Su le implicazioni teoretiche della struttura formale [PDF]

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Zitiervorschau

V

GIOVANNI ROMANO BACCHIN

SU LE IMPLICAZIONI TEORETICHE DELLA STRUTTURA FORMALE

J A N D I

S A P I

E D I T O R T

PROPRIETÀ LETTERÀRIA RISERVATA

JANDI SAPI EDITORI Roma, Via Crescenzio, 62 — Tel. 358.366 - 383.386

A mio padre e a mia madre.

^A

INDICE

INTRODUZIONE

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XI

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SEZIONE PRIMA

IL CONCETTO DI TEORESI

CAPITOLO PRIMO

Il concetto di teoresi Il concetto di condizionamento Constatazione e necessità Il concetto di esperienza Fondazione del concetto critico di esperienza Passaggio dalla teoreticità del concetto di esperienza alla ontologia

CAPITOLO SECONDO

Il carattere trascendentale della Analisi linguistica ed antimetafisica Rapporto tra linguaggio e

filosofia filosofia

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SEZIONE SECONDA

TEORESI DELLA LOGICA

CAPITOLO TERZO

La teoresi della logica Recupero dell'alterità tra realtà e logica Limiti di un'assiomatica Ambiguità tra logica ed assiomatica

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CAPITOLO QUARTO

Struttura logica ed universo logico Struttura logica ed ipotesi Ipotesi e problematizzazione Ipotetizzazione e negazione Rapporto della negazione all'essere

CAPITOLO QUINTO

Struttura logica e principio logico Struttura del principio logico

CAPITOLO SESTO

Il problema teoretico della nozione logica fondamentale Rapporto tra intuizione e dimostrazione Il problema della obbiettivazione della logica

CAPITOLO SETTIMO

Determinazione e descrizione della struttura Logica e gnoseologia Limiti del problema della relazione tra logica e gnoseologia . . . . Logica e concetto

Vili

Il concetto come campo d'operazione Struttura dell'operazione e del suo campo Identità di struttura tra operazione e campo a) Principio d'identità e struttura 6) Interpretazione del limite di pensabilità . . . . . . . . . e) Limite dell'insufficienza del principio d'identità d) Valori di verità e struttura e) Rapporto tra valore di struttura e valori . . . . . . . .

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CAPITOLO OTTAVO

Analisi della struttura del concetto a) Analisi del concetto di implicazione b) Analisi del valore del concetto d'implicazione e) Analisi della struttura del concetto e dell'inferenza

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SEZIONE TERZA

LA STRUTTURA LOGICA SOTTO L'ASPETTO DEL SENSO E DEL SIGNIFICATO

CAPITOLO NONO

Senso e significato Le implicazioni teoretiche della distinzione tra senso e significato a) Le difficoltà teoretiche del Tractatus logico-philosophicus di L. Wittgenstein b) Validità teoretica della logica sotto l'aspetto del senso e del significato e) Ulteriore sviluppo critico della nozione di valore teoretico . d) Valore e funzioni di verità

CAPITOLO DECIMO

Il momento interpretativo della logica formale a) senso e significato ed interpretazione proposizionale . . . 6) il carattere teoretico dell'interpretazione e) limite della teoreticità dell'interpretazione proposizionale . .

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SEZIONE QUARTA

LA STRUTTURA LOGICA SOTTO L'ASPETTO DELL'INSIEME DI ELEMENTI

CAPITOLO UNDICESIMO

La nozione di insieme in termini di struttura Pag. 189 a) Connessioni del concetto « implicato » con il valore . . . . » 193 b) Ulteriore precisazione della nozione di concetto astratto di una data classe » 194 e) Il valore della distinzione tra comprensione ed estensione concettuale » 198

CAPITOLO DODICESIMO

La nozione logica di « appartenenza » a) La nozione di « partecipazione » come via alla soluzione delle antinomie della nozione di insieme b) Limiti dell'interpretazione « empirica » della funzione di appartenenza e) Analisi e precisazione del termine « essere » come condizione al superamento dell'interpretazione « empirica » della nozione di appartenenza

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Rapporto tra proposizione e funzione proposizionale a) Rapporto tra proposizione e funzione b) Rapporto tra classe e funzione

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Analisi della nozione di funzione proposizionale

