Viaggi nello scriptorium
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Zitiervorschau

PAUL AUSTER, VIAGGI NELLO SCRIPTORIUM. Einaudi. Titolo originale Traveh in the Scriplurtum. Traduzione di Massimo Bocchiola. © 2006 Paul Auster. © 2007 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torinowww.einaudi.it. In sopracoperta: Sam Messer, The Whole Story, olio su tela, 2001. RISVOLTI. Mr Blank è seduto su un letto, solo e in pigiama, in una stanza chiusa. Non sa perché si trova in quella stanza, potrebbe essere una prigione o un ospedale, ma deve comunque affrontare le microimprese con cui inizia ogni giornata: alzarsi dal letto, lavarsi, urinare e defecare, fare colazione, vestirsi. Dopo, si trova di fronte all'arduo compito di scoprire qual è la sua storia. Chi è Mr Blank? Nella stanza ci sono pochi, essenziali arredi, ognuno contrassegnato da un'etichetta che ne riporta il nome, e sul tavolo due pile di fogli stampati e una decina di fotografie. Nel corso della singola giornata in cui si svolge la vicenda, Mr Blank riceve le telefonate e le visite di alcune delle persone ritratte nelle fotografie: Anna Blume, un ex poliziotto di Scotland Yard, James P. Flood, Sophie Fanshawe, il medico Samuel Farr - tutti omonimi di personaggi usciti da precedenti romanzi di Paul Auster. Ma le facce e i nomi non dicono nulla a Mr Blank. Loro invece sembrano conoscerlo bene, anzi, si aspettano qualcosa da lui, una qualche forma di risarcimento, di espiazione. Tra una visita e l'altra Mr Blank legge uno dei dattiloscritti che trova sul tavolo. Si tratta della storia di sapore fantapolitico di un uomo di nome Sigmund Graf, tenuto prigioniero in una cella nell'avamposto militare di Ultima e minacciato di morte per aver violato i confini della Confederazione ed essersi addentrato nei Territori Stranieri abitati dai Primitivi alla ricerca del rivoltoso (o spia ?) Ernesto Land. Le avventurose vicende narrate nel dattiloscritto, opera di un certo John Irausc, si intrecciano in un modo misterioso con quelle di Mr Blank. Tutti i suoi visitatori lo accusano di averli in passato inviati a compiere una non meglio specificata «missione estremamente pericolosa». Con un impianto narrativo a metà tMra una commedia di Pirandello e una piece beckettiana, Viaggi nello Scrìptorìum affronta il tema della responsabilità morale dello scrittore nei confronti dei personaggi d'invenzione. In una rarefatta atmosfera metafisica, alla fine, Mr Blank di venta un personaggio al pari di tutti gli altri, imprigionato nella sua eterna vita di finzione dentro la stanza chiusa. Paul Auster è nato nel 1947 a Newark (New Jersey). Delle sue opere Einaudi ha in catalogo: L'invenzione della solitudine, Trilogia di New York, Nel paese delle ultime cose, Moon Palace, Leviatano, Mr Vertigo, Smoke &Blue in the Face, Lulu on the Bridge, Timbuctù, Sbarcare il lunario, esperimento di verità, L'arte della fame, Ho pensato che mio padre fosse Dio, Il libro delle illusioni, La notte dell'oracolo, Follie di Brooklyn e Gioco suicida. Nel 2006 sono uscite le poesie di Affrontare la musica. VIAGGI NELLO SCRIPTORIUM. Il vecchio è seduto sull'orlo del piccolo letto con le mani appoggiate a palmi aperti sulle ginocchia, la testa bassa, gli occhi al pavimento. Non si sogna nemmeno di pen-

sare che nel soffitto proprio sopra di lui sia nascosta una macchina fotografica. A ogni secondo l'otturatore fa uno scatto silenzioso, producendo ottantaseimilaquattrocento fotogrammi per ogni rivoluzione della Terra. E anche se il vecchio sapesse che lo stanno guardando, non cambierebbe nulla. La sua mente è altrove, arenata tra le immagini fittizie che gli affollano il cervello mentre cerca una risposta alla domanda che lo ossessiona. Chi è lui? Cosa ci fa qui? Quando è arrivato, e fino a quando resterà? Con un po' di fortuna, il tempo ci dirà tutto. Per ora, nostro unico compito è studiare con la massima attenzione le immagini senza voler dedurre conclusioni premature. Nella stanza c'è un certo numero di oggetti, e sulla superficie di ciascuno è incollata una striscia di nastro adesivo bianco con una sola parola scritta a stampatello. Per esempio, sul comodino c'è la parola comodino. Sulla lampada c'è la parola lampada. Anche sul muro, che non sarebbe a rigore un oggetto, c'è una striscia di nastro con scritto muro. Per un attimo il vecchio alza gli occhi, vede il muro, vede il nastro attaccato al muro e dice piano la parola muro. Quello che a questo punto non possiamo sapere è se stia leggendo la parola sul nastro o se si riferisca soltanto al muro in sé. Può darsi che abbia disimparato a leggere, ma riconosca ancora le cose per quello che sono, e sappia chiamarle con i loro nomi; o che, invece, abbia perso la capacità di riconoscere le cose per quello che sono, ma sappia ancora leggere. Ha indosso un pigiama di cotone a righe gialle e azzurre e un paio di ciabatte di pelle nera. Dove sia esattamente, non gli è chiaro. Nella stanza, d'accordo, ma in quale edificio si trova la stanza ? In una casa ? In un ospedale ? In una prigione ? Non ricorda da quanto tempo sia qui, né la natura delle circostanze che sono precipitate nel suo trasferimento. Forse è sempre stato in questo luogo; forse ci vive dal giorno della sua nascita. Sa soltanto di avere il cuore gonfio per un implacabile senso di colpa. E nel contempo non riesce ad allontanare l'idea di essere vittima di una terribile ingiustizia. Nella stanza c'è una finestra, ma ha la tendina abbassata, e a quanto ricorda lui non ha ancora guardato fuori. Lo stesso vale per la porta con il pomolo bianco di porcellana. E chiuso dentro, o è libero di andare e venire come vuole? Su questo il vecchio deve ancora indagare - perché, come già si è detto nel primo paragrafo, la sua mente è altrove, alla deriva nel passato, mentre lui vaga tra i fantasmi che gli affollano il cervello, spremendosi per ri-

spondere alla domanda che lo ossessiona. Le immagini non mentono, ma neppure raccontano la storia per intero. Sono mere testimoni, evidenze esteriori del tempo che passa. Per esempio, non è facile stabilire l'età del vecchio dalle immagini un po' sfocate in bianco e nero. L'unica conclusione che si può trarre con sicurezza è che non è giovane, ma la parola vecchio è un termine flessibile, che può descrivere una persona di qualsiasi età compresa fra i sessanta e i cent'anni. Dunque d'ora in poi smetteremo l'epiteto di vecchio chiamando l'individuo nella stanza Mr Blank. Per il momento, basterà il cognome. Infine Mr Blank si alza dal letto, si sofferma brevemente per trovare l'equilibrio e poi ciabatta fino alla scrivania all'altro capo della stanza. Si sente stanco come se si fosse appena svegliato da una notte di sonno agitato e insufficiente, e il rumore delle suole delle ciabatte sull'assito nudo gli ricorda il raschiare della carta vetrata. Remoto, da lontano, da fuori della stanza, fuori dall'edificio che contiene la stanza, sente il richiamo fioco di un uccello un corvo, forse, o un gabbiano, non sa dire. Mr Blank abbassa il suo corpo sulla sedia della scrivania. Decide che è una sedia comodissima, rivestita di morbida pelle marrone e provvista di ampi braccioli per l'appoggio di gomiti e avambracci, senza parlare dell'invisibile congegno a molla che gli consente di dondolarsi avanti e indietro a piacere: esattamente questo inizia a fare nel momento in cui si siede. Dondolandosi avanti e indietro Mr Blank si rasserena, e mentre continua a concedersi queste simpatiche oscillazioni ricorda il cavallo a dondolo che aveva da bambino nella sua cameretta; e comincia a rivivere alcuni viaggi immaginari che faceva sempre su quel cavallo, il cui nome era Whitey e che, nella mente del piccolo Mr Blank, non era un pezzo di legno pitturato di bianco, ma un essere vivente, un cavallo vero. Dopo la breve puntata nella sua infanzia, Mr Blank sente l'angoscia che torna a salirgli nella gola. Ad alta voce, dice stancamente: Non posso permettere che succeda questo. Poi tende il collo per esaminare i mucchi ordinati di fogli e fotografie appoggiati sul piano della scrivania di mogano. Prima prende le foto, tre dozzine di ritratti in bianco e nero formato 20 per 25 di uomini e donne di diverse razze ed età. La prima ritrae una ragazza sui vent'anni. Ha i capelli scuri tagliati corti, e gli occhi guardano la lente con un'espressione intensa e preoccupata. E in piedi all'aperto, in una città: forse una città dell'Italia o della Francia, visto che si trova davanti a una chiesa medievale; e dato che indossa una sciarpa e una giacca di lana, si può sensa-

tamente dedurre che sia stata fotografata in inverno. Mr Blank fissa gli occhi della ragazza sforzandosi di ricordare chi è. Dopo una ventina di secondi, sente se stesso dire una sola parola: Anna. E si sente travolto da un'ondata di amore. Si domanda se Anna sia una donna con cui è stato sposato; o, invece, se non stia guardando una foto di sua figlia. Un attimo dopo aver formulato questi pensieri è invaso da un nuovo senso di colpa e capisce che Anna è morta. Peggio, sospetta di essere lui il responsabile della sua morte. Può anche darsi, dice fra sé, che l'abbia uccisa io. Mr Blank geme di dolore. Guardare le foto è troppo per lui, quindi le mette da parte e rivolge l'attenzione ai fogli. Ce ne sono quattro risme in tutto, alte una quindicina di centimetri. Senza nessun particolare motivo di cui sia cosciente, prende la prima pagina dell'ultima risma a sinistra. Le parole, manoscritte in uno stampatello simile a quello delle strisce di nastro adesivo, dicono cosi: Vista dalle più remote distanze spaziali, la Terra non è più grande di un granello di polvere. Ricordatevelo, la prossima volta che scriverete la parola «umanità». Dal disgusto che si diffonde sul suo volto mentre esamina queste frasi, possiamo essere abbastanza sicuri che Mr Blank non ha disimparato a leggere. Ma chi possa essere l'autore delle frasi, resta ancora da scoprire. Mr Blank prende la seconda pagina della risma e vede che si tratta di un testo dattiloscritto. Il primo paragrafo dice: Nel momento in cui ho cominciato a raccontare la mia storia, mi hanno buttato a terra e hanno iniziato a darmi calci in testa. Quando mi sono rialzato e ho ripreso a parlare, uno di loro mi ha colpito alla bocca, e un altro mi ha sferrato un pugno nello stomaco. Sono andato giù. Sono riuscito a rialzarmi di nuovo, ma proprio mentre cominciavo per la terza volta a raccontare, il Colonnello mi ha sbattuto contro il muro e ho perso i sensi. La pagina contiene altri due paragrafi, ma Mr Blank non fa in tempo a mettersi a leggere il secondo che squilla il telefono. E un modello nero, a disco, di fine anni Quaranta, o inizio Cinquanta, e sta sul comodino, quindi Mr Blank deve alzarsi dalla sedia di pelle morbida e ciabattare all'altro capo della stanza. Alza il ricevitore al quarto squillo. Pronto, dice Mr Blank. E Mr Blank ?, chiede la voce in linea.

Se lo dice lei. È sicuro ? Non posso correre rischi. Io non sono sicuro di niente. Se mi vuole chiamare Mr Blank, risponderò a quel nome di buon grado. Con chi parlo ? Sono James. Non conosco nessun James. James P. Flood. Mi faccia ricordare. Sono venuto a trovarla ieri. Abbiamo passato due ore insieme. Oh. Il poliziotto. Ex poliziotto. Ah, già. L'ex poliziotto. Cosa posso fare per lei? Vorrei rivederla. Non le è bastata una conversazione ? Oh, no. So di essere solo un personaggio secondario in questa faccenda, ma mi hanno detto che avevo diritto di vederla due volte. Mi sta dicendo che non ho scelta. Temo di no. Ma non è necessario che parliamo nella stanza se non lo desidera. Se preferisce possiamo uscire e andarci a sedere nel parco. Non ho niente da mettere. Sono qui in pigiama e ciabatte. Guardi nell'armadio. Ha tutti i vestiti che le servono. Ah, l'armadio. Grazie. Ha già fatto colazione, Mr Blank ? Non credo. Mi è permesso mangiare?

Tre pasti al giorno. Dunque... è ancora un po' presto, ma fra poco dovrebbe arrivare Anna. Anna ? Ha detto Anna ? E la persona che si cura di lei. Credevo fosse morta. Non direi proprio. Forse è un'altra Anna. Ne dubito. Di tutte le persone coinvolte in questa storia, lei è l'unica che sia al cento per cento dalla sua parte. E gli altri ? Diciamo solo che c'è un bel po' di astio in giro, e fermiamoci qui. Bisogna osservare che, oltre alla macchina fotografica, c'è anche un microfono dissimulato in una delle pareti, e ogni rumore fatto da Mr Blank viene riprodotto e conservato da un registratore digitale a nastro ad alta sensibilità. Il minimo gemito o singhiozzo, il minimo colpo di tosse o la flatulenza più tenue che gli fuoriesca dal corpo sono dunque anche loro parte integrante della nostra cronaca. Inutile dire che questi dati acustici comprendono anche le parole in vario modo borbottate, dette o gridate da Mr Blank, come per esempio la telefonata di James Flood riportata sopra. Il colloquio termina con Mr Blank che cede a malincuore alla richiesta dell'ex poliziotto di andarlo a visitare in mattinata. Posata la cornetta, Mr Blank si siede sull'orlo del lettino in posizione identica a quella descritta nella frase iniziale di questa cronaca: a palmi aperti sulle ginocchia, testa bassa, occhi al pavimento. Si chiede se non dovrebbe alzarsi in piedi e cercare l'armadio di cui ha parlato Flood; e se non farebbe bene a togliersi il pigiama e indossare qualche vestito, purché l'armadio esista e, se esiste, purché contenga dei vestiti. Ma Mr Blank non ha fretta di dedicarsi a queste banalità. Vuole tornare al dattiloscritto che aveva iniziato a leggere prima di essere interrotto dal telefono. Perciò si alza dal letto e fa un primo passo esitante verso l'altro capo della stanza, sentendo nel frattempo un improvviso capogiro. Capisce che se si ostina a stare ritto cadrà, ma anziché tornare al letto e sedercisi sopra fino a quando la crisi non sarà finita, accosta la mano destra al muro, vi si appoggia con tutto il peso e piano piano scende fino a terra. Ora in ginocchio, Mr Blank si lascia cadere in avanti e pianta contro il pavimento anche i palmi delle mani. Malgrado il capogiro, è talmente ri-

soluto a raggiungere la scrivania che ci arriva carponi. Quando riesce a issarsi sulla sedia di pelle, si dondola qualche secondo avanti e indietro per distendere i nervi. Malgrado gli sforzi fisici, si rende conto che riprendere a leggere il dattiloscritto gli fa paura. Come mai lo abbia colto questa paura è una cosa che non sa spiegare. Sono solo parole, dice fra sé, e da quando le parole hanno il potere di spaventare quasi a morte un uomo ? Non riuscirà, mormora a voce bassa, quasi impercettibile. Poi, per tranquillizzarsi, ripete la medesima frase urlando con quanto fiato ha nei polmoni: non riuscirà! Inspiegabilmente, l'improvvisa esplosione sonora gli dà il coraggio di continuare. Respira a fondo, ferma gli occhi sulle parole davanti a lui e legge i due paragrafi seguenti: Da allora mi hanno sempre tenuto in questa stanza. Da quel che posso capire, non si tratta di una classica cella, e non sembra appartenere al carcere militare o alla prigione di zona. E un piccolo spazio chiuso, più o meno tre metri e mezzo per quattro e mezzo, e data la semplicità della costruzione (pavimento di terra, spessi muri di pietra), ho idea che un tempo possa essere servito da magazzino per derrate alimentari, magari sacchi di farina o granaglie. C'è un'unica finestra con le sbarre alla sommità del muro occidentale, ma è troppo in alto perché possa mettervi mano. Dormo in un angolo, su una stuoia di paglia, e mi danno due pasti al giorno: porridge freddo al mattino, minestra tiepida e pane duro alla sera. Secondo i miei calcoli, mi trovo qui da quarantasette notti. Ma potrei sbagliarmi. Nei primi giorni in cella ho subito numerosi pestaggi, e non ricordando quante volte ho perso i sensi - né la durata dei periodi di incoscienza quando mi è capitato - può darsi che a un certo punto abbia perso il conto e non mi sia accorto del sorgere di un sole o del tramonto di un altro. Il deserto inizia appena fuori dalla mia finestra. Ogni volta che il vento spira da ovest, sento il profumo dei cespi di salvia e di ginepro, la vegetazione minima di quelle aride distese. Là fuori io ho vissuto solo, per quasi quattro mesi, vagando liberamente da un luogo all'altro, dormendo all'aperto con ogni clima, e non mi è stato facile fare ritorno dalla vastità di quelle lande ai miseri confini di questa stanza. Posso resistere alla forzata solitudine, alla mancanza di colloquio e contatti umani, ma spasimo per vivere di nuovo nell'aria e nella luce, e passo i giorni affamato di qualcosa da guardare oltre questi rugosi muri di pietra. Di tanto in tanto dei soldati camminano sotto la mia finestra. Sento i loro scarponi scricchiolare sul terreno, gli scoppi irregolari delle loro voci, il frastuono dei carri e dei cavalli nella calura del giorno inaccessibile. Questa

è la guarnigione di Ultima: la propaggine più occidentale della Confederazione, il posto al limite del mondo conosciuto. Qui siamo a oltre duemila miglia dalla capitale, affacciati sulle distese incognite dei Territori alieni. Per legge, a nessuno è permesso di andarci. Io l'ho fatto perché me l'avevano ordinato, e ora sono tornato per fare il mio rapporto. Mi ascolteranno o non mi ascolteranno, poi mi accompagneranno fuori e sarò fucilato. Di questo ora sono quasi sicuro. L'importante è non illudere me stesso, non farmi tentare dalla speranza. Quando infine mi metteranno al muro e punteranno i fucili contro il mio corpo, l'unica cosa che chiederò loro sarà di togliermi la benda dagli occhi. Non perché mi interessi vedere gli uomini che mi uccideranno, ma perché voglio guardare ancora il cielo. I miei desideri attuali sono tutti qui. Stare fuori, all'aperto, e alzare gli occhi all'immenso cielo azzurro sopra di me, per guardare un'ultima volta l'infinito che urla. Mr Blank smette di leggere. Anziché impaurito ora si sente confuso, e anche se fino a qui ha compreso ogni parola del testo, non sa cosa pensarne. E un vero rapporto?, si domanda; e che dire del paese detto la Confederazione, con la sua guarnigione di Ultima e i misteriosi Territori alieni... ? e perché questa prosa in stile ottocentesco ? Mr Blank sa bene di non avere affatto la mente a posto, sa di non sapere un bel niente del luogo in cui si trova e dei motivi per cui vi si trova, ma è abbastanza sicuro che il momento attuale si collochi grossomodo agli inizi del xxi secolo, e di vivere in un paese chiamato Stati Uniti d'America. Quest'ultimo pensiero gli ricorda la finestra, o a essere precisi la tendina della finestra, su cui è stata attaccata una striscia di nastro adesivo bianco con la parola tendina. Premendo le piante dei piedi sul pavimento e le braccia sui braccioli della sedia di pelle, ruota di novanta-cento gradi a destra per dare un'occhiata alla tendina suddetta - perché la sedia può non solo dondolare avanti e indietro, ma anche girare in tondo. Quest'ultima scoperta fa talmente piacere a Mr Blank che al momento dimentica perché prima volesse guardare la tendina della finestra, e si abbandona al tripudio per la finora ignota prerogativa della sedia. Gira in tondo una volta, poi due volte, poi tre, e nel frattempo ricorda quando era bambino e si sedeva sulla sedia del barbiere, e anche il barbiere Rocco lo faceva girare in questo modo prima e dopo avergli tagliato i capelli. Fortunatamente, quando Mr Blank si calma la sedia è circa nella stessa posizione dell'istante in cui aveva cominciato a girare in tondo, quindi si trova a guardare di nuovo la tendina della finestra; e ancora Mr Blank, dopo questo piacevole intermezzo, si domanda se non farebbe meglio ad accostarsi alla finestra stessa, ad alzare la tendina e a guardare fuori per vedere dov'è. Forse non è più in America, dice fra sé, ma in qualche altro paese, rapito a notte fonda da agenti

segreti che lavorano per una potenza straniera. D'altra parte la triplice rivoluzione sulla sedia gli ha lasciato un bel capogiro, e Mr Blank è titubante a muoversi dal suo posto, temendo il ripetersi dell'episodio che pochi minuti prima lo ha costretto ad attraversare la stanza carponi. Ciò che Mr Blank adesso ancora non sa è che la sedia di pelle, oltre a basculare avanti e indietro e a girare in tondo, è anche dotata di quattro rotelle che gli renderebbero possibile transitare fino alla tendina della finestra senza il problema di alzarsi. Ignaro di poter disporre di altri mezzi di propulsione oltre alle gambe, Mr Blank resta lì dov'è, seduto sulla sedia, dando la schiena alla scrivania, gli occhi sull'ex bianca ma ora sempre più ingiallita tendina della finestra, tentando di ricordare la sua conversazione pomeridiana con l'ex poliziotto James P. Flood. Esplora la sua mente in cerca di un'immagine, di qualche indizio sull'aspetto dell'uomo; ma la mente, anziché evocare qualche figura distinta, è di nuovo sopraffatta da una paralizzante sensazione di colpa. Tuttavia, prima che questa nuova ondata di tormento e terrore possa lievitare in panico vero e proprio, Mr Blank sente che qualcuno sta tamburellando alla porta, e poi un rumore di chiave entrata nella serratura. Significa che Mr Blank è prigioniero nella stanza, impossibilitato a uscirne se non per grazia e carità di altri? Non necessariamente. Può anche darsi che Mr Blank abbia chiuso la porta dall'interno, e che la persona che ora cerca di entrare nella stanza debba far scattare la serratura per varcare la soglia, risparmiando cosi a Mr Blank la noia di alzarsi per aprire lui stesso. Sia come sia, la porta ora si apre ed entra una donna piccola, di età indefinibile - tra i quarantacinque e i cinquantanni, a occhio di Mr Blank, ma è difficile essere sicuri. Porta i capelli grigi corti, un paio di calzoni blu e una camicetta di cotone azzurra; e la prima cosa che fa una volta entrata nella stanza è sorridere a Mr Blank. Questo sorriso, che sembra unire tenerezza e affetto, scioglie le sue paure ponendolo in uno stato di sereno equilibrio. Mr Blank non ha idea di chi lei sia, ma è comunque contento di vederla. Ha dormito bene?, gli chiede la donna. Non so, risponde Mr Blank. A essere sincero, non mi ricordo se ho dormito o no. Bene. Significa che la cura sta facendo effetto. Anziché commentare questa frase enigmatica, Mr Blank studia in silenzio la donna per qualche istante e poi le chiede: Mi scusi se le sembro sciocco, ma lei per caso si chia-

ma Anna ? La donna gli rivolge un altro tenero e affettuoso sorriso. Sono contenta che l'abbia tenuto a mente, dice. Ieri continuava a scordarselo. All'improvviso perplesso e irrequieto, Mr Blank ruota sulla sedia di pelle fino a trovarsi davanti alla scrivania, poi prende il ritratto della ragazza dal mucchietto delle foto in bianco e nero. Prima che possa voltarsi di nuovo a guardare la donna il cui nome risulta essere Anna, lei è ritta accanto a lui con la mano delicatamente posata sulla sua spalla, e a sua volta osserva la foto. Se lei si chiama Anna, dice Mr Blank con la voce tremante di emozione, questa chi è ? Si chiama Anna anche lei, non è vero ? Si, risponde la donna scrutando il ritratto come se ricordasse qualcosa con sentimenti uguali ma contrari, di ripulsa e nostalgia. Questa è Anna. E anch'io sono Anna. Questa è una mia foto. Ma, balbetta Mr Blank, ma... la ragazza nella fotografia è giovane. E lei... lei ha i capelli bianchi. È il tempo, Mr Blank, dice Anna. Lei capisce il significato del tempo, non è vero ? Prima che Mr Blank possa rispondere, Anna ripone il ritratto di lei stessa più giovane sul mucchio delle fotografie. La sua colazione si raffredda, gli dice, ed esce dalla stanza senza dire altro ma un momento dopo ritorna, spingendo un carrello d'acciaio inossidabile con un vassoio di cibi che ferma di fianco al letto. Il rancio consiste in succo d'arancia, una fetta di pane tostato e imburrato, due uova in camicia in una piccola scodella bianca e un bricco di tè Earl Grey. A suo tempo Anna aiuterà Mr Blank ad alzarsi dalla sedia e lo accompagnerà al letto, ma prima gli porge un bicchiere d'acqua e tre pastiglie: una verde, una bianca e una viola. Perché questa roba?, domanda Mr Blank. Cos'ho, sono malato ? No, no, risponde Anna. Le pastiglie fanno parte del trattamento.

