Riassunto Diritto Commerciale Cottino [PDF]

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Zitiervorschau

CAPITOLO I 1. La nozione di imprenditore Il codice civile all’art. 2082 definisce l’imprenditore come colui che esercita professionalmente un attività economica organizzata al fine della produzione o lo scambio di beni e servizi. Sono ricomprese in tale definizione figure tra loro molto diverse, accumunate da alcuni requisiti minimi, ovvero da: Requisiti espressi: I. Professionalità II. Organizzazione dei mezzi di produzione III. Esercizio di un attività economica Cui si aggiungono 1. Liceità dell’attività 2. Perseguimento dello scopo di lucro La definizione di imprenditore accolta dal codice civile ruota attorno al soggetto di cui vengono delineati i caratteri essenziali; manca invece una nozione di impresa intesa come attività esercitata dall’imprenditore. Occorre evidenziare che in alcune disposizioni del ns. ordinamento, come in molte disposizioni del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea ed in molte sentenze della Corte di giustizia, il termine impresa viene utilizzato come sinonimo di imprenditore. Per la prima volta, il c.c. del 1942, delinea i caratteri dell’azienda, individuata come complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio della propria attività (art. 2555), cui si accompagna la regolamentazione dei segni distintivi (insegna, ditta, marchio) e della concorrenza sleale (art. 2598). Categorie di imprenditori La disciplina applicabile non è la stessa per tutti i tipi di imprese; il codice civile distingue le diverse tipologie di imprese ed imprenditori in base a tre criteri: • Oggetto dell’impresa: distingue tra imprenditore agricolo (art. 2135) e imprenditore commerciale (art. 2195). • Dimensione dell’impresa: distingue tra piccolo imprenditore (art. 2083) e imprenditore mediogrande; • Natura del soggetto che esercita l’impresa : si distingue tra impresa individuale, impresa costituita in forma di società ed impresa pubblica. Inoltre, il codice regola, seppure con poche e frammentate disposizioni, anche gli enti pubblici economici che vengono assoggettati,ove abbiano per oggetto esclusivo e principale un attività commerciale, all’obbligo di iscrizione nel registro delle imprese ma al contempo sono esonerati dal fallimento (art. 2221 cc). Non sono invece riconducibili alla figura di imprenditore: - il professionista intellettuale, ovvero colui che esercita una professione per cui l’art. 2229 c.c. richiede l’iscrizione in appositi albi o elenchi ; - il lavoratore autonomo

2. Lo statuto generale dell’imprenditore L’appartenenza alla categoria di imprenditore e la compresenza dei requisiti essenziali disposti dall’art.2082, sottopone l’imprenditore stesso all’applicazione di un insieme articolato di disposizioni che compongono il c.d. statuto generale dell’imprenditore. Lo statuto generale dell’imprenditore si applica a qualsiasi tipologia di impresa, a prescindere dall’oggetto dell’attività (commerciale o agricola), dalla dimensione (piccola, media, grande) e dalla forma organizzativa prescelta (individuale o impresa costituita in forma societaria), dalla natura dell’imprenditore (pubblico o privato) e dallo scopo che esso di prefigura (lucro, mutualistico, cooperazionale o di utilità sociale). Tra queste disposizioni si ha: 1. Un primo blocco di disposizioni legate ai limiti ed i controlli posti dall’ordinamento all’attività di impresa, tra cui l’art. 2084 (la legge determina le categorie di imprese il cui esercizio è subordinato ad autorizzazione); l’art. 2085 (che rimanda allo Stato la vigilanza ed il controllo sull’indirizzo della produzione in relazione all’interesse unitario dell’economia nazionale); l’art. 2086, che pone l’imprenditore a capo dell’impresa; l’art. 2087 dedicato alla tutela delle condizioni di lavoro. 2. Un secondo blocco di disposizioni riguardanti i rapporti di lavoro nell’impresa; 3. Art. 2112 cc che assicura, in caso di trasferimento, usufrutto ed affitto d’azienda, la continuità del rapporto di lavoro del prestatore e la conservazione a suo favore dell’anzianità raggiunta.

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4. Un gruppo di norme in materia di contratti commerciali in cui la qualifica di imprenditore di una o più parti giustifica l’applicazione di regole particolari (art. 1722 relativo alle cause di estinzione del mandato ed alle ipotesi di prosecuzione dello stesso; art. 1824 riguardante l’interpretazione delle clausole ambigue dei contratti stipulati dall’imprenditore). 5. Art. 2555 nozione di azienda, intesa come complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’attività di impresa 6. La successione dell’acquirente, dell’usufruttuario o dell’affittuario nei contratti stipulati per l’esercizio dell’impresa stessa (non aventi carattere personale) art. 2558 cc. 7. Le norme relative all’affitto e l’usufrutto d’azienda 8. Un insieme di disposizioni relative alla concorrenza (divieti, limiti legali e contrattuali); 9. Gli art. 2602 in tema di consorzi 10. L’art. 413 secondo il quale per le controversie individuali di lavoro è competente per territorio il giudice nella cui giurisdizione si trova l’azienda (o una dipendenza di questa) nella quale il lavoratore ha prestato la propria opera. 11. Le disposizioni in tema di ditta, marchi, insegna, applicabili a tutti gli imprenditori 12. Le disposizioni contenute nella carta costituzionale riferite all’impresa, come gli art. 41 (iniziative economica), 43, 46 e gli art. 35-36-37 in materia di tutela del lavoro e retribuzione, l’art. 38 in tema di previdenza ed assistenza, l’art. 39 e 40 in tema di sindacati e diritto di sciopero. 13. Le prescrizioni contenute nella l. 180 del 2011 “norme per la tutela della libertà di impresa. Statuto delle imprese” ovvero un insieme di principi generali ed alcune disposizioni di carattere amministrativo che hanno come destinatarie principali le imprese. 14. Accanto allo statuto generale dell’imprenditore, vi sono una serie di nome applicabili alle singole specie di imprenditore (imprenditore agricolo, piccolo imprenditore ecc..)

3. I requisiti dell’attività di impresa; esercizio dell’attività economica Il primo requisito che caratterizza la figura dell’imprenditore è l’esercizio dell’attività economica che consiste in una seri di atti collegati tra loro i cui fini o risultati sono suscettibili di valutazione economica ed il cui compimento segue il metodo economico ovvero un metodo di per sé idoneo, almeno in astratto, a consentire all’imprenditore di remunerare i fattori della produzione (tale requisito sussiste anche per gli enti pubblici economici). Un’altra interpretazione pone l’accento sulla destinazione al mercato, enfatizzando il naturale sbocco esterno di un attività finalizzata allo scambio di beni e di servizi. E’ escluso che possa essere qualificato come imprenditore: • colui che produce per conto proprio, ovvero che eserciti un attività finalizzata alla produzione di beni e servizi, al solo scopo di soddisfare i propri bisogni e quelli della propria famiglia. • Chi investe il proprio denaro in borsa o chi si limita ad amministrare il proprio patrimonio personale anche ingente. • Chi si limita a concedere in godimento i propri beni (es. concedere in locazione un proprio immobile percependone i canoni). Hanno invece carattere di impresa: • le società di investimento ovvero le imprese autorizzate a svolgere attività di investimento per conto di un cliente • le società fiduciarie, che svolgono attività di amministrazione di beni per conto di terzi, spesso risultandone intestatarie • Le c.d. holding pure ovvero le società che controllano altre società e la cui attività consiste nell’indirizzare e coordinare l’attività delle società controllate operative. • L’attività del proprietario di alloggi che non si limita a concederli in locazione ma offre delle prestazioni aggiuntive come pulizia, lavanderia e preparazione dei pasti. L’art. 2248 riconduce alla disciplina del libro III del c.c. la semplice comunione di beni, costituita o mantenuta al solo scopo del loro godimento e non al fine di utilizzarli come strumento per la creazione di ricchezza.

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Secondo una parte della dottrina, il carattere non produttivo e quindi di mero godimento di beni immobili potrebbe configurarsi come attività di impresa in ragione dell’entità dei beni oggetto di godimento e dell’attività posta in essere per amministrare e gestire gli immobili. In questi casi è proprio la complessità della gestione a trasformare il mero godimento in una vera e propria attività di produzione di un servizio e quindi in un’attività economica ai sensi dell’art. 2082 cc. Il requisito dell’esercizio di attività economica, combinato con quello della professionalità, viene evocato anche per configurare (e far fallire) come impresa una holding persona fisica quando la stessa persona fisica, detentrice del pacchetto di controllo di una o più società organizzate in forma di gruppo, agisca in nome proprio per il perseguimento di un risultato economico ottenuto attraverso l’attività svolta professionalmente, con l’organizzazione ed il coordinamento dei fattori produttivi relativi al proprio gruppo di imprese. In questo caso si configura in capo alla persona fisica una stabile organizzazione volta a determinare l’indirizzo, il controllo ed il coordinamento di altre società, che quindi eccede il mero esercizio dei poteri inerenti la propria qualità di socio di tali società. Anche dal punto di vista comunitario l’esercizio dell’attività economica è considerato un elemento imprescindibile ai fini della configurazione dell’impresa, infatti la Corte di Giustizia Europea ha precisato che la nozione di impresa abbraccia qualsiasi entità che esercita un attività economica, a prescindere dallo status giuridico di tale entità e dalla sue modalità di finanziamento. Pertanto possono essere considerati imprenditori anche gli enti pubblici che svolgono attività economica.

4. I requisiti dell’attività di impresa; la professionalità L’art. 2082 richiede anche il requisito della professionalità che implica che l’attività debba essere svolta in modo non saltuario ma abituale, anche se non necessariamente esclusivo e continuativo. Sono imprenditori anche coloro che svolgono attività con cadenza ciclica (es. gestore di stabilimenti balneari, esercente di attività alberghiera in località montana ecc..). La professionalità può sussistere anche in presenza di un'unica operazione le cui dimensioni e la cui importanza sia tale da ricondurre a tale requisito; è il caso della costruzione di una casa di abitazione per rivenderne gli appartamenti o dell’acquisto di beni di antiquariato per importo elevato da rivendere all’asta. Invece, non si riconduce a tale requisito, l’allestimento una tantum di un banco di vendita di oggetti usati per un solo giorno. Il dubbio si pone in merito alla necessità di tale requisito per gli imprenditori collettivi, considerato che la definizione di società dettata dall’art. 2247 c.c. (a differenza della nozione generale di imprenditore art. 2082 cc.) non fa cenno alla professionalità. Pertanto sembrerebbe ammissibile una società occasionale destinata a nascere e morire uno actu (come l’acquisto di un bene da parte di più persone per immediatamente rialienarlo per speculare sul prezzo).

5. I requisiti dell’attività di impresa; l’organizzazione L’organizzazione è la particolare combinazione di fattori produttivi impressa dall’imprenditore agli elementi che compongono l’azienda e che quindi, considerati nel loro complesso, costituiscono gli strumenti attraverso i quali riesce ad esplicitare le proprie competenze Tale requisito si riflette nella definizione di azienda, qualificata come complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio della propria attività. Il requisito dell’organizzazione è stato ridimensionato sia dalla diffusione della tecnologia, sia dall’intervento del legislatore tributario. Quest’ultimo ha accolto una nozione di reddito di impresa che comprende quello proveniente da attività anche se non organizzate in forma di impresa. Il riferimento è all’art. 55 d.p.r. 917/1986 che definisce redditi di impresa quelli che derivano da imprese commerciali ma che intende per “esercizio di imprese commerciali” l’esercizio di attività abituale e non esclusiva delle attività indicate nell’art. 2195 cc (imprenditori soggetti a registrazione) anche se non organizzate in forma di impresa. Tuttavia, le indicazione provenienti dal legislatore tributario non sono esaustive, dovendosi ritenere sempre necessario un minimo di organizzazione, ai fini civilistici, anche se solo mediante l’impiego di strumenti sofisticati che possano del tutto o in parte sostituire il lavoro dei collaboratori.

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E’ proprio il requisito dell’organizzazione che distingue l’imprenditore, anche di modeste dimensioni (piccolo imprenditore) dal lavoratore autonomo. Ove ci sia la sola ripetizione, occasionale o professionale, di prestazioni proprie del relativo contratto d’opera, senza un minimo di organizzazione di strumenti, capitali o lavoro altrui, ci si trova davanti ad un lavoratore autonomo. All’imprenditore autonomo non si applica lo statuto dell’imprenditore ma l’art. 2222 e successivi (“quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo si subordinazione nei confronti del committente, si applicano le nome di questo caso, salvo che il rapporto abbia una disciplina particolare nel libro IV). Quando tali soggetti applichino anche un solo dipendente oppure capitali e mezzi che eccedano per complessità o numero la normale dotazione di categoria (es. borsa degli strumenti dell’idraulico) l’attività deve considerarsi a tutti gli effetti impresa ed il suo autore imprenditore, piccolo o “normale” a seconda delle dimensioni e del ricorrere dei requisiti di cui all’art. 2083 c.c. con relativa applicazione dello statuto dell’imprenditore.

6. Lo scopo di lucro L’art. 2082 non menziona lo scopo di lucro tra i requisiti dell’imprenditore. Tuttavia occorre domandarsi se il perseguimento dello scopo di lucro sia necessario a configurare l’esercizio di impresa almeno nel suo esercizio in forma collettiva, considerato che l’art. 2247 c.c. menziona la divisione degli utili quale suo scopo (art. 2247 cc Con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l'esercizio in comune di un'attività economica, allo scopo di dividerne gli utili). Si è recentemente diffusa la tesi del “tramonto dello scopo di lucro”, sostenuta adducendo dapprima il crescente peso delle imprese pubbliche e la grande diffusione di società cooperative ma in particolare, in anni recenti, la comparsa sul mercato dell’impresa sociale. E’ pur vero che la presenza sul mercato di imprese pubbliche è stata notevolmente ridimensionata a seguito dell’ondata di privatizzazioni degli anni ’90. Quanto all’impresa sociale, disciplinata dal d.lgs. 55/2006, essa consente l’acquisizione della relativa qualifica ad organizzazioni private o enti che “esercitano in via stabile o principale un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale”. Le imprese sociali devono destinare gli utili e gli avanzi di gestione allo svolgimento dell’attività statuaria o ad incremento del patrimonio ed è vietata la distribuzione (anche in forma indiretta) di utili, avanzi di gestione, di fondi e riserve in favore di soci, partecipanti, lavoratori o collaboratori. Anche per questa tipologia di imprese, l’impossibilità di distribuire profitti non pare incompatibile con la realizzazione di un utile, anche se questo è necessario per incrementare la capacità patrimoniale ed operativa dell’impresa. Pertanto, la tesi prevalente è quella che annovera lo scopo di lucro tra gli elementi che caratterizzano la veste di imprenditore; tale tesi tiene conto che chiunque inizi un’attività economica si prefigga di condurla con modalità che consentano quanto meno la copertura dei costi con i ricavi conseguiti (metodo economico). In caso contrario, infatti, si avrebbe mero consumo e non produzione di ricchezza (e quindi non si avrebbe impresa).

Anche l’orientamento comunitario conferma che il perseguimento dello scopo di lucro, almeno nei termini sopra indicati, è un connotato naturale dell’impresa e del suo statuto.

7. L’impresa illecita L’art. 2082 non menziona la liceità tra i requisiti dell’imprenditore. Occorre domandarsi se la qualifica di imprenditore possa essere riconosciuta anche quando l’attività sia esercitata in violazione della legge ovvero quando la violazione riguardi la mancanza di un’autorizzazione (es. esercizio di attività bancaria o assicurativa) o un divieto soggettivo derivante, per esempio, dalle legge professionale applicabile ad alcuni soggetti (es. avvocati notai) o ancora l’illiceità derivi dalla stessa attività (es. esercizio della prostituzione). La qualità di imprenditore deve essere riconosciuta anche se l’attività è illecita, ovvero contraria a norme imperative, all’ordine pubblico ed al buon costume ovvero:

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Quando l’illiceità concerna un divieto soggettivo e la violazione non incide sulla qualificazione di imprenditore – es. l’avvocato che aprisse un ristorante acquisterebbe la qualifica di imprenditore ma sarebbe sottoposto alle sanzioni disciplinari del proprio ordine di appartenenza. • Quando il difetto consista nella mancanza di un’autorizzazione all’esercizio dell’attività (es. autorizzazione della banca di Italia per le banche). • Quando il soggetto eserciti un attività contraria alla legge. A queste imprese illecite, fermo restando l’applicazione delle opportune sanzioni amministrative e/o penali, si applicheranno solo i segmenti dello statuto dell’imprenditore favorevoli ai terzi (incolpevoli) che abbiano intrapreso relazioni con l’imprenditore illecito. Pertanto, tali imprenditori: - saranno comunque sottoposti al fallimento - non potranno avvalersi dalle norme che tutelano l’imprenditore nei confronti dei terzi (disciplina dell’azienda, dei segni distintivi, della concorrenza sleale); - in ogni caso i loro creditori saranno tutelati dalla legge in materia;

8. L’imprenditore agricolo Nell’impianto originario del codice civile l’imprenditore agricolo era caratterizzato dal forte legame con il fondo e si distingueva nettamene dall’imprenditore commerciale non piccolo per non essere tenuto all’iscrizione nel registro delle imprese e quindi al relativo regime pubblicitario, per non avere l’obbligo di redigere le scritture contabili e per la non assoggettabilità al fallimento ed alle altre procedure concorsuali. La nozione di imprenditore agricolo è stata integralmente ridisegnata dal d.lgs. 228/2001 sia per effetto dell’attuazione del registro delle imprese che per le modifiche apportate alla normativa fallimentare. E’ imprenditore agricolo colui che esercita una delle attività agricole c.d. essenziali ovvero coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e le c.d. attività connesse (art. 2135 c.c.). Nel secondo comma dell’art. 2135 si identificano le attività essenziali o principali “per coltivazione del fondo, selvicoltura e allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura ed allo sviluppo del ciclo biologico o una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine”. L’attività agricola non è più intesa in senso tradizionale (e quindi strettamente collegata al fattore “fondo”) ma è sufficiente che essa riguardi il ciclo biologico - o una sua fase- di un animale o un vegetale. Infatti oggi è possibile ottenere prodotti agricoli con metodi che prescindono dallo sfruttamento della terra (es. coltivazione di polli in batteria, coltivazione di piante in acqua) e l’allevamento di animali che non rientrano nella definizione tradizionale di “bestiame” (allevamento di cani – cinotecnica - o l’allevamento di cavalli da corsa). Non può invece essere considerata attività agricola la gestione di uno zoo. Le attività agricole per connessione sono attività di per sé commerciali che si connotano come agricole per il fatto di essere esercitate dall’imprenditore agricolo in via principale. Si tratta delle attività • dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione, che abbiano per oggetto prodotti ottenuti dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali • le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzo prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese quelle di valorizzazione del territorio, del patrimonio rurale e forestale ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge • E’ quindi imprenditore agricolo chi coltiva le vigne e raccoglie l’uva per produrre e rivendere il vino, purché questo sia prodotto utilizzando prevalentemente i suoi uvaggi; • Unica eccezione al requisito soggettivo di connessione è previsto per le cooperative di imprenditori agricoli ed i loro consorzi quando utilizzano per lo svolgimento delle attività prevalentemente prodotti dei soci ovvero forniscono prevalentemente ad essi beni e servizi diretti alla cura o allo sviluppo del ciclo biologico di carattere vegetale o animale. In questo caso le cooperative agiscono per conto dei loro soci e sono quindi uno strumento per la loro attività.

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All’imprenditore agricolo è equiparato l’imprenditore ittico ovvero il titolare di licenza di pesca che esercita professionalmente ed in forma singola, associata o societaria, l’attività di pesca e le relative attività connesse; così anche l’acquacoltore ovvero chi alleva organismi acquatici. Quanto allo statuto dell’imprenditore agricolo: - Gli imprenditori agricoli sono tenuti all’iscrizione in una sezione speciale del registro delle imprese. tale pubblicità produce gli stessi effetti dell’iscrizione nella sezione ordinaria ovvero ha effetto dichiarativo: i fatti non pubblicati non possono essere opposti a terzi a meno che non si provi che ne erano egualmente a conoscenza; al contrario, una volta che il fatto viene pubblicato nessun terzo può validamente sostenere di non esserne a conoscenza. - Gli imprenditori agricoli sono sottratti all’obbligo di redigere le scritture contabili ma numerose disposizioni fiscali ne impongono la tenuta; - Gli imprenditori agricoli sono sottratti dal fallimento e dalle procedure concorsuali (concordato preventivo) che sono riservati ai soli imprenditori che esercitano attività commerciale. Gli imprenditori agricoli sono però ammessi a stipulare accordi di ristrutturazione dei debiti e transazioni fiscali e possono ricorrere alla procedura di composizione della crisi di sovraindebitamento (cui possono ricorrere solo i debitori non fallibili). Il legislatore ha quindi accordato un regime di favore nei confronti degli imprenditori agricoli che può essere visto come una “compensazione” con i maggiori rischi che le attività agricole comportano.

9. L’imprenditore commerciale Il codice civile non definisce l’imprenditore commerciale ma si limita ad elencare, all’art. 2195, le attività per cui è imposta l’iscrizione al registro delle imprese e che comportano la qualificazione come imprenditore commerciale : • attività industriale diretta alla produzione di beni o servizi (settore delle imprese industriali); • attività intermediaria nella circolazione dei beni (settore del commercio); • attività di trasporto, per terra, per acqua, per aria, sia di persone che di cose; • attività bancaria o assicurativa; • altre attività ausiliarie alle precedenti (es. imprese di agenzia, di deposito, di mediazione, di commissione, di spedizione, di pubblicità). L’elenco non è tassativo e si pone talvolta il problema della qualificazione di attività non indicate nell’elenco di cui sopra; eventuali attività non elencate dovranno essere considerate attività commerciali qualora non siano qualificabili come agricole (art. 2135 c.c.) o piccole imprese (art. 2083 cc.). L’imprenditore commerciale non piccolo è soggetto all’applicazione dello statuto dell’imprenditore commerciale, che prevede: - l’iscrizione nel registro delle imprese; nell’impianto originario del codice civile ciò era previsto solo per l’imprenditore commerciale ma successivamente l’obbligo è stato esteso alle imprese agricole ed alle piccole imprese, seppure in una sezione speciale. - L’obbligo di indicare negli atti e nella corrispondenza il registro di iscrizione (Art. 2199 cc) - L’obbligo di tenuta delle scritture contabili - Assoggettamento al fallimento ed alle altre procedure concorsuali - Alcune disposizioni regolano la circolazione dell’azienda e dei crediti e debiti stipulati durante il suo esercizio (art. 2559) - L’art. 2556 impone la prova per iscritto e l’iscrizione nel registro delle imprese dei contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o il godimento d’azienda - L’art. 2560 estende all’acquirente di una società commerciale la responsabilità delle obbligazioni contratte dall’alienante che risultino dalle scritture contabili obbligatorie Allo statuto di impresa commerciale ordinaria si sono andate sovrapponendo una serie di disposizioni relative al particolare tipo di attività commerciale esercitata o al ricorso al capitale di rischio, come nel caso delle società bancarie o assicurative, le società di investimento e le società per azioni quotate in mercati regolamentati. Sono riservate all’impresa commerciale ordinaria anche alcune regole relative alla rappresentanza ed alcune norme sulla preposizioni institoria.

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Il codice lega la nomina di un institore all’esercizio di un’impresa commerciale e definisce l’institore come colui che è preposto dal titolare all’esercizio di un impresa commerciale (tipicamente il direttore generale, l’alter ego dell’imprenditore).

10. Il piccolo imprenditore Ai sensi dell’art. 2083 c.c. sono piccoli imprenditori i coltivatori diretti del fondo, i piccoli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un’attività commerciale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della propria famiglia. Nell’impianto originario del codice civile i piccoli imprenditori erano sottratti al fallimento ed alle altre procedure concorsuali, non erano soggetti all’obbligo di iscrizione nel registro delle imprese e non erano obbligati a tenere le scritture contabili. I contorni della figura del piccolo imprenditore non erano facilmente individuabili, sia a causa dell’ambiguità della disposizione dell’art. 2083 c.c., sia per il sovrapporsi di numerose leggi speciali contenenti diverse definizioni. Il criterio per l’individuazione del piccolo imprenditore, fornito dall’art. 2083, è la prevalenza del lavoro proprio e della propria famiglia ma, date le numerose leggi speciali che hanno fornito un’autonoma disposizione di artigiano e coltivatore diretto, si è discusso in merito all’applicabilità di tale criterio anche su queste categorie. I coltivatori diretti, in base all’art. 6 della legge n. 203/1982, sono “coloro che coltivano il fondo con il lavoro proprio e la propria famiglia, sempre che tale forza lavorativa costituisca almeno un terzo di quella necessaria per la coltivazione del fondo, tenuto conto, agli effetti del computo delle giornate lavorative necessarie per la coltivazione del fondo stesso, anche dell’impiego delle macchine agricole”; tale definizione non coincide con quella fornita dall’art. 2083 c.c.. L’artigiano è stato oggetto di numerose leggi che sono state via via adeguate all’evoluzione tecnologica di questa figura, sempre più caratterizzata dalla meccanizzazione dei processi produttivi delle attività tradizionali. L’ultima tra queste leggi è stata la legge quadro sull’artigianato n. 443/1985, tutt’ora in vigore, che qualifica l’artigiano come colui che esercita personalmente e professionalmente, in qualità di titolare, l’impresa artigiana, assumendone la piena responsabilità con tutti gli oneri ed i rischi inerenti la sua direzione e gestione e svolgendo in misura prevalente il proprio lavoro. Tale disposizione consente all’artigiano di impiegare un certo numero di dipendenti –seppure diretti personalmente dall’imprenditore artigiano (o dai soci ove abbia forma collettiva) –che sicuramente eccede il più contenuto rapporto tra attività propria ed altrui delineato dall’art. 2083 c.c. . La legge 443/1985 legittima l’impresa artigiana che non lavori in serie ad impiegare 18 dipendenti e quella che lavora in serie ad utilizzarne 9; si ha un numero di dipendenti variabile da settore a settore sino ad arrivare ad un massimo di 32 dipendenti. Si è quindi discusso se l’artigiano così delineato potesse essere sempre considerato piccolo imprenditore agli effetti dell’art. 2083 c.c. (ed altre disposizioni civilistiche) e quindi essere sottratto al fallimento ed alle altre procedure concorsuali. L’originaria disposizione dell’art. 1 della legge fallimentare, esonerava dal fallimento i piccoli imprenditori, definendo tali “gli imprenditori esercenti un’attività commerciale i quali sono stati riconosciuti, in sede di accertamento ai fini dell’imposta di ricchezza mobile, titolari di un reddito inferiore al minimo imponibile” e stabiliva che qualora mancasse tale accertamento doveva risultare un capitale investito non superiore a 900.000 lire. Precisava inoltre che in nessun caso potevano essere considerati piccoli imprenditori le società commerciali (e ciò creava dei dubbi in merito all’impresa artigiana esercitata in forma societaria). Tali criteri fissati dalla legge fallimentare vennero presto meno: • il primo con l’abolizione dell’imposta sulla ricchezza mobile operata con la riforma fiscale del 1973 (sostituita dall’IRPEF) • il secondo criterio, relativo al capitale investito inferiore a 900.000 lire, fu dichiarato incostituzionale nel 1989 in quanto non più idoneo, a seguito della svalutazione monetaria.

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Per quanto riguarda la disposizione che escludeva le società commerciali dai piccoli imprenditori, alcune sentenze ne affermarono l’intervenuta abrogazione ad opera della legge quadro 443/1985 o comunque per effetto del venir meno dei due criteri di cui sopra.

Al fine di colmare la lacuna dovuta all’abrogazione dei criteri della legge fallimentare, è intervenuta la riforma della legge fallimentare del 2006 (e gli interventi correttivi del 2007) che ha introdotto alcuni criteri per la qualificazione dell’imprenditore commerciale ordinario ed il piccolo imprenditore commerciale. La nuova formulazione dell’art. 1l. fall. non menziona il piccolo imprenditore ma stabilisce i parametri dimensionali validi per tutti gli imprenditori che esercitino attività commerciale, indipendentemente dalla natura dell’attività (artigiana o meno) e della prevalenza del lavoro proprio e dei familiari. Sono quindi soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitino un’attività commerciale, esclusi gli enti pubblici, ma ne sono esclusi quelli che dimostrino il possesso congiunto dei tre requisiti a. aver avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di fallimento o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila; b. aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell'istanza di fallimento o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila; c. avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila. Pertanto, seppure permanga la definizione codicistica, questa è irrilevante ai fini fallimentari in quanto a tale riguardo si fa riferimento ai parametri dimensionali di cui alla legge fallimentare. E’ pur vero che l’imprenditore commerciale “sotto soglia” ovvero che non superi la dimensione patrimoniale prevista dall’art. 1 l. fall, può ritenersi non piccolo ai fini dell’applicazione dello statuto dell’imprenditore commerciale (e quindi dell’iscrizione nella sezione ordinaria del registro delle imprese e dalla tenuta delle scritture contabili) ove impieghi un numero di dipendenti tale da escludere la prevalenza del lavoro proprio su quello altrui richiesta dall’art. 2083 c.c. Ad esempio il parrucchiere che impiega 4 dipendenti, è considerato imprenditore non piccolo anche se rimane sotto la soglia stabilita dalla legge fallimentare. Analoghe conclusioni valgono per l’impresa artigiana, dovendosi applicare i criteri della legge quadro 443/1985 per le agevolazioni fiscali previste ma l’art. 2083 c.c. per decidere se si tratti di piccolo imprenditore o di ordinaria impresa commerciale ai fini dell’iscrizione nel registro delle imprese e l’obbligo di tenuta delle scritture contabili ed infine l’art. 1 legge fall. ai fini dell’assoggettamento al fallimento ed alle altre procedure concorsuali. Quanto al riconoscimento del privilegio artigiano di cui all’art. 2751 c.c., ovvero il diritto del creditore artigiano ad essere preferito al altri creditori nell’ottenere il corrispettivo per la vendita dei manufatti, il legislatore ha modificato la disposizione avendo sancito che ne sono muniti “i crediti dell’impresa artigiana definita ai sensi delle disposizioni legislative vigenti”. Pertanto il privilegio è riconosciuto agli artigiani così qualificati ai sensi della legge quadro 443/1985, sia nel caso di impresa individuale che nel caso di imprese collettive.

Tali valori possono essere aggiornati con cadenza triennale con decreto del Ministro della Giustizia in base alle variazioni degli indici Istat dei prezzi al consumo. Anche le società commerciali, se rispettano questi limiti, sono esonerate dal fallimento. E’sufficiente il superamento di un solo di questi limiti dimensionali per essere esposti al fallimento; la loro prova è a carico del debitore. Secondo opinione prevalente, chi può essere fallito si determina in base ai parametri quantitativi stabiliti dalla legge fall; la definizione di piccolo imprenditore dettata dal codice civile rileva invece ai fini dell’applicazione della restante parte dello statuto dell’imprenditore commerciale (iscrizione nel registro delle imprese, obbligo di tenuta delle scritture contabili).

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11. La nozione di microimpresa e di piccola e media impresa nell’ordinamento comunitario e nella legislazione italiana La normativa comunitaria prevede specifiche definizioni dedicate alle PMI (piccole-medie imprese). La commissione europea ne ha fornito la definizione di piccola impresa ovvero “un’impresa che occupa meno di 50 persone e che realizzi un fatturato annuo o un totale di bilancio che non superi i 10 milioni di euro” e quella di microimpresa “impresa che occupa meno di dieci persone e realizza un fatturato annuo e un totale di bilancio annuo non superiore a 2 milioni di euro”. Le disposizioni comunitarie sono state recepite nel ns. ordinamento con alcuni recenti provvedimenti che considerano tali realtà economiche in modo distinto rispetto ad altre imprese. Tra queste si ha la legge quadro 180/2011 “norme per la tutela della libertà di impresa. Statuto delle imprese” che detta specifiche disposizioni in materia di micro, piccole e medie imprese e di politiche pubbliche, istituisce un Garante per le stesse e prevede il varo di un disegno di legge annuale che deve contenere norme di immediata esecuzione al fine di favorirne e promuoverne l’attività, rimuovere gli ostacoli che ne impediscono lo sviluppo e ridurre gli oneri burocratici ed amministrativi. Per esempio, pensata per le PMI, è la disciplina delle c.d. start-up innovative (che devono costituirsi in forma di società di capitali, anche cooperative)il cui valore della produzione annua non deve superare i 5 milioni di euro e il cui oggetto sociale esclusivo o prevalente deve essere lo sviluppo, la produzione o la commercializzazione di prodotti o servizi ad elevato contenuto tecnologico: ad esse gli art. 25 e s.s. del d.l. 179/2012 accordano significativi benefici di ordine fiscale come anche l’esenzione dal fallimento. Le microimprese sono equiparate ai consumatori in tema di pratiche commerciali scorrette dall’art. 18 del codice del consumo che detta condizioni e limiti alla modifica unilaterale da parte della banca delle condizioni pattuite nei contratti con i clienti.

12. L’impresa familiare e l’azienda coniugale L’impresa familiare è regolata dall’art. 230 bis c.c., introdotto con la riforma del diritto di famiglia dalla l. 151/1975 ; è un impresa individuale – non necessariamente piccola – caratterizzata dalla collaborazione continuativa del coniuge, dei parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado. Ai familiari dell’imprenditore la norma accorda particolari diritti, non derogabili, a livello patrimoniale e di gestione, sempre che le parti non abbiano regolato in modo differente il relativo rapporto (es. costituendo una società in cui i familiari siano soci o amministratori). La norma riconosce il diritto del familiare al mantenimento secondo le condizioni patrimoniali della famiglia ed una quota di utili proporzionata all’apporto lavorativo prestato; inoltre, in caso di cessazione della collaborazione, una quota degli incrementi di valore dell’azienda, da liquidarsi in denaro. Sono inoltre previste forme di collaborazione alla gestione: ogni familiare ha diritto di voto con riguardo ad alcune materie, quali l’impiego degli utili e gli atti di gestione straordinaria, gli indirizzi produttivi e la cessazione dell’impresa. L’impresa rimane comunque familiare e quindi solo l’imprenditore sarà assoggettato al fallimento. L’azienda coniugale è regolata dall’art. 177 c.c. e se ne prevedono due fattispecie: - La prima consiste nell’azienda gestita da entrambi i coniugi dopo il matrimonio, che diventa oggetto della comunione tra di essi - La seconda è costituita da un solo coniuge prima del matrimonio ma è successivamente gestita da entrambi; per questa la comunione riguarda solo gli utili e gli incrementi di valore che essa abbia prodotto dal momento in cui ha inizio l’attività congiunta. Nella prima ipotesi diventano imprenditori entrambi i coniugi ed entrambi hanno il potere di gestione e rappresentanza, disgiuntamente per gli atti di ordinaria amministrazione e congiuntamente per quelli di straordinaria amministrazione. Nella seconda solo il titolare assume la veste di imprenditore. 13. L’impresa pubblica E’ impresa pubblica l’impresa la cui titolarità sia riferibile ad un soggetto di diritto pubblico. Invece, conserva natura privata, l’impresa articolata secondo una forma organizzativa privata, indipendentemente dal fatto che il detentore della maggioranza delle quote (o anche di tutte) sia lo Stato o un ente pubblico.

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Negli anni novanta molteplici enti economici formalmente pubblici (Eni, Enel ecc..) sono stati trasformati in spa inizialmente (ma non per tutti) con lo Stato come unico socio e successivamente come socio di maggioranza, per la dismissione delle partecipazioni (c.d. privatizzazione). Si distinguono due tipologie di imprese formalmente pubbliche: - Le imprese organo: fanno capo direttamente ad un ente territoriale o allo Stato. - Gli enti pubblici economici (es. S.I.A.E., Ente Tabacchi Italiani); la relativa disciplina è prossima è quelle delle imprese private ed è ricavabile da alcune frammentate disposizioni contenute nel codice civile che gli assoggetta, ove abbiano “oggetto esclusivo o principale un’attività commerciale” all’obbligo di iscrizione nel registro delle imprese ma li esonera dal fallimento e da concordato preventivo. 13. L’impresa collettiva e l’esercizio di impresa da parte di associazioni e fondazioni L’impresa collettiva è essenzialmente l’impresa in forma societaria ma così può essere qualificata anche l’impresa gestita da un associazione ovvero un ente di diritto privato che nasce da un contratto associativo regolato dalle norme del libro I del codice civile. E’ oramai superata l’impostazione che escludeva la configurabilità di un’ associazione come titolare di impresa, in quanto impossibile conciliare il fine lucrativo con le finalità ideali dell’ente. L’associazione può quindi essere titolare di impresa sia quale attività accessoria alle finalità ideali dell’ente sia come attività principale. In ogni caso l’ente dovrà essere considerato titolare di impresa e gli sarà applicato il relativo statuto, procedure concorsuali comprese nel caso eserciti attività commerciale. Analoghe considerazione valgono per le fondazioni con la precisazione che questa non è un ente associativo e quindi le sue vicenda coinvolgono la fondazione, il suo patrimonio e chi lo ha gestito ma non altri partecipanti. 14. L’imputazione dell’attività di impresa. L’attività imprenditoriale è normalmente imputabile al soggetto che la pone in essere (individuale o collettivo) cui si applicherà il relativo statuto. Vi sono dei casi particolari di dissociazione tra l’esercizio dell’attività e la sua imputazione: -

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Incapace (minore, interdetto, inabilitato) i cui atti sono compiuti dal suo legale rappresentante (o vi è necessità del suo consenso nel caso nel minore emancipato o dell’inabilitato). Questa ipotesi è espressamente regolata dal codice civile seppure limitatamente all’impresa commerciale (ma la giurisprudenza estende anche all’impresa agricola e alla piccola impresa) ed è disciplinata dalla normativa più generale che governa la cura degli interessi patrimoniali dell’incapace e che impone l’affiancamento di un curatore (per il minore emancipato e l’inabilitato) o il compimento degli atti da parte del rappresentante legale (per il minore). L’interdetto ed il minore non posso compiere alcun atto di amministrazione in base all’art. 320 c.c. gli atti di ordinaria amministrazione sono gestiti e curati dal genitore o dal tutore mentre quelli di straordinaria amministrazione devono essere autorizzati dal giudice tutelare, che ne valuta la necessità e l’utilità. L’incapace parziale (minore emancipato e l’inabilitato) può gestire il proprio patrimonio ma deve richiedere al giudice tutelare o al tribunale l’autorizzazione per il compimento di atti di straordinaria amministrazione, previo consenso del curatore. Analoga è la posizione della persona a cui, che per ragioni di infermità o menomazioni, sia nominato un amministratore di sostegno. Il codice civile regola espressamente la posizione del minore emancipato che, ove autorizzato dal tribunale, può compiere autonomamente gli atti che eccedono l’ordinaria amministrazione, anche se estranei all’esercizio di impresa (quindi senza assistenza del curatore) sia in riferimento all’attività di impresa già avviata, sia con riguardo all’inizio dell’attività imprenditoriale. Gli inabilitati possono solo essere autorizzati dal tribunale alla continuazione di un attività commerciale (per esempio a seguito dell’acquisizione di un azienda per successione o donazione) e non all’inizio di una nuova attività (l’autorizzazione può essere subordinata alla nomina di un institore).

Nel caso di attività svolta in difetto di una valida autorizzazione, l’incapace non assumerebbe la veste di imprenditore che sarebbe acquisita dal proprio rappresentate legale, sul quale cadrebbero le conseguenze personali a seguito di insolvenza. Sul patrimonio dell’incapace non graverebbero le conseguenze patrimoniali di una declaratoria di fallimento, a causa della mancanza di un provvedimento abilitativo. Qualora l’autorizzazione venga regolarmente rilasciata, dovrà essere debitamente pubblicizzata mediante iscrizione presso il registro delle imprese, così come il provvedimento di revoca del provvedimento abilitativo. In questo caso il minore o l’incapace acquistano la qualità di imprenditore, con tutti gli effetti utili e onerosi che ne derivano,compreso l’assoggettamento del relativo patrimonio al fallimento in caso di insolvenza. E’ dibattuto se siano sottoposti anche alle conseguenze personali ed alle sanzioni penali connesse al fallimento ma ciò è escluso da parte della dottrina. -

Imprenditore occulto: il caso in cui l’impresa è formalmente riconducibile ad un imprenditore che però non la esercita nel proprio interesse ma in quello di un altro soggetto il cui nome non viene speso nei rapporti con i terzi. Questa è l’ipotesi in cui l’imprenditore occulto non vuole figurare come titolare dell’attività in quanto vincolato da un patto di non concorrenza o perché essendo un professionista intellettuale gli è precluso l’esercizio di impresa. Oppure il caso di un imprenditore in precedenza fallito o che non vuole esporre a rischio il proprio patrimonio (perché magari l’imprenditore che formalmente spende il nome risulta nullatenente). La giurisprudenza ha ricercato soluzioni utili ad imputare all’imprenditore occulto la responsabilità per le obbligazioni assunte nell’esercizio di impresa, a prescindere dalla formale spendita del proprio nome. E’ stata elaborata la tesi della c.d. impresa fiancheggiatrice che afferma che gli atti compiuti dall’imprenditore occulto nell’interesse dell’impresa principale darebbero vita ad un’impresa parallela, la cui attività consiste nel finanziamento e nella direzione dell’impresa principale; in questo modo l’imprenditore occulto può essere dichiarato fallito in caso di insolvenza della società fiancheggiatrice. L’art. 147 l. fall. consente di estendere la dichiarazione di fallimento di una società a responsabilità illimitata anche ai soci di cui si scopra successivamente l’esistenza (c.d. soci occulti), sia di imputare gli effetti del fallimento all’imprenditore occulto qualora dopo la dichiarazione di fallimento dell’impresa individuale si scopra che in realtà questa è riferibile ad una società occulta, di cui il socio deve essere considerato illimitatamente responsabile.

15. L’inizio e la fine del’attività di impresa L’applicazione dello statuto dell’imprenditore consegue all’acquisto della qualità di imprenditore. Assume quindi rilievo il momento iniziale dell’attività e specularmente quello finale, i cui criteri di individuazione sono due: - Il principio di effettività, che collega l’inizio e la fine dell’impresa al momento in cui è effettivamente compiuto il primo atto di gestione ed a quello in cui l’attività cessa - L’assunzione della veste di imprenditore a seguito di dati formali, quali l’iscrizione e la cancellazione dal registro delle imprese; Occorre distinguere a seconda che si tratti di persona fisica o di società. •

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Per la persona fisica l’inizio dell’attività si ha con il compimento degli atti dell’organizzazione, quale assunzione di dipendenti o apertura di credito presso le banche o l’acquisto di materie prime, non essendo necessaria l’inaugurazione dei locali. Invece, la fine dell’attività si ha con la cessazione dell’attività tipica, non essendo necessario anche lo smantellamento definitivo del complesso aziendale. Va tenuto presente che, secondo l’art. 10 l.fall. un imprenditore non può essere dichiarato fallito decorso un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese; pertanto, l’imprenditore che pur cessando l’attività non si cancellasse dal registro delle imprese risulterebbe assoggettabile al fallimento senza limiti di tempo.



Invece,ove l’imprenditore si cancellasse dal registro delle imprese ma continuasse la propria attività, i creditori o il pubblico ministero sarebbero ammessi a dimostrare il momento dell’effettiva cessazione, dal quale decorre un anno per la dichiarazione di fallimento. Per le società, rileva la pubblicità: divengono imprenditori dal momento della loro costituzione ed iscrizione nel registro delle imprese a prescindere dal compimento del primo atto. L’estinzione coincide con la cancellazione del registro delle imprese e non con la semplice cessazione in concreto dell’attività enunciata dall’oggetto sociale. Anche per le società gli imprenditori possono essere dichiarati falliti entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, se l’insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l’anno successivo. Tempo addietro, le società non venivano considerate cessate sino alla permanenza anche di un solo debito, indipendentemente dalla cancellazione dal registro delle imprese. Invece ora la società risulta estinta dal momento della cancellazione dal registro delle imprese e le obbligazioni ancora pendenti si trasferiscono ai soci, i quali rispondono entro i limiti della propria responsabilità.

16. Imprenditore e professionista intellettuale L’attività del professionista intellettuale è disciplinata nel titolo III del libro V, dedicato al lavoro autonomo (e non nel titolo II dedicato al lavoro nell’impresa); infatti il professionista non è un imprenditore. L’art. 2238 c.c. dispone che si applicano al professionista le disposizioni del Titolo II solo se l’esercizio della professione costituisca elemento di un’attività organizzata in forma di impresa. Da tale disposizione si ricava che i professionisti non assumono la veste di imprenditore a meno che si tratti di soggetti che svolgono attività di natura diversa e più complessa, nell’ambito di una struttura imprenditoriale; è il caso del medico titolare di una clinica privata o dell’architetto che apre un’agenzia pubblicitaria.7 Questi ultimi soggetti non si limitano a prestare la propria attività professionale ma forniscono prestazioni di natura imprenditoriale e di regola non offrono le proprie prestazioni professionali ma quelle altrui. Al contrario, un professionista che si limita a svolgere la propria attività intellettuale non può essere qualificato imprenditore né essere assoggettato al relativo statuto indipendentemente dal proprio livello di organizzazione, seppure spesso sia superiore ad un piccolo imprenditore (si pensi al dentista che utilizza apparecchiature costose e impieghi alcuni dipendenti). Pertanto, i professionisti, non essendo neppure soggetti alla normativa in tema di segni distintivi o sul divieto di concorrenza, non sono soggetti al fallimento ed alle altre procedure concorsuali, a possono accedere esclusivamente alla procedura di composizione da sovra indebitamento ovvero una procedura che consente al debitore non fallibile di giungere ad un accordo di ristrutturazione dei debiti sotto la vigilanza del tribunale. Inoltre i professionisti non sono tenuti all’iscrizione nel registro delle imprese ma solo all’iscrizione all’albo della relativa categoria professionale; non godono di alcuna incentivazione fiscale che presupponga la veste di imprenditore. Il professionisti non sono imprenditori per libera scelta del legislatore, il quale ha dettato per gli stessi uno specifico statuto (artt. 2229-2238 c.c.). Con riferimento alla tutela dei dipendenti, il codice civile equipara il professionista all’imprenditore, disponendo all’art. 2238 che qualora il professionista impieghi dei dipendenti dovranno essere applicate le disposizioni sul lavoro nell’impresa. Sino al 2013 vigeva il divieto dei professionisti di costituire società per l’esercizio dell’attività professionale; era consentito ai professionisti solo si associarsi nell’esercizio della professione usando nei rapporti con i terzi la dicitura “studio tecnico legale commerciale contabile amministrativo o tributario” seguito dal nome e cognome e dai titoli professionali dei singoli associati. Era comunque vietato agli associati di costituire in forma diversa da quella associativa società, uffici o agenzie, con lo scopo di dare, anche gratuitamente, ai propri consociati o ai terzi prestazioni di assistenza e consulenza Era quindi preclusa per i professionisti la possibilità di costituire qualsiasi forma societaria, dalla soc. semplice a quella di capitali.

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17. Profili evolutivi in tema di professionisti intellettuali La nota distinzione tra la figura dell’imprenditore e quella del professionista intellettuale è stata attenuata grazie ad alcuni interventi legislativi del legislatore italiano, che ha consentito tra l’altro la costituzione di società aventi per oggetto l’esercizio dell’attività professionale; il confine tra le due figure non è però stato cancellato in quanto non è stato abrogato l’art. 2238 c.c. la cui interpretazione esclude il professionista dal novero degli imprenditori. Le istituzioni comunitarie e la Corte di Giustizia hanno ricostruito, seppure con specifico riferimento al settore della concorrenza, una definizione di impresa molto ampia che abbraccia qualsiasi entità che eserciti un’attività economica, a prescindere dallo status giuridico e dalla modalità di finanziamento. E’ stato stabilito prima dalla Commissione delle Comunità europee, poi dalla Corte di Giustizia, che agli effetti delle norme sulla concorrenza (ed in particolare il divieto di intese restrittive della concorrenza e abuso di posizione dominante), i professionisti intellettuali sono imprenditori e le decisioni assunte tra questi o dalle relative associazioni, che possano impedire, restringere o falsare il libero gioco della concorrenza all’interno del mercato, sono vietate. In linea con l’orientamento comunitario, il legislatore italiano, con l’art. 9 d.l. 1/2012, ha vietato agli organi rappresentativi delle varie professioni, di stabilire tariffe minime e massime per le prestazioni dei propri iscritti. Inoltre, con la l. 183/2011, è prevista per le professioni ordinistiche (ovvero quelle per le quali è prevista l’iscrizione ad un albo), la possibilità di costituire società tra professionisti. Ciò è stato previsto anche per le professioni non organizzate in ordini o collegi (l. 4/2013). Un netto avvicinamento tra le due figure si è realizzato in tema di marchi e di concorrenza sleale. Tempo addietro la ditta, l’insegna ed il marchio e tutti gli altri segni distintivi erano riservati all’imprenditore e la concorrenza sleale colpiva unicamente gli illeciti posti in essere da imprenditori nei confronti di altri imprenditore, senza poter essere invocata da soggetti diversi, compresi i professionisti intellettuali. Con l’approvazione della legge marchi d.lgs. 480/1992 è consentito trasferire il marchio separatamente dall’azienda ed è mutato il novero dei soggetti che possono richiederne la registrazione; chiunque, anche un soggetto non imprenditore è legittimato alla registrazione del marchio. E’ quindi ammesso alla registrazione del marchio d’impresa chi lo utilizzi o si proponga di utilizzarlo nella fabbricazione o nel commercio di prodotti o nella prestazione di servizi della propria impresa, o di imprese di cui si disponga il controllo o che ne facciano uso con il suo consenso. La tesi prevalente è che l’imprenditore abbia così consentito la registrazione a chiunque, quindi anche soggetti non imprenditori (anche chi si limiti a disporre del marchio concedendo la licenza a terzi). Analoga apertura si registra in tema di concorrenza sleale; seppure le disposizioni dettate in merito continuino a presupporre la natura imprenditoriale dei soggetti interessati, un interpretazione evolutiva dell’art. 2598 c.c. (sulla base della nozione di impresa comunitaria) afferma che hanno diritto alla lealtà della concorrenza anche i liberi professionisti. Numerose direttive comunitarie fanno ora riferimento alla figura del professionel (o professionista) che la utilizzano in sostituzione di quella di impresa o imprenditore. In tale contesto il professionista viene definito come qualsiasi persona fisica o giuridica che agisca nel quadro della propria attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e comprende al suo interno sia l’imprenditore sia il professionista intellettuale, senza alcuna distinzione tra le due figure. In tali norme il professionista è l’antagonista del consumatore, inteso come persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale e che necessita di protezione nei confronti del primo.

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CAPITOLO II La pubblicità commerciale 1. L’attività di impresa e la pubblicità L’attività di impresa ha una destinazione esterna: se manca la destinazione al mercato e l’imprenditore agisce solo per se stesso si colloca al di fuori dalla definizione dell’art. 2082 c.c. Tale relazione con i terzi rende necessario per l’imprenditore comunicare e far conoscere ai terzi le vicende caratterizzanti la propria attività, dalla nascita alla cessazione, al fine di far sapere a questi con chi si tratta, quale veste giuridica ha, a chi spetta la gestione e con quali poteri e responsabilità e se possa fare affidamento sull’eventuale soggezione a procedure concorsuali in caso di insolvenza. Sin dall’entrata in vigore del codice civile, si è avvertita la necessità di uno strumento idoneo a rendere conoscibili ai terzi gli atti ed i fatti riguardanti l’impresa, le sue successive evoluzioni ed infine la sua estinzione. Per questo motivo nel 1997 è stato istituito il registro delle imprese, ovvero un pubblico registro dove registrare ed archiviare tali atti e fatti di impresa. L’art. 2193 c.c. prevede l’iscrizione di determinate formalità presso il registro delle imprese, alle quali viene attribuita efficacia dichiarativa: il fatto o l’atto iscritto presso il registro delle imprese si presume conosciuto dai terzi a prescindere dall’effettiva conoscenza che questi ne abbiano avuto (presunzione di conoscenza assoluta) e stabilisce che, qualora manchi la pubblicità, il fatto o l’atto non possa essere opposto nei confronti di terzi, salvo il caso in cui l’imprenditore dimostri che questi ne erano comunque a conoscenza. Tale profilo segna la fondamentale differenza rispetto alla dichiaratività presso i pubblici registri immobiliari (trascrizione); la regola dettata dall’art. 2644 c.c. sancisce che, in caso di doppia alienazione di un diritto reale avente ad oggetto il medesimo bene immobile, prevale la prima trascrizione (se Tizio vende lo stesso bene prima a Caio poi a Sempronio ma Sempronio trascrive per primo il proprio acquisto prevarrà su Caio, indipendentemente dal fatto che fosse a conoscenza della prima alienazione). In questo caso, il ns. legislatore premia il massimo grado di certezza nei rapporti giuridici (ovvero la trascrizione) a discapito della realtà fattuale. Al contrario, nella pubblicità commerciale, l’iscrizione munita di efficacia dichiarativa ha la funzione di far scattare la presunzione di conoscenza assoluta; i fatti non dichiarati possono essere opposti ai terzi solo se si riesce a dimostrare l’effettiva conoscenza.

2. l’iscrizione nel registro con efficacia costitutiva La pubblicità presso il registro delle imprese non possiede solo effetto dichiarativo ma talvolta tale adempimento è necessario al fine di integrare e completare la stessa fattispecie oggetto di registrazione. Per esempio, la mera stipulazione del contratto per la costituzione di alcune forme di società collettive (società di capitali o cooperative) non è sufficiente a perfezionare il relativo procedimento di formazione; in questo caso l’avvenuta iscrizione dell’atto costitutivo presso il registro delle imprese realizza la venuta ad esistenza della società. Si parla quindi di efficacia costitutiva: l’iscrizione presso il registro delle imprese è requisito necessario per costituire la fattispecie; qui non si pone in rilevo l’esigenza di rendere noti atti o fatti di impresa ma di comunicare ai terzi che il processo di formazione della fattispecie si è perfezionato. Ciò avviene anche per sancire l’acquisto della personalità giuridica nelle fondazioni e nelle associazioni, che si ha mediante l’adempimento pubblicitario. Se manca tale adempimento non è posto divieto allo svolgimento dell’attività ma gli effetti ricadranno su chi di fatto ponga in essere tale attività. La pubblicità costitutiva esprime una duplice garanzia per i terzi: • Un primo profilo esprime la trasparenza della comunicazione di taluni dati significativi della persona giuridica: nel caso dell’impresa collettiva vengono in rilievo la denominazione e la sede, l’attribuzione di poteri rappresentativi, l’entità e la consistenza della dotazione patrimoniale • Un secondo profilo concerne il controllo della correttezza formale dei dati; il controllo è svolto prima dal notaio che riceve l’atto costitutivo poi dall’ufficio del registro delle imprese;

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N.B. La pubblicità costitutiva e dichiarativa sono ben distinte tra loro ma non è da escludere che possano cumularsi.

3. La pubblicità notizia e la pubblicità sanante Pubblicità notizia. L’obbligo di iscrizione presso il registro delle imprese è esteso a tutti gli imprenditori, anche quelli non commerciali (imprenditore agricolo e piccoli imprenditori e società semplici – ovvero imprese agricole istituite in forma societaria). Per questi ultimi è stata introdotta una sezione speciale del registro delle imprese e l’iscrizione in tale sezione non ha effetto dichiarativo né costitutivo ma svolge funzione di semplice pubblicità notizia e di documentazione anagrafica, utile all’informazione del pubblico e del fisco. In questo modo le informazioni sono messe a disposizioni dei terzi senza che scatti una presunzione assoluta di conoscenza da parte loro. Con la riforma dell’impresa agricola, è previsto che anche per gli imprenditori agricoli individuali e le società semplici, l’iscrizione al registro delle imprese produca effetto dichiarativo e non di semplice pubblicità notizia. Pubblicità sanante: è la pubblicità che consente, attraverso l’iscrizione presso il registro delle imprese, di sanare un vizio invalidante riferibile ad un atto o un fatto oggetto di registrazione. E’ prevista in materia di nullità di società munite di personalità giuridica (soc. di capitali e cooperative) in cui eventuali vizi dell’atto potrebbero provocare la nullità dell’atto costitutivo, che non siano tra quelli tassativamente indicati dall’art. 2332 c.c. (mancata stipulazione dell’atto costitutivo in forma di atto pubblico, oggetto sociale illecito, mancanza nell’atto costitutivo di indicazioni inerenti la denominazione, i conferimenti, l’oggetto sociale), sono privi di effetto una volta perfezionata la loro iscrizione nel registro delle imprese. Ha effetti sananti anche la pubblicità della delibera che elimini dallo statuto una clausola nulla anche se il vizio ricade tra quelli indicati dall’art. 2332 c.c.. La pubblicità sanante risponde alla necessità di tutelare non i soci responsabili del vizio ma i terzi che, avendo consultato il registro delle imprese ed avendo fatto affidamento sul puntuale perfezionamento della costituzione della società o di operazioni straordinarie di trasformazione, fusione o scissione, trarrebbero un inevitabile pregiudizio qualora non operasse il meccanismo sanante.

4. Struttura ed organizzazione del registro delle imprese; soggetti tenuti all’iscrizione Il sistema di pubblicità imperniato sul registro delle imprese impiega tecniche informatiche di redazione ed aggiornamento che aprono ad una consultazione diretta presso i terminali dagli uffici oppure in remoto da parte degli utenti collegati alla rete telematica. Si ha quindi un vero e proprio data-base delle imprese operanti sul ns. territorio. Il registro delle imprese è diviso in due sezioni: • Sezione ordinaria (iscrizione con effetti dichiarativo e costitutivo) destinata all’iscrizione di a) imprenditori commerciali individuali non piccoli b) società diverse dalla società semplice c) consorzi e società consortili d) gruppi europei di interesse economico aventi sede in Italia e) enti pubblici aventi per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di impresa commerciale f) società estere aventi sede amministrativa in Italia ovvero oggetto principale dell’attività. • Sezione speciale (iscrizione con effetto di mera notizia) destinata all’iscrizione di: a) Società semplici b) Imprenditori agricoli c) Imprese artigiane in precedenza iscritte nell’albo istituito dalla legge quadro sull’artigianato (sola annotazione). • Ulteriori sezioni speciali sono state riservate alle società tra professionisti, ai soggetti che esercitano attività di direzione e coordinamento, alle società start-up innovative.

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Le tecniche telematiche di aggiornamento ed i procedimenti di iscrizione alle varie sezioni sono uniformi. Del retto da un conservatore, incaricato di curarne l’aggiornamento. Sull’operato dell’ufficio vigila un giudice incaricato dal Presidente del Tribunale del capoluogo di provincia; solo questo può sindacare in merito all’attività del curatore. Le iscrizioni vanno eseguire presso il registro territorialmente competente in ragione del luogo nel quale l’impresa fissa la propria sede ; le iscrizioni sono eseguite su domanda dell’interessato, redatta su modello ministeriale, cui si allegano gli atti relativi, in forma autentica. La pubblicità si compie attraverso l’impiego di diversi strumenti: - Il protocollo: che porta una numerazione progressiva secondo l’ordine di presentazione della domanda (ora principalmente telematica) - L’iscrizione vera e propria: si tratta dell’acquisizione e della messa a disposizione del pubblico delle notizie contenute nella domanda - L’archiviazione: acquisizione informatica dei documenti e degli atti allegati alla domanda, con la possibilità per i terzi di richiederne copia Gli adempimenti presso il registro delle imprese riguardano solo gli atti ed i soggetti tassativamente indicati dalla legge; non sono ammesse iscrizioni aggiuntive o difformi ma nel caso queste siano iscritte restano prive di effetto. 5. I poteri di controllo dell’ufficio del registro delle imprese L’ufficio del registro delle imprese è tenuto ad effettuare una serie di controlli prima di procedere all’iscrizione ovvero deve effettuare accertamenti sulla regolarità e completezza della domanda. Deve quindi verificare: - Autenticità della sottoscrizione della domanda prodotta - Regolarità nella compilazione del modello - La corrispondenza dell’atto o del fatto di cui si chiede l’iscrizione a quelli previsti dalla legge - Che siano allegati i documenti dei quali la legge prevede la presentazione Questo tipo di controllo è puramente formale e non si estende alla verifica della legittimità sostanziale degli atti oggetto di pubblicità. Entro 5 giorni dalla presentazione della domanda ed in caso di esito positivo del controllo, segue l’iscrizione. Se la domanda è incompleta l’ufficio può chiedere di integrarla con le menzioni o i documenti mancanti. Al contrario, se mancano i presupposti di legge, l’ufficio rifiuta l’iscrizione con provvedimento motivato che trasmette al richiedente; quest’ultimo lo può impugnare con ricorso al giudice del registro entro 8 giorni. Attraverso il d.l. 91/2014 sono stati ridimensionati i poteri dell’ufficio e laddove l’iscrizione sia richiesta sulla base di un atto pubblico o una scrittura privata autenticata, l’ufficio del registro delle imprese è dispensato dall’attività di controllo e deve procedere all’iscrizione immediata dell’atto. Ulteriori adempimenti dell’ufficio sono: - L’iscrizione dei verbali assembleari aventi ad oggetto modifica dello statuto di società di capitali e cooperative, previa omologa del tribunale - Deposito degli atti senza iscrizione, come avviene per il bilancio d’esercizio - Iscrizione d’ufficio: l’ufficio è tenuto, di propria iniziativa, all’iscrizione di atti o fatti rilevanti e dei quali la legge prevedeva l’iscrizione obbligatoria, in caso di inerzia del soggetto tenuto a presentare l’istanza. Tale procedura si articola in due fasi: prima l’interessato è invitato all’esecuzione dell’adempimento entro un determinato termine ma se non adempie il giudice del registro può ordinare l’iscrizione con decreto impugnabile dinnanzi al tribunale. - Cancellazione d’ufficio: avviene qualora l’iscrizione sia avvenuta in assenza delle condizioni previste dalla legge (art 2191 cc.).

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CAPITOLO III L’organizzazione dell’attività 1. L’azienda in generale L’azienda è il complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa (art. 2555 c.c.). L’azienda può essere formata e venire in esistenza indipendentemente dall’avvio dell’attività di impresa, con conseguente possibilità di applicare la disciplina di cui all’art. 2555 c.c. s.s. anche laddove, terminata la fase organizzativa iniziale, l’imprenditore decida di non passare alla fase operativa e decida di cedere a terzi il complesso aziendale. Ne consegue che l’azienda può sopravvivere alla cessazione dell’attività di impresa, sino alla disgregazione dei suoi beni (come accade in caso di morte del titolare di un impresa individuale). Il complesso dei beni aziendali, normalmente tra loro eterogenei, è caratterizzato dall’organizzazione intesa come vincolo di interdipendenza e complementarietà che unisce i vari elementi e consente all’imprenditore, anche attraverso il loro utilizzo separato, di perseguire un determinato scopo produttivo. Non è necessario che l’imprenditore sia proprietario dei beni che compongono l’azienda ma è sufficiente che questo disponga di un titolo giuridico, derivante da un diritto reale o personale, che gli consenta di inserire un determinato bene nel complesso aziendale (es. noleggio automezzo o contratto di leasing). La composizione del patrimonio aziendale è destinata a variare nel tempo in relazione alla natura, ai ritmi ed all’evoluzione dell’attività di impresa (per esempio nel caso di sostituzione di un macchinario obsoleto). La nozione di azienda è inoltre distinta da quella di avviamento ovvero il maggior valore del complesso aziendale organizzato rispetto al valore degli elementi che lo compongono. Tale valore deriva dall’efficienza dell’impresa, dalla sua competitività sul mercato, sul grado di attrazione della clientela; è un valore intangibile ma tanto importante da poter essere (a determinate condizioni) iscritto nell’attivo dello stato patrimoniale e calcolato nella liquidazione del socio recedente. Divieto di concorrenza: l’art. 2557 c.c. sancisce che chi aliena l’azienda deve astenersi per un periodo di 5 anni dal trasferimento, dall’iniziare una nuova impresa che per oggetto, ubicazione o altre circostanze, sia idonea a sviare la clientela dell’azienda ceduta. La norma ha come scopo quello di evitare che il trasferimento sia in qualche modo vanificato da comportamenti lesivi del cedente tali da alterare l’integrità economica e funzionale del complesso aziendale ceduto. Il cedente, mediante la costituzione di una nuova impresa, potrebbe riattrarre la clientela acquisita precedentemente alla cessione dell’azienda. Il divieto di concorrenza riguarda l’avvio di una nuova impresa e non la continuazione di un’attività: per esempio nel caso di cessione d’azienda, è legittimo utilizzare i restanti rami aziendali non alienati per lo svolgimento dell’attività di impresa da parte del cedente. Il divieto di avvio di una nuova attività di impresa tiene conto dell’affinità merceologica: il cedente della pizzeria non può aprire in prossimità una paninoteca. La giurisprudenza ha esteso l’applicazione del divieto ad altri ambiti in cui si potrebbe avere elusione o aggiramento della norma: - Casi di frode alla legge (es. casi in cui l’impresa è iniziata sotto nome altrui o dietro società di comodo) - Divisione ereditaria o scioglimento di società con assegnazione dell’azienda ad uno degli eredi o ad uno dei soci come sua quota di liquidazione: qui l’eventuale avvio da parte degli uscenti di un impresa affine a quella che continua sotto l’originaria etichetta, è nella sostanza un caso analogo a quello che la legge proibisce. - Vendita dell’intera partecipazione sociale o di una partecipazione di controllo in una società per azioni. Qui il negozio traslativo ha oggetto azioni della società e non direttamente un azienda ma il risultato economico è sostanzialmente coincidente. Il divieto di concorrenza è derogabile per volontà delle parti : tale divieto può essere del tutto escluso oppure può essere rafforzato, giungendo all’estensione anche ad attività non direttamente concorrenziali. In quest’ultimo caso, vi sono due limiti invalicabili dall’autonomia delle parti: - La durata non può mai eccedere i cinque anni. E’ escluso il caso di usufrutto o affitto dell’azienda in quanto il divieto di concorrenza nei confronti del nudo proprietario o del locatore coincide con la durata del rapporto.

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Il divieto non può impedire qualsiasi attività professionale dell’alienante, seppure possa limitare la sua attività in modo più ampio rispetto a quelle merceologicamente affini

2. La circolazione e la concessione in godimento dell’azienda La disciplina del trasferimento d’azienda si applica ai contratti tipici di vendita, usufrutto, affitto, con i quali di trasmette la proprietà o il godimento ma anche a qualsiasi altra fattispecie traslativa, come la permuta o il conferimento società. Gli art. 2556 c.c. s.s. fanno riferimento al trasferimento d’azienda nella sua interezza ma nulla vieta la cessione di un ramo di essa (definito dall’art. 2122 c.c.**) purché si tratti di un complesso di beni integrato e capace di produrre beni o servizi. Al contrario, non configura cessione d’azienda la vendita separata dei beni che costituiscono l’azienda o la loro vendita congiunta se essa sia destinata ad un fine differente da quello previsto dall’art. 2555 c.c. per esempio al loro smantellamento. Ai fini dell’identificazione della fattispecie non sarà sufficiente la denominazione adottata dalle parti (anche al fine di eludere norme inderogabili) ma si dovrà fare riferimento al reale contenuto e le caratteristiche dell’oggetto della cessione. Il trasferimento d’azienda fa riferimento (salvo il caso di cessione di ramo) alla totalità dei beni che compongono l’azienda, quindi non sarà necessaria la loro analitica indicazione. Se invece le parti vogliono escludere uno o più beni dovranno specificare l’esclusione; tale esclusione non dovrà ovviamente mettere in discussione la natura aziendale del complesso trasferito.

**art. 2112 5^ comma Ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento d'azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un'attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato ivi compresi l'usufrutto o l'affitto di azienda. 2.1 Forma e pubblicità L’art. 2556 del codice civile stabilisce che per le imprese soggette a registrazione, i contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o il godimento (usufrutto, affitto, comodato) dell’azienda, devono essere provati per iscritto (forma ad probationem). La mancanza della forma scritta non compromette la validità dell’atto ma ne compromette l’efficacia. La norma fa salva l’osservanza delle forme particolari ad substantian richieste dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che compongono l’azienda (come il caso di vendita di immobili aziendali). Al fine di ottemperare all’obbligo della pubblicità, il trasferimento deve essere redatto per scrittura privata autentica o per atto pubblico da depositarsi presso il registro delle imprese entro 30 gg a cura del notaio rogante o autenticante.

2.2 gli effetti del trasferimento d’azienda Gli effetti del trasferimento d’azienda sono regolati dagli art. 2558-2559-2560 c.c. Gli art. 2558-2559 derogano le regole del diritto privato che sanciscono il consenso del terzo contraente in caso di cessione del contratto (dal cedente al cessionario) e per la cessione del credito, la notifica o l’accettazione da parte del debitore ceduto. Inoltre, benché l’art. 1594 c.c. sancisca che il conduttore non può cedere il contratto senza il consenso del locatore, in caso di cessione d’azienda il conduttore può sublocare l’immobile o cedere il contratto di locazione anche senza il consenso del locatore, purchè venga insieme ceduta o locata l’azienda. 2.2.1 sorte dei contratti pendenti Salvo diverso accordo tra le parti, il caso di vendita d’azienda, l’acquirente subentra automaticamente nei contratti pendenti “stipulati per l’esercizio dell’azienda”, a prescindere dalla volontà dell’acquirente e del cedente e del fatto che il cedente abbia conoscenza della loro esistenza. Il riferimento è a tutti i contratti commerciali, come quelli di leasing o di locazione, i contratti di fornitura delle materie prime, i contratti di assicurazione o di finanziamento.

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Inoltre l’art. 2558 si estende non solo ai contratti a prestazioni corrispettive non integralmente eseguite da parte di entrambi i contraenti ma anche alle proposte contrattuali già formulate dall’alienante ed alle eventuali accettazioni da esso espresse. L’ART. 2610 c.c. dispone che in caso di trasferimento a qualunque titolo dell’azienda, l’acquirente subentra nel contratto di consorzio; entro un mese dal trasferimento gli altri consorziati possono decidere di escludere l’acquirente se sussiste giusta causa. L’art. 2112 cc disciplina la continuazione del rapporto di lavoro in caso di trasferimento d’azienda; il rapporto di lavoro continua in capo al cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti maturati. Il cedente ed il cessionario sono obbligati in solido per tutti i crediti del lavoratore. Il lavoratore , le cui condizioni di lavoro siano notevolmente modificate nei tre mesi successivi al trasferimento, può rassegnare le proprie dimmissioni. Fanno eccezione dalla regola del passaggio automatico i contratti avente carattere personale cioè quelli in cui la presenza di un determinato soggetto è stata, per attitudini e qualità, determinante nell’orientare il consenso. Tali contratti continuano in capo all’alienante a meno che non vi sia espressa previsione nel contratto tra le parti ed il consenso del contraente ceduto. Si tratta generalmente di contratti al alta qualificazione professionale, come il consulente tributario. Il terzo contraente,entro tre mesi dalla notizia del trasferimento (consultabile presso il registro delle imprese) può recedere dal contratto se vi è una giusta causa. Il recesso ha effetto solo ex nunc (per il futuro) quindi non produce effetti per il passato ma solo l’estinzione. 2.2.2

Successione nei crediti e nei debiti

Gli art. 2559-2560 c.c. regolano la successione nei crediti e nei debiti aziendali, derivanti sia da un rapporto parzialmente non eseguito sia da fonte diversa da quella contrattuale. Tali articoli disciplinano la successione nei confronti dei debitori e dei creditori e non entrano nel merito dei rapporti interni tra acquirente e cedente in quanto ciò è rimesso ad accordi tra essi. Successione nei crediti: l’acquirente subentra nei crediti aziendali dal momento dell’iscrizione dell’atto traslativo nel registro delle imprese, senza necessità di un espressa pattuizione né della notifica o dell’accettazione da parte dei creditori. La pubblicità nel registro delle imprese funge da notifica collettiva ed evita di comunicare a ciascun debitore dell’impresa l’avvenuta cessione; inoltre rende inefficace, dal momento dell’iscrizione, ogni eventuale singolo trasferimento ad altri che non sia l’acquirente dell’azienda. Si fa eccezione per il caso in cui il debitore abbia pagato il debito “in buona fede all’alienante” per esempio nel periodo a ridosso della cessione; in questo caso spetta al debitore la prova di aver adempiuto nei confronti dell’originario creditore (alienante). Accollo dei debiti: la regola generale è che l’alienante continua a rispondere dei debiti presistenti al momento del trasferimento salvo il caso in cui i creditori abbiano acconsentito alla sua liberazione. La deroga si ha unicamente per l’imprenditore commerciale : l’acquirente risponderà in solido con l’alienante per i debiti risultanti dalle scritture contabili obbligatorie che l’imprenditore commerciale è obbligato a redigere, indipendentemente dal rispetto delle corrette formalità di tenuta. Questa norma si ha al fine di tutelare i creditori dell’alienante con la salvaguardia della certezza dei rapporti giuridici. L’acquirente risponde dei soli debiti commerciali di cui prende conoscenza precedentemente alla cessione attraverso l’analisi della contabilità. La regola è inapplicabile all’imprenditore agricolo ed al piccolo imprenditore che sono esonerati dall’obbligo di redigere le scritture contabili obbligatorie. Pertanto, la registrazione del debito nelle scritture contabili obbligatorie è una condizione imprescindibile per generare la responsabilità in solido da parte di acquirente e cessionario; quest’ultimo non può rispondere di debiti di cui non poteva prendere conoscenza attraverso l’analisi delle scritture contabili.

Debiti di lavoro: dei debiti di lavoro risponde l’acquirente in solido con il cessionario, anche qualora non siano risultanti dalle scritture contabili obbligatorie e nel caso in cui l’acquirente non ne sia a conoscenza.

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Infatti la tutela dei dipendenti prevale sull’interesse del compratore a non essere gravato da debiti di cui non era a conoscenza.

3. Usufrutto e affitto d’azienda L’azienda può essere oggetto anche di un diritto di godimento, reale (usufrutto) o personale (affitto). A tali fattispecie (art. 2561-2562 cc) si applicano le norme sul trasferimento d’azienda relative a: - Requisito della forma scritta ad probationem del contratto e la sua iscrizione nel registro delle imprese - Divieto di concorrenza che grava sul nudo proprietario/locatore per tutta la durata dell’usufrutto o dell’affitto - La successione automatica dei contratti (che non abbiano carattere personale) dell’usufruttuario/affittuario sino alla scadenza del contratto Quanto alla successione dei crediti, si applica anche al caso di usufrutto dell’azienda (ma non di affitto). Il legislatore non ha invece esteso la responsabilità per i debiti al titolare del diritto di godimento dell’azienda, fatta eccezione per i debiti da lavoro (come da 5^ comma art. 2112 c.c. che tratta la successione nel rapporto di lavoro e la responsabilità solidale tra cedente e cessionario). La dottrina ritiene che, dato il carattere temporaneo della dismissione, salvo diverso accordo tra le parti, l’usufruttuario o l’affittuario non siano gravati dai debiti pregressi anche se essi risultano dalle scritture contabili obbligatorie; pertanto continuerà a rispondere dei debiti il nudo proprietario o il locatore. In realtà, l’art. 2561 fa riferimento all’inventario da redigere all’inizio dell’usufrutto, in cui vengono valorizzati anche debiti e crediti; pertanto si potrebbe pensare che anche questi ultimi seguano le vicende circolatorie dell’azienda. Obblighi: l’affittuario e l’usufruttario devono gestire l’azienda sotto la ditta che la contraddistingue, senza modificarne la destinazione ed in modo da conservare l’organizzazione e l’efficienza degli impianti. Pertanto, non saranno tenuti ad effettuare nuovi investimenti ma dovranno preservare la normale dotazione di scorte al fine di poter far fronte alla domanda di mercato. L’inosservanza di tali obblighi o la cessazione della gestione determinano l’estinzione dell’usufrutto o la risoluzione dell’affitto. Al termine del rapporto, la differenza tra la consistenza iniziale e finale di inventario, è regolata in denaro sulla base dei valori correnti a tale data. Affitto dell’azienda fallita. La legge fallimentare regola l’affitto dell’azienda dell’imprenditore fallito (ovviamente temporaneo in quanto la sua durata deve essere compatibile con le esigenze di liquidazione). Il contratto può essere stipulato dal curatore quando ciò sia utile al fine della proficua vendita dell’azienda o di parti di essa; ciò evita ai creditori il danno derivante da un improvvisa interruzione dell’attività di impresa ed inoltre a procurare un canone utile. Inoltre ciò evita i rischi e le responsabilità derivanti dalla gestione temporanea dell’impresa da parte del curatore. Il curatore ha diritto di procedere all’ispezione dell’azienda e di recedere anticipatamente dal contratto d’affitto (contro corresponsione di un indennizzo). L’affittuario ha diritto di prelazione per l’eventuale acquisto dell’azienda. ***L'usufrutto è un diritto reale minore regolato dagli articoli 978 e seguenti del codice civile, consistente nel diritto di un soggetto (usufruttuario) di godere di un bene di proprietà di un altro soggetto (nudo proprietario) e di raccoglierne i frutti, ma con l'obbligo di rispettarne la destinazione economica. Si tratta di un diritto reale di godimento su cosa altrui dal contenuto molto vasto: le facoltà dell'usufruttuario hanno infatti un'estensione che si approssima, pur senza raggiungerla, alla facoltà di godere delle cose spettanti al proprietario, al quale residua la nuda proprietà. **La locazione, in diritto, costituisce il contratto con il quale una parte (detta locatore) si obbliga a permettere a un altro soggetto (conduttore o locatario) l'utilizzo di una cosa per un dato tempo in cambio di un determinato corrispettivo.

