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17 Questioni di storia contemporanea Collana diretta da: Paul Corner, Nicola Labanca, Daniele Menozzi, Giovanna Procacci
Volumi pubblicati: Giampiero Carocci, Il trasformismo dall’Unità ad oggi Paul Corner, Dall’agricoltura all’industria David Bidussa, Il sionismo politico Anna Rossi-Doria, Il primo femminismo (1791-1834) Simonetta Ortaggi, La formazione della classe operaia europea Stuart Woolf, Il nazionalismo in Europa Giovanni Sabbatucci, Le riforme elettorali in Italia (1848-1994) Antonio Bechelloni, Metamorfosi di un modello repubblicano. Francia 1944-1993 Camillo Daneo, L’Italia “altra”. Il Mezzogiorno dall’Unità ai giorni nostri Leonardo Rapone, Antifascismo e società italiana (1926-1940) Nicola Labanca, L’istituzione militare in Italia. Politica e società Daniele Pasquinucci, I progetti di Costituzione europea Dall’Assemblea “ad hoc” alla Dichiarazione di Laeken Angelo Malinverno, La scuola in Italia. Dalla legge Casati alla riforma Moratti (1860-2005) Andrea Panaccione, Il 1956. Una svolta nella storia del secolo Jorge Torre Santos, Il sindacato nell’Italia del secondo dopoguerra Enrico Francia (a cura di), Il Risorgimento in armi. Guerra, eserciti e immaginari militari
Simone Duranti
LEGGI RAZZIALI FASCISTE E PERSECUZIONE ANTIEBRAICA IN ITALIA
EDIZIONI UNICOPLI
Si ringraziano gli Autori e gli Editori per la cortese disponibilità alla riproduzione dei brani riportati. L’Editore dichiara di essere a disposizione degli aventi diritto nei casi e nei limiti previsti dalla legge sul diritto d’autore.
ISBN: 9788840020587 Prima edizione: maggio 2019 Copyright © 2019 by Edizioni Unicopli, via Andreoli, 20 - 20158 Milano - tel. 02/42299666 http://www.edizioniunicopli.it Fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume dietro pagamento alla Siae del compenso previsto dall’art. 68, comma 4, della legge 22 aprile 1941, n. 633, ovvero dall’accordo stipulato fra Siae, Aie, Sns e Cna, Confartigianato, Casa, Claai, Confcommercio, Confesercenti il 18 dicembre 2000.
INDICE
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Introduzione
29 Prefazione alla Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo di Delio Cantimori 49 Le Introduzioni alla Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo di Renzo De Felice 77 Santa Sede e Chiesa italiana di fronte alle leggi antiebraiche del 1938 di Giovanni Miccoli 117 Fascismo, antisemitismo e cultura italiana di Eugenio Garin 137 I razzismi del fascismo di Mauro Raspanti 169 I caratteri «propri» dell’antisemitismo italiano di David Bidussa 193 L’antisemitismo tra le due guerre in Europa di Enzo Collotti 213 L’applicazione delle leggi contro le proprietà degli ebrei (1938-1946) di Fabio Levi
Indice
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p. 235 Le case e le cose degli ebrei. Un bilancio storiografico sull’Egeli e sugli aspetti economici della persecuzione fascista di Fabio Levi 259 Introduzione a Le interdizioni del Duce di Alberto Cavaglion, Gian Paolo Romagnani 299 La legislazione antiebraica 1938-1943 di Michele Sarfatti
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Indice dei nomi
INTRODUZIONE
Trascorsi ottant’anni dall’inizio della prassi persecutoria dell’ebraismo da parte del fascismo italiano, si propone una antologia di quegli scritti che mi sembrano rappresentare momenti fondamentali del dibattito e della ricerca sul tema. La letteratura scientifica, come del resto la memorialistica, anche limitatamente alla fase della “persecuzione dei diritti” che precedette quella delle vite, è ormai molto consistente per qualità e quantità1. Questo non significa che ogni ambito degli effetti del La produzione scientifica sul rapporto fascismo/antisemitismo/leggi razziali è ormai così ampia da aver generato frequenti e numerose messe a punto storiografiche. Segnalo qui (in ordine cronologico) le rassegne che mi sembrano più utili per indirizzare il lettore e chiarire genesi e sviluppo del dibattito: M. Toscano, Gli ebrei in Italia dall’emancipazione alle persecuzioni, in “Storia contemporanea”, a. XVIII, n. 5, ottobre 1986, pp. 905-954; E. Collotti, Osservazioni sulla storiografia sulle leggi razziali, in “In Formazione” (notiziario bibliografico di storia contemporanea italiana dell’Istituto storico della Resistenza in Toscana), a. XVI, nn. 30/31, novembre 1998, pp. 3-11 (rassegna che riprende con alcune modifiche il testo pubblicato in tedesco nel 1997 negli scritti in onore di Wolfgang Schieder); E. Collotti, Il razzismo negato, in Id. (a c. di), Fascismo e antifascismo. Rimozioni, revisioni, negazioni, Laterza, Roma-Bari 2000, pp. 355-375; V. Galimi, La persecuzione degli ebrei in Italia (1938-1943). Note sulla storiografia recente, in “Contemporanea”, a. V, n. 3, luglio 2002, pp. 587-596; E. Collotti, Bibliografia ragionata, in Id., Il fascismo e gli ebrei. Le leggi razziali in Italia, Laterza, Roma-Bari 2003, pp. 167-183; M. Toscano, Ebraismo e antisemitismo in Italia. Dal 1848 alla guerra dei sei giorni, Angeli, Milano 2003, cap. 10; T. Dell’Era, Scienza, politica e propaganda. Il Manifesto del razzismo italiano: storiografia e nuovi documenti. Prima parte. La storiografia, in “SIFP”, On-line Journal of the Società Italiana di Filosofia Politica, December 2007, pp. 1-43; G. Rigano, Storia, memoria e bibliografia delle leggi razziste in Italia, in M. Beer ― A. Foa ― I. Iannuzzi (a c. di), Leggi del 1938 e cultura del razzismo. Storia, memoria, rimozione, Viella, Roma 2010, pp. 187-209; I. Pavan, Gli storici e la Shoah in Italia, in M. Flores et al. (a c. di), Storia della Shoah in Italia. Vicende, memorie, rappre1
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Introduzione
razzismo antiebraico fascista sia stato adeguatamente affrontato. Oltre alla verifica in sede locale dell’impatto della legislazione sulla società fascista e sulle sue vittime, mi pare auspicabile una maggiore integrazione fra discipline e sensibilità di ricerca differenti: gli specialismi non sempre dimostrano di saper dialogare ed anche per questo permane una distanza fra le acquisizioni degli addetti ai lavori e la consapevolezza della società italiana odierna sul nostro razzismo e sul significato dell’antisemitismo a partire dall’esperienza fascista2. Non credo sia inutile chiedersi quindi che significato abbia oggi concretamente la celebrazione di un Giorno della Memoria nelle scuole; che peso assuma, al di là della retorica di rito, la responsabilità del singolo cittadino di fronte alle ingiustizie e alle discriminazioni promosse da un governo. Quel governo era fascista ma per l’opinione pubblica italiana si possono condannare determinate azione politiche senza mettere completamente in discussione il giudizio bonario sul ventennio. Uno degli effetti dell’introduzione del Giorno della Memoria è stato l’aver aggiunto un altro distinguo al peraltro superficiale giudizio sul fascismo italiano: assieme alla disgraziata decisione di legarsi al nazismo che ci ha portato alla guerra mondiale, oggi troviamo anche la giusta riprovazione per il razzismo antisemita (anche questo comunque di importazione tedesca). Mi pare quindi che la ricchezza degli studi sull’antisemitismo e il razzismo in Italia non sia riuscita a cambiare il giudizio complessivo sull’esperienza fascista negli italiani di oggi e quell’indagine sul mito del “bravo italiano” che Bidussa ha acutamente realizzato nel 19943, spiegandoci le esigenze difensive e auto assolutorie per la coscienza di un popolo che è stato non solo vittima o spettatore di un regime criminale, non ha sedimentato nel Paese. Andiamo piuttosto assistendo ad una diminuzione degli
sentazioni, vol. II, Memorie, rappresentazioni, eredità, Utet, Torino 2010, pp. 135-164; I. Pavan, Fascismo, antisemitismo, razzismo. Un dibattito aperto, in D. Menozzi, A. Mariuzzo (a c. di), A settant’anni dalle leggi razziali, Carocci, Roma 2010, pp. 31-52; V. Galimi, Politica della razza, antisemitismo, Shoah, in “Studi Storici”, a. 55, n. 1, gennaio-marzo 2014, pp. 169-181; M. Toscano, Il dibattito storiografico sulla politica razziale del fascismo, in G. Resta – V. Zeno-Zencovich (a c. di), Leggi razziali. Passato/presente, Roma TrE-Press, Roma 2015, pp. 9-41. 2 Ancora alla fine degli anni Novanta, Collotti si auspicava che la storiografia fosse capace di reintegrare “in pieno la storia della persecuzione razziale nel quadro della società italiana e non come storia separata degli ebrei”. Cfr. E. Collotti, Il razzismo negato, cit. p. 374. 3 D. Bidussa, Il mito del bravo Italiano, il Saggiatore, Milano 1994.