Ma io non mi sento male. Forse sono un po' stanco, ho qualche capogiro, ma per il resto niente di serio. Per la mia età, proprio niente di che. Prenda le sue pastiglie, Mr Blank. Cosi poi potrà fare colazione. Sono sicura che ha molta fame. Ma io non voglio le pastiglie, si impunta Mr Blank. Visto che non sono malato, non voglio trangugiare queste pillole maledette. Invece di rispondere per le rime alla reazione aggressiva e villana di Mr Blank, Anna si china e lo bacia sulla fronte. Caro Mr Blank, dice. Lo so come si sente... ma ha promesso che prenderà le pastiglie ogni giorno. Era l'accordo. Se non le prende, il trattamento non sarà efficace. L'ho promesso ?, domanda Mr Blank. Come faccio a sapere che dice la verità ? Perché sono io, Anna, e non le mentirei mai. Le voglio troppo bene. Le parole «le voglio bene» mitigano la caparbietà di Mr Blank, che opta d'istinto per una retromarcia. Okay, dice, prenderò le pastiglie. Ma solo se mi bacia un'altra volta. D'accordo ? Però stavolta dev'essere un bacio vero. Sulle labbra. Anna sorride, poi si china di nuovo e bacia Mr Blank, inequivocabilmente sulle labbra. Dato che il bacio dura almeno tre secondi, si qualifica come qualcosa di più di un semplice bacetto, e anche se non coinvolge le lingue questo contatto intimo propaga nel corpo di Mr Blank un fremito di eccitazione. Quando Anna si rialza, lui ha già cominciato a inghiottire le pastiglie. Ora sono seduti fianco a fianco sull'orlo del letto. Il carrello delle vivande è davanti a loro, e mentre Mr Blank beve il succo d'arancia, mangia un morso di pane tostato e assaggia il tè, Anna gli accarezza dolcemente la schiena con la mano sinistra, cantando a bocca chiusa una canzone che lui non riesce a identificare ma sa di conoscere bene, o di averla ben conosciuta un tempo. Poi passa alle uova in camicia, forando uno dei tuorli con la punta del cucchiaio e raccogliendo nel suo cavo una modica combinazione di rosso e bianco; ma quando deve portare il cucchiaio alla bocca, vede con sgomento che la mano gli trema. E non è solo un tremito leggero, bensì un sussulto accentuato e convulso, che non può controllare. Prima che il cucchiaio si sia alzato di quindici centimetri dalla ciotola, lo spasmo è

cosi violento che gran parte della poltiglia bianca e gialla è schizzata sul vassoio. Permette che le tenga io il cucchiaio?, chiede Anna. Che cos'ho? Niente di grave, risponde lei con un buffetto tranquillizzante sulla schiena. Una reazione naturale alle pastiglie. Passerà in qualche minuto. Bella cura che mi avete inventato, qui, borbotta Mr Blank con voce tetra, di autocommiserazione. E tutto a fin di bene, dice Anna. E non durerà per sempre. Mi creda. Allora Mr Blank lascia che Anna lo imbocchi, e mentre lei, con calma, gli somministra le uova in camicia a cucchiaiate, gli accosta alle labbra la tazza di tè e gli asciuga la bocca con un tovagliolo di carta, Mr Blank comincia a pensare che Anna non sia tanto una donna quanto un angelo o, piuttosto, un angelo in forma di donna. Perché è tanto gentile con me?, le chiede. Perché le voglio bene, dice Anna. E semplicissimo. Ora che la colazione è finita è il momento delle escrezioni, delle abluzioni e di cambiarsi i vestiti. Anna scosta dal letto il carrello e tende la mano a Mr Blank per aiutarlo ad alzarsi in piedi. Con suo grande stupore, lui si ritrova ritto davanti a una porta, una porta la cui presenza finora gli era sfuggita; e appiccicata alla superficie della porta c'è un'altra striscia bianca con la parola bagno. Mr Blank si domanda come abbia potuto non notarla, perché è li, a pochi passi da lui; ma come il lettore avrà già capito, i suoi pensieri sono stati quasi sempre altrove, persi nelle nebbie di un mondo di figure fantasmatiche e memorie interrotte, alla ricerca di una risposta alla domanda che lo ossessiona. Deve andare?, chiede Anna. Andare?, risponde lui. Andare dove? In bagno. Deve usare la toilette? Ah. La toilette. Si. Ora che me lo dice, credo sia meglio. Desidera che l'aiuti, o fa da solo?

Non sono sicuro. Proviamo un po', e vediamo che cosa succede. Anna gira per lui il pomolo bianco di porcellana e la porta si apre. Quando Mr Blank ciabatta dentro il bagno bianco e privo di finestre, con il pavimento a piastrelle bianche e nere, Anna chiude la porta alle sue spalle e per qualche istante Mr Blank resta semplicemente li seduto a guardare la tazza bianca contro la parete più in là, sentendosi d'un tratto quasi monco, smanioso di essere nuovamente con Anna. Alla fine bisbiglia fra sé: Un po' di grinta, vecchio mio. Ti stai comportando come un bambino. E tuttavia, anche mentre si avvicina alla tazza e comincia a calarsi i calzoni del pigiama, sente una tremenda voglia di piangere. I calzoni gli ricadono sulle caviglie; lui si siede sul water; la sua vescica e i suoi intestini si apprestano a scaricare i liquidi e i solidi trattenuti. L'orina gli zampilla dal pene, gli sgusciano dall'ano un primo e poi un secondo pezzo di feci, e liberarsi cosi è una sensazione tanto piacevole che dimentica la tristezza in cui era caduto pochi attimi prima. Chiaro che so cavarmela da solo, dice fra sé. Lo ha sempre fatto fin dall'infanzia, e quando si tratta di pisciare e cacare non è meno abile di chiunque altro al mondo. Non solo: è anche un maestro nel pulirsi il sedere. Lasciamo che Mr Blank si goda il suo piccolo momento di onnipotenza, perché malgrado il successo nella prima fase dell'operazione, la seconda non fila altrettanto liscia, proprio no. Rialzarsi dal water e tirare lo sciacquone è un gioco da ragazzi, ma dopo averlo fatto si rende conto di avere ancora i calzoni del pigiama arrotolati alle caviglie, e per tirarli su deve o chinarsi in avanti o accovacciarsi e afferrarli per la vita con le mani. Né chinarsi né accovacciarsi sono operazioni che oggi gli riescono particolarmente agevoli, ma infine fra le due teme di più l'atto di chinarsi, conscio della possibilità di perdere l'equilibrio una volta abbassata la testa; e temendo, se in effetti perdesse l'equilibrio, di cadere sul pavimento e rompersi la testa contro le piastrelle bianche e nere. Decide quindi che il minore dei mali è accovacciarsi, pur non essendo affatto sicuro che le ginocchia reggeranno lo sforzo cui le sottoporrà. Ma non sapremo mai se avrebbero retto. Avvisata dal rumore dello sciacquone, Anna - sicura che Mr Blank ha finito di fare quello che doveva fare - apre la porta ed entra nel bagno. Si potrebbe pensare che Mr Blank sia in imbarazzo perché si trova in una posizione cosi compromettente (in piedi con le braghe arrotolate, il pene moscio pendulo fra le gambe nude e scarne), e invece no. Mr Blank non è preda

di falsi pudori alla presenza di Anna. Semmai, è ben contento di mostrarle quello che ha da mostrarle, e anziché rattrappirsi in tutta fretta per tirare su i calzoni, comincia a sbottonarsi la giacca del pigiama per togliere anche quella. Adesso farei il bagno, annuncia. Un bagno vero e proprio nella vasca, chiede lei, o solo unajavata con la spugna ? È uguale. Decida lei. Anna guarda l'orologio e dice: Meglio solo la spugna. Si sta facendo tardi, e devo ancora vestirla e rifare il letto. A questo punto, Mr Blank si è tolto sia la giacca sia i calzoni del pigiama, nonché le ciabatte. Per nulla turbata dalla vista del corpo nudo del vecchio, Anna si avvicina alla tazza, abbassa il coperchio del sedile e gli dà un paio di bottarelle con il palmo della mano, invitando Mr Blank a sedersi. Mr Blank si siede, quindi Anna si accomoda al suo fianco sull'orlo della vasca da bagno, apre l'acqua calda e si mette a bagnare un guanto di spugna bianco sotto il rubinetto. Nel momento in cui Anna comincia a toccare il corpo di Mr Blank con la spugna calda e saponosa, lui cade in una trance di languida passività, assaporando la sensazione delle mani delicate di lei. Anna parte dall'alto e scende piano piano, lavando le orecchie e dietro le orecchie, il collo davanti e dietro, facendolo voltare sul sedile del water per muovere il guanto su e giù lungo la schiena, e quindi rivoltare per ripetere la stessa operazione sul petto, fermandosi ogni quindici secondi circa per bagnare il guanto sotto il rubinetto, ora aggiungendovi altro sapone e ora risciacquandolo, a seconda che stia lavando una specifica parte del corpo di Mr Blank o togliendo il sapone da una zona appena pulita. Mr Blank chiude gli occhi, la testa di botto svuotata degli esseri-ombra e dei terrori che lo hanno ossessionato dal primissimo paragrafo di questa cronaca. Nel momento in cui il guanto è sceso fin giù al ventre, il suo pene ha cominciato a cambiar forma, allungandosi, ingrossandosi e giungendo a una parziale erezione; e Mr Blank si sorprende che, essendo cosi avanti negli anni, il suo pene persista a comportarsi come ha sempre fatto, senza mai modificare la sua condotta dalla prima adolescenza. Da allora tante cose per lui sono cambiate, ma non questa, non questa sola cosa; e adesso che Anna ha posto il guanto a diretto contatto con quel pezzo del suo corpo, se lo sente indurire fino all'estensione completa, e quando lei procede a frizionarlo e accarezzarlo con, l'acqua calda piena di bollicine, è già tanto che si trattenga dal pregarla a gran voce di completare l'opera.

Oggi è vispo, vero Mr Blank?, dice Anna. Temo di si, sussurra Mr Blank, con gli occhi ancora chiusi. Non posso farci nulla. Se fossi in lei, sarei fiero di me. Non tutti gli uomini della sua età sono ancora... ancora capaci di tanto. Ma io non c'entro. Il coso ha vita propria. D'un tratto il guanto si sposta sulla sua gamba destra. Prima che Mr Blank possa prendere atto della propria delusione, sente la mano nuda di Anna scivolare su e giù lungo la ben lubrificata erezione. La destra non ha smesso di detergerlo con il guanto, ma la sinistra ora si presta a elargirgli quest'altro favore, e proprio mentre soccombe alle esperte manipolazioni della sinistra, lui si domanda cosa avrà mai fatto per meritare un trattamento tanto generoso. Quando il seme sprizza fuori Mr Blank ansima, e solo allora, ad atto compiuto, apre gli occhi e si volge verso Anna. La quale non è più seduta sull'orlo della vasca, ma sta inginocchiata sul pavimento davanti a lui, ad asciugargli l'eiaculato con il guanto. E a testa bassa, quindi non può vederle gli occhi, ma - lo stesso - allunga la mano destra a toccarle la guancia sinistra. Qui Anna alza lo sguardo, e appena gli occhi si incontrano gli fa un altro dei suoi teneri e affettuosi sorrisi. Com'è buona con me, dice lui. Voglio che sia felice, risponde lei. Sta attraversando un periodo difficile, e se nel frattempo può avere almeno qualche attimo di godimento, sono felice di aiutarla. Io le ho fatto qualcosa di tremendo. Non so che cosa sia, ma qualcosa di tremendo... di indicibile, di imperdonabile. E lei è qui che si prende cura di me come fossi un santo. La colpa non è stata sua. Lei ha fatto il suo dovere, e io non voglio vendicarmi ai suoi danni. Ma lei ha sofferto. Io l'ho fatta soffrire, vero? Si, atrocemente. Ho rischiato di non venirne fuori. Cosa le ho fatto? Mi ha mandato in un luogo pericoloso, un luogo disperato, un luogo di distruzione e di morte.

Che cos'era? Una specie di missione? Si, forse si può definire cosi. Era giovane allora, vero? La ragazza nella foto. Si. Lei era bellissima, Anna. Adesso è un po' invecchiata, ma la trovo ancora bella. Praticamente perfetta, non so se mi spiego. Ora non esageri, Mr Blank. Non esagero. Se qualcuno mi dicesse che dovrò guardarla ventiquattro ore al giorno per tutta la vita che mi resta, credo che non avrei nulla da obiettare. Anna sorride di nuovo, e di nuovo Mr Blank le sfiora la guancia sinistra con la mano destra. Quanto tempo è rimasta in quel luogo?, le chiede. Qualche anno. Molto più di quello che mi aspettavo. Però ne è uscita. Alla fine, si. Mi vergogno molto. Ma non deve. Mi creda, Mr Blank, senza di lei, io non sarei nessuno. Però... Nessun pera. Lei non è come gli altri uomini. Ha sacrificato la vita per una cosa più grande di lei, e tutto quello che ha fatto o non ha fatto non è mai stato dettato dall'egoismo. A lei è mai capitato di innamorarsi, Anna ? Qualche volta. E sposata? Lo ero. Era?

Mio marito è morto tre anni fa. E come si chiamava ? David. David Zimmer. Come è morto ? ; Era malato di cuore. Sono io il responsabile anche di questo, vero ? Oh, no... solo indirettamente. Mi spiace molto. Ma no... Prima di tutto, senza di lei non avrei mai conosciuto David. Le assicuro, Mr Blank, che non è colpa sua. Uno fa quel che deve, e poi le cose capitano. Quelle belle, e anche quelle brutte. La vita è cosi. A volte siamo noi quelli a cui succede di soffrire, ma c'è un motivo per questo, un buon motivo, e chiunque se ne lagni non capisce cosa vuol dire essere vivi. Va notato che nel pavimento del bagno sono stati nascosti una seconda telecamera e un secondo registratore, rendendo possibile anche la registrazione di tutte le attività che avvengono in quello spazio; e dato che tutte è un termine assoluto, la trascrizione del colloquio fra Anna e Mr Blank può essere verificata nei minimi dettagli. Il lavaggio con la spugna si prolunga ancora per qualche minuto, e quando Anna ha finito di lavare e sciacquare le altre parti del corpo di Mr Blank (gambe, davanti e dietro; caviglie, piedi e dita dei piedi; braccia, mani e dita delle mani; scroto, natiche e ano), prende un accappatoio di spugna nero appeso a un gancio nella porta e aiuta Mr Blank a indossarlo. Poi raccoglie il pigiama a righe gialle e azzurre ed esce nell'altra stanza, badando a lasciare la porta aperta. Mentre Mr Blank, ritto davanti al piccolo specchio sopra il lavabo, si fa la barba con un rasoio elettrico a batteria (per ovvi motivi le lame e lamette tradizionali sono vietate), Anna ripiega il pigiama, rifa il letto e apre l'armadio per scegliere gli indumenti di Mr Blank per la giornata. Si muove svelta e pratica, come se dovesse recuperare il tempo perduto. Sbriga queste faccende cosi in fretta che quando Mr Blank finisce di radersi e passa nell'altra stanza, vede con meraviglia i suoi vestiti già distesi sul letto. Memore del colloquio con James P. Flood e della menzione della parola armadio, sperava di trovare Anna nell'atto di aprire lo sportello dell'armadio, purché l'armadio esista, dandogli modo di scoprirne l'ubicazione.

Ora, guardando la stanza, non ne vede traccia, e un altro mistero rimane insoluto. Ovviamente potrebbe chiedere dov'è ad Anna, ma quando la vede li seduta sul letto, che gli sorride, la commozione di ritrovarsi in sua presenza è tale che dimentica la domanda. Ora sto cominciando a ricordarmi di lei, dice. Non tutto, ma dei piccoli flash, spizzichi e bocconi. La prima volta che l'ho vista ero molto giovane, vero? Ventun anni, più o meno, risponde Anna. Ma continuavo a perderla. C'era per qualche giorno, e poi spariva. E passato un anno, poi due, poi quattro, e poi all'improvviso è rispuntata fuori. E perché non sapeva che farsene di me. Ci ha messo un sacco di tempo a capirlo. E poi l'ho inviata in quella... in quella sua missione. Ricordo che ero atterrito per lei. Ma ai tempi era una vera combattente, giusto ? Una ragazza tosta e piena di vita, Mr Blank. Esatto. E fu questo che mi diede speranza. Se non fosse stata una persona ricca di risorse, non ce l'avrebbe mai fatta. Ora l'aiuto a vestirsi, dice Anna, guardando l'orologio. Il tempo corre. La parola corre riporta a Mr Blank i suoi capogiri e le precedenti difficoltà di deambulazione; ma ora, nel percorrere la breve distanza dalla porta del bagno fino al letto, si rincuora perché il suo cervello è lucido e non si sente a rischio di cadute. Senza elementi a confermare l'ipotesi, attribuisce questo progresso all'angelica, benigna Anna, al semplice fatto che negli ultimi venti o trenta minuti sia stata li in sua compagnia, irradiando l'affetto che lui desidera disperatamente. Scopre che gli abiti sono tutti bianchi; pantaloni bianchi di cotone, camicia bianca con bottoni al colletto, boxer bianchi, calzini di nylon bianchi e scarpe da tennis bianche. Che strano assortimento, osserva Mr Blank. Sembrerò un gelataio.

Era un'espressa richiesta, risponde Anna. Di Peter Stillman. Non il padre, il figlio, Peter Stillman Junior. E chi è? Non ricorda ? Temo di no. Un altro dei suoi subalterni. Quando lo inviò in missione, doveva essere tutto vestito di bianco. Quante persone ho inviato ? Centinaia, Mr Blank. Ho perso il conto. Va bene. Andiamo avanti. Tanto, non credo faccia differenza. Senza altri indugi, scioglie la cintura dell'accappatoio e lo lascia cadere sul pavimento. Ancora, si ritrova nudo di fronte ad Anna, senza avvertire il minimo imbarazzo o pudore. Sbirciando in basso e indicando il suo pene, dice: Guardi com'è piccolo. Mr Big non è più tanto big, eh ? Anna sorride e picchietta con il palmo della mano sul letto invitandolo a sedersi accanto a lei. Mentre si siede, Mr Blank è nuovamente proiettato a ritroso verso la prima infanzia, verso i tempi di Whitey il cavallo a dondolo e dei loro lunghi viaggi fra i deserti e le montagne del Far West. Pensa a sua madre, ricorda che lo vestiva cosi nella camera al primo piano, mentre il sole del mattino filtrava sghembo dalle veneziane, e d'un tratto, intuendo che sua madre è morta, probabilmente da tanto tempo, si chiede se Anna non sia in un certo modo diventata per lui una nuova madre, sia pure a questa età ormai avanzata, perché altrimenti come potrebbe sentirsi tanto bene in sua compagnia, mentre di solito il suo corpo lo rende cosi timido e impacciato di fronte agli altri ? Anna scende dal letto e si accovaccia davanti a Mr Blank. Comincia dai calzini, infilandone prima uno al piede sinistro e poi l'altro al destro; poi passa alle mutande, che gli fa scivolare lungo le gambe e, mentre lui si alza in piedi per agevolarle il lavoro, su fino alla vita, occultando cosi l'ex Mr Big, il quale senza dubbio fra non molte ore si rialzerà di nuovo per ribadire il suo dominio su Mr Blank. Mr Blank per la seconda volta si siede sul letto, e l'operazione viene ripetuta con i calzoni. Quando si siede per

la terza volta, Anna gli mette ai piedi le scarpe sportive, prima la sinistra e poi la destra, e subito comincia ad annodare i lacci, prima alla destra e poi alla sinistra. Dopodiché, si rialza e si siede sul letto accanto a Mr Blank, per aiutarlo a mettere la camicia: prima gli guida il braccio sinistro nella manica sinistra, poi il braccio destro nella manica destra, e infine l'abbottona dal basso verso l'alto; e durante la lenta e laboriosa operazione, i pensieri di Mr Blank sono altrove, sono tornati nella sua cameretta con Whitey e la mamma, al ricordo che lei gli faceva le stesse cose con la stessa amorevole pazienza, tanti e tanti anni prima, nei lontani inizi della sua vita. Ora Anna se n'è andata. Il carrello d'acciaio inossidabile non c'è più, la porta è stata chiusa, e Mr Blank è di nuovo solo nella stanza. Tutte le domande che aveva intenzione di farle - sull'armadio, sul dattiloscritto che parla della cosiddetta Confederazione, sul dubbio se la porta sia chiusa dall'esterno o no - sono rimaste inespresse, quindi Mr Blank non è meno ignorante riguardo a cosa ci faccia qui di quanto fosse prima dell'arrivo di Anna. Per intanto è seduto sull'orlo del lettino, i palmi delle mani aperti sulle ginocchia, la testa bassa, lo sguardo al pavimento; ma presto, appena avrà la forza di volontà per farlo, si alzerà dal letto e si riavvicinerà alla scrivania per spulciare il mucchietto di foto (purché trovi il coraggio di rimettersi davanti a quelle immagini) e proseguirà nella lettura del dattiloscritto sull'uomo prigioniero nella stanza a Ultima. Ma per ora non fa nient'altro che sedere sul letto e struggersi per Anna, che vorrebbe ancora li insieme a lui, per abbracciarla e tenerla stretta. Adesso si è rialzato in piedi. Prova a trascinarsi verso la scrivania, ma si è dimenticato che non ha più le ciabatte, e la suola di gomma della scarpa da tennis sinistra gli si incolla al parquet - in maniera talmente repentina e imprevista che Mr Blank perde l'equilibrio e rischia di cadere. Al diavolo, fa, al diavolo queste stronzate di scarpe bianche. Vorrebbe togliere le scarpe da tennis e rimettersi le ciabatte, ma le ciabatte sono nere, e con queste ai piedi non sarebbe più tutto vestito di bianco, come invece Anna gli ha richiesto esplicitamente - in omaggio alla pretesa di un certo Peter Stillman Junior, chiunque esso sia. Poi Mr Blank abbandona il passo strascicato che gli veniva comodo con le ciabatte e va verso la scrivania a un'andatura più o meno normale. Non certo il passo nervoso, tacco-e-punta, che si vede nelle persone giovani ed energiche, ma un procedere lento e appesantito, per cui Mr Blank solleva un piede da terra di tre o quattro centimetri, proietta avanti la gamba collegata a quel piede di una

quindicina di centimetri e quindi appoggia sul pavimento l'intera suola della scarpa, tacco e punta insieme. Segue una breve pausa, quindi l'operazione si ripete con l'altro piede. Non è un bello spettacolo, però basta allo scopo, e presto Mr Blank si trova alla scrivania. La sedia è stata spinta sotto il tavolo, e di conseguenza per sedersi è costretto a tirarla in fuori. Cosi facendo, scopre finalmente che la sedia è dotata di rotelle, perché invece di grattare sul pavimento come lui si era aspettato, scorre via liscia, praticamente senza richiedergli il minimo sforzo. Mr Blank si siede, al colmo dello stupore per non avere mai colto questo particolare della sedia nelle sue precedenti visite alla scrivania. Appoggia i piedi contro il pavimento, dà una leggera spinta ed eccolo arretrare per una distanza di tre o quattro passi. Gli sembra una scoperta importante, perché certo, dondolarsi avanti e indietro e girare in tondo è bello, ma questa facoltà della sedia di muoversi per la stanza ha un notevole potenziale terapeutico - per esempio, nel caso in cui sentisse le gambe particolarmente affaticate, o fosse colto da un altro dei suoi capogiri. In quelle situazioni, anziché dover alzarsi in piedi e camminare, avrà modo di usare la sedia per spostarsi da un punto all'altro in posizione comoda, mantenendo le forze per questioni più urgenti. Questo pensiero lo rasserena, eppure, mentre torna piano sulla sua sedia verso la scrivania, lo schiacciante senso di colpa che durante la visita di Anna era scomparso quasi del tutto all'improvviso si ripresenta, e quando si trova alla scrivania capisce che è la stessa scrivania la responsabile di quei pensieri opprimenti - o forse non la scrivania in quanto tale, ma le foto e i fogli accatastati sulla sua superficie, che senz'altro contengono la risposta alla domanda che lo ossessiona. Sono quelli la fonte della sua angoscia, e anche se sarebbe facile tornare a letto e ignorarle, si sente in dovere di perseverare nelle indagini, siano pure contorte e dolorose. Abbassa gli occhi e nota un taccuino e una penna a sfera - oggetti che non ricorda di aver visto li nella sua ultima visita alla scrivania. Non fa niente, dice fra sé, e senza altri pensieri prende la penna con la mano destra e con la sinistra apre il taccuino alla prima pagina. Per non dimenticare quel che è successo oggi fino ad ora - perché Mr Blank è un terribile smemorato - scrive il seguente elenco di nomi: James P. Flood Anna David Zimmer Peter Stillman, Jr Peter Stillman, Sr Sbrigato questo piccolo lavoro richiude il taccuino, po-

sa la penna e mette entrambi da parte. Poi, quando prende le prime pagine della risma più a sinistra, scopre che sono unite insieme con una graffetta: saranno venti pagine o venticinque al massimo, e quando depone il fascicolo davanti a sé si rende conto che è il dattiloscritto che stava leggendo prima dell'arrivo di Anna. Decide che è stata lei a graffettare le pagine - per agevolargli il compito - e poi, resosi conto che il fascicolo non è tanto lungo, pensa che forse avrà tempo di finirlo prima che James P. Flood bussi alla porta. Cerca il quarto paragrafo della seconda pagina e comincia a leggere: Negli ultimi quaranta giorni non mi hanno più picchiato, e non si sono fatti vivi né il Colonnello né gli uomini del suo stato maggiore. L'unico essere umano che abbia visto è il sergente che mi porta da mangiare e sostituisce il bugliolo. Ho cercato di trattarlo civilmente, buttando sempre li qualche frasetta quando entra, ma evidentemente lui ha la consegna del silenzio, e non sono mai riuscito a spremere una parola da questo gigante in divisa bruna. Poi, neanche un'ora fa, è successa una cosa straordinaria. Il sergente ha aperto la porta e sono entrati due giovani soldati, con un tavolino di legno e una sedia. Li hanno posati al centro della stanza, quindi è entrato anche il sergente che ha appoggiato sul tavolo una risma di carta bianca, un calamaio e una penna. - Ha il permesso di scrivere, - ha detto. - E il suo modo di far conversazione, - gli ho chiesto, - o sta cercando di darmi un ordine ? - Il Colonnello dice che ha il permesso di scrivere. Lo può intendere come preferisce. - E se preferissi non scrivere ? - E libero di fare come crede, ma per il Colonnello non è plausibile che un uomo nella sua posizione rinunci all'occasione di difendersi scrivendo. - Presumo abbia intenzione di leggere quello che scriverò. - Si... è logico presumerlo. - E poi lo inoltrerà alla capitale ? - Non ha parlato delle sue intenzioni. Ha solo detto che poteva scrivere. - Quanto tempo mi concedete ?

