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Italian Pages 141 [144] Year 2008
GUIDO CERONETTI
TRAFITTURE DI TENEREZZA POESIA TRADOTTA 1963-2008
GIULIO EINAUDI EDITORE
In coro con me cantate: Sapere, nulla sappiamo. Arcano, il mare da cui veniamo. Ignoto il mare in cui finiremo. Posto tra i due misteri v
E il grave enigma: tre Casse che chiuse una perduta chiave. La luce nulla illumina, Il sapiente nulla insegna. La parola dice qualcosa ? L'acqua, alla pietra, dice qualcosa?
Questa piccola antologia personale di traduzioni in versi, esigua raccolta di frammenti e di schegge, se sarà presa per quel che vuol dire, dovrebbe essere accolta come aiuto a pensare, la bellezza della parola e dell'immagine invaselinando l'accesso difficile al sepolcrale segreto dei mondi che il verso contiene. E aiuto al pensare vale viatico consolamentale per chi vive e patisce, per l'indicibile sofferenza che tutti ci infradicia e uguaglia, per chi conscia-o-inconsciamente lancia nell'etere miti e muti e prolungati s.o.s. Il titolo che ho trovato è facile da comprendere: la tenerezza è rara è moneta fuori corso nell'indistinguibilità pan-tecnologica, e nello stupore del riceverne in un pugno di versi c'è qualcosa di specialmente strano, che somiglia a una trafittura. [...] Ho pescato nel fiume di quel che ho fatto e dato in mezzo secolo di pubblicazioni, dal latino, greco antico e dimotiki, ebraico biblico e lingue moderne [...], ma dalle mie carte molti inediti sono emersi, li ho restaurati e una parte è edita per la prima volta qui. Dall'introduzione dell'autore Guido Ceronetti è nato a Torino nel 1927. Vive in Toscana. Per Einaudi, in versi, ha pubblicato Compassioni e disperazioni. Tutte le poesie 1946-1986, e ha tradotto I Salmi, Qohélet, Catullo, Marziale e Giovenale.
ISBN 978-88-06-19390-4
€ 12,00
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COLLEZIONE DI POESIA 371.
© 2008 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino www.einaudi.it ISBN 978-88-06-19390-4
G u i d o Ceronetti
TRAFITTURE DI TENEREZZA POESIA TRADOTTA 1963-2008
Giulio Einaudi editore
La mia lunga vita di lavoro mentale è stata largamente occupata dalla traduzione in versi, un modo non disonesto di guadagnarmi il pane e un'investitura separatrice. Vedo chiaro adesso che il mio non è stato soltanto tradurre per l'editoria dei testi da alcune lingue a questa nostra italiana oggi in perdizione quanto un febbrile e ininterrotto filosofare, interpretare, girare e rigirare per i meandri di un'ascetica filologia. Alcuni nodi credo averli sciolti, di molti ho almeno un poco rischiarato la tenebra abbagliatrice. Non per nulla mi riconosco nel Tarocco N. 9, l'Eremita, che nel meraviglioso tarocco di Oswald Wirth alza all'altezza degli occhi la lanterna mentre procede a piccoli passi con un bastone bianco da cieco, e un serpente lo guida, incarnazione simbolica della lettera ebraica Tet, che corrisponde alla carta: la poesia è la res cogitans della stessa vita, oscura necessariamente, bisognosa di sforzi di diradamento, di generazione in generazione. Perciò questa piccola antologia personale di traduzioni in versi, esigua raccolta di frammenti e di schegge, se sarà presa per quel che vuol dire, dovrebbe essere accolta come un aiuto a pensare, la bellezza della parola e dell'immagine invaselinando l'accesso difficile al sepolcrale segreto dei mondi che il verso contiene. E aiuto al pensare vale viatico consolamentale per chi vive e patisce, per l'indicibile sofferenza che tutti ci infradicia e uguaglia, per chi conscia-o-inconsciamente lancia nell'etere miti e muti e prolungati s.o.s. Il titolo che ho trovato è facile da comprendere: la tenerezza è rara, è moneta fuori corso nell'indistinguibilità pan-tecnologica, e nello stupore del riceverne in un pugno di versi c'è qualcosa di specialmente strano, che somiglia a una trafittura.
INTRODUZIONE
VI
L'artista che traduce medita. I testi sono stati il mio cuscino della posizione del Loto. Nulla è stato a caso... L'artista meditante pone il corpo del testo in spartiti. L'originale ha la sua propria musica: l'errore degli errori è di volgere in altra lingua il senso, la lettera stessa, privandoli di musica, necessariamente altra. Duplice è questo ri-creare: interpretare, scavando nelle parole, e dare suoni di tenera persuasività. E se poca musica ci fosse nel testo originale, il traduttore che nel proprio linguaggio non gliene aggiunga è mediocre, privo di merito. Lavoriamo anche per un compenso, ma senza mai dimenticare che stiamo celebrando un rito sonoro ad un invisibile altare. Molto è qui l'edito, ho pescato nel fiume di quel che ho fatto e dato in mezzo secolo di pubblicazioni, da latino, greco antico e dimotiki, ebraico biblico e lingue moderne, come l'Editore desiderava, ma dalle mie carte molti inediti sono emersi, li ho restaurati e una parte è edita per la prima volta qui. Tenerezza, permeabilità impervia della parola umana incarnatasi nei poeti autentici, gli inconfondibili, dànno a chi vorrà seguirci in queste pagine l'occasione di una meditazione solitaria e corale in una locanda aperta visitata dal plenilunio, loìn de la joule impure, allontanando per un momento il ruggito notturno incessante delle disperazioni umane. GUIDO CERONETTI
TRAFITTURE DI TENEREZZA
SUNT LACRYMAE RERUM ET MENTEM MORTALIA TANGUNT
Nulla c'è che non pianga. Vedersi in tante miserie si fa pensiero. Eneide I, 462.
ERACLITO
Nascendo sono afferrati Da una smania di vita In cui la morte è scritta; E i figli che per placarsi Abbandonano alla vita Altra non hanno sorte Che generare morte 20 Diels-Kranz
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ANTONIO M A C H A D O
Arcobaleno notturno
Verso Madrid, attraverso il Guadarrama Va nella notte il treno; In cielo è di acqua e luna L'arcobaleno. O h di aprile nitida luna Che disperdi le bianche nubi ! Sul grembo custodisce Il sonno del suo bambino La madre. Il bambino dorme, Eppure verdi campagne Vede passare e lievi Nel sole d'alberi file, Di farfalle dorate ali. Buia la madre in viso Vede braci raffreddate E un fometto con ragnateli. C ' è un Passeggero tragico Dalle bizzarre visioni: Parla da solo e se fissa In noi lo sguardo noi più non siamo. Io penso ai campi sotto la neve, A pini d'altre montagne. E tu - che il vedere ci hai dato, Tu che vedi le anime, Signore, Rispondi: ci hai chiamati Tutti a vedere un giorno La Faccia che ci nascondi ? da Nuevas canciones
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CONSTANTINOS K A V A F I S
Tomba di Iassís
Io Iassis giaccio qui. Questa grande città mi celebrava Come efebo bellissimo. Per i pili gravi Sapienti e per la gente Minuta, e la più anonima, un oggetto Di meraviglia fui. Io ne raggiavo In modo uguale, da qualunque parte L'omaggio mi venisse Ma essere per tutti, senza misura, Un Ermete e un Narcisso mi fu fatale; Dagli abusi consunto perivo. O tu che passi, se di Alessandria sei Non mi giudicherai ! Tu la rapina della nostra vita Conosci: e come bruci, e quali Eccessi attinga, il piacere
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ALFRED DÒBLIN
Franz urla. Urla Franz, striscia e urla. Urla tutta la notte. E venuto marciando, Franz. Urla nel giorno. Urla nel mattino. OSCILLA CADE SQUARCIA
Urla nel mezzogiorno. Urla nel pomeriggio. OSCILLA CADE SQUARCIA
Urla nella sera, nella sera. La notte viene. Urla nella notte, Franz, nella notte. Pezzo per pezzo il suo corpo è tagliato. La scure vortica in aria. Lampeggia e cade. OSCILLA CADE SQUARCIA
Centimetro per centimetro è fatto a pezzi. da Berlin Alexanderplatz,
libro I X
ANTONIN A R T A U D
I Cenci
Io lego a te, come in un vecchio làscito, Le parole di questa musica Che del male di vivere guariscono. Come un dormiente che sperduto brancola E nelle tenebre di un sogno atroce Più della stessa morte Teme riaprire la palpebra Sapendo che consentire a vivere E esser persi per il risveglio, Questa mia anima stigmatizzata Dalle tare che su v'impresse La vita, io LA RIGETTO Verso il Dio che m'ha fatta Come un incendio che lo guarisca Di creare. atto IV, scena m
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JOYCE MANSOUR
Io chiedo un pane, Un pane fatto di pietà. Chiedo del vino. Non voglio più il mio male. Liberami dal tempo morto Che mi pesa sul seno, Che striscia tra le mie gambe Fondendosi. Dammi velluto, miele, bronzo E io costruirò un idolo. E forse pregherò Domani.
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GUILLAUME APOLLINAIRE
Ascolta se piova ascolta, poi ascoltatela cadere, soldati la pioggia... brancicanti e sperduti soldati in mezzo ai reticolati, sotto la liquida luna delle Fiandre, in agonia sotto la fine pioggia la pioggia cosi dolce cosi tenera Con l'orizzonte vi confondete esseri di bellezza, enti invisibili, sotto la pioggia fine, la pioggia cosi tenera, la pioggia cosi dolce... da Calligrammes
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WILFRED OWEN
Un amore più grande
O h pietre che il bacio arrossa Dei morti inglesi, nessuna Bocca è di voi più rossa! E spudorata Parrà anche la più casta intimità Tra amanti e fidanzate: Tanta più in loro è purità d'amore Se guardo questi occhi fatti ciechi Dei tuoi svanisce, Amore, l'invincibilità. Manca al vibrare della tua forma gracile La grazia di queste membra pugnalate Che rotolando e rotolando vanno Nell'impassibile dimenticanza di Dio E immobilizza in una suprema Vecchiaia di cadavere il profondo Slancio del loro amore Sia pure vento che sussurra Fra le travi del fienile la tua Cara voce: non suona Cosi teneramente, non ha il nitore E la soavità crepuscolari Della loro, perduto suono. Povere bocche tossicchianti, terra Ora le tura Né mai tu fosti cosi ardente, cuore, Cosi gonfio d'immenso come i cuori Che le cariche fanno scoppiare; Delle tue mani vincono il biancore Amore quelle pallide abbrancate Tra il grandinante fuoco alla tua croce
I
II
Mani. E tu piangi, Amore: Piangerli ti è concesso, lontani Ormai dalla tua presa
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Dal secondo libro di Samuele
Questo che pianse David compianto Sopra Saul e Gionata suo figlio Fu nel Libro del Giusto tramandato Come qinàh dell'Arco, E ai figli di Giuda prescrisse L'apprendessero - A h gloria d'Israel Colpita a morte sulle tue alture! Ma gli Eroi come Perché sono caduti ? Non gridatelo in Gat Non divulgatelo ai crocicchi in Asqalòn! Troppo il tripudio sarebbe Delle figlie dei Filistim ! Delle figlie dei Prepuzi Troppo trionfale il grido ! O moq|i di Ghilboa mai più rugiade Piogge mai più vi bagnino Mai più sopra di voi campagna in fiore Perché là fu umiliato Lo scudo degli Eroi! Non di grasso era unto Lo scudo di Saul Lo ungeva il sangue dei travolti Il midollo dei forti O arco di Gionata! Mai un colpo mancato O spada di Saùl! Mai sei rientrata asciutta Amatissimi deliziosi Saùl e Gionata sempre
In vita e in morte indisgiunti Vincevano le aquile nel volo In valentia i leoni Piangete su Saul o figlie d'Israel! Vi parava di porpora il suo fasto Innalzava la vostra veste In una luce d'oro Ma come ma perché Gli Eroi sono caduti ? Nel cuore della mischia cadde Gionata Colpito a morte sulle tue alture Ahi come in me tu duoli Gionata Fratello mio Immensamente a me caro! E quanto più nel tuo amore C'era per me del meraviglioso Che nel possesso delle donne! Ma come ma perché Gli Eroi sono caduti E sulle armi da guerra si è abbattuta Rovina ? Shemuèlbet,
capitolo i , 17-27
MIGUEL HERNÁNDEZ
Il treno dei feriti
Naufraga nelle gole che sigilla La notte mai cessando di esser muto Neppure se trafitto, quel silenzio: Parla la lingua sommersa dei morti. Ha nell'ovatta le sue vie profonde, Imbavaglia le ruote, i quadranti, Secca al mare la voce, alla colomba, Traumatizza la notte, le visioni. Treno piovoso del facile sangue Fragile treno dei dissanguati Treno dolente, pallido, raccolto, Treno dei patimenti e del ritegno, Dove il biancore della morte incalza Invadendo la voce, i battiti, Il lamento, la terra, i volti, il petto Dei feriti che ebbero mortale La ferita. Di gambe e braccia e occhi Buttando via se stessi a brano a brano Tutto il treno i feriti hanno cosparso; Dietro si lascia una Via Lattea amara Una costellazione di membra in fuga. Rauco treno sanguigno, senza forze: Il carbone agonizza, il fumo ha gemiti, Una madre la macchina è che anela Che scoraggiata arranca, riluttando. Vorrebbe in qualche galleria fermarsi Per singhiozzare in pace e solo c'è La tetta o l'ospedale per dar fiato. Un solo pezzo basta a fare un vivo Un residuo di carne un uomo intero. Un dito solo, un'ala mutilata E tutto il corpo ritrova il suo volo.