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II L’ORGANIZZAZIONE SOTTO IL PROFILO DOCUMENTALE 4. Scritture contabili Le scritture contabili costituiscono la rappresentazione dei movimenti economici e finanziari di un impresa e ne registrano l’andamento ed i risultati. L’art. 2214 c.c. sancisce l’obbligo di redigere le scritture contabili per i soli imprenditori commerciali non piccoli e per le società commerciali. In alcuni settori, per esempio quello tributario, l’obbligo è esteso anche alle piccole imprese e a quelle agricole. La responsabilità della loro tenuta grava sull’imprenditore se individuale, sull’institore e sugli amministratori delle società. La tenuta delle scritture contabili costituisce un mezzo di controllo sull’andamento della gestione ma è anche strumentale, in caso di crisi, ai fini della ricostruzione a posteriori delle cause della crisi stessa. In caso di fallimento, la mancata o disordinata tenuta della contabilità è oggetto del reato di bancarotta fraudolenta o semplice. L’art. 2214 c.c. distingue tra scritture contabili “assolutamente” e “relativamente” obbligatorie. Le scritture contabili assolutamente obbligatorie sono: - Il libro giornale: nel quale vengono registrati giorno per giorno ed in modo cronologico-analitico tutti i movimenti contabili riguardanti l’esercizio dell’impresa. Ciò non significa che nella realtà il libro giornale debba essere aggiornato quotidianamente (cosa talvolta impossibile nelle aziende di grandi dimensioni), ma in tempistiche ragionevoli scelte dall’imprenditore. Ciò che è essenziale è che i movimenti siano riportati rispettando l’ordine cronologico. Il libro giornale può essere suddiviso in sezioni che rispecchino le articolazioni dell’impresa (quali sedi secondarie o rami particolari). Inoltre nulla vieta la tenuta di più libri giornale in corrispondenza di reparti, succursali o sedi secondarie dell’impresa. - Il libro degli inventari: è un registro periodico-sistematico nel quale vengono indicate e valutate le attività e le passività, sia relative all’impresa che estranee alla medesima; quest’ultima precisazione vale per l’imprenditore individuale che risponde delle obbligazioni assunte nell’esercizio dell’impresa anche con il proprio patrimonio personale. L’inventario va redatto – secondo i criteri di valutazione stabiliti per il bilancio delle spa “in quanto applicabili – all’inzio dell’esercizio e poi con cadenza annuale e si chiude con il bilancio ed il conto profitti e perdite (stato patrimoniale e conto economico). Lo stato patrimoniale ed il conto economico costituiscono il primo la situazione patrimoniale dell’impresa al termine dell’esercizio, il secondo è un riepilogo delle componenti di costo e di ricavo e dell’esito negativo o positivo della gestione nel corso dell’esercizio. - Il fascicolo della corrispondenza commerciale ricevuta e le copie di quella spedita, rappresentativa dei rapporti posti in essere durante l’esercizio di impresa. Le scritture contabili relativamente obbligatorie (o suppletive) sono quelle richieste dalla natura o dalle dimensioni dell’impresa. Esse sono : - Il libro mastro, nel quale le singole operazioni vengono registrate per tipologia, per cliente ecc.. - Il libro cassa, nel quale vengono registrate le entrate e le uscite in denaro - Il libro magazzino, che registra le entrate e le uscite di merci dal magazzino - Il libro delle cambiali attive e passive - Il libro paga in cui vengono annotate le presenze e le retribuzioni dei dipendenti - Il libro dei prestatori d’opera autonomi Inoltre l’imprenditore dovrà tenere tutte le scritture utili ai fini fiscali, tributari e lavoristici. Modalità di tenuta e conservazione.

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Molte delle prescrizioni contenute nel codice civile relative alla tenuta delle scritture contabili erano pensate per una tenuta manuale, oggi sostituita dalla tenuta informatizzata; essa è consentita purchè le scritture siano consultabili in ogni momento e sia possibile estrarne copia riportandola su opportuni mezzi di archiviazione. L’art. 2219 c.c. stabilisce che “tutte le scritture devono essere tenute secondo le norme di un'ordinata contabilità, senza spazi in bianco, senza interlinee e senza trasporti in margine. Non vi si possono fare abrasioni e, se è necessaria qualche cancellazione, questa deve eseguirsi in modo che le parole cancellate siano leggibili. L’art. 2215 dispone che: - I libri contabili debbano essere numerati progressivamente prima dell’uso e qualora sia prevista bollatura e vidimazione questa deve essere eseguita ad opera del registro delle imprese o di un notaio. - Il notaio o il registro delle imprese devono annottare nell’ultima pagina il numero di fogli di cui si compone il libro contabile. Qualora la contabilità sia tenuta in modo informatizzato, è necessaria l’apposizione di una marcatura temporale e la firma digitale dell’imprenditore. Le scritture contabili, insieme alla corrispondenza ed alle fatture, devono essere conservate anche mediante supporto informatico per almeno anni; a parte i bilanci per le società di capitali, le scritture contabili non sono oggetto di pubblicità. Efficacia probatoria. Le scritture contabili, obbligatorie o facoltative, ance qualora non siano correttamente tenute, costituiscono una prova contro l’imprenditore quindi possono essere sempre utilizzate per far valere le pretese contro di lui. Il contenuto delle scritture è “inscindibile” (nel senso che non è possibile utilizzare come prova la pagina in cui è annotato un debito e non utilizzare la pagina successiva dove è annotato il pagamento. E’ consentito all’imprenditore dimostrare di essere incorso in errore nell’iscrizione della voce o di aver omesso ulteriori scritture (per esempio provando il pagamento non iscritto in contabilità). Solo eccezionalmente i libri bollati e vidimati possono essere utilizzati come prova a favore dell’imprenditore; possono essere utilizzati solo nei rapporti tra imprenditori (commerciali, obbligati alla tenuta della contabilità). Nei rapporti tra non-imprenditori le scritture non hanno efficacia probatoria. Se però le scritture siano redatte con tutte le formalità prescritte dalla legge, le scritture possono essere prodotte in giudizio sotto forma di estratto autenticato dal notaio; esse consentono all’imprenditore di ottenere dal giudice un decreto ingiuntivo, ovvero un ordine di pagamento emanato nei confronti del debitore. Le scritture contabili, in caso di controversia, possono essere esibite su richiesta del giudice; ciò può essere disposto solo in caso di scioglimento della società, comunione di beni o successione in caso di morte.

III.

L’organizzazione sopra il profilo personale

5. Ausiliari dell’imprenditore L’imprenditore commerciale si serve per l’esercizio di attività di impresa di una rete di ausiliari che collaborano con lui: - Ausiliari autonomi o esterni, che agiscono sulla base di rapporti contrattuali di varia natura (es. mandato, agenzia) - Ausiliari subordinati o interni, che agiscono sulla base di un rapporto di lavoro. Il codice si occupa esplicitamente delle tre categorie di ausiliari che detengono poteri di tipo rappresentativo: l’institore, i procuratori ed i commessi che si collocano rispettivamente al vertice dell’organigramma, in posizione intermedia ed al livello più basso. I poteri di tali ausiliari non derivano tanto dalla procura (ovvero lo strumento con il quale i poteri sono conferiti ad un terzo) ma dalla posizione loro attribuita all’interno dell’organizzazione imprenditoriale. Pertanto, la procura serve a circoscrivere tali poteri ed attraverso la sua iscrizione nel registro delle imprese a rendere opponibili tali limitazioni ai terzi che abbiano intrattenuto rapporti con l’imprenditore.

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Infatti la pubblicità dichiarativa da origine ad una presunzione assoluta di conoscenza del fatto da parte dei terzi: qualora manchi la pubblicità si origina una presunzione relativa di ignoranza che può essere vinta dimostrando che i terzi erano comunque a conoscenza del fatto o dell’atto. Sono soggette a iscrizione presso il registro delle imprese anche eventuali modifiche o revoche dei poteri di rappresentanza. L’art. 2207 cc stabilisce che per la revoca o la modifica della procura, è necessaria l’iscrizione nel registro delle imprese anche se all’atto del conferimento della procura stessa questa non fu pubblicata. A) Institore L’institore è preposto dall’imprenditore all’esercizio dell’impresa commerciale o di una sede secondaria o un ramo di essa. L’institore è l’alter ego dell’imprenditore ovvero il direttore generale che si colloca al vertice dell’impresa o di una sua parte. Nella stessa impresa possono quindi esservi più institori, a seconda della sua articolazione e della struttura della gerarchia aziendale. L’institore detiene un potere di gestione generale e la rappresentanza sia sostanziale che processuale (sia come attore che come convenuto) per le obbligazioni che dipendono da atti compiuti nell’esercizio dell’impresa cui è preposto. Qualora vi siano più institori questi agiranno disgiuntamente. La figura dell’institore non è prevista nella piccola impresa a causa dell’incompatibilità con il criterio di prevalenza del lavoro dell’imprenditore e quello dei suoi familiari; oggi il problema pare essere ridimensionato grazie alla modifica dell’art. 1 l.fall. che non prevede più il criterio della prevalenza del lavoro proprio rispetto agli altri fattori della produzione e prevede delle soglie numeriche sufficientemente ampie, perfettamente compatibili con la nomina di un institore. Anche in mancanza di un espressa procura, l’institore può compiere tutti gli atti pertinenti all’esercizio di impresa (o del ramo o articolazione cui è preposto). Gli sono preclusi gli atti di disposizione dell’azienda nel suo complesso (vendita, affitto, usufrutto) o di modificazione strutturale della stessa (cambiamento dell’oggetto dell’attività svolta, cessione del marchio) nonché la concessione di ipoteche o l’alienazione di beni immobili, a meno che non sia stato espressamente autorizzato e tranne il caso in cui l’azienda abbia ad oggetto proprio il commercio di tali beni. L’institore, congiuntamente con l’imprenditore, ha l’obbligo di osservare le disposizioni riguardanti l’iscrizione nel registro delle imprese e la corretta tenuta delle scritture contabili. Inoltre deve attenersi ai canoni di diligenza professionale, curando l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile, che deve essere adeguato alla natura ed alle dimensioni dell’impresa. L’institore è pur sempre un dipendente dell’impresa, a prescindere dall’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, quindi deve conformarsi agli obblighi di diligenza e fedeltà previsti dagli art. 2104-2105 c.c. L’institore, nei rapporti con i terzi, “impegna l’imprenditore” spendendo il suo nome; se omette di far conoscere ai terzi che egli tratta per il proponente è personalmente obbligato. Tuttavia il terzo può agire anche contro l’imprenditore (obbligato in via solidale) se gli atti compiuti dall’institore siano pertinenti all’esercizio dell’impresa a cui è preposto.

B) I procuratori I procuratori si collocano su un gradino intermedio della struttura gerarchica aziendale; sono definiti dalla legge come coloro che sulla base di un rapporto continuativo abbiano il potere di compiere per l’imprenditore atti pertinenti all’esercizio di impresa, pur non essendo preposti ad esso. Ad essi si applicano le stesse norme previste per l’institore, in tema di pubblicità, revoca e modificazione dei poteri attribuitegli. I procuratori non detengono la rappresentanza processuale dell’imprenditore, non sono obbligati a curare l’iscrizione nel registro delle imprese né la tenuta delle scritture contabili. Qualora il procuratore, nei rapporti con i terzi, non spenda il nome dell’imprenditore, quest’ultimo non potrà essere chiamato a rispondere per gli atti anche qualora siano pertinenti all’esercizio di impresa. C) I commessi L’art. 2210 dispone che sono commessi gli ausiliari dell’imprenditore che hanno il potere di rappresentare l’imprenditore nel compimento degli “atti che ordinariamente comporta la specie delle operazioni di cui sono

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incaricati”. I commessi sono ausiliari con un potere rappresentativo limitato, aventi un ruolo di tipo esecutivo e privi di attribuzioni gestorie. Per quanto concerne la conclusione delle vendite, i commessi devono attenersi agli eventuali contratti standard e non possono derogare alle condizioni generali o alle clausole stampate su moduli dell’impresa, a meno che non siano muniti di apposita autorizzazione scritta. Sono legittimati a ricevere, per conto dell’imprenditore, i reclami relativi ad inadempienze contrattuali che, se fatti a loro, valgono come fatti all’imprenditore, evitando quindi eventuali decadenze (es. denuncia dei vizi della cosa acquistata che si deve effettuare in tempi ristrettissimi). Possono riscuotere il prezzo delle merci vendute ma non possono concedere dilazioni e/o sconti a meno che ciò non rientri negli usi commerciali. Fuori dai locali dell’impresa possono esigere il prezzo solo se autorizzati o in grado di consegnare una quietanza firmata dall’imprenditore.

Gli ausiliari dell’imprenditore agricolo L’art. 2138 c.c. è l’unico articolo dedicato agli ausiliari dell’imprenditore agricolo e dispone “I poteri dei dirigenti preposti all'esercizio dell'impresa agricola e quelli dei fattori di campagna, se non sono determinati per iscritto dal preponente, sono regolati dagli usi”. La norma riflette la figura arretrata dell’agricoltore ma da una lettura moderna si giunge alla conclusione che il “dirigente preposto” non sia altro che l’institore con la conseguente possibilità di applicare gli art. 2203 s.s.. IV.

Spunti in tema di diritto industriale

6. La proprietà industriale. Art. 1 d.lgs. 30/2005 “codice della proprietà industriale” Per proprietà industriale si intendono i marchi, gli altri segni distintivi, le indicazioni geografiche, le denominazioni d’origina,e disegni e modelli, invenzioni, modelli di utilità, topografie dei prodotti a semiconduttori, informazioni aziendali riservate e nuove varietà industriali. Per proprietà industriale si intende quindi il complesso di nomi, creazioni, attributi, riconducibili alla categoria di beni immateriali di cui l’imprenditore si avvale per distinguersi dai suoi concorrenti e per accrescere il proprio posizionamento competitivo sul mercato. 6.1 I segni distintivi a) La ditta La ditta è il nome sotto il quale l’imprenditore esercita la sua impresa. Comunemente la parola è riferita all’impresa individuale; per le società di persone assume il nome “ragione sociale” e per le società di capitali “denominazione sociale”che costituiscono il nome degli imprenditori collettivi intesi come soggetti, ma non sostituiscono la ditta che invece si riferisce all’attività di impresa. la ditta è protetta come diritto patrimoniale di cui l’imprenditore può disporre ma, al fine di fruire di tutela, la ditta deve possedere due attributi: - Verità: la ditta va formata dal cognome o sigla dell’imprenditore che l’ha originariamente creata. Solo nel caso in cui essa sia stata acquistata da un altro imprenditore, l’acquirente sarà dispensato dall’inserirvi il proprio cognome o sigla e non sarà tenuto a specificare che essa è derivata. Inoltre la ditta potrà sempre contenere un elemento di fantasia liberamente scelto con il solo limite che non debba trarre in inganno i consumatori sull’attività svolta dall’impresa. Per le imprese commerciali, l’ufficio del registro delle imprese è tenuto a non iscrivere la ditta qualora non contenga gli elementi necessario, se si tratta di una ditta derivata, qualora non sia prima stato depositato l’atto con il quale ha avuto luogo la successione dell’azienda. - Novità: la ditta non deve essere confondibile con altre in precedenza legittimamente adottate.

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Il principio della novità vige anche in relazione agli altri segni distintivi: vige il divieto di adottare come ditta un segno uguale o simile all’altrui marchio se sussista pericolo di confusione (c.d. unitarietà dei segni istintivi). Tutela: Ad ogni imprenditore è riconosciuto il diritto all’uso esclusivo della ditta da lui prescelta; pertanto gli altri imprenditori hanno il divieto di adottarne una uguale o simile. Qualora per l’oggetto dell’impresa o per il luogo in cui è esercitata vi sia rischio di confusione, è onere del titolare della ditta iscritta successivamente nel registro delle imprese (o in caso di imprese non soggette a registrazione, quella utilizzata in epoca posteriore) di integrarla o modificarla con aggiunte in grado di distinguerla. I conflitti tra più utilizzatori della stessa ditta sono risolti sulla base del criterio cronologico. Trasferibilità: La ditta ha un proprio valore economico e il suo titolare può essere intestato a cederla, così realizzando il suo valore di scambio; l’unico limite al suo trasferimento è quello di non poterlo fare separatamente dall’azienda cui si riferisce. Se l’atto è inter vivos occorre il consenso espresso dell’alienante, mortis causa di trasferisce agli eredi secondo le regole successorie, salvo diversa disposizione testamentaria. tale regola risponde all’esigenza di tutelare i consumatori che altrimenti potrebbero essere tratti in inganno sulla provenienza dei beni e dei servizi offerti se al nome che li accompagna non facesse riscontro il complesso aziendale che ha contribuito alla loro affidabilità.

b) Il marchio Il marchio è il segno distintivo che contraddistingue i prodotti o i servizi resi dall’imprenditore. Si distingue tra marchio nazionale, marchio comunitario e marchio internazionale (di seguito si tratta del primo). • Tutela: il marchio può essere registrato o di fatto. La registrazione può essere ottenuta non solo dall’imprenditore ma da chiunque lo utilizzi o si proponga di utilizzarlo nella propria impresa, nelle imprese di cui abbia il controllo o che ne facciano uso dietro suo consenso. la registrazione avviene presso l’ufficio italiano brevetti e marchi ed il marchio registrato è tutelato su tutto il territorio nazionale per dieci anni (rinnovabili alla scadenza per lo stesso periodo e per un numero illimitato di volte) decorrenti dalla data di presentazione della domanda e quindi ancora prima dell’utilizzo. La tutela riguarda tutti i prodotti appartenenti alla stessa categoria merceologica cui il segno si riferisce ed i prodotti affini. La registrazione nazionale è requisito necessario per il successivo ottenimento della registrazione internazionale presso l’organizzazione mondiale per la proprietà industriale (OMPI) con sede a Ginevra. Può invece prescindere la registrazione comunitaria con effetti nell’intera UE che va effettuata presso l’ufficio per l’armonizzazione del mercato interno (UAMI) con sede in Alicante (Spagna). Il marchio di fatto ovvero quello utilizzato per distinguere i prodotti ma non registrato è registrato solo nei limiti del preuso, limitatamente all’ambito territoriale in cui esso è avvenuto e finché effettivamente utilizzato. Se il preuso ha portata solo locale la tutela si restringe solo a questo ambito e deve inoltre convivere con la tutela del marchio registrato. • Composizione: il marchio può essere emblematico (costituito da un disegno o un logo), numerico, denominativo o misto. Può essere costituito da suoni, colori ed a certe condizioni anche dalla confezione o dalla forma del prodotti (con esclusione delle forme imposte dalla natura del prodotto- deve quindi trattarsi di una forma arbitraria e particolare). Al fine di svolgere la propria funzione distintiva, il marchio deve essere estraneo al prodotto, non può corrispondere ad esso. • Tipo: il marchio può essere: Di fabbrica: se apposto dal produttore Di commercio: se apposto dal rivenditore; in questo caso non può sostituire o coprire il primo; Individuale

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Collettivo: se registrato ai fini della tutela di un vasto settore merceologico da “soggetti” es. un consorzio di imprenditori o un associazione. Per essere tutelato giuridicamente, il marchio deve possedere i seguenti requisiti: • Novità il marchio non deve essere confondibile con un altro precedentemente registrato o usato in ambito non puramente locale, in una categoria merceologica affine o uguale, né con un segno adottato da altri come ditta, insegna o nome a dominio aziendale. Occorre distinguere tra marchi ordinari o marchi celebri (o di rinomanza (es. Ferrari o Armani) la cui tutela è svincolata dal criterio di affinità merceologica ed il titolare può vietare a terzi l’utilizzo del marchio anche per prodotti o servizi non affini, qualora tale utilizzo consenta di trarre indebitamente vantaggio dalla rinomanza del segno distintivo anteriore. • Originalità: il marchio deve essere composto in modo da consentire un’autonoma individuazione dello specifico prodotto/servizio tra tutti quelli dello stesso genere presenti sul mercato. Pertanto non possono essere utilizzati come marchio: • i segni divenuti di uso comune nel linguaggio corrente o negli usi costanti del commercio (es. parole come super o extra) • le denominazioni o raffigurazioni generiche del prodotto o del servizio (es. un marchio di calzature non potrà essere costituito esclusiva mente dalla parola “scarpa”) o le indicazioni descrittive delle caratteristiche essenziali come la qualità o la quantità. Ciò non significa che non possano essere utilizzate parole di uso comune o denominazioni generiche, ma esse devono essere modif+icate o combinate tra loro in modo fantasioso. Anche le denominazioni generiche in lingua straniera sono tutelabili, purchè la lingua non sia conosciuta in Italia o la parola utilizzata non sia conosciuta dal consumatore medio italiano. A seconda del grado di originalità, si distingue tra marchio forte e marchio debole: il primo è il marchio che si caratterizza per la notevole capacità distintiva tanto da identificarsi con il prodotto stesso (Es. Rolex), il secondo ha una relazione diretta con il prodotto o servizio (es. pastiglie benagol). Il marchio forte è un marchio di pura fantasia in quanto distingue il prodotto con un marchio che non ha alcuna correlazione con il prodotto o servizio specifico. • Liceità: il marchio non deve contenere seni contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume ovvero segni lesivi di diritti altrui, né stemmi o bandiere protetti da convenzioni internazionali. Senza il consenso dell’interessato non possono essere registrati marchi che rappresentano ritratti di persona o il nome di una persona diversa dal richiedente che fosse divenuto noto. • Verità: è vietato inserire nel marchio segni idonei ad ingannare il pubblico in particolare sulla provenienza geografica, sulla natura o sulla qualità del bene o del servizio.

Il marchio è nullo se manca uno di questi requisiti. L’assenza della capacità distintiva è però sanata se prima della presentazione della domanda di registrazione o dell’eccezione di nullità, il segno abbia acquistato un significato secondario distintivo ulteriore rispetto a quello primario descrittivo (es. il marchio spizzico). La mancanza di novità è sanata qualora il titolare di un marchio anteriore o di diritto di preuso, tolleri per almeno 5 anni l’utilizzo di un marchio successivo uguale o simile al proprio. La convalidazione del marchio nullo è prevista solo qualora il marchio posteriore non sia stato domandato in mala fede, cioè avendo conoscenza della precedente registrazione o preuso. Decadenza, le ipotesi sono le seguenti: - Volgarizzazione del marchio, ovvero quando questo, nell’ambito del commercio, viene utilizzato come denominazione generica del prodotto o del servizio tanto da identificarsi con questo (es. biroaspirina). - Sopravvenuta illiceità o ingannevolezza: ossia per sopraggiunta contrarietà alla legge, al buon costume o all’ordine pubblico o quando il marchio possa trarre in inganno il pubblico o quando il titolare abbia omesso i controlli previsti dalle disposizioni regolamentari per l’utilizzo del marchio collettivo - Per non uso nei cinque anni successivi alla registrazione o per un altro periodo ininterrotto di pari durata, salvo che ciò dipenda da motivo legittimo.

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Il marchio è trasferibile ai terzi anche separatamente dall’azienda, per la totalità o per una parte dei prodotti/servizi. Il trasferimento può avvenire a titolo definitivo oppure temporaneo ovvero tramite la concessione di una licenza d’uso. Con tale contratto il titolare di un marchio concede ad un terzo il diritto di utilizzarlo riservandosi il potere di controllare sia la qualità dei prodotti sui quali il licenziatario appone il marchio, sia la strategia di business. La concessione di licenza può essere totale o parziale (ovvero per la totalità o solo una parte di beni e servizi); esclusiva o non esclusiva (a seconda che il titolare si riservi o no la continuazione dell’uso). Al fine di reprimere i pericoli riferiti alla libera circolazione del marchio ed alla concessione di licenza non esclusiva (in particolare nel franchising e nel merchandising), è sancito dall’art. 23 c.p.i. che “dal trasferimento e dalla licenza del marchio non deve derivare inganno in quei caratteri dei beni e dei servizi che sono necessari ai fini dell’apprezzamento da parte del pubblico; la concessione di licenza non esclusiva è subordinata alla condizione che il licenziatario si obblighi ad utilizzare il marchio per contraddistinguere prodotti o servizi uguali a quelli messi in commercio o prestati nel territorio dello Stato con lo stesso marchio. In caso di violazione dei diritti sul marchio, sono previsti diversi provvedimenti diretti: a prevenire la continuazione dell’illecito e ad eliminare le conseguenze patrimoniali dell’illecito. Tra gli strumenti sanzionatori si hanno: - Inibitoria della fabbricazione, del commercio e dell’uso delle cose che costituiscono la violazione del diritto; - L’ordine di ritiro dal commercio o di distruzione dei beni realizzati in violazione del diritto o la loro assegnazione al titolare del diritto - Qualora l’ordine inibitorio non venga rispettato,il giudice può fissare una somma dovuta per ogni violazione ed inosservanza successivamente constatata e per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento. - Tali provvedimenti inibitori e di rimozione non richiedono il dolo o la colpa del contraffattore. c) L’insegna L’insegna è il segno distintivo, sia esso emblematico o figurativo,che identifica il locale dove si esercita l’attività di impresa. All’insegna si applica l’onere di differenziazione gravante sul secondo utilizzatore,ogni qualvolta vi sia un rischio di confusione. Il codice civile dedica all’insegna solo l’art. 2568 e pertanto si fa riferimento ai principi base applicabili al marchio: anche l’insegna dovrà essere lecita, dotata di sufficiente capacità distintiva e tale da non trarre in inganno il pubblico. Resta controversa la norma da applicare in caso di trasferimento dell’insegna: la tesi prevalente è quella secondo la quale vi debba essere necessariamente una correlazione con il trasferimento dell’azienda.

d) Domain name Il domain name o nome a dominio rappresenta l’indirizzo internet dell’azienda. Il c.p.i. ha equiparato il domain name agli altri segni distintivi ed ha previsto la possibilità per l’autorità giudiziaria di disporre in via cautelare, oltre all’inibitoria nell’uso nell’attività economica del dominio illegittimamente registrato, anche il suo trasferimento provvisorio, subordinandolo, se ritenuto opportuno, alla prestazione di idonea cauzione da parte del beneficiario del provvedimento.

6.2 Indicazioni geografiche e denominazioni di origine Le indicazioni geografiche e le denominazioni di origine, identificano un paese, una regione o una località, quando siano adottate per designare un prodotto che ne è originario e le cui qualità, reputazione o caratteristiche sono dovute esclusivamente o principalmente all’ambiente geografico di origine. Ai fini della tutela dei consumatori, è vietato apporre indicazioni geografiche o denominazioni di origine quando siano idonee ad ingannare il pubblico o quando ciò comporti uno sfruttamento indebito della denominazione protetta, nonché l’uso di altri mezzi per la presentazione del prodotto che indichino che il prodotto proviene da una località diversa dal reale luogo d’origine o qualora il prodotto presenti qualità

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differenti da quelle proprie dei prodotti provenienti dalla località designata da una certa indicazione geografica. 6.3 Le invenzioni industriali Il brevetto conferisce un monopolio temporaneo di sfruttamento sul trovato oggetto di invenzione, un diritto esclusivo di realizzarlo, di disporne, di farne oggetto di commercio e vietare ad altri di produrlo, utilizzarlo, usarlo, metterlo in commercio, venderlo o importarlo. Possono essere oggetto di brevetto: - Le invenzioni industriali ovvero le soluzioni nuove ed originali ad un problema tecnico, idonee ad essere realizzate ed applicate in campo industriale ; - I modelli industriali, che a loro volta si distinguono in: • Modelli di utilità: che forniscono a macchine o parti di esse, a strumenti, oggetti o utensili, una particolare efficacia o comodità di applicazione o impiego (manca una vera e propria nuova soluzione ad un problema tecnico- si tratta di migliorare il prodotto sotto il profilo funzionale) • Modelli e disegni: che forniscono un particolare ornamento ad oggetti industriali (migliorano il prodotto già esistente sotto il profilo estetico).

A) Invenzioni industriali Le invenzioni industriali possono essere di prodotto (macchine, utensili, formule chimiche) o di processo (es. un nuovo metodo di produzione). L’invenzione può anche essere principale o derivata ovvero basata su una precedente invenzione; quest’ultima si divide in - invenzione di combinazione ovvero si riferisca ad un modo originale di mettere insieme elementi e pezzi diversi, in tutto o in parte già conosciuti - invenzione di perfezionamento: ovvero arricchisca o migliori un trovato preesistente - invenzione di traslazione: ovvero si ottenga un risultato finale diverso, suscettibile di altre utilizzazioni, da una precedente invenzione o da un principio noto. L’art. 45 c.p.i. precisa ciò che non costituisce invenzione e quindi non può essere oggetto di brevetto (es. le scoperte, le teorie scientifiche, i metodi matematici, i metodi per il trattamento chirurgico o terapeutico del corpo umano o animale ed i metodi di diagnosi a loro applicabili, le razze animali ed i processi biologici per l’ottenimento delle stesse). Una disciplina specifica è stata dettata per i diritti sulle nuove varietà di vegetali e le invenzioni biotecnologiche. I requisiti fondamentali per ottenere il brevetto sono: - la novità: un invenzione è considerata nuova se il trovato non è compreso nello stato della tecnica, ossia non è mai stata resa accessibile al pubblico, neppure dallo stesso inventore (o da terzi, abusivamente) prima del deposito della domanda di brevetto. - Originalità - creatività: Un’invenzione è considerata come implicante un’attività inventiva se, per una persona esperta del ramo, essa non risulta in modo evidente dallo stato della tecnica. È necessario, infatti, uno sforzo inventivo, un momento creativo che non consista soltanto nell’applicazione di normali conoscenze tecniche o non sia direttamente desumibile dalla tecnica nota. In sostanza, è necessario che nel trovato che si intende brevettare ricorra un apporto, un contribuito, pure se modesto, al progresso, “un passo in avanti”, qualche cosa che, allo stato della tecnica, non solo non esisteva ma neppure poteva dedursi come una conseguenza logica e necessaria delle conoscenze già acquisite. - Industrialità: esprime l’attitudine del trovato ad essere fabbricato o utilizzato i qualsiasi genere di industria, compresa quella agricola. Quindi l’invenzione deve essere sfruttabile industrialmente. - Liceità: intesa come non contrarietà alle norme imperative, all’ordine pubblico ed al buon costume. In mancanza di tali requisiti il brevetto è nullo. La relativa declaratoria ha di regola effetto retroattivo ma ne è ammessa la conversione quando “il brevetto nullo può avere gli effetti di un diverso brevetto nel quale contenga i requisiti di validità e che sarebbe stato voluto dal richiedente, qualora questi ne avesse conosciuto la nullità”.

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Il brevetto si estingue anche per il mancato pagamento del diritto annuale o per rinuncia del titolare. L’inventore ha sull’invenzione il diritto morale, inalienabile ed imprescrittibile di esserne riconosciuto autore ed il diritto patrimoniale di conseguire il brevetto e quindi di utilizzare il trovato in esclusiva. Se l’invenzione è realizzata da un prestatore di lavoro, questo ha il diritto di esserne riconosciuto autore ma i diritti di carattere patrimoniale spettano al datore di lavoro, che dovrà però corrispondere all’autore un equo premio, a meno che esso non sia stato assunto al fine specifico di inventare. Se l’invenzione è avvenuta nell’ambito di una ricerca universitaria o presso enti pubblici di ricerca,è il ricercatore a essere titolare dell’invenzione di cui è autore, salvo che essa sia sorretta da finanziamenti privati o sia stata finanziata da enti diversi da quelli di appartenenza dell’inventore . Procedimento: la domanda di brevetto deve essere corredata dai documenti necessari al fine di definire la natura, il contenuto e la portata dell’invenzione. Tali documenti consistono nella descrizione chiara e completa -affinché l’invenzione possa essere attuata senza ulteriori ricerche e senza la selezione di informazioni utili ed inutili -, i disegni necessari alla sua intelligenza e le rivendicazioni di brevetto. Ogni domanda può avere come oggetto una sola invenzione. Il brevetto ha durata ventennale dalla data di deposito della domanda ed è esclusa ogni possibilità di rinnovo. Il diritto di esclusiva si può perdere prima della scadenza del brevetto qualora sia dichiarata la sua nullità o sopravvenga un ipotesi di decadenza. L’inventore ha infatti l’onere di attuare l’invenzione e qualora si prolunghi la sua inerzia oltre certi limiti, interviene un meccanismo di concessione, a chiunque ne abbia interesse, di una licenza obbligatoria non esclusiva. Qualora la licenza si riveli sterile o inadeguata, decorsi ulteriori due anni, si avrà la decadenza del brevetto. Il brevetto conferisce al titolare la facoltà esclusiva di attuare l’invenzione nel territorio dello Stato. Se l’invenzione è di prodotto, l’esclusiva comprende la fabbricazione, il commercio e l’importazione dello stesso; se oggetto del brevetto è un procedimento, l’esclusiva copre sia l’utilizzo che la messa in commercio, vendita o importazione di un prodotto identico a quello ottenuto con il nuovo metodo o processo (sono esclusi i prodotti ottenuti con altri metodi). Il brevetto ed i diritti patrimoniali che ne conseguono sono trasferibili sia inter vivos che mortis causa, anche indipendentemente dal trasferimento d’azienda. Può inoltre costituire oggetto di diritto reale, di godimento o di garanzia, nonché di esecuzione forzata o di espropriazione per pubblica utilità. Inoltre può essere concessa la licenza d’uso a terzi, con o senza esclusiva di fabbricazione a favore del licenziatario; sia il licenziatario ce il titolare sono autorizzati ad esercitare azione di contraffazione nei confronti di chi abusivamente sfrutti l’invenzione. L’azione di contraffazione da luogo ad un complesso meccanismo di sanzioni e provvedimenti (dall’inibitoria di fabbricazione, commercio ed uso di quanto oggetto del brevetto; distruzione dei prodotti contraffatti, condanna al pagamento di somme in caso di inosservanza delle misure prescritte e risarcimento del danno. La tutela dell’inventore che si sia astenuto dal brevettare è molto limitata ed è prevista solo nei limiti del preuso. E’ previsto che chiunque, nel corso dei dodici mesi antecedenti alla data di deposito della domanda di brevetto, abbia fatto uso dell’invenzione nella propria azienda può continuare ad usarla nei limiti nel preuso. Il preutente può trasferire tale facoltà, ma solamente insieme all’azienda nella quale è stata utilizzata.

B) Modelli industriali I modelli industriali sono creazioni intellettuali applicate all’industria, di minor rilievo rispetto alle invenzioni industriali. Essi si dividono in : • Modelli di utilità: che forniscono a macchine o parti di esse, a strumenti, oggetti o utensili, una particolare efficacia o comodità di applicazione o impiego (manca una vera e propria nuova soluzione ad un problema tecnico- si tratta di migliorare il prodotto sotto il profilo funzionale) Anche per i modelli di utilità, la tutela è affidata alla brevettazione ma l’esclusiva ha solo durata decennale. • Modelli e disegni: che forniscono un particolare ornamento ad oggetti industriali (migliorano il prodotto già esistente sotto il profilo estetico – forma,linea, colore ecc..). questo è il settore del c.d. industrial design.

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Invece, il diritto esclusivo sull’utilizzo di modelli e disegni, è subordinato alla registrazione, per la quale devono ricorrere i requisiti della liceità, della novità (nessun modello identico deve essere stato divulgato in data antecedente alla presentazione della domanda di registrazione) e l’individualità ovvero deve suscitare nell’utilizzatore informato un impressione diversa da quella suscitata da modelli e disegni divulgati anteriormente alla presentazione della domanda. La registrazione ha durata pari a cinque anni prorogabili per periodi di pari durata sino ad un massimo di 25 anni.

6.4 concorrenza sleale Nello svolgimento dell’attività di impresa, l’imprenditore agisce al fine del conseguimento del profitto ma questo non può essere raggiunto in modo sleale o in modo da arrecare danno ai suoi concorrenti; per questo sia la costituzione all’art. 41 (limiti alla libertà di iniziativa economica) sia l’art. 2598 s.s. c.c. fissano dei limiti che riguardano in particolare i rapporti tra imprenditori e la tutela dei consumatori. L’art. 2598 c.c. disciplina gli atti di concorrenza sleale ed indica che tale protezione integra e non sostituisce le forma di tutela ulteriori. La norma prevede le fattispecie tipiche: • Atti di confusione: si realizzano quando l’imprenditore utilizza segni distintivi o nomi già legittimamente utilizzati da altri, imita servilmente i prodotti di un concorrente o compie atti idonei a creare confusione con i prodotti e l’attività di un concorrente. L’accertamento della confondibilità deve basarsi sull’impressione che l’aspetto complessivo del prodotto può produrre su un pubblico medio; quanto all’imitazione servile, essa presuppone l’imitazione di una forma particolare che per la sua originalità individui il prodotto specifico, quindi la forma non dovrà essere comune o legata ad esigenze di ordine funzionale. • Atti di denigrazione o di appropriazione di pregi altrui: Gli atti di denigrazione consistono nel diffondere notizie ed apprezzamenti sul prodotto o sull’attività del concorrente, tali da determinarne il discredito. Gli atti di appropriazione consistono nel appropriarsi dei pregi dei prodotti o dell’impresa di un concorrente; si pensi alle false indicazioni di provenienza o di ricevimento di premi o riconoscimenti invece attribuiti ad altri. • Ogni altro atto contrario alla correttezza professionale ovvero ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale o idoneo a danneggiare l’impresa altrui. Un caso esemplare di scorrettezza è la concorrenza parassitaria: il concorrente che segue “passo passo” l’attività di un concorrente per usufruire ed appropriarsi delle migliorie e delle innovazioni da questo introdotte nella propria azienda. Ulteriori casi di concorrenza sleale sono costituiti dal boicottaggio (rifiuto di contrattare con alcuni imprenditori per espellerli dal mercato), spionaggio industriale, sottrazione di dipendenti ai concorrenti con mezzi scorretti. Contro gli atti di concorrenza sleale, l’imprenditore può esperire l’azione inibitoria, volta a vietare la continuazione del comportamento sleale (anche mediante richiesta di un provvedimento cautelare anticipatorio della pronuncia definitiva) ed a rimuoverne gli effetti, nonché l’azione di risarcimento dei danni. L’azione inibitoria richiede, come onere probatorio, la sola prova della ricorrenza dell’atto di concorrenza sleale, a prescindere dal fatto che vi sia stata colpa o dolo nel comportamento del concorrente e dalla dimostrazione di aver subito un danno. L’elemento soggettivo, ovvero colpa o dolo e la quantificazione dell’effettivo danno subito dall’imprenditore, sono necessari solo per definire l’importo del risarcimento; inoltre, in caso vi sia colpa o dolo, la colpa si presume ovvero spetta al danneggiante dover dimostrare di aver agito in buona fede. Ulteriore tutela risarcitoria, idonea a ripristinare l’immagine dell’impresa lesa dalla concorrenza sleale altrui, è costituita dalla pubblicazione della sentenza, che può essere disposta dal tribunale a spese del soccombente. La disciplina sopra esposta riguarda i soli imprenditori, anche se ancora in fase organizzativa o in liquidazione ed anche se operanti a livelli economici differenti (es. produttore/rivenditore). Sono legittimati ad agire i soli imprenditori ed in caso di pregiudizio agli interessi di una categoria professionale anche la relativa associazione professionale.

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La legittimazione passiva spetta solo agli imprenditori responsabili della violazione delle norme sulla concorrenza sleale, salvo estenderla a coloro che si sono resi complici dell’illecito; la dottrina estende la legittimazione sia attiva che passiva anche al professionista intellettuale.

CAPITOLO IV Gli strumenti di esercizio dell’impresa II i titoli di credito (pag. 126) 6. origine e funzione economica e nozione di titolo di credito La fattispecie dei titoli di credito,cui sono dedicati gli artt. 1992 e s.s. del codice civile, comprende un ampio numero di documenti (assegni, cambiali, azioni, obbligazioni ecc..), in parte specificatamente descritti e regolati ed in parte affidati all’autonomia privata (c.d. titoli atipici); sono caratterizzati dal fatto che contengano una promessa unilaterale di una prestazione e di essere destinati alla circolazione. Prima dell’emanazione del codice civile del 1942 erano previste poche disposizioni in materia di titoli di credito, prevalentemente dettate in riferimento a pochi strumenti cartolari; il legislatore prescindeva da una considerazione unitaria della categoria. Invece, con l’introduzione del codice civile del 1942, è stata introdotta una disciplina generale dei titoli di credito inserita negli artt 1992-2027 c.c. delle obbligazioni, a conferma dell’opinione secondo cui i titoli di credito sarebbero da ricomprendere tra i fatti costitutivi dell’obbligazione. Tale disciplina è quindi comune a tutti i titoli di credito; gli artt 1992 ss non dicono espressamente quali caratteristiche debba avere un titolo di credito per essere definito come tale ma stabiliscono i diritti del possessore del titolo, quali siano i diritti in esso incorporati, quali sono le conseguenze del loro possesso in buona fede e disciplinano la legittimazione, il trasferimento, l’ammortamento dei titoli al portatore, all’ordine e nominativi. Manca quindi un riferimento al contenuto ed alla forma, nella consapevolezza che la prassi avrebbe potuto dar vita a strumenti dai caratteri non prefigurabili ex ante. Pertanto risulta affidata all’interprete l’individuazione dei connotati giuridici che un documento deve assumere per effetto della sottoposizione alla disciplina generale di cui agli artt 1992 ss e di quelli che il titolo deve presentare per esserle sottoposto. Indubbiamente i connotai giuridici essenziali sono quelli della destinazione alla circolazione e dell’incorporazione nel documento del diritto ad una determinata prestazione. Pertanto, non esistendo una categoria a priori di titoli di credito, la disciplina comune deve confrontarsi con una pluralità di modelli cartolari elaborati nel tempo dalla pratica commerciale. L’evoluzione delle esigenze commerciali e finanziarie ha consentito la proliferazione di numerose figure cartolari tra le quali è possibile operare alcune distinzioni e classificazioni. • •





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In relazione al diritto che rappresentano, si possono distinguere titoli di credito in senso stretto, che attribuiscono il diritto a percepire una somma di denaro, dai titoli di credito rappresentativi di merci, che attribuiscono il possesso delle merci indicate nel titolo. In relazione alle modalità di emissione, si distinguono titoli individuali (es. assegno o cambiale) emessi singolarmente ed in ridotte quantità, titoli di massa, come le azioni o le obbligazioni di società, emessi in serie ed a fronte di un'unica operazione di finanziamento all’emittente, che attribuiscono gli stessi diritti a tutti i sottoscrittori; titoli del debito pubblico, emessi in serie dallo Stato e destinati al collocamento sul mercato dei capitali al fine di reperire investitori. In relazione alla causa di emissione, si chiamano titoli causali, quelli che possono essere emessi solo a fronte di determinati contratti dalle cui vicende rimangono condizionati (es. contratto di trasporto per i titoli rappresentativi di merci) e titoli astratti che possono essere emessi a fronte di qualsiasi rapporto giuridico (es. assegni e cambiali). In relazione alle modalità di trasferimento, possono essere distinti tra titoli al portatore, all’ordine e nominativi.

7. Caratteristiche dei titoli di credito, astrattezza, autonomia e letteralità Il titolo di credito è un documento astratto,autonomo e letterale. Esso è caratterizzato dal fatto che il diritto di credito, ovvero il diritto ad ottenere la prestazione si incorpora nel documento. L’acquisto della proprietà o del possesso del documento (in relazione alla sua legge di circolazione che si differenzia a seconda che il titolo sia nominativo, all’ordine o al portatore), legittima il proprietario o possessore ad esercitare il diritto. • Astrattezza: la posizione giuridica del possessore è indipendente dalla causa di emissione del titolo di credito e non è in alcun modo influenzata dal contenuto o dalle vicende del rapporto fondamentale. Pertanto si ha una netta separatezza tra il rapporto cartolare e quello fondamentale: l’effetto di tale separatezza consiste nell’inopponibilità al possessore delle eccezioni relative ai rapporti personali del suo dante causa. Supponiamo che venga emessa una cambiale a fronte di un operazione di compravendita di beni: nel caso in cui il titolo sia trasferito ma l’obbligo di pagare viene meno o non sussiste per una qualsiasi ragione, il titolo è ormai circolante e le vicende tra compratore ed acquirente non potranno essere opposte al terzo acquirente. Occorre precisare che l’astrattezza, quindi l’indipendenza dalla causa di emissione e dal rapporto sottostante, vige solo nei confronti dei terzi che siano rimasti estranei al rapporto cartolare. Inoltre, la caratteristica dell’astrattezza sfuma dinnanzi ai titoli causali, che sono caratterizzati da un collegamento necessario con la “causa” ovvero il rapporto sottostante e dal fatto che la creazione ed emissione del titolo non sono sufficienti a provocarne un’attribuzione, per la quale occorrono anche fatti extra-cartolari (es. delibera, atto normativo ecc..).

• Autonomia : consiste nell’indipendenza del diritto del portatore legittimo rispetto a quello degli altri creditori che gli hanno trasferito il titolo; ogni acquisto del diritto incorporato nel titolo avviene a titolo originario. Al giratario, ovvero il successivo intestatario o possessore del titolo, non possono essere opposte le eccezioni che sarebbero opponibili al girante o al cedente, a seconda della legge di circolazione del titolo. L’art. 1994 c.c pone il terzo acquirente di buona fede al riparo dall’azione di rivendica del titolo intentata dal proprietario che lo abbia perduto o al quale sia stato sottratto. L’art. 1993 c.c. esclude l’opponibilità al portatore di eccezioni fondate su rapporti personali intervenute tra il debitore ed i precedenti titolari. Pertanto, il titolo di credito consente la circolazione del diritto in esso incorporato e fatti e rapporti ulteriori sono indifferenti nei confronti di tutti gli acquirenti. Tale disciplina si differenzia da quella della cessione del credito, che consente al cessionario di acquisire il diritto di credito solo se il cedente ne sia effettivamente titolare ed in questo caso di subentrare nella medesima posizione giuridica nei confronti del debitore ceduto. Il debitore ceduto può sempre sollevare nei confronti del cessionario le stesse eccezioni che poteva opporre al cedente ; inoltre è previsto l’onere dell’acquirente di notificare la cessione al debitore cedutogli, al fine di evitare che il debitore paghi al creditore cedente. Invece, nell’ambito della circolazione dei titoli di credito, si applicano le regole proprie della circolazione delle cose mobili, in forza del collegamento tra la titolarità del titolo e la proprietà del documento in cui il diritto stesso è menzionato. Vige quindi il principio del possesso in buona fede vale titolo. Anche l’autonomia non può essere vista in senso assoluto, come il caso in cui il titolo sia girato ad un terzo al fine di evitare al prenditore le eccezioni che potrebbero essere opposte dal debitore (es. Tizio vende merce avariata a Caio e gira il titolo a Sempronio onde neutralizzare le eccezioni di Caio). • Letteralità : consiste nel fatto che il contenuto del diritto di credito è indicato sul documento e quindi il portatore non potrà avere né in più né in meno di quanto emerge dal documento. Si distinguono: • titoli a letteralità diretta (o autosufficienti) che contengono tutti gli elementi sufficienti ad individuare la pretesa cartolare

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titoli a letteralità indiretta (o incompleti) che attraverso il rinvio implicito o esplicito, richiamano altri documenti il cui contenuto è necessario a precisare il diritto cartolare, come nell’ipotesi di titoli rappresentativi di merci.

In sintesi, il fatto che il titolo di credito sia mezzo necessario e sufficiente per l’esercizio di quanto menzionato (ciò prende il nome di incorporazione), si connette alla particolare legge sulla circolazione dei mobili, motivo per cui: - chi acquista il documento non è soggetto a rivendicazioni - chi possiede il titolo ha diritto alla prestazione in esso contenuta in base alla semplice presentazione - l’efficacia di qualsiasi vincolo sul diritto è subordinata alla trascrizione sul documento stesso

8.

la disciplina cartolare

In merito al momento in cui sorge l’obbligazione incorporata nel titolo di credito, si hanno differenti teorie: la prima afferma che l’obbligazione sorge nel momento della creazione del titolo, ovvero con la compilazione e la sottoscrizione del titolo da parte del debitore; la seconda teoria afferma che il sottoscrittore ha possibilità di revocare la dichiarazione cartolare sino a quando il titolo non venga consegnato al prenditore. Tale interpretazione trova conferma nell’art. 1993 c.c. che ammette il debitore ad opporre eccezioni derivanti dal difetto della capacità o di poteri rappresentativi proprio al momento dell’emissione. Essendo il titolo un bene mobile, la proprietà si trasferisce con il semplice scambio di consensi, come indicato dall’art. 1376 c.c..Tale articolo stabilisce infatti che nei contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata, la proprietà o il diritto si trasmettono e si acquistano per effetto del consenso delle parti legittimamente manifestato. Pertanto, la consegna del titolo costituisce solo la fase di esecuzione del contratto e quindi si limita ad integrare la posizione del proprietario, in precedenza acquisita mediante il semplice accordo. Tale impostazione non è accolta da tutti, ritenendo che il contratto traslativo di titoli di credito abbia natura reale e si perfezioni con la consegna della cosa e quindi con il possesso da parte dell’acquirente. Ovviamente l’accoglimento dell’una o dell’altra impostazione ha dei rilevanti effetti pratici. In base alla prima prospettiva, in caso di smarrimento o sottrazione di un titolo, il proprietario del documento potrà richiederne la restituzione al possessore, salvo gli effetti dell’acquisto in buona fede. Invece, con riguardo alla seconda impostazione,colui che ha acquistato il titolo per effetto del mero accordo non è divenuto titolare in quanto non ha preso possesso del titolo. Mentre chi sia stato nel possesso prevarrà in ogni caso, sia egli in buona o cattiva fede, dovendosi accordare a chi per primo abbia acquisito il titolo senza acquistarne il possesso una tutela esclusivamente risarcitoria nei confronti dell’alienante.

8.3 Titolarità e legittimazione L’art. 1992 c.c. afferma che chi possiede il documento ed è legittimato nelle forme prescritte dalla legge,ha il diritto di esigere la prestazione in esso indicata e che il debitore, che in buona fede adempia alla prestazione nelle mani del possessore è liberato, anche se esso non è il titolare del diritto. Inoltre, chi ha acquistato in buona fede il possesso del titolo, in base alla sua legge di circolazione, non è soggetto a rivendicazione da parte del proprietario. Queste norme sono alla base del fenomeno dell’incorporazione ovvero il fatto che il titolo incorpora il diritto. La titolarità del titolo di solito si accompagna alla proprietà del documento ma le esigenze di circolazione e di conferire certezza alla negoziazione ed ai pagamenti, hanno allargato la tutela del portatore oltre i confini della proprietà.

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Legittimazione attiva: non occorre essere e/o dimostrare di essere i proprietari del documento ma è sufficiente esserne venuti in possesso in base alla sua legge di circolazione. Il possesso del titolo, sia in qualità di diretto possessore o di suo successivo acquirente (di regola per girata) è condizione affinchè il possessore possa esercitare il diritto ad esigere la prestazione incorporata. Il possesso cede alla proprietà solo se sia di mala fede o se il portatore del titolo abbia commesso colpa grave acquistandolo. Legittimazione passiva: il debitore che, senza dolo o colpa grave, adempie la prestazione nelle mani del possessore, ovvero chi compare formalmente e legittimamente investito della titolarità, è liberato anche se il possessore non è il reale titolare del diritto. Solamente nel caso in cui il debitore versi in dolo o colpa grave, il pagamento non è liberatorio. Per esempio, se il debitore è a conoscenza del fatto che il possessore ha rubato il titolo, deve rifiutarsi di pagarlo. Al contrario, se ha un semplice dubbio sulla effettiva titolarità, deve comunque adempiere. Pertanto, per escludere l’efficacia liberatoria dell’adempimento, non è sufficiente che il debitore abbia il sospetto dell’esistenza di un vizio nell’acquisto, ma deve avere prove idonee (dolo) oppure si rientri nel caso in cui il debitore non abbia utilizzato quel minimo di diligenza che gli avrebbe permesso di conoscere o dimostrare il difetto della titolarità (colpa grave). Inoltre, l’art. 1994 c.c. stabilisce che chi ha acquistato il possesso del titolo in buona fede ed in conformità delle norme che disciplinano la sua circolazione, non è soggetto ad alcuna rivendicazione da parte del proprietario. Inoltre il possessore non è tenuto a provare la propria buona fede, che si presume sino a prova contraria. E’ però necessario il rispetto della legge di circolazione: per i titoli al portatore la consegna del titolo, per i titoli all’ordine la girata; se il titolo è nominativo, l’annotazione nel libro dell’emittente e, nel caso delle azioni, le formalità di deposito del titolo ove richiesto dallo statuto. Il dualismo tra le posizioni del proprietario e del possessore, fanno emergere la distinzione tra proprietà e legittimazione, ovvero tra proprietà del titolo e facoltà ad esercitare il diritto di credito o di partecipazione incorporato nel documento. Vale la regola del possesso vale titolo: è legittimato all’esercizio del diritto incorporato nel titolo di credito chi ne è possessore in base alla sua legge di circolazione o semplicemente il portatore del titolo, indipendentemente dalla proprietà.

8.4 Titolarità e legittimazione nelle diverse specie di titoli di credito. La legittimazione è correlata all’acquisto del possesso in conformità alla legge di circolazione del titolo di credito. Le regole di circolazione fanno distinzione tra - titoli al portatore: che circolano per consegna del documento - titoli all’ordine: che circolano per consegna del documento a seguito di girata a nome dell’acquirente - titoli nominativi: che circolano a seguito di consegna del documento accompagnata da intestazione a nome dell’acquirente sul documento stesso ed annotazione nel registro dell’emittente Anche la consegna del titolo è sempre indispensabile per l’acquisto della legittimazione ma è sufficiente solo nei titoli al portatore mentre per i titoli all’ordine e nominativi sono necessarie, oltre che il possesso, ulteriori indicazioni nominative risultanti dal documento. A) Titoli al portatore: la categoria comprende i titoli che recano la clausola “al portatore” o intestati ad un nome seguito dalla formula “al portatore” ed i titoli senza indicazione di un nome; comprendono quindi tutti i titoli che per forma o caratteristiche sono simili alla moneta. Possono essere emessi al portatore gli assegni bancari, i libretti di deposito, le azioni di risparmio, le obbligazioni di società, le quote di partecipazione a fondi comuni di investimento ed i titoli del debito pubblico.

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La legittimazione è legata esclusivamente al possesso del titolo. In caso di successiva alienazione dello stesso titolo al portatore, prevale il primo possessore del titolo che abbia agito in buona fede. Il semplice possesso riconosce il diritto ad esigere la prestazione incorporata nel titolo senza che il possessore sia tenuto a giustificare altrimenti il suo diritto; il debitore è liberato a meno che non conosca o non possa conoscere con un minimo di diligenza che il possessore non è titolare del diritto. Non incombe sul debitore l’obbligo di identificare colui che esibisce il titolo. L’utilizzo di documenti al portatore è stata notevolmente limitata dall’entrata in vigore della normativa antiriciclaggio (d.lgs 231/2007), per esempio prescrivendo che il trasferimento di titoli al portatore di importo superiore a € 1000 debba avvenire solo per il tramite di intermediari finanziari abilitati. B) Titoli all’ordine: in questi titoli la legittimazione si acquisisce mediante la girata, ovvero l’ordine formulato sul titolo, normalmente sul retro, rivolto dal cedente (girante) al debitore, di eseguire la prestazione incorporata nel titolo a favore del nuovo prenditore (giratario). E’ pertanto legittimato colui al quale il titolo è stato girato dal precedente prenditore, anche mediante una serie continua di girate. Possono essere emessi all’ordine la cambiale, gli assegni bancari, assegni circolari, i titoli rappresentativi di merci. Il titolo all’ordine conterrà l’intestazione ad una persona determinata che potrà o operare un trasferimento mediante girata o esigere dal debitore la prestazione incorporata nel titolo. Il soggetto che esige la prestazione deve quindi essere l’ultimo intestatario in base alle risultanze letterali sul documento. Il girante non risponde per l’eventuale prestazione da parte dell’emittente, infatti l’esperibilità dell’azione di regresso non si estende ai titoli non cambiari.

C) Titoli nominativi: sono titoli di credito necessariamente intestati ad una determinata persona. La legittimazione del possessore non richiede solo la consegna del documento ma richiede: - L’annotazione del nome dell’acquirente sul titolo (o rilascio di nuovo documento) - Annotazione sul registro dell’emittente Tali formalità possono avvenire: su iniziativa dell’alienante che può richiedere all’emittente la nuova intestazione sul titolo (o rilascio di nuovo titolo) o l’annotazione sul proprio registro, esibendo il documento di identità e capacità di disporre tramite autenticazione notarile - Su iniziativa dell’acquirente che deve chiedere all’emittente l’annotazione sul registro e l’intestazione del titolo a proprio favore, esibendo il proprio documento e provando il diritto tramite atto autentico ossia un contratto idoneo al trasferimento della proprietà autenticato dal notaio o da una sentenza di accertamento. - Questo è il c.d. transfer senza il quale manca la legittimazione. Pertanto la circolazione dei titoli nominativi è più lenta in quanto richiede la collaborazione dell’emittente ma è anche più sicura in quanto richiede l’identificazione del nuovo legittimato, così riducendo al minimo il rischio che la prestazione sia adempiuta a favore di un soggetto non legittimato. Il procedimento non è però tassativo infatti, salvo diverse disposizioni di legge, il titolo nominativo può essere trasferito mediante girata datata, sottoscritta dal girante ed autenticata dal notaio. Il trasferimento mediante girata consente di ottenere l’annotazione del trapasso nei libri dell’emittente(senza la quale il trasferimento non ha efficacia nei confronti dell’emittente). Con la trascrizione sul libro dell’emittente si ha infatti la girata piena: la legittimazione si ha solo con la coincidenza tra il nuovo intestatario del titolo e le risultanze sul libro dell’emittente. Questa è la procedura utilizzata per le azioni non de materializzate.

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8.5 le eccezioni. L’art. 1993 elenca le eccezioni che possono essere opposte dal debitore al portatore. Il debitore può opporre al portatore del titolo solo le eccezioni fondate sulla forma, quelle fondate sul contesto letterale del titolo, quelle che dipendono dalla falsità della propria firma, da difetto della capacità o della rappresentanza al momento dell’emissione o della mancanza delle condizioni necessarie per l’esercizio dell’azione. Inoltre, al 2^ comma, l’articolo disciplina che il debitore può opporre al portatore del titolo le eccezioni fondate sui rapporti personali con i precedenti possessori, solamente se al momento dell’acquisto del titolo il possessore ha agito in modo da recare danno intenzionalmente al debitore medesimo. Pertanto, si distingue tra - eccezioni reali, opponibili a qualunque portatore; inficiano il diritto di credito limitandone del tutto o in parte l’efficacia durante la sua circolazione - eccezioni personali, opponibili solo ad un portatore determinato; non intaccano il valore sotto il profilo della circolazione e quindi del suo valore. 8.5.1 le eccezioni reali Le eccezioni reali sono quelle opponibili a qualsiasi possessore del titolo che pretenda l’esecuzione della prestazione nel titolo incorporata. Si fa riferimento a: - eccezioni di forma: che comprende il difetto di forma scritta ed il mancato rispetto dei requisiti formali richiesti dalla legge (es. mancanza degli elementi prescritti dalla legge per la cambiale). - eccezioni fondate sul contesto letterale del titolo. Le eccezioni non possono riguardare la presenza di elementi irrilevanti, anche se non richiesti dalla legge o dal tipo di titolo di credito (es. indicazione della causa di emissione in un titolo astratto). Tra le eccezioni fondate sul contesto letterale del titolo si hanno: - le eccezioni che trovano fondamento nelle indicazioni del titolo, siano esse necessarie o inserite dall’emittente o da un obbligato successivo (es. casi di estinzione del diritto quando il pagamento risulta indicato sul titolo). - Eccezione di falsità della firma: vi rientrano tutti i casi in cui la firma del soggetto obbligato, il cui nome compare sul titolo, è falsa. Tali eccezioni sono mirate ad evitare che un soggetto possa essere obbligato ad adempiere una prestazione incorporata nel titolo qualora altri, senza il suo consenso, lo abbiano posto in circolazione con una firma falsa. - Eccezione derivante da difetto di capacità al momento dell’emissione: vi rientrano le ipotesi di incapacità legale del minore, dell’inabilitato e dell’interdetto - Eccezioni relative al difetto delle condizioni necessarie per l’esercizio dell’azione: ovvero in mancanza di adempimento di particolari formalità richieste per l’esercizio dell’azione nei confronti degli obbligati - Eccezioni desumibili da fatti estintivi del diritto incorporato nel titolo: è il caso del pagamento risultante dal contesto letterale del titolo. L’eccezione che non si evinca dal contesto letterale del titolo può essere opposta esclusivamente a chi ha ricevuto il pagamento.

8.5.2 le eccezioni personali Tutte le eccezioni fondate sui rapporti del debitore contro il precedenti possessori del titolo sono inopponibili. Invece, sono opponibili le eccezioni fondate sul rapporto personale diretto tra debitore e possessore che agisce per esercitare il proprio diritto. Un esempio è il venditore di merce viziata che chiede il pagamento al debitore; oppure il caso in cui il possessore del titolo che si rivolge al venditore che però a sua volta vanta un credito nei suoi confronti, credito opponibile in compensazione. Costituiscono eccezioni personali anche quelle relative al difetto di titolarità del possessore che non abbia mai acquistato la proprietà del titolo. Costituisce eccezione personale anche quella di abusivo riempimento del titolo: quando il titolo viene emesso del tutto o in parte in bianco (es. la somma non è ancora stata determinata al momento

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dell’emissione) ed il possessore, in violazione al patto di riempimento, lo componga in difformità degli accordi. Costituisce eccezione personale anche quella relative all’esistenza di un vizio della volontà inerente il rapporto sottostante: è il caso del documento sottoscritto per errore,dolo, violenza morale, che potrà essere opposta dal sottoscrittore nei confronti del diretto contraente. Più in generale, sono personali le eccezioni fondate sui vizi del rapporto causale in base al quale è stata assunta l’obbligazione o il titolo è stato trasferito. Vi rientrano le eccezioni relative a vizi generici, a fatti modificativi ed estintivi del rapporto, le azioni relative ad annullabilità per vizi del consenso, le azioni si nullità per illiceità della causa o per difetto dei requisiti essenziali. Tali azioni sono opponibili al contraente ma anche al terzo portatore che abbia in qualche modo preso parte al rapporto tra i contraenti. L’ultimo comma dell’art. 1993 consente al debitore di opporre al possessore le eccezioni fondate sui rapporti con i precedenti possessori nel solo caso in cui questo abbia agito intenzionalmente a danno del debitore medesimo.

8.6 i vincoli L’art. 1997 dispone che “il pegno, il sequestro, il pignoramento ed ogni altro vincolo sul titolo di credito o sulle merci in esso menzionati, non hanno effetto se non si attuano sul titolo. - La norma enuncia tre casi tipici di vincolo sul titolo che si traducono in una preclusione del potere di godimento che del potere di disposizione spettante al titolare del diritto - l’espressione ogni altro vincolo intende ogni altra limitazione, indipendentemente dalla sua fonte, che può anche consistere in provvedimenti dell’autorità giudiziaria o amministrativa. Il vincolo non attuato sul titolo non è opponibile dal suo beneficiario sia ai terzi acquirenti o terzi creditori concorrenti, sia al debitore cartolare al fine di ottenere la prestazione ovvero inibire che la stessa venga effettuata a favore del titolare del diritto vincolato. Pertanto la mancata attuazione sul documento fa si che la posizione del possessore sia intangibile sotto il profilo dei rapporti con i terzi ma anche nell’esercizio del diritto cartolare. Le forme di attuazione del vincolo e di costituzione dei diritti variano a seconda della legge di circolazione del titolo. Per i titoli al portatore è sufficiente la consegna del documento e l’annotazione del vincolo sugli stessi non è necessaria. Per i titoli all’ordine, il pegno si costituisce mediante la consegna e l’apposizione della girata a titolo di pegno; ogni altro vincolo deve risultare da un apposita annotazione sul documento. Per i titoli nominativi la costituzione del pegno può essere attuata mediante annotazione sul titolo e sul registro dell’emittente Il creditore pignoratizio (ovvero colui che è titolare di un pegno a garanzia del proprio credito) ha il potere di trarre dal documento assoggettato a garanzia l’utilità che esso può trarre – a differenza del pegno di cose in cui il creditore deve limitarsi alla custodia. L’osservanza delle prescrizioni contenute nell’art 1997 c.c. non esaurisce le condizioni di legge per la costituzione del vincolo, che resta assoggettato anche alle regole di diritto comune. L’esercizio dei diritti cartolari relativi a titoli soggetti a sequestro o pignoramento dovranno avvenire sempre a mezzo del custode nominato, nonché secondo le istruzioni del giudice del sequestro o dell’esecuzione. 8.7 L’ammortamento Il differente regime circolatorio dei titoli di credito incide sulla procedura che il proprietario o possessore del titolo di credito devono attuare in caso di smarrimento, sottrazione o distruzione del documento. Il legislatore ha dovuto contemperare l’interesse di colui che ha perduto il possesso del titolo con il principio cartolare secondo il quale il solo possesso del titolo costituisce presupposto per esercitare il diritto in esso incorporato. In caso di deterioramento del titolo ma il possessore sia ancora identificabile, esso ha diritto ad ottenere un titolo equivalente, contro la restituzione del titolo stesso ed il rimborso delle spese. In caso di distruzione integrale del titolo : il possessore che provi la distruzione del titolo ha il diritto di chiedere all’emittente il rilascio di un duplicato o di un titolo equivalente a spese del richiedente. La

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disciplina è inapplicabile ai titoli diversi da quelli al portatore in quanto la fattispecie è parificata dalla legge allo smarrimento ed alla sottrazione. Lo smarrimento o la sottrazione di un titolo al portatore non danno diritto al portatore di richiedere la procedura di ammortamento: trattandosi di un titolo spersonalizzato e magari ancora circolante non è possibile sostituire il titolo perduto o sottratto con una pronuncia giudiziale. La regola è ferrea per i buoni del tesoro ed i titoli del debito pubblico che anche se distrutti non possono essere sostituiti. Nelle altre ipotesi, se il titolare denuncia tempestivamente e prova all’emittente lo smarrimento o la sottrazione del titolo, ha diritto ad esigere il diritto in esso incorporato dopo che è trascorso il termine di prescrizione, quindi dopo che si ha la certezza che nessun terzo possessore possa più avanzare pretese. Il debitore che esegue la prestazione a favore del possessore del titolo prima del termine suddetto è liberato, salvo che si provi che egli conoscesse il vizio del possesso del presentatore. L’ammortamento è invece consentito se il titolo è all’ordine o nominativo e si articola in due fasi, di cui una necessaria ed una solo eventuale. Colui che ha perduto o a cui è stato sottratto il titolo, o il cui titolo è andato distrutto, deve farne denunzia al debitore e chiedere l’ammortamento con ricorso al presidente del tribunale del luogo in cui il titolo è pagabile. Il presidente del tribunale, dopo aver accertato i fatti, emette il decreto d’ammortamento da pubblicarsi sulla gazzetta ufficiale e notificare al debitore a cura del ricorrente. Con questo provvedimento il giudice autorizza il pagamento del titolo decorsi 30 giorni dalla data di pubblicazione, periodo di tempo entro il quale il detentore può opporsi. Se il detentore si oppone, il giudice deve valutare se questo abbia acquistato il titolo in buona fede ed in base alla sua legge di circolazione; in questo caso dichiarerà che il medesimo detentore è il proprietario del titolo, previa revoca del decreto di ammortamento. In caso contrario, rigetterà l’opposizione ed obbligherà il detentore a restituire il titolo al convenuto. Se nessuno presenta opposizione, chi ha ottenuto il decreto di ammortamento ha il diritto ad esigere la prestazione incorporata nel titolo, decorso il termine per la presentazione dell’opposizione. Infatti, decorso il termine per la presentazione dell’opposizione, il titolo non ha più efficacia e la legittimazione riacquistata in capo al ricorrente prescinde dal possesso materiale del documento.

9. Documenti di legittimazione e titoli impropri I titoli di credito vanno distinti dai documenti di legittimazione che svolgono la funzione di identificare l’avente diritto alla prestazione ma sono privi dell’incorporazione del diritto; ne sono un esempio i biglietti, gli scontrino, la carta di credito. Per i documenti di legittimazione non trova applicazione la disciplina generale dei titoli di credito, con la conseguenza che: - Il possesso del documento serve solo a qualificare il possessore come colui che è legittimato a ricevere il pagamento - Non essendo in presenza di un diritto letterale ed autonomo, il possessore può opporre tutte le eccezioni opponibili ai precedenti creditori - Non trova applicazione l’art. 1997 cc in tema di vincoli I titoli di credito vanno distinti inoltre dai titoli impropri, destinati alla circolazione: hanno la funzione di trasferire il diritto senza osservare le forme proprie della cessione (es. polizza di assicurazione all’ordine o al portatore).

10. I titoli cambiari: cambiali e assegno La cambiale. La cambiale è un titolo astratto, che circola all’ordine, deve rispettare rigidi requisiti formali previsti dalla legge cambiaria; tutte le clausole che regolano ed individuano il rapporto di credito devono essere indicate

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nel documento cambiario, senza alcuna possibilità di riferimento ad altre scritture. Esistono due tipi di cambiale: - Cambiale tratta: un soggetto (traente) dà l’ordine ad un altro (trattario), che accettando diviene l’obbligato principale, di pagare una certa somma di denaro ad un terzo (prenditore). il trattario non diviene obbligato a seguito della semplice emissione del titolo ma necessaria la sua accettazione, mediante la sottoscrizione del titolo. - Pagherò : un soggetto emittente si impegna a corrispondere una determinata somma al prenditore in una determinata data. Gli elementi che devono essere obbligatoriamente presenti nel documento cambiario sono: - La denominazione di cambiale (o pagherò) - L’ordine o la promessa incondizionata di pagare la somma determinata, individuata sia in cifre che in lettere - Il nome del trattario e del prenditore - Data e luogo di emissione - Luogo del pagamento - Sottoscrizione del traente e dell’emittente La scadenza della cambiale, sempre da indicarsi nel documento, può essere “a vista” ovvero all’atto della presentazione o a “certo tempo vista” quando il documento è esigibile decorsi un certo numero di giorni o mesi dall’emissione, o a giorno fisso. Se non è indicata alcuna scadenza sul titolo la cambiale è pagabile a vista. Questi requisiti formali possono mancare al momento dell’emissione ma devono obbligatoriamente sussistere nel momento in cui il titolo è presentato per il pagamento: è quindi legittimo emettere un titolo “in bianco” ma ciò espone il debitore al rischio che il titolo non sia compilato in conformità dei patti iniziali, considerato che per il principio di letteralità tale violazione non può essere opposta dal debitore al portatore del titolo che lo abbia acquistato senza colpa ne colpa grave. La legge di circolazione delle cambiali impone che il suo trasferimento avvenga tramite girata ; ogni girante diventa obbligato di regresso nei confronti di tutti i successivi giratari in caso di mancato adempimento da parte del debitore principale. Sempre dal titolo risultano gli eventuali soggetti che vogliano garantire l’adempimento dell’obbligazione cambiaria e che a tal fine abbiano apposto la sottoscrizione “per avallo” o “in garanzia”: l’avallante risponde allo stesso modo del soggetto garantito ma la sua assunzione di garanzia è del tutto autonoma dal rapporto principale. Il portatore della cambiale, alla scadenza del documento, dovrà rivolgersi al trattario che abbia accettato (nella tratta) o all’emittente (nel pagherò); solo qualora il titolo sia garantito il portatore potrà rivolgersi anche all’avallante. Il debitore è tenuto a pagare il titolo verso chi si dimostri possessore sulla base di una serie continua di girate; pertanto il debitore deve pagare il titolo dopo aver verificato la regolarità delle girate, altrimenti non sarà liberato. In caso di inadempimento dell’obbligato principale o dell’eventuale avallante,il creditore potrà richiedere il pagamento ad uno qualsiasi degli obbligati in via di regresso; a tal fine è però necessario che sia stato fatto un protesto della cambiale, ovvero sia stata fatta una contestazione solenne di mancato pagamento ad opera di un notaio o di un ufficiale giudiziario. Nel caso in cui uno degli obbligati di regresso provveda al pagamento, potrò rivalersi della somma versata, oltre che di interessi e spese, nei confronti dei firmatari che lo precedono nel titolo. In caso di inadempimento, il creditore è titolare sia dell’azione giudiziaria ordinaria, nascente dal rapporto fondamentale sottostante l’emissione o la girata del titolo, ma anche delle c.d. azioni cambiarie. Le azioni cambiarie sono basate su un procedimento giudiziario più rapido che consente di ottenere immediatamente dal giudice, sulla base della sola cambiale quale scrittura di riconoscimento del debito, un decreto ingiuntivo al quale eventualmente il debitore potrà opporsi. Tali azioni si distinguono in azione cambiaria diretta, esperibile entro 3 anni dalla scadenza del titolo nei confronti dell’obbligato principale e l’azione di regresso, promuovibile nei confronti degli obbligati di regresso entro un anno dal protesto. La cambiale vale come titolo esecutivo: autorizza il creditore, in caso di inadempimento, a procedere esecutivamente nei confronti del/i debitore/i senza necessità di un accertamento giudiziario di accertamento del debito.

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L’assegno L’assegno si distingue dalla cambiale (tipico strumento di credito) per la sua prevalente finalità di pagamento. Il pagamento dell’assegno non comporta l’estinzione dell’obbligazione pecuniaria in esso contenuta: il pagamento effettuato con assegno bancario si intende saldo buon fine e l’obbligazione è adempiuta solo nel momento in cui il prenditore dell’assegno ne consegue l’incasso. Si distinguono due tipi di assegni: assegno bancario ed assegno circolare, che si differenziano tra loro per il diverso grado di sicurezza del pagamento. L’assegno bancario è l’ordine incondizionato che una persona (traente) dà ad una banca (trattario), di pagare la somma ad un terzo (il cui nominativo è indicato sul documento) o allo stesso traente (con indicazione “a me stesso” o “a me medesimo”). L’assegno è compilato su un modulo fornito alla banca in appositi carnet. L’assegno bancario deve contenere la denominazione di assegno bancario, l’indicazione della somma da pagare, del luogo di emissione, la sottoscrizione del traente. Tra la banca ed il traente sussiste un rapporto di provvista in forza del quale il traente, che è un cliente della banca, è da essa autorizzato ad emettere assegni (attraverso la c.d. convenzione assegni) e quindi detiene presso la banca i fondi necessari al pagamento del titolo. L’emissione di assegni in assenza di provvista da luogo ad una sanzione amministrativa pecuniaria. L’assegno è un titolo astratto, formale ed esecutivo. E’ sempre pagabile a vista e può essere presentato per il pagamento entro 8 gg se pagabile nello stesso comune o 15 giorni se pagabile in un comune diverso da quello di emissione, entro 20 gg se pagabile in uno stato diverso, 60 giorni se pagabile in un continente diverso. Il mancato rispetto dei termini di presentazione autorizza la banca a rifiutare il pagamento. La banca è obbligata nei confronti del correntista a pagare l’assegno al terzo beneficiario ma non è mai direttamente obbligata nei confronti di quest’ultimo; pertanto il rifiuto della banca di pagare l’assegno, per qualsiasi motivo, non da luogo ad azioni nei confronti dell’istituto di credito. La banca è tenuta ad assolvere l’ordine ricevuto dal correntista con la dovuta diligenza, per esempio verificando la firma, verificando la correttezza nella compilazione del documento, verificando che il soggetto che richiede il pagamento sia il reale avente diritto. Inoltre la banca è tenuta a verificare la firma del traente, confrontandola con quella depositata dal correntista sullo specimen, all’atto del rilascio della convenzione assegni. Inoltre, la banca deve controllare la genuinità fisica del documento, accertando eventuali cancellature, manomissioni ed abrasioni. Infine, la banca deve accertare la legittimazione cambiaria del presentatore, sia per quanto riguarda la legge di circolazione del titolo sia per quanto riguarda l’identificazione del beneficiario. Per quanto riguarda la girata o l’avallo dell’assegno valgono le stesse regole della cambiale: il protesto è superfluo per agire in regresso verso il traente ma è indispensabile per agire contro i giranti e/o gli avallanti. La circolazione degli assegni bancari è fortemente limitata dalla normativa antiriciclaggio che, per esempio, ammette la circolazione si assegni superiori a mille euro solo se muniti dalla clausola di non trasferibilità. L’assegno circolare può essere emesso solo da una banca autorizzata dalla Banca d’Italia e consiste nella promessa incondizionata della banca di pagare a vista una somma determinata. Il titolo può essere emesso a favore di se stessi o di un terzo; garantisce il pagamento in quanto può essere emesso solo a fronte di fondi disponibili presso essa (o di versamento in contanti del traente). Il possessore deve presentare all’incasso l’assegno circolare entro 30 giorni, pena decadenza dell’azione di regresso. Titoli di credito e procedimenti di dematerializzazione. Negli ultimi decenni si è sviluppato un processo di dematerializzazione dei titoli cartacei; processo che indubbiamente si scontra con l’incorporazione del diritto nel titolo di credito, che garantiva speditezza e sicurezza nella circolazione.

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Il processo di dematerializzazione ha coinvolto diversi titoli di credito (documenti rappresentativi di merci, cambiali, assegni, azioni e titoli di stato) e risponde all’esigenza di maggiore rapidità nella circolazione dei titoli; il fenomeno si realizza attraverso tecniche informatiche e telematiche. Il mercato dei titoli informatici è caratterizzato dalla presenza di intermediari che operano in rete, nella quale circolano i documenti o i dati in essi incorporati. Un settore in cui i documenti smaterializzati hanno avuto larga diffusione è quello del commercio e dei trasporti, nel quale la polizza di carico ed il titolo rappresentativo di merci hanno del tutto perso il tradizionale supporto cartaceo. Le nuove tecniche di utilizzo dei documenti dematerializzati vanno dal deposito titoli presso un registro centralizzato, sino alla completa sostituzione con “messaggi” inviati tramite networks ai quali possono accedere diversi operatori (banche, vettori, importatori, esportatori, spedizionieri ecc..). I diritti sulle merci sono “incorporati” su supporti e circolano mediante supporti informatici; talvolta viene attribuito un codice identificativo al titolare, che crea un legale proprio come avveniva con il possesso della carta. La dematerializzazione non ha coinvolto solo i titoli causali ma anche quelli astratti, come cambiali ed assegni negoziati telematicamente. E’ il caso del check truncation, un sistema di gestione di assegni bancari e circolari in base al quale i titoli girati per l’incasso, vengono fisicamente trattenuti presso la banca girataria, che invia alla banca trattaria, per via telematica, gli estremi del titolo, così da poter procedere al pagamento senza la circolazione materiale del documento. La dematerializzazione è diffusa anche nell’ambito dei titoli di massa come i titoli del debito pubblico e le azioni. In una prima fase i titoli venivano immessi in un sistema di gestione accentrata i forza di un contratto concluso tra fiduciante ed aderente, simile al deposito titoli in amministrazione presso le banche, e produceva i suoi effetti nei confronti della società di gestione, la c.d. Monte titoli, che ne assumeva la custodia senza alcuna distinzione per cliente, impegnandosi alla restituzione dei titoli. A partire dal 1986, a seguito dell’emissione dei titoli in Monte, il diritto veniva scorporato dal documento (sostituito da una semplice iscrizione in conto) e la sua circolazione (in assenza del supporto materiale) era affidata a semplici operazioni di giro. La Monte titoli disponeva di una contabilità riferita ai depositanti, i quali registravano le operazioni dei loro clienti, potendo così stabilire la titolarità dei valori depositati ed il trasferimento a mezzo operazioni contabili veniva equiparato alla movimentazione cartolare. Analoga disciplina veniva formalizzata nel 1993 per i titoli del debito pubblico (BOT, CTT, CTZ) e rafforzata dalla prassi dello Stato di non emettere più titoli in forma cartacea. Con i d.lgs. 213/1998 e 58/1998 si ha una regolamentazione unitaria della dematerializzazione che, integrata dalla regolamentazione dei mercati, rappresenta la disciplina ad oggi in vigore.