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imbarazzi e il “bravo italiano” oggi vive comodamente in un clima che ha sdoganato l’intolleranza. Certo, se la storiografia colta e gli specialismi non sono in grado di contribuire all’aumento di consapevolezza del passato recente di una nazione, i motivi risiedono non solo sulla sua difficoltà di comunicazione col grande pubblico, ma nell’esistenza di una serie di voci mediatiche alternative ben più efficaci e attraenti che sanno portare acqua al mulino del senso comune, dandoci conto di quanto l’uso pubblico della storia e l’impiego politico della memoria siano essenziali per la edificazione della coscienza nazionale italiana4. A mio parere uno dei ragionamenti che ha contribuito ad autoassolvere un Paese e il regime che lo ha governato rimane quello condotto da Renzo De Felice nella nota intervista di Giuliano Ferrara nella quale si afferma che l’Italia sia “fuori dal cono d’ombra dell’Olocausto”5. Eppure De Felice e il suo lavoro di ricerca si pongono alla base della ricostruzione storico-storiografica sulla legislazione razzista antiebraica fin dal 19616. Lo scarto fra la ricerca di De Felice e le sue uscite pubbliche sulla carta stampata ha determinato accesi dibattiti e condizionato il clima culturale italiano per molti anni, dimostrando quanto il ripensamento del passato fascista fosse utilizzabile anche sul piano politico. Nell’intervista del 1975 con Ledeen7 si radicalizzava il discorso di De Felice sulle differenze fra fascismo e nazismo e sulla impossibilità di ricorrere ad una genera-
Importante lo studio di F. Focardi, Il cattivo tedesco e il bravo italiano. La rimozione delle colpe della seconda guerra mondiale, Laterza, Roma-Bari 2014. 5 Vale la pena ricordare l’intero passaggio da un intervista (“Corriere della Sera”, 27 dicembre 1987) dove De Felice con Ferrara ragionava di necessità di revisione dei presupposti antifascisti della carta costituzionale: “Io ho fatto e faccio il mio lavoro di storico del fascismo. So che il fascismo italiano è al riparo dall’accusa di genocidio, è fuori dal cono d’ombra dell’Olocausto. Per molti aspetti, il fascismo italiano è stato “migliore” di quello francese o di quello olandese. Inoltre, da noi la revisione è più utile, per le ragioni che le ho appena esposto e che riguardano la necessità di costruire una nuova Repubblica, e meno rischiosa. Noi non abbiamo una tragedia sociale come quella dell’immigrazione nordafricana in Francia, che ha portato il fascismo petainista fin dentro le fabbriche. Dunque possiamo ragionare, informare, parlare del fascismo con maggiore serenità”. 6 R. De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Einaudi, Torino 1961. Fino alla edizione del 1988 il volume proponeva una prefazione di Delio Cantimori. Per la ricostruzione della genesi della ricerca defeliciana sulla politica antisemita fascista, cfr., M. Sarfatti, La Storia della persecuzione antiebraica di Renzo De Felice: contesto, dimensione cronologica e fonti, in “Qualestoria”, a. XXXII, n. 2 (dicembre 2004), pp. 11–27. 7 R. De Felice, Intervista sul fascismo, a c. di M. A. Ledeen, Laterza, Roma-Bari 1975. 4
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le categoria di fascismo. De Felice era assai ripreso dai media italiani e parte del giornalismo lo utilizzava come voce privilegiata sulle presunte “verità” del passato recente italiano. Al centro c’era “la suggestione di quella asserita radicale diversità ideologica e quasi esistenziale tra i due movimenti [fascismo e nazismo], su cui poi si innesta la questione della diversa centralità del tema dell’antisemitismo”8. Fra anni Ottanta e Novanta è stato quindi importante l’uso pubblico di De Felice, non solo per la messa in discussione dell’antifascismo, ma perché l’italiano medio otteneva “anche la gratificazione di poter constatare che le idee emergenti da questa serie di rivelazioni giornalistiche coincidevano in maniera sorprendente con le idee che già possedeva attorno a Mussolini e al fascismo”9. Sul piano strettamente storiografico invece la Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo di De Felice aveva introdotto il tema della persecuzione antiebraica in Italia dopo il lungo silenzio dal dopoguerra, se si eccettua la memorialistica ebraica e pochi altri contributi, come il lavoro di Eucardio Momigliano10 e l’iniziativa della rivista fiorentina “Il Ponte” che nel 1952 affidava ad Antonio Spinosa una documentata storia a puntate delle Persecuzioni razziali in Italia (peraltro interrotta dopo la quarta uscita dedicata proprio alle leggi del 1938)11. Praticamente contemporanee alla ricerca di De Felice comparivano poche altre voci12 e fra queste merita un
8 G. Santomassimo, Il ruolo di Renzo De Felice, in E. Collotti (a c. di), Fascismo e antifascismo, cit., p. 425 9 Ibid., p. 417. 10 E. Momigliano, Storia tragica e grottesca del razzismo fascista, Mondadori, Milano 1946. 11 Cfr., A. Spinosa, Le persecuzioni razziali in Italia, in “Il Ponte”, nei numeri 7, 8 e 11 del 1952 e 7 del 1953. Il lavoro venne poi riedito in volume col titolo Mussolini razzista riluttante, Bonacci, Roma 1994. Va ricordata la sensibilità di questa rivista, di ispirazione antifascista socialista, al tema dell’antisemitismo fascista, che nel 1978 per il Quarantesimo delle leggi razziali uscì con un numero speciale. Cfr. “Il Ponte”, 1978, n. 11-12, dedicato a La difesa della razza, a c. di U. Caffaz. 12 G. Reitlinger, La soluzione finale. Il tentativo di sterminio degli Ebrei d’Europa 1939-1945, Il Saggiatore, Milano 1962 (con qualche pagina sull’Italia), A. Milano, Storia degli ebrei in Italia, Einaudi, Torino 1963, L. Salvatorelli – G. Mira, Storia d’Italia nel periodo fascista, Einaudi, Torino 1964 (unica storia generale del fascismo a dedicare all’epoca spazio all’antisemitismo), L. Preti, I miti dell’impero e della razza nell’Italia degli anni Trenta, Opere Nuove, Roma 1965, Id., Impero fascista, africani ed ebrei, Mursia, Milano 1968. Per un quadro completo cfr. M. Sarfatti, Bibliografia per lo studio delle persecuzioni antiebraiche in Italia 1938-1945, in “La rassegna mensile di Israel”, vol. LIV, nn. 1-2, 1988, pp. 435-475.