- L'argomento non è stato discusso. - E se finissi la carta ? - Le verrano dati tutto l'inchiostro e la carta necessari. Il Colonnello voleva che glielo dicessi. - Ringrazi a nome mio il Colonnello e gli dica che capisco quello che sta facendo. Mi sta dando un'occasione di mentire sull'accaduto per salvarmi la pelle. Molto sportivo da parte sua. Può riferirgli che apprezzo il gesto, per favore ? - Riferirò il messaggio al Colonnello. - Bene. Ora, lasciatemi in pace. Se lui vuole che scriva lo farò, ma devo essere solo per riuscirci. Ovviamente, tiravo a indovinare. La verità è che non ho la minima idea del perché il Colonnello abbia fatto quello che ha fatto. Mi piacerebbe credere che cominci ad avere pietà di me, ma dubito che le cose siano tanto semplici. Il Colonnello De Vega è tutto fuorché misericordioso, e se di punto in bianco vuole rendermi la vita meno penosa, fornirmi una penna è certo uno strano modo per farlo. Gli tornerebbe utile un bel manoscritto di menzogne, ma non può pensare che io accetti di cambiare la mia cronaca cosi tardi. Ha già provato a farmi ritrattare, e se non ho ceduto quando mi hanno quasi massacrato di botte, perché dovrei farlo adesso ? Secondo me per lui è soltanto una questione di prudenza, un modo per tutelarsi da qualsiasi evenienza. Troppa gente sa che sono qui per farmi giustiziare senza processo. D'altra parte, un processo è da evitare a ogni costo, perché se il caso finisse davanti a un giudice, la mia storia diventerebbe di dominio pubblico. Dandomi il permesso di esporla nero su bianco sta raccogliendo prove, prove irrefutabili a sostegno di qualunque azione decida di intraprendere contro di me. Per esempio: supponiamo che vada fino in fondo, facendomi fucilare senza processo. Quando il comando militare della capitale venisse a sapere che sono morto, sarebbero costretti per legge ad aprire un'inchiesta ufficiale, ma allora il Colonnello non dovrebbe fare altro che consegnare loro le pagine da me scritte per essere scagionato. Anzi, sicuramente gli darebbero una medaglia per avere risolto l'enigma con tanta decisione. E può darsi che abbia già scritto loro qualcosa al mio riguardo, e adesso io tenga in mano questa penna perché loro gli hanno suggerito di darmela. In circostanze normali, una lettera da Ultima impiega circa tre settimane per raggiungere la capitale. Se sono qui da un mese e mezzo, la loro risposta po-

trebbe essergli arrivata proprio oggi. Probabilmente con queste istruzioni: fai scrivere al traditore la sua storia, poi saremo liberi di sbarazzarci di lui a piacimento. Questa è una possibilità. Ma può anche darsi che mi stia attribuendo un'importanza eccessiva, e il Colonnello stia semplicemente giocando con me. Che abbia deciso di divertirsi con lo spettacolo della mia sofferenza ? In una città come Ultima le distrazioni sono poche, e un uomo non abbastanza intraprendente da inventarsele da sé rischia sul serio di impazzire di noia. Me lo immagino, il Colonnello, mentre legge le mie parole a voce alta alla sua amante, seduti entrambi a letto a sera tarda, ridendo delle mie povere espressioni patetiche. Sarebbe divertente, no ? Che gradito diversivo, che bella ilarità maligna. Magari se saprò appassionarlo abbastanza, mi permetterà di scrivere per sempre, e passo dopo passo diventerò il suo clown personale, lo scrivano-buffone che rotola per terra versando l'inchiostro dappertutto. E anche se si stancasse dei miei racconti e mi facesse uccidere, il manoscritto resterà, giusto ? Sarà il suo trofeo... un altro teschio da aggiungere alla sua collezione. Eppure mi è difficile reprimere la gioia che provo adesso. Quali che siano stati i moventi del Colonnello De Vega, qualunque trappola o umiliazione possa avere in serbo per me, devo onestamente dire che questo è il momento più felice dai tempi dell'arresto. Sono seduto al tavolo, e sento scricchiolare la penna sulla superficie della carta. Mi arresto. Intingo la penna nel calamaio, poi guardo le forme nere che vengono a tracciarsi mentre muovo la mano lentamente da sinistra a destra. Arrivo al margine e poi torno dall'altro lato; e quando le forme cominciano a sbiadire, mi fermo nuovamente e intingo la penna nel calamaio. Questo succede mentre avanzo verso il fondo della pagina, e ogni grappolo di segni è una parola, e ogni parola è un suono nella mente, e ogni volta che ne scrivo un'altra sento il suono della mia voce anche se le labbra tacciono. Appena il sergente ha richiuso la porta ho alzato il tavolo e l'ho avvicinato al muro occidentale, ponendolo proprio sotto la finestra. Quindi sono tornato a prendere la sedia, l'ho messa sopra il tavolo e mi sono arrampicato prima sul tavolo, e poi sulla sedia. Volevo vedere se riuscivo a stringere le dita attorno alle sbarre della finestra, nella speranza di issarmi e rimanere appeso abbastanza a lungo per scorgere qualcosa del difuori. Ma con tutti i miei sforzi, le punte delle dita non hanno raggiunto la loro meta. Non volendo rinunciare al tentativo mi sono tolto la camicia e ho cercato di lanciarla verso le sbarre, pensando

che, se fossi riuscito a infilarla fra l'una e l'altra, dopo avrei afferrato le maniche penzolanti e avrei potuto tirarmi su. Ma neanche la camicia era abbastanza lunga, e non avendo attrezzi per guidare la stoffa attorno ai montanti metallici (un bastone, un manico di scopa, anche un ramo) non ho potuto fare altro che sventolare la camicia avanti e indietro come una bandiera bianca. Infine, forse è meglio accantonare questi sogni. Se non posso trascorrere i miei giorni guardando fuori dalla finestra, mi dovrò concentrare sul compito immediato. L'essenziale è smetterla di preoccuparmi del Colonnello, sgombrare il cervello da tutti i pensieri e descrivere i fatti come li conosco. Quello che lui sceglierà di fare di questa cronaca è soltanto affar suo, io non ho alcun potere di influire sulle sue decisioni. L'unica cosa che posso fare è raccontare la storia. E con la storia che ho da raccontare, sarà già abbastanza difficile. Mr Blank si interrompe un attimo per riposare gli occhi, passarsi le dita fra i capelli e riflettere sul senso delle parole che ha appena letto. Quando pensa al tentativo fallito del narratore di issarsi a guardar fuori dalla finestra, all'improvviso ricorda la sua, di finestra, o più precisamente la tendina che la copre, e ora che ha un mezzo per avvicinarsi senza dover alzarsi in piedi, decide che è il momento di sollevare la tendina e dare un'occhiata fuori. Se riesce a immagazzinare i suoi dintorni, forse gli tornerà qualche ricordo che lo aiuti a spiegare perché è rinchiuso in questa stanza; forse la semplice vista di un albero o del cornicione di una casa o di una macchia qualsiasi di cielo basterà ad accendergli la lampadina. Quindi abbandona la lettura del dattiloscritto per andare alla parete dove si apre la finestra. Giunto alla meta allunga la mano destra, afferra l'orlo inferiore della tendina e gli dà un rapido strattone, sperando di azionare la molla che farà schizzare l'avvolgibile verso l'alto. Si tratta tuttavia di una tendina vecchia, che non reagisce quasi più; e invece di scattare in su, mostrando la finestra sottostante, cede, scendendo di alcuni centimetri al di sotto del davanzale. Esasperato per il fallimento, Mr Blank dà un secondo strattone, più violento e più lungo; ed ecco, la tendina decide di comportarsi come un vero avvolgibile e si arrotola fino alla sommità della finestra. Immaginate la delusione di Mr Blank quando guardando la finestra scopre che le imposte sono state chiuse impedendogli ogni possibilità di vedere fuori e capire dove si trova. E non si tratta delle classiche imposte di legno ad assicelle mobili, che lasciano filtrare un po' di luce: questi sono pannelli di metallo a uso industriale, senza aper-

ture, verniciati di un grigio tetro da cui emergono zone arrugginite che hanno cominciato a corrodere la superficie. Quando si riprende dal trauma, Mr Blank capisce che il diavolo non è poi cosi brutto come se l'era dipinto. Le imposte si chiudono dall'interno, e per mettere le dita sulla serratura non deve fare altro che alzare al massimo il pannello della finestra. Quindi, sganciato il fermo, con una spinta riuscirà ad aprire le imposte e guarderà fuori, il mondo attorno a lui. Sa che per avere la leva necessaria all'operazione dovrà alzarsi in piedi sulla sedia, ma è uno scotto modesto da pagare: quindi solleva il suo corpo da dove sta seduto, controlla bene che la finestra non sia chiusa a chiave (non lo è), appoggia saldamente le basi delle mani sotto la sbarra superiore del telaio, fa una breve pausa di preparazione alla fatica che lo attende e poi spinge con tutte le sue forze. Inaspettatamente, la finestra non si muove. Mr Blank si interrompe per prendere fiato e poi ritenta - sempre con esito negativo. Sospetta che la finestra si sia incollata - o per la troppa umidità o per una bava di vernice che ha appiccicato insieme le metà sopra e sotto senza che nessuno se ne accorgesse - ma poi, esaminando da vicino la barra superiore del telaio, scopre qualcosa che non aveva notato. Nella barra sono piantati due grossi chiodi da carpentiere: quasi invisibili, perché le teste sono state verniciate. Un grosso chiodo a sinistra, un grosso chiodo a destra; e poiché Mr Blank sa di non poter estrarre quei chiodi dal legno, la finestra non può venire aperta - né ora, è chiaro, né dopo; né mai, in nessuna circostanza. Finalmente è stata data la prova. Qualcuno, forse più d'uno, ha o hanno chiuso Mr Blank in questa stanza e ora lo tiene o tengono prigioniero contro la sua volontà. Almeno questo è quanto lui deduce dall'evidenza dei due chiodi piantati nel telaio della finestra; ma benché l'evidenza sia schiacciante, permane la questione della porta, e fino a quando Mr Blank non stabilirà se quella è chiusa a chiave, la conclusione che ha tratto potrebbe essere falsa. Se fosse lucido, il suo passo seguente sarebbe andare a piedi o sulla sedia fino alla porta e indagare subito. Ma Mr Blank non si muove dal suo posto vicino alla finestra per il semplice motivo che ha paura, una paura tale di quello che potrebbe scoprire dalla porta che non se la sente di rischiare un faccia a faccia con la verità. No, invece si rimette seduto sulla sedia e decide di rompere la finestra. Perché, sia questa chiusa a chiave o no, per prima cosa vuole disperatamente scoprire dove si trova. Pensa all'uomo nel dattiloscritto che ha letto e si chiede se, infine, anche lui non verrà portato fuori e fucilato. O, una fantasia ancora più sinistra, non verrà assassinato proprio qui nella stanza, strangolato dalle mani erculee di qualche criminale.

Nei pressi non ci sono oggetti contundenti. Nessun martello, per esempio, né manici di scope o badili, né piccozze, né arieti, perciò ancor prima di iniziare Mr Blank sa che i suoi sforzi sono condannati al fallimento. Però tenta ugualmente, perché non è soltanto impaurito, ma rabbioso, e nella rabbia si sfila la scarpa da tennis destra, la tiene saldamente per la punta nella mano destra e comincia a battere il tacco contro il vetro. Forse una finestra normale si romperebbe sotto questi colpi, ma qui abbiamo un doppio vetro termico di qualità robustissima, e quando il vecchio lo picchia con la sua misera arma di gomma e tela non trema nemmeno. Dopo ventun colpi consecutivi Mr Blank rinuncia, lasciando cadere la scarpa sul pavimento. Poi, tra la collera e la frustrazione, sferra qualche pugno contro il vetro non volendo lasciare che la finestra abbia l'ultima parola, ma carne e ossa non sono in grado di incrinare il vetro più di quanto lo sia stata la scarpa. A Mr Blank viene l'impulso di provarci prendendo la finestra a capocciate, ma anche se non c'è completamente con la testa, rimane abbastanza lucido da capire l'assurdità di infliggersi dei gravi danni fisici per una causa senz'altro perduta. E allora, tristemente, si riaccascia sulla sedia e chiude gli occhi - non solo impaurito, non solo inviperito, ma anche esausto. Nel momento in cui chiude gli occhi, vede gli esseriombra sfilare a parata nella sua mente. Sono un lungo e fosco corteo composto da decine, forse anche centinaia di figure, tra cui uomini e donne, bambini e vecchi; e se alcuni sono bassi, altri sono alti, e mentre certi sono tondi, certi altri sono smilzi, e allungandosi per ascoltarli Mr Blank sente non solo il rumore dei loro passi, ma qualcosa che potrebbe assomigliare a un rantolo, un comune rantolo quasi impercettibile che sale da loro. Dove si trovino e dove stiano andando non sa dirlo, ma sembrano vagare per qualche pascolo dimenticato, ed essendo cosi buio, e avanzando ogni figura con la testa bassa, Mr Blank non distingue nessun volto. Tutto quello che sa è che la sola vista di questi simulacri lo atterrisce, e di nuovo è vinto da un implacabile senso di colpa. Presume che queste persone siano quelle che lui ha inviato nelle varie missioni durante gli anni e che, come per Anna, forse per alcuni di loro, o per molti, o per tutti, non sia stata una gita di piacere, che forse siano state inferte loro sofferenze intollerabili, e/o la morte. Mr Blank non può essere certo di nulla, ma gli sembra sensato che ci sia un legame tra questi esseri-ombra e le foto sulla scrivania. E se le immagini rappresentassero le stesse persone i cui volti non sa identificare nella scena che si sta svolgendo nella sua mente ? In tal caso, i

fantasmi che sta osservando non sarebbero tanto finzioni quanto ricordi, ricordi di persone reali - perché quando è stata l'ultima volta che qualcuno ha fotografato una persona che non esiste ? Mr Blank sa di non avere niente a sostegno della sua teoria, che è solo la più ardita delle sue ardite congetture, ma ci deve essere qualche ragione, dice fra sé, qualche causa, qualche principio, per spiegare cosa gli sta succedendo, per dar conto del fatto che si trova in questa stanza con queste foto e queste quattro risme di manoscritti; e allora perché non indagare un po' più a fondo per verificare se esiste qualche verità in questo suo tirare a casaccio ? Dimenticando i due chiodi piantati nella finestra, dimenticando la porta e il dubbio se sia chiusa dall'esterno oppure no, Mr Blank si spinge sulla sedia fino alla scrivania, prende le foto e poi le dispone direttamente davanti a sé. Naturalmente quella di Anna è la prima, e lui passa ancora qualche attimo a guardarla, scrutando il viso giovane, infelice ma bellissimo, e studiando a fondo l'espressione degli occhi scuri e ardenti. No, dice fra sé, non siamo mai stati sposati. Suo marito era un uomo di nome David Zimmer, e ora Zimmer è morto. Mette da parte la foto di Anna e guarda la successiva. E un'altra donna, sui venticinque anni, con i capelli castano chiaro e due occhi fermi, vigili. La metà inferiore del suo corpo è oscurata, dato che è in piedi sulla soglia di quello che sembra un appartamento di New York con la porta socchiusa, proprio come se lei l'avesse appena aperta a metà per accogliere un visitatore, e malgrado l'espressione guardinga nei suoi occhi, gli angoli della bocca sono increspati da un accenno di sorriso. Mr Blank ha un fugace sussulto di agnizione, ma quando si sforza di ricordare il suo nome non gli viene in mente nulla - né dopo venti secondi, né dopo quaranta, né dopo un minuto. Essendo risalito cosi in fretta al nome di Anna, pensava che sarebbe riuscito a fare lo stesso anche con gli altri. Ma sembra proprio che non sia cosi. Guarda altre dieci foto con lo stesso esito deludente. Un vecchio su una sedia a rotelle, gracile e delicato come un passerotto, con un paio di occhiali scuri da cieco. Una donna che ride, con un bicchiere in una mano e una sigaretta nell'altra, l'abito da maschietta anni Venti e il cappello a cloche. Un uomo spaventosamente obeso con un enorme testone pelato e un sigaro che gli spunta dalla bocca. Un'altra ragazza, cinese questa, in calzamaglia da ballerina. Un uomo con i capelli scuri, i baffi impomatati, il frac e il cilindro. Un giovane addormentato sull'erba di quello che sembrerebbe un parco pubblico. Un uomo di mezza età, sui cinquantacinque anni, steso su un divano con le gambe

appoggiate a un mucchio di cuscini. Un vagabondo con la barba e dall'aria strapazzata seduto su un marciapiede, mentre cinge tra le braccia un cagnone bastardo. Un sessantenne nero grassottelle che tiene in mano un elenco telefonico di Varsavia del 1937/38. Un giovanotto snello seduto a un tavolo con cinque carte in mano e una torretta di fiche da poker davanti. A ogni insuccesso, Mr Blank è sempre più scoraggiato, e un po' meno fiducioso nelle sue possibilità con la foto successiva - finché, borbottando qualcosa a voce cosi bassa che il registratore non riesce a riprodurre le sue parole, rinuncia al tentativo e accantona le foto. Dondola avanti e indietro nella sedia per quasi un minuto, facendo il possibile per ritrovare il suo equilibrio mentale e lasciarsi alle spalle la sconfitta. Poi non ci pensa più, prende il dattiloscritto e ricomincia a leggere: Il mio nome è Sigmund Graf. Sono nato quarantuno anni fa nella città di Luz, un centro tessile nel Nordovest della provincia di Faux-Lieu, e fino al mio arresto per ordine del Colonnello De Vega ho lavorato nella sezione demografica dell'Ufficio affari interni. Da giovane mi sono laureato in letteratura classica presso la Ali Souls University, prestando poi servizio come ufficiale nell'intelligence dell'esercito durante le Guerre del confine di sudest e partecipando alla battaglia che portò all'unificazione dei principati di Petit-Lieu e Merveil. Sono stato congedato con onore, con il grado di capitano, e ho ricevuto la medaglia al valore per l'opera svolta nell'intercettazione e decifrazione dei messaggi nemici. Dopo il congedo ho fatto ritorno nella capitale e sono entrato nell'Ufficio in qualità di coordinatore e ricercatore sul campo. All'epoca della mia partenza per i Territori alieni, appartenevo all'Ufficio da dodici anni. Il mio ultimo titolo ufficiale è stato quello di Vice Sostituto Direttore. Come ogni cittadino della Confederazione ho avuto la mia parte di sofferenze, vivendo lunghe fasi di violenze e disordini, e la mia anima reca i segni della perdita. Non avevo ancora quattordici anni quando i tumulti della Sanctus Academy di Beauchamp sfociarono nello scoppio delle Guerre linguistiche di Faux-Lieu, e due mesi dopo l'invasione vidi mia madre e mio fratello minore bruciare vivi durante il Sacco di Luz. Mio padre e io fummo tra i settemila costretti all'esodo nella provincia limitrofa di Neu Welt. Il viaggio era lungo seicento miglia, e impiegammo oltre due mesi per compierlo; e quando fummo a destinazione, il nostro numero si era ridotto di un terzo. Nelle ultime cento miglia mio padre era tal-

mente debilitato dalla malattia che dovetti portarlo sulla schiena, barcollando pressoché alla cieca nel fango e nelle piogge dell'inverno fino a giungere alla periferia di Nachtburg. Per sei mesi chiedemmo l'elemosina nelle strade di quella città grigia per rimanere vivi, e stavamo per morire di fame quando finalmente fummo salvati da un prestito dei nostri parenti del Nord. In seguito la nostra vita fu meno dura, ma per quanto mio padre negli anni successivi abbia fatto fortuna, non si ristabilf mai del tutto da quei mesi di privazioni. Quando mori, dieci estati più tardi, all'età di cinquantasei anni, il prezzo delle sue vicissitudini lo aveva invecchiato al punto da sembrare un uomo di settanta. E vi sono stati anche altri dispiaceri. Un anno e mezzo fa, l'Ufficio mi inviò in spedizione nelle Comunità indipendenti della provincia di Tierra Bianca. Meno di un mese dopo la mia partenza, la capitale fu colpita dall'epidemia di colera. Ora molti chiamano quel flagello la Peste della Storia, e pensando che si scatenò proprio alla vigilia delle cerimonie cosi lungamente elaborate e progettate dell'Unificazione, si capisce che possa essere stata letta come un cattivo segno, una vera e propria sentenza sulla natura e finalità della Confederazione stessa. Personalmente non sono di questa idea, ma nondimeno la mia vita fu stravolta dall'epidemia in modo definitivo. Escluso da tutte le notizie della città, nei quattro mesi e mezzo seguenti continuai il mio lavoro, gli andirivieni tra le remote comunità montanare del Sud, perseguendo le indagini sulle varie sette religiose che si erano radicate nella zona. In agosto, al mio ritorno, la crisi era passata; ma non senza che mia moglie e la mia figlia quindicenne fossero scomparse. La maggioranza dei nostri vicini del distretto di Closterham era fuggita dalla città e si era a sua volta arresa al morbo, ma non c'era nessuno fra i rimasti che ricordasse di averle viste. La casa era intatta, e non vi trovai alcuna traccia tale da suggerire che la malattia si fosse infiltrata tra i suoi muri. Eseguii accurate ricerche in ogni stanza, ma non venni a capo di nessun segreto sul come o il quando avessero potuto abbandonare il luogo. Non mancavano né vestiti né gioielli, e sul pavimento non giacevano oggetti abbandonati nella fretta. La casa era identica a come l'avevo lasciata cinque mesi prima, salvo che mia moglie e mia figlia non c'erano più. Per settimane setacciai la città in cerca di un indizio su dove si trovassero, sempre più disperato dopo ogni vano tentativo di avere informazioni che mi mettessero sulle loro tracce. Incominciai a parlare con amici e colleghi, e una volta esaurita la cerchia dei conoscenti (ove comprendo le amiche di mia moglie e i genitori dei compagni di scuola di mia figlia, oltre ai bottegai e agli esercenti del

nostro quartiere), iniziai a rivolgermi agli sconosciuti. Armato di ritratti di mia moglie e mia figlia, sondai innumerevoli medici, infermieri e volontari che avevano lavorato negli ospedali di fortuna e nelle aule scolastiche dove i malati e i morenti erano stati curati; ma fra le centinaia di persone che scrutavano quelle miniature, nessuna riconobbe i volti che tenevo nella mia mano. Infine potei trarre un'unica conclusione. Le mie amate erano state ghermite dal morbo. Insieme a migliaia di altre vittime, giacevano in una delle fosse comuni di Viaticum Bluff, il grande cimitero dei morti senza nome. Non parlo di questi argomenti con l'intento di suscitare pietà. Nessuno è tenuto a compiangermi, e nessuno a scusare gli errori che ho commesso nel seguito dei fatti. Io sono un uomo, non un angelo, e se il dolore che mi sopraffaceva può avermi ottenebrato sospingendomi a certe cadute nella condotta, ciò non deve gettare ombre di dubbio sulla veridicità del mio racconto. Prima che qualcuno cerchi di screditarmi additando le macchie nella mia reputazione, mi faccio avanti di spontanea volontà e mi dichiaro al mondo apertamente colpevole. Sono tempi di insidia, questi, e non ignoro con che facilità le concezioni possano venir distorte da una sola parola detta all'orecchio sbagliato. Infamate il carattere di un uomo, e tutte le azioni di quell'uomo sono fatte per apparire losche, sospette, dense di secondi fini. Nel mio caso, le mancanze in oggetto scaturivano dal dolore, non dalla malizia; da confusione, non da doppiezza. Smarrii la strada, e per alcuni mesi cercai conforto nelle capacità obnubilanti dell'alcol. Quasi tutte le notti bevevo da solo, seduto al buio della mia casa deserta, ma alcune notti erano peggio delle altre. Quando mi ritrovavo in uno di quei cattivi frangenti, i pensieri cominciavano a essermi nemici, e in breve soffocavo nel mio stesso fiato. La testa mi si affollava di immagini di mia moglie e mia figlia, e più volte vidi i loro corpi lordi di fango calati nel terreno, più volte vidi le loro nude membra intrecciate a quelle di altri cadaveri nella buca, e tutt'a un tratto il buio della casa diventava intollerabile. Mi avventuravo fuori, nei locali pubblici, sperando di interrompere la maledizione di quelle immagini con il baccano e il tumulto della folla. Bazzicai taverne e birrerie, e fu in una di quelle bettole che arrecai il più grave nocumento a me stesso e al mio nome. L'episodio increscioso avvenne un venerdì sera di novembre, quando un uomo di nome Giles McNaughton attaccò lite con me all'Auberge des Vents. McNaughton protestava che lo avessi aggredito io per primo, ma undici testimoni in tribunale dissero il contrario, e fui prosciolto da ogni accusa. Fu soltanto un'effimera vittoria, però, poiché restava il fatto che gli avevo spezzato un braccio e spappolato il

naso; e che non avrei reagito con tanta veemenza se non mi fossi trovato nell'inferno in cui l'alcol mi aveva sprofondato. La giuria dichiarò la mia innocenza considerando che avessi agito per legittima difesa, ma questo non lavò la macchia del processo - né lo scandalo che esplose quando si venne a sapere che un funzionario dell'Ufficio affari interni era stato coinvolto in una sanguinosa rissa fra avvinazzati. Poche ore dopo il verdetto, cominciò a correr voce che alti esponenti dell'Ufficio avessero corrotto dei giurati per farli votare a mio favore. A me non consta di aver goduto di alcuna illecita manipolazione, e vorrei derubricare queste accuse a volgari pettegolezzi. Quello che so per certo è che non avevo mai visto McNaughton prima di quella sera. Lui, d'altro canto, ne sapeva abbastanza di me da chiamarmi per nome, e quando si avvicinò al tavolo e cominciò a parlare di mia moglie insinuando di possedere informazioni utili a risolvere il mistero della sua scomparsa, gli intimai di andarsene. L'uomo cercava soldi, e uno sguardo al suo volto maculato e malsano mi convinse che fosse un impostore, uno sciacallo che avendo udito della mia tragedia intendeva trarne profitto. Evidentemente a McNaughton non piacque di essere liquidato cosi su due piedi. Invece di eclissarsi, si sedette sulla sedia accanto a me e mi agguantò irosamente per il panciotto. Poi, traendomi a sé finché le nostre facce si toccarono quasi, si protese e mi disse: Che succede, cittadino? Temi la verità? Aveva gli occhi colmi di rabbia e di disprezzo, e poiché eravamo cosi vicini, quegli occhi erano gli unici oggetti nel mio campo visivo. Sentivo l'ostilità bollirgli in corpo, e dopo un attimo la sentii trascorrere direttamente nel mio. Fu allora che lo colpii. Si, mi aveva toccato lui per primo, ma nel momento esatto in cui reagii volevo fargli male, più male che potevo. Tale fu il mio delitto. Prendetelo per come è stato, ma non lasciatelo interferire nella lettura di questa cronaca. I drammi colpiscono tutti gli uomini, e ogni uomo fa pace con il mondo a modo suo. Se la forza che usai contro McNaughton quella sera era ingiustificata, il torto più grave risiede nel gusto che provai usando quella forza. Non mi assolvo, ma viste le mie condizioni d'animo durante quel periodo, è già un miracolo che l'episodio dell'Auberge des Vents sia stato il solo in cui feci del male a un'altra persona. Fuori di quello, i danni furono sempre fatti a me stesso, e finché non imparai a frenare la mia smania di bere (che era in realtà una smania di morte), corsi il rischio della completa distruzione. Con il tempo tornai padrone di me, però confesso di non essere più l'uomo che ero. Se ho continuato a vivere è soprattuto perché ilvmio lavoro all'Ufficio mi ha dato una ragione per vivere. E questa l'ironia della mia disgrazia. Sono accusato di essere un ne-

mico della Confederazione quando negli ultimi diciannove anni la Confederazione non ha avuto un servo più fedele di me. Lo mostra il mio stato di servizio, e sono fiero di essere vissuto in un'epoca che mi ha permesso di partecipare a un'impresa umana di cosi ampio respiro. Il lavoro sul campo mi ha insegnato ad amare la verità sopra ogni cosa, e perciò ho dissipato la nebbia riguardo ai miei peccati e alle mie mancanze, ma non per questo posso farmi carico di un crimine che non ho mai commesso. Io credo in ciò che la Confederazione rappresenta, e l'ho ferventemente difesa con le mie parole, le mie opere e il mio sangue. Se la Confederazione si è volta contro di me, questo può solo significare che la Confederazione si è volta contro se stessa. Non posso più sperare nella vita, ma se le pagine che sto scrivendo dovessero cadere nelle mani di qualcuno abbastanza forte di cuore da leggerle nello spirito in cui sono state scritte, forse allora il mio assassinio non sarà stato completamente vano. Remoto, da lontano, da fuori della stanza, fuori dall'edificio che contiene la stanza, Mr Blank sente ancora il debole richiamo di un uccello. Distratto dal rumore, alza gli occhi dalla pagina che ha davanti abbandonando per il momento le dolorose confessioni di Sigmund Graf. Un improvviso senso di pressione gli si insedia nel ventre, e prima che Mr Blank abbia deciso se chiamarlo dolore o semplicemente fastidio, il suo tubo intestinale strombetta una gagliarda, stentorea scoreggia. Oho, fa lui ad alta voce, grugnendo dal piacere. Il vecchio cowboy cavalca ancora ! Poi si rovescia indietro sulla sedia, chiude gli occhi e comincia a dondolarsi, scivolando ben presto in una di quelle zone opache, come di trance, dove la mente si svuota di tutti i pensieri, di tutte le emozioni, di ogni nesso con l'io interiore. Cosi intrappolato nel suo stupore da rettile, Mr Blank è, diciamo, assente, o comunque al momento isolato da ciò che lo circonda; sicché non sente neppure la mano che ha cominciato a bussare alla porta. Peggio: non sente la porta aprirsi e quindi, anche se qualcuno è entrato nella stanza, non sa ancora se la porta sia chiusa dall'esterno oppure no. O meglio, non lo saprà ancora fra poco, quando sarà riemerso dalla trance. Qualcuno gli dà un buffetto sulla spalla, ma prima che Mr Blank possa aprire gli occhi e ruotare con la sedia per vedere chi è, quel qualcuno ha già cominciato, a parlare. Dal timbro e dalla tonalità Mr Blank capisce subito che la voce appartiene a un uomo, ma è sconcertato perché parla con un accento che gli suona di Londra. Mi spiace, Mr Blank, gli dice l'uomo. Ho bussato e ribussato, e visto che non apriva ho pensato di entrare per

vedere se qualcosa non andava. Adesso Mr Blank ruota con la sedia e guarda bene il suo visitatore. L'uomo dimostra una cinquantina d'anni, ha i capelli pettinati e due baffetti castani con qualche filo grigio. Statura media, dice fra sé Mr Blank, ma più basso che alto; e dalla posa dritta, quasi impalata, con cui sta in piedi, si direbbe forse un militare, o un funzionario pubblico di non alto livello. Lei chi è ?, gli domanda Mr Blank. Flood, signore. Primo nome, James. Secondo nome, Patrick. James P. Flood. Non si ricorda di me? Vagamente, soltanto vagamente. L'ex poliziotto. Ah. Flood l'ex poliziotto. Doveva farmi visita, se non sbaglio. Sissignore. Esatto, signore. Per questo sono qui. Le sto facendo visita proprio ora. Mr Blank guarda la stanza in cerca di una sedia, per invitare Flood ad accomodarsi; ma a quanto pare l'unica presente è quella su cui ora è seduto lui stesso. Ci sono dei problemi?, chiede Flood. No, no, risponde Mr Blank. Stavo solo cercando un'altra sedia. Mi posso sempre sedere sul letto, risponde Flood, indicando il letto. Oppure, se se la sente, potremmo andare al parco oltre la via. Li hanno panchine a iosa. Mr Blank indica il suo piede destro e dice: Ho perso una scarpa. Non posso uscire con una scarpa sola. Flood si volta e vede subito la scarpa da tennis bianca, sul pavimento sotto la finestra. Ecco l'altra, signore. Può rimettersela in un balzo di gatto. Cosa? Che c'entrano i gatti? È solo un modo di dire, Mr Blank. Con rispetto parlando. Per un attimo Flood tace, poi riguarda la scarpa sul pavimento e dice: Beh, che facciamo ? Ce la mettiamo o no ?