CAPITOLO V le forme di cooperazione tra imprese Le forme di cooperazione tra imprese L’esercizio di attività imprenditoriali complesse ed in continua evoluzione può indurre gli imprenditori, in particolare le imprese medio piccole, a ricercare forme di cooperazione al fine di svolgere in modo più efficiente determinate fasi delle rispettive attività, quali la partecipazione a gare d’appalto, approvvigionamento di materie prime, ottenimento di un finanziamento, la promozione delle rispettive imprese. Le forme di cooperazione previste dal ns ordinamento sono molteplici: i consorzi, il gruppo europeo di interesse economico G.E.I.E.) e le reti d’impresa.

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Il consorzio Art. 2602 c.c. con il contratto di consorzio due o più imprenditori istituiscono un’organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese. Il consorzio realizza una finalità di mutualità pura in quanto tende a procurare dei vantaggi agli imprenditori consorziati, migliorando l’efficienza delle rispettive attività. Il consorzio si costituisce mediante contratto scritto a pena nullità ; l’organizzazione del consorzio non presenta particolari vincoli, se non la necessità di osservare la regola di maggioranza. La legge non impone la struttura collegiale per il funzionamento degli organi interni; solitamente le singole imprese costituiscono la propria struttura interna sulla falsariga delle società di capitali, introducendo quindi organi assembleari e consiliari. L’art. 2615 ter c.c. prevede la possibilità per le società del consorzio di dare vita ad una società consortile, ovvero quando la struttura societaria è interamente compenetrata da quella del consorzio. In questo caso, delle obbligazioni contratte dal consorzio, la responsabilità ricade unicamente in capo ad esso. Se invece le obbligazioni sono contratte dal consorzio per conto di uno o più consorziati, scatta la responsabilità solidale del fondo consortile con i singoli consorziati. Le società del consorzio, attraverso i contributi consortili, costituiscono un fondo consortile che rappresenta l’autonomo patrimonio del consorzio. Fondamentale è la distinzione tra consorzi ad attività interna e ad attività esterna. I consorzi ad attività interna si limitano a gestire i rapporti tra i consorziati I consorzi ad attività esterna possono svolgere attività anche verso i terzi : all’interno del consorzio si ha un organo deputato a svolgere l’attività con i terzi. Un estratto del contratto deve essere depositato presso il competente registro delle imprese. Occorre precisare che i preposti di tale ufficio agiscono in qualità di semplici mandatari e non come membri dell’organo amministrativo della società. Il G.E.I.E. Il gruppo europeo di interesse economico è uno strumento di cooperazione tra soggetti che operano in stati diversi dell’U.E.: la sua disciplina è dettata dal regolamento n. 2137/1985 e dal d.lgs. 240/1991. Lo scopo del G.E.I.E. è quello di migliorare ed incrementare i risultati dei suoi membri o di agevolare la propria attività economica. La sua funzione è di regola ausiliaria all’esercizio delle singole imprese ed infatti gli è preclusa la realizzazione di profitti per se stesso. I membri del G.E.I.E. possono essere le società o altri enti giuridici di diritto pubblico o privato (costituiti in conformità alla legislazione di uno Stati membro) e le persone fisiche esercenti attività commerciale, industriale, artigianale, agricola o liberi professionisti. Il G.E.I.E. viene costituito in base ad un contratto cui devono partecipare almeno due soggetti che devono avere l’amministrazione centrale in Stati membri diversi (ove si tratti di società) o esercitare la loro attività in Stati diversi (se siano persone fisiche). Il G.E.I.E. costituisce un autonomo centro di imputazione di rapporti giuridici ed è dotato di capacità processuale; non dispone però di autonomia patrimoniale quindi i suoi membri assumono la responsabilità solidale ed illimitata per le obbligazioni di qualsiasi natura assunte dalle persone che ne detengono la rappresentanza. Il contratto deve avere forma scritta (come le sue eventuali modifiche) a pena nullità e deve contenere i seguenti elementi: denominazione di gruppo di interesse economico europeo (anche abbreviata), la sede, l’oggetto, il nome dei partecipanti e la durata (in diffetto di tale elemento si considera a tempo indeterminato). Il G.E.I.E. deve essere iscritto nel registro delle imprese con efficacia costitutiva; è inoltre prevista la pubblicazione nel registro delle imprese con efficacia meramente dichiarativa. L’organizzazione interna del G.E.I.E. è rimessa all’autonomia privata ma il Regolamento sembra presupporre l’esistenza di due organi: - L’assemblea: composta dai suoi membri e che delibera secondo il metodo collegiale - Gli amministratori: cui spettano funzioni di gestione e rappresentanza del G.E.I.E. stesso. Il Regolamento impone che ciascun membro disponga di un solo voto ed impone l’unanimità per alcune decisioni, come la modifica dell’oggetto .

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Il regolamento consente di nominare come amministratore anche una persona giuridica, che eserciterà le proprie funzioni attraverso un rappresentante da essa designato. Il G.E.I.E. deve tenere i libri e le altre scritture contabili, indipendentemente dall’attività svolta; i suoi amministratori devono redigere lo stato patrimoniale ed il conto economico, sottoporli ai membri al fine dell’approvazione e provvedono al loro deposito entro 4 mesi dalla chiusura dell’esercizio. E’ previsto che il G.E.I.E. che svolge attività commerciale sia assoggettato al fallimento. E’ inoltre previsto che in tema di nullità si applichino le stesse disposizioni dettate per le società di capitali (art. 2332 c.c.); tali norme prevedono che la dichiarazione di nullità debba essere pronunciata da un autorità giudiziaria e operi come causa di liquidazione del G.E.I.E.. La dichiarazione di nullità non pregiudica gli obblighi sorti a carico o a favore del G.E.I.E. anteriormente alla data dalla quale essa diventa opponibile a terzi.

Il contratto di rete Con il contratto di rete, due o più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente o collettivamente, la propria competitività sul mercato ed a tal fine si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme ed ambiti predeterminati e/o a scambiarsi informazioni o prestazioni ovvero esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa. Il contratto può prevedere l’istituzione di un fondo patrimoniale e la nomina di un organo comune incaricato di gestire, per nome e per conto dei partecipanti, l’esecuzione del contratto o fasi di esso. Per le obbligazioni contratte dall’organo comune in relazione al programma di rete, i terzi possono far valere i propri diritti solo sul fondo comune. Il contratto di rete non acquista automaticamente soggettività giuridica; se è prevista la costituzione di un fondo comune, la rete acquista soggettività giuridica a seguito dell’iscrizione nella sezione ordinaria del registro delle imprese. Il contratto deve essere stipulato per atto pubblico o per scrittura privata autenticata oppure per atto firmato digitalmente.

Sezione I - Società in generale Art. 2247 –contiene la nozione generale del contratto di società con il contratto di società due o più persone conferiscono beni e servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili. Tale definizione segna la linea de marcatrice tra imprenditore individuale e quello collettivo. L’imprenditore individuale agisce e rischia da solo mentre i soci concorrono al rischio. La pluralità di partecipazioni e degli apporti dei soci è strumentale all’esercizio comune di attività. Inoltre tale definizione segna uno spartiacque tra la società ed altri istituti ad essa contigui, ovvero la comunione e le associazioni, anche se nella realtà la linea di confine non è sempre nettamente tracciabile.

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La comunione costituisce la situazione giuridica di semplice contitolarità di beni, caratterizzata dal loro godimento. L’associazione, quale organismo costituito per la realizzazione di un risultato utile di carattere non economico da conseguirsi direttamente in capo ai partecipanti. La società invece è una forma di unione produttiva di natura economica, giuridicamente e matrimonialmente separata dai soci, che impiega i mezzi apportati da questi ultimi per ottenere un lucro da ripartire tra gli stessi. Accade nella realtà che vi siano delle situazioni in cui sia difficile stabilire se ci si trovi in presenza di società o di altri istituti. Per esempio, l’azienda gestita da persona fisica che, alla morte del titolare viene ereditata da una pluralità di eredi che decidono di continuarne l’attività. Questa situazione è “a cavallo” tra comunione e società (di fatto) degli eredi. Può accadere anche che in un associazione non riconosciuta, i cui membri non si accontentino di avvalersi di essa per realizzare lo scopo non lucrativo, decidano di aprirsi ai terzi realizzando un utile (per esempio attraverso la vendita di biglietti per uno spettacolo); anche in questo caso sorgono notevoli problemi di qualificazione della fattispecie. L’art. 2247 indica che la società è un contratto “tra due o più persone”, contratto volto al conseguimento di utili da ripartire tra i soci. Tale contratto è aperto, nel senso che, anche se sono solo due i soci iniziali, è possibile la partecipazione di un numero indeterminato di soggetti. Per questo possiamo parlare di contratto plurilaterale con comunione di scopo. L’art. 2247 c.c. fa riferimento alla pluralità dei soci nel contratto di società ma tale requisito, a partire dal 1993, non è più tassativo, in quanto sono state introdotte la s.r.l. unipersonale e la s.p.a. unipersonale. La società di capitali unipersonale si distingue dall’imprenditore individuale solo perché nella prima il socio unico non risponde delle obbligazioni della società. L’art. 2247 c.c. indica che il contratto di società è finalizzato al riparto degli utili tra i soci. Pertanto, ne consegue uno scopo lucrativo. L’evoluzione dei modelli ed il loro impiego per fini di carattere generale o sociale diversi da quelli lucrativi hanno aperto nuove prospettive che si scontrano con il postulato di partenza. E’ pur vero che la nozione di imprenditore contenuta nell’art. 2082 non menziona lo scopo di lucro quale elemento necessario per la qualificazione dell’imprenditore. Il problema si pone in particolar modo per le imprese collettive,data la formulazione dell’art. 2247 c.c. Indubbiamente l’impresa, individuale o collettiva che sia, è per sua natura volta alla creazione di ricchezza a beneficio, diretto o indiretto di chi la esercita; in ogni caso l’impresa deve essere esercitata secondo criteri di economicità che consentano quantomeno la copertura dei costi con i ricavi, indipendentemente da quale sia la destinazione del lucro realizzato. Tra le imprese societarie rientra anche la cooperativa che opera senza fini di speculazione privata e pertanto non persegue direttamente lo scopo di lucro o meglio lo “riversa” sui suoi soci; la cooperativa persegue uno scopo mutualistico ovvero offre dei vantaggi di varia natura ai propri soci. Occorre inoltre tener conto della distinzione tra società commerciali e non e tra società di persone e di capitali. - La società semplice è l’unico modello di società non commerciale - La società in nome collettivo ed in accomandita semplice, la società per azioni, la società a responsabilità limitata ed in accomandita per azioni sono società commerciali, in quanto tali obbligate all’iscrizione nel registro delle imprese. La commercialità si ricava dalla disciplina generale dell’imprenditore ; manca una definizione legislativa che si ritrova invece nell’art. 2135 c.c. per quanto riguarda l’imprenditore agricolo. L’art. 2195 si limita ad elencare le attività per cui è richiesta l’iscrizione al registro delle imprese e che quindi implicano l’assunzione della veste di imprenditore commerciale. Ne consegue che le attività che tipicamente si riconducono alla matrice industriale, mercantile o di servizi sono attività commerciali, seppure la definizione non abbia carattere esaustivo, motivo per il quale debba essere considerata commerciale ogni attività che non sia qualificabile come impresa agricola.

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Tale parametro non ha però validità assoluta in quanto può accadere che società collettive svolgano attività agricola: ciò accade quando l’impresa assume dimensioni finanziarie ed organizzative tali da doversi avvalere di strumenti operativi particolarmente competitivi sul mercato. A ciò non vi sono ostacoli di carattere normativo ma la conseguenza è che ci si troverà dinnanzi ad una società commerciale, non per l’oggetto ma nella sostanza. Sono società di persone: società semplice (s.s.) - società collettiva (s.n.c.) - società in accomandita semplice (s.a.s.) Sono società di capitali: società a responsabilità limitata (s.r.l.) - società in accomandita per azioni (s.a.p.a.) - società per azioni (s.p.a.) - Le società cooperative Nelle società di persone rileva la stretta inerenza tra il socio, la società e la gestione sociale; nelle società di capitali la funzione essenziale svolta dalla raccolta dei mezzi finanziari e della formazione e salvaguardia del capitale. In particolare nelle s.p.a. si ha una netta spersonalizzazione della partecipazione e la riduzione del socio “non imprenditore” a mero capitalista monetario; pertanto la loro naturale vocazione è quella di mettersi al servizio di attività imprenditoriali di maggiore dimensione. La distinzione tra società di persone e società di capitali, equivale a quella tra società senza e società con personalità giuridica. A tutte le società è invece riconosciuta la qualità di soggetti di diritto ovvero la titolarità attiva e passiva di rapporti giuridici patrimoniali. Solo alle società di capitali, dotate di personalità giuridica, è riconosciuta la separazione tra il patrimonio dell’ente ed il patrimonio dei soci (autonomia patrimoniale perfetta) – con l’unica eccezione dell’accomandita per azioni, legata all’investitura dell’accomandatario nelle mansioni gestorie. Le società per azioni, come da art. 2331 c.c., acquistano la personalità giuridica con l’iscrizione nel registro delle imprese e pertanto vengono ad esistenza come società. Invece, nelle società di persone, si ha autonomia patrimoniale imperfetta ovvero si ha responsabilità illimitata e solidale del socio in via sussidiaria (quindi dopo aver attaccato il patrimonio sociale) per le obbligazioni sociali. Dall’art. 2297 si evince che per le società di persone l’iscrizione nel registro delle imprese è semplice condizione di regolarità. Le società devono costituirsi secondo uno dei tipi previsti dalla legge, come affermato dall’art. 2249 cc. Se l’attività che i soci vogliono esercitare non è commerciale, essi possono adottare la forma di società semplice, in caso contrario uno degli altri tipi regolati dall’art. 2291 c.c. e s.s.; vige quindi la regola della tipicità, volta ad evitare combinazioni tra un regime societario ed un altro. Eventuali clausole atipiche incluse nell’atto costitutivo o nello statuto (es. una società per azioni in cui i soci hanno responsabilità illimitata) non sono legittime in quanto si incorre in problemi di qualificazione della fattispecie. Pertanto si fa riferimento alla disciplina del contratto nullo di cui all’art. 1424 c.c.: Il contratto nullo può produrre gli effetti di un contratto diverso, del quale contenga i requisiti di sostanza e di forma , qualora, avuto riguardo allo scopo perseguito dalle parti, debba ritenersi che esse lo avrebbero voluto se avessero conosciuto la nullità. Al fine di aggirare la limitata discrezionalità nel disegnare modalità di funzionamento diverse da quelle”ufficiali” si sono affermati i patti parasociali che non intaccano le clausole statutarie ma dettano regole parallele, integrative e derogatorie dei rapporti e degli obblighi derivanti dal contratto di società e dal “tipo” prescelto. Ne sono un esempio, nelle società per azioni, i sindacati di voto ovvero patti conclusi tra i soci aventi ad oggetto comportamenti da tenersi in assemblea su snodi cruciali della vita societaria, come la nomina degli amministratori o l’approvazione del bilancio di esercizio. La loro caratteristica è quella di vincolare uniti in un sindacato a votare nel modo prestabilito. I patti parasociali, avendo carattere contrattuale, hanno efficacia solo obbligatoria e non reale: ciò significa che produce effetti solo nei confronti dei sottoscrittori e non verso i terzi ed un eventuale rottura del patto può valere solo come colpa contrattuale tra i soggetti sottoscrittori (e quindi il voto difforme al patto, espresso in assemblea resta valido).

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Spesso per rendere ancor più efficaci tali patti, vengono inserite delle clausole penali a carico degli inadempienti o si delega un unico fiduciario abilitato ad esercitare il voto per tutti i contraenti. I patti parasociali sono stati oggetto di lungo dibattito sulla base del preconcetto di partenza che il voto in assembla dovesse necessariamente scaturire dal libero convincimento del socio. Inoltre il dibattito si è concentrato sulla possibile concentrazione di potere nelle mani del gruppo coalizzato, che può crearsi a seguito della stipulazione del patto parasociale. E’ stata riconosciuta la validità dei patti parasociali seppure nel rispetto di condizioni di validità, pubblicità e durata previsti dagli art. 122-123 t.u.f. e 2341 bis e ter c.c. Di recente il legislatore ha introdotto nuovi modelli societari e modifiche a quelli presistenti : - Le start up innovative - Le società a responsabilità limitata costituibili con capitale di un euro - La riduzione del capitale minimo richiesto per la costituzione di un spa (da € 120.0000 a € 50.000) - Riesumazione del voto plurimo nelle società quotate

SEZIONE II SOCIETA’ DI PERSONE 1. La costituzione della società di persone Come indicato dall’art. 2247 c.c., la nascita della società avviene per contratto, detto atto costitutivo, con il quale due o più persone conferiscono beni e sevizi per l’esercizio in comune di un attività economica, allo scopo di dividerne gli utili. La società di regola nasce per contratto ma può nascere anche per effetto di un negozio unilaterale ovvero di un provvedimento amministrativo. Inoltre, la società può nascere a seguito di comportamenti concludenti che integrino tutti gli elementi essenziali enunciati dall’art. 2247; in particolare dovrà emergere l’esistenza di apporti dei soci a titolo di conferimenti. Si parla in questo caso di società di fatto. La costituzione di una società di fatto è una casistica limitata alle società di persone e non può essere estesa alle società per azioni, per le quali è previsto un procedimento di formazione basato sull’esistenza di un contratto in forma di atto pubblico a pena nullità della società. Anche nelle società personali la libertà di forma subisce alcune eccezioni, come per esempio nel caso di trasferimento della proprietà dei beni conferiti dal socio: se un socio conferisce un immobile, l’atto dovrà avere forma scritta a pena nullità ed in assenza di essa si riterrà nulla la singola partecipazione del socio o, se si tratta di partecipazione essenziale, dell’intero accordo. Inoltre per la società in nome collettivo ed in accomandita semplice, l’iscrizione al registro delle imprese presuppone la forma autentica o pubblica dell’atto. 2. I contenuti Quanto ai contenuti dell’atto, occorre distinguere tra società semplice da una parte e società in nome collettivo ed accomandita semplice dall’altra. Per la società semplice il codice civile non detta alcun elemento essenziale da inserire nell’atto costitutivo; si ritiene che gli elementi essenziali siano - l’indicazione delle generalità dei soci - il nome della società (la ragione sociale, che in caso di società semplice deve comprendere il nome di uno dei soci illimitatamente responsabili) - la sede (utile per individuare la competenza del tribunale e dell’ufficio del registro delle imprese) - oggetto sociale, che in questo caso ha natura non commerciale per la società in nome collettivo e l’accomandita semplice, il codice, rispettivamente agli art. 22952316, indica l’elenco delle menzioni che devono essere contenute nell’atto costitutivo: generalità anagrafiche e tributarie dei soci

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Ragione sociale che deve contenere indicazione della forma societaria prescelta, il nome completo di un socio nella snc e il nome di un socio accomandatario nelle s.a.s. - La sede e l’eventuale sede secondaria - L’oggetto sociale (che può riguardare indifferentemente attività agricola o commerciale - I soci che hanno la rappresentanza e l’amministrazione della società - I conferimenti apportati dai soci, il valore ad essi attributi ed i criteri di valutazione - L’eventuale presenza di soci d’opera - Le regole di riparto di utili e delle perdite - La durata della società E’ individuabile un contenuto minimo negoziale dell’atto costitutivo (menzioni riguardanti i soci, indicazione dell’accomandante e dell’accomandatario nella sas, la ragione sociale, la sede e l’oggetto); l’ eventuale assenza degli altri elementi, che non porta invalidità o insanabile incompletezza del’atto costitutivo, potrà essere surrogata dalle disposizioni di legge in materia. 3. I regimi di pubblicità. La società irregolare Il regime pubblicitario della società semplice risulta differenziato da quello delle snc e della sas. La società in nome collettivo e la società in accomandita semplice possono legittimamente esercitare attività commerciale e sono quindi obbligate all’iscrizione nella sezione ordinaria del registro delle imprese con effetto dichiarativo. Invece, la società semplice è assoggettata all’iscrizione nella sezione speciale del registro delle imprese con effetto dichiarativo. Invece, per quando riguarda il profilo dell’irregolarità: - Alla snc e l’accomandita semplice irregolari si applicano, nei rapporti con i terzi, le norme della società semplice, ma con tre eccezioni: a) In ogni caso tutti i soci della snc e gli accomandatari della sas rispondono verso i terzi illimitatamente e solidalmente per le obbligazioni della società; non sarà possibile in alcun modo limitare la loro responsabilità mediante l’inserimento di clausole statutarie con effetto erga ommes. b) Si presume che i soci che agiscono per la società siano muniti di pieni poteri di rappresentanza le cui eventuali limitazioni non sono opponibili ai terzi a meno che non si dimostri che coloro ne erano a conoscenza c) Nella s.a.s. irregolare resta salva la responsabilità limitata dei soci accomandanti che non abbiano partecipato alle operazioni sociali.

4. Formazione de capitale in sede di costituzione della società Nella società semplice non è richiesta la formazione di un capitale sociale, inteso come sommatoria iniziale dei conferimenti dei soci; di conseguenza non è nemmeno richiesta l’indicazione di tali valori. Infatti, nella società semplice manca la formazione di un patrimonio direttamente imputabile alla società. Per la s.n.c. e la s.a.s. esiste invece una regolamentazione del capitale sociale, del quale deve essere indicato, nell’atto costitutivo, l’ammontare ed i criteri di valutazione dei singoli conferimenti. In queste società vige il divieto di distribuzione di utili fittizi: se dal rendiconto non risulta un eccedenza del netto patrimoniale rispetto al capitale ed a maggior ragione se risultano perdite, è vietata l’attribuzione di utili ai soci (art. 2303 c.c.). L’art. 2306 vieta la restituzione anticipata dei conferimenti effettuati dai soci o la loro liberazione dall’obbligo di effettuarli , se non a seguito di apposita operazione di riduzione capitale. Tale operazione, deve essere adeguatamente pubblicizzata ed eseguibile solo 3 mesi dopo l’iscrizione; in questo lasso di tempo i creditori potranno opporsi a condizione che abbiano conseguito il loro credito in data anteriore e che dimostrino il pregiudizio che potrebbero conseguire da tale operazione. Sull’opposizione decide il tribunale che potrà riconoscere le ragioni del creditore e quindi vietare l’operazione oppure decidere di autorizzare l’operazione ma imporre alla società di prestare al creditore le idonee garanzie (fidejussione, pegni, depositi cauzionali ecc..). 5. Successiva modifica dell’atto costitutivo

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L’atto costitutivo può essere modificato solo con il consenso di tutti i soci (art. 2252 c.c.); pertanto ad ogni socio dissenziente è riservato un potenziale diritto di veto in merito alla variazione dell’assetto finanziario ed organizzato della società. E’ consentita la deroga a tale disposizione, per espressa e concorde volontà dei soci, da recepire in apposita clausola dell’atto costitutivo: ad esempio può prevedere che eventuali modifiche dell’atto costitutivo siano possibili con decisione maggioritaria dei soci, da conteggiarsi in base alla percentuale di partecipazione agli utili dei soci (c.d. maggioranza per quote d’interesse) e non del capitale sottoscritto. Inoltre le decisioni relative a trasformazione, fusione e scissione delle società di persone, devono essere assunte a maggioranza, per quote di interesse, sempre che dall’atto costitutivo non emerga regola diversa. Anche la cessione della quota di partecipazione del socio comporta una modifica dell’atto costitutivo e quindi richiede una modifica dell’atto costitutivo ed è quindi soggetta al consenso unanime dei soci. Fa eccezione solo la quota del socio accomandante della sas, avente responsabilità limitata alla quota conferita: la relativa delibera deve essere approvata dal consenso di tanti soci che rappresentino la maggioranza del capitale sociale. Tutte le modifiche dell’atto costitutivo sono soggette al medesimo regime pubblicitario del corrispondente atto costitutivo: dovranno essere depositate a cura degli amministratori (e del notaio rogante) nel registro delle imprese (o nella sezione speciale in caso di società semplice).

7. La nullità della società di persone Il codice civile non disciplina l’invalidità delle società di persone, pertanto si applicano le regole dei contratti, relative alla categorie generali della nullità, dell’annullabilità e dell’inefficacia. Per quanto riguarda l’invalidità, se fossero applicate le regole generali le quali dispongono che la sentenza di nullità o annullabilità ha effetto retroattivo ovvero pregiudicano qualsiasi effetto del contrario di società, si cagionerebbe danno ai terzi che hanno intrapreso rapporti negoziali con la società, come se mai fossero stati conclusi. Pertanto, si ritiene che il contratto di società non abbia gli effetti tipici di un qualsiasi contratto ma origina un’autonoma struttura organizzativa, munita di soggettività giuridica ed autonomia patrimoniale,destinata ad operare con i terzi, la cui estinzione richiede necessariamente la preventiva definizione dei vincoli negoziali con i terzi. Pertanto l’accertamento dell’invalidità varrà quale causa di scioglimento della società con conseguente nomina dei liquidatori, chiamati a definire ogni pendenza attiva e passiva. I rapporti negoziali con i terzi dovranno essere conclusi nell’ambito della procedura di liquidazione ; anche i soci, qualora non abbiano ancora effettuato i conferimenti, mantengono il relativo obbligo.

Capitolo II La struttura finanziaria della società 1. conferimenti, capitale e patrimonio L’art. 2247 c.c. dispone che con il contratto di società, due o più persone, conferiscono beni o servizi allo scopo di dividerne gli utili. I conferimenti sono quindi le prestazioni delle parti del contratto di società; tali conferimenti sono destinati allo svolgimento in comune di un’attività produttiva. La stipulazione del contratto di società imprime infatti, sui conferimenti, un vincolo di destinazione, che impedisce ai soci, per tutta la durata della società, di chiedere la restituzione di quanto conferito o di servirsi, senza il consenso degli altri soci, delle cose appartenenti al patrimonio sociale per fini estranei a quelli della società.

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Il complesso dei rapporti giuridici in capo alla società in un dato momento forma il c.d. patrimonio sociale, il cui valore è in continuo mutamento in quanto consegue ai risultati economici ottenuti dall’esercizio dell’attività sociale; il valore del patrimonio sociale viene determinato al termine di ogni esercizio con la redazione del bilancio. Il patrimonio sociale costituisce una garanzia per i creditori: l’art. 2740 dispone che per tutte le obbligazioni assunte dalla società, risponde l’intero patrimonio sociale. Tale garanzia è poi diversamente modulata nei vari tipi di società: nelle società in cui tutti i soci hanno responsabilità limita tata, il patrimonio sociale costituisce garanzia esclusiva per i creditori, mentre in alcuni tipi di società la garanzia costituita dal patrimonio si aggiunge alla responsabilità illimitata, sul proprio patrimonio personale, di tutti o di alcuni soci. Si distingue dalla nozione di patrimonio sociale, la nozione di capitale sociale nominale, dato storico costituito dal valore attribuito dai soci ai loro conferimenti, al momento della costituzione della società. Il capitale è quindi un valore statico, destinato a rimanere immutato sino a che i soci non decidano sulla sua modifica, deliberandone un aumento (per esempio apportando nuovi conferimenti) oppure una riduzione (per esempio nel caso di copertura di perdite). L’importo del capitale sociale costituisce la misura dell’attivo patrimoniale che i soci si sono impegnati a destinare stabilmente nell’attività di impresa e non redistribuire per tutta la durata della società (per questo si parla di funzione vincolistica o produttiva del capitale). Ciò significa che quando la differenza tra attività e passività della società (ovvero il patrimonio netto) è superiore al capitale sociale, quest’ultimo ne rappresenta la parte indisponibile ovvero la parte che anche in assenza di debiti i soci non possono distribuirsi. Quindi per i creditori questo costituisce una garanzia patrimoniale supplementare in quanto possono fare affidamento, al fine di soddisfare i propri crediti, su un attivo patrimoniale eccedente le passività per un importo almeno pari al capitale sociale così come indicato nel contratto di società. Quando invece il patrimonio netto è uguale o inferiore al capitale sociale, significa che i risultati dell’attività sono nulli o negativi e quindi l’attivo residuo non può essere ridistribuito tra i soci. Il capitale sociale costituisce anche una base di calcolo per determinare la misura dei diritti patrimoniali ed amministrativi spettanti ai soci, infatti diritto di voto e diritto agli utili sono determinati in misura proporzionale alla quota di capitale sottoscritta. Il principio di proporzionalità non è comunque assoluto infatti è derogabile in tutti i tipi sociali e convive, nella società di persone, con il voto per teste e non per quote. 2. La disciplina dei conferimenti. Il principio secondo il quale si diventa soci a seguito dell’assunzione dell’obbligo di effettuare i conferimenti (enunciato in via generale dall’art. 2247 c.c.), è ribadito, per le società semplici, dall’art. 2253 che stabilisce che il socio è obbligato ad eseguire i conferimenti determinati nel contratto sociale. Nessun vincolo è posto sull’ammontare del conferimento né sul cosa debba essere conferito; pertanto, i soci non sono obbligati ad indicare nel contratto sociale l’importo del conferimento dovuto al singolo ed inoltre può costituire oggetto del conferimento qualunque entità suscettibile di valutazione economica, purché dotata di una qualsiasi utilità per la società. Al silenzio del contratto supplisce la legge, fissando una serie di norme dispositive: • Si presume che i conferimenti siano eseguiti in denaro e che i soci si impegnino a conferire in parti uguali tra loro; • I conferimenti di beni in natura possono essere fatti in proprietà o in godimento. Nel primo caso, le garanzie dovute al socio conferente ed il rischio per il perimento fortuito del bene sono regolate dalle norme sulla vendita: il socio sopporterà tale rischio solo sino al passaggio in proprietà alla società. Nel secondo caso, la società acquisisce la disponibilità del bene con le garanzie previste dalle norme sulla locazione ovvero il rischio per il perimento del bene resta a carico del socio conferente; al verificarsi di tale evento il socio potrà essere escluso dagli altri soci. • Quando il conferimento ha per oggetto un credito, il socio è tenuto a rispondere verso la società in caso di insolvenza del debitore ceduto. • E’ possibile anche il conferimento in società dell’attività lavorativa del socio (si parla di socio d’opera); considerato che talvolta tale tipo di conferimento è volto ad eludere le norme sul lavoro subordinato e le norme previdenziali, la legge attribuisce alla prestazione “carattere imprenditoriale”

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ed addossa al socio d’opera il rischio di non vedere remunerata la propria attività in mancanza di utili, sia la possibilità di essere escluso dalla società in caso di sopravvenuta inidoneità a svolgere l’opera conferita.

3. il capitale sociale e le sue variazioni La disciplina del capitale sociale è differenziata nei vari tipi di società, non solo tra società di persone e di capitali ma anche all’interno delle due categorie. Società semplice: la disciplina del capitale sociale è del tutto assente; il legislatore si preoccupa solo di assicurare che tutti i soci siano dotatati dei mezzi finanziari necessari per lo svolgimento dell’attività economica ma non richiede alcuna valutazione dei conferimenti. Inoltre il legislatore non detta alcuna norma volta a garantire che il patrimonio netto permanga per tutta la vita della società. Questo perché nella società semplice, il capitale sociale rappresenta una garanzia molto attenuata, potendo i creditori chiedere il pagamento dei propri crediti indifferentemente alla società o ai soci illimitatamente responsabili, senza necessità di escutere preventivamente il patrimonio sociale. Società di persone commerciali: il legislatore prevede che i soci indichino nell’atto costitutivo i conferimenti di ciascun socio ed il valore loro attribuito ed i criteri di valutazione utilizzati. Si ha il divieto per gli amministratori di restituire ai soci i conferimenti effettuati o liberarli dall’obbligo eventualmente assunto ad effettuare ulteriori versamenti, se non a seguito di formale delibera di riduzione di capitale. La delibera di riduzione del capitale, a garanzia dei creditori che potrebbero essere pregiudicati dall’operazione, può essere eseguita solo tre mesi dopo dall’iscrizione nel registro nelle imprese e solo a condizione che nessun creditore abbia fatto opposizione; il tribunale può comunque autorizzare la riduzione a condizione che la società presti al creditore opponente idonee garanzie. Ad evitare che i soci utilizzino l’operazione di riduzione del capitale al fine di riappropriarsi dei conferimenti effettuati, l’art. 2303 vieta: - La ripartizione di utili ai soci ch non siano stati realmente conseguiti - La ripartizione di utili qualora sia stata conseguita una perdita, sino a che il capitale non sia stato reintegrato o ridotto in misura corrispondente (che richiede la modifica dell’atto costitutivo, operazione soggetta a pubblicazione presso il registro delle imprese). La riduzione del capitale sociale per perdite, a differenza di quanto accade nelle società di capitali, non è mai obbligatoria ma sempre facoltativa. Non si ha alcuna disposizione in merito all’operazione di aumento del capitale, ovvero la decisione di effettuare nuovi conferimenti da parte dei soci. Tale operazione richiede il consenso unanime dei soci, sia in conseguenza all’incremento della quota di ciascun socio, sia in conseguenza all’ingresso di un nuovo socio.

3. la partecipazione del socio agli utili ed alle perdite. I soci hanno diritto a partecipare agli utili conseguiti e sono chiamati a sopportare le perdite derivanti dall’attività sociale. La determinazione della quota di utili o perdite spettante a ciascun socio è rimessa al contratto sociale e non incontra vincoli particolari, potendo i soci liberamente alterare la proporzionalità tra conferimenti e partecipazione agli utili o alle perdite. L’unico divieto posto in tal senso all’autonomia dei soci, è il c.d. patto leonino: in base all’art. 2265 c.c. è fatto divieto ed è nullo il patto con il quale uno o più soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite. Sono comprese in tale divieto anche le pattuizioni contenute in accordi parasociali e tutte le altre pattuizioni che pur essendo formulate in modo da rispettare formalmente la norma, realizzino nella sostanza lo stesso risultato vietato e siano pertanto elusive della stessa (es. fissando ad un livello molto alto il livello dopo il quale sorge il diritto agli utili, così da rendere impossibile la partecipazione). La nullità colpisce solo il patto e non la partecipazione o il contratto sociale (a meno che la pattuizione non dovesse ab origine considerarsi essenziale), con la conseguenza che in mancanza di espresse condizioni

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contrattuali, la ripartizione degli utili dovrà avvenire secondo i criteri legali enunciati dall’art.2263 c.c., ovvero: - Se il valore dei conferimenti non è indicato dal contratto, tali parti si presumono uguali - Se il contratto stabilisce solo la parte di ciascun socio negli utili, si considera che il socio partecipi nella stessa misura alle perdite (o viceversa) - La quota spettante al socio d’opera, se non determinata dal contratto sociale, è stabilita dal giudice secondo equità. Tali disposizioni trovano applicazione solo qualora il contratto sociale non determini la partecipazione dei singoli soci agli utili o alle perdite. Nelle società semplici, il diritto del socio a percepire la propria parte di utili, sorge a seguito dell’approvazione del rendiconto redatto dai soci amministratori al termine dell’esercizio. Nelle società di persone commerciali, il diritto del socio a percepire la propria parte di utili sorge a seguito dell’approvazione del bilancio d’esercizio, redatto secondo i criteri stabiliti per il bilancio delle società per azioni (art. 2217 c.c.). L’eventuale creazione di riserve facoltative destinate ad accantonare gli utili, è possibile solo con il consenso unanime dei soci. La partecipazione alle perdite non incide in modo diretto sul valore della singola partecipazione almeno fino a alla liquidazione della società o alla liquidazione della quota del singolo socio. Infatti al termine del rapporto sociale il socio corre il rischio di vedersi rimborsare una quota inferiore rispetto al valore conferito; anche in caso di scioglimento i liquidatori, in mancanza di patrimonio sociale disponibile, possono chiedere ai soci di versare quanto necessario per pagare i creditori sociali. Sino a che le perdite sono state ripiantate o il capitale sociale ridotto in misura corrispondente, vige il divieto di distribuire utili ai soci.

Capitolo III Responsabilità dei soci 1. responsabilità dei soci per le obbligazioni sociali. L’art. 2267 c.c. dispone che i creditori possano far valere i loro diritti sul patrimonio sociale. Da tale articolo si evince che, seppure il legislatore non abbia espressamente riconosciuto la personalità giuridica delle società di persone , ha comunque previsto che esse siano dotate di autonomia patrimoniale ovvero costituiscano centro di imputazione di situazioni giuridiche soggettive autonome e distinte rispetto a quelle dei soci. Quindi le società di persone, come quelle di capitali, sono responsabili per le obbligazioni contratte in loro nome e rispondono per l’adempimento di tali obbligazioni con tutto il loro patrimonio. Ciò che differenzia le società di persone da quelle di capitali è che nelle prime rispondono personalmente ed in solido tra loro anche i singoli soci. La responsabilità illimitata dei soci si estende a tutte le obbligazioni sociali, qualunque sia la fonte (quindi sia per quelle da fonte contrattuale che per quelle derivanti da fatto illecito). Il nuovo socio risponde con gli altri soci anche per le obbligazioni contratte anteriormente all’acquisto della qualità di socio. Invece, lo scioglimento del rapporto sociale limitatamente al singolo socio (per cessione della quota, morte, esclusione) non far venire meno la sua responsabilità per le obbligazioni sociali contratte anteriormente alla data di scioglimento del rapporto; inoltre, se la cessazione della carica di socio non è adeguatamente pubblicizzata (quindi nelle società soggette a registrazione mediante iscrizione nel registro delle imprese, non potrà essere opposta ai terzi e quindi il socio continuerà a rispondere anche per le obbligazioni contratte dalla società successivamente allo scioglimento. Pertanto, nelle società di persone, alla responsabilità della società per le obbligazioni sociale si aggiunge quella personale e solidale dei soci.

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I limiti della responsabilità del socio si differenziano a seconda del diverso tipo di società di persone: • Società semplice rispondono personalmente e solidalmente per le obbligazioni sociali i soci che abbiano agito in nome e per conto della società e , salvo patto contrario, gli altri soci. Pertanto la norma attribuisce sempre la responsabilità illimitata ai soci amministratori ma ammette la pattuizione della limitazione di responsabilità o l’esclusione della solidarietà per le obbligazioni sociali di alcuni soci. Tale limitazione non ha effetto solo nei rapporti interni ma anche nei rapporti con i terzi, a condizione che sia portata a conoscenza “con mezzi idonei” come l’invio di una lettera. • Società in nome collettivo la derogabilità della responsabilità illimitata è esclusa in questo tipo societario, dove tutti i soci rispondono solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali. L’eventuale patto contrario non ha effetto nei confronti di terzi ed avrà una mera rilevanza interna; il socio al favore del quale sia stata pattuita una limitazione di responsabilità sarà costretto a pagare i creditori per l’intero importo richiesto ma potrà esercitare il diritto di regresso nei confronti degli altri soci illimitatamente responsabili. • Società in accomandita semplice la società semplice è caratterizzata dalla presenza di due categorie di soci: I soci accomandatari sono illimitatamente e solidalmente responsabili per le obbligazioni sociali, senza possibilità di stipulare alcun patto limitativo della responsabilità con efficacia esterna I soci accomandanti: che rispondono limitatamente alla quota conferita

2.la posizione del creditore sociale La responsabilità della società e la responsabilità dei soci per le obbligazioni sociali operano su due piani distinti: fermo restando il principio secondo cui i soci rispondono illimitatamente e solidalmente con il proprio patrimonio personale presente e futuro (principio della responsabilità illimitata)e per cui ogni socio è tenuto al pagamento dell’intero debito salvo il regresso nei confronti degli altri soci (principio della responsabilità solidale), occorre sottolineare che i soci sono responsabili in via sussidiaria rispetto alla società. Questa è una conseguenza dell’autonomia patrimoniale della società; il creditore sociale è tenuto a tentare di soddisfare il proprio credito sul patrimonio sociale, prima di poter aggredire il patrimonio personale dei soci (c.d. beneficio della preventiva escussione). Il beneficio di preventiva escussione opera però in modo differente nei diversi tipi societari: • Nella società semplice, il creditore può richiedere direttamente il pagamento ad ogni singolo socio senza dover preventivamente rivolgersi alla società; sarà poi il socio che ha effettuato il pagamento a domandare, anche se la società è in liquidazione, la preventiva escussione del patrimonio sociale, indicando i beni sui quali il creditore possa agevolmente soddisfarsi. Per agevolmente si intende che il socio non può indicare un qualunque bene facente parte del patrimonio societario ma avrà cura di indirizzare le pretese del creditore su beni di facile e pronta liquidità, come il denaro, strumenti finanziari o altri beni mobili facilmente vendibili. • Tale procedura trova applicazione anche nel caso di s.n.c. e s.a.s. irregolari ovvero non iscritte al registro delle imprese, alle quali si applica la stessa disciplina delle società semplice. • Nelle società regolari, il beneficio di preventiva escussione opera automaticamente e quindi i creditori sociali non potranno pretendere il pagamento dai singoli soci senza prima tentare di soddisfare il proprio credito sul patrimonio sociale. Pertanto, per aggredire il patrimonio del singolo socio, non è necessario che il creditore sociale abbia chiesto il pagamento del proprio credito alla società e neppure che avvia ottenuto nei confronti di quest’ultima un decreto di condanna, ma è necessario che abbia esperito senza successo un azione esecutiva sul patrimonio sociale. Al fine di evitare i costi ed i lunghi tempi legati ad una procedura esecutiva, alcuni creditori “forti” come le banche richiedono ai soci di prestare una fidejussione a favore della società: tale garanzia accessoria offre al creditore la possibilità di aggredire direttamente il patrimonio del socio senza dover passare attraverso la preventiva escussione del patrimonio sociale (posto che, salvo patto contrario, fideiussore ed obbligato principale sono obbligati in solido). 3. la posizione del creditore particolare del socio

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Il patrimonio sociale è destinato allo svolgimento dell’attività economica ed al soddisfacimento delle pretese dei creditori sociali ed è pertanto insensibile alle pretese dei creditori particolari del singolo socio (ovvero coloro che vantano nei confronti del socio un credito per ragioni estranee a fatti societari). Di conseguenza, i creditori particolari del socio non possono aggredire il patrimonio della società per vedere soddisfatto il loro credito, né possono compensare il credito che vantano verso il socio con un debito che abbiano verso la società. Tuttavia il legislatore ha posto delle tutele a favore del creditore particolare: In tutte le società di persone, il creditore personale del socio può far valere i propri diritti sugli utili eventualmente spettanti al socio o compiere atti conservativi (chiedendo per esempio un sequestro conservativo sulla quota di liquidazione spettante al socio). Nelle società semplici e nelle s.n.c. e s.a.s. irregolari, il creditore particolare del socio che dimostri che i beni del socio debitore siano insufficienti a soddisfare il proprio credito, può chiedere la liquidazione della quota del socio. La richiesta deve essere soddisfatta dalla società entro tre mesi e determina l’esclusione di diritto del socio dalla società. La quota del socio deve essere liquidata al netto dei debiti sociali. Nelle s.n.c. e s.a.s. regolari, il creditore particolare del socio, sino a che dura la società, non può richiedere la liquidazione della quota del socio debitore, anche se prova che gli altri beni del socio sono insufficienti al soddisfacimento del proprio credito. Tale regola vale sono sino alla data di scadenza della società fissata nell’atto costitutivo ; ad evitare successive proroghe che possano danneggiare la legittima pretesa del creditore: - In caso di proroga espressa: il creditore del socio può fare opposizione entro tre mesi dall’iscrizione della proroga nel registro delle imprese ed ottenere, in caso di scioglimento, la condanna della società a liquidargli la quota del suo debitore - In caso di proroga tacita, ovvero di prosecuzione di fatto dell’attività della società, il creditore può richiedere la liquidazione della quota del socio secondo le regole dettate per la società semplice. Per quanto riguarda la posizione del creditore particolare del socio accomandante della s.a.s., responsabile per le obbligazioni sociali limitatamente alla quota conferita, la quota è aggredibile anche durante la vita della società.

Capitolo IV La governance nelle società di persone e le decisioni dei soci 1. introduzione Con il termine governance si indica l’insieme di regole che definiscono e disciplinano le dinamiche relazionali interne alla società fra i soci e tra costoro e gli amministratori, sia in termini di adeguata protezione degli interessi degli investitori, sia in termini di conduzione corretta, trasparente ed efficace dell’impresa societaria, la distribuzione di poteri di responsabilità, sull’efficiente ed efficace allocazione della funzione di vigilanza e monitoraggio. Il tema della corporate governance si è sviluppato nel ns. paese a partire dagli anni novanta ed ha interessato quasi esclusivamente le società di capitali c.d. aperte (ovvero quotate o con titoli diffusi presso il pubblico), dove si pongono delicati problemi di equilibrio interno ma anche di protezione di interessi pubblici (mercato ed investitori). In realtà anche nelle società di persone si presentano problematiche inerenti la separazione tra la proprietà delle risorse investite ed il potere di gestirle. Il problema è evidente se si confronta la società con l’imprenditore persona fisica.

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Nell’impresa individuale, il vertice dell’impresa è l’imprenditore che rischia tutto il proprio patrimonio nell’impresa ed assume il potere decisorio, organizzativo e gestorio dell’attività, seppure talvolta avvalendosi della collaborazione dei suoi collaboratori che comunque da lui dipendono gerarchicamente. Al contrario, la scelta di esercitare l’impresa in forma societaria determina una tendenziale moltiplicazione dei centri di potere conseguente alla divisione tra coloro che effettuano l’investimento ed assumono il rischio (ovvero i soci o il socio unico) e coloro che sono chiamati a gestire l’impresa (amministratori). Tale separazione è netta nella società di maggiori dimensioni, come le spa quotate dove gli amministratori esecutivi sono spesso manager professionisti esterni alla compagine sociale. Nelle società a partecipazione ristretta, come nelle srl, la separazione è più labile in quanto gli amministratori devono essere scelti tra i soci, salvo diversa indicazione dello statuto. Nelle società di persone, la sovrapposizione tra la carica di socio e l’incarico di amministratore è considerata regola,sia pure derogabile. In ogni caso la figura del socio e quella dell’amministratore mantengono autonomia e funzioni distinte, infatti la legge consente che vi siano soci non amministratori. Occorre quindi interrogarsi su quale sia, nella società di persone, il ruolo rivestito dai soci e dagli amministratori : tradizionalmente spetta ai soci la determinazione delle regole organizzative della società mentre la funzione degli amministratori sarebbe quella di condurre l’attività di impresa. Occorre osservare che è pressoché impossibile porre una linea di demarcazione tra gestione di impresa e organizzazione della società. Gestire l’impresa significa assumere tutte le decisioni, organizzative e gestorie, finalizzate al perseguimento degli obiettivi imprenditoriali; la gestione può anche implicare l’assunzione di decisioni straordinarie che talvolta incidono profondamente sulla struttura organizzativa della società (es. in caso di fusione o modifica della forma societaria) tanto da rendere indispensabile il coinvolgimento dei soci. Invece, l’area delle decisioni organizzative, non comprende solo la determinazione delle regole di convivenza dei soci ma implica la nomina degli amministratori, la scelta della misura e dell’ammontare dei conferimenti, la scelta della sede, l’approvazione del rendiconto ecc.. 2. le decisioni dei soci nelle società di persone. Le competenze. Il codice civile non disciplina le decisioni dei soci delle società di persone, a differenza di quanto è previsto per le società di capitali; pertanto occorre ricavare tali regole dalle varie disposizioni del codice civile. L’art. 2247 indica che i soci sono le parti contraenti del contratto di società e pertanto hanno il potere di definire tutti gli elementi della struttura societaria che creano (es. ragione sociale,sede legale e sedi secondarie, i conferimenti, l’oggetto sociale, il capitale sociale, le regole di ripartizione degli utili e delle perdite, l’eventuale limitazione di responsabilità di uno o più soci, l’ammissione di nuovi soci o l’esclusione di quelli già presenti). I soci hanno inoltre il potere di determinare le sorti della società che hanno creato, provocandone lo scioglimento ovvero la prosecuzione oltre il termine inizialmente pattuito, anche in forma tacita. Possono inoltre determinare la trasformazione della società in una forma differente o se la situazione precipita, deliberare l’avvio di una procedura concorsuale concordataria. E’ inoltre competenza dei soci deliberare in merito alla nomina o la revoca degli amministratori, fissando i relativi obblighi e responsabilità, determinare chi abbia la rappresentanza della società ed entro quali limiti. Ed ancora, ai soci spetta la decisione sull’esonero di un determinato socio dal divieto di concorrenza, l’autorizzazione ad utilizzare beni sociali per fini personali, la concessione al socio accomandante di dare autorizzazione o pareri su determinate operazioni e la designazione della persona destinata a conservare le scritture contabili e gli altri documenti dopo la cancellazione della società. I soci possono anche riservarsi l’assunzione di ulteriori decisioni inerenti la gestione ordinaria e straordinaria. 3. gli aspetti procedurali. Nelle organizzazioni collettive l’assunzione delle decisioni è normalmente frutto di un procedimento collegiale, scandito in momenti più o meno formali, quali la convocazione della riunione, la sua discussione in cui i partecipanti sono chiamati a discutere sulle questioni all’ordine del giorno, la votazione e la verbalizzazione dell’esito. Ciò avviene nelle associazioni non riconosciute, nelle fondazioni, nel condominio ed in particolare nelle società per azioni.

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Nulla invece è previsto in merito alle società di persone ma non si tratta di una dimenticanza del legislatore ma piuttosto di un’opzione motivata dalla consapevolezza che la società di persone è una forma di organizzazione flessibile e snella, pensata per l’esercizio di imprese di minori dimensioni, spesso condotta a livello familiare o comunque tra un ristretto numero di soggetti legati tra loro da vincoli di fiducia reciproca. Pertanto, nelle società di persone, non è obbligatoria l’assunzione del metodo collegiale: le decisioni non devono obbligatoriamente essere assunte durante una riunione formale ma ciascun socio può manifestare la propria volontà in modi ed in tempi diversi. La decisione potrà considerarsi assunta quando verrà raggiunto il quorum richiesto per la sua valida assunzione. I soci dovranno quindi esprimere la propria volontà, salvo casi eccezionali ai quali la legge riconosce valore ai fatti concludenti (es. in caso di prosecuzione di fatto della durata della società) , mediante l’adozione di forme che ne garantiscano la prova (es. fax, mail, pec ecc..). Innanzitutto occorre precisare che nessuna norma vieta l’adozione di un vero e proprio metodo collegiale nella società di persone e vi è quindi la possibilità per i soci di formalizzare, nel contratto sociale, un meccanismo maggiormente procedimentalizzato per l’assunzione delle decisioni. E’ indubbio che nel ns. ordinamento esista una serie di principi inderogabili che presidia l’assunzione delle decisioni dei soci, quantomeno come espressione delle regole di buona fede e corretta esecuzione del contratto. Uno tra questi principi si ricava dalla disciplina della s.r.l., che impone, qualora non sia adottato il metodo collegiale, di informare tutti coloro che hanno diritto di voto ; inoltre è prevista l’invalidità nella sua forma più grave per qualsiasi decisione assunta in assenza assoluta di informazione. Ciò chiarisce il fatto che sia illecito, nelle soc. di persone, assumere le decisioni a maggioranza senza informare di essa tutti i soci bensì solo coloro il cui voto consenta di raggiungere il quorum necessario. Anche riguardo i quorum richiesti per l’assunzione delle decisioni manca una regola generale e quindi un criterio applicabile a tutte le situazioni. In tempi recenti si è affermata l’impostazione secondo cui occorre distinguere tra decisioni organizzative e decisioni gestorie: per le prime sarebbe richiesta l’unanimità dei consensi, per le seconde è invece sufficiente la maggioranza calcolata per quote di partecipazione agli utili. Le decisioni che quindi richiedono l’unanimità dei consensi per la loro assunzione, riguardano le modifiche del contenuto del contratto sociale, inclusa la revoca degli amministratori, scioglimento della società, ammissione di nuovi soci, nomina, revoca e fissazione dei poteri dei liquidatori, decisione sull’esonero di un socio dal divieto di concorrenza, autorizzazione ad utilizzare i beni sociali per fini personali. A maggioranza andrebbero assunte le decisioni riguardanti la richiesta di ammissione a procedure concordatarie, approvazione del rendiconto periodico, del bilancio finale di liquidazione, la designazione di una persona tenuta a conservare le scritture contabili e gli altri documenti dopo la cancellazione della società ed in generale tutti gli altri atti che abbiano contenuto o valenza gestoria. La trasformazione della società di persone in società di capitali può essere assunta a semplice maggioranza calcolata per quote di utili, mentre l’esclusione del socio richiede la maggioranza per teste e non per quote. Sempre a maggioranza può essere assunta ogni decisioni riguardante la modifica del contratto sociale, essendo la regola umanistica derogabile Tuttavia occorre precisare che vi sono diritti intangibili del singolo socio che sono legati al suo status e non possono essere modificati senza il consenso dell’interessato: per esempio l’imposizione di nuovi conferimenti o la modifica della partecipazione agli utili o alle perdite.

4. il regime di invalidità delle decisioni dei soci Anche in riferimento al tema dell’invalidità delle decisioni dei soci, il quadro normativo è del tutto lacunoso. Per questo gli interpreti si sono posti la domanda se all’invalidità delle decisioni delle società di persone si possano applicare le regole tipiche dei contratti ovvero per analogia quelle applicabili ad altre forme organizzative. La riforma delle società di capitali del 2003 ha chiaramente privilegiato la seconda ipotesi, come testimoniano le scelte di comprimere al massimo la tutela reale (cioè di invalidazione degli atti) degradandola a risarcitoria (dei danni eventualmente subiti) fissando stretti termini di decadenza, introducendo casi di sanatoria dei vizi e rafforzando l’ipotesi di sostituibilità delle decisioni.

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Pertanto, vengono applicate in via analogica, ai vizi delle decisioni delle società di persone, le regole delle società di capitali ed in particolare delle società a responsabilità limitata .

Capitolo V L’amministrazione ed il controllo L’amministrazione o gestione di impresa consiste in un’attività, ovvero una serie coordinata di atti, diretta al conseguimento degli obiettivi imprenditoriali definiti nella clausola dell’oggetto sociale, nell’interesse comune dei soci. Gli amministratori non sono semplici mandatari dei soci, sebbene l’art. 2260 c.c. mantenga ancora questo tipo contrattuale (i diritto e gli obblighi degli amministratori sono regolati dalle norme sul mandato), bensì sono i veri detentori del potere. Nei modelli personalistici talvolta la figura dell’amministratore si sovrappone a quella del socio, rendendo meno netta la preminenza del primo rispetto al secondo. L’identificazione non è comunque né assoluta né totale sia perché innanzitutto residuano aree di esclusiva competenza dei soci, sia perché è possibile che la gestione sia affidata solo ad alcuni soci oppure anche a terzi estranei. La disciplina dell’amministrazione delle società di persone è caratterizzata da un ristretto gruppo di norme derogabili che operano in assenza di diverse disposizioni contenute nel contratto sociale. 2. profili soggettivi del rapporto amministrativo. Ogni socio è, in quanto tale, amministratore della società, come dispone l’art. 2257. La norma richiede però tre precisazioni: - La prima riguarda le società in accomandita semplice, nelle quali il potere di amministrazione può riguardare solo i soci accomandatari tenuto conto del divieto legale di imministione che grava sui soci accomandanti. - La seconda riguarda l’incapace (Minore, interdetto, inabilitato,) il quale può divenire socio o continuare ad esserlo nei modi e nei termini già esaminati ma non può assumere la qualifica di amministratore o qualora, già lo sia, continuare ad esserlo stante il difetto di capacità di agire che impedisce l'assunzione o la conservazione dell'incarico di mandatario, alla cui disciplina si richiamano le regole sull'amministrazione della società di persone. - L'ultima precisazione riguarda il tema della persona giuridica: si deve senz'altro ammettere che la persona giuridica possa divenire amministratrice, ovviamente esercitando tale funzione per mezzo delle persone fisiche proprie legali rappresentanti. L'amministrazione può essere affidata soltanto ad alcuni soci o ad uno soltanto. Lo scioglimento del legame fra la qualità di socio ed il ruolo di amministratore, ha rilevanti effetti sul piano dei rapporti interni: • infatti ai soci privi del potere di amministrazione spetta il diritto di controllo sulla gestione • nella società semplice, quando i soci siano anche privi di poteri di rappresentanza, possono eccezionalmente e con il consenso di tutti gli altri soci limitare la propria responsabilità patrimoniale. Il patto di limitazione della responsabilità può essere stipulato anche nelle s.n.c. e fra gli accomandatari della s.a.s. ma esso ha solo effetti interni, quindi la responsabilità dei soci resta sempre illimitata e solidale nei confronti dei creditori. Solo nella società semplice il patto di limitazione della responsabilità è opponibile ai terzi purchè sia pubblicizzato con mezzi idonei (per esempio attraverso l’iscrizione nel registro delle imprese). Resta da chiarire se sia possibile privare tutti i soci del potere di amministrazione, affidandolo ad un terzo esterno alla compagine sociale.

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La risposta è sicuramente negativa per le società in accomandita in quanto l'art. 2318 stabilisce che l'amministrazione della società può essere conferita soltanto ai soci accomandatari. Sembra che la stessa soluzione debba essere adottata nella società semplice, non solo perché in essa le norme si riferiscono ai soci amministratori, quanto piuttosto perché diversamente sarebbe consentito a tutti i soci di limitare pattiziamente la propria responsabilità in aperta contraddizione con le caratteristiche di questa forma organizzativa. Controverso invece il caso della società in nome collettivo in quanto nessuna norma vieta l'affidamento del potere amministrativo ad un terzo né ciò determina alcun mutamento delle regole sulla responsabilità dei soci che non può mai essere opponibile ai terzi. 3. vicende del rapporto amministrativo. L'atto costitutivo deve indicare il nome del socio o dei soci ai quali è affidata l'amministrazione. In mancanza di questa informazione nell'atto costitutivo, opera la disposizione suppletiva che affida l'amministrazione a tutti i soci (nella s.a.s. a tutti i soci accomandatari). Oltre che nell'atto costitutivo la nomina dell'amministratore può anche essere contenuta in un atto separato, pertanto i soci potranno decidere sulla nomina degli amministratori in un momento successivo; in questo modo eventuali successive modifiche delle persone degli amministratori non comporteranno una modifica del contratto sociale originario (in merito a tale decisione è necessario il consenso unanime dei soci). L'atto di nomina o il contratto sociale possono prevedere un termine di scadenza della carica; in mancanza l'amministratore conserva la propria assunzione a tempo indeterminato cioè per tutta la durata del rapporto sociale, restando soggetto solo alle normali cause di cessazione del rapporto vale a dire la morte, la rinuncia, la sopravvenuta incapacità (per interdizione, inabilitazione, condanna, fallimento, ecc..) nonché la revoca. La revoca è di competenza dei soci e l'art. 2259 introduce un regime decisorio differenziato a seconda della fonte della nomina dell'amministratore. Se l'amministratore da revocare è stato designato nel contratto sociale occorrerà una duplice condizione ovvero che la revoca sia approvata da tutti i soci (escluso il revocato) e che ricorra una giusta causa, consistente in una situazione che renda impossibile la prosecuzione del rapporto (per esempio la violazione dei doveri inerenti l'amministrazione). Qualora invece la nomina sia venuta con un atto separato l'amministratore è revocabile secondo le norme del mandato ovvero non è richiesta la giusta causa ma è sempre necessario il consenso di tutti i soci, applicando anche qui la regola dell'unanimità. Talvolta le dinamiche relazionali fra i soci rendono impossibile l'assunzione della decisione di revoca, per esempio quando un solo socio si opponga. Al fine di superare questa situazione di stallo, la legge consente a ciascun socio di rivolgersi al tribunale per domandare un provvedimento di revoca giudiziaria, a condizione che però ricorra una giusta causa (che il giudice dovrà verificare). La revoca della carica di amministratore non ha alcun riflesso sulla posizione di socio in quanto conserverà la propria partecipazione sociale. Non vale però il contrario: l'esclusione di un socio implicherà automaticamente la decadenza dalla sua funzione di amministratore. Quanto alla remunerazione dell'amministratore, non si ha nessuna norma che dispone che spetti un compenso per la sua attività. Considerato che operano le disposizioni sul mandato per espresso richiamo normativo (art. 2260), pare corretto applicare, nel silenzio dello statuto sociale, una presunzione di onerosità del mandato, rimettendo alle tariffe o agli usi oppure al giudice la fissazione del compenso. Sarà la società a dover privare di avere formalmente assunto la determinazione di non remunerare l’amministratore oppure che il socio presti la propria attività di amministratore a titolo di conferimenti d’opera oppure che egli benefici statutariamente di una percentuale maggiorata di utili a titolo di remunerazione. Pare altresì corretto ritenere che non spetta alcun diritto al compenso quando amministratori siano tutti i soci. 4. natura giuridica e disciplina del rapporto amministrativo.

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Alcune disposizioni del codice richiamano, nel regolare i diritti e gli obblighi degli amministratori, la disciplina del mandato. Non si deve però cadere nel facile equivoco di qualificare come mandato il rapporto che intercorre tra società è amministratore, in quanto si tratta di un rapporto giuridico di natura contrattuale più complesso, autonomo dal rapporto sociale, la cui causa consiste nell'affidamento dell'incarico di gestire l'impresa; solo dove la relativa disciplina sia lacunosa, si applicano le norme sul mandato di cui agli art.. 1703 s.c. Dall’art. 2266 cc si evince l'attribuzione agli amministratori del potere di compiere tutti gli atti che rientrano nell'oggetto sociale senza distinzione tra quelli di ordinaria o di straordinaria amministrazione. L'unico limite che incontrano è rappresentato dall' oggetto sociale vale a dire il tipo di attività che i soci hanno deciso di intraprendere in comune. Gli amministratori sono inoltre soggetti ad alcuni stringenti obblighi e divieti, in parte specifici ed in parti regolati dalle norme del mandato. Innanzitutto gli amministratori hanno il dovere di agire con diligenza: ciò si ricava dall'art. 1710 cc e coincide con il canone della diligenza professionale del buon amministratore. Agli amministratori è fatto divieto di assumere decisioni in conflitto di interessi vale a dire privilegiando un interesse proprio o altrui, a discapito dell'interesse sociale. Si hanno inoltre ulteriori e più specifici obblighi e divieti a carico degli amministratori come la tenuta dei libri e delle altre scritture contabili, la conservazione del capitale sociale e del patrimonio sociale, la redazione del rendiconto periodico, gli adempimenti pubblicitari, il compito di riconsegnare ai liquidatori i beni sociali e di redigere l'inventario. Ogni violazione dei doveri su essi gravanti ne determina la responsabilità per i danni cagionati alla società; ciò non significa che gli amministratori divengono responsabili per i debiti sociali ( di cui sono già responsabili nella loro eventuale qualità di soci). Saranno pertanto tenuti a risarcire al patrimonio sociale gli eventuali danni che la loro condotta ha determinato, secondo i consueti canoni della responsabilità contrattuale. La responsabilità è solidale e quindi tutti gli amministratori sono responsabili per i danni cagionati ma non si estende agli amministratori che dimostrino di essere esenti da colpa. L'amministratore è quindi responsabile per tutti gli atti gestori e le decisioni che assuma da solo (se opera disgiuntamente) o che contribuisca ad assumere (se il meccanismo collegiale). Su ciascun amministratore grava anche un dovere di vigilanza sull’operato degli altri amministratori che si concreta in obblighi di informazione e di verifica, sia in doveri di reazione (mediante l’opposizione avverso operazioni pregiudizievoli oppure interventi diretti ad impedire il verificarsi o l’aggravarsi dei danni provocati). Pertanto, incorrerà in responsabilità l’amministratore che non abbia osservato questi doveri ovvero di vigilare e reagire ad atti pregiudizievoli, omettendo o tardando qualsiasi iniziativa. L'art. 2249 fissa il termine di prescrizione in 5 anni per l'azione di responsabilità verso gli amministratori, che decorre dal momento della cessazione dell'incarico. Si discute in merito alla legittimazione attiva ovvero se questa spetti solo alla società o anche i singoli soci ed in tal caso, solo a chi fra essi sia amministratore oppure se a tutti. Applicando per analogia le regole delle società di capitali, si potrebbe ritenere che la legittimazione spetti al singolo socio. Gli amministratori sono inoltre responsabili verso i soci o verso i terzi per i danni che abbiano loro arrecato in via immediata e diretta.

5. forme organizzative del rapporto amministrativo Nel disciplinare le modalità di organizzazione dell'amministrazione, il codice detta una regola suppletiva (il modello disgiuntivo) che vale in assenza di diversa previsione e prevede un'alternativa il (modello congiuntivo) ma sempre lasciando i soci liberi di introdurre qualsiasi variante essi ritengano opportuna o necessaria. Nel modello disgiuntivo qualsiasi amministratore può assumere una decisione senza la necessità del consenso degli altri; tale modello realizza l'obiettivo della celerità delle decisioni ma porta con sé il rischio che manchi un coordinamento tra coloro che gestiscono l'impresa e che quindi l'amministrazione sia condotta in modo disorganico. È pur vero che, generalmente, gli amministratori operano a stretto contatto tra loro, informandosi reciprocamente e concordando le iniziative.

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La legge riconosce agli altri amministratori un potere di veto; tale potere si esercita mediante il compimento di un atto di opposizione che, se esercitato, non consente all’amministratore di compiere l’operazione. Spetta a tutti i soci decidere sull'opposizione; solo se l’opposizione viene respinta l'amministratore che intendeva compiere l'operazione potrà eseguirla. E’lasciata ai soci la facoltà di derogare del tutto in parte questo modello sia optando per sistemi di amministrazione più articolati o per il modello congiuntivo. Il modello congiuntivo richiede il consenso di tutti gli amministratori per il compimento delle operazioni sociali. E’però riconosciuta ciascun amministratore la possibilità di poter agire individualmente quando il ritardo possa provocare un danno alla società. Una variante al modello congiuntivo è quella che richiede il consenso non di tutti gli amministratori ma bensì di una maggioranza degli amministratori, anche in questo caso calcolata secondo le quote di utili. E’ possibile anche che i diversi modelli convivano, per esempio si può prevedere che, per gli atti di ordinaria amministrazione gli amministratori possano operare in forma disgiunta mentre per gli atti di straordinaria amministrazione sia necessario il consenso di tutti i soci o della maggioranza. La riforma societaria del 2003 ha introdotto un nuovo strumento di regolazione dei conflitti tra amministratori ovvero l’arbitraggio gestionale: si ha un soggetto terzo (arbitratore) che in caso di contrasto tra vari amministratori, si limita a vagliare le diverse posizioni ed indicare quella che ritiene preferibile o, se è previsto dallo statuto, formula un indicazione vincolante sull’operazione/scelta da effettuare. 6. la rappresentanza, contenuto e limiti. Il potere di amministrazione non ha rilevanza esterna nel senso che l’amministratore non può contrarre obbligazioni che producano il loro effetti in capo alla società L’art. 2266 dispone che la società acquista diritti e assume obbligazioni per mezzo dei soci che ne hanno la rappresentanza e sta in giudizio nella persona dei medesimi. Pertanto, qualsiasi atto o dichiarazione, per essere riferibile alla società, deve essere posto in atto da chi ne ha la rappresentanza, anche se è rivolto alla propria organizzazione (anche l’esercizio del potere direttivo nei confronti dei dipendenti costituisce una manifestazione del potere di rappresentanza). L’art. 2266 dispone che la rappresentanza spetta a ciascun socio amministratore e si estende a tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale e dunque la società potrà sempre opporre ai terzi gli atti compiuti in suo nome che esorbitano dall’oggetto sociale. La norma è derogabile in tre direzioni 1. il contratto sociale può prevedere che il potere di rappresentanza spetti solo ad alcuni tra gli amministratori i quali soli avranno il potere di firma 2. possono essere stabilite diverse modalità di esercizio, tra cui la firma congiunta per le operazioni di maggiore rilevanza. 3. E’ consentito ai soci la fissazione di limiti all’estensione del potere di rappresentanza dei singoli amministratori, per esempio limitandolo alle competenze che sono state attribuite al singolo amministratore. Nelle snc e nella sas vige il meccanismo della pubblicità commerciale con efficacia dichiarativa per le limitazioni del potere di rappresentanza. Solo se queste siano state iscritte divengono opponibili ai terzi, salvo che la società non dimostri che il terzo ne erano già a conoscenza. Invece, se la società non è iscritta nel registro delle imprese, si presume che ogni socio che agisce abbia la rappresentanza sociale, sia pure entro i limiti segnati dall’oggetto sociale; anche in questo caso la società potrà vincere tale presunzione provando che il terzo conosceva gli eventuali patti limitativi della rappresentanza preesistenti. Nella società semplice, le limitazioni originarie sarebbero sempre opponibili mentre le modifiche o la revoca dei poteri di rappresentanza lo sarebbero soltanto se portate a conoscenza dei terzi con mezzi idonei. Tale regola è stata prevista nel codice civile del 1942, come conseguenza del fatto che la società semplice non era soggetta ad alcuna forma di pubblicità commerciale; ora invece anche la società semplice è soggetta all'iscrizione in una sezione speciale del registro delle imprese e pertanto ci si chiede se debba essere pubblicato ogni eventuale limitazione della rappresentanza.

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La risposta è positiva per le società semplici con oggetto agricolo o ittico poiché per esse la pubblicità ha anche efficacia dichiarativa. Invece, per le altre società semplici (come per esempio le società di mero godimento) pare ancora applicabile il vecchio regime. La società può affidare più o meno estesi poteri di rappresentanza all’institore, al procuratore o al commesso ed a tutti i dipendenti ai quali spettino poteri direttivi nella scala gerarchica dell’impresa.

7. I controlli sulla gestione ed i diritti spettanti ai soci non amministratori Come si è già visto, è possibile che il contratto sociale riservi l'amministrazione soltanto ad alcuni soci: in questo caso e salvo che non venga stipulato un patto di limitazione della responsabilità, coloro che ne sono esclusi si trovano in una situazione molto delicata poiché conservano la responsabilità illimitata e solidale per le obbligazioni sociali, senza però poter esercitare alcun potere gestorio. Per questa ragione l'art. 2260 riconosce ai soci che non partecipano all'amministrazione alcuni poteri di controllo che consistono: nel diritto di avere dagli amministratori notizia dello svolgimento degli affari sociali - di consultare (anche attraverso un proprio consulente di fiducia) i documenti relativi all'amministrazione - di ottenere un rendiconto quando gli affari per cui fu costituita la società sono stati compiuti, oppure al termine di ogni anno o del diverso periodo di tempo stabilito dal contratto sociale. Il rendiconto a cui fa riferimento la norma non è il bilancio di esercizio ma è semplicemente una scrittura nel quale gli amministratori devono elencare, anche in modo sintetico ma completo, le operazioni compiute nel periodo di attività ed i loro risultati. In questo modo i soci non amministratori possono avere la certezza dell'andamento degli affari e delle operazioni compiute e così reagire avvero eventuali atti di mala gestione, chiedendone la revoca (anche per via giudiziaria) oppure proporre l’esclusione dalla società, qualora le violazioni siano così gravi da menomare i presupposti di permanenza del vincolo sociale. E’ invece da escludere che i singoli soci che non partecipano alla gestione possono formulare agli amministratori direttive o istruzioni vincolanti

8. amministrazione e controllo nelle società in accomandita semplice La società in accomandita semplice si differenzia dalle altre società di persone per la presenza di due classi di soci ovvero soci accomandatari e soci accomandanti. Ai soci accomandatari spetta il potere di amministrazione e di rappresentanza e sono illimitatamente e solidalmente responsabili per le obbligazioni sociali. Lo statuto può eventualmente riservare solo ad alcuni il potere gestorio; in tal caso agli altri spetteranno i poteri di controllo. I soci accomandanti godono per legge del beneficio della responsabilità limitata ed I creditori non hanno azione diretta nei loro confronti. L'art. 2320 c.c. pone il severo divieto di ingerirsi nell'amministrazione nonché di inserire il proprio nome nella ragione sociale (c.d. divieto di immistione) in modo da non trarre in inganno i terzi circa la loro posizioni di meri investitori. In caso di violazione la sanzione consiste nel fatto che, da quel momento in avanti, l'accomandante assume verso i terzi responsabilità illimitata e solidale per tutte le obbligazioni sociali (anche quelle contratte in precedenza) e se la società fallisce anche egli può essere dichiarato fallito. Inoltre, ove ricorrano gli estremi, il socio accomandante può essere escluso dalla società ed essere condannato al risarcimento del danno cagionato dalla società. Infatti, la società è tenuta ad adempiere le obbligazioni che l’accomandante abbia assunto in violazione del divieto di immistione, salvo che questo abbia travalicato i limiti dei poteri di rappresentanza che gli erano stati conferiti: in questo caso l’accomandante sarà responsabile sulla base della disciplina del falso procurator e quindi diverrà personalmente responsabile. Il divieto del socio accomandante di compiere atti di amministratore, è assoluto se la società non è iscritta al registro delle imprese in quanto i terzi non possono venire a conoscenza della sua limitazione di responsabilità.

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Quando invece la società è iscritta invece questo divieto è soggetto a delle deroghe: - può essere attribuita al socio la facoltà di partecipare all’amministrazione rilasciando pareri o rilasciando autorizzazioni per determinate operazioni - può essere titolare del potere di rappresentanza limitatamente al compimento di singoli affari ed in forza di una procura speciale - può essere autorizzato a prestare la propria opera a favore della società ma sotto la direzione degli amministratori Non è possibile l’attribuzione al socio accomandante di una procura generale, seppure per singoli affari, o una procura speciale riferita ad una serie di atti (es. acquisti sotto una certa soglia) o l’attribuzione del potere di formulare direttive vincolanti. Non sempre è semplice tracciare i confini tra ciò che è ingerenza lecita e ciò che travalica il divieto di imministione in quanto accade spesso che, inconsapevolmente, gli accomandatari diano il proprio consenso all’accomandante ad esercitare atti gestori per poi scoprire che si è incorsi nella violazione; la buona fede non esime da responsabilità ma in questo caso gli altri soci non potranno escludere l’accomandante. Al socio accomandante spetta il potere di controllo: egli può compiere atti di ispezione e sorveglianza , ha il diritto di consultare i libri contabili e di ricevere copia del bilancio e del conto economico. Inoltre l’accomandante ha diritto di partecipare all’approvazione del bilancio. E’ invece preclusa all’accomandante la decisione sull’opposizione ad un atto gestorio in regime disgiuntivo. Inoltre, non è negata al socio accomandante la possibilità di assumere iniziative nei confronti degli amministratori colpevoli di atti di cattiva gestione , provocando eventualmente la revoca giudiziaria. Gli accomandatari partecipano normalmente alla nomina ed alla revoca degli amministratori.

Capitolo VI Contabilità e bilancio delle società personali 1. tenuta delle scritture contabili da parte delle società personali di tipo commerciale Gli amministratori delle società personali di tipo commerciale (snc e sas anche quando esercitino attività agricola) devono tenere i libri e le scritture contabili di cui all’art. 2214 c.c. ovvero il libro giornale ed il libro degli inventari, oltre alle scritture contabili richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa. Devono inoltre conservare ordinatamente, per ciascuna affare,gli originali delle lettere e delle fatture ricevute, quanto le copie di quelle spedite. Questi documenti servono a rappresentare l'attività d'impresa e sui risultati mediante indicazione quantitativa espressa in valori monetari. Il libro giornale offre la rappresentazione dinamica della gestione della società nel corso del tempo; occorre ad annotare tutte le operazioni attive e passive inerenti all'esercizio d'impresa. Non è indispensabile una compilazione rigorosamente quotidiana ma la registrazione deve essere effettuata con sollecitudine ed in ordine cronologico, in modo da illustrare fedelmente la successione nel tempo degli accadimenti inerenti gli affari della società. La rappresentazione deve essere analitica, con separata indicazione di ciascun operazione e senza la possibilità di operare raggruppamenti o compensazioni di partite fatta eccezione l'aggregazione di voci omogenee per tipologia, lasso temporale o controparte negoziale (come le operazioni inerenti un'unica tipologia di prodotti effettuate nella medesima giornata con lo stesso cliente). Il libro degli inventari fornisce la descrizione della consistenza patrimoniale della società riferita ad una certa data; il documento offre quindi una rappresentazione statica della situazione patrimoniale. L'inventario va redatto, oltre che all'inizio dell'attività, in coincidenza di ciascun anno; ciò consente di disporre di una serie di documenti omogenei che è possibile confrontare per desumere l'evoluzione patrimoniale della società nel tempo.

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Nel libro inventari sono registrate, sempre in via analitica, tutte le attività e le passività della società le quali devono essere descritte, non solo sotto il profilo qualitativo, ma anche valutate in termini quantitativi, in conformità ai criteri di valutazione previsti per il bilancio delle società per azioni, in quanto applicabili. L'inventario si chiude con il bilancio e con il conto dei profitti e delle perdite: il primo espone lo stato patrimoniale della società informatica sintetica, essendo le singole poste raggruppate in voci o sottovoci; il secondo indica i costi ed i ricavi del periodo, dando conto degli utili conseguiti o delle perdite patite.

