Agostino e il neoplatonismo cristiano
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CENTRO DI RICERCHE DI METAFISICA dell'Università Cattolica del Sacro Cuore Largo A. Gemelli, I - 1-20123 Milano

Comitato scientifico: Adriano Bausola Francesco Botturi Carla Gallicet Calvetti Alessandro Ghisalberti Virgilio Melchiorre Claudio Moreschini Angelo Pupi Giovanni Reale

Direttori: Adriano Bausola Giovanni Reale

Collana: «Platonismo e filosofia patristica. Studi e testi» direttori

Claudio Moreschini Giovanni Reale

segretari Giuseppe Girgenti Roberto Radice

Werner Beierwaltes

AGOSTINO e il Neoplatonismo cristiano

Prefazione e Introduzione di

Giovanni Reale Traduzione di

Giuseppe Girgenti e

Alessandro Trotta Indici a cura di

Giuseppe Girgenti

+

VITA E PENSIERO

Il titolo originale è quello italiano ( 1995).

Prima edizione: novembre 1995. Per le edizioni tedesche originali dei singoli saggi si vedano le indicazioni analitiche a pag. 211.

© 1995 - «Centro di Ricerche di Metafisica» e Vita e Pensiero Largo A. Gemelli, I - 20123 Milano ISBN 88-343-0569-8

A multis curre ad unum ... mane apud unum ... noli ire in inulta. Agostino, Sermo 96, 6, 6

Sommario

Prefazione di Giovanni Reale

9

Introduzione di Giovanni Reale L'AGOSTINO DI WERNER BEIERWALTES

11

Produzione scientifica di Werner Beierwaltes

37

AGOSTINO E IL NEOPLATONISMO CRISTIANO

45

I. Regio beatitudinis. Il concetto agostiniano di felicità

47

II. La dottrina agostiniana dell'Essere nell'interpretazione di «Ego sum qui sum» (Esodo 3, 14) e alcune precedenti concezioni

91

III. Creatio come posizione della differenza

121

IV. L'interpretazione di Agostino di Sapientia, 11, 21

143

VAequalitas numerosa. L'idea della bellezza in Agostino

159

VI. La metafisica del linguaggio di Agostino. Initium omnis operis verbum

187

Prefazione di Giovanni Reale

Questo libro di Werner Beierwaltes costituisce una novità, in quanto esce ora per la prima volta in questa forma. Da tempo conosco Beierwaltes e le sue opere, di cui ho promosso la traduzione in italiano, e delle quali parlerò in modo analitico nella Introduzione. Come ho già avuto occasione di dire altre volte, il merito principale di questo autore consiste nel!'aver dimostrato in maniera convincente l'importanza non solo storica, ma anche teoretica, del pensiero neoplatonico, ben al di là dello spazio e del tempo in cui è nato e fiorito, varcando le varie età: dall'Antichità· al Medioevo, dal Rinascimento alt'età moderna e contemporanea. La portata della Wirkungsgeschichte del Platonismo è di dimensioni eccezionali, e mai era stata studiata e spiegata nella maniera in cui ha cercato di/are Beierwaltes. In particolare, il Neoplatonismo cristiano non era stato mai studiato in modo così penetrante ed efficace, con le varie implicanze che esso comporta e con le conseguenze che ne derz·vano. Proprio mentre preparavo un lavoro sistematico sul De natura Eoni di Agostino, che io considero uno dei maggiori scritti del Platonismo cristiano, ho notato con grande stupore la presenza in esso di alcuni concetti-chiave delle «dottrine non scritte» di Platone. E nell'esame della letteratura critica concernente quest'opera ho costatato che proprio Beierwaltes per primo si è accorto di questo, e lo ha reso noto in un articolo, pubblicato in «Revue des Etudes Augustiniennes» nel 1969. In conseguenza di questo, ho letto e riletto con attenzione tutto quanto egli ha scritto su Agostino, sia in articoli" su riviste, sia in capitoli di altre sue opere. È emersa, in questo modo, una immagine ben precisa del pensiero filosofico agostiniano, riletto e interpretato secondo una precisa ottica filosofica del Platonismo cristiano, come ben poche volte accade di trovare nella pur ricchissima letteratura critica sul santo. I vari saggi di Beierwaltes su Agostino riguardano concetti specifici, articolati secondo una dettagliata trama che mette in risalto precisi nessi strutturali fra il pensiero antico e quello contemporaneo, sulla base di uno schema ermeneutico che egliapplica in tutte le sue opere, come meglio spiegherò nell'Introduzione.

10

PREFAZIONE

Il disegno che emerge da essi nel loro insieme risulta essere unitario e organico, e, di conseguenza, ho proposto all'autore di riunirli i·n /orma di libro. Egli ha volentieri accettato la proposta, ed è, nata così quest'opera, che offre al lettore il grande vantaggio di avere a 1disposizione tutti gli scritti di Beierwaltes su Agostino, alcuni dei .! quali - tra l'altro - non sono facili da reperire. . . Come ho già accennato e come dimostrerò nell'Introduzione, J questo libro non risulta essere una semplice raccolta in forma · miscellanea di scripta minora, perché da essi emerge una precisa unità di fondo, che è quella stessa che emerge da tutti gli altri volu~ mi di Beierwaltes, i quali sono costruiti sull'impianto strutturale della storia sistematica di concetti metafisici e gnoseologici di fondo. Gli originali sono stati rivisti dall'autore e sono presentati in nuova forma. I Traduttori, Giuseppe Girgenti e Alessandro Trotta, hanno seguito a lungo lezioni e seminari di Beierwaltes a Monaco di Baviera, e conoscono, quind~ non solo la lingua tedesca ma anche le idee dell'autore in modo specifico. In particolare, Girgenti ha già pubblicato alcune opere sul Platonismo pagano e cristiano; Trotta ha già tradotto due altre opere dello stesso Beierwaltes. Hanno lavorato in sintonia sotto la mia direzione, e le loro traduzioni sono state riviste e approvate da Beierwaltes. Ringrazio entrambi per il buon lavoro che hanno /atto (in particolare Girgentz~ che ha curato anche gli indici e ha seguito passo a passo la produzione grafico-editoriale), e il dott. Matteo Andol/o, per la collaborazione alla correzione delle bozze.

Giovanni Reale

Introduzione di Giovanni Re~le

L'Agostino di Werner Beierwaltes

1. Agostino è oggi l'autore più letto, sia fra gli antichi che fra i

moderni Crediamo che non ci sia un pensatore di qualsiasi epoca amato, letto e meditato come Agostino. Una casa editrice milanese! ha condotto una statistica sul ritmo e sulla frequenza di pubblicazione della letteratura agostiniana, giungendo ad esiti veramente strabilianti: è risultato, infatti, che di o su Agostino si pubblica, in media, un'opera ogni giorno. Nemmeno il grande Platone, probabilmente, giunge a tanto. Eppure, malgrado questo, il pensiero propriamente ft'loso/ico di Agostino si può dire che sia conosciuto in maniera spesso approssimativa e parziale, e quindi, in varia misura, riduttiva. Perché questo? La risposta che si può dare, a mio avviso, è piuttosto precisa, per le ragioni che cercherò di mettere a punto. Agostino è molto letto e studiato da una serie di persone che hanno interessi e competenze fra di loro completamente di/ferenti. In effetti, Agostino scrisse opere che riguardano, non solo la filosofia, la teologia in senso stretto, la polemica contro varie eresie, ma anche l'apologetica, l'esegesi dell'Antico e del Nuovo Testamento, la problematica pastorale e la mistica. Lasciamo qui da parte tutti quegli studi che si occupano di tutte le problematiche non propriamente filosofiche, che quindi non rientrano nel nostro àmbito, e concentriamoci sulle varie indagini che mirano alla comprensione filosofica del pensiero di Agostino. Ebbene, i vari studiosi che cercano di interpretare il pensiero filosofico di Agostino si possono dividere in gruppi e sottogruppi piuttosto complessi, che ora cercherò di caratterizzare in modo conveniente.

1 Editrice

bibliografica.

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GIOVANNI REALE

2. Una prima suddivisione degli interpreti del pensiero di Agostino 1) Un primo gruppo di studiosi è costituito da quelli che non hanno né interessi né competenze specifiche per la problematica religiosa, e, comunque, interpretano la filosofia, in generale e in particolare, in modo puramente o prevalèntemente razionalistico. Questi studiosi leggono Agostino e lo interpretano, cercando di estrapolare tutta una serie di filosofemi che considerano razionalmente giustificabili e quindi autonomi nell'ottica del puro logos. 2) Un secondo gruppo di studiosi è costituito, invece, da coloro che si rendono ben conto che tutta una gamma di problemi e di concetti che rientrano nel pensiero filosofico non si riducono affatto a filosofemi razionalistici. Anzi, si può ben dire che la cifra emblematica del pensiero filosofico di Agostino in senso globale sia da lui stesso espressa nella ben nota formula: credo ut t'ntellegam, intellego ut credam2• Io sono profondamente convinto del fatto che chi non sa entrare in questo circolo ermeneutico, e non comprende che la dialettica circolare del pensare e credere è la struttura fondativa della filosofia di Agostino non è in grado di comprendere le opere agostiniane, nemmeno quelle considerate propriamente o prevalentemente filosofiche, o, in ogni caso, le comprende in maniera dimezzata e monca3.

3. Una ulteriore e più articolata distinzione degli interpreti del pensiero filosofico di Agostino Il secondo gruppo di interpreti che ho sopra illustrato è ulteriormente differenziabile in tre sottogruppi, sia pure in modo approssimativo. 1) Alcuni studiosi (specie in passato, ma in buona misura ancora oggi) leggono e interpretano la filosofia agostiniana nel1'ottica della filosofia medievale. 2 La prima formulazione concettuale di questo «circolo ermeneutico» si trova già nella prima opera di Agostino: Contra academicos, III 20, 43; cfr. anche De ordine, II 9, 26. 3 Si veda, a questo proposito, quanto diciamo nell'articolo Agostino e il "Contra Academicos", in AA. VV., I:opera letteraria di Agostino tra Cassz'ciacum e Milano. Agostino nelle terre di Ambrogio, Edizioni Augustinus, Palermo 1987, pp. 13-30.