Mr Blank fa un lungo, stanco sospiro. No, risponde, la voce venata di sarcasmo; non me la voglio mettere. Sono stufo di queste scarpe del cavolo. Anzi, preferirei togliermi anche l'altra. Nel momento in cui gli escono di bocca queste parole, Mr Blank constata con sollievo che un simile atto rientra nel possibile, che in questo caso ridicolo può prendere la situazione nelle sue mani. Quindi, senza esitare, si china e sfila la scarpa dal piede sinistro. Ah, cosf va meglio, commenta, sollevando le gambe e agitando le dita in libertà. Molto meglio. E sono ancora tutto vestito di bianco, giusto ? Certamente, dice Flood. Ma che importanza ha ? Non importa, risponde Mr Blank, trattando quella di Flood come una domanda futile. Lei deve solo sedersi sul letto e spiegarmi cosa vuole, Mr Flood. L'ex ispettore di Scotland Yard si abbassa verso il fondo del materasso, ponendo il proprio corpo nel quadrante sinistro per allineare il volto a quello del vecchio, seduto a un paio di metri da lui sulla sedia, la schiena alla scrivania. Flood si schiarisce la voce e poi - in una tremula, apprensiva sordina - risponde: È per il sogno, signore. Il sogno?, chiede Mr Blank, confuso dalle parole di Flood. Quale sogno ? Il mio sogno, Mr Blank. Quello di cui ha parlato nel suo rapporto su Fanshawe. Chi è Fanshawe ? Non ricorda ? No, dichiara Mr Blank con voce alta, irritata. No, non ricordo Fanshawe. Non ricordo pressoché nulla. Mi stanno rimpinzando di pastiglie, e ormai è tutto svanito. Quasi non so più chi sono. E se non ricordo me stesso, come pensa che possa ricordare questo... questo... Fanshawe. Fanshawe... E chi sarebbe, di grazia? Uno dei suoi operativi, signore.

Intende uno che ho mandato in missione ? Una missione estremamente pericolosa. E sopravvissuto? Nessuno lo sa per certo. Ma l'opinione prevalente è che non sia più fra noi. Gemendo sommessamente fra sé, Mr Blank si copre la faccia con le mani e sospira: Un altro dei dannati. Mi perdoni, interviene Flood, ma non ho capito che cosa ha detto. Niente, risponde Mr Blank a voce più alta. Non ho detto niente. A questo punto la conversazione si blocca per qualche secondo. Regna il silenzio, e in quel silenzio Mr Blank immagina di sentire il rumore del vento, un vento forte che soffia in un boschetto di alberi li vicino, molto vicino; ma non sa dire se il vento sia vero oppure no. Nel frattempo gli occhi di Flood restano fissi sulla faccia del vecchio. Quando il silenzio diventa intollerabile, azzarda finalmente un timido tentativo di riprendere il dialogo. E allora?, dice. Allora cosa?, ribatte Mr Blank. Il sogno. Possiamo parlare del sogno, adesso? Come posso parlare del sogno di un altro se non so com'è? E proprio questo il problema, Mr Blank. Non me lo ricordo nemmeno io. Quindi non posso fare niente per lei, giusto ? Se né lei né io sappiamo cosa succedeva nel suo sogno, non c'è nulla di cui parlare. È una faccenda più complessa. Non direi, Mr Flood. È semplicissima. Solo perché non ricorda di avere scritto il rapporto. Se ora si concentrasse... cioè, focalizzasse la mente su quello, magari la memoria le tornerebbe. Ho i miei dubbi.

Ascolti. Nella relazione da lei scritta su Fanshawe, afferma che è stato l'autore di alcuni libri mai pubblicati. Uno di questi aveva il titolo di Terra disabitata. Purtroppo, invece di concludere che certe situazioni narrate nel libro si ispiravano a fatti analoghi della vita di Fanshawe, lei non dice niente del tema, niente della trama, niente del libro in assoluto. Solo un breve inciso - posso aggiungere, scritto fra parentesi - che suona come segue. Cito a memoria: (Casa di Montag nel cap. sette; sogno di Flood nel cap. trenta). Ora, Mr Blank, dato che lei deve aver letto Terra disabitata, e che è fra le poche persone al mondo, anzi l'unica, ad averlo letto, io le sarei profondamente grato, le sarei grato dal fondo del mio cuore infelice, se si sforzasse di ricordare il contenuto di quel sogno. Da come ne parla, Terra disabitata dev'essere un romanzo. Sissignore. Un'opera d'invenzione. E Fanshawe l'ha usata come personaggio ? Cosi sembra. Non c'è niente di strano in questo. Da quello che capisco, gli scrittori lo fanno di continuo. Può darsi, ma non capisco tanta eccitazione. Il sogno non è mai esistito veramente. Non sono che parole su una pagina: pura invenzione. Lo dimentichi, Mr Flood. Non è importante. È importante per me, Mr Blank. Tutta la mia vita dipende da questo. Senza quel sogno, io non sono nulla. Letteralmente nulla. La foga con cui l'abitualmente riservato ex poliziotto fa quest'ultima dichiarazione - una foga stimolata da autentica, bruciante disperazione - a Mr Blank sembra addirittura comica, e per la prima volta dalle parole con cui ha avuto inizio questa cronaca, scoppia a ridere. Flood, come prevedibile, si offende, perché non piace a nessuno vedere i propri sentimenti calpestati in un modo cosi cinico, men che meno a uno fragile come Flood è in questo momento. Lei mi fa male, Mr Blank, gli dice. Non ha il diritto di ridere di me. Forse no, dice Mr Blank quando lo spasmo nel suo petto è cessato, ma non potevo resistere. Perbacco, Flood, lei si prende talmente sul serio. E questo che la rende ridicolo.

Sarò anche ridicolo, dice Flood con la rabbia che gli monta nella voce, ma lei, Mr Blank... lei è crudele. Crudele e indifferente ai dolori degli altri. Lei gioca con la vita della gente senza assumersi alcuna responsabilità per ciò che ha fatto. Io non voglio star qui ad assillarla con i miei problemi, ma accuso lei di quello che mi è successo. La accuso in tutta sincerità, e per questo la disprezzo. Problemi?, chiede Mr Blank con un tono d'improvviso più dolce, facendo del suo meglio per mostrarsi comprensivo. Che genere di problemi? Tanto per dirne uno, il mal di testa. Secondo, il pensionamento forzato. Se non bastassero questi, la rovina economica. E poi c'è la questione di mia moglie, o meglio della mia ex moglie, per non parlare dei miei figli che non vogliono più saperne di me. La mia vita è un disastro, Mr Blank. Giro per il mondo come un fantasma, e a volte mi domando se esisto veramente. Anzi, se sono mai esistito. E lei pensa che conoscere quel sogno risolverà tutto questo ? Mi creda, ho seri dubbi. Il sogno è la mia unica occasione. E come una parte di me mancante, e finché non la trovo non sarò più veramente me stesso. Io non ricordo nulla di Fanshawe. Non ricordo di aver letto il suo romanzo. Non ricordo di aver scritto la relazione. Vorrei poterla aiutare, Flood, ma la cura che mi stanno somministrando ha trasformato il mio cervello in un ferrovecchio. Cerchi di ricordare. Non le chiedo altro. Ci provi. Guardando negli occhi lo sfortunato ex poliziotto, Mr Blank nota che comincia ad avere le guance rigate di lacrime. Poveraccio, dice Mr Blank fra sé. Per un paio di secondi è tentato di chiedere a Flood di aiutarlo a trovare l'armadio, perché ora ricorda che era stato Flood a nominarlo, al telefono quella mattina, ma infine, soppesati i prò e i contro di una simile richiesta, decide di no. Invece dice: Le domando scusa, Mr Flood. Mi spiace di aver riso di lei. Ora Flood se n'è andato, e Mr Blank è nuovamente solo nella stanza. Nel seguito del loro perturbante incontro il vecchio si sente nervoso e contrariato, ferito dalle ingiuste e bellicose accuse che gli sono state mosse. Tuttavia, non volendo sprecare un'occasione per saperne di più delle circostanze attuali, si spinge sulla sedia fino alla scrivania e pone mano al taccuino e alla penna. A questo punto ne ha

capito abbastanza per sapere che, se non lo trascrive subito, il nome gli scapperà dal cervello, e non vuole rischiare di dimenticarlo. Perciò apre il taccuino alla prima pagina, prende la penna e aggiunge un altro elemento alla sua lista: James P. Flood. Anna. David Zimmer. Peter Stillman, Jr. Peter Stillman, Sr. Fanshawe. Mentre scrive il nome di Fanshawe, ricorda che durante la visita di Flood è stato menzionato anche un secondo nome, un nome che ha sentito nell'ambito del riferimento al sogno di Flood nel trentesimo capitolo del libro: ma per quanto si arrovelli, la risposta non gli arriva. C'entra qualcosa con il settimo capitolo, dice fra sé, c'entra con una casa, ma il resto, nella mente di Mr Blank, è spazio bianco. Seccato per la propria inettitudine, decide di metter giù qualcosa comunque, sperando che in futuro, prima o poi, il nome ritorni. Ora l'elenco recita cosi: James P. Flood. Anna. David Zimmer. Peter Stillman, Jr. Peter Stillman, Sr. Fanshawe. Uomo con casa. Nel momento in cui Mr Blank posa la penna, comincia a risuonargli in testa una parola e poi, per qualche istante, mentre la parola continua a echeggiare dentro di lui, capisce di essere al limite di un decisivo passo avanti, una svolta cruciale che servirà a chiarire qualcosa di quello che il futuro gli riserva. La parola è parco. Ricorda che, poco dopo essere entrato nella stanza, Flood ha proposto di andare a parlare nel parco oltre la via. Ciò sembra se non altro contraddire la precedente persuasione di Mr Blank di essere tenuto prigioniero, confinato nello spazio entro cui lo circondano queste quattro pareti, inibito per sempre a salpare per il vasto mondo. Il pensiero è abbastanza incoraggiante, ma sa anche che, quando pure gli sia permesso di visitare il parco, ciò non dimostra necessariamente che è libero. Forse simili visite sono possibili soltanto sotto stretta sorveglianza, e dopo aver sorbito una gradita dose di sole e aria pura, Mr Blank verrà prontamente ricondotto nella stanza: di conseguenza, è ancora tenuto prigioniero contro la sua volontà. Rimpiange di non avere avuto la presenza di spirito di informarsi con Flood riguardo al parco: per stabilire, ad esempio, se si tratta di un parco pubblico

o invece solo di una pertinenza alberata o erbosa dell'edificio o dell'istituto o del reclusorio nel quale adesso vive. E, cosa più importante, capisce per la forse centesima volta quel giorno che, alla fine, tutto si riduce alla natura della porta, e al fatto che sia chiusa o meno dall'esterno. Serra gli occhi e si sforza di richiamare i rumori che ha sentito dopo che Flood è uscito dalla stanza. Era il rumore di un catenaccio tirato, il rumore di una chiave che gira nel cilindro, o il semplice clic di un lucchetto? Mr Blank non ricorda. Alla fine del colloquio con Flood era troppo turbato e distratto da quell'omiciattolo sgradevole e dalle sue lagnose rimostranze, per soffermarsi su aspetti banali quali le serrature, i chiavistelli e le porte. Mr Blank si domanda se non sia scoccato finalmente il momento di indagare da solo sulla questione. Per quanto abbia paura, non sarebbe meglio conoscere la verità una volta per tutte, anziché vivere in uno stato di perenne incertezza? Forse, dice fra sé. E ancora: forse no. Prima che Mr Blank possa decidere se finalmente ha trovato il coraggio di compiere il viaggio fino alla porta, d'un tratto si annuncia un problema nuovo e più urgente - quella che più precisamente si potrebbe definire un'urgente urgenza. La pressione dentro il corpo di Mr Blank ha ricominciato a salire. A differenza del precedente episodio, che si situava genericamente nella zona del ventre, questo sembra in un punto parecchi centimetri più in basso, nel profondo sud dell'addome di Mr Blank. Da una lunga esperienza con siffatte faccende, il vecchio capisce di dover fare pipi. Valuta la possibilità di recarsi fino al bagno sulla sedia, ma sapendo che quest'ultima non passerebbe dalla porta, e sapendo anche di non poter effettuare la minzione dalla sedia - dunque inevitabilmente verrà il momento in cui dovrà alzarsi (anche solo per sedersi di nuovo sul water nel caso fosse colpito da un nuovo capogiro) -, decide di fare il viaggio a piedi. Quindi si alza dalla sedia, notando con soddisfazione che il suo equilibrio è stabile, senza il minimo segno del capogiro che lo ha colto in precedenza. Quello che tuttavia Mr Blank ha scordato, è che non calza più le ciabatte nere, e ai suoi piedi non resta nient'altro che i calzini bianchi di nylon. Poiché il tessuto dei suddetti calzini è sottilissimo, e il parquet è molto liscio, dopo il primo passo Mr Blank scopre che è possibile procedere sdruccioloni - non con lo strascichio raschiante delle ciabatte, ma come se pattinasse sul ghiaccio. Dunque ora ha a disposizione una nuova forma di piacere, e dopo due o tre scivolate sperimentali fra la scrivania e il letto, stabilisce che è altrettanto gratificante che dondolarsi avanti e indietro e girare in tondo sulla sedia: forse lo è anche di più. La pressione nella vescica aumenta, ma

Mr Blank rinvia il suo viaggio al bagno per prolungare di qualche secondo il suo giro sul ghiaccio immaginario, e mentre pattina per la stanza, sollevando ora un piede ora l'altro, ovvero sdrucciolando con tutti e due sul pavimento, ritorna un'altra volta al lontano passato, non cosi indietro come all'epoca di Whitey il cavallo a dondolo, o alle mattine in cui si sedeva in grembo a sua madre mentre lei lo vestiva sul letto, ma comunque a tanto tempo fa: Mr Blank nel penultimo periodo dell'infanzia, sui dieci anni, forse undici, sicuramente meno di dodici. E un freddo sabato pomeriggio di gennaio o febbraio. Lo stagno della cittadina dove è cresciuto è coperto di ghiaccio, e il giovane Mr Blank, che allora era chiamato Mastro Blank, pattina mano nella mano al suo primo amore, una bambina con gli occhi verdi e i capelli castano-rossicci, lunghi capelli castano-rossicci scompigliati dal vento, le guance rosse per il freddo; il suo nome ora l'ha dimenticato ma è sicuro, dice fra sé Mr Blank, che iniziasse con la lettera S: forse Susie, pensa, o Samantha o Sally o Serena, ma no, non è nessuno di questi e comunque non importa, dato che era la prima volta in vita sua che teneva per mano una ragazza, e ora il suo ricordo più struggente è la sensazione di essere entrato in un nuovo mondo, un mondo in cui tenere per mano una fanciulla era un bene da desiderarsi sopra ogni altra cosa, e il suo trasporto verso questa giovane creatura dal nome che iniziava per S era tale che quando, finito di pattinare, si erano seduti sul ceppo di un albero vicino allo stagno, Mastro Blank era stato cosi ardito da protendersi a baciarla sulle labbra. Per motivi che allora lo confusero e insieme lo ferirono, Miss S. scoppiò a ridere, scostò il capo e lo redarguì con una frase che da allora è sempre rimasta con luir - anche ora che si trova negli impicci, che non tutto funziona a dovere nella sua testa, sicché tante altre cose sono' sparite: Non fare lo sciocco. Infatti l'oggetto dei suoi sentimenti non capiva un'acca di quelle cose, avendo appena dieci o undici anni e non essendo ancora abbastanza matura per trovare un qualsiasi significato nelle avance erotiche di un esponente dell'altro sesso. Cosi, anziché rispondere con un bacio al bacio di Mastro Blank, aveva riso. L'ammonimento riecheggiò per giorni, facendo soffrire la sua anima al punto che un mattino, accortasi della cupezza di suo figlio, la mamma gli domandò cosa avesse. Mr Blank era ancora abbastanza giovane per confidarsi con sua madre senza remore, e le raccontò la sua storia. Alla fine lei rispose: Non preoccuparti, ci sono altri sassi sulla riva. Era la prima volta che Mr Blank sentiva quel detto, e gli sembrò strano che le ragazze potessero venire paragonate a dei sassi, dato che lui non vedeva fra loro alcun nesso, almeno stando alla sua esperienza. Comunque non, gli sfuggi la metafora, ma pur comprendendo quello che

sua madre stava cercando di dirgli dissentiva, perché la' passione è e sarà sempre cieca nei confronti di tutto tranne una cosa, e in quanto a Mr Blank sulla riva c'era un unico sasso che contava, e se non fosse riuscito ad avere quello, non gli importava di nessuno degli altri. Naturalmente , il tempo modificò questa posizione, e lui capi con gli anni che le parole di sua madre erano sagge. Ora, mentre continua a pattinare per la stanza con i calzini di nylon bianchi, Mr Blank si chiede quanti sassi ci sono stati da allora. Non ne è sicuro perché la sua memoria è quanto mai carente, ma sa che sono stati decine, molte decine - più sassi nel suo passato di quanti sappia contarne, fino ad Anna e compresa Anna, la ragazza perduta tanti anni fa e riscoperta proprio oggi sulla riva infinita dell'amore. Questi pensieri volano nella mente di Mr Blank nel giro di pochi secondi, forse dieci, forse venti, e intanto, mentre il passato sgorga dentro di lui, lotta per rimanere concentrato e non perdere l'equilibrio pattinando per la stanza. Tuttavia, per quanto brevi siano quei secondi, viene il momento in cui i giorni andati hanno la meglio sul presente, e invece di pensare e muoversi in contemporanea, Mr Blank dimentica che si sta muovendo per concentrarsi unicamente sui suoi pensieri, cosi in breve - dopo neanche un secondo, forse, o due secondi al massimo - gli scivolano i piedi e cade a terra. Per fortuna non cade sulla testa, ma per ogni altro verso la caduta si caratterizza come un brutto capitombolo. Pencolando all'indietro nel vuoto mentre i piedi calzati si arrabattano per far presa sulle scivolose tavole di legno, tende le mani in fuori alle sue spalle nella vana speranza di attutire la botta, ma picchia forte il coccige contro il pavimento, e il colpo gli scatena una cascata di fuoco vulcanico per le gambe e il tronco; ed essendo comprese nell'impatto le mani, anche polsi e gomiti sono in fiamme in un attimo. Mr Blank si dibatte sul pavimento, troppo stordito anche per compatirsi, e mentre stringe i denti per incassare il dolore che lo ha inghiottito, dimentica di contrarre i muscoli del pene e quelli nei paraggi come aveva fatto appena prima, mentre pattinava nel suo passato. Perché la vescica di Mr Blank è piena da scoppiare e, senza uno sforzo cosciente per trattenersi, diciamo pure che un incidente vergognoso e imbarazzante è alle porte. Ma avverte troppo dolore. Ha espulso dalla mente tutti gli altri pensieri, e appena comincia a rilassare i muscoli di cui sopra, sente l'uretra cedere all'ineluttabile, e un attimo dopo si sta pisciando addosso. Sono ridotto peggio di un bebé, riflette, mentre l'orina calda zampilla da lui e scorre lungo la gamba. Poi aggiunge: Che frigna e vomita in braccio alla balia. E poi, quando il diluvio è cessato, gri-

da con quanta voce ha nei polmoni: Idiota! Vecchio idiota! Che diavolo ti succede ? Adesso Mr Blank è in bagno e si sta levando pantaloni, mutande e calzini, tutti inzuppati e ingialliti per la sua involontaria perdita di controllo. Ancora scosso per il guaio che ha combinato, le ossa dolenti per l'urto contro il parquet, scaglia rabbiosamente tutti i vestiti nella vasca, poi prende il guanto di spugna bianco prima usato da Anna per lavarlo e si deterge gambe e inguine con l'acqua calda. Cosi facendo, il pene che era molle comincia a irrigidirsi, alzandosi dalla perpendicolare a un angolo di quarantacinque gradi. A dispetto dei numerosi affronti che ha subito negli ultimi minuti, Mr Blank non può fare a meno di provare conforto per questa novità, come se in un certo modo dimostrasse che il suo onore è ancora integro. Dopo qualche altra tirata, il vecchio compagno si proietta dal suo corpo svettando a novanta gradi pieni, e cosi, preceduto dalla seconda erezione del mattino, Mr Blank esce dal bagno, si avvicina al letto e mette i calzoni del pigiama che Anna aveva lasciato sotto il cuscino. Mr Big ha già iniziato a rimpicciolirsi nel momento in cui il vecchio infila i piedi nelle ciabatte di pelle, ma che cos'altro ci si può attendere in mancanza di ulteriore attrito o di qualunque stimolo mentale? Mr Blank è più comodo con i calzoni del pigiama e le ciabatte di quando aveva i pantaloni bianchi e le scarpe da tennis, ma del resto non può non sentirsi in colpa per queste modifiche di sartoria, in quanto indubbiamente non ha mantenuto la promessa fatta ad Anna - secondo la richiesta di Peter Stillman Jr - e ciò lo addolora profondamente, ancor di più del dolore fisico che continua a riverberargli nel corpo. Ciabattando fino alla scrivania per riprendere la lettura del dattiloscritto, decide che la prossima volta che la vedrà le confesserà tutto, sperando che l'affetto di lei basti a perdonarlo. Pochi secondi dopo è di nuovo seduto sulla sedia, con il coccige che pulsa mentre dimena il posteriore fino a trovare una posizione più accettabile. Poi inizia a leggere: Ho sentito parlare per la prima volta della crisi nei Territori alieni sei mesi fa. Era un tardo pomeriggio di mezza estate, e sedevo da solo nel mio ufficio, al lavoro sulle ultime pagine del rapporto semestrale. Eravamo ben addentro la stagione dei panni di cotone bianco, ma quel giorno l'aria era stata particolarmente torrida, pesava cosi greve e soffocante che l'indumento più sottile sembrava già troppo. Alle dieci avevo dato il permesso agli uomini del mio dipartimento di togliersi le giacche e le cravatte, ma dato che anche questo sembrava poco produttivo, a mezzogiorno li misi in libertà. Considerato che per tutta la

mattina il personale non aveva fatto altro che sventagliarsi sul volto e asciugarsi il sudore dalla fronte, sembrava inutile continuare a tenerli in ostaggio. Ricordo che pranzai alla Bruder Hof, un ristorantino appena svoltato l'angolo dal Ministero degli Esteri. Poi feci una passeggiata in Santa Victoria Boulevard, arrivando fino al fiume per vedere se mi riusciva di convincere un po' di brezza a soffiarmi sul viso. Vidi i bambini mettere in acqua le loro barchette, le donne camminare a gruppi di tre o quattro con i parasole e i sorrisi ritrosi, i giovanotti in ozio sull'erba. Ho sempre amato la capitale d'estate. In quel periodo dell'anno vi è un'immobilità che avvolge tutto, un'atmosfera di trance che sembra scolorare la differenza fra le cose animate e quelle inanimate, e le genti sono molto più rare e silenziose lungo i viali: tutto questo fa apparire quasi inverosimile la frenesia delle altre stagioni. Forse sarà perché il Protettore e la sua famiglia allora non si trovano in città, e quando il palazzo si staglia deserto, con imposte azzurre a ricoprire quelle finestre familiari, la realtà della Confederazione incomincia a sembrare meno concreta. Ci si rende conto delle grandi distanze, dell'infinità di territori e abitanti, della babele e del clamore delle vite vissute - ma tutto, per cosi dire, con distacco, come se la Confederazione fosse diventata una cosa interiore, un sogno che ogni individuo ha portato dentro di sé. Rientrai in ufficio e lavorai senza interruzione fino alle quattro. Avevo appena posato la penna per preparare mentalmente gli ultimi paragrafi quando fui interrotto dall'arrivo del segretario del Ministro - un giovane di nome Jensen, o Johnson, non ricordo. Mi consegnò un biglietto, e distolse con discrezione gli occhi mentre lo leggevo, aspettando una risposta da portare al Ministro. Era un messaggio brevissimo. Potrebbe gentilmente passare da casa mia, stasera? Le chiedo scusa per l'invito senza preavviso, ma ho una questione di estrema importanza da discutere con lei. Joubert. Scrissi la risposta sulla carta intestata del dipartimento, ringraziando il Ministro dell'invito e rispondendo che poteva aspettarmi per le otto. Il segretario dai capelli rossi usci con la mia lettera e io rimasi alla scrivania per qualche minuto a interrogarmi su quanto appena successo. Joubert si era insediato come Ministro tre mesi prima, e da allora lo avevo visto una sola volta - a un banchetto formale tenuto dall'Ufficio per festeggiare la sua nomina. In circostanze normali, un uomo nella mia posizione aveva pochi contatti con il Ministro, e quell'invito a casa sua mi sembrò strano, a maggior ragione con cosi poco anticipo. Da quello che sinora avevo sentito di lui, il Mini-