2. il rendiconto, il bilancio delle società personali. Il rendiconto è il documento che gli amministratori devono consegnare ai soci (in particolare a quelli esclusi dalla gestione) quando gli affari per i quali la società è stata costituita siano stati compiuti o laddove, come di regola accade, l'attività sociale duri almeno un anno, alla scadenza di ogni esercizio (salvo che il contratto sociale non preveda un termine diverso) art. 2261 c.c. Quando il rendiconto sia elaborato a seguito della conclusione di affari gestiti dagli amministratori, svolge la funzione di relazione illustrativa delle singole operazioni compiute, essendo costituito dal prospetto analitico delle entrate e delle uscite, idoneo a fornire ai soci estranei alla gestione la rappresentazione degli andamenti degli affari nel tempo,nonché il risultato degli stessi nel periodo di volta in volta considerato. Il rendiconto consente quindi all'intera compagine sociale di essere edotta sull'andamento della gestione, anche allo scopo di poter valutare l'operato degli amministratori. Quando il rendiconto è elaborato al termine dell'esercizio amministrativo, la sua funzione è quella di rappresentare il risultato operativo del periodo. L'art. 2262 cc indica che ciascun socio ha diritto di percepire gli utili risultanti dal rendiconto. La funzione del rendiconto non è solo quella di quantificare l’utile (o la perdita) ma è anche quella di dare la possibilità ai soci di verificare se, alla data di chiusura dell’esercizio (o della cessazione dell’attività), per effetto delle operazioni compiute dagli amministratori, il patrimonio sociale abbia subito variazioni in positivo o in negativo rispetto alla precedente rilevazione. Il rendiconto deve suddividersi nella rappresentazione monetaria della situazione patrimoniale della società e del risultato economico del periodo. Pertanto il rendiconto costituisce il vero e proprio bilancio della società di persone, composto dallo stato patrimoniale (che contiene la descrizione della consistenza patrimoniale della società) e dal conto economico (che espone i costi ed i ricavi di competenza dell’esercizio) e dalla nota integrativa, che illustra e motiva il contenuto dei due precedenti documenti, contribuisce alla comprensione dei dati ivi contenuti ed a rendere la rappresentazione chiara, veritiera e corretta. 3. i criteri di redazione del bilancio Il bilancio delle società di persone redatto sulla base dei medesimi criteri previsti per la società azionaria, nei limiti della loro applicabilità ovvero nei limiti in cui essi siano compatibili con il diverso assetto societario. Tale norma riguarda la società in nome collettiva e la società in accomandita (è quindi valido per le società di tipo commerciale). Per quanto riguarda le società semplici, seppure siano escluse da tale disposizione, l’esigenza dei soci di verificare la situazione patrimoniale ed il risultato dell’attività al termine dell’esercizio, induce ad applicare in via analogica le disposizioni di cui sopra. Il bilancio delle società di persone deve comporsi dello stato patrimoniale, del conto economico e della nota integrativa e deve essere redatto con chiarezza e rappresentare in modo veritiero e corretto sia la situazione patrimoniale e finanziaria della società ed il risultato economico dell’esercizio (artt. 2423 s.s.) Inoltre,si devono applicare i principi indicati nell’art. 2423 bis c.c. la valutazione delle voci iscritte in bilancio deve essere fatta con prudenza e nella prospettiva di continuazione della società (purchè ne sussistano i presupposti), tenendo conto della funzione economica dell’elemento attivo o passivo considerato - Si possono esporre soltanto gli utili realizzati alla data di chiusura dell’esercizio - Si deve tener conto dei proventi e degli oneri di competenza dell’esercizio, indipendentemente dalla data di incasso o di pagamento

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Si deve tener conto dei proventi e degli oneri di competenza dell’esercizio, anche se conosciuti dopo la sua chiusura Gli elementi eterogenei ricompresi nelle singole voci devono essere valutati separatamente I criteri utilizzati per la valutazione dei cespiti devono essere costanti ovvero non modificati da un esercizio al successivo, salvo casi eccezionali che devono essere indicati e motivati nella nota integrativa, anche in relazione agli effetti che la modifica del criterio di valutazione avrà sul bilancio

4. la predisposizione e l’approvazione del bilancio La redazione e la deliberazione del bilancio compete ai soci dotati di potere gestorio. Questi possono avvalersi della collaborazione di collaboratori e consulenti esterni ma essi agiscono sempre sotto la responsabilità degli amministratori. Il bilancio costituisce un atto di tutti gli amministratori e pertanto deve essere idoneo a rappresentare in un unico documento l’insieme delle operazioni compiute nell’esercizio, a prescindere dal modello di amministrazione in uso e dall’autore delle stesse operazioni. Nel caso in cui si usi il modello disgiuntivo, il bilancio può essere redatto da parte di uno qualsiasi degli amministratori ed a ciascuno degli altri compete il diritto di sollevare eventuali contestazioni. In caso di opposizione, la decisione sui fatti contestati va rimessa alla maggioranza dei soci (calcolata per quote di utili). Se invece viene usato il modello congiuntivo, il bilancio deve essere deliberato dagli amministratori all’unanimità, salvo che l’atto costitutivo preveda che la decisione venga assunta a maggioranza. Dalla redazione e deliberazione del bilancio (che compete agli amministratori) si distingue la sua approvazione che compete all’intera compagine sociale. Il bilancio deve essere approvato all’unanimità dei soci che non abbiano già contribuito in veste di amministratori ad esprimere il proprio consenso (al quale, nel modello disgiuntivo, va equiparata la non opposizione). La legge tace in merito alle modalità di manifestazione del consenso ma, salvo diverse indicazioni dell’atto costitutivo, si utilizza il meccanismo del silenzio-assenso, di conseguenza il bilancio si dichiara approvato in caso di omessa contestazione dei soci chiamati ad esprimersi (a condizione che essi abbiano ricevuto idonea comunicazione del varo del documento e ne abbiano ricevuto copia).

Capitolo VII Lo scioglimento individuale del rapporto sociale 1. scioglimento del singolo rapporto sociale e principio di continuazione della società Le disposizioni del codice civile dedicate allo scioglimento del rapporto sociale limitatamente al singolo socio (artt. 2284-2290 c.c.) sono improntate sul principio di conservazione dell’attività, ovvero volte ad assicurare la sopravvivenza del complesso produttivo alle vicende personali dei soci. Le cause di scioglimento del rapporto sociale limitatamente al singolo socio sono: - Morte: l’art. 22/7 cc sancisce il diritto dei soci di non proseguire il rapporto societario con gli eredi del socio defunto - Recesso del socio: è permesso al socio di sciogliersi dal vincolo contrattuale qualora siano venute meno le basi di reciproca fiducia - Esclusione : permettono alla società di estromettere forzatamente il singolo socio in conseguenza di inadempimenti agli obblighi assunti con l’adesione alle società. Lo scioglimento del rapporto sociale limitatamente al singolo socio non inficia la prosecuzione dell’attività (sempre che la partecipazione venuta meno non sia essenziale) neppure quando rimanga un solo socio. Tale scioglimento non fa sorgere in capo all’ex socio il diritto di rientrare in possesso dei beni conferiti in godimento sino al verificarsi del termine per il quale erano stati concessi.

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L’ex socio e gli eredi continuano a rispondere verso i terzi per le obbligazioni sociali contratte fino al giorno dello scioglimento . Lo scioglimento deve essere portato a conoscenza di terzi con mezzi idonei, pena la sua inopponibilità a coloro che lo abbiano senza colpa ignorato. L’ex socio ed i suoi eredi possono essere dichiarati falliti entro un anno dallo scioglimento del rapporto sociale (o senza limiti se il fatto non è stato pubblicizzato o portato a conoscenza di terzi con mezzi idonei) se l’insolvenza riguarda debiti esistenti alla data di cessazione della responsabilità illimitata. 2. morte La morte di un socio fa sorgere in capo ai soci superstiti l’obbligo di liquidare la quota del defunto ai suoi eredi nel termine dei sei mesi (art. 2284-2289 cc). La disposizione tutela sia l’interesse alla prosecuzione dell’attività di impresa, si l’interesse dei restanti soci a non subire l’ingresso in società degli eredi del socio defunto. I soci, con decisione adottata all’unanimità, possono optare per: • lo scioglimento anticipato della società: in questo caso , non hanno il diritto a percepire immediatamente la liquidazione della quota ma hanno il diritto di percepire, al termine della liquidazione della società ed al pari degli altri soci, la quota di liquidazione che sarebbe spettata al socio defunto. Gli eredi resteranno comunque esclusi dalle operazioni di liquidazione e dai risultati (attivi o passivi) derivanti dalle obbligazioni sorte successivamente alla morte del socio. • o la continuazione con gli eredi: tale opzione richiedere il consenso degli eredi del socio defunto, che divengono soci in conseguenza ad un atto tra vivi tra essi ed i soci superstiti. La società può continuare anche solo con alcuni degli eredi e, salvo diverso accordo, ciascuno di essi diviene socio in proporzione alla propria quota ereditaria. Le disposizioni sopra citate sono derogabili da espresse previsioni del contratto sociale, quindi è lasciata ai soci la possibilità di determinare anticipatamente le conseguenze della morte di un socio. Per esempio i soci possono stabilire che alla morte del socio consegua sempre la messa in liquidazione della società , oppure stabilire che la quota del socio defunto vada ad accrescere la quota dei soci superstiti (c.d. clausole di consolidazione), oppure vincolano i soci a continuare il rapporto con gli eredi, previa loro accettazione (clausole di continuazione facoltativa). Maggiori perplessità hanno suscitato le clausole che pongono a carico degli eredi l’obbligo di prestare il proprio consenso all’ingresso della società o quelle secondo le quali l’ingresso in società costituisce un effetto automatico dell’accettazione dell’eredità. Parte della dottrina ritiene che tali clausole violino il divieto di patti successori, sia costituiscano una violazione dei principi sull’accettazione dell’eredità con beneficio di inventario, ponendo gli eredi di fronte alla scelta tra ingresso in società (nella quale dovranno rispondere illimitatamente dei debiti sociali anteriori all’acquisto della qualità di socio) ed il rifiuto dell’eredità. 3. Recesso Il recesso è il diritto potestativo del socio di sciogliere unilateralmente il rapporto sociale in forza di una sua manifestazione di volontà. I casi in cui tale diritto è riconosciuto al socio, si differenziano sia per quanto riguarda i presupposti, sia per quanto riguarda il momento da cui produce i propri effetti: • se la società è contratta a tempo indeterminato o per tutta la vita di uno dei soci , ciascun socio può recedere liberamente con l'unico onere di rispettare un termine di preavviso di almeno tre mesi prima dei quali il recesso non produce effetti. • Analogo diritto riconosciuto al socio nel caso in cui la durata della società venga prorogata espressamente senza fissare un nuovo termine o in caso di proroga tacita cioè di prosecuzione di fatto della società dopo la sua scadenza. • Il socio può recedere ove sussista una giusta causa o per le altre cause che siano state previste dal contratto sociale; per giusta causa si intende che il recesso del socio perviene come reazione ad un comportamento degli altri soci obiettivamente ed irreparabilmente pregiudizievole del rapporto fiduciario. Questo tipo di recesso ha effetto immediato, non appena la dichiarazione di recesso venga portata a conoscenza degli altri soci;

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• Può inoltre recedere il socio che non abbia concorso alle decisioni di trasformazione in società di capitali fusione o scissione della società cioè ad operazioni che mutano radicalmente il quadro societario e spesso anche le regole del gioco

4. Esclusione L’esclusione, ovvero l’estromissione forzata del socio della società, essa può avvenire al verificarsi di determinati casi previsti dalla legge oppure può derivare dalla decisione degli altri soci. L’estromissione del socio dalla compagine sociale può essere collegata dalla legge al verificarsi di determinati eventi e non richiede una decisione ad hoc dei soci ne potrebbe da questi essere impedita (c.d. esclusione di diritto art. 2288). Ciò accade quando: • Il socio sia dichiarato fallito (o in qualità di titolare di un’impresa individuale sia in qualità di socio illimitatamente responsabile di un’altra impresa collettiva ) • Quando il creditore personale ottenga la liquidazione della quota del socio (nella soc. semplice e nelle soc. irregolari, può sempre essere richiesta dal creditore che dimostri l’insufficienza dei beni del socio al fine di soddisfare il proprio credito; nelle società commerciali regolari, non può essere richiesta fino a quando dura la società). L’estromissione del socio dalla compagine sociale può essere frutto di una decisione dei soci che, anche ricorrendo i presupposti, potrebbero decidere di non darvi corso (c.d. esclusione facoltativa art 2286 cc). La legge consente di escludere il socio nell'ipotesi di: • gravi inadempienze delle obbligazioni che derivano dalla legge o dal contratto sociale; vi rientrano non solo le violazioni di doveri specifici (come quello di eseguire il conferimento promesso) ma anche i comportamenti dei soci che si pongono in contrasto con il generale obbligo di esecuzione del contratto di società secondo correttezza e buona fede; • interdizione inabilitazione o condanna del socio ad una pena che comporti l'interdizione anche temporanea dai pubblici uffici; • sopravvenuta impossibilità per il socio di esecuzione del conferimento, qualora ciò non sia imputabile agli amministratori ovvero a coloro che li debbono ricevere ed utilizzare per l’esercizio dell’attività di impresa. Vi rientra il perimento del bene conferito in godimento o della cosa che il soggetto si era impegnato a conferire in proprietà (prima che sia acquistato dalla società) oppure per sopravvenuta impossibilità del socio di prestare l’opera conferita. • i soci possono inoltre individuare ipotesi di esclusione ulteriori a condizione che queste siano idonee a incidere negativamente sull’ esercizio dell'attività , compromettendo gli obiettivi della società ovvero arrecando danno o pregiudizio al raggiungimento dello scopo sociale. L' Art 2287 cc detta un procedimento di esclusione stabilendo che l'estromissione : • Debba essere decisa dalla maggioranza numerica dei soci, non computandosi nel numero il socio da escludere • che la decisione motivata debba essere a questi comunicata e produca lo scioglimento del vincolo sociale solo decorsi trenta giorni dalla comunicazione • la legge attribuisce al escluso la possibilità di proporre, entro il medesimo termine di trenta giorni, opposizione davanti al tribunale chiedendo la sospensione dell'esecuzione della decisione. Si possono quindi prospettare due scenari: se il giudice non sospende la decisione opposta, allora il socio sarà escluso decorso il termine legale della comunicazione, salvo dover essere reintegrato in società qualora l'opposizione venga poi accolta se invece il giudice sospende il provvedimento di esclusione, occorrerà attendere l'esito del giudizio di opposizione e se questa sarà accolta il socio manterrà l'originaria posizione nella società come se non l'avesse mai perduta.

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Quando la società è composta solo da due soci non è ipotizzabile una decisione a maggioranza, pertanto l’esclusione è pronunciata dal tribunale su domanda dell’altro ; in tale caso gli effetti dell’esclusione si hanno solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza.

5. liquidazione della quota Nei casi in cui il rapporto sociale si scioglie limitatamente a un socio , questi o i suoi eredi hanno diritto soltanto ad una somma di danaro che rappresenti il valore della quota (art. 2289 cc). Il socio uscente o gli eredi non hanno diritto alla restituzione dei beni conferiti in proprietà ne di quelli concessi in godimento (questi ultimi continueranno a poter essere utilizzati dalla società per tutta la durata inizialmente pattuita), né ad una liquidazione in natura. Quanto alla determinazione del valore della quota di liquidazione questa deve essere effettuata sulla base di una valutazione dell'effettiva consistenza economica del patrimonio sociale nel giorno in cui si verifica lo scioglimento, che deve tener conto del valore di avviamento e di quello delle operazioni in corso. Il pagamento della quota spettante al socio o ai suoi eredi deve essere effettuata nel termine di sei mesi dal giorno in cui si verifica lo scioglimento del rapporto sociale - salvo il più breve termine di tre mesi concesso per liquidare la quota al creditore particolare del socio. Il debito relativo alla liquidazione della quota è un debito della società e non un debito personale dei soci infatti l'ex socio avrà il vantaggio di poter prima escutere il patrimonio sociale e, qualora questo non sia sufficiente, potrà far valere la responsabilità solidale e illimitata dei rimanenti soci.

Capitolo VIII Lo scioglimento della società e liquidazione 1. la liquidazione La cessazione della società costituisce un fenomeno complesso, destinato a tradursi in una vera e propria fase della vita dell'ente: la liquidazione. In questa fase si procede alla definizione non solo dei rapporti fra i soci ma anche di quelli tra la società e di terzi; solo una volta che tale processo è stato completato, portando ad esaurimento tutte le pendenze fra la società,i terzi ed i soci, la società può cessare di esistere. Pertanto, ogni qualvolta sopravvenga una ragione che renda improseguibile l'attività sociale, inclusa la volontà dei soci di porvi termine, non si può immediatamente dare corso all'estinzione della società ma va avviato un articolato processo appositamente diretto a tale obiettivo. Esso si snoda attraverso la liquidazione di tutte le attività sociali, procurandone la conversione in denaro, che deve essere impegnato innanzitutto per il soddisfacimento dei creditori dell'ente mentre solo l'eventuale residuo può essere ripartito tra i soci. 2. le cause di scioglimento. Le società personali si sciolgono per le cause previste dall’art. 2272 c.c. : 1) per il decorso del termine: salvo che i soci prevedano un orizzonte temporale indeterminato, l'atto costitutivo indica il termine entro il quale è previsto l'esaurimento dell'attività della società con la conseguenza che, raggiunta la data pattuita, la società si scioglie. Nulla vieta di prorogare la durata con una decisione che, in quanto idonea tradursi in una modificazione dell'atto costitutivo, richiede il consenso di tutti i soci. La proroga dei termini è possibile anche in via tacita: la società è automaticamente prorogata a tempo indeterminato quando, nonostante il decorso della scadenza originariamente prevista, i soci continuino a compiere le operazioni sociali in assenza di opposizione da parte di alcuno di essi (art. 2273 cc) 2) per il conseguimento dell'oggetto sociale o per la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo: l'ente è destinato a sciogliersi ogni qualvolta, indipendentemente dall'orizzonte temporale che i soci abbiano

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prefissato, abbia esaurito la propria funzione in relazione all'oggetto sociale inizialmente individuato, vale a dire quando questo sia stato conseguito (es. sia stato compiuto l'affare per cui la società è stata costituita). L'ente è destinato a sciogliersi anche quando il conseguimento dell'oggetto sociale sia divenuto impossibile. Si tratta di un'impossibilità sopravvenuta, diversa da quella originaria che comporta un vizio genetico del contratto, idoneo a determinarne la nullità. L'impossibilità deve risultare in via oggettiva, per esempio consistente nella revoca delle necessarie concessioni o autorizzazioni amministrative o dall'insorgenza di elementi fattuali che impediscano la realizzazione dell'oggetto sociale e che si rivelino insuscettibili di rimozione con mezzi normali. Tali circostanze ostative possono derivare da fattori esogeni quanto endogeni. I primi derivano dalle innovazioni legislative e dagli atti della pubblica amministrazione mentre nei secondi si tratta ostacoli al regolare funzionamento della società, scaturenti dall’ insanabile discordia fra i soci. Questa si verifica quando ci siano dei contrasti all'interno della compagine sociale che portino ad una paralisi dell'attività dell'ente, tanto da influenzare in senso irrimediabilmente negativo sulla continuità dell'organizzazione e sulla prosecuzione degli affari. 3) per la volontà di tutti i soci ovvero la risoluzione per mutuo consenso; la relativa deliberazione deve avvenire con il consenso unanime di tutti i soci, salvo che l’atto costitutivo preveda una decisione a maggioranza. 4) quando viene a mancare la pluralità dei soci, in quanto la legge non ammette l’esistenza di società personali unipersonali. L'effetto dissolutivo non si verifica immediatamente ma solo se la pluralità dei soci non viene ricostituita entro 6 mesi. Durante questi 6 mesi la società continua a operare regolarmente mentre il socio superstite ha la possibilità di individuare un nuovo socio, sempre che non preferisca dare volontariamente corso alla liquidazione o adoperarsi per la trasformazione in una società azionaria o a responsabilità limitata (ovvero società ha ammettono il tipo unipersonale). La causa di scioglimento in esame ha una particolarità nella accomandita semplice in quanto l'articolo 2323 cc stabilisce che la dissoluzione si determina quando nonostante la conservazione della pluralità dei soci venga a mancare una delle due categorie in cui essi si dividono, qualora non siano ripristinate nel termine di sei mesi. Si ha l’ulteriore problema, in tale fase, dell’individuazione dei titolari del potere gestorio. Non si pongono particolari problemi se residuano solo soci accomandatari, cui spetta il potere gestorio. Se invece residuano solo soci accomandanti, avendo per legge il divieto di immistione, essi devono nominare un amministratore provvisorio dotato dei soli poteri di ordinaria amministrazione. 5) fallimento: l'apertura del concorso, al pari delle altre cause di scioglimento, non determina l'immediata estinzione della società, bensì necessita di procedere alla sua liquidazione che è demandata al curatore (sotto la vigilanza del comitato dei creditori e del giudice delegato), in conformità alla legge fallimentare. 6) per le altre cause previste dal contratto sociale: i soci possono inoltre prevedere ulteriori fattispecie dissolutive, indicando apposite pattuizioni nell'atto costitutivo. Le clausole che più di frequente si rinvengono nella prassi, attengono la cessazione di uno specifico socio, ove la sua partecipazione sia considerato essenziale per l'intera compagine.

3. gli effetti del verificarsi della causa di scioglimento sull’oggetto e sullo scopo sociale Generalmente le cause di scioglimento delle società persone operano di diritto nel senso che producono i propri effetti automaticamente, senza necessità di procedere al loro formale accertamento da parte degli amministratori o dei soci. E' richiesto invece l'accertamento qualora sorgano delle controversie circa l'effettiva ricorrenza dell' evento risolutivo. In questi casi l'accertamento si svolge nelle forme dell'ordinario giudizio di cognizione dinanzi al tribunale, destinato a concludersi con una sentenza che si limita ad attestare l’eventuale l'intervenuta verificazione del fatto delle sue conseguenze.

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Con il verificarsi o l'accertamento della causa di scioglimento, ha inizio la fase della liquidazione, che apporta importanti mutamenti sulla società tanto a livello organizzativo (a cominciare dalla sostituzione degli amministratori con i liquidatori) quanto nei rapporti con i soci. Con il verificarsi della causa di scioglimento la società cessa di perseguire il programma imprenditoriale indicato nell'atto costitutivo e viene meno lo scopo del perseguimento dell'utile o comunque dello svolgimento dell'attività d'impresa in condizioni di economicità. Al perseguimento del programma imprenditoriale si sostituisce l’esigenza della conservazione dell'integrità e del valore del patrimonio sociale, in vista della sua monetizzazione in termini idonei a soddisfare regolarmente i creditori della società ed in seconda battuta a distribuire l'eventuale residuo tra i soci. Qualora i soci non abbiano ancora provveduto ad effettuare i conferimenti promessi non vengono liberati ma il versamento risulta dovuto solo nella misura in cui sia giustificato dagli obiettivi della liquidazione quindi affinchè il conferimento sia necessario I soci perdono il diritto all'utile conservando unicamente quella la percezione della quota di liquidazione, vale a dire la porzione di attivo di pertinenza di ciascuno di essi una volta tacitati tutti i creditori. Conseguimento resta preclusa al creditore particolare del socio la facoltà di ottenere la liquidazione della sua quota, potendosi rivalere esclusivamente sulla quota di liquidazione e dovendo pertanto attendere la conclusione della monetizzazione dell'intero patrimonio sociale. Dallo scioglimento non derivano particolari conseguenze per i creditori sociali: la società in liquidazione resta tenuta a effettuare pagamenti mano a mano che le singole operazioni giungano alla naturale scadenza. I creditori continuano a godere degli ordinari strumenti di tutela, inclusa la possibilità di procurarsi prelazioni, tanto convenzionali quanto giudiziali, ed instaurare azioni giudiziali incluse quelle cautelari ed esecutive.

4. la liquidazione La legge demanda al contratto sociale o al successivo accordo tra i soci la definizione delle modalità della liquidazione, limitandosi a stabilire regole suppletive ad applicarsi solo nel caso di difetto di intesa. Pertanto la fase di liquidazione è un passaggio obbligatorio e inderogabile ma le modalità di attuazione sono liberamente disponibili da parte dei soci, ferma restando la necessità di procedere in via prioritaria al soddisfacimento dei creditori. I soci possono derogare la nomina dei liquidatori, stabilendo ad esempio che della liquidazione debbano occuparsi gli amministratori, i soci o i terzi. Non sembrano potersi individuare dei limiti all'autonomia dei soci, salvo quelli derivanti dalla natura stessa della fase di liquidazione: devono ritenersi non valida le pattuizioni che prevedano la prosecuzione della normale attività di impresa secondo modalità speculative e finalizzate all'immediata distribuzione dell'utile, anziché alla progressiva definizione dei rapporti pendenti. Le società commerciali regolari sono tenute alla pubblicità della nomina dei soggetti incaricati di provvedere alla liquidazione ed una volta che il processo di liquidazione è giunto al termine, devono inoltre procedere alla cancellazione della società dal registro delle imprese.

5. revoca della liquidazione La liquidazione non costituisce una fase irreversibile anzi la sua revoca si ritiene ammissibile in qualunque momento purché antecedentemente all'estinzione della società. La revoca della liquidazione richiede innanzitutto alla rimozione dell’ evento dissolutivo e quindi, a seconda dei casi: Il differimento del termine scaduto il mutamento dell'oggetto sociale già conseguito o divenuta impossibile la decisione uguale e contraria al mutuo consenso che abbia decretato lo scioglimento la ricostituzione successiva al decorso del semestre della pluralità dei soci o nell'accomandita della categoria di soci venuta in precedenza mancare Ai fini della revoca dello stato di liquidazione è necessario il consenso unanime dei soci. La revoca della liquidazione determina il ritorno dalla società al normale perseguimento dell'attività finalizzata al conseguimento dell'oggetto sociale e nella realtà lucrative alla realizzazione dell'utile da dividere tra i soci.

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Se la decisione dei soci perviene dopo l'estinzione, non si producono conseguenze in capo alla società ormai cessata, rendendosi necessaria la costituzione di un'impresa collettiva del tutto nuova.

6. avvio della liquidazione e potere degli amministratori Al verificarsi della causa di scioglimento, gli amministratori conservano il potere di gestire la società ma sono sottoposti a due ordini di limitazioni: possono curarsi esclusivamente degli affari urgenti e soltanto fino a quando non siano stati adottati provvedimenti necessari per la liquidazione, vale a dire fino al momento in cui la gestione della società è devoluta ai liquidatori e comunque vengono poste in essere le misure previste in materia dall'atto costitutivo o successivamente concordate tra i soci. Il fatto che l'operato degli amministratori sia circoscritto agli affari urgenti non si traduce in un alterazione della capacità giuridica dell'ente, quindi tutti gli atti da essi compiuti, in quanto titolari del potere di spendere il nome, continuano ad essere riferibili alla società. Qualora gli amministratori diano corso ad operazioni sprovviste del requisito dell'urgenza, si espongono alla richiesta di risarcire i danni che la società abbia eventualmente patito a seguito di tale condotta. La liquidazione deve essere effettuata da uno o più liquidatori, indifferentemente soci o non, nominati con il consenso di tutti i soci o, in caso di disaccordo fra gli, stessi dal presidente del tribunale. La nomina dei liquidatori, indipendentemente dalla sua matrice pattizia o giurisdizionale, si perfeziona con l'accettazione da parte degli interessati. Nelle società personali commerciali, la nomina dei liquidatori deve essere iscritta nel registro delle imprese entro trenta giorni, a cura dei liquidatore medesimi, al pari di ogni successivo atto che ne comporti la revoca o la sostituzione. Solo in questo modo la circostanza diviene opponibile ai terzi, mentre nelle società irregolari, in quanto non iscritte nel registro delle imprese, il medesimo risultato è raggiungibile portando a conoscenza di terzi la nomina degli amministratori con mezzi idonei (c.d. pubblicità di fatto). I liquidatori sono sempre revocabili dai soci e ciò può avvenire a seguito di una giusta causa ovvero a seguito di qualsiasi comportamento dell'interessato difforme da quello prescritto dalla legge e dal contratto sociale o di un grave inadempimento dell'incarico. La revoca consegue ad un provvedimento del tribunale, sollecitabile da parte di uno o più soci. Laddove si proceda alla nomina dei liquidatori, gli amministratori devono consegnare loro i beni ed i documenti sociali, unitamente al conto della gestione relativo al periodo successivo all'ultimo bilancio della società. Inoltre, gli amministratori insieme ai liquidatori, devono redigere l'inventario dal quale risulti lo stato dell'attivo e del passivo del patrimonio sociale. La redazione dell'inventario è finalizzata a segnare una linea di demarcazione tra la gestione degli amministratori e quella dei liquidatori, rendendo possibile separarne l'operato anche ai fini dell'attribuzione agli uni agli altri di eventuali responsabilità 7. poteri, doveri e responsabilità dei liquidatori. I liquidatori possono compiere gli atti necessari per la liquidazione, tra i quali rientrano, salva diversa indicazione da parte dei soci, la cessione in blocco dei beni sociali nonché la stipulazione di transazioni e compromessi in ordine a eventuali rapporti controversi che occorre definire (art. 2278 cc). Inoltre il liquidatore ha potere di rappresentare la società, anche in giudizio. Durante il proprio operato i liquidatori devono attenersi alle direttive dei soci, che sono direttamente interessati a incidere sullo svolgimento della fase in questione, dal cui esito dipende l'ammontare della propria quota di liquidazione. Pertanto i soci hanno un importante funzione di indirizzo, definendo le scelte strategiche: ad esempio la scelta tra la cessione in blocco dell'attivo, tanto più dove sia configurabile come un trasferimento d'azienda, con il relativo avviamento e la liquidazione atomistica, consistente nella alienazione dei singoli beni isolatamente considerati. Al di là del dovere di conformarsi alle indicazioni fornite dai soci, i liquidatori godono di poteri gestori assai ampi e si hanno il potere/dovere di compiere tutte le operazioni che risultano necessarie ai fini della liquidazione con il solo limite di non poterne intraprendere di nuove. Il riferimento alla necessità deve piuttosto essere inteso come utilità: sono quindi legittimi non solo gli atti che presentano un nesso di assoluta indispensabilità con la liquidazione, bensì tutte le misure funzionali alla stessa.

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Pertanto i liquidatori possono legittimamente realizzare tutto ciò che, non contrastando con lo stato di scioglimento della società, favorisca la definizione dei rapporti pendenti, la monetizzazione dell'attivo ed il soddisfacimento dei creditori. I liquidatori non possono intraprendere nuove operazioni; il divieto di nuove operazioni non significa che il liquidatore non possa compiere alcun nuovo atto a seguito del verificarsi della causa di scioglimento poiché ciò precluderebbe ogni potere gestorio al liquidatore. Per nuove operazioni si intendono gli affari intrapresi ex novo nel corso della liquidazione ovvero tutti quegli atti che mirino alla prosecuzione dalla normale attività d'impresa, secondo l'ottica speculativa proprie della società in stato di normale operatività. Pertanto, i liquidatori devono limitarsi a portare a termine gli affari già intrapresi, la cui improvvisa interruzione esporrebbe la società a pregiudizio o al Serio pericolo di pretese risarcitorie o restitutorie da parte di terzi. Il parametro della novità non è comunque né fisso né immutabile ma è suscettibile di alcune oscillazioni in conseguenza alle caratteristiche del percorso dissolutivo di volta in volta adottato dai soci. Infatti è ammesso anche nelle società personali l'esercizio provvisorio dell'impresa in epoca successiva allo scioglimento, a condizione che la continuazione dell'attività, pur declinandosi nel compimento di ulteriori atti gestori, non si traduca in una nuova operazione, essendo quindi concretamente funzionale alla liquidazione. Ciò può accadere quando la continuità dell'attività sia finalizzata alla dismissione dei cespiti (es. continuazione della vendita al dettaglio al fine di smaltire le rimanenze) o sia strumentale all’alienazione dell’azienda in funzionamento. Il requisito della funzionalità la liquidazione ed il divieto di nuove operazioni non si traducono in menomazioni della capacità giuridica dell'ente, di conseguenza anche le operazioni speculative sono imputabili alla società, fatta salva l'ipotesi in cui sussistano i presupposti per far valere il difetto di rappresentanza dei liquidatori. Qualora i liquidatori compiano nuove operazioni e/o operazioni che non rispettino il requisito di funzionalità alla liquidazione, risponderanno personalmente e solidalmente per il danno cagionato. Qualora l'atto vietato produca effetti nella sfera giuridica della società, non essendo invocabile alcun difetto di rappresentanza dei liquidatori, è innanzitutto la società che può rivalersi su di essi per i danni che abbia patito in conseguenza della nuova operazione. Qualora invece l'atto non sia imputabile alla società, il diritto al risarcimento compete esclusivamente al terzo contraente. L’art. 2276 equipara gli obblighi e le responsabilità dei liquidatori a quelli degli amministratori, pertanto anche per i primi vale la regola secondo la quale i titolari del potere gestorio rispondono, personalmente ed in solido tra loro, nei confronti della società per l’inadempimento agli obblighi imposti dalla legge e dal contratto sociale, se non dimostrano di essere esenti da colpa. Quando la liquidazione sia affidata ad un unico soggetto, ad esso competono tutti i poteri di gestione e di rappresentanza mentre quando i liquidatori siano due o più si applica il modello disgiuntivo, salvo che I soci abbiano optato per l'adozione del modello congiuntivo. 8. il pagamento dei debiti sociali e la ripartizione dell’attivo La liquidazione mira innanzitutto soddisfacimento dei creditori sociali pertanto si ha il divieto per i liquidatori di distribuire l'attivo tra i soci fino al momento in cui tutte le passività verso i terzi siano state saldate o comunque fino a quando siano state accantonate le somme necessarie per provvedervi (art 2280 cc). La disposizione fa riferimento alle somme necessarie per il pagamento ma tale accantonamento deve avere ad oggetto un ammontare di denaro, non beni ancora da liquidare, la cui effettiva valorizzazione resterà incerta sino al momento della vendita. Ogni qualvolta i liquidatori provvedano a ripartizione anticipata a favore dei soci che si traduca nell'omesso regolare pagamento dei creditori, questi ultimi sono autorizzati ad agire nei confronti dei beneficiari dell'indebito pagamento ed in generale di tutti i soci. I creditori potranno inoltre rivalersi su tutti i liquidatori , chiamati a rispondere della propria condotta contro legge sotto il profilo del risarcimento del danno, nonché assoggettabili a sanzione penale (prevista dall'art. 2633 - reclusione da 6 mesi a 3 anni). Laddove le risorse della società si rivelino insufficienti a saldare i debiti sociali alla regolare scadenza, i liquidatori possono rivolgersi ai soci osservando tuttavia dei criteri ben precisi.

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Innanzitutto possono richiedere ai soci di provvedere al versamento eventuale dei conferimenti ancora dovuti. Solo quando questa misura si dimostri insufficiente, i liquidatori possono pretendere dai soci le ulteriori somme necessarie ma con l'onere di tener conto di due fattori: in primo luogo eventuali limitazioni alla responsabilità personale di uno o più soci (se il socio ha responsabilità limitata non gli si potranno chiedere somme eccedenti l’importo del proprio conferimento); in secondo luogo la misura della partecipazione di ognuno di essi. Solo i soci illimitatamente responsabili sono obbligati a versare l'ulteriore quota di propria pertinenza; qualora un socio risulti inadempiente, la sua quota andrà ripartita i capienti secondo il medesimo criterio della ripartizione delle perdite. Solo una volta che sono stati estinti tutti i debiti sociali o siano state accantonate le somme necessarie per il loro soddisfacimento, si procede alla soddisfazione delle pretese dei soci, effettuando innanzitutto il rimborso dei conferimenti. I conferimenti in denaro sono computati al valore nominale mentre il valore di quelli aventi ad oggetto beni o prestazioni d’opera è determinato in base alla stima effettuata nel contratto (o in difetto del valore che gli stessi avevano nel momento in cui sono stati eseguiti). Per quanto riguarda i beni conferiti in godimento, i soci hanno diritto di ottenerne la restituzione nello stato in cui gli stessi si trovavano e se i beni risultano periti o deteriorati per causa potabile agli amministratori o ai liquidatori, il socio ha il diritto al risarcimento da parte della società, ferma la possibilità della società di rivalersi nei confronti del gestore negligente. Dopo il rimborso dei conferimenti l'eventuale eccedenza ovvero l’utile finale di liquidazione è ripartito tra i soci in proporzione alla parte spettante a ciascuno nei guadagni. Di solito questo tipo di ripartizione avviene dopo la liquidazione dell'intero patrimonio dell'impresa e di conseguenza viene effettuata in denaro, attingendo alle residue somme disponibili. Non può tuttavia escludersi che i soci abbiano optato per la ripartizione dei beni sociali in natura. 9. il bilancio finale di liquidazione Al termine della fase di liquidazione, i liquidatori hanno l'obbligo di predisporre il rendiconto. Qualora la liquidazione si protragga per oltre un anno, i liquidatori hanno il dovere di redigere rendiconto anche al termine di ciascun esercizio. Il rendiconto costituisce un'illustrazione dell'operato dei liquidatori, necessario a permettere ai soci di valutare la sussistenza di eventuali profili di loro responsabilità, sia alla determinazione del risultato patrimoniale ed economico della liquidazione. Il documento è inoltre necessario per verificare l'avvenuto soddisfacimento di tutti i creditori sociali e per l'eventuale quantificazione delle risorse da destinarsi, dapprima, al rimborso dei conferimenti ed in seconda battuta alla ripartizione tra i soci del residuo. Una volta che i liquidatori hanno provveduto alla soddisfazione dei creditori sociali, devono quindi redigere il bilancio finale ed il piano di riparto. Entrambi i documenti vanno inviati ai soci mediante lettera raccomandata e si intendono approvati laddove nessuno dei destinatari proponga un impugnazione in sede giudiziale nei due mesi successivi. Nel caso in cui l'impugnazione sia esperita, i liquidatori possono ottenere che le questioni relative alla liquidazione, suscettibili d’implicare la loro responsabilità, siano trattate separatamente da quelle inerenti al riparto. Con l'approvazione del bilancio i liquidatori sono liberati di fronte ai soci. 10. l’estinzione delle società personali La liquidazione si conclude con l'estinzione della società ovvero con l'esaurimento della fase liquidatoria che coincide per le società registrate, compresa quella semplice, con la cancellazione dal registro delle imprese. Una volta approvato il bilancio finale, i liquidatori devono richiedere la cancellazione dal registro delle imprese. Le scritture contabili ed i documenti che non spettano ai singoli soci, sono depositati presso la persona designata dalla maggioranza e devono essere conservati per dieci anni dalla cancellazione medesima. Invece, qualora la società non sia registrata, l'estinzione si produce nel momento in cui siano stati soddisfatti tutti i creditori e si sia dato corso alla ripartizione fra i soci dell’eventuale residuo attivo

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A seguito dell'estinzione della società si potrebbe porre il problema delle sopravvenienze passive, consistenti nella emersione successiva alla chiusura della liquidazione di debiti sociali rimasti insoddisfatti. Quando si procede alla cancellazione, nonostante la presenza di debiti residui, la società deve considerarsi comunque estinta e delle passività rimaste insoddisfatte rispondono i soci ed a determinate condizioni anche i liquidatori. I creditori sociali insoddisfatti possono quindi far valere i propri diritti nei confronti dei soci nei limiti della responsabilità di ciascuno verso i terzi. Di conseguenza, al socio illimitatamente responsabile, il creditore sociale potrà richiedere l’intero, mentre ogni qualvolta si trovi dinnanzi ad un socio limitatamente responsabile, la pretesa nei suoi confronti non potrà eccedere l'entità del conferimento rimborsato, maggiorato dell'eventuale quota di liquidazione. Nel solo caso in cui il mancato pagamento derivi da negligenza dei liquidatori, allora il creditore potrà rivalersi su costoro, a titolo di risarcimento del danno. Assai più circoscritto è il problema posto dal fenomeno delle sopravvenienze attive, che viene di regola risolto facendo semplicemente ricadere l'ulteriore attivo in comunione fra i soci.

Capitolo IX La società in accomandita semplice 1. nozione e disciplina codicistica art. 2313-2324 cc Nella società in accomandita semplice si contrappongono due categorie di soci • I soci accomandanti giuridicamente tenuti al solo conferimento e responsabili per i rischi giuridici ed economici connessi all'attività sociale nei limiti di esso; • I soci accomandanti, giuridicamente ed economicamente responsabili per l'attività sociale oltre i limiti del conferimento e con tutto il loro patrimonio personale; Il contrapposto regime di responsabilità e la limitazione della responsabilità del socio accomandante costituiscono connotato essenziale dell'accomandita e pertanto sono invalide tutte le pattuizioni interne tra i soci volte ad imputare agli accomandanti una responsabilità per perdite maggiore rispetto alla quota conferita, in quanto ciò sarebbe in palese contraddizione con il “tipo” della società. Tenuto conto della limitazione della responsabilità dei soci accomandanti, il legislatore ha stabilito la loro esclusione dal potere di amministrazione. Solamente i soci accomandatari possono essere amministratori mentre gli accomandanti sono in linea di principio esclusi dall’attività gestoria. 1.1 i soci accomandatari Sono applicabili ai soci accomandatari le regole in tema di responsabilità illimitata, solidarietà e beneficio di preventiva escussione. La responsabilità dell'accomandatario è illimitata e si commisura in tutto e per tutto alla responsabilità dei soci della collettiva. Solo i soci accomandatari possono assumere il ruolo di amministratore della società; l'assunzione della responsabilità illimitata è una conseguenza del tipo di società scelto dai soci e non può essere pattiziamente esclusa ed opera sempre: anche l'eventuale rinuncia ai poteri di amministrazione non ne determinerebbe alcuna limitazione. La responsabilità illimitata del socio accomandatario ha tuttavia natura sussidiaria essendo destinata ad operare unicamente a seguito di un infruttuosa esecuzione dei terzi sul patrimonio della società. Il socio illimitatamente responsabile non può essere considerato terzo rispetto all'applicazione sociale ma il debitore al pari della società per il solo fatto di essere socio tenuto a rispondere senza limitazioni. Il fallimento della società produce anche il fallimento del socio illimitatamente responsabile. 1.2 i soci accomandanti Il socio accomandante è illimitatamente responsabile dei debiti sociali nei limiti della quota conferita ed è privato dell'amministrazione.

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Ciò significa che, se l'accomandante eseguito il proprio obbligo di conferimento, nessuna azione può essere proposta nei suoi confronti, né da parte della società né da parte dei creditori sociali. Invece qualora il socio accomandante non abbia ancora eseguito il conferimento promesso, i creditori sociali potranno pretendere da essi il relativo adempimento, unicamente in via surrogatoria, facendo cioè valere i diritti creditori della società, nell'ipotesi di inerzia di quest'ultima. Tale azione non è comunque diretta a realizzare sui beni personali del socio i crediti che non possono essere soddisfatti sui beni che costituiscono il fondo sociale ma è invece volta alla formazione del fondo sociale, perché su di esso i creditori possano soddisfarsi. Inoltre tale azioni del creditore si arresta in caso di sottoposizione della società a procedura concorsuale, in quanto in questo caso ogni iniziativa giudiziaria potrà essere intrapresa unicamente dal curatore, a beneficio di tutti i creditori sociali. La posizione del socio accomandante si caratterizza per il fatto che egli è escluso dalla gestione in quanto si ha il c.d. divieto di immistione ovvero il divieto di ingerirsi negli affari sociali pena la perdita della limitazione della responsabilità. Non significa però che il socio capitalista sia del tutto privo di competenze e poteri gestori e di rappresentanza. L'art. 2320 cc disciplina che gli possa essere conferita una procura speciale per trattare o concludere singoli affari della società, che egli venga chiamato a dare la sua opera sotto la direzione degli amministratori, oppure che il compimento di determinati atti di gestione sia subordinato a sue autorizzazioni e pareri. Inoltre il socio accomandante hai diritto di compiere atti di ispezione e di sorveglianza in merito all'attività degli amministratori, in particolare ha diritto di avere comunicazione annuale del bilancio del conto dei profitti e delle perdite di controllarne l'esattezza consultando i libri e gli altri documenti della società. E’ discusso se egli abbia il potere di approvazione del bilancio che dovrebbe ritenersi ammissibile e non violare il divieto di immistione, in quanto non è identificabile con un vero e proprio atto diretto di amministrazione bensì riconducibile ad un atto di controllo e verifica sull'amministrazione. Riguardo al divieto di immistione l'attività di gestione preclusa agli accomandanti è sia quella interna che esterna alla società: viola questo divieto non solo l'esecuzione di atti di amministrazione e di conclusione di affari spendendo il nome della società ma anche l'avvio di semplici trattative. Pertanto, anche il rilascio da parte degli altri soci di una procura generale, volta ad attribuirgli poteri decisionali autonomi o la sua nomina ad estintore (cioè preposto dall'esercizio dell'impresa) costituiscono violazione del divieto di immistione. La violazione del divieto di immistione può costituire il presupposto per l'esclusione della società, trattandosi di una grave inadempienza alle obbligazioni derivanti dalla legge. L'accomandante che viola il divieto di immistione risponde illimitatamente verso i creditori delle obbligazioni sociali e partecipa alle perdite come se fosse un accomandatario. Nel caso in cui la trasgressione sia conseguente ad un potere attribuitogli dagli altri soci accomandatari, non è possibile la sua esclusione (in quanto non sembrerebbe ragionevole ritenere che egli possa essere escluso per un'operazione da quegli stessi soggetti che lo hanno autorizzato), così come non deve essere estesa la sua responsabilità ai debiti sociali. In ogni caso l’accomandante non cambia veste: non diviene cioè accomandatario né tantomeno amministratore in seguito la violazione del divieto di immistione, pur diventando illimitatamente responsabile.

2. Applicazione delle regole di funzionamento della snc: varianti e peculiarità. All’accomandita si applicano in quanto compatibili le norme della collettiva fatta eccezione di alcune varianti disciplinate dagli artt. 2314-2315-2316 c.c.. • Ragione sociale: deve contenere almeno il nome di un socio accomandatario. Qualora un socio accomandante acconsenta ad inserire il proprio nome nella ragione sociale, assumerà la responsabilità illimitata per le obbligazioni, al pari dei soci accomandatari (e come nel caso di violazione del divieto di immistione). La ratio della norma è quella di impedire che l’inserimento del nome di un socio la cui responsabilità per i debiti sociali è limitata, possa trarre in inganno i terzi che si relazionano con la società.

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Conferimenti: per il socio accomandante i conferimenti non possono consistere in servizi; ciò al fine di garantire l’effettività della quota conferita che costituisce il limite della responsabilità e del rischio dell’accomandante. • Causa di scioglimento: l’accomandita è un tipo societario che richiede l’esistenza delle due categorie di soci; la mancanza di una delle due categorie per un periodo superiore a sei mesi costituisce una causa di scioglimento della società. Nel caso in cui vengano meno gli accomandatari, i soci accomandanti devo immediatamente nominare un amministratore provvisorio cui competono solo gli atti di ordinaria amministrazione ma che non assumerà la veste di socio accomandatario. • Limitata cedibilità della quota del socio accomandante: la quota del socio accomandante è trasferibile per causa di morte o per atto tra vivi, se non vi sono pattuizione contrarie, con il consenso dei soci che rappresentino la maggioranza del capitale. Invece, il socio accomandatario può liberarsi della sua partecipazione solo con il consenso di tutti i soci oppure se ciò sia indicato nell’atto costitutivo. Con la vendita della quota il socio decade automaticamente dalla carica di amministratore eventualmente assunta. Tale disciplina è derogabile da parte del contratto sociale che potrei prendere la quota dell'accomandante sia intrasmissibile che per contro liberamente cedibile. • Iscrizione al registro delle imprese: L'accomandita, come tutte le società di persone commerciali deve essere iscritta nel registro delle imprese e se ciò non avvenisse ci si troverebbe dinnanzi ad un accomandita irregolare, al quale sarà applicabile la disciplina della snc irregolare. Anche nella condizioni di società irregolare, accomandita conserva le peculiarità proprie del tipo societario ed in particolare la coesistenza della duplice categorie di soci, della cui presenza non risultando da pubblica iscrizioni potrà essere data prova da chi vi abbia interesse.

3. la distinzione tra s.a.s. e s.a.p.a. La responsabilità del socio accomandante di società in accomandita semplice è del tutto allineata a quella propria dell'accomandante di S.a.p.a.: in entrambe le compagini infatti il socio è responsabile nei limiti del conferimento promesso. L'art. 2313 c.c. pone un espresso divieto di rappresentare in forma azionaria le quote di partecipazione della s.a.s., al fine di distinguere questo tipo societario dalla s.a.p.a., nell'acqua le partecipazioni devono invece essere rappresentate da azioni. In realtà s.a.s. e s.a.p.a. sono due tipi societari nettamente distinti, soggetti ad autonoma disciplina. La s.a.s. è organizzata su base personale mentre la s.a.p.a. è organizzata su basi capitalistiche. È proprio la forma giuridica del'afflusso diretto del risparmio alle imprese l'elemento distintivo fra la accomandita semplice e l'accomandita per azioni: nel primo caso, un risparmio immobilizzato (sostanzialmente un investimento individuale legato ad una specifica attività intrapresa, di cui in qualche modo l'investitore può valutare il rischio), nel secondo caso, un risparmio di massa, destinato a più attività e non necessariamente legato ad una specifica valutazione conoscenza e del rischio.

SEZIONE III SOCIETA’ DI CAPITALI

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CAPITOLO I COSTITUZIONE DELLA SOCIETA’ E SOCIETA’ UNIPERSONALE

1. LA COSTITUZIONE DELLA SOCIETA’ DI CAPITALI Nelle società di capitali, la nascita dell'ente collettivo non deriva solo dalla conclusione del contratto ma segue al perfezionamento di un iter più complesso. Questo iter si snoda attraverso due momenti: • la stipula dell'atto costitutivo in forma pubblica • l’iscrizione della società presso il Registro delle Imprese Solo attraverso l'iscrizione al Registro delle Imprese la società nascente acquisisce personalità giuridica Solo per la s.p.a. e la srl (ma non per la società in accomandita per azioni), l'atto costitutivo può avere struttura unilaterale; pertanto è ammessa all'esistenza originaria di un socio unico che beneficia del regime di responsabilità limitata. Le regole finalizzate a disciplinare ed organizzare lo svolgimento dell'impresa non sono recepite in un unico atto ma in due distinti documenti ovvero l'atto costitutivo vero e proprio e lo statuto, distinto dal primo ma ad esso allegato e destinato a formare una sua parte integrante e sostanziale. Pertanto, l'atto costitutivo contiene l’espressa enunciazione della volontà di costituire la società, oltre elementi essenziali dell'accordo; lo statuto contiene invece le disposizioni riguardanti il concreto funzionamento della società. L'impostazione trova sicuro riscontro legislativo nelle società azionarie, mentre per la srl il legislatore preferisce riferirsi solamente all'atto costitutivo. Nulla però impedisce che anche per le srl venga redatto lo statuto, anzi tale formula è solitamente impiegata nella prassi.

2. COSTITUZIONE SIMULTANEA E PER PUBBLICA SOTTOSCRIZIONE Esistono due modalità differenti per la costituzione di una società di capitali • la forma di costituzione simultanea, valida per tutte le società di capitali, che consiste nella stipula di un contratto cui partecipano i primi soci, detti fondatori perché prendono l'iniziativa di costituire la società. • La costituzione per pubblica sottoscrizione, ammessa solo per le società azionarie e ben più articolata della prima, in cui l’atto costitutivo è stipulato ed il capitale sociale viene sottoscritto da soggetti, i soci fondatori, che non coincidono con coloro che hanno preso l'iniziativa di costituire la società, i promotori, realizzando una vera e propria raccolta di capitali presso il pubblico dei risparmiatori. Tale forma di costituzione passa per diverse fasi necessarie la diffusione del programma depositato presso notaio da parte dei promotori, che contiene dati e norme essenziali dell'atto costitutivo e dello statuto della costituenda società; la raccolta delle sottoscrizioni presso il pubblico a cura dei promotori, con contestuale realizzazione dei versamenti la riunione dell'assemblea dei sottoscrittori, convocata dai promotori affinché deliberi a maggioranza ((per teste) sugli elementi essenziali dell'iniziativa la stipula dell'atto costitutivo da parte dei convenuti in assemblea anche in rappresentanza degli assenti La complessità della forma di costituzione per pubblica sottoscrizione, rende preferibile seguire percorsi diversi per raggiungere lo stesso risultato: per esempio, procedendo alla costituzione

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simultanea di una società la quale, subito dopo l'iscrizione, delibera un incremento di capitale poi sottoscritto da intermediari; questi ultimi a loro volta provvederanno ad offrire titoli sul mercato del risparmio.

3. CONTENUTI DELL’ATTO COSTITUTIVO E DELLO STATUTO I contenuti dell’atto costitutivo sono fissati dall’art. 2328 cc per le società azionarie e dall’art. 2463 c.c. per le società a responsabilità limitata. Si tratta di menzioni obbligatorie, perlopiù coincidenti per tutte le società di capitali, con qualche differenza essenzialmente legata alla peculiarità del tipo. Tali menzioni obbligatorie sono: Generalità dei soci: il cognome ed il nome o la denominazione, la data e luogo di nascita o lo Stato di costituzione, il domicilio o la sede la cittadinanza di ciascun socio; Nella s.a.p.a.,dovranno indicarsi le persone dei soci accomandatari. La qualifica di socio di una società di capitali può essere assunta anche da una società di persone ma tale partecipazione è ammessa solo se sia stata deliberata dai soci in assemblea ordinaria; inoltre, al fine di dare idonea comunicazione ai terzi , tale informazione dovrà essere indicata nell’atto costitutivo. Denominazione: che dovrà comunque contenere l'indicazione del tipo (s.p.a., s.a.p.a. o s.r.l.). Tale indicazione è necessaria, una volta che sia stata perfezionata l'iscrizione nel registro delle imprese, a stabilire la disciplina residuale applicabile in caso di silenzio dell'atto costitutivo. La sede: il comune ove sono poste la sede della società e le eventuali sedi secondarie. Non è richiesta l'indicazione dell'indirizzo completo in quanto ciò sarà oggetto di successiva comunicazione al registro delle imprese. • L'attività che costituisce l'oggetto sociale ovvero il tipo di impresa svolta dalla società; questa indicazione ha la fondamentale funzione di delimitarne le condizioni di rischio ed il grado di sicurezza dell'investimento dei soci. Essa dovrà caratterizzarsi per un certo grado di specificità, anche per consentire il regolare funzionamento di una serie di norme poste a tutela dei soci, prima fra tutte quelle in tema di recesso in caso di sua modifica. • L'ammontare del capitale sottoscritto e versato che non deve essere inferiore al minimo di legge per ciascun tipo sociale e cioè non inferiore a € 50.000 nella s.p.a e nella s.a.p.a. e di € 10.000 nella s.r.l.. Per la s.r.l., in tempi recenti, il limite è stato ridotto drasticamente nella misura simbolica di un euro nella variante c.d. semplificata, ma potrà esserlo per scelta espressa dei soci manifestata in sede di costituzione o in un momento successivo, in deroga volontaria il minimo tradizionale di €10.000, anche nel modello ordinario. • Il numero e l'eventuale valore nominale delle azioni le loro caratteristiche e le modalità di emissione e di circolazione nelle s.p.a. e nelle s.a.p.a. ovvero la quota di partecipazione di ciascun socio nella s.r.l. • Il valore attribuito ai crediti e ai beni conferiti in natura, nonché nelle s.r.l. i conferimenti effettuati da ciascun socio. • La struttura organizzativa della società e precisamente: • nella s.p.a. il numero degli amministratori con l'indicazione di chi tra questi è munito di poteri di rappresentanza e dei componenti del collegio sindacale, nonché la nomina dei primi amministratori e sindaci e, quando previsto, del soggetto che ha il mandato del controllo contabile. • queste indicazione riguardano anche la s.a.p.a., fatta eccezione per la nomina dei primi amministratori, che di fatto non si rende necessaria poiché in questo tipo di società i soci accomandatari lo sono di diritto.

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Nella s.r.l. si rende necessaria solo l'indicazione dei soggetti ai quali è affidata l'amministrazione ed il controllo contabile, se previsto, con la precisazione che sarà comunque necessaria la designazione dei primi sindaci solo se, sin dalla sua costituzione, sussistano le condizioni che ne rendano obbligatoria la nomina. • L'importo globale almeno approssimativo delle spese per la costituzione a carico della società; • La durata della società ma questa è una menzione facoltativa in quanto è anche ammessa la costituzione di società a tempo indeterminato. L'atto costitutivo o lo Statuto possono contenere altre regole di funzionamento, per esempio in tema di riparto degli utili o in relazione al sistema di amministrazione adottato. In generale l’atto costitutivo o lo statuto possono contenere tutte quelle altre informazioni destinate ad assumere specifica rilevanza qualora deroghino al regime di legge. In quest'ultima eventualità, l’opera di adattamento è ammissibile solo sino a che le clausole statutarie non violino norme imperative o comunque non si pongano in contrasto con i caratteri essenziali del tipo societario. Assai comune l'inserimento di patti che abbiano per effetto la deroga alle competenze del giudice ordinario, devolvendo ad arbitri le controversie societarie aventi per oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale. La nomina di tali arbitri deve essere riservata a soggetti estranei alla società e non direttamente dalle parti in causa. Per le società a responsabilità limitata semplificata, il Ministero della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia, hanno predisposto lo statuto standard: tale modello predeterminato è vincolante e si dovrà a questo fare riferimento per la redazione del testo contrattuale, che si riduce quindi a completamento delle parti bianche del facsimile ministeriale. 4. CONDIZIONI PER LA COSTITUZIONE DELLE SOCIETA’ DI CAPITALI L’atto costitutivo si perfeziona solo se sussistano determinate condizioni previste dalla legge. L’art. 2239 c.c. per le s.p.a., richiamato dall’art. 2463 c.c. per le s.r.l. e l’art. 2454 c.c per la s.a.p.a., richiede che: • il capitale sociale sia interamente sottoscritto • che siano osservate le disposizioni in tema di esecuzione e stima dei conferimenti, in particolare in merito all’obbligo della loro liberazione a) in tutto, nel caso di apporto di beni in natura o di crediti b) almeno nella misura del 25% per il denaro. • che sussistano le autorizzazioni e le altre condizioni richieste dalle leggi speciali per la costituzione della società, in relazione al suo particolare oggetto. Tale disposizione di riferisce alle attività che abbiano un impatto economico e sociale significativo, come per l’impresa bancaria o forme di investimento collettivo. Per queste particolari attività sono richiesti dei requisiti aggiuntivi rispetto a quelli posti per le altre società di capitali, che consistono nel preventivo rilascio da parte delle pubbliche amministrazioni competenti a svolgere attività di vigilanza sulle società neocostituite, in relazione all'impresa che andranno a svolgere. • Condizioni di maggior rigore sono richieste in relazione all’assetto organizzativo e strutturale delle società. Ove la s.p.a. o la s.a.p.a. siano unipersonali, si ha l’obbligo di liberare interamente tutti i conferimenti, anche quelli in natura, in sede di stipula dell’atto costitutivo.

5. il controllo del notaio propedeutico all’iscrizione La forma dell'atto costitutivo di una società di capitali è necessariamente quella dell'atto pubblico ricevuto da un notaio: se ciò non avviene si realizza una delle rare ipotesi di nullità della società. L'intervento del notaio è finalizzato ad attuare uno specifico controllo di regolarità del procedimento di formazione della società svolto fino a quel momento.

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Il notaio è tenuto a non ricevere atti nulli, pena l'applicazione di severe sanzioni civili e disciplinari. Il notaio svolge un controllo di legalità nel senso che verificherà se l'atto costitutivo e il procedimento che ha portato alla sua redazione siano conformi alla legge, se l'atto sia completo e se sussistano le condizioni per chiudere l'iter formativo della società. Ciò non avviene solo in astratto, ma anche in relazione alla fattispecie costitutiva concretamente realizzata. Questo è un controllo di tipo preventivo: qualora il notaio dovesse verificare l'insussistenza dei requisiti di legge, dovrà astenersi dal ricevere l'atto costitutivo. Se invece le gravi irregolarità dovessero manifestarsi in una fase successiva, egli potrà legittimamente limitarsi a non chiedere l'iscrizione nel registro delle imprese. La società viene ad esistenza non con la formalizzazione dell'atto costitutivo ma solo con la sua successiva iscrizione nel registro delle imprese territorialmente competente. E’ pur vero che la sola stipula dell'atto costitutivo determina degli effetti preliminari: per esempio, le somme di denaro oggetto di conferimento, nell'intervallo di tempo fra la stipula dell'atto costitutivo e l'iscrizione della società nel registro delle imprese, sono obbligatoriamente depositate presso una banca che non può consegnarli agli amministratori fino a che se essi non provino l'avvenuta iscrizione della società, né può restituirle ai sottoscrittori fino a che non trascorrano 90 giorni senza che abbia avuto luogo l’iscrizione; oltre tale termine l’atto costitutivo perde ogni rilevanza giuridica. Un altro effetto preliminare derivante dalla stipula, consiste nell'obbligo gravante su notaio di procedere all'iscrizione telematica dell'atto costitutivo presso il registro delle imprese entro 20 giorni, allegando i documenti che dimostrino la sussistenza delle condizioni di costituzione. In caso di inerzia del notaio dovranno attivarsi gli amministratori e qualora anch'essi non provvedano, ciascun socio avrà la facoltà di presentare l'istanza di iscrizione, a spese della società. Una volta protocollata l'istanza telematica, se vi sono i presupposti, l'ufficio del registro delle imprese dispone l'iscrizione. Attraverso l'iscrizione la società acquisisce personalità giuridica con la conseguente applicazione della disciplina del tipo prescelto. L'iscrizione produce inoltre l'effetto dichiarativo che fa presumere note a terzi le informazioni oggetto di registrazione. Per le operazioni compiute entro il quindicesimo giorno dalla pubblicazione, gli atti non sono opponibili ai terzi che provino di essere stati nell'impossibilità di averne conoscenza.

6. l’attività della società anteriore all’iscrizione nel registro delle imprese Nel periodo di tempo che va dalla costituzione all'iscrizione nel registro delle imprese della società, si può rendere necessario compiere determinati atti gestori, da riferire nella sostanza e nella forma alla società. Sì pensi al caso in cui oggetto del conferimento sia un'azienda già operativa, per la quale si renderà necessario il compimento di alcune attività strategiche. L'art. 2331 c.c. delinea le regole di imputabilità, secondo regole applicabili in tutti i tipi capitalistici: L'ambito di applicazione di tale disposizione è circoscritto al periodo che va tra la stipula dell'atto costitutivo ed il novantesimo giorno successivo (in quanto dopo, in difetto di iscrizione, l'atto perde efficacia). Gli effetti favorevoli che conseguono allo svolgimento dell'attività anticipata sono sin da subito attribuiti alla società costituenda ma non quelli passivi dei quali restano solidalmente e illimitatamente responsabili una pluralità di soggetti indicati dalla legge: innanzitutto coloro che hanno compiuto materialmente all'atto, a prescindere dal fatto di essere o meno membro dell'organo amministrativo e poi eventualmente i singoli soci che, anche senza averlo compiuto in prima persona, ne hanno deciso o autorizzato il compimento, nell’atto costitutivo o in un atto separato. La società potrà assumere tali obbligazioni a condizione che, una volta perfezionata l’iscrizione, le abbia approvate, quindi assumendo gli effetti passivi dell’operazione, liberando coloro che l’abbiano compiuta o avallata.

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Nel caso di società unipersonale, le obbligazioni compiute anteriormente all’iscrizione, risponde in solido con chi abbia materialmente agito il solo socio fondatore, anche qualora non abbia acconsentito all’operazione. Riguardo alle s.p.a. ed alle s.a.p.a., l’art. 2331 pone il divieto di emissione di azioni prima dell’iscrizione.

7. la nullità L'art. 2332 c.c. enuncia tassativamente le fattispecie invalidanti per le società di capitali: 1. mancata stipulazione dell'atto costitutivo nella forma dell'atto pubblico; 2. illiceità dell'oggetto sociale; 3. mancanza nell'atto costitutivo di ogni indicazione riguardante la denominazione della società, o i conferimenti, o l'ammontare del capitale sociale o l'oggetto sociale. Ogni altro vizio potrà condurre alla sola inefficacia o inapplicabilità della singola clausola ma non determinare la nullità della società. L’eventuale declaratoria di nullità, che opera quale causa di scioglimento, non ha carattere retroattivo e quindi non pregiudica la validità degli atti nel frattempo compiuti a nome della società (a differenza dei contratti in cui la nullità travolge ogni effetto degli atti compiuti prima della relativa declaratoria). La sentenza di nullità nomina i liquidatori della società e deve essere iscritta al registro delle imprese, a cura degli amministratori o dei liquidatori. La dichiarazione di invalidità non libera i soci dall’obbligo di effettuare i conferimenti fino a che i creditori non saranno soddisfatti. Il codice prevede la possibilità di sanatoria del vizio di nullità, qualora la relativa causa sia stata eliminata e di ciò sia stata data notizia nel registro delle imprese (per questo si parla di pubblicità sanante). Pertanto, quando il vizio sia stato sanato, la liquidazione può essere revocata e la società può riprendere la sua normale attività.

8. i patti parasociali L'atto costitutivo e lo statuto contengono regole che determinano la fisionomia dell'ente, disciplinano le caratteristiche di funzionamento dei suoi organi, i diritti e le obbligazioni dei soci, nonché i rapporti fra gli stessi gli organi sociali e la società. Assai di frequente accade però che tutti o alcuni dei soci stipulino ulteriori accordi contrattuali, volti a disciplinare i loro rapporti personali, in relazione all'esercizio dell'iniziativa economica societaria o particolari aspetti di essa: si parla in tal caso di contratti, accordi, sindacati o patti "parasociali". Nella prassi esiste un numero elevatissimo di varianti di pattuizioni parasociali: dalla composizione e nomina degli organi sociali, al finanziamento dell'impresa, al trasferimento delle partecipazioni possedute, alla titolarità o modalità di voto in assemblea, fino all'esercizio di influenza sulla gestione. La caratteristica comune a questi accordi e che rispondono ad un'esigenza di stabilizzazione e coordinamento finalizzata a proteggere il valore dell'investimento dell'iniziativa comune. Per esempio, nei patti parasociali è possibile impedire che le parti alienino la loro partecipazione per un determinato arco di tempo, che sia impedita la cessione delle azioni sino ad una certa data, che riconoscano il diritto dell’investitore al riacquisto delle azioni (c.d. opzione call). Trattandosi di accordi privati fra due o più soci, i patti parasociali non hanno di regola alcun effetto diretto nei confronti della società o degli altri soci che non li abbiano sottoscritti, così che eventuali violazioni di essi determinano degli obblighi risarcitori fra le parti, ma non inficiano la validità e la legittimità degli atti societari.

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Per esempio, il socio vincolato da un impegno di inalienabilità che cede le proprie azioni, potrà essere tenuto a risarcire il danno a pagare una penale, ove prestabilita ma la cessione sarà comunque perfettamente valida ed efficace e l'acquirente assumerà legittimamente la qualità di socio. Diverso è il caso in cui il patto di inalienabilità sia contenuto direttamente nello statuto, come è consentito dalla legge; la clausola statutaria infatti effetti reali cioè vincola tutti i soci e la società e la violazione potrà dunque essere fatta valere anche da quest'ultima, che potrà legittimamente negare all'acquirente la qualità di socio e l'iscrizione nel relativo libro. Non tutte le pattuizioni parasociali possono però essere inserite nello statuto: non possono mai essere contenuti accordi in merito all'esercizio del diritto di voto, in quanto il processo di formazione della volontà sociale passa per il procedimento assembleare, al quale ogni socio partecipa in quanto tale. I patti parasociali sono stati privi di disciplina sino alla riforma del diritto societario del 2003, ma a seguito di questa sono state definite regole in merito alla loro durata ed agli obblighi di comunicazione e pubblicità di specifiche tipologie di patti. Il codice prende in considerazione tre tipologie di patti: 1. quelli che hanno per oggetto l’esercizio del diritto di voto (detti anche sindacati di voto) 2. quelli che pongono dei limiti al trasferimento delle azioni della società o delle partecipazioni nelle società controllanti (c.d. sindacati di blocco) 3. quelli che hanno per oggetto l’esercizio di un influenza dominante sulla società o sulle società controllanti. Tali accordi possono essere stipulati in qualsiasi forma purché siano finalizzati a stabilizzare gli assetti proprietari di governo della società . I patti non possono avere durata superiore a cinque anni e l’eventuale durata difforme è sostituita da questa per legge. E’ ammessa anche la stipulazione di patti a tempo indeterminato ma in questo caso ogni socio deve avere il diritto di recedere liberamente dall’accordo con un preavviso di 180 giorni. Se società è quotata oppure ha titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante, l'esistenza del patto deve essere adeguatamente pubblicizzata nell'interesse degli investitori, in quanto è necessario che anche questi ultimi possano sapere che le normali dinamiche societarie sono influenzate dall'esistenza di accordi privati fra alcuni soci. Quando i titoli della società sono diffusi in misura rilevante, i sottoscrittori del patto debbono renderlo noto alla società, oppure alla società controllante se il patto è relativo ai titoli di questa, e comunicarlo all'apertura di ogni assemblea con dichiarazione trascritta a verbale, il quale deve essere poi depositato presso il Registro delle Imprese. In caso di omissione della dichiarazione il patto resta valido ma I sottoscrittori sono soggetti alla sanzione sociale della sospensione del diritto di voto l'eventuale deliberazione assunta con il loro voto determinante, potrà essere impugnata per annullamento. I patti parasociali nelle società quotate sono assoggettati a disposizioni speciali. Il legislatore prende in considerazione le medesime tipologie di patti, con alcune estensioni e precisazioni 1. sindacati di voto relativi alla società o alle società controllanti, anche se prevedono un semplice obbligo di consultazione 2. i sindacati di blocco ovvero i patti che prevedono obblighi di acquisto, anche se aventi ad oggetto strumenti finanziari che attribuiscano un diritto di acquisto o sottoscrizione di azioni della società o delle società controllanti 3. I patti che abbiano per oggetto o per effetto l'esercizio congiunto di un'influenza dominante sulla società o sulle società controllanti.

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4.

I patti volti ad impedire o favorire gli obiettivi di un offerta pubblica di acquisto o di scambio.

Nelle società quotate i patti devono avere una durata massima di tre anni e, se a tempo indeterminato, ogni socio deve avere il diritto a recedere con preavviso di sei mesi, pubblicizzando il recesso. I partecipanti al patto, solo quando le loro partecipazioni accedono complessivamente il 2% o se la società è qualificabile PMI quotata, il 5% del capitale: • sono tenuti ad un obbligo di comunicazione del patto alla società ed alla Consob • alla pubblicità del patto sulla stampa quotidiana • al deposito nel registro delle imprese. In caso di omissione di tali adempimenti, la legge sancisce la nullità dei patti e la sospensione del diritto di voto. E’ inoltre è possibile impugnare per annullamento la deliberazione eventualmente assunta con il voto determinante delle azioni sospese; in questo caso è legittimata a tale impugnazione anche la Consob, nel termine di 180 giorni dalla delibera o, se successiva, dal suo deposito o iscrizione. La nullità del patto non impedisce alle parti di rinnovarlo provvedendo, a pubblicizzarlo secondo la legge e così ottenendo la legittimazione al voto altrimenti sospesa.

CAPITOLO II SOCIETA’ PER AZIONI 1. AUTONOMIA PATRIMONIALE PERFETTA Le società per azioni sono caratterizzate da autonomia patrimoniale perfetta (art. 2325 c.c.) quindi per le obbligazioni dell’ente rispondo esso stesso, con il proprio patrimonio. si ha quindi la netta separazione tra il patrimonio della persona giuridica ed il patrimonio degli azionisti.

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Pertanto, per le obbligazioni della società per azioni risponderà solo l’ente medesimo, attingendo alle risorse conferite dagli azionisti e quelle che abbia acquisito nel corso della propria attività. La responsabilità degli azionisti è limitata alla quota conferita anche perché la società non ha alcun titolo per richiedere loro versamenti eccedenti al conferimento. Attraverso la sottoscrizione dell’atto costitutivo, gli azionisti si obbligano ad investire parte delle proprie risorse personali nell’attività dell’ente, accettando che esse vadano a comporre il capitale di rischio dell’impresa. Solo dove il risultato dell’attività della società si riveli positivo, gli azionisti potranno percepire gli utili che la società abbia deciso di distribuire; qualora invece la società consegua delle perdite, il pregiudizio massimo che l’azionista sarà chiamato a sopportare equivarrà all’azzeramento del patrimonio iniziale. Del privilegio della responsabilità per azioni godono tutti gli azionisti, compreso il socio unico della società unipersonale seppure con qualche ulteriore prescrizione. Infatti, in caso di insolvenza delle società, il socio unico risponde illimitatamente con il proprio patrimonio dei debiti sociali contratti nel periodo in cui esso abbia detenuto la partecipazione totalitaria, qualora abbia omesso di versare l’ammontare dei conferimento all’atto della costituzione e fino a quando non si sia provveduto a dare pubblicità del suo status. 2. IL PATRIMONIO ED IL CAPITALE SOCIALE Tutte le società sono centro di imputazione del complesso di rapporti giuridici, attivi e passivi, che costituisce il patrimonio. In origine, esso coincide con i conferimenti effettuati (o promessi) dai soci; l’importo inizialmente conferito viene impiegato nell’attività di impresa e quindi si rivela inevitabilmente legato all’andamento degli affari sociali. I risultati della gestione della società si riflettono sulla consistenza del patrimonio, che nel tempo varierà il suo valore sia a seguito dell’acquisizione di nuovi cespiti che a causa dei debiti che saranno contratti. Dalla differenza tra attività e passività sussistenti in un dato momento si ricava il patrimonio netto. Qualora esso abbia segno positivo, indica che la società dispone, oltre che dei mezzi per soddisfare tutte le sue obbligazioni, anche di un surplus di risorse che potrà essere ripartito tra i soci al momento della cessazione dell’attività. Quando invece il patrimonio netto è negativo, indica l’incapacità dell’ente di far fronte a tutte le obbligazioni. Pertanto il valore del patrimonio è un valore dinamico, la cui evoluzione dipende dalle operazioni registrate nel conto economico e la cui esatta consistenza è “fotografata” dallo Stato patrimoniale di ciascun bilancio. Dal patrimonio occorre distinguere il capitale, ovvero il valore dei conferimenti in denaro risultante dall’atto costitutivo (è quindi un valore statico), che non deve essere inferiore al minimo fissato dalla legge. Capitale e patrimonio coincidono al momento della costituzione dell’ente (prima che questo contragga la prima obbligazione) ma in seguito assumono dinamiche diverse: il capitale rimane invariato, fatta eccezione delle ipotesi in cui si deliberi il suo aumento o la sua riduzione (il valore storico del capitale resta fissato per tutta la durata della società); il patrimonio muta in coerenza con l’andamento degli affari. Il capitale fissa un limite alla ripartizione tra gli azionisti delle risorse sociali sotto forma di utili, infatti è distribuibile solo la porzione di patrimonio netto che ecceda il capitale, maggiorato delle riserve previste dalla legge o dallo statuto. Pertanto il capitale ha una funzione di garanzia generica: non è sufficiente che le attività siano almeno pari alle passività ma è necessario che le attività superino le passività di un ammontare non inferiore al capitale. Ciò significa che il patrimonio netto deve costantemente mantenersi positivo e di regola non scendere al di sotto del capitale.

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Gli art. 2447 e 2484 c.c. stabiliscono che, per effetto di perdite che erodano il capitale di oltre un terzo, lo stesso si riduca al di sotto del minimo legale, la società si scioglie, a meno che non si dia immediatamente luogo alla sua ricapitalizzazione o si deliberi la trasformazione in un tipo con capitale minimo inferiore (srl) oppure in una società di persone (per cui non è previsto un minimo legale). 3. I CONFERIMENTI IN DENATO ED I RIMEDI CONTRO LA MOROSITA’ DEL SOCIO Il conferimento è l’apporto che ciascun socio si obbliga ad eseguire in favore della società, al fine di contribuire a fornirle il capitale di rischio strumentale all’esercizio dell’attività sociale. Affinchè il conferimento possa avere una sua funzione all’interno del ciclo economico e funga da garanzia per i creditori sociali, è necessario che il conferimento promesso venga eseguito e quindi il suo valore corrisponda esattamente a quello indicato nell’atto costitutivo. Salve diverse indicazioni dell’atto costitutivo, il conferimento deve essere effettuato in denaro. I soci devono provvedere al versamento immediato di almeno il 25% del capitale sottoscritto, mentre solo l’azionista unico (della società unipersonale) è obbligato ad eseguire per intero il conferimento da subito, a pena la sua responsabilità illimitata. L’importo residuo del conferimento deve essere pagato, in una o più tranche, quando gli amministratori ne facciano richiesta. Pertanto, la richiesta di eseguire il conferimento, è una scelta discrezionale degli amministratori, alla quale gli azionisti non possono opporsi. All’azionista inadempiente è negato il diritto di voto (art. 2344 cc.) L’art. 2344 prevede che, decorsi 15 giorni dalla pubblicazione di una formale diffida sulla Gazzetta Ufficiale, gli amministratori, qualora non ritengano necessario avviare un contenzioso giudiziale, hanno la facoltà di offrire le azioni liberate agli altri azionisti, in proporzione alla partecipazione detenuta, per un corrispettivo non inferiore all’ammontare dei conferimenti ancora dovuti. Solo in mancanza di richieste d’acquisto, gli amministratori possono far vendere le azioni per conto del socio moroso e a suo rischio, avvalendosi di una banca o di un intermediario autorizzato alla negoziazione sui mercati regolamentati. Qualora neppure in questo caso si riescano a vendere le azioni, il socio è dichiarato decaduto, senza che lo stesso abbia diritto ad ottenere la restituzione di quanto già versato. Inoltre, la società ha diritto a richiedere il risarcimento del danno. La legge concede alla società di tentare di collocare nuovamente sul mercato le azioni liberate entro l’esercizio in cui è intervenuta la dichiarazione di decadenza del socio; se non si riesca in questo modo a collocare le azioni, si procederà all’estinzione del titoli ed alla conseguente riduzione del capitale. 4. I CONFERIMENTI IN NATURA ED IL PROBLEMA DELLA STIMA Nella società per azioni è possibile il conferimento in natura. Laddove il conferimento riguardi cose conferite in proprietà, le garanzie dovute al socio ed il passaggio dei rischi sono regolati dalle norme sulla compravendita. Il socio è tenuto alle garanzie per evizione ('evizione consiste nella perdita, totale o parziale, di un diritto in forza del diritto preesistente di un terzo’). e per vizi ; inoltre su di lui grava il rischio di perimento fortuito della cosa sino al momento della traslazione della proprietà alla società. Qualora invece il bene sia conferito in godimento, le garanzie sono proprie della locazione ed il rischio per il perimento del bene restano in capo al conferente. Nel conferimento dei crediti, il socio risponde della solvenza del creditore pertanto resta obbligato verso la società nei limiti del valore attribuito al credito al momento del conferimento (valore che potrebbe essere inferiore a quello nominale); inoltre è onerato delle spese per la cessione del credito e di quelle sopportate dalla società per escutere il debitore, oltre che del risarcimento del danno creato alla società per la mancata disponibilità della somma corrispondente.

