di tutte le cose e anche causa finale che tendono alla perfezione, cioè avvicinarsi alla bellezza di Dio e alla sua bontà. Tommaso propone 5 vie per capire Dio come agisce nei confronti delle sue creature: 1. cosmologica: dalla constatazione dell'esistenza del movimento, ogni cosa che si muove è mossa da un'altra cosa e così via, per non cadere nel regresso si deve presupporre un motore che non sia mosso e che muova e quindi Dio. 2. casualità efficiente: ogni cosa ha una causa che è effetto di un'altra causa, per evitare il regresso ci deve essere una causa non causata cioè Dio. 3. contingenza: poichè le creature contingenti possono esserci come non esserci devono avere la causa in un ente necessario, cioè Dio che deve per forza esserci. 4. gradi di perfezione: nel mondo c'è una scala gerarchica dei vari gradi, ciò implica che vi sia un essere che avendo tutti questi gradi di perfezione possa essere la loro causa: Dio. 5. Finalismo: nel mondo ogni cosa è orientata verso un fine, ma deve esserci un'intelligenza ordinatrice (DIO) dove ogni cosa ha il suo fine ultimo e Dio è il fine ultimo. La creazione al di fuori di Dio dice Tommaso, non è necessaria per la perfezione di Dio. Ma allora perché Dio crea il mondo per quale motivo!? E’ la gloria di Dio stessa nelle creature, create a lode e gloria del suo nome. Dio crea perché tutte le creature sono partecipi della sua perfezione. 54

Per Tommaso non esiste il tempo prima di Dio, ma scorre dal momento della creazione dei luminari e così nasce la suddivisione temporale. Di Tommaso non ricordiamo solo la sua filosofia , ma anche la sua grande spiritualità Molto forte soprattutto per l’eucarestia, ricordiamo il Tantum ergo , Adoro te devote etc…infatti anche santa Caterina farà del pensiero di Tommaso una devozione personale senza visioni mistiche Nell’epoca moderna la teologia adora una metodologia apologetica , focalizzando l’attenzione sulle 5 vie di Tommaso contro il razionalismo. Fides Qua: la realtà che nasce ed esiste con l’atto di fede. Fides Quae: il contenuto della fede, le verità della rivelazione Fides Quod: che cos’è Dio. L’esistenza di Dio nella sua sostanza come dice Giovanni: deus Caritas est. Successivamente a Trento si lascerà la creazione nelle mani della scienza, mentre la teologia è sempre sulla difensiva, di carattere apologetico.

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Lezione del 20 Aprile 2018 13. L’UOMO NELLA CREAZIONE

Con la Gaudium et Spes, si apre una nuova possibilità di ricerca, la teologia non si mantiene ferma alle indicazioni bibliche e letterali contenute nei primi libri della Genesi, ma si apre anche alle scoperte scientifiche, con degli strumenti che possono permettere alla teologia di conoscere meglio il segreto del mistero della creazione. Rimangono alcuni argomenti aperti; il primo argomento è quello della ecologia e Papa Francesco il 24 Maggio del 2015 ha affidato la sua lettera enciclica “Laudato si” nell’onore del canto di San Francesco sulla cura della casa comune, (così il Papa chiama la Creazione). Quali sono i nostri doveri nei confronti di quella casa in cui tutti abitiamo? Anzitutto il Papa si pone una domanda ultima che fa in modo che anche noi ce la poniamo: che tipo di mondo desideriamo trasmettere alle future generazioni, ai bambini che stanno crescendo? A questa domanda secondo il Papa può rispondere l’esempio di San Francesco, un esempio globale di interesse della “casa comune”. Sostiene e sottolinea che la cura non riguarda soltanto il creato e le creature inferiori non fornite dell’intelligenza dell’uomo, ma se l’ecologia è globale allora deve comprendere anche l’uomo; che tipo e che modo di uomo vogliamo trasmettere alle future generazioni. È evidente che essendo l’uomo legato così profondamente al creato, chi distrugge il creato distrugge anche l’uomo (distrugge se stesso e la sua prosperità). L’ecologia integrale si occupa di tutto ciò che esiste nel creato e che al tempo d’oggi è debole e sofferente e viene avvelenato lentamente dall’opera sconsiderata dell’uomo. Tutti vediamo e abbiamo davanti agli occhi questa situazione, ma cosa fare davanti a questa difficoltà? Per il Papa la risposta da dare a questo avvelenamento globale è quello di “Amare con gioia il Creato, la Creazione”. San Francesco è stato un simbolo della ecologia globale integrale, amava tutti ed era amato da tutti non solo da uomini ma anche da creature prive di intelligenza, pensiamo agli uccelli, ai pesci ai quali Francesco riusciva a trasmettere la notizia del Vangelo. Nella vita di Francesco si integrano l’un l’altro, Dio, gli altri, le cose, l’uomo stesso. Questi quattro elementi vengono inseriti l’uno nell’altro e considerati contemporaneamente come bisognosi di amore da parte del custode della “casa comune”. L’amore qui non è l’amore platonico, sentimentale, ma è un amore pratico, universale che permette di realizzare un equilibrio, un’armonia più perfetta possibile tra tutto ciò che esiste, l’amore porta equilibrio e armonia anche con la sua sobrietà. Dio, io, gli altri, le cose, non sono l’una sottoposta e schiavizzata all’altra ma sono sullo stesso piano, soggetti di amore; dove c’è disordine, insegna Francesco, interviene l’ordine dell’amore, e l’ordine dell’amore è l’ordine vivificante che dà vita. Quindi si identifica dal punto di vista teologico con l’accoglienza dello 56

Spirito Santo, che è in Dio, l’amore e il Creato. Un altro problema aperto è il rapporto con la dottrina evoluzionista; con l’evoluzionismo, che quando cominciò a diffondersi nella metà del 1800 dopo gli studi e gli scritti di Darwin sembrò mettere completamente in discussione la narrazione biblica della creazione fatta in sei giorni delle specie umane e animali e floreali già belle e complete, poste su un piano di perfezione. L’evoluzionismo di Darwin, invece, faceva notare come questa perfezione assoluta, di cui parlavano le prime pagine della Genesi, non era supportata dai dati scientifici. I dati delle scoperte scientifiche mostravano come ogni specie era lo sviluppo di una lenta evoluzione durata millenni e milioni e miliardi di anni a cominciare dalle creature formata da una sola cellula si sono lentamente sviluppate compreso l’uomo fino a raggiungere il grado perfetto che vediamo oggi e che comunque non impedisce di ipotizzare che l’evoluzione della creazione ancora continua in forme lente, nascoste. È importante tenere presente questi dati dell’evoluzione perché aiutano la teologia a porsi criticamente la domanda su come considerare la figura dell’uomo e come dargli il giusto peso a tutte le specie viventi che vanno custodite dall’uomo e vanno accompagnate nel loro progresso continuo. Quando l’uomo interviene su certe specie di animali o vegetali e attraverso il suo intervento entra nelle loro leggi specifiche scoperte con gli strumenti della scienza, e ottiene nuovi frutti, nuovi elementi di animali, di piante; allora siamo esattamente nell’evoluzionismo guidato da una mente intelligente che è quella dell’uomo. Si Può pensare allora che in tutto l’universo intero esista una mente creatrice che attraverso le leggi intrinseche del creato lo fa progredire di anno in anno? A proposito dello sviluppo storico e normatico del tema della creazione viene fuori che la grande novità che a oggi porta la teologia al tema della creazione è il concetto di creazione trinitaria. La creazione non è soltanto frutto di un solo Dio – Yhwh – il creatore di tutte le cose, ma il frutto di una interazione tra Padre, Figlio e Spirito Santo. Allora la realtà se è stata disposta in essere dal padre, figlio e spirito santo deve essere caratterizzato e deve portare i segni di queste tre persone. Il Padre che soggetta il Figlio e lo Spirito Santo che crea. La presenza della Trinità ci fa capire come la creazione proviene da un’idea interna di Dio e tende continuamente a realizzare una nuova unione con Dio. La creazione proviene da Dio, si sviluppa nel tempo e si completa in Dio. Il Cristianesimo aspetta il ritorno finale del figlio di Dio, che metterà sia l’uomo, sia la creatura in una situazione completamente diversa da oggi, quella che la teologia chiama la resurrezione finale: la Parusia, la nuova Gerusalemme. Allora rispetto alle scienze parliamo soltanto di una materia di cui non si sa l’origine e non si conosce la fine, la teologia ha la sua risposta da dare; l’inizio della creazione e il fine è Dio e la fine della creazione significa la vittoria del bene sul male; allora la vita sulla terra ha un significato prevalentemente storico salvifico. Da quando il figlio di Dio si è fatto uomo e gli è apparso come uomo nella figura umana di Gesù Cristo la storia stessa del mondo, profana, mondana, civile ha avuto la possibilità di 57

seguire la direzione della salvezza di Dio, cioè la purificazione di tutti gli elementi negativi che potevano venire e possono continuare a venire anche dall’intervento dell’uomo. Anzi lo Spirito Santo va considerato sotto questo aspetto il timone di vita per eccellenza, interviene tutte le volte che l’uomo tenta di distruggere la vita. Quello che va perseguito è questo ragionamento, la presenza di Cristo nella storia civile diventa tutta storia di salvezza. Dovremmo essere capaci di vedere in tutti gli eventi storici e sviluppi delle nazioni la presenza salvatrice di Cristo, la presenza di vita intensa, divina, profonda che proviene dallo Spirito Santo. Gli eventi della storia civile non sono disgregati l’uno con l’altro, oppure l’uno con l’altro legati semplicemente da cause politiche, sociali, economiche; al di là di questa causalità seconda inferiore, c’è sempre l’intervento della causa prima (Dio causa tutte le cose) integrando nel nostro discorso finale la dimensione cristologica di S. Tommaso. l’inno nella lettera agli Efesini dice chiaramente che in Lui e per Lui esistono tutte le cose e allora il grande mediatore della vita è Cristo, il mediatore della salvezza è Cristo. La presenza continua della Trinità nel mondo e in modo particolare nel figlio di Dio venuto al mondo ci fa vedere come la creazione non è civiltà con le evoluzioni delle specie, Dio continua a mantenere sulle sue mani, a fare in modo che continui ad esistere la creazione intera. A questo proposito ci risulta molto utile il concetto tomista di analogia dell’essere: Dio è l’essere perfettissimo, la causa che muove tutte le cose e che dona a tutte le cose una partecipazione di se stesso, una partecipazione dell’essere. Non abbiamo più come nel platonismo una continua emanazione di essere viventi intelligenti, di creature spirituali che degradano l’uno dopo l’altro fino ad arrivare alla materia brutta, al peccato. Qui invece con Tommaso le essenze spirituali vengono sostituite dalla parola “causa”, cioè meccanismi automatici, regolati da una mente intelligente. Il creato ha una sua autonomia attraverso le cause seconde, un’autonomia che si sviluppa anche attraverso l’obbedienza alle leggi fondamentali che Dio ha inserito nella sua creazione e tutte le creature si possono vedere come partecipazione dell’essere di Dio. La creazione se è una serie continua di cause ed effetti, può essere studiata dagli scienziati anche solo attraverso questa catena di causa ed effetto, e attraverso questo studio profondo della casualità, giungere a comprendere le leggi che regolano le varie cause e i vari effetti intervenendo se è necessario su essi. Quindi Dio continua in questo modo, attraverso la custodia dell’uomo, attraverso la conoscenza delle leggi a salvare, a governare, a nutrire provvidenza nei confronti del mondo. Ricordiamo la grande Parola di Efesini 1-10: >. Tutte le cose create devono essere ravvicinate e coadiuvate sotto un’unica parola e unico dominatore: il figlio di Dio; tutto quello che avviene nel mondo deve essere nella missione trinitaria, nella fede cristiana ricondotta all’evento che riguarda anche il Cristo. La mente creatrice di Dio fa in modo che l’uomo possa presentare a lui una creazione ben coordinata, una creazione 58

piena di significato; ed è così possibile vedere con gli occhi della fede che la creazione diventa un argomento di discussione profonda tra la scienza e la fede. Per cui quel contrasto che ha dominato nel secolo XVIIII e in parte anche nel XX possiamo dire che oggi è profondamente superato dall’atteggiamento della fede nei confronti della scienza e dal comportamento della scienza nei confronti della fede. Nella creazione tutto è buono ma tutto deve essere perfezionato; questo perfezionamento di tutte le cose uscite purtroppo malate dopo il peccato originale dell’uomo è affidato da Dio alla collaborazione dell’uomo. Quindi il creato che noi possiamo vedere e nel quale apparteniamo noi stessi, oltre ad essere l’immagine della provvidenza di Dio è anche immagine dell’uomo creato per essere il luogo tenente indicato da Dio nella storia della salvezza e della creazione.

14. DISCORSO SULL’ANTROPOS-STUDIO SULL’ESSERE UOMO INSERITO NEL MONDO La creazione è come luogo ideale dove l’uomo è una creatura diversa dalle altre perché, provviste di libertà e di volontà, può sviluppare i doni, i talenti ricevuti da Dio e soprattutto può sviluppare la sua funzione di mediatore e salvatore della creazione e dell’umanità. Mentre la dogmatica classica, quella dei manuali dei deo creatore XVIIII e XX secolo si fermava soltanto alla testimonianza di genesi 1 e di genesi 2 per darci le uniche notizie che noi potevamo conoscere sulla identità dell’uomo, oggi la dogmatica è ben cosciente di come i primi due capitoli della genesi e, compreso il terzo dove si racconta del peccato originale dell’uomo, vanno presi contemporaneamente e confrontati con i dati del nuovo testamento. Nell’Antico Testamento iniziamo a parlare dell’esperienza prima che ha fatto il popolo di Israele e del pensiero che Javè ha avuto nel momento in cui ha pensato di creare per la prima volta l’uomo. Se consideriamo il racconto più antico, quello di genesi 2,4-7, vediamo l’opera di Dio che plasma e soffia il respiro vitale dell’uomo. Prima osservazione: l’uomo nella sua vita non è autonomo, non nasce da stesso, non è indipendente ma dipende da qualcuno più alto di sé che lo mette in vita sia dal punto di vista anatomico, sia biologico-vitale. Il livello di conoscenza e di creaturalità dell’uomo non sono autonomi secondo la rivelazione, ma provengono da un creatore che è Javè, colui che dice di stesso a Mosè di chiamarsi: io sono (Esodo 3-14). Quindi c’è una relazione assoluta e inevitabile; se Dio cessasse di alitare continuamente il soffio vitale alla creatura umana, questa morirebbe. Dal punto di vista filosofico insieme con Tommaso possiamo dire che Dio è un essere perfettissimo che rende partecipe la creatura umana di una capacità di essere simile alla sua; Dio essere supremo dota le creature di qualcosa di simile a se stesso. In questo modo le creature somigliano moltissimo a Dio e 59

posseggono la stessa intelligenza di lui anche se l’essere e l’intelligenza di Dio rimane trascendente e diverso da quello che le creature dicono. La dipendenza dell’uomo da Dio, proprio grazie al concetto dell’analogia dell’essere, non porta ad una contrapposizione ontologica ma ad una integrazione costituita da diversi elementi che tutti insieme concorrono a farci capire che cosa significa uomo nell’antico testamento. Quattro elementi caratteristici ci fanno capire come l’essere umano dipende ma è simile anche a Dio. 1) Il primo termine che incontriamo nel Nuovo Testamento per indicare l’uomo è Nefes, indica l’uomo indigente, che ha bisogno, che chiede a Dio di dargli la vita perché da solo non se la sa dare; 2) il secondo termine è Basar, è la parte dell’uomo destinata alla consumazione del sepolcro, è il corpo che deperisce giorno per giorno. È il corpo fatto di carne debole non eterno. 3) Il terzo termine è Ruah, è il soffio vitale di cui ha bisogno l’uomo per vivere, per dire come ci sia una corrispondenza tra ciò che è divino e ciò che è umano. La Ruah è la forza di Dio, lo spirito inviato da Dio all’uomo sempre però sottomesso ad obbedire alla volontà di Dio. 4) Il quarto termine è Lev, che si traduce come cuore, indica il sentimento, il desiderio, la ragione, la volontà. Questi quattro termini indicano chiaramente che l’uomo è in relazione a Dio in senso verticale. Ma non lo è solo in senso verticale ma anche in senso orizzontale. L’uomo viene creato come membro di una comunità espressa attraverso le creature non intelligenti e al suo complemento necessario nella creazione della donna; quindi la prima caratteristica che compete all’uomo dopo quella della dipendenza da Dio è la sua socialità con altre creature. Il giardino dell’Eden è lo spazio geografico ( ha una consistenza terrena) dove la relazione (socializzazione) viene completata, questo spazio geografico viene dominato dall’uomo anzitutto attraverso il lavoro che rende il campo dell’Eden fecondo. L’uomo si prende cura del creato lavorando, immettendo in esso parte della sua intelligenza che a sua volta è parte e imitazione dell’intelligenza creatrice di Dio. Il lavoro è l’elemento dell’uomo che può dare alla sua vita una piena riuscita attraverso l’auto-mantenimento in vita. La relazione ancora più elevata dell’uomo, ha esistenza quando al di sopra di tutte le creature mancanti di intelligenza, si trova davanti, creata misteriosamente da Dio la sua copia al femminile: la donna. l’uomo al quale viene presentata la donna è l’uomo che precedentemente Dio ha messo nella condizione di cercarsi un aiuto nelle altre creature. La donna che Dio pone accanto all’uomo fa brillare gli occhi di Adamo perché ha trovato finalmente un aiuto simile a sé. La donna è il vertice di tutta la creazione perché è l’ultima creatura proveniente dalle mani di Dio creata per collaborare insieme con l’uomo. Con una indicazione a favore della teologia femminista, come il vertice della creazione, non va considerato tanto l’uomo come singolo maschio ma la sua relazione con la donna come singola femmina, destinata a formare la prima coppia uomo-donna. Il primo 60