stro non era né impulsivo né esibizionista nell'esercizio delle sue funzioni, e non ostentava il potere in maniera arbitraria o irragionevole. Non pensavo mi avesse convocato a un incontro privato con l'intento di censurare il mio lavoro, ma nel contempo, a giudicare dall'urgenza del messaggio, era chiaro che si sarebbe trattato di qualcosa di più che una visita di circostanza. Per essere un uomo giunto a una posizione cosi elevata, Joubert non faceva una grande impressione. Prossimo al sessantesimo compleanno, era un uomo basso e tarchiato, con la vista corta e il naso bitorzoluto; durante tutta la nostra conversazione non fece che sistemarsi e risistemarsi di continuo il pince-nez. Un domestico mi accompagnò lungo il corridoio centrale al pianoterra della residenza del Ministro fino a una piccola biblioteca; e quando Joubert si alzò per ricevermi, con indosso una redingote marrone fuori moda e un cache-col bianco stazzonato, mi sembrò di stringere la mano a un aiuto-procuratore legale, anziché a uno dei personaggi più importanti della Confederazione. Ma quando cominciammo a parlare, quell'illusione si dissolse in un attimo. L'uomo aveva una mente lucida e attenta, e ogni sua frase era formulata con autorevolezza e convinzione. Dopo essersi scusato per avermi convocato a casa sua in un momento poco opportuno, accennò alla poltrona di pelle dal telaio dorato davanti alla sua scrivania, e mi misi a sedere. - Credo che abbia saputo di Ernesto Land, - mi disse, senza perdere tempo in inutili formalità. - Era uno dei miei migliori amici, - risposi. - Abbiamo combattuto insieme nelle Guerre del confine di sudest, e in seguito lavorato nella stessa sezione dell'intelligence. Dopo il Trattato di rinsaldamento del 4 marzo mi presentò alla donna che poi avrei sposato... la mia povera moglie, Beatrice. Un uomo eccezionale per coraggio e perizia. La sua morte nell'epidemia di colera è stata una grave perdita per me. - Questa è la versione ufficiale. Un certificato di morte è depositato nell'Archivio anagrafico municipale... ma recentemente il nome di Land è rispuntato in più di un'occasione. Se i rapporti fossero veritieri, si dovrebbe concludere che sia ancora vivo. - E una magnifica notizia, signore. Mi rallegra molto. - Negli ultimi mesi ci sono giunte voci dalla guarnigione di Ultima. Non abbiamo nessuna conferma, ma stando a quei resoconti Land avrebbe sconfinato nei Territori alie-

ni qualche tempo dopo la fine del colera. Dalla capitale a Ultima il viaggio dura tre settimane. Ciò significa che Land parti subito dopo l'inizio dell'epidemia. Quindi non morto... soltanto disperso. - I Territori alieni sono proibiti. Tutti lo sanno. I Decreti di Non-Ingresso sono in vigore ormai da dieci anni. - Eppure, Land è là. Se i rapporti dell'intelligence sono esatti, viaggiava con una forza di cento uomini armati. - Non capisco. - Riteniamo che stia istigando il malcontento fra i Primitivi, e si accinga a guidarli in un'insurrezione contro le province occidentali. - Non è possibile. - Niente è impossibile, Graf. E se c'è un uomo che do? vrebbe saperlo, è proprio lei. - Nessuno più di lui crede con tutta l'anima nei prin»! cipì della Confederazione. Ernesto Land è un patriota. - A volte gli uomini cambiano idea. - Deve esserci uno sbaglio. La rivolta è impossibile. Un'azione militare presupporrebbe l'unità fra i Primitivi, che non vi è mai stata e non vi sarà mai. Sono molteplici e divisi quanto noi. Tradizioni sociali, lingue e fedi religiose li hanno mantenuti ostili fra loro per secoli. I Tackamen dell'Est seppelliscono i loro morti come noi. I Gangi dell'Ovest li depongono su piattaforme sopraelevate e lasciano i cadaveri a putrefarsi al sole. Il Popolo Crow del Sud brucia i suoi morti. I Vahntoo cuociono i cadaveri e se ne cibano. Noi definiamo questo un insulto contro Dio, ma per loro è un rito sacro. Ogni nazione è divisa in tribù, divise a loro volta in piccoli clan, e non soltanto tutte le nazioni in diversi momenti del passato hanno combattuto l'una contro l'altra, ma anche le tribù entro quelle nazioni si sono fatte la guerra. Non riesco proprio a immaginare una loro alleanza, signore. Fossero capaci di un'azione' unitaria, prima di tutto non le avremmo mai sconfitte. - Deduco che lei conosca bene i Territori. - Quando ero da poco nell'Ufficio trascorsi un anno fra i Primitivi. Naturalmente, accadde prima dei Decreti di Non-Ingresso. Mi spostai da un clan all'altro studiando i meccanismi di ciascuna società e indagando su tutto, dalle leggi alimentari ai riti di accoppiamento. Fu un'espe-

rienza memorabile. In seguito il mio lavoro mi ha sempre appassionato, ma ricordo quell'incarico come il più stimolante e difficile della mia carriera. - Prima, tutto era in loro possesso. Poi giunsero le navi, portando i coloni dall'Iberia e dalla Gallia, da Albione, dalla Germania e dai reami tartari; e a poco a poco i Primitivi furono scacciati dalle loro terre. Li sterminammo e li riducemmo in schiavitù, per confinarli infine tutti quanti nei territori aridi e brulli al di là delle province occidentali. Deve avere incontrato molta amarezza e molto rancore nei suoi viaggi. - Meno di quello che può pensare. Dopo quattro secoli di conflitti, gran parte delle nazioni erano ben contente di essere in pace. - Questo accadeva più di dieci anni fa. Forse a questo punto hanno rivisto la loro posizione. Nei loro panni, sarei oltremodo tentato di riacquistare le province occidentali. Laggiù la terra è fertile. Le foreste pullulano di selvaggina. La vita per loro sarebbe migliore, più facile. - Dimentica che tutte le nazioni dei Primitivi sottoscrissero i Decreti di Non-Ingresso. Ora che sono cessate le violenze preferiscono vivere nel loro mondo separato, senza interferenze della Confederazione. - Spero che lei abbia ragione, Graf, ma è mio dovere salvaguardare il benessere della Confederazione. Forse i rapporti su Land si dimostreranno infondati, ma un'indagine è doverosa. Orbene, lei conosce l'uomo, ha trascorso un periodo nei Territori, e fra tutti i membri dell'Ufficio non mi sovviene nessuno più qualificato di lei per svolgere il lavoro. Badi, non le sto ordinando di andare; ma le sarei profondamente grato se accettasse. Da questo può dipendere il futuro della Confederazione. - La sua fiducia mi onora, signore. Ma... se non mi permettessero di passare il confine ? - Lei porterà una mia lettera personale al Colonnello De Vega, l'ufficiale comandante della guarnigione. Sarà contrariato, tuttavia non avrà scelta. A un ordine del governo centrale si deve obbedire. - Ma se quello che dice è vero, e Land si trova nei Territori alieni con cento uomini, non sorge una domanda sconcertante ? - Una domanda ?

- Come ha potuto arrivare fin là ? A quanto mi risulta, ci sono truppe schierate lungo tutta la frontiera. Posso anche immaginare che un uomo solo trovi un varco fra loro, ma non cento. Se Land ci è riuscito, deve averlo fatto con la connivenza del Colonnello De Vega. - Forse. O forse no. E uno dei misteri che lei dovrà chiarire. - Quando vuole che parta ? - Appena possibile. Avrà a disposizione una vettura del Ministero. Sarà fornito delle provviste e faremo tutti i preparativi necessari. Le sole cose che dovrà portare con sé sono la lettera e gli abiti che ha indosso. - Allora, domattina. Ho appena finito di redigere il mio rapporto semestrale, e la scrivania è vuota. - Per la lettera, passi alle nove al Ministero. L'aspetterò nel mio ufficio. - Benissimo, signore. Domattina alle nove. Nel momento in cui Mr Blank arriva alla fine del colloquio fra Graf e Joubert, squilla il telefono ed è di nuovo costretto a interrompere la lettura del dattiloscritto. Imprecando sottovoce si districa dalla sedia, quindi at-traversa la stanza piano, zoppicante, verso il comodino, fatica a camminare per via delle recenti contusioni, arrancando cosi stentatamente che non riesce a prendere la cornetta prima del settimo squillo, mentre alla precedente chiamata di Flood era stato abbastanza lesto da rispondere al quarto. Cosa vuole ?, domanda bruscamente Mr Blank sedendosi sul letto, sentendo sfarfallare improvvisamente dentro di sé il vecchio capogiro. Voglio sapere se ha finito il racconto, risponde calma una voce maschile. Racconto ? Quale racconto ? Quello che stava leggendo. Il racconto sulla Confederazione. Non sapevo che fosse un racconto. Sembra più un rapporto, qualcosa che è successo veramente.

È finto, Mr Blank. Una storia inventata. Ah. Ecco perché non avevo mai sentito parlare di quel posto. So che oggi il mio cervello non funziona troppo bene, ma credevo che il manoscritto di Graf fosse stato ritrovato da qualcuno dopo anni che lo aveva redatto, e poi copiato da una dattilografa. Uno sbaglio in buona fede. Uno sbaglio cretino. Non se la prenda. L'unica cosa che devo sapere è se lo ha terminato o no. Quasi. Mi resta ancora qualche pagina. Se non mi avesse interrotto con questa maledetta telefonata, probabilmente sarei alla fine. Bene. Arrivo fra un quarto d'ora, venti minuti, cosi possiamo iniziare il consulto. Consulto ? Di che cosa sta parlando ? Io sono il suo medico, Mr Blank. Vengo a visitarla tutti i giorni. Non ricordo di avere nessun medico. Chiaro. È perché la cura comincia a fare effetto. E il mio medico ha un nome ? Farr. Samuel Farr. Farr... mmm... si, Samuel Farr. Conosce per caso una donna che si chiama Anna ? Ne parleremo dopo. Per ora, l'unica cosa che deve fare è finire il racconto. E va bene, lo finirò. Ma quando verrà nella mia stanza, come farò a sapere che è proprio lei ? E se fosse un altro, uno che finge ? Sulla scrivania c'è una mia foto. La dodicesima del mucchio. La osservi bene e quando arriverò mi riconoscerà facilmente. Adesso Mr Blank è di nuovo seduto sulla sedia, ingobbito sopra la scrivania. Anziché cercare il ritratto di Samuel Farr nel mucchio delle foto come gli è stato detto, prende

taccuino e penna e aggiunge alla sua lista un altro nome: James P. Flood. Anna. David Zimmer. Peter Stillman, Jr. Peter Stillman, Sr. Fanshawe. Uomo con casa. Samuel Farr. Mette da parte il taccuino e la penna e riprende subito il dattiloscritto della storia, completamente immemore del suo intento di cercare la foto di Samuel Farr, cosi come da un pezzo si è scordato di cercare l'armadio che dovrebbe trovarsi nella stanza. Il testo delle pagine finali è il seguente: Il lungo viaggio fino a Ultima mi diede tutto il tempo di riflettere sulla natura della mia missione. Una serie di conducenti si avvicendarono alle redini a turni di duecento miglia, e non avendo nient' altro da fare che starmene seduto in carrozza a guardare il panorama, man mano che mi avvicinavo a destinazione scivolavo sempre più nell'avvilimento. Ernesto Land era stato il mio compagno d'armi e il mio intimo amico, ed ero profondamente restio ad accettare quel verdetto di Joubert secondo cui si era trasformato nel traditore di una causa da lui difesa per tutta la vita. Dopo i Rinsaldamenti dell'Anno 31 era rimasto nell'esercito, continuando il suo lavoro di ufficiale dei servizi segreti sotto l'egida del Ministero della Guerra, e ogniqualvolta aveva cenato con noi a casa nostra, o ci eravamo incontrati per fare uno spuntino pomeridiano in una delle taverne presso la Spianata del Ministero, aveva parlato con euforia dell'immancabile vittoria della Confederazione, sicuro che alla fine si sarebbe avverato quello che tutti noi avevamo sognato e per cui avevamo combattuto fin dai nostri anni verdi. Ora, stando agli agenti di Joubert a Ultima, non solo Land era sfuggito alla morte nell'epidemia di colera; no, addirittura aveva finto di morire per dileguarsi nelle solitudini con un piccolo esercito di anti-Confederali per aizzare i Primitivi alla rivolta. Per tutto quello che sapevo di lui sembrava un'accusa inverosimile, grottesca. Land era cresciuto nella regione agricola di nordovest della provincia di Tierra Vieja, la stessa parte del mondo dove era nata mia moglie Beatrice. Da bambini erano stati compagni di giochi, e per molti anni le loro famiglie avevano dato per certo che alla fine si sarebbero sposati. Una volta Beatrice mi confessò che Ernesto era stato il suo primo amore, e che quando l'aveva lasciata per fidanzarsi con

Hortense Chatterton, rampolla di una facoltosa famiglia di armatori di Mont Sublime, si era sentita morire. Ma Beatrice era una ragazza forte, troppo orgogliosa per condividere con altri il suo dolore, e con una straordinaria mostra di coraggio e dignità accompagnò i suoi genitori e due suoi fratelli al fastoso ricevimento di nozze nella tenuta dei Chatterton. Fu là che mi venne presentata. Persi la testa per lei già quella prima sera, ma Beatrice accettò la mia proposta di matrimonio solo dopo diciotto lunghi mesi di corteggiamento. Sapevo che non mi considerava all'altezza di Land. Non ero né bello né brillante come lui, e servi tempo prima che capisse che la fermezza del mio carattere e la mia assidua devozione a lei erano doti altrettanto importanti per costruire un'unione tale da durare per tutta la vita. Da parte mia, per quanto ammirassi Land, ero pur consapevole dei suoi difetti. In lui era sempre corsa una vena di selvaggia impetuosità, una caparbia sicumera nella sua preminenza sugli altri; e a dispetto del fascino e della forza di persuasione, dell'innata virtù di attrarre l'attenzione ovunque si trovasse, si coglieva in lui anche un'inguaribile vanità, celata appena sotto le apparenze. Il suo matrimonio con Hortense Chatterton si rivelò infelice. Land la tradì quasi fin dal principio; e quando, quattro anni dopo, lei mori di parto, si riebbe dalla perdita in un nonnulla. Certo, espletò tutti i rituali del lutto e della pubblica afflizione, ma sotto sotto sentivo che provava più sollievo che tormento. In seguito lo vedemmo spesso, molto più spesso che nei primi anni del nostro matrimonio. Va detto a suo merito che si affezionò profondamente alla nostra figlioletta Marta, cui in ogni visita portava regali, colmandola di un tale affetto che lei fini per crederlo un eroe, il più grand'uomo che calcasse la terra. Ogni volta che era con noi si comportava con assoluto decoro; eppure, chi può biasimarmi se a volte mi chiedevo se i fuochi che un tempo erano arsi per lui nel cuore di mia moglie fossero spenti del tutto ? Non accadde mai nulla di increscioso - non una parola o uno sguardo fra loro, tali da suscitare la mia gelosia - ma in quei giorni successivi all'epidemia di colera in cui teoricamente erano periti entrambi, cosa dovevo pensare delle voci secondo cui Land era vivo, e del fatto che, malgrado i miei strenui tentativi di scoprire qualcosa sulla sorte di Beatrice, non trovai nemmeno un testimone che l'avesse vista nella capitale mentre imperversava il morbo ? Se non fosse stato per quel funesto litigio con Giles McNaughton seminato da malvagie insinuazioni sul conto di mia moglie, non credo che durante il viaggio verso Ultima sarei stato straziato da si cupi sospetti. E se Beatrice e Marta fossero fuggite con Land mentre io attraversavo le Comunità indipendenti della provincia di Tierra Bianca ? Sembrava impossibile; tuttavia, come mi aveva detto Joubert la sera prima della mia par-

tenza, niente era impossibile, e se c'era un uomo al mondo che avrebbe dovuto saperlo, ero proprio io. Le ruote della carrozza cambiarono direzione, e quando mi trovai nei sobborghi di Wallingham, il luogo a metà del viaggio, capii che mi stavo avvicinando a un orrore con due volti. Se Land aveva tradito la Confederazione, le istruzioni datemi dal Ministro erano di arrestarlo e riportarlo prigioniero nella capitale. Questa idea era già abbastanza deplorevole, ma se il mio amico mi aveva davvero tradito, portandomi via moglie e figlia, allora l'avrei ucciso. Su questo non avevo dubbi, quali che fossero le conseguenze. Mi maledica Iddio per averlo pensato, ma per il bene di Ernesto e di me stesso pregai che Beatrice fosse già morta. Mr Blank getta il dattiloscritto sulla scrivania, sbuffando di scontento e di indignazione, furioso per essere stato costretto a leggere una storia senza finale, un'opera incompleta che è appena iniziata, un misero frammento del cavolo. Che porcata, commenta ad alta voce; e poi, ruotando la sedia di centottanta gradi, si spinge fino alla porta del bagno. Ha sete. Senza bibite a disposizione, l'unica è riempirsi un bicchiere d'acqua del rubinetto. Cosi si alza dalla sedia, apre la porta e ciabatta in avanti, sempre mugugnando per avere sprecato tanto tempo con quel papocchio di un surrogato di racconto. Beve un bicchier d'acqua e poi un altro, appoggiando la mano sinistra sul lavabo per tenersi in equilibrio mentre guarda con disperazione i panni sporchi nella vasca. Ora che è in bagno, Mr Blank si chiede se non gli converrebbe riprovare a far pipì, a scanso di rischi. Temendo di stramazzare di nuovo qualora restasse in piedi troppo a lungo, si lascia cadere i calzoni del pigiama sulle caviglie e si siede sul water. Come una donna, dice fra sé, improvvisamente divertito all'idea di come sarebbe stata diversa la sua vita se non fosse nato uomo. Dopo la recente disavventura, la sua vescica non ha granché da dire, ma infine lui riesce a spremere qualche magro spruzzetto. Si rialza in piedi tirando su i calzoni del pigiama, aziona lo scarico, si risciacqua le mani nel lavabo, le asciuga con un asciugamano, quindi si volta, apre la porta... e vede un uomo in piedi nella stanza. Un'altra occasione mancata, dice fra sé Mr Blank, pensando che il rumore dello sciacquone abbia coperto l'arrivo dello sconosciuto, lasciando insoluta la questione se la porta sia chiusa dall'esterno o no. Mr Blank si siede sulla sedia ed effettua un'improvvisa semigiravolta per guardare il nuovo arrivato, un trentacinquenne alto, in jeans e camicia con il colletto buttondown aperto. Capelli scuri, occhi scuri, e un viso magro che sembra non sorridere da anni. Tuttavia appena Mr

Blank fa questa considerazione, l'uomo gli sorride e dice: Salve, Mr Blank. Come sta oggi? La conosco ?, gli chiede Mr Blank. Non ha guardato la foto?, ribatte l'uomo. Che foto? Quella sulla sua scrivania. La dodicesima del mucchio. Ricorda ? Ah, quella. Si. Mi pare. Avrei dovuto guardarla, eh? Dunque ? Me ne sono scordato. Ero troppo impegnato a leggere quella baggianata di racconto. Non importa, dice l'uomo, voltandosi e andando verso la scrivania, dove prende il mucchio delle foto e cerca fino a quando arriva all'immagine che gli interessa. Poi rimette le altre foto sulla scrivania, si avvicina a Mr Blank e gli consegna il ritratto. Lo vede, Mr Blank?, dice l'uomo. Sono io. Allora dev'essere il dottore, fa Mr Blank. Samuel... Samuel qualcosa. Farr. Giusto. Samuel Farr. Ora ricordo. Lei ha a che fare con Anna, vero ? Una volta. Ma tanto tempo fa. Tenendo saldamente la foto con due mani, Mr Blank la solleva fino ad averla proprio davanti alla faccia, quindi la osserva per venti secondi buoni. Farr, quasi identico a com'è ora, siede in un giardino in camice da medico, con una sigaretta accesa fra l'indice e il pollice della mano sinistra. Non capisco, dice Mr Blank, colpito da un nuovo, improvviso attacco d'ansia che gli brucia nel petto come un tizzone ardente e gli contrae lo stomaco come un pugno. Cosa c'è che non va?, gli chiede Farr. La somiglianza è reale, non le sembra? Somiglianza perfetta. Forse adesso avrà un anno o due

in più, ma l'uomo nella foto è lei, senza dubbio. Ed è un problema ? No, è soltanto che lei è cosi giovane, risponde Mr Blank con la voce tremante, facendo quello che può per ricacciare le lacrime che si stanno formando nei suoi occhi. Anche Anna è giovane, nella sua foto. Ma lei mi ha detto che è stata scattata più di trent'anni fa. Ora non è più una ragazzina. Ha i capelli grigi, suo marito è morto, e il tempo la sta trasformando in una vecchia. Ma lei no, Farr. Lei era insieme ad Anna. In quel terribile paese dove l'ho mandata... però è successo oltre trent'anni fa, e lei non è cambiato. Farr esita, palesemente incerto su come rispondere a Mr Blank. Il vecchio si siede sull'orlo del letto, appoggia i palmi delle mani sulle ginocchia e guarda a terra, sistemandosi senza saperlo nella medesima posizione in cui era stato trovato all'inizio di questa cronaca. Segue un lungo silenzio. Infine, sottovoce, dice: Non mi è permesso di parlarne. Mr Blank lo guarda con orrore. Mi sta dicendo che lei è morto, esclama. E cosi, vero? Non ce l'ha fatta. Anna è sopravvissuta, ma lei no. Farr alza la testa e sorride. Le sembro morto, Mr Blank?, gli chiede. Tutti passiamo dei momenti duri, certo, ma mi creda, non sono meno vivo di lei. Bah, e chi può dire se io sono morto oppure no ?, replica Mr Blank con uno sguardo sinistro verso Farr. Forse anch'io sono morto. Da come mi sono andate le cose questa mattina, non mi stupirei affatto. A proposito del trattamento. Probabilmente è solo un sinonimo di morte. Lei ora non ricorda, dice Farr, alzandosi dal letto e prendendo la foto dalle mani di Mr Blank, ma tutta la faccenda è stata una sua idea. Noi facciamo solo quello che lei ci ha chiesto. Balle. Voglio vedere un avvocato. Mi tirerà fuori di qui. Ho i miei diritti, sa. Questo si può anche fare, risponde Farr riportando la foto alla scrivania e rimettendola nel mucchio. Se desidera, farò passare qualcuno a vederla oggi pomeriggio. Bene, borbotta Mr Blank, un po' spiazzato dalla solerzia compiacente di Farr. Cosi va meglio.

Farr guarda l'orologio, si stacca dalla scrivania e torna a sedersi sul letto di fronte a Mr Blank, il quale è ancora sulla sua sedia vicino alla porta della stanza. Si sta facendo tardi, dice il giovanotto. Dobbiamo iniziare il nostro colloquiai Colloquio ? Quale colloquio ? Il consulto. Capisco la parola, ma non ho idea di cosa lei intenda. Dobbiamo discutere del racconto. E perché mai? E solo un inizio di racconto, e a casa mia i racconti devono avere un inizio, una parte centrale e una fine. Sono completamente d'accordo. Fra l'altro, chi è il bastardo che ha scritto quella fesseria? Bisognerebbe prenderlo e metterlo al muro. Un uomo di nome John Trause. Mai sentito nominare ? Trause... mmmh... forse. Scriveva romanzi, giusto? Adesso ho il cervello un po' annebbiato, ma credo che potrei averne letto qualcuno. E cosi. Stia tranquillo che li ha letti. E allora perché non mi dà quelli, da leggere... anziché un racconto stupido, incompiuto e senza titolo? No, in realtà Trause lo ha finito. Il manoscritto è lungo centodieci pagine: lo aveva scritto nei primi anni Cinquanta, ai suoi esordi come romanziere. Magari a lei non sembrerà granché, ma non è affatto malvagio per un ragazzo di ventitre o ventiquattro anni. Non capisco. Perché non mi ha fatto leggere il seguito ? Perché fa parte del trattamento, Mr Blank. Non abbiamo lasciato tutte queste carte sulla scrivania solo per farla divertire. La loro presenza ha uno scopo. E quale? Saggiare i suoi riflessi, per esempio. I miei riflessi? E cosa c'entrano? I riflessi mentali. I riflessi emotivi.

Quindi ? Quello che desidero è che mi dica lei il resto della storia. A cominciare dal punto dove ha smesso di leggere, mi deve dire quello che secondo lei dovrebbe succedere adesso, fino all'ultimo paragrafo, all'ultima parola. L'inizio ce l'ha già. Ora voglio che mi dia la parte centrale e la fine. E questo che cos'è, una specie di gioco di società? Se vuole. Io preferisco considerarlo un esercizio di ragionamento immaginativo. Bella parola, dottore. Ragionamento immaginativo. Da quando in qua l'immaginazione è parente della ragione ? Da ora, Mr Blank. Dal momento in cui lei comincia a raccontarmi il resto della storia. Ottimo. D'altronde non mi sembra di avere di meglio da fare, no ? Cosi mi piace. Mr Blank chiude gli occhi per concentrarsi sul compito da svolgere, ma escludere la stanza e i suoi immediati paraggi provoca l'effetto perturbante di richiamare il corteo di esseri fittizi che sfilavano nel suo cervello in passati momenti del racconto. Mr Blank rabbrividisce alla paurosa visione, e dopo un attimo riapre gli occhi per farla svanire. i Che le succede?, chiede Farr, con la faccia perplessa Quei maledetti spettri, risponde Mr Blank. Sono tornati. Spettri ? Le mie vittime. Tutte le persone che ho fatto soffrire negli anni. Ora mi stanno addosso per vendicarsi. Basta che tenga gli occhi aperti, Mr Blank, e vedrà che non ci saranno più. Dobbiamo continuare con la storia. Bene, d'accordo, dice Mr Blank, compiangendosi con un lungo sospiro. Mi lasci un minuto. Perché non mi dice un po' cosa pensa della Confederazione ? Potrebbe aiutarla a cominciare. La Confederazione... la Con-fe-de-ra-zio-ne... E tutto semplicissimo, no ? E l'America sotto un altro nome. Cioè, non gli Stati Uniti come noi li conosciamo, ma un

paese che si è evoluto altrimenti, che ha una storia diversa. Però tutti gli alberi, tutte le montagne e tutte le praterie occupano esattamente gli stessi posti dei nostri. I fiumi e gli oceani sono identici. Gli uomini camminano con due gambe, vedono con due occhi e toccano con due mani. Pensano pensieri doppi, e parlano contemporaneamente dai due lati della bocca. Bene. E ora che succede a Graf quando arriva a Ultima? Lui va dal Colonnello con la lettera di Joubert, ma De Vega si comporta come se gli fosse stato consegnato il biglietto di un bambino, dato che in realtà è complice nel complotto di Land. Graf gli ricorda che gli ordini di un esponente del governo centrale vanno eseguiti, ma il Colonnello ribatte che lui lavora per il Ministero della Guerra, il quale gli ha tassativamente ordinato di far rispettare i Decreti di Non-Ingresso. Graf accenna alle voci che riguardano Land e i cento soldati che sarebbero entrati nei Territori alieni, ma De Vega dice che non ne sa nulla. Allora Graf dice che sarà costretto a scrivere al Ministro della Guerra per richiedergli una dispensa dai Decreti di NonIngresso. Bene, dice De Vega, ma occorrono sei settimane perché una lettera compia il viaggio di andata e ritorno dalla capitale, e nel frattempo lei cosa farà? Conoscerò le attrattive di Ultima, risponde Graf, e aspetta una reazione - sapendo benissimo che il Colonnello non permetterà mai alla sua lettera di arrivare, che non appena tenterà di spedirla sarà subito intercettata. Perché De Vega partecipa al complotto ? Da quello che ho capito, sembrerebbe un ufficiale fedele. Ma lo è, fedele. E lo è anche Ernesto Land con i suoi cento nei Territori alieni. Non la seguo. La Confederazione è uno stato fragile, giovane, composto da colonie e principati prima indipendenti; e al fine di rafforzare questa gracile unità, cosa c'è di meglio, per unire il popolo, che inventare un nemico comune e scatenare una guerra? In questo caso hanno scelto i Primitivi. Land è un doppio agente, inviato nei Territori a suscitare la rivolta fra le tribù locali. Una cosa non molto diversa da quello che facemmo noi agli indiani dopo la Guerra civile. Aizzare i nativi e poi massacrarli. Ma Graf, come può sapere che anche De Vega è implicato ?