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La garanzia non opera se il mancato incasso del credito è causato dalla negligenza degli amministratori in quanto in questo caso grava su loro la responsabilità dell’ammanco. Diversamente dal conferimento in denaro, i conferimenti in natura vanno versati per intero al momento della sottoscrizione. Si pone il problema dell’esatta determinazione del valore in quanto da esso dipende l’entità del capitale. Gli artt. 2343-2343 ter e quater, introducono un articolato meccanismo, basato sulla stima da parte di un esperto (o comunque ancorata a parametri obiettivi) e sulla successiva verifica da parte degli amministratori. Fino a che tale verifica non è completata, le azioni corrispondenti ai conferimenti sono inalienabili e devono restare depositate presso la società. I soci che apportano beni in natura devono presentare una relazione giurata redatta da un perito nominato dal tribunale; il documento, oltre a descrivere i beni, deve contenere l’attestazione che il loro valore non è inferiore a quello attribuito ai fini della determinazione del capitale, esplicitando i criteri di valutazione utilizzati. Il documento deve essere allegato all’atto costitutivo. Nei 180 giorni successivi all’iscrizione nel registro delle imprese, gli amministratori devono provvedere alla verifica della relazione. Se da tale accertamento emerge che il valore dei conferimento è inferiore di oltre un quinto del valore indicato nell’atto costitutivo, devono procedere alla proporzionale riduzione del capitale, salvo che il socio interessato sia disposto a versare la differenza in denaro o in alternativa receda dal contratto. In quest’ultimo caso il socio ha diritto alla liquidazione della quota che consiste nella restituzione dei beni conferiti. Questo meccanismo va incontro ad alcune semplificazioni, nelle quali non è necessario l’intervento del perito: - qualora siano conferiti valori mobiliari o strumenti del mercato monetario, il cui valore si desume agevolmente dall’andamento delle contrattazioni di mercato. - quando il valore attribuito ai cespiti sia pari o inferiore al fair value, determinato adottando i principi contabili internazionali e iscritto nel bilancio dell’azionista dell’esercizio precedente a quello in cui sia conferito, a condizione che tale bilancio sia sottoposto a revisione legale. - Quando il valore del bene sia risultante a una stima riferita ad un periodo non superiore a 6 mesi precedenti alla data di conferimento, redatto da un esperto che agisce sotto propria responsabilità. La semplificazione del processo non comporta l’eliminazione delle competenze degli amministratori che, nel termine di 30 giorni dall’iscrizione della società, devono verificare se nel periodo successivo a quello a cui si riferisce la valutazione del conferimento in natura , siano intervenuti dei fatti eccezionali che abbiano modificato sensibilmente il valore del bene. In presenza di significativi scostamenti si procede, su iniziativa degli amministratori, ad una nuova valutazione; se tale valutazione ha esito positivo si procede all’iscrizione nel registro delle imprese di una dichiarazione contenente la descrizione dei beni o crediti conferiti, la fonte della stima e l’attestazione che il valore sia almeno pari a quello attribuito. Fino all’espletamento della formalità pubblicitaria, le azioni sono inalienabili e devono restare depositate presso la società. Le regole in tema di conferimenti in natura potrebbero essere aggirate laddove gli apporti in denaro si potessero impiegare per acquistare un determinato bene dell’azionista, in modo che il conferimento in natura resti celato dietro alla transazione monetaria. Al fine di evitare l’inconveniente, è previsto che l’acquisto da parte della società, per un corrispettivo superiore ad un decimo del capitale sociale, di beni appartenenti ai soci o agli amministratori, nei due anni dall’iscrizione nel registro delle imprese, debba essere autorizzato dall’assemblea ordinaria.

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L’alienante deve presentare una relazione giurata redatta da un esperto designato dal tribunale, contenente la descrizione dei beni o dei crediti ed il valore attribuito, i criteri di valutazione utilizzati e l’attestazione che tale valore non è inferiore al corrispettivo (anch’esso indicato). La documentazione deve essere depositata presso la sede dell’ente nei 15 giorni precedenti all’assemblea ed il verbale dell’assemblea, nella quale l’autorizzazione all’acquisto sia concessa, deve essere depositata nel registro delle imprese. La violazione di tali tutele determina responsabilità solidale dell’amministratore e dell’alienante per i danni cagionati alla società. 5. LE PRESTAZIONI ACCESSORIE Nella società azionaria è fatto divieto di conferimento di prestazioni d’opera o di servizi, che consegue alle difficoltà di quantificazione del valore di tale forma di conferimento. Ciò non determina l’impossibilità per la società di sfruttare le prestazioni dei soci: l’atto costitutivo può prevedere l’emissione di azioni che impongano al titolare l’adempimento di obbligazioni accessorie, aggiuntive al conferimento ed estranee al computo del capitale, determinandone il contenuto, la durata, le modalità ed il compenso e le eventuali sanzioni per inadempimento. Tali azioni assumono una connotazione di carattere personale in quanto l’identità del socio cui è imposta la prestazione assume una rilevanza; per questo tali titoli devono essere nominativi e non trasferibili senza il consenso degli amministratori, cui compete la valutazione dell’idoneità professionale dell’acquirente. Inoltre, se non diversamente indicato nell’atto costitutivo, le obbligazioni accessorie non possono essere modificate senza l’unanime consenso dei soci. 6. LE AZIONI Nelle società per azioni le quote di partecipazione sono rappresentate dalle azioni, ciascuna delle quali contenute in un titolo (a meno che lo statuto non esclusa l’emissione e preveda ulteriori forme di legittimazione e circolazione). Nella società azionaria il capitale deve essere frazionato in un numero di porzioni omogenee determinato convenzionalmente, ognuna di uguale valore ed idonea ad attribuire al titolare i medesimi diritti. Dividendo il capitale sociale per il numero di azioni, si ottiene il valore nominale di ciascuna di esse. Tale valore è indipendente dalle variazioni del patrimonio sociale e può modificarsi solo in conseguenza ad operazioni di riduzione o incremento del capitale sociale. La somma del valore nominale di ciascuna azione non può eccedere l’importo del capitale che, a sua volta, non può superare quello dei conferimenti. Di norma, ad ogni socio viene assegnato un numero di azioni proporzionale alla quota posseduta ma l’atto costitutivo può prevedere modalità di assegnazione alternativa. Nulla vieta di emettere azioni con sovraprezzo, ovvero con previsione di apporti più elevati del valore nominale delle azioni emesse, con l’effetto di fornire alla società un sostegno patrimoniale aggiuntivo. Il valore di bilancio si ottiene dividendo il patrimonio netto per il numero di azioni: indica la porzione di ricchezza sociale nella teorica disponibilità di ciascun azionista. Il valore di mercato è il prezzo che i terzi sarebbero disposti a pagare per acquisire la partecipazione; tale prezzo è facilmente desumibile quando le azioni siano quotate in borsa o su un mercato regolamentato. L’azione rappresenta l’unità minima di cui si compone il capitale ed in quanto tale è indivisibile. Laddove l’azione spetti a più proprietari, essi risponderanno in solido delle obbligazioni derivanti dal titolo mentre i relativi diritti vanno esercitati congiuntamente, per mezzo di un rappresentante comune. L’indivisibilità delle azioni non impedisce che, attraverso una modifica dell’atto costitutivo, si proceda al loro frazionamento, incrementandone il numero a parità di capitale.

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L’operazione inversa è quella del raggruppamento ovvero la riduzione del numero di titoli di più elevato valore nominale, a parità di capitale. Nell’azione sono incorporati dei diritti amministrativi e patrimoniali. • I diritti amministrativi sono il diritto di partecipare all’assemblea, il diritto di voto, il diritto di impugnare le delibere, di esercitare l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori, di esaminare il libro dei soci quello delle adunanze e delle deliberazioni dell’assemblea, di prendere visione del progetto di bilancio, di far accertare una causa di scioglimento della società, di ottenere la nomina dei liquidatori. Generalmente ad ogni azione spetta un voto ma lo statuto può stabilire che il voto sia circoscritto ad una misura massima o disporre scaglionamenti ovvero attribuiscono un numero di voti corrispondente ad una determinata porzione di capitale (es. un voto sino al raggiungimento del 5% del capitale, due voti per la partecipazione compresa tra il 5% e il 10%). E’ inoltre possibile l’emissione di azioni con voto plurimo ma possono prevedere massimo tre voti per azione (nelle società per azioni, le azioni a voto plurimo non sono ammesse a meno che non siano state emessa prima della quotazione). Inoltre lo statuto può disporre una maggiorazione del voto, fino ad un massimo di due voti, a ciascuna azione appartenuta al medesimo soggetto per un periodo continuativo non inferiore a 24 mesi. Il titolare del titolo può rinunciare al voto maggiorato. La cessione del titolo comporta l’automatica cessazione del beneficio ma, salva diversa disposizione statutaria, esso si conserva nelle ipotesi di successione mortis causa, di fusione o scissione del titolare delle azioni. Nelle quotate la maggiorazione del voto è connessa al possesso continuativo del titolo da parte dello stesso soggetto, al fine di incentivare il mantenimento di partecipazioni nel tempo e quindi tali azioni a voto plurimo non costituiscono una categoria speciale di azioni. •

I diritti patrimoniali consistono nel diritto del socio a ricevere una parte proporzionale degli utili netti e del patrimonio netto risultante dalla liquidazione. Tali utili devono essere realmente conseguiti e devono risultare da un bilancio approvato dall’assemblea, che deve anche deliberarne la distribuzione. Spetta inoltre all’assemblea stabilire il quantum della distribuzione.



Costituiscono diritti “ibridi” (poicheè amministrativi e patrimoniali insieme) quelli all’assegnazione di azioni in caso di aumento di capitale a titolo gratuito e quello di opzione in caso di aumento a pagamento, ai quali si aggiunge il diritto di recesso. Alcuni diritti spettano ai soci nella stessa misura e non in base al numero di azioni posseduto, come quello di partecipazione in assemblea. Si ha inoltre il diritto di impugnazione delle delibere assembleari invalide, all’esperimento di azioni di responsabilità della minoranza o della denuncia al tribunale; l’esercizio di tali diritti è subordinato al possesso di un numero di azioni minimo, tale da configurare un interesse qualificato del socio rispetto alle sorti dell’ente (si parla di minoranze qualificate).

• •

7. LE CATEGORIE DI AZIONI L’art. 2348 c.c., pur indicando che le azioni sono di pari valore ed attribuiscono agli azionisti gli stessi diritti, ammette che lo statuto o le sue successive modificazioni prevedano speciali categorie di azioni, le quali si differenziano da quelle ordinarie per la peculiare configurazione dei diritti in esse configurati.

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Ad ogni categoria di azioni speciali, corrisponde un’assemblea speciale, regolata dalle disposizioni relative all’assemblea straordinaria. Tali azioni speciali possono incidere sia sui diritti patrimoniali che su quelli amministrativi ma in ogni caso tali azioni non possono superare la metà del capitale sociale. - Azioni senza diritto di voto - Azioni con diritto di voto limitato ad alcune materie o subordinato al verificarsi di determinate situazioni. - Azioni a voto plurimo: che possono godere di questo vantaggio sia in via generale o, a seconda delle previsioni statutarie, solo in relazione a specifici argomenti. - Azioni privilegiate: attribuiscono vantaggi patrimoniali maggiori rispetto a quelle ordinarie; tali vantaggi sono liberamente enucleabili dall’autonomia privata (es. forme di priorità del pagamento, la postergazione della partecipazione alle perdite ecc..). - Azioni correlate, che forniscono diritti patrimoniali legati ai risultati dell’attività sociale in un determinato settore ; lo statuto deve contenere i criteri di individuazione dei costi e dei ricavi ad esso imputabili, i criteri di rendicontazione, le eventuali modalità di conversione in azioni ordinarie. Anche per questa tipologia non è comunque possibile la distribuzione di utili non risultanti dal bilancio della società. - Azioni emesse a favore dei dipendenti : è possibile deliberare l’assegnazione di azioni ai lavoratori subordinati; l’assemblea straordinaria deve deliberare l’assegnazione di utili ai dipendenti mediante l’emissione, per un ammontare pari agli utili stessi (da convertirsi in capitale, che deve essere contemporaneamente incrementato dello stesso ammontare), della speciale categoria di azioni assegnate individualmente ai prestatori di lavoro. - Azioni di risparmio: tali azioni non prevedono diritto di voto e sono state introdotte per incentivare l’investimento da parte del piccolo azionista che, a causa dell’esiguità del proprio investimento, ha interesse alla sola remunerazione mentre normalmente manifesta disinteresse per le vicende societarie. Anche gli azionisti di risparmio si riuniscono nella relativa assemblea, che delibera sulla nomina e sulla revoca di un proprio rappresentante, sull’azione di responsabilità nei suoi confronti, sull’approvazione delle delibere della società che pregiudicano i diritti della propria categoria, della costituzione di un fondo per le spese necessarie alla tutela degli interessi comuni, sulla risoluzione delle controversie con la società. La creazione di speciali categorie di azioni ha come unico limite il divieto di patto leonino ovvero il patto (nullo) che esclude integralmente un socio dagli utili o dalle perdite. 8. IL PEGNO, L’USUFRUTTO ED IL SEQUESTRO DELLE AZIONI. Le azioni possono essere costituite in pegno o in usufrutto dal socio oppure attinte da misure cautelari (il sequestro conservativo o giudiziario) o esecutive (pignoramento). In tali situazioni si pone il problema di individuare il soggetto cui competa l’esercizio dei diritti incorporati nel titolo. • In caso di pegno o usufrutto il voto spetta al creditore pignoratizio o all’usufruttuario mentre i diritti amministrativi spettano sia al socio sia a questi ultimi. • In caso di sequestro, il diritto di voto ed i diritti amministrativi sono esercitati dal custode nominato dal giudice Il pegno, l'usufrutto e il sequestro si estendono agli utili della società, alla quota di liquidazione ed in caso di aumento di capitale a titolo gratuito, alle azioni di nuova emissione di pertinenza del socio. Invece, laddove a seguito di un aumento di capitale a pagamento, quindi con nuovi apporti, le azioni attribuiscono un diritto di opzione, questo spetterà al socio, cui sono assegnate le nuove azioni da lui sottoscritte, liberi da ogni vincolo.

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Qualora invece il socio non versi le somme necessarie per l’esercizio del diritto di opzione almeno tre giorni prima della scadenza e sempre che gli altri soci non si offrano di acquistarlo, questo deve essere alienato a terzi attraverso una banca o un intermediario autorizzato: in questo caso il vincolo si estende anche al ricavato della vendita. Se sono richiesti versamenti sulle azioni (perché il socio non le ha ancora integralmente liberate), il socio deve provvedere tre giorni prima della scadenza al pagamento; in mancanza di pagamento il creditore pignoratizio può provvedere a vendere le azioni. Nell’usufrutto provvede l’usufruttuario che però ha diritto alla restituzione di quanto pagato al termine del rapporto. 9. LA CIRCOLAZIONE DELLE AZIONI La circolazione delle azioni è libera: i soci possono alienare la propria partecipazione, così smobilizzando il capitale investito, senza alcuna ripercussione sull’attività sociale e sull’integrità del capitale. La vendita dell’azione determina l’ingresso dell’acquirente nella partecipazione sociale: l’acquirente acquista la legittimazione all’esercizio dei diritti del socio ma è tenuto a provvedere ai versamenti non ancora versati. A tale proposito, l’art. 2356 cc stabilisce che coloro che hanno trasferito azioni non liberate, restano obbligati in solido per il periodo di tre anni dall’annotazione della transazione sul libro dei soci, con il beneficio che il pagamento possa essere domandato solo qualora l’azione nei confronti dell’attuale possessore dell’azione si sia rivelata infruttuosa. Di regola le azioni sono rappresentate da titoli che devono contenere: la denominazione e la sede sociale, la data dell’atto costitutivo e della sua iscrizione, l’ufficio del registro delle imprese nel quale la società è iscritta, il valore nominale (o in alternativa il numero complessivo delle azioni emesse ed il totale del capitale), l’importo delle azioni non ancora liberate, i diritti e gli obblighi correlati all’azione. I titoli devono essere sottoscritti da uno degli amministratori. In assenza di diversa indicazione dell’atto costitutivo o di leggi speciali, le azioni sono titoli nominativi (richiedono l’intestazione ad una persona fisica o giuridica da indicare sia sul titolo che nel libro dei soci); tali azioni si trasferiscono mediante girata o con il transfert. In alternativa, le azioni possono essere emesse al portatore ed in questo caso il socio si identifica semplicemente nel possessore del documento; tali azioni si trasferiscono mediante semplice consegna del titolo. La girata è una scrittura datata e sottoscritta dal girante (cedente), contenente l’indicazione del giratario (acquirente), la cui firma è necessaria solo nel caso in cui i titoli non siano completamente liberati e quindi venga obbligato all’adempimento dei versamenti. La girata deve essere autenticata da un notaio e deve registrare, in successione, tutti i passaggi di titolarità: solo il giratario che si dimostri possessore in base ad una serie continua di girate può validamente rivendicare la qualità di socio. Il trasferimento non ha effetto sino a che non si procedere all’annotazione del trasferimento nel registro dei soci. Il transfert si esplicita nell’annotazione del nome dell’acquirente sul titolo e sul registro dei soci o con l’emissione di un nuovo titolo intestato all’acquirente. Il cedente che richiede l’annotazione sul registro, deve provare la propria identità e la capacità di disporre, producendo la certificazione di un notaio. Quando invece la richiesta proviene dal cessionario, questo deve dimostrare la propria identità e dimostrare di averne conseguito la titolarità attraverso un atto autentico. Le annotazioni sul registro sono fatte a cura e responsabilità della società emittente. La disciplina del transfert si applica ai titoli non soggetti al regime della dematerializzazione che è obbligatorio per le azioni negoziate in mercati regolamentati e per quelle diffuse tra il pubblico in misura rilevante, ma può essere adottato in modo facoltativo anche nelle società ad azionariato ristretto.

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In forza della dematerializzazione, il titolo è privo di supporto materiale, riducendosi ad una registrazione contabile, effettuata con il tramite di banche o intermediari finanziari. Pertanto, la circolazione si riduce a delle scritture contabili che registrano i movimenti degli strumenti finanziari (e se le azioni sono nominative questi movimenti equivalgono alla girata). Laddove, per scelta della società non si proceda all’emissione dei titoli, il trasferimento ha effetto a seguito dell’iscrizione nel libro dei soci. La circolazione delle azioni è soggetta ad alcune limitazioni: • Le azioni relative a conferimenti in natura sono inalienabili sino al positivo esito del controllo della stima del loro valore • Le azioni cui corrispondono prestazioni accessorie, sono cedibili solo con il consenso degli amministratori, in quanto essi devono valutare le conseguenze dell’ingresso nella compagine sociale di un nuovo socio. • Limiti derivanti da leggi speciali o quelli posti dall’autonomia privata. • Limiti alla circolazione posti dallo statuto, che può limitare la circolazione delle azioni per un periodo non superiore a cinque anni dalla costituzione della società o dal momento dell’introduzione del divieto. Tali limitazioni hanno efficacia reale: se violate determinano l’invalidità del trasferimento. Tra queste clausole si ha per esempio la clausola di mero gradimento, che subordina la cessione delle azioni al gradimento discrezionale degli organi sociali o di altri soci; tale clausola può essere apposta solo se, nell’eventualità di rifiuto da parte di chi effettua la valutazione, si prevede l’obbligo all’acquisto delle azioni da parte degli altri soci o della società oppure il diritto di recesso del socio.

10. LE OPERAZIONI DELLA SOCIETA’ SULLE PROPRIE AZIONI La società può effettuare operazioni sulle proprie azioni, per esempio al fine di ridurre il numero di partecipazioni circolanti. Tali operazioni presentano il rischio di elusione dell’obbligo di effettuare i conferimenti promessi e possono compromettere il corretto funzionamento della struttura corporativa o del regolare corso del mercato. Per questo il legislatore ha posto in materia un regime articolato, incentrato su divieti di sottoscrizione delle azioni proprie e sulla regolamentazione dell’acquisto. L’art. 2357 quater c.c. vieta alla società la sottoscrizione delle proprie azioni in sede di costituzione ed in sede di aumento del capitale. Infatti tale operazione determinerebbe un incremento di capitale fittizio in quanto la società diverrebbe “creditrice di se stessa” e pertanto non si determina alcun accrescimento patrimoniale. Le azioni sottoscritte in violazione del divieto, vanno attribuite ai soci promotori ed ai soci fondatori o, in caso di aumento del capitale, agli amministratori, che saranno tenuti alla loro liberazione. E’ sanzionato anche il caso in cui dei soggetti, agendo in nome proprio, acquistino le azioni per conto della società. In questo caso l’acquirente è considerato per legge come agente in nome proprio ma della liberazione di tali azioni rispondono in solido i soci promotori, i fondatori ed in caso di incremento del capitale anche i soci amministratori, fatti salvi quelli esenti da colpa. Sono inoltre vietati dichiarati nulli la costituzione e l’aumento del capitale mediante la sottoscrizione reciproca di azioni, quando effettuata per il tramite di una fiduciaria o per interposta persona; tale operazione determinerebbe un incremento di ricchezza fittizio in quanto ciascuna società partecipante diverrebbe creditrice nei confronti dell’altra per il medesimo importo. L’acquisto di azioni proprie da parte della società è ammesso:

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La società può acquistare azioni proprie esclusivamente nei limiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili, risultanti dall’ultimo bilancio approvato. In questo caso possono essere acquistate solo azioni integralmente liberate (poiché in questo caso la società diverrebbe creditrice di se stessa). Tale acquisto deve essere autorizzato dall’assemblea, che stabilisce il numero di azioni da acquistare. Sono anche previsti dei limiti di acquisto per le società quotate: l’acquisto di azioni proprie non può eccedere un quinto del capitale sociale, tenendo conto anche del capitale delle società controllate. Le azioni acquistate in violazione a tali divieto devono essere alienate entro un anno dall’acquisto; in difetto si deve procedere al loro annullamento ed alla contestuale riduzione del capitale. La società può acquistare azioni proprie al fine di ridurre il capitale, come disposto da delibera dell’assemblea di riduzione del capitale, da attuarsi mediante riscatto ed annullamento delle azioni oppure, a titolo gratuito, per effetto di successione universale, fusione o scissione, sempre che si tratti di azioni integralmente liberate.

Gli amministratori non possono disporre delle azioni proprie acquistate senza una preventiva autorizzazione dell’assemblea, la quale deve stabilire le modalità dell’operazione. L’assemblea può anche autorizzare operazioni di acquisto ed alienazione delle azioni, esclusivamente finalizzate a pratiche di trading, purchè si svolgano entro l’orizzonte temporale di 18 mesi. Fino a che le azioni restano nella proprietà della società: - il diritto agli utili ed il diritto di opzione sono attribuiti proporzionalmente alle altre azioni - Il diritto di voto è sospeso - Nelle società chiuse, le azioni proprie si computano ai fini del calcolo del quorum costitutivo e deliberativo delle assemblee - Nelle società quotate, si tiene conto delle azioni proprie solo ai fini del raggiungimento del quorum costitutivo ma non nel calcolo della maggioranza e della quota di capitale richiesta per l’approvazione della delibera. E’ imposta la costituzione di una riserva indisponibile pari all’importo delle azioni, da iscriversi nell’attivo di bilancio, da mantenersi sino al momento del loro annullamento o trasferimento. E’ posto il divieto per la società di accettare azioni proprie in garanzia o di accordare prestiti o fornire garanzie per l’acquisto o la sottoscrizione delle proprie azioni, salvo il caso in cui tali operazioni siano autorizzate dall’assemblea. Tale divieto non si applica ai finanziamenti erogati ed alle garanzie concesse per favorire l’acquisto delle azioni da parte dei dipendenti della società, delle controllanti o delle controllate. In questi casi tuttavia le somme impiegate e le garanzie prestate debbono essere contenute nei limiti degli utili distribuibili regolarmente accertati e delle riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancio regolarmente approvato Si ha inoltre il divieto per la società controllata di acquistare azioni della società controllante. In caso di violazione di tale divieto, i titoli si considerano sottoscritti (e pertanto devono essere liberati) dagli amministratori della controllata che non dimostrino di essere esenti da colpa. Anche chiunque abbia sottoscritto in nome proprio ma per conto della controllata le azioni della controllante, è considerato a tutti gli effetti sottoscrittore per conto proprio, ferma la responsabilità degli amministratori della controllata. Il divieto non è assoluto ma tale operazione è possibile solo qualora sia rispettato l’obbligo di alienazione entro l’anno, pena annullamento dei titoli. Le limitazioni di legge non si applicano agli acquisti a titolo gratuito, derivanti da successione, scissione o originati da esecuzione forzata.

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11. L’AUMENTO DI CAPITALE Il valore del capitale sociale non è destinato a mutare nel tempo, tranne nel caso in cui si dia luogo ad operazioni di incremento di capitale (e quindi i soci incrementino il proprio apporto) o qualora il capitale si riduca per effetto delle perdite odi rimborsi anticipati. L’aumento di capitale può aver luogo in via gratuita o onerosa. L’aumento a titolo gratuito, si ha quando si imputino a capitale le riserve disponibili e gli altri fondi disponibili iscritti in bilancio. A tale forma di incremento non si accompagna un incremento patrimoniale ma si tratta di un incremento nominale (non reale), giustificato dalla presenza in misura eccessiva di riserve. Questa forma di incremento si può realizzare in due modi: assegnando nuove azioni gratuitamente agli azionisti oppure incrementando il valore nominale delle azioni già possedute. L’aumento a titolo oneroso, è invece un incremento reale in quanto comporta l’effettuazione di nuovi conferimenti, al quale corrisponde l’emissione di nuove azioni. L’incremento è possibile solo se le azioni emesse in precedenza sono state integralmente liberate; in caso di violazione di tale divieto l’operazione resta valida ma risponderanno in solido gli amministratori. All’atto della sottoscrizione di tali azioni, deve essere versato almeno il 25% del valore nominale delle nuove azioni, fatta eccezione per i conferimenti in natura (che seguono il regime delle stime) o la sottoscrizione da parte del socio unico, che deve essere liberata integralmente. Inoltre, deve essere immediatamente versato l’eventuale sopraprezzo, ovvero il surplus di valore rispetto a quello nominale, destinato ad incrementare il valore del patrimonio sociale (e non del capitale). Il diritto di sottoscrivere le nuove azioni spetta innanzitutto ai soci preesistenti che possono avere interesse a mantenere invariata la propria partecipazione (intesa come percentuale di capitale sociale). Le azioni di nuova emissione sono quindi offerte in opzione ai soci, in proporzione al numero di azioni già possedute. L’offerta deve essere pubblicata presso il registro delle imprese e resa nota con una pubblicazione sul sito della società Per l’esercizio dell’opzione deve essere concesso un termine non inferiore a quindici giorni dalla pubblicazione dell’offerta. Coloro che si avvalgono del diritto di opzione, hanno diritto di prelazione nell’acquisto delle azioni che fossero rimaste inoptate. Qualora vi siano dei diritti di opzione non esercitati, le azioni possono essere vendute sul mercato regolamentato. Il diritto di opzione dei soci è soggetto a delle limitazioni. • non spetta per le azioni di nuova emissione che debbano essere liberate mediante conferimenti in natura. • Nelle società quotate lo statuto può escludere il diritto di opzione nei limiti del 10% del capitale sociale preesistente • Può essere escluso o limitato dalla stessa deliberazione di aumento del capitale laddove l’operazione sia finalizzata all’ingresso di nuovi soci. La decisione di escludere il diritto di opzione deve essere illustrata dagli amministratori con un apposita relazione da presentarsi in assemblea nel quale risultino le ragioni di tale esclusione; tale documento deve essere verificato anche dal collegio sindacale o dal revisore dei conti.

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L’esclusione del diritto di opzione è inoltre la conseguenza naturale dell’emissione di azioni ai fini della sottoscrizione da parte dei dipendenti.

L’aumento di capitale si traduce in una modifica dell’atto costitutivo e la sua deliberazione compete all’assemblea ordinaria. L’art. 2443 cc permette allo statuto o al successivo atto di modifica, di attribuire agli amministratori la facoltà di incrementare il capitale in più tranche, entro 5 anni ed entro un importo prestabilito. Nei trenta giorni successivi all’avvenuta sottoscrizione delle nuove azioni gli amministratori devono depositare per l’iscrizione nel registro delle imprese la delibera di incremento del capitale; prima dell’espletamento di tale formalità non è possibile menzionare l’operazione negli atti della società. L’art. 2349 cc dispone che l’aumento deve essere concretamente eseguito; inoltre dispone che in assenza di integrale sottoscrizione entro il termine prefissato, il capitale si considera accresciuto solo di un importo pari alle sottoscrizioni effettivamente raccolte, solo quando la deliberazione ammetta la possibilità di dar corso ad un incremento parziale. Quando invece la sottoscrizione non è totale, spetta alla società a stabilire se la copertura raggiunta sia ugualmente utile o se l'omesso raggiungimento dell'obiettivo vanifichi l'intera operazione. 12. LA RIDUZIONE DEL CAPITALE Il capitale sociale può essere modificato anche a seguito di una sua riduzione, che consegue all'esuberanza degli apporti dei soci o alla verificazione di perdite. Si ha una riduzione volontaria quando i conferimenti originariamente promessi si rivelino sovrabbondanti rispetto alle reali esigenze della società, il che può indurre a deliberare il parziale rimborso dell'investimento. L'operazione può aver luogo sia per mezzo della liberazione dall'obbligo dei versamenti ancora dovuti sia con il parziale rimborso di quelli già effettuati. Nelle società quotate che abbiano acquistato azioni proprie, la riduzione deve essere effettuata con modalità tali che titoli eventualmente posseduti dopo l'operazione non eccedano la quinta parte del capitale. Al fine di salvaguardare le aspettative di soddisfacimento dei creditori, la deliberazione di riduzione del capitale può essere eseguita soltanto trascorsi 90 giorni dall'iscrizione nel registro delle imprese e a condizione che entro questo termine nessun creditore anteriore abbia esperito opposizione. In caso di opposizione occorre attendere l'esito del giudizio: il tribunale può ritenere infondato il pericolo di pregiudizio per i creditori oppure ritenere idonea la garanzia eventualmente prestata dalla società per il disfacimento del creditore e quindi autorizzare l'operazione nonostante l'opposizione. La riduzione del capitale su base volontaria è connessa all'emissione delle azioni di godimento: possono essere attribuite ai soci che vedano rimborsate le proprie azioni ordinarie al valore nominale (per esempio attraverso l’estrazione dei soci da rimborsare). Tali azioni vengono attribuite al fine di “compensare” gli effetti del rimborso anticipato che preclude la partecipazione del socio ai successivi risultati della società. Le azioni di godimento non attribuiscono diritto di voto ma il solo diritto agli utili. Ulteriore ipotesi di riduzione del capitale è la riduzione a causa di perdite. L’art. 2446 dispone che qualora il capitale sia diminuito di oltre un terzo a causa di perdite, gli amministratori (e qualora essi restino inerti, il collegio sindacale) devono convocare l’assemblea straordinaria per presentare la situazione patrimoniale della società e decidere se procedere immediatamente ad una riduzione di capitale o rinviare ogni determinazione all’esercizio successivo.

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Se entro l’esercizio successivo le perdite non si sono ridotte a meno di un terzo, l’assemblea ordinaria che approva il nuovo bilancio deve provvedere immediatamente alla riduzione del capitale in proporzione alle perdite accertate. In difetto di tale deliberazione, gli amministratori devono chiedere l’intervento del tribunale che sentito il pubblico ministero disporrà la riduzione. Qualora per effetto delle perdite il capitale si riduca al di sotto del minimo legale, non è possibile il rinvio all’esercizio successivo, gli amministratori devono immediatamente deliberare la riduzione del capitale ed il contestuale aumento ad una cifra non inferiore al minimo. In alternativa ciò può costituire una causa di scioglimento della società, a meno che questa non decida per la trasformazione in una società a responsabilità limitata (con minimo legale inferiore) o in una società personale (per cui non si ha minimo legale). 13. LE OBBLIGAZIONI Le obbligazioni costituiscono un titolo di credito che può essere emesso esclusivamente dalla società per azioni, a fronte dell’acquisizione di risorse a debito. Ciò che l'obbligazionista versa alla società all'atto della sottoscrizione del titolo, non costituisce conferimento bensì un finanziamento che non concorre alla formazione del capitale. La società rileveranno nel proprio attivo patrimoniale le somme ricevute dal collocamento dei titoli e nel passivo patrimoniale il debito verso gli obbligazionisti. L'obbligazionista, in quanto creditore della società, ha diritto di ottenere da essa, alla scadenza pattuita, la restituzione dell'ammontare versato maggiorato del concordato tasso di interesse. Il rimborso del capitale è sempre dovuto mentre la remunerazione può variare in dipendenza di parametri obiettivi; per questo motivo si parla anche di obbligazioni indicizzate in quanto la remunerazione può variare in base all’andamento della società, dei tassi valutari, degli indici di borsa ecc.. Le obbligazioni in quanto titoli di credito consentono un agevole circolazione e quindi il sottoscrittore è libero di allenarle prima della scadenza del prestito, con la possibilità di rientrare anticipatamente in proprietà dell'investimento, pur sacrificando almeno una parte della remunerazione pattuita alla scadenza. La decisione di emissione di obbligazioni compete agli amministratori ma il verbale di deliberazione deve essere redatto da un notaio ed iscritto nel registro delle imprese. L'emissione di obbligazioni è assoggettata a precisi limiti quantitativi posti in primo luogo a garanzia della capacità di rimborso; il complessivo importo dei titoli non deve eccedere il doppio del capitale sociale della riserva legale e delle riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancio approvato. Tali limitazioni non si applicano alle obbligazioni destinate agli investitori professionali, come le banche e gli intermediari finanziari, atteso che questi dispongono di strumenti tecnici e competenze tali da effettuare una adeguata valutazione della capacità, attuale e prospettica, di rimborso della società, Tale deroga non pregiudica chi acquisisce tali titoli in quanto l'intermediario che li abbia sottoscritti risponde della solvenza della società nei confronti di quei compratori che siano sprovvisti della qualifica di investitore professionale. Il limite non sussiste nemmeno in relazione alle obbligazioni assistite da ipoteca di primo grado su immobili di proprietà della società, fino a due terzi del valore dei cespiti. Tale garanzia reale viene ritenuta di per sé idonea ad assicurare il rimborso. Anche qualora ricorrano particolari ragioni di interesse economico nazionale la società può essere autorizzata dall'autorità governativa ad emettere obbligazioni per una somma superiore al parametro legale, con l’osservanza delle prescrizioni, della modalità ed alle cautele stabilite nel relativo provvedimento.

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La società che abbia emesso obbligazioni non può procedere alla riduzione volontaria del capitale sociale o a distribuire riserve, se ciò determini la violazione del parametro legale, tenuto conto dell'ammontare dei titoli in circolazione. Quando invece il capitale sociale sia ridotto a causa di perdite non riassorbite nell'esercizio successivo, la riduzione non può essere impedita ma scatta il divieto di distribuire utili sino a che l’ammontare di capitale e riserve legale e disponibili non torni ad eguagliare la metà delle obbligazioni in circolazione. Agli obbligazionisti non spettano gli stessi diritti amministrativi degli azionisti ma hanno il diritto di partecipare all'assemblea degli obbligazionisti. Tale assemblea delibera in merito alla costituzione di un fondo per le spese necessarie alla tutela degli interessi comuni e sul relativo rendiconto, sulla nomina e sulla revoca del rappresentante comune, degli ulteriori questioni di interesse comune degli obbligazionisti e soprattutto sulle modificazioni delle condizioni di prestito. L'assemblea può essere convocata ogni volta si renda necessario dal rappresentante comune e dagli amministratori ed ogni qualvolta ne sia fatta richiesta da obbligazionisti che rappresentino almeno il ventesimo dei titoli emessi e non estinti. Le deliberazioni sono iscritte nel registro delle imprese. Il rappresentante comune può essere indifferentemente un obbligazionista o un terzo e possono essere nominate anche le persone giuridiche autorizzate all'esercizio dei servizi di investimento o le società fiduciarie; è fatto divieto di ricoprire tale posizione agli amministratori,ai sindaci, ai dipendenti della società debitrice. La nomina del rappresentante comune è obbligatoria tanto che se non viene indicato dall'assemblea, chiamata altresì a fissarne compenso, vi provvede il tribunale su domanda di uno o più obbligazionisti o degli amministratori. Entro 30 giorni dalla notizia della nomina il rappresentante comune deve chiedere l'iscrizione al Registro delle Imprese; la sua carica dura per un periodo non superiore a tre esercizi sociali e può essere rieletto. Il rappresentante Comune deve provvedere all'esecuzione delle deliberazioni dell'assemblea degli obbligazionisti, tutelare gli interessi nei rapporti con la società e partecipare alle operazioni di sorteggio delle obbligazioni da rimborsare; inoltre ha il diritto di assistere all'assemblea dei soci e detiene la rappresentanza processuale degli obbligazionisti. 14. LE OBBLIGAZIONI CONVERTIBILI IN AZIONI Le obbligazioni convertibili costituiscono una particolare categoria di titoli di debito che attribuiscono al sottoscrittore, in aggiunta ai diritti tipici delle obbligazioni, la facoltà di optare, entro una determinata scadenza, per la trasformazione del finanziamento erogato alla società in un conferimento, che consegue alla conversione delle obbligazioni in azioni. La decisione sull' emissione delle obbligazioni convertibili spetta all'assemblea straordinaria che deve definire il rapporto di cambio tra obbligazioni ed azioni, oltre al periodo ed alle modalità della conversione. La conversione delle obbligazioni in azioni presuppone un immediato aumento di capitale, per un ammontare corrispondente a quelle delle azioni da attribuire in conversione. Lo statuto o una sua successiva modificazione possono attribuire agli amministratori il compito di emettere in una o più volte obbligazioni convertibili, in un periodo di tempo massimo di 5 anni dall’iscrizione della società o della modifica nel registro delle imprese. In merito alle modalità della eventuale conversione, la legge stabilisce che nel primo mese di ciascun semestre gli amministratori provvedono all'emissione delle azioni spettanti agli obbligazionisti che l'abbiano chiesta nel semestre precedente. Entro il mese successivo gli amministratori devono depositare per l'iscrizione nel registro delle imprese un'attestazione dell'aumento del capitale sociale. Fino a quando non siano scaduti i termini fissati per la conversione, la società non può deliberare una riduzione volontaria del capitale sociale né la modificazione delle disposizioni dello Statuto riguardanti la ripartizione degli utili, salvo che ai possessori di obbligazioni convertibili sia data la

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facoltà di esercitare il diritto di conversione nel termine di trenta giorni dalla pubblicazione di tale atto. 15. GLI STRUMENTI FINANZIARI PARTECIPATIVI La società allo scopo di reperire risorse aggiuntive funzionali allo svolgimento della propria attività, puoi mettere strumenti finanziari partecipativi. Questi strumenti possono essere emessi anche a fronte di apporti d'opera o di servizi, da parte di soci o di terzi, e contengono dei diritti patrimoniali ed eventualmente anche amministrativi ma è sempre escluso il voto nell'assemblea generale degli azionisti. Possono eventualmente essere dotati di diritto di voto su argomenti specificatamente indicati e può anche essere riservata loro la nomina di un componente indipendente del Consiglio di Amministrazione o del consiglio di sorveglianza o di un sindaco. Lo statuto regola le modalità e le condizioni dell'emissione, i diritti che si conferiscono, le sanzioni nell'eventualità di inadempimento alle prestazioni e ove ammesso la circolazione. L'art 2349 stabilisce che l'assemblea straordinaria posso assegnare ai dipendenti della società o di società controllate strumenti finanziari; a questi si applicano le stesse regole degli strumenti offerti soci o a terzi. Possono essere previste norme particolari con riguardo alle condizioni di esercizio dei diritti attribuiti, al trasferimento e alle eventuali clausole di decadenza o di riscatto. 16. I PATRIMONI DESTINATI A SINGOLI AFFARI La legge consente che, a seguito di deliberazione degli amministratori (art. 2447 ter c.c.), vengono costituiti uno o più patrimoni destinati ad uno specifico affare, per un ammontare complessivamente non superiore al 10% del patrimonio netto. È possibile quindi costituire patrimoni separati, ciascuno caratterizzato dal vincolo di destinazione in via esclusiva ad un preciso affare. In alternativa è possibile stipulare un contratto di finanziamento destinato a sovvenzionare una specifica operazione, pattuendo con il mutante che il rimborso del prestito intervenga attraverso i proventi dell'operazione stessa. La finalità di questa norma, frutto della riforma societaria del 2003, è quella di invogliare gli investimenti, anche settoriali, senza far gravare il rischio sull'intero patrimonio sociale. La costituzione del patrimonio destinato diviene efficace soltanto una volta che siano trascorsi 60 giorni dalla sua iscrizione nel registro delle imprese; in questo lasso di tempo i creditori che si ritengano pregiudicati dall'operazione possono esperire opposizione. Solo decorso tale termine senza che vi sia alcuna opposizione, i creditori della società non possono più far valere alcun diritto sul patrimonio destinato allo specifico affare, nè sui proventi da esso derivanti, fatta eccezione per quelli che competono la società. Per i debiti contratti in relazione allo specifico affare, la società risponde nei limiti del patrimonio ad esso destinato, ferma restando la responsabilità illimitata della società per le obbligazioni derivanti da fatto illecito. La costituzione di un patrimonio destinato impone la società di avere una contabilità separata con il conseguente obbligo di tenere appositi libri e scritture contabili, di effettuare distinte distinzioni in bilancio; inoltre, una volta che l'affare viene realizzato, gli amministratori devono redigere un rendiconto finale il quale, accompagnato dalla relazione dei sindaci e dei revisori dei conti, va depositato presso il Registro delle Imprese.

CAPITOLO III - La s.p.a.: organizzazione corporativa 1. LA GOVERNANCE DELLE SOCIETA’ AZIONARIE La società per azioni è un tipo societario storicamente pensato per la grande impresa che fa ricorso al mercato, mediante il coinvolgimento nell'iniziativa di un numero indeterminato di investitori che mettono a disposizione una parte della propria ricchezza, ed il cui assetto amministrativo è

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governato da regole rigide ed è imperniato sulla presenza inderogabile di organi fra i quali sono ripartite le funzioni di organizzazione, di gestione e di controllo. Attraverso l'articolazione del governo societario in organi e l'adozione di meccanismi di decisione formali, si vuole evitare che uno o pochi soci possano abusare della loro posizione a danno del patrimonio sociale, così da arrecare pregiudizio ai creditori ed al mercato. Oggi il quadro è molto mutato, infatti attraverso la riforma societaria del 2003, è stata ripensata la funzione stessa della società di capitali, non più come solo polo aggregativo di investimenti di una pluralità di soci, bensì anche come variante del modello classico di esercizio individuale di impresa, caratterizzato però dal riconoscimento della responsabilità limitata. Infatti ora è ammessa anche la spa unipersonale, nella quale il socio può assumere anche le funzioni gestorie nominandosi amministratore, avendo l'obbligo di pubblicizzare lo statuto di società per azioni unipersonale nel registro delle imprese e di pubblicizzare i contratti tra società e unico socio, nonché l’obbligo di liberare interamente i conferimenti all’atto della sottoscrizione del contratto sociale. Pertanto è stato superata la concezione della società per azioni come modello organizzativo riservato alla grande impresa. Il vantaggio della limitazione della responsabilità e l'assenza di filtri all'ingresso, come la previsione di un numero minimo di soci o l'imposizione di un capitale minimo elevato, hanno spinto molte piccole imprese di stampo familiare ad adottare la forma azionaria. Inoltre, con la riforma societaria del 2003, è stato ridotto il capitale minimo legale della spa in € 50.000, allo scopo di favorire un maggior ricorso a questo tipo societario. Parallelamente, l'evoluzione dei mercati finanziari, ha portato ad una progressiva divaricazione tra il modello della società per azioni costituita da uno o pochi soci tendenzialmente legati da vincoli familiari o di conoscenza reciproca (c.d. società chiusa) e la società per azioni che si rivolge al pubblico (c.d. società aperta), mediante emissione di titoli negoziati sui mercati regolamentati (società quotata) oppure con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante. La società aperta è caratterizzata da un complesso sistema di regole articolato su più livelli (normativa europea, legislazione interna, regolamentazione delle autorità di vigilanza, codice di autodisciplina ecc): regole fortemente inderogabili in quanto destinati a proteggere interessi di rilevanza pubblica. Al contrario, nelle società chiuse, anche se all'interno di un quadro contrassegnato da un numero minimo di regole inderogabili, è lasciato maggior spazio all'autonomia privata nella configurazione del modello di governance. Pertanto la governance delle società per azioni è il risultato di un complesso bilanciamento tra i diversi e contrapposti interessi delle parti in gioco: soci di maggioranza,soci di minoranza, creditori, amministratori, terzi in genere e dipendenti.

2. GLI ORGANI SOCIALI DELLA S.P.A. L'organizzazione interna della società per azioni si articola storicamente in tre organi: l'assemblea, l'organo amministrativo e il collegio sindacale. • L'assemblea riunisce tutti i titolari di partecipazioni azionarie oppure, nelle c.d. assemblee speciali, soltanto i titolari di singole categorie di azioni. All'assemblea spettano determinate competenze decisorie inerenti l'organizzazione della società e la gestione dell'impresa • l'organo amministrativo è formato da uno o più componenti nominati dall'assemblea, cui spettano i compiti di gestione imprenditoriale e di attuazione delle decisioni. • il collegio sindacale ha funzioni di controllo di legalità e di controllo contabile. • è invece è facoltativa la designazione di un revisore dei conti, incaricato del controllo contabile. Con la riforma societaria del 2003, sono stati introdotti due sistemi alternativi di amministrazione e di controllo: il sistema monistico ed il sistema dualistico.

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nel sistema monistico, affianco all'assemblea, che mantiene le medesime competenze previste nel modello tradizionale, è presente soltanto l'organo amministrativo necessariamente pluripersonale (quindi in forma di collegio di amministrazione ), al cui interno è designato un comitato per il controllo sulla gestione, i cui compiti ricalcano in buona misura quelli del collegio sindacale. • nel sistema dualistico invece sono presenti gli organi di amministrazione e controllo, che prendono il nome di consiglio di sorveglianza e consiglio di gestione ma l'assemblea subisce un forte ridimensionamento del proprio ruolo, cedendo al consiglio di sorveglianza la competenza sulla nomina e sulla revoca del consiglio di gestione, sia la competenza dell'approvazione del bilancio di esercizio. Sia nel caso di adozione del sistema monistico che nel caso di adozione di quello dualistico, è sempre obbligatoria la nomina di un revisore incaricato del controllo contabile.

3. L’ASSEMBLEA: NOZIONE, TASSONOMIE E COMPETENZE L'assemblea è l'organo sociale che riunisce i soci ed è presente in tutti e tre i sistemi di amministrazione e controllo che la società può adottare. L'assemblea non è una riunione chiusa e riservata soltanto i soci ma vi partecipano gli amministratori (che la convocano e vi partecipano e spesso uno di loro la presiede); in caso di usufrutto, pegno e sequestro all'assemblea partecipano all'usufruttuario, il creditore pignoratizio e il custode; in caso di comproprietà sulle azioni vi partecipa il rappresentante comune; inoltre vi possono partecipare anche il rappresentante comune degli obbligazionisti; infine, vi partecipa anche il segretario verbalizzante (che può essere un soggetto esterno). Talvolta accade che, nelle società quotate, all'assemblea assistano, con l'assenso dei soci, anche giornalisti, analisti ed esperti, seppure in sale separate e collegate mediante sistemi di comunicazione a distanza. L'assemblea è un organo collegiale che opera secondo il principio maggioritario; la riunione deve svolgersi in un luogo fisico presso il quale devono convenire tutti i partecipanti in modo tale che vi possa essere la discussione e la votazione. E’ consentita anche la partecipazione a distanza mediante collegamento almeno telefonico ed inoltre il voto mezzo posta o in via elettronica (voto per corrispondenza). Le deliberazioni prese in conformità alla legge e dallo statuto vincolano tutti i soci, anche quelli dissenzienti, quelli assenti e quelli astenuti dal voto. E’ chiamata assemblea generale quella alla quale possono partecipare tutti i soci che abbiano diritto di voto; sono di contro assemblee speciali quelle che riuniscono soltanto singole categorie di azionisti o di titolari di strumenti finanziari con diritti amministrativi. La partecipazione all'assemblea è circoscritta ai soli soci che abbiano diritto di voto; non possono partecipare gli azionisti titolari di azioni senza diritto di voto e quelli titolari di azioni con voto limitato potranno partecipare soltanto quando è in discussione una materia sulla quale hanno diritto di voto. L’assemblea generale viene distinta dalla legge in ordinaria oppure straordinaria, sulla base della materia in discussione. L'assemblea ordinaria ha competenza generale, cioè delibera su qualsiasi decisione riservata ai soci, che non debba espressamente essere decisa in sede straordinaria. L'art 2364 cc elenca le competenze dell'assemblea ordinaria; tale elencazione ha un valore solamente esemplificativo. Le decisioni affidate dalla legge all'assemblea ordinaria sono: • l'approvazione del bilancio annuale di esercizio • nomina e revoca degli amministratori • nomina e revoca del collegio sindacale, del suo presidente e del soggetto incaricato di effettuare la revisione legale dei conti

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• • • •

la determinazione del compenso degli amministratori e dei sindaci deliberazioni sulle responsabilità degli amministratori o dei sindaci autorizzazioni eventualmente richieste dallo statuto per il compimento degli atti degli amministratori approvazione dell'eventuale regolamento dei lavori assembleari all'assemblea straordinari

All’assemblea straordinaria, spettano alcune decisioni che il legislatore ritiene di maggior delicatezza rilevanza tanto da richiedere quorum deliberativi più elevati e l'adozione di formalità particolari, quali la verbalizzazione notarile. Le competenze dell'assemblea straordinaria sono: • modifiche statutarie ivi inclusi gli aumenti e le riduzioni del capitale • messa in liquidazione della società • nomina e revoca dei poteri dei liquidatori • emissioni di obbligazioni convertibili in azioni • autorizzazione ad erogare prestiti o rilasciare garanzie soci o terzi per l'acquisto o la sottoscrizione di azioni della società • l'assemblea straordinaria è inoltre competente per ogni altra decisione che sia espressamente attribuita dalla legge: dove manchi esplicita riserva a favore della assemblea straordinaria, la decisione spetta all’assemblea ordinaria. Lo statuto può riservare i soci il potere di autorizzare atti gestori ma si ritiene vietata l'attribuzione all'assemblea di vere e proprie competenze ulteriori rispetto a quelle stabilite dalla legge, fatta eccezione per l'emissione di obbligazioni non convertibili. Invece, è consentito delegare all'organo amministrativo particolari decisioni che spettano all'assemblea straordinaria mentre è da escludere la liceità dello spostamento delle competenze fra le due forme ordinaria e straordinaria di assemblea.

4. PROFILI PROCEDIMENTALI Il codice si preoccupa di regolare le fasi che portano all’assunzione della deliberazione da parte dell'assemblea: 1. convocazione 2. insediamento (costituzione dell'assemblea) 3. trattazione (illustrazione della materia, interventi dei soci, discussione) 4. votazione (deliberazione e proclamazione degli esiti) 5. verbalizzazione. Il rispetto delle regole procedurali è il presupposto della validità della deliberazione: l’omissione o la violazioni dei precetti che presidiano il procedimento assembleare legittimano l'impugnazione della deliberazione per domandarne la declaratoria di invalidità, nella forma più lieve dell'annullamento o nella forma più grave della nullità. Non si ha alcuna deroga alla disciplina assembleare quando tutte le azioni appartengono ad un solo socio: egli dovrà quindi essere convocato o convocarsi ove sia anche amministratore, votare (ovviamente all’unanimità), nel rispetto di tutte le regole. Infatti, il procedimento assembleare è finalizzato, oltre che proteggere legittimi diritti dei soci, anche a consentire l'eventuale dialettica con l'organo amministrativo ed assicurare adeguata informazione all'esterno, nonché trasparenza in ordine alle decisioni residenze essenziali, anche quando tutto il potere è racchiuso nelle mani di un solo soggetto, il quale potrebbe più facilmente abusare dello schema societario e della correlata a responsabilità limitata a danno dei creditori.

5. CONVOCAZIONE DELL’ASSEMBLEA

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La convocazione rappresenta la fase di avvio dell’assemblea ed ha la funzione di informare, della riunione e di ciò che sarà discusso, tutti coloro che hanno il diritto di parteciparvi. La convocazione dell'assemblea compete all'organo amministrativo, sia esso formato da un solo componente ( amministratore unico) oppure da più componenti. Il potere di convocazione dell'assemblea può essere attribuito anche ad uno dei suoi componenti, come il presidente dell'organo amministrativo ovvero all'amministratore delegato. La decisione di convocare l'assemblea è generalmente discrezionale ma non è arbitraria nel senso che compete all'organo amministrativo valutare l'opportunità dell'iniziativa in base i principi di buona fede, correttezza e diligenza. Solo in alcuni casi la convocazione dell'assemblea è obbligatoria: una volta all'anno per l'approvazione del bilancio entro 120 giorni dalla chiusura dell'esercizio, prorogabili in 180 quando la società redige il bilancio consolidato oppure quando lo richiedono particolari esigenze relative alla struttura e all'oggetto della società. Inoltre la convocazione è obbligatoria quando sia richiesta dai soci ma purché ricorrano tre condizioni: • che i richiedenti rappresentino almeno un decimo del capitale sociale (o misura inferiore fissata dallo statuto) • che nella richiesta siano individuati gli argomenti da trattare • che su tali argomenti l'assemblea non deliberi per legge, su proposta degli amministratori o sulla base di una relazione o di un progetto da essi predisposto: nel caso per esempio dell'aumento di capitale con esclusione del diritto di opzione ovvero la fusione o la scissione. Gli altri casi di obbligatorietà sono previsti dalla legge,per esempio quando cessino dalla carica la maggioranza degli amministratori oppure sussista una perdita di capitale superiore ad un terzo. L'obbligo di convocazione grava sugli amministratori, che potranno rifiutarsi solamente se ricorra un giustificato motivo; in caso di loro inerzia è onere dell'organo di controllo provvedervi e qualora neppure quest'ultimo provveda, i soci potranno rivolgersi al tribunale che può ordinare la convocazione dell'assemblea designando la persona chiamata presiederla. La convocazione si sostanzia in una comunicazione scritta che deve essere pubblicata in almeno un quotidiano indicato dallo statuto e, qualora tale indicazione manchi, nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica almeno 15 giorni prima della data fissata per la riunione. Considerati gli elevati costi della pubblicazione, la riforma del diritto societario del 2003 ha permesso ai soci di optare per un sistema più agile, consistente nella trasmissione personale a ciascun socio di un avviso di convocazione tramite mezzi che garantiscano la prova dell'avvenuto ricevimento, almeno 8 giorni prima della data fissata per la riunione. La comunicazione deve contenere alcune essenziali informazioni : dati identificativi della società, data, ora, e luogo dell'adunanza e l'elenco delle materie da trattare (c.d. ordine del giorno). L’art. 2369 c.c. prescrive che, qualora all’assemblea non si presenti un numero di soci che rappresenti almeno la percentuale minima del capitale necessaria per la convocazione, gli amministratori devono provvedere entro 30 giorni ad una nuova convocazione (in tal caso il preavviso per la comunicazione è pari a 8 giorni). Il codice richiede che i mezzi di trasmissione dell'avviso di convocazione siano idonei a dar prova dell'avvenuto ricevimento: ciò è consentito dall'uso della raccomandata con avviso di ricevimento, dalla PEC, la consegna a mano con firma per ricevuta o la notifica a mezzo ufficiale giudiziario. In merito all'ordine del giorno, è opinione diffusa che possa anche non essere dettagliato, a condizione che consenta al socio in modo inequivocabile di comprendere l'argomento di cui si dovrà trattare in assemblea; per contro non è consentito ricorrere espressioni come "varie ed eventuali" che lascino un certo grado di indeterminatezza circa il contenuto dell'ordine del giorno. La legge considera un vizio grave la mancanza o l'irregolarità della convocazione ma vi ammette alcune eccezioni. Una di queste ricorre quando alla riunione partecipano tutti i soci di

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persona o per delega e la maggioranza dei componenti degli organi di amministrazione e controllo: si parla di assemblea totalitaria. In questo caso l'Assemblea può discutere e deliberare su qualsiasi argomento ma ciascun socio ha sempre diritto di opporsi, dichiarando di non ritenersi sufficientemente informato. se vengono assunte delle deliberazioni, occorre dare tempestiva notizia ai componenti degli organi di amministrazione e controllo assenti, così da metterli in condizioni di poter adempiere ai loro doveri, incluso quello di promuovere eventuali impugnazioni delle delibere, ove viziate.

6. L’INSEDIAMENTO I soci che vogliono prendere parte all'assemblea devono convergere nel luogo indicato per la riunione; può trattarsi dalla sede sociale o di altro luogo nel territorio comunale (spesso gli statuti autorizzano gli amministratori a convocarla in altro luogo predefinito). La legge pone come unico limite quello dell'abuso del diritto in quanto si potrebbe opinare la convocazione dell'assemblea in un luogo difficile da raggiungere, volto ad impedire la partecipazione di alcuni azionisti "scomodi". Incaricato dell'apertura dei lavori dell'assemblea è il presidente dell'assemblea, il quale opera direttamente o più spesso per mezzo di delegati. L'art. 2371 cc affida allo statuto la designazione del presidente dell'assemblea; nella prassi tale compito è attribuito al presidente dell'organo amministrativo ovvero l'amministratore delegato oppure ancora ad un altro soggetto, come il presidente onorario della società. Nulla peraltro vieta che lo statuto contenga anche un indicazione nominativa invece che l'indicazione di una carica. In difetto di designazione statutaria o in assenza del designato, spetta alla maggioranza dei presenti la nomina di colui che presiederà l'assemblea. Il presidente dell'assemblea ha un ruolo cardine nella procedura assembleare: verifica la regolarità della costituzione, accerta l'identità e la legittimazione dei presenti sia a partecipare che a votare, verifica il regolare svolgimento dell'assemblea e l'ordine di trattazione degli argomenti, concede e toglie la parola ai soci che vogliono intervenire, governa la votazione, il tutto in rispetto dell’eventuale regolamento che sia stato adottato dall’assemblea. Il presidente è affiancato un segretario che cura la redazione del verbale; nel caso che in cui si tratti di un'assemblea straordinaria, non occorre la presenza del segretario perché il verbale viene redatto dal notaio. La legittimazione a partecipare all'assemblea è circoscritto dalla legge a coloro i quali spetta il diritto di voto; tale legittimazione spetta: • innanzitutto agli azionisti • ai titolari di strumenti finanziari • ad un soggetto diverso dal titolare delle azioni: al creditore pignoratizio, all'usufruttuario, al custode dei titoli sequestrati oppure al non socio che intervenga quale rappresentante comune dei comproprietari dell'azione Non ha diritto a partecipare all'assemblea chi sia titolare di azioni senza diritto di voto ovvero con voto limitato ad argomenti diversi da quelli in discussione. E’ invece ammesso il socio temporaneamente privo del diritto di voto, in quanto tali azioni sono incluse nel computo dei quorum costitutivo: è il caso del socio in mora con il versamento dei decimi oppure delle azioni proprie. La prova della legittimazione di chi chiede accesso all'assemblea dipende dal sistema di circolazione delle azioni prescelto dalla società: • se le azioni sono immerse in un sistema di gestione accentrata (obbligatorio per le quotate) le cui azioni sono dematerializzate spetta all'intermediario presso cui sono registrate comunicare la società i nominativi dei soggetti legittimati all'intervento • se la società non ha emesso azioni, è sufficiente che il socio si presenti in assemblea e la verifica della legittimazione è effettuata con riscontro sul libro dei soci

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se invece le azioni sono rappresentate da titoli cartacei, il socio deve presentare il titolo ma lo statuto può prevedere il deposito preventivo. Attraverso la verifica della legittimazione dei presenti viene determinato il numero di azioni intervenute nella riunione. Non è sufficiente che un numero determinato di persone converga nel luogo prefissato poiché vi sia un assemblea della società: occorre infatti che i soci presenti siano titolari, nel complesso, di una percentuale minima di capitale definita "quorum costitutivo". Il quorum costitutivo è diverso per tipo di società (aperta/chiusa), per natura dell'assemblea (ordinaria/straordinaria), per ordine della convocazione (prima/seconda convocazione). Nelle società chiuse, il quorum costitutivo dell'assemblea ordinaria in prima convocazione è pari alla metà del capitale sociale mentre in seconda convocazione essa è costituita qualunque sia la parte del capitale rappresentata (quindi non è previsto un quorum costitutivo). Per l'assemblea straordinaria in prima convocazione non è indicato un quorum costitutivo ma questo si ricava in via indiretta dal fatto che per poter deliberare occorre il voto favorevole di più della metà del capitale sociale. In seconda convocazione, l'assemblea straordinaria è regolarmente costituita con la presenza di oltre un terzo del capitale (33%+1). Ai fini del computo del quorum si tiene conto anche delle azioni temporaneamente prive del diritto di voto ma non di quelle senza diritto di voto o con voto limitato ad azioni diverse da quelle in discussione. 7. LA TRATTAZIONE Terminate le operazioni preliminari l'assemblea si svolge attraverso la trattazione dei singoli punti all'ordine del giorno, che non deve necessariamente avvenire secondo la sequenza fissata nell'avviso di convocazione. Il presidente, gli amministratori o anche i sindaci, intervengono per illustrare l'argomento in trattazione, eventualmente accompagnando l'intervento con una relazione scritta, obbligatoria solo in taluni casi, come l'aumento di capitale con esclusione del diritto di opzione. Solo ai soci spetta il diritto di intervenire per esprimere opinioni o chiedere delucidazioni; spetta al presidente il compito di moderare e condurre la riunione. Se una parte dei soci che rappresentino almeno un terzo del capitale presente dichiari di non ritenersi sufficientemente informato, può domandare che l'assemblea sia rinviata ma non oltre 5 giorni; tale diritto può essere esercitato una sola volta per ciascun punto all'ordine del giorno. La sospensione ed il rinvio della seduta può essere anche richiesta dalla maggioranza.

8. VOTAZIONE (DELIBERAZIONE E PROCLAMAZIONE) Terminata la discussione assembleare il presidente dichiara chiusa l'assemblea e chiama i soci ad esprimere il proprio voto sulla proposta di delibera. Nelle società per azioni vige il principio plutocratico in virtù del quale il socio esprime tanti voti quanti sono le azioni di cui dispone, salvo il caso di titolarità di azioni senza voto o con voto multiplo, nel qual caso occorrerà computare tutti i voti di cui il socio disponga. Il voto non avviene a scrutinio segreto in quanto si ha l'obbligo che il verbale consenta l'identificazione dei soci favorevoli, contrari e astenuti. E' lasciata all'autonomia statutaria o alla decisione del presidente la scelta delle modalità (per alzata di mano, mediante scheda ecc..). Di regola il socio vota in modo unitario ma è possibile anche il voto divergente ovvero la possibilità che il socio diversifichi il voto, esprimendosi a favore con un certo numero di azioni e votando contro o astenendosi con altre. Tema molto discusso riguarda la posizione del socio in conflitto di interessi: è possibile che uno o più soci possano trovarsi ad avere una posizione contrastante, inconciliabile o comunque diversa da quella della società stessa.

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Per esempio, in caso di deliberazione sulla responsabilità di un amministratore che sia anche socio, è chiaro che quest'ultimo non potrà serenamente votare nell'interesse della società e contro se stesso. Per questo motivo, l’art. 2373 c.c. vieta al socio-amministratore di votare riguardo alla propria responsabilità. La deliberazione assunta con il voto determinante (ovvero che abbia consentito il raggiungimento della maggioranza richiesta per la deliberazione) di soci in conflitto di interessi con la società, qualora questa possa subire un pregiudizio, sono impugnabili. Situazione particolare è quella in cui la decisione sia assunta al solo ed esclusivo fine di danneggiare alcuni soci ma senza pregiudicare l'interesse sociale: l'esempio classico è l'aumento di capitale diretto ad annacquare la partecipazione di un socio "scomodo" che non abbia risorse per sottoscrivere nuove azioni. In questo caso si applicano i principi generali dei contratti ed in particolare la clausola della buona fede; si ritiene dunque che in questi casi la deliberazione possa essere impugnata dal socio pregiudicato per la violazione di legge e quindi annullata. È possibile che ad assumere condotte abusive a danno degli altri soci sia anche la minoranza, qualora ostacoli sistematicamente l'assunzione di determinate deliberazioni, al solo fine di trarre un vantaggio personale. Anche in questo caso i soci potranno far valere l'abuso partito ma non chiedendo al tribunale l'annullamento della deliberazione che non c'è stata, poiché rigettata, ma costituendo giudizialmente la deliberazione e chiedendo di ottenere un risarcimento del danno La maggioranza richiesta per l'approvazione delle delibere è denominata "quorum deliberativo" e si differenzia a seconda che l'assemblea sia ordinaria o straordinaria. • Per l'assemblea ordinaria il quorum deliberativo è pari, sia in prima che in seconda convocazione, alla maggioranza assoluta del capitale presente, escludendo dal computo le azioni per le quali il diritto di voto è temporaneamente sospeso e quelle del socio che abbia dichiararsi di astenersi per conflitto di interessi. Lo statuto non può ridurre il quorum ma è consentito innalzarli tranne che, in seconda convocazione per l'approvazione del bilancio e per la nomina degli amministratori, in quanto si accrescerebbe il rischio di paralisi gestionale. Inoltre, lo statuto non può innalzare i quorum fino all’unanimità o soglie tanto elevate da equivalere all’unanimità. • Per l’assemblea straordinaria, il quorum deliberativo in prima convocazione è pari alla maggioranza del capitale totale mentre in seconda convocazione è fissata due terzi del capitale presente. Per alcune decisioni di particolare importanza, il legislatore ha stabilito che, anche in seconda convocazione, si rispetti un quorum più elevato: • Più di un terzo del capitale per cambiamento dell'oggetto sociale, trasformazione, scioglimento, revoca della liquidazione, proroga del termine, emissione di azioni speciali con limitazioni sul diritto di voto. • Più di un terzo del capitale totale e il consenso dei soci che assumono responsabilità illimitata per la trasformazione regressiva cioè da società per azioni in società di persone • due terzi del capitale totale per introduzione o soppressione di una clausola compromissoria cioè di una clausola con la quale si sottraggono le liti societarie alla competenza del tribunale delle imprese per affidarle ad arbitri privati • due terzi del capitale totale, oltre il consenso dei soci che assumono responsabilità illimitata, per la trasformazione c.d. eterogenea, da società per azioni in ente o struttura diversi da una società. Anche in questo caso non si computano le azioni temporaneamente prive del diritto di voto e quelle del socio astenuto per conflitto di interessi. Lo statuto può elevare i quorum richiesti, purché nel limite del divieto dell'unanimità.

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Terminata la votazione, il presidente accerta e proclama gli esiti, comunicando le percentuali di voti favorevoli, contrari, astenuti e non votanti. La deliberazione così assunta vincola tutti i soci, anche coloro che non vi abbiano dato consenso, in rispetto del principio maggioritario.

9. VERBALIZZAZIONE Le deliberazioni della società devono risultare da un verbale ma anche l'intero svolgersi della riunione deve essere indicato per iscritto, tenuto conto che molteplici profili procedurali costituiscono, qualora non rispettati, altrettante cause di invalidità della deliberazione. Il verbale deve riportare la data dell'assemblea, l'identità dei partecipanti ed il capitale rappresentato da ciascuno. Deve inoltre dal conto dell'andamento della discussione, sia pure in modo non analitico e completo: è infatti sufficiente riassumere le dichiarazioni dei soci, purché questi lo richiedano e purché siano pertinenti all'ordine del giorno. Il verbale deve inoltre indicare le modalità della votazione il risultato delle votazioni e deve consentire l'identificazione dei soci favorevoli, astenuti o dissenzienti. La redazione del verbale affidata ad un segretario, che spesso viene scelto fra i dipendenti, i collaboratori o consulenti della società oppure fra i soci stessi. L'assistenza di un segretario non è richiesto nella assemblea straordinaria in quanto la verbalizzazione è per legge affidata ad un notaio. La redazione del verbale non deve essere necessariamente contestuale alla riunione purché non vi siano ingiustificati ritardi e il documento sia comunque predisposto in tempo utile per l'esecuzione degli obblighi di deposito di pubblicazione.

10. LE FORME DI PARTECIPAZIONE INDIRETTA È consentito al socio di prendere parte all'assemblea anche se assenti fisicamente dalla sala. Infatti, lo sviluppo delle nuove tecnologie, ha reso sempre più agevole ed accessibile a tutte le società il ricorso alla teleconferenza con collegamento audio-video, mediante il quale socio è messo in condizione di interagire integralmente con gli altri partecipanti, discutendo e votando. E' inoltre possibile che lo statuto preveda, come modalità di partecipazione, il voto per corrispondenza o in via elettronica (es. via mail). Ulteriore strumento di partecipazione indiretta all'assemblea è rappresentato dalla delega di voto, mediante cui il socio, se lo statuto non lo vieta, può incaricare un terzo (anche se non socio) a partecipare alla riunione dell'assemblea e ad esprimere il proprio voto. Tale delega: • deve essere conferita per iscritto • deve essere conservata agli atti della società • deve consentire di individuare il delegato (vi è il divieto della c.d. delega in bianco in cui non compare il nominativo del delegato) e l'assemblea per la quale è stata conferita • Non può essere rilasciata a società controllate ovvero ai componenti degli organi di amministrazione di controllo o ai dipendenti della società o di società controllate • se la società è qualificabile ente di interesse pubblico, la delega non può essere rilasciata al revisore o alla società di revisione • la delega non può essere rilasciata ad una stessa persona da più di venti soci se la società è chiusa ovvero da cinquanta o da cento se la società ha titoli diffusi (ma non quotata) ed il capitale non supera, rispettivamente, i cinque o venticinque milioni; da duecento soci se il capitale supera i 25 milioni. • La delega è sempre revocabile

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• • • •

Può consentire la subdelega ovvero la facoltà del delegato di rilasciare la delega ad un terzo che deve essere indicato nella delega La delega può essere generale ovvero valida per più assemblee Se riferita ad una sola assemblea, si intende riferita anche alle convocazioni successive alla prima può contenere istruzioni di voto alle quali il delegato è tenuto ad attenersi; in caso contrario, ferma la validità del voto espresso, il delegante potrò agire nei suoi confronti per ottenere il risarcimento del danno.

11. LE ASSEMBLEE SPECIALI: NATURA, FUNZIONE, DISCIPLINA L'assemblea speciale costituisce lo strumento mediante il quale la legge intende assicurare protezione gli interessi degli azionisti e dei titolari di strumenti finanziari di ciascuna categoria del rischio. L’assemblea speciale consente quindi di non subire l'imposizione di decisioni pregiudizievoli senza poter interloquire, ad esempio, perché impossibilitati a partecipare e votare nell'assemblea generale ( si pensi ad esempio alla categoria di azioni senza diritto di voto). L’art. 2376 c.c. dispone che le decisioni dell'assemblea generale che pregiudichino i diritti di una categoria di azioni o di strumenti finanziari, devono essere approvate anche dall’assemblea speciale della categoria pregiudicata. Nella prassi, si preferisce far precedere alla riunione dell’assemblea generale quella dell’assemblea speciale, così da predeterminare, a monte, le condizioni di efficacia delle deliberazioni della prima; nulla però vieta che accada il contrario. In ogni caso, se la delibera dell’assemblea generale non viene approvata da quella speciale, questa non è efficace e quindi non può produrre effetti. La disposizione dell’art. 2376 riguarda le soli decisioni dell’assemblea “pregiudizievoli” per una determinata categoria di azioni; tale pregiudizio non è quello che riguarda tutte le categorie indistintamente, essendo da escludersi anche il “pregiudizio di fatto” ovvero il riflesso di una decisione che non modifica i diritti della categoria. Il meccanismo di protezione della categoria scatta solo in presenza di un "pregiudizio di diritto" ovvero che, in modo diretto o indiretto, modifichi in senso peggiorativo i diritti della categoria ( si pensi alla creazione di una nuova categoria di azioni dotate di un privilegio maggiore rispetto alle altre categorie). L'art. 2376 assimila l'assemblea speciale alla assemblea straordinaria: convocazione, quorum costitutivi e deliberativi, verbalizzazione notarile, sono pertanto disciplinati nei termini già descritti, fermo che all’assemblea speciale potranno partecipare e votare soltanto gli azionisti della categoria interessata (anche quelli titolari di azioni prive di diritto di voto, poiché ciò incide solo nell’assemblea generale).

12. INVALIDITA’ DELLE DELIBERE ASSEMBLEARI La riforma del diritto societario del 2003, in tema di invalidità delle delibere assembleari, ha ribadito il binomio annullabilità/nullità, propria dei contratti. Inoltre, tale riforma, ha perseguito l’obiettivo di rafforzamento della stabilità degli atti societari, attraverso: • la rimodulazione delle fattispecie di invalidità, degradando alcuni vizi a mere irregolarità; • la restrizione dell'area di operatività dei rimedi reali e demolitori, cioè la nullità e l'annullamento, a favore di un’estensione dei rimedi risarcitori, mediante l'imposizione di un requisito di possesso minimo azionario per promuovere il giudizio di annullamento; • previsione di un termine di decadenza anche per le delibere nulle, altrimenti imprescrittibili; • la fissazione di un regime speciale di decadenza per alcune deliberazioni

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l'ampliamento degli spazi di ravvedimento operoso, attraverso la sostituibilità della deliberazione viziata con un'altra priva di vizi o la loro sanatoria

Invece, l'inefficacia non riguarda un vizio che determina l'invalidità della deliberazione, bensì semplicemente uno stato giuridico che comporta l'incapacità della deliberazione, anche qualora sia stata validamente assunta, di produrre i propri effetti. Un esempio tipico è rappresentato dalla delibera che pregiudichi i diritti di una categoria di azioni, la cui efficacia è subordinata alla conforme delibera dell'assemblea speciale. Nulla vieta che la delibera stessa disponga che essa abbia efficacia solo al verificarsi di un determinato evento (ipotesi di condizioni sospensiva) ovvero a partire da un certo termine (ipotesi di termine iniziale).

13. (SEGUE) NULLITA’ ED ANNULLABILITA’ DELLE DELIBERAZIONI L’art. 2377 dispone che le deliberazioni vincolano tutti i soci e la società, qualora assunte in conformità alla legge ed allo statuto. Qualsiasi difformità o violazione le rende invalide: salvo i quattro casi di più grave sanzione della nullità, i soci che non abbiano votato a favore (assenti, dissenzienti, astenuti, non votanti) e che posseggano anche congiuntamente almeno il 5% del capitale, nonché l'organo amministrativo o l'organo di controllo (ma non i suoi singoli componenti, salvo pregiudizio diretto) possono domandarne l'annullamento oltre che il risarcimento dell'eventuale danno patito mediante un’impugnazione. Tra i soggetti legittimati per l’impugnazione, non sono compresi i soci privi del diritto di voto nella deliberazione in oggetto né i terzi né i creditori. Inoltre la legittimazione viene meno qualora, durante il processo, gli impugnanti trasferiscano le proprie azioni per atto tra vivi e restino titolari di un quantitativo inferiore alla soglia minima, salvo che l'acquirente non li affianchi intervenendo nel giudizio. Il termine per proporre l'impugnazione è fissato in 90 giorni dalla data della deliberazione opero dal suo deposito e iscrizione nel registro delle imprese, qualora successivo. Decorso questo termine non potrà più essere impugnata l'eventuale vizio si considera sanato Sono solamente quattro i vizi che possono condurre alla sanzione della nullità della deliberazione: - la mancanza del verbale; - la mancanza della convocazione; - illiceità dell’oggetto della delibera: quando esso sia contrario a norme imperative che proteggano interessi generali, all’ordine pubblico ed al buon costume – è inoltre nulla la delibera su materia illecita (come l’approvazione del bilancio falso) - impossibilità dell’oggetto della delibera: è l’impossibilità materiale (es. acquisto di un bene indisponibile). Chiunque dimostri di avere interesse, è legittimato a far valere la nullità della deliberazione attraverso un procedimento giudiziario di suo accertamento. Inoltre il vizio è rilevabile dal giudice d'ufficio ovvero senza che sia stata formulata una specifica domanda. Non può però impugnare la deliberazione per mancata convocazione il socio che abbia dato il proprio assenso allo svolgimento dell'assemblea. Inoltre, l'impugnazione per nullità del bilancio sul quale revisore abbia espresso un giudizio positivo senza rilievi può essere proposta soltanto da tanti soci che rappresentino almeno il 5% del capitale; se la società è quotata, la stessa regola vale anche per il caso di giudizio positivo con rilievi.