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cenno la testimonianza di Achille Ottolenghi13 proposta all’interno dei cicli di conferenze che “spiegavano il fascismo” nel momento della “crisi Tambroni” del 196014. Nel primo dei due volumi di Feltrinelli che raccoglievano le lezioni milanesi del 1961, Ottolenghi ricordava sia la svolta mussoliniana del 1938 (che contraddiceva le precedenti negazioni dell’esistenza di un “problema ebraico”), sia la grande umanità del popolo italiano, solidale con la compagine israelita, integrata e parte indistinta della società italiana. Al di là di molte semplificazioni, nella memoria di Ottolenghi si trovavano spunti suggestivi, a partire dal “mercato” delle discriminazioni, della prassi della raccomandazione e del favore, divenuta sistema in una società autoritaria come quella fascista. Senza pretesa di esaustività si ricordavano le principali tappe della legislazione dando conto della questione scolastica e di quella patrimoniale. La fatica con la quale la memoria della persecuzione fascista degli israeliti si è imposta nella comunità degli studiosi (assai meno nella società italiana) deriva da più fattori: - “l’eccesso di sovraccarico ideologico che si esprimeva tutto nella contrapposizione fascismo-antifascismo” e “la preminenza assoluta data ad altri aspetti della (…) politica [del fascismo]”15; - una memoria ebraica comprensibilmente concentrata nell’immediato dopoguerra sulla fase della distruzione delle vite e quindi sul volto genocida del nazismo dal quale l’esperienza italiana pareva distante, indipendentemente dal collaborazionismo di Salò; - la sostanziale sorpresa per l’irruzione della legislazione razzista nella società italiana che dimostrava il particolare livello di integrazione degli israeliti nel Paese, anche se troppo semplicisticamente non si teneva in considerazione la complessità del
A. Ottolenghi, La legislazione antisemita in Italia, in Fascismo e antifascismo (1918–1936). Lezioni e testimonianze, vol. 1, Feltrinelli, Milano 1962, pp. 202–209. 14 La testimonianza di Ottolenghi merita di essere ricordata anche perché Angelo Ventura, nel denunciare la mancanza di sensibilità sul tema da parte degli storici in quegli anni ricordava l’assenza delle leggi razziali fra i temi dei “grandi cicli di lezioni pubbliche (…) organizzati (…) tra il 1959 e il 1961 da intellettuali e storici antifascisti”. Cfr., A. Ventura, Renzo De Felice: il fascismo e gli ebrei, in Incontro di studio sull’opera di Renzo De Felice, Roma, Palazzo Giustiniani 4 giugno 1997, Roma 2000, p. 47. 15 E. Collotti, Il razzismo negato, cit., p. 361. 13
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nesso assimilazione-identità ebraica fra interventismo statale e libertà confessionale16; - la solidarietà di parte della popolazione italiana e di parte del clero, anche se più nella fase finale della persecuzione che non nel momento della diffusione del messaggio razzista e della applicazione delle leggi. Dato questo scenario politico-culturale, del lavoro pionieristico di De Felice non si possono che cogliere le importanti novità a partire dal porre con chiarezza la questione dell’autonomia della legislazione italiana rispetto a quella nazista, pur riconoscendone il condizionamento ambientale: l’esistenza cioè di una prassi persecutoria tedesca con la quale lo stesso regime italiano avrebbe dovuto fare i conti non per ricerca imitativa ma per volontà di distinzione. Delle leggi italiane contro gli ebrei De Felice non sminuisce né la capillarità né gli effetti dirompenti nel Paese, salvo condividere la diffusa affermazione di una società italiana largamente immune da sentimenti antisemiti. Correttamente si citano le responsabilità del fanatismo giovanile nel sostenere con forza anche questa campagna del fascismo contro l’ennesimo nemico ideologico, attraverso la stampa di partito e la pubblicistica promossa da università e strutture dipendenti dalle federazioni fasciste locali. Il tema dell’antisemitismo propagandato a mezzo stampa dal fascismo (al quale i GUF dettero un grande contributo) sarà, molti anni dopo, parte del rilevamento affidato da Enzo Collotti all’interno di una ricerca battistrada che cercava di studiare gli effetti concreti della legislazione razzista antiebraica in un caso regionale come quello toscano17.
16 Solo dagli anni Novanta il ragionamento su questo aspetto della storia dell’ebraismo in Italia con l’unificazione del Paese è stato posto in termini complessi. Si vedano: F. Sofia – M. Toscano (a c. di), Stato nazionale ed emancipazione ebraica, Bonacci, Roma 1992; F. Sofia, Su assimilazione e autocoscienza ebraica nell’Italia liberale, in “Italia judaica”, Gli ebrei nell’Italia unita 18701945, Ministero per i Beni culturali e ambientali, Roma 1993, pp. 32-47; M. Toscano, Integrazione e identità. L’esperienza ebraica in Germania e Italia dall’Illuminismo al fascismo, Angeli, Milano 1998; E. Capuzzo, Gli ebrei nella società italiana. Comunità e istituzioni tra Ottocento e Novecento, Carocci, Roma 1999. 17 E. Collotti (a c. di), La persecuzione degli ebrei in Toscana (1938-1943), 2 voll., Carocci, Roma 1999. Sul ruolo della stampa giovanile si veda nel volume il saggio di S. Duranti, Gli organi del GUF: Arezzo, Grosseto, Pisa e Siena, pp. 367-414 e il capitolo GUF e campagna razziale in S. Duranti, Lo spirito gregario, I gruppi universitari fascisti tra politica e propaganda (1930-1940), Donzelli, Roma 2008, pp. 309-362.
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La prefazione del volume di De Felice, scritta da Delio Cantimori, ― primo contributo di questa antologia ― evidenziava la coraggiosità di questo studio rilevandone molti pregi e vari limiti18 e ripercorreva con finezza gli antecedenti culturali del razzismo antisemita in Italia attraverso l’epoca liberale e propri della destra come del socialismo. Aspetti noti grazie all’affinamento successivo della ricerca, ma che emergono come particolarmente pregnanti al momento dell’uscita dell’opera defeliciana. Riproporre questo testo oggi, non è solo un tributo alla maestria di Cantimori, ma è utile se letto assieme alle successive introduzioni che De Felice scelse di realizzare a partire dalla riedizione del suo volume nel 1988 (andando a sostituire la prefazione di Cantimori). In quel lasso di tempo era andata maturando una impostazione diversa da parte di De Felice del rapporto fascismo-antisemitismo, attraverso la pubblicazione dei vari tomi della sua biografia mussoliniana19, radicalizzando le differenze fra l’esperienza tedesca e quella italiana fino a concludere per una lettura di un fascismo non razzista e di assenza di antisemitismo in Italia. L’operazione peraltro trovava spazio nelle introduzioni appunto del 1988 e poi del 1993 mentre il
18 Francesco Torchiani ha giustamente rilevato che “Cantimori non aveva digerito la genealogia intellettuale del razzismo tracciata da De Felice. Mettere alla stessa stregua pagine antiebraiche di Herder, Kant, Novalis, Fichte e Nietzsche con quelle di Hitler e Rosenberg significava avallare gli schematismi e le argomentazioni della stessa propaganda razzista, interessata a costruirsi illustri precursori tra quegli “spiriti magni”. Non solo lo storico commetteva l’errore di cedere alle sue fonti – una critica che, per De Felice biografo di Mussolini sarebbe tornata più di una volta negli anni successivi – ma contribuiva a alimentare il mito del «rapporto intrinseco fra razzismo e cultura tedesca»”. Citazione contenuta nella postfazione (Sdoppiarsi per comprendere) di F. Torchiani al volume da lui curato: D. Cantimori, Il furibondo cavallo ideologico. Scritti sul Novecento, Quodlibet, Macerata 2019, p. 332. Alle pp. 308-9 Torchiani cita il giudizio negativo sul volume di De Felice espresso per via epistolare da Corrado Vivanti a Cantimori. 19 La cosiddetta biografia di Mussolini realizzata da Renzo De Felice, in realtà non è propriamente né una storia del regime fascista, né una biografia, piuttosto un tentativo di storia d’Italia durante il fascismo che ha abbracciato, per la sua mole, circa trent’anni di ricerca. Otto i volumi che la compongono: Mussolini il rivoluzionario 1883-1920 (1965); Mussolini il fascista I. La conquista del potere 1921-1925 (1966); Mussolini il fascista II. L’organizzazione dello stato fascista 1925-1929 (1968); Mussolini il duce I. Gli anni del consenso 1929-1936 (1974); Mussolini il duce II. Lo stato totalitario 1936-1940 (1981); Mussolini l’alleato I.1. L’Italia in guerra 1940-1943. Dalla guerra breve alla guerra lunga (1990); Mussolini l’alleato I.2. L’Italia in guerra 19401943. Crisi e agonia del regime (1990); Mussolini l’alleato II. La guerra civile 1943-1945 (1997), Torino, Einaudi, 1965-1997.