Perché non gli ha fatto abbastanza domande. Come minimo avrebbe dovuto simulare un po' di curiosità. E poi c'è il fatto che sia lui sia Land lavorano per il Ministero della Guerra. Ovviamente Joubert e i suoi collaboratori dell'Ufficio affari interni sono all'oscuro del complotto, ma non c'è niente di strano. Serbarsi gelosamente segreti fra un'agenzia governativa e l'altra è all'ordine del giorno. E dopo ? Joubert ha dato a Graf i nomi di tre uomini, spie che lavorano per l'Ufficio a Ultima. Nessuno dei tre sa dell'esistenza degli altri, ma nel complesso sono stati la fonte delle informazioni di Joubert su Land. Dopo il colloquio con il Colonnello, Graf va a cercarli. Ma scopre che a uno a uno tutti e tre sono stati, come suol dirsi, assegnati ad altra sede. Dunque, ora troviamogli dei nomi. Un personaggio è sempre più interessante quando ha un nome. Il capitano... uhm... il maggiore Jacques Dupin è stato trasferito due mesi prima in un presidio nel cuore dei monti centrali. Il dottor Carlos... Woburn... è partito dalla città in giugno per prestare servizio volontario nel Nord, dove c'era un'epidemia di vaiolo. E Declan Bray, il barbiere più rinomato di Ultima, è morto ai primi di agosto per un'intossicazione alimentare. Se per fato o per dolo, è impossibile saperlo, ma insomma il povero Graf si ritrova completamente isolato dall'Ufficio, senza nemmeno un alleato o un confidente, solo soletto in quest'angolo di terra brulla dimenticata da Dio. Molto bene. Bel tocco i nomi, Mr Blank. Ho il cervello che corre ai cento all'ora. In tutta la giornata non mi ero mai sentito cosi su di giri. Insomma, il lupo perde il pelo. E questo che vuol dire ? Niente. Solo che lei è in forma, sta prendendo il ritmo. E poi che succede ? Graf resta a Ultima più di un mese cercando di escogitare un modo per attraversare il confine ed entrare nei Territori. In fin dei conti, non può andarci a piedi. Gli servono un cavallo, un fucile, provviste, probabilmente anche un asinelio. Frattanto, non avendo altro per riempireJj le giornate, viene attirato nella società di Ultima - si fa per dire, dato che ci troviamo in un fetido borgo di guarnigione lontano da tutto. Ed è proprio quell'ipocrita di De

Vega che sembra voler fare amicizia a ogni costo. Invita Graf a una serie di cene - prolisse e noiose, con partecipazione di ufficiali dell'esercito, autorità locali e mercanti, insieme alle loro mogli, alle loro amichette e cosi via -, lo accompagna nei bordelli pili esclusivi, e un paio di volte va addirittura a caccia insieme a lui. E poi c'è l'amante del Colonnello... Carlotta... Carlotta Hauptmann... una sensualista debosciata, la proverbiale vedova in calore, i cui principali svaghi nella vita sono fottere e giocare a carte. Il Colonnello, naturalmente, è sposato, sposato con due bambini, e può andare a trovare Carlotta solo un paio di volte alla settimana, quindi lei è disponibile anche a fare bisboccia con altri uomini. In breve Graf comincia una relazione con lei. Una notte, mentre sono a letto, le fa delle domande riguardo a Land, e Carlotta conferma le dicerie. Si, gli spiega, Land e i suoi uomini hanno sconfinato nei Territori da poco più di un anno. Perché glielo dice? I suoi intenti non sono chiarissimi. Forse ha preso una cotta per Graf e vuole aiutarlo, o forse l'ha istigata il Colonnello per motivi segreti. Questa parte va svolta con accortezza. Il lettore non deve mai sapere con certezza se Carlotta sta attirando Graf in una trappola o se è semplicemente una chiacchierona. Non dimentichiamo che qui siamo a Ultima, il più cupo avamposto della Confederazione, e sesso, gioco d'azzardo e pettegolezzi sono gli unici svaghi a disposizione. Come fa Graf per passare il confine ? Non lo so con esattezza. Probabilmente corrompe qualcuno. Non è molto importante. L'importante è che una notte sconfina, e qui inizia la seconda parte del racconto. Ora siamo nel deserto. Attorno il nulla, sopra la testa un implacabile cielo azzurro, la luce martellante e poi, al calare del sole, un freddo da gelare le ossa. Graf cavalca per giorni verso ovest in sella a un sauro di nome Whitey, cosi chiamato per una chiazza bianca in mezzo agli occhi; e ricordando bene il territorio dopo il soggiorno di dodici anni prima, punta verso i Gangi, la tribù con cui nei viaggi precedenti aveva stretto più amicizia, e che gli era sembrata la meno bellicosa fra tutte le nazioni dei Primitivi. Finalmente, in un tardo mattino, avvista un accampamento gangi: un piccolo villaggio di quindici o venti hogan che fa pensare a una popolazione fra le settanta e le cento anime. Quando è a una trentina di metri dal limitare del campo, grida un saluto in dialetto gangi locale per segnalare il suo arrivo agli abitanti - ma nessuno risponde. Allarmato, Graf sprona il cavallo ed entra al trotto nel cuore del villaggio, dove non c'è alcun segno di vita umana. Smonta, si avvicina a uno degli hogan e scosta la pelle di bisonte che fa da porta alla piccola casa. Appena entra

è accolto da un tanfo irrespirabile di morte, l'odore nauseabondo dei corpi putrefatti, e li, alla fioca luce dell'hogan, vede una dozzina di uomini, donne e bambini gangi massacrati... tutti a colpi d'arma da fuoco, e a sangue freddo. Prima barcolla indietro verso l'aria pura, coprendosi il naso con un fazzoletto, e poi esamina uno a uno gli altri hogan del villaggio. Sono tutti morti, tutti fino all'ultimo, e Graf riconosce fra loro diverse persone con cui dodici anni prima aveva fatto amicizia. Le bambine che da allora erano diventate giovani donne, i bambini che erano diventati giovani uomini, i genitori che erano diventati nonni, e non uno di loro respira più, non uno invecchierà più di un solo giorno per il resto del tempo. Chi è il colpevole ? Forse Land e i suoi uomini ? Un po' di pazienza, dottore. Qui non ci vuole precipitazione. Stiamo parlando di violenza e morte, di una strage di innocenti, e Graf è ancora tramortito dal trauma della scoperta. Non è in condizioni di digerire quanto è successo, ma anche se lo fosse, perché pensare che ci sia di mezzo Land ? Graf sta lavorando sul presupposto che il suo vecchio amico cerchi di fomentare la rivolta, di formare un esercito di Primitivi che invaderà le province occidentali della Confederazione. E un esercito di morti non combatte molto bene, giusto ? L'ultima cosa a cui Graf può pensare è che Land abbia ucciso i suoi futuri soldati. Mi perdoni. Non la interromperò più. Mi interrompa quando vuole. Siamo avvinti in una storia complicata, dove non tutto è come sembra. Per esempio, prendiamo i soldati di Land. Loro non hanno idea di quale sia la loro vera missione, non si sognano neanche di pensare che Land sia un doppio agente al lavoro per il Ministero della Guerra. Sono una banda di colti sognatori, radicali in politica e avversi alla Confederazione, e quando Land li ha arruolati al suo seguito per una spedizione nei Territori alieni con il fine di aiutare i Primitivi ad annettere le province occidentali, gli hanno prestato fede. Ma alla fine, Graf trova Land ? Per forza. Se no, non ci sarebbe nessuna storia da raccontare. Ma questo accade solo più tardi, dopo altre settimane o anche mesi di viaggio. Un paio di giorni dopo essere partito dal villaggio dei Gangi massacrati, Graf incontra uno degli uomini di Land, un soldato che arranca nel deserto barcollante e in delirio, senza cibo né acqua né cavallo. Graf tenta di soccorrerlo, ma è troppo tardi, e il giovane resiste solo per poche ore. Prima di rendere l'ani-

ma, racconta a Graf - straparlando, in un profluvio di balbettii incoerenti - che sono tutti morti, che la loro sorte era segnata fin dall'inizio, che tutta la faccenda era un inganno. Graf fatica a seguirlo. Chi intende con tutti? Land e i suoi uomini ? I Gangi ? Altre tribù fra i Primitivi ? Il ragazzo non risponde, e prima del tramonto muore. Graf seppellisce il corpo e procede finché, dopo un paio di giorni, si imbatte in un altro villaggio di Gangi pieno di cadaveri. Non sa più a cosa pensare. E se alla fine il responsabile fosse Land ? Se le voci di una rivolta altro non fossero che una copertura per nascondere un'impresa ben più sinistra: un massacro silenzioso dei Primitivi che consentirebbe al governo di aprire i loro territori alla colonizzazione dei bianchi, espandendo l'influenza della Confederazione fino alle sponde dell'oceano occidentale? Ma si può raggiungere un obiettivo simile con cosi poche truppe? Cento uomini per sterminarne decine di migliaia? Sembra impossibile, eppure, se Land non c'entra, l'unica spiegazione è che i Gangi siano stati ammazzati da un'altra tribù, che i Primitivi siano in guerra fra loro. Mr Blank sta per proseguire, ma prima che possa trarre di bocca un'altra parola lui e il dottore sono interrotti da qualcuno che bussa. Pur concentrato nell'elaborazione del racconto, e anche compiaciuto di dipanare una sua versione di fatti remoti e immaginari, Mr Blank capisce subito che questo è il momento che aveva aspettato: finalmente il mistero della porta sta per risolversi. Appena sente bussare, Farr si volta verso il rumore. Avanti, dice, e subito la porta si apre ed entra una donna con un carrello d'acciaio inossidabile, forse lo stesso usato prima da Anna, o un altro uguale. Per una volta Mr Blank è stato attento, e a quanto ne sa non ha sentito nessun suono di serratura aperta - nulla che somigliasse al rumore di un catenaccio, o di un paletto o di una chiave -, il che gli suggerisce anzitutto che la porta non fosse chiusa, che non lo sia mai stata. O cosi ad ogni modo deduce Mr Blank, cominciando ad accarezzare l'idea di essere libero di andare e venire a piacimento, ma un attimo dopo capisce che forse la situazione non è cosi semplice. Può darsi che il dottor Farr entrando si sia dimenticato di chiudere a chiave. O, ancora più probabile, che non si sia preso la briga di farlo, conscio che se il suo prigioniero tentasse di fuggire potrebbe sopraffarlo senza difficoltà. Si, dice il vecchio fra sé, probabilmente la risposta è questa. E lui, che indubbiamente sulle sue prospettive future inclina al pessimismo, ancora una volta si rassegna a vivere in uno stato di continua incertezza. Ciao Sam, dice la donna. Scusa se ti interrompo, ma per Mr Blank è ora di pranzo.

Ciao Sophie, dice Farr, abbassando gli occhi sul suo orologio e alzandosi dal letto. Non mi ero accorto che fosse così tardi. Cosa succede ?, chiede Mr Blank in tono petulante, battendo sul bracciolo della sedia. Io voglio continuare a raccontare la storia. Tempo scaduto, dice Farr. Per oggi il consulto è finito. Ma io non ho finito!, grida il vecchio. Non sono arrivato in fondo ! Lo so, risponde Farr, ma qui da noi seguiamo scadenze rigorose, e non si scappa. Continueremo il racconto domani. Domani?, ringhia Mr Blank, incredulo e confuso. Cosa le salta in mente ? Domani non ricorderò una parola di quello che ho detto oggi. E lei lo sa. Lo so perfino io, che non so un accidente. Farr si avvicina a Mr Blank e gli dà un buffetto sulla spalla, il classico gesto conciliante di chi è esperto nella sottile arte del rapporto con i pazienti. Bene, dice, vedrò che cosa posso fare. Prima devo avere il permesso, ma se vuole che torni questa sera, probabilmente ci riuscirò. D'accordo? D'accordo, borbotta Mr Blank, un po' ammorbidito dalla gentilezza partecipe che coglie nella voce di Farr. Allora posso andare, conclude il medico. A più tardi. Senza aggiungere altro saluta con la mano Mr Blank e la donna di nome Sophie, va alla porta, la apre, esce e la chiude alle sue spalle. Mr Blank sente il clic del chiavistello, ma nient'altro. Né sferragliare di catenacci né giri di chiavi: gli viene da pensare che forse, semplicemente, la porta sia uno di quei congegni che si bloccano automaticamente quando chiudi. Nel frattempo la donna di nome Sophie ha avuto il suo daffare a spingere il carrello d'acciaio di fianco al letto e a trasferire i piatti del pranzo di Mr Blank dal ripiano basso alla superficie superiore del carrello. Mr Blank nota che ci sono in tutto due piatti, e ciascuno è nascosto da un coperchio tondo di metallo con un foro nel mezzo. La vista dei coperchi d'un tratto gli ricorda i pasti del servizio in camera negli alberghi, il che a sua volta gli fa pensare a tutte le notti della sua vita che ha passato in albergo. Trop-

pe per contarle, sente una voce dire dentro di lui, una vo- fl ce che non è la sua, e tuttavia parla in modo cosi perentorio e convinto da fargli ammettere che deve dire il vero. Se è cosi, pensa, beh, allora ha proprio viaggiato tanto ai suoi tempi, spostandosi da una località all'altra su automobili, treni e aerei; e certo, aggiunge tra sé, gli aerei lo hanno trasportato sopra tutto il mondo, in tanti posti in vari continenti, e senz'altro quei viaggi erano collegati alle missioni in cui ha inviato tutte quelle persone, quei poveretti che tanto hanno sofferto per causa sua; e questo è di sicuro il motivo per cui ora è confinato nella stanza e non gli è più permesso di spostarsi in nessun luogo, segregato entro queste quattro mura a punizione dei gravi mali che ha inflitto agli altri. Questo fugace sogno a occhi aperti è interrotto a metà dal suono della voce della donna. E pronto per pranzare?, gli domanda, e quando alza la testa e la guarda, Mr Blank si rende conto di non ricordare più il suo nome. Deve avere una cinquantina d'anni, e anche se trova la sua faccia delicata e attraente, il corpo troppo pieno e grassottelle non la fa classificare come donna ideale. Per la cronaca, si noti che i suoi vestiti sono identici a quelli portati da Anna lo stesso giorno. Dov'è la mia Anna ?, chiede Mr Blank. Credevo fosse lei quella che si prende cura di me. E vero, dice la donna. Ma all'ultimo momento ha avuto delle faccende da sbrigare e mi ha chiesto di sostituirla È terribile, commenta Mr Blank in tono lugubre. Naturalmente non ho nulla contro di lei, chiunque sia, ma aspettavo da ore di rivedere Anna. Quella donna è tutto per me. Senza di lei non posso vivere. Lo so, dice la donna. Tutti noi lo sappiamo. Ma... qui gli rivolge un sorrisino cordiale - cosa possiamo farci ? Temo che mi dovrà sopportare. Ahimè, sospira Mr Blank. Sono sicuro che lei abbia le migliori intenzioni, ma non fingerò di non essere deluso. Non deve fingere. Ha il diritto di provare quello che prova, Mr Blank. Non è colpa sua. Visto che, come ha detto, ci dovremo sopportare, forse dovrebbe dirmi chi è. Sophie. Ah, si. Giusto. Sophie. Bellissimo nome. E comincia con la lettera S, vero ?

Cosi sembra. Cerchi di ricordare, Sophie. Lei è la bambina che baciai allo stagno quando avevo dieci anni ? Avevamo appena finito di pattinare sul ghiaccio e ci sedemmo sul ceppo di un albero, e io la baciai. Purtroppo lei non ricambiò il bacio. Invece rise. Non posso essere stata io. Quando lei aveva dieci anni, io non ero ancora nata. Sono cosi vecchio ? Non proprio vecchio. Ma molto più vecchio di me. Bene, allora. Se non è quella Sophie, quale Sophie sarebbe ? Invece di rispondergli, questa Sophie che non è la bambina baciata da Mr Blank quando aveva dieci anni si avvicina alla scrivania, prende una delle foto dal mucchio e la solleva. Dice: Ecco, io sono questa. Com'ero venticinque anni fa, o giù di li. Si avvicini, le dice Mr Blank. È troppo lontana. Qualche secondo dopo, Mr Blank tiene in mano la fotografia. Che si rivela la stessa immagine su cui si era soffermato tanto attentamente nel corso della giornata quella della ragazza che ha appena aperto la porta di quello che sembra un appartamento di New York. Qui era molto più magra, le dice. È la mezza età, Mr Blank. Spesso fa strani effetti sulla figura di una ragazza. Mi spieghi, dice Mr Blank battendo con l'indice sulla foto. Cosa succede qui? Chi è la persona in piedi nel corridoio, e perché lei ha quest'aria?, come dire... apprensiva, ma al tempo stesso contenta. Altrimenti non sorriderebbe. Sophie si accovaccia vicino a Mr Blank, il quale è ancora seduto sulla sedia, e per qualche istante esamina la foto in silenzio. E il mio secondo marito, dice poi, e credo che qui fosse la seconda volta che è venuto a trovarmi. La prima voita me la ricordo perfettamente, quando ho aperto avevo

in braccio il mio bambino - perciò questa dev'essere la seconda. Perché tanto apprensiva ? Perché non ero sicura di quello che sentiva per me. E il sorriso ? Sorridevo perché ero felice di vederlo. Ha detto il suo secondo marito. E il primo? Chi era? Uno di nome Fanshawe. Fanshawe... Fanshawe..., mormora fra sé Mr Blank. Mi sa che finalmente qui si arriva da qualche parte. Con Sophie sempre accovacciata vicino, la foto in bianco e nero di lei giovane ancora sulle ginocchia, d'un tratto Mr Blank comincia a oscillare nella sedia, muovendosi più in fretta che può verso la scrivania. Quando arriva, getta la foto di Sophie sopra il ritratto di Anna, prende il piccolo taccuino e lo apre alla prima pagina. Scorrendo il dito lungo l'elenco dei nomi, giunto a Fanshawe si ferma e rotea sulla sedia per mettersi dirimpetto a Sophie, che ora si è alzata in piedi e sta avanzando lentamente verso di lui. Aha, fa Mr Blank, picchiettando sul taccuino col dito. Lo sapevo. Fanshawe è implicato in tutto questo, vero? Non so di cosa parla, risponde Sophie fermandosi ai piedi del letto e sedendosi circa nello stesso punto precedentemente occupato da James P. Flood. Naturale che è implicato. Ci siamo dentro tutti, Mr Blank. Credevo lo sapesse. Pur confuso dalla risposta, il vecchio si sforza di non perdere il filo. Ha mai sentito parlare di un uomo di nome Flood? James P. Flood. Un inglese. Ex poliziotto. Parla con l'accento di Londra. Non è meglio che mangi, adesso ?, chiede Sophie. Il cibo si raffredda. Fra un minuto, scatta Mr Blank, irritato perché lei ha cambiato discorso. Mi dia solo un minuto. Prima che si parli di mangiare, voglio che mi dica tutto quello che sa di Flood. Non so niente. Ho sentito dire che stamattina era qui, però non l'ho mai visto.

Ma suo marito... voglio dire, il suo primo marito, quel Fanshawe... scriveva libri, no? In uno di essi, uno che si intitola... acci... non mi ricordo più. Terra... Terra non so cosa... Terra disabitata. Esatto. Terra disabitata. In quel libro ha usato Flood come personaggio, e nel capitolo... il trentesimo capitolo, credo, o forse il settimo, Flood fa un sogno. Non ricordo, Mr Blank. Mi sta dicendo che non ha letto il romanzo di suo marito? No, l'ho letto. Ma tanto tempo fa, e poi non l'ho più aperto. Probabilmente non mi capirà, ma per la tranquillità del mio spirito ho deciso consapevolmente di non pensare a Fanshawe e alle sue opere. Perché il vostro matrimonio è finito ? Lui è morto ? O avete divorziato ? L'ho sposato quando ero molto giovane. Abbiamo vissuto qualche anno insieme, io sono rimasta incinta e poi lui è sparito. E successo qualcosa, o l'ha lasciata per scelta sua ? Per scelta sua. Doveva essere matto. Piantare uno splendore di ragazza come lei. Fanshawe era un uomo molto labile. Ricco di qualità, con dentro tante cose belle... ma in fondo in fondo voleva distruggersi, e alla fine ci è riuscito. Non ha voluto più saperne né di me né del suo lavoro; poi ha mollato tutta la sua vita ed è scomparso. Il suo lavoro. Intende dire che non ha più scritto ? Si. Ha rinunciato a tutto. Lui aveva un grande talento, Mr Blank, ma a un certo punto ha disprezzato quella parte di sé e un giorno ha smesso e stop, ha lasciato perdere. E stata colpa mia, vero ? Non arriverei a tanto. Naturalmente lei una parte l'ha avuta, ma non poteva fare altrimenti.

Lei deve odiarmi. No, non la odio. Per un po' è stata dura, ma poi tutto è andato abbastanza bene. Mi sono risposata, ricorda?, ed è stato un buon matrimonio, un matrimonio lungo e ben riuscito. Poi ci sono i miei due figli, Ben e Paul. Ormai sono grandi. Ben è medico, e Paul studia da antropologo. Niente male davvero, se mi è lecito dirlo. Spero che un giorno li conoscerà. Secondo me, ne sarà molto fiero. Adesso Sophie e Mr Blank sono seduti l'una accanto all'altro sul letto, di fronte al carrello d'acciaio con il ripiano ingombro dei piatti del pranzo di Mr Blank, ciascuno sotto un coperchio tondo di metallo con un foro nel mezzo. A Mr Blank è venuto appetito, e non vede l'ora di iniziare, ma prima che gli sia permesso di mordere un boccone, Sophie gli dice che deve prendere le sue pillole del pomeriggio. Nonostante l'intesa nata fra i due negli ultimi minuti, e il piacere di Mr Blank nel trovarsi cosi vicino al corpo caldo e opulento di Sophie, alla richiesta lui recalcitra e si rifiuta di mandar giù la medicina. Mentre le pillole che ha ingerito quel mattino erano verde, viola e bianca, quelle nuove ora in mostra sul ripiano d'acciaio sono rosa, rossa e arancione. Sophie spiega che effettivamente si tratta di pillole diverse, create per produrre effetti differenti da quelle che ha preso in precedenza, e che il trattamento avrà successo solo a patto che le abbini con le altre. Mr Blank segue il ragionamento, che però non lo convince affatto a cambiare idea, e quando Sophie prende la prima pastiglia fra il pollice e il medio e cerca di fargliela inghiottire, lui scuote ostinatamente il capo. Per favore, lo prega Sophie. Lo so che ha fame, ma volente o nolente queste pastiglie entreranno nel suo organismo prima che mandi giù un solo boccone. Fanculo il pranzo, dice Mr Blank in tono astioso. Sophie sospira esasperata. Senta, nonno..., gli dice, io voglio solo aiutarla. Sono fra i pochi, qui dentro, che stanno dalla sua parte; ma se lei non collabora, conosco almeno una dozzina di uomini che sarebbero felici di sostituirmi e ficcarle in gola le pillole a forza. D'accordo, dice Mr Blank, cominciando a calmarsi un po'. Ma a una condizione. Condizione ? Che cosa sta dicendo ? Inghiottirò le pillole. Purché lei si spogli e mi lasci passare le mani sul suo corpo.

Sophie trova la proposta cosi ridicola che scoppia a ridere... ignorando che questa è esattamente la stessa reazione avuta da Sophie in analoghe circostanze tanti anni prima, presso lo stagno ghiacciato dell'infanzia di Mr Blank. E poi, per aggiungere al danno la beffa, pronuncia le parole fatali: Non faccia lo sciocco. Ah, dice Mr Blank, indietreggiando come se gli avessero dato uno schiaffo. Ah, geme. Dica quello che vuole. Ma questo no. La prego. Questo no. Dica tutto, tranne questo. Pochi secondi dopo Mr Blank ha gli occhi pieni di lacrime, e prima che capisca cosa sta succedendo le lacrime gli rigano le guance, e insomma il vecchio sta piangendo sul serio. Mi scusi, dice Sophie. Non volevo mortificarla. Che male c'è se la voglio guardare ?, domanda Mr Blank, tossendo fra i singhiozzi. Lei ha due seni bellissimi. Io voglio solo vederli e toccarli. Voglio mettere le mani sulla sua pelle, passare le dita tra i peli del suo pube. Che c'è di cosi terribile ? Non le farò del male. Chiedo soltanto un po' di tenerezza. Le sembra troppo dopo tutto quello che mi hanno fatto qui dentro ? Beh, fa Sophie pensosa, senza dubbio abbastanza impietosita dalla situazione di Mr Blank, forse possiamo trovare un compromesso. Per esempio ?, domanda Mr Blank asciugandosi le lacrime con il dorso della mano. Per esempio... per esempio: lei prende le pastiglie, e ogni volta che ne inghiotte una potrà toccarmi i seni. Nudi? No. Preferisco tenere la camicetta. Non basta. D'accordo. Toglierò la camicetta. Ma non il reggiseno. Chiaro ? Non è il paradiso, ma mi sa che dovrò accettare. E cosi la questione è risolta. Sophie lascia cadere la camicetta, e a questo punto Mr Blank si rincuora osser-

vando che il reggiseno che porta è un modello di pizzo, quasi impalpabile, non uno di quei deprimenti attrezzi indossati dalle matrone in età avanzata e da quelle che hanno gettato la spugna sull'amore fisico. Le metà superiori dei seni tondi e abbondanti di Sophie sono scoperte, e anche sotto, il tessuto del reggiseno è cosi sottile da offrirgli una nitida vista dei capezzoli tesi contro la stoffa. Non è il paradiso, ripete Mr Blank fra sé mentre deglutisce la prima pillola insieme a un sorso d'acqua, ma non mi posso lamentare. Poi le sue mani sono su di loro: la sinistra sul seno destro, la destra sul seno sinistro, e mentre lui assapora la massa e la morbidezza delle un po' pendule ma nobili mammelle di Sophie, si rallegra ancor di più perché vede che sta sorridendo. Forse non di piacere, ma almeno di divertimento, a riprova che non gli serba rancore e prende l'avventura per il verso giusto. Lei è un vecchio sporcaccione, Mr Blank, gli dice. Lo so, risponde lui. Ma ero uno sporcaccione anche da giovane. Ripetono altre due volte la procedura - deglutizione di una pillola, seguita da un altro delizioso incontro con i seni - poi Sophie si rimette la camicetta, ed è arrivato il momento di pranzare. Purtroppo le reiterate carezze alla carne di una donna desiderabile hanno imposto un prevedibile cambiamento nella carne del carezzatore. Il vecchio compare di Mr Blank fa di nuovo le bizze, e poiché il nostro eroe non porta più i pantaloni di cotone e le mutande, e sotto le braghe del pigiama è nudo come un bruco, nessuna barriera impedisce a Mr Big di balzare dal varco e far capolino alla luce del giorno. Ciò accade nel preciso istante in cui Sophie si protende per cominciare a togliere dai piatti i coperchi di metallo, e quando si china per appoggiare gli stessi coperchi sul piano basso del carrello i suoi occhi sono a pochi centimetri dall'impuro colpevole. Ma guardati, dice Sophie rivolta al pene eretto di Mr Blank. Il tuo padrone mi ha strizzato le tette due o tre volte, e tu sei già pronto a passare alle vie di fatto. Scordatelo, fratellino. La festa è finita. Mi scusi, dice Mr Blank, per una volta veramente imbarazzato dalla propria condotta. E... beh, è saltato fuori per conto suo. Non me l'aspettavo. Non si preoccupi, risponde Sophie. Basta che si rimetta il coso nei calzoni, e cominciamo a lavorare.