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La nullità non può essere fatta valere, con conseguente sanatoria della deliberazione viziata, dopo tre anni dalla data di deliberazione ovvero dalla data di deposito ed iscrizione nel registro delle imprese. Solo nel caso di delibera con oggetto illecito opera la regola generale di imprescrittibilità della nullità e quindi può essere sempre proposta l'impugnazione: si tratta della deliberazione che modifichi la clausola statutaria dell'oggetto sociale, prevedendo un'attività illecita o impossibile. Anche le delibere delle assemblee speciali sono soggette al medesimo regime di impugnabilità per la nullità o per annullamento ma la percentuale di possesso minimo di azioni richieste si computa sul totale delle azioni di categoria e non sul capitale. L'impugnazione consiste in un processo giudiziario civile di fronte al tribunale delle imprese competente per sede della società o, se previsto dallo statuto, di fronte ad un organo arbitrale composto da uno o più arbitri. Il procedimento inizia con un atto di citazione indirizzato alla società e si chiude con un provvedimento decisorio oppure un lodo arbitrale che deve essere iscritto presso il registro delle imprese. L'impugnante può anche domandare con ricorso, che il giudice o l'organo arbitrale deliberino immediatamente la sospensione dell'efficacia della deliberazione (misura cautelare). In questo caso il giudice deve valutare comparativamente l'interesse del socio in termini di irreparabilità del pregiudizio che patirebbe dall’esecuzione della deliberazione e quello della società se non potesse eseguirla. La sentenza o il lodo arbitrale che pronunciano l'annullamento o la dichiarazione di nullità della delibera sono immediatamente efficaci e vincolano la società e tutti i soci, La sentenza/lodo devono essere iscritti nel registro delle imprese a cura dell'organo amministrativo, al quale spetta anche di prendere ogni altro provvedimento conseguente alla pronuncia. Se la deliberazione è già stata eseguita, gli amministratori dovranno assumere le opportune iniziative per ripristinare la situazione precedente, per quanto possibile; un ripristino che potrebbe non essere completo qualora terzi, in buona fede, abbiano acquisito diritti per effetto dell'esecuzione che non possono essere pregiudicati.

14. LA CONTRAZIONE DELL’AREA DI INVALIDITA’: MERA IRREGOLARITA’, RISARCIMENTO DEL DANNO E SOSTITUZIONE DELLA DELIBERA VIZIATA. Con la riforma del diritto societario del 2003, il legislatore ha degradato alcuni casi di invalidità a mera irregolarità. Pertanto, non sono sanzionabili con impugnazione, alcune difformità che in passato erano considerate causa di nullità o annullabilità. Tali vizi sono: - la partecipazione o il voto di soggetti non legittimati, quando le loro azioni non sono stati determinanti per la formazione di quorum costitutivi e deliberativi; - l'erroneo conteggio dei voti, se irrilevante ai fini del quorum deliberativo; - le lacune e le anomalie del verbale quando esso contenga la data e l'oggetto della deliberazione, si riesca ad accertarne il contenuto, gli effetti e la validità e sia firmato da chi lo ha presieduto in assemblea o dal presidente dell'organo amministrativo (o nel sistema dualistico, dal consiglio di sorveglianza o dal segretario o dal notaio); - le anomalie dell'avviso di convocazione, purché esso provenga da un componente dell'organo amministrativo o dell'organo di controllo e consenta a tutti i soggetti legittimati di essere informati preventivamente della convocazione e della data dell'assemblea.

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Un secondo intervento normativo ha condotto a differenziare il regime dell'invalidità di alcune particolari deliberazioni ovvero: • quelle di aumento e riduzione volontaria del capitale • emissione di obbligazioni • approvazione del bilancio: il bilancio non può essere impugnato quando sia stato approvato quello dell'esercizio successivo. Il termine triennale di decadenza dall'azione di nullità della deliberazione riguardante le altre operazioni è stato ridotto a 180 giorni dalla data di iscrizione nel registro delle imprese della delibera. Qualora la delibera sia viziata da mancanza di convocazione il termine per l'impugnazione è pari a 90 giorni dalla data di approvazione del bilancio relativo all'esercizio nel corso del quale la delibera è stata eseguita anche solo in parte. Se la società è quotata, la sanatoria è totale, quindi non è più neppure possibile l'impugnazione per annullamento non appena la riduzione venga eseguita anche in parte, ovvero sia scritta nel registro delle imprese l'attestazione di esecuzione, anche parziale,e dell' aumento dell' emissione delle obbligazioni. La riforma inoltre privilegiato alcuni meccanismi di ravvedimento operoso ovvero di sanatoria. La delibera può essere sempre sostituita da un'altra presa in conformità di legge e dello statuto, salvo solo il caso in cui il vizio riguardi il contenuto della deliberazione di oggetto illecito. L'impugnazione non può più essere proposta e, se già pendente il giudizio, prosegue eventualmente solo per la condanna di risarcimento del danno. La sostituzione della deliberazione non può pregiudicare i diritti acquisiti terzi, anche non in buona fede, per effetto dell' esecuzione della deliberazione sostituita. Infine, può essere sanata la deliberazione viziata per mancanza del verbale: è sufficiente che questo venga trascritto prima della successiva e la deliberazione sanata effetto dalla data in cui è stata assunta, salvo i diritti dei terzi che in buona fede la ignoravano.

15. LA DISCIPLINA DELLE ASSEMBLEE NELLE SOCIETA’ QUOTATE Le società quotate rappresentano contesti in cui la dialettica fra gli organi sociali, i meccanismi di controllo e bilanciamento fra la funzione di gestione ed alta direzione, delle dinamiche dei conflitti tra maggioranze e minoranze, assumono connotati fortemente differenziati rispetto alle società chiuse. Con l'emanazione del Testo unico della Finanza (T.U.F.- d.lgs. 58/1998), il legislatore ha emanato delle disposizioni finalizzate ad incentivare, favorire e premiare la partecipazione delle minoranze (ovvero dei c.d. azionisti minimi) in assemblea. Infatti la riunione assembleare rappresenta un fondamentale momento informativo ed è la principale occasione nella quale la società offre la possibilità ai soci di porre domande e ricevere risposte, nei limiti di quanto consentito a tutela della società. Per questo motivo il legislatore ha rafforzato le regole di disclosure ed imposto che determinate scelte siano rese note ai soci o approvate in assemblea. Riguardo alla fase pre-assembleare, il legislatore si preoccupa di garantire un'adeguata informazione ai soci in relazione allo svolgimento della riunione, sulle modalità di intervento nonché in relazione alle materie che saranno oggetto di discussione. Quanto alla convocazione, esige la pubblicazione dell'avviso sul sito internet della società almeno 30 giorni prima della data della riunione ma tale termine varia a seconda dell’oggetto della deliberazione.

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Contestualmente alla convocazione, gli amministratori devono predisporre e mettere a disposizione dei soci una relazione su ciascuna materia all'ordine del giorno e pubblicarla sul sito internet, unitamente ad altra documentazione rilevante. In occasione dell'approvazione del bilancio, la società è tenuta a pubblicare, 21 giorni prima della data dell'assemblea, la relazione finanziaria annuale, la relazione del revisore, la relazione sul governo societario e gli assetti proprietari, la relazione sulla remunerazione degli organi di amministrazione e controllo, dei direttori generali e dei dirigenti con responsabilità strategiche. Sono inoltre accresciuti i poteri delle minoranze: scende al 5% la quota azionaria necessaria per richiedere la convocazione, mentre la metà di tale percentuale è necessaria per richiedere l'integrazione dell'ordine del giorno o formulare nuove proposte di deliberazione, salvo che si tratti di materie sulle quali l'assemblea delibera, a norma di legge, su proposta dell'organo amministrativo. Infine, ciascun socio legittimato a votare può formulare proposte di deliberazione in assemblea ovvero porre domande alle quali la società è obbligata a rispondere. Sono diverse dalle società chiuse, anche le regole che governano il numero delle convocazioni ed i quorum costitutivi delle società quotate. L’assemblea si tiene in un'unica convocazione, salvo che lo statuto preveda diversamente; per l’assemblea ordinaria non è previsto un quorum costitutivo mentre per l’assemblea straordinaria è sufficiente la presenza di un quinto del capitale. Qualora siano consentite più convocazioni, l’assemblea straordinaria è costituita in prima convocazione da almeno la metà del capitale sociale o della maggior percentuale richiesta dallo statuto e, nelle convocazioni successive alla seconda da almeno un quinto del capitale. Se in prima convocazione l'assemblea non si riunisce, essa deve tenersi entro 30 giorni ed i termini per la nuova convocazione sono ridotti a 21 giorni. Variano anche i quorum deliberativi ma soltanto per l'assemblea straordinaria: non si applica la regola che prevede quorum rafforzati per alcune deliberazioni e la regola dei due terzi del capitale rappresentato in assemblea, prevista per la seconda convocazione,e viene estesa sia all'unica convocata che alle convocazioni successive alla seconda. Quanto alla fase di svolgimento della riunione: - ai fini della legittimazione alla partecipazione dei soci, è stato introdotto il sistema del c.d. record date che consiste nel “fotografare” la compagine sociale alla data del settimo giorno di mercato aperto antecedentemente all’assemblea, rendendo nulli eventuali trasferimenti di azioni intervenuti successivamente. Chi acquisisce le azioni nei 7 giorni prima dell’assemblea non potrà parteciparvi; solo se sussistono i presupposti quest’ultimo potrà recedere. - Alla gestione di questo meccanismo, provvede l'intermediario al quale il socio abbia conferito l'incarico di amministrazione dei titoli azionari, comunicando all'emittente, entro il terzo giorno di mercato aperto antecedente alla data dell'assemblea, il nominativo del socio ed il quantitativo di azioni di cui è titolare alla record date. Quanto alla partecipazione indiretta del socio, la delega può essere conferita solo in relazione alla partecipazione a singole assemblee e non a tempo indeterminato, salvo il caso di procura generale conferita da una società o altro ente collettivo. Ogni socio può indicare un singolo rappresentante, a meno che non sia titolare di azioni presso diversi intermediari. Non vi sono limiti nel numero di deleghe possono essere attribuite ad un singolo soggetto ed è consentito delegare anche alle società controllate o componenti degli organi di amministrazione e controllo, ai dipendenti della società o di società controllate.

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Non è invece consentito rilasciare delega alla società di revisione o al responsabile della revisione legale. Nella scelta del delegato il socio può avvalersi anche della figura del rappresentante designato, un soggetto incaricato e remunerato dalla società stessa ed incaricato a partecipare all'assemblea in rappresentanza dei soci che gli conferiranno delega con istruzioni di voto, anche in relazione a singoli punti dell'ordine del giorno. Il T.U.F. consente anche la sollecitazione di deleghe ovvero la possibilità che un promotore si rivolga alla generalità dei soci (e comunque ad almeno 200), illustrando la propria posizione in merito all’ordine del giorno e richiedendo il loro rilascio di deleghe per l’assemblea. La delega rilasciata al promotore è comunque personale, sempre revocabile e deve contenere istruzioni di voto vincolanti. La società quotata è tenuta a pubblicare entro 5 giorni, sul proprio sito internet, un rendiconto sintetico delle votazioni ed entro 30 giorni il verbale integrale. Quanto al regime di invalidità delle delibere, l'unica differenza rispetto alle società chiuse riguarda la soglia minima di possesso azionario richiesta per promuovere il giudizio di annullamento di una deliberazione che scende dal 5% all'uno per mille. Ai soci è data la facoltà di impugnare il bilancio consolidato, nonostante non sia oggetto di approvazione in assemblea, chiedendo al Tribunale di accertarne la conformità alle norme che ne disciplinano i criteri di redazione. Nelle società quotate, è vietata la creazione di azioni a voto plurimo ma quelle già esistenti al momento della quotazione conservano inalterati i loro diritti. La società non può procedere a nuove emissioni, salvo che per mantenere invariate le proporzioni fra categorie nei soli casi di fusione, scissione, aumento di capitale gratuito o a pagamento, offerte in opzione ai soci. Lo statuto può escludere questa possibilità ed optare per la maggiorazione del voto.

II L’ORGANO AMMINISTRATIVO

16. IL RUOLO DELL’ORGANO AMMINISTRATIVO L'art. 2380 c.c. dispone che all'organo amministrativo spetta in via esclusiva la gestione dell'impresa cioè il compimento di quel complesso coordinato di atti diretto al perseguimento degli obiettivi imprenditoriali fissati dallo statuto e dalla clausola dell'oggetto sociale. Il compito degli amministratori è molto più ampio in quanto si estende l'amministrazione della società cioè al compimento di qualsiasi atto che sia opportuno o necessario per l'ordinato funzionamento dell'ente. L'amministrazione delle società di persone spetta a tutti o ad alcuni soci in quanto è vietato designare un amministratore che sia estraneo alla compagine sociale. Invece, nella società per azioni, si ha una rigida separazione fra la funzione di amministratore, che può essere anche estraneo alla compagine sociale e la posizione del socio: al primo spetta in via esclusiva la gestione, senza alcuna interferenza da parte del secondo. La riforma del diritto societario del 2003 ha perseguito una filosofia di managerializzazione, testimoniata: - dall'affidamento esclusivo della gestione agli amministratori - dalla limitazione dell' ingerenza dei soci negli atti amministratori alle materie indicate nello statuto, solo sotto forma di autorizzazione - dallo spostamento all'organo amministrativo di materie tradizionalmente riservate ai soci Nonostante tale rafforzamento dei poteri dell'organo amministrativo, i soci non sono del tutto esclusi dalle decisioni gestorie ma invece sono spesso chiamati a pronunciarsi in merito.

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È pur vero che il coinvolgimento dei soci nella gestione non può mai tradursi in un escamotage dell'organo amministrativo per liberarsi dalla responsabilità verso la società. Infatti, qualsiasi decisione assembleare che investa la gestione, chiama comunque gli amministratori a valutarne, sotto propria responsabilità, l'esecuzione ed eventualmente a non procedere ove ritengano che possa arrecare danno alla società.

17. PROFILI SOGGETTIVI DEL RAPPORTO AMMINISTRATIVO L'organo amministrativo può essere composto da uno o più membri, indifferentemente soci o non soci, salvo che non sia diversamente disposto dallo statuto. Non tutti possono assumere la carica di amministratore, è infatti ineleggibile: • la persona fallita • la persona priva della capacità d'agire e cioè interdetta o inabilitata o condannata ad una pena detentiva che comporti l'interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici ovvero l'incapacità ad esercitare uffici direttivi. • È ineleggibile ad amministratore, per 12 mesi dopo la cessazione della carica, chi sia stato titolare di cariche di governo, se la società opera prevalentemente in settori connessi con la carica ricoperta. In questi casi, la delibera di nomina di amministratore consiste in una violazione di legge e pertanto è viziata da nullità. In altri casi sussiste una mera incompatibilità che non inficia la delibera di nomina ma determina un obbligo di optare per uno dei due incarichi a pena di decadenza: i deputati ed i senatori, i commissari della Consob, i pubblici dipendenti che, in difetto di rinuncia, decadono dalla funzione che svolgono. Inoltre non può essere amministratore chi è dipendente della società stessa, se a seguito della nomina venga meno il rapporto di subordinazione: è il caso del dipendente che viene proclamato amministratore unico in quanto diverrebbe datore di lavoro di se stesso. L'ineleggibilità e la decadenza colpiscono anche gli amministratori che siano privi degli eventuali requisiti richiesti anagrafici dallo statuto o privi dei requisiti di onorabilità, professionalità o indipendenza. La causa di ineleggibilità può essere anche determinata dalla legge: per esempio gli amministratori delle Sicav o delle società di gestione del risparmio, gli amministratori di banche e di imprese di assicurazione. Non si ha alcuna disposizione che permetta la nomina di amministratore di una persona giuridica (come invece si ha per le società di persone) ma si sono già verificati nella prassi alcuni casi di società di capitali amministrate da persone giuridiche. 18. PROFILI SOGGETTIVI DEL RAPPORTO AMMINISTRATIVO Gli amministratori sono nominati dall'assemblea generale dei soci: tale competenza è inderogabile e quindi non può essere mai sottratta ai soci. La norma presenta alcune limitate eccezioni: • I primi amministratori possono essere designati nell'atto costitutivo • lo statuto può attribuire ai titolari di strumenti finanziari il diritto di nominare un amministratore, dotato dei requisiti di indipendenza • nelle società non quotate partecipate dallo Stato o da enti pubblici, lo statuto può riservare ad essi il diritto di nominare un numero di amministratori proporzionale alla loro partecipazione azionaria. All'assemblea spetta inoltre la determinazione del numero degli amministratori, qualora non sia già fissato dallo statuto. Inoltre può essere riservata ai soci la scelta del presidente del consiglio di amministrazione, salvo che lo statuto non disponga diversamente.

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La nomina dell'amministratore non determina automaticamente l'assunzione della carica ma è previsto che quest'ultimo debba accettare l'incarico anche solo tacitamente. L'accettazione ha effetto immediato se sono già in carica la maggioranza degli amministratori, altrimenti è efficace solo dal momento in cui ha accettato la maggioranza degli amministratori. L'amministratore, una volta accettata la carica, deve provvedere entro 30 giorni all'iscrizione nel registro delle imprese della propria nomina, indicando, qualora l’organo sia pluripersonale, quali siano i soci dotati della rappresentanza. A seguito della pubblicità nel registro delle imprese, la società non può opporre ai terzi in buona fede eventuali vizi della nomina di amministratori dotati di potere di rappresentanza: non è quindi possibile per la società sottrarsi agli impegni assunti dell’amministratore che agisca in suo nome e conto, invocando l’invalidità della sua nomina. L’assemblea deve anche stabilire la durata della carica degli amministratori che non può mai superare i tre esercizi (intendendosi la data di approvazione del bilancio relativo all’ultimo dei tre esercizi della sua carica). Gli amministratori possono cessare dalla propria carica per naturale scadenza, per morte, decadenza, dimissioni, revoca. La cessazione della carica di un singolo amministratore, di norma, non ha alcuna ripercussione sull’organo amministrativo ma è possibile l’inserimento della clausola statutaria che preveda la cessazione automatica dell’organo amministrativo alla cessazione di solo uno di essi. Decadenza vi rientrano tutte le previsioni, di legge o di statuto, che determinano la cessazione dell’amministratore a seguito del verificarsi di un determinato evento (es. fusione o trasformazione della società, fallimento personale dell’amministratore) o il venir meno di un determinato requisito (es. privazione della capacità di agire) o per il verificarsi di una particolare condizione (es. raggiungimento del limite di età indicato dallo statuto). L’art. 2393 prevede la decadenza dell’amministratore in caso di azione di responsabilità deliberata con il voto favorevole di almeno un quinto del capitale. Dimissioni consistono in una dichiarazione unilaterale scritta di rinuncia alla carica, indirizzata alla società nella persona del presidente del consiglio di amministrazione o del presidente del collegio sindacale e agli altri amministratori. Revoca spetta all'assemblea generale in forma ordinaria deliberare la revoca degli amministratori. La deliberazione non deve essere motivata ma, se non sussiste giusta causa, l'amministratore revocato ha sempre il diritto al risarcimento del danno. Per giusta causa si intende qualsiasi condotta dell'amministratore che abbia determinato una violazione dei suoi doveri o abbia irrimediabilmente incrinato il rapporto fiduciario con i soci. Il potere di revoca non spetta sempre all'assemblea: gli amministratori nominati dallo Stato o da enti pubblici possono essere revocati soltanto da chi li ha designati. In caso di gravi irregolarità della gestione, il tribunale può disporre la revoca dell'organo amministrativo. La cessazione degli amministratori ha effetto immediato e determina l'obbligo di provvedere alla loro sostituzione. In alcuni casi, al solo fine di assicurare la continuazione degli atti di gestione, l'efficacia della cessazione è procrastinata e gli amministratori cessati restano ancora in carica. • In particolare, le dimissioni della maggioranza degli amministratori hanno effetto dal momento in cui viene ricostituita la maggioranza del consiglio, in seguito all'accettazione dei nuovi amministratori. • La cessazione degli amministratori per scadenza del termine ha effetto dal momento in cui il consiglio è stato ricostituito.

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Quanto alla procedura di sostituzione ricorrono tre distinte ipotesi: 1. Cessazione dell’intero organo cioè di tutti gli amministratori o dell’amministratore unico: dato che viene a mancare l'organo amministrativo, la legge affida eccezionalmente al collegio sindacale il potere gestorio, sia pure limitatamente agli atti di ordinaria gestione; il collegio sindacale ha il compito di convocare con urgenza l’assemblea dei soci per la nomina del nuovo organo amministrativo. 2. Cessi una minoranza degli amministratori: il consiglio provvede direttamente alla sostituzione del componente o dei componenti cessati, con il consenso del collegio sindacale (c.d. cooptazione) ma gli amministratori sostituiti restano in carica sino alla prima assemblea successiva, la quale dovrà provvedere alla nomina confermando o sostituendo il componente cooptato. 3. Cessi la maggioranza degli amministratori: Gli amministratori restanti devono convocare l'assemblea perché provveda alla sostituzione degli amministratori mancanti ed i nuovi amministratori scadono insieme a quelli già in carica al momento della loro nomina, salvo diversa disposizione statutaria. La cessazione degli amministratori per qualsiasi causa deve essere iscritta nel registro delle imprese entro 30 giorni ed a cura del collegio sindacale. Per quanto riguarda la remunerazione degli amministratori, il loro incarico si presume a titolo oneroso e spetta all'assemblea, ove non sia già stato previsto dallo statuto, la determinazione del compenso. I soci possono anche stabilire un importo complessivo per la remunerazione di tutti gli amministratori, inclusi quelli investiti di particolari cariche. Il compenso può essere costituito da denaro o dalla partecipazione agli utili o dall'attribuzione del diritto di sottoscrivere azioni di futura emissione a prezzo predeterminato.

19. COMPOSIZIONE E STRUTTURA DELL’ORGANO AMMINISTRATIVO Il numero degli amministratori può essere predeterminato dello statuto oppure scelto dai soci al momento della nomina. Gli amministratori possono essere uno o più di uno: nel primo caso si parla di amministratore unico, mentre nel secondo caso si costituisce il consiglio di amministrazione. Nel caso di amministratore unico, ad esso spettano tutti i poteri di organizzazione e gestione dell'impresa, oltre che di amministrazione nella società nel suo complesso e di rappresentanza legale dell'ente. Il Consiglio di Amministrazione è preceduto da un presidente eletto dall'assemblea o, in mancanza, nominato dal consiglio stesso tra i propri membri. Lo statuto può modificare i poteri del presidente ma non sopprimere tale figura. Il presidente può designare uno o più vicepresidenti e/o procedere alla nomina di un segretario. Il presidente svolge un'importante funzione di direzione e di coordinamento dei lavori del consiglio; deve convocare l’assemblea, fissando l’ordine del giorno e curando che ai singoli consiglieri siano fornite adeguate informazioni in merito alle materie discusse nella riunione. Può essere inoltre previsto che al presidente spetti la rappresentanza legale della società e la presidenza delle assemblee. Il Consiglio di Amministrazione opera sempre collegialmente, il che significa che non sono previste forme di amministrazione congiunta o disgiunta come nelle società di persone o le srl. L'assunzione di qualsiasi decisione esige l'adozione di un procedimento deliberativo articolato allo stesso modo di quello dell'assemblea generale (convocazione, insediamento, trattazione e votazione). Della convocazione si occupa il presidente - eventualmente su sollecitazione degli altri amministratori o dei sindaci - mediante la trasmissione ad ogni amministratore ed a ciascun

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sindaco (che ha l’obbligo di presenziare alla riunione, pena decadenza dalla sua carica) un avviso contenente data, luogo e ora della riunione nonché l'ordine del giorno. La legge non stabilisce alcun termine per la trasmissione dell’avviso ma questo deve essere sufficiente a consentire ad ogni componente di essere tempestivamente informato sulla riunione e sugli argomenti da trattare. I componenti dell'organo amministrativo devono intervenire personalmente alla riunione senza possibilità di ricorrere alla rappresentanza per delega; è invece consentita la partecipazione mediante mezzi di telecomunicazione. Spetta al presidente la verifica della legittimazione dei presenti e del raggiungimento del quorum costitutivo, che la legge fissa nella maggioranza assoluta degli amministratori in carica, salvo che lo statuto non richieda un quorum più elevato. Al termine della trattazione di ciascun punto all'ordine del giorno, il Presidente mette ai voti la richiesta di deliberazione e questa sarà approvata con il voto favorevole della maggioranza degli amministratori presenti. Qualora l'organo sia composto da un numero pari di voti, si attribuisce al presidente un voto doppio per evitare situazioni di stallo. E’ necessario redigere il verbale delle deliberazioni dell'organo amministrativo, il quale va inserito nel libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di amministrazione È consuetudine che il presidente nomini un segretario della riunione, al quale è affidato il compito di redigere il verbale Al fine di ridurre al minimo il rischio di incertezza circa la validità o meno delle delibere, il legislatore esclude il ricorso alla categoria della nullità ed assoggetta qualsiasi vizio della delibera del consiglio amministrativo alla annullabilità. L’impugnazione della delibera è proponibile entro 90 giorni e sono legittimati all’impugnazione solo i componenti del collegio sindacale e gli amministratori assenti e dissenzienti. Nel solo caso di impugnazione di delibera viziata per conflitto di interessi, sono legittimati ad agire anche gli amministratori che hanno votato a favore, se non sono stati adempiuti gli obblighi informativi sull'esistenza dell'interesse. Solo eccezionalmente è riconosciuto il diritto del socio ad impugnare la delibera ma solo quando essa leda i loro diritti soggettivi; l’impugnazione è consentita solo entro il termine di 90 giorni dal momento in cui abbiano preso conoscenza della delibera o la stessa sia stata pubblicata nel registro delle imprese. Sono fatti salvi i diritti acquisiti in esecuzione della deliberazione dai soli terzi in buona fede. 20. LA DELEGA DI COMPETENZE Il modello collegiale ha il sicuro pregio di consentire una maggiore ponderazione delle decisioni, attraverso il confronto e la discussione in contraddittorio fra i membri dell'organo amministrativo; esso soffre tuttavia del grosso limite di rendere lenta l'attività gestoria, che esige normalmente immediatezza e tempestività d'azione. Al fine di superare questo limite, si ha il meccanismo dell'amministrazione delegata, consistente nella facoltà da parte del consiglio di attribuire determinati poteri gestori a singoli amministratori, che prendono il nome di amministratori delegati (che formano il consiglio esecutivo). Il ricorso alla delega deve essere consentito dai soci mediante apposita clausola statutaria o con una deliberazione assembleare (di regola all'atto di nomina degli amministratori); spetta invece al consiglio stesso la designazione dei delegati e la loro remunerazione. E' lasciata all'autonomia organizzativa del consiglio, la determinazione del funzionamento degli organi delegati; in caso di nomina di un comitato esecutivo si potranno richiamare le disposizioni che governano il meccanismo collegiale ma non è preclusa la fissazione di regole più semplici e snelle. Il consiglio potrà prevedere anche che i delegati operino in modo disgiuntivo, eventualmente imponendo solo per le materie di maggiore delicatezza una decisione congiunta.

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Quanto al contenuto della delega, questa potrà riguardare singole e specifiche materie o aree operative oppure avere carattere generale ed estendersi al compimento di qualsiasi atto di ordinaria e straordinaria amministrazione. Alcune materie sono ritenute dalla legge di importanza rilevante, tanto che esigono sempre una decisione collegiale, non potendo mai essere delegate: la predisposizione di progetti di bilancio di esercizio, di fusione e di scissione, la deliberazioni di emissione azioni convertibili in azioni, gli adempimenti in caso di riduzione del capitale per perdite. A partire dalla riforma societaria del 2003, la delega gestoria non si esaurisce nella semplice facoltà di traslazione dei poteri ai delegati in quanto ha dato origine ad un nuovo modello organizzativo, diverso rispetto a quello incardinato sul metodo collegiale, che differenzia il ruolo e le responsabilità dei membri esecutivi rispetto a quelli “non esecutivi”. Tale modello accentra il potere gestorio diretto degli organi delegati, i quali divengono centro propulsore dell'esercizio dell'impresa collettiva e dell'amministrazione della società. Agli organi delegati è attribuito il compito di strutturare l'aspetto amministrativo, contabile ed organizzativo della società e curarne costantemente l'adeguatezza alla natura e alle dimensioni dell'impresa. Gli organi delegati hanno anche il compito di adottare modelli organizzativi idonei a prevenire i reati commessi dai suoi dirigenti apicali, e predisporre i piani strategici, industriali e finanziari della società. Al Consiglio di Amministrazione è invece riconosciuto un ruolo sovraordinato di supervisione e vigilanza in senso ampio sull'operato degli organi delegati che si articolano in: • il potere di revoca e modifica delle deleghe conferite • nella permanenza di un potere gestorio concorrente: la delega non priva il consiglio dei poteri attribuiti ai delegati, potendo indirizzare direttive vincolanti su qualsiasi questione inerente le materie delegate • nel dovere di valutare l'adeguatezza dell'assetto amministrativo, contabile ed organizzativo strutturato dai delegati • nel dovere di esaminare e quindi anche di approvare i piani strategici industriali e finanziari della società predisposti dai delegati • nel potere-dovere di controllo e valutazione del generale andamento della gestione. Un articolato sistema di obblighi e doveri informativi assicura un'appropriata circolazione delle informazioni all'interno dell'organo amministrativo (nonché verso altri soggetti titolari di funzioni di controllo): questo è un presupposto indispensabile per un efficace attività di vigilanza e supervisione. Gli organi delegati devono riferire al Consiglio di Amministrazione ed al collegio sindacale almeno ogni sei mesi sul generale andamento della gestione sulla sua prevedibile evoluzione, nonché sulle operazioni di maggior rilievo effettuate dalla società o da società controllate. Inoltre, sono imposti degli obblighi informativi specifici all'amministratore portatore di interessi in un operazione. Al presidente del Consiglio di Amministrazione è affidato il compito di assicurare che adeguate informazioni siano trasmesse a tutti i consiglieri. Ovviamente il consiglio non deve limitarsi a prendere atto passivamente delle informazioni ricevute e basare su di esse le attività di vigilanza e supervisione: ha il dovere di agire in modo informato e basarsi sulle decisioni ricevute dagli organi delegati al fine, se necessario, di attivarsi per chiedere a questi ultimi ulteriori informazioni, qualora quelle già fornite siano considerate contraddittorie, insufficienti o inattendibili.

21. I POTERI DEGLI AMMINISTRATORI

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Agli amministratori è affidato il compito di condurre l’attività economica esercitata dalla società (gestione di impresa) e quello di governo dell’ente. La gestione dell’impresa si concreta nello svolgimento di atti materiali o giuridici attinenti all'ordinario corso dell'attività economica, come l'acquisto delle materie prime o il semplice compimento di atti che assicurano il regolare funzionamento degli impianti, del settore o della catena produttiva. La gestione attiene anche agli atti di natura organizzativa dell'impresa e di alta gestione, che si collocano ad un livello sovraordinato e si concretano nella predisposizione e nella disciplina dell'attività propedeutica all'efficiente esercizio dell'impresa nei limiti fissati dall'atto costitutivo, attraverso la previsione delle attività che costituiscono l'oggetto sociale. Inoltre, la legge consente che al Consiglio di Amministrazione siano delegate, mediante apposita clausola statutaria, competenze tipiche dell'assemblea straordinaria su materie che investono la gestione (come la fusione o l'aumento di capitale. In merito alle attività di governo dell'ente, non è semplice delimitare il confine fra l'area di competenza degli amministratori e quella di competenza dei soci. Mentre agli amministratori è demandata una competenza attuativa ed esecutiva del contratto sociale, all'assemblea spetta principalmente il potere di modellare la struttura organizzativa, la conformazione della compagine sociale, le interrelazioni fra i soci e le rispettive posizioni corporative o patrimoniali. Pertanto, spetta all'organo amministrativo ogni attività inerente al funzionamento ordinario della società, come ad esempio tenere i libri sociali, curare i depositi e le iscrizioni richieste dalla legge, esigere il pagamento dei decimi dai soci, pagare i dividendi. All'esercizio delle funzioni amministrative è strumentale il potere di rappresentanza della società cioè di manifestare verso l'esterno la volontà sociale, compiendo atti giuridicamente rilevanti in nome dell'ente. Se la società opta per un organo amministrativo unipersonale, la rappresentanza legale spetta all'amministratore unico; quando invece vi siano più amministratori lo statuto ovvero la deliberazione di nomina deve indicare chi ha la rappresentanza e quali sono le modalità di esercizio. Solitamente la rappresentanza viene attribuita al Presidente del Consiglio, nonché a ciascun amministratore delegato ma limitatamente alle competenze che gli sono attribuite per delega. Il potere rappresentativo può essere esercitato in via disgiuntiva ma non è raro che, almeno per le operazioni di maggior rilievo, lo statuto preveda la firma congiunta. I limiti del potere di rappresentanza e la forma congiunta/disgiunta devono essere indicati al momento dell’iscrizione nel registro delle imprese. A seguito del recepimento della Prima direttiva CEE in materia societaria, il legislatore comunitario ha imposto, in nome della certezza e della stabilità degli atti, una regola di salvaguardia dei terzi che rende ad essi inopponibili pressoché tutte le limitazioni convenzionali dei poteri di rappresentanza. Le attuali disposizioni stabiliscono che: • non sono opponibili ai terzi in buona fede i vizi della deliberazione di nomina degli amministratori dotati di rappresentanza; • la società resta dunque vincolata dagli atti da essi compiuti, a meno che non dimostri che il terzo era a conoscenza dell' invalidità • il potere di rappresentanza attribuito agli amministratori è generale, cioè non limitato dall'oggetto sociale: l'amministratore impegna sempre la società anche quando compie un atto che esorbita da esso; • le eventuali limitazioni del potere di rappresentanza risultanti dallo statuto o da una decisione degli organi competenti, non sono mai opponibili ai terzi anche se pubblicate, salvo che la società provi che questi hanno agito intenzionalmente a danno della società

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(quindi deve provare in giudizio che vi sia stato un accordo fraudolento tra società e amministratore). I limiti alla rappresentanza soggetti alle regole sopra descritte sono: - i limiti legali cioè quelli fissati direttamente dalla legge - i limiti generali, come la clausola di firma congiunta per qualsiasi atto - i limiti derivanti dal difetto di un atto deliberativo (come il caso dell’amministratore che compie un operazione non prevista dal consiglio che ne ha competenza decisoria).

22. DOVERI DI COMPORTAMENTO DEGLI AMMINISTRATORI Gli amministratori sono tenuti al rispetto di determinati doveri e regole di condotta specificati dal codice, nonché dalle leggi speciali e normative secondarie, a seconda dello specifico settore in cui opera la società. Innanzitutto l'amministratore ha il dovere di agire con diligenza cioè con cura, attenzione ed adeguata ponderata e consapevolezza delle proprie azioni. La diligenza richiesta è la "diligenza professionale del buon amministratore", in ragione alle specifiche competenze, alle conoscenze e le capacità professionali individuali. Sull'amministratore grava il dovere di agire in modo informato, che si declina nell'obbligo di prendere diligentemente cognizione delle notizie ed informazioni provenienti dal Presidente del Consiglio di amministrazione, dagli amministratori delegati, dal collegio sindacale, dai preposti al controllo interno o alle varie funzioni aziendali. L'amministratore ha inoltre l'obbligo di chiedere informazioni, qualora quelle disponibili appaiano carenti, contraddittorie o inattendibili. L'amministratore ha il dovere di agire nell'interesse della società ma può tuttavia accadere che, in una determinata operazione, egli sia portatore di interessi diversi da quelli dall'ente. In passato vigeva il divieto, per l’amministratore in conflitto di interessi su una determinata operazione, di partecipare alla relativa decisione. La disciplina attuale si presenta innovativa sotto molti aspetti: - innanzitutto essa si applica anche quando l'amministratore sia portatore di un interesse, anche non confliggente con quello sociale, ma che potenzialmente potrebbe influenzare l'agire amministrativo; - l'amministratore non è più obbligato ad astenersi dalla decisione ma ha il dovere di informare la società - se l'organo amministrativo è unipersonale, l'amministratore unico può compiere l'operazione ma deve informare preventivamente il collegio sindacale ed i soci nella prima assemblea utile, specificando la natura, l'origine ed i termini del suo interesse. - qualora l'amministratore dia corso all'operazione privilegiando il proprio interesse, a discapito di quello sociale, la società potrà agire in giudizio per l'annullamento dell'atto o la condanna dell'amministratore al risarcimento del danno patito. - quando l'organo amministrativo è pluripersonale, la decisione sull'operazione spetta sempre al Consiglio, anche qualora rientri nelle materie attribuite l'amministratore delegato, che deve sempre astenersi dal compiere l'operazione La norma impone all’amministratore “interessato” di informare gli altri membri dell’organo ed il collegio sindacale della propria posizione, illustrando l’origine di tale conflitto di interessi e motivando la sua convenienza per la società dell’operazione in oggetto. Anche il consigliere “interessato” ha diritto di voto in merito alla decisione ma conformemente ai doveri che gli sono imposti, dovrà votare nell’interesse della società.

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Qualora il voto dell’amministratore interessato sia stato determinante dall’operazione da cui possa derivare pregiudizio per la società, la deliberazione potrà essere impugnata ed egli potrà essere condannato al risarcimento dei danni. La deliberazione potrà essere impugnata anche se vengono violati gli obblighi di trasparenza, cioè se l'amministratore interessato non abbia fornito le informazioni prescritte ovvero se dalla deliberazione non risultino le ragioni e la convenienza dell'operazione.

Divieto di concorrenza Gli amministratori hanno il divieto di esercitare, per conto proprio o di terzi, un'attività economica in concorrenza con la società, tanto direttamente quanto assumendo la qualità di socio illimitatamente responsabili o amministratore o direttore generale. La norma è derogabile dall'assemblea (solitamente nell'atto di nomina) può infatti autorizzare l'amministratore a svolgere una determinata attività in concorrenza o esonerarlo in via generale dal divieto. In caso di violazione del divieto, l'amministratore risponde dei danni che abbia provocato alla società e può essere revocato per giusta causa. L'amministratore ha un dovere di lealtà e fedeltà verso la società che consistono nell'obbligo di perseguire prioritariamente l'interesse sociale rispetto ad altri interessi personali o altrui; inoltre non può appropriarsi, a vantaggio proprio o di terzi, di dati, notizie o opportunità d’affari di cui abbia avuto notizia nello svolgimento del proprio incarico.

23. LE RESPONSABILITA’ DEGLI AMMINISTRATORI Nell’esercizio della propria funzione gestoria, gli amministratori possono andare incontro a responsabilità di natura civile o penale. La responsabilità penale discende dalla commissione di reati o illeciti amministrativi ed è disciplinata in parte dal codice ed in parte da molteplici leggi speciali (es. legge fallimentare). Quanto alla responsabilità sul piano civile, gli amministratori rispondono esclusivamente per i danni che cagionino nello svolgimento dell’attività amministrativa ma non sono mai responsabili delle obbligazioni sociali; dei debiti sociali risponde solo la società ed il suo patrimonio. Tre ipotesi di responsabilità civile: verso la società, verso i creditori sociali e verso chiunque patisca un pregiudizio a causa della condotta dolosa o colposa dell’amministratore. Il socio o il terzo che subisca un danno diretto al proprio patrimonio, in conseguenza di un atto illecito degli amministratori nell'esercizio delle proprie funzioni, potrà agire in giudizio contro costoro per ottenerne il ristoro (es. l’investitore indotto dall’amministratore a sottoscrivere le azioni sulla base di un bilancio falso). Occorre sottolineare che, anche il danno patito dalla società per effetto di un atto di mala gestio degli amministratori, rappresenta un danno per il socio nella misura in cui si traduca in una diminuzione del valore patrimoniale delle azioni; tuttavia si tratta di un pregiudizio che socio patisce in forma indiretta, in quanto conseguente al danno subito dalla società. In questo specifico caso, l'azione di responsabilità può essere fatta valere solamente dalla società. Sul piano della disciplina si richiamano i principi applicabili alla responsabilità aquiliana, in particolare in merito all'onere della prova: spetterà al danneggiato dimostrare il fatto illecito, la colpevolezza degli amministratori, il danno ingiusto ed il nesso di causalità tra evento e danno. L'azione di responsabilità si prescrive in 5 anni dal momento in cui il danneggiato ha conosciuto o avrebbe dovuto conoscere, con la diligenza ordinaria, l'evento dannoso.

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La responsabilità verso la società si fonda sul rapporto di amministrazione, nel senso che gli amministratori rispondono dei danni che la società subisce in conseguenza della violazione dei doveri generali e specifici ad essi imposti. Occorre sottolineare che sugli amministratori non grava un obbligazione di risultato: in altre parole essi non rispondono per il cattivo andamento o per i risultati negativi della società e infatti il giudice non può mai sindacare il merito alla gestione ovvero decidere se una certa operazione era o meno opportuna. Ciò che l'autorità giudiziaria può limitarsi a valutare il modo in cui gli amministratori hanno disimpegnato le loro funzioni (si parla allora di obbligazione di mezzi) se ci si sono attenuti alle regole di comportamento generale, al dovere di diligenza, al dovere di agire in modo informato, al divieto di concorrenza, gli obblighi in materia ad una specifica informazione e/o se non hanno adempiuto agli obblighi specifici dettati dalla legge o dallo statuto. La responsabilità degli amministratori è solidale, vale a dire che coinvolge tutti i componenti per l'intero danno conseguente alla violazione dei doveri ad essi imposti, a meno che non si tratti di attribuzioni proprie del comitato esecutivo o di funzioni in concreto attribuite ad uno o più amministratori. Tale responsabilità non è sempre collettiva ma deve essere sempre accertata individualmente, cioè tenendo conto nella posizione di ciascun amministratore. Per esempio, il consigliere privo di delega, non sarà responsabile per l'atto di mala gestio compiuto dall'amministratore delegato; egli però è tenuto a vigilare sull'operato dei delegati e ad agire in modo informato, sicché sarà responsabile in caso di omissione o negligenza nella vigilanza o qualora non si sia attivato per impedire il compimento di un atto di mala gestione o eliminarne o attenuarne le conseguenze. Inoltre ciascun amministratore può sempre dissociarsi dalle decisioni o dai comportamenti degli altri membri del consiglio che possono pregiudicare la società facendo annotare il proprio dissenso nel libro delle adunanze e delle deliberazioni ed inoltre dandone immediata notizia per iscritto al presidente del collegio sindacale. L’art. 2392 c.c. fa riferimento alle “funzioni concretamente attribuite”: secondo alcuni studiosi il legislatore riconosce con tale disposizione la responsabilità dell’amministratore di fatto ovvero colui che, primo di formale investitura assemblare, eserciti le funzioni gestorie in modo continuativo (ma tale formula è piuttosto dubbia). L’azione di responsabilità della società è soggetta al termine di prescrizione di 5 anni che inizia a decorrere dal momento della cessazione della carica dell’amministratore. La decisione di promuovere l'azione contro gli amministratori è affidata all'assemblea, con la specificazione che ove la deliberazione se approvata con il voto favorevole di almeno un quinto del capitale gli amministratori contro cui è proposta decadono d'ufficio e l'assemblea deve immediatamente sostituirli. In caso contrario, questi restano in carica e spetterà agli altri amministratori non incolpati ovvero i sindaci, se l'azione è proposta contro tutti gli amministratori, dare esercizio alla delibera proponendo l'azione in tribunale. L’assemblea può deliberare in merito all’azione di responsabilità in qualsiasi momento ed in occasione dell’approvazione del bilancio di esercizio anche qualora non sia all’ordine del giorno. L’azione di responsabilità vs. gli amministratori può essere anche proposta dal curatore fallimentare a seguito del fallimento della società. La legittimazione attiva è stata estesa anche alle minoranze azionarie; nelle società non quotate un quinto del capitale sociale o la diversa percentuale stabilita dallo statuto, ma non superiore al terzo, possono esercitare l'azione di responsabilità (dovendo però conservare la percentuale minima di azioni richiesta per tutta la durata del giudizio). Occorre puntualizzare che la minoranza azionaria non agisce per sè bensì nell'interesse della società ( si tratta unicamente di una sostituzione processuale), infatti la società deve essere evocata in giudizio e l'eventuale condanna al risarcimento è pronunciata a favore della società .

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La legittimazione attiva spetta anche al collegio sindacale, previa deliberazione a maggioranza dei due terzi dei suoi componenti. L'azione può essere oggetto di rinuncia o di transazione: la decisione motivata aspetta sempre all'assemblea, purché non ci sia il voto contrario di tanti soci che rappresentino il 20 per cento del capitale sociale; quando l'azione intrapresa dalla minoranza anche quest'ultima può rinunciare o transigere ma solo con riferimento alla lite in quanto non ha diritto al risarcimento, di cui è titolare unicamente la società (che è tenuta solo a rimborsare le spese legali anticipate dai soci). L'ultima fattispecie di responsabilità alla quale sono soggetti gli amministratori è rivolta a tutelare i creditori sociali. Infatti, gli amministratori, hanno tra i loro doveri specifici quello di preservare l'integrità del patrimonio sociale, che costituisce l'unica garanzia per i creditori. I presupposti dell'azione sono due: l'inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale; l'insufficienza del patrimonio alla soddisfazione dei creditori cioè l'esistenza di un saldo negativo fra attivo e passivo reale. L'azione può essere promossa anche da un singolo creditore; si prescrive in cinque anni dal giorno in cui i creditori hanno avuto cognizione o avrebbero dovuto averla con l’ordinaria diligenza. E’ dubbia la natura di questa azione, che deve essere qualificata come extracontrattuale, posto che gli amministratori rispondono per violazioni di obbligazioni specifiche assunte nei confronti della società e non dei creditori, che sono terzi rispetto ad essa. Si discute inoltre se l'azione sia autonoma o surrogatoria ma sembra corretta la prima alternativa, tenuto conto che i creditori possono agire liberamente e non soltanto in caso di inerzia della società. Inoltre pur essendo identico il termine prescrizionale, ne è diverso il momento di decorrenza poiché i creditori non devono attendere la cessazione dell'incarico dell'amministratore. Nonostante l'autonomia di tale azione, qualora gli amministratori siano già stati condannati, i creditori non potranno più agire in quanto nessuno può essere due volte condannato a risarcire lo stesso danno. Per contro, la rinuncia all'azione sociale da parte della società, non impedisce ai creditori di agire; l’ eventuale transazione della società, ove pregiudizievole per la loro posizione, può essere impugnata dai creditori mediante l'azione revocatoria, che consente di rendere inefficaci gli atti che pregiudichino la posizione del creditore. 24. IL DIRETTORE GENERALE Il direttore generale una figura peculiare dell'organigramma aziendale, in parte assimilabile all’ institore: egli è un dipendente di livello dirigenziale, quindi un lavoratore subordinato, ma investito di più o meno estese funzioni di alta direzione e di rappresentanza come gli amministratori, da cui dipende direttamente. La legge equipara il direttore generale agli amministratori sul piano della responsabilità civile e penale.

25. LA DISCIPLINA DELL’ORGANO AMMINISTRATIVO NELLE SOCIETA’ QUOTATE A partire dalla riforma societaria del 2003, ha preso avvio una stagione di riforme che, in parte per tutte le società ed in parte per quelle quotate, ha imposto regole sulla remunerazione, sulle operazioni in conflitto di interessi, sui flussi informativi e sulla trasparenza, la cui complessità è ulteriormente accresciuta dalla dettagliata normativa di attuazione affidata alle autorità di controllo (Ministeri, Consob, Banca d'Italia, Ivass). Questi interventi diretti a rafforzare il buon governo della società si accompagnano al Codice di Autodisciplina elaborato dalla Borsa Italiana.

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L'adesione al Codice di Autodisciplina è volontaria ma è imposto l’obbligo, a carico della società, di spiegare le ragioni della sua disapplicazione, così che il mercato possa “giudicare” il grado di adesione alle buone pratiche di governance. Di seguito si analizza la disciplina applicabile, in aggiunta alle regole già esaminate per tutte le società, alle sole società quotate. In merito alla composizione dell’organo, è imposta l’adozione del meccanismo del voto di lista, che consiste nella nomina di almeno un amministratore espressione della minoranze azionarie e la presenza di almeno un amministratore in possesso dei requisiti di indipendenza richiesti per i sindaci. E’ inoltre richiesto per tutti i componenti dell’organo amministrativo, il rispetto dei requisiti di onorabilità. E’ infine imposta l'indipendenza di un terzo dei consiglieri e comunque non meno di due. • All’amministratore indipendente è riconosciuto un ruolo rilevante: l'indipendenza e l'autonomia personale, familiare, economica e dai centri di interesse che gravitano attorno alla società, consente a questo componente, al quale non devono essere assegnate funzioni esecutive (cioè deleghe amministrative) di assolvere con la piena libertà di giudizio, i propri compiti di controllo e supervisione sull'operato dei delegati. • Il codice di autodisciplina raccomanda, qualora il presidente del Consiglio sia anche socio di controllo ovvero amministratore delegat, la nomina di un lead independent director, che lo aiuti nei compiti di coordinamento e di informazione che la legge gli assegna. • La presenza di un amministratore espressione delle liste di minoranza persegue l'obiettivo di favorire la ponderazione di interessi ulteriori rispetto a quelli della maggioranza, seppure vi è il rischio che si instauri una dialettica oppositiva e non cooperativa, che possa pregiudicare una gestione imprenditoriale efficace ed efficiente. • È previsto inoltre che all'interno del Consiglio sia rispettato l'equilibrio di genere, cioè che sia garantita un'adeguata rappresentanza sia maschile che femminile; il genere femminile deve ottenere quantomeno un terzo dei posti in Consiglio.

In merito alla remunerazione degli amministratori di società quotate, è stato imposto l'obbligo a carico dell'organo amministrativo di redigere una relazione sulla remunerazione, da presentare annualmente ai soci, nella quale devono essere dettagliate le politiche di remunerazione dei principali esponenti aziendali. L’assemblea ordinaria deve approvare il contenuto della relazione sulla remunerazione, ma la deliberazione non ha alcun valore vincolante (il suo scopo è quello di portare l’organo amministrativo a rivedere le politiche remunerative). Nella prassi vengono applicati dei meccanismi di remunerazione variabile basati sull’attribuzione di azioni o di opzioni o la possibilità di sottoscrivere a prezzi prefissati azioni della società o di società del gruppo. L’introduzione di meccanismi di remunerazione basati sullo stock option plans possono maggiormente fidelizzare gli amministratori, poiché la misura della loro remunerazione è direttamente legata al valore dell'azienda e quindi saranno incentivati a perseguire politiche di crescita. Tale metodo di remunerazione è però potenzialmente nocivo in quanto potrebbe alimentare delle condotte imprudenti ed eccessivamente rischiose. Con la legge per la tutela del risparmio (l.262/2005) il legislatore ha previsto un coinvolgimento dell'assemblea in materia, richiedendo che i piani di compensi basati su strumenti finanziari a favore degli amministratori, dipendenti o collaboratori della società quotata, devono essere approvati dei soci. Al fine di attenuare il rischio di conflitti di interessi il codice di autodisciplina raccomanda che sia costituito all'interno dell'organo amministrativo un Comitato per la remunerazione, costituito da amministratori in maggioranza indipendenti con compiti di istruttoria e proposta al Consiglio.

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La complessità della società quotata esige l’adozione di un’adeguata struttura organizzativa interna, idonea ad assicurare l’efficiente gestione dei controlli. Nelle società di maggiori dimensioni, l'esercizio della funzione amministrativa si segmenta in diversi uffici su livelli gerarchicamente ordinati, seguendo uno schema piramidale che si sviluppa verso l’alto seguendo il grado di specificità delle funzioni e riserva ai ruoli apicali della gerarchia una funzione di supervisione generale sulla gestione. La legge per la tutela del risparmio ha introdotto la figura del dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari, al quale è affidato il compito di curare la predisposizione di adeguate procedure amministrative e contabili per la formazione dei bilanci nonché di qualsiasi altra comunicazione finanziaria (come le relazioni semestrali). Il dirigente ha il compito di verificare la corrispondenza delle risultanze contabili, dei libri e di qualsiasi atto all’informativa contabile. Deve inoltre sottoscrivere insieme agli organi delegati una relazione su bilancio di esercizio, sul bilancio consolidato e sul bilancio semestrale abbreviato. Il Codice di Autodisciplina amplia e rafforza l’elencazione dei doveri del consiglio di amministrazione, prevedendo, per esempio, che l’organo debba anche approvare i piani strategici, industriali e finanziari e non solo esaminarli; valutare l'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile; indica in tre mesi la periodicità per il report degli organi delegati, estende la competenza consiliare alle delibere sulle operazioni di maggior rilievo. Il codice inoltre raccomanda che il consiglio costituisca al proprio interno dei comitati costituiti, almeno in maggioranza, da amministratori indipendenti con funzioni consultive e di istruttoria (es. comitato nomine, comitato per il controllo dei rischi). Nulla è previsto in merito al funzionamento dei comitati, quindi si possono ritenere applicabili per analogia le regole dettate per il consiglio di amministrazione ma si discute se i componenti di essi possano essere assimilati, quanto alla responsabilità, agli amministratori delegati. Considerato che i conflitti d'interesse sono un rischio immanente nelle società quotate, la riforma societaria ha introdotto la fattispecie delle "operazioni con parti correlate", che si applica a qualsiasi trasferimento di risorse, servizi o obbligazioni, anche a titolo gratuito, della società a favore di soggetti in qualche misura legati ad essa e dunque capaci di influenzare la decisione, come un socio di controllo, un dirigente di alto livello, una società controllata o collegata. Il regolamento attuativo emanato dalla Consob, impone obblighi informativi e cautele procedimentali dirette ad assicurare un'adeguata istruttoria ed una ponderata valutazione dell'operazione. In tema di responsabilità, la riforma del 2003 ha esteso ai soci di minoranza delle società non quotate la facoltà di promuovere l'azione sociale di responsabilità; la percentuale richiesta è ridotta ad un quarantesimo del capitale. Le regole sulla responsabilità degli amministratori si applicano anche al dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari fatte salve le azioni che la società può promuovere in base al rapporto di lavoro. III IL SISTEMA DEI CONTROLLI NELLE SOCIETA’ PER AZIONI 26. PREMESSA Il sistema di vigilanza e monitoraggio rappresenta il caposaldo di qualsiasi modello di governance imprese in forma societaria. I soci della società per azioni non dispongono, se non in misura limitata,di strumenti di verifica ed ispezione diretta: e si possono solo prendere visione ed estrarre copia di alcuni libri sociali (libro soci e libro delle adunanze) ma non delle scritture contabili; chiedere di esaminare la documentazione che la società deve per legge mettere a loro disposizione, come il bilancio e relativi

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allegati; possono formulare osservazioni e domandare chiarimenti nel corso dell'assemblea ma gli amministratori possono riservarsi di non rispondere quando ciò pregiudichi l'interesse sociale, per esempio perché viene chiesto loro di rivelare notizie riservate. La sostanziale privazione in capo ai soci del potere di controllo è controbilanciata dalla presenza di una struttura organizzativa interna, più o meno articolata, alla quale legislatore affida inderogabilmente la funzione di controllo, nonché dall'attribuzione a poteri pubblici di compiti di vigilanza e di intervento per contrastare irregolarità o violazioni dell'amministrazione. Le ragioni di questa impostazione riflettono la tendenziale dissociazione fra la proprietà dei soci e l'amministrazione conseguente estraniazione dei primi dalla seconda. Per questo motivo, l'esistenza di un organo di controllo, ha un importante ruolo di presidio della legalità a beneficio dei terzi, specie dei creditori. Fino agli anni '70 la materia dei controlli è stata disciplinata in modo sostanzialmente uniforme per tutte le società per azioni, le quali dovevano nominare al proprio interno un organo denominato collegio sindacale, al quale erano affidati estesi compiti di vigilanza sulla contabilità e sulla gestione. Nel 1974 viene alla luce il primo nucleo di disposizioni dedicate alle società quotate e nasce la Commissione Nazionale per le Società e la borsa (Consob) con funzioni di vigilanza sul mercato dei capitali e sugli emittenti di azioni quotate; inoltre la funzione di controllo contabile viene affidata ad un soggetto esterno, la società di revisione. Il testo unico della Finanza (TUF) del 1998 sottrae definitivamente ai sindaci il controllo contabile, affidando loro solo un generale dovere di vigilanza sul corretto andamento della gestione e sulla struttura organizzativa interna, accompagnato da più incisivi poteri di ispezione e reazione; modifica le regole di nomina dell'organo, aprendo alla partecipazione di 1-2 componenti eletti dalle minoranze. La riforma societaria del 2003 rende obbligatoria per tutte le s.p.a. la nomina di un revisore ma con disposizione che lo statuto può derogare a certe condizioni. La stessa riforma riconosce in capo al Consiglio di Amministrazione una funzione di supervisione sull'andamento della gestione e di valutazione dell'adeguatezza degli effetti, mentre al collegio sindacale spetta il dovere di vigilare sull'osservanza della legge e dello Statuto, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione e sulla adeguatezza degli assetti organizzativi. Sono molteplici gli interventi legislativi in materia di controlli che si sono succeduti nel corso degli anni ma tra questi ha assunto rilevanza determinante il d.lgs. 231/2001 che impone alla società, pena la sua responsabilità per reati commessi da esponenti aziendali, di adottare modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire reati, cioè specifiche procedure e meccanismi di controllo sulle aree ritenute più sensibili, designando a tale compito un organismo di vigilanza che nelle società di capitali coincide nel collegio sindacale. In sintesi, ogni società per azioni deve dotarsi di un sistema di controllo interno, costituito da regole, procedure e strutture organizzative volte a consentire l'identificazione, la misurazione,la gestione ed il monitoraggio dei principali rischi. Tale sistema di controllo deve essere adeguato alle caratteristiche della società per dimensioni, tipologia di attività e struttura ed al suo vertice si pone il collegio sindacale. La gestione del sistema di controllo interno è affidata ai delegati ma anche i sindaci devono vigilare sul rispetto dei principi di corretta amministrazione; la tenuta della contabilità è di regola affidata ad un ufficio interno, il cui responsabile, il direttore finanziario, risponde gerarchicamente agli amministratori ed è posto sotto la vigilanza dei sindaci. Se la società è quotata, il direttore finanziario può essere nominato quale dirigente preposto e come tale ha doveri di controllo e responsabilità in merito alle procedure amministrative e contabili adottate. Inoltre sulla contabilità vigila il Comitato per il Controllo Interno e la revisione contabile (che però si identifica con il collegio sindacale) ed il revisore, che ha il dovere di segnalare alla Consob eventuali anomalie o carenze.

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In merito alle tipologie di controllo si distingue tra: • controllo di merito • controllo di legalità formale • e controllo di legalità sostanziale. Il controllo di merito compete sempre ai soci, i quali possono reagire nei confronti di scelte gestorie che non condividono, ad esempio attraverso la revoca degli amministratori (eventualmente delegati). I soggetti deputati al controllo della società per azioni (collegio sindacale, revisore e comitato audit) non esercitano mai alcun sindacato sul merito ma bensì sul rispetto della legge e dello statuto (controllo di legalità formale) e del rispetto delle procedure, delle regole e dei canoni di condotta .

27. LA REVISIONE LEGALE DEI CONTI Le scritture contabili sono il principale strumento conoscitivo e valutativo di cui dispongono i terzi specialmente i creditori e gli investitori. Per questo motivo, è necessaria l'adozione di un sistema affidabile, autonomo ed indipendente di verifica e rilevazione della contabilità d'impresa. Questo compito spetta oggi, in tutte le società azionarie, ad un revisore legale esterno. La norma ha carattere inderogabile per le società tenute a redigere il bilancio consolidato e per i c.d. enti di interesse pubblico cioè le società quotate, quelle con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante, quelle esercenti attività di particolare rilevanza (Es. le banche). Tutte le altre società possono prevedere, con apposita clausola statutaria, che la revisione legale dei conti sia esercitata dal collegio sindacale. L'attività di revisore può essere esercitata solamente da chi sia iscritto nell'apposito registro tenuto dal Ministero dell'Economia e delle Finanze nonché in possesso dei requisiti richiesti dalla legge. Il revisore viene nominato dall'assemblea ordinaria, su proposta motivata dell'organo di controllo, ma se la società è di nuova costituzione, il suo nome deve figurare nell'atto costitutivo. La scelta della società di revisione è libera ma non deve sussistere alcun tipo di rapporto con la società revisionata che possa comprometterne l'indipendenza. Il revisore viene nominato dall'assemblea ma non diviene un organo sociale: a seguito della nomina stipula un contratto d'opera intellettuale con la società. Il corrispettivo dell'attività di revisione deve essere deliberato dai soci e fissato per tutto il periodo di durata dell'incarico; il corrispettivo non può mai essere subordinato a condizioni né stabilito in funzione del risultato della revisione o dipendere dalla prestazione di altri servizi diversi dalla revisione (ai fini del rispetto del requisito di indipendenza). L'incarico ha durata triennale e spira alla data dell'assemblea convocata per l'approvazione del bilancio relativo al terzo esercizio. Le dimissioni del revisore o la risoluzione consensuale dal contratto sono disciplinate da un regolamento ministeriale che ne stabilisce presupposti e modalità; ove l'assemblea non provveda immediatamente alla nomina di un nuovo revisore, il precedente revisore conserva l'incarico in proroga, fino al subentro del nuovo revisore ma comunque per non oltre sei mesi. Il contratto con il revisore può cessare anche per revoca, purché sia assistita da una giusta causa; la revoca è deliberata dall'Assemblea, sentito l'organo di controllo. Qualsiasi causa di cessazione anticipata dall'incarico deve essere comunicata al Ministero dell'economia e delle finanze. I compiti del revisore consistono: • nella verifica periodica della regolare tenuta della contabilità e della corretta rilevazione dei fatti di gestione nelle scritture contabili, che il revisore conduce sia attraverso verifiche dirette dei documenti sia mediante lo scambio di informazioni con il collegio sindacale o, in

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riferimento al revisore del bilancio consolidato, con amministratori e revisori delle società controllate. nell'analisi e valutazione, attraverso un'apposita relazione del bilancio di esercizio o del bilancio consolidato. La relazione deve essere datata e sottoscritta dal responsabile della revisione e deve essere messa a disposizione dei soci con la restante documentazione di bilancio; dopo l'approvazione del bilancio viene depositata unitamente a questo nel registro delle imprese In tale relazione il revisore è tenuto a fornire determinate informazioni, tra cui le regole di redazione del bilancio applicate dalla società ed i principi di revisione applicati nella propria attività; deve inoltre formulare un giudizio sul bilancio indicando se se conforme alle norme che ne disciplinano la redazione e se rappresenta in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria ed il risultato economico dell'esercizio

Se il giudizio del revisore è positivo, l'impugnazione del bilancio per nullità richiede la soglia minima di possesso azionario del 5%; se invece il giudizio positivo con rilievi o negativo o se il revisore dichiara di non poter esprimere un giudizio, la relazione deve analiticamente motivare le ragioni Il legislatore affida ad revisore legale ulteriori attività, solitamente in occasione di determinate operazioni societarie come la fusione e la scissione le operazioni sul capitale Il revisore assume un obbligazione di mezzi e non di risultato: è pertanto tenuto ad adottare determinati standard di condotta e doveri di comportamento ma non garantisce la veridicità del bilancio e non ne risponde civilmente. E’ inoltre tenuto ad operare con perizia e diligenza professionale, a serbare riservatezza sulle informazioni, sulle notizie e sui dati di cui venga a conoscenza ed è vincolato dal segreto professionale Il revisore è responsabile con gli amministratori nei confronti della società revisionata, dei suoi soci e dei terzi per i danni derivanti dall'inadempimento dei propri doveri. La responsabilità è solidale verso l'esterno ovvero può essere condannato al risarcimento dell'intero danno ma nei rapporti interni ciascuno risponde nei limiti del contributo effettivo al danno cagionato. Pertanto, il revisore che abbia risarcito interamente il danno, potrà agire in regresso contro gli amministratori, se responsabili, per la rifusione della parte imputabile alla loro condotta. Se il revisore è una società, risponde anche il responsabile della revisione ed i suoi dipendenti che hanno collaborato l'attività di revisione per i danni conseguenti da propria inadempimento da fatti illeciti nei confronti della società revisionata ( anche qui nei limiti del proprio contributo effettivo al danno cagionato). L'azione di risarcimento si prescrive nel termine di cinque anni dalla data della relazione di revisione sul bilancio d'esercizio o consolidato emessa al termine dell'attività di revisione cui si riferisce all'azione di risarcimento. 28. IL COLLEGIO SINDACALE – PROFILI SOGGETTIVI E VICENDE DEL RAPPORTO Il collegio sindacale è l'organo interno alla società per azioni, posto al vertice della funzione di controllo. L'organo sindacale delle società per azioni è sempre pluripersonale e deve essere composto da tre o cinque membri effettivi, a scelta dello Statuto, o se nulla sia disposto, dall'assemblea all'atto della nomina, nonché da due supplenti. E' anche possibile la nomina a sindaco di una persona giuridica. Non può essere nominato sindaco, e se nominato decade dall'ufficio, l’interdetto, l'inabilitato, il fallito e colui che sia stato condannato ad una pena che comporta l'interdizione, anche temporanea dai pubblici uffici. Lo statuto può prevedere altre situazioni di incompatibilità.

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Non è invece previsto dalla legge, salvo che per le società quotate ed in casi speciali, un divieto o un limite nel cumulo di incarichi; è solo imposta la comunicazione all'assemblea circa i ruoli di amministrazione e controllo che i candidati ricoprono già in altre società. La funzione di vigilanza al quale è preposto il collegio sindacale, esige che i suoi componenti siano dotati di adeguati requisiti professionali e si trovino in una posizione di indipendenza rispetto alla società o al gruppo al quale appartenga. E' richiesto che almeno un membro effettivo ed un supplente abbiano la qualifica di revisore legale e siano iscritti al relativo registro; i restanti componenti, , qualora non revisori, devono essere docenti universitari di ruolo in materie economiche o giuridiche o professionisti iscritti agli albi degli avvocati o dei dottori commercialisti oppure esperti contabili o consulenti del lavoro. Se la società ha scelto di affidare al collegio sindacale, anziché ad un revisore esterno, la revisione legale dei conti, tutti i sindaci devono essere revisori. I sindaci devono conservare i requisiti di professionalità per tutto il periodo dell'incarico: in caso di cancellazione o sospensione dal registro dei revisori ovvero di cancellazione dal relativo albo, il sindaco decade dall'ufficio. A garanzia dell' indipendenza, il legislatore vieta che possa assumere la carica di sindaco chi è legato alla società da rapporti personali o economici, lasciando all'autonomia statutaria la facoltà di prevedere eventuali ulteriori situazioni ostative all'assunzione dell'incarico. Non possono essere nominati sindaci: • il coniuge dell'amministratore • i parenti e gli affini entro il quarto grado degli amministratori • coloro che sono legati alla società o a società controllate o controllanti da un rapporto di lavoro ho da un rapporto continuativo di consulenza o prestazione d'opera retribuita. I sindaci sono nominati dall'Assemblea ordinaria e tale competenza è inderogabile, anche se ricorrono tre eccezioni: • i primi sindaci sono designati nell'atto costitutivo • lo statuto può attribuire titolari di strumenti finanziari il diritto di nominare un sindaco • nelle società a partecipazione pubblica, lo statuto può riservare allo Stato o all'ente pubblico, la nomina di un numero di sindaci proporzionale alla loro partecipazione azionaria. Il numero di sindaci è pari a tre o cinque ma nella prassi la scelta ricade sul numero minimo; inoltre l'assemblea la nomina del presidente del collegio sindacale. La nomina non determina automaticamente l'assunzione della carica ma è necessaria l'accettazione dell'incarico da parte del sindaco,anche per fatti concludenti; la nomina deve essere iscritta nel registro delle imprese entro 30 giorni. La durata dell'ufficio è stabilita dalla legge in tre esercizi e l'assemblea non può mai ridurla; decorso tale termine i sindaci rimangono in carica fino a che l'assemblea non ha nominato i nuovi componenti del collegio sindacale. Oltre che per scadenza naturale del termine, i sindaci possono cessare dalla carica anticipatamente per morte, decadenza, rinuncia, revoca. • Nell'ipotesi di decadenza, rientrano tutte le previsioni di legge o statuto, che legano la cessazione del sindaco al verificarsi di un determinato evento ( fusione o trasformazione della società, fallimento personale del sindaco). • Le dimissioni consistono in una dichiarazione unilaterale scritta di rinuncia alla carica e non richiedono formule particolari; devono essere indirizzate alla società nella persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione ed al presidente del collegio sindacale. In caso di cessazione anticipata di un sindaco si ha l'automatico subentro dei supplenti ( nello specifico il componente più anziano,in possesso dei medesimi requisiti del membro cessato).

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I sindaci restano in carica, fino alla prima assemblea che deve provvedere alla nomina dei sindaci effettivi o dei supplenti mancanti o provvedere alla conferma del sindaco supplente subentrato. Se con i supplenti in carica non sia possibile ricomporre il collegio sindacale, l'assemblea deve essere immediatamente convocata Qualora cessi il presidente, la carica sarà assunta fino a nuova assemblea da sindaco effettivo con maggiore anzianità di carica ed,, a parità dal più anziano di età. Spetta all'assemblea generale in forma ordinaria, deliberare la revoca dei sindaci ma deve ricorrere una giusta causa. Tali regole non riguardano i sindaci designati dallo Stato ho da altri enti pubblici, ai quali spetta in via esclusiva il potere di revoca o di sostituzione. Analogamente, il sindaco nominato da titolari di strumenti finanziari, può essere convocato solamente con il consenso di questi ultimi. Inoltre, il potere di revoca spetta anche al tribunale in caso di denuncia di gravi irregolarità. Anche la revoca dei sindaci deve essere iscritta nel registro delle imprese entro 30 giorni. Ai sindaci spetta una remunerazione che, qualora non fissata dallo Statuto, viene determinata dall'assemblea all'atto della nomina. Tale compenso deve essere determinato fin dall'inizio per l'intero periodo di carica e non deve essere subordinato a condizioni o ai risultati dell'attività di sindaco.

29. POTERI, DOVERI E RESPONSABILITA’ DEL COLLEGIO SINDACALE Ai sindaci è affidata una generale funzione di controllo e vigilanza all'interno della società; delle loro attività devono rendere conto ai soci annualmente attraverso la predisposizione di una relazione che deve essere depositata insieme alla documentazione di bilancio. Innanzitutto, il collegio sindacale ha il compito di vigilare sull'osservanza della legge e dello Statuto e pertanto esercita un controllo di legalità relativa qualsiasi aspetto sul funzionamento della società e sulla gestione dell'impresa, sia sul versante interno sia nei confronti di terzi (es. sul rispetto dei termini e modi di convocazione dell'assemblea o di pubblicazione dei documenti). Il collegio sindacale deve inoltre vigilare sul rispetto dei principi di corretta amministrazione, e cioè sull'adozione da parte degli amministratori delle opportune regole di comportamento e delle cautele procedurali necessarie ai fini di un efficiente e diligente esercizio della funzione amministrativa, senza però entrare nel merito delle decisioni Non spetta ai sindaci, dibattere sulle strategie aziendali o sindacare se una determinata operazione sia o meno lucrativa, bensì verificare che gli amministratori nell'assumere tale decisione abbiano rispettato le procedure di valutazione degli aspetti essenziali ( costi, rischi, benefici attesi ecc.). il collegio sindacale ha il compito di verificare l'adeguatezza degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili: ai sindaci è richiesto di verificare se tali aspetti sono stati predisposti in modo da rispondere efficientemente alle esigenze di corretta gestione imprenditoriale, tenendo conto della natura, della tipologia, dimensione e complessità dell'azienda. Infine, al collegio sindacale può essere demandato per statuto un controllo contabile ma soltanto se la società non è tenuta alla redazione del bilancio consolidato e non rientri fra gli enti di interesse pubblico, perché in questi ultimi casi in tale compito deve essere affidato ad un revisore esterno. Anche in quest'ultimo caso, il collegio sindacale, conserva una limitata competenza in merito alla contabilità, sia nel quadro del generale controllo di legalità sia in virtù di specifici compiti previsti dalla legge; nella relazione che il collegio sindacale deve redigere in occasione dell'approvazione del bilancio, deve anche riferire sui risultati dell'esercizio sociale e formulare osservazioni e proposte in ordine al bilancio la sua approvazione.

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Tale relazione non deve contenere un giudizio tecnico sul bilancio ma solo prendere posizione in merito alla conformità del bilancio e criteri di redazione previsti dalle norme applicabili così come sulla rappresentazione dei fatti di gestione dell'esercizio. Inoltre è richiesto il consenso del collegio sindacale per iscrivere in bilancio l'avviamento ed i costi di impianto,ampliamento, ricerca, sviluppo e pubblicità. Il Collegio deve inoltre esprimere un parere sulla congruità del prezzo di emissione delle azioni in caso di aumento di capitale con esclusione o limitazione del diritto di opzione ed in presenza di perdite che intaccano il capitale di oltre un terzo. L'esercizio della funzione di vigilanza richiede che i sindaci siano posti in condizione di disporre di adeguate informazioni. Pertanto i sindaci hanno diritto di partecipare all'assemblea dei soci e alle riunioni del Consiglio di Amministrazione e del comitato esecutivo, hanno la facoltà di assistere alle riunioni degli obbligazionisti ed hanno il diritto di ricevere determinate comunicazioni. Il collegio sindacale ha il diritto a ricevere, almeno semestralmente, informazioni sul generale andamento della gestione e sulla sua prevedibile evoluzione, nonché sulle operazioni di maggior rilievo. L’attività del collegio sindacale può essere sollecitata dai soci che hanno la facoltà di presentare denunce su fatti ritenuti censurabili: qualora la denuncia provenga da una quota qualificata dell'azionariato (5% o minor quota prevista dallo statuto) il Collegio è tenuto ad indagare senza ritardo ed a presentare all'Assemblea ( che può anche convocare in caso di gravi fatti imputabili agli amministratori) le proprie conclusioni ed eventuali proposte. Qualora la denuncia sia presentata da azionisti che non raggiungono la percentuale sopra indicata, il collegio sindacale deve comunque tener conto di essa nella relazione che presenta annualmente nell'assemblea. Il collegio sindacale dispone di poteri ispettivi ed istruttori, finalizzati alla raccolta di dati ed informazioni, generalmente riconosciuti anche al singolo sindaco. Ciascun membro del collegio sindacale può procedere, per esempio, ad atti di ispezione nei locali della società, ad esaminare la documentazione amministrativa e contabile, a verificare l’adeguatezza delle funzioni aziendali. Ai sindaci è consentito avvalersi della collaborazione di ausiliari e dipendenti ma l’organo amministrativo può rifiutare a questi l’accesso ad informazioni riservate . Di tutti gli accertamenti condotti, sia individualmente che collegialmente, il collegio sindacale deve redigere verbale che verrà inserito nel libro delle adunanze delle deliberazioni del collegio sindacale. Qualora i componenti del collegio sindacale accertino irregolarità o fatti censurabili, ovvero sussista il pericolo che questi si verifichino, i sindaci devono immediatamente attivarsi per porre rimedio, eliminando o attenuando le conseguenze dannose di essi. Gli strumenti di repressione di tali regolarità hanno intensità variabile: • Manifestare, anche individualmente, il proprio dissenso in occasione di una riunione convocata dagli organi sociali • Informare gli amministratori, affinchè assumano le opportune iniziative • Sostituirsi agli amministratori inadempienti nella convocazione dell’assemblea o nell’esecuzione di pubblicazioni richieste dalla legge • Convocare l’assemblea previa comunicazione al presidente del consiglio di amministrazione, al fine di informare i soci dei fatti riscontrati e sollecitare l’assunzione di opportuni provvedimenti • impugnare le delibere assembleari o consiliari viziate

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promuovere, previa deliberazione a maggioranza di due terzi dei componenti, l'azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori • denunciare le irregolarità alla magistratura o sollecitare l'intervento del tribunale per porre rimedio ad omissioni degli organi competenti, come ad esempio domandare che sia disposta la riduzione di capitale A differenza dei poteri ispettivi, quelli reattivi sono generalmente di competenza collegiale, quindi possono essere esercitati solo previa delibera dell'organo. La riunione del collegio sindacale deve essere convocato dal Presidente quando vi sia necessità e la convocazione deve contenere l'ordine del giorno; in ogni caso la legge impone che il Collegio si riunisca almeno una volta ogni 90 giorni. L'organo è costituito con la presenza della maggioranza dei sindaci effettivi e delibera a maggioranza assoluta dei presenti. Spetta al Presidente la direzione della riunione, la moderazione della discussione è l'accertamento e proclamazione dei risultati. Il Sindaco dissenziente ha il diritto di far annotare il proprio dissenso nel verbale della riunione, che deve essere sottoscritto da tutti i componenti. Nulla è dettato dalla legge in merito all’ invalidità delle delibere consiliari: sono ragionevolmente applicabili per analogia le medesime regole dettate per il consiglio di amministrazione. Ulteriori compiti attribuiti dalla legge al collegio sindacale sono: • un compito di natura consultiva, come in tema di retribuzione degli amministratori investiti di particolari cariche o di nomina per cooptazione; • di attestazione di verità ( riguardo al limite per emissione di obbligazioni); • di supplenza degli amministratori in caso di cessazione anticipata dell'intero organo amministrativo; • di rappresentanza della società in occasione dell'esercizio dell'azione di responsabilità; Nello svolgimento delle proprie mansioni, i sindaci devono rispettare i principi generali di condotta analoghi a quelli degli amministratori: diligenza qualificata, professionalità, lealtà correttezza; devono attestare il vero e sono vincolati al segreto sui fatti e documenti di cui abbiamo notizia in ragione del loro incarico I componenti del collegio sono inoltre responsabili per i danni cagionati dalla violazione dei sopraindicati obblighi e sono solidalmente responsabili con gli amministratori per i fatti e le omissioni di questi, ma a condizione che il danno sia conseguenza della violazione dei loro doveri di vigilanza

30.IL CONTROLLO PUBBLICO SULLE SOCIETA’ – PROCEDIMENTO DI DENUNCIA AL TRIBUNALE I presupposti per l'attivazione del controllo giudiziario sulla gestione nelle società chiuse sono: • il sospetto di gravi irregolarità commesse dagli amministratori in violazione dei loro doveri • la potenziale dannosità di tale condotta per la società e per le società controllate Sono legittimati a ricorrere al tribunale i soci che rappresentino almeno il 10% del capitale, o la minor percentuale richiesta dallo statuto ed il collegio sindacale. Il ricorso deve essere notificato anche alla società, poiché agli amministratori deve essere garantito il diritto a difendersi in contraddittorio. Il procedimento non ha natura contenziosa, in quanto non è diretto a dichiarare l'illegittimità di un atto o a pronunciare una condanna ma riguarda una procedura diretta all'accertamento della sussistenza o meno delle censure denunciate e all'adozione di provvedimenti temporanei idonei a ripristinare la legalità sotto la direzione del controllo dell'autorità pubblica Il procedimento si articola in due fasi:

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1) il tribunale convoca, in camera di consiglio, i ricorrenti, gli amministratori e i sindaci per assumere opportune informazioni, ma può anche, qualora tali informazioni siano insufficienti o contraddittorie, ordinare un ispezione. Qualora la società, dopo aver avuto notizia del ricorso, abbia assunto autonomamente iniziative volte al ripristino della legalità, sostituendo gli amministratori ed i sindaci con altri soggetti dotati di adeguata professionalità, il tribunale può sospendere la procedura per un tempo necessario all'attività dei nuovi organi sociali, che dovranno poi riferire al tribunale su quanto compiuto. 2) Qualora il tribunale accerti gravi irregolarità gestorie ovvero se nel tempo accordato per la sospensione della procedura i nuovi organi societari non abbiano eliminato le violazioni, potrà assumere opportuni provvedimenti provvisori, come imporre la sospensione dell'attività aziendale o l’avvio di azioni giudiziarie o il compimento di determinati atti. Nei casi più gravi, il tribunale può procedere direttamente alla revoca degli amministratori o dei Sindaci, nominando in loro vece uno o più amministratori giudiziari, determinandone poteri è durata. Sempre al tribunale spetta il potere di sostituire in ogni tempo l'amministratore giudiziario,su richiesta dei soci o del collegio sindacale. L’amministratore giudiziario è un pubblico ufficiale che alla data della nomina subentra agli organi sociali nell’esercizio dei poteri che gli sono stati conferiti. • esercitare l'azione sociale di responsabilità contro gli amministratori ed i sindaci • proporre la messa in liquidazione della società o la sua ammissione ad una procedura concorsuale L'amministratore giudiziario, alla scadenza dell'incarico, convoca e presiede l'Assemblea per la nomina dei nuovi organi sociali ed inoltre rende conto della gestione al tribunale, depositando in cancelleria una relazione e tutta la documentazione necessaria I nuovi amministratori o i nuovi sindaci, potranno esaminare la relazione e formulare osservazioni e contestazioni o richiedere dei chiarimenti In caso di mancata approvazione della relazione, il tribunale deciderà in merito alle contestazioni e sull'eventuale responsabilità dell'amministratore giudiziario. L'amministratore giudiziario è tenuto ad agire con la diligenza richiesta dalla natura del proprio ufficio e quindi con diligenza professionale ma opera il principio dell' insindacabilità delle scelte nel merito: la società potrà censurare la violazione dei doveri di comportamento ma non i criteri tecnici della gestione dell'amministratore giudiziario.