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CONCLUSIONE

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NOTE

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CAPITOLO TREDICESIMO

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INTRODUZIONE

Il presente lavoro prende l'avvio dalle varie considerazioni intorno alla logica formale che Ch. Perelman espone nella sua relazione introduttiva Logique, langage et communication, al XII 0 Congresso Internazionale di Filosofìa (Venezia, 12-18 Settembre 1958), (1) considerazioni che pongono in primo piano il problema dei rapporti tra logica formale e teoria della conoscenza, che è quanto dire tra logica come scienza e filosofia. Il Perelman presenta una possibile direttiva alla ricerca filosofica intorno alla logica mettendo in evidenza la « insufficienza » del punto di vista strettamente formale alla valutazione della stessa caratteristica « formale » della logica, insufficienza che diviene chiara allorché si tratta di « interpretare » il sistema formale. L'applicazione nel si-. stema del principio d'identità comporta infatti che tutte le espressioni che compaiono in esso presentino una ben definita univocità, abbandonata la quale cadrebbero le ragioni stesse che giustificano l'impiego dei sistemi logistici. Il problema così impostato presenta indubbiamente un notevole sforzo di approfondimento preliminare e di precisione perché non contrappone la logica alla filosofia, sia pure per constatarne la compresenza in linea fenomenologica, né destituisce la logica del valore di scienza, ma sottolinea la necessità di una relazione tra logica come « forma » e valori extraformali, nel senso che si può parlare di logica formale come studio delle prove logiche senza che il valore di queste comporti il valore delle premesse. (1) cfr. Atti del XII

Congresso Interri, dì Filos., Firenze, 1959.

XI

Sembra, tuttavia, che la necessità dell'interpretazione venga considerata dal Perelman quale necessità di argomenti « estranei » al formalismo come tale e, quindi, da una parte sembra che egli ponga il formalismo in quanto tale indipendentemente da ciò che, ad un livello extraformale, lo renderebbe interpretabile e, dall'altra, sembra che consideri l'interpretazione come un elemento senza di cui il formalismo, privo di univocità espressiva, non avrebbe alcuna ragione d'essere. Questa incertezza del rapporto tra formalismo ed interpretazione, in termini di insufficienza del formalismo al suo costituirsi, minaccia di rendere problematico tanto il concetto di interpretazione quanto il concetto di formalismo, perché, se l'interpretazione avviene in base ad elementi « estranei » al formalismo, il formalismo resta come tale costantemente privo di interpretazione univoca (in quanto ogni interpretazione accede, per così dire, dal di fuori, accostandosi senza giustificazione sufficiente al formalismo) e, se il formalismo si costituisce secondo un rigore interno come privo di implicazioni extraformali, l'interpretazione in termini di espressione e di comunicazione di contenuti non può non risultargli affatto « estranea ». Il formalismo dovrebbe, pertanto, risultare ad un tempo sufficiente ed insufficiente, sufficiente in quanto non bisognoso di interpretazione in base ad elementi «estranei», insufficiente in quanto nessuna « interpretazione » potrebbe aver luogo esclusivamente in base ad esso. Allora il problema del rapporto tra la logica come scienza e la filosofia, individuato nella necessità dell'interpretazione, mette in evidenza la sua dipendenza dal problema radicale del valore teoretico della logica come scienza perchè, se è l'interpretazione a fornire « valore » alla logica formale, l'autonomia del valore logico, autonomia senza la quale non ha senso parlare di rigore formale, cessa di avere un senso ed il discorso intorno ai rapporti tra logica e filosofia si pregiudica come riduzione della logica a « strumento », aprendo la strada tanto alla problematizzazione dei rapporti tra strumento e valore, riproponendosi cioè sotto altra' forma, quanto alla assolutizzazione dello strumento come valore identico al pensiero (la logica « formale » come logica « trascendentale »). Il problema del valore teoretico (interpretativo) della logica formale è il problema della garanzia del formalismo, per cui la portata ed i limiti della « prova logica » restano determinati in base ai rapporti tra la logica e le nostre possibilità conoscitive. D'altra parte, i rapporti tra logica formale e conoscenza non possono venire determinati finché non si stabilisca in che cosa consiste XII