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testo del complesso e corposo volume del 1961 rimaneva, pur con aggiornamenti, il medesimo. I principali commentatori della storia della storiografia sull’antisemitismo fascista concordano nell’osservare quanto al contributo di De Felice non facesse seguito quasi nessun altro lavoro scientifico, a parte quello di Meir Michaelis giunto in traduzione italiana nel 198220. Si deve pertanto attendere l’anniversario del Cinquantesimo della promulgazione delle leggi razziali per la nascita di una storiografia sull’argomento. Particolarmente significativi furono i due convegni della Camera dei Deputati e del Senato, i cui atti segnarono un importante approfondimento di ricerca sulla materia21. Ripercorrere gli atti del convegno della Camera ci mostra la presenza dei principali temi della futura indagine storiografica: sia l’impianto delle leggi, sia le conseguenze sociali ed economiche sulle vittime; il ruolo degli intellettuali (compresa la comunità scientifica) nella costruzione del razzismo antisemita; l’atteggiamento della Chiesa cattolica; il destino di quegli ebrei stranieri che avevano trovato asilo in Italia, in fuga da quei Paesi che – non solo la Germania – avevano avviato in precedenza una prassi discriminatoria ai loro danni. La ricostruzione della dimensione normativa dell’antisemitismo fascista è stata condotta con precisione da Michele Sarfatti ed affidata al suo volume del 1994 Mussolini contro gli ebrei22. La sua indagine, dalla dimensione legislativa dell’antisemitismo, all’impatto che questa ebbe sugli israeliti dimoranti in Italia, ha avuto il pregio di rilevare sia la non estemporaneità dei provvedimenti, sia il loro inserirsi in una più ampia azione razzista del fascismo, a partire dall’aggressione dell’Etiopia. Sarfatti – del quale si pubblica in questa antologia un importante contributo del 2010 – si è sempre distinto per un lavoro interpretativo della storia del razzismo antisemita durante il fascismo profondamente aderente alla ricerca documentaria; un paziente lavoro di ricerca decennale che dal 2000
20 M. Michaelis, Mussolini e la questione ebraica. Le relazioni italo-tedesche e la politica razziale in Italia, Edizioni di Comunità, Milano 1982 (ed. or. 1978). 21 La legislazione antiebraica in Italia e in Europa, Camera dei Deputati, Roma 1989; M. Toscano (a cura e con introduzione di), L’abrogazione delle leggi razziali in Italia (1943-1987). Reintegrazione dei diritti dei cittadini e ritorno ai valori del Risorgimento, Servizio Studi del Senato della Repubblica, Roma 1988. 22 M. Sarfatti, Mussolini contro gli ebrei. Cronaca dell’elaborazione delle leggi del 1938, Zamorani, Torino 1994.
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ha trovato collocazione nel suo più importante volume (più volte aggiornato fino alle versione attuale del 2018) Gli ebrei nell’Italia fascista23. Sarfatti ha introdotto a livello storiografico una innovativa ripartizione temporale e concettuale della metodica fascista antisemita: tre fasi24 che hanno il merito di chiarire la lunga strada della discriminazione antiebraica nel ventennio e di ridimensionare l’eccessiva rilevanza attribuita al contesto internazionale, con la Germania nazista battistrada delle persecuzioni25. Sottolineando il passaggio dalla “persecuzione dei diritti” alla “persecuzione delle vite” Sarfatti ha contribuito molto a dotare la storiografia degli anticorpi necessari per contrastare quella dimensione emotiva – peraltro comprensibile – che, soprattutto dall’istituzione del Giorno della Memoria, fa focalizzare lo “spettatore” e il “celebrante” sulla assoluta drammaticità dello sterminio. Questa particolare atmosfera di unanime riprovazione nei confronti della Shoah pone il rischio – ben conosciuto dai tanti operatori culturali impegnati nella didattica specifica sul tema in Italia – di sottovalutazione proprio della fase tutta italiana della persecuzione dei diritti delle persone dimoranti nel regno colpevolizzate come ebree, precondizione fra l’altro non solo di ciò che avvenne in seguito con l’occupazione tedesca, ma anche della fuga con l’espatrio e l’emigrazione di cittadini italiani e di ebrei stranieri che avevano scelto negli anni precedenti al 1938 questo “rifugio precario”26. Quest’ultima consi-
M. Sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista. Vicende, identità, persecuzione, Einaudi, Torino 2000. 24 1: Il periodo della persecuzione della parità dell’ebraismo (1922-36); 2: Il periodo della persecuzione dei diritti degli ebrei (1936-43); 3: Il periodo della persecuzione delle vite degli ebrei (1943-45). 25 La studiosa francese Matard-Bonucci, in un lavoro sulla dimensione politica delle leggi razziali e della loro funzione nella costruzione dello stato totalitario, contestava a Sarfatti la retrodatazione dell’inizio della discriminazione degli ebrei da parte fascista e rilanciava l’importanza del contesto internazionale e del ruolo del nazismo nelle scelte mussoliniane. Cfr., M.-A. Matard-Bonucci, L’Italia fascista e la persecuzione degli ebrei, Il Mulino, Bologna 2008 (ed. or. 2007). Per una articolata analisi di questo studio si veda M. Toscano, Il dibattito storiografico sulla politica razziale del fascismo, cit., pp. 24-8. Importante la lettura che ne propone Ilaria Pavan nel contesto storiografico sull’antisemitismo fascista come “progressione o svolta”, in I. Pavan, Fascismo, antisemitismo, razzismo, cit. 26 L’espressione, che coglie assai bene la condizione tragica degli ebrei stranieri residenti in Italia al momento delle leggi razziali, è il titolo dell’imponente ricerca dedicata a questo tema da K. Voigt, Il rifugio precario. Gli esuli in Italia dal 1933 al 1945, 2 voll., La Nuova Italia, Firenze 1993-1996 (ed. or. 1989-1993). 23
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derazione serve a ricordare l’importanza etica e civile – non soltanto storiografica ― di un ragionamento che vuole attribuire al fascismo le proprie responsabilità, inserendosi ad esempio sulla nota querelle di Galli della Loggia relativa all’8 settembre come “morte della Patria”27. Ricordandoci che a differenza della legislazione razzista coloniale, le leggi antiebraiche dal 1938, oltre agli stranieri colpivano cittadini dello Stato, Sarfatti ci aiuta a capire dove risieda in realtà la “profonda cesura nella storia d’Italia”28. Del resto fin dal 1964 uno dei pochi lavori (oggi ingiustamente dimenticato) sulla storia generale del fascismo che contemplavano la questione del razzismo antiebraico era proprio quel Salvatorelli-Mira29 che articolava una importante riflessione sul “processo costituzionale di allontanamento del fascismo dagli istituti liberali e di libertà, per i quali quindi il razzismo fascista non veniva considerato nei soli risvolti ideologici ma anche per quello che in concreto aveva rappresentato come lesione dei diritti civili e umani inalienabili”30. Un momento importante per l’aumento di consapevolezza nel Paese delle qualità razziste del fascismo italiano è stato indubbiamente la mostra bolognese (poi divenuta itinerante) “La menzogna della razza”. Organizzata nel 1995 dal Centro Furio Jesi, attraverso documenti ed illustrazioni, guidava il visitatore fra le molteplici caratteristiche dei razzismi contemplati e promossi durante il fascismo in Italia. Pur con le indubbie differenze fra razzismo antiafricano e antisemitismo31, il percorso della mostra e del catalogo32 ad essa dedicato si snodava attraverso antecedenti culturali e pratiche gergali, mostrando la grande complicità fino al protagonismo di 27 E. Galli della Loggia, La morte della patria. La crisi dell’idea di nazione tra Resistenza, antifascismo e Repubblica, Laterza, Roma-Bari 1996. 28 M. Sarfatti, Aspetti e problemi della legislazione antiebraica dell’Italia fascista (1938-1943), in Le leggi antiebraiche del 1938, le società scientifiche e la scuola in Italia, Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, Roma 2009, pp. 15-30. 29 L. Salvatorelli – G. Mira, Storia d’Italia nel periodo fascista, cit. 30 Cfr., E. Collotti, Il razzismo negato, cit., p. 361. 31 La riflessione sulle caratteristiche dei razzismi nella storia d’Italia (non solamente legati all’esperienza fascista) e sulla loro comparabilità ha riguardato la seconda metà degli anni Novanta. Si veda: A. Burgio (a c. di), Nel nome della razza. Il razzismo nella storia d’Italia 1870-1945, Il Mulino, Bologna 1999, atti del primo convegno del Centro studi sulla teoria e la storia del razzismo italiano organizzato a Bologna nel novembre 1997. 32 Centro Furio Jesi (a c. di), La menzogna della razza. Documenti e immagini del razzismo e dell’antisemitismo fascista, Grafis, Bologna 1994. I saggi di M. Raspanti, D. Bidussa e E. Collotti pubblicati nella presente antologia sono tratti da questo volume.