INTRODUZIONE

15

Ora, è senza dubbio vero che il pensiero di Agostino costituisce uno degli assi portanti del pensiero medievale. Ma l'Agostino medievale non è l'Agostino storico, ma costituisce un cospicuo ripensamento e una vera e propria reinterpretazione dell'Agostino storico. Leggere Agostino in quest'ottica significa leggerlo in maniera sbilanciata nell'ottica della sua Wirkungsgeschichte, con tutte le con_seguenze che questo comporta. E ormai ben noto, infatti, che, nella storia degli influssi, un autore, in particolare un autore come il nostro, genera effetti che lautore stesso non poteva prevedere. E siamo d'accordo sul fatto che gli effetti prodotti dall'autore e dall'opera da interpretare si impongono, in ogni caso, come condizioni di notevole .Peso per l'interpretazione dell'autore stesso e della sua opera. H.G. Gadamer, come è noto, ha in modo incontestabile dimostrato che nell'istante stesso in cui ci accingiamo a interpretare un'opera, noi siamo sottoposti agli effetti della Wirkungsgeschichte per ragioni strutturali4. Ma siamo anche convinti del fatto che la ricostruzione del significato storico di un'opera, per essere il più possibile «oggettiva», o comunque per cercare di essere tale, deve a poco a poco liberarsi, nella misura del possibile, da tali condizionamenti. E questo mi sembra essere possibile nel modo che sotto cercherò di spiegare. 2) Altri studiosi cercano di studiare le opere di Agostino con un metodo interpretativo che alcuni studiosi tedeschi chiamano «immanente», ossia rimanendo all'interno delle opere dello stesso autore, e dunque cercando di interpretare Agostino con Agostino, con la messa in atto di una rete di passi paralleli, delle articolazioni e degli sviluppi delle varie problematiche confrontando opera con opera. 3) Altri studiosi, infine, cercano di interpretare il pensiero di Agostino calandolo in quella precisa temperie culturale in cui è nato e in cui si è sviluppato. In altri termini, si cerca di individuare le fonti in modo sistematico.

4 H.G. Gadamer, Verità e me 19832, in particolare pp. 312-437.

16

GIOVANNI REALE

4. Un'ulteriore importante distinzione di carattere metodologico Tenga presente il lettore che, a proposito del terzo punto di cui ho ora parlato, va fatta una ulteriore e molto importante distinzione, che vale non solo per il nostro caso specifico, ma in generale dal punto di vista metodologico. L'impostazione e quindi la soluzione del problema delle fonti può essere fatta in due modi molto diversi fra loro. · a) Si può fare una ricerca delle fonti con metodi ispirati all'empirismo positivistico, cercando, cioè, di ritrovare corrispondenze verbali fra le fonti e chi da esse ha attinto5. b) Oppure, si può fare una ricerca delle fonti con criteri assai più raffinati e articolati, puntando ben più che sulle corrispondenze verbali, sulle corrispondenze concçttuali, e quindi cercando di comprendere il significato dei concetti delle fonti e le precise valenze che quei concetti assumono nel ripensamento di chi li ha attinti e fatti propri, e quindi muovendosi nell'ottica della storia dei concetti e non delle parole6.

5. La fonte del pensiero filosofico agostiniano Come è ben noto, la fonte più significativa del pensiero agostiniano è costituita dal Platonismo e dal N eoplatonismo7. · Ora, come è pure ben noto, l'età moderna ha a lungo trascurato l'indagine su questo settore del pensiero antico, e solo da pochi decenni, per non dire addirittura da pochi lustri, la storia del Platonismo e del Neoplatonismo è tornata alla ribalta e si è imposta in primo piano nell'ambito delle ricerche. Ebbene, è chiaro che, se non si comprende bene la fonte dal punto di vista concettuale, non si comprendono in modo adeguato né le ragioni per cui chi ha attinto ha attinto, né gli sviluppi teoretici che ne ha tratto. La storia della filosofia è storia di idee e non difatti, e quindi la 5

Questo tipo di ricerche meccaniche, oggi estremamente semplificate con i

computers, vanno ben poco al di là della funzione strumentale nelle ricerche filosofiche. 6 Se non si compie questo passo ulteriore, si può, al massimo, fare lavori di mera dossografia, scarsamente significativa dal punto di vista propriamente filosofico. 7 È appena il caso di ricordare che Cicerone ha avuto pure una importanza essenziale per l'ingresso di Agostino nella filosofia, ma per giungere al cuore dei problemi di fondo solo i Platonici sono stati determinanti.

INTRODUZIONE

17

Quellenforschung va fatta con metodi ben più profondi di quelli positivistici. E così giungo al punto cui volevo pervenire. Il metodo di gran lunga più fecondo e corretto per intendere Agostino filosofo è certamente quest'ultimo, ossia il metodo della Quellen/orschung concettuale, in quanto solo mediante esso si può giungere alle radici teoretiche del suo pensiero. Ed ecco, allora, le condizioni che si impongono come preliminarmente necessarie. In primo luogo, l'interprete di Agostino deve avere una cospicua conoscenza del Platonismo e del Neoplatonismo, che è tutt'altro che facile da raggiungere, come i nuovi studi stanno dimostrando ad abundantiam. In passato, si è verificato che alcuni studiosi si limitavano alla lettura di dialoghi platonici e delle Enneadi di Plotino, secondo un'ottica decisamente obsoleta, mentre occorre molto di più: occorre la conoscenza delle platoniche dottrine non scritte, della precisa posizione assunta da Porfirio e della sua importanza proprio per capire la posizione dei pensatori cristiani, e infine la comprensione dei complessi sviluppi del Neoplatonismo da Plotino in poi. Inoltre, l'interprete di Agostino deve avere una dimestichezza con la problematica religiosa, e con i suoi nessi strutturali con il logos: questioni, queste, determinanti sia nel Platonismo e nel Neoplatonismo, sia, e, ancor più, in Agostino .. Infine, occorre che l'interprete di Agostino possegga dimestichezza con la tematica metafisica, con adeguata comprensione della dimensione e della portata dei suoi problemi. E davvero gli interpreti che rispondano in modo conveniente a queste esigenze non sono molti.

6. La figura di studioso di Werner Beierwaltes Beierwaltes si è ormai imposto da alcuni anni, a livello internazionale, come interprete non solo del Neoplatonismo, ma anche dei suo influssi, e anche come interprete del pensiero proto-cristiano, fortemente ispirato al Platonismo, e dei vari problemi ad esso connessi. Il «Centro di Ricerche di Metafisica>> dell'Università Cattolica ha già pubblicato ben sei sue opere, e oltre a questa settima, in prima assoluta in forma di volume, ne ha in programma un'ottava.

18

GIOVANNI REALE

Ho già più volte presentato questi volumi, ma in questo caso ritengo necessario richiamare alcune idee già espresse, che penso necessarie per far comprendere la novità e l'importanza del libro che sto presentando. Il primo dei volumi curato dal «Centro di Ricerche di Metafisica» è il celebre Proclos. Con quest'opera Beierwaltes ha veramente rovesciato tutta una serie di canoni ormai veramente obsoleti con cui si trattava questo autore, e messo fuori gioco tutta una serie di pregiudizi (empiristici, razionalistici, positivistici) che in età moderna e per molti decenni anche nel nostro secolo hanno provocato un vero e proprio rigetto di questo autore, e quindi una vera e propria dimenticanza di un momento essenziale della storia del pensiero occidentale. Beierwaltes interpreta il pensiero di Proclo come un sistema ontologico dell'identità, ma inteso in una dimensione ben diversa da una forma di monismo panteistico: questa ontologia dell'identità (ma io preferirei la formula metafisica dell'identità) implica una assai complessa articolazione relazionale e dinamica dell'Unità e dei suoi nessi con la Molteplicità, secondo una precisa scansione dialettica circolare della «manenza», della «processione» e della «conversione» o «ritorno», che, sia pure su differente piano, anticipa la triade dialettica hegeliana. Proclo viene, così, a ricuperare quella statura di pensatore che gli compete, e che spiega le ragioni dei suoi influssi esercitati a vari livelli. La seconda opera pubblicata dal «Centro di Ricerche di Metafisica» è Identità e di/ferenza9, in cui Beierwaltes traccia un tragitto significativo della storia del problema identità-differenza a partire dagli antichi, in particolare Platone e Proclo, passando attraverso autori cristiani tardo-antichi quali pseudo Dionigi Areopagita, Mario Vittorino, Agostino, e poi attraverso Meister Eckhart, Cusano e Giordano Bruno, fino a giungere a filosofi moderni quali Schelling e Hegel, e ai contemporanei Adorno e Heidegger.

8 Proklos. Grundzuge seiner Metaphysik, Vittorio Klostermann, Frankfurt am Main 1965, 19792 ; edizione italiana: Proclo. I fondamenti della sua metafisica, Introduzione di G. Reale, traduzione di N. Scotti, Vita e Pensiero, Milano 1988, 19903. 9 Identiti.it und Differenz, Vittorio Klostermann, Frankfurt am Main 1980; edizione italiana: Identità e differenza, Introduzione di A. Bausola, traduzione di S. Saini 1989.

INTRODUZIONE

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In questo libro Beierwaltes porta in primo piano una sua tesi veràmente dirompente: proprio la storia di questi concetti dimostra infondata la tesi di Heidegger secondo cui la storia della metafisica occidentale coinciderebbe con una storia della dimenticanza dell'essere confuso con l'ente. Un ricupero di questa problematica nel suo giusto senso (in cui Agostino stesso gioca un ruolo essenziale) rovescerebbe la tesi di Heidegger e indicherebbe la via da battere per risolvere certi problemi da lui sollevati in un senso opposto rispetto a quello da lui proposto 10 • Ecco le parole stesse di Be!erwaltes: «Se con "differenza ontologica" si intende la distinzione tra "essere" ed "essere dell'ente", dove la distinzione è proprio ciò che produce la loro differenza, se inoltre il "nulla", "che originariamente è la stessa cosa dell' essere", deve essere pensato come il "totalmente altro dall'ente" o come "il non dell'ente", allora mi sembra legittima la domanda: l'intento del concetto neoplatonico dell'Uno e degli enigmatici nomi cusaniani del principio (non aliud, idem, possest) non è proprio quello di mettere anzitutto in evidenza l'assoluta differenza proprio di questo principio da ogni ente e non solo di "rappresentare" qualcosa di superlativamente "differente" che fosse incluso all'interno della stessa dimensione, cioè insieme ali' ente?»11. Il terzo volume di Beierwaltes pubblicato dal «Centro di Ricerche di Metafisica» è il Pensare l'Una12, in cui egli riprende e approfondisce in vario modo quella metafisica dell'Uno inteso nella dimensione dinamico-relazionale, con una serie di capitoli dedicati a Plotino e a Proclo, e con capitoli specifici dedicati a Boezio, Scoto Eriugena, Scuola di Chartres, Bonaventura, Cusano, Bruno e al pensiero contemporaneo. Oltre agli approfondimenti che Beierwaltes fa di specifici concetti metafisici, per la segnalazione dei quali rimando alla mia introduzione a questo volumeB, richiamo qui il notevole spicco di alcune sue riflessioni sul concetto di Trinità. L' autodispiegarsi 10 Ident;tà

e differenza, pp. 365-378. e differenza, pp. 369 s. 12 Denken des Einen. Studien zur neuplatonischen Philosophie und ihrer Wirkungsgeschichte, Vittorio Klostermann, Frankfurt am Main 1985; edizione italiana: Pensare l'Uno. Studi sulla filosofia neoplatonica e sulla storia dei suoi in/lussi, Introduzione di G. Reale, traduzione di M.L. Gatti, Vita e Pensiero, Milano 1991, 19922. 13 Cfr. ibid., pp. 9-20. 11 Identità

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dell'Uno sta alla base dell'interpretazione in chiave neoplatonica dell'unità e della distinzione trinitaria. L'Uno-Dio come autorelazione pensante, amante e volente, e quindi come assoluta unità nella distinzione triadica, non sarebbe concepibile né esprimibile se non sulla base della recezione del Neoplatonismo nell'ambito del pensiero cristiano, e quindi sulla base della Wirkungsgeschichte del concetto dell'Uno con la relativa dialettica della sua relazionalità dinamica14. Il quarto volume pubblicato dal «Centro di Ricerche di Metafisica» è Plotino, nato da una serie di lezioni tenute da Beierwaltes nell'Università Cattolica di Milano15. La filosofia di Plotino viene presentata come una riflessione filosofica di perenne validità intorno ai fondamenti ultimi della realtà, che rivela la dimensione e la portata costruttiva e trasformante del contemplato per l'uomo che sa contemplarlo. Per Plotino, pertanto, il contemplare l'Uno si trasforma in un vivere l'Uno stesso nella dimensione più piena e più ricca16. Anche in questa sua viva e sintetica opera, Beierwaltes punta, oltre che sull'autore, sulla Wirkungsgeschichte del suo pensiero, richiamando le figure di Mario Vittorino, Agostino, Marsilio Ficino e John Keats17. Gli ultimi due volumi pubblicati sono interpretazioni con commentari (insieme al testo greco con traduzione a fronte) di due trattati delle Enneadi plotiniane: Eternità e tempo, che riguarda Enneade III 71s e Autoconoscenza ed esperienza dell'Unità, che riguarda Enneade V 319.