I
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Fermatelo quel treno in agonia Che corre in una notte senza fine, Strenuo cavallo perso dagli zoccoli Col respiro insabbiato. da Elbombre
acecha
RACINE
Fedra
Lo vidi, ed avvampai, e mi sbiancai; L'anima mia smarrita fu travolta. Gli occhi oscurati, la lingua tronca, Tutto di ghiaccio il corpo, tutto di fuoco. Conobbi gli ineludibili tormenti Dì un sangue che Venere ha di mira, E i furori di lei, terribili. Con religiose assiduità tentai Di stornarli da me; innalzato Alla Dea un tempio, magnifico Resolo le mie cure, un perpetuo Palpitarmi di vittime immolate Intorno, nei loro visceri la mia Persa ragione cercavo. Rimedi inefficaci ! Mia passione incurabile ! Bruciavo invano incensi sugli altari E subito risanguinò la mia ferita! Un fuoco non è più, che stia acquattato Nelle mie vene, è l'infinita Venere Sbranante la sua preda. E un crimine, Il mio: mi fa paura; e mi odio, Questa mia fiamma mi riempie di orrore ! Morire, per non estinguere Ogni mia gloria, volevo; per far sparire Dalla luce del giorno un cosi nero incendio; Ma ho ceduto ai tuoi pianti... Io io ti avrei soccorso! Io ti avrei Tra i meandri del Labirinto Indicato la via! E preziosa Ti sarei stata...
I
i7 Oh testa da vertigini ! Quante premure Avrei speso per te... Quel filo, solo, Non avrebbe attenuato alla tua amante L'angoscia. Il pericolo che tu correvi, tutto Io l'avrei condiviso: e precedendoti Mi sarei inoltrata. Nel Labirinto con te discesa Si sarebbe con te Fedra salvata, Si sarebbe con te perduta atto I, scena in
SEFERIS
In scena
Pieno meriggio. Chi ha udito Il coltello sfregato sulla mola ? L'uomo a cavallo, arrivato con l'esca E la torcia incendiaria, chi era ? Lavarsi di ciascuno, per refrigerio, Le mani Ma la donna, chi l'ha sventrata ? E il bambino, e la casa, chi? Tra scalpito di zoccoli, l'uomo Chi era, che fuggi via ? Fumo. L'omicida? Mai stato. Occhi che vedano non ce n'è più: Aboliti. Nessuno Sarà più testimone di qualcosa da Tre Poemi Segreti
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ANTONIO MACHADO
A Lister
Cuore che vigili, di Spagnolo indomito Eroico Lister, nobile, forte pugno, Di questa che in me duole morta carne La tua lettera mi consola Fragori sui campi iberici Di lotta santa anche me, qui, Con la tua lettera hanno raggiunto, E tra odori di spari e rosmarino Anche il mio cuore ritorna vivo O mia parola, dove la marina Conchiglia annuncia che l'Ebro arriva E a quel freddo macigno da cui germina Questa spagnola epigrafe, tu andrai: - Pari al valore fosse Della pistola tua di capitano La penna mia, io morirei contento. -
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Epitaffio di Eschilo
Eschilo di Euforione, ateniese, Qui nella fertile di spighe Gela Dove spari, è sepolto. Tra i primi per bravura Il bosco di Maratona lo ricorda E il Medo ancora, dalle lunghe chiome.
W I L L I A M SHAKESPEARE
Re Lear
(rispondendo a Cordelia che domanda: figlie, queste sorelle, non le vedremo ?) LEAR
No, no, no, no! Vieni, Prendiamo pure la via Della prigione ! Come uccellini in gabbia Soli, tu ed io, ci metteremo a cantare. E quando tu mi dirai di benedirti Io, in ginocchio, ti chiederò perdono. La nostra vita sarà: pregare, Cantare e raccontarci le vecchie storie E le farfalle dorate vedranno che sorridiamo. E ascolteremo dai vagabondi Le notizie di Corte, scambiando parole Insieme a loro, anche noi... Su chi vince e su chi perde, Su chi è riuscito e su chi ha fallito, E sul mistero dell'Essere - spie di Dio Ci concentreremo. Daremo fondo a tutto, tra quelle mura, E le leghe e le fazioni dei potenti Cresceranno e caleranno col flutto Sotto la luna. atto V, scena III
PETER WEISS
Monologo di Carlotta Corday
Io, si, io lo conosco L'istante in cui la testa Si sradica dal tronco L'istante Delle mani legate dietro la schiena Dei piedi legati Del seno denudato Dei capelli recisi; L'istante del supplizio Il levarsi e lo scorrere Della mannaia obliqua Lo sgocciolio del sangue sulla lama... Ecco la testa è attaccata Alla lunetta E sul paniere insanguinato Lo sguardo pende, E poi la lama cade, E ci tronca. Si dice che la testa Quando il boia col braccio teso La mostra Sia viva ancora: Che gli occhi ancora vedano Che la lingua si muova E le gambe e le braccia Percorrano sul palco Lunghi tremiti. dal Marat-Sade
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WILLIAM BLAKE
La tigre
Tigre, tigre, oh bagliore Nella notte, incendio che sei lume Delle foreste, quale Occhio o mano immortale La simmetria della tua figura Plasmò tutta paura ? In quali abissi o cieli lontani Si arroventò il fuoco dei tuoi occhi ? Di quali ali ardisce avere il volo ? Manipolano il tuo fuoco quali mani ? E quale braccio artista, del tuo cuore Torse le nervature ? Di Chi era L'inesorata mano che lo estrasse Dal profondo braciere palpitante ? Quali piedi tremendi misurarono Il tuo scheletro orripilante ? Chi fu il tuo maglio? Chi la catena? Quale altoforno colò la tua mente ? Chi fu l'incudine, chi la stretta dura Che di abbrancarvi non ebbe timore, Micidiali terrori ? Quando le picche furono scagliate Giù dal cielo irrorato Dai pianti delle stelle, il Forgiatore Guardando la sua opera - sorrise ? Fece l'agnello e te un solo Creatore? Tigre, tigre, oh bagliore Nella notte, incendio che sei lume
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Delle foreste, quale Occhio o mano immortale La simmetria della tua figura Plasmò tutta paura ? Poems of the Notebook Songs of Hxperience
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SAFFO
O Luna, già sei sparita... E voi, le Pleiadi, Vi siete fatte smorte. Più che mezza la notte è ormai trascorsa, Quante ore partite. E io qui resto Sola a dormire, a dormire sola framm. libro IV, 74, Diehl
VIRGILIO
Ecloga IV
Del vaticinio cumano il tempo Ultimo sta venendo! L'immane Processione dei secoli ripiglia L'originario moto; la Vergine ritorna, Saturno torna a regnare: Uomini generati in cielo Ne discendono, ignoti. Su questa nascita il tuo favore Stendi, casta Lucina: sparirà Nell'arco di questo infante la ferrigna Umanità e in tutti i luoghi l'aurea Subentrerà. Apollo tuo già regna. vv. 4-10
KRACLITO
Il Fuoco verrà Giudicherà ogni cosa E la comprenderà fr. 66 Walzer - Munier 26 Bywater
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ELIOT
Quando discende tagliando l'aria La colomba l'infiamma Di una striscia rovente di terrore Che unica proclamano Alla colpa e all'errore Le lingue, soluzione. Il rogo - oppure il rogo: Quale speranza solo ci è dato Un designarsi disperato A l genere di fuoco In cui bruciare di redenzione Autore del supplizio E l'Infinito Amore. Le mani che hanno ordito L'intollerabile tunica di fiamme Che mai l'umano sforzo Saprà scollarsi di dosso, Di Amore assunsero lo stravagante nome Viviamo per servire Di alimento al lamento, Un fuoco o l'altro sempre ci consuma da Four Quartets
WILLIAM SHAKESPEARE
Macbeth
Domani... poi domani... altri domani ancora... E giorno dopo giorno, a piccoli passi, Verso la sillaba che ultima Sta scritta nel libro del Tempo, Strisciamo. E tutti i nostri ieri A una processione di pazzi hanno fatto lume Sulla via della morte e della polvere. Piccola candela, su, spegniti! Spegniti... Altro non è che un'ombra Vagabonda - la vita... Un povero attore come te, che si dimena Sopra una scena, un'ora, e poi ne cessa La voce... Il raccontare di un idiota Tra strida e scoppi di furore, Privo di senso - un niente. atto V, scena v
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W I L L I A M BLAKE
T h e Grey Monk
- Muoio, la madre disse, muoio ! I miei bambini muoiono, non hanno pane, Lo spietato tiranno che altro ha detto ? Sedeva il monaco sull'impietrito letto. Rosso, del grigio monaco fluiva II sangue dal costato, Le mani e i piedi incisi da ferite, Tòrti ginocchia e braccia Come di antichi alberi radici Nel suo corpo curvato. Asciutto l'occhio che non s'illacrima, Fu un lamento dei visceri la prima Voce del suo dolore. Stava sul letto e tremava, Rabbrividiva. Finalmente disse In un flebile grido: - Quando a Dio piacque Nelle ore intente della più fonda notte A questa mano imporre che scrivesse, Volle che in quello che io avrei scritto Solo testimoniassi la sventura Sospesa sopra quanto sulla terra Avessi amato. Per fame, tra due mura, Mio fratello è morente; mi fa paura Il grido dei suoi figli. La ruota di tortura Imitando e il cigolio della catena, Il mio corpo contorto ora riflette La loro straziante pena. Nel Nord tuo padre ha snudato la spada, E sceso in campo con migliaia di armati; Si è rivestito d'acciaio tuo fratello Per vendicare i torti che patirono
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l figli tuoi. Ma a far cessare la guerra Nulla può l'arco o il ferro: La preghiera del solitario, il pianto d'una vedova, Questo soltanto libera Dalla paura la terra. Perché una lacrima è essenza della mente, La spada del Re angelico un sospiro, E si fa all'arco dell'Onnipotente Strali l'amaro gemito Del martire soffrente. Del tiranno sparito mostrò il letto La mano giustiziera - insanguinato. La ferrea mano che ne schiacciò la testa Ora è tiranna al suo posto. The Pickering Manuscript
PAUL CELAN
Il tavolo, di legno d'ore, con Il risotto nel piatto e il vino. Che cosa si fa ? Mangiare, bere, tacere. La mano che io ho baciato Alle bocche fa luce.