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parte della cultura italiana. Senza diventare un banale campionario degli orrori, la mostra dava conto della capillare introduzione in Italia di un discorso razzista che aveva bisogno dei suoi specialisti della comunicazione, fossero questi illustratori per bambini, beceri pamphlettisti, letterati famosi alla Papini o docenti di quelle università che fornirono l’adeguato crisma scientifico ad una battaglia per la razza che poteva risultare di difficile comprensione anche al cittadino fascista più volenteroso. Quanto il razzismo fascista avesse un rapporto biunivoco di conseguenza e determinazione con il linguaggio stesso che il regime andò creando durante il ventennio è stato illustrato in un convegno del 1984 dedicato proprio alla linguistica del fascismo. In quella occasione – se ne vedano gli atti pubblicati33 – Cortellazzo34 rilevava proprio le variazioni semantiche di lemmi come “stirpe” e “razza”, ponendo interrogativi complessi su quanto la lingua diffusa con i mezzi dell’epoca fosse in grado di preparare il terreno per la accettazione popolare del razzismo ma anche quanto quel clima post Etiopia avesse bisogno di una lingua adatta ad esprimere il mito di potenza fascista e la sua pretesa superiorità etnica-razziale-spirituale. Alcuni studiosi hanno in seguito fatto notare la superficialità di un mondo della comunicazione che in un clima di unanimismo obbligato da Giorno della Memoria era divenuto ipersensibile alla parole “razza” e derivati, non cogliendo – nonostante le avvertenze in questo senso di Cantimori nella prefazione a De Felice ― le differenze tra i loro utilizzi nel linguaggio e nella dimensione comunicativa fascista nell’intero ventennio35. La “Menzogna della razza” dedicava pagine utili al dibattito in seno al fascismo fra preponderanza di un indirizzo “biologistico” o “spiritualistico” del razzismo italiano. Non si trattava soltanto di un comprensibile tentativo di primeggiare nella campagna scatenata nel 1938 accreditandosi con maggior protagonismo nell’entourage della dittatura se non presso lo stesso Mussolini, ma di fornire un crisma scientifico alle necessità della politica fascista. Alcuni studi
Parlare fascista. Lingua del fascismo, politica linguistica del fascismo, fasc. monografico di “Movimento operaio e socialista”, n. VII, a. 1, 1984. 34 M. Cortellazzo, Il lessico del razzismo fascista (1938), in Parlare fascista, cit., pp. 57-66. 35 Cfr., Introduzione a A. Cavaglion – G. P. Romagnani, Le interdizioni del Duce. Le leggi razziali in Italia, Seconda edizione aggiornata, Claudiana, Torino 2002, pp. 13-55, in particolare pp. 23-4. 33
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della fine degli anni Novanta dedicati a scienza e razza36 approfondivano il ruolo di quegli studiosi interessati all’eugenetica che anche in Italia avevano avuto spazio e ruoli nella comunità scientifica degli anni Venti e Trenta. Senza giungere alla necessaria conclusione di un mondo scientifico in grado di dettare l’agenda di quel razzismo fascista che rimane – a mio parere – mosso da esigenze eminentemente politiche, lo studio del ruolo degli scienziati è importante sia per comprendere la disponibilità di accademie e università alla collaborazione col progetto fascista, sia per individuare alcune delle radici culturali alla base della circolazione in Italia del tema della razza. Se le responsabilità degli intellettuali italiani nella elaborazione del patrimonio antisemita erano state evidenziate dalla fine degli anni Ottanta (in questa antologia si pubblica un testo di Eugenio Garin presentato all’Accademia nazionale dei Lincei)37, con più fatica la ricerca è entrata nelle pieghe dei comportamenti delle tante università italiane. Il motivo non è da ricondurre soltanto agli imbarazzi di coloro che per decenni continuarono ad insegnarci (o dei loro allievi), avendo alle spalle un passato da pubblicisti antisemiti e da docenti di materie riconducibili a quanto richiesto da Bottai nel 193838, o perché si era raggiunta una collocazione accademica proprio in virtù dell’espulsione dei colleghi ebrei. Rimangono tutt’oggi seri problemi di accesso ai documenti per la ricostruzione della vita di vari atenei39, nonostante che si sia ormai ricostruito sia
36 G. Israel – P. Nastasi, Scienza e razza nell’Italia fascista, Il Mulino, Bologna 1998 e R. Maiocchi, Scienza italiana e razzismo fascista, La Nuova Italia, Firenze 1999. Più recentemente, G. Israel, Il fascismo e la razza. La scienza italiana e le politiche razziali del regime, Il Mulino, Bologna 2010, che lamenta la sottovalutazione storiografica del tema. Si veda la discussione sul libro da parte di Finzi che precisa che se il pensiero scientifico ha avuto un ruolo nell’alimentare un “senso comune” antisemita, non vanno trascurate altre matrici culturali di lungo periodo. Cfr., R. Finzi, Partigianeria e partigianeria legittima: a proposito di “Il fascismo e la razza” di Giorgio Israel, in “Studi Storici”, n. 3, 2010, pp. 603-20. 37 Molti degli aspetti sollevati dal dibattito intellettuali/antisemitismo in Italia sono ricordati nel saggio di R. Finzi, La cultura italiana e le leggi antiebraiche del 1938, in “Studi Storici”, n. 4, 2008, pp. 895-929. 38 Bottai con interventi legislativi ed amministrativi indirizzò fra il settembre e l’ottobre del 1938 le istruzioni per la creazione di corsi ex novo o la trasformazione in senso razziale di insegnamenti già in essere. Si veda in dettaglio, F. Pelini – I. Pavan, La doppia epurazione. L’università di Pisa e le leggi razziali tra guerra e dopoguerra, Il Mulino, Bologna 2009, pp. 97-9. 39 Nel recente convegno Le “Leggi razziali” del 1938 e l’università italiana (Roma, 3-5 dicembre 2018) alcuni ricercatori continuavano a lamentare il
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il quadro dei docenti espulsi, sia in generale l’impatto che la legislazione ebbe sulla didattica e la vita universitaria. I Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista del 5 settembre 1938 furono, com’è noto, il primo intervento legislativo fascista. La storiografia ha adeguatamente sottolineato l’importanza di questa azione sul terreno accademico per un regime che poneva particolare attenzione all’educazione della gioventù e all’irreggimentazione della cultura. Se alla vigilia delle leggi l’università italiana aveva circa il 7% del corpo docente di origine ebraica40 si comprende bene l’interesse che questo ambito dei provvedimenti razziali abbia avuto fra gli studiosi, indagando le storie dei colpiti e la “moralità” del circuito dell’alta cultura in Italia, ma anche le numerose integrazioni e cambiamenti che gli stessi provvedimenti discriminatori subirono41. La riflessione sugli intellettuali e l’accademia italiana in rapporto all’antisemitismo si originava anche dalla evidente presenza di fonti: il ceto che scrive, che produce pensiero, non necessariamente dalle università, ha lasciato traccia di sé anche grazie alla grande disponibilità di spazi e iniziative editoriali messi a disposizione dal fascismo, con i suoi giornali e le sue riviste. Lo spoglio della stampa fascista o fascistizzata (non solo quindi di Partito), come le vicende dell’editoria italiana fra le due guerre, è progredita nei decenni, fornendoci temi, percorsi della classe dirigente e consentendo di esprimerci con minor approssimazione sul rapporto intellettuali/ potere durante il fascismo42. pessimo stato di conservazione e le difficoltà di consultazione degli archivi di vari atenei italiani. 40 Vedi F. Pelini – I. Pavan, La doppia epurazione, cit., pp. 17-8. 41 L’impatto della legislazione sul sistema universitario e le istituzioni culturali italiane presenta ormai un’ampia letteratura. Mi limito a citare i contributi principali: A. Ventura, La persecuzione fascista contro gli ebrei nell’università italiana, in “Rivista storica italiana”, CIX, 1, 1997, pp. 121-197; A. Capristo, L’espulsione degli ebrei dalle accademie italiane, Zamorani, Torino 2002; R. Finzi, L’università italiana e le leggi antiebraiche, Editori Riuniti, Roma 2003 (edizione riveduta e ampliata); A. Capristo, Il coinvolgimento delle accademie e delle istituzioni culturali nella politica antiebraica del fascismo, in P. G. Zunino (a c. di), Università e accademie negli anni del fascismo e del nazismo, Atti del convegno internazionale (Torino 11-13 maggio 2005), Olschki, Firenze 2008, pp. 321-341; V. Galimi – G. Procacci (a c. di), “Per la difesa della razza”. L’applicazione delle leggi antiebraiche nelle università italiane, Unicopli, Milano 2009. 42 L’ampiezza del tema, anche limitatamente a editoria e istituzioni cultuali, non ci consente se non un rimando almeno a G. Turi, Il fascismo e il consenso degli intellettuali, Il Mulino, Bologna 1980 e R. Ben-Ghiat, La cultura