uomo viene indicato con la parola Adam che dal punto di vista sessuale è un termine indifferenziato indica “terroso” proveniente dalla polvere della terra, dopo la creazione della donna allora si specifica il maschio ‘ìs e la femmina ‘isa , legati da una relazione profonda che li fa l’uno parte dell’ altro; elimina ogni subordinazione come anche ogni priorità del uno all’altro. Possiamo dire che l’uomo come creatura semplice si rapporta e ha un rapporto particolare con la terra e gli animali, infatti l’uomo viene creato subito dopo aver creato la sede degli animali, invece in quanto uomo cioè creatura intelligente, non si rapporta tanto alle altre creature quanto piuttosto si alla donna, nello stesso momento in cui la donna si rapporta esclusivamente al suo uomo. Eva si rapporta cosi sembra di capire solo ad Adamo, mentre l’apertura totale delle relazioni con tutte le altre creature resta una caratteristica tipica dell’uomo del maschio di Adam, quasi che si volesse dire che Eva non coltiva la terra, non si preoccupa della vita degli animali, ma si preoccupa solamente di relazionarsi con il suo uomo. L’uomo dal punto di vista organico si trova in una situazione di perfezione completa, la sua anima sembra essere serena nell’eseguire quella volontà di Dio che è il lavoro, però riceve da Dio un limite alla sua capacità di decidere, cioè ha una limitazione del dono che Dio gli fa di essere libero. La libertà, dunque, è limitata e la dipendenza da Dio è continua. Questo però non significa che l’uomo è schiavo di Dio, ma è un dono: accettare un comportamento che non travalichi certi limiti; il comandamento deve essere custodito e plasmato così come l’uomo istruisce tutte le altre creature, l’uomo con la sua responsabilità custodisce la sua stessa libertà. La disobbedienza del comando ottiene la condizione anomala che Dio non voleva, cioè la rottura delle giuste relazioni. Adamo non riconosce più come prima la reazione con Dio, con la terra, con la donna; adesso l’uomo rifiuta la sua dipendenza da Dio (come dice il serpente ad Eva: voi sarete come Dei, diventerete simili a Dio e Dio è geloso di questa eventuale somiglianza a lui). Una volta che è rotta la dipendenza da Dio immediatamente la vita dell’uomo che riceve da Dio gli appare come una forma da cui fuggire, l’uomo crea di darsi autonomamente delle leggi di comportamento e nel fare questo distrugge tutte le relazioni già esistenti, incomincia così a venir fuori la morte, il dolore, il disfacimento del corpo. Prima del peccato originale il corpo non si sarebbe separato dall’anima ma avrebbe raggiunto insieme con l’anima il luogo di Dio, adesso l’uomo sperimenta l’agonia, la sofferenza, la morte. La morte sarà il momento in cui Adamo ed Eva faranno l’esperienza di Dio che toglie loro l’alito di vita, vedono allora Dio come anche colui che ritira la vita. Questi dati fondamentali della Genesi li troviamo in maniera esercitata da Gesù nel Nuovo Testamento, Gesù è l’uomo profondamente messo in relazione con gli altri uomini. L’esperienza umana di Gesù si lega immediatamente al mistero della morte, al mistero della disobbedienza di Adamo ed Eva. Per Gesù di Nazareth l’uomo è l’essere che vive sempre in relazione a Dio; questa relazione Gesù di Nazareth è venuta a ristabilirla per sempre ed è una forma di relazione simile a 61

quella che all’interno della trinità Egli vive da sempre; la relazione del Figlio nei confronti del Padre, anche l’uomo secondo Gesù vive in una relazione filiale rispetto alla paternità di Dio. Un figlio però ha sempre bisogno del padre, anche la parabola del figliol prodigo ce lo ricorda; ad un certo punto nel vertice della sua umiliazione profonda il figliol prodigo riconosce che ha bisogno per sopravvivere dell’aiuto del padre e ritorna da lui. Quindi il figlio è colui che deve la sua salvezza al padre, e Dio risponde a questo limite con il dono di tutto quello che gli manca: confronta il Padre Nostro, qui è compreso tutto ciò di cui l’uomo ha bisogno per vivere. Inoltre il rapporto padre-figlio non è solo un rapporto automatico che coinvolge soltanto la consapevolezza etica e morale della propria dipendenza, ma questo rapporto è segnato profondamente dal sentimento dell’amore, come il figlio ama il padre e il padre il figlio così ogni creatura umana viene amata da Dio e invitata ad amare Dio. Questo amore è possibile perché il padre nei confronti dell’uomo vive di infinita misericordia, scende fino agli abissi del bisogno umano per manifestare come l’amore di Dio perdona il peccato; comprendere i limiti e sostituirli con atteggiamenti di benevolenza. Quindi l’intervento di Dio nei confronti dell’uomo è salvifico, questa è la prospettiva nuova che Gesù viene a portare con la sua incarnazione, quella di salvare l’uomo. Gesù è il salvatore dell’uomo. L’uomo può comprendere come davanti a sé, a causa sempre del male causato dalla disobbedienza, esistono delle realtà che lo avvicinano a Dio e altre che allontanano l’uomo dal progetto di salvezza di Dio. La salvezza della libertà umana consiste in questo dono fatto da Gesù all’uomo: fare in modo che l’uomo si renda conto che nell’insieme della realtà creata ci sono delle creature che favoriscono l’incontro con Dio e altre che allontanano l’uomo da Dio. Seguire Gesù il Messia significa avere la partecipazione con tutto il bene che è ancora nel creato e allontanarsi da tutto ciò che allontana dalla volontà salvifica. Se il rapporto tra Dio e l’uomo è un rapporto di figliolanza, immediatamente il figlio guarda ai suoi simili come a dei fratelli perché comprende che sono figli di Dio al suo stesso modo. Ecco perché Gesù può esaltare tutti i rapporti di perdono, aiuto, amicizia. Per Gesù i fratelli non sono altro che amici l’uno dell’altro. Per Gesù allora l’umanità è una società di pura uguaglianza, di totale democrazia tra i figli tutti creati e voluti da Dio. Gesù dice in Matteo 5,48-48 ...Padre fa piovere sui giusti e sugli ingiusti, non amate solo quelli che vi amano, amate i vostri nemici, siate perfetti come è perfetto il Padre celeste. La perfezione da perseguire a cui ci esorta Gesù è la stessa che ha sempre vissuto all’interno della trinità; farsi sempre vicino al prossimo. La dipendenza amorosa che Adamo ed Eva scoprono nei confronti del padre verso di loro sarebbe dovuta essere la stessa relazione di amicizia, di dipendenza tra di loro che si sarebbero dovuti incontrare solo per il bisogno di essere insieme. Quattro parole chiavi che troviamo nel nuovo Testamento per indicare le caratteristiche fondamentali dell’uomo nuovo venuto ad essere ricreato dal sacrificio di Gesù: Sarx, Soma, Psyche, Pneuma. 62

Lezione del 24 Aprile 2018 15. DISCORSO SULL’ANTROPOS NEL NUOVO TESTAMENTO Vediamo cosa possiamo conoscere dal NT della creatura “uomo”, dell’animale razionale “uomo”. Come al solito, nella Bibbia non vi è una trattazione sistematica, ma dobbiamo soffermarci su alcune parole chiave che consentono di capire cosa gli autori neotestamentari intendono quando usano la parola “anthropos” (“homo”). I quattro punti chiave erano sarx, soma, psychè, pneuma. 1) Per “sarx” si deve intendere anzitutto il “corpo di Cristo”, ma anche “corpo”, “materia” in generale, e ancora: “carne”, “ossa”, “muscoli”, “tendini”. Si evidenziano poi anche alcune specificazioni secondarie, cioè che il corpo dell’uomo è soggetto alla fragilità fisica (malattie fisiche), morale e spirituale (il peccato, la disobbedienza, la sofferenza morale, psichica, psichiatrica). Ultima indicazione riguardo questo corpo debole, avviato al disfacimento, è quella che tale corpo può essere quella parte dell’uomo che si può mettere in contrasto con Dio, quell’elemento attraverso cui l’uomo sperimenta l’abbandono da parte di Dio, la sparizione del legame con Dio. 2)“Soma” indica invece la parte esterna dell’uomo, ma anche la soggettività dell’uomo (cioè l’uomo come soggetto, come persona adulta e responsabile), la sessualità diversa tra uomo e donna, e anche le opzioni fondamentali della persona verso il bene o verso il male, cioè verso la vita o verso la morte spirituale. 3) “Psychè”, che solitamente si traduce con “anima”, sta a indicare la vita profonda dell’uomo, il principio che da’ vita e vivacità al semplice corpo umano sensibile ed esteriore (soma). Equivale all’ebraico “nefèsh”, il soffio vitale che viene ispirato da Dio nelle narici di Adamo perché la creatura diventi vivente, viva. 4) “Pneuma” è la parola più interessante del NT e più problematica, perché risulta sempre difficile la sua traduzione nei contesti in cui è utilizzata. Il termine può essere infatti utilizzato con la lettera iniziale maiuscola o minuscola, per indicare rispettivamente lo Spirito di Dio (ambito trascendente) e quello che in ebraico si indica con “ruah”, che è invece il luogo dei sentimenti, l’attività spirituale più alta dell’uomo, cioè quel’attività dell’anima che eleva l’uomo in direzione verticale verso il mondo divino. Da quest’ultimo punto di vista, pneuma è l’esatto contrario di sarx, che oltre a significare corpo, significa anche “carne”, “ossa”, “muscoli”, “tendini”, “parti del corpo”, tutto destinato alla malattia e a disfacimento. Il termine pneuma sottolinea invece l’eternità dell’essere uomo. Nell’uomo non c’è solo qualcosa che deperisce, ma anche qualcosa che dura in eterno.

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Tutti questi termini sopra indicati ricorrono sempre nel quadro più vasto di una relazione dell’uomo con Dio e con le altre creature che lo circondano. L’uomo ha una relazione privilegiata con Dio, grazie all’intelligenza, alla libertà e alla volontà. L’antropologia teologica è particolarmente fortunata perché possiede come dono della Rivelazione il modello tipico e particolarmente perfetto di uomo che è Gesù Cristo, il Figlio di Dio incarnato, il nuovo Adamo o secondo, ultimo Adamo. Paolo mette in parallelo il vecchio Adamo e il nuovo Adamo che è dovuto intervenire quando l’uomo con il peccato originale ha distrutto, o macchiato o indebolito l’immagine e la somiglianza di Dio che gli erano stati conferiti al momento della creazione. Il primo Adamo non ha raggiunto il fine di essere una perfetta immagine e somiglianza di Dio. Il Figlio dell’uomo, invece, realizza questo progetto divino. Il vecchio Adamo non aveva ottenuto la possibilità di salvarsi, cioè di entrare nella vita comunionale con Dio. Gesù Cristo ha raggiunto invece tale fine, cioè Egli può mettersi in relazione con il mondo di Dio e quindi può portare la salvezza, la vita eterna insieme con Dio, la benedizione eterna vicino a Dio e non la maledizione eterna lontano da Dio. Gesù non solo ricostituisce il primo Adamo peccatore, ma lo eleva molto di più, perché gli da la possibilità di una vita diversa, veramente nuova e più alta rispetto a quella che aveva originariamente nell’Eden. Gli dà direttamente, senza aspettare la morte, la possibilità di essere salvo e di mettersi in salvo sotto l’ombra di Dio, nel rifugio dell’Altissimo. Il vertice della Rivelazione di Cristo come nuovo Adamo avviene nel Mistero Pasquale, dove veramente il vecchio Adamo viene distrutto e il nuovo Adamo risorge per sempre. E proprio a partire dal mistero pasquale e dalla risurrezione si comprende come l’opera della salvezza di Cristo è iniziata fin dalla sua incarnazione, fin dal suo apparire nel genere umano sulla terra. In questo modo, nell’incarnazione del Figlio di Dio, il divino e l’umano si sono incontrati. Il divino scende nell’umanità e l’umanità si eleva a Dio attraverso il Figlio incarnato. Gesù, allora, come Logos, Parola e Pensiero del Padre, è il mediatore trascendente tra l’uomo e Dio. Tale connubio e tale mediazione di Cristo tra Dio e l’uomo si riflette attraverso la trama delle relazioni tipiche di Cristo, che diventano modelli delle relazioni umane. Quali sono tali relazioni tipiche presentate da Cristo come modelli delle relazioni umani? Anzitutto Gesù Cristo, Il Figlio di Dio è rivolto al Padre, pur rimanendo integralmente libero nei confronti del Padre. Egli compie la volontà del Padre perché vuole obbedirgli, non perché è costretto dal Padre a obbedirgli. Si incarna per una sua propria e individuale, soggettiva e libera obbedienza. È una obbedienza libera dalla necessità. In secondo luogo, Gesù vive la sua relazione con gli altri uomini simili a lui e qui si manifesta la mediazione del Gesù Salvatore. Relazionandosi agli altri uomini simili a lui, Gesù li mette in condizione di comunicare tramite lui con il Padre. Si fa mediatore per tutti gli uomini. Egli preferisce le categorie 64

più basse del ceto popolare, quelle categorie più assoggettate alle potenze umane, quelle categorie che più vivono situazioni di sofferenza, emarginazione, morte. Sono queste categorie che Gesù più vuole attrarre nella sua propria vita per presentarle liberate al Padre. Oltre alle relazioni col Padre e alle relazioni con i suoi simili in determinate condizioni sociali, Gesù instaura poi anche in terzo luogo relazioni col mondo più in generale, sia con il mondo creaturale (le creature: fauna e flora), sia con il mondo sociale (mondo inteso come società umana). Da questo punto di vista, Gesù è esattamente l’opposto di Giovanni il Battista. Il precursore della Salvezza non è uguale al Salvatore. Il Battista vive solitario nel deserto con una vita austera. Gesù vive invece profondamente nel mondo e vive le relazioni all’interno della società umana, anche secondo la strutturazione della società in gerarchie sociali e di potere (folle emarginate dei giudei, autorità religiose del popolo ebraico, autorità politiche). Gesù conosce molto bene i meccanismi della natura e li sa vedere come espressione della magnificenza del Padre. Gesù è modello per tutti gli uomini che vogliono essere veramente umani e liberi. Il punto apice in cui Gesù esercita la sua libertà è nell’Orto degli Ulivi, quando non condizionato da alcuno decide di donare la propria vita e avviarsi al sacrificio finale (“Io do la vita a me stesso e me la tolgo. Non è altri che me la tolgono. Io stesso me la tolgo e me la riprendo”). La libertà di Gesù, del Figlio di Dio, è estesa a tutta la sua vita ed è una libertà vissuta nei confronti del Padre in modo particolare. E poi anche in confronto a tutta l’umanità nella misura in cui Gesù vuole essere libero di essere il Salvatore degli uomini, colui che li libera dal peccato. Se Gesù è l’esemplare dell’uomo perfettamente compiuto e realizzato, allora la vita di un cristiano, del discepolo, del seguace, non è altro che l’approssimazione progressiva, ogni giorno sempre di più, verso il modello “Cristo”. La sequela di Cristo è l’assimilazione progressiva da parte del singolo degli stessi sentimenti e comportamenti di Gesù. Il terzo versetto della Lettera agli Ebrei dice che Gesù è la irradiazione della gloria del Padre, la luce del Padre, lo sfolgorio dell’essenza del Padre, impronta della sua sostanza. Avanzare nella sequela di Gesù comporta quindi avvicinarsi sempre più alla figura del Padre, modello principale della stessa figura di Gesù. Gesù quindi è anche dal punto di vista soteriologico il mediatore nei confronti di Dio Padre, nel senso che tutti gli uomini sono chiamati ad essere immagine e somiglianza di Dio Padre attraverso la mediazione di Gesù. La perfetta assimilazione al modello prototipico di Gesù si avrà solo nella Parusia, quando il Figlio di Dio tornerà, farà risorgere i morti e darà il suo giudizio a coloro che si sono avvicinati di più al modello cristologico e teologico e a coloro che non ci sono arrivati o addirittura che hanno rifiutato il cammino di assimilazione. La Parusia sarà sì l’evento più grande della misericordia e della grazia 65

di Dio, che raccoglierà tutto il bene del mondo, ma proprio perché è misericordia e giustizia evidenzierà pure coloro che hanno rifiutato con la stessa volontà e libertà che Dio ha dato loro la possibilità di rispecchiarsi nel volto di Dio e ciò comporterà che non potranno più farlo. La soteriologia e l’escatologia devono mantenere tale distinzione di giudizio sia verso l’eterno bene, sia verso l’eterna ombra/lontananza. Ciò è richiesto dalla misericordia e dalla giustizia di Dio. L’uomo, poiché è escatologicamente proteso ad essere conforme all’umanità di Gesù vuol dire che è anche conforme all’immagine iniziale di Gesù. Si ha cioè una convergenza piena della escatologia e della protologia di Cristo. Così come Cristo apparirà come un modello nell’ultimo giorno, così è anche un modello all’inizio della sua vita in mezzo agli uomini, al momento dell’incarnazione. Quello che bisogna tenere in considerazione riguardo la protologia, cioè riguardo la presenza salvatrice di Gesù non solo alla fine dei tempi, ma anche all’inizio della sua vita, è che nell’incarnazione non ci sono dualismi tra la divinità e l’umanità, ma che convergono invece nell’unica persona del Verbo senza separazione, né confusione. Si può parlare di “scambio salvifico” operato da Gesù Cristo, nel senso che l’opera di salvezza ottenuta da Cristo immediatamente si riversa sulla massa dei peccati degli uomini e la distrugge. Il Figlio di Dio diventa uomo perché tutti gli uomini possano diventare come Dio. L’incarnazione e il mistero pasquale, incluso l’ascensione, non sono solo la manifestazione delle infinite capacità di Dio di creare e di incarnarsi, e neppure come voleva l’idealismo, cioè manifestazioni di un ampliamento della conoscenza da parte di Dio di se stesso attraverso l’assunzione della natura umana. Modello idealistico: Dio cresce nella storia, avanza nella conoscenza di sé stesso e raggiunge la pienezza della conoscenza di sé stesso quando si riversa nell’altro da sé, nel mondo, nella terra, nella morte. Se così fosse, allora l’incarnazione del Figlio è un atto che riguarda solo la vita di Dio, l’evoluzione della vita di Dio in Dio e per Dio. Mentre invece, dal punto di vista della fede, l’incarnazione del Figlio è un evento destinato a ripetersi e ad accadere in ciascun credente. Lo sviluppo antropologico non serve a Dio per conoscere sé stesso, ma serve al mondo e agli uomini per elevare se stessi. Il raggiungimento del fine ultimo dell’assimilazione a Cristo introduce la terza Persona della Trinità, lo Spirito Santo, che realizza l’unione con Cristo e la somiglianza dell’uomo con Dio. Lo Spirito Santo interviene come Spirito creatore a realizzare l’unione del singolo con il Cristo e attraverso Cristo col Padre. Ci troviamo di fronte a una interpretazione e visione essenzialmente e completamente trinitaria della natura dell’uomo, dell’evoluzione dell’uomo. Gesù Cristo uomo-Dio rende l’uomo simile a se e quindi simile al Padre. Padre e Figlio insieme guidati e ispirati dallo Spirito Santo realizzano nell’uomo il suo essere immagine e somiglianza con Dio. Solo lo Spirito 66

Santo può mettere l’uomo in relazione con Cristo. La stessa incarnazione è venuta attraverso l’opera dello Spirito Santo, Spirito di vita. Ciò significa che l’iniziativa della fede non avviene mai per nostra semplice iniziativa. La salvezza non è mai un’autoredenzione, ma è Dio che invita l’uomo all’interno della sua coscienza a cercarlo. La fede è un dono di Dio. Seguire l’esempio di Cristo non vuol dire vivere esattamente come Cristo ha fatto duemila anni fa. Questa visione è tipica dei movimenti evangelici letteralisti, che pretendono di poter imitare la forma di vita di Gesù così come si è sviluppata all’epoca di Gesù (movimento francescano inteso alla larga, che porta avanti il modello di sequela letterale del Vangelo di Gesù per rendere l’uomo il più possibile simile a Cristo. L’esempio di S. Francesco e le sue stimmate è il punto più alto che ha raggiunto un uomo di assimilazione a Cristo). Proprio attraverso la vivacità dello Spirito Santo, il Vangelo va continuamente attualizzato nelle attuali circostanze storiche della vita del credente. Questo processo di storicizzazione della sequela di Cristo può avvenire sotto due aspetti: primo, sotto l’aspetto spirituale della guida dello Spirito Santo di cui già si è parlato; secondo, sotto l’aspetto ecclesiologico, perché è all’interno della Chiesa che è custodito il modello di Cristo, esiste cioè un popolo che è la Chiesa, costituito sul modello di Dio tramite i Sacramenti e la Parola. Il cammino di perfezionamento sul modello di Cristo del singolo non può avvenire individualmente e in maniera isolata, ma all’interno della Chiesa.