la formalità onde la logica si distingue e si rapporta ai valori extraf ormali. Il problema potrebbe allora prospettarsi essenzialmente nei seguenti termini : che cosa fornisce garanzia alla formalità perché essa abbia valore come procedimento su valori extraformali ? Se questa garanzia le proviene dalla relazione con quei valori, in base a che cosa si stabilisce la distinzione onde essa prescinde da quei valori, appunto come pura forma P La determinazione del valore teoretico della logica formale dovrebbe prendere l'avvio da una posizione aproblematica, consistente nella necessità inizialmente riconosciuta di stabilire che cosa debba considerarsi come non-formale, onde la eventuale formalizzazione rigorosa della logica possa rapportarsi ad un « limite » oltre il quale la logica sarebbe impensabile perché contraddittoria. Il processo di formalizzazione che tende a soddisfare all'esigenza del « rigore », inteso come applicazione dei criteri dei limiti entro i quali si circoscrive un determinato valore, può di fatto non essersi compiutamente realizzato (ed una indagine storica potrebbe forse provarlo), od anche non realizzarsi affatto, senza che sia perciò compromesso il concetto della necessità del limite oltre il quale non può pensarsi alcun sistema formale. Una ricerca teoretica sul formalismo logico non può infatti dipendere dalla particolare situazione in cui la logica si viene di fatto a trovare nella sua sistemazione « scientifica », perché qualsivoglia sistemazione si afferma e si attua in funzione del concetto di « valore », concetto la cui determinazione, come attribuzione di un particolare «significato», è resa appunto possibile dalla univocità del significato di « valore ». Il fatto che si attribuisca come valore un determinato significato, onde la logica può venire definita secondo i vari e sensi » che la storia della logica presenta, non può non essere, in ogni caso, condizionato al « fatto » fondamentale (direi « trascendentale ») che la logica non può, anche rigorosamente formalizzata, non avere un proprio valore. Lo stesso processo di formalizzazione rigorosa della logica, qualunque ne sia l'origine e l'intento storiografico, risulterebbe affatto impossibile dove si escludesse la necessità ad esso di una particolare direzione, fissando il « senso » in cui tale direzione si stabilisce e si differenzia e, quindi, presupponendo il «valore» della direzione stessa. Questo discorso, valendo per la logica come per qualsiasi indagine particolare, non fa che sottolineare l'implicazione del concetto di valore almeno nel senso di « guida » del processo di costituzione di XIII

un determinato « sistema scientifico ». In questo senso non risulta pregiudicata l'assunzione di un valore piuttosto di un altro in base ad una postulazione fondata nella « realtà » delle cose (tendenza cosiddetta « platonizzante ») o sulla convenzione praticamente ed « economicamente » più giustificabile, ma resta -pregiudicata la necessità che nessuna assunzione particolare di un valore possa coincidere senza contraddizione, con « Vesclusione di un valore ». La domanda : « che cosa è il formale ?» è dunque resa possibile dalla asserzione : « vi è (si dà) un determinato valore formale ». La precisazione è importante, anche se apparentemente banale, perché in base ad essa si può escludere in sede teoretica quella conclusione estrema che, riducendo il concetto di « valore » ai singoli valori « estranei » alla logica, porta a negare quel concetto stesso di valore onde la logica si costituisce, e porta ad affermare la formalità della logica (compiutamente o non compiutamente realizzata) in opposizione a qualsiasi valore e quindi a qualsiasi attività conoscitivo-concettuale. A questa estrema conclusione sembra di fatto approdare il formalismo, almeno nella fase in cui si pretende in base ad esso di escludere (con sostituzioni più o meno palesi) la funzione trascendentale del filosofare e del concettualizzare. Pertanto, la presente ricerca non contrappone al formalismo una analisi delle sue strutture da un punto di vista fenomenologico, ma si limita a stabilire se esso implichi un particolare « universo del discorso » (o contesto concettuale-filosofico) in una qualsiasi determinazione fenomenologica. Ci si limita dunque a stabilire se si dia un limite di formalizzazione non trascendibile, non valicabile dalla logica formale. In questo senso, più che il valore effettivo (determinato secondo un significato) della logica formale, importa la necessità (almeno come « imprescindibilità ») che un valore almeno risulti costitutivo della logica formale in quanto tale. La presente ricerca si pone, dunque, in una regione ben definita come indagine « trascendentale » sulla logica, logica assunta nell'ipotesi che sia giustificata la formalizzazione rigorosa quale esclusione di valori extraformali {più propriamente « noetici ») : essa non mira a fondare [meglio, a « verificare ») l'ipotesi della formalizzazione giustificata, ma piuttosto, una volta assunta tale ipotesi come essa è formulabile in termini essenziali, mira a stabilire se qualcosa essa implichi di non formalizzabile. L'implicazione di un valore teoretico (noetico) da parte della logica