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Altra voce nella cultura del Paese, che meritava uno studio approfondito relativamente al suo rapporto col fascismo e alla questione ebraica, rimaneva quella cattolica. Il tema, complesso e lacerante, delle permanenze della antica attitudine antigiudaica della Chiesa di Roma nelle mentalità sia della struttura che dei fedeli in epoca contemporanea fino al fascismo, è stato affrontato soprattutto da Giovanni Miccoli e Renato Moro che coraggiosamente hanno sollevato anche la questione della ritrosia culturale e delle difficoltà ambientali a rendere accettabile in Italia la prospettiva delle responsabilità del fronte cattolico. Anche su questo tema il Cinquantesimo delle leggi razziali fu un momento di svolta, infatti al convegno presso la Camera dei Deputati Miccoli propose una relazione che inquadrava sia le credenze e le suggestioni antisemite di parte della struttura cattolica, sia il ruolo di Pio XI, ponendo difficili questioni sul suo sostanziale isolamento nella denuncia del razzismo dei fascismi. Il lavoro di Miccoli venne proposto con ampliamenti nella rivista “Studi Storici”43 e per la sua lunghezza in questa antologia ne viene pubblicata solo una parte. Gli studi sul rapporto cattolicesimo/antisemitismo e sulle reazioni del clero alla legislazione razzista sono assai cresciute negli anni44 anche grazie allo stimolo fornito da Renato Moro a partire dal suo contributo del 1988 dove denunciava la vera e propria assenza di ricerche in materia: “Non abbiamo pertanto, fino ad oggi, praticamente nessuna idea storiograficamente fondata di quanto le tendenze antisemite fossero ancora vive tra i cattolici negli anni venti e trenta; non siamo in grado di dire se esse fossero in crescita o in declino; e nemmeno possiamo configurare le scansioni temporali e le variazioni dei contorni, dei livelli e delle forme di rapporto tra comunità ebraica e cattolicesimo italiano; tanto meno sappiamo definire l’immagine stessa dell’ebreo che doveva essere radicata e diffusa tra i cattolici dell’età fascista”45. fascista, Il Mulino, Bologna 2000. Turi, nel ricordato Convegno della Camera dei Deputati del 1988, relazionò su Ruolo e destino degli intellettuali nella politica razziale del fascismo, pp. 95-122. 43 G. Miccoli, Santa Sede e Chiesa italiana di fronte alle leggi antiebraiche del 1938, in “Studi Storici”, n. 4, a. 29, 1988, pp. 821-902. 44 Si veda la rassegna bibliografica di L. Ceci, La Chiesa e il fascismo. Nuovi paradigmi e nuove fonti, in “Studi Storici”, a. 55, n. 1, gennaio-marzo 2014, pp. 123-137. 45 R. Moro, Le premesse dell’atteggiamento cattolico di fronte alla legislazione razziale fascista. Cattolici ed ebrei nell’Italia degli anni venti (19191932), in “Storia contemporanea”, a. 19, n. 6, dicembre 1988, pp. 1013-1119, cit. p. 1014.
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Il rapporto fra la Chiesa di Roma e lo Stato fascista, due istituzioni che ricercavano l’egemonia nella Nazione46, col progredire degli studi, è stato sottoposto alla verifica dell’antisemitismo, concentrandosi sulla struttura e sul pontificato di Pio XI, restituendoci un quadro di reciproca convergenza quantomeno nella disponibilità di parte del mondo cattolico a trovare significato dell’azione antiebraica dello Stato nei propri antichi pregiudizi antigiudaici47. In questo senso, la rilevazione di mentalità ostili all’ebraismo ancora presenti nell’episcopato italiano, nella stampa diocesana48, come in parte dei vertici vaticani, ha potuto approfondire la lettura della solitudine di Papa Ratti49 e la discontinuità della sua figura con quella del suo successore50. Mi sembra questa la lettura prevalente da parte della storiografia, nonostante il dibattito abbia accuratamente misurato parole e caratteristiche delle prese di posizione di Pio XI su razzismo e antisemitismo, come sulla assenza di una critica esplicita delle scelte di Mussolini51. A questo proposito mi pare importante il ragionamento di Lucia Ceci che, ricostruendo lo L. Ceci, in una delle rare monografie dedicate all’intero percorso della Chiesa nel ventennio, ricordava che “nel rapporto tra la Chiesa e il fascismo finiscono per confrontarsi due diversi modelli di pedagogia totale dell’uomo e due mobilitazioni di massa”. Cfr., L. Ceci, L’interesse superiore. Il Vaticano e l’Italia di Mussolini, Laterza, Roma-Bari 2013, p. VII. 47 Un recente contributo di Renato Moro, non limitato al solo ventennio fascista, ci fornisce un ricco panorama delle diverse posizioni sull’ebraismo nel modo cattolico italiano: cfr., R Moro, Ebraismo e Chiesa cattolica nel Novecento, in F. Cavarocchi - E. Mazzini (a c. di), La Chiesa fiorentina e il soccorso agli ebrei. Luoghi, istituzioni, percorsi (1943-1944), Viella, Roma 2018, pp. 23-46. 48 E. Mazzini, Ostilità convergenti. Stampa diocesana, razzismo e antisemitismo nell’Italia fascista (1937-1939), Edizioni scientifiche italiane, Napoli 2013. 49 E. Fattorini, Pio XI, Hitler e Mussolini. La solitudine di un papa, Einaudi, Torino 2007. 50 Fra i principali lavori sul tema rimando a V. De Cesaris, Vaticano, fascismo e questione razziale, Guerini e associati, Milano 2010; G. Fabre, Un «accordo felicemente conchiuso», in “Quaderni di storia”, n. 76, 2012, pp. 83-154; G. Rigano, La svolta razzista. Controversie ideologiche tra Chiesa e fascismo, Edb, Bologna 2013. 51 R. Perin, Pio XI e la mancata lettera sugli ebrei a Mussolini, in “Rivista di Storia del cristianesimo”, X, 2013, n. 1, pp. 181-206. Come è noto, le proteste della Chiesa per la legislazione antisemita si limitarono alla difesa degli ebrei convertiti e al problema dei “matrimoni misti” giudicati un inaccettabile vulnus al concordato. Un recente ed utile approfondimento sul tema in T. Dell’Era, Leggi razziste, conversione degli ebrei e matrimoni misti a Torino nel 1938: il cardinal Fossati, la S. Sede e il S. Ufficio, in “Giornale di Storia Contemporanea”, XX, n.s., 1, 2018, pp. 17-42. 46