16. DATO STORICO TEOLOGICO DEL MODELLO DI CRISTO NEI PADRI DELLA CHIESA

Dal lato biblico ci spostiamo ora sul lato storico-teologico. Sin dai primi anni del Cristianesimo ci si era posti la domanda su come estendere a tutti i popoli il modello di Cristo, non solo quindi alla mentalità giudaica, ma anche ellenistico-romana. Vi erano due problemi: il problema della prassi della carità, in particolare verso i problemi economici e sociali delle vedove e degli orfani; il problema di rendere ragione della Chiesa e della fede di fronte alla cultura del tempo. L’attenzione solo alla prassi avrebbe confinato la Chiesa solo in un ambito filantropico, insieme di uomini e donne benestanti che aiutavano e difendevano i poveri. Bisognava invece far capire cosa volesse dire il Cristo a sé stessi, cioè agli apostoli, cosa significavano le parole e i fatti di Gesù per quei testimoni che lo avevano visto e che avevano avuto a che fare con lui. Bisognava spiegare l’incarnazione, la resurrezione, specie in ambito ellenistico dove vi erano molti miti e culti misterici. Occorreva un linguaggio adeguato dal punto di vista intellettuale. Ecco che l’opera di riflessione dei primi Padri della Chiesa sulla categoria “uomo” è stata determinante per la costruzione teologica dell’argomento “uomo”, cioè dell’antropologia teologica. 67

Fin dal I sec. d.C. i Padri sono fedeli al dato biblico e la loro antropologia è concentrata sul commento a Genesi 1-2. Il grande antagonista degli sforzi dei Padri a partire dal I-II sec. d.C. era lo gnosticismo, forma di religiosità elitaria basata sul dualismo teologico e sul disprezzo di tutto ciò che non era spirituale, razionale, intellettuale (auto-salvazione che riguardava i singoli uomini). Clemente di Alessandria è il grande Padre che nel II-II sec. d.C. cerca di utilizzare la parola “gnosi” per indicare la Rivelazione cristiana e per indicarla come mistero assolutamente superiore a tutte le altre forme di gnosi (misteri gnostici) della società greco-ellenistica del tempo. Del resto, Giustino, Padre Apologista vissuto un secolo prima di Clemente, già utilizza il termine “Logos” per indicare il modello dell’uomo. Il modello dell’uomo non è il Verbo incarnato, ma il Verbo eterno, appunto il Logos. Per Giustino, nell’uomo l’anima e il corpo non si possono separare, anima e corpo sono stati creati a immagine e somiglianza dell’unico Dio che secondo la Rivelazione di Cristo vive in una tripersonalità trinitaria. Tornando a Clemente di Alessandria, con lui e con tutti gli altri Padri alessandrini si parte dal concetto che le anime sono la parte migliore dell’uomo, proprio come affermavano gli gnostici, ma, dice Clemente, anche il corpo creato direttamente da Dio secondo i capitoli 1 e 2 di Genesi (nei racconti della creazione) ha un suo valore, non è semplicemente destinato alla putrefazione nel sepolcro. L’uomo riceve l’anima razionale, l’anima superiore, non quello spirito vitale che vi è negli altri esseri animali che hanno una sorta di istinto ragionevole. L’anima che riceve l’uomo da Dio è l’anima più elevata di tutte le specie animali, è l’anima capace di mettersi in relazione diretta con Dio attraverso lo Pneuma, lo Spirito Santo. L’uomo è in perenne tensione verso la completezza totale, che secondo Clemente avviene non solo alla fine dei tempi; ma già quando il credente, il fedele inizia il programma/progetto di vita di sequela di Cristo, si realizzano i primi germi della trasformazione dell’uomo a immagine e somiglianza di Dio. L’uomo raggiunge Dio attraverso Cristo già su questa terra. Il nous, l’intelligenza serve a dare al corpo dell’uomo un valore, perché tale corpo è portatore appunto di tale intelligenza. Per Clemente non esistono anime intelligenti che sono preesistenti rispetto al corpo. Il corpo è animato da Dio ispirando nelle narici un’anima intelligente. Il corpo diventa abitazione dello Spirito di Dio. Il Padre, o meglio lo scrittore ecclesiastico più lontano dalle linee tradizionali del primo pensiero cristiano è Origene, il cui pensiero è stato influenzato dal medio e neo-platonismo, per cui contro l’idea di Clemente alessandrino dice che le anime sono preesistenti, ma secondo diversi gradi. Ci sono anime migliori e anime che degradando in virtù conoscitive e morali discendono sempre di più, facendosi sempre più deboli, decadute, mortali, malvagie. Ad incarnarsi nel corpo è sempre un’anima decaduta, che nella sua vita preesistente si è allontanata dal modello divino. Tale tipo di anima ha sempre un nous debole, ferito, incapace di rapportarsi direttamente con Dio come 68

quando preesisteva nel mondo delle idee all’origine della sua creazione. Ecco allora che per punizione tali anime sono gettate nei corpi come in una prigione da cui devono liberarsi. Gesù diventa il modello per tali anime perché durante tutta la sua vita si è liberato dal suo corpo, disprezzandolo, fino alla morte di croce. Origene quindi ha una visione negativa del corpo come manifestazione di un’anima debole, peccatrice. Gesù stesso è inteso come liberatore dell’intelligenza dell’uomo dalla forza costringente del carcere costituito dal corpo umano. Tra i Padri della Chiesa è importante poi la figura di Agostino. La figura dell’uomo per Agostino è importante perché attraverso la conoscenza di Cristo possiamo arrivare a comprendere la natura di Dio (la linea di pensiero agostiniana è: conoscere le creature e la loro essenza per conoscere il Creatore e la sua natura sovraessenziale). Secondo la creazione, l’uomo riceve assieme anima e corpo, ma ciò che fa dell’uomo un essere perfettamente riuscito è la sua somiglianza con Dio, seppure sembra che talvolta Agostino voglia limitare la somiglianza con Dio solo all’anima, facendosi in qualche modo condizionare dal pensiero gnostico. È vero che Agostino poche volte svaluta il corpo come essere creato da Dio, ma certamente Agostino pensa che all’interno del composto umano l’anima ha una preferenza nei confronti di Dio, perché solo l’anima può mettersi in relazione con lui attraverso l’attività dello spirito. Per comprenderne l’idea di uomo, occorre ricordare che Agostino prima di convertirsi al cristianesimo era manicheo e da un punto di vista culturale era fortemente influenzato da un dualismo di stampo neoplatonico. Quindi la sua sensibilità è molto sbilanciata sotto l’aspetto spirituale che si riferisce all’interiorità, tanto che la sua antropologia è detta dell’interiorità agostiniana. Pur se in vari aspetti sembri così sbilanciato verso l’elemento spirituale da trascurare l’unitarietà dell’uomo, in realtà Agostino non definisce mai l’uomo ma lo descrive sempre in relazione al suo fine, che è Dio, per cui l’antropologia di Agostino punta maggiormente su ciò che l’uomo deve essere in relazione a Dio, piuttosto che su quello che effettivamente è. In questo riferimento a Dio, Agostino pensa l’anima dell’uomo a immagine della Trinità, come memoria, intelligenza e volontà (mens, notizia, amor). La memoria dice relazione al Padre; l’intelligenza dice riferimento a Cristo che è la notizia del Padre; la volontà dice l’uomo in riferimento allo Spirito. In tal modo l’uomo è descritto in chiave trinitaria, in un riferimento storicosalvifico che raccorda il discorso sulle origini con la salvezza che si compirà nel futuro. Sembra che Agostino metta in contrapposizione tra loro la ragione e la corporeità dell’uomo, specie quando riflette sulla concupiscenza come residuo del peccato originale e forza negativa che tende ad allontanare l’uomo da Dio. Ciò non vuole però dire che la concupiscenza è peccato, ma è solo una

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spinta al peccato che l’uomo può vincere. È quindi una sorta di test per la vita spirituale e intellettuale dell’uomo. In definitiva, tutto il pensiero di Agostino si muove come su un’altalena tra volontà di fedeltà ai dati biblici e spinta a lasciarsi influenzare dalle teorie filosofiche, in particolare dalla gnosi pagana e dal neoplatonismo di cui si è abbondantemente servito agli inizi della sua attività teologica. All’apice del pensiero medievale troviamo Tommaso d’Aquino, che vuole muoversi all’interno della tematica svolta dai Padri: dualismo e domanda se tra corpo e anima ci sia differenza di importanza. Da un lato Tommaso vuole salvare l’unità dell’uomo così come ce lo presenta la Bibbia; dall’altro, Tommaso deve affrontare ancora una volta il dualismo che si presenta sotto la forma delle eresie dell’epoca medievale (catari, albigesi). Questo problema del dualismo tra Bene e Male, corpo e anima, rimane nel Medioevo ancora un dibattito aperto. Con la sua opera, in particolare con la Quaestio disputata “De Malo”, Tommaso vuole raggiungere un giusto equilibrio, sano e conforme ai dati biblici, tra ciò che nell’uomo è fede, spinta verso Dio, e ciò che nell’uomo è ragione, capacità di ragionare, esprimere razionalmente opinioni sull’uomo senza fondarsi su alcun dato rivelato.

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Lezione del 27 Aprile 2018

17. PROBLEMATICA SUL RAPPORTO ANIMA E CORPO

A causa del platonismo diffuso e persistente nella teologia classica Cattolica, anima e corpo venivano visti su due piani diversi. Anima come essere privilegiata e dotata di capacità soprannaturali, anche quella di raggiungere Dio dopo la morte; mentre il corpo come elemento secondario destinato alla consumazione sottoterra dopo la morte. L'idea di una resurrezione veniva lasciata piuttosto all'ombra e questo significa che il mistero pasquale, il Cristocentrismo non era molto presente su questa posizione teologica. Tommaso invece cerca di superare definitivamente questo dualismo platonico. Si nota che Tommaso si allontana dal platonismo ancora presente nel progetto antropologico della teologia classica e interviene introducendo le intuizioni di Aristotile. Infatti lo fa ispirandosi alla teologia del sinolo aristotelico: il sinolo è una sostanza formata sempre da due elementi concorrenti: materia e la forma, atto e potenza. non si dà atto senza potenza o viceversa. non si da materia senza forma e viceversa. Non si ha essenza ed esistenza l'una differente dall'altra. Tutta le realtà sono costituite da doppi elementi metafisici anche laddove la differenza, dal punto di vista naturale, biologico e sensibile, non vediamo. Dal punto di vista metafisico è indispensabile secondo Aristotele, pensare tutta la realtà in questa maniera dualistica ma non distinta come pensava Platone ma profondamente unita. Tommaso distingue tra Entia quei ed Entia cuius Entia quei sono degli enti che vivono isolatamente uno dall'altro, ciascuno con la propria materia e forma. Si incontrano senza fondersi. Entia cuius sono degli enti i quali convivono con la loro complessità tra materia e forma e concorrono, convergono nella produzione di un terzo essere, si fondono. Sulla base di questo terzo principio, Tommaso afferma che anima e corpo sono due entia cuius. Anima è la forma del corpo è quell'elemento metafisico che dà vitalità a un corpo anonimo, cioè lo fa diventare un essere vivente, un uomo. Il corpo a sua volta è la determinazione in principio di insinuazione dell'anima, cioè il corpo ha delle sue caratteristiche particolari perché è formato dalla dalla sua materia, e riesce a fare un imprinting, una pressione sull'anima affinché l'anima si adatti alle caratteristiche naturali essenziali di quel corpo. Anima e corpo sono due enti completamente individuali, compiuti in sé stessi, ma che hanno la capacità di fondersi e collaborare nella formazione di un terzo elemento: l'uomo, l'umanità, il singolo individuo. È evidente che dal

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punto di vista empirico non è possibile distinguere l'anima dal corpo, questo appartiene all'osservazione dal punto di vista metafisico. Da questo punto di vista queste tesi di Tommaso trovarono resistenze nelle università cattoliche soprattutto Parigi. Obiezione principale è che tra corpo e anima esisteva una differenza talmente profonda che l'anima non poteva diventare la forma del corpo, perché l'anima era una realtà soprannaturale provenite direttamente da Dio, mentre il corpo era un elemento totalmente materiale, terreno soggetto alle mutazioni della materia, se l'anima era immutabile il corpo era mutevole dal momento che nasceva fino alla morte, un continuo cambiamento. Quindi, ritenevano che l'anima essendo elemento proveniente da Dio era impossibile che si unisse con tanta facilità ad un elemento materiale destinato a finire. Il primo francescano che interviene è Pier Giovanni Olivi. (1248-1298). Il concilio di Vienne (1311/1312), condanna questa opinione, ma non riesce a fermare la posizione ancora dualista di Olivi. Si continuava a pensare non solo ad una incongruità e differenza cosi profonda tra anima e corpo, ma si iniziò a pensare che le diverse età dell'uomo i diversi cambiamenti nell'entità uomo fosse determinato da una particolare anima speciale. Ogni cambiamento dell'uomo era determinato da una specifica anima soffiata direttamente da Dio. Un'anima generale che determinava esistenza di una persona umana ma non bastava questa anima generale e totale a dirigere i vari momenti dei mutamenti del corpo, perché si potessero effettuare questi mutamenti c'era bisogno della presenza di altre anime, quindi, di una molteplicità di anime. Queste anime o forme del corpo si integrano e si completano a vicenda fino alla forma totale, quindi possiamo dire, che nell'uomo troviamo un'anima vegetativa, un'anima sensitiva, un'anima intellettiva. La vera forma del corpo non era questa anima generale ma le anime parziali che hanno contribuito alla perfetta maturazione dell'individuo umano. Il concilio di Vienne bandisce questa tesi ritenendola eretica e ritiene che una sola è l'anima dell'uomo, ponendo fine al dibattito della distinzione tra anima e corpo: Unità di anima nell'unità del corpo. L'anima umana presente nell'uomo è insieme sostanza di tipo intellettivo razionale e in questo suo essere intellettivo razionale riesce a guidare tutti i vari momenti della trasformazione del corpo e proprio questa sostanza formata pienamente completa in se, che l'anima può dare al corpo una perfezione temporanea che si sviluppa nel tempo ed è di natura intellettiva: ha una propria mente, una propria razionalità, ha un suo intelletto che comprende e conosce tutte le cose, conosce le necessità del corpo soprattutto quella di non fermarsi ad una determinata età della vita ma di progredire nel suo sviluppo verso la perfezione della sua esistenza. Di questa definizione, ciò che è importante e che si facesse riferimento anche se debolmente al modello Cristologico. Come in 72

Cristo troviamo la natura umana e natura divina, in un'unica persona, cioè quella del figlio, cosi all'interno dell'uomo si aveva semplicemente un'anima intellettiva di natura razionale che non necessitava di altre presenze soprannaturali per completarsi. Come in Cristo le due nature non convivevano e non si scontravano l'una contro l'altra ma invece, collaboravano insieme, cosi all'interno del composto uomo, la materia del corpo e la forma dell'anima concorrevano insieme alla costituzione dell'uomo perfetto. Questa conclusione è molto vicina alle posizioni di Tommaso, anche se verrà sempre guardato con un certo sospetto perché colpevole di utilizzare la teoria aristotelica che a quel tempo veniva colta molto lontana dalla teologia cattolica tradizionale. Per un motivo particolare che questi testi di Aristotele erano venuti in occidente direttamente non dalla Grecia ma dalla Spagna occupata dagli arabi, (in questo periodo ci troviamo tra l' 800 e /1000) la cultura ebraica sente una spinta profonda ad integrare dentro di sé la cultura ellenistica greco romana, per dare un sostegno intellettivo e culturale al movimento solo religioso dell'islamismo. Avendo occupato la citta di Alessandria con la sua ricca biblioteca gli arabi trasportano tutto a Siviglia dove esistono dei laboratori di traduzione che traducevano i testi greci dall'arabo, e dall'arabo li ritraducevano in greco e anche in latino, dando loro una caratterizzazione religiosa di tipo islamico, cioè, presentandoli alla luce la visione di un tipo di Dio unitario e unico. Se accogliamo questa interpretazione islamizzata ci troviamo a trattare con testi nei quali il mistero della Trinità e completamente disatteso, allora è necessario ancora una volta interpretare Aristotele in una maniera differente, non islamizzata ma cristiana Trinitaria. Questo avvenne quando il problema della unità tra anima a e corpo messo ormai a tacere dopo il concilio di Vienne, si incontra con la nascita di un nuovo problema inteso a determinare la trinitarizzazione dell'antropologia teologica già in età medioevale, cioè ad integrare il modello antropologico con quello profondamente teologico ed evangelico della Trinità. Nel concilio di Costantinopoli era terminato il lungo sviluppo che nei primi tre quattro3/ 4 secoli dell'era cristiana avevano visto determinare l'idea che il Dio cristiano era caratterizzato da una unità di natura e Trinità di persona. In questo modello, politeismo e monoteismo, venivano compiutamente perfettamente integrate l'una nell'altra. Le discussioni teologiche in tema della persona si trovano davanti nuovamente il problema della personalità dell'uomo, proprio davanti alla seconda fase della riflessione sul composto uomo una volta concluso o messo in secondo piano il problema tra anima e corpo.