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WILLIAM BLAKE
I
spazzacamino
Una cosina in lacrime, nera sulla neve, Quanto pianto gettava in tristi note! - Il tuo papà, e la mamma, dove sono ? - In chiesa... Tutt'e due ci sono andati Insieme, per pregare... E me che tra la neve Della landa gli sorridevo In stracci di morte avvolsero, mi appresero Come si canta in note di martirio. Dello scempio di me fatto non sanno niente: Io canto e ballo ugualmente. Loro, lodano Dio E il suo Prete e il suo Re, fabbricatori Di un Paradiso la cui materia E la nostra miseria.
STEPHANE M A L L A R M E
Sulle aiuole deserte è il triste inverno E del mio limine, qui, tu solitario Ostaggio, perché ti duoli Che sia di fiori sopra fiori spoglio Questo sepolcro a due, lume di noi futuro ? Dodici colpi battono, non dargli ascolto. La veglia, ardendo, ti scalzerà il sonno Finché non sorga nel bagliore estremo Del fuoco moribondo e il suo abbandono A l vecchio seggiolone ritorni, la mia Ombra. Più d'una visita avrai purché non gravino Troppi fiori la pietra che solleva Il mio dito di morta, di estenuata. Sono Colei che nella calda stanza Palpita accanto a te: per ritornare Viva mi basta il soffio Del nome mio succhiarti dalle labbra Mentre tu lo ripeti, tutta una sera.
STEPHANE M A L L A R M E
Le pitre chàtié
Miei occhi, laghi. Altro rinascere Dall'istrione che il mio gesto evoca, Lucida ebbrezza mi diede. Come una bianca Piuma sulla fuliggine triviale Prodotta dalle lampade, nel muro Della sfondata tela una finestra aprivo Mio tranquillo nuotare traditore: La gamba, le mie braccia, i molti salti L'infausto Amleto sconfessano. Era come nell'onda io invenissi Mille sepolcri e là dentro sparisse La vergine che sono Ero l'oro d'un cembalo che ilare Fanno i pugni eccitandolo. E all'improvviso nella nudità Intatta emessa dalla mia frescura Di madreperla il sole si ferisce E non era che notte rancida Di una pelle, ingrato, su cui passavi, Questo rosso perduto nel biancore Infido d'un ghiacciaio - il segno unico Che mi consacra ignori
RAINER MARIA RILKE
Dalla quarta Elegia Duinese
Venne allora per primo il Ballerino. Luì non lo voglio! Basta. Per cosi lievemente agitarsi deve travestirsi; Va a cambiarsi, è un borghese, Torna a casa, attraversa la cucina. Venga la Marionetta ! Io non voglio Maschere mùtile: e questa è l'integra. La spoglia il filo e il volto-simulacro Voglio reggerne in me, qui. Di fronte sto. E si smorzino i lumi, e mi sussurri Qualcuno: - Più nulla ci sarà - io resto. Resterò là anche se il Vuoto emani In una grigia corrente d'aria la Scena, E dei miei quietati antenati Nessuno mi sieda accanto, e neppure L'adolescente dal volto scuro e strabico: Sempre Qualcosa c'è, da vedere.
Non è illegittima la mia più che attesa, Il mio fissare ingordo la ribalta Finché non entri commisurata A i miei sguardi risposta un Angelo, E sia l'Animatore, che solleva I gusci inerti in alto. Finalmente, Nella stretta con l'Angelo la Marionetta Dà vita al Dramma. vv. 22-36 e 52-57
ANTONIO MACHADO
Canto andaluso
Meditativo e assorto, dipanando I fili della Noia tristemente Andavo... E mi portò l'aperta . Alla calura della notte estiva Finestra della stanza il vago suono Di lamento di un canto sonnolento Frammisto ai cupi trèmoli di musiche Stregate propri della terra mia. Era l'Amore, come ardente fiamma... Sulla vibrante corda una nervosa Mano creava un aureo e interminato Sospiro e in scaturigine stellare Quel sospirare si tramutava. La Morte, eccola: mannaia in spalla, II passo lesto, torva, scheletrica, Tale come, bambino, mi appariva. Sulla chitarra che tremoleggiante Risonava, la secca mano Battendo il colpo, imitava Il posarsi una bara in sepoltura. E spazzando la polvere e spargendo Le ceneri era un alito di vento Altro, di solitudine, lamento. da Soledades
É M I L E ZOLA
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Da Germinal
Rimbombavano voci, rotolavano rocce. Vedendo una lampada spuntare pianse. Sbattendo le palpebre seguiva il lume Senza stancarsi di fissarlo, estatico, Concentrato su quel punto che appena Maculava di rossastro le tenebre. Portato via dai compagni, imboccato da loro Tra i denti contratti, con cucchiaiate di brodo, Lasciava fare. Ma solo nella galleria di Réquillart Riconobbe qualcuno. Era, davanti a lui, Négrel, l'ingegnere. E l'operaio in rivolta E il capo freddo e sospettoso, da tanto disprezzo Reciproco divisi, si buttarono L'uno al collo dell'altro, in un singhiozzare frenetico, Nel subbuglio profondo sfogatore Di tutta l'umanità compressa in loro. Era una immensa tristezza, La miseria delle generazioni, La vita sprofondata Nell'eccesso del suo dolore parte VII, cap. v
VIRGILIO
Ibant obscuri...
Era l'andare, dalla notte solinga Avviluppati di oscurità Per gli antri vacui, le smateriate Dominazioni, a Dite. Similmente Va il viaggiatore per luoghi silvestri Dove stenta velato un raggio scarno Di luna quando la divina ombra Abbia sepolto il mondo e i suoi colori Nel nulla della caligine notturna. Là sull'entrata dove le sue gole Orco spalanca ebbero dimora I Lutti, le Vendette smaniose, I giallognoli Morbi, la Vecchiaia turpe, I Terrori. E con loro la Fame Che atrocità persuade, la Privazione abbietta, La Morte e l'Agonia facce tremende, II Sonno quasi già Morte, il Godimento Che stravolge la mente hanno la tana. La ferrea stanza posero le Erine E la Guerra che irradia morte Sul varco opposto; da sanguinose Bende stretti i serpenti della chioma La Discordia delira Eneide, libro VI, vv. 268-81
RAINER MARIA RILKE
Dalla prima Elegia Duinese
E la terra non più abitare, Da abitudini appena fatte cessare, Alle rose, alle promesse di ogni cosa Non dar più senso di futuro umano E certo strano. E non essere più Quel che in cosi trepide mani siamo E come un rotto giocattolo anche il nome Abbandonare. E quel che avrai desiderato Non più desiderarlo è strano, E strano il veder fluttuare Disciolto nello spazio l'aggregato Che siamo. Essere morti stanca, ci invadono troppe cose Da riafferrare, perché di eterno appena Ritroviamo una traccia. Ma duramente dividere i confini E l'errore di tutti i vivi. Pare che gli Angeli spesso ignorino Se vaghino tra i vivi o in mezzo ai morti. Sempre l'eterna corrente con sé trascina Tutte le età e i due regni confonde, Nel suo sovrumano suono. E finalmente Quelli che innanzi tempo si staccarono Non cercheranno di noi mai più. Da quel che è terra svezzarsi è dolce, Come dal seno della madre, piano. Ma noi che avidi siamo Di questi misteri immensi Dai quali sgorga incessante Il travalicamento beato Del nostro lutto, potremmo
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4i Davvero esistere, senza di loro? Vana leggenda, che un tempo Nel lamento per Lino la prima musica I/impenetrabilità dell'arido E del ghiacciato scalfisse ? Vana leggenda, che solo Nello spazio atterrito Da cui un giovane semidivino All'improvviso spari per sempre, Di quel ritmo che ci rapisce E soccorrevole ancora ci consola Il grande Vuoto vibrasse ? vv. 68-95
ORAZIO
Tu ne quaesierìs
La fine a me, a te, Leucònoe, decretata Dagli Dei, non svelarla: sciagure Attiri, per più sapere. Piàntala coi tuoi grafici caldei; Il poi venga e tu Soffrilo, è molto meglio E ci dia Giove molti ancora inverni O già sia questo che le onde sfianca Sui lisci scogli della costa tirrena L'ultimo - caccia via Ogni inquietudine: filtrami i vini, E le speranze fuor di misura Escludile dalla vita: è breve, Sottratta subito. Noi parliamo, E fuggita. Oggi la luce è tua: tu godila, Non pensare a riaverla A l di là del giorno Odi I, 11
MARZIALE
Questa bambina, mia carezza e gioia, A te Frontone affido, a te Flaccilla Padre mio e madre mia: l'Eroziolina. Cosi piccola è. Le nere Ombre E del cane tartareo le mostruose Gole l'agghiaccerebbero. Appena il sesto avrebbe Compiuto dei suoi inverni Fosse vissuta altri sei giorni ancora. Tra voi che la vegliate Cosi carichi d'anni Sconfinatamente libera giochi E l'acerba sua lingua Cinguetti ancora il mio nome. Di lei mai dura ricopra Le ossa frali la zolla E tu ricambiale terra La leggerezza. Epigrammi V , 34
JOYCE MANSOUR
Per quanti amori il tuo letto ha gridato ? Quanti anni ti han fatto gli occhi a grinze ? I tuoi seni sfiniti chi li ha svuotati ? Coi miei occhi di piombo ti ho ispezionata E le mie illusioni scoppiate La tua vecchiezza incapace Di darmi risposte lasciano Dietro di sé.