In questo caso il lavoro è il pranzo di Mr Blank, che consiste in una piccola ciotola di minestra di verdure ormai tiepida, un sandwich di pane bianco a più strati, un'insalata di pomodori e una ciotola di marmellata rossa. Non faremo un rapporto dettagliato sullo svolgimento del pasto, ma almeno un fatto merita di essere menzionato. Come era già successo la mattina quando Mr Blank aveva preso le pillole, nel momento in cui cerca di mangiare cominciano a tremargli incontrollabilmente le mani. Le pillole saranno anche diverse, create per diversi scopi e ricoperte con diversi colori, ma per quanto riguarda il tremito delle mani il loro effetto è identico. Mr Blank inizia dalla minestra. Come si può immaginare, il viaggio inaugurale del cucchiaio da quando si solleva dalla ciotola verso la bocca di Mr Blank è difficoltoso, e nemmeno una goccia giunge alla destinazione voluta. Senza che lui ne abbia nessuna colpa, tutto il contenuto del cucchiaio piove sulla camicia bianca di Mr Blank. Dio santo, dice lui. Un'altra volta. Prima che il pranzo possa continuare - o meglio, prima che possa avere inizio -, Mr Blank è costretto a levarsi la camicia, cioè l'ultimo indumento bianco che ha indosso, e sostituirla con la casacca del pigiama, tornando cosi alla stessa tenuta in cui era apparso all'inizio di questa cronaca. E un momento triste per Mr Blank, perché ora non rimane più neanche una traccia degli affettuosi e scrupolosi sforzi fatti da Anna per vestirlo e prepararlo alla giornata. Peggio: ormai ha completamente tradito la sua promessa di vestire di bianco. Come Anna in precedenza, ora anche Sophie si fa carico di imboccare Mr Blank. Pur essendo Sophie altrettanto gentile e paziente con lui, Mr Blank non ama Sophie come ama Anna, e quindi guarda sopra la sua spalla sinistra, verso una macchia sul muro lontano mentre lei avvicina alla sua bocca le diverse cucchiaiate e forchettate, fingendo che sia Anna, e non Sophie, quella che gli sta seduta accanto. Conosce bene Anna?, le domanda. L'ho conosciuta soltanto pochi giorni fa, risponde Sophie, ma abbiamo già fatto tre o quattro lunghe chiacchierate. Siamo molto diverse sotto ogni punto di vista, ma sulle cose che contano la vediamo allo stesso modo. Per esempio ? Per dirne una... su di lei, Mr Blank.

E per questo che Anna le ha chiesto di sostituirla oggi pomeriggio ? Credo di si. Finora è stata una giornata orrenda, ma ritrovare Anna mi ha fatto molto bene. Non so cosa farei senza di lei. Anche Anna prova le stesse cose per lei. Anna... ma Anna chi? Ho cercato di ricordare il suo cognome per ore. Mi sembra che cominci per B, ma non so andare oltre. Blume. Si chiama Anna Blume. Ma certo!, grida Mr Blank battendosi la fronte con il palmo della mano sinistra. Che diavolo mi è successo ? Conosco quel nome da tutta la vita. Anna Blume. Anna Blume. Anna Blume... Ora Sophie se n'è andata. Il carrello d'acciaio non c'è più, la camicia bianca imbrattata di minestra non c'è più, i vestiti bagnati e sporchi nella vasca non ci sono più e ancora una volta, dopo aver fatto una normale, routinaria pipi nel bagno con l'aiuto di Sophie, Mr Blank è solo, seduto sull'orlo del letto, i palmi aperti sulle ginocchia, la testa bassa, gli occhi al pavimento. Medita sui dettagli della recente visita di Sophie, rimproverandosi di non averla interrogata sugli argomenti che gli stanno più a cuore. Per esempio, dove si trova. Se gli è consentito camminare nel parco senza supervisori. Dov'è l'armadio, ammesso che un armadio ci sia, e come mai non è riuscito a trovarlo. Per non parlare dell'eterno dilemma della porta - e se sia chiusa dall'esterno oppure no. Perché ha esitato ad aprire la sua anima con lei, si domanda, lei che è una donna piena di comprensione, e non gli serba alcun rancore ? E solo per paura, si chiede, oppure ha un rapporto con il trattamento, questa cura malsana e debilitante che gli ha tolto via via la forza di difendersi e combattere le sue battaglie ? Non sapendo che cosa pensare, Mr Blank fa spallucce, batte le mani sulle ginocchia e si alza dal letto. Qualche secondo dopo è seduto alla scrivania con la penna nella mano destra e il taccuino davanti, aperto alla prima pagina. Scorre l'elenco in cerca del nome di Anna, lo trova sulla seconda riga proprio sotto James P. Flood e aggiunge le lettere B-l-u-m-e, modificando cosi la voce da Anna in Anna Blume. Poi, visto che tutte le righe della prima pagina sono state occupate, passa alla seconda e aggiunge all'e-

lenco altri due nomi: John Trause. Sophie. Mentre chiude il taccuino, Mr Blank scopre con stupore che il nome di Trause gli è tornato in mente senza nessuno sforzo. Dopo tante fatiche e tanti insuccessi nel richiamare nomi, volti e fatti, la considera una grandiosa vittoria. Dondola avanti e indietro sulla sedia per festeggiare il trionfo, chiedendosi se non siano state le pillole pomeridiane a compensare in qualche modo la perdita di memoria delle ore precedenti, o non sia stato solo un colpo di fortuna, uno di quegli eventi inattesi che ci capitano senza apparente motivo. Quale che sia la causa, ora decide di continuare a pensare alla storia, prevedendo una visita serale del dottore, perché Farr gli ha garantito che avrebbe fatto il possibile per consentirgli di raccontare la storia fino alla fine - non l'indomani, quando Mr Blank avrà certo scordato gran parte di ciò che ha narrato finora, ma oggi. Tuttavia, mentre il vecchio continua a oscillare nella sedia, i suoi occhi cadono sulla striscia di nastro bianco incollata al ripiano della scrivania. Nella giornata ha guardato quel nastro non meno di cinquanta, cento volte, e ogni volta la striscia bianca recava chiaramente la parola scrivania. Adesso Mr Blank vede con stupore che è segnata dalla parola lampada. La sua prima reazione è pensare che gli occhi lo abbiano tradito, quindi smette di dondolarsi per osservare più da vicino. Si fa avanti, abbassa la testa fin quasi a toccare il nastro con il naso ed esamina attentamente la parola. Con suo sommo sconforto, scopre che c'è ancora scritto lampada. Sempre più allarmato, Mr Blank si alza affannosamente dalla sedia e comincia a ciabattare per la stanza, fermandosi a ogni striscia bianca incollata a un oggetto per vedere se altre parole sono state modificate. Dopo un'approfondita indagine, scopre con orrore che non una sola etichetta occupa il posto di prima. Adesso sul muro c'è scritto sedia. Sulla lampada c'è scritto bagno. Sulla sedia c'è scritto scrivania. Subito alcune possibili spiegazioni balenano nella mente di Mr Blank. Ha avuto un ictus, o una lesione cerebrale; ha disimparato a leggere; qualcuno gli ha giocato un brutto scherzo. Ma se lui è la vittima di una beffa, si chiede, chi può esserne l'autore? Nelle ultime ore la sua stanza è stata visitata da alcune persone: Anna, Flood, Farr e Sophie. Gli sembra impensabile che una delle due donne gli abbia fatto una cosa simile. E pur vero che quando Flood è entrato la sua mente era altrove, ed è vero che quando è entrato Farr stava azionando lo scarico del water; ma non sa immaginare co-

me uno dei due uomini possa aver eseguito una sostituzione cosi elaborata nel breve tempo in cui non sono stati nel suo campo visivo: al più qualche secondo, praticamente un'inezia. Mr Blank è conscio di non essere al massimo della forma, che la sua mente non funziona come dovrebbe, ma sa anche di non essere peggio adesso che all'inizio della giornata, il che escluderebbe l'ipotesi dell'ictus; e se ha disimparato a leggere, come può aver fatto le due ultime aggiunte all'elenco di nomi ? Si siede sull'orlo del letto e gli viene il dubbio di essersi appisolato qualche minuto dopo che Sophie era uscita dalla stanza. Non ricorda di aver dormito, ma a conti fatti è l'unica spiegazione che abbia un senso. Nella stanza è entrata una quinta persona, qualcuno che non era Anna né Flood né Farr né Sophie, e durante il breve e ora dimenticato tuffo di Mr Blank nell'oblio ha sostituito le etichette. C'è un nemico che si annida sul posto, dice fra sé Mr Blank; forse ce n'è più d'uno o tanti che agiscono in combutta, con l'unica intenzione di mettergli paura, di disorientarlo, di fargli credere che sta perdendo il senno, quasi cercassero di persuaderlo che gli esseri-ombra dentro la sua mente si siano trasformati in fantasmi viventi, anime senza corpo assoldate per invadere la sua stanzetta causando ogni baraonda possibile. Ma Mr Blank è un uomo d'ordine, e la puerile monellaggine di chi lo ha catturato lo irrita. Dopo una lunga esperienza, è giunto ad apprezzare l'importanza della precisione e della chiarezza in tutte le cose, e negli anni in cui inviava i suoi subalterni nelle varie missioni per il mondo si è sempre preso buona cura di redigere i rapporti sulle loro attività in un linguaggio rispettoso della verità di quanto essi vedevano e pensavano e sentivano a ogni passo. Quindi non servirà chiamare una sedia scrivania o una scrivania lampada. Abbandonarsi a questi capricci da bambini è gettare il mondo nel caos, rendendo la vita insopportabile a tutti fuorché ai pazzi. Mr Blank non è arrivato al punto da non identificare gli oggetti senza i nomi appiccicati sopra, ma indubbiamente è in una fase di declino, e capisce che potrebbe venire il giorno, forse anche presto, forse anche domani, in cui il suo cervello si deteriorerà ulteriormente e per riconoscere un oggetto gli sarà indispensabile avere sotto mano il nome. Decide quindi di invertire il danno provocato dal nemico non visto e rimettere le etichette rimescolate al loro posto. Il lavoro richiede più tempo di quanto Mr Blank non credesse, perché presto si avvede che le strisce di nastro con scritte le parole sono dotate di poteri adesivi pressoché sovrumani, e staccarne una dalla superficie a cui è incollata richiede una concentrazione e una fatica senza li-

miti. Mr Blank comincia usando la forza del pollice sinistro per staccare la prima striscia (la parola muro, che è finita sulla pediera di rovere del letto), ma appena infila l'unghia sotto l'angolo in basso a destra del nastro, la punta dell'unghia si spezza. Riprova con l'unghia del medio, che è un po' più corta e quindi meno fragile, e intacca diligentemente il caparbio angolo destro finché dal letto non si è staccato abbastanza nastro da permettergli di prenderne una piccola porzione tra il pollice e il medio evirando delicatamente per non lacerarla, rimuovere tutta la striscia dalla pediera di rovere. Un momento di soddisfazione, certo, ma che ha richiesto due minuti buoni di laboriosi preliminari. Considerando che in tutto ci sono da staccare dodici strisce, e che durante l'operazione Mr Blank si spezza altre tre unghie (riducendo cosi a sei il numero di dita utilizzabili), il lettore capirà come per terminare il lavoro gli occorra oltre mezz'ora. Dopo queste fatiche Mr Blank è sfinito, e anziché fermarsi a dare un'occhiata per la stanza per ammirare il suo lavoro (che, anche se può sembrare piccolo e insignificante, per lui non è niente di meno che un'iniziativa simbolica tesa a ripristinare l'armonia in un universo a pezzi), ciabatta in bagno per sciacquarsi la faccia sudata. Il vecchio capogiro è ritornato, e afferra il lavabo con la mano sinistra mentre con la destra si spruzza dell'acqua. Quando chiude il rubinetto e fa per prendere l'asciugamano, d'improvviso si sente peggio, peggio di come si sia sentito in qualsiasi momento di questa giornata. Il malessere sembra concentrato in un punto dello stomaco, ma prima di poter dire a se stesso la parola stomaco, lo sente risalire la trachea accompagnato da uno spiacevole formicolio alle fauci. Istintivamente agguanta il lavabo con tutte e due le mani e abbassa la testa, per resistere all'attacco di nausea che lo ha inspiegabilmente colpito. Per un paio di secondi fa resistenza, pregando di riuscire a respingere l'esplosione imminente, ma non c'è nulla da fare, e un attimo dopo sta vomitando nel lavabo. Mi hanno avvelenato!, grida Mr Blank alla fine dell'attacco. Quei mostri mi hanno avvelenato! Quando l'azione ricomincia, Mr Blank è allungato sul letto con lo sguardo al soffitto bianco, pitturato di fresco. Adesso che le micidiali tossine sono state espulse dal suo organismo si sente a secco di energia, mezzo morto per il selvaggio round di conati, rigurgiti e pianto che ha vissuto solo pochi minuti prima in bagno. E in ogni caso, se questo è possibile, lui si sente anche meglio, più calmo al centro del suo essere debilitato, più pronto ad affrontare i cimenti che senz'altro lo attendono. Mentre continua a osservare il soffitto, la sua bian-

chezza evoca via via un'immagine, e invece di guardare un soffitto Mr Blank crede di guardare un foglio di carta bianca. Perché poi sia cosi, non sa spiegarlo, ma forse ha a che vedere con le dimensioni del soffitto, che non è quadrato ma rettilineo, come dire che anche la stanza non è quadrata ma rettilinea, e sebbene il soffitto sia ben più grande di un foglio di carta, le sue proporzioni sono simili a quelle della classica pagina formato A4. Mentre Mr Blank insegue questo pensiero, qualcosa dentro di lui si riscuote, qualche lontano ricordo che non riesce a fissare nel cervello, che continua a spezzarsi man mano che gli si avvicina; ma attraverso il buio che gli vieta di vedere bene la cosa nella sua mente, distingue i vaghi contorni di un uomo, un uomo che senza dubbio è lui stesso, seduto a una scrivania, mentre gira un foglio di carta nel rullo della sua vecchia macchina da scrivere manuale. Probabilmente è uno dei rapporti, dice Mr Blank, parlando con voce bassa ma udibile; e poi si chiede quante volte avrà ripetuto quel gesto, quante volte negli anni, comprendendo ora che non possono essere state meno di migliaia, migliaia e migliaia di volte, più fogli di carta di quanti un uomo possa contarne in un giorno, una settimana o un mese. Il pensiero della macchina da scrivere richiama il dattiloscritto che ha letto quello stesso giorno, e adesso che si è pressoché ripreso dalla fatica esasperante di staccare le strisce di nastro adesivo bianco e rimetterle ai posti giusti per la stanza - e adesso che la battaglia che era divampata cosi violenta nel suo stomaco si è placata -, Mr Blank ricorda che prevedeva di continuare il suo racconto, di delineare la storia fino alla conclusione, cosi da prepararsi alla visita serale supplementare del dottore. Ancora steso a occhi aperti sul letto, per un momento valuta se è il caso di procedere in silenzio, cioè raccontarsi la storia mentalmente, oppure continuare a improvvisare gli eventi ad alta voce anche se nella stanza non c'è nessuno ad ascoltare quello che sta dicendo. Visto che ora si sente particolarmente solo, abbastanza schiacciato dalla solitudine che gli viene imposta, decide di far finta che il dottore sia con lui nella stanza e andare avanti come prima, cioè raccontare la storia con la voce anziché pensarla solo nella testa. Allora continuiamo, d'accordo?, dice. La Confederazione. Sigmund Graf. I Territori alieni. Ernesto Land. Che anno è, in questo posto immaginario ? A occhio e croce, verso il 1830. Non ci sono né treni né telegrafo. Si viaggia a cavallo, e si può attendere l'arrivo di una lettera anche per tre settimane. Ricorda molto l'America, ma non è uguale. Per esempio, non ci sono schiavi neri, o almeno il testo non ne parla. E per quel momento storico c'è una maggiore varietà etnica rispetto a qui. Nomi tedeschi, nomi francesi,

nomi inglesi, nomi spagnoli. Dunque, allora: dove eravamo rimasti ? Graf si trova nei Territori alieni in cerca di Land, il quale forse è un doppio agente, ma forse non lo è, e potrebbe essersi dato alla macchia con la moglie e la figlia di Graf, o forse no. Facciamo un piccolo passo indietro. Mi sa che prima abbiamo corso troppo, siamo balzati a troppe conclusioni affrettate. Secondo Joubert, Land è un traditore della Confederazione, che ha assoldato un esercito personale per guidare i Primitivi a un'invasione delle province occidentali. Fra l'altro io detesto quella parola. Primitivi. E troppo piatta, è spenta, non ha fascino. Cerchiamo un termine più pittoresco. Mmm... non so... forse qualcosa come... il Popolo dello Spirito. No. Brutto. I Dolmen. Gli Olmen. I Tolmen. Orrendi. Sono cosi in declino? I Djiin. Ecco. Perfetto. I Djiin. Assomiglia un po' a injun, cioè «musi rossi»... ma ha dentro un miscuglio di altre connotazioni. Allora, bene: i Djiin. Joubert pensa che Land sia nei Territori alieni per guidare i Djiin all'attacco delle province occidentali. Ma per Graf le cose sono più complicate. Perché? Primo, crede nella fedeltà di Land alla Confederazione. Secondo, come potrebbe Land avere attraversato il confine insieme a cento uomini all'insaputa del Colonnello De Vega ? De Vega dice che non ne sa nulla, ma Carlotta ha raccontato a Graf che Land è entrato nei Territori da oltre un anno, e a meno che non menta, De Vega fa parte del complotto. Oppure - un'ipotesi a cui prima non avevo pensato - Land ha corrotto De Vega con un'ingente somma di denaro, e il Colonnello non è affatto coinvolto. Ma questo non c'entra nulla con Graf, il quale non sospetta mai l'eventualità della corruzione. Secondo la sua teoria Land, De Vega e i vertici militari tramano per far scoppiare una guerra fasulla con i Djiin proprio per tenere unita la Confederazione. Forse nel frattempo vogliono far fuori i Djiin, o forse no. Per adesso ci sono solo due possibilità: l'ipotesi di Joubert e l'ipotesi di Graf. Se però questa storia vuole venire a un dunque, dev'esserci una terza spiegazione, qualcosa che nessuno si sarebbe mai aspettato. Se no, perbacco, è troppo prevedibile. E va bene, continua Mr Blank dopo una breve pausa per chiarirsi bene le idee. Graf è arrivato nei due villaggi dei Gangi, e tutti gli abitanti sono stati massacrati. Ha sepolto il soldato bianco in delirio, e adesso non sa cosa pensare. Per il momento, mentre lui si dirige lentamente verso Land, separiamo i due punti principali che deve affrontare. La questione professionale e la questione privata. Cosa ci fa Land nei Territori, e dove sono sua moglie e sua figlia ? A essere sincero, questo filone famigliare mi dà noia. Si può venirne a capo in un modo qualsiasi fra tanti, ma sono tutte soluzioni imbarazzanti: troppo ritrite, troppo banali, indegne di considerazione. Primo: Beatrice e Marta sono scappate con Land. Graf ha giurato che se li sco-

pre insieme ucciderà Land. Che ci riesca o no, a questo punto la storia scade nel mero melodramma del cornuto che cerca di difendere il suo onore. Secondo: Beatrice e Marta sono scappate con Land, ma Beatrice è morta seguito o dell'epidemia di colera o degli stenti della vita nei Territori. Supponiamo che Marta, ora sedicenne, sia diventata una donna e viaggi insieme a Land, di cui è diventata l'amante. A questo punto Graf che cosa fa? E ancora intenzionato a uccidere Land, vuole assassinare il vecchio amico mentre la sua unica figlia lo implora di risparmiare la vita dell'uomo che ama ? Oh, papà, papà, ti prego non farlo ! O viceversa Graf decide che è acqua passata e dimentica tutto ? Comunque la si volti, non funziona. Terzo: Beatrice e Marta sono scappate con Land, ma sono morte tutte e due. Land non parla con Graf, e questo risvolto della storia diventa una falsa pista bellamente defunta. Mi risulta che Trause fosse giovane quando ha scritto questa cosa, e non mi sorprende che non l'abbia mai pubblicata. Con le due donne, si è ficcato in un vicolo cieco. Non so per quale soluzione avesse optato, ma scommetterei una sommetta sulla seconda - che non è meno scadente della prima e della terza. Per quanto mi riguarda, Beatrice e Marta preferisco scordarmele al più presto. Diciamo che sono morte nell'epidemia di colera, e fermiamoci lì. Povero Graf, certo, ma se si vuole raccontare una buona storia bisogna essere spietati. Bene, conclude Mr Blank schiarendosi la voce mentre cerca di riprendere il filo del racconto; dove eravamo rimasti? A Graf. Graf da solo. Graf che vaga nel deserto sul suo cavallo, il bravo stallone Whitey, alla ricerca dell'inafferrabile Ernesto Land... Mr Blank si interrompe. Nella sua mente è entrata una nuova idea, un'illuminazione demoniaca e sconvolgente che diffonde un'onda di piacere, come un brivido, attraverso il suo corpo, dalle dita dei piedi fino ai neuroni del cervello. In un solo momento tutta la vicenda gli è apparsa chiara, e mentre il vecchio contempla le conseguenze distruttive di quella che ora sa essere una scelta inevitabile, l'unica scelta a sua disposizione tra una marea di possibilità in conflitto, comincia a percuotersi il petto e a scalciare e a scrollare le spalle, mentre caccia un urlo di selvaggia, convulsa ilarità. Aspetta, dice Mr Blank, alzando una mano all'indirizzo del suo interlocutore immaginario. Cancella tutto. Ora ci sono. Torniamo all'inizio. Voglio dire, della seconda parte. Torniamo all'inizio della seconda parte, quando Graf passa di nascosto il confine ed entra nei Territori alieni. Lascia perdere il massacro dei Gangi. Lascia perdere il se-

condo massacro dei Gangi. Graf si tiene lontano da tutti i villaggi e gli insediamenti dei Djiin. I Decreti di Non-Ingresso vigono da dieci anni, e sa che i Djiin non vedrebbero di buon occhio la sua presenza. Un bianco che viaggia solo nei Territori ? Impossibile. Perciò gira al largo, tenendosi confinato nelle vaste lande disabitate che separano le varie nazioni, cercando Land e i suoi uomini... si, incontrando il soldato che delira, va bene... ma quando trova ciò che stava cercando, è tutto il contrario delle sue attese. Su una pianura spoglia nel Centronord dei Territori, una distesa simile alle pianure salate dello Utah, si imbatte in un mucchio di centoquindici cadaveri, alcuni mutilati, alcuni interi... tutti in disfacimento: si stanno putrefacendo al sole. Non corpi di Gangi, non corpi di uomini delle nazioni djiin, ma di bianchi, bianchi in divisa militare, almeno quelli che non sono stati denudati e tagliati a pezzi; e mentre Graf incespica tra l'ammasso marcescente e nauseabondo dei trucidati, scopre che una delle vittime è il suo vecchio amico Ernesto Land - che giace riverso con il foro di una pallottola nella fronte e uno sciame di mosche e vermi striscianti sul viso semidivorato. Non ci dilungheremo sulla reazione di Graf a tanto orrore: il voltastomaco e il pianto, le grida animalesche, lo stracciarsi i vestiti. Quello che importa è questo. Dato che il suo incontro con il soldato in delirio è avvenuto solo due settimane prima, Graf sa che il massacro deve essere relativamente recente. Ma soprattutto: è sicuro che Land e i suoi uomini siano stati assassinati dai Djiin. Mr Blank si interrompe per un'altra risata, forse più contenuta della precedente, ma comunque una risata che riesce a esprimere nel contempo gioia e amarezza, poiché se Mr Blank è felice di aver ritoccato la storia secondo il suo progetto, sa che comunque è una storia macabra, e una parte di lui è gelata di orrore per quello che gli resta da raccontare. Ma Graf si sbaglia, dice Mr Blank. Graf non sa nulla del sinistro disegno in cui è stato coinvolto. Lui è 'A fall guy, come dicono nei film, il gonzo che è stato incastrato dal governo per mettere in moto il meccanismo. Ci sono dentro tutti, dal primo all'ultimo: Joubert, il Ministero della Guerra, De Vega. Certo, Land era stato inviato nei Territori come doppio agente, con l'istruzione di sobillare i Djiin a invadere le province occidentali, scatenando la guerra che il governo desidera tanto. Ma Land fallisce nella missione. Trascorre un anno, e quando ancora non è successo niente, gli uomini di potere concludono che Land li ha traditi, che per un motivo o per l'altro ha prevalso in lui la coscienza e si è riconciliato con i Djiin. Cosi ordiscono un nuovo piano, e inviano nei Territori un secondo eserci-