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18. CONCETTO DI PERSONA

Che cosa si determina dopo che anima e corpo si sono profondamente unite e hanno formato un individuo che noi chiamiamo uomo? Non si trovo nessuna risposta migliore che quella di definirlo Persona. Ma cosa volevano intendere? Il primo filosofo-teologo che azzardò in una prima distinzione del termine persona fu Severino Boezio: "razionalis nature individua substantia". La persona è costituita prima di tutto da una natura razionale e da una naturalità dell'intelletto. Questa natura razionale è sostenuta da un ente che è individuale, cioè è persona e quindi ogni natura razionale e distinta dall'altra perché sostenuta da una sostanza diversa, cioè da corpo e anima differenti. Boezio sottolinea innanzitutto la razionalità, la capacita di pensare di conoscere metafisicamente l'uomo e l'altra preoccupazione, era quella di sostenere che la sostanza dell'uomo è individuale, speciale e non si può dividere dal punto di vista empirico. Questo viene leggermente modificato dalla definizione di Aurelio Cassiodoro. Parla di persona come "substantia razionalis individua". Pone l'accento in modo particolare alla sostanzialità dell'anima. L'anima è una sostanza, un essere completamente autonomo capace di conoscere con la ragione, ha un intelletto che è razionale. Ogni sostanza razionale presente nell'uomo è specificamente diversificata l'una dall'altra e individuale, cioè precisamente differente dall'altra. Tommaso ripensa la definizione sia di Boezio che Cassiodoro e la modifica, in senso molto soggettivo. La persona è il "subsistens in razionali natura". La differenza sta nel subsistens che viene a sostituire nella definizione di Boezio substantia e nella definizione di Cassiodoro substantia individua. Substantia è un termine soggettivamente neutro, cioè non parla di un essere vivente ma di una entità metafisica, quindi Tommaso utilizzando subsistens parla di un individuo vero e reale. Quindi è una soggettivizzazione profonda del concetto di persona. Questo soggettivismo vive di pensiero, questo essere perfetto in sé e già sussistente ha la necessita di manifestarsi attraverso la sua natura ragionevole. Quello che manca in questa visione è il riferimento ad una caratteristica importante dell'uomo, che è la capacita di relazionarsi l'uno con l'altro. Questa mancanza di relazionalità venga completata di un'altra definizione di persona, cioè quella di Riccardo di San Vittore. Parla della persona come "incommunicabilis existentia": le capacita personale della esistenza di ciascuna persona e talmente singola, precisa e ben definita che non si può traferire in un'altra persona ma rimane caratterizzata dalle sue peculiari capacità e dalle sue specialità.

Nella teologia trinitaria di Tommaso le tre persone sono identificate come in relazione sussistente (relatio subsistens) una relazione che è pure esistenza in sé, relazione assoluta, completa. 74

Tutta la storia della antropologia teologica finisce con un deficit cristologico. Il Mistero Pasquale non viene assolutamente considerato come una manifestazione della Trinità del Dio predicato da Cristo. Tommaso riesce ad arrivare con le sue puntate metafisiche altissime sulla teologia Trinitaria ma non tiene conto di come il Figlio di Dio è venuto a portare sulla terra l'immagine e del modello della Trinità e quindi della relazione perfetta dell'uomo con i suoi simili. Cosa accada quando dopo il Medioevo si esalta fortemente nell'umanesimo e nel rinascimento la personalità individuale dell'uomo, come perfetta creatura a prescindere dall'imitazione di Cristo? Allora, nell'umanesimo e nel rinascimento si esaltano la figura del soggetto, dell'uomo individuale come soggetto autonomo e libero.

Questo doveva essere specificato meglio nella teologia

medioevale: la libertà dell'uomo, la volontà di scegliere e la relazionalità. Nelle scienze umane nell'età moderna collocano l'uomo all'interno della sua realtà materiale, cioè, viene guardato soltanto all'interno del mondo sensibile, misurabile, del mondo osservabile sia con i sensi del corpo sia con gli strumenti che la tecnica la quale permette di osservare meglio i fenomeni umani. Resta sempre chiaro che la complessità dell'uomo sfugge ad una determinazione specifica, non esiste nessun filosofo o intellettuale dell'epoca moderna che possa in maniera unificata, completare tutti i vari tasselli che servono per determinare una delle espressioni dell'uomo. In modo particolare, l'età moderna, è caratterizzata dalla svolta antropologica: al centro dell'uomo c'è il mondo, che ruota intorno ad esso. Ma rimane anche estranea, alla tradizione ebraica-cristiana che non può dare il suo contributo alla figura dell'uomo centro dell'universo, così, come Cristo dovrebbe essere al centro dell'universo. Cristo viene messo soltanto al centro o a capo della Chiesa: c'è una differenza tra Cristo che opera nella Chiesa e quello che invece è il Mondo. Cristo, Dio e la Trinità vengono contemplati soltanto in maniera teologica o devozionale, non vengono messi a contatto con le teorie del mondo, con le opere dei filosofi, con il cartesianesimo o kantianesimo, quest'ultime considerate soltanto come pensieri profani che non potevano adombrare le rivelazioni contenute nella Bibbia. Quel po' di antropologia che si riesce a fare è quella proveniente dai vangeli e dalle speculazioni trinitarie di Tommaso d'Aquino che si impone come autore definitivo al di là del quale non si tenta nessuna opera di ammodernamento e di aggiornamento. L'uomo per l'intellettualità "l'intelligentia" umanistico rinascimentale è soltanto un essere naturale dotato dalla natura di qualità speciali che lo pongono al di sopra di essa. È proprio a cavallo tra il XVI e il XVII secolo che nasce il termine "antropologia" come studio della natura umana, che però rimane incerto dal punto di vista epistemologico, cioè non si riesce a capire in quale delle brache della scienza si può collocare l'individuo uomo: quest'ultimo si può conoscere dal punto di vista filosofico, morale, metafisico, fisico, culturale, della religione e della razza. Tutto quello che si 75

sarebbe dovuto attingere dalla rivelazione cristiana viene abbondantemente escluso. La contemporaneità che proviene dalla speculazione naturalistica dell'uomo conosce un'interessante novità: l'esistenzialismo di Heidegger e la fenomenologia di Husserl. L'esistenzialismo di Heidegger ci presenta un uomo debole, in cui l’esistenza corre verso la morte. L'uomo non ha davanti all'essere nessuna possibilità di comprensione, ma ne viene lentamente distrutto. La fenomenologia di Husserl ci presenta l'uomo soltanto come fenomeno da intuire, non da conoscere con i mezzi della ragione, ma da intuire con i mezzi della compassione e della empatia. Solo se l'uomo si sarà fatto empatico nell'altro, entrerà nella vita dell'altro, allora si può dare la definizione di uomo. Ma poiché l'altro sarà sempre diverso allora resta sempre difficile dare la definizione di uomo. Quindi possiamo dire, che nell'età contemporanea quello che affascina la cultura è la capacita di utilizzare i nuovi mezzi e le nuove tecnologie per studiare alla meglio la parte esteriore e interiore dell'uomo: senza parlare di più della categoria anima, cioè, di sostanza propriamente voluta da Dio. Le biotecnologie e le neuroscienze dominano sul panorama delle scienze umane. Dovrebbero essere delle sfide in positivo per il pensiero teologico, proprio per cercare di ampliare gli orizzonti sulla natura della persona umana. Una vera svolta antropologica in teologia incomincia a meta del XX secolo. Il pensiero innovatore di Karl Rahner che permette di parlare nella teologia cattolica tradizionale di svolta antropologica, cioè di messa al centro dell'interesse dell'uomo che vive nel suo ambiente vitale. Punto di partenza è appunto l'analisi fenomenologica dell'uomo, l'analisi esistenziale dell'uomo come Heidegger e Husserl avevano proposto. Secondo Rahner bisogna partire da qui, iniziando ad assumere i dati che la filosofia ci offre tentando di leggerli alla luce della Rivelazione, senza nessun confronto preordinato, senza nessuna superiorità pregiudizievole. Anche quello di tentare di dialogare con scienziati atei senza timore. Secondo Rahner: la Teologia è una massa di dati rivelati, raggiunta con lo strumento della ragione attraverso la quale gli scienziati interpretano e studiano il fenomeno uomo. Se la ragione è unica, se i mezzi dell'intellezione sono unici allora la scienza e la teologia possono pensare e ragionare insieme, pur utilizzando dati differenti. Il Vaticano II nella Gaudium et spes riprende questo aspetto dell'essere umano: la sua centralità all'interno delle scienze, poiché ogni attività di conoscenza dell'uomo si deve porre come presupposto anche della scienza di Dio. Rahner sottolinea come alla conoscenza di Dio non si può giungere senza una vera e profonda conoscenza dell'uomo. Dire però che secondo la visione cristiana l'uomo è al centro dell'interesse non vuol dire escludere Gesù Cristo. Porre al centro dell'interesse delle scienze l'essere uomo significa porre al centro la figura di Gesù figlio di Dio

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Incarnato. Conosciuto e studiato attraverso la fede e della ragione. Una volta chiarito che Cristo è il punto focale dell'interesse anche della teologia ne derivano due ipotesi di lavoro: -Gesù Cristo è la chiave interpretativa di ogni affermazione sull'uomo; - Gesù Cristo è la massima e definitiva Rivelazione su Dio e sull'uomo;

queste due affermazioni devono darci coraggio ad affrontare a dialogare con altre scienze. la conseguenza fondamentale di questa presa d'atto che Gesù è l'uomo perfettamente riuscito: Gesù è la seconda persona della Trinità che è entrato nella storia facendosi uomo, la perfezione dell'umanità divina deriva dal fatto che Gesù Cristo è persona in maniera assoluta e si rapporta definitivamente agli altri, è un essere che cerca un rapporto con gli altri sullo stesso piano. l'uomo diventa persona nella misura in cui segue il modello personificato di Cristo.

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Lezione 8 Maggio 2018 19. LA MODERNITÀ E LA CONTEMPORANEITÀ XIX E XX SECOLO Cerchiamo di dare le ultime battute allo sviluppo storico-teologico dell’antropologia teologica prima di passare alla parte un po’ più sistematica. Ci soffermeremo in questa parte storica alla modernità e alla contemporaneità, cioè a quel periodo che riguarda la fine del medioevo, l’inizio della cultura illuminista e poi i nostri giorni, il XIX e il XX secolo. Con l’Umanesimo e il Rinascimento accade qualcosa di insperato e incompreso fino ad allora: sia la cultura generale, sociale, sia la cultura a livello più specialistico, accademico, sia col pullulare di varie scuole private, le scuole fondate da singoli maestri o singoli esponenti della cultura occidentale, che riguardavano soprattutto le materie letterarie, abbiamo la riscoperta dei classici letterari presso la latinità e la grecità che erano stati per il momento messi ai margini per dare spazio alla teologia. Quindi inizia ad essere presente una concentrazione sul sapere filosofico letterario mentre invece il sapere teologico viene un po’ messo da parte.

Questo cosa significa? Che se la globalità della cultura sino ad inizio medioevo era stata costituita in modo tale che l’interesse fondamentale fosse Dio (teocentrismo culturale), adesso è la figura di Dio ad essere continuamente criticata con i sistemi della più raffinata filologia, della più raffinata storia delle fonti: al centro della cultura Dio viene espulso e sostituito invece dall’uomo. Il grande interesse della cultura umanistica che toglie immediatamente Dio dal centro del mondo culturale, è appunto l’uomo, umanesimo significa questo, non più mettere al centro dell’interesse Dio, ma mettere al centro della cultura l’uomo. E così il Rinascimento fa rinascere l’interesse per tutto quello che l’uomo ha realizzato in tutta la sua storia. Viene esaltato allora non tanto il discorso teologico, la filosofia non è più ancella della teologia ma il contrario, quindi abbiamo questo spostamento di centro: dal centro teologico al centro antropologico. Dire che il soggetto principale, il centro di tutta la cultura è l’uomo, vuol dire mettere al centro dell’interesse la volontà e la ragione completamente libere da Dio. Dio è considerato come l’essere che ha creato l’uomo, ma questo è appunto differente da tutte le specie animali: gli animali non posseggono un’anima razionale, l’uomo in quanto possiede un’anima razionale e una volontà lasciata libera da Dio, diventa allora il centro, l’interesse di tutte le componenti della cultura del tempo, l’Umanesimo e il Rinascimento. Resta chiara in questo periodo un’idea fondamentale: l’uomo non è semplice, non è una creatura su cui si può facilmente indagare. L’uomo è un mistero insondabile, si può dire soltanto che è una creatura libera di volere ciò che ritiene opportuno e vive in contesti molteplici: nel contesto del 78

lavoro manuale, intellettuale, della vita religiosa, civile, economica che si sviluppa molto in questo periodo, del diritto, dello ius privato civile e penale. È un soggetto poliedrico, dalle molte facce, dai molti aspetti che vanno considerati tutti insieme per poter riuscire a comprendere la complessità di questo soggetto. Qui è appunto il vero elemento critico dello studio dell’uomo: non si riesce a compiere un’opera di sintesi che esprime in termini brevi chiari e convincenti l’uomo. Ogni illuminista ha la propria idea di uomo, ogni filosofia ha la propria idea di uomo, ogni esponente della cultura manifesta con le sue ricerche un aspetto particolare dell’uomo. Un elemento assolutamente nuovo è quello della medicina. Per la prima volta la Santa Sede dà l’assenso alla dissezione dei cadaveri, all’anatomia. Il cadavere può essere per motivi scientifici tagliato, aperto, studiato dall’interno. Abbiamo il primo inizio di quello che precedentemente era solo un’arte, l’arte medica, una capacità empirica, adesso il cadavere diventa l’oggetto di uno studio profondissimo per capire all’interno del corpo cosa c’è e come funziona. Di qui abbiamo risultati enormi e diffusissimi che permettono alla cultura di vedere nell’uomo interiormente delle cose inconoscibili e impreviste. L’uomo al centro dell’universo è un uomo autonomo, non conosce collocazioni soprannaturali. Questo è centrale per l’età moderna. L’uomo è considerato soltanto dal punto di vista naturale, razionale, non si presuppongono alle conoscenze dell’uomo quelle rivelate dalla Bibbia. La rivelazione non viene tenuta in conto perché non proviene dalla ragione umana. Gli scienziati possono rifarsi solo ai dati di fatto, a quelli che attraverso la ragione si può

comprendere

dell’uomo. Dunque non si parte più dalla Genesi per capire come l’uomo si sia formato, ma nasce una vera scienza che dimostra attraverso l’esperimento sul corpo , sul cadavere. Tutte le conoscenze che vengono dall’esterno vengono messe da parte. In questo periodo insieme alla conoscenza dell’uomo si inizia a guardare scientificamente alle razze animali e alle specie floreali per comprendere il loro significato. Non si cercano le erbe solo per preparare delle medicine ma si studia ogni specie di fauna di flora per capirne le leggi intrinseche e per capire come possano essere utilizzate scientificamente secondo protocolli razionali non derivati dalla superstizioni o dalla tradizione popolare, per capire il loro funzionamento e per capire se in relazione al corpo umano possono essere utili allo sviluppo dell’umanità. Se l’uomo viene inserito in questo grande rinnovamento che passa dalle affermazioni rivelate alle affermazioni razionali che si poggiano le une sulle altre, allora l’antropologia non è più teologica cioè secondo quella della Bibbia, ma indica semplicemente le conoscenze scientifiche sull’uomo. Non subito, non immediatamente, l’antropologia, il cui nome inizia ad apparire, si costituisce come 79

una vera e propria scienza, si hanno studi particolari su alcuni aspetti dell’uomo anche se non c’è un ordine sistematico a tutte queste conoscenze innovative che si presentano. Con antropologia si intende ciò che si sa dell’uomo scientificamente, sulla base di cause e effetti. Causa ed effetto, questo binomio sempre presente nell’opere di Aristotele, viene assunto nelle opere di questi scienziati nel senso di causa ed effetto naturale, dove non c’è spazio per la Rivelazione divina. Tutte le cause prima dovevano essere riferite alla causa ultima (Dio), adesso ogni effetto ha una sua causa ed ogni causa ha una causa più alta senza temere un progresso all’infinito. Per Tommaso l’intelligenza doveva fermarsi davanti alla conoscenza della causa suprema, gli scienziati vanno oltre, non temono di continuare a cercare al di là della causa ultima ciò che può determinare effetti ulteriori. Si ha una liberalizzazione della ragione umana che non trova più muraglie sul proprio cammino, trova invece il coraggio di uomini di cultura che tentano di cercare la verità. Se vogliamo, anche questo era un principio voluto da Gesù stesso (lo Spirito vi guiderà alla verità tutta intera). Quindi la ragione deve andare avanti, non può essere bloccata da nessuno, la conoscenza non può essere finalizzata ad un punto in cui essa si può chiudere, per gli scienziati finché l’uomo può conoscere, il fine della conoscenza può essere sempre oltrepassato. Soltanto un autore, un filosofo del XIX secolo, metterà in scacco questa effervescenza culturale che hanno sperimentato i primi scienziati, ovvero Hegel insieme agli idealisti tedeschi Fichte e Schelling. Attraverso l’idealismo tedesco ritorna quel modo di ragionare tipico del tardo medioevo, ovvero la metafisica dello spirito: la presenza non dell’uomo al centro di tutte le cose, ma dello spirito ovvero la ragione universale che trascina con se tutti i soggetti particolari, compreso l’uomo. Al centro del sistema hegeliano non c’è l’uomo, né Dio, ma lo spirito, un’entità superiore che non si sa da dove ha origine, ma si manifesta come sviluppo continuo, non determinato dalla conoscenza empirica delle cose, ma solo dalla storia dello spirito, cioè dall’osservazione di quanto è avvenuto nella cultura dei singoli paesi e singoli uomini per accontentarsi di questa conoscenza puramente storica, non empirica. Per Hegel non ha senso studiare il cadavere di un uomo se questo studio non si inquadra in un progetto più ampio e sviluppato, ovvero la vita dello spirito, per cui tutto ciò che è materia ed esperienze non è considerato importante in se e per se, ma è solo un accidente dello spirito che interviene nella storia umana per auto costituirsi. Lo spirito per manifestarsi a se stesso e per costituirsi ha bisogno di una materialità (uomini, flore, faune). Le cose sensibili sono solo un alimento della storia dello spirito, lo spirito si nutre di ciò che non è spirito. 80

Con l’hegelismo si ha una sorta di stasi della conoscenza antropologica. Ritorna di nuovo un momento di dubbio e incertezza, ma presto si inizierà a tornare, lentamente (siamo alle porte dell’illuminismo), ad una esclusione per la seconda volta di questo pensare spiritualista, di questo pensare soprannaturale per tornare allo studio di ciò che è materia, sensibilità. Una volta che dopo Hegel, dopo il blocco culturale determinato dall’idealismo, si ritorna a pensare da parte della filosofia a ciò che è l’uomo, eliminando il residuo idealista e quello della Rivelazione, abbiamo un nuovo fenomeno che non ci si aspettava dopo la grande euforia umanistica e rinascimentale. Hegel prende l’uomo solo come espressione del non-io, un semplice strumento di un’essenza superiore, ora invece l’uomo è al centro della natura, della cultura, in una posizione assolutamente disastrosa e sofferente, dolorosa. La vita è preparazione alla morte (Heiddeger). L’uomo viene visto come debole, esistenzialisticamente senza fondamento, è un fenomeno da analizzare con il pensiero, non con gli strumenti della tecnica. L’uomo è un’intuizione immediata dei sensi, attraverso i quali l’uomo conosce le cose. Quest’uomo debole ed esistenzialmente incomprensibile che vive la sua vita semplicemente come una preparazione della fine della stessa, comincia ad entrare nella definizione di scienza antropologica. Le profonde intuizioni di Heiddeger e Hussel mettono al centro dell’interesse l’uomo ma definendolo in maniera negativa e debole, incomprensibile. Nonostante l’idealismo hegeliano e l’esistenzialismo negativo di Heiddeger e Hussel, abbiamo nel campo delle scienze e delle tecnologie un avanzamento sempre più veloce e profondo. La filosofia rimane quindi assolutamente sola nella conoscenza dell’uomo. Il pessimismo antropologico non impedisce alle altre scienze di fare le proprie ricerche tecnicamente avanzate, attraverso strumenti meccanici (nascono i cannocchiali, gli interessi astronomici). Tutto questo è continuato senza che la filosofia se ne potesse liberare del tutto, ci troviamo davanti a un’ambiguità: la filosofia considera l’uomo nulla, la scienza ci presenta ipotesi che esaltano il mondo che è intorno all’uomo e l’uomo stesso che lo conosce e lo studia, che ne ricerca le leggi. L’uomo allora, lasciata da parte la filosofia, rimane un oggetto delle scienze naturali anche per quello che riguarda le sue attitudini intellettuali: fino ad ora la cultura medievale idealistica e rinascimentale avevano affermato che l’uomo possedeva delle qualità razionali e intellettuali che dovevano presupporre una parte spirituale, intellettuale, che non fosse solo materia, ma anche pensiero, idee, fantasie…queste erano le attività più elevate della natura dell’uomo. Quando i primi anatomisti aprono i cadaveri e dissezionano i corpi, non si riescono a trovare le tracce di un’attività intellettuale all’interno della corporeità. Ad un certo punto (inizi XX secolo) si comprende come le attività più elevate del composto umano vengono attribuite al cervello. Tutto quello che nell’uomo era collegato a ciò che era intellettuale 81

poteva essere riferito non più ad un’anima ma all’organo cerebrale e anche al sistema nervoso centrale guidato e dominato dal cervello. A cominciare da questi primi studi si può fare subito un salto alla società odierna. I primi studi trovano continuamente conferme: tutti sappiamo che ogni volta che l’uomo compie un’azione non meccanica, non empirica, non semplicemente sensibile ma intellettuale e razionale, alcune aree del cervello stanno agendo in maniera particolare registrabile con strumenti a disposizione. C’è una piccola parte del cervello in cui si concentrano e si sviluppano tutte le attività emotive dell’uomo (odio, amore, studio, pensiero). Odiare e amare non appartiene più al cuore o all’anima ma al cervello nella sua parte più interiore. Tutto questo abbondare di conoscenze che riflessi ha all’interno della teologia? Perché ne stiamo parlando? Perché la teologia ha preferito mantenere la lezione tradizionale secondo cui anima e corpo erano componenti dell’uomo, l’anima è la parte intellettiva, il corpo è la parte materiale. L’uomo è sinolo di anima e corpo e questi due elementi rappresentavano tutto ciò che si poteva dire sull’uomo. Questo deve essere modificato altrimenti non potremo più dialogare con la cultura intorno a noi.