14 Cfr. in particolare Pensare l'Uno, pp. 289-359. 15 Plotino. Un cammino di liberazione verso l'interiorità,

lo Spirito e l'Uno, Introduzione di G. Reale, traduzione di E. Peroli, Vita e Pensiero, Milano 1993 (volume disponibile solo in italiano). 16 Cfr soprattutto ibid., pp. 37-67. 17 Cfr. soprattutto ibid., pp. 69-95. 18 Plotin. Uber Ewigkeit und Zeit (Enneade III 7), Vittotio Klostermann, Frankfurt am Main 1967, 19813; edizione italiana: Eternità e tempo. Plotino, Enneade III 7. Saggio introduttivo, testo con traduzione e commento, Introduzione di G. Reale, traduzione di A. Trotta, Vita e Pensiero, Milano 1995. 19 Selbsterkenntnis und Er/ahrung der Einheit, Vittorio Klostermann, Frankfurt am Main 1991; edizione italiana: Autoconoscenza ed esperienza dell'Unità. Plotino, Enneade V 3. Saggio interpretativo, testo con traduzione e note esplicative, Introduzione di G. Reale, traduzione di A. Trotta, Vita e Pensiero, Milano 1995.

INTRODUZIONE

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Poiché si tratta di opere che entrano in concetti specifici molto dettagliati, che non si prestano ad essere riassunti in poche righe, rimando il lettore interessato alle mie introduzioni sia al primo volumezo, sia al secondo21, Oltre all'Agostino, di cui subito dirò, è già in pronto anche una ottava opera, l'ultima che Beierwaltes ha pubblicato, che contiene i suoi innovativi studi su Scoto Eriugena, e che va in stampa subito dopo questa22.

7. La posizione teoretica di Werner Beierwaltes Qualche studioso nel leggere i libri di Beierwaltes trae l'impressione di trovarsi di fronte ad un pensatore che ha precise tangenze con Schelling e con Hegel2J. Ma questo è errato. Beierwaltes è un Platonico, o, meglio, un Neoplatonico. Il suo, però, non è un semplice ritorno all'antico, ma, all'opposto, un far tornare l'antico nel moderno e nel contemporaneo. Ritengo opportuno chiarire con le sue stesse parole due puntichiave del suo pensiero. In primo luogo, va rilevato che lo strumento di cui si avvale nelle sue ricerche e nel suo pensare è quello della storia di alcuni concetti di base, che ruotano attorno a quelli di Uno-Molti e Identità-Differenza. Ecco le sue stesse parole: «La "storia del concetto" non è un puro accidente di un filosofare che si concepisce "sistematico", ossia "teoretico"; L'accertamento storico del pensare è, anzi, essenziale ad esso stesso, e viceversa loggetto del pensiero è presente anche al suo autochiarimento storico. Entrambi i processi dovrebbero formare una unità dialettica. Per questo conviene anche ad una filosofia ermeneutica aperta in modo esplicito alla prop,ria storia, che la storia del concetto "faccia parte dell'esecuzione della filosofia", o che sia anche un modo di filosofare>>24. 20 Cfr.

Eternità e tempo, pp. 7-24.

21 Cfr. Autoconoscenza ed esperienza dell'Unità, pp. 9-28. Eriugena. Grundziige seines Denkens, Vittorio Klostermann, Frankfurt am Main 1994. 22

23 A questi filosofi Beierwaltes ha dedicato molta attenzione, così come al pensiero contemporaneo, ma sempre nell'ottica della Wirkungsgeschichte di alcuni concetti base del Platonismo. 24 Identità e differenza, p. 83.

22

GIOVANNI REALE

Riferendosi, in particolare, alle sue indagini sui concetti di identità e differenza e al modo in cui si collegano a precisi aspetti della storia del problema e si articolano, precisa che questo avviene «non in modo tale che venga asserita una totale invarianza storica della questione intorno ad identità e differenza, ma in modo tale che divenga chiaro il motivo per cui le questioni di volta in volta diverse possano sulla base dei loro presupposti storici essere pensate come trasformazioni dell'identico»25. E riassumendo l'ottica di base del suo pensiero come l'ha messa in atto oltre che in Identità e differenza anche in Pensare l'Uno, Beierwaltes precisa in modo assai chiaro quanto segue: «La storia dei concetti, così come l'ho attuata in Identitlit und Dzf/erenz e in Denken des Einen, non costituisce per me un mero accidente all'interno di un filosofare sorretto da un'intenzione teoretica. La prassi ermeneutica, che procede anche come storia dei concetti, compete piuttosto all'attuarsi stesso della filosofia, o costituisce essa stessa una modalità del filosofare che ha acquistato piena coscienza della propria storicità e che cerca in essa e mediante essa di entrare in rapporto con la verità del pensato>>26. E le diverse cose che egli discute sono tutte quante considerate come un modo di vedere platonico in sé differenziato. Ma al lettore di un libro su Agostino viene subito in mente la questione ermeneutica dei rapporti della lontananza e della vicinanza, e dei modi in cui vengono intesi e messi in atto. Beierwaltes dice esplicitamente che la vicinanza nella lontananza è sempre stato un motivo conduttore nel suo lavoro, sia implicitamente sia esplicitamente. E in una pagina che spesso richiamo, ma che proprio nel nostro caso risulta determinante e che dunque devo riproporre, precisa quanto segue: «È solo a partire dalla consapevolezza di una differenza ermeneutica che ci separa dal passato, e al tempo stesso del tentativo operato in senso immanente o esplicito del soggetto della comprensione di mettere in relazione ciò che è passato, diverso, ciò che gli appare come estraneo, con problematiche posteriori o attuali del filosofare, che rende possibile un'appropriazione critica e al tempo stesso produttiva di un pensiero. Questa può forse essere in grado si intaccare la crosta della storia che copre e appesantisce un'idea. Una tale forma in sé eminentemente complessa di media25 Ibidem. 2 6 W. Beierwaltes, Unità e differenza come cammino del pensiero, in AA. VV., L'Uno e i Molti, a cura di V. Melchiorre, Vita e Pensiero, Milano 1990, p. 30.

INTRODUZIONE

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zione di ciò che è trascorso ed estraneo in ciò che è proprio e del proprio nel diverso, costituisce l'unico mezzo per richiamare la possibile presenza del passato e con ciò anche le dimensioni che il suo significato può assumere per il pensiero contemporaneo. Non più dunque qualcosa di estraniato, di rigettato nella lontananza dalla pretesa di un'oggettività soltanto apparente, e dunque di propriamente lasciato e abbandonato al suo essere trascorso, ma qualcosa di reso presente a partire dalla storia e in prospettiva dell'oggetto, la presenza di un'idea che sta in rapporto dialettico col suo punto d'origine: è solo questo ciò che affascina e che in un'interpretazione è in grado di portare ad un coinvolgimento attivo con la cosa stessa e con la verità che in essa giunge a mani, festarsi>>27. E, con questo, il lettore ha in mano la chiave di volta, per la comprensione di quanto Beierwaltes dirà di ·Agostino e di come lo dirà. Proprio nel primo dei saggi sulla felicità, egli parte da posizioni del pensiero contemporaneo sulla felicità, che in vario modo cerca di rimuovere e di trasformare con tutta una serie di conseguenze negative e presenta il pensiero di Agostino su questa problematica come quel polo dialettico positivo che può rimettere in moto questa problematica nella giusta direzione con un ricupero del perduto. Leggiamo in anticipo le sue precise dichiarazioni: «Prendere in considerazione queste antiche riflessioni [scil.: dei Platonici e di Agostino] non risponde ad un interesse meramente storico: esse potrebbero infatti richiamare alla memoria qualcosa che manca all'epoca presente, qualcosa di cui l'epoca presente dovrebbe essere consapevole. Ora come allora, infatti, è in gioco una concezione che è decisiva per l'uomo e per la sua realizzazione. Una scelta per l'una o per l'altra alternativa sarebbe peraltro assurda. Cercare di modificare il pensiero contemporaneo mediante il passato è compito centrale della filosofta» 28 • Quest'ultima frase contiene un messaggio veramente emblematico: tutte le ricerche sul pensiero antico, e, nel nostro caso, su Agostino, acquistano un loro preciso senso e una attualità straordinaria, proprio nella misura in cui contribuiscono a modificare il pensiero contemporaneo, richiamando alla memoria ciò che via via si vorrebbe dichiarare insignificante o comunque dimenticare. 21 Ibid.,

28 Infra,

pp. 29 s. p. 50.

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8. I..:Agostino di Werner Beierwaltes Secondo Beierwaltes Agostino costituisce un esempio molto significativo (e, sotto certi aspetti, il più significativo) di una simbiosi, o, se si preferisce, di una mediazione sintetica fra Platonismo e Cristianesimo, che, però, non è facile e talvolta decisamente difficile da comprendere. Ma non è davvero semplice trovare altri pensatori cristiani che, nella loro «conversione», siano passati proprio attraverso la filosofia, e in particolare attraverso il Platonismo, come ha fatto Agostino. In primo luogo, va ricordato come l'Ortensio di Cicerone abbia mutato il suo modo di pensare in modo strutturale; e si ricordi che quest'opera, a giudicare dai frammenti pervenutici, era ispirata ad Aristotele, che esprimeva anche idee fortemente platoniche. In secondo luogo, decisivi sono stati i «libri dei Platonici>>29. Beierwaltes ritiene dimostrabile, al di là di ogni dubbio, «che Agostino ha conosciuto entrambi i principali rappresentanti della filosofia neoplatonica, Plotino e Porfirio: Plotino grazie alla traduzione di Mario Vittorino, che fu il tramite attraverso il quale Agostino acquisì certe premesse filosofiche, la cui importanza è decisiva per la sua speculazione trinitaria; Plotino era presente inoltre nelle prediche di Ambrogio a Milano nonché nei suoi scritti De Isaac et anima e De bono mortis, e il vescovo milanese ha avuto, come è noto, un ruolo significativo nella conversione di Agostino. Con Porfirio Agostino si confronta esplicitamente. L'originaria adesione alla filosofia platonica o neoplatonica, perché capace di aiutare la comprensione del significato della "sapientia Christi", per Agostino è così grande che che egli può dire "nonnulli nobis quam isti propius accesserunt", "nessuno si avvicinato a noi più di costoro", ovvero i Platonici. Se si cambiassero soltanto poche parole o poche frasi - dice Agostino nel De vera religione - potrebbero diventare cristiani, come in effetti la maggior parte dei filosofi di oggi ha fatto>>3o.