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formale come scienza sembra conseguire alla pregiudiziale ammissione di una teoreticità della scienza, almeno nel senso che qualsiasi formulazione di asserti si struttura in ordine a significati non derivabili dalla struttura. Al limite, un qualsivoglia insieme di asserti concernenti un determinato « significato » non può senza contraddizione equivocarsi con asserti a significato diverso ; è questa, al limite, la condizione al giustificarsi di una data scienza, scienza il cui valore pragmatico può rivelarsi solo a condizione appunto che si presupponga valida la « distinzione » tra significati e quindi tra asserti. Il caso della logica formale come scienza « verifica », per così dire, il caso della scienza che considera quale proprio ambito di signifìcanza lo « strumento » comune a qualsiasi attività conoscitiva, verificando appunto l'oggettivazione del « metodo » o « strumento » da parte del pensiero, oggettivazione per la quale, con la logica come scienza, si dispone di una situazione specifica entro il contesto generale della attività scientifica. Questa situazione specifica è data dal fatto che della logica come tale si parla almeno nel senso che lo strumento (o forma organologica dell'attività conoscitiva) si distingue dalle singole scienze in cui concretamente si presenta. Poiché di « formalità » si parla in senso non equivocabile, la formalità si pone come « oggettivata ». È questa oggettivazione (condizione alla affermazione della teoreticità) che rivela la specifica situazione del rapporto tra le forme logiche di cui si serve il pensiero e la scienza onde esse vengono considerate quali oggetti pensabili, descrivibili, « classificabili ». In conclusione, dunque, poiché la formalità si presenta in un senso univoco, tale senso si pone come «valore teoretico)) e, perché la oggettivazione di essa è richiesta dalla determinazione della sua univocità, di tale forma si può dare considerazione scientifica e, per la possibilità di oggettivare le forme del pensiero {logica) da parte del pensiero [gnoseologia), non si può risolvere senza contraddizione il pensiero in esse. Pertanto, il pensiero onde le strutture-forme divengono oggetto di scienza non « è » quelle strutture e non è oggetto di quella scienza : è quanto pone la distinzione trascendentale (non empirica e non eliminabile senza contraddizione) tra logica come scienza (fenomenologia della logica) ed attività trascendentale del conoscere. La logica come scienza ha allora per suo oggetto le « forme » logiche (rapporti logici, «strutture», «costanti» logiche, a prescindere dai « contenuti >. nei quali tali forme si presentano, contenuti XV