ORAZIO
iiheu fugaces
Ahi ahi cosi in fretta Postumo Postumo volano gli anni, Faccia di vecchio incombe, L'indomabile morte non ferma Divozione. C ' è un triste fiume, Tutti lo traversiamo, miseri Servi di gleba o principi, noi tutti Che di frutti del suolo ci nutriamo: A che serve sacrificare Trecento tori a Plutone L'inesorabile che a sé avvinghia Tizio e Gerione ? E da una guerra sanguinosa 0 dalle frante ondate di un rauco Mare salvarsi è inutile - Inutile ogni autunno Dal vento australe malefico 1 nostri corpi ritrarre, Perché il nero Cocito lento e languido, Di Danao l'infame prole E l'eolide Sisifo dannato A una fatica eterna li vedremo. Terra, casa, la sposa amata Ci toccherà lasciare, E degli alberi di cui hai cura Uno solo il cipresso odiato Apparterrà al suo effimero signore. Da un altro, con più di te Argomenti, arraffato Sarà quel Cécubo che tenevi Chiuso da cento chiavi,
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E il tuo vino sovrano, mai servito Neppure a pranzi di pontefici - tieni, E una pozza sul pavimento. Odi II, 14
GIOVENALE
La natura, al genere umano, ha dato Le lacrime. Il più alto bene In noi, è l'infinita tenerezza. Quando in giudizio è condotto un amico La sua miseria d'imputato ci strappa il pianto, Quando un pupillo - faccina in lacrime In un femmineo fiume di capelli Accusa in tribunale il suo tutore, Noi piangiamo con lui. E quando s'incontrano sepolture Di vergini da marito, o vediamo un tumulo Che racchiude un'infanzia troppo tenera Per il rogo, ci stringe un nodo La gola, insopprimibile. C ' è uomo Capace di bontà e degno Di portare la torcia dei misteri Come lo vogliono i preti di Cerere, Da cui non siano sentiti i mali Di tutti come suoi? Questo c'innalza Sul silenzio dei bruti. Noi soli Afferriamo il divino, adoperiamo le arti, Dalla vetta del cielo ci è caduta Una luce, e gli orfani di lei Vanno curvati, fissano il suolo. Agli altri esseri il creatore di tutto Diede solo la vita: a noi un'anima Perché un intrico di attaccamenti Ad aiutarci scambievolmente Ci costringesse. Perché si unissero Gli individui vaganti in popoli, Dalla foresta primitiva uscissero, I boschi dei loro antichi lasciassero
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E case si costruissero, Di Lare in Lare si facesse uno il focolare, i loro sonni fossero Dagli usci fidati e stretti Vigilati. Dovere fu per noi, in armi Soccorrere il compagno caduto Dissanguato dalle ferite, Combattere insieme a un segnale, Farci ripari di bastioni E di porte da un'unica chiave Chiuse. Ma, vedi, c'è più concordia tra i serpenti, Se vede una pelle con macchie simili Alle sue una belva la rispetta. A un altro leone nessun leone Ha mai tolto la vita perché più forte. Dov'è il bosco che ha visto la morte Di un cinghiale tra i denti di un suo simile Più grosso ? La tigre indiana E ferocissima, e vive in pace Con le altre tigri perpetua, L'umanità dei tremendi orsi E tra loro perfetta. All'uomo invece Battere su un'incudine satanica I suoi ferri di morte, non gli basta. (Almeno i fabbri dei primi evi Si limitavano a fabbricare Zappe e rastrelli, su vomeri e vanghe, Ignoranti di spade, si stancavano). Ecco, ci sono popoli che uccidono E dopo ucciso hanno ancora sete. E cuore e testa e braccia dell'ucciso Divorando si placano. Se queste infamie umane Tu vedessi, Pitagora, che cosa
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Diresti, e dove Ti esilieresti ? Tu che sentivi in ogni bestia una presenza umana E al tuo ventre perfino Certi legumi vietavi. Satire, V, 15, vv. 138-74
ANTONIO MACHADO
Occhi che un di si aprirono Alla luce per poi tornare Alla terra oscurati Senza nulla aver visto Nel loro ingordo guardare. da Proverbios y Cantares
ANTONIO MACHADO
In coro con me cantate: Sapere, nulla sappiamo. Arcano, il mare da cui veniamo. Ignoto il mare in cui finiremo. Posto tra i due misteri E il grave enigma: tre Casse che chiuse una perduta chiave. La luce nulla illumina, Il sapiente nulla insegna. La parola dice qualcosa ? L'acqua, alla pietra, dice qualcosa? da Proverbios y Cantares
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ADRIANO IMPERATORE
L'animula Fiamma di smorta lampada Dolcemente oscillante, Straniero che il mio esule Corpo seguivi, adesso In quali luoghi andrai ? Esangue agghiacciata spoglia Tu mai più i tuoi piaceri Ritroverai
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ORAZIO
Acquam memento Dellio, tu sei mortale. Ricordati: Tranquilla, nel tempo del dolore, Sia la tua mente, nel luminoso Frena l'eccesso della tua gioia Abbia tu tra le lacrime Vissuto ogni tuo giorno, o su prati Solitari nei giorni sacri disteso, Ti abbia un Falerno unico reso beato: Dellio, tu sei mortale Per quale fine coi loro rami Il pino altissimo, il bianco pioppo Godono di creare una compatta Ombra ospitale ? Perché la pura Onda con tanta ansia fugge Per agitarsi in un contorto Ietto ? Ordina ai vini di venire, presto! E ai profumi e alle effimere rose Del roseto bellissimo... Perché salute, anni, E i neri stami delle tre Sorelle Ti concedono poco Quei fondi sterminati, la tua casa, La villa che il biondo Tevere ti bagna, Li lascerai li lascerai: sul cumulo Di fortune che innalzi roteando Sta già il tuo erede Splendido, da gente nato Da Inaco discesa o famelico
Grumo di schiavi, è uguale: Spietato Orco t'immola e muori Qualunque sotto il cielo Ci trascinano tutti a un luogo. Per tutti sbatte dentro l'urna il fato: Prima o poi uscirà. Ci imbarcheremo Per il prescritto sempiterno esilio Odi II, 3
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Cantico dei Cantici Ah fossi tu mio fratello Da mia madre allattato fossi tu stato Trovandoti per strada ti bacerei Potrei farlo senza vergogna Nella mia casa di madre Ti condurrei ti eleggerei mia guida Col liquido odoroso e il lacrimare Della mia melagrana T'irrorerei La tua sinistra sotto la mia testa E la tua destra mi abbracci O figlie di Ierusalèm io vi scongiuro Non risvegliate non risvegliate Il mio amore se non ne ha voglia Chi è quella che spunta dal deserto Premendosi al suo Amico ? Sotto il melo io ti ho svegliata Là dove tua madre si torceva Nelle doglie per te Là dove quella che ti ha portato Ti partoriva Un sigillo nella tua mente E un braccialetto sul tuo braccio io sia
56 Perché l'Amore è duro Come la Morte Il Desiderio è spietato Come il Sepolcro Carboni roventi sono i suoi fuochi Una scheggia di Dio infuocata Le Grandi Acque non spengono l'Amore I fiumi non lo travolgono Chi lo compra coi suoi tesori Ne ha disonore Abbiamo una sorella piccolina Priva di seni ancora A nostra sorella cosa faremo Quando a trattarne verrà qualcuno ? Se sarà un muro d'argento Un palazzo gli costruiremo Se una porta con assi Di cedro la sbarreremo Io sono una muraglia Torri i miei seni Io sono quella che nei suoi occhi Ha trovato la pace A Baal-Hamòn ha una vigna Salomone Ai guardiani affidata, ha da ciascuno Mille sicli di rendita
57 I ,a mia vigna è soltanto mia Tienti i tuoi mille sicli Salomone Tenetevene duecento voi guardiani Tu che siedi in gloriosi giardini Ascolta la mia voce Fammi la tua sentire Oh Amato mio che fuggi Come la gazzella o il cerbiatto appari Sulle alture odorose capitolo 8, 1-14
SOFOCLE
Edipo Re
CORO
Guaaaaaiiii! ! ! Generazioni umane. Uguali tutte e tutte uguali a nulla! Viventi che non vivono: tali vi vedo. Ci fu, ci sarà mai Nel sentirsi felice di un qualcuno Altro che un simulacro, Lo tocchi appena e si squaglia ? Oh tu che peni, Edipo, diventato Modello tra i destini di sciagura, Proprio tu a me fai dire: Nessun mortale è beato Quanto in alto miravi ! Quanta grandezza ti suscitasti! La vergine sgominasti, l'indovina Dagli artigli ritorti (oh, Zeus...) Tu, la torre che si frappose Tra la nostra città e la morte. Per questo avesti nome Tra noi, di Basileus, E tributo di onori ricevesti Inuguagliato, dalla grande Tebe Di cui fosti il signore Ma ora abbiamo udito... Non sei tu Il più in balia ai tormenti? Chi di te più battuto Dalla selvaggia vita ? Chi più dentro ai dolori Dell'esistenza?
59 Oh gloria Della tua testa, Edipo! Un porto diede Unico, a padre e a figlio, Il sollazzo nuziale, li il solco Dove tuo padre arava Subì anche te - e tacque Disgraziato Ricalcitravi... Ma ti rivela Ora a te stesso il Tempo onnivedente. E il tuo connubio pervertitore Del senso delle nozze in te castiga, Padre dov'eri figlio. Sciagura a me, figlio di Laio ! Potessi Mai mai averti veduto ! Tu, che dalla bocca mi strappi Tanto compianto... Eppure fu per te che riebbi fiato, In verità. Hai ridato Il sonno tu, ai miei occhi vv. 1186-1222
WILLIAM SHAKESPEARE
Re Lear URLATE! URLATE! URLATE! U R L À T E E E !
Oh uomini pietrificati ! Avessi io le vostre lingue e i vostri occhi Scardinerei la volta del cielo ! E andata via, per sempre... So che cosa distingue da chi è vivo il morto. E lei è terra, morta. Atto V, scena ultima
6i
Geremia La terra tornata al Caos In cielo, nessuna luce I monti precipitavano Le alture si sgretolavano Ed ecco: l'uomo è sparito Ali fuggite, cieli svuotati VIDI. Orti fertili, sterili fatti E le città le città: rovine VIDI. VIDI. VIDI. VIDI. VIDI.
capitolo 4, 23-26
CATULLO
Vorrei potere anch'io Passero amore dell'amor mio Divertirmi con te come fa lei E sviare le tristezze del mio cuore ! Il desiderio mio la luce mia Con te gioca, ti tiene in seno Ti vuole sulla punta del ditino Ti eccita a dargli forti beccate E nell'incanto di questo suo gioco Calma il dolore, trova frescura In mezzo al fuoco che la tortura Carmina 2
6;
CATULLO 6;
Tu chiedi Lesbia del tuo baciarmi I ,a misura io fissi che mi colmi. 1 granelli di sabbia d'Africa Dove il silfio fa ricca Cirene Tra l'oracolo infuocato di Zeus E il sacro tumulo dell'antico Batto O le stelle che guardano infinite Nelle tacite notti i disperati Abbracci umani. Tu baciami Tanto che gli occhi avidi Delle lingue smaniose D'impietrarci non contino i tuoi baci Catullo avrà calmati i suoi deliri. Carmina 7
CATULLO 6;
Ah da me, in culo, in bocca Lo piglierete ! Tu Aurelio, boccadacazzi, E tu Furio, rottonelculo... Che della vostra banda mi credete Perché scrivo lascivo, decadente! Il poeta in cui viva è la pietà Avrà anche l'obbligo di verseggiare Per scopi edificanti ? Lasciagli grazia e mordacità; E il suo verso lascivo e spudorato Non dagli implumi solo, ma dai lombi Dei canuti ormai stalattiti Faccia sprizzare l'Eros! Di tenero in eccesso il fluire Nei versi miei farebbe Meno virile l'autore? Lo dite voi ! Sarete Da me inculimboccati! Carmina 16
CATULLO 6;
I ,e belle giornate tornano è primavera II soffio placa di sereni Zeffiri I n cielo la tormenta equinoziale Abbandoniamo le campagne frigie 1 ,a piana di Nicea fertile e torrida Catullo Alziamo il volo Per l'Asia e le sue città dorate Smanioso tu sei di andare I piedi sono freschi forti pronti Ali febbrili Dolci compagni bella brigata addio Partiti insieme eravamo Per queste terre lontane Ritorneremo per opposti e strani Cammini Carmina 46
CATULLO 6;
Guardare ascoltare te che dolce ridi Standoti presso incessantemente Trovo divina cosa anzi oso dire Più che divina e che mi fa morire Miseria mia d'uomo Perché appena ti vedo la mia voce Non esce più ho la lingua tutta secca E in tutto il corpo un fiume sottile Di fuoco Lesbia e uno strepito acuto Nelle orecchie stordite e i miei due occhi Avviluppa la notte Carmina 51
CATULLO 6;
Lesbia una volta dicevi Non avere altro amore che Catullo, Esserti indifferente Anche il letto di Giove. E io ti ho amata non come si ama Un'amante ma come di un padre L'amore avvolge figli figlie generi. Ora so chi tu sei: illimitato Il fuoco che mi consuma, Fatta ormai poca cosa La sconfinata adorazione Che per te avevo. Perché? Domandi tu. M'invoglia Più di prima ad amarti L'offesa enorme patita, Ma non c'è più pienezza Di delicati affetti. Carmina 72
68
Giobbe Dopo questo apre Iob la bocca E maledice il suo giorno E grida Iob nel dire Che tu sia maledetto Giorno che mi hai partorito E tu notte per aver detto Un maschio è concepito Che sia un giorno di tenebra Dal cielo Dio lo ripudi Gli neghi la Luce il lume Tenebra e morte insozzatelo Caligini nascondetelo Spegnitori del giorno spegnetelo Notte sii buia sempre Ti tolgano dal lunario Ti saltino nel conto delle lune Che sia una notte ebete Che sia muta di gioia Chi getta il male sopra chi nasce La maledica Gli evocatori di Leviatàn La perdano
Ki-osc-ura-te-vi stelle dei suoi albori Mai più la luce ritrovi Mai più riveda le palpebre di un'aurora l'erché non strinse le porte del mio ventre Perché i miei occhi non turò alla pena Morire dentro la vulva bisognava Uscire dalla pancia già sfacelo Perché ginocchia venirmi incontro ? Perché mammelle vi ho io succhiate? Riposerei adesso coricato Avrei nel sonno disteso pace Coi re e i vizir della terra Costruttori di tombe inani Coi principi che l'oro ingrassa Di cui l'argento i sepolcri stipa Un aborto buttato via Un portato ignaro di luce Laggiù le smanie dei tristi cessano Laggiù ai brutali scema la forza Reclusi dal riposo accomunati Sordi al berciare dell'aguzzino Il grande e il piccolo là sono uno E il servo è libero dal padrone Perché la luce è data a chi pena ? Perché la vita a una gola amara ?