29 Beierwaltes non ha dubbi che per «Platonici» si debbano intendere Plotino e Porfirio a ugual titolo. Ma noi sospettiamo che il plurale possa includere anche altri nomi. 30 Plotino. Un cammino di liberazione.. ., pp. 75 s.

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Giustamente, Beierwaltes richiama un passo-chiave delle Confessioni, in cui Agostino mette bene in rilievo la convergenza e la divergenza fra Platonici e Cristiani31. Da un lato, egli rileva la straordinaria assonanza fra il prologo del Vangelo di Giovanni, in particolare nella affermazione in principio erat verbum et verbum erat apud Deum et verbum erat Deusn, e il concetto dell'arché e del logos, con questo preciso significato: «che esiste ad opera di un principio spirituale, il quale fonda la totalità dell'essere, la regola e la fa essere intelligibile (cioè comprensibile come gradino nel ritorno del pensiero a se stesso·e al proprio fondamento)>>33. Ma il punto chiave che differenzia i Platonici dai Cristiani era l'incarnazione di Cristo, ossia che Dio si è fatto uomo per salvare l'uomo stesso, non solo non c'è nei libri dei Platonici, ma implica un capovolgimento di un punto-chiave del pensiero greco che crede nell'autarchia pressoché assoluta della ragione dell'uomo, e quindi implica una metabasis eis allo genos34. Una metabasis, questa, che non annulla affatto l'importanza della ragione, ma ne delimita in modo ben preciso i contorni, capovolgendo quella hybris ellenica, e insegna all'uomo il significato e la portata dell'umiltà. . Beierwaltes studia Agostino con lo stesso criterio con cui stu dia gli altri autori, ossia fissandosi su alcuni concetti-chiave impostati e sviluppati in quell'ottica della Wirkungsgeschichte che ho sopra precisato, e quindi quei concetti sopra esposti non vengono approfonditi, ma restano sullo sfondo e in modo determinante, o ripresi, là dove occorre, con l' evidenziazione del loro ruolo di fondamento. Questo libro è stato approntato dall'Autore su mio invito, come ho detto nella Prefazione, con il medesimo criterio con cui è nata la maggior parte dei suoi altri volumi. In generale, infatti, Beierwaltes scrive i capitoli dei suoi libri come studi che pubblica spesso anche a se stanti. Nel nostro caso, dei sei capitoli quattro sono studi pubblicati a parte su riviste35, due sono capitoli di altri 31 Con/essiones, VII 9; cfr. De civitate Dei, X 29. 32 Cfr.

Plotino. Un cammino di liberazione ... , pp. 76 ss.

33 Ibid., p. 77. 34 Implica l'accettazione della fede, con tutte le conseguenze che essa comporta.

35 Capitolo I: Regio beatitudinis. Zu Augustins Begriff des gliicklichen Lebens, Heidelberg 1981; capitolo IV: Augustins Interpretation van Sapientia 11, 21, «Revue des Études Augustiniennes», 15 (1969), pp. 51-61; capitolo V: Aequalitas numerosa.

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libri36, Il tutto è presentato in nuova forma tipografica, con alcuni ritocchi. Non si tratta, però, di una raccolta di saggi sul tipo di quelle che spesso accade di trovare, come ho già sopra rilevato, in quanto c'è una unità non solo dei concetti di fondo, ma anche dell'impostazione e del metodo seguito, che danno all'opera una profonda unità, di cui ho già sopra detto e che qui metto in rilievo in modo analitico. Le tematiche attorno alle quali ruotano i sei scritti sono sostanzialmente tre: 1) il problema della felicità, con le sue implicanze e conseguenzen, 2) il problema della teoria agostiniana della bellezza e del giudizio estetico3s, 3) la tematica metafisica di Dio come supremo Essere e del teorema della creazione con i vari concetti ad esso connessi, nonché la complessa tematica della metafisica del linguaggio39. Nella trattazione di questi temi, in particolare per i primi due, Beierwaltes parte proprio da alcune idee dell'uomo d'oggi distruttive o comunque eversive di queste tematiche, e fa ben vedere come proprio un ricupero di certi pensieri agostiniani può contribuire ad un ricupero di elementi di base che potrebbero modificare il pensiero contemporaneo. E questo, si noti bene, viene fatto non già in quel modo astratto che è proprio di certo assai diffuso teoreticismo, ma in modo concreto e vivo, sulla base dei testi dell'autore e delle sue fonti originarie, ossia appunto in quella dimensione storico-filosofica che ho sopra illustrato in vario modo. Vediamo di tratteggiare in breve alcune linee essenziali di questi concetti.

Zu Augustins Begri/f des Schonen, «Wissenschaft und Weisheit», 38 (1975), pp. 140157; capitolo VI: Zu Augustins Metaphysik der Sprache, «Augustinian Studies», 2 (1971), pp. 179-195. 36 Si tratta di una parte (sez. II e III) del primo capitolo di Platonismus und Idealismus (1972), pubblicato anche in traduzione italiana da Il Mulino (1987), qui, però, ritradotta ex novo, e presentata in nuova forma; e di un capitolo tratto da Identità e differenza (pp. 111-133 dell'edizione italiana), anche questo, però, ritradotto ex novo e presentato in nuova forma. 37 Cfr. Capitolo I, pp. 47 -90. 38 Cfr. Capitolo V, pp. 159-186. 39 Cfr. Capitoli II, III, IV e VI., pp 91-157 e 187 -207.

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9. Il problema della felicità («regio beatitudinis») Nel primo saggio, assai ricco, Beierwaltes imposta e discute il problema della felicità4o. Come è noto, tutto il pensiero antico aveva considerato la filosofia proprio come la via che porta alla ricerca e al conseguimento della felicità, sia pure in modo più o meno marcato, ma comunque costante. Invece, questa tematica è diventata problematica nel corso della filosofia moderna e contemporanea, e da alcuni è stata pressoché esclusa o comunque trascurata. Ricordo che qualcuno, a livello giornalistico, è giunto addirittura a sostenere che il termine stesso di «felicità» andasse eliminato, come qualcosa che apparteneva solo alle illusioni del passato (illusioni oggi puerili), e quindi sostituito con altri termini, fra cui campeggiava quello del «benessere». Per converso, altri, a livello filosofico, hanno ricominciato a riporsi il problema, ma poche vblte in modo corretto. Beierwaltes ricorda in particolare quanto segue: «Non sempre però all'interno della riflessione contemporanea il problema della felicità si presenta come tale: esso sta piuttosto alla base di altre istanze (in campo psicologico, sociologico e politico) e costituisce il fine cui esse sono dirette. Tali istanze possono essere ritrascritte in questo modo: ricerca di identità da parte dell'uomo; emancipazione dalle costrizioni di una società tecnicizzata, burocratizzata, completamente orientata ad uno scopo, da una società che reprime l'individuo; superamento dell'alienazione cui l'uomo è sottoposto nel suo ambiente di lavoro; massimizzazione del piacere contro la repressione degli istinti; liberazione dalla repressione politica e dall'indottrinamento ideologico; riconquista di talune qualità estetiche che rendono umana la nostra esistenza. In generale: la realizzazione della vera umanità dell'uomo, della condizione, cioè, nella quale l'uomo realizza se stesso, ciò che gli è proprio; la costituzione di una società nella quale la "ricerca della felicità" (the pursuit o/ happiness) non può decadere fino al punto di essere citato quale diritto fondamentale solo in termini ironici »41. Ebbene, giustamente Beierwaltes rileva che questo modo di procedere con simili espressioni è di carattere puramente utopi40Cfr. pp. 47-90. 4l Infra, p. 48 s.

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stico, e quindi può provocare scetticismo più o meno totale circa la realizzabilità degli intenti. Se l'uomo non ricupera la precisa idea del suo telos, senza sovradeterminarlo in maniera utopica, può ricuperare il giusto senso della felicità e del suo realizzarsi. Beierwaltes traccia quindi una nutrita carrellata sul modo di intendere la felicità fondata sul conoscere che va dagli antichi poeti greci a Aristotele, Platone, fino a Plotino, che rappresentava la vita felice nella visione dell'Uno, che, mediante la trasformazione dell'anima in Spirito si unifica con l'Uno medesimo, per giungere, infine, alla posizione di Agostino. Ed ecco il pensiero-chiave di Agostino: «Mezzo e fine del desiderio della vita felice è la riflessione sulla sapienza (sapientia) e sulla verità (veritas) di Dio che si realizza nel pensiero di sé come immutabile unità. Ulteriore determinazione della tesi Deum qui habet, beatus est è quindi la seguente: se qualcuno "ha" Dio, ha la verità o la sapienza stessa. Agostino esprime questa concezione in modo significativo: "la vita felice è gioia della verità. Ma questo è gioia di te, di te che sei la verità ... "»42. E il mezzo per raggiungere questo, ossia 44. 42 Infra, p. 70. 43 Infra, p. 68. 44 Infra, p. 88.

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Insomma: «la felicità non dipende da soggettivismi o da stati d'animo e sentimenti in fondo volubili, né da una "verità" che si risolve nel relativismo storico, ma dipende, piuttosto, dalla conoscenza di un'idea che permane e si dimostra vincolante e determinante, nonostante le sue trasformazioni storiche»45. Beierwaltes in questo suo saggio fa richiamo al concetto di «misura», ma in subordine. Lo richiama invece in un altro suo saggio46. Ma nel De vita beata Agostino lo pone al vertice, e, per concludere su questo tema, voglio richiamare alcune delle parole conclusive di Agostino, che, mi pare, possono completare mirabilmente quanto Beierwaltes dice nel suo saggio: «Che cosa credete che sia la sapienza se non la verità? E anche questo è stato detto: "Io sono la verità". Ora, perché ci sia, la verità deve derivare da una misura suprema, da cui procede e a cui, realizzatasi in modo perfetto, fa ritorno. E al di sopra della Misura suprema non sta alcun' altra misura: infatti, se la misura suprema è misura a motivo della misura suprema medesima, è misura per se medesima. Ma anche la misura suprema è necessario che sia vera misura. Infatti, come la verità deriva dalla misura, così la misura si conosce dalla verità. E così non c'è mai stata verità senza misura, né misura senza verità. Chi è il Figlio di Dio? È stato detto: è la Verità. Chi è che non ha padre? Chi mai se non la suprema misura? Dunque, chiunque mediante la verità raggiunge la suprema misura, è felice. Questo è per l'animo possedere Dio»47. E questo concetto della Suprema Misura (che è il concetto platonico di Bene) deriva dalle dottrine non scritte di Platone, come Beierwaltes stesso ha ben individuato48 •

10. Il problema della bellezza e del giudizio estetico Anche l'esame della problematica sul bello e sul giudizio estetico è impostato da Beierwaltes con il medesimo criterio49. Egli parte da certe posizioni assunte dai contemporanei nei confronti del bello considerato come non definibile, oppure, addirittura, di fatto ripudiato, per tutta una serie di preconcetti. :~;}· ..