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scenario di politica internazionale attorno al Patto di Monaco che vide il duce rientrare in Italia da acclamato protagonista ed arbiter della pace, ridimensiona le possibilità per il Vaticano di esprimere in quel contesto parole di chiara rottura con il fascismo52, anche a non voler considerare la permanenza antigiudaica nella mentalità di parte della curia. Nel fare il punto sullo stato degli studi all’inizio degli anni Duemila, Valeria Galimi53 precisava assai opportunamente sia la non coincidenza fra lo studio dell’antisemitismo fascista e la storia degli ebrei in Italia, sia l’importanza di collocare lo studio dell’ebraismo su una prospettiva lunga e integrata alla storia generale del Paese. Queste osservazioni mi sembrano particolarmente adatte per descrivere i pregi e l’importanza de Le interdizioni del Duce, volume antologico di Cavaglion-Romagnani dedicato alle leggi razziali italiane, secondo una prospettiva ampia che deve muovere dal contesto del fallito processo di emancipazione dell’ebraismo in Italia54. La prima edizione dell’antologia era uscita per il Cinquantesimo delle leggi razziali e il suo corposo ampliamento del 2002 presentava anche un saggio introduttivo particolarmente denso55, che ripropongo in questa raccolta. Dopo una acuta riflessione sull’uso pubblico delle leggi razziali, benché nel 2002 si fosse appena agli esordi della celebrazione del Giorno della Memoria, l’introduzione de Le interdizioni del Duce si concentrava sul comportamento e le mentalità dell’ebraismo italiano, a partire dal concetto di libertà religiosa. Con coraggio e franchezza si valutano le scelte di coloro che preferirono la “tutela di Cesare” piuttosto che lottare per l’autodeterminazione religiosa e garantire alle Comunità la forma statutaria della libera associazione, esperienza del resto praticata in altri contesti nazionali. La questione, solo in apparenza giuridico-formale, ha delle implicazioni cultural-politiche profonde e gli autori non fanno sconti alla mancanza di lungimiranza di settori dell’ebraismo italiano che dimostrarono evidente distanza da quei principi di libertà che il fascismo conculcava con la pretesa di incapsulare le religioni in logiche concordatarie. La legge del 1930
L. Ceci, L’interesse superiore, cit., pp. 256-7. V. Galimi, La persecuzione degli ebrei in Italia (1938-1943), cit. 54 A. Cavaglion – G. P. Romagnani, Le interdizioni del Duce, cit. 55 Varie delle considerazioni che riprendo qui dall’introduzione del volume sono rintracciabili anche nel lavoro del solo A. Cavaglion, Ebrei senza saperlo, l’Ancora del Mediterraneo, Napoli 2002. 52 53
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non si limitava a regolamentare le Comunità ebraiche56 ma subordinava l’esistenza stessa dell’ebreo all’appartenenza ad una struttura, primo evidente tassello di quelle sottovalutazioni della dittatura che da parte ebraica si manifestarono in quel decennio in più di una occasione. L’essere ebrei “agli effetti del presente decreto”57 era una limitazione di libertà e di coscienza personale della quale, per Cavaglion-Romagnani, non basta solamente incolpare il fascismo, ma è doveroso interrogarsi su “quale concezione dello Stato avevano avuto gli ebrei all’inizio del Novecento”58. Il conservatorismo dell’intellighenzia ebraica italiana era certamente difficile da tollerare e perfino da comprendere per personalità come Leone Ginzburg nell’entrare in contatto con la vita comunitaria italiana, ma le istanze degli ebrei modernizzanti nel contesto di quella comunità sotto tutela fascista, erano certamente poco apprezzate59. Dato questo scenario per gli anni Trenta, è importante rivalutare l’esperienza prefascista non solo perché ha rappresentato il primo momento di affermazione di libertà per gli ebrei in Italia, ma anche perché non si trattò di una azione puramente omologatrice ma contemplava ordinamenti rispettosi delle libertà religiose sulle quali lo Stato non andava ad intervenire: un indifferentismo in materia religiosa che garantiva notevolmente la compagine ebraica. In conclusione, dall’introduzione a Le interdizioni del Duce, si trae un insegnamento solo apparentemente semplice: se non si scompone l’ebraismo italiano, se non consideriamo anche il nesso complicato fascismo-ebraismo, se non teniamo in considerazione i ritardi e le “prolungate titubanze a mettersi in gioco come cittadini liberi”60, corriamo il rischio di poggiare il 1938 e le leggi razziali su un “piedistallo di parole”61. Tema a lungo trascurato quello dei beni ebraici e della politica fascista di spoliazione delle “cose” dei perseguitati. Il dibattito italiano ha preso le mosse dallo studio del caso torinese da parte di
56 Importante il lavoro di Stefania Dazzetti sui rapporti giuridici fra il fascismo e le Comunità ebraiche italiane e sul significato di quella “logica concordataria” che in apparenza garantiva diritto di esistenza e libertà di culto. Cfr., S. Dazzetti, L’autonomia delle comunità ebraiche italiane nel Novecento. Leggi, intese, statuti, regolamenti, Giappichelli Editore, Torino 2008. 57 A. Cavaglion – G. P. Romagnani, Le interdizioni del Duce, cit., p. 49. 58 Ibid. 59 Ibid., p. 50, n. 62. 60 Ibid., p. 51. 61 Ibid., p. 33.
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Fabio Levi62 che anticipava l’istituzione nel dicembre 1998 della cosiddetta “Commissione Anselmi”63. La sensibilità di pochi studiosi ha consentito negli anni di riflettere non soltanto sulla dimensione del danno ma anche delle politiche risarcitorie del dopoguerra64. Se in questa antologia compare la ricerca in materia di Fabio Levi con due contributi – temporalmente distanti, a segnare l’origine e la sintesi del suo lavoro sul tema ― , un apporto fondamentale è stato svolto da Ilaria Pavan65. Di questo lavoro fa certamente scuola soprattutto l’ampia parte dedicata al dopoguerra dove, gettando uno sguardo alle analoghe esperienze internazionali, emerge in grande evidenza tutto il limite dell’azione risarcitoria italiana, come le gravi responsabilità di quella magistratura chiamata ad esprimersi sugli effetti dell’emergenza razzista che aveva costretto molte vittime a vendite fittizie e in condizione di evidente svantaggio. La magistratura e la giurisprudenza tra leggi razziali e dimensione risarcitoria è un ambito che ha visto fiorire numerosi studi negli ultimi venti anni, anche se fin dal convegno del Senato per il Cinquantesimo, la legislazione per il reintegro veniva posta come problema autonomo66. Pavan ci ricorda la sostanziale accettazione della storiografia di un paradigma che vede le corti inferiori più sensibili ai diritti dei perseguitati a differenza di un settore apicale come la Cassazione, più restia al riconoscimento dei torti subiti, confermando un’evidente continuità di mentalità e formazione di quei soggetti anziani che proprio nel fascismo avevano lavorato e
62 F. Levi, L’applicazione delle leggi contro le proprietà degli ebrei (19381946), in “Studi Storici”, n. 3, a. 36, 1995, pp. 845-862 e Id., Le case e le cose. La persecuzione degli ebrei torinesi nelle carte dell’Egeli (1938-45), Compagnia di San Paolo, Torino 1998. 63 La Commissione per la ricostruzione delle vicende che hanno caratterizzato in Italia le attività di acquisizione dei beni ebraici da parte di organismi pubblici e privati, presieduta da Tina Anselmi col patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, terminò i lavori nel 2001 con la pubblicazione di un Rapporto generale che censisce sia le vittime di espropri e confische nel periodo 1943-45, sia la legislazione razzista riguardante i beni nella fase 1938-43. 64 Ilaria Pavan ha recentemente sostenuto che “l’inerzia e il disinteresse politico-istituzionale che ha caratterizzato il contesto italiano dopo la conclusione dei lavori della Commissione Anselmi ha poi avuto come corollario un’analoga passività nell’avvio di nuovi studi sul tema, che nel corso degli anni si sono infatti limitati a ben pochi e isolati casi”. Cfr. I. Pavan, La spoliazione dei beni ebraici in Italia. Occasioni mancate e reticenze (1997-2017), in “Italia contemporanea”, agosto 2017, n. 284, pp. 123-133. 65 I. Pavan, Tra indifferenza e oblio. Le conseguenze economiche delle leggi antiebraiche in Italia 1938-1970, Le Monnier, Firenze 2004. 66 M. Toscano (a c. di), L’abrogazione delle leggi razziali in Italia, cit.