31. I CONTROLLI NELLE SOCIETA’ QUOTATE Il tema della vigilanza sulle società aperte è regolato innanzitutto dalle disposizioni codicistiche generali, salvo dove sia derogato dalle norme speciali del Testo unico della Finanza ovvero da altre disposizioni nazionale o comunitaria, anche di settore, per esempio in ambito bancario o assicurativo. Alle norme primarie si affianca la normativa secondaria attuativa integrativa, costituita dai regolamenti ministeriali, della Consob e delle altre autorità indipendenti nonché di Borsa Italiana. E’ stata introdotta una disciplina speciale applicabile alle società quotate e agli enti di interesse pubblico, fra i quali sono incluse le società che abbiano fatto richiesta di quotazione o che abbiano i titoli diffusi in maniera rilevante, le banche, le imprese di assicurazione le società di investimento

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(Sim e Sicav) o di gestione del risparmio ed altre società appartenenti a settori in relazione ai quali sussiste l'esigenza di assicurare un più rigido controllo della contabilità. Negli enti di interesse pubblico nonché nelle loro società controllanti, controllate o soggette a comune controllo la revisione contabile non può mai essere affidata al collegio sindacale ma solo di un revisore esterno. L'incarico di revisore degli enti di interesse pubblico ha durata di 7 o 9 esercizi, a seconda che il revisore sia una persona fisica o una società; l'incarico è rinnovabile ma devono essere trascorsi, dal precedente, almeno tre esercizi. Sono numerosi i presidi a garanzia dell'indipendenza del revisore, che si aggiungono a quelli già previsti dalle norme generali; la Consob, attraverso un regolamento, può individuare ulteriori situazioni che possono compromettere l'indipendenza del revisore o del responsabile della revisione. I revisori non possono prestare la propria attività lavorativa nell'ente revisionato, se non siano decorsi almeno due anni dalla conclusione del proprio incarico. Il revisore deve pubblicare ogni anno sul proprio sito internet una relazione di trasparenza che deve contenere l'elenco degli enti da esso visionati nell'anno precedente, una serie di informazioni sulla propria struttura giuridica e finanziaria e l’attestazione sull'adozione di misure idonee ad assicurarne l'indipendenza. Il conferimento dell'incarico al revisore è di competenza dell'Assemblea su proposta del collegio sindacale; occorre inoltre indirizzare tempestivamente alla Consob un'informativa motivata in merito alla nomina, come anche nel caso di cessazione dell'incarico. Il legislatore affida al revisore anche altri compiti, come la redazione di una relazione di revisione, il parere di congruità sul prezzo di emissione delle azioni in caso di aumento del capitale con limitazione del diritto di opzione, il rilascio di un’attestazione di corrispondenza del prezzo di emissione delle azioni al valore di mercato, in caso di aumento del capitale con esclusione del diritto di opzione. Con l’introduzione del TUF e la riforma societaria del 2003 sono state ridisegnate le competenze e la composizione del collegio sindacale. Una prima linea di intervento ha riguardato la composizione dell'organo e requisiti dei propri membri. Nelle società quotate, lo statuto sceglie liberamente il numero di sindaci purché non sia inferiore a 3 (ed almeno due supplenti). Inoltre, è stata imposta l’adozione del meccanismo del voto di lista e la nomina di almeno un sindaco tratto dalla lista presentata dai soci di minoranza; anche il presidente del Collegio deve essere scelto fra i sindaci eletti dalla minoranza. E'imposto l'obbligo delle "quote rosa" cioè di preservare per tre mandati una percentuale di posti al genere meno rappresentato, di regola quello femminile. Il regolamento della Consob n. 11971/1999 disciplina il fenomeno della cumulo di incarichi da parte dei membri degli organi di controllo delle società quotate o con titoli diffusi, fissando a pena di decadenza, un limite al numero di posizioni di amministrazione e controllo che i sindaci possono assumere. Al collegio sindacale è inderogabilmente sottratto il controllo contabile che deve essere sempre affidato ad un revisore; il collegio sindacale mantiene un potere di vigilanza in materia contabile ed infatti vigila sull'adeguatezza del sistema amministrativo contabile e sulla sua affidabilità a rappresentare i fatti di gestione. Il collegio sindacale assume la funzione di Comitato per il Controllo Interno nella revisione e come tale vigila sul processo di informativa finanziaria, sull' efficienza dei sistemi di controllo interno e di revisione.

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Almeno ogni tre mesi gli amministratori devono riferire al collegio sindacale sull'attività svolta, sulle operazioni di maggior rilievo economico, finanziario e patrimoniale effettuate dalla società o dalle società controllate, nonché su quelle nelle quali essi abbiano interesse per conto proprio e di terzi o che siano influenzate dal soggetto che esercita l'attività di direzione e coordinamento. I sindaci possono inoltre effettuare ispezioni e controlli, richiedere agli amministratori notizie anche con riferimento a società controllate, possono scambiare informazioni e dati con il revisore dei conti o con gli organi di controllo delle società controllate o con il Comitato di controllo dei rischi. Infine il collegio sindacale ha il potere di convocare il consiglio di amministrazione o il comitato esecutivo; tale potere può essere esercitato anche dal singolo membro del collegio. Le società quotate sono soggette al controllo giudiziario che può essere anche attivato d'ufficio dal pubblico ministero o dalla Consob ma anche al controllo delle autorità pubbliche indipendenti (Consob, Banca d'Italia per società del settore del credito e Ivass per le società assicurative).

MODELLI ALTERNATIVI DI AMMINISTRAZIONE E CONTROLLO

33. IL SISTEMA MONISTICO Lo statuto può optare per l'adozione del sistema monistico, nella quale la funzione di controllo affidata ai sindaci è attribuita a un comitato per il controllo sulla gestione, composto da amministratori indipendenti. La scelta del modello monistico può essere effettuata al momento della costituzione della società o anche in seguito ed in tal caso ha effetto dalla data dell'assemblea convocata per l'approvazione del bilancio dell'esercizio successivo, a meno che non sia diversamente disposto dalla deliberazione di modifica dello statuto. Alla data di efficacia della variazione del modello, cessano automaticamente dalla carica i componenti degli organi in funzione e l'assemblea deve provvedere alla nomina dei nuovi. Nel sistema monistico, si applicano al consiglio di amministrazione ed al comitato per il controllo sulla gestione, le stesse norme che fanno riferimento agli amministratori ed i sindaci del modello tradizionale. L'assemblea non subisce alcuna variazione rispetto al sistema tradizionale, salvo perdere le competenze relative alla nomina e la revoca dei sindaci e all'azione di responsabilità. Anche l'organo amministrativo è disciplinato pressoché interamente dalle norme sul sistema tradizionale, salvo alcune differenze: l'organo deve essere sempre pluripersonale ( quindi non è consentita la nomina di un amministratore unico); almeno un terzo dei componenti deve essere in possesso dei requisiti di indipendenza richiesti per i sindaci e di quelli eventualmente indicati dai codici di comportamento; uno dei membri deve essere iscritto al registro dei revisori contabili Il controllo contabile è inderogabilmente riservato ad un revisore esterno e quindi non è mai consentito affidarlo al comitato per il controllo sulla gestione. Al comitato per il controllo della gestione spettano funzioni del collegio sindacale, di vigilanza sull'adeguatezza del sistema di controllo interno e del sistema amministrativo contabile nonché sull'idoneità nel rappresentare correttamente i fatti di gestione, ma non il controllo di legalità e correttezza dell'amministrazione. Il Comitato è nominato dal Consiglio di Amministrazione che ne fissa il numero di componenti ed è composto da amministratori che • posseggano i requisiti di onorabilità e professionalità ed indipendenza e se lo statuto lo prevede, di quelli previsti dai codici di comportamento.

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non devono rivestire, neppure di fatto, ruoli esecutivi e quindi non siano componenti del comitato esecutivo e amministratori delegati o investiti di particolari cariche funzioni attinenti la gestione della società o di società controllanti o controllate • almeno uno dei componenti deve essere iscritto nel registro dei revisori. Il Comitato provvede alla nomina del suo Presidente, a maggioranza assoluta. Alla cessazione dell'incarico si applicano le stesse regole applicabili agli amministratori, anche se è dubbio se sia lecita la revoca senza giusta causa. La sostituzione dei componenti del comitato è di competenza del consiglio gli amministrazione e se non vi sono altri membri in possesso dei requisiti richiesti, questo deve provvedere a cooptare un nuovo membro che resterà in carica sino alla successiva assemblea. Il Comitato deve essere composto da almeno tre membri, tutti in possesso dei requisiti di onorabilità e indipendenza richiesti per i sindaci Del Comitato fa parte, se eletto, il componente tratto dalla lista presentata dalla minoranza, che ne assume la presidenza. Il Comitato il potere di vigilanza sulla conformità alle regole dei codici di comportamento ai quali la società dichiari di attenersi( cioè il codice di autodisciplina) e sull'adeguatezza delle disposizioni impartite alle società controllate per la trasmissione dei dati rilevanti per l'informativa obbligatoria al mercato Al Comitato spettano gli stessi poteri ispettivi riconosciuti ai sindaci del sistema tradizionale e anche i poteri reattivi. Ciascun componente può richiedere al presidente la convocazione del Comitato oppure convocare il Consiglio, il comitato esecutivo o anche l'assemblea previa informativa al presidente del Consiglio Il potere di convocare l'assemblea attribuito anche al singolo membro del comitato non è invece previsto nel sistema tradizionale nel quale è attribuita a due sindaci. Inoltre, il Comitato, deve denunciare i fatti censurabili alla Consob e attivare il controllo giudiziario in caso di gravi irregolarità.

34. IL SISTEMA DUALISTICO Il sistema dualistico, introdotto dalla riforma societaria del 2003, è caratterizzato dalla distribuzione della funzione gestoria fra due distinti organi: il consiglio di sorveglianza ed il consiglio di gestione. Il potere di nomina e revoca del consiglio di gestione e di approvazione del bilancio sono lasciati all'assemblea mentre la gestione dell'impresa è attribuita in via esclusiva al Consiglio di gestione; al consiglio di sorveglianza spettano essenzialmente le funzioni tipiche del collegio sindacale. E’ previsto che lo statuto posso attribuire al Consiglio di Sorveglianza anche compiti di alta gestione. L'adozione del sistema dualistico richiede una espressa previsione statutaria oppure una sua successiva modifica ed in tal caso l’ effetto della delibera decorre dalla data di approvazione del bilancio dell'esercizio successivo, salvo diversa volontà dei soci. Al consiglio di sorveglianza compete: • la nomina dei consiglieri di gestione e la definizione del loro compenso • revocare e promuovere l'azione di responsabilità nei confronti dei componenti del consiglio di gestione • approvazione del bilancio di esercizio, salvo che lo statuto non consenta che, un terzo dei consiglieri di gestione o un terzo dei consiglieri di sorveglianza, chieda che la deliberazione sia rimessa all'assemblea • approvare il bilancio consolidato, se redatto

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vigilare sul rispetto della legge e dello Statuto, sull'osservanza dei principi di corretta amministrazione e sull'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento • ridurre il capitale sociale qualora sia stato eroso dalle perdite per oltre un terzo, ove l'assemblea non vi abbia provveduto Inoltre, lo statuto può attribuire a questo organo ulteriori competenze • deliberare in ordine le operazioni strategiche e piani industriali e finanziari della società predisposti dal Consiglio di gestione, che ne rimane comunque responsabile • ad assumere, durante l'assemblea straordinaria, deliberazioni che investono anche la gestione ( come la fusione, la scissione e l’ aumento di capitale). All'assemblea spetta la competenza a nominare, revocare, stabilire il compenso dei consiglieri di sorveglianza e ad agire in responsabilità contro questi ultimi e contro i consiglieri di gestione; a conferire l'incarico di revisore legale dei conti; a deliberare sulla distribuzione degli utili; inoltre lo statuto può prevedere, in caso di mancata approvazione da parte del consiglio di sorveglianza, che tale competenza spetti all'Assemblea. Al Consiglio di gestione è attribuita in via esclusiva alla gestione dell'impresa, fatta eccezione per il caso in cui lo statuto affidi alcune funzioni gestorie al consiglio di sorveglianza Il controllo contabile deve essere sempre affidato ad un revisore legale. Il consiglio di sorveglianza è un organo pluripersonale che deve essere composto da almeno tre membri, anche non soci, ma lo statuto può indicare un numero maggiore o rimettere la scelta all'assemblea. I requisiti di eleggibilità sono in larga misura quelli previsti per i sindaci; la legge: • vieta il cumulo con la carica di consigliere di gestione. • Se i consiglieri sono anche soci, ad essi è vietato votare nelle deliberazioni di nomina, di revoca e di esercizio dell'azione di responsabilità contro i consiglieri di sorveglianza. • impone che almeno un componente del consiglio di sorveglianza sia scelto fra gli iscritti al registro dei revisori legali • impone che tutti i consiglieri siano in possesso di requisiti minimi di indipendenza economica Non sono invece ostativi eventuali rapporti economici con la società controllante o vincoli di natura personale ( cause di ineleggibilità previste per i sindaci). Lo statuto può esigere ulteriori requisiti di professionalità e indipendenza onorabilità e stabilire altre cause di ineleggibilità decadenza o incompatibilità. Non è fissato alcun limite al cumulo di incarichi ma al momento della nomina deve essere fornita all'assemblea una comunicazione circa gli incarichi di amministrazione e controllo che i candidati ricoprono in altre società. La nomina dei consiglieri di sorveglianza spetta all'Assemblea che delibera in sede ordinaria ma lo statuto può prevedere norme particolari, con il solo limite di non poter introdurre quorum rafforzati in seconda convocazione. Solo in fase di costituzione della società i primi consiglieri sono nominati nell'atto costitutivo; lo statuto può riservare ai titolari di strumenti finanziari ed alle società partecipate dallo Stato o da enti pubblici, la possibilità di nominare un numero di consiglieri proporzionale alla loro partecipazione azionaria All'assemblea spetta inoltre il compito di nominare, fra i consiglieri eletti, il presidente. La durata dell'ufficio è prestabilita dalla legge in tre esercizi e tale la durata non può essere mai ridotta dall'Assemblea.

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I consiglieri cessano il proprio incarico alla data dell'assemblea, che deve essere convocata entro 120 o 180 giorni dalla chiusura dell'ultimo dei tre esercizi ma restano comunque in carica in prorogatio fino all' accettazione dei nuovi componenti. Qualora uno o più consiglieri cessino anticipatamente dall’incarico per morte, decadenza o rinuncia, occorre convocare senza indugio l'assemblea per la loro sostituzione L'assemblea può revocare i consiglieri anche senza che ricorra una giusta causa ma è imposta l'adozione di un quorum deliberativo pari al 20% del capitale; inoltre il potere di revoca spetta anche al tribunale in caso di denuncia di gravi irregolarità. Sia la nomina che la cessazione dei consiglieri di sorveglianza deve essere iscritta nel registro delle imprese entro 30 giorni dal suo verificarsi. I componenti del consiglio di sorveglianza hanno diritto ad una retribuzione che, se non è fissata dallo statuto, è stabilita dall'assemblea all'atto della nomina e deve essere determinata per l'intero periodo della carica. Al consiglio di sorveglianza è attribuito un ventaglio di compiti che spazia dalla vigilanza all'alta gestione, oltre ad includere ulteriori specifici compiti attribuiti da disposizioni sparse nel codice. Sono attribuite al consiglio di sorveglianza sia i poteri ispettivi sia i poteri reattivi tipici del collegio sindacale ma non è attribuito un potere individuale di ispezione e controllo, né il diritto di avvalersi di ausiliari e dipendenti. Il consiglio di sorveglianza deve riunirsi almeno una volta ogni 90 giorni; la deliberazione di approvazione del bilancio è impugnabile anche dai soci per annullamento. Il consiglio di sorveglianza deve tenere traccia delle proprie attività nel proprio libro delle adunanze e delle deliberazioni e deve darne conto ai soci almeno una volta all'anno, in occasione dell'assemblea convocata per la distribuzione dell'utile. Il consiglio di sorveglianza ha anche, a differenza del collegio sindacale, il potere-dovere di sindacare nel merito dell'operato dei gestori, eventualmente non approvano il bilancio oppure revocandoli, qualora non condividano l'indirizzo della gestione impressa da costoro alla società oppure l'opportunità o la convenienza di singole operazioni rispetto alle linee strategiche o agli obiettivi imprenditoriali. Nell'esercizio delle proprie funzioni, i consiglieri devono agire con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico ovvero la diligenza professionale e sono responsabili sia per gli atti e le omissioni proprie che, in forma solidale con gli altri consiglieri per i fatti o le omissioni compiute da questi, qualora il danno si sarebbe potuto evitare o limitare qualora avessero vigilato in modo conforme ai propri obblighi. • L’azione di responsabilità nei confronti dei consiglieri di sorveglianza può essere promossa dalla società previa deliberazione assembleare • da una minoranza qualificata • dai creditori (per l'inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale e qualora il patrimonio sociale sia insufficiente a soddisfare i loro crediti) • Da qualunque socio o da un terzo per danni diretti al proprio patrimonio Il consiglio di gestione è incaricato della gestione dell'impresa; tale organo, sempre pluripersonale, è composto da almeno due membri, anche non soci, sempre rieleggibili e designati dal Consiglio di Sorveglianza. I Consiglieri durano in carica 3 esercizi e scadono alla data della riunione del consiglio di sorveglianza che approva il bilancio del terzo esercizio di carica. Nei casi di morte, decadenza o dimissioni, il consiglio di sorveglianza deve provvedere senza indugio alla nomina dei nuovi componenti, non essendo prevista la cooptazione. Il consiglio può - Ricorrere al meccanismo dell’amministrazione delegata

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- Nominare un proprio presidente L'azione di responsabilità può essere promossa dall'Assemblea o da una minoranza qualificata o dal Consiglio di Sorveglianza a maggioranza dei suoi membri Inoltre, qualora votino favore i due terzi dei consiglieri di sorveglianza, il consigliere di gestione decade dall'ufficio Sono previste norme speciali volte a disciplinare il sistema dualistico nelle società per azioni quotate in mercati regolamentati nonché in quelle esercitano attività particolari: • il consiglio di sorveglianza deve essere composto rispettando gli equilibri di genere • deve essere previsto il voto di lista secondo le modalità indicate dalla Consob, per consentire alla nomina di componenti tratti dalle liste di minoranza (ma la presidenza del Consiglio non deve essere attribuita ad uno di questi) • Ogni componente del consiglio deve possedere, a pena di decadenza, requisiti di onorabilità, professionalità ed indipendenza richiesti per i sindaci • anche per il consiglio di gestione, deve essere riservata una quota al genere meno rappresentato se i consiglieri sono almeno tre • almeno un conigliere di gestione deve essere in possesso dei requisiti di indipendenza prescritti per i consiglieri di sorveglianza, sei consiglieri di gestione sono almeno 4.

CAP IV- LA S.R.L. – STRUTTURA FINANZIARIA 1. CAPITALE SOCIALE E CONFERIMENTI La società a responsabilità limitata deve essere dotata di un capitale sociale minimo di almeno €10.000, che si riduce ad un euro nel caso di società a responsabilità limitata semplificata e deve essere interamente sottoscritto dai soci in sede di costituzione.

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L'importo complessivo del capitale non può essere superiore al valore dei conferimenti (mentre può essere inferiore nel caso di eventuali sovrapprezzi versati dai soci, che però non vengono imputati a capitale. L'atto costitutivo può derogare alla proporzionalità tra entità del conferimento del socio ed entità della sua partecipazione, purché venga garantita l'equivalenza tra il valore della somma dei conferimenti e la somma della partecipazione al capitale. Possono essere conferiti in società tutti gli elementi dell'attivo suscettibili di valutazione economica e dunque non solo il denaro, beni in natura o crediti ma anche qualunque tipo di bene al quale sia possibile dare una valutazione obiettiva ( diritti sui marchi o altri segni distintivi, diritti di brevetto ecc) e la prestazione d'opera e di servizi. La disciplina della s.r.l., in merito ai conferimenti, si differenzia da quella delle società azionarie per i seguenti profili: • il versamento del 25% dei conferimenti in denaro ( o dell'intero ammontare nel caso di società unipersonale o di società con capitale inferiore a €10.000) deve essere fatto direttamente nelle mani dell'organo amministrativo e può essere sostituito dalla stipula di una polizza di assicurazione o di una fideiussione bancaria ; • l'esperto che deve predisporre la relazione di stima dei beni natura o dei crediti conferiti non è nominato dal tribunale ma viene scelto direttamente tra i revisori legali o tra le società di revisione legale iscritte nell'apposito registro; non è inoltre richiamato uno specifico procedimento di revisione della stima, come invece si ha nelle spa; • il procedimento di stima semplificato previsto per i conferimenti di beni in natura o di crediti, si applica anche ai c.d. acquisti pericolosi quali sono l'acquisto, da parte della società, di beni o di crediti dei soci o degli amministratori quando essi superino o siano pari ad un decimo del capitale sociale (ma l’atto costitutivo può escludere la previa autorizzazione degli acquisti da parte dei soci) La possibilità di conferire opere o servizi è subordinata, oltre che alla espressa previsione statutaria, alla prestazione di una polizza di assicurazione o di una fideiussione bancaria con cui vengono garantiti per l'intero valore ad essi assegnato gli obblighi assunti dal socio. Se l'atto costitutivo lo prevede, il socio ha la facoltà di sostituire la polizza con il versamento a titolo di cauzione del corrispondente importo in denaro. L'atto costitutivo può inoltre prevedere, a carico dei soci, obblighi ulteriori rispetto al conferimento, qualificabili come prestazioni accessorie La tutela dell'effettiva formazione del capitale garantita dall'esistenza di numerose altre disposizioni fra le quali • la disciplina dettata per il caso del socio in mora nell'esecuzione dei conferimenti in virtù della quale gli amministratori possono vendere la quota agli altri soci per il valore risultante dall'ultimo bilancio approvato; qualora non vi siano offerte, se l'atto costitutivo lo consenta, è possibile alienare la sua quota all'incanto; qualora la vendita vada a buon fine il socio viene escluso il capitale ridotto in misura corrispondente. • la responsabilità solidale dell'alienante e dell'acquirente della quota per i versamenti ancora dovuti, limitata ad un periodo di 3 anni dall'iscrizione del trasferimento nel registro delle imprese; • il divieto per la società di acquistare o accettare in garanzia partecipazioni proprie ovvero di accordare prestiti o fornire garanzie per il loro acquisto o per la loro sottoscrizione • il divieto di distribuire utili non realmente conseguiti o non risultanti dal bilancio regolarmente approvato • il divieto di distribuzione degli utili se si verifica una perdita, fino a che il capitale non sia stato reintegrato o ridotto in misura corrispondente.

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2. I FINANZIAMENTI DEI SOCI La riforma del 2003, nel dettare la disciplina delle s.r.l., ha affrontato il tema della sottocapitalizzazione della società. Si tratta di una pratica, indubbiamente poco corretta nei confronti dei creditori della società, che consiste nel dotare la società di un capitale irrisorio rispetto alle necessità dell’attività esercitata, colmando poi il fabbisogno attraverso finanziamenti concessi dai soci a favore della società. Questi finanziamenti, contabilizzati come debiti vs. il socio, rappresentano una strategia che consente ai soci di eludere i rischi di impresa, presentandosi come creditori sociali che hanno il diritto al rimborso da parte della società. In questo modo i soci stessi si trovano a concorrere con gli altri creditori sociali, rispetto ai quali hanno innumerevoli vantaggi, quale quello di entrare facilmente in possesso di informazioni riguardanti la situazione finanziaria della società, sia quello di poter influire sui modi e tempi di rimborso. Al fine di tutelare gli altri creditori sociali, è stabilito che il rimborso dei finanziamenti dei soci sia postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori. Si è altresì stabilito che debba essere restituito ogni rimborso effettuato dagli amministratori a favore dei soci nell’anno precedente un’eventuale dichiarazione di fallimento della società, in quanto il finanziamento è stato indubbiamente effettuato in un periodo in cui la società versava già in cattive acque, quindi si presume avvenuto in frode alle ragioni dei creditori sociali. E’ indubbio che il socio possa divenire creditore della società in un contesto nel quale è estranea la finalità di svantaggiare gli altri creditori sociali: quando ciò accade il socio deve essere trattato al pari degli altri creditori. Pertanto, occorre distinguere i conferimenti “travestiti da prestiti” da altre forme di credito vantati dai soci vs. la società. L’art. 2467 fornisce alcuni criteri e precisa che: • sono sottoposti a postergazione i finanziamenti, in qualsiasi forma effettuati (mutuo, apertura di credito, prestazione di una garanzia reale o personale a finanziatori terzi), concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto • oppure quelli concessi in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento La disposizione non chiarisce se la postergazione possa operare durante la vita della società o sia destinata a trovare applicazione solo in caso di sua liquidazione (volontaria o concorsuale); in giurisprudenza si è affermata un’interpretazione per la quale il presupposto della postergazione consisterebbe nel rischio di insolvenza, così che l’ inesigibilità del credito potrà essere eccepita dagli amministratori al socio finanziatore solo laddove il finanziamento sia stato disposto ed il rimborso richiesto in presenza di una situazione di specifica crisi della società.

3. I TITOLI DI DEBITO Le società a responsabilità limitata sono state concepite come società necessariamente “chiuse” che non potevano fare ricorso al mercato del capitale di rischio per reperire le risorse necessarie a finanziare la propria attività Tale impostazione è stata confermata dalla riforma societaria del 2003: l'art. 2468 cc sancisce espressamente che le partecipazioni dei soci non possono costituire oggetto di offerta al pubblico di prodotti finanziari; ciò si spiega nella necessità di tutelare i risparmiatori dalla

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maggiore rischiosità connessa di investimenti in società di piccole o medie dimensioni, indubbiamente sottoposte a controlli meno stringenti di quelli delle società azionarie. La riforma societaria del 2003 ha stabilito che l'atto costitutivo della srl possa prevedere l'emissione di titoli di debito ossia di strumenti finanziari rappresentativi di una frazione di un operazione di prestito alla società, sottratti alla disciplina delle obbligazioni ma soggetti alla disciplina secondaria del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio, dettate in attuazione delle disposizioni del TUB. La determinazione degli elementi della fattispecie è totalmente rimessa all'autonomia negoziale, cui spetta il compito di indicare l'organo della società competente a deliberare l'emissione, il limite della stessa, le sua modalità e le maggioranze necessarie per assumere la decisione. In mancanza di una espressa previsione statutaria che ne sancisca la destinazione alla circolazione, il rapporto che si configurerà tra società e possessore del titolo, avrà natura individuale e non potrà essere modificato senza il consenso del singolo possessore, a meno che la delibera di emissione non preveda la sufficienza a tale fine del consenso della maggioranza. Tali titoli di debito possono essere sottoscritti solo da investitori professionali, soggetti a vigilanza prudenziale a norma delle leggi speciali ossia da investitori, come le banche e le società di gestione del risparmio, le società di intermediazione mobiliare o le assicurazioni, per i quali è previsto il rispetto di determinati requisiti di solidità patrimoniale stabiliti dalle competenti autorità di vigilanza Inoltre è previsto che in caso di successiva circolazione dei titoli di debito gli investitori rispondono per la solvenza della società nei confronti degli acquirenti, a meno che questi non siano a loro volta degli investitori professionali o dei soci della società emittente. Sono più ampie le possibilità di ricorso al mercato riconosciute dal legislatore alle start-up innovative che decidano di costituirsi in forma di società a responsabilità limitata. Infatti le quote di tali società possono costituire oggetto di una offerta al pubblico di strumenti finanziari al fine di agevolare incentivare i fenomeni di c.d. equity crowd funding (termine che individua i processi di raccolta del capitale di rischio mediante web, in forza dei quali dei soggetti sottoscrivono strumenti finanziari emessi da società, con i quali poi vengono finanziati specifici progetti imprenditoriali); il legislatore ha previsto la creazione di apposite piattaforme online che abbiano come finalità esclusiva la facilitazione della raccolta del capitale di rischio da parte delle start-up innovative affidandone la gestione a banche o imprese di investimento o soggetti iscritti ad un apposito registro tenuto dalla Consob. Inoltre è previsto che le start-up innovative possano emettere, anche a fronte dell’apporto di opere o di servizi, strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, escluso il voto nelle decisioni dei soci.

4. L’AUMENTO O LA RIDUZIONE DI CAPITALE Il capitale sociale nominale indicato nell’atto costitutivo può essere soggetto a delle riduzioni o incrementi che richiedono la decisione formale dei soci, adottata con metodo assembleare.

Le due forme di aumento del capitale sono: • aumento nominale (o gratuito) – non incide sul patrimonio della società in quanto si limita ad una diversa allocazione delle poste del patrimonio netto; si tratta del passaggio a capitale di riserve o altri fondi iscritti in bilancio e disponibili. Al termine di tale operazione, la quota di ciascun socio resta immutata, in quanto la quota del socio rappresenterà sempre la medesima frazione del capitale sociale.

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Aumento reale (o a pagamento) – comporta un effettivo incremento del patrimonio della società. La relativa disciplina si riassume nei seguenti punti: la decisione di aumentare il capitale (che non può essere attuata sino a che i conferimenti ancora dovuti non siano stati interamente eseguiti) spetta ai soci ma l’atto costitutivo può attribuirla anche agli amministratori, determinandone i limiti e le modalità di esercizio l’aumento di capitale deve essere interamente sottoscritto entro il termine indicato nella delibera, a meno che questa non consenta un aumento scindibile, che permetta di incrementare il capitale per la sola quota raccolta i conferimenti devono essere effettuati con le stesse modalità previste in fase di costituzione: occorre versare almeno il 25% dei conferimenti in denaro (o l’intero ammontare nel caso di srl semplificata o a socio unico) e rispettare la procedura prevista dall’art. 2464 per i conferimenti di beni in natura, crediti, prestazioni d’opera o di servizi. I soci hanno il diritto di sottoscrivere l’aumento di capitale in proporzione alla quota già detenuta, in modo da poter mantenere inalterata la propria posizione; tuttavia l’atto costitutivo può prevedere che l’aumento sia effettuato anche attraverso l’offerta delle quote di nuova emissione a terzi. Il socio dissenziente può esercitare il diritto di recesso.

Le forme di riduzione del capitale sono: • reale: qualora i conferimenti effettuati originariamente dai soci si rivelino sovrabbondanti rispetto alle esigenze della società, può essere effettuata una riduzione reale attraverso il rimborso delle quote già pagate o mediante la liberazione dai conferimenti ancora dovuti, fermo il rispetto del minimo legale. A tutela dei creditori sociali, che possono essere pregiudicati da tale operazione, è previsto che tale operazione possa essere eseguita solo decorsi 90 giorni dalla sua iscrizione nel registro delle imprese ed a condizione che nessun creditore faccia opposizione. Anche in caso di opposizione, il tribunale può disporre che l’operazione abbia luogo qualora non ritenga che possa creare pregiudizio ai creditori o qualora la società abbia prestato idonee garanzie. • Nominale: tale forma di riduzione può essere obbligatoria o facoltativa, a seconda che la perdita superi o meno la soglia del terzo del capitale sociale. Occorrerà distinguere tra le perdite superiori ad un terzo del capitale che non intaccano il minimo legale e quelle che lo intaccano: nel primo caso l’assemblea può scegliere alternativamente se procedere immediatamente alla riduzione di capitale oppure rinviarla fino all’approvazione del bilancio dell’esercizio successivo nel secondo caso, la riduzione non è rinviabile ed occorre adottarla immediatamente, provvedendo contemporaneamente all’incremento del capitale sociale al fine di ripristinare il minimo legale o una trasformazione in un altro tipo sociale per il quale siano rispettati i vincoli di capitale minimo. Altrimenti, la società si scioglie. Qualora i soci non provvedano ad effettuare la riduzione obbligatoria, essa può essere domandata al tribunale dagli amministratori, dal sindaco (se nominato), dal revisore o qualsiasi interessato. E’ previsto che la riduzione del capitale non possa alterare la quota dei singoli soci e quindi le perdite devono intaccare la quota di ciascun socio in proporzione alla quota in precedenza detenuta. Inoltre, in caso di ricapitalizzazione della società il cui capitale si sia ridotto al minimo legale, non è possibile escludere il diritto di opzione dei soci riservando la sottoscrizione a terzi. 5. LE PARTECIPAZIONI DEI SOCI.

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ART. 2468 C.C. le partecipazione dei soci della s.r.l. non possono essere rappresentate da azioni né costituire oggetto di offerta al pubblico di prodotti finanziari. Pertanto, le s.r.l., non possono ricorrere al capitale di rischio e ciò evidenzia il carattere tendenzialmente “chiuso” di questo tipo di società. Il capitale è diviso in parti in base al numero di soci ed a ciascun socio è titolare di un’unica quota di partecipazione corrispondente alla quota di capitale da lui sottoscritta. Pertanto le quote dell’srl possono essere tutte di diverso ammontare (a differenza delle azioni che sono necessariamente di pari valore) e rappresentano la diversa percentuale di partecipazione dei soci al capitale della società. Anche i diritti sociali spettano ai soci in misura proporzionale alla partecipazione da ciascuno posseduta. Tale regola può essere derogata dallo statuto che può prevedere sia diritti che spettano ai soci indipendentemente dall’entità della propria partecipazione, sia attribuire solo ad alcuni soci dei diritti “particolari”.

6. I DIRITTI PARTICOLARI DEI SINGOLI SOCI L’ART. 2468 C.C. consente all’atto costitutivo di attribuire a singoli soci particolari diritti riguardanti l’amministrazione della società o la distribuzione degli utili. Non è posto alcun limite all’individuazione di tali diritti tranne quello di doversi attenere alle materie indicate e che non devono essere contrari a norme imperative. Per quanto riguarda i diritti amministrativi, si può riservare al singolo socio la scelta di uno o più amministratori, autorizzare determinati atti gestori o di potervi porre veto, il diritto di riservare al socio la carica di amministratore. Quanto ai diritti in tema di distribuzione degli utili, saranno possibili (sempre nel rispetto del patto leonino art. 2265 cc.) clausole che riservano al socio una percentuale qualificata degli utili clausole che sanciscono il diritto ad ottenere la distribuzione di una percentuale degli utili eseguiti, indipendentemente dalla diversa decisione sulla loro destinazione clausole che attribuiscono priorità nella distribuzione del dividendo Le clausole statutarie che attribuiscono maggiori diritti ad alcuni soci possono essere modificate solo con il consenso di tutti i soci ma tale disposizione è derogabile dall’atto costitutivo, a patto che sia riconosciuta ai soci che non hanno partecipato alla decisione il diritto di recedere dalla società. Nelle s.r.l. non è possibile la creazione di categorie di quote che siano dotate di diritti differenti rispetto a quelli spettanti alle altre partecipazioni ed attribuiscano diritti in modo differenziato. Inoltre, lo stretto collegamento tra i diritti particolari e la persona del socio cui sono attribuiti, richiede che in caso di trasferimento della partecipazione tali diritti non passino all’acquirente ma si estinguano. In deroga a tale disposizione, si ha per le sole start-up la possibilità di creare categorie di quote che non attribuiscano diritto di voto o che attribuiscano al socio diritti di voto in misura non proporzionale alla propria partecipazione, ovvero diritti di voto subordinati a determinati argomenti o al verificarsi di particolari condizioni.

7. CIRCOLAZIONE DELLE PARTECIPAZIONI Le partecipazioni dei soci delle s.r.l. sono liberamente trasferibili, sia per atto tra vivi che per successione mortis causa (art. 2469 cc). Tale disposizione è derogabile dall’autonomia statutaria che può - limitare la circolazione delle partecipazioni attraverso l’introduzione di clausole di prelazione, di gradimento, di mero gradimento

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- di escludere la trasferibilità della quota Al socio deve essere riconosciuto obbligatoriamente il diritto di recesso nel caso in cui: - l’atto costitutivo preveda l’intrasferibilità delle partecipazioni - o ne subordini il trasferimento al gradimento di organi sociali, di soci o di terzi - ovvero ponga dei limiti che in concreto impediscano il trasferimento a causa di morte Il trasferimento della quota ha effetto tra le parti per effetto del semplice consenso; invece, diviene efficace nei confronti di terzi se il trasferimento è stipulato per atto pubblico, scrittura privata autenticata o scrittura sottoscritta con firma digitale e sia depositato presso il registro delle imprese. In caso di doppia alienazione, prevale quella che per prima, in buona fede, ha ottenuto l’iscrizione del trasferimento della partecipazione. La partecipazione può essere oggetto di espropriazione, eseguibile mediante notifica del pignoramento al debitore ed alla società, da parte del creditore particolare insoddisfatto e la sua successiva iscrizione nel registro delle imprese. Quando il trasferimento della partecipazione non è libero, il legislatore si è preoccupato di bilanciare l’esigenza della società ad evitare l’ingresso nella compagine sociale di un socio non gradito e quella del creditore del socio a vedere soddisfatto il proprio credito. E’ quindi previsto che la vendita all’incanto possa essere effettuata unicamente se non sia stato raggiunto un accordo tra debitore, creditore e società; inoltre la vendita è priva di effetto se entro 10 giorni la società presenta un altro acquirente disposto a pagare lo stesso prezzo. Infine, la quota può essere oggetto di pegno, usufrutto e sequestro (art. 2471 bis c.c.).

CAP V parte III- LA S.R.L. – ORGANIZZAZIONE CORPORATIVA 1. LA GOVERNANCE DELLE S.R.L. La s.r.l. è stata introdotta nel 1942 con l’obiettivo di fornire alle imprese medio-piccole una forma societaria agile e maneggevole, maggiormente focalizzata sui rapporti personali tra i soci, ma comunque assistita dal privilegio della responsabilità limitata dei soci. L’originaria disciplina era però piuttosto scarna e caratterizzata da molteplici rinvii alle società per azioni. La riforma societaria del 2003 ha completamente riscritto la disciplina della s.r.l., dotandola di un corpo di nome in larga parte diverse dal modello azionario, al fine di segnare una netta linea di demarcazione rispetto a questi ultimi. Recentemente la s.r.l. è stata oggetto di nuovi interventi normativi finalizzati ad incentivarne l’uso (dall’eliminazione del libro soci alla riduzione del capitale sociale minimo ad un euro per la forma semplificata). 2. GLI ORGANI SOCIALI DELLA S.R.L. La governance della s.r.l. è caratterizzata da un ampio spazio lasciato dal legislatore all’autonomia privata e quindi la possibilità attribuita ai soci di “plasmare” la struttura interna secondo le esigenze concrete del caso. L’assemblea deve sempre esserci ed opera collegialmente mentre la gestione spetta all’organo amministrativo; nelle sole società di maggiori dimensioni è obbligatorio affidare la vigilanza interna e contabile ad un soggetto ad hoc. Tale ripartizione di competenze è assai modulabile, potendo sempre essere rimessa ai soci ogni decisione gestoria, tranne quelle inderogabilmente attribuite per legge agli amministratori. Nella s.r.l. è considerato quasi naturale che i soci si ingeriscano di fatto nell’amministrazione ed infatti la legge ne parifica la responsabilità a quella degli amministratori.

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Inoltre, è riconosciuto al singolo socio un penetrante diritto di informazione ed un potere di reazione alle condotte di mala gestio degli amministratori. 3. LA DISTRIBUZIONE DEI COMPETENZE TRA SOCI ED AMMINISTRATORI6 I soci sono di frequente anche amministratori e anche qualora non lo siano vengono spesso interpellati e coinvolti informalmente nella gestione e nelle scelte strategiche e sono a conoscenza dell’andamento della società; spesso i soci sono anche dipendenti della società. Ai soci spettano inderogabilmente alcune decisioni fondamentali: • l’approvazione del bilancio e la distribuzione degli utili • la nomina e la revoca dell’organo di controllo, se previsto • le modifiche dello statuto • la decisione di compiere operazioni che modifichino in misura rilevante l’oggetto sociale o i diritti di soci Spetta ai soci anche la nomina degli amministratori ma tale potere può essere attribuito, sotto forma di “diritto particolare” ai singoli soci. La funzione gestoria è affidata agli amministratori ma non in via esclusiva: lo statuto può coinvolgere nella gestione tutti i soci collettivamente oppure riconoscere tali competenze a singoli soci nella forma di “diritto particolare”; è possibile attribuire ai soci sia un potere decisorio pieno che solo una facoltà autorizzativa, limitato o meno ad alcune operazioni o esteso all’intera gestione. Sono solo quattro le materie riservate all’organo amministrativo: • redazione dei progetti di bilancio, di fusione o di scissione • l’esercizio della delega a deliberare l’aumento di capitale rilasciata dai soci inoltre, quando una determinata decisione non sia statutariamente affidata ai soci, ogni amministratore o tanti soci che rappresentino almeno un terzo del capitale possono sempre richiedere che sia sottoposta alla loro approvazione.

4. I MECCANISMI DECISIONALI: L’ASSEMBLEA I soci assumono le decisioni in assemblea ed ogni deliberazione conforme alla legge ed allo statuto vincola tutti i soci, compresi gli assenti, i non votanti, gli astenuti ed i dissenzienti. La disciplina dell’organo assembleare è scarna ma non paiono esservi particolari ostacoli a ricorrere alle disposizioni dettate per la s.p.a., qualora applicabili. Nella s.r.l. l’assemblea è sempre generale, non essendo consentita la creazione di categorie di quote e quindi non essendovi assemblee speciali. L’assemblea è unica in quanto la legge prevede un’unica convocazione e non distingue tra assemblea ordinaria e straordinaria, limitandosi a richiedere quorum rafforzati per le decisioni di maggiore rilevanza. Nulla vieta che lo statuto disponga diversamente e quindi consenta più convocazioni. Il procedimento assembleare è articolato nelle medesime fasi previste per la s.p.a. : - convocazione: è una competenza dell’organo amministrativo ma si ritiene che possano procedervi anche i soci che rappresentino almeno un terzo del capitale sulla base del fatto che questi possano sottoporre argomenti all’approvazione di tutti i soci (ma una parte della giurisprudenza ritiene che il potere si esaurisca nella richiesta di convocazione). La convocazione deve essere spedita mezzo raccomandata al domicilio dei soci almeno otto giorni prima della riunione; il socio potrà dimostrare di non averla ricevuta o averla ricevuta così tardi da non poter utilmente intervenire, rendendo invalida la delibera assunta. Lo statuto può prevedere ulteriori modalità di comunicazione e/o termini più brevi.

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Qualsiasi vizio della convocazione determina l’invalidità della deliberazione, a meno che questa non sia “totalitaria” ovvero vi partecipi l’intero capitale e tutti i componenti degli organi di amministrazione e controllo e nessuno si sia opposto alla trattazione dell’argomento. Insediamento (costituzione dell’assemblea) : la riunione si svolge presso la sede della società o in altro luogo stabilito dallo statuto (eventualmente fissando limiti o divieti) o dagli amministratori nell’avviso di convocazione. Il quorum costitutivo richiesto è pari alla metà del capitale sociale. Trattazione: tutti i soci hanno il diritto ad intervenire durante l’assemblea. Potranno partecipare all’assemblea sia il socio proprietario che l’usufruttuario, il creditore pignoratizio o il custode delle quote, salvo precisare che il diritto di voto sarà esercitato solo da colui al quale spetta (creditore pignoratizio o all'usufruttuario. Nel caso di sequestro delle azioni il diritto di voto è esercitato dal custode). Anche nella srl è consentito che sotto ti faccio a rappresentare per delega purché essa sia in forma scritta. Inoltre, sebbene non sia previsto espressamente, è possibile ricorrere a tecniche di partecipazione a distanza mediante collegamento audio-video, che assicurino al socio di interagire integralmente con i partecipanti, discutendo e votando. Votazione : il presidente designato dallo statuto o in mancanza scelto dei presenti, deve verificare il raggiungimento del quorum costitutivo, l’identità e la legittimazione dei presenti. Inoltre il presidente deve dirigere la riunione e accertare i risultati della votazione. Non essendo più previsto il libro dei soci, la legittimazione spetta a chi si è iscritto come socio nel registro delle imprese. Occorre altresì designare un segretario che si occupi della verbalizzazione ma il verbale è redatto da un notaio quando la deliberazione riguardi una modifica allo Statuto. La deliberazione è assunta se vota a favore un numero di soci che rappresentino il quorum deliberativo richiesto dalla legge o dallo Statuto. In via generale è sufficiente il voto favorevole della maggioranza assoluta del capitale presente. Alcune disposizioni fissano del quorum rafforzati per le decisioni di maggiore rilievo • in caso di modifica dello statuto, per le delibere inerenti la liquidazione o per le decisioni su operazioni che modifichino sostanzialmente l'oggetto sociale o i diritti del socio, occorre che la maggioranza assoluta rappresenti la metà del capitale sociale • per l’introduzione di una clausola compromissoria, il quorum è pari a due terzi del capitale • per le delibere di rinuncia o transazione sulle operazioni di responsabilità contro gli amministratori, il quorum è pari a due terzi del capitale ma i voti contrari non possono superare il 10% del capitale • le delibere che riconoscano diritti particolari ai soci, richiedono il voto all’unanimità I quorum sono in linea di massima derogabili dallo statuto, che potrà anche prevedere modalità di voto differenti (es. il voto di lista).

Gli esiti delle votazioni devono risultare dal verbale che deve essere trascritto sul libro delle decisioni dei soci.

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5. LE TECNICHE DECISIONALI NON COLLEGIALI La riforma del 2003 ha riconosciuto ai soci dalla srl la possibilità di ricorrere a meccanismi decisionali non collegiali e cioè alla consultazione scritta o al consenso espresso per iscritto. La prima si riferisce all'adozione di un meccanismo referendario mentre la seconda consiste nella sollecitazione a manifestare un consenso o un dissenso rispetto ad una determinata proposta. E' comunque lasciata all'autonomia privata la libertà di scelta nella costruzione del modello: l'intera procedura decisoria deve essere prevista nello statuto, senza particolari vincoli e limiti, a parte tre principi inderogabili di trasparenza e cioè il diritto di ogni socio ad essere informato e partecipare alla procedura; l'obbligo di indicare chiaramente l'argomento della decisione; la necessità che sia comprensibile la manifestazione di volontà del socio Anche in queste forme di manifestazione della volontà è richiesto il quorum deliberativo della metà del capitale sociale, che può essere derogato dallo statuto. Non tutte le decisioni di competenza dei soci possono essere assunte in forma scritta: i cambiamenti dello Statuto e le operazioni che modifichino sostanzialmente l'oggetto sociale o i diritti dei soci, devono comunque sempre essere decise in assemblea. Inoltre, ciascun amministratore e tanti soci che rappresentino almeno un terzo del capitale sociale, possono chiedere che sia comunque attivato il procedimento collegiale Anche quando sia adottata una procedura decisoria scritta, gli amministratori sono tenuti a trascrivere nel libro delle decisioni dei soci l'esito della stessa, conservando tutta la relativa documentazione. 6. L’INVALIDITA’ DELLE DECISIONI DEI SOCI Le deliberazioni assembleari e le decisioni scritte assunte dei soci dalla srl possono essere impugnate ove presentino vizi di contenuto o di procedura. L'art. 2479 ter c.c. configura un generico regime di invalidità caratterizzato da gradazioni diverse di gravità. In ogni caso la pronuncia del giudice che dichiara invalida la deliberazione vincola tutti i soci, anche se non siano stati parti del giudizio ed obbliga gli amministratori e l'eventuale organo di controllo ad assumere ogni opportuna determinazione; restano salvi i diritti acquisiti dai soci in buona fede in esecuzione della deliberazione o della decisione viziata. La forma di invalidità più grave ricorre quando la decisione o la deliberazione abbia oggetto illecito o impossibile oppure sia stata assunta in assenza assoluta di informazione. In presenza di uno di questi vizi, la decisione o la deliberazione è impugnabile da chiunque vi abbia interesse, a meno che non si tratti di un socio che abbia dato il proprio assenso allo svolgimento dell'assemblea o della procedura anche in mancanza della convocazione o in assenza di completa informazione. L'impugnazione va proposta applicando le stesse regole previste per le società per azioni • entro tre anni dalla trascrizione della decisione o della deliberazione nel libro delle decisioni dei soci • non è previsto un termine e quindi l'impugnazione può essere sempre proposta nel caso di deliberazione assembleare con oggetto illecito o impossibile o quando essa modifichi la clausola statutaria dell'oggetto sociale, prevedendo attività illecite o impossibili. • se la deliberazione riguarda l'aumento o la riduzione di capitale, il termine di impugnazione è pari a 180 giorni dalla iscrizione della deliberazione nel registro delle imprese • quando il vizio sia la mancanza di convocazione, il termine è pari a 90 giorni dalla data di approvazione del bilancio dell'esercizio nel corso del quale l'operazione è stata, anche solo parzialmente, eseguita; permane il diritto del socio e dei terzi al risarcimento del danno.

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Ogni altro vizio della deliberazione o della decisione ( inclusa la mancanza del verbale ed il conflitto di interessi del socio qualora il suo voto sia stato determinante) determina una forma meno grave di invalidità. In questo caso l'azione può essere proposta soltanto dai soci che non abbiano votato o che non abbiano dato il loro consenso scritto, da ciascun amministratore o dall’organo di controllo, nel termine di 90 giorni dalla trascrizione nel libro delle decisioni dei soci. Qualora il vizio riguardi la verbalizzazione, per assenza o incompletezza del verbale, la data decorre dalla deliberazione o dalla conoscenza o conoscibilità da parte del socio, fermo restando che la verbalizzazione eseguita prima della successiva assemblea sana il vizio, salvo i diritti acquisiti dai terzi che ignoravano in buona fede la decisione. Vi sono inoltre alcune disposizioni comuni ad entrambe le fattispecie di invalidità: • l’impugnazione della decisione o deliberazione di approvazione del bilancio non può essere proposta dopo l'approvazione del bilancio dell'esercizio successivo; • l'impugnazione non può essere proposta se i soci sostituiscono la decisione o la deliberazione viziata con un'altra conforme alla legge o allo Statuto; in questo caso la società o chi abbia proposto l'impugnazione può domandare che sia concesso un termine non superiore a 180 giorni per provvedervi; restano salvi i diritti acquistati dai terzi sulla base della decisione o deliberazioni sostituita. Determinate situazioni di non conformità alla legge o allo Statuto vengono degradate a mere irregolarità che non inficiano la validità della decisione o deliberazione: • La partecipazione all'assemblea di persone non legittimate, quando non sia stato determinante per il raggiungimento del quorum costitutivo richiesto • l'invalidità di singoli voti o il loro errato conteggio, quando non siano stati determinanti ai fini del raggiungimento della maggioranza richiesta; • l'incompletezza o l'inesattezza del verbale, a condizione che sia consentito l'accertamento del contenuto, degli effetti e della validità della deliberazione o della decisione.

7. L’ORGANO AMMINISTRATIVO – PROFILI SOGGETTIVI E VICENDE DELLA CARICA Il legislatore ha dedicato poche e disorganiche disposizioni all'organo amministrativo della s.r.l., al fine di lasciare all'autonomia privata la libera determinazione della composizione e del funzionamento di tale organo. La legge esige che l'organo amministrativo di una srl sia composto da uno o più soci, a meno che lo statuto non consenta all'affidamento dell'incarico a estranei (art. 2475 cc). Nulla è dettato in merito alle cause di ineleggibilità o incompatibilità ovvero alla facoltà di imporre il possesso di determinati requisiti di professionalità ma pare ragionevole richiamare alle medesime disposizioni applicabili al modello azionario. La nomina degli amministratori è di competenza dei soci,a meno che lo statuto non disponga diversamente. La carica può essere affidata ad alcuni soci predeterminati a titolo di “diritto particolare” oppure si può prevedere un potere di designazione dei candidati o anche di nomina degli amministratori. Spetta allo Statuto indicare il numero di amministratori anche fissando solo un numero minimo ed uno massimo. Non è sufficiente la nomina ad amministratore ai fini all'assunzione della carica ma è necessario che il soggetto accetti l'incarico ed entro 30 giorni richieda l’iscrizione al registro delle imprese, indicando i propri dati anagrafici, chi all’interno dell’organo amministrativo detenga i poteri di rappresentanza e se lo possano esercitare in modo congiuntivo o disgiuntivo.

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La pubblicità, determina la sanatoria dei vizi della nomina degli amministratori dotati del potere di rappresentanza, salvo che la società di terzi nero una conoscenza Non è stabilita dalla legge la durata della carica in quanto i soci sono liberi di fissare il termine, eventualmente optando per la nomina a tempo indeterminato L'amministratore può cessare la propria carica per varie ragioni: scadenza del termine, morte decadenza, dimissioni, revoca; a questi casi si applicano in generale le norme previste per la società per azioni, se non per alcune peculiarità che caratterizzano la s.r.l.. La cessazione di uno o più amministratori può determinare l'applicazione di meccanismi di sostituzione per cooptazione soltanto se l'organo opera collegialmente o in modo congiuntivo a maggioranza; diversamente, se opera con metodo disgiuntivo, la cessazione riguarda solo il singolo membro; se invece l’organo opera con metodo congiuntivo all’unanimità la cessazione del singolo colpisce tutti i componenti. Quanto alla revoca, opera in linea di principio la regola generale della revocabilità anche senza giusta causa, salvo in questo caso il risarcimento del danno ma qualora la nomina sia a tempo indeterminato, il risarcimento non è dovuto qualora la decisione sia stata comunicata all’amministratore con un congruo preavviso Non è ammissibile la revocabilità del socio che sia amministratore in forza di un diritto particolare, in quanto questi ultimi sono modificabili solo all'unanimità, salvo che sia diversamente disposto dallo statuto. Invece, l’amministratore che è stato nominato da un singolo socio, può essere revocato soltanto da questi e non per effetto di una decisione di tutti L'amministratore è sempre revocabile in via giudiziaria anche su iniziativa del singolo socio. La carica di amministratore si presume onerosa e qualora l'amministratore sia nominato dal singolo socio, spetta a quest'ultimo al potere di fissare il compenso, qualora ciò sia previsto dallo statuto Il compenso degli amministratori nominati in virtù di un diritto particolare deve essere stabilito dalla collettività dei soci. 8. COMPOSIZIONE E STRUTTURA DELL’ORGANO AMMINISTRATIVO La s.r.l. può essere amministrata da un amministratore unico o da un organo pluripersonale, a scelta dei soci. Qualora si tratti di un organo pluripersonale, la legge prevede il ricorso al metodo collegiale, ovvero la costituzione di un consiglio di amministrazione. Sono poche le disposizioni in merito all’organo amministrativo della srl ma sono applicabili quelle previste per la s.p.a., per quanto compatibili. E’ possibile la partecipazione a distanza (attraverso collegamento audio-video) alle riunioni del consiglio ed è possibile l’assunzione delle decisioni mediante consultazione scritta, purché tutti gli amministratori siano coinvolti nella decisione. Inoltre,agli amministratori è riconosciuta la possibilità di adottare il meccanismo della delega di poteri. Le decisioni viziate possono essere impugnate con regole analoghe a quelle previste per le società azionarie. L’atto costitutivo può adottare sistemi di amministrazione congiuntiva o disgiuntiva. Alcune decisioni devono comunque essere adottate in forma collegiale ovvero: • Redazione del progetto di bilancio • Redazione del progetto di scissione o fusione • L’esercizio della delega ad aumentare il capitale conferita agli amministratori dallo statuto. Qualora sia utilizzato il metodo disgiuntivo, la decisione sull’opposizione all’operazione che un amministratore voglia compiere, richiede il voto di tutti i soci assunta a maggioranza e determinata secondo la parte di utili attribuita a ciascuno di essi.

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Anche in caso venga adottato il metodo congiuntivo a maggioranza, per il computo dei consensi si fa riferimento alle quote di partecipazione ma solo nel caso in cui tutti gli amministratori siano soci (altrimenti si adotta il criterio capitario). Nelle s.r.l. non è consentita l’adozione del sistema di amministrazione dualistico mentre è possibile l’adozione di quello monistico ma solo se non è obbligatoria la nomina dell’organo di controllo. 9. I POTERI DEGLI AMMINISTRATORI ART. 2475 Agli amministratori è affidata l’amministrazione e la gestione dell’impresa, bensì quest’ultimo sia un potere esercitato congiuntamente ai soci, nei limiti e nella misura delle previsioni statutarie. Agli amministratori è riconosciuta la rappresentanza legale ovvero il potere di spendere il nome della società nei rapporti con i terzi; anche nella s.r.l. si applica la disciplina della s.p.a.. Non sono opponibili ai terzi in buona fede i vizi della deliberazione di nomina degli amministratori dotati di rappresentanza. Il potere di rappresentanza è generale e quindi l'amministratore può validamente compiere qualsiasi atto in nome dell'ente. Lo statuto può porre delle limitazioni a tale potere ma tali limitazioni non sono opponibili ai terzi a meno che la società non dimostri che costoro le conoscevano ed hanno intenzionalmente agito a danno della società. L'art. 2475 ter disciplina il caso del contratto concluso dall'amministratore in conflitto di interessi: quando il contratto è sottoscritto dal rappresentante portatore di un interesse proprio o di terzi, quando il conflitto era noto o conoscibile da terzi, è sempre annullabile su domanda della società.

10. I DOVERI DI COMPORTAMENTO DEGLI AMMINISTRATORI E LE RESPONSABILITA’ L'art. 2476 sancisce la responsabilità degli amministratori per i danni derivanti dall'inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto. La norma omette di indicare nel dettaglio quali sono i doveri ma la lacuna è facilmente colmabile, potendo applicare per analogia le disposizioni sulle società per azioni Gli amministratori sono tenuti al rispetto dei generali standard di comportamento della diligenza professionale, dell' agire in modo informato, del perseguimento dell'interesse sociale e del divieto, salvo autorizzazione, di esercitare un'attività in concorrenza con la società o di approfittarsi di opportunità d'affari di questa. Inoltre, agli amministratori sono destinati molteplici obblighi specifici come: la tenuta delle scritture contabili e societarie, la convocazione dell'assemblea in caso di perdita del capitale, dalla verifica della stima dei conferimenti in natura alle comunicazioni al Registro delle Imprese. Ogni amministratore è soggetto alle medesime regole di responsabilità, indipendentemente dalla provenienza della propria nomina che sia essa collettiva oppure frutto dell'esercizio di un “diritto particolare” di un socio ed egli risponde esclusivamente per i danni cagionati dalla violazione dei propri doveri e mai per i debiti della società. Nei confronti dell'amministratore si applica la generale responsabilità aquiliana verso i soci o i terzi che siano stati direttamente danneggiati dai loro atti dolosi o colposi; questi ultimi potranno agire per la rifusione del pregiudizio patito ove abbia inciso in via diretta ed immediata sul loro patrimonio. La prescrizione dell'azione di responsabilità è fissata in 5 anni dal compimento dell'atto o dal momento in cui il danneggiato lo abbia conosciuto o lo avrebbe potuto conoscere con l’ordinaria diligenza. In merito alla responsabilità verso la società, il sindacato sull'operato degli amministratori non investe mai il merito delle scelte gestorie bensì soltanto la violazione dei doveri ad essi imposti e

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quindi se essi si sono attenuti o meno alle regole di comportamento generali ( dovere di diligenza, dovere di agire in modo informato, divieto di concorrenza, obblighi in materia di conflitto di interessi) o se hanno adempiuto o meno agli obblighi specifici previsti dalla legge o dallo Statuto. La responsabilità degli amministratori è solidale vale a dire che coinvolge tutti i componenti del Consiglio di amministrazione per l'intero danno conseguente alla violazione dei doveri ad essi imposti, ma non si estende a chi dimostri di essere esente da colpa. Pertanto, al fine di non rispondere del danno, l'amministratore deve dimostrare di essere immune da colpa e quindi di aver vigilato ed essersi attivato diligentemente per impedire o ridurre il danno. Nemmeno l'approvazione del bilancio di esercizio libera gli amministratori dalla loro responsabilità, quindi essi potranno comunque essere chiamati a rispondere del pregiudizio cagionato alla società nonostante i soci abbiano approvato il documento contabile che riassume l'attività gestoria condotta dell'esercizio. La legittimazione attiva relativa all'azione di responsabilità spetta a ciascun socio nell'interesse della società, a favore della quale sarebbe disposta l'eventuale condanna L'azione di responsabilità intrapresa può essere oggetto di rinuncia o transazione da parte della società, purché vi consentano i due terzi del capitale e non vi sia voto contrario di almeno un decimo di esso. Ovviamente l'azione di responsabilità potrà essere intrapresa anche da una pluralità di soci o direttamente dalla società, previa decisione dei soci. In caso di esito favorevole dell'azione di responsabilità, la società deve rimborsare agli attori le spese del giudizio nonché quelle da essi sostenute per l'accertamento dei fatti )ad esempio per una perizia contabile), salva la facoltà di questa di agire in regresso nei confronti degli amministratori condannati. Al socio che agisce è riconosciuta la possibilità di formulare la domanda di revoca cautelare degli amministratori qualora sussistano gravi irregolarità ma il giudice può subordinare il provvedimento alla prestazione di idonea cauzione a garanzia degli eventuali danni che il provvedimento d'urgenza potrebbe cagionare alla società. La disciplina della responsabilità è estesa anche ai soci che abbiano intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società i soci o i terzi. Considerato che i soci sono legittimamente coinvolti nella gestione, la legge si preoccupa di assoggettarli al medesimo regime di responsabilità degli amministratori Inoltre, la stessa responsabilità grava sul socio che, anche al di fuori dei casi previsti dalla legge o dallo Statuto, si sia ingerito intenzionalmente nella gestione. La responsabilità dei soci è solidale con quella degli amministratori e si fonda sul presupposto dell'autorizzazione da parte dei primi al compimento di un atto gestorio che pregiudichi la società, i soci o i terzi, nonché i creditori. In ogni caso, il giudice non potrà mai sindacare in merito alla decisione, salvo che sia totalmente irrazionale, bensì soltanto sul rispetto da parte dei soci, nell’ assumere la decisione, degli standard di condotta richiesti dalla legge (dovere di diligenza, dovere di agire informato, divieto di conflitto di interessi). Il socio può esonerarsi dalle responsabilità dissociandosi dalle decisioni assunte in sede collegiale o collettiva, facendo quindi constare il proprio dissenso.

12. IL CONTROLLO ESERCITATO DAI SOCI L'art. 2467 cc disciplina il diritto di controllo dei soci sulla gestione. La disposizione ha efficacia indipendentemente dalla presenza o meno di un organo o di un soggetto esterno deputato al controllo.

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Sono titolari di tale diritto tutti i soci che non partecipano all'amministrazione cioè che non siano anche amministratori: su questi ultimi grava un dovere di vigilanza, quindi questi sono già autonomamente titolari dei poteri di controllo. Non è invece ostativo il fatto che il socio partecipi all'amministrazione come tale, ad esempio in virtù di un diritto particolare o per effetto di una riserva di competenza statutaria: egli infatti non è soggetto agli stessi doveri di vigilanza imposti agli amministratori. Il potere di controllo riconosciuto ai soci riconosci, fa si che questi ultimi abbiano il potere di ottenere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e quindi quello di consultare, anche tramite professionisti di propria fiducia, i libri sociali ed i documenti relativi all'amministrazione. Il socio è tenuto a non abusare di questo diritto: gli amministratori potranno legittimamente rifiutarsi di rispondere o negare la consultazione qualora meramente emulativa. Lo statuto potrà regolare le modalità di esercizio del diritto ma mai renderlo più gravoso, escluderlo o limitarlo. 13. L’ORGANO SINDACALE O IL REVISORE La riforma societaria del 2003 aveva previsto la possibilità di nomina alternativa di un collegio sindacale o di un revisore; inoltre ha reso obbligatoria la prima operazione qualora la società presentati una struttura imprenditoriale rilevante, testimoniata da un capitale pari a quello delle società azionarie (allora pari a €120.000) ovvero il superamento per due esercizi consecutivi di due limiti prescritti per la redazione del bilancio in forma abbreviata. Le società possono redigere il bilancio in forma abbreviata quando non abbiano emesso titoli in mercati regolamentati e quando, nel primo esercizio o per due esercizi consecutivi non abbiano superato due dei seguenti limiti: 1) totale dell'attivo dello stato patrimoniale: 4.400.000 euro; 2) ricavi delle vendite e delle prestazioni pari a 8.800.000 euro; 3) dipendenti occupati in media durante l'esercizio: 50 unità . Con il d.lgs. 183/2011 è stata prevista la possibilità di designazione, in alternativa all’organo sindacale collegiale, di un sindaco unico, poi divenuto un organo di controllo con il d.lgs. 35/2012, costituito da un solo membro effettivo, cui si applicano le disposizioni sul collegio sindacale delle s.p.a.. La l. 116/2014 ha rimosso l’obbligo di nomina dell’organo di controllo quando la società superi il capitale previsto per le società per azioni, chiarendo che la norma sopravvenuta costituisce legittima causa di revoca dell’organo o del revisore in carica. Pertanto, oggigiorno, l'obbligo di dotarsi di una struttura incaricata della vigilanza è circoscritto a pochi casi. I soci devono nominare un organo di controllo oppure un revisore : • se la società è tenuta alla redazione del bilancio consolidato • se controlla una società obbligata alla revisione legale dei conti • oppure se supera per due esercizi consecutivi due dei limiti prescritti per la redazione del bilancio in forma abbreviata Inoltre, i soci devono nominare sia l'organo di controllo che il revisore se la società è qualificabile o controlla una società qualificabile ente di interesse pubblico; è vietato in tali casi il cumulo delle funzioni di controllo sulla gestione e contabile nello stesso organo. Al di fuori di queste poche ipotesi, è riconosciuta all’autonomia statutaria la facoltà di riservare il controllo ai soli soci oppure ad un organo di controllo o al revisore legale o anche ad entrambi. La competenza di nomina attribuita ai soci è inderogabile. Qualora la nomina sia obbligatoria la legge impone che vi provveda l'assemblea entro 30 giorni dalla data di approvazione del bilancio dell'esercizio in cui l'obbligo è sorto e tale decisione può

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essere assunta anche mediante consultazione scritta o consenso espresso per iscritto, se previsto dallo statuto. Se i soci non provvedono nel termine indicato, la nomina è fatta dal tribunale su richiesta di qualsiasi soggetto interessato. L'organo di controllo è di regola unipersonale ma lo statuto può prevedere che sia composto da più membri; sempre lo statuto deve indicarne le competenze e i poteri. Qualora la nomina sia facoltativa, all'organo di controllo si applicano tutte le disposizioni dettate per il collegio sindacale, con i dovuti adattamenti ove sia monocratico, fatta salva la disciplina dei poteri e competenze che lo statuto potrà derogare rispetto a quanto previsto nelle società per azioni (ma non al punto di snaturare la funzione di vigilanza assegnata all'organo). Qualora la società sia obbligata a dotarsi di un organo di controllo, opererà sostanzialmente la stessa disciplina prevista nel modello azionario Nulla è previsto in merito al revisore ma non si ha alcun dubbio che ad esso si applichi integralmente il decreto legislativo 39/2010, fatta salva anche in questo caso la possibilità che lo statuto introduca limitata deroghe in materia di poteri e competenze.

CAPITOLO VI – LA S.A.P.A. 1. INTRODUZIONE

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La società in accomandita per azioni si caratterizza per la presenza di due categorie di soci: • i soci accomandatari, amministratori di diritto solidalmente e illimitatamente responsabili per le obbligazioni sociali, assoggettabili al fallimento in ripercussione della decozione della società e punibili per bancarotta; • gli accomandanti, esclusi dalla gestione ed obbligati verso la società nel solo limite della quota di capitale sottoscritta; costoro rischiano di perdere solo il capitale conferito e perciò non può essere loro richiesto il pagamento di debiti sociali, tranne il caso in cui, non avendo effettuato integralmente il conferimento promesso, siano i creditori sociali ad agire in via surrogatoria contro di loro. In caso di fallimento della società, il giudice può ingiungere loro di eseguire i versamenti ancora dovuti, anche qualora non sia ancora scaduto il termine per il pagamento La s.a.p.a. è una società di capitali alla quale sono applicabili, nei limiti della compatibilità, oltre le norme per essa specificatamente dettate, anche le norme relative alla società per azioni 2. CONNOTATI TIPOLOGICI Le caratteristiche tipiche della società in accomandita per azioni sono la suddivisione del capitale in azioni e la presenza di due categorie di soci. Quest'ultima peculiarità si evince anche dalla denominazione sociale che deve sempre contenere l'indicazione del tipo sociale ed il nome di almeno uno dei soci accomandatari, sulla cui responsabilità personale i terzi possono contare. Il socio accomandante che acconsentisse all'inserimento del suo nome nella denominazione sociale, conserverà il beneficio della limitazione della responsabilità ma il terzo danneggiato per essere stato tratto in inganno potrà agire nei suoi confronti. La doppia categoria di soci permane anche dopo l’estinzione della società, anche dopo la liquidazione e la cancellazione dal registro delle imprese. Infatti, i creditori sociale rimasti insoddisfatto nella fase di liquidazione, potranno far valere i loro crediti nei confronti degli accomandanti solo fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione. L'art 2249 prevede che le società aventi ad oggetto l'esercizio di attività commerciale devono costituirsi “secondo i tipi di legge” vietando l'autonomia privata pattuizioni statutarie che, modificando l'assetto organizzativo o il regime della responsabilità, sono incompatibili con il tipo di società prescelto; è quindi preclusa la previsione di una partecipazione del socio accomandante oltre i limiti della quota conferita. 3. RESPONSABILITA’ ILLIMITATA Nella s.a.p.a. solo i soci accomandatari possono assumere il potere di gestione in quanto sono di diritto amministratori. Si ha dunque un legame indissolubile fra qualità di accomandatario, posizione di amministratore e responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali; non si può essere soci accomandatari se non si è amministratori e si cessa di esserlo qualora si perda l'incarico gestorio (ad esempio per il sopravvenire di una delle cause di ineleggibilità previste per gli amministratori). L’art 2457 stabilisce espressamente che il nuovo amministratore assume la qualità di socio accomandatario dal momento dell'accettazione della nomina e risponderà insieme agli altri soci per le obbligazioni sociali anteriori all'acquisto della qualità di socio. Simmetricamente, la responsabilità illimitata dura solo sino a quando si rivesta la qualifica di accomandatari, salva l'osservanza degli oneri pubblicitari (iscrizione nel registro delle imprese), onde rendere opponibile la cessazione della carica ai terzi creditori. Pertanto, la perdita della qualità di socio opera come una causa di decadenza dall'ufficio di amministratore. Il socio accomandante, proprio perché rischia solo la quota di capitale sottoscritta, non può interferire nella gestione.

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Non esiste un vero e proprio divieto di immistione cioè di intromettersi negli affari sociali; se l’accomandante si immischia potrebbe però essere chiamato a rispondere dei danni nei confronti del terzo tratto in inganno. Inoltre, nel caso di sistematico compimento da parte sua di atti di amministrazione, lo si potrebbe ritenere un amministratore di fatto; se poi gestisce con il tacito consenso dell'assemblea, forse anche socio accomandatario di fatto ( responsabile illimitatamente e solidalmente per le obbligazioni sociali). Nella s.a.p.a. è inapplicabile l'eventuale clausola statutaria che consenta all'assemblea di interferire nella gestione della società. La distinzione fra accomandanti accomandatari è quindi netta ma le azioni, siano esse possedute dagli uni o dagli altri, hanno identiche caratteristiche, compresa la possibilità di essere quotate in borsa. In mancanza di specifiche limitazioni, le azioni sono liberamente trasferibili e chi le acquista dall’ accomandatario, acquisisce lo status di socio ma non subentra automaticamente nella carica di amministratore, che invece deve essere sempre accettata. Allo stesso modo, si ritiene che la morte estingua solo il rapporto di amministrazione ma non quello partecipativo, con conseguente apertura di una normale successione mortis causa nella titolarità delle azioni in capo all’erede della qualifica di accomandante. Pertanto, non esiste una categoria di azioni da accomandante contrapposta ad un'altra categoria di azioni da accomandatario E’ il solo fatto di essere chiamati successivamente ad esercitare funzioni amministrative e non il possesso di tali azioni piuttosto che altre, che comporta il sorgere della responsabilità illimitata, a prescindere dall'iniziale posizione del socio all'interno della società.

4. NOMINA, REVOCA E POTERI DEGLI ACCOMANDATARI I soci accomandatari sono amministratori di diritto e non per nomina assembleare; in quanto tali, sono soggetti agli stessi obblighi degli amministratori delle società per azioni. Per contro, è possibile che il potere rappresentativo sia attribuito soltanto ad alcuni accomandatari. Di regola, l'amministrazione sia ordinaria che straordinaria, è disgiuntiva ma l'atto costitutivo potrebbe prevedere quella congiuntiva oppure la costituzione di un consiglio di amministrazione. In tal caso i componenti del Consiglio deliberano a maggioranza, con la conseguenza che in presenza di una delibera pregiudizievole per la società l'accomandatario dissenziente rimarrà responsabile per le obbligazioni sociali ma non risponderà dei danni che ne siano derivati. La carica dell'amministratore è onerosa; il compenso degli accomandatari potrà anche consistere in una partecipazione agli utili di esercizio o agli utili netti di liquidazione. Gli accomandatari godono di una particolare garanzia di stabilità e omogeneità gestionale e non possono essere costretti a condividere l'ufficio con persone non gradite o non affidabili. La revoca dell'amministratore e la retrocessione del revocato ad accomandante deve essere decisa con le stesse maggioranze prescritte per le deliberazioni dell'assemblea straordinaria della società per azioni e se avvenuta senza giusta causa comporta l'obbligo di risarcire il danno. La sostituzione del revocato, sempre di competenza dell’assemblea straordinaria, comporta una modifica dell’atto costitutivo (nel quale sono indicati i soci accomandatari) e deve essere approvata, a pena di inefficacia, anche dagli amministratori rimasti in carica. Gli accomandatari possono essere revocati anche mancanza di giusta causa ma hanno una sorta di diritto di veto sulla nomina dei nuovi e sulle modifiche dell'atto costitutivo che devono da loro essere provate in quanto possono incidere sulla loro posizione di soci illimitatamente responsabili. E’ incerto se si possa applicare la regola secondo cui il venir meno di un accomandatario possa determinare il venir meno di tutti in quanto ciò potrebbe rendere “instabile” lo stesso organo.

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Al fine di bilanciare il potere degli accomandatari all'esigenza di garantire una maggiore indipendenza dell'organo di controllo, il legislatore con l’art 2459 c.c. esclude il diritto di voto degli accomandatati dalle delibere dell’assemblea riguardanti • la nomina e la revoca dei sindaci (nel sistema dualistico dei componenti del consiglio di sorveglianza) e del soggetto incaricato alla revisione legale dei conti • l'esercizio dell'azione sociale di responsabilità, chiunque sia il suo destinatario Tali delibere non possono nemmeno essere impugnate dagli accomandatari. Gli accomandatari non possono nemmeno esercitare il diritto di voto nella delibera concernente la loro revoca ; in caso di violazione di tale divieto la deliberazione sarà annullabile purché si dimostri che i voti degli accomandatari siano stati determinanti (c.d. prova di resistenza). Alla s.a.p.a. è inapplicabile il sistema dualistico, in quanto non sarebbe facile conciliare i requisiti di indipendenza richiesti per i componenti di tale organo con il ruolo degli accomandatari, in quanto soci non potrebbero mai considerarsi veramente indipendenti. 5. COROLLARI DELLA STRUTTURA BIPARTITA La caratteristica della presenza di due differenti categorie di soci, rende impossibile la costituzione di una s.a.p.a. unipersonale; inoltre costituisce causa di scioglimento il venir meno dei soci amministratori e quindi il venir meno della categoria dei soci accomandatari, a meno che entro 180 giorni non venga ricostituita. Durante i 180 giorni, il collegio sindacale o, qualora sia adottato il sistema dualistico, il consiglio di sorveglianza, dovrà nominare un amministratore provvisorio per il compimento degli atti di ordinaria gestione, che però non assume la qualifica di accomandatario. Anche se l’art. 2458 non preveda come causa di scioglimento il venir meno degli accomandanti, anche tale ipotesi comporterebbe lo scioglimento della società, qualora non si ponga rimedio, per impossibilità di funzionamento dell’assemblea.