~.e;; 45 Infra, p. 90 .

. h '·' 46 Cfr. infra, pp. 146 ss.

47 Agostino, De beata vita, 34. 48 Cfr. infra, p.145. 49 Cfr. infra, p. 163.

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Certe analisi estetiche sono infatti orientate alla problematica linguistica, o a certe tecniche computeristiche. Inoltre, si diffondono manifestazioni dianti-arte di vario genere, che escludono in toto la categoria stessa del bello. Anche in questo caso compito importante del filosofo sarebbe proprio quello di cercare di modificare queste idee con una anamnesi di certe idee-chiavi del passato. Scrive Beierwaltes: «Come prova della possibilità di un' estetica filosofica del momento presente, il richiamare alla mente la tradizione filosofica è, comunque, anche sotto questo aspetto, un presupposto imprescindibile. Può essere provocatorio operare un certo richiamo, tale da determinare, con la sua presenza consapevole, più che altro un'articolata discussione come non-idea rimasta latente; innanzitutto, l'intenso contrasto, teso e mantenuto cosciente, ha potuto talvolta stabilire accettabili relazioni nelle discussioni condotte a partire da presupposti più o meno condivisi; invece, per coloro che sistematicamente la rimuovono o la dichiarano morta, e che, nel tentativo di delineare un profilo alla storia, fanno piazza pulita, questo lavoro potrebbe risultare più gravoso, nella misura dei guadagni raggiunti. Un significato speciale spetta al pensiero di Agostino nella ricerca di questa riattualizzazione della teoria del bello, in quanto egli ha tradotto in modo fecondo e stimolante l'aspetto "estetico" della tradizione platonica (comprendendovi anche elementi essenziali della filosofia plotiniana) in un contesto teologico, e, in questo modo, ha contribuito evidentemente alla costituzione e allo sviluppo di un'estetica medievale, a partire da pseudo Dionigi Areopagita ed Eriugena, sino a Abt Suger, Bonaventura, Tommaso d'Aquino, Ulrico di Strasburgo, e, infine, Cusano>>5o. Beierwaltes, sempre con l'occhio puntato anche sulle fonti, articola molto bene il suo esame, con una dettagliata analisi dei vari concetti connessi con il bello in Agostino, come i concetti di forma, convenientia, congruentia, correspondentia, aequalitas, numerus, unum, veritas51. Per ragioni di spazio, non posso qui illustrare questi concetti, neppure in sintesi, e richiamo, invece, un passo-chiave, che esprime bene, sulla base di alcuni di questi concetti, il modo in cui Beierwaltes interpreta, efficacemente, la struttura e il fondamento 50 Infra, 51

p. 162.

Cfr. infra, p. 165.

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metafisico della bellezza in Agostino: «Risulta chiaro [. .. ] che la bellezza, che dal punto di vista dei sensi appare come figura corporea, ha un fondamento intelligibile che rende possibile la sua costituzione, e che, tramite esso, è in primo luogo bella; ad esso compete una misura più alta della bellezza, perché esso può realizzare appieno la relazionalità senza impedimenti, attraverso un'estensione ordinata e temporale. Alla radice di questa relazione fondamentale di ciò che appare bello sta la simmetria, in quanto categoria estetica, che non deve essere intesa come mera disposizione esterna delle parti, bensì deve essere ricondotta ad un principio formale interno, vale a dire intelligibile, "ideale", quale è quello che viene fondato dall'unità dinamica di un intero. Analogamente, l'identità, in quanto eJemento essenziale della simmetria, non è identificabile con una "uguaglianza" che produce noia, ma è piuttosto una relazionalità che tende ad un'unità grazie alla "grandezza" equivalente, costituitasi razionalmente e coglibile razionalmente>>52. Il punto più importante e nuovo, per il modo in cui è sviluppato, è quello dedicato alla funzione del numero, inteso da Agostino, platonicamente, come fondativo della forma stessa e costitutivo di tutto I' essere e quindi come fonte di conoscenza, con tutte le implicanze estetiche corrispondenti. Scrive Beierwaltes: «Se l'essere è possibile e conoscibile solamente come forma, e la forma è determinata dall'azione immanente dei numeri in ogni ente, e inoltre l'essere formato degli enti, caratterizzato da somiglianza, convenienza, corrispondenza, armonia e uguaglianza, deve essere pensato come la sua bellezza, allora, in fin dei conti, l'unità costitutiva per i numeri (unità come principio dei numeri) è il presupposto ontologico della bellezza. Questo significa insieme, in base alla premessa comune per cui Dio ha ordinato e disposto tutto secondo misura, numero e peso (Sapienza, 11, 21), che il numero posto con la creazione, che determina forma e quindi bellezza, si basa sul numero assoluto, nell'Intelletto divino o nella Sapienza del creator in quanto luogo dei numeri. Questi numeri in mente divina sono identici alle Idee in quanto forme atemporali preesistenti rispetto alla realtà creata (nel Verbum in quanto Principium). Se il numero determina la bellezza, allora l'Origine divina si può anche determinare come bellezza assoluta a partire dalla nozione del numero»53. 52Jnfra,pp.166-l67. 171.

53 Infra, p.

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Lasciando le ulteriori analisi, veniamo alle conclusioni. Quali vantaggi si potrebbero trarre da una riattualizzazione dei concetti agostiniani del bello e di quelli ad essi connessi? Si potrebbe certamente porre rimedio a quella dissacrazione cui esso è stato sottoposto in tutti i modi e ricuperare quello spessore metafisico, che lo caratterizza. Si potrebbero trarre, dice Beierwaltes, queste conseguenze: «lopera d'arte si deve intendere come forma strutturata in sé. Come tale essa è "figura" in senso ben circostanziato: essa sta per qualcosa (simbolicità), rappresenta una "idea", in cui si articola l'intenzione dell'artista [. .. ]. La parolà espressa, quindi, non è né un realismo fotografico né critico; l'opera d'arte è, piuttosto, nonostante o attraverso il suo carattere di finzione o di illusione, sempre trasformazione della realtà; quindi costituisce una "nuova" realtà, che rende possibile l'avvio della riflessione concettuale che supera persino il processo conoscitivo della realtà da cui deriva»54.

11. Alcuni concetti metafisici con particolare riguardo al teorema della creazione Il lettore dovrà soffermarsi in primo luogo sulle importanti pagine in cui Beierwaltes svolge la sua indagine delle interpretazioni della celebre formula dell'Esodo, 3, 14 (in cui Dio si autodefinisce Ego sum qui sum), partendo da Filone, da Gregorio di Nazianzo e da Gregorio di Nissa, passando attraverso Plutarco e Plotino, Porfirio e Mario Vittorino, per giungere ad Agostino, fondandosi soprattutto su un testo delle Enarrationes in Psalmos55. Le fini analisi dimostrano soprattutto questo: il termine esse lo si comprende in modo adeguato solo se, oltre alla tradizione biblica, si tiene nel dovuto conto la tradizione neoplatonica. In particolare, bisogna tener conto della posizione assunta proprio da Porfirio, che ha mediato in modo costruttivo la concezione di Dio come Uno e Dio come Essere (e quindi non come Uno al di sopra dell'Essere, come pensava Plotino), e in questo modo ha costruito quel paradigma che tutti i pensatori antico-cristiani hanno fatto proprio: «secondo Porfirio, Dio in senso auten54 Infra, pp. 185-186. 55 Cfr. infra, pp. 108-112.

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tico è l'Uno e insieme l'Essere. [ .. .] Porfirio concepisce Dio o l'Uno come pre-essente ed insieme anche come atto puro che è l'Essere stesso [.. .] . Dio non è quindi un ente, ma è lessere in sé che esiste prima di ogni ente, e insieme, in quanto essere assoluto, è la causa universale di tutti gli enti».56. Agostino fa proprio e sviluppa precisamente questo paradigma porfiriano. Qui, per concludere su questa tematica, vorrei, riprendendo la problematica della creazione, rifare quello stesso giro che fa Beierwaltes negli studi prima esaminati, ossia partire da certe idee oggi diffusissime, che contengono la totale dimenticanza di quei princìpi che invece andrebbero mantenuti nella memoria, se la cultura occidentale non vuole autodistruggersi. Prendo un esempio che potrebbe essere, per certi aspetti, il più significativo, ossia la posizione sull'origine· dell'universo quale è stata prospettata dal premio Nobel Steven Weinberg. Come è ben noto.57, in un suo celebre libro, Weinberg ha cercato di tracciare la genesi del cosmo sulla base del modello del Big Bang, secondo cui l'universo si sarebbe generato da una gigantesca esplosione, da cui ebbero inizio la materia, lo spazio e il tempo, a causa della quale le particelle di materia avrebbero incominciato ad allontanarsi le Une dalle altre, con un processo di espansione ancora in corso. Se l'universo è infinito, l'espansione potrà proseguire senza sosta; se invece è finito, ad un certo punto l'espansione cesserà e avrà luogo una contrazione che farà tornare alla singolarità originaria; oppure potrà anche accadere che la contrazione si arresti, e che, per una sorta di rimbalzo, ricominci lespansione. Ma ecco il giudizio valutativo che Weinberg pronuncia senza mezzi termini: «Comunque possano essere risolti tutti questi problemi, e qualunque modello cosmologico finisca col rivelarsi esatto, la soluzione trovata non potrà darci alcun conforto. Negli essed umani c'è un'esigenza quasi irresistibile di credere che noi abbiamo un qualche rapporto speciale con l'universo, che la vita umana non sia il risultato più o meno curioso di una catena di eventi accidentali risalente fino ai primi tre minuti, che la nostra pp.103-104. S. Weinberg, The First Three Minutes. A modern View o/ the Origin o/ the Universe, 1977; edizione italiana: I primi tre minuti. L'affascinante storia dell'origine dell'universo, traduzione di L. Sosio, Mondadori, Milano 1977, riedizione Oscar 1980 (più volte ristampata). 56 Infra,