70 Ad un via-sbarrata d'uomo ? Ad un Dio-mi-annoda di sacco ? Invano annaspano per morire Scavano scavano per quel tesoro Una casa di morti li ravviva Una fossa trovata li placa È la pena che mi fa il pane E il lamento che mi dà l'acqua Ecco i terrori che più ho temuto Ecco incarnarsi le mie paure Non ho pace né tregua né riposo Sono cumulo di dolore capitolo 3, 1-26
7i
Isaia Il grido del Deserto del Mare Come trombe d'aria in Néghev Mi travolge Dal deserto è venuta Dalla terra della paura Una cruda visione
mi è apparita
Devastante sterminatore Sterminante devastatore Dilaga Elàm ! Avvéntati Medo ! L'eccesso d'ululatiriposa E in me lo spasimo di reni scoppia In dolori di puerpera mi scardino È torcermi nel non capire ! È sbattere nel non vederci ! Il cuore che mi casca Il tremito che mi stronca Oh crepuscolo mia frescura Angoscia in me diventato !
La tavola è apparecchiata Gira lo sguardo la sentinella Si mangia si trinca In piedi capitani ! Ungete lo scudo ! Cosi a me il mio Signore dice Va' póstati alla vedetta vedi e annuncia E l'orecchio di tenderlo Di tenderlo all'estremo Gente d'arme a cavallo File di carri e di cavalieri Truppa su asini e su cammelli vede E c'è un leone che grida! Sugli spalti del mio Signore Io sono colui che sta Tutto il giorno resto al mio posto Mai di notte io lo abbandono Gente a cavallo ! Stanno arrivando! File di carri !
di cavalieri
E un gridare comincia - E caduta! Babilonia è caduta !
73 Tutte le statue dei suoi Dei buttate giù in frantumi ! ( )h popolo trebbiato ! Figli della mia aia! lo grido a voi quel che ho udito Da Iah Tzebaòt Dio d'Israel
Il grido di Edom Verso di me si chiama
da Seir
Guardia! Che cosa porta la notte? Guardia! Che cosa porta la notte? La guardia dice Il mattino che sta venendo E altra notte O domandanti ! Tornate
Ridomandate
Ricominciate Il grido della Aravàh
Nella macchia in una terra senz'acqua Passerete la notte
Oh carovane dei Dedanim ! Se incontrate assetati dategli acqua Oh abitanti la terra di Tema ! Se v'imbattete in fuggiaschi dategli pane La faccia della spada li ha scacciati Spada sguainata arco puntato Combattimenti atroci Il mio Signore cosi mi dice Tempo un anno
la ferma di un mercenario
Tutta la gloria di Qedàr sparita Resterà delle miriadi d'archi Dei valorosi figli di Qedàr Pochissimo Il Signore Dio d'Israel ha parlato capitolo 2 i , 1-17
15 Isaia ( )h Signore tu sei il mio Dio ! l'esalterò celebrerò il tuo nome Creatore dei supremi Fini L'Immutabile e il Certo predestini F fai di una città mucchi di cocci Di una città imprendibile rovine Il colosso maligno Più non è una città Rifatta non sarà più
in eterno
Va la tua fama a un popolo potente La più violenta delle città ti teme Perché tu sei per il debole il Sicuro E il miserabile nella sua angoscia Trova riparo in te Nelle alluvioni tu sei il nido Nell'afa la frescura E il fiato dei violenti E un'alluvione che sfonda i muri Un colpo di caldo in terra di sete Tu la superbia dei malvagi pieghi E la calura con l'ombra di una nube
Nei violenti si strozza il canto A tutti i popoli Iah Tzebaòt Va apparecchiando su questa rupe Un banchetto grassissimo Un festino dei più filtrati vini Di midollo una scorpacciata Di vino senza feccia una gran bevuta Da questa rupe farà sparire Il velo che tutti i popoli copriva La cortina che avvolge il mondo intero Risucchierà la morte per sempre E asciugherà le lacrime Sul viso di ogni uomo Il mio signore Iah Di sopra a tutta la terra Toglierà dal suo popolo L'impurità Il Signore ha parlato Questo è il Dio nostro! Si griderà in quel giorno Abbiamo in lui sperato e ci ha salvati !
77 Questo è il Signore da noi sperato ( )h giubilo ! Oh tripudio ! F,ssere salvi in lui Su questo monte posa l.a mano del Signore li da lui Moàb è calpestato Come lo è la paglia Nel fango di un letamaio Nei suoi visceri allunga le sue mani Come nuotando le allunga il nuotatore E la forza ne piega Incastrandolo tra le sue mani La mole formidabile Sfonda dei tuoi bastioni Fino al suolo li piega Li stende nella polvere capitolo 25, 1-12
Isaia Vergine figlia di Babilonia Discendi ! Siedi là sulla polvere Siedi per terra senza più trono Oh figlia dei Caldei! Mai più sarai chiamata La Molle la Voluttuosa Piglia una màcina E macina farina Togliti il velo Rialzati lo strascico Scopriti l'inguine Abbandona i tuoi fiumi Senza riparo è la tua nudità Tutti vedono le tue vergogne Oh ubriaca della tua scienza! - Nessuno può vedermi! - dici Hai tanta scienza e dottrina Che la testa ti gira E il cuore ti ripete - Io Non ci sono che io ! -
79 Ma la sciagura è sopra di te !', i tuoi scongiuri non la storneranno I ,a sciagura ti casca addosso li i tuoi incanti sono impotenti Ti verrà addosso d'un colpo Un'arcana rovina Sii pure forte delle tue magie Dei tuoi incantesimi senza fine Dimenarti cosi da che nascesti Ti servirà a qualcosa ? Simulerai la terribilità? Oh ingozzata di oroscopi! Vengano qua a salvarti Gli indagatori di cieli Gli scrutatori di astri Quelli che ai noviluni Ti predicono quel che sarà Eccoli là Come paglia il fuoco li ingoia Dalla mano della fiamma La loro gola non scamperà Vedrai che bragia per riscaldarti ! Che focolare dove accucciarti !
Cosi sarai servita Da quei tuoi trafficanti Che tu accarezzi da che sei nata Brancicheranno di qua di là Niente e nessuno ti salverà Is. 47, 1-3, 10-15
AMILE ZOLA
I,'Assommoir I ,a scala, a quell'ora, dormiva. Deserta. Il becco a gas soltanto l'osto al secondo piano, la rischiarava. In fondo a quel pozzo di tenebre La sua fiamma diminuita Metteva un chiarino da capezzale. Dietro le porte chiuse Percepivi il silenzio denso Degli operai che abbatteva il sonno Subito dopo cena. Ma dalla porta della stiratrice Un riso sommesso usciva; E dalla serratura di Mlle Remanjou Intenta ancora a tagliare Con un colpetto secco di cesoie Gli abitini di garza delle bambole Da tredici centesimi, un filino di lume Filtrava. Giù in basso Dalla Gaudron un neonato frignava. E nella grande pace muta e nera Un più forte sentore, dai piombi, Emanava. Cap.
II -
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ARTHUR RIMBAUD
Sensazione Sarà d'estate, per le azzurre sere Tra le spighe che pungono, i sottili Fili calpesterò dell'erba sui sentieri; I piedi ne sentiranno la frescura E la testa lascerò nuda Inumidirla il vento, mentre sogna Non dirò nulla, non penserò a nulla. Ma dall'amore infinito presa L'anima mia non avrà più confini. Lontano andrò - ben lontano, Zingaro errante, Natura. Sarò felice, come se fosse Con me una donna
MARZIALE
Quando cominci Fillide Con la tua mano vecchile A lavorarmi il languido Virilitas, Il tuo pollice m'uccide. E se mi chiami topo e luce mia, A stento posso in dieci ore Ritrovare un passabile umore. Ignori l'arte d'accarezzarmi: - Centomila sesterzi, devi dirmi, Ti darò. E parecchie giornate Di terreno di Sezze coltivate; Eccoti buoni vini e una casa E ragazzuoli e piatti d'oro e piatti pieni. Le tue dita non servono. Fillide, Stropicciami cosi. epigrammi XI, 29
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MARZIALE 33
A porte non chiavate e spalancate Tu compi, Lesbia, l'amorosa opra E i tuoi sollazzi non pensi a celare. Uno che guarda ti dà più contento Del tuo amante né trovi perfetto Un amoroso gaudio che scoperto. Anche la troia abbassa le persiane E mette la catena e tu non vedi Nei bugi del Summenio lume alcuno. Una Chione una Giada t'insegnino A vergognarti almeno: tra le tombe Vanno piuttosto ad acquattarsi Le più sporche puttane. Trovi dura La mia censura ? Purché non veduta Fatti inforcare quanto ti pare. epigrammi I, 34
MARZIALE 34
Mai un maschio al tuo fianco, Nessuna storia d'amanti, Bassa, E attorno a te solo un affaccendarsi Di donne a ogni servizio prestarti Senza un sol uomo nei paraggi, accidenti Mi dicevo è una Lucrezia costei ! Ma tu, misericordia, un chiavatore sei. Memorabile audacia, tu stringi e aggavigni Come un sol uomo due sorelle Fica, La tua Clitoride meravigliosa Ha il ruolo dello sposo. La macchinaprodigio di tua invenzione E indovinello da Sfingi tebane: Come, mancando l'uomo, Non manchino i cornuti e le puttane! Epigrammi 1 , 9 0
MARZIALE
86
Tu che desideri per i tuoi genitori una bella e tarda morte, questa breve iscrizione marmorea leggi, con amore. Ombre care in questo suolo coverse Rabirio: una impareggiabile morte I suoi due vecchi sortirono. Una notte Dolce e suprema suggellò di vita Comune sessant'anni; unica fu La fiamma che i loro corpi arse. Come presto perduti, egli li pianse. Nulla di più insensato di quei pianti. Epigrammi X, 71
MARZIALE 36
lira all'ombra d'un pioppo Una formica errante, Goccia d'ambra l'esile Fèra strinse. Colei Che dispregiata fu vivente Ad alto pregio è assurta Per la sua camera ardente. iipigrammiV I, 15
MARZIALE 37
EROTION
Immaturamente Ombra Qui posa. La disfece nel suo sesto inverno La Morte delittuosa. Tu che il mio piccolo campo avrai Dopo di me, chiunque tu sarai, Alle sue magre manine darai Il prescritto tributo d'anno in anno. Stiano in perpetuo i tuoi lari, Sulla tua gente non cada malanno: Questa pietra di pianto Resti nella tua terra sola Epigrammi X, 61
Qohélet Ma pensando ricorda il tuo Creatore Nei tuoi brillanti giorni Prima che vengano i giorni del malanno E subentrino gli anni di cui dirai Di non volerli affatto Prima che il buio avvolga Sole e lampada luna e pianeti E dopo dirotte piogge si riformino i nembi E sia giorno di zuffa Per chi guarda la casa E i forzuti si accascino E le mugnaie rarificate disimparino a macinare E le sbircianti nelle colombaie La caligine invada I due battenti sul vicolo Al cessare del suono della màcina E un pispiglio di passeri
si rinserrano
fa trasalire
E tutte le figlie del canto
si fanno fioche
E l'altezza mette paura Ti agguantano spaventi per la via E il mandorlo biancheggia La cavalletta s'intorpidisce Il cappero pende inerte E l'uomo se ne va Alla sua casa indefinita Tra i piagnistei rituali delle donne nel suk Prima che il cavo d'argento si spezzi E l'aureo globo
si fenda E la brocca s'infranga sulla fonte E la ruota si sgretoli nel pozzo E tornerà la polvere a esser terra E tornerà il respiro Al Dio che l'ha prestato
9i Fumo di fumi
dice il Qohélet
Fumo di fumi Tutto non è che fumo capitolo 12, 1-8