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prodotto giurisprudenza67. Il problema della continuità dello Stato fra fascismo e postfascismo, fra mancate epurazioni e permanenze di mentalità autoritarie e conservatrici nella stagione repubblicana, è un ambito di riflessione storiografica molto complesso che non può essere affrontato in questa introduzione, ma è doveroso gettare uno sguardo sul diritto, in una antologia che illustra anche il dibattito sulla legislazione razzista. Qui si assiste fra l’altro al problema della comunicazione non sempre semplice fra specialismi, anche se il ritardo della storiografia giuridica sull’antisemitismo fascista ha spinto questo settore al confronto con quella storiografia politica che aveva già avviato una riflessione in materia. Silvia Falconieri68 nel ricostruire il percorso e le acquisizioni della storiografia giuridica ha colto sia le motivazioni dei ritardi sia i cambi di interpretazioni alla luce di una ricerca che, recependo l’invito di Aldo Mazzacane69, ha cominciato a “sporcarsi le mani” studiando la produzione della giurisprudenza fascista, la pubblicistica del mondo del diritto, fino all’approfondimento prosopografico sia di coloro che formularono normative, sia dei soggetti preposti alla loro applicazione. Dalle aule delle università ai tribunali insomma, gli ultimi venti anni di ricerca illustrano un quadro di collaborazione con il processo antisemita fascista, che ha fortemente ridimensionato le letture del passato che ricordavano soprattutto la resistenza della magistratura alla applicazione delle norme70. Fra i temi più delicati riguardo al rapporto fascismo/mondo giuridico abbiamo chiaramente quello della abrogazione della legislazione e il problema, come ricordavo sopra, del riconoscimento del dovere risarcitorio delle vittime. Le mentalità di parte del ceto dei giuristi “coinvolti nella politica razziale o (…) [che intrattennero] con essa un rapporto quanto meno ambiguo” ha condizionato il postfacismo “facendo emergere le molteplici difficoltà che i giudici I. Pavan, Gli incerti percorsi della reintegrazione. Note sugli atteggiamenti della magistratura repubblicana 1945-1964, in I. Pavan – G. Schwarz (a c. di), Gli ebrei in Italia tra persecuzione fascista e reintegrazione postbellica, Giuntina, Firenze 2001, pp. 85-108. 68 S. Falconieri, Razzismo e antisemitismo. Percorsi della storiografia giuridica, in “Studi Storici”, a. 55, n. 1, gennaio-marzo 2014, pp. 155-168. 69 A. Mazzacane, La cultura giuridica del fascismo: una questione aperta, in Id. (a c. di), Diritto, economia e istituzioni dell’Italia fascista, Nomos, Baden-Baden 2002, pp. 1-19, citato da S. Falconieri, Razzismo e antisemitismo, cit., p. 161. 70 Questa lettura, piuttosto diffusa negli anni Ottanta, muoveva anche dai ricordi personali. Si veda A. Galante Garrone, Ricordi e riflessioni di un magistrato, in “La Rassegna mensile di Israel”, LIV, 1988, nn. 1-2, pp. 19-31. 67
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del dopoguerra hanno incontrato nell’abbandonare categorie e istituti degli anni Trenta e Quaranta”71. Riparare e restituire quindi, al di là delle politiche odierne del ricordo dell’antisemitismo durante il fascismo, non è stato semplice né scontato e questa considerazione conclusiva mi pare alla base della riflessione condotta da Ilaria Pavan nel 2015 a partire dalla costatazione della coltre di silenzio e incuria che ha sepolto i risultati della “Commissione Anselmi” e delle grandi difficoltà per le vittime a trovare accolto un riconoscimento da parte dello Stato per i danni subiti72. Da una parte, gli aspetti celebrativi dei tanti giorni della memoria che si sono succeduti hanno saturato la dimensione pubblica, minimizzando le riflessioni serie sulle responsabilità italiane nella persecuzione degli israeliti; dall’altra, lo Stato (da intendere almeno come i governi e gli organi giudicanti) ha largamente contribuito con azioni reticenti e farraginose, quando non cieche e inadempienti, a normalizzare una intera epoca storica. La risultante di tutto questo è la pressoché completa mancanza di consapevolezza nel cittadino di oggi delle responsabilità italiane nella discriminazione razziale e antisemita, che significa poi non voler fare i conti col fascismo. In conclusione, più che di occasioni mancate, mi sembra giusto affermare l’impotenza della ricerca storica e dei soggetti civilmente impegnati in Italia rispetto a quel giudizio bonario e duraturo che il Paese ha costruito relativamente al fascismo. All’inizio di questa introduzione ricordavo che, nonostante l’odierna grande disponibilità di ricerche su leggi razziali e antisemitismo fascista, non tutto è stato adeguatamente studiato. Per scalfire più in profondità la comoda e assolutoria convinzione di un Paese non responsabile del degrado delle condizioni di vita di cittadini italiani o qui residenti, dalla precarizzazione dei loro orizzonti73, fino al rischio della morte, merita porre l’attenzione sulla S. Falconieri, Razzismo e antisemitismo, cit., p. 167. I. Pavan, Le «Holocaust Litigation» in Italia. Storia, burocrazia e giustizia (1955-2015), in G. Focardi ― C. Nubola (a c. di), Nei tribunali. Pratiche e protagonisti della giustizia di transizione nell’Italia repubblicana, Il Mulino, Bologna 2015, pp. 303-333. 73 Per effetto delle leggi fasciste, la perdita del posto di lavoro e del salario rappresentano uno degli aspetti fondamentali della precarizzazione della vita degli ebrei, precondizione determinante, spesso, per intraprendere una drammatica emigrazione. Un recente studio, frutto di una accurata ricerca documentaria, sugli ebrei cacciati dalla pubblica amministrazione indaga le vite dei colpiti e l’utilizzo della prassi persecutoria anche come squallido strumento per regolare “conti in sospeso”. Cfr., G. Fabre – A. Capristo, Il Registro. La 71
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condizione degli ebrei stranieri dimoranti in Italia. Tedeschi, polacchi, ungheresi o rumeni (che dovettero lasciare gli atenei italiani ed il Paese, o che furono intrappolati nei lager italiani dal 1940) per i quali la capillarità delle espulsioni trasformava un rifugio precario nell’incubo della consegna in mani tedesche, nell’immediato o nell’imminente futuro. Non si tratta solamente delle storie più o meno tragiche o fortunate di individui o gruppi, ma ancora una volta di capire come si comportò la macchina burocratica, i singoli funzionari di polizia, come gli atenei. Quanti riuscirono a finire gli studi e furono magari favoriti, nel sostenere esami in gran numero evitando di andare “fuori corso”, da docenti che facevano valere la propria insindacabile autonomia fra le mura degli atenei? Quanti da prigionieri nei campi di internamento del sud portarono avanti un ostinato “come se”, chiedendo attraverso le amministrazioni detentive alle segreterie universitarie di sostenere esami? Quanti sparirono, perdendo tutto (anche la vita) ad un passo dalla laurea perché costretti da una malattia a saltare una sessione accademica? Questi sono alcune delle questioni emerse da un mio recente spoglio dei fascicoli personali degli studenti ebrei stranieri che erano immatricolati nell’Ateneo di Siena al momento del loro censimento da parte della Questura nel 1938. Su questo terreno c’è ancora molto da fare, passando dal quadro generale74 ai comportamenti della burocrazia universitaria, dei docenti e rettori e delle realtà locali che rappresentavano la casa imperfetta di giovani israeliti dell’Europa centro-orientale. Cavaglion, a proposito del trattamento fascista degli ebrei stranieri, parla giustamente della “vera atrocità mussoliniana, l’espressione più bieca di una antica vergogna, l’egoismo nazionale, con l’iniquità di espulsioni realizzatesi già nel 1939, incentivate da prefetti e funzionari periferici corrotti, che alimentarono una squallida compravendita di clandestini, passati garbatamente ai cugini d’oltralpe («favorire al massimo l’esodo»,
cacciata degli ebrei dallo Stato italiano nei protocolli della Corte dei Conti 1938-1943, Il Mulino, Bologna 2018. 74 Sugli studenti ebrei stranieri si veda E. Signori, Una peregrinatio academica in età contemporanea: gli studenti ebrei stranieri nelle università italiane tra le due guerre, in “Annali di storia delle università italiane”, 4, 2000, pp. 139-162. Per il caso bolognese, ateneo che al 1938 ospitava il maggior numero di stranieri, cfr., G. P. Brizzi, Bologna 1938: silence and remembering: the racial laws and the foreign Jewish students at the University of Bologna, Clueb, Bologna 2000. Assai utile anche la ricostruzione del caso pisano in F. Pelini – I. Pavan, La doppia epurazione, cit.
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secondo la formula burocratica di allora) al solo scopo di non affrontare un’emergenza per la quale si era impreparati”75. Al lettore, al cittadino di oggi, il compito di riflettere su quanto sia odierna e attuale quella “antica vergogna”, di quanto quell’egoismo nazionale, oggi rilanciato come “sano e doveroso” continui a farci disinteressare della sorte dell’altro, ricacciato oltre confine. Per la composizione di questa antologia mi sono rivolto a eminenti studiosi della materia, alcuni dei quali compaiono fra i testi selezionati. Il primo confronto è stato con il mio maestro Enzo Collotti che mi ha aiutato ad enucleare i temi fondamentali e i nomi da includere in una comunque parziale selezione. Ho proseguito con Alberto Cavaglion, Michele Sarfatti, David Bidussa e Fabio Levi che, interrogati sugli equilibri di un volume comunque sintetico, hanno evidenziato problemi che non credo di aver potuto sempre risolvere. Non si tratta soltanto di mancanze, ma della difficoltà di rendere conto, in una antologia che fissa il pensiero di determinati autori, del dinamismo di un dibattito che, almeno nella comunità scientifica, è stato fecondo ed articolato dalla fine degli anni Ottanta. Riconoscente dei consigli ricevuti, concludo ricordando che solo di chi scrive è la responsabilità dei limiti di questo strumento didattico e di riflessione che spero possa risultare di qualche utilità ai lettori. SIMONE DURANTI, aprile 2019
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A. Cavaglion – G. P. Romagnani, Le interdizioni del Duce, cit., pp. 24-5.