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esistenza fosse in qualche modo preordinata fin dal principio»5s. Invece, tutto ciò che ci appare bello non è altro che una piccola parte in un universo assai ostile, nato da condizioni estranee e su cui incombe una futura fine in un gelo assoluto o in un calore infinito. Le conclusioni che egli trae sono queste: «Quanto più l'universo ci appare comprensibile, tanto più ci appare senza scopo»59. Weinberg, di conseguenza, ha contestato con energia i tentativi fatti da alcuni di ritrovare un accordo di fondo fra la teoria del Big Bang e il creazionismo. Parlare di creazione dell'universo da parte di Dio non avrebbe alcun senso, perché non esiste una genesi, ma solo un fluttuazione di materia, e, di conseguenza, per lui, è assurdo parlare di un progetto divino e di una creazione del cosmo. Ebbene, il concetto di creazione di Agostino rovescia in toto questo modo di pensare, che non è solo di Weinberg, ma è diffusissimo. Proprio quella genesi, che secondo Weinberg è un non-senso, diventa invece ciò che, dal punto di vista metafisico, si impone come il momento più significante: il creare principiativo è un creare mediante la parola che coincide col pensiero, ossia con la scienza divina. Creare è come il porre la differenza da parte dell'identità assoluta. Il Principio, nel creare, non agisce nel tempo e non temporalizza se medesimo, ma crea il tempo stesso come struttura della creatura medesima, ossia come modo d'essere della differenza, con un salto ontologico senza mediazione. La creazione è un atto intemporale che pone gli enti temporali e con essi, appunto come loro struttura, il tempo stesso6o. Riletta in ottica neoplatonica, la creazione è vista anche in questo modo: la struttura numerica degli enti rimanda al Principio come numero assoluto. Il numero creato presuppone il numero assoluto che coincide con l'intelligenza divina o con la sapienza del Creatore: éXETm cX8CXVCXTL,Etv KCXÌ 7HXVTCX 7rotElV 7rpÒç TÒ 'iìv KCXTà TÒ KpcinaTOv TWV Èv m'.m~)39.

36

A questo proposito cfr. Hegel, Geschichte der Philosophie, II, (1842), p. 294.

37 Metafisica, 982 b 29 s. 38 Etica

Nicomachea, 1177 b 3Os.

39 Etica Nicomachea, b 31-34. Cfr. Platone, Timeo, 90 e 1: KaÌ. 8Eta.

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REGIO BEATITUDINIS. IL CONCETTO AGOSTINIANO DI FELICITÀ

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Ciò che è divino e trascende l'uomo si rivela così come ciò che è umano in senso autentico: l'uomo è tale solo se coglie la potenzialità divina del suo essere e diventa completamente se stesso mediante il divino che è in lui. L'esortazione ad c:Xaavari~E.t v vuol far sì che il pensiero irretito nel tempo veda in ogni realtà diveniente la struttura in-temporale dell'essere ed entri in contatto nel pensiero con il fondamento di queste realtà diveniente mediante queste stesse realtà. Per essere felici occorre seguire questa esortazione e quindi conoscere mediante la theoria il theos come pensiero puro e completamente in atto.

4. La posizione assunta da Platone Considerando il pensiero di Aristotele nella sua complessità, ci si accorge che lo Stagirita non intendeva affermare un primato assoluto della vita teoretica sulla vita pratica, ma piuttosto la sintesi dell'una e dell'altra; tuttavia, l'insistenza sulla relazione di theoria e felicità si accorda con un assunto fondamentale del pensiero platonico. Platone mette in evidenza, a più riprese, che la felicità deriva dalla conoscenza e dalla visione dell'Idea che è essere immutabile e insieme fondamento di ogni forma nell'ambito della genesis che sempre diviene. Nel «mito delle anime» del Fedro si dice che l'anima, giunta sulla «pianura della verità»4o, cioé nell'ambito dell'intellegibile, dell'essere in diveniente e perciò autentico, essere essente (rò ov ovrwç) e divino41, vede una «luminosa bellezza»: «mentre noi eravamo al seguito di Zeus .. .in un coro felice avevamo una beata visione e contemplazione e ci iniziavamo a quella iniziazione che è giusto dire la più beata, che celebravamo, essendo integri e non toccati dai mali che ci avrebbero aspettato nel tempo che doveva venire, contemplando nella iniziazione misterica visioni integre, semplici, immutabili e beate, in una pura luce»42 • In modo analogo Diotima afferma nel Simposio: il Bello si trova lassù come paradigma dell'Idea, ossia dell'Essere che è privo di ogni relazione, perché la relazione porterebbe in esso un

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Platone, Fedro, 248 b 6.

41 Fedro, 249 c 4; d 1. 42 Fedro, 250 b 5 ss.; Pedone, 111 a 3: 8Éaµa EÙ1ìatµ6vwv 8rnniìv. Terminologia che si rifà ai Misteri anche in 249 c 7; Simposio, 210 a 1.

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non-essere parziale; il Bello. è identico a sé: è se stesso; ed è in virtù del Bello che le altre realtà partecipano all'Essere. Il Bello è raggiungibile passando attraverso livelli, ambiti gnoseologici e ontologici che esistono prima di esso, tramite una metodologia rigorosa: la dialettica, in quanto è mediazione di questi ambiti, messa in moto dall'Eros come impulso e dall'arte del domandare e del voler-sapere, va intesa come presupposto della comprensione che si attua nell'istante: «improvvisamente lo Spirito vede qualcosa di bello, per sua natura meraviglioso»43. Questo momento della vita, nel quale il pensiero giunge fon all'Essere come oggetto proprio della scienza (ch:ì ov, KCXÀov) e dei valori del sapere44, è per l'uomo degno di essere vissuto. La vita felice è quindi la vita nella quale l'uomo vede e contempla il «Bello divino», >51 può ragionevolmente essere messa in discussione. Quanto Plotino dice negli scritti dedicati a questa problematica (Enneadi, I, 4 e I, 5) non va liquidato come pratica di scuola ma rende evidente, insieme ad altri aspetti del suo pensiero, che la visione riflessiva dello Spirito o della dimensione intemporale dell'intellegibile e la visione del fondamento o del Principio, dell'Uno in sé, visione che si libera della differenza, portando alla trasformazione o all'unificazione con lo Spirito e con l'Uno, costituiscono il compimento dell'essere dell'ùomo e coincidono, quindi, con la vita felice52. Con un rigore che ricor9.a la atarassia stoica, Plotino pensa chiaramente che la felicità non sia intaccata dalla infelicità che colpisce le parti corporee e storico-temporali del nostro essere: dolore, malattia, povertà, disonore, morte di parenti e amici. Secondo Plotino tutto questo non può però essere inteso come una consolatoria ritrascrizione di opinioni correnti che è però lontana dalla realtà e perciò priva di efficacia. La concezione plotiniana deriva piuttosto dalla convinzione che il fine dell'uomo è quello di pensare l'Uno come principio dell'essere e lo Spirito come la modalità suprema dell'unità nella molteplicità suprema, di vedere l'Uno (àpx~v òpfrv53), di unirsi con l'Uno in modo non pensante, perché questo Uno è in sé «il più eccellente» (il Bene in sé) e, in quanto «Sopra-Essere», è la realtà suprema. Solo in forza dell'Uno stesso è possibile che la realtà dell'essere dell'uomo sia analoga all'Uno e possa essere pensata come tale. Questo status ontologico potrebbe essere formulato in modo sillogistico: l'essere-felici si basa sul possesso del vero Bene54; l'Uno in sé è il vero Bene o il Bene in sé; chi possiede questo Bene è felice. Questo possesso si attua come visione non oggettiTheiler, Forschungen zum Neuplatonismus, Berlin 1966, p. 168. Eudaimonia, Wiirzburg 1959; J.M. Rist, Plotinus, The Road to Reality, Cambridge 1967, pp. 139 ss. [trad. it. Plotino. La via verso la realtà, traduzione di P. Graffigna, Genova 1995]. 53 Plotino, Enneadi, VI 9, 11, 32. 54 Enneadi, I 4, 6, 4 s.: €v Tfj Tou àÀT]9tvou àya9ou KTtjan TouTo Ean KE(µEvov (TÒ EÙ6atµovEtv). Cfr. a questo proposito infra, pp. 69 ss. dove viene discusS!! l'espressione agostiniana Deum qui habet, beatus est. 5l W

52 Su questi problemi, cfr. W Himmerlich,

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va e non obbiettivante, ossia come trasformazione della visione nel suo oggetto55. (Illustrerò in seguito i presupposti di questo stato e della via dialettica che conduce ad esso in analogia con la reditio in se ipsum agostiniana). VEnneade I 4, Sulla felicità completa il sillogismo di cui abbiamo parlato nella dimensione dello Spirito: l'esser-felice è proprio della vita più intensa, della vita perfetta che è ciò che è più eccellente tra gli esseri56. Il fondamento, il principio, è esso stesso ..µa, EWS' èìv ÈKÀaµljsnÉ O"Ol Tfìç àpETfìS' ~ 8EOEt6~ç ày>..aia, EWS èìv l61JS crwpocrUVT)V È::v ayvrl) prendendo coscienza di sé. Questo atto, come nella filosofia di Agostino, si attua nel pensiero e insieme trascende il pensiero. Il Principio è l'Uno assoluto, il quale è in sé privo di relazioni ed è insieme origine di qualsiasi forma di unità e di pensiero. Plotino fa iniziare il processo dell' autoconsapevolezza con· un imperativo etico simile a quello agostiniano: afferma, infatti, Plotino che l'uomo deve liberarsi dall'irretimento nella sensibilità e nella molteplicità (rope;lce; 1rcxvTa146). Questo ritorno è, al tempo stesso, ascesa attraverso i diversi gradi di intensità del Nous e della Psyché, ossia del pensiero nella sua complessità. Nel ritorno in se stesso l'uomo raggiunge il suo vero io, l'uomo interiore (ò e;fow &v8pw7roç), il «noi» autenticol47 che si basa sull'ambito dell'essere puro, intellegibile, ma è presente nel1' esistenza temporale dell'uomol48, Ritornando in sé, il principio del pensiero non diventa soltanto consapevole del pensiero, ma diventa questo stesso principio: si trasforma nel Noust49. Conformente al punto di partenza, il ritorno del pensiero comporta una sempre maggiore semplificazione, una profonda unificazione, in quanto il pensiero si fa determinare sempre più intensamente dal suo fondamento. Il fine di quesfo processo è l'unificazione con l'Uno. L'Uno non può essere pensato e in esso non esiste coscienza, perché l'Uno è al di sopra della determinazione e della forma che sono accessibili soltanto al pensiero dianoetico. Solo l' «Uno in noi» può essere pensato e solo dell' «Uno in noi» possiamo avere con-

146 Enneadi, V 3, 17, 38 147 Ennead1; VI 4, 14, 16 ss.; V 1, 10, 10; Plotinus' Philosophy of the Set/, Shannon 1973. 148 Enneadi, I 1, 7. 149 Enneadz; VI7, 35, 4 s.

cfr. anche VI 7, 4; G.

J.