Qohélet Dio fa tutto per sempre Niente ne aggiungi Niente ne recidi E Dio vi pone Il terribile del suo volto Che cosa è che fu Se quel Fu è E se Dio fa che torni Il fuggito ? E ancora ho veduto sotto il sole Il crimine essere il tribunale E il banco del diritto Infestato dalla perfidia E nel mio cuore dico Chi sia il buono chi sia il cattivo Dio lo ha deciso Di ogni atto e di ogni condotta Determinando il destino E dei figli dell'uomo dico Gli mostri Dio quel che sono Vedranno un branco di bestie solo Perché l'esito è uno
93 Figli d'uomo o di bestie 11 morire è di tutti In tutti è lo stesso soffio E se sia l'uomo Più della bestia Niente Perché svapora tutto A un identico luogo vanno tutti La polvere li ributta La polvere li riaccoglie Chi sa se va in su Il soffio dei figli d'uomo Chi sa se in giù precipiti L'anima della bestia Sulla terra ? Vedo il bene che ha l'uomo L'unico che gli tocchi Fabbricarsi piacere Adesso Il dopo
nessuno Glielo rivelerà
capitolo 3, 14-22
Qohélet Va' mangia contento il tuo pane Bevi con cuore grato il tuo vino Questo che fai è gradito a Dio Bianca sia la tua veste in ogni tempo E non manchi di unguenti la tua testa Passa la vita con una donna amata Per tutti i giorni che vivrà il tuo soffio Dato a te sotto il sole Questo sia a te tra i vivi Per la pena che soffri sotto il sole Tutto quello che la tua mano Sarà capace di fare Fàllo finché ne hai forza Perché non c'è azione Non c'è invenzione Non c'è pensiero Non c'è sapienza Nella Terra dei Morti dove andrai
95 l'.d ancora io vidi sotto il sole Non dipendere dai veloci la corsa Né dagli uomini di guerra la guerra Né dai sapienti il nutrimento Né dai più abili i patrimoni Né dai sensibili la compassione Perché tutti dipendonodal destino e dal caso E l'uomo non sa quando il suo tempo verrà Come pesci acchiappati nella rete Come uccelli invischiati Cosi sono ghermiti I figli d'uomo nell'ora maligna Quando sopra gli cascarepentina capitolo 9, 7-12
LUCREZIO
I terremoti E adesso le cause impara dell'erompere I terremoti. E tutta di spelonche Sopra e sotto, battute dai venti, Piena la terra; e laghi senza numero D'acque stagnanti il suo grembo nasconde. Masse rocciose e friabili macigni, Fiumi infiniti la sua crosta ricopre; Violenti flutti - giusta congettura - rotolano Laggiù sommersi massi. Che dappertutto Simile a sé la terra sia, chi dubita? Con un cosi intricato sottosuolo, Squassata da ingenti moti La superficie della terra trema Quando enormi caverne crollano Sotto di essa, che l'età ha disfatte; Sono intere montagne che precipitano E il crollo repentino invia lontano Lo sciame dei tremori. Fa' un paragone Col tumulto dei carri nella via Che investe, ne sia pur lieve il carico, le case, I cerchioni ferrati delle ruote Sobbalzanti sul lastricato. Tutto si fa Tremito quando in quei laghi sterminati Sprofondano valanghe di terriccio Immani, che il Tempo ha logorato: L'acqua si agita e scaglia i tremiti, Fa la terra oscillare. E come un vaso II cui liquido agiti: se il contenuto Non ha pace, barcolla. Poi quando il vento che sta nel grembo Delle caverne di sotterra piomba
9
Tutto in un punto e con forza estrema I .e cavità comprime, la terra cede, S'inclina come il vento la sospinga. I i quante fabbriche sopra piantate stiano In specie le pili alte le più grattacielo l'orientano verso quel lato pencolando, Le fuoruscite travi eccole spenzolano Pronte a precipitare. E pur vedendo Tanta mole di terra che si squaglia Dal pensarlo finito, questo mondo, Iscritto nella morte, votato alla sciagura, Ci si ritrae... Ah non ci fossero Cadute mai dell'impeto dei venti Un crollo dopo l'altro ne seguirebbe, Nessuna forza impedirebbe il volo Della rovina ! De rerum natura, libro VI, 535-569
LUCREZIO 9
La morte Pur se incerto è il pericolo, assiduo è il trepidare Tanto maligna è la smania che ci tortura Di stare in vita. Ma il cessare di vivere Sospeso è sulle teste dei mortali: Morte l'hai da incontrare, non puoi schivarla. Perlopiù nel medesimo sempre ci aggiriamo Cerchio, e indefinitamente prolungandosi Nessun piacere nuovo ci apporterà la vita. Bramosi di qualche oggetto inafferrabile Un valore grandissimo gli attribuiamo, Ma d'altro, subito, appena quello raggiunto, Eccoci avidi: ed è un'eterna sete Di vita a tormentarci. E poi ancora Timore vago di quanto in futuro Stia per toccarci, quali accidenti e fine Ci siano serbati. Eppure al tempo Anche tirando a più non posso la vita In cui ci tuffa la morte, neppure un filo Sarà sottratto! Impotenti siamo A rosicchiarne un minimo che attenui un poco L'assolutezza del nostro annullamento. Protrai la tua esistenza, sii un cimitero Delle generazioni umane: la Morte, sempre Nella sua eternità sarà drizzata Sul fondo, ad aspettarti. Non si distinguono Tronca chi avrà la vita in questo giorno E perduta chi l'abbia da gran tempo Nell'infinito Non-essere che entrambi sono. libro III, 1076-1094
ANASSIMANDRO
Ogni cosa sia nata cresce Come germoglio di corruzione: Nascendo gli è destinata; E per punire in se stesse l'essere, Perché ciascuna sull'altra vendichi La colpa d'essere apparsa, Tutte le cose che sono sono Tra le colonne del Tempo 12 Diels-Kranz
IOO
Prologo dell'Evangelo di Giovanni In Lui Principio era il Verbo dell'Origine E inerente era questo Verbo a Dio E Verbo è Dio. Essendo Origine questo Verbo è Dio; Tutte le cose furono Formate in lui E nulla di quel che è se lo separi Da lui, sarebbe. La Vita è in lui e il lume che fu dato All'uomo è vita. La Luce nella Tenebra fa luce La Tenebra non la cattura Un uomo, inviato di Dio, sorse Era il suo nome Ioànes. A fornire la prova era venuto Cosi che per suo tramite noi tutti La Luce da lui preannunciata convincesse. La Luce non era lui: da lei venendo Annunciava. Finché la Luce vera Nel mondo apparve: quella che fa Di ciascun uomo una luce. Ma nel mondo da lei plasmato Nel mondo del suo apparire Passò e non fu notata. Tra i suoi venuta, rimase ignota. Ma quanti la presentissero Trasfigurava in Figli di Dio, E cosi quei credenti nel suo Nome Che a generare non fu il sangue o la brama
101
Carnale, non l'umano Concupire ma Dio E fu il Verbo dell'Origine Corpo carnale, E abitando tra noi mostrava La Gloria, a noi, che era: Una visione come di chi fosse Del Padre l'Unigenito, Una pienezza di Grazia Che si avverava. Pieno di prova di lui, Ioànes Diffuse il grido È LUI! E Quello proprio di cui dicevo Uno mi seguirà che mi precede Perché quando io non ero già era E ciascuno di noi ebbe qualcosa Della pienezza sua che tanti doni Elargiva cap. I - vv. 1-16
ARTHUR RIMBAUD
Genio Egli è l'Amoroso e il Presente, la casa aperta al lattescente inverno e al rumore dell'estate - lui, che le bevande e gli alimenti rende puri - lui, l'incanto dei luoghi inafferrabili e la sovrumana delizia dei calvari. Egli è l'Amoroso e il Venturo, la forza e l'amore che tra i furori e le pene noi in piedi vediamo nel cielo di tempesta e nelle bandiere d'estasi passare. Egli è l'Amore, misura perfetta e reinventata, meraviglioso e non previsto Verbo, ed è l'eternità: l'amata macchina delle qualità fatali. Sgomento abbiamo provato tutti quanti per il suo darsi e il nostro: dolcezza della salute perfetta, piena espansione delle facoltà nostre, egoistico e appassionato nostro aggrapparci a 1 - a lui che ci ama per la sua vita infinita... E noi quel Viaggiatore lo ricordiamo, e nell'Adorazione che svanisce è la promessa sua che risuona: - Scomparite superstizioni, corpi cadenti, accoppiamenti, evi. Tutta quest'epoca è in perdizione! Non andrà via per ridiscendere da qualche cielo, non verrà per redimere smanie di donne e piaceri d'uomini o l'universale peccare - perché questo è compiuto
103 già nel suo esserci stesso, nel suo essere amato. Oh i suoi affanni i suoi tratti le sue corse, l'impressionante celerità con cui plasma le azioni e le perfezioni. Oh fecondità della Mente e immensità dell'Universo! Il suo corpo! La liberazione sognata, la grazia infranta, di nuova violenza trasfusa ! Vederlo! Vederlo! Tutte le antiche genuflessioni e le pene riscattate dal suo passaggio. La sua luce! Tutte le sofferenze sonore, in movimento nella più intensa musica - abolite. Il suo andare! Più estese delle antiche invasioni - le migrazioni. Oh lui e noi! Benigno più delle carità perdute - l'orgoglio. Oh Mondo ! e come chiaro è il canto delle infelicità future! Ci ha conosciuti tutti. Ci ha tutti amati. In questa tenebra invernale da un promontorio all'altro dal polo in tumulto al castello dalla folla alla landa, da sguardo a sguardo, in penuria di forze e di sentimenti, impariamo ad invocarlo a rifletterlo a vederlo, e sotto le ondate e sopra i deserti innevati andare dietro ai suoi occhi, ai suoi respiri, al suo corpo, alla sua luce. Dalle Illuminations
ARTHUR RIMBAUD
L'Eternità Riconquistata è l'Eternità. Il mare e il sole insieme Sono spariti Anima in veglia, un tacito Al nulla della notte All'incendio del giorno Assenso diamo Via dai giudizi umani Dalle passioni trite Libera là tu scegli Il tuo volo Oh che dal vostro fuoco Frantumi di seta ardenti Senza parole emani Il Dovere che non ha fine Là dove mai si spera Dove non c'è chi sorga E la scienza paziente Del supplizio sicuro Riconquistata è l'Eternità. Il mare e il sole insieme Sono spariti Da Derniers vers
CONSTANTINOS KAVAFIS
ftaca Se Itaca è la mèta del tuo viaggio Formula voti che sia una lunga via; Peripezie e scoperte la gremiscano. Lestrigoni, Ciclopi, e di Poseidone Accessi d'ira escludili. Vanificarli è in te se viafacendo Col pensiero li domini, e carne e spirito Risucchi la vertigine. Mai vedresti Lestrigoni e Ciclopi Se Psiche in te non li generasse, Né l'irascibile Poseidone ti sbatterebbe Se Psiche in te non lo drizzasse orrendo. Vòglila lunga, la via. E i mattini d'estate mai finiscano In cui ti accolgano finora ignoti Porti che di dolcezze ti sfiniscano. A ogni suk di Fenici sosterai, Là farai begli acquisti di coralli, Di madreperle, d'ebani, di ambre. E di profumi che stordiscano pigliane A sacchi, di più godrai. Ma nelle città egizie tu errabondo Viandante agli eruditi Rivolgiti, e da loro impara Impara senza fine. Della tua mente stella polare Itaca, sempre: là devi approdare, Termine ultimo tuo prescritto. Il viaggio Fallo anni durare, ritorna vecchio
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Nella tua isola, gli accumulati Lungo la via tesori Con te sbarcando - perché da Itaca Ricchezze non puoi sperare. Il dono d'Itaca è il viaggio che fu bello. Senza di lei, per te, quale cammino ? E null'altro sarà il suo dare... Pur cosi povera mai ti avrà deluso. Ora tu sei di vita e di sapienza Talmente ricco ! E certo non ignori Il senso che le Itache tramandano.