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Lezione 18 Maggio 2018 20. L ‘UOMO PECCATORE Il peccato nasce dell‘esperienza che fa l’uomo, secondo la storia della salvezza della Bibbia. Dal termine greco “ Amartia” cioè fallire il colpo, sbagliare la mira o senso di colpa, vergogna nei confronti degli altri nei quali l’individuo stava facendo un’esercitazione militare, il fallire il colpo del soldato che mira il nemico per ucciderlo. Nel nostro caso si tratta di uno sbaglio fatto ad una persona, da amico -nemico, passando da amico -individuo. Nell’ AT ci troviamo dinanzi ad un punto di svolta: Israele ha fatto esperienza pasquale di Dio che lo libero dalla schiavitù d’Egitto. L’esperienza fondamentale religiosa d’Israele è che il popolo schiavo in Egitto è stato liberato da un Dio che ha stretto un’alleanza di amicizia con il suo popolo aiutandolo a sottrarsi al nemico egiziano liberandolo. Tale azione di liberazione, viene considerata un’azione di alleanza dal Dio dei Padri rimasto fedele al suo popolo, ma verificando il popolo. Naturalmente si deve pensare che questo quadro può essere ricostruito non per forza al tempo dell’Esodo ma anche databili nel VI secolo a.C. (586-531 a. C.), con l’esperienza della liberazione dall’esilio babilonese Dio ha cercato di riedificare la fede d’Israele dandogli uno slancio affinché il popolo d’Israele potesse ritornare e adorare Dio dopo l’esilio. Quindi Dio tramite la sofferenza ha messo alla prova il suo popolo, per potersi fidare del suo popolo che ha tradito Dio. Il peccato allora diventa un modo per segnalare questa mancanza di fedeltà nei confronti di Dio suo liberatore. L’ amore di Dio si manifestava in una formula semplicissima. Tu che sei stato amato da Dio, devi amare allo stesso modo Dio, questa è la conseguenza immediata di concetto di alleanza che viene stratta di nuovo tra Dio e Israele. La mancanza di fiducia e di fedeltà in Dio ora si chiama peccato, l’uomo fallisce il colpo nel cuore di Dio , non riuscendo a donare la sua vita a Dio, aprendo il culto ad altre divinità. Tutti i Profeti sottolineano lo stupore come peccato d’Israele, mai un peccato individuale, ma sociale non c’è un’israelita che si mantenga fedele. Questa mancanza d’amore alleatico di Israele nei confronti di Dio porta immediatamente come conseguenze a peccati nei confronti di Dio(peccato religioso) ma anche a peccati tra gli uomini( peccati sociali)esempio: latrocinio, menzogna, calunnia, omicidio, adulterio, l’ingiustizia di un giudice nei confronti di un povero. Amos soprattutto parla di peccato come ingiustizia sociale, che si maschera di un’apparente fedeltà religiosa. 83

Ci sono delle divinità particolari che stuzzicano Israele ad allontanarsi da Dio e sono le divinità fenice, i culti al Dio Baal , con sacrifici cruenti di uccisioni di persone, Israele si lascia trascinare dall’emotività cultuale di questi riti, anche Osea condanna e rimprovera il peccato di idolatria e politeisti, chiamandoli peccati sociali e religiosi con i quali rompono la fedeltà e peccano di apostasia. Israele si fida di opere d’arte, statue dice Geremia e non del Dio vivente d’Israele. Il libro della sapienza ci parla del nemico di Dio, il diavolo che penetra nel popolo come morte fisica e spirituale. Il Siracide invece parla del peccato come peccato della prima coppia Genesi 3 , Eva ed ogni donna è considerata portatrice di peccato che ha introdotto la morte, nasciamo da una donna e per causa sua subiamo la morte. La prima coppia voleva sostituirsi a Dio, “ut Dii” affinché fossero “come degli dei” , e Dio geloso cerca di tenere a bada questi semi-dei con la morte. L’uomo deve tutto a Dio perché lo soccorre sempre nel dramma del peccato , implicato in prima persona. L’atteggiamento di Dio dopo il peccato originale cambia non è più quello della Genesi 1,2, un amore fedele alle sue creature, che permette di essere guardato anche in faccia, ma ora appare come un Dio in collera e geloso, che nasconde il suo volto. Questo perché vuole che l’uomo scopra il senso della colpa, Dio gli ha chiesto una piccola prova di obbedienza, ma l’uomo ha trasgredito implicando una mancanza di responsabilità ad un impegno preciso. Allora Dio vuole fare scoprire la vergogna a l’uomo, nasce così una coscienza sporca bisogna lavare le vergogne commesse dinanzi a Dio. Il peccato ha una duplice azione: nell’uomo lo esclude da Dio, diviene un allontanato da Dio, invece in Dio, perché Dio sperimenta la gelosia. Salvare per Gesù significa ricollegare quel filo spezzato da Adamo e Eva a Dio, Dio si rifà amico dell’uomo nel Figlio sperimentando la natura umana, avvertendo la tensione al peccato, Gesù ne ha compreso l’umiliante situazione del peccato. Guardare Lc 19, Zaccheo, che va incontro a Gesù sentendosi sporco nella coscienza e cercando un rapporto d’amicizia con Dio, Zaccheo intuisce grazie a Dio del suo peccato e va verso Dio. Se Cristo ha sofferto per l’uomo poiché bisognava annientare un peccato originale, allora c’é un secondo uomo che ha sbagliato il tiro, ciò lo deduce Paolo, quest’uomo è Adamo. Paolo parte da Cristo per arrivare ad Adamo, il suo testo Rm5, 12- 21 qui esprime la teologia della salvezza , la storia della salvezza è incentrato sul superamento della salvezza di una a-soteria che Gesù ha annientato. Per Paolo deve esistere una energia salvifica che ha permesso al peccato di Adamo di ripercuotersi sulle altre generazioni umane. Paolo si serve di espressione “ef’ hoi pantes hemarton” e in latino “in 84

quo omnes peccaverunt”. Tale parole possono essere tradotte in due modi: 1) in greco “ef’ hoi” si può considerare una congiunzione semplice accompagnata dal pronome relativo, allora si traduce con “in questo” in latino “in quo” che sull’interpretazione di Agostino significa tutti gli uomini hanno peccato in Adamo, la teoria del peccato originale. 2) invece può essere letta come un'unica proposizione causativa “efhò” cioè “perché” tutti hanno peccato, cioè sono i peccati attuali degli uomini, al peccato sociale. Chi ci salva da tale condizione di peccatori? Gesù con la sua morte e resurrezione.

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Lezione del 22 Maggio 2018

21. IL PECCATO ORIGINALE Rm 5,12 il testo completo ci presenta un periodo interrotto, Paolo vuole esprimere una certa tesi ma lascia interrotto il discorso. In questa pericope manca la preposizione principale, infatti esiste solo la preposizione subordinata comparativa. >. Analizziamo questa affermazione di Paolo che in greco si traduce “ef’ hoi pantes hemarton” e in latino “in quo omnes peccaverunt”. Le parole greche “ef’ hoi”

si può considerare una

congiunzione semplice accompagnata dal pronome relativo, diviene un'unica proposizione causativa “efhò” cioè “perché” tutti hanno peccato, gli uomini hanno commesso peccati attuali. Invece in latino “in quo” non può considerarsi una preposizione causativa, ma sull’interpretazione di Agostino si traduce “nel quale”, cioè tutti gli uomini hanno peccato in Adamo. Si tratta di una solidarietà corporativa, ossia tutta l’umanità era già tutta nella generazione di Adamo, ora il peccato di Adamo si trasmette agli uomini attraverso la generazione naturale degli uomini. Se invece la traducessimo con la preposizione causativa così come è in greco “efhò”, significa che tutti gli uomini hanno peccato, cioè non solo che il peccato originale di Adamo si è propagato in generazione in generazione , ma anche perché tale peccato ha reso noi uomini in una condizione di peccato, cioè ontologicamente siamo peccatori, poiché esiste un peccato strutturale di fondo, appunto il peccato originale. Ora soffermiamoci su quali siano state le conseguenze subite da Adamo ed Eva, e che tutta l’umanità riceve, dopo aver commesso il peccato originale. L’esclusione dal paradiso terrestre significa la mancanza e la perdita di certi doni e qualità che possedevano i nostri progenitori. Questi doni erano di tre tipi: doni naturali, doni preter-naturali, cioè al di là, erano dati in più rispetto ai doni naturali semplicemente per una libera gratuità e generosità di Dio, e doni sovra-naturali, cioè quelli che andavano ad arricchire i doni naturali. I doni naturali sono la ragione e il libero arbitrio, i quali rimangono intatti anche se invigoriti dopo il peccato originale. Adamo ed Eva dopo la cacciata dall’Eden continuano ad essere creature razionali e volitivi anche se la volontà si è indebolita poiché incline più a compiere il male. I doni preter-naturali sono: 1) l’immortalità, ciò non escludeva l’esperienza della morte, ma essa consisteva solo in un trapasso dalla terra dell’Eden al regno di Dio, nell’eternità di Dio, senza nessuna sofferenza o dramma. 2) integralità morale, ossia il pieno dominio della concupiscenza da parte dell’uomo, di quelle tentazioni che spingono a compiere il male. 3) la scienza infusa, cioè i nostri progenitori conoscevano direttamente tutte le 86

cose per puro dono divino, non necessitavano di dovere conoscere mediante l’esercizio dell’intelligenza e della memoria. 4) l’assenza del dolore, Eva avrebbe partorito senza provare i dolori del parto e ciò garantiva ad Adamo ed Eva sempre una sanità fisica e psichica. Questi doni preter-naturali vengono esclusi dall’uomo dopo il peccato originale e non saranno restituiti all’uomo anche dopo aver eliminato il peccato originale con il battesimo. Infine ci sono i doni sorvanaturali erano quattro: 1) l’amicizia con Dio, cioè la possibilità di parlare con Lui, 2) la grazia, cioè l’amore di Dio, 3) la divinizzazione, cioè la possibilità di diventare figli di Dio come Gesù, 4) la visione beatifica, cioè la possibilità di guardare Dio faccia a faccia, come facevano Adamo ed Eva prima del peccato nell’Eden. Questi 4 doni l’uomo li perde con il peccato originale, poiché Dio li esclude dalla struttura antropologica dell’uomo, ma saranno restituiti con il battesimo. Questa dottrina del peccato originale diventerà dottrina definitiva e ufficiale con il concilio di Trento. Il limite del concilio di Trento è quello di non dire che tale condizione peccatrice dell’uomo a causa del peccato originale è possibile liberarsi con il battesimo. Nel magistero della chiesa esiste un testo che ha racchiuso in maniera sintetica la dottrina del peccato originale è il documento di papa Paolo VI, la sua omelia del 30 giugno 1968 dopo la fine del concilio vaticano II. Questa omelia racchiude la nuova professione di fede, il credo di Paolo VI, e riguardo al peccato originale affermava: > . Quindi ogni uomo nasce nel peccato originale ed è soggetto alla morte, tale peccato viene trasmesso negli uomini per propagazione, cioè mediante l’atto sessuale. Ora esiste la possibilità di liberarsi da questo peccato originale? Il Papa continua il discorso affermando: > questa affermazione conferma e tiene come vere entrambe le interpretazioni su Rm 5,20 quella in greco con “efhò”( perché) e quella in latino con “in quo”(nel quale). Quindi con il Battesimo noi veniamo liberati non solo dal peccato “in quo” quello di Adamo, ma anche dai tutti i nostri peccati commessi “efho”. Risulta importante sapere che Gesù Cristo con il suo sacrificio ci ha liberati dal peso di tutti i nostri peccati. La novità 87

riguarda la soluzione sacramentale, infatti Paolo VI afferma: >. Si afferma che il battesimo deve essere amministrato anche ai bambini per liberarli dal peccato originale poiché non sono macchiati di peccati personali e affinchè con battesimo ricevano anche il dono sovrannaturale, cioè essere partecipi della natura divina. Dunque il magistero ci dice che esiste la condizione concreta e reale per essere risanati e liberati dal peccato originale.

22. LA GIUSTIFICAZIONE Come

concretamente è possibile liberarsi da questa condizione di peccatori a

prescindere dal battesimo? Facciamo un viaggio biblico per capire cosa si intende con il termine “giustificazione”. Rimanda al termine giuridico di giustizia, in cui il giudice è colui che esercita la giustizia, dichiara giusto colui che ha ragione e dichiara colpevole, ingiusto colui che ha torto ed è chiamato a pagare con una pena la sua colpa. Nella Bibbia, nell’ Antico Testamento non sempre il termine giustificazione viene inteso nell’accezione di carattere giuridico, ma piuttosto significa trasformare un individuo che ha sbagliato, che è colpevole poiché si trova in una condizione di allontanamento da Dio in quanto ha disobbedito alla sua Legge, viene trasformato dall’azione di Dio stesso in una persona risanata, giusta, santa meritevole dell’amore di Dio e del favore degli uomini. Invece nel Nuovo Testamento si riprende lo stesso significato di trasformare una persona da peccatore a giusto, da ingiusto a persona giustificata, liberata da ogni colpa, avviene solo ed esclusivamente grazie alla persona di Gesù Cristo. Testimonianza di ciò è il corpus paolino che concentra la giustificazione sulla persona di Gesù Cristo. Paolo sottolinea che l’opera di Gesù Cristo è l’offerta di Dio gratuita grazie alla quale ogni uomo può essere liberato dai suoi peccati indipendentemente da ogni sua opera buona che può compiere . 22.1. Testi biblici Antico Testamento Giustizia di Dio= salvezza dalla sua condizione di colpevolezza di colui che ha trasgredito la Legge del Signore. Tale atto di giustificazione da parte di Dio ha origine dal fatto che il Signore non dimentica mai di aver promesso al popolo d’Israele di essere sempre fedele alla sua alleanza di amore. Quindi per fedeltà Jahvè è sempre pronto a trasformare gli uomini disobbedienti, che hanno 88

offeso l’amore di Dio prostituendosi ad altre divinità, in uomini giusti. Dt 32 il cantico di Mosè, Dio salva il popolo di Israele, qui Dio non esclude anche il castigo dei peccati. Possiamo concludere che Jahvè è misericordioso, verso la sua sposa infedele che è il popolo d’Israele, ma nello stesso tempo esige anche che la sua sposa, il popolo di Israele ritorni a fare la volontà di Dio, alla sua fedeltà. Per cui il popolo d’Israele vede i castighi di Dio, come esempio la persecuzione o la guerra da parte di popoli stranieri come mezzi della giustizia di Dio, come rimprovero che richiami il popolo d’Israele peccatore a ritornare alla sua condizione di innocenza originaria, quindi ritornare alla fedeltà dell’alleanza d’amore con Dio. Pertanto queste maniere forti e vendicative di Dio sono espressioni della sua volontà di amore che richiama il suo popolo a ritornare alla fedeltà dell’alleanza promessa. L’esempio tipico di uomo fedele a Dio nell’AT, cioè colui che non si è mai allontanato dall’amicizia di Dio, non ha mai trasgredito la sua alleanza è Abramo. Abramo è colui che ci dimostra come Dio giustifica tutti coloro che si affidano al suo progetto di salvezza. È importante notare come Abramo non si mantiene fedele all’alleanza d’amore con Dio soltanto a vantaggio di se stesso, soltanto per garantire immunità dalla vendetta di Dio lui e la sua famiglia; ma la fedeltà di Abramo a Dio si estende a vantaggio di tutti i popoli della terra. Pertanto attraverso ad Abramo noi veniamo a conoscenza di un unico progetto universalistico di salvezza da parte di Dio. la salvezza di Dio non riguarderà solo il popolo d’Israele ma si estende a tutti i popoli della terra. Dio offre la sua misericordia a tutti i popoli gratuitamente senza un torna conto. 22.2. Nuovo Testamento L’autore centrale è Paolo, che cosa intende Paolo per giustizia di Dio? colloca la giustizia sulla prospettiva dell’agire generale di Jahvè. Che cosa opera il nostro Dio? cosa ha fatto questo Jahvè che ora si chiama Gesù Cristo, perché chiamato il Kyrios? L’agire generale di Dio è caratterizzato dall’amore, dalla bontà, dalla salvezza, da tutti quei termini positivi che possono indicare un rapporto di fiduciosa e fiduciale amicizia con Dio. Qui il rapporto tra Dio e l’uomo non è più tra due contraenti dove l’uomo essendo inferiore deve necessariamente soccombere, ma qui Dio è veramente un amico che liberamente e gratuitamente senza un torna conto personale offre le sue positive prestazioni al suo amico più debole, si interessa anche del benessere altrui. L’atteggiamento richiesto all’uomo è quello della fedeltà nei confronti di Dio, cioè abbandonarsi fiduciosamente nelle mani del progetto dell’amico, il quale agisce verso l’uomo solo per garantire il bene dell’altro senza nessun tornaconto( parabola del buon sammaritano). Bisogna precisare che con san Paolo, all’uomo viene richiesto di essere fedele non alla Legge di Dio, a delle asserzioni teologiche, ma fedeltà nei confronti di Dio. In quanto la giustificazione dell’uomo non scaturisce dall’osservanza della Legge, ma dal quel legame esistenziale che l’uomo istaura con Gesù di 89