to. Non da Ultima, ma da un'altra guarnigione a parecchie centinaia di miglia più a nord, e questo contingente è molto più numeroso del primo, almeno dieci volte; cosi, in cento contro mille, Land e la sua accozzaglia di idealisti non hanno scampo. Si, mi hai sentito bene. La Confederazione invia un secondo esercito per annientare il primo. In segreto, ovviamente, e se un uomo come Graf fosse mandato alla ricerca di Land, trarrebbe l'ovvia conclusione che responsabili di quell'ammasso di cadaveri mutilati e maleodoranti siano i Djiin. Adesso Graf diventa la figura centrale dell'operazione. Senza saperlo, è l'uomo che farà scoppiare la guerra. Come ? Avendo modo di scrivere la sua storia in quella miserabile, piccola cella a Ultima. All'inizio De Vega se lo lavora, gli fa subire continui pestaggi per una settimana intera, ma solo per riempirlo di timore di Dio convincendolo che sta per essere giustiziato. E quando un uomo si crede in punto di morte, se gli viene dato modo di scrivere tenderà sempre a vuotare il sacco sulla carta. Insomma, Graf fa quello che vogliono da lui. Svela la sua missione alla ricerca di Land, e quando arriva al massacro delle pianure salate da lui scoperto, non omette nulla, descrivendo tutto l'abominio fin nei dettagli più raccapriccianti. Qui è il punto decisivo: una vivida testimonianza diretta di quello che è successo, e tutta la colpa addossata ai Djiin. Quando Graf termina il suo racconto, De Vega si impadronisce del manoscritto e lo rilascia. Graf è allibito. Credeva che lo avrebbero messo al muro, ed ecco che riceve un lauto compenso per il suo lavoro e torna nella capitale su una carrozza di prima classe gentilmente messa a disposizione. Quando arriva a casa, il manoscritto è stato abilmente rimaneggiato e inoltrato a tutti i giornali del paese. SOLDATI DELLA CONFEDERAZIONE MASSACRATI DAI DJIIN. Il rapporto di Sigmund Graf, Vice Sostituto Direttore dell'Ufficio affari interni. Al suo ritorno Graf trova l'intera popolazione della capitale che accorre alle armi, pretendendo l'invasione dei Territori alieni. Ora capisce di essere stato vittima di un inganno crudele. Una guerra su questa scala potenzialmente rischia di distruggere la Confederazione, e di fatto lui, e lui solo, è il cerino che ha acceso questo fuoco mortale. Si reca da Joubert e gli chiede una spiegazione. Ora che il piano è cosi ben riuscito, Joubert è troppo soddisfatto per concedergliela. Offre invece a Graf una promozione con un forte aumento di stipendio, ma Graf gli oppone una controproposta: Io do le dimissioni, dice, ed esce dalla stanza a grandi passi, sbattendo la porta. Quella sera nel buio della sua casa deserta prende una pistola carica e si pianta una pallottola nel cranio. Ecco tutto. Fine della storia. La commedia è terminata. Mr Blank ha parlato per quasi venti minuti di seguito e

ora è stanco, e non solo dalla fatica delle corde vocali, avendo avuto la gola irritata fin dall'inizio (a causa del vomito di poco prima nel bagno), cosi pronuncia le ultime frasi del racconto con voce decisamente raschiante. Chiude gli occhi, dimentico della probabilità di richiamare in questo modo il corteo di creature fittizie arrancanti nella vastità, la ciurma di dannati, i senza volto che finiranno per circondarlo e dilaniare il suo corpo; ma stavolta la fortuna risparmia a Mr Blank i demoni, e quando chiude gli occhi si ritrova nel passato, seduto su una sedia di legno di modello particolare, lui crede che si chiami adirondack, su un prato in una qualche località di campagna, un posto remoto e rustico che non sa definire, circondato di erba verde e con monti bluastri in lontananza; e il clima è mite, caldo come d'estate, con un cielo senza nuvole e il sole che gli scende sulla pelle, e lf c'è Mr Blank, si direbbe tanti anni fa, ancora ai tempi in cui era giovanotto, seduto sufl''adirondack con una bambina piccola fra le braccia, una bimba di un anno in maglietta bianca e pannolino bianco, e Mr Blank la sta guardando negli occhi e le sta parlando, quali parole non sa dire perché questa escursione nel passato avviene in silenzio, e mentre Mr Blank parla con lei la bambina ricambia il suo sguardo con un'espressione seria e concentrata e ora lui si domanda, adesso sdraiato sul letto e a occhi chiusi, se questa personcina non sia Anna Blume all'inizio della vita, la sua amata Anna Blume; e la bambina, se non è Anna, forse potrebbe essere sua figlia, ma quale figlia, si chiede, quale figlia e come si chiama, e se lui è il padre di una bambina, dov'è la madre e come si chiama, si chiede, e poi si ripromette di far domande su questi argomenti la prossima volta che qualcuno entrerà nella stanza, per scoprire se lui abbia una casa da qualche parte, con una moglie e dei figli, o un tempo abbia avuto moglie, o un tempo abbia avuto una casa, o non sia questa stanza il luogo dove è sempre vissuto, ma Mr Blank sta per dimenticarsi di questo proposito, e quindi dimenticherà di fare le domande, perché ora è stanchissimo, e l'immagine di sé sulYadirondack con la bimba fra le braccia è appena svanita, e Mr Blank si è addormentato. Grazie alla macchina fotografica, che nel corso di tutta questa cronaca ha continuato a scattare una foto ogni secondo, sappiamo di sicuro che il sonnellino di Mr Blank dura esattamente ventisette minuti e dodici secondi. Lui forse avrebbe voluto dormire molto di più, ma adesso nella stanza è entrato un uomo che gli sta dando buffetti sulla spalla per svegliarlo. Quando apre gli occhi, il vecchio si sente rigenerato dal breve soggiorno in Pisolandia, e si alza subito a sedere, pronto e disposto per l'incontro, la mente sgombra da ogni residuo di torpore.

Il visitatore sembra sulla sessantina e, come Farr prima di lui, ha un paio di blue jeans, ma mentre Farr aveva una camicia rossa, la camicia di quest'uomo è nera; e mentre Farr era entrato nella stanza a mani vuote, l'uomo con la camicia nera reca fra le braccia un voluminoso fascio di documenti e cartelline. Il suo volto è decisamente noto a Mr Blank, ma come per tanti altri volti che ha visto oggi, in fotografia o dal vivo, non riesce ad attribuirgli un nome. Lei è Fogg?, gli domanda. Marco Fogg? Il visitatore sorride e scuote il capo. No, risponde, temo di no. Come mai mi crede Fogg? Non so, ma un attimo fa, quando mi sono svegliato, ho improvvisamente ricordato che ieri verso quest'ora era passato Fogg. Un piccolo miracolo, in effetti, ora che ci penso. Voglio dire, il fatto che mi ricordi. Ma Fogg è entrato. Su questo non ho dubbi. Per prendere il tè del pomeriggio. Abbiamo giocato un po' a carte. Abbiamo parlato. E mi ha raccontato un sacco di barzellette spassose. Barzellette?, chiede il visitatore avvicinandosi alla scrivania, ruotando la sedia di centottanta gradi e sedendosi con gli incartamenti sulle ginocchia. Nel frattempo Mr Blank si alza, ciabatta avanti di qualche passo e va a sedersi sull'orlo del materasso, in fondo al letto, circa nello stesso punto occupato da Flood qualche ora prima. Sì, barzellette, continua Mr Blank. Non me le ricordo tutte, ma un paio mi sono sembrate veramente buone. Senta, le spiacerebbe raccontarmele?, chiede il visitatore. Io sono sempre in cerca di buone barzellette. Posso provarci, risponde Mr Blank, poi si interrompe qualche secondo per raccogliere le idee. Vediamo, dice. Mmmm. Vediamo. Credo inizi cosi. Siamo a Chicago. Alle cinque del pomeriggio un uomo entra nel bar e ordina tre whisky. Non uno dopo l'altro, tutti e tre in una volta. Il barman è un po' sorpreso dall'insolita richiesta, ma non dice niente e serve all'uomo quello che desidera - tre whisky, in fila sul bancone. L'uomo li beve uno dopo l'altro, paga ed esce. Il giorno dopo sempre alle cinque torna e ordina la stessa cosa. Tre whisky, tutti insieme. Lo stesso il giorno dopo, e tutti i giorni per due settimane. Finalmente il barman cede alla curiosità. Non voglio farmi gli affari suoi, dice, ma sono due settimane che ogni giorno lei viene qui e ordina tre whisky: mi piacerebbe sapere perché. Quasi tutti ne bevono uno alla volta. Ah, gli risponde l'uomo, è semplicissimo. Io ho due fratelli. Uno vive a New

York, l'altro a San Francisco, e siamo molto legati. Cosi, in onore della nostra amicizia, ogni pomeriggio alle cinque tutti e tre entriamo in un bar, ordiniamo tre whisky e brindiamo in silenzio alla salute l'uno dell'altro fingendo di essere tutti insieme nello stesso posto. Il barman annuisce: finalmente ha capito il motivo dello strano rituale, e non ci pensa più. La storia va avanti cosi per altri quattro mesi. Ogni giorno alle cinque l'uomo entra e il barman gli serve i tre whisky. Poi succede qualcosa. Un pomeriggio l'uomo si presenta alla solita ora, ma stavolta ordina solo due whisky. Il barman si preoccupa, e dopo un po' prende il coraggio in mano e dice: Non è per impicciarmi, ma negli ultimi quattro mesi e mezzo lei ogni giorno è venuto qui e ha ordinato tre whisky. Adesso ne ordina due. Lo so che non sono affari miei, ma insomma, spero non sia successo niente di grave a uno dei suoi fratelli. Oh, è tutto a posto, risponde l'uomo, più allegro e giulivo che mai. Ma allora cosa c'è?, chiede il barman. E semplicissimo. Io ho smesso di bere. Il visitatore scoppia in un lungo accesso di risate e Mr Blank, pur non ridendo con lui perché conosceva il finale, sorride all'uomo con la camicia nera, soddisfatto di aver raccontato cosi bene la storiella. Quando smette di ridere, il visitatore guarda Mr Blank e gli chiede: Lei sa chi sono io? Non ne sono sicuro, risponde il vecchio. Comunque, non è Fogg. Ma di sicuro l'ho già vista... molte volte, credo. Sono il suo avvocato. Il mio avvocato. Bene... benissimo. Speravo proprio che venisse oggi. Abbiamo tante cose di cui parlare. Si, dice l'uomo con la camicia nera, dando un buffetto al fascio di documenti e cartelline sulle sue ginocchia. Tante cose di cui parlare. Ma prima di cominciare, vorrei che mi guardasse bene e provasse a ricordare come mi chiamo. Mr Blank osserva il volto scarno e spigoloso dell'uomo, scruta i grandi occhi grigi, studia la mascella, la fronte e la bocca, ma alla fine non può fare altro che sospirare e scuotere la testa, sconfitto. Sono Quinn, Mr Blank, dice l'uomo. Daniel Quinn. Il suo primo operativo. Mr Blank geme. È mortificato per la vergogna, e talmente in imbarazzo che una parte di lui, la più intima, vorrebbe strisciare in un buco e morire. La prego, mi perdoni, supplica. Caro Quinn, fratello mio, mio compagno d'armi, mio leale amico. È questo schifo di pillole che ho preso.

Mi hanno fuso il cervello, e non so nemmeno più cos'ho nelle tasche. Lei mi ha inviato in più missioni di chiunque altro, dice Quinn. Ricorda il caso Stillman ? Vagamente, risponde Mr Blank. Peter Stillman. Junior e Senior, se non erro. Uno dei due vestiva di bianco. Adesso non ricordo bene quale, ma credo il figlio. Precisamente. Il figlio. E poi c'è stata quella strana storia con Fanshawe. Il primo marito di Sophie. Quel matto, che è scomparso. Esatto anche stavolta. Inoltre, non dobbiamo dimenticare il passaporto. Una faccenda secondaria, immagino, ma comunque un lavoraccio. Quale passaporto ? Il mio. Quello che ha trovato Anna Blume quando è stata a sua volta inviata in missione. Anna? Conosce Anna? Naturale. Tutti conoscono Anna. Da queste parti è quasi una leggenda. Se lo merita. Al mondo non esiste un'altra donna come lei. E poi, non ultima, c'era mia zia, Molly Fitzsimmons, la donna che ha sposato Walt Rawley. L'ho aiutato a scrivere le sue memorie. Walt chi? Rawley. Uno già noto come il Bambino Prodigio. Ah, si. E successo molto tempo fa, vero ? Precisamente. Molto, molto tempo fa. E allora ? Niente. Poi mi ha mandato in congedo. E perché l'ho fatto? Cosa avevo in testa? Contavo tutti quegli anni di servizio, era ora che me ne

andassi. Gli operativi non durano per sempre. E la natura del lavoro. Quando è successo ? Nel 1993. E adesso, in che anno siamo ? Il 2005. Dodici anni. E poi che ha fatto, da quando... l'ho mandata in congedo ? Viaggi, più che altro. Ormai devo aver visitato quasi tutti i paesi del mondo. E ora è tornato, ed è il mio legale. Sono contento che sia lei, Quinn. Ho sempre pensato che di lei mi potevo fidare. Ed è vero, Mr Blank. E per questo che mi è stato dato il lavoro. Perché ci conosciamo da tanto tempo. Deve farmi uscire di qui. Non credo di poter resistere ancora a lungo. Non sarà facile. Le hanno mosso talmente tante accuse che sto sprofondando nelle scartoffie. Deve avere pazienza. Vorrei poterle dare una risposta, ma non ho idea del tempo che occorrerà per sistemare tutto. Accuse ? Che genere di accuse ? Un intero campionario, temo. Dall'indifferenza criminale alle molestie sessuali. Dalla cospirazione alla frode, all'omicidio colposo. Dalla diffamazione fino all'omicidio di primo grado... Devo continuare ? Ma io sono innocente. Non ho mai commesso nessuno di questi delitti. Questo è opinabile. Dipende dai punti di vista. E che cosa succede se perdiamo ? La natura del castigo è ancora da stabilirsi. Un gruppo invoca la clemenza, grazia plenaria per ogni addebito. Ma altri chiedono sangue. E non si tratta solo di uno, o due. Ce n'è un'intera banda, e fanno sempre più baccano. Sangue. Non capisco. Con sangue intende morteì

Anziché rispondere, Quinn si fruga nella tasca della camicia nera e tira fuori un foglio, che poi spiega in modo che anche Mr Blank veda cosa c'è scritto. Solo due ore fa si è tenuta una riunione, dice Quinn. Non voglio spaventarla, ma qualcuno in effetti si è alzato e ha proposto questa soluzione. Leggo: Sarà trascinato lungo le strade fino al luogo dell'esecuzione, per essere ivi appeso e smembrato vivo, e Usuo corpo sarà aperto, estratti cuore e visceri, le parti intime recise e gettate tra le fiamme davanti ai suoi occhi. Poi la testa sarà recisa dal busto con un colpo, e Usuo corpo diviso in quattro quarti, da eliminarsi a nostra discrezione. Che delizia, sospira Mr Blank. E quale anima pia ha inventato questo piano ? Non conta, dice Quinn. Voglio solo darle un'idea della situazione con cui dobbiamo misurarci. Io lotterò con lei fino alla fine, ma dobbiamo essere realistici. Stando cosi le cose, probabilmente dovremo trovare qualche compromesso. E stato Flood, vero?, chiede Mr Blank. Quell'odioso omiciattolo che stamattina è venuto qui dentro e mi ha insultato. No, in verità non è stato Flood, ma questo non significa che non sia uno pericoloso. Lei è stato saggio a rifiutare il suo invito ad andare al parco. Abbiamo poi scoperto che teneva un coltello nascosto nella giacca. Pensava di ucciderla appena fuori dalla stanza. Ah. Mi pareva. Quel lurido pezzo di merda, quel buono a nulla. Capisco che sia dura essere recluso qui dentro, Mr Blank, ma le suggerirei di non uscire. Se qualcun altro la invitasse a una passeggiata nel parco, trovi una scusa per dire di no. Allora c'è davvero un parco ? Si, c'è davvero. E gli uccelli. Sono nella mia testa, o li posso sentire veramente ? Che specie di uccelli ? Corvi o gabbiani, non li so distinguere.

Gabbiani. Quindi dobbiamo essere vicini all'oceano. E stato lei a scegliere il posto. Nonostante tutto quello che è successo qui, ci ha raccolti tutti in un luogo bellissimo. Gliene sono grato. E perché allora non mi permette di vederlo ? Non riesco nemmeno ad aprire quella maledetta finestra. Per proteggerla. Lei ha voluto stare all'ultimo piano, ma non possiamo correre rischi, le pare ? Non voglio suicidarmi, se è questo che vuol dire. Lo so. Ma non tutti concordano con me. Un altro dei suoi compromessi, vero ? Per tutta risposta Quinn fa spallucce, abbassa gli occhi e guarda l'orologio. Il tempo stringe, dice. Ho portato i documenti relativi a una causa, e credo che dovremmo occuparcene ora. Purché ovviamente non sia troppo stanco. Se preferisce, posso tornare domani. No, no, risponde Mr Blank, con un moto irritato del braccio. Diamoci da fare. Quinn apre la prima cartelletta e tira fuori quattro foto in bianco e nero, formato 20 per 25. Spingendosi avanti sulla sedia le consegna a Mr Blank e gli spiega: Benjamin Sachs. Le dice qualcosa questo nome? Mi sembra di si, risponde il vecchio, ma non sono sicuro. E uno dei cattivi. Fra i peggiori, in realtà, ma se montiamo una difesa solida contro questa accusa, potremmo creare un precedente rispetto alle altre. Mi segue, Mr Blank ? Mr Blank annuisce in silenzio, mettendosi subito a sfogliare le foto. La prima mostra un quarantenne alto, allampanato, seduto sulla ringhiera di una scala antincendio in quella che si direbbe Brooklyn, a New York, con lo sguardo fisso nella notte davanti a lui - ma poi Mr Blank passa alla seconda immagine, ed ecco che lo stesso personaggio ha perso la presa sulla ringhiera e sta cadendo nel buio, una sagoma scomposta di membra prese a mezz'aria,

mentre precipita verso il suolo. La cosa è già abbastanza inquietante, ma quando Mr Blank arriva alla terza foto si sente pungere da un fremito di agnizione. L'uomo alto è in campagna, su una strada sterrata, e sta picchiando con una mazza da baseball di metallo un uomo con la barba ritto davanti a lui. L'immagine cattura l'istante preciso in cui la mazza colpisce la testa del barbuto, e dall'espressione sul suo volto è chiaro che il colpo lo ucciderà, che tra pochi secondi cadrà a terra con il cranio sfondato, mentre dalla ferita usciranno fiotti di sangue che andranno a formare un lago attorno al suo cadavere. Mr Blank si mette le mani sul volto cercando di strappare la pelle con le dita. Respira con affanno, in quanto già conosce l'immagine della quarta fotografia, anche se non ricorda come o perché la conosca, e prevedendo l'esplosione della bomba artigianale che dilanierà l'uomo alto seminando ovunque i brandelli del suo corpo, non ha la forza di guardarla. Lascia invece scivolare dalle mani e cadere a terra le quattro fotografie; e poi, portandosi quelle stesse mani al volto, si copre gli occhi e comincia a piangere. Ora Quinn se n'è andato, e Mr Blank è ancora una volta solo nella stanza, seduto alla scrivania con la penna a sfera nella mano destra. La crisi di pianto è cessata da più di venti minuti, e quando apre il taccuino e si ferma alla seconda pagina, dice fra sé: Facevo solamente il mio lavoro. Anche se le cose hanno preso una brutta piega, la cronaca andava scritta comunque, e nessuno può condannarmi per aver detto la verità, giusto ? Poi, volgendosi al lavoro del momento, aggiunge al suo elenco altri tre nomi: John Trause. Sophie. Daniel Quinn. Marco Fogg. Benjamin Sachs. Mr Blank posa la penna a sfera, chiude il taccuino e mette da parte i due oggetti. Ora si rende conto di aver sperato in una visita di Fogg, l'uomo di tutte le barzellette buffe, ma benché nella stanza non ci siano orologi e lui non ne porti nessuno al polso, vale a dire che non ha un'idea, neanche approssimativa, di che ore siano, sente che l'ora del tè e della conversazione leggera è passata. Forse fra non molto Anna tornerà a servirgli la cena, e se per caso a venire non sarà Anna, ma un'altra donna o uomo mandati a sostituirla, allora lui intende protestare, comportarsi male, urlare e strepitare, piantando una tale cagnara da far volare il tetto fino al cielo.

Non avendo attualmente di meglio da fare, Mr Blank decide di continuare la sua lettura. Appena sotto la storia di Trause su Sigmund Graf e la Confederazione c'è un manoscritto più lungo, di circa centoquaranta pagine, che, a differenza del testo precedente, è dotato di una copertina con il titolo dell'opera e il nome dell'autore: N. R. Fanshawe. Aha, fa Mr Blank ad alta voce. Cosi mi piace di più. Forse finalmente ne stiamo venendo a capo, se Dio vuole. Poi va alla prima pagina e comincia a leggere: Il vecchio è seduto sull'orlo del piccolo letto con le mani appoggiate a palmi aperti sulle ginocchia, la testa bassa, gli occhi al pavimento. Non si sogna nemmeno di pensare che nel soffitto proprio sopra di lui sia nascosta una macchina fotografica. A ogni secondo l'otturatore fa uno scatto silenzioso, producendo ottantaseimilaquattrocento fotogrammi per ogni rivoluzione della Terra. E anche se il vecchio sapesse che lo stanno guardando, non cambierebbe nulla. La sua mente è altrove, arenata tra le immagini fittizie che gli affollano il cervello mentre cerca una risposta alla domanda che lo ossessiona. Chi è lui ? Cosa ci fa qui ? Quando è arrivato, e fino a quando resterà? Con un po' di fortuna, il tempo ci dirà tutto. Per ora, nostro unico compito è studiare con la massima attenzione le immagini senza voler dedurre conclusioni premature. Nella stanza c'è un certo numero di oggetti, e sulla superficie di ciascuno è incollata una striscia di nastro adesivo bianco con una sola parola scritta a stampatello. Per esempio, sul comodino c'è la parola comodino. Sulla lampada c'è la parola lampada. Anche sul muro, che non sarebbe a rigore un oggetto, c'è una striscia di nastro con scritto muro. Per un attimo il vecchio alza gli occhi, vede il muro, vede il nastro attaccato al muro e dice piano la parola muro. Quello che a questo punto non possiamo sapere è se stia leggendo la parola sul nastro o se si riferisca soltanto al muro in sé. Può darsi che abbia disimparato a leggere, ma riconosca ancora le cose per quello che sono, e sappia chiamarle con i loro nomi; o che, invece, abbia perso la capacità di riconoscere le cose per quello che sono, ma sappia ancora leggere. Ha indosso un pigiama di cotone a righe gialle e azzurre e un paio di ciabatte di pelle nera. Dove sia esattamente, non gli è chiaro. Nella stanza, d'accordo, ma in quale edificio si trova la stanza? In una casa? In un ospedale?

In una prigione ? Non ricorda da quanto tempo sia qui, né la natura delle circostanze che sono precipitate nel suo trasferimento. Forse è sempre stato in questo luogo; forse ci vive dal giorno della sua nascita. Sa soltanto di avere il cuore gonfio per un implacabile senso di colpa. E nel contempo non riesce ad allontanare l'idea di essere vittima di una terribile ingiustizia. Nella stanza c'è una finestra, ma ha la tendina abbassata, e a quanto ricorda lui non ha ancora guardato fuori. Lo stesso vale per la porta con il pomolo bianco di porcellana. È chiuso dentro, o è libero di andare e venire come vuole ? Su questo il vecchio deve ancora indagare - perché, come già si è detto nel primo paragrafo, la sua mente è altrove, alla deriva nel passato, mentre lui vaga tra i fantasmi che gli affollano il cervello, spremendosi per rispondere alla domanda che lo ossessiona. Le immagini non mentono, ma neppure raccontano la storia per intero. Sono mere testimoni, evidenze esteriori del tempo che passa. Per esempio, non è facile stabilire l'età del vecchio dalle immagini un po' sfocate in bianco e nero. L'unica conclusione che si può trarre con sicurezza è che non è giovane, ma la parola vecchio è un termine flessibile, che può descrivere una persona di qualsiasi età compresa fra i sessanta e i cent'anni. Dunque d'ora in poi smetteremo l'epiteto di vecchio chiamando l'individuo nella stanza Mr Blank. Per il momento, basterà il cognome. Infine Mr Blank si alza dal letto, si sofferma brevemente per trovare l'equilibrio e poi ciabatta fino alla scrivania all'altro capo della stanza. Si sente stanco come se si fosse appena svegliato da una notte di sonno agitato e insufficiente, e il rumore delle suole delle ciabatte sull'assito nudo gli ricorda il raschiare della carta vetrata. Remoto, da lontano, da fuori della stanza, fuori dall'edificio che contiene la stanza, sente il richiamo fioco di un uccello - un corvo, forse, o un gabbiano, non sa dire... A questo punto, Mr Blank ha letto tutto quanto può sopportare, e non si è divertito per niente. In un impulso d'ira e frustrazione repressa, getta il manoscritto sopra la propria spalla con un violento scatto del polso, senza neanche girarsi a vedere dove cade. Mentre fluttua nell'aria e scende sul pavimento dietro di lui, Mr Blank batte un pugno sul tavolo e dice ad alta voce: Quando finirà questa cosa assurda? Non finirà mai. Perché ora Mr Blank è uno di noi e, per quanto si consumi per capire la sua brutta situazione, sarà perduto per sempre. Credo di parlare a nome dei suoi subalterni se dico che sta avendo quello che si merita: né

più, né meno. Non come forma di castigo, ma come atto di suprema giustizia e pietà. Senza di lui noi non siamo niente, ma il paradosso è che noi, le creature inventate dalla mente di un altro, vivremo più a lungo della mente che ci ha fatto, perché una volta gettate nel mondo continuiamo a esistere per sempre, e le nostre storie continuano a essere raccontate anche quando siamo morte. Negli anni, Mr Blank sarà anche stato crudele verso alcuni subalterni, ma nessuno di noi pensa che non abbia fatto tutto quello che era in suo potere per servirci nel migliore dei modi. Perciò io penso di tenerlo dov'è. La stanza ora è il suo mondo, e più a lungo durerà il trattamento, più dovrà riconoscere la generosità di quanto è stato fatto per lui. Mr Blank è vecchio e debilitato, ma fino a quando resta nella stanza con la finestra oscurata e la porta chiusa a chiave non potrà mai morire, mai sparire, mai essere nient'altro che le parole che sto scrivendo su questa pagina. Fra non molto una donna entrerà nella stanza e gli darà la cena. Non ho ancora deciso chi sarà quella donna, ma se fra ora e allora tutto procederà bene, manderò Anna. Ciò renderà felice Mr Blank che, alla fine, probabilmente ha sofferto abbastanza per un giorno solo. Anna darà a Mr Blank la sua cena, quindi lo laverà e lo metterà a letto. Per un po' Mr Blank resterà sveglio al buio, ad ascoltare i richiami degli uccelli in lontananza, ma poi i suoi occhi si appesantiranno e le palpebre si chiuderanno. Si addormenterà e al mattino, al suo risveglio, ricomincerà il trattamento. Ma adesso è ancora il giorno che è sempre stato dalla prima parola di questa cronaca, ed è il momento in cui Anna bacia su una guancia Mr Blank e gli rimbocca le coperte, è il momento in cui lei si rialza dal letto e comincia a camminare verso la porta. Buon riposo, Mr Blank. Si spengono le luci. (2005). FINE.