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Dal libro della Genesi E due donne si prese Lamek Ada l'Ornante nome di una Zilla l'Oscura nome dell'altra E Ada partorì Iabàl Padre di tutti gli abitatori di tenda Che vanno con i greggi E suo fratello nome Iubàl Padre di tutti i girovaghi Che fanno musica di flauti e di ribeche Poi Zilla anche lei partorì Tubàl-Qàin padre di tutti i fabbri e calderai Che battono il ferro e il rame E sua sorella è Naama la Favorita Così cantava alle sue donne Lamek - Ada e Zilla ascoltate la mia voce ! Attente al mio dire voi donne di Lamek ! Per la mia evirazione Ucciderò un uomo Per il mio maleficio Ucciderò un bambino Sette volte sia vendicato Caino Settanta sette Lamek cap. 4, 19-24
FRIEDRICH NIETZSCHE
Tra figlie del deserto Il Deserto si allarga: maledetto Il portatore di deserti ! Pietra sgretola pietra, Il Deserto trangugia, strangola. La ributtante, smisurata Morte Occhio rovente, torvamente guata Masticando - è vivente Masticazione... Oh Uomo che calcinarono Le Voluttà, ricordati ! Questo sei tu: il Deserto Sei tu, e la Pietra, e tu la Morte da Ditirambi di Dioniso
SIMONIDE
Ai morti delle Termopili Diede gloria la Sorte Dà bellezza la morte. Un altare s'innalza Dove giacciono in sepoltura. Tace il lamento, nel ricordo vivono. Non ne parla il compianto ma la lode. Un lenzuolo li avvolge imputrescibile, Del Tempo la smisurata Forza non può oscurarli. L'onore dell'Eliade ha eletto Questo sepolcro di uomini prodi Per abitarci. Leonida Re di Sparta lo attesta Col profumo che ci ha lasciato Di virtù senza uguale Di decenza immortale Diehl 5
IO9
IH
Salmo 22 al maestro dei cantori su Cerva dell'Aurora salmo di David
Dio mio Dio mio perché abbandonarmi? Lontana è la mia Salvezza Dal mio ruggito di parole Diiiooo miiiooo di giorno chiamo Non parli Di notte lo ripeto Mi dai altro silenzio Eppure là nel Luogo Santo tu siedi Tra i canti d'Israel I nostri padri in te ebbero fede Ebbero fede in te e tu li salvavi Era salvarsi invocarti Mai essere delusi fidare in te Ma un verme io un uomo non più sono Una vergogna umana di cui si ha schifo Chiunque mi veda ride di me Labbra s'increspano teste si agitano
Ili
- Fa tutt'uno con il Signore Lo salverà? Dovrebbe liberarlo se lo ama Eppure dal ventre mi hai cavato tu Tu ai capezzoli di mia madre mi quietavi Caddi dall'utero sul tuo grembo Dal ventre di mia madre il mio Dio sei tu Non ti allontanare da me La stretta si avvicina Altro aiuto non c'è Mi accerchiano tori immani Grandi bestie cornute di Bashàn La gola spalancata mi è sopra Il leone mi sbrana che ruggiva C'è una muta di cani che mi preme Uno stuolo assassino che mi stringe Mi legano piedi e mani 10 mi conto ogni osso 11 loro sguardo mi trapassa La carne che mi veste se la spartiscono La mia pelle è tirata a sorte Uno scolo d'acque io sono Le ossa mi fuorescono dai loro incastri Il cuore è come una cera Sgocciolante negli intestini
Secca ho la bocca Come una scheggia di terraglia E incollata la lingua alla mandibola Tu alla Polvere Morta mi consegni Ma tu Signore non ti allontanare ! Mia Forza presto al soccorso! Strappa al coltello la mia vita La mia unica alla mano del cane Il mio soffio alla bocca del leone Il mio frale alle corna degli arieti TU M I HAI RISPOSTO !
Grido il tuo Nome tra i miei fratelli Tra i radunati innalzo la mia lode Laudatelo tementi del Signore! Glorificatelo seme di Iacòb ! Stupitene o prole d'Israel! La miseria di un miserabile Non gli fa orrore né schifo Non gli volta la faccia Accoglie il grido che gli è gettato Sei tu la fonte del mio laudare Di tra l'immenso coro Davanti ai tuoi devoti Io scioglierò i miei voti
ii3
Mangiano da saziarsi i disperati Tripudiano gli anelanti Sia ai vostri cuori per sempre vita ! il suo Nome diranno E a Lui si volgeranno Le terre più lontane Si prosterna al tuo Volto Il brulicare delle nazioni Il dominio regale è del Signore La signoria sui popoli è sua A lui si prostra la Terra Dormiente La Polvere Discesa gli si inclina Ma da lui la mia anima trae vita Il mio seme lo servirà Del mio signore parlerà ai futuri Nel popolo nascituro, La sua Salvezza sarà pensata In atto sempre
IH)
Salmo 42 al maestro dei cantori per ricevere istruzione dei figli di Qòrah
Un bramire di cerva all'acqua E il mio bramarti o Dio La mia anima ha sete di Dio vivo Quando mai rivedrò il volto di Dio ? Giorno e notte ho per pane pianto Tutto il giorno mi sento dire - Dov'è il tuo Dio? Verso lacrime ricordando La mia allegria quando anch'io Tra i pellegrini alla Casa di Dio Mentre un inno di gioia e di tripudio Si levava da loro andavo Perché attristarti ? Perché dolori in me anima mia ? Spera in Dio! Torneremo A celebrarlo salvezza mia e Dio mio L'anima mia è prostrata Pensa a te ed è lontana Dalla terra del Giordano Dalle cime del Hermon Da quella bassa collina Il suono delle tue acque che precipitano Evoca abissi d'abisso
5
Irrompono in me i tuoi vortici Le tue ondate Torni di giorno la Grazia sua Dopo il mio canto notturno La mia supplica al Dio che vive in me Al Dio della mia rocca io dico Oh perché mi dimentichi ? Perché mi copri di buio E i nemici mi pestano Ossa già di frantumi ? Incessante è lo scherno del nemico Che mi ripete - Hai un tuo Dio tu ? Se c'è un tuo Dio dov'è? Perché attristarti ? Perché dolori in me anima mia? In Dio spera! Nel mio tornare A celebrarlo salvezza mia e Dio mio
Salmo 90 preghiera di Mosè uomo di Dio
Il Riparo sei tu Signore Per noi di età in età Prima che i monti fossero nati E della terra e dei mondi ti sgravassi Nell'infinito del tempo tu sei Dio Miriadi di anni agli occhi tuoi Sono il giorno di ieri che è passato Sono un turno di guardia nella notte Tu lo sbricioli l'uomo Gli dici disfacetevi figli d'uomo Siamo un sogno che tu disperdi Un'erba che fiorisce un mattino Al mattino un'erba fiorita Alla sera recisa inaridita Nella tua furia ci disfacciamo Nel tuo fuoco ci dissolviamo Stanno davanti a Te le nostre colpe Scruti i nostri segreti Alla lampada del tuo Viso Ecco i nostri giorni svanire Nella tua ira
7 I nostri anni cadere Come un sospiro Arrivano a settanta i nostri anni A ottanta per i più forti E tormento e miseria è il loro fiore Presto è finita e ci dileguiamo Facci conoscere che siamo fatti di giorni Sapienza ci entrerà in cuore Chi sa la misura del tuo furore ? Chi ha visto il fondo della tua ira ? Torna Signore ! Fino a quando tacerai ? Compatisci i tuoi servi Ci nutra la tua Grazia dall'aurora Noi di canti risuoneremo E quante pene da te soffrimmo Gli anni in cui non vedemmo che sciagure Compenserà la gioia Che ti si veda per i tuoi servi agire ! Scenda sui loro figli il tuo Splendore Venga a noi la divina Dolcezza del mio Signore Non manchi il tuo incremento Alla fatica delle nostre mani
n8
Salmo 90 Tu che giaci nei chiostri dell'Altissimo Tu che all'ombra di Shaddai passi la notte Parla al Signore - Tu mio Riparo E mio baluardo Mio Dio mi affido a te Egli ti trarrà fuori Dalle uccellande pronte Dal contagio sterminatore Con le sue ali saprà coprirti Tra le sue piume annidarti Non temere spaventi dalla notte Né il volare del dardo quando è giorno Né la Peste che è in marcia nella tenebra La Rovina che stermina di giorno Intorno a te a migliaia cascheranno Quanti stroncati al tuo fianco Tu non sarai toccato Per arma e scudo hai la sua Fedeltà Disigillati appena gli occhi I malvagi vedrai retribuiti Il Signore tu hai come riparo E l'Altissimo il tuo baluardo
ii9 Te la sciagura non colpirà Il flagello girerà al largo Dalla tua tenda Comanderà ai suoi angeli Di vegliarti dovunque andrai Le loro mani ti fasceranno Pietre di morte schiverà il tuo piede Sul crotalo e la vipera cammina pure Leoni e coccodrilli puoi cavalcarli Chi a me si aggrappa sarà al sicuro Chi sa il mio Nome sarà salvato Rispondo all'implorante Soffro con lui anch'io Lo rendo libero lo rendo forte Lo riempirò di giorni Avrà visione della mia salvezza
NOSTRADAMUS
Prologo alle Centurie Ritirato di notte scrutando l'oscuro, Su bronzeo trespolo il solitario riposa Sprizza da solitudine fiamma sicura Cose dirà da non credere vane In mano tiene la verga fiorita Toccano i piedi e la veste l'onda Troncato dire e voci di paura E il divino a dar luce. Dio è vicino Altra versione del medesimo Di notte siede specula arcani Scranno di bronzo solitario posa Esile uscita dal vuoto fiamma Rivelerà quel che non sia vano Verga nel mezzo apollinea tiene La veste e i piedi lambisce l'onda Strepiti e voci dai rami e paura Divinità risplende gli è vicina Centurie I, 1-2
I NOSTRADAMUS
Maria Antonietta condotta al patibolo Vedersi vinta alla grande regina Coraggio infonderà più che virile: Cavallo la porterà di là dal fiume Spoglia di tutto. Il ferro seguirà Patto stuprato Centurie I, 86
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STEPHANE MALLARME
Angoisse Il mio bacio da cui un inguaribile Orrore della vita emana Non soffierà una tempesta tragica Stanotte, nei tuoi capelli impuri; Non verrò per domarti, animale Che calamiti i peccati di tutti. Quel che io invoco dal tuo letto è il sonno Pesante, senza sogni, che ignora I crespi del rimorso nel suo fluire Che godi tu, dopo il tuo nero mentire, Tu a cui è il Nulla più familiare Che ai morti stessi. Come te anch'io Porto le stigmate della sterilità Che il Vizio imprime, sulla nativa Mia nobiltà; ma un cuore Dove il Crimine morde senza ferire Abita in te, seno di pietra, io Dal mio lenzuolo persecutore Fuggendo pallido e disfatto, asilo Vado cercando: venire Sento la Morte, se dormo solo
IIERBERT READ
Uomini della mia compagnia Tra un folto di azioni, di riti silenziosi Un corpo solo, una sola anima Voi diveniste Ma in quale momento alla vostra vita Si uni la mia? Non so dire. Fu forse quando una notte d'estate Fermatici sul bordo di una strada Voi nel chiarore scialbo stellare Intonaste le malinconiche Vostre canzoni patrie E io a quei cori di strazi nuovo Freddamente li giudicavo Oppure, forse, una notte propiziata Dal rum, di risoluto mio abbassarmi, Per gratitudine di sensi appagati Che in me la bevuta accese E poi il nostro andare Insieme al combattimento. Unanimi, inseparabili Spalla a spalla abbiamo combattuto E una fierezza di comandare Nasceva in me Un folto di azioni, di riti silenziosi Mi hanno in voi risucchiato. E altra volta, tutti voi attorno. Stando più in alto io, in su volgevate Gli sguardi, ed emanava Da voi tale splendore,
123
Di luminose vibrazioni una cosi varia Intensità, che tanta Nostra armonia concorde Di grazia s'incoronava Mio Dio ! In una landa desolata Io mi ritroverò, infinitamente solo: E il mio cuore getterà strida Per l'anima che è stata, che ai venti Si è dispersa, ormai spenta, ormai svuotata. E andrò qua e là brancolando E il mio grido vi chiamerà o uomini Meravigliosi ! Ahi dove siete Miei uomini tanto amati ? Dove ti sei perduta Compagnia mia ?