Nazareth, il Kyrios. Paolo quando parla della giustificazione per fede intende l’azione trasformante di Dio nel profondo dell’essere dell’uomo, cioè tutte le volte che io trasgredisco il Signore, grazie a Dio vengo trasformato definitivamente e completamente in una creatura nuova. Per Paolo questa nuova condizione, non intende come una trasformazione definitiva eterna, ma di una trasformazione reale temporale, cioè dura tutto il tempo in cui io sono capace di restare fedele a questo amore che Dio mi ha offerto. Quando non sono più capace di restare fedele a questo amore offerto, posso rivolgermi nuovamente a Dio chiedendo nuovamente il perdono e

nuovamente l’azione

trasformante e Lui nuovamente mi trasformerà e mi perdonerà( con sacramento confessione). La giustificazione dell’uomo è opera ed evento di un Dio trinitario. In quanto il Padre è colui che progetta l’azione trasformante e salvifica dell’uomo, il Figlio è colui che compie l’opera di salvezza del Padre con il mistero pasquale redentivo sulla croce, lo Spirito Santo è colui che la riattualizza nel tempo rendendola efficace, sempre viva. Lo Spirito Santo è colui che nel tempo compie e realizza questa azione trasformante dell’uomo peccatore in uomo giustificato, cioè giusto. 22.3. Problematica riguardo sulle opere buone compiute dall’uomo Si aprì un dibattito tra i cattolici e i luterani, poiché i primi dichiarano la necessità delle opere buone, i secondi affermano la non necessità. Nacquero delle domande: È possibile che le opere buone compiute dall’uomo non servono per la sua salvezza finale? l’uomo può peccare fortemente per essere più fortemente perdonato da Dio? poiché Lutero affermava “pecca fortiter, crede fortius” se tu pecci fortemente crederai con maggior forza. *Nota personale ( caro Lutero mio, non hai letto Rm 6,12-18? Paolo afferma: dopo che si è giustificati per grazia da Dio non possiamo essere schiavi del peccato ma offrire i nostri corpi a Dio per essere schiavi di giustizia) La lettera di Giacomo afferma definitivamente che le opere buone sono necessarie per ottenere la salvezza finale. In quanto le opere buone manifestano la fede (Gc 2,18). Lutero rifiuta di inserire questa lettera nel canone biblico poiché la considera come apocrifa, allora il suo pensiero sulla giustificazione è fondato solo sul corpus paolino e quindi afferma che la grazia di Dio è totalmente illimitata e totalmente libera dalle buone opere dell’uomo. La conclusione a questa problematica è possibile trovarla nella Dichiarazione Congiunta tra la chiesa cattolica e la chiesa luterana mondiale del 1999. In questo documento si afferma una sostanziale coincidenza tra il pensiero cattolico e quello luterano. Tale coincidenza si può stabilire in questi termini: 1) Dio giustifica l’uomo gratuitamente senza le opere buone preventive dell’uomo, infatti nel battesimo Dio giustifica l’uomo senza le sue opere buone.

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2) la definizione di opere buone dell’uomo sono quelle che l’uomo compie nel fare il bene, solo dopo aver ricevuto la giustificazione di Dio. Con tali opere l’uomo manifesta a Dio la volontà di vivere nel suo amore e di fare la Sua volontà. Queste opere buone dopo il battesimo, quando si è credenti adulti possono mettere in atto azioni meritorie davanti a Dio in vista della salvezza finale. 3) Questo significa che il credente accoglie e vive non in modo passivo la giustificazione da parte di Dio, ma in modo attivo. Il discorso di Paolo sulla libera, gratuita e autonoma azione giustificatrice di Dio sull’uomo potrebbe indurre, letta erroneamente ad una passività spirituale da parte dell’uomo, come è già successo con la confraternita religiosa dei Liberi in Spirito( gli Entusiasti) ai tempi di Lutero, i quali affermavano che se anche la loro vita fosse la più immorale alla fine Dio li avrebbe totalmente giustificati quando sarebbero giunti al Suo cospetto. Poiché la misericordia gratuita di Dio è più grande in modo sproporzionato di tutte le opere dell’uomo, anche dei loro peccati. Bisogna fare una correzione teologica, non esiste la gratuità totale della giustificazione da parte di Dio, dichiarando un paradiso a buon mercato accessibile a tutti; ma che l’uomo, singolarmente, è chiamato una volta giustificato a manifestare concretamente nella sua vita i frutti di questo favore che Dio ci ha concesso perdonandoci i peccati. Tutto ciò avviene nel sacramento della confessione, dove il confessore dà al penitente ormai perdonato, la penitenza, la quale spinge il penitente con uno stile di preghiera e di opere buone a comportarsi in maniera adeguata alla condizione di giustificato che Dio ha appena realizzato in lui. 4) tra il corpus paolino e la lettera di Giacomo almeno teologicamente non esiste contraddizione dottrinale, è stata solo un interpretazione errata di Lutero, il quale parla di salvezza per sola fide, rifiutando apriori ogni opera buona.

22.4. Autori vari che hanno affrontato il tema della giustificazione Agostino d’Ippona, dovette affrontare il tema della giustificazione per difendersi dall’eresia di Pelagio, monaco britannico, il quale affermava che l’uomo può liberarsi dai suoi peccati, redimersi con le sue sole forze senza alcun intervento da parte di Dio. Qui si tratta di una forma di auto-redenzione, di auto-giustificazione infatti l’uomo essendo stato fatto ad immagine e somiglianza di Dio ha nella sua coscienza questa scintilla divina, luce superiore,(neo-platonismo) che anche quando pecca l’ho orienta nuovamente nel compiere il bene e quindi ad intraprendere questo cammino di ascesi di virtù.( si ritorna alla vita virtuosa degli stoici, dei platonici) Risposta di Agostino= tutti gli uomini indipendentemente a quale stato civile appartengono sono una massa di dannati a partire dalla nascita. Anche il bambino appena partorito senza aver commesso peccato mortale o veniale è già in una condizione di peccato di dannazione e deve essere liberato dall’azione gratuita e libera di Dio che si realizza nella passione, morte e resurrezione di 91

Gesù Cristo, quindi è necessaria l’immersione nel battesimo del bambino. Con battesimo ci si immerge nella morte e resurrezione di Cristo come afferma Paolo nella lettera ai Romani. Non esiste persona al mondo che possa liberarsi da questa sua condizione di peccatore con le sue sole forze. Tutti gli uomini dal momento che nascono sono ontologicamente bisognosi della grazia giustificatrice di Dio che avviene attraverso Gesù. [da qui nasce la teoria del Limbo elaborata erroneamente nel medioevo: che i bambini che muoiono senza ricevere il battesimo sono destinati all’Inferno, in un luogo dove esiste il minor grado possibile di sofferenza( il Limbo). Tale teoria è stata corretta da papa Benedetto XVI, il quale afferma che bisogna crede che vi sia una via di salvezza per i bambini morti senza battesimo] Una volta battezzato l’uomo rientra nella categoria di divinizzato, trasformato in figlio di Dio, riceve quella parte di doni che aveva prima della cacciata dall’Eden cioè i doni sovra-naturali. Se Paolo nelle sue lettere non parla di una giustificazione da parte di Dio definitiva ed eterna, ma di una giustificazione reale e temporanea, di conseguenza bisogna definire che il battesimo non è una giustificazione puntuale che avviene una sola volta nella vita e per sempre. Ma tutto il potenziale salvifico che il cristiano riceve dal battesimo, lo deve esplicitare, migliorare, completare durante tutta la sua vita terrena. Il cristiano non può cadere nella tentazione degli Entusiasti, cioè dopo il battesimo sono totalmente giustificato quindi posso condure anche una vita immorale, sarò comunque salvato. Riguardo alla concupiscenza, Agostino affermava che dopo il battesimo, l’uomo era liberato dal peccato originale però tracce o residui del peccato originale nell’uomo rimanevano, un segno tangibile era questa forza istigativa forte al male, al peccato, ma essa non era il peccato originale. L’uomo è chiamato ad essere allenato al superamento delle tentazioni. Invece Lutero affermava che la concupiscenza era chiaro segno che l’uomo non era stato liberato dal peccato originale anche dopo il battesimo, il peccato originale rimaneva, identificava la concupiscenza con il peccato originale. Per Agostino nel giudizio finale saranno salvati e quindi riceveranno la giustificazione totale, cioè candidati al Paradiso, non tutti gli uomini già giustificati da Dio mediante il battesimo, ma i giusti, coloro che dopo avere ricevuto tale giustificazione da Dio mediante il battesimo hanno sviluppato e completato tale grazia ricevuta vivendo con una grande fede in Dio e compiuto tante opere buone. Invece coloro che non hanno né sviluppato e né completato tale grazia giustificatrice ricevuta dal battesimo, vivendo conformemente da figli di Dio e compiendo opere buone, saranno eternamente dannati.

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Lezione del 25 Maggio 2018

23. LA GIUSTIFICAZIONE NEL NUOVO TESTAMENTO

Che cosa dobbiamo pensare quando leggiamo i testi di Paolo e il suo concetto di giustizia che utilizza per indicare il rapporto nuovo che si stabilisce tra Dio e il peccatore. quando Paolo parla di "Giustizia di Dio" ne parla sempre sullo sfondo generale dell'agire dell'uomo di Dio, un agire che è contraddistinto dalla volontà, dall' amore, dalla salvezza, da tutti i termini positivi che si possono inventare quando si vuole indicare una relazione buona, bella, edificante piacevole, tra due persone. Tutti i termini positivi che possiamo inventariare nel nostro pensare devono essere partecipati in una maniera infinita, totale, totalizzante ai rapporti che Dio e l'uomo realizzano tra di loro sempre per iniziativa divina. Cristo è venuto ad incarnarsi soprattutto per indicare questo tratto della persona di Dio, cioè la volontà di stabilire una relazione totale di amore, di bontà e benevolenza. L'uomo risponde a questa iniziativa di Dio soltanto con un atteggiamento che si compendia nella parola " Fede ". La fede è propriamente il tipo di relazione, vera, esatta, precisa, congruente tra Dio e l'uomo, per cui Paolo quando vuole indicare con estrema precisione il tipo di rapporto che passa tra l'uomo e Dio usa la parola " Fede" come dire affidamento totale, abbandono completo nelle mani di questa Persona creatrice che vuole stabilire un rapporto benevolo insieme con la creatura umana. In questo modo Paolo si contrappone radicalmente al pensiero ebraico-giudaico, in cui il rapporto tra l'uomo e Dio non era stabilito in base ad una relazione sentimentale ma era invece inteso in maniera giuridica come osservanza di una legge esterna all'uomo: la legge di Mosè, i 10 comandamenti, e tutti gli altri 608 comandamenti, rappresentavano in modo congruo, esatto, di stabilirsi dell'uomo giusto con Dio. Se io osservo la legge, a cominciare dai 10 comandamenti, io divento giusto, io divento santo, io ottengo la possibilità di vedere Dio. Paolo invece scardina completamente questa visione giuridica di fondo della legge: la legge mi sta d'avanti e mi costringe all'obbedienza ( se io disobbedisco vengo punito, cado in peccato ). Paolo invece intende l'osservanza di un sentimento interiore all'uomo, soggettivo e non oggettivo. Non c'è nessun testo davanti a me che mi parli di fede e di amore, ma c'è un sentimento dentro di me che mi fa sentire amato e capace di amare a mia volta Dio e la parola con cui io esprimo il mio amore, il mio ringraziamento a Dio per la sua iniziativa di salvezza è la "Fede". Dunque "Fede" come espressione interiore della volontà libera dell' uomo. 93

24. LEGAME ESISTENZIALE CON CRISTO

La parola "obbedienza" rientra in questi due modi di concretizzare la salvezza ( - Forma giuridica e forma esperienziale sentimentale )? Si, ma è bene sottolineare che si tratta di due obbedienze assolutamente diverse. 1) La prima è un'obbedienza estrinseca, esteriore all'uomo, di tipo giuridico, con un codice di leggi che un giudice deve far applicare e che vengono osservate o trasgredite dall'uomo ( in base a questa trasgressione o obbedienza l'uomo viene giudicato). 2) La seconda, invece, è un’obbedienza d'amore. E' un dire "Si", un accettare l'amore che viene da Cristo nei miei confronti. Io obbedisco a quest'amore rispondendo con pari amore. Allora l'obbedienza è qualcosa di soggettivo, interiore, intrinseco all'uomo molto vicino alla parola amore e mentre questa parola non si può applicare al rapporto tra l'uomo e la legge, si può invece e si deve applicare la parola "amore" quando io parlo del rapporto tra me e Gesù Cristo che mi ha salvato con il suo mistero pasquale. Allora ciò che fa veramente "Nuovo" il nuovo testamento è questa concezione profonda dell'amore quale tramite nei rapporti tra Dio e l'uomo. Quando Paolo vuole esprimere lo scopo ultimo di quest'opera di amicizia e amore con Dio, usa la parola "giustificazione" che significa "completamento" del rapporto amorevole tra Dio e l'uomo mediato dall'opera di Gesù Cristo. Dunque la giustificazione non è altro che il rinnovamento del patto di amore tra Dio e l'uomo. Con la "giustificazione" l'uomo peccatore, debole, fragile, grazie alla sua fede diventa, finalmente, sostanzialmente, ontologicamente un uomo nuovo! L'obbedire all'amore di Cristo fa del cristiano una persona nuova, cioè non una persona la cui cartella penale è stata stracciata, ma i peccati sono conservati nella sua memoria e il giudice conserva ancora una copia della sua sentenza per sempre, no non è così! Il rapporto che si stabilisce con la giustificazione attraverso Gesù è un rapporto di totale rinnovamento della persona umana, l'uomo da debole e caduto nel peccato diventa forte e liberato dal peccato perchè Gesu Cristo con la sua opera di morte e resurrezione ha operato questa trasformazione, questo trasmutamento di sostanza. Dio lo può fare perchè il Creatore e allora dopo il peccato di Adamo ed Eva, grazie all'amore e all'evento pasquale di Cristo ricrea ciò che ha creato precedentemente, quindi con Cristo ci troviamo d'avanti ad una vera e propria ricreazione di quello che era stato creato all’origine: Adamo ed Eva nel paradiso terrestre. Tale opera di ricreazione è definitiva, anche se questo non significa che non si debba ritornare mai più a peccare ( come affermava la prima lettera di Giovanni "se voi siete in Cristo non peccherete più"), per Paolo il peccato può ritornare ma la forza del battesimo, attraverso

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il sacramento della penitenza, riesce a liberare l'uomo dai peccati attuali e lo riporta all'innocenza originaria che ha ricevuto con il battesimo. Possiamo, dunque, dire che la giustificazione consente all'uomo di realizzare un rapporto particolare con Dio sui tre termini che noi indichiamo per sottolineare, caratterizzare il tempo: Il passato, il presente, il futuro. In che senso la giustificazione si ripara in queste tre tracce del tempo? Il passato è l'evento Gesù Cristo, che si è incarnato, è morto ed è risorto per me; Il presente è l'azione dello spirito santo, che come terza persona trinitaria che crea la vita, dà la possibilità della ricreazione (Simbolo Niceno-Costantinopolitano: " Credo nello spirito santo che è signore e dà la vita "), ricrea nuovamente nel presente, nell'oggi; Il futuro sarà la manifestazione definitiva dei rapporti che si sono stabiliti nella storia tra l'uomo e Dio, quindi ciò che è salvezza e ciò che non è ancora salvezza verrà definitivamente stabilito nel giorno ultimo del ritorno del messia. Nella vita storica dell'uomo il passato, il presente e il futuro devono vedersi come contemporanei, perchè contemporaneamente realizzano l'opera della giustificazione, cioè trasmettono all'uomo la giustizia di Dio, l'amore benevolo di Dio. Con la riforma protestante, a cominciare dalle 95 tesi di Lutero, si aprì un dibattito che era stato durante il medioevo affrontato ma poi messo da parte: era il problema del valore delle opere buone, delle opere di misericordia spirituali e corporali che potevano servire per accedere alla vita eterna. L'uomo durante la vita guadagnava dei meriti attraverso le opere buone, la presenza alla celebrazione dell'eucarestia, la confessione, attraverso le rare volte per le quali era consentito agli uomini del medioevo di cibarsi dell'eucarestia (cosa rara che veniva concessa dai confessori soltanto a coloro che si manifestavano come i più liberi dalle colpe), l'elemosina e l'acquisto delle indulgenze, attraverso tutto questo sistema di opere esteriori l'uomo si guadagnava l'ingresso in paradiso. Quindi Dio era, in qualche modo, costretto a giustificare l'uomo perchè gli si presentava d'avanti con il complesso delle opere buone compiute. La base biblica sulla quale la teologia cattolica tradizionale si fermava e che utilizzava per giustificare quest'insegnamento era la Lettera di Giacomo 2,14-26, dove ripetutamente Giacomo afferma che la fede senza le opere è morta, è invisibile, non è possibile manifestare la fede che io ho nel mio cuore se non la trasmetto alle opere buone che io compio ( sicuramente la fede è necessaria per la salvezza ma non può essere eliminata per le opere ). Lutero invece capovolge questo ragionamento e afferma che le mie opere buone non possono mai essere considerate buone se non c'è già stata l'adesione di fede a Dio attraverso il Cristo, altrimenti le opere buone sono sempre 95