che entrano a costituire appunto l'oggetto di altre possibili scienze. Mettiamo l'accento su quel prescindere perché la logica come scienza si differenzia da tutte le altre scienze proprio in virtù di questa « precisazione », cioè per l'assoluta indifferenza ad essa dei vari contenuti possibili. Si vedrà, nel corso del lavoro, quale portata e quali limiti abbia questa peculiarità della logica come scienza ; importa comunque sottolineare la necessità che la logica si costituisca come « indifferente » a qualsiasi contenuto, cioè, diremmo, usando della comune terminologia logistica, come indifferente ai « valori di verità » delle proposizioni (o degli « argomenti » che ne verificherebbero le funzioni). Questo momento epistemologico per il quale si può fare della logica come scienza solo a patto di isolare, per così dire, la forma dai valori, comporta che si stabilisca un qualche rapporto tra la logica come forma e l'universo (reale o possibile) in cui la forma si articola in un determinato discorso. Questo rapporto è condizionato dalla possibilità di sospendere, come entro una parentesi, i singoli contenuti di asserzione (i valori intorno a cui si enuncia) con un procedimento che consenta la negazione e quindi spieghi psicologicamente (direi « operazionalmente ») l'errore, donde la legittimità teoretica del dubbio e della « epoche ». È evidente che se la logica come forma si costituisce « a prescindere » dai singoli contenuti, la logica ha essenzialmente bisogno di questa «sospensione» o parentesi, ma è anche evidente che questa « sospensione » non entra a costituire la logica come tale. Sembra dunque di poter concludere che il rapporto tra forma logica e valori sia « condizionato » dalla sospensione, non già « costituito » da essa, proprio perché essa a quei valori (comunque dati, dentro o fuori della parentesi) si rivela indifferente. La forma logica si costituisce, del resto, in correlazione con ciò che ne giustifica l'esserci, dandone la possibilità dell'uso; ma questa correlazione è appunto data « a prescindere » dall'uno o dall'altro dei valori: essa è una correlazione con ciò che « può » venire affermato e negato ed è quindi valida indifferentemente per l'uno o per l'altro dei valori. Sembra allora che quanto costituisce l'ens rationis o secunda intentio degli Scolastici potrebbe agevolmente venir ricondotto a questa « condizione di uso » della forma logica, senza che la logica, come rapporto formale tra valori, sia posta a fondamento o giustificazione di una particolare « realtà » non riducibile all'essere della considerazione ontologica. Se la logica come scienza pone un rapporto tra forma e valori, là XVI

logica come forma « prescinde » da questi valori (il prescindere come condizione al rapporto è la stessa « parentesi » entro la quale possono porsi quei valori). Entro la considerazione della logica come scienza ha dunque senso parlare di « rapporto » tra forma e valori (e di conseguenza ha senso parlare di formalizzazione rigorosa) perché non si può costituire una scienza senza che si attui una circoscrizione univoca dell'oggetto, •a principio epistemologico » non problematizzabile con « gli strumenti » disponibili a quella scienza. Nel caso della logica, la « circoscrizione » è data dalla possibilità di considerare la e forma » logica indipendentemente da tutti i valori e questo comporta appunto la possibilità di rapportare e di distinguere la logica dai possibili « discorsi », lo strumento dalle singole scienze che ne fanno uso. Ciò proposto, entro la considerazione della logica come scienza, l'« interpretazione » del sistema formale (nel senso che intende il Perelman) diventa interpretazione del rapporto in cui tali forme attuano un determinato « discorso », divenendo così non interpretazione della logica come forma, ma della logica come « discorso » (a variabili sostituite). Sotto questo aspetto, l'interpretazione riguarda allora la « comunicazione » di valori, affidata alle variabili sostituite dai « contenuti » materiali ed è interpretazione del « simbolismo ». Ora, poiché non può sussistere problema dove non sussista una distinzione, tra simbolo e sostituzione (tra variabile ed argomento) non si dà propriamente problema : simbolo e sostituzione si presentano, infatti, come un unico dato, in quanto il simbolo non si contrappone alla realtà, ma si pone col posto della realtàn, nel senso almeno che l'operazione logica su « qualcosa » è in effetti operazione logica sui simboli. La sostituzione che consente la operazione logica e appunto sostituzione senza residuo e tale sostituzione è possibile solo dove si profili il caso della & identità » quale esclusione della possibilità di un qualsiasi rapporto. Ne segue che il simbolismo come tale non presenta se non « operazionalmente » un valore autonomo e, quindi, che non si giustifica la domanda se esso « rispecchi » in qualche modo la realtà. L'interpretazione del simbolo è affidata esclusivamente alla realtà comunicabile, in quanto, al livello logico, esso « è » la realtà comunicabile. I limiti del convenzionalismo potrebbero allora venire precisati entro la presente « formula », per la quale il simbolo può venire « arbitrariamente » scelto senza che l'arbitarietà della convenzione infici la XVII u