FRANÇOIS VILLON
I rimpianti della bella Elmiera
Aaah ! Vecchiaia bastarda e feroce ! Perché cosi presto mi hai disfatta ? Tenetemi! o la faccio finita Subito, con questa vita Il potere mi hai tolto, illimitato, Che mi aveva Bellezza dato Su letterati, mercanti, prelati. Con gioia, per me, qualunque uomo Si sarebbe a quel tempo rovinato Purché gli avessi concesso Quel che rifiutano i cani, adesso E a quanti io non l'ho data! Molto furba non sono stata... Fu per amore di un ragazzaccio, E a lui la davo troppo, senza ritegno. Gli altri me li giocavo, ma lui Sull'anima mia! lui lo amavo ... Ma peggio d'una bestia mi trattava, Per i soldi soltanto mi voleva E rompermi tutta di botte poteva, Pestarmi sotto i piedi... Sempre l'amavo! Se mi diceva, dopo le reni Avermi ben trebbiato, baciami Io tutto dimenticavo. Col sangue infetto quella carogna Mi prendeva... Eccomi bella grassa! Cosa mi resta ? Peccato e vergogna
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È morto, ormai, da trent'anni. 10 sono vecchia, bianca. Quando penso, miseria, al mio buon tempo, A com'ero e a come sono, Quando contemplo nuda Tutta la mia rovina E mi vedo secca, scarnita, Darei nel muro la testa Dov'è finita quella bella fronte, La bionda treccia, il ciglio arcuato, 11 bello spazio tra gli occhi, Lo sguardo che irretiva anche i più accorti Dove sono ? E quel nasino di perfezione, Le orecchioline bene attaccate, La fossetta sul mento, i tratti splendenti, Le labbra di corallo, ardenti ? E le spalle, altère, delicate, Le lunghe braccia, le mani sottiline, Le tettine adorabili, i fianchi carnosi, Ben rilevati, perfetti, fatti apposta Dagli amorosi lacci a essere cinti. Il bel culone e il fichino Tra coscie solide ben collocato Dentro il suo erboso tappetino ? La fronte, rughe. Il pelo, grigio. Cascati i sopraccigli, i lampeggianti Occhi che folgoravano gli amanti Spenti. Il naso tutto storto. Bellezza ti saluto ! Le orecchie spenzolate e impelosite, La faccia pallida, stinta, di una morta. Labbra che cascano, mento di trippa...
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Qua tocchi il fondo, bellezza umana! Le braccia accartocciate, le mani rattrappite, E spalle addio, una gobba. Due cavità, le tette. Sconcezze i fianchi, come le tette. La fichina è volata via. Le coscie? Coscie non sono più: due steccolini Pieni di chiazze, come salamini Cosi il nostro buon tempo Insieme, noi vecchiette rimbambite Per terra accovacciate, rimpiangiamo. Siamo un mucchietto di gomitoli Attorno a un fuoco di ramettini. Una fiammata, già inceneriti... E che splendori eravamo ! A tutti tocca. E la vita. Le Testament - w . 457-532
GIORGIO SEFERIS
Monaxià Là, dove sempre tende ogni partire Si ritorna: all'essere più soli. Una brancata di terra, in un cavo Di mani vuoto. da Una parola per l'estate
JOYCE MANSOUR
ìnsensiblement tu glisses vers la foli e des rèves Verso i deliri dei sogni Scivoli tu pian piano. I tuoi occhi si chiudono alla vita. In un oceano bianco s'immergono Le tue pupille dilatate. Rovesciando il trabocco Del tuo cervello senza più ormeggi Con la lingua impastata è cascante La tua bocca. Nel presagio dei tuoi farnetichi Tutta intera la stanza si è contratta. I tuoi furori io voglio E che ti eccitino i miei seni. Voglio vedere i tuoi occhi appesantirsi, Le tue guance incavate farsi biancastre. I tuoi fremiti voglio. Che tu mi sborri in mezzo alle coscie, Che il fertile umore del tuo corpo Sazi in me, spudorato, la bramosia.
129
WILLIAM SHAKESPEARE
Tbat time ofyear thou mayst in me behold Tu puoi vedere in me quell'epoca dell'anno Quando, fatte rare dalla caduta, pendono Ingiallite le foglie dai rami assiderati, Cantorie di rovina dove dolci uccellini Cantavano. Tu vedi in me il giorno che finisce, Il suo svanire a Ovest dietro al sole Tramontato quando la nera Notte Lo porta via di colpo, e la gemella della Morte Affonda tutto e tutti nel riposo. Tu vedi in me il fuoco languescente Che nelle ceneri della sua giovinezza Ancora ha slanci e il suo stesso alimento Lo va spegnendo, come nel posarsi Estremo del sospiro. E questa percezione fa il tuo amore Più forte: tu con più ardore ami Colui che presto ti dovrà lasciare. Sonetti, 73
GIORGIO S E F E R I S
131
Eùxir/.i,« - Buona fortuna
Viaggiando ho consumato la mia vita. L'ho consumata tra alberi ingialliti Giaciuti nella pioggia, Su silenziose pendici Che il fogliame di faggio ricopriva E non c'erano fuochi sulle cime. Sta calando la sera. Mormorii nel silenzio sterminato (Non so più bocca aprire, né ragionare) Trattengono in me la vita: Di quella notte il respiro di un cipresso, La voce umana dell'onda marina Notturna sulla ghiaia, il ricordare La tua voce e il suo dirmi «buona fortuna». da Epifania 193J
Con questi due frammenti da una delle grandi poesie di Seferis, il traduttore-autore, anche lui dicendo «buona fortuna», si congeda dalle lettrici e dai lettori di questa sua Antologia.
Indice
ERACLITO
p. 3
«Nascendo sono afferrati» ANTONIO MACHADO
4
Arcobaleno notturno CONSTANTINOS K A V A F I S
5
Tomba di Iassis ALFRED DOBI.IN
6 7
«Franz urla» ANTONIN ARTAUD
I Cenci
J O Y C E MANSOUR
8
«Io chiedo un pane» G U I L L A U M E APOLUNAIRK
9
«Ascolta se piova ascolta» WII.ERED OWF.N
io
Un amore più grande
12
Dal secondo libro dì Samuele (cap. i , 17-27)
14
11 treno dei feriti
16
Vedrà
18
In scena
MIGUEL HKRNÀNDEZ RACINE
SEFERIS ANTONIO MACHADO
19 20
A IJster Epitaffio di Eschilo WILLIAM SHAKESPEARE
21
Re Lear
22
Monologo di Carlotta Corday
P E T E R WEISS
INDICE
134 W I L L I A M BI.AKF,
p. 23
La tigre SAFFO
25
«O Luna, già sei sparita... E voi, le Pleiadi»
26
Ecloga IV
VIRGILIO
ERACLITO
27
«Il Fuoco verrà» FJ.IOT
28
«Quando discende tagliando l'aria» WILLIAM SHAKESPEARE
29
Macbeth WILLIAM BLAKE
30
The Grey Monk PAUL CELAN
32
«Il tavolo, di legno d'ore, con» WILLIAM BLAKE
33
Lo spazzacamino
34 35
«Sulle aiuole deserte è il triste inverno» Le pitre châtié
STÉPHANE M A L I .ARME
RAINER MARIA R I L K E
36
Dalla quarta Elegia Duinese ANTONIO MACHADO
37
Canto andaluso E M I L E ZOLA
38
Da Germinal VIRGILIO
39
lbant obscurì...
40
Dalla prima Elegia Duinese
RAINER MARIA R I L K E ORAZIO
42
Tu ne quaesieris MARZIALE
43
«Questa bambina, mia carezza e gioia» J O Y C E MANSOUR
44
«Per quanti amori il tuo letto ha gridato?» ORAZIO
45
Eheu fugaces GIOVENALE
47
«La natura, al genere umano, ha dato»
CE
50 51 52
ANTONIO MACHADO
«Occhi che un di si aprirono «In coro con me cantate» ADRIANO I M P E R A T O R E
L'anìmula ORAZIO
53 55
58 60 61
Aequam memento Cantico dei Cantici (cap. 8, 1 SOFOCLE
Edipo Re WILLIAM SHAKESPEARE
Re I^ar Geremia (cap. 4, 23-26) CATULLO
62 63 64
65 66 67 68
71
Carmina Carmina Carmina Carmina Carmina Carmina
2 7 16 46 51 72
Giobbe (cap. 3, 1-26) Isaia (cap. 2 1 , 1 - 1 7 )
75
Isaia (cap. 25, 1 - 1 2 )
78
Isaia (cap. 47, 1-3, 10-15)
81
F.MII.E ZOLA
L'Assommoir ARTHUR RIMBAUD
82
Sensazione
83 84 85 86
Epigrammi Epigrammi Epigrammi Epigrammi Epigrammi Epigrammi
87 88 89 92 94
MARZIALE
Qohélet (cap. 1 2 , 1-8) Qokélet (cap. 3, 14-22) Qohélet (cap. 9 , 7 - 1 2 ) LUCREZIO
96 98
xi, 29 1, 34 1, 90 x, 7 1 vi, 1 5 x, 6 1
I terremoti La morte
INDICE ANASSIMANDRO
p. 99 ioo
«Ogni cosa sia nata cresce» Prologo dell' Evangelo di Giovanni ARTHUR RIMBAUD
102 104
Genio L'Eternità CONSTANTINOS K A V A F I S
105 107 108
Itaca Dal libro della Genesi FRIEDRICH NIETZSCHE
Tra figlie del deserto
SIMONIDE
109
«Ai morti delle Termopili»
no
Salmo 22
114
Salmo 42
116
Salmo 90
118
Salmo 91
120 121
Prologo alle Centurie Maria Antonietta condotta
NOSTRADAMUS
alpatibolo
STÉPHANE MALI .ARMÉ
122
Angoisse H E R B E R T READ
123
Uomini della mia compagnia FRANÇOIS VII.I.ON
125
1 rimpianti della bella FJmiera GIORGIO SF.FKRIS
128
Monaxià J O Y C E MANSOUR
129
Insensiblement tu glisses vers la folie des rêves WILLIAM SHAKESPEARE
130
Tbat time of year thou mayst in me bebold
131
GIORGIO SEFERIS
Eì)Tl>xiot -Buona fortuna