P. O'Daly,

REGIO BEA11TUDINIS. IL CONCETTO AGOSTINIANO DI FELICITA

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sapevolezza poiché .esso è causa di unità del pensiero e rimanda al di là di sé al suo fondamento15o. L'Uno che esiste preliminarmente nel pensiero, in quanto fondamento dell'unità del pensiero, costituisce quindi il presupposto dell'esperienza non-più-pensante dell'Uno in sé. In questa esperienza l'Uno non aiuta direttamente il pensiero ad uscire da se stesso (nel senso dell'agostiniano duce te): il pensiero trascende se stesso esclusivamente perché l'Uno è presente ontologicamente nel pensiero e perché l'Uno struttura il pensiero grazie alla sua forza unificante151, Nella unificazione con l'Uno il pensiero si trasforma in non-pensiero, la visione nell'oggetto visto: si realizza quindi una situazione nella quale la differenza che esiste nel pensiero è superata, in senso analogo al Sopra,.essere dell'Uno che è privo di differenza. «Il contemplante non'vede in quell'istante (dell'unificazione) il contemplato - il discorso è audace -, non lo distingue, non lo immagina come duplice, ma è diventato, per così dire, un altro: non è più se stesso ed è inserito nel mondo superiore e appartiene all'Uno ed è uno in quanto ha fatto coincidere centro con centro»152. A ragione, Plotino afferma che non si può più parlare di un oggetto D: Dio è. Questo essere è presenza atemporale,_ compiutezza indiveniente, attualità pura e indeterminato essere-in-sé: «Dio era sempre ed è e sarà: o piuttosto è sempre. L"'era" e il ~'sarà" sono infatti caratteri del nostro tempo e della natura mutevole, mentre Dio è "colui che è sempre": e in questo modo egli chiama se stesso sul monte rivolgendosi a Mosé. Egli possiede, in quanto lo ha raccolto in sé, quell'essere che non ha avuto inizio e non avrà fine; potremmo dire: il mare infinito e indeterminato dell'essere che supera ogni nozione del tempo e della natura>> 14. Gregorio Nisseno sviluppa le sue considerazioni sulla conoscenza di Dio in termini simili: anche esse si presentano come interpretazione della proposizione «lo sono colui che sono». In essa Dio esprime se stesso, dandosi un nome. La sua essenza è 12 Gregorio di Nazianzo, Oraiio, 30, 18; Patrologiae cursus completus. Series graeca (Migne) [d'ora in poi PG], 36, 128 A; in questo modo anche S. Tommaso, Summa theologiae, I, qu. 13, a. 11. 13 Oratio, 30, 18; PG 36, 125 C s. 14 Oratio, 345, 3; PG 36, 625 C: Beòs ~v µÈv aet Kat eon Kat rnrnt· µak ÀOV 6È ÌfoTl àe{. TÒ yàp ~V KaÌ. EoTat TOÙ KaB' ~µas XPOVOU Tµr)µaTa KaÌ. TÌÌS' pEUO'TfìS' UO'EùlS'. b 6È àeì. KaÌ. TOUTO aÙTÒS' ÉaUTÒV òvoµd(El n(ì MWUO'Et xp11µaTt(wv ÈTTÌ. TOU opous-. OÀOV yàp Èv Éaun(ì O'UÀÀaj3wv EXEt TÒ dvat, µr)TE àp!;aµEVOV µr)'TE TTaUO'OµEVOV, olov Tl TTÉÀayos oÙO'taS' anetpov Kaì à6ptcrTOV, naoav \mEpTTlTTTOV EVVOtaV KaÌ. xpovou KaÌ. UO'EWS'. Nella metafora nÉ/\ayos TÌÌS' oùoias, tràdita mediante Giovanni Damasceno (De fide

wv

orthodoxa, 1,J; PG 94, 936 B; traduzione latina del Burgundio: «Totum enim in se ipso comprehendens habet esse, velut quoddam pelagus substantiae infinitum et indeterminatum», ed. Buytaert, Louvain 1955, p. 49), il concetto della identità di Dio e di Essere rimane presente, in un modo efficace, anche nel Medioevo: cfr. per es. Alessandro di Hales, Summa theologiae, p. II, inq. II tr. 1, q. 1, cap. 1, resp. 1 (ad «nomen infinitum»); S. Tommaso, Summa theologiae, I, qu. 13, a. llc.; Eckhart, In Exod., n. 24, LW 2, 30, 9 s.; Sap., n. 154, LW 4, 490, 9.

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designata come atemporale o eterna (àHhoç}15; in termini che sono temporali ma che insieme trascendono il tempo, Dio va inteso come colui che permane sempre nello stesso modo e al quale nulla sopravviene e dal quale nulla si allontana (CÌEÌ wamhwç gXEt, OOTE 1TpoayivoµEVOV OOTE ànoyivoµEvov)16: che è sempre il medesimon e sempre rimane tale, poiché è sempre ciò che è, senza che i suo giorni comincino o finiscanois. Rispetto a tutti gli altri esseri, questo essere che è sempre già se stesso atemporalmente è l'essere vero e totale, l'essere che è19. Noi;i è determinato o delimitato da niente altro. La proposizione «lo sono colui che è» afferma «soltanto» che Dio «è» (µovov, on ifon)20; ma in questo modo contiene in sé la caratteristica fondamentale del concetto di Dio che viene teorizzato da Gregorio: «indeterminato nell'essere, à6ptaTOV È:v T4) Etvm>>2 1. Dio è, in quanto essere, l'infinito.

3. Plutarco e la concezione di Dio come Essere e Uno Questa concezione di Dio come essere atemporale ed infinito possiede una struttura filosofica, anche se le dottrine teologiche la trasferiscono in un nuovo e diverso contesto funzionale e sostanziale. Il modello sulla base del quale Dio viene chiamato essere in senso teologico o sulla base del quale, filosoficamente, Dio ed essere si identificano, è costituito da alcuni tratti fondamentali del concetto di essere che viene sviluppato, ,rifacendosi a Platone22, dalla filosofia neoplatonica e dalle filosofie che hanno 15 Gregorio di Nissa, Contra Eunomium, III 3 (ed. Jaeger, vol. Il, 186, 13 ). 16 Contra Eunomium, 186, 14 s. (applicazione al Dio cristiano di determinazioni dell'essere dell'idea proprie della filosofia di Platone e di determinazioni dell'essere dell'eternità proprie di Plotino). 17 Contra Eunomium, 187, 15. aÙToç secondo Salmo, 101, 28. Cfr. l'interpretazione agostiniana del passo, infra, pp. 112 ss. 18 avapxoç: Contra Eunomium,189, 27; i «giorni» che non finiscono, cfr.187, 16. 19 ovTwç: Contra Eunomium,186, 25; 189, 1; Ò:Àl]Bwç: 189, 11; TTavTwç: 189, 12. 20 Contra Eunomium,188, 14 21 Contra Eunomium,186, 13. Nel senso di Isaia, 44, 6: 'Eyw TTpwToç Ka\. Èyw µETÒ: Tmha: 187, 2-188, 15. Su questo aspetto cfr. E. Miihlenberg, Die Unenedlichkeit Gq..ttes bei Gregor von Nyssa, Gottingen 1966, pp. lOOss. 22 È già platonicala prima recezione teologica di Esodo 3, 14, che, identificando l'intento di Platoné'ton quello di Mosé, vuole essere addirittura un protrettico per il Cristianesimo: Giustino, Cohortatio ad Graecos, 22, PG 6, 281 A: b µÈv yàp

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«preparato» il neoplatonismo. A questo proposito possiamo solo esporre considerazioni frammentarie le quali sono tuttavia sufficienti per chiarire gli elementi platonici e neoplatonici della storia della proposizione di Esodo 3, 14. Il concetto dell'essere che pensa se medesimo è anticipato e preparato in Plutarco, che ha ritenuto di poter identificare senza dubbio Dio e l'essere. El (tu sei) è il solo appellativo che spetta per essenza al Dio (Apollo). L'appellativo nomina la sua essenza: essere. Questo essere di Dio costituisce il rovesciamento strutturale della situazione umana: noi non siamo; la nostra natura si presenta, in quanto imprigionata nell'eraclitismo dell'ente mondano, sempre solo come immagine oscura e incerta di se stessa. Anche noi siamo, in noi stessi, molteplicità (a8poiaµcx 1l'CXVTObmròv KcxÌ 1l'CXVflYVPtKwç µe:.µiyµivov)23 e quindi. siamo determinati alla differenza dall'alterità che non ci fa mai giungere a una stabile presenza a noi stessi. Al contrario Dio è essere vero: essere nel senso autentico ed originario: «l'eterno, l'indiveniente e l'indistruttibile nel quale il tempo non introduce mutamento>>24. Carattere fondamentale dell'essere è quindi quello di negare il tempo, di rimanere-se-stesso in modo a-processuale, di essere costitutivamente presente a se stesso. L'espressione essere-sempre è formulata in termini temporali ma deve essere intesa in termini intemporali e come tale rappresenta l'eternità dell'essere divino: «Dio "è": ed è non secondo un tempo, ma secondo l'eternità, immobile, atemporale, immutabile, per la quale non esiste prima e poi, futuro e passato, più vecchio e più giovane: l'eternità è soltanto unitaria ed ha riempito il sempre con il suo unico ora; solo ciò che esiste conformente all'eternità è vero: ciò che non ha iniziato né cesserà>>25. Il tempo sarebbe distractio, mentre l'ora atemMwiiafjs, b wv, ETJ, 6 lìÈ rnaTWv, TÒ ov (prima è citato Timeo, 27 d 5 ss.): ÉKaTEpov 8È Tùìv Etpl)µÉvwv Tciì àEÌ. 1Svn 0Eciì npoal]KEtv m'.vETat. aÙTÒS yàp fon µ6vos 6 àEÌ. wv, yÉvwtv 8È µTj €xwv.

23 Plutarco, De E apud Delphos, 18; 392 a. 24 Ibidem, 19; 392 e: TÒ à'tBtov KaÌ. àyÉVETOV

KaÌ.

a0apTOV,

~

xpévos

µETaf3oÀTjv oùBÈ Ets ÈnayEt.