malvagie d'avanti a Dio perché sono compiute dall'uomo che porta sempre in se il segno del peccato originale. Lutero infatti non crede che il battesimo possa eliminare il peccato originale; egli pensa che nell'uomo, seppur giustificato per mezzo della fede, il peccato originale rimane con tutta la sua forza, ecco perchè l'uomo è definito da Lutero "Contemporaneamente giusto e peccatore". Dunque il peccato originale rimane e lo dimostra la "Concupiscenza" cioè la tentazione a peccare, per Lutero questa tentazione continua dell'uomo a voler peccare è il segno che il peccato originale rimane nell'uomo. La teologia, invece, tradizionale-cattolica affermava che attraverso il battesimo il peccato originale veniva definitivamente eliminato, rimaneva si la concupiscenza ma quest'ultima non era il peccato ( sentire la tentazione di compiere un peccato non significa compiere il peccato, essere in peccato. Io cado nel peccato soltanto se soccombo alla concupiscenza). Quindi, sostanzialmente, la concupiscenza mi viene lasciata da Dio per mantenermi sempre in allenamento contro i peccati che possono sorgere nel mio cuore, nella mia coscienza, nella mia volontà (e questo è descritto molto bene nel concilio di Trento). Trento affermerà che la concupiscenza viene mantenuta da Dio per combattere il male, che le nostre virtù (dentro di noi) si allenino a combattere il male e a far prevalere il bene che è dentro di noi. Questo tipo di ragionamento veniva utilizzato dai teologi cattolici per confutare una caratteristica della teologia luterana secondo la quale non essendoci più bisogno di opere meritevoli per guadagnarsi il paradiso, l'uomo veniva salvato in una maniera passiva, senza dover fare assolutamente alcuna opera buona, poichè tutte le opere buone possibili ed immaginabili erano state compiute da Cristo, l'unico uomo nato senza il peccato originale e quindi senza la concupiscenza. Prima di lui una sola persona si trovava nelle sue stesse condizioni ed era sua madre, la Vergine Maria, liberata dal peccato originale in previsione di ciò che avrebbe compiuto suo figlio Gesù ( poichè nell'eterno disegno di salvezza di Dio era presente l'opera di un Dio fatto uomo fin dalla concezione, allora Dio aveva pensato anche dall'eternità ad una donna dalla quale far nascere il figlio dell'uomo incarnato). Lutero, dunque, finiva per affermare che la giustificazione avveniva in una maniera completamente passiva: L'uomo non doveva assolutamente compiere nessun'opera, era necessario soltanto credere e affidarsi così come si era (giusti o peccatori) alle mani di Dio, i peccati dell'uomo non avevano nessun valore d'avanti a Dio perchè i meriti di Cristo erano stati molto più abbondanti dei peccati di ciascuno. D'avanti a questa "passività" spirituale ( aspettarsi da Dio la liberazione dei peccati e l'ingresso nella vita nuova, senza far nulla ), la teologia cattolica tradizionale affermava che, invece, l'uomo doveva 96

in qualche modo collaborare all'opera di giustificazione di Dio. Dio salvava gratuitamente e attivamente ( non passivamente ) attraverso un' "attiva" collaborazione dell'uomo che si esplicitava attraverso la lotta contro il peccato o ( nella forma più grave) nel rifiuto della fede. Il pericolo di perdere la fede era incombente nell’uomo perché il peccato originale rende il libero arbitrio e la volontà deboli d’avanti alle tentazioni e una di queste tentazioni poteva essere allora quella di voler abbandonare la via di Dio, l’obbedienza a Dio. Allora anche in questo caso, secondo Lutero, rimaneva sempre aperta l’iniziativa di Dio e la perdita della fede non escludeva la salvezza, mentre per la teologia cattolica l’abbandono della fede costituiva un peccato vero e proprio che non consentiva più l’ingresso nella vita eterna, non giustificava più il singolo peccatore. Dopo questa visione generale del concetto di fede e giustificazione nella teologia Luterana e nella teologia cattolica-ortodossa, soffermiamoci adesso sulle parole del concilio di Trento, in particolare sul decreto “de iustificatione” che venne accettato e controfirmato dai padri di Trento nella sessione sesta, il 13 Gennaio 1547. Questo testo ebbe un’elaborazione travagliata che conobbe 5 rifacimenti, riformulazioni (a dimostrazione dello sforzo e dell’impegno che i padri di Trento hanno messo per cercare di stabilire i punti fondamentali dell’opera di giustizia compiuta da Dio nei confronti dell’uomo) e il decreto prodotto alla fine va considerato come un elaborato decisivo, dogmatico per la teologia cattolica, di fatti non si può fare a meno del concilio di Trento per quanto riguarda la dimensione del peccato originale e della sua giustificazione. Le tesi fondamentali che i padri di Trento mettono in evidenza sono le seguenti: -

Il peccato originale è una realtà compiuta dall’uomo alle sue origini, ( Questo era già

stato affermato in un precedente decreto sul peccato originale controfirmato dai padri di Trento un anno prima Giugno 1546 ) quindi a causa del peccato originale l’uomo nasce peccatore e da peccatore debole non può salvarsi da solo perché il suo libero arbitrio (la capacità di scegliere tra il bene e il male), la sua volontà rimangono, non vengono eliminati, ma indeboliti, cioè capaci di fare il male, capaci di disobbedire qualunque volontà di Dio. -

Cristo (con la sua incarnazione) interviene a redimere l’uomo. Ma quest’intervento

di Dio non è automatico, occorre infatti una positiva azione di Dio per consentire all’uomo di superare la debolezza del peccato originale, l’uomo deve rinascere in Cristo e se non lo fa esso rimane soggiogato, segnato per sempre dal peccato originale. Dunque l’uomo per salvarsi ha bisogno di essere giustificato dall’evento Cristo, dall’evento pasquale. -

Con la giustificazione che riceve da Dio l’uomo passa, cambia da uno stato all’altro:

Da uno stato di peccato ad uno di grazia, cioè da uno stato di relazioni disturbate tra Dio e l’uomo (peccato) ad una situazione di relazioni positivamente ristabilite nel momento della grazia, della giustificazione. Questo passaggio di stato avviene concretamente attraverso il sacramento del 97

battesimo o almeno attraverso il desiderio di esso. Dunque la giustificazione non solo rimette i peccati ma rende l’uomo santo e rinnovato e questa ”rinnovazione-santificazione” non si manifesta all’esterno dell’uomo ma è un fatto interiore, di rapporto profondo, coscienziosamente profondo del rapporto tra l’uomo e Dio. Quindi la giustificazione è un episodio della vita intrinseca dell’uomo, una volontà, una coscienza intrinseca dell’uomo che riconosce la sua indegnità rispetto a Dio e accetta la sua iniziativa di salvezza, in questo modo la giustificazione comporta la collaborazione di Dio e dell’uomo (L’uomo deve attivamente compiere un atto di abbandono e di fede in Dio per poter ottenere la giustificazione dei suoi peccati). -

Negli adulti la giustificazione va necessariamente preparata rispetto al battesimo dei

bambini: i bambini vengono battezzati perché essi, per il fatto stesso che nascono, nascono con il peccato originale che si trasmette di padre in figlio (di generazione in generazione). In un adulto c’è bisogno di una particolare preparazione perché si suppone che l’adulto abbia nella sua vita commesso altri peccati rispetto al peccato originale, questo comporta la delineazione di due condizioni: la condizione del bambino (dove era presente solo la macchia del peccato originale e non quella di altri peccati recenti, reali) e quella dell’adulto (che molto probabilmente, quasi sicuramente, ha commesso altri peccati oltre a quello originale). In merito a tutto questo, l’iniziativa di Dio è sempre gratuita ma l’uomo deve positivamente liberarsi da ogni male, da ogni peccato attraverso il sacramento della penitenza o attraverso l’esecuzione di opere penitenziali, quindi l’adulto si prepara a ricevere la grazia di Dio mediante una purificazione interiore. Tra questi presupposti il concilio di Trento ne indica alcuni, tutti interiori: -

Anzitutto la fede: il battezzato adulto deve possedere la capacità di affidare tutta la

propria vita a Dio, gettarla nelle sue braccia, farsi guidare dal Cristo nel cammino verso la perfezione e verso la felicità eterna nel regno di Dio -

Il pentimento dei peccati: Chi chiedeva il battesimo doveva manifestare in maniera

chiara ed evidente che era pentito seriamente delle cattive azioni che aveva compiuto nella sua vita, ma non solo, doveva avvertire profondamente il suo rifiuto per il peccato, l’avversione totale da parte dell’uomo al peccato (es: Quando recitiamo l’atto di dolore … propongo con il tuo aiuto di non offenderti mai più… o come quando si afferma il valore dell’indulgenza plenaria). Inoltre, c’è sempre da considerare la volontà sacrante di Dio dentro il sacramento della penitenza, per cui se l’uomo ritorna a “cadere” ( dopo il peccato originale) può essere riportato ad una condizione di grazia mediante il sacramento della penitenza che sostituisce e continua l’opera del battesimo. Dunque, questo significa che la vita dell’uomo sulla terra era una continua vicissitudine di bene e di male e pur essendo stata ottenuta la liberazione generale dalla disobbedienza di Dio (per cui l’uomo ora può obbedire veramente a Dio), quest’atto di trasformazione restava non definitivo, nel senso 98

che era definitiva solo la perdita del peccato originale non la caduta nel peccato “attuale” , quindi dei peccati “secondari”. Quindi la vita del cristiano era una continua tensione verso il bene, verso la purificazione in quella che viene chiamata (da questo momento in poi) la “sequela Christi” , cioè seguire l’insegnamento di Gesù Cristo, assimilarsi (per quanto possibile) alla vita e alla dottrina di Gesù. Infatti, continua Trento, la giustificazione che noi possediamo e che Dio ci concede è la stessa giustificazione che Dio compie nei confronti del Cristo uomo. Anche il Cristo uomo è stato giustificato attraverso il concepimento verginale di sua madre già libera dal peccato originale, fin dall’eternità. Allora il Cristo riceve dalla madre vergine la liberazione dal peccato originale e la giustificazione che noi otteniamo durante il battesimo è esattamente la stessa giustificazione che ha operato il Cristo liberandosi ed essendo liberato dal peccato originale. Lutero, in questo punto, diversificava la giustificazione di Cristo e quella nostra: -

La giustificazione di Cristo era avvenuta in una maniera “miracolosamente” divina

ed era assolutamente superiore alla bassezza dell’uomo perché in Cristo non era presente il peccato originale. -

La giustificazione, invece, che riceve l’uomo è atipica, di natura inferiore, perché

l’uomo è già stato disobbediente al peccato originale cosa che invece non è successa a Cristo. Per Trento invece l’unica opera di Dio era quella che attraverso Gesù Cristo interveniva fino a noi, ecco perché la giustificazione è un percorso esistenziale, durante il quale il giustificato agisce diversamente da coloro che non sono stati liberati dal peccato originale. Quindi l’agire esteriore del giustificato deve manifestare (attraverso le virtù fede, speranza e carità) la sua trasformazione da peccatore a giusto. Per quel che riguarda i meriti (se le opere buone fossero considerate dei meriti per ottenere il perdono dei peccati e l’ingresso nella vita eterna) Trento affermava che esisteva un solo merito ed un solo esecutore dei meriti che era Gesù Cristo (qui la visione di Trento è molto simile a quella luterana). I meriti che ha potuto ottenere Gesù Cristo attraverso la sua passione, morte e resurrezione, sono di tipo infinito, infinitamente più grande, più elevato rispetto a quelle piccole opere (meriti) che compiono gli uomini condizionati e contaminati dalla loro condizione di peccaminosità continua, persistente. Quindi quando la chiesa decide di concedere l’indulgenza parziale o totale ai suoi fedeli, opera proprio lavorando sui meriti di Cristo. Per Lutero, invece, le indulgenze non avevano nessun significato perché erano opere buone con le quali si voleva accedere in paradiso pagando. Per la teologia romana invece i meriti di Cristo, di Maria e di tutti i santi erano talmente infiniti da costituire una massa di grazia, di “giustificazione” di valore infinito e a questa “massa” poteva accadere soltanto il pontefice romano 99

e solo lui poteva misurare in quale modo essa dovesse venir distribuita tra i credenti (es.100 giorni di indulgenza, 200 gg di indulgenza, 1 anno di indulgenza, indulgenza plenaria completa). Quindi l’indulgenza poteva essere disposta o a tempo ( 100gg, 200gg, ecc), nel senso di espiazione della pena del purgatorio (prima di entrare in paradiso), o poteva essere plenaria cioè una indulgenza che escludeva totalmente le pene che dovevano essere ancora espiate dal credente che, non era giunto in paradiso ma, si trovava ancora in purgatorio a liberarsi dalle pene dei suoi peccati commessi sulla terra. Dunque per “giustificazione per mezzo di Cristo” significava tutto quello che Gesù aveva compiuto, attraverso il mistero pasquale, a favore dell’uomo e solo questo poteva meritare all’uomo la sua giustificazione, la sua salvezza. E’ da Gesù e dal merito di Gesù che proviene la virtù del peccatore, una virtù che si manifesta anche qui esteriormente, estrinsecamente e colui che è stato liberato dal merito di Cristo, dalle sofferenze di Cristo, da tutto ciò che ha sopportato Cristo ai tempi della sua passione, sono visibili attraverso le virtù che vengono operate dall’uomo (in modo specifico le 3 virtù teologali di fede, speranza e carità). La riflessione attuale nei confronti del peccato tridentino (senza volerne mettere in dubbio il valore dogmatico) mette in rilievo alcuni punti fondamentali. -

E’ molto ben chiaro il rapporto tra grazia di Dio e libertà dell’uomo: L’uomo

rimane sempre libero di decidere sulle iniziative di Dio. Dio sa bene che l’uomo può rifiutare l’offerta di libertà di salvezza dal peccato che Dio gli propone. Per Lutero questo era impossibile: La libertà umana non avrebbe mai potuto, da sola, decide se accettare o rifiutare alcun incontro con Dio. L’iniziativa dell’incontro con l’uomo poteva venire solo da Dio, l’uomo non aveva assolutamente nulla da disputare d’avanti a Dio, aveva solo peccati, era Dio che si avvicinava al peccatore e gli offriva la possibilità della salvezza. -

La fede: Rispetto a Lutero, per fede, non viene più considerata solo la fede

“fiduciale”, cioè l’abbandono definitivo, passivo, completo, sentimentale dell’uomo a Dio, ma veniva inserito nel quadro della più grande dogmatica teologica secondo la quale la fede non era soltanto una fede fiduciale ma anche una fede dogmatica, cioè una fede che si componeva di tanti articoli di fede quanti erano quelli stabiliti dal credo Niceno-Costantinopolitano. Quindi fede significava anche adesione intellettuale a certe decisioni e a certe sentenze dogmatiche stabilite dal magistero della chiesa. -

Punto debole del concilio di Trento: un punto debole presente nel decreto di Trento è

il fatto che non si sottolinea l’impegno e l’attività di Cristo nella liberazione dell’uomo dal peccato. Nel decreto si evidenzia soprattutto l’iniziativa di Dio e Cristo viene considerato soltanto come mediatore della salvezza, quasi come se non ci fosse nessuna iniziativa da parte di Cristo per salvare 100

il peccatore. Infatti, quando il dibattito sulla giustificazione ritorna negli anni 60 (non più con Lutero, ma da parte di alcuni autori protestanti) il discorso ricomincia proprio da questo punto: “ Che senso ha la presenza di Cristo nell’opera della giustificazione dell’uomo “? Colui che ha ripreso la discussione sulla giustificazione attraverso l’operato di Gesù è Karl Barth. Per questo autore ciò che è importante sottolineare prima della giustificazione dell’opera di giustizia di Dio è l’opera che Cristo ha compiuto prima ancora di venire nel mondo. Dio infatti ha preordinato un progetto di salvezza attraverso il quale Gesù Cristo avrebbe dovuto portare tutte le genti (non solo i giudei, cristiani, ma tutti i popoli della terra) ad unirsi tutti insieme nell’obbedienza al padre, riconoscendo l’amore libero e liberante del padre e la sofferenza che Cristo aveva subito per mantenersi obbediente al progetto del padre, quindi nel processo della giustificazione Dio era il centro, ma l’operatore materiale, concreto era Gesù Cristo liberatore universale. Per Barth tutta la creazione, ogni popolo della terra fino alla fine della storia, è stata già giustificata dall’opera di Gesù Cristo, poiché se non ci fosse stata una giustificazione previa di Gesù Cristo non si potrebbe assolutamente pensare né al peccato originale, né alla caduta dei progenitori, ne alla salvezza attraverso il Cristo. Quindi Cristo è il centro della creazione dell’uomo, del tutto, così come l’ha voluta Dio. Dio ha ceduto a Cristo i propri poteri sananti, i propri poteri liberatori ed è Cristo che ne ha fatto il centro della sua obbedienza: Gesù ha obbedito al potere salvifico di Dio, ad un progetto di Dio che includeva tutti gli uomini di tutte le età. L’autore cattolico che si è immediatamente avvicinato alla prospettiva cristologica di Barth e ne ha fatto nella teologia cattolica un primo uso intelligente e decisivo è Hans Küng con il suo volume “La giustificazione”. Per la prima volta nella teologia cattolica ci si allontanava dalle affermazioni di Trento per sottoporle ad una riflessione profonda che riuscisse a mettere in ombra, la presenza fortemente teologica di Dio nel decreto sulla giustificazione e fare in modo che questa presenza onnipervasiva di Dio (teologica), diventasse cristologica, ovvero che tutto il programma di liberazione dell’uomo fosse affidato alle mani del Cristo. Un altro autore che ha cercato di rivedere il modello teologico di Trento alla luce del pensiero di San Tommaso è Otto Herman Pesch. Nel suo volume “Martin Lutero introduzione storica e teologica” , egli cerca di osservare come le posizioni di Lutero non erano in verità contrapposte a quelle di Tommaso, ma erano semplicemente dei punti di vista differenti, divergenti, che sostenevano in ogni caso una preferenza della figura cristologica rispetto alla figura teologica della dottrina della giustificazione. Secondo questo autore Martin Lutero non ha voluto (almeno agli inizi della sua opera di riformatore) contrastare la teologia cattolica classica e se nel prosieguo della controversia si è allontanato da essa lo ha fatto soltanto perché le sue lezioni erano sempre delle lezioni di tipo esegetico (commento alla lettera ai romani, agli ebrei, commenti ai salmi ecc.) , 101