validità della comunicazione noetica ad essa affidata, ed è tale da sostituire sul piano logico la cosa comunicata senza rivelare, nella propria costituzione simbolica, la necessità che si dia una corrispondenza « pitturale » (secondo l'espressione ormai classica di Russell) con la cosa comunicata. Il simbolo si preciserebbe così quale veicolo di comunicazione cui la comunicazione è essenzialmente estranea (è esclusa la comunicazione che si risolve in se stessa) ed il formalismo logico non risulterebbe in alcun senso « mediabile » dal simbolismo nel suo rapporto con la realtà : poiché, propriamente parlando, il simbolismo non pone se non un rapporto psicologico (operazionale) con la realtà, l'uso del simbolismo non media il rapporto che invece sussiste tra logica e realtà. Ove si volesse, al contrario, mantenere una certa « corrispondenza» tra forma simbolica e realtà, la si dovrebbe fondare su di una presupposta identità di forma tra la logica e la realtà e questo comporterebbe che dalla considerazione del simbolismo si passi a quella del formalismo delle costanti logiche, cioè alla logica vera e propria, la cui formalizzazione non consente, nell'ipotesi che essa sia giustificata, di parlare di identità con la realtà. Infatti, quale formalizzazione rigorosa sarebbe possibile dove sì presupponesse una identità di « forma. » tra logica e realtà, nel senso indicato, ad esempio, dallo «isoformismo » del Wittgenstein? Del resto, anche trascurando la validità di questo argomento, condizionata — come si vede — dal valore del formalismo quale risultato di un processo di « liberazione » da elementi noetici, resterebbe problematica la stessa possibilità di quel rapporto tra la logica come strumento e i valori di verità, che abbiamo visto risultare dalla situazione specifica della logica. La questione dell'interpretazione del sistema logistico riguarda allora lo « stato ontologico » (per usare l'espressione del Pcrelman) delle strutture logiche e si ripropone quindi in termini di rapporto tra « logica formale » e « logica trascendentale ». Il problema si presenta di fatto in termini di rapporto tra scienza particolare e filosofia e si configura secondo la situazione di una « congiunzione » o di una « disgiunzione » tra le due : « logica formale » e « filosofia », oppure « logica formale » o «filosofìa». Si tratta, infatti, di stabilire se si possa dare del problema una soluzione che mantenga intatto il rapporto della impostazione originaria o che risolva uno dei due termini del rapporto nell'altro ter-

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mine. La suggestione di una impostazione che, almeno originariamente, non sacrifichi i due termini, si presenta molto forte perché essa sembra condizionare una soluzione che non contraddica all'impostazione e consenta di stabilire un discorso atto a conservare ai due termini del rapporto valore autonomo ed irriducibile. È questa, infatti, l'impostazione prospettata da Francesco Barone (2), il quale mette tuttavia in evidenza che una impostazione fenomenologica del problema non può risultare dal semplice accostamento dei due termini del rapporto nel senso di una semplice « compresenza », m a esige che si dia un nesso tra i termini « congiunti », nel senso appunto che la congiunzione ha in logica formale, una unità entro cui si possa legittimamente parlare di rapporto e quindi di problema. Tuttavia, l'impostazione del Barone sembra essere già pregiudicata, suo malgrado, dalla assunzione del problema in linea fenomenologica, almeno in quanto il « fatto » che logica formale e logica trascendentale si presentano secondo una certa compresenza (almeno «storica»), sembra assurgere a fondamento di una soluzione che non riduca i due termini ad uno. D'altra parte è ben evidente che una impostazione che dia « congiuntamente ? >: logica formale e « logica trascendentale, ma anche indichi il senso in cui va intesa tale congiunzione (escludendo infatti la semplice compresenza), è già t u t t a pregiudiziale rispetto alla soluzione : essa è, si può dire, già una « soluzione ». Infatti il semplice accostamento di logica formale e logica trascendentale non costituisce una impostazione, perché il problema comporta che si dia una relazione da problematizzare, e la congiunzione (nel senso pieno che il Barone indica) non è una semplice impostazione, perché dà per non problematizzabilc proprio quella relazione che caratterizza il porsi del problema. In che senso, dunque, si potrà parlare di impostazione fenomenologica che indichi la direzione della stessa soluzione al livello trascendentale ? In altre parole, un'impostazione del problema al livello fenomenologico può consentire che si dia una soluzione di esso in modo da essere valida anche al livello trascendentale ? Mi sembra che questi interrogativi il Barone nella sua opera, Logica formale e logica trascendentale, non se li sia posti, e che, pertanto, le sue indicazioni, pur materiate di ricchissime notizie

(2) F. BARONK, Logica formale e logica trascendentale, Torino, r