25 Ibidem, 20; 393 a ss. àn' fonv b 0Eos, XPÌI avm, Kaì. fon KaT'oùBÉva XPOVOV àÀÀà KaTà TÒV alcJìva TÒV àKtVT)TOV KaÌ. axpoVOV KaÌ. àvÉyKÀlTOV KaÌ. ou np6Tepov oÙ8Év È-32. Grazie al termine 6E6ç risulta immediatamente evidente la dignità ontologica dello Spirito. L'Uno non è essere, mentre l'essere esiste a causa dell'Uno e mediante l'Uno: l'essere è caratterizzato dal non essere l'Uno in sé. L'Uno procede nell'essere e l'essere è il procedere delrUno. L'essere, in quanto essenza particolare (ipostasi), fa tornare all'Uno originario il suo procedere, ovverosia se stesso come processione dall'Uno33. Questo ritorno dell'essere o dell'Uno che è nell'essere nell'Uno in sé si realizza come riflessione o pensiero. L'essere che esiste al di fuori dell'Uno perché proceduto dall'Uno è, pertanto, essenzialmente Spirito, che si rapporta a se stesso e al suo principio nel pensiero. Lo Spirito è quindi l'auto-riflessione dell'essere. Il pensiero non è presupposto allo Spirito; lo Spirito pensa da sé e in virtù di se stesso: pensa se stesso, sicché anche il suo oggetto non è a lui estraneo. L'autonomia del suo pensiero si basa quindi sull'identità di pensiero e pensato, e, poiché il pensato è l'ente (l'Idea, l'inteIIegibile), sull'identità di pensiero ed essere. «Lo Spirito dunque è I'essere vero, in quanto Io pensa non come qualcosa che viene da altro luogo: infatti I' essere non è prima né dopo lo Spirito; lo Spirito è, per così dire, il primo legislatore o, meglio, la legge stessa dell'essere>>-34.

o

32 Enneadi, V 5, 3, 1 ss; 20 ss. In merito ai diversi ambiti di applicazione del termine BEéç si veda R. Arnou, Le désir de Dieu dans la philosophie de Plotin, Roma 1967, in particolare pp. 119 ss.; J.M. Rist, Theos and the One in some texts o/ Plotinus, in «Mediaeval Studies», XXIV (1962), pp. 169-180. 33 Enneadi, V 2, 1, 9-12: problema deli'Èm1:npo$l]. 34 Enneadi, V 9, 5, 26-29: 6 voiìç apa Tà OVTa OVTWS", 01lx ot& fonv aÀÀo8t vowv· ou yap Ècrnv OUTE rrpò auTOU OUTE µET auTév· àÀÀà oiov voµoBÉTT)S" rrpwTOç, µiÌÀÀov 6È véµoç aihòç Toiì Elvat. Per la questione della priorità di pensiero e di essere cfr. W. Beierwaltes, Uber Ewigkez't und Zeit, Plotins Enneade III 7, Frankfurt 1967; traduzione italiana: Eternità e tempo, introduzione di G. Reale, trad. di A. Trotta, Milanol995, pp. 48 ss. 0

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Per dare conferma del fatto che lo Spirito è gli enti (le Idee) o l'essere intemporale, in quanto lo pensa, che lo Spirito esiste pensando se stesso e solo perché è l'essere pensa lessere come se stesso, Plotino estrapola un principio parmenideo ponendolo come modello di un pensiero assoluto e ipostatico: «la stessa cosa sono il pensiero e I' essere»35. L'identità di pensiero ed essere nega qualsiasi priorità e comprende lo Spirito come unità autonoma, come reciproca compenetrazione di pensiero ed essere; come tale lo Spirito è indiveniente, esiste in sé ed è atto puro. Plotino unisce al principio parmenideo l'espressione aristotelica secondo cui la conoscenza priva di materia è identica alla cosa e il detto di Eraclito (B 101) «ho indagato me stesso». Condizione di possibilità dell'identità di pensiero ed essere è il carattere intellegibile dell'essere. Nell'attuare questa identità lo Spirito conosce se stesso come l'essere vero che si rapporta al principio perchè da lui è reso possibile. Questo atto nel quale pensiero ed essere sono una cosa sola non per appropriazione (oÌKetwaet) ma per essenza (oùal.~) viene chiamato da Plotino contemplazione creatrice (6ewpicx 'wacx)36. La vita di questa contemplazione consiste proprio nel fatto che il contemplato non rimane esterno al contemplante (pensante) e quindi fisso in sé ma è momento del pensante stesso: il pensante è il pensato. Una vita che è esteriore al pensiero è vita, ma non è la vita in sé, ossia non è la vita dello Spirito che è fuori dal tempo e dallo spazio (cxÙTO'W~). «Se quindi qualcosa di contemplato o di pensato deve avere vita, deve essere vita in sé»37. La vita in sé è misura e fondamento di ogni altra vita. Per questo essa è analoga ali' essere e alla funzione dello Spirito. Siccome la vita è un carattere essenziale dello Spirito, in quanto è il dinamismo dello Spirito e la sua relazione sintetizzante, Plotino può dire, a ragione, che la prima vita (la vita in sé) è una sola cosa con il primo Spirito (il pensiero in sé). «Se la vita più vera Oa prima vita) è vita secondo il pensiero e questo pensiero è identico al pensiero più vero, il pensiero più vero è vivente, la contemplazio35 Parmenide, fr. B 3 traduco in senso plotiniano: Enneadi, V 9, 5, 29; V 1, 8, 17; III 8, 8, 8; V. Cilento, Parmenide in Plotino, in «Giornale critico della filosofia italiana», 43 (1964), pp. 194-203. 36 Enneadt; III 8, 8, 11. 37 Enneadi, III 8, 8, 12 s.

LA DOTTRINA AGOSTINIANA DELL'ESSERE

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ne e il corrispondente oggetto di contemplazione vivono e sono vita e i due costituiscono una unità>>3s. L'auto-compenetrazione pensante dell'essere e l'auto-conoscenza dello Spirito in quanto essere vero, autentico ed originario è, pertanto, la vita, il dinamismo stabile che è proprio dello Spirito.

5. Plotino e la dialettica uno-molti. Il problema posto da Plotino - come si debba concepire la molteplicità al di fuori dell'Uno - va tematizzato ora a partire dalla concezione dell'identità di essere e pensiero. Il problema è il seguente: come la molteplicità costituisce una unità? Con il procedere dell'Uno nell'essere è posta la prima alterità39 e quindi la molteplicità. La riflessione racco'glie la molteplicità e la delimita affinché essa non si disperda in ciò che è assolutamente indeterminato. Di conseguenza, la prima molteplicità, più di tutti gli altri esseri che seguono nel dispiegamento dell'essere, è sempre strutturata come un intero esistente in sé dall'unità che in essa prevale. Soltanto la molteplicità o alterità rende possibile il pensiero40 . Il pensiero si appoggia, infatti, sul singolo oggetto pensabile, che Plotino intende come Idea, e al contempo si separa da esso. Questo appoggiarsi e separarsi del pensiero attua il rapporto tra le molteplici Idee. L'atto di oggettivizzazione delle singole Idee supera però l'alterità indispensabile per l'articolazione del pensiero, relazionando tutto ciò che è pensabile (sempre già pensato) nel suo fondamento di unità. Lo Spirito va quindi pensato come unità o identità nella differenza: è «uno-molti» (€v-1TOÀÀa)41. Nello Spirito tutte le cose

38 Enneadz; 26-30: El To(vuv ~ (w~ ~ àÀ1)8EcrTaT1) voTjcrEt (wTj Écrnv, auTT) 6È rnÙTÒv TU àÀ 1)8EcrTaT1J voTjcrEt, ~ àÀ1)8EOTtlT1) vél)crtç (tì KaÌ. ~ 8Ewp(a KaÌ. TÒ 8Ewpl)µ.a TÒ TotoOTo (wv Kaì. (w~ Kaì. €v 6µ.oO Tà 6uo. €v oùv ov Tà Mo rrwç aù rroÀÀà TOUTO TÒ EV.

39 Cfr. Plotino, Enneadi, II 4, 5, 28 ss.; V 1, 1, 4. 40 Enneadi, V 3, 10, 24; V 6, 1, 22 s.; VI 7, 37 ss. Sul problema cfr. W. Beierwaltes, Eternità e tempo, pp. 44 ss. e 52 ss. 41 Enneadz; V 3, 15, 22 (in maniera conforme alla seconda ipotesi del Parmenide platonico; cfr. E.R. Dodds, The Parmenides o/ Plato and the Origin o/ the N eoplatonic One, in «Classica! Quarterly>>, XXII [1928], p. 13 3).

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sono insieme (1HlVTU>2o. Quindi è sconveniente chiedersi cosa venga prima: parlare o pensare. Parlare e pensare sono; piuttosto, un atto simultaneo: la lingua è il modus in cui il pensiero si compie; d'altra parte, pensare è condizione di possibilità o principio della lingua, perché all'impensato non corrisponde alcuna parola e, pertanto, non può essere espresso: «certamente, se vogliamo dire qualcosa, non possiamo farlo se prima non lo pensiamo» (sed certe si ea dicere velimus, nisi cogitata non possumus)21. L'articolazione del pensiero nella parola comprensiva rende quindi possibile anzitutto la comunicazione intersoggettiva. Scopo della fase attuale delle riflessioni è quello di chiarire in quale rapporto reciproco stiano il linguaggio e l'essere. Il parlare si è mostrato come vedere. La cosa vista, lessere della cosa compreso, ovvero la ragione informata dall'essere della cosa (formata cogitatio) giunge al linguaggio nella parola. Agostino ovviamente non intende un'identità ingenua di parola e cosa. In ogni modo, egli non si pone assolutamente il problema, con ogni riservatezza contro la sensibilità di ciò che è comunicabile linguisticamente, del rapporto della parola con sé e indi18 De

Trinitate, 15, 9, 16. Trinitate, 15, 14, 24. 20 De Trinitate, 15, 10, 18: «fOris enim ... aliud est locutio, aliud visio: intus 19 De

autem cum cogitamus, utrumque unum est». 21 De Trinitate, 15, 10, 17. Agostino fa riferimento alla formulazione linguistica dello scritto «dixerunt cogitantes» (Sapientia, 2, 1), «cogitaverunt dicentes» (Luc., 5, 21). Cfr. anche Tertulliano, Adversus Praxean, 5 (CCL 2, 1164): «in quo (sermone) inest haec ipsa ratio, qua cum eo cogitans loquaris, per quem loquens cogitas».

LA METAFISICA DEL LINGUAGGIO DI AGOSTINO

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pendentemente della parola con la cosa reale. Il senso reale di una cosa, come è stato affermato, è misurante per la sua conceptio spiritualis esprimibile. In essa il senso di una cosa o di una realtà viene accolto come concepito ovvero come concetto. Quindi la parola, nella quale si articola il concetto, ha lo stesso rapporto con la cosa del pensiero concettualizzante: le si avvicina per quanto è possibile, è la sua immagine: . W. Beierwaltes, Reflexion und Einung, in Grundfragen der Mystzk (insieme a H.U. von Balthasar e A.M. Haas), Einsiedeln 1974. W. Beierwaltes, Selbsterkenntnis und Erfahrung der Einheit, Vittorio Klostermann, Frankfurt am Main 1991; edizione italiana: Autoconoscenza ed esperienza dell'Unità. Plotino, Enneade V 3. Saggio interpretativo, testo con traduzione e note esplicative, Introduzione di G. Reale, traduzione di A. Trotta, Vita e Pensiero, Milano 1995. W. Beierwaltes, Unità e differenza come cammino del pensiero, in AA. VV., I:Uno e i Molti, a cura di V. Melchiorre, Vita e Pensiero, Milano 1990. R. Berlinger, Augustins dialogische Metaphysik, Frank.furt 1962. G. Bien (Hg.), Die Frage nach dem Gluck, Stuttgart 1978. P. Boesch, 0e:wp6ç, Gottingen 1908. F. Boll, Vita contemplativa, Heidelberg 1922. W. Brocker, Aristoteles, Frank.furt 19572,

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