dunque attraverso questa base esegetica, ma non dogmatica, Lutero poteva arrivare a raggiungere delle soluzioni che allora sembravano contrastanti con la teologia cattolica, mentre oggi sembrano soltanto delle diverse interpretazioni di una stessa fede, di uno stesso contenuto teologico. Nel complesso possiamo dire che il ventesimo secolo ha guardato a Trento come un punto di vista indiscutibile dal quale però ci si poteva aspettare una diversa interpretazione. Grazie al dialogo ecumenico anche noi cattolici abbiamo imparato a leggere i testi di Tommaso e del concilio di Trento in una maniera meno schematica, meno obbligante, meno oggettiva ma maggiormente aperta a bisogni nuovi, interpretazioni ed esegesi nuove attraverso tutto il risultato che nel frattempo (da Trento in poi e da Barth) le esegesi della teologia andavano compiendo nell’approfondimento dei loro studi. Ecco perché si giunge a quel documento della dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione, che è stata controfirmata dalla chiesa cattolica e dalla federazione luterana mondiale il 31 ottobre 1999. Nel terzo capitolo di questa breve dichiarazione congiunta si espone l’accordo sulla giustificazione raggiunta, un accordo che però lascia entrambe le parti libere di poter interpretarlo nella maniera che, secondo la loro tradizione teologica, è possibile fare. Ciò che è importante di questa dichiarazione è dire che le diverse prospettive (quella luterana e quella cattolica) non sono in contrasto, ma sono semplicemente delle differenti interpretazioni di una medesima fede nella giustificazione di Dio da parte di Gesù Cristo e del suo mistero Pasquale, senza nessun merito da parte dell’uomo, senza nessun tornaconto da parte di Dio, gratuitamente e da una volontà salvifica di Dio che proveniva fin dall’eternità, precedente alla creazione del mondo. Dio non è intervenuto sul mondo perché l’uomo ha peccato, Dio sarebbe comunque entrato nel mondo anche se l’uomo non avesse peccato per fare l’esperienza dell’incarnazione dell’uomo. Un’altra conseguenza di questa dichiarazione congiunta è quella di eliminare le scomuniche a vicenda che le due chiese si erano scambiate nel periodo più aspro della polemica, ogni chiesa aveva scomunicata l’altra. Il numero 15 della dichiarazione afferma (come pensiero centrale della dichiarazione congiunta) che Cristo è la nostra giustizia, obbedisce alla volontà del padre e si ottiene attraverso lo spirito santo (dunque una dichiarazione profondamente trinitaria), quindi a partire dall’evento di Gesù Cristo che ci ha manifestato questa realtà trinitaria dell’opera della giustificazione da parte di Dio. Così noi accettiamo l’interpretazione trinitaria perché è stata una liberazione ottenuta da Cristo, se Cristo non viene messo al centro del piano, del progetto giustificante di Dio allora si perde questa possibilità di interpretazione trinitaria. La fede nella salvezza operata da Cristo, a prescindere dai nostri meriti, ci rende accettati da Dio: Noi diventiamo luoghi della presenza dello spirito santo e esso rinnova le nostre esistenze e ci rende capaci (una volta penetrato dentro di noi con la liberazione del peccato) di compiere opere buone. Quindi, per la 102

prima volta, veniamo a conoscere quando il protestantesimo ha anche dato un’importanza alle opere buone, non più secondo la visione restrittiva di Lutero (nessun’opera buona ha valore d’avanti a Dio perché l’uomo rimane sempre un peccatore), ma nella dichiarazione congiunta si afferma che le opere buone sono la manifestazione dell’avvenuta salvezza dell’uomo da parte di Dio, dunque le opere buone non servono a meritare la vita eterna ma sono espressioni della giustificazione ottenuta liberamente, gratuitamente, amorevolmente da parte di Dio. In conclusione, qui non si parla di un’identificazione assoluta delle due correnti di pensiero ma piuttosto di un’unità nella diversità, per cui le chiese possono continuare ad usare il loro proprio linguaggio, le loro proprie categorie teologiche, le loro proprie sottolineature particolari (es: gli aspetti della tesi della giustificazione), quello che è importante è che con questo testo si chiude definitivamente la divisione intransigente tra riforma protestante e chiesa cattolica. Dunque, tutto questo, può far sperare realmente, fiduciosamente, in una unità all’interno della chiesa, quella unità che Cristo stesso richiede, con molte pecore di diversi ovili che si possano riunire insieme rimanendo accanto (l’uno vive accanto all’altro) tutti quanti, preservati, difesi e considerati con amore dal Cristo unico pastore.

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Lezione 29 Maggio 2018

25. CONSIDERAZIONI

TEOLOGICHE DOGMATICHE SULLA GIUSTIFICAZIONE DEL PECCATORE E

L’EFFETTO DELLA GRAZIA DI DIO NELL’UOMO PECCATORE INCAPACE DI SALVARSI DA SOLO. 1) La prima considerazione che va fatta è che il Dio biblico sperimentato sia nel NT che AT non è un “deus ex machina” cioè che opera al di fuori di sè lasciando la creazione, e così anche la storia dell’uomo, senza più interessarsi ad essa, alla sua rovina. Ma sin dall’eternità ha pensato e voluto la creazione con una profonda volontà di manifestarsi o meglio di farsi conoscere ad altre creature e di far conoscere ad esse il traboccante amore di cui godeva all’interno della Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo. Nel suo auto-comunicarsi Dio fa sperimentare all’uomo il suo amore, un amore talmente grande che non può essere totalmente compreso dall’uomo se non attraverso delle mediazioni, nell’antico testamento la grande mediatrice diviene la Legge Sinaitica, Dt 6,7 “tu amerai il tuo Dio” e non obbedirai, perché il primo rapporto che Dio vuole stabilire con l’uomo è un rapporto di Amore, un rapporto che continua nella vita della creazione e dell’uomo, non si allontana mai da essa rimane trascendente il Dio creatore dall’uomo, ma che al contempo si fa immanente nella sua creazione, scende nella sua creazione cosi come nell’Eden Dio scendeva nel giardino a discutere con i suoi ultimi elementi creati, l’uomo e la donna manifestando la Sua trascendenza, ma anche la sua vicinanza. Il punto più alto di questa immanentizzazione del trascendente è l’incarnazione del Figlio pensata da sempre nell’eternità. Come quell’azione attraverso la quale Dio e l’uomo divengono una cosa sola pur rimanendo intatta la trascendenza di Dio e la posizione dell’uomo, che attraverso di esso non diventava Dio ma rimaneva nella sua qualità di creatura immanente, creatura sensibile, dipendente da Dio. Avente comunque una costante assimilazione all’immagine e somiglianza di Dio dal momento che tutta la vita dell’uomo era destinata a questo scopo, ad un processo di coscientizzazione, attraverso il quale l’uomo si sente vicino all’immagine per cui è stato creato, che non è il Padre ma l’immagine della sua sostanza, l’irradiazione della sua gloria rivelata nel volto del Figlio, Gesù Cristo, che da sempre è stato generato. 2) In maniera sintetica Karl Rahner ha voluto unificare questa condizione, affermando che ogni uomo nasce sulla terra in un ambiente sacro col figlio di Dio, quello che egli chiama esistenziale soprannaturale, gravido del soprannaturale, gravido anche del desiderio di Dio di risanare la condizione peccaminosa dell’uomo qualora avesse disobbedito alla sua legge. Dio sa bene che all’interno della creazione ci sarebbe stata una disobbedienza dell’uomo, lo sapeva dall’eternità; allora Dio si manifesta dall’eternità come il Dio 104

che vuole salvare l’uomo dalla sua condizione. Quando Dio interviene a sanare la condizione dell’uomo vi è un momento in cui Dio viene in un frammento della storia della salvezza, ma poi Dio interviene in tutta la storia della salvezza, imponendo al mondo per il suo bene e non perché ne è il padrone, una storia sacra che si avvicini sempre di più al modello di Dio. Affinché questo piano possa realizzarsi Dio pensa ad una comunione speciale di uomini che possa realizzare nel mondo una comunità di salvezza in grado di raggiungere tutti i luoghi e gli uomini della terra, questa mediazione la chiama chiesa, Ekklesia, il popolo di Dio che raduna tutti gli uomini che sono stati liberati dal peccato originale e trasferirli cosi sulla via della salvezza definitiva. Una chiesa nata dal mistero pasquale e ravvivata dal dono dello Spirito Santo, Dio sa bene che il compito affidato alla chiesa è immane, pertanto non aspetta che la chiesa si organizzi per raggiungere tutti gli uomini della terra ed ogni angolo della stessa; ma realizza anche all’interno di altri popoli, culture, religioni delle forme di salvezza, di liberazione dal male, delle forme di redenzione dal peccato delle origini. Allora il compito della chiesa è prendere coscienza di queste altre forme, vie di salvezza predisposte da Dio per la liberazione degli uomini. Ogni religione si presenta per l’uomo come una via di redenzione, una realtà di uscita dal suo stato di abbandono, di colpa, di peccato, di insoddisfazione, di inautenticità con una netta differenza che queste altre religioni pongono al centro di quest’opera di salvezza la persona dell’uomo, sono forme di auto- redenzione, l’uomo comprende il basso valore morale della sua vita e cerca attraverso i miti, i riti, le preghiere, i racconti, le filosofie, le meditazioni profonde, di elevarsi. Nel popolo che Dio ha unito fortemente a se nella storia salvifica si verifica l’ipotesi contraria: non è l’uomo che cerca di auto-redimersi, ma è Dio che si propone all’uomo come unico e solo redentore, questo è ciò che caratterizza il cristianesimo che solo un Dio può salvare l’uomo, all’interno della chiesa, all’interno del popolo che egli si è scelto. Cosa compie Dio di particolare nella storia della salvezza all’interno del suo popolo? Compie due azioni, anzitutto quella di liberazione, libera dal peccato che lo tiene legato nel compiere azioni malvagie, e fa in modo cosi che l’uomo possa diventare ogni giorno sempre di più uomo, l’offerta sanatrice e liberatrice di Dio non mortifica l’uomo nella sua personalità, nelle sue capacità elevate ma queste capacità elevate, queste capacità dell’uomo li vuole sviluppare sempre di più, cioè vuole che l’uomo diventi sempre di più una persona umana cioè un soggetto sempre più autonoma e responsabile della propria storia. Un soggetto che collabori sempre di più con l’azione sanante e liberante di Dio. Allora qui manca non solo il concetto di auto-salvezza di auto-soteria ma manca anche l’elemento della personificazione dell’uomo presso le altre religioni e culture. Le altre religioni presentano delle forme di liberazione umana, ma queste forme di liberazione umana, di auto-redenzione sono viste sempre più come forme di annullamento della personalità umana, l’uomo deve soffrire, deve 105

morire, deve perseguire altri modelli di liberazione per raggiungere il modello da lui stesso preparato. Il Dio cristiano invece aiuta per un atto totalmente gratuito senza nessun tornaconto che l’uomo diventi sempre più uomo sempre più persona, cioè essere capace di mettersi in relazione con gli altri rendendolo sempre più responsabile delle proprie scelte, decisioni libere e volontarie. Se Dio entra nella storia dell’uomo allora la libertà ottiene una particolare accentuazione di significato, quando l’uomo si riconosce liberato autonomamente da Dio per un atto di volontà amorosa e senza tornaconto, un atto gratuito da parte di Dio, l’uomo riesce a comprendere come la sua liberta più alta, la sua forma di libertà maggiore, quella libertà che viene da una volontà superiore è la libera volontà di mettersi a disposizione della volontà del Dio liberante, questo non significa che Dio costringa l’uomo ad essere simile a se, ma significa semplicemente che Dio dona all’uomo una libertà così alta tale che l’uomo possa rinunciare ad ogni forma di auto-redenzione, forme autonome di salvezza, invece si possa affidare totalmente alla forma di salvezza voluta da Dio. Questa posizione dell’uomo si chiama fede, cioè libertà e volontà sono messe a disposizione di Dio dopo averlo conosciuto come unico salvatore del mondo, come unico creatore dell’uomo. Questa libertà è una libertà non solo per il singolo, una liberazione che avviene solo per me che voglio liberarmi dal male, ma avviene sempre come liberta per l’altro, cioè una libertà che io sperimento, che mi dona una così grande gioia, un così grande desiderio di trapassare i miei limiti e mi fa conoscere la liberazione che Dio mi ha concesso liberamente tale da volerlo comunicare all’altro. Nasce così lo spirito missionario, la grazia che io ho sperimentato singolarmente mi spinge ad annunciare all’altro questo dono sperimentato nella propria vita, Grazia liberante che mi spinge a rendere partecipe anche coloro che tengono a salvarsi, a redimirsi senza però trovare il modo giusto. Divengo cosi mediatore di salvezza perché Dio si e fatto a me vicino, prossimo. E vero che se guardiamo con occhi smarriti, disincantati la realtà che ci viene presentata dal mondo dobbiamo dire che questa opera di salvezza di liberazione dell’uomo non è sempre stata realizzata, così anche da parte della chiesa popolo di Dio, nonostante questa imperfezione attuale da parte della chiesa e del cristianesimo, la fede deve continuamente affermare il suo primato su tutte le altre forme di salvezza. La missione evangelizzatrice della chiesa non può fermarsi neppure dinanzi agli errori e alle colpe della chiesa stessa perché la chiesa rimane il primo popolo voluto da Dio per essere liberato, sciolto dalle catene del male. Lasciare operare la salvezza di Dio nell’animo di un uomo nell’anima di un popolo, nell’anima di una società non significa come nelle altre religioni e culture compiere sacrifici inauditi incredibilmente elevati.

L’unica cosa che Dio ci richiede per essere

salvati è semplicemente la fede in Dio, solo la fede salva e dona l’amore gratuito di Dio all’altro; non sono le opere né i riti né i sacrifici, ma soltanto l’abbandono fiducioso in Dio, Padre, Figlio e Spirito. E questo che vuole Dio anche per noi Cristiani che lo abbiamo conosciuto più da vicino 106

attraverso la mediazione di Gesù Cristo. Non opere buone continuamente raccolte per radunare meriti attraverso i quali guadagnarsi la salvezza; le opere buone non raccolgono nessun merito, solo Gesù Cristo ha raccolto meriti dinanzi a Dio attraverso la sua vita, la sua morte e la sua resurrezione per la nostra salvezza. Detto ciò possiamo trarre una conclusione liberante, una conclusione gioiosa per la nostra vita; se Dio è presentato in una maniera così positiva, che vuole la liberazione del suo essere creato, vuole dire che la storia dell’uomo all’inizio non è una storia di peccato, ma una storia di liberazione dal peccato, il racconto biblico non si apre con il racconto del peccato dei nostri progenitori ma con l’inno esultante della creazione di Dio. Solo successivamente, su questo fondo così ottimista, è avvenuta una degenerazione, una macchia rispetto alla volontà salvifica di Dio, ma anche questa macchia, questa degenerazione è destinata ad essere sanata, tutta l’opera di Dio dopo il peccato originale è una corsa affannosa di Dio verso l’uomo che si è allontanato sempre di più da lui. Questo continuo rincorrere l’uomo da parte di Dio si realizza in una persona specifica che è quella del figlio di Dio incarnato, Gesù Cristo, la mia fede in Gesù Cristo è l’unico presupposto che Dio ci chiede per poterci innestare nella via della salvezza. L’unico modo che ha l’uomo per collaborare all’opera della salvezza è quella di conformarsi sempre di più a Lui con una vera e propria sequela Christi, cioè porgere, mettere le nostre orme lasciate da Lui davanti a noi; Cristo inizia un percorso di liberazione e lascia dinanzi a noi le orme sulla sabbia dei suoi piedi perché anche noi possiamo seguirlo verso la via della liberazione totale. Ci sono tre espressioni attraverso il quale la sequela Christi diviene vita esistenziale, comportamento quotidiano, la via della fede, la via della speranza e la via della carità. La fede mi aiuta ad essere cosciente sempre di più di essere un figlio di Dio pronto ad essere responsabile della mia vita nei confronti di Dio e degli altri. La speranza mi riempie della sicurezza che alla fine del mondo quando ritornerà il Signore il giudice escatologico, il progetto di Dio si concluderà positivamente, cioè l’amore di Dio avrà la meglio sulle forze del male. La carità in fine fa del giustificato l’uomo che offre continuamente se stesso in favore degli altri, questo offrirsi dell’uomo nei confronti dell’altro noi possiamo identificare anche come “le opere buone” ma sempre tenendo presente che la mia opera compiuta attraverso la carità che viene da Dio e l’amore che è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato, non vale a guadagnarmi la via eterna. Ma la carità cristiana è una carità completamente gratuita, donata senza nessun tornaconto, affinché non solo si renda visibile Gesù Cristo attraverso la mia vita ma tutti diveniamo figli di Dio amati da Lui.

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SOMMARIO 1.

INTRODUZIONE................................................................................................................ 2

2. QUANDO NASCE LA RIFLESSIONE TEOLOGICA INTORNO ALL’UOMO E COME VIENE ALLA LUCE IL CONCETTO DI ANTROPOLOGIA TEOLOGICA................................................. 3 3.

ELEZIONE-PREDESTINAZIONE DELL’UOMO ................................................................ 7

4.

IL CONCETTO DI ELEZIONE E PREDESTINAZIONE NELLA SACRA SCRITTURA ......... 8

4.1.

PREDESTINAZIONE NELL’AT ........................................................................................................................... 8

4.2.

PREDESTINAZIONE NEL NT .............................................................................................................................10

5.

TEOLOGIA E MAGISTERO: TEMA DELLA PREDESTINAZIONE .................................. 14

6.

AMARTOCENTRISMO DI AGOSTINO LA DOPPIA PREDESTINAZIONE. ...................... 17

7.

ELEZIONE E PREDILEZIONE ........................................................................................ 24

8.

LA CREAZIONE: ANTICO TESTAMENTO ....................................................................... 29

9.

L’UOMO: CREATO A IMMAGINE E SOMIGLIANZA DI DIO ........................................... 32

10.

LA MEDIAZIONE DI GESÙ CRISTO NELLA CREAZIONE .......................................... 38

11.

IL TEMA DELLA CREAZIONE NELLA TEOLOGIA CRISTIANA................................. 46

12.

SITUAZIONE DEL XIII SECOLO E SAN TOMMASO .................................................... 53

13.

L’UOMO NELLA CREAZIONE ..................................................................................... 56

14.

DISCORSO SULL’ANTROPOS-STUDIO SULL’ESSERE UOMO INSERITO NEL MONDO 59

15.

DISCORSO SULL’ANTROPOS NEL NUOVO TESTAMENTO ......................................... 63

16.

DATO STORICO TEOLOGICO DEL MODELLO DI CRISTO NEI PADRI DELLA CHIESA 67

17.

PROBLEMATICA SUL RAPPORTO ANIMA E CORPO ................................................. 71

18.

CONCETTO DI PERSONA ............................................................................................. 74 109

19.

LA MODERNITÀ E LA CONTEMPORANEITÀ XIX E XX SECOLO .............................. 78

20.

L ‘UOMO PECCATORE ................................................................................................. 83

21.

IL PECCATO ORIGINALE ............................................................................................ 86

22.

LA GIUSTIFICAZIONE ................................................................................................ 88

22.1.

TESTI BIBLICI ANTICO TESTAMENTO ................................................................................................................88

22.2.

NUOVO TESTAMENTO......................................................................................................................................89

22.3.

PROBLEMATICA RIGUARDO SULLE OPERE BUONE COMPIUTE DALL’UOMO ............................................................90

22.4.

AUTORI VARI CHE HANNO AFFRONTATO IL TEMA DELLA GIUSTIFICAZIONE .........................................................91

23.

LA GIUSTIFICAZIONE NEL NUOVO TESTAMENTO ................................................... 93

24.

LEGAME ESISTENZIALE CON CRISTO ....................................................................... 94

25. CONSIDERAZIONI TEOLOGICHE DOGMATICHE SULLA GIUSTIFICAZIONE DEL PECCATORE E L’EFFETTO DELLA GRAZIA DI DIO NELL’UOMO PECCATORE INCAPACE DI SALVARSI DA SOLO. ....................................................................................................... 104

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