CAPITOLO VII – IL BILANCIO DELLE SOCIETA’ DI CAPITALI 1. I LIBRI SOCIALI OBBLIGATORI

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Tutte le società di capitali sono obbligate a tenere i libri contabili di cui all'art 2214 cc (richiamato dall'art. 2421 per la società azionaria, dall'art. 2454 cc per l'accomandita e dall'art. 2478 per quella a responsabilità limitata). Esse devono redigere il libro giornale, libro degli inventari, e le ulteriori scritture contabili richieste dalla natura e dalle dimensioni dell'impresa, avendo altresì l'obbligo di conservare ordinatamente, per ciascuna affare, sia gli originali delle lettere e delle fatture ricevute che le copie di quelle spedite. La legge impone agli amministratori delle società per azioni e in accomandita per azioni di curare un ulteriore serie di documenti. • Nel libro dei soci, devono essere indicate, per ciascuna categorie di azioni, il loro numero, i dati anagrafici dei titolari per quelle nominative, i trasferimenti, i vincoli a esse relativi, i versamenti eseguiti. • Il libro delle obbligazioni, indica l’ammontare di quelle emesse e di quelle estinte, i dati anagrafici dei titolari dei titoli nominativi, i trasferimenti e i vincoli ad esse inerenti. • Il libro delle adunanze e delle deliberazioni delle assemblee contiene la trascrizione di tutti i verbali, delle decisioni degli azionisti (inclusi quelli redatti per atto pubblico) • agli amministratori è affidata la cura del libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di amministrazione (nel modello dualistico del consiglio di gestione) oltre che del libro degli strumenti finanziari collegati ad uno o più patrimoni destinati, ciascuno dei quali richiede l'adozione di una contabilità separata • anche se la legge non ne fa menzione, è obbligatoria la tenuta del libro degli strumenti finanziari connessi agli apporti di soci o dei terzi come di quelli resi a favore dei dipendenti • spetta al collegio sindacale al consiglio di sorveglianza, a seconda del sistema di governance concretamente adottato, ed al comitato per il controllo sulla gestione redigere il libro delle adunanze e delle deliberazioni del predetto collegio, consiglio o Comitato; • al comitato esecutivo, ove nominato, compete la tenuta del libro delle proprie adunanze e deliberazioni mentre rappresentante comune degli obbligazionisti cura il libro delle adunanze e delle deliberazioni delle assemblee degli obbligazionisti; Allo scopo di garantire la regolarità della compilazione e prevenire ipotetiche manomissioni, tutti i libri prima di essere messi in uso devono essere numerati progressivamente in ogni pagina e bollati in ogni foglio. • Gli azionisti possono esaminare il libro dei soci quello delle obbligazioni e quello delle adunanze assembleari; è invece precluso a questi l’accesso agli altri libri sociali in quanto la società potrebbe avere interesse a mantenere riservate determinate informazioni potenzialmente sensibili, alla cui vigilanza è preposto il collegio sindacale, che è infatti legittimato ad accedere a tutte le scritture senza alcune limitazioni • il diritto di consultazione e di estrazione di copia spetta anche al rappresentante comune degli obbligazionisti ma con esclusivo riguardo ai libri delle deliberazioni e delle adunanze assembleari ( tale diritto spetta anche ai singoli obbligazionisti). • i titolari di strumenti finanziari e loro rappresentante comune possono invece accedere ai libri inerenti ai titoli che gli interessano direttamente; Assai più circoscritto è il novero dei libri obbligatori della società a responsabilità limitata, a seguito dell'intervenuta abrogazione, nel 2008, del precetto che imponeva la redazione del libro dei soci. Gli amministratori devono tenere il libro delle decisioni dei soci, nel quale vanno trascritti sia i verbali delle assemblee (compresi quelli redatti in forma di atto pubblico) e delle deliberazioni assunte in sede extra assembleare, nonché quello delle decisioni degli amministratori stessi.

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Compete invece al sindaco unico o al collegio sindacale, la redazione del libro nel quale va registrata l'attività dell'organo di controllo. Anche in caso di emissione di titoli di debito diversi dalle obbligazioni, si deve predisporre, a cura degli amministratori, il relativo libro. Nella società a responsabilità limitata tutti i soci possono accedere liberamente a tutti i libri sociali inclusi quelli riguardanti le decisioni gestorie; infatti in questo tipo societari il potere di vigilanza è affidato ai soci, in considerazione del fatto che l'organo di controllo è obbligatorio solo quando siano stati superati i limiti dimensionali prescritti.

2. I PRINCIPI DI REDAZIONE DEL BILANCIO Tutte le società di capitali hanno l'onere di redigere il bilancio al quale è dedicato un folto insieme di regole, le quali, pur essendo dettate con riguardo alla società per azioni, sono oggetto di integrale richiamo in materia di accomandita per azioni e di ampissimi rimandi da parte della disciplina della società a responsabilità limitata. Il bilancio deve essere redatto dagli amministratori ed è un documento formato da tre parti distinte e complementari: lo stato patrimoniale e il conto economico e la nota integrativa (art 2423 cc.) Esso deve essere inoltre corredato dalla relazione sulla gestione nonché da quelle dei sindaci e del revisore, qualora questi siano presenti. Il bilancio va redatto in euro, senza cifre decimali e costituisce la rappresentazione monetaria della consistenza patrimoniale e dell'andamento economico della società. La sua redazione deve attenersi a precisi standard legali e tecnici dei fatti di gestione già registrati in contabilità. Quindi nel libro giornale e in quello degli inventari il bilancio deve individuare, al termine di ciascun esercizio, la composizione dell'attivo e del passivo dell'ente e i risultati della gestione, mettendo in luce se nel periodo di riferimento siano stati prodotti utili da dividere fra i soci o se si siano registrate perdite e in questa eventualità, se il relativo ammontare resti assorbito dalla quota di attivo patrimoniale disponibile o al contrario abbia addirittura intaccato il capitale. Il bilancio è innanzitutto rivolto ai soci, ai quali consente di monitorare, con cadenza annuale, il corso del proprio investimento apprezzandone le variazioni patrimoniali, le quali si riflettono sia sull'aspettativa di percezione dell'utile sia sul valore delle azioni o delle quote possedute. Inoltre, grazie al bilancio, i soci possono avere riscontri sull'operato degli amministratori così da poterne valutare la condotta con riguardo alle performance economiche effettivamente conseguite, le quali qualora ritenute insoddisfacenti, potrebbero condurre alla sostituzione dei soggetti incaricati della gestione. Il bilancio è inoltre destinato ai creditori e più in generale ai terzi perché una volta approvato è soggetto all'onere di deposito presso il Registro delle Imprese ed è quindi liberamente consultabile da parte di coloro che abbiano instaurato o valutino se intraprendere relazioni negoziali con la società. La legge ha stabilito precise regole sulla compilazione del bilancio, innanzitutto prescrivendo che esso debba essere redatto con chiarezza e debba rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico dell'esercizio Il bilancio è vero e corretto quando espone dati reali ed esprime valutazioni conformi ai criteri legali e propri della tecnica contabile; ciò significa che ogni stima, seppure lasci sempre un certo margine di discrezionalità, debba essere improntata su parametri standard e come tali non arbitrari. Ulteriore requisito del bilancio è la chiarezza: l'esposizione del bilancio deve essere tale da rendere comprensibile per il lettore l'esatta situazione patrimoniale, economica e finanziaria

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della società; ciò impone di prendere in considerazione tutte le voci prescritte per legge e di appostarle separatamente, evitando compensazioni o elusioni. Chiarezza, veridicità e correttezza sono i principi base che presiedono la compilazione del bilancio, così che la relativa violazione determina la nullità della delibera assembleare di approvazione. Tali principi prevalgono su tutte le regole di dettaglio ma qualora il rispetto di specifiche disposizioni non consenta di ottenere una rappresentazione veritiera e corretta si dovranno necessariamente aggiungere tutte le regole complementari e strumentali allo scopo. Inoltre, se l'applicazione di una specifica disposizione si riveli incompatibile con una rappresentazione veritiera e corretta occorre derogare alla regola speciale, per rispettare il principio generale. La nota integrativa deve riportare l'eventuale deviazione dalla prescrizione standard, indicandone gli effetti sulla complessiva esposizione della situazione patrimoniale e finanziaria e del risultato economico; inoltre gli eventuali utili derivanti dalla deroga devono essere iscritti in una riserva non distribuibile fino a quando il maggior valore indicato in bilancio sia stato effettivamente conseguito. La valutazione delle singole voci deve essere fatta secondo i seguenti principi: • principio di prudenza: svolge una funzione di garanzia generica del patrimonio sociale, mediante il divieto di distribuire utili non realmente conseguiti. Si traduce nell’obbligo di appostare le attività solo nella misura in cui esse siano certe (in quanto conseguite o certamente conseguibili) mentre le passività vanno iscritte anche se meramente probabili. • nella prospettiva della continuazione dell'attività: si deve tener conto che la valutazione delle poste attive e passive riguardano cespiti o rapporti destinati non alla liquidazione (liquidazione immediata) ma al duraturo utilizzo nell’attività di impresa (nel presupposto che sussistano le condizioni per la sua regolare esecuzione e quindi non sia già intervenuta una causa di scioglimento). • nonché tenendo conto della funzione economica dell'elemento dell'attivo o del passivo. • A ciò si aggiunge il principio della prevalenza della sostanza sulla forma, secondo il quale le scritture vanno effettuate tenendo conto, più che della veste giuridica di volta in volta impiegata, della funzione economica dell'elemento dell'attivo o del passivo considerato. • La legge prescrive inoltre che nel bilancio vanno indicati esclusivamente gli utili realizzati alla data di chiusura dell'esercizio e quindi si debba tener conto dei proventi, degli oneri dei rischi e delle perdite di competenza dello stesso, indipendentemente dalla data dell'incasso o del pagamento o dal fatto che li si sia conosciuti dopo la sua chiusura. Queste disposizioni costituiscono il principio di competenza il quale impone di riferire tutte le apposizioni dell'esercizio di spettanza vale a dire quello nel quale sono sorte, senza avere riguardo ai movimenti di cassa. Da ciò discendono: • i ratei e risconti attivi rispettivamente i proventi di competenza dell'esercizio, esigibili nei successivi esercizi e di costi sostenuti entro la sua chiusura ma di spettanza da quelli futuri; • i ratei e risconti passivi, rispettivamente costi di competenza dell’esercizio esigibili oltre l’esercizio e quote di proventi percepiti entro la sua chiusura ma di competenza dei successivi • principio di continuità: i criteri di valutazione non possono essere modificati tra un esercizio e l'altro in quanto deve essere consentita la comparazione dei bilanci che si susseguono nel tempo. E’ ammessa la deroga a tale principio, a condizione che la nota

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integrativa fornisca idonea motivazione e indichi la sua influenza sulla rappresentazione della situazione patrimoniale finanziaria nonché del risultato economico Sempre al fine di permettere la comparazione fra esercizi diversi, per ogni voce dello stato patrimoniale e del conto economico occorre indicare non solo il valore di riferimento ma anche quello relativo all'anno precedente Ai criteri dettati dal codice civile si sono affiancati i principi contabili internazionali IFRS (intarnational financial resporting standards). Mentre la disciplina codicistica mira, attraverso il principio di prudenza, a contenere l'utile distribuibile, i principi contabili internazionali sono finalizzati all'esigenza di fornire ai potenziali investitori un'informativa pienamente esaustiva, anche in relazione alle potenzialità reddituali dell'ente. Le valutazioni sono basate sul fair value, individuabile nell'ammontare al quale un'attività potrebbe essere trasferita o una passività estinta in una libera transazione sul mercato tra controparti consapevoli. L’adozione dei principi contabili internazionali ha riguardato dapprima il bilancio consolidato di alcune specifiche tipologie di società, essenzialmente le quotate e quelle operanti in settori particolarmente sensibili come quelli bancario e dell'intermediazione finanziaria, per poi essere gradatamente estesa al bilancio di esercizio. Quest’ultima innovazione ha sollevato il problema del rischio di disomogeneità nella quantificazione del dividendo del parametro del valore corrente delle attività in luogo di quello del costo storico e determinare l'emersione di un utile più elevato di quello che discenderebbe dalle ordinarie regole civilistiche. Per ovviare a tale inconveniente, l'importo delle plusvalenze discendenti dall'utilizzo del fair value deve essere iscritto in una speciale riserva distribuibile solo al momento in cui l'utilità stimata si sia effettivamente realizzata. E' obbligatorio conformarsi ai principi contabili internazionali nel bilancio tanto consolidato quanto di esercizio delle società emittenti strumenti finanziari quotati o diffusi tra il pubblico, delle banche, delle società finanziarie al vertice di gruppi bancari, delle società di gestione del risparmio, delle società di intermediazione immobiliare, degli istituti di moneta elettronica, degli intermediari finanziari e delle imprese di assicurazione. Per tutte le altre società di capitali l'adozione di questi criteri è meramente facoltativa ma una volta effettuata tale operazione non può essere revocata, salvo che ricorrano circostanze eccezionali di cui si deve dare adeguato conto nella nota integrativa mettendone in luce gli effetti sulla rappresentazione della situazione patrimoniale economica e finanziaria della società o, nel caso di bilancio consolidato, del gruppo. 3. LO STATO PATRIMONIALE, IL CONTO ECONOMICO E LA NOTA INTEGRATIVA Lo stato patrimoniale illustra la situazione patrimoniale e finanziaria della società al momento della chiusura dell'esercizio e consiste in una rappresentazione statica del patrimonio sociale ad un dato momento. Esso si compone di due colonne contrapposte: la prima contiene le attività, la seconda le passività; in quest'ultima trovano collocazione sia i debiti verso i terzi (passivo reale) che il patrimonio netto che costituisce una sorta di debito vs. i soci (passivo ideale). Il totale delle attività deve coincidere esattamente con il totale delle passività: ove le attività sopravanzano i debiti verso i terzi, la differenza è rappresentata dal valore positivo del patrimonio netto; al contrario, se le passività reali superano le attività, il patrimonio netto assume un valore negativo. La struttura delle due colonne segue lo schema di cui all'art 2424 c.c. ed è articolato in una pluralità di sezioni (contraddistinte da lettere latine maiuscole), ciascuna suddivisa in voci ( numeri romani), a loro volta suddivise in sottovoci ( numeri arabi). Le macrovoci dell’attivo patrimoniale sono:

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A. crediti vs. soci per versamenti ancora dovuti B. immobilizzazioni: immateriali, materiali e finanziarie C. attivo circolante: rimanenze, crediti, attività finanziarie diverse dalle immobilizzazioni e disponibilità liquide D. ratei e risconti Le macrovoci del passivo patrimoniale sono: A. patrimonio netto: capitale, riserve (legale, statutaria, di rivalutazione e per azioni proprie) e utili (o perdite) dell’esercizio e portati a nuovo B. fondi per rischi e oneri C. trattamento di fine rapporto D. debiti E. ratei e risconti Ciascuna di queste sezioni deve essere compilata in conformità dei principi di redazione del bilancio, ai quali si sommano le regole di dettaglio dettate dall’art. 2426 c.c. • Le immobilizzazioni sono tutti i cespiti materiali e immateriali destinati ad essere impiegati durevolmente nell’attività di impresa. Sono iscritte in bilancio al costo storico, cioè al costo d’acquisto o di produzione. Considerato che l’utilizzo del cespite è limitato ad un determinato periodo, anche per effetto del deperimento, il costo storico deve essere sistematicamente ridotto ad ogni esercizio (ammortamento), decrementando così il valore originario al fine di tener conto della sua vita residua. Laddove, al termine dell’esercizio, il valore del cespite è notevolmente inferiore a quello derivante dall’applicazione del criterio del costo storico, dovrà essere indicato in bilancio a tale minor valore. • Per le partecipazioni in imprese collegate o controllate si può usare, anziché il criterio del costo storico (cioè l’esborso sostenuto a titolo di conferimento), il valore corrispondente alla frazione di patrimonio netto risultante dall'ultimo bilancio dell'impresa partecipata. Qualora vi sia una differenza tra l’applicazione dei due criteri, la cui scelta è facoltà del redattore del bilancio, tale differenza deve essere adeguatamente motivata nella nota integrativa. • I costi di impianto o di ampliamento, di ricerca e sviluppo e pubblicità aventi utilità pluriennale possono essere iscritti nell’attivo (c.d. capitalizzazione dei costi) con il consenso del collegio sindacale (ove esistente). Tali costi devono essere ammortizzati in un periodo non superiore a 5 anni. Fino a quando l’ammortamento non è completato, possono essere distribuiti dividendi solo nella misura in cui residuino riserve disponibili sufficienti a coprire i costi non ancora ammortizzati. • Anche l’avviamento può essere iscritto nell’attivo solo con il consenso del collegio sindacale (ove esistente) ma solo se acquisito a titolo oneroso e nel limite del costo sostenuto. Anche l’avviamento deve essere ammortizzato in un periodo massimo di 5 anni ma la disposizione è derogabile, infatti è possibile ammortizzare l’avviamento in un periodo superiore purchè non sia superiore al periodo di effettivo utilizzo e a condizione che ne venga esplicitata la motivazione nella nota integrativa. • I crediti devono essere indicati secondo il presumibile valore di realizzo; non devono quindi essere sempre iscritti all’importo nominale ma occorre effettuare un’accurata analisi sulla solvibilità del creditore, procedendo, se necessario, alla svalutazione del credito (parziale o totale) o eventualmente iscrivendo al passivo un’apposita riserva (riserva rischi su crediti). • le attività e le passività in valuta estera, ad eccezione delle immobilizzazioni, devono essere iscritte al tasso di cambio a pronti alla data di chiusura dell'esercizio ed i relativi utili e perdite su cambi devono essere imputati al conto economico e l'eventuale utile netto deve essere accantonato in apposita riserva non distribuibile fino al realizzo.

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Le rimanenze, i titoli e le attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni sono iscritte al costo d’acquisto o di produzione o, se inferiore, al valore di realizzo desumibile dall’andamento del mercato. I lavori in corso su ordinazione si appostano sulla base dei corrispettivi contrattuali maturati con ragionevole certezza

Il conto economico costituisce una rappresentazione dinamica dell'attività della società nel corso dell'esercizio, illustrando la composizione dell'utile o della perdita di periodo. Il conto economico ha una struttura scalare, articolata secondo lo schema previsto dall'art 2425. Vi sono cinque sezioni contraddistinte da lettere latine maiuscole, suddivise in 23 voci, contrassegnate da numeri arabi in progressione continua, delle quali solo alcune sono a loro volta ripartite in sottovoci A. valore della produzione B. costi della produzione dalla differenza tra A e B deriva il risultato della gestione caratteristica C. oneri finanziari D. rettifiche del valore delle attività finanziarie (rivalutazioni e svalutazioni) E. proventi e oneri straordinari La somma algebrica di tutte le sezioni può tradursi, a seconda dei casi, in un valore positivo o negativo e coincide con il risultato dell'attività prima delle imposte dal quale, sottratte le imposte sul reddito correnti e differite e aggiunte quelle anticipate, si ricava l'utile o la perdita di esercizio. Il terzo documento costituisce la nota integrativa che completa ed integra le informazioni contenute nello SP e nel CE. In questo documento sono contenute tutti i chiarimenti e le spiegazioni utili ad una migliore comprensione del mero dato numerico. Il suo contenuto è indicato dagli art. 2427-2427 bis. Ed offre l’indicazione dei criteri di valutazione utilizzati, della variazione delle rimanenze,l’eventuale capitalizzazione di costi, le evoluzioni dell’attivo e del passivo, i ratei ed i risconti ecc..

4. LA RELAZIONE SULLA GESTIONE Il bilancio deve essere corredato dalla relazione sulla gestione. Deve essere redatta dagli amministratori ed offre un'analisi fedele equilibrata ed esauriente della situazione della società nonché dell'andamento del risultato della gestione, tanto nel suo complesso quanto nei diversi settori in cui l’ente abbia operato, eventualmente anche attraverso imprese controllate, con particolare riguardo ai costi ai ricavi e agli investimenti. L’illustrazione deve essere coerente con l'entità e la complessità degli affari e deve contenere, nella misura necessaria un'adeguata comprensione, gli indicatori di risultato finanziario. Dalla relazione devono in ogni caso risultare • le attività di ricerca e di sviluppo • i rapporti con imprese controllate, collegate e controllanti e con quelle sottoposte a comune controllo • il numero e valore nominale delle azioni proprie o quote di società controllanti possedute direttamente o indirettamente della società, con indicazione della porzione di capitale corrispondente, il numero e valore nominale delle azioni proprie o quote di società controllanti acquistate o alienate dalla società nel corso dell'esercizio, anche per tramite di società fiduciaria o per interposta persona, con l'indicazione della corrispondente frazione di capitale, dei corrispettivi e dei motivi degli acquisti o delle alienazioni;

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• • •

i fatti di rilievo intervenuti dopo la chiusura dell'esercizio e la prevedibile evoluzione della gestione le politiche di gestione e le strategie di copertura per ciascuna principale categoria di operazioni l'esposizione della società il rischio di prezzo di credito di liquidità e di variazione dei flussi finanziari

5. IL BILANCIO ABBREVIATO ART. 2435 BIS. La legge stabilisce che gli enti che non abbiano emesso titoli negoziati in mercati regolamentati, possono redigere il bilancio in forma abbreviata, qualora nel primo esercizio, o successivamente, per due esercizi consecutivi, non abbiano superato almeno due dei seguenti limiti: • totale dell'attivo dello stato patrimoniale pari a 4,4 milioni di euro • ricavi delle vendite e delle prestazioni pari a 8, milioni di euro • 50 dipendenti occupati in media durante l'esercizio Il superamento di due dei suddetti parametri, per due esercizi consecutivi, determina l'automatico assoggettamento alla disciplina ordinaria. Il bilancio in forma abbreviata si caratterizza per alcune significative semplificazioni: • Lo SP comprende solo le sezioni contraddistinte dalle lettere latine maiuscole e le voci alle quali corrispondono i numeri romani, con conseguente eliminazione delle sottovoci e delle apposizioni di dettaglio • sono possibili alcuni accorpamenti • nel conto economico si procede al raggruppamento di alcune partite il contenuto della nota integrativa risulta circoscritto 6. L’APPORVAZIONE ED IL DEPOSITO La redazione del progetto di bilancio spetta agli amministratori mentre la sua definitiva approvazione compete all'assemblea dei soci. Solo nell'eventualità di adozione del modello dualistico, l'approvazione spetta al Consiglio di Sorveglianza ma lo statuto può prevedere che, in caso di mancata approvazione o quando lo richiede almeno un terzo dei componenti del consiglio di gestione o dello stesso consiglio di sorveglianza, la competenza venga attribuita agli azionisti. Nelle società a responsabilità limitata, la predisposizione del progetto di bilancio spetta agli amministratori e la sua approvazione ai soci ma senza vincolo di deliberazione assembleare. Almeno trenta giorni prima della data fissata per l'Assemblea gli amministratori sono tenuti a consegnare il progetto di bilancio, insieme alla relazione sulla gestione, al soggetto incaricato della revisione dei conti e al collegio sindacale. Anche il collegio sindacale deve redigere una relazione che, oltre a informare i soci dei risultati dell'esercizio, formula proposte e osservazioni in merito al bilancio e alla sua approvazione, con particolare riguardo alla possibilità di derogare determinati criteri legali di redazione che siano ritenuti concretamente incompatibili con l'osservanza dei principi di veridicità e correttezza. Qualora sia presente anche il revisore legale, a lui compete la predisposizione di una relazione che deve contenere l'indicazione di tutti i controlli svolti e dei criteri di revisione utilizzati. Si passa quindi al vero e proprio giudizio sul bilancio con chiara menzione della conformità alle norme che ne disciplinano la redazione e della circostanza che esso rappresenti o meno in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società nonché il risultato economico dell'esercizio.

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Qualora il giudizio non sia pienamente positivo o positivo con rilievi o addirittura negativo, o laddove si ricava nell'impossibilità di esprimere un giudizio, a causa dell'impedimento dell'attività di revisione, la relazione illustra analiticamente i motivi della decisione. Durante i 15 giorni che precedono l'assemblea e fino all'approvazione, il progetto di bilancio insieme alla copia dell'ultimo bilancio delle società controllate e un prospetto riepilogativo dei dati essenziali di quello delle eventuali società collegate, deve essere depositata in copia nella sede della società, insieme alle relazioni degli amministratori e dei sindaci e del revisore legale dei conti, affinché i soci possono prenderne visione. L’approvazione del bilancio non implica la liberazione degli amministratori e degli altri soggetti preposti alla redazione dei documenti contabili societari dalle responsabilità di cui siano eventualmente incorsi nello svolgimento delle proprie funzioni. La delibera assembleare è impugnabile ma con alcune significative limitazioni: • l'azione di nullità o di annullamento non può essere proposta dopo che sia venuta l'approvazione del bilancio dell'esercizio successivo a quello contestato • la legittimazione ad impugnare il bilancio, su cui soggetto incaricato di effettuare la revisione abbia emesso un giudizio positivo e privo di rilievi, spetta solo a tanti azionisti che rappresentino almeno il 5% del capitale sociale Entro 30 giorni dall'approvazione una copia del bilancio corredata delle relazioni degli amministratori e dei sindaci del revisore e dal verbale dell'assemblea o del consiglio di sorveglianza deve essere depositata presso l'ufficio del registro delle imprese a cura degli amministratori. Entro lo stesso termine le società prive di titoli azionari quotati sono tenute a depositare c/o il registro delle imprese l’elenco dei soci e l’indicazione analitica di tutte le annotazioni effettuate sul libro dei soci dalla data di approvazione del bilancio degli esercizi precedenti. 7. LE RISERVE E GLI UTILI Nelle società di capitali gli utili risultanti dal bilancio non sono automaticamente distribuibili in quanto ogni decisione in merito è rimessa ai soci. Il credito del singolo socio nei confronti della società, sorge soltanto a seguito della delibera di distribuzione degli utili, dovendosi ritenere legittimo che la maggioranza stabilisca di mantenere in società una parte di tali utili o la sua totalità al fine di rafforzare il patrimonio. La decisione dei soci deve inoltre sottostare a precisi vincoli: • è innanzitutto necessario procedere alla progressiva costituzione della riserva legale cioè un fondo costituito a titolo di garanzia supplementare rispetto al capitale; dagli utili netti annuali va pertanto dedotto un ammontare non inferiore alla ventesima parte di essi, fino a che la riserva legale non abbia raggiunto il quinto del capitale sociale; • qualora tale riserva risulti intaccata come può accadere in caso di perdite, deve essere reintegrata secondo le medesime modalità; • alla riserva legale si accompagnano altre ulteriori riserve previste dalla legge (come ad esempio in relazione all'acquisto di azioni proprie) o quelle eventualmente decise dallo statuto; Nella società azionaria, la deliberazione sulla distribuzione è adottata dall' assemblea che approva il bilancio o, quando ciò competa al consiglio di sorveglianza, nella riunione appositamente convocata. Nella s.r.l., la decisione compete ai soci ma può essere adottata anche in sede extra - assembleare Non possono mai essere pagati utili superiori a quelli realmente conseguiti e che risultino da un bilancio regolarmente approvato; inoltre se si verifica una perdita del capitale sociale, non possono essere distribuiti utili fino a quando il capitale sociale non sia stato reintegrato o ridotto in misura corrispondente

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I dividendi erogati in violazione a tali disposizioni tuttavia non sono ripetibili, a condizione che i soci li abbiano riscossi in buona fede e sulla base di un bilancio regolarmente approvato Nelle società azionarie si ha il divieto assoluto di procedere alla distribuzione di acconti sui dividendi; tale operazione è consentita solo nelle società in cui il bilancio è assoggettato per legge a revisione legale dei conti (quotate ed enti di interesse pubblico). La possibilità di distribuzione di acconti dividendi deve essere prevista dallo statuto ed è deliberata dagli amministratori dopo il rilascio, da parte del revisore, di un giudizio positivo sul bilancio dell'esercizio precedente e la sua approvazione, a condizione che da esso non risultano perdite neppure in relazione agli esercizi precedenti Gli amministratori deliberano gli acconti sulla base di un prospetto contabile e di una relazione dai quali risulti che la situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società consente la distribuzione Quando sia in seguito accertata l'inesistenza degli utili di periodo risultanti dal prospetto, gli acconti sui dividendi legittimamente erogati non sono ripetibili se i soci li hanno riscossi in buona fede.

8. IL BILANCIO CONSOLIDATO Il bilancio consolidato ha per oggetto non la singola società ma l'intero gruppo in cui essa sia compresa. Deve essere redatto dagli amministratori della società capogruppo e deve fornire una rappresentazione chiara, veritiera e corretta della situazione patrimoniale e finanziaria e del risultato economico dell’insieme di imprese, assoggettato al controllo della società holding. Anche il bilancio consolidato è composto dallo stato patrimoniale, dal conto economico e dalla nota integrativa ed è corredato dalla relazione sulla gestione e dai documenti redatti dal collegio sindacale e del revisore dei conti. Tale bilancio non è costituito dalla somma dei singoli bilanci delle società facenti parte del gruppo ma il gruppo stesso viene considerato come un unico soggetto economico e quindi tale documento è caratterizzato dalle elisione di tutte le poste infragruppo. Il consolidato costituisce un allegato di bilancio di esercizio della holding di vertice ed è depositato nel registro delle imprese insieme unitamente ad esso. Inoltre, non è sottoposto ad una vera e propria approvazione assembleare ma qualora si adotti il sistema dualistico è oggetto della delibera del consiglio di sorveglianza. Tale bilancio assolve esclusivamente funzioni informative, soprattutto nell'ambito delle società quotate mentre resta irrilevante sotto il profilo della distribuzione degli utili e per gli aspetti fiscali.

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CAPITOLO VIII LE MODIFICAZIONI DELLO STATUTO E LO SCIOGLIMENTO DEL VINCOLO SOCIALE 1. LE MODIFICAZIONI DELL’ATTO COSTITUTIVO E DELLO STATUTO Nella società di capitali costituisce una modificazione dell'atto costitutivo ogni variazione del contenuto oggettivo del contatto sociale che può riguardare una soppressione o il mutamento delle clausole originarie, l’introduzione di nuove clausole. Tali deliberazioni devono essere adottate dall'Assemblea: • nella società per azioni sarà necessaria una delibera dell'assemblea straordinaria • nella società in accomandita occorrerà, oltre la decisione dell'assemblea straordinaria, anche l'approvazione di tutti i soci accomandatari • nella società a responsabilità limitata la decisione dovrà essere necessariamente adottata con il metodo assembleare senza possibilità di consultazione scritta o consenso espresso per iscritto e ricevere voto favorevole di tanti soci che rappresentino almeno la metà del capitale Non tutte le modifiche dell'atto costitutivo sono soggette al procedimento di “modificazione dello statuto” • non lo sono quelle che intervengono si meri dati storici, la cui rilevanza è destinata a non andare oltre il momento genetico della società (es. il mutamento delle persona del socio o dei primi sindaci) • La variazione del soggetto incaricato ad effettuare la revisione legale dei conti. Tali decisioni sono rimaste la competenza dell'assemblea ordinaria.

2. COMPETENZA, PROCEDIMENTO ED EFFICACIA DELLE MODIFICAZIONI La regola generale secondo la quale nelle società azionarie le modificazioni dello Statuto sono di competenza dell'assemblea straordinaria, non ha valore assoluto ma è soggetta a molteplici deroghe: • deroghe legali la cui competenza è attribuita dal legislatore in via esclusiva ad un organo diverso dall'Assemblea ordinaria • deroghe convenzionali quando è lo statuto ad attribuire alla competenza ad un organo diverso Tra i casi di deroga legale alla competenza dell'Assemblea Straordinaria rientrano: • la riduzione del capitale disposta dal tribunale qualora la società per azioni non abbia proceduto ad alienare le azioni proprie o della controllante acquistate in violazione dei limiti stabiliti dalla legge • la riduzione di capitale disposta dal tribunale qualora si sia verificata una perdita superiore al terzo e l'assemblea abbia omesso di ridurlo in proporzione alle perdite accertate • la riduzione del capitale per perdite superiori un terzo nell'esercizio successivo a quello in cui si sono verificate, affidata all'assemblea ordinaria che approva il bilancio (o nel sistema dualistico al Consiglio di Sorveglianza che approva il bilancio) Tra i casi di deroga convenzionale alla competenza dell'Assemblea Straordinaria, rientrano molteplici operazioni delegabili all’organo amministrativo, al consiglio di gestione o al consiglio di sorveglianza. Per esempio: • aumento di capitale o riduzione del capitale per perdite nel caso in cui la società ha emesso azioni prive del valore nominale • l’emissione di azioni convertibili • Istituzione o soppressione di sedi secondarie • Riduzione del capitale in caso di recesso del socio

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Trasferimento della sede sociale sul territorio nazionale

L’adozione della modifica statutaria richiede, oltre alla delibera, un iter procedimentale articolato in tre fasi: il notaio che ha redatto il verbale della deliberazione assembleare, 1. Controllo notarile una volta verificato l'adempimento delle condizioni stabilite dalla legge, ha l'onere di depositarlo entro 30 giorni presso l'ufficio del registro delle imprese per richiedere l'iscrizione, allegando le eventuali autorizzazioni richieste. 2. Controllo del registro delle imprese all’ufficio del registro delle imprese spetta unicamente il compito di verificare la regolarità formale della documentazione ed eventualmente procedere all’iscrizione della delibera 3. La terza fase è legata all’eventualità in cui il notaio ritenga non siano state adempiute le formalità richieste dalla legge. In questo caso ha l’obbligo di informare gli amministratori, entro 30 gg dalla delibera, dell’intenzione di non procedere alla richiesta di iscrizione presso il registro delle imprese. Gli amministratori possono decidere di convocare l’assemblea affinchè essa adotti i provvedimenti necessari ovvero di ricorrere al tribunale. In quest’ultimo caso, il tribunale, una volta verificato l’adempimento delle condizioni richieste dalla legge, ordina l’iscrizione nel registro delle imprese. L’iscrizione dovrà essere eseguita a cura degli amministratori entro 30 giorni. La delibera di modifica dello statuto inizia a produrre effetti al momento di iscrizione nel registro delle imprese. Se gli amministratori, ai quali il notaio abbia comunicato di non voler procedere al deposito della delibera, omettano di richiedere, nei 30 giorni successivi, il giudizio di omologazione al tribunale o di convocare l'assemblea per l'adozione degli opportuni provvedimenti, la delibera diviene definitivamente inefficace e quindi non produrrà alcun effetto. Vi sono numerose ipotesi nelle quali il legislatore differisce l'efficacia della delibera o la possibilità di eseguirla ad un momento successivo all'iscrizione nel registro delle imprese, per esempio: • il caso di delibera che pregiudica i diritti di una determinata categoria di azioni che deve essere approvata anche dall'assemblea speciale degli appartenenti alla categoria interessata • il caso della riduzione facoltativa di capitale, che può essere eseguita solo dopo che sia decorso il termine di 90 giorni dall'iscrizione ed a condizione che nessun creditore abbia fatto opposizione • la revoca dello stato di liquidazione che ha effetto decorsi due mesi dall’iscrizione al registro delle imprese

3. IL DIRITTO DI RECESSO La tutela del singolo socio dissenziente rispetto alle modificazioni particolarmente incisive delle originarie pattuizioni, è affidata, oltre che alla necessità di rispettare le regole procedimentali, a due diversi strumenti • la richiesta di maggioranze più elevate per l'adozione di alcune decisioni • l'istituto del diritto di recesso, cioè la possibilità di sciogliersi dalla società tramite una propria unilaterale dichiarazione di volontà e di ottenere la liquidazione della propria partecipazione, calcolandone l'importo sulla base del valore che aveva prima delle modifiche statutarie non condivise dall'azionista recedente. Il diritto di recesso, se da un lato tutela i soci di minoranza, sottrae risorse all'attività economica svolta dalla società, in quanto determina una riduzione del patrimonio sociale ed è pertanto potenzialmente idonea a pregiudicare i creditori sociali.

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La riforma del diritto societario del 2003, tenendo conto del danno potenziale ai creditori derivante dal recesso del socio, si è mossa in una triplice direzione: • da un lato, ha ampliato in tutti i tipi sociali le ipotesi che consentono il socio di recedere • dall'altro, ha modificato i criteri di determinazione del valore della partecipazione del socio recedente, attraverso l'introduzione di meccanismi che bilanciano il suo interesse ad ottenere il rimborso del conferimento ad un valore che rispecchi la reale situazione patrimoniale della società, con l'interesse dei soci di maggioranza e dei creditori sociali a non vedersi sottrarre risorse per lo svolgimento dell'attività produttiva e a non vedere diminuita la garanzia per l'adempimento delle obbligazioni sociali. Infine, la riforma ha differenziato la disciplina del recesso nelle società azionarie e di quelle a responsabilità limitata, accentuando in queste ultime gli spazi di libertà dell'autonomia statutaria.

4. LE CAUSE DI RECESSO NELLA SOCIETA’ PER AZIONI. Le deliberazioni che fanno sorgere in capo al socio il diritto di recesso sono indicate nell'art 2437 ma tal elenco non è esaustivo poiché vi sono ipotesi di recesso previste in molteplici disposizioni di legge e anche lo statuto può prevedere di ulteriori Possiamo distinguere le cause di recesso in: • Cause di recesso legali e cause di recesso statutarie: le prime si dividono a loro volta in cause inderogabili e derogabili, a seconda che lo statuto abbia o meno la possibilità di eliminarle • Cause di recesso che trovano applicazione in qualunque società per azioni e quelle che valgono soltanto nelle società chiuse. Costituiscono cause di recesso inderogabili (con conseguente nullità della pattuizione che ne escluda qualcuna o ne rendesse più gravoso l'esercizio) valevoli in ogni società per azioni • La modifica dell'oggetto sociale, a condizione che riguardi un cambiamento espressivo dell'attività sociale. • La trasformazione della società cioè il cambiamento del tipo societario o la trasformazione in una delle fattispecie non societaria • Il trasferimento della sede sociale all'estero • La revoca dello stato di liquidazione • l'eliminazione dello Statuto di un'ipotesi di recesso derogabile o di una causa di recesso statutaria • la modificazione dei criteri di determinazione del valore delle azioni sulla cui base effettuare la liquidazione del socio recedente • la modifica delle clausole statutarie relative al diritto di voto o di partecipazione dei soci • la revisione della stima, che attribuisca ad un apporto di capitale un valore diverso di oltre un quinto rispetto a quello assegnato nel tempo del conferimento Nelle sole società chiuse, il diritto di recesso è riconosciuto nei casi di : • introduzione o soppressione nello statuto o nell’atto costitutivo di una clausola compromissoria che devolva ad arbitri le liti sociali • oppure il caso in cui la società sia contratta a tempo indeterminato; in questo caso il socio può recedere in qualsiasi momento con preavviso di 180 giorni ( elevabile dello Statuto sino ad un anno). Nelle società quotate è una causa inderogabili di recesso la deliberazione dell'assemblea straordinaria che comporti l'esclusione dalla quotazione su mercato regolamentato.

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Sono due le cause di recesso legali ma derogabili dallo statuto: • la proroga del termine di durata della società • l'introduzione o la rimozione di vincoli alla circolazione delle azioni(ad esempio con l'introduzione di una clausola di prelazione o di gradimento). 5. LE CAUSE DI RECESSO NELLA SOCIETA’ A RESPONSABILITA’ LIMITATA. L'art. 2473 cc assegna direttamente all'atto costitutivo il compito di stabilire le ipotesi che consentono l'uscita del socio della società a responsabilità limitata e le relative modalità. L'atto costitutivo non può prevedere cause di recesso che non sarebbero ammissibili neppure in una società di persone, ovvero il modello societario in cui sono centrali il ruolo e le caratteristiche personali dei soci, dunque non può essere ammesso il recesso ad nutum ma possa esserlo quello per giusta causa. Il legislatore ha stabilito anche per le s.r.l. una serie di cause inderogabili di recesso, alcune coincidenti a quelle previste per la spa, altre specifiche per questo tipo sociale. La legge prevede che il diritto di recesso debba essere riconosciuto al socio che non abbia consentito: • alle decisioni di modificazione dell'oggetto sociale o del tipo di società; di fusione o scissione; di revoca dello stato di liquidazione; di trasferimento della sede sociale all'estero; di eliminazione di una o più cause di recesso previste dall'atto costitutivo; di introduzione o soppressione delle clausole compromissorie; di esclusione del diritto di opzione in caso di aumento di capitale; • ad operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell'oggetto sociale o una rilevante modificazione dei diritti attribuiti ai soci; Il diritto di recesso è inoltre riconosciuto quando la società sia contratta a tempo indeterminato (con un preavviso di 180 giorni, elevabile statutariamente fino a un anno) e quando l'atto costitutivo prevede che le quote siano intrasferibili o subordini loro trasferimento al gradimento degli organi sociali o ponga condizioni o limiti che, nel caso concreto, impediscano il trasferimento a causa di morte. 6. L’ESERCIZIO DEL DIRITTO DI RECESSO L’art. 2437 bis c.c. indica le modalità di esercizio del diritto di recesso per le sole società azionarie ma anche nelle s.r.l. è possibile applicare le stesse regole per analogia. Sono legittimati a recedere i soci che non abbiano concorso con il proprio voto all’adozione di una delle decisioni sopra indicate e quindi i soci dissenzienti, assenti o astenuti. Si considera legittimato ad esercitare il diritto di recesso anche l'azionista che abbia acquistato le azioni di una società quotata fra la record date e l'apertura dei lavori dell'Assemblea, indipendentemente dal voto espresso dal suo dante causa. I termini per l'esercizio del diritto di recesso sono differenti a seconda che il fatto legittimante consista o meno in una delibera assembleare • in caso di delibera ssembleare, il recesso deve essere esercitato mediante lettera raccomandata inviata entro quindici giorni dall'iscrizione nel registro delle imprese della delibera. • Qualora la delibera non provenga dall'Assemblea (es.l'inizio o la cessazione di un'attività di direzione o coordinamento, tipica dei gruppi di imprese), il termine è pari a 30 giorni dal momento in cui il socio ha avuto conoscenza della decisione. In ogni caso le azioni non possono essere cedute e devono essere depositate presso la sede sociale. Quando il recesso è frutto di decisione assembleare, la legge concede alla società la possibilità di revocare entro 90 giorni la delibera che ha legittimato il recesso o porre la società in liquidazione; in tal caso il recesso non può essere esercitato e se già esercitato è privo di efficacia.

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Il recedente non perde la qualità di socio a fronte della semplice comunicazione del recesso ma solo a seguito della liquidazione della partecipazione, o secondo diversa opinione, con il decorso del termine concesso alla società per revocare la delibera.

7. LA LIQUIDAZIONE DELLA QUOTA NELLA SOCIETA’ PER AZIONI Il socio receduto ha diritto alla liquidazione delle azioni per le quali ha esercitato il diritto di recesso. Il valore di liquidazione delle azioni deve essere determinato dagli amministratori, sentito il parere del collegio sindacale e del soggetto incaricato alla revisione legale dei conti, tenendo conto della consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali, nonché dell'eventuale valore di mercato delle azioni. I soci hanno il diritto di conoscere tale valore nei 15 giorni precedenti alla data dell'assemblea. E’ inoltre previsto che essi possono contestare, contestualmente alla dichiarazione di recesso, la determinazione degli amministratori; in tal caso questa verrà affidata ad un esperto nominato dal presidente del tribunale, che dovrà provvedere nel termine di novanta giorni dall'esercizio del recesso. Lo statuto può stabilire criteri alternativi o più analitici di valutazione, indicando tutti gli elementi suscettibili di valutazione patrimoniale da tenere in considerazione. Nelle società quotate in mercati regolamentati, il valore delle azioni è determinato facendo riferimento alla media aritmetica dei prezzi di chiusura nei sei mesi che precedono la pubblicazione ovvero la ricezione dell'avviso di convocazione dell'assemblea le cui deliberazioni legittimano il recesso. Anche le società quotate possono prevedere nello statuto l'utilizzo dei criteri valevoli per le società non quotate, a condizione che l'utilizzo di tali criteri porti ad una valutazione più favorevole al socio rispetto alla media aritmetica. Il procedimento di liquidazione delle azioni del socio recedente è suddiviso in varie tappe successive a. le azioni del socio devono essere offerte in opzione agli altri soci in proporzione al numero di azioni possedute; quelle rimaste inoptate devono essere offerte in prelazione a coloro che hanno esercitato il diritto di opzione e ne abbiano fatto contestuale richiesta; b. le azioni che non siano state acquistate dai soci possono essere collocate dagli amministratori presso terzi (ma necessariamente su mercato regolamentato se si tratta di titoli quotati) c. qualora nemmeno in questo modo sia stato possibile collocare le azioni presso i terzi, devono essere acquistate dalla società, nel rispetto del vincolo delle somme utilizzabili per l'acquisto di azioni proprie ma non entro il limite quantitativo del quinto del capitale sociale poiché in questo caso si tratta di un acquisto “obbligato”; d. nell'eventualità in cui la società non possa procedere ad un acquisto di azioni proprie per mancanza di somme a tal fine utilizzabili, gli amministratori dovranno convocare l'assemblea straordinaria affinché essa deliberi la riduzione del capitale o lo scioglimento della società e. lo scioglimento diverrà inevitabile qualora l'assemblea opti per la riduzione del capitale sociale al quale facciano vittoriosa opposizione i creditori sociali.

8. LA LIQUIDAZIONE DELLA QUOTA NELLA S.R.L. Nella società a responsabilità limitata la determinazione del valore della quota da liquidare al socio receduto va effettuata in proporzione al patrimonio sociale e tenendo conto del suo valore di mercato.

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Il valore delle quote deve innanzitutto essere calcolato facendo riferimento al valore effettivo dell'intera azienda sociale in base c.d. criterio del capitale economico, ovvero una stima condotta secondo i valori di cessione, comprensivi dell'avviamento e delle prospettive reddituali della società. L’autonomia statutaria può comunque utilizzare anche i criteri di valutazione finanziari che meglio esprimono il valore effettivo del patrimonio sociale. Il procedimento di liquidazione della quota è più snello rispetto a quello della spa poiché la srl non emette azioni e la legge vieta a questo tipo societario di procedere all'acquisto delle azioni proprie. • La quota del socio recedente può essere acquistata dagli altri soci in proporzione alle loro partecipazioni o da un terzo individuato dai soci stessi • qualora nessuno si offra di acquistare la quota, il rimborso potrà avvenire utilizzando le riserve disponibili e determinando contestualmente il calcolo delle quote degli altri soci (vi sarà un ricalcolo automatico e proporzionale delle partecipazioni degli altri soci) • se nemmeno questa strada è percorribile, occorrerà procedere alla riduzione del capitale (riconoscendo ai creditori sociali la possibilità di fare opposizione) o in ultima istanza allo scioglimento della società.

9. L’ESCLUSIONE DEL SOCIO NELLA S.R.L. La riforma societaria del 2003 ha introdotto un’ipotesi di esclusione facoltativa, ammettendo che lo statuto possa prevedere specifiche ipotesi di esclusione per giusta causa del socio. Il presupposto dell'esclusione del socio è duplice: • Le fattispecie che giustificano l'esclusione del socio devono essere specifiche ovvero individuate in modo puntuale, senza la possibilità di ricorrere a formulazioni generiche; • devono integrare una giusta causa di scioglimento del rapporto sociale, quindi riguardare i comportamenti del socio che siano idonei a compromettere gli obiettivi della società o recare danno e pregiudizio al raggiungimento dello scopo sociale. La procedura di esclusione è totalmente rimessa all'autonomia statutaria che ha il compito, non solo di individuare l'organo competente a deliberare l'estromissione del socio ma anche le modalità di assunzione della decisione non che gli strumenti di difesa del socio escluso. Sotto il profilo patrimoniale, si applica la stessa procedura prevista per il recesso, fatta eccezione della possibilità di procedere al rimborso della partecipazione mediante la riduzione del capitale sociale, ai fini della tutela dei creditori sociali.

CAPITOLO IX – LE OPERAZIONI STRAORDINARIE

1. LA TRASFORMAZIONE: GENERALITA’ La trasformazione è l'istituto che consente di transitare da un tipo di società a un altro mantenendo invariata la struttura patrimoniale della società che conserva tutti i rapporti giuridici preesistenti, attivi e passivi. La trasformazione può essere di tipo omogeneo che si contrappone alla trasformazione detta eterogenea, che consente il transito da e verso forme collettive non imprenditoriali (associazioni, fondazioni, consorzi e società consortili). La trasformazione assume una pluralità di contenuti: può innestare una decisiva modifica funzionale sull' originaria struttura dell'ente, ad esempio consentendo il passaggio da una società

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lucrativa ad un ente che persegue finalità ideali, come un'associazione o una fondazione; oppure semplicemente comportare una modifica interna al diritto delle società, destinata incidere solo sul codice organizzativo dell'impresa collettiva. 2. AMBITO APPLICATIVO Possono accedere alla trasformazione delle società validamente costituite, anche quando si trovino in stato di scioglimento: in quest'ultimo caso la variazione può essere propedeutica al miglior svolgimento della liquidazione o, al contrario, fungere al recupero dell'esercizio dell'impresa con la connessa revoca della liquidazione. La legge ammette che ad attuare la trasformazione sia una società soggetta a procedura concorsuale, con l'unica limitazione che il mutamento non sia incompatibile con le sue finalità ed il suo stato. A tal fine occorre distinguere le procedure dirette al pagamento dei creditori, previa liquidazione dell'attivo (come ad esempio il fallimento tradizionalmente inteso o il concordato preventivo che non ammette la prosecuzione dell'attività sociale) e quelle che si prefiggono l'obiettivo di conservare l'azienda, agevolando la prosecuzione dell'impresa (come avviene per l'amministrazione straordinaria che preveda un piano di ristrutturazione). La norma non presenta alcun tipo di incompatibilità con le eventuali finalità liquidatorie della procedura concorsuale La trasformazione si realizza con la stipula di un atto detto atto di trasformazione, che richiede la forma pubblica in caso di passaggio a una società di capitali; invece, nel caso di trasformazione in una società di persone, l'atto potrà rivestire anche la forma di scrittura privata autenticata da un notaio. I contenuti dell'atto di trasformazione replicano quelli richiesti per l'atto costitutivo del tipo o dell'ente di arrivo. Anche per la pubblicità dell'atto di trasformazione si seguono le regole proprie del tipo societario di destinazione, nonché quelle previste per l'estinzione dell'ente che si trasforma, per il caso dell'eterogenea. L'operazione diviene definitivamente efficace quando entrambe le comunicazioni pubblicitarie sono state eseguite • si tratta di una pubblicità costitutiva perché la sua esecuzione non vale unicamente a rendere opponibile a terzi le informazioni che contiene ma anche a perfezionare in via definitiva l'acquisto della nuova veste giuridica. • l'iscrizione al Registro delle Imprese assume un'ulteriore valenza: una volta che sia stata curata la pubblicità della trasformazione non è più consentito sancire l'invalidità o l'inefficacia del tipo originariamente costituito. Infatti, oltre che dichiarativa e costitutiva, l'iscrizione presso il Registro delle Imprese è anche sanante cioè consente di sanare eventuali vizi dell’atto di trasformazione (Resta salvo il diritto al risarcimento del danno eventualmente spettante ai partecipanti all'ente trasformato ed ai terzi danneggiati dai vizi della trasformazione).

3. LA TRASFORMAZIONE OMOGENEA EVOLUTIVA La trasformazione omogenea evolutiva si realizza nella variazione da una società di persone a società di capitali. La relativa decisione può essere assunta a maggioranza, computata secondo la partecipazione attribuita a ciascun socio negli utili e non all'unanimità ( ma i soci potranno ripristinare la regola generale dell'unanimità con espressa indicazione espressa nei patti sociali). La legge non individua alcun obbligo di informazione durante la fase pre-deliberativa ma ciò non autorizza a concludere che la minoranza per quote di interesse resti priva di tutela: il principio di buona fede e di correttezza impone di comunicare a tutti i soci i contenuti della trasformazione e le relative modalità attuative.

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Per il socio di minoranza, la difesa più efficace non è tanto costituita dalla trasparenza dell'informazione (vizio che comunque risulterebbe coperto dalla pubblicità sanante): infatti, qualora essa manchi, il socio ha la possibilità di uscire dalla società esercitando il diritto di recesso (qualora non abbia contribuito alla decisione). In questo caso, la quota del socio uscente dovrà essere liquidata in base alla situazione patrimoniale del giorno in cui si verifica lo scioglimento del rapporto ed il relativo pagamento dovrà avvenire entro i sei mesi successivi. 4. (SEGUE) LA PERIZIA DI STIMA La trasformazione omogenea evolutiva comporta che la garanzia per l'adempimento delle obbligazioni sociali sarà per il futuro rappresentata solo dal patrimonio della società ( salvo che si tratti di una s.a.p.a. e con riferimento alla posizione dell'accomandatario). Al fine di accertare l'effettiva consistenza del patrimonio in modo obiettivo, deve essere redatta da un esperto la relazione di stima, secondo la disciplina dei conferimenti nelle società di capitali; a seguito di tale verifica contabile il capitale della società trasformata sarà determinato sulla base dei valori attuali degli elementi dell'attivo e del passivo riscontrati. Il recente d.l. 91/2014, ha espressamente esteso anche all'ipotesi di trasformazione di società per azioni, la possibilità di ricorrere a sistemi alternativi di valutazione e cioè il riferimento al prezzo medio ponderato di negoziazione sui mercati regolamentati; al valore di bilancio soggetto a revisione legale; il valore risultante dalla stima di un esperto indipendente non anteriore a sei mesi. E’ discusso se la perizia possa estendersi anche alla valutazione dell'avviamento ma si propende per una soluzione negativa, posto che la trasformazione non comporta alcun trasferimento aziendale e non è pertanto idonea a far emergere quei valori di acquisizione capacità di attrarre clientela che caratterizzano l'avviamento Gli amministratori sono tenuti a procedere alla revisione della stima effettuata dall'esperto. 5. (SEGUE) L’ASSEGNAZIONE DELLE PARTECIPAZIONI Nella società di capitali che origina dalla trasformazione, le quote o le azioni devono essere assegnate secondo criteri di proporzionalità; tale norma è inderogabile e non si potranno imporre criteri di assegnazione diversi, salvo che sul punto non vi sia il consenso di tutti gli interessati. L’art 2500 quater impone un riparto di quote o azioni non proporzionale a favore di coloro che nella società di persone interiore alla trasformazione avessero assunto la qualità di socio d'opera e non siano quindi titolari di una partecipazione di capitale È pur vero che nella società azionaria si ha il divieto di conferire una partecipazione d’opera ma è possibile recuperare la regola di proporzionalità prevedendo la stima dell'apporto del socio d'opera, con la conseguente assegnazione a quest'ultimo di un corrispondente numero di azioni e la connessa riduzione delle altrui partecipazioni. Il riassetto appena descritto non potrà essere imposto dalla maggioranza; la legge impone che sul punto specifico si formi il consenso unanime di tutti i soci di capitale ed opera, in mancanza del quale provvederà il giudice secondo equità. 6. (segue) IL MUTAMENTO DEL REGIME DI RESPONSABILITA’ La trasformazione progressiva produce un importante mutamento nella responsabilità dei soci, che da illimitata diviene limitata. Tale modifica non potrà incidere sulle obbligazioni sociali assunte anteriormente alla pubblicità della trasformazione pertanto i soci continueranno a rispondere solidalmente e con l'intero loro patrimonio delle obbligazioni pregresse se non risulta che i creditori abbiano prestato il proprio consenso alla trasformazione La legge presume il consenso qualora i creditori, ai quali è stata comunicata la trasformazione, non abbiano espressamente negato il proprio consenso nel termine di 60 giorni dal ricevimento della comunicazione. Ai creditori non è quindi riconosciuto il diritto di opposizione all'operazione ma devono semplicemente comunicare il proprio assenso o diniego, senza obbligo di motivazione da parte loro.

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Trattandosi diritti patrimoniali liberamente disponibili, il creditore può prestare il proprio consenso liberatorio solo ad alcuni soci. Il fallimento del socio che mantiene la responsabilità illimitata per le obbligazioni pregresse non può essere dichiarato decorso un anno dalla cessazione della responsabilità illimitata, anche in caso di trasformazione.

7. LA TRASFORMAZIONE OMOGENEA REGRESSIVA La trasformazione omogenea regressiva implica il passaggio da società di capitali in società di persone. Ciò comporta per i soci (fatta eccezione degli accomandanti della s.a.s.) l’assunzione della responsabilità personale ed illimitata, in luogo del precedente regime in cui essi rispondevano limitatamente al conferimento effettuato. L’assunzione della responsabilità illimitata include tutte le obbligazioni sociali, anche quelle anteriori alla data della trasformazione (art. 2269 cc). L’assemblea della società di capitali delibera la trasformazione in società di persone con le maggioranze richieste per una normale modifica dello statuto; è però richiesto il consenso di tutti i soci che per effetto della trasformazione assumono responsabilità illimitata. Tale disposizione non implica che, se tutti i soci assumono responsabilità illimitata, la delibera debba essere assunta all’unanimità: la deliberazione verrà adottata con i quorum maggioritari previsti per legge ma resterà priva di effetto sino a che non sia stato raccolto, anche successivamente, il consenso di tutti i soci che diverranno illimitatamente responsabili. Il socio che non voglia acconsentire all’operazione di trasformazione: • può decidere di non partecipare all’assemblea o di astenersi dalla votazione; • Intervenire all’assemblea e votare conto la trasformazione • potrà manifestare il proprio dissenso successivamente all’assemblea, ponendo il proprio veto all’operazione; • aprire una trattativa, richiedendo alla società delle condizioni più vantaggiose a fronte del rilascio del proprio consenso; • dichiarare la propria intenzione di recedere dalla società la legge non indica alcun termine massimo entro il quale il socio debba manifestare il proprio consenso; qualora il termine non sia indicato nella delibera, una possibile situazione di stallo potrà essere risolta chiedendo al giudice la fissazione di un termine, il cui decorso sancirebbe il diniego del socio silente e la definitiva inefficacia della trasformazione. Gli amministratori devono redigere una relazione da cui risultino i motivi della trasformazione e gli effetti da essa derivanti; deve inoltre contenere le ragioni che rendono opportuna la trasformazione (come in caso di grave perdita del capitale). I soci sono gli unici destinatari della relazione, che deve essere depositata presso la sede sociale entro 30 giorni prima dell’assemblea ; i soci potranno prevedere la riduzione o la rinuncia al termine. Ciascun socio ha diritto all’assegnazione di una partecipazione proporzionale al valore della quota o delle azioni di cui è titolare. La legge non prende in esame la trasformazione di una spa che abbia emesso titoli obbligazionari ordinari o convertibili in azioni in un'altra società in cui invece sia proibito ricorrere ad analoga forma di finanziamento; si deve però ritenere che, prima di procedere alla trasformazione, la società provveda alla loro anticipata estinzione, previa approvazione dell'assemblea degli obbligazionisti.

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La legge non riserva una specifica disciplina alla trasformazione omogenea interna fra società di persone ma questa è consentita in virtù alla regola generale che ammette la libera modificabilità dell'atto costitutivo. Neppure in tema di trasformazione interna fra società di capitali, sebbene consentita, il codice dedica una specifica disciplina si applicheranno dunque i principi e le norme dedicate alla trasformazione omogenea.

8. LA TRASFORMAZIONE ETEROGENEA La trasformazione eterogenea consente il passaggio da forme organizzative societarie ad organismi di natura non societaria. Gli art 2500 septies, 2500 octies, 2500 novies c.c., ad essa dedicati, ammettono il passaggio da società azionarie è a responsabilità limitata in altri enti a carattere associativo (economici, come consorzi o non economici come le fondazioni e le associazioni non riconosciute) e l'inversa involuzione in società di capitali di tali enti. E' inoltre consentita alle società di capitali la trasformazione in enti collettivi che perseguano scopo mutualistico (le cooperative) o quello consortile (società consortili); è inoltre ammesso il transito inverso, seppure con qualche limitazione per le cooperative. Inoltre, la legge consente il mutamento da società di capitali a semplice comunione d'azienda. Pertanto, le norme in esame, autorizzano la trasformazione in enti non omogenei per causa e struttura. Le fattispecie non espressamente regolate sono vietate ma potrebbero essere attuate attraverso il procedimento indiretto che racchiuda cioè due distinti passaggi: prima la trasformazione in società di capitali poi la trasformazione eterogenea "tipica" da società di capitali a fondazione o associazione non riconosciuta (ma vi sarebbero dubbi su una possibile elusione della norma).

9. (SEGUE) LA DISCIPLINA Gli artt. 2500 septies, octies, novies, regolano la trasformazione eterogenea da società di capitali dettando un'autonoma disciplina del procedimento deliberativo e dei relativi quorum, disponendo che la decisione sia presa con il voto favorevole dei due terzi degli aventi diritto e con il consenso dei soci che nella nuova veste organizzativa assumono responsabilità illimitata • Inoltre, la legge prende in considerazione il passaggio da società di capitali a fondazione e ne regola alcuni profili procedurali; in particolare prevede che la delibera assembleare di trasformazione produca gli effetti dello stesso atto di fondazione o della “volontà del fondatore”; all'origine dell’ istituzione dell'ente si pone, in questo caso, un atto della società e non dei singoli soci. La delibera assembleare non è sufficiente per far nascere la fondazione ma occorre che vi sia il riconoscimento dell'autorità amministrativa, che si completa con l'iscrizione nel registro delle persone giuridiche. • Nella trasformazione eterogenea da formazione a base associativa in società di capitali , è possibile deliberare la trasformazione a maggioranza; • Per i consorzi è richiesta la maggioranza assoluta degli associati computata per teste; • Per la società consortile e le associazioni riconosciute è richiesta la maggioranza necessaria allo scioglimento anticipato dell'ente. L’ Art 2500 octies pone un generale divieto alla trasformazione per tutte le associazioni che abbiano ricevuto contributi pubblici oppure liberalità e oblazioni dal pubblico; la norma è finalizzata ad evitare la trasformazione effettuata da parte di organismi collettivi che si costituiscono prima in forma associativa, per beneficiare delle agevolazioni riservate al c.d. “ Terzo

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Settore”, in seguito mutino il proprio DNA per divenire imprese lucrative ed impiegare le risorse in tal modo reperite nella nuova attività. Per le fondazioni, che di regola sono prive di un organo autonomamente deliberante, la trasformazione invece disposta dall'autorità governativa di vigilanza su proposta dell'ente. Invece, per il passaggio da comunione di azienda società di capitali è richiesta l'unanimità dei consensi. Per quanto riguarda il passaggio da società lucrativa a società cooperativa occorre distinguere: • le cooperative a mutualità non prevalente • dalle cooperative a mutualità prevalente; queste ultime sono caratterizzate dal loro prevalente non aprirsi al mercato e ai rapporti con i terzi; Solo le cooperative a mutualità non prevalente possono accedere alla trasformazione, allo scopo adottando un quorum rafforzato e variabile in ragione del numero dei soci ed evolvendo il patrimonio effettivo a fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione. Il valore di devoluzione dovrà essere attestato da relazione giurata di un esperto designato dal tribunale. La trasformazione eterogenea non si perfeziona con l'adempimento pubblicitario ma i suoi effetti restano sospesi nei 60 giorni, nei quali i creditori si potranno opporre se ritengono che l'operazione di trasformazione possa pregiudicare il soddisfacimento del proprio credito.

10. LA NOZIONE DI FUSIONE L’operazione di fusione consiste nella formale unificazione di due o più società che in precedenza erano tra loro distinte L'aggregazione può dare origine a: • una nuova società (fusione propria o in senso stretto) • o all'incorporazione di una società in un'altra (fusione per incorporazione), nella quale una società incorporante incorpora una o più società ed i rapporti facenti capo ad essere si trasferiscono su di essa; La società derivante o sopravvissuta alla fusione, succede nei rapporti di locazione, di lavoro, nei rapporti processuali, nella titolarità dei diritti reali immobiliari e mobiliari, debiti verso i terzi e verso l’erario è più in generale in ogni rapporto di natura sostanziale o processuale. L'operazione non richiede l'apertura di alcuna fase liquidativa della società estinta o incorporata; si tratta quindi di una semplice vicenda modificativa del contratto sociale, che esclude qualsiasi profilo di estinzione delle società assorbite.

11. L’ACCESSO ALLA PROCEDURA DI FUSIONE Non tutte le società possono accedere alla fusione: ne sono escluse quelle in liquidazione che abbiano iniziato la distribuzione dell'attivo Art 2501. Il divieto si giustifica con la volontà del legislatore di salvaguardare l'integrità patrimoniale dell'ente post fusione, escludendo dall'operazione società che abbiano già iniziato a disfarsi dei propri beni aziendali. Spetta agli amministratori la redazione del progetto di fusione, adempimento dal quale prende le mosse l'intera procedura; saranno poi soci a pronunciarsi aderendo meno alla proposta di fusione che emerge del progetto. Il progetto di fusione deve indicare in modo analitico e sintetico gli elementi essenziali dell'operazione, tra i quali: • dati identificativi di tutte le società partecipanti alla fusione

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l'atto costitutivo della nuova società risultante da essa o di quella incorporante con le eventuali modificazioni il rapporto di cambio delle azioni o quote ovvero l'indice numerico che determina in che misura saranno assegnate, ai soci delle società assorbite, le azioni o le quote dell'incorporante oltre l'eventuale conguaglio in denaro; il rapporto di cambio non riflette necessariamente il rapporto fra i patrimoni delle società interessate ma nella prassi è frutto di complesse negoziazioni tra gli amministratori delle diverse società; le modalità di assegnazione delle azioni o delle quote della società che risulta dalla fusione o di quella incorporante la data dalla quale tali azioni o quote parteciperanno agli utili dell'ente post fusione la data a decorrere dalla quale le operazioni delle società partecipanti alla fusione sono imputate al bilancio della società post fusione il trattamento eventualmente spettante a determinate categorie di soci e ai possessori di titoli diversi dagli azioni i vantaggi particolari eventualmente proposti a favore dei soggetti cui compete l'amministrazione delle società partecipanti alla fusione

Inoltre il progetto di fusione deve indicare la data contabile a partire dalla quale le operazioni dell'incorporata si intendono compiute per conto dell'incorporante e la data di godimento a partire dalla quale le partecipazioni assegnate hanno diritto al dividendo. Di regola tali date coincidono con il momento in cui l'intera operazione ha effetto e cioè con l’iscrizione nel registro delle imprese dell'atto di fusione; con apposita clausola recepita nel progetto possono essere anticipati gli effetti, per esigenze di semplificazione contabile. 12. LA PUBBLICITA’ DEL PROGETTO Il progetto di fusione deve essere depositato per l'iscrizione nel registro delle imprese e pubblicato sul sito internet della società, secondo modalità tecniche che ne garantiscano l'autenticità non che la certezza della data, a cura degli amministratori. Si tratta di un'operazione che deve essere compiuta da tutte le società coinvolte nella fusione. Tra la data del deposito del progetto di fusione e la data fissata per la deliberazione dei soci deve intercorrere un intervallo di tempo pari almeno a 30 giorni, salvo che i soci all'unanimità vi rinuncino. Va comunque escluso che i soci, neppure all'unanimità, possano esonerare gli amministratori dalla redazione del progetto di fusione e dalla sua conseguente pubblicità. Il progetto di fusione deve restare depositato presso la sede delle società partecipanti durante i 30 giorni che prevedono la riunione dell'assemblea, affinché i soci possano consultarli ed estrarne copia. Le notizie riportate dal progetto di fusione si completano con quelle desumibili da una serie di altri documenti informativi • la situazione patrimoniale redatta dagli amministratori di ciascuna società secondo le regole del bilancio di esercizio e aggiornata ad una data non inferiore a 120 giorni dal deposito del progetto di fusione presso la sede; • la situazione patrimoniale può essere sostituita dal bilancio di esercizio, qualora questo sia stato chiuso non oltre sei mesi prima dal giorno del deposito presso la sede; • i bilanci degli ultimi tre esercizi delle società interessate, completi delle relazioni dei soggetti cui compete l'amministrazione e la revisione legale; • la relazione degli amministratori nella quale viene illustrato il progetto ed indicati vari dati, tra i quali il rapporto di cambio. • La relazione redatta da uno o più esperti, volta a valutare la congruità della relazione degli amministratori

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In merito all’ultimo documento, la nomina dell'esperto, da scegliere tra gli iscritti nel registro dei revisori legali dei conti, è di regola riservata alla società ma spetta al tribunale solo quando la società incorporante o quella risultante dalla fusione siano azionarie oppure qualora all'operazione prenda parte una società quotata. Di regola si procede alla nomina di un esperto per ogni singola società. Ogni società può chiedere congiuntamente al tribunale la nomina di uno o più esperti comuni. Gli esperti possono richiedere alle società coinvolte nell'operazione le informazioni ed i documenti che ritengano utili, procedendo ad ogni necessaria verifica. Inoltre, possono essere investiti di ulteriori compiti, qualora si tratti di società di persone assorbite o fuse in società di capitali; in questo caso saranno loro a redigere la relazione di stima del patrimonio della società di persone coinvolte nell'operazione.

13. LA DECISIONE INERENTE LA FUSIONE Qualora la fusione coinvolga una società di capitali, la decisione assunta è dall'assemblea straordinaria (o comunque con le maggioranze e le formalità necessarie per la modifica dell'atto costitutivo nel caso della s.r.l.). Nelle società chiuse, cioè quelle che non fanno ricorso al capitale di rischio, si applicano in seconda convocazione il comune quorum costitutivo e deliberativo, rispettivamente oltre un terzo del capitale e due terzi del capitale rappresentato in assemblea. Nelle società di persone, la decisione è presa, salvo che sia prevista nei patti sociali la regola dell'unanimità, dalla maggioranza dei soci calcolata per quote di partecipazione agli utili. Il verbale della delibera, deve essere depositato ed iscritto, insieme ai documenti indicati nel paragrafo precedente, con le modalità e gli effetti previsti dall'art 2436, valevoli anche per le s.r.l. ed estensibili alle società di persone, qualora la società risultante dalla fusione sia una società di capitali (il notaio che ha redatto il verbale ne chiede l’iscrizione al registro delle imprese – l’ufficio del registro, verificato il rispetto delle formalità, procede all’iscrizione – se il notaio non ritiene adempiute le condizione di legge ne deve dare comunicazione agli amministratori che entro 30 giorni possono convocare una nuova assemblea per apportare le opportune modificazioni o ricorrere al tribunale – il tribunale può autorizzare l’operazione – in mancanza di ricorso al tribunale da parte degli amministratori o in mancanza di convocazione di nuova assemblea, l’operazione diviene definitivamente inefficace). Con la decisione di fusione i soci approvano il progetto di fusione redatto dagli amministratori delle società partecipanti, ma nulla vieta ad essi di apportare delle variazioni, con l'unico limite di non poter incidere sui diritti dei soci e dei terzi. Potrebbe ritenersi vietata una modifica riguardante le società che prendono parte la fusione, poiché con il mutare delle protagoniste, muterebbero i relativi patrimoni, con conseguente alterazione del valore della partecipazione ed anche della garanzia patrimoniale complessiva assicurata dalla loro unificazione. Potrebbero invece essere soggette a modifica le pattuizioni inerenti le concrete modalità di assegnazione delle azioni o delle quote di partecipazione della incorporante o della società risultante dalla fusione. È possibile anche la modifica del rapporto di cambio, in quanto la determinazione degli amministratori e la stima di congruità svolta dagli esperti non sono vincolanti per i soci ai quali dovrebbe essere sempre consentito esprimersi su un tema così decisivo per la definizione degli aspetti post fusione.

14. LE TUTELE DEI CREDITORI: L’OPPOSIZIONE l'art 2503 assicura una specifica tutela ai creditori divenuti tale prima dell'iscrizione del progetto di fusione nel registro delle imprese o dalla pubblicazione sul sito della società.

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Salvo che risulti il loro consenso o il loro anticipato pagamento oppure che la relazione degli esperti sia redatta da un'unica società di revisione, è fatto divieto alle società partecipanti di dare attuazione al progetto se non dopo il decorso di un intervallo di tempo di 60 giorni dall'iscrizione della deliberazione di fusione. In questo intervallo di tempo, i creditori anteriori, hanno la facoltà di opporsi alla fusione aprendo un procedimento nel quale il Tribunale chiamato a decidere in merito alle ragioni degli opponenti Tra i creditori vanno annoverati anche i titolari di obbligazioni emesse dalla società coinvolte nella fusione, ma questi potranno opporsi solo quando il progetto di fusione non sia stato approvato dalla loro assemblea. Se si tratta di obbligazioni convertibili, è concessa ai portatori l'immediata facoltà di loro conversione in azioni anche in forma anticipata rispetto alla scadenza del prestito obbligazionario; qualora non esercitino tale facoltà, possono vedersi riconosciuti dei diritti equivalenti a quelli loro spettanti prima della fusione. 15. L’ATTO DI FUSIONE L’art 2504 disciplina la stipula dell'atto di fusione che si deve redigere nella forma di atto pubblico ed iscrivere presso il Registro delle Imprese dei luoghi dove è posta la sede delle società partecipanti all'operazione o della società che ne risulta o dell'incorporante. La forma pubblica è richiesta anche quando le società di partenza e di arrivo siano personali. Il notaio deve svolgere sull'atto un controllo di legalità ed entro 30 giorni dalla sua stipulazione, a sua cura o dei soggetti cui compete l'amministrazione della società risultante dalla fusione o incorporazione, e deve essere depositato presso gli uffici del registro delle imprese competenti. La società che risulta dalla fusione o l'incorporante, assumono tutti i diritti e gli obblighi delle società partecipanti, proseguendo in tutti i loro rapporti sostanziali e processuali anteriori all'iscrizione nel registro delle imprese. Gli effetti della fusione si producono quando viene perfezionata l'iscrizione presso il Registro delle Imprese, ma solo nella fusione per incorporazione può essere stabilita una data successiva. A seguito dell'iscrizione, la gestione verrà organizzata presso la sede della società incorporante o risultante dalla fusione e verranno annullate le partecipazioni della società assorbite sostituendole con azioni o quote della società risultante o incorporante, in attuazione del rapporto di cambio. Una volta eseguite tutte le formalità pubblicitarie, non si potrà più pronunciare l'invalidità dell'atto di fusione. Permane solo il diritto al risarcimento del danno, riconosciuto ai soci o ai terzi eventualmente pregiudicati dalla fusione, nei confronti degli amministratori e dei sindaci, dei soggetti incaricati al controllo contabile e gli esperti. 16. POSSIBILI SEMPLIFICAZIONI DELLA PROCEDURA Qualora venga incorporata una società quasi interamente posseduta dagli incorporante, l'iter procedimentale è nettamente semplificato. Se la società incorporata è posseduta al 100% o al 90%, sono pochi i soci dell'incorporata diversi da quelli dalla stessa incorporante. In entrambi i casi, se lo consente l'atto costitutivo e salva la facoltà dei soci dell'incorporante che rappresentino almeno il 5% del capitale sociale di imporre il procedimento deliberativo ordinario, la fusione potrà essere decisa dall'organo amministrativo il luogo dell'assemblea, con delibera risultante da atto pubblico. Tale deroga di competenza vale anche nella società di persone, costituendo un'importante eccezione alla regola che attribuisce ai soci tutte le decisioni inerenti la modifica dei patti sociali. In questo caso, sarà superflua la fissazione di un rapporto di cambio, dovendosi ritenere preclusa l'assegnazione di partecipazioni ai soci della società incorporante: diversamente si avrebbe una duplicazione di ricchezza in quanto il patrimonio della società incorporata trova autonoma

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quantificazione nel bilancio dell'incorporante (e pertanto non si potrebbe liberare alcun aumento di capitale post fusione). Ulteriore procedimento semplificato è previsto se alla fusione prendano parte solo società non azionarie. Qualora tutti i soci vi consentano all'unanimità, è possibile omettere la predisposizione della situazione patrimoniale nonché della relazione degli amministratori e degli esperti e questo per qualsiasi altra fattispecie di fusione, a prescindere dall'eventuale situazione di controllo o dal tipo di società coinvolte.

17. LA SCISSIONE - NOZIONE La scissione è l'operazione consistente nell’assegnazione di elementi dell'attivo e del passivo del patrimonio di una società scissa a favore di una o più società preesistenti o di nuova costituzione che si definiscono beneficiarie. Tale operazione va distinta da quella di scorporo che si realizza quando una società conferisce un ramo d'azienda o determinati cespiti a favore di un'altra società. La cessione può assumere due forme tra loro alternative: • la scissione totale, che si verifica quando la scissa trasferisce il suo intero patrimonio a due o più società beneficiarie preesistenti o di nuova costituzione e per effetto di tale assegnazione smette di esistere, senza dar luogo ad alcun procedimento liquidatorio; • la scissione parziale, si ha quando la società scissa attribuisce solo una parte del suo patrimonio alle beneficiarie, senza estinguersi all'esito dell'operazione. La scissione può comportare il mutamento del tipo della società scissa o beneficiaria, che richiederà anche l'applicazione delle disposizioni in tema di trasformazione.

18. (SEGUE) IL PROCEDIMENTO L’iter che conduce al perfezionamento della scissione presenta notevoli elementi di similitudine con quello di fusione, come emerge dalla numerosi rinvii alla relativa disciplina. La fase ha inizio con la predisposizione del progetto di scissione, i cui contenuti, già previsti nell'ambito della fusione, si arricchiscono di taluni elementi. Deve essere indicata l'esatta descrizione degli elementi del patrimonio della scissa da assegnare a ciascuna delle beneficiarie, oltre a quelli che restano in capo alla scissa nel caso di scissione parziale. Anche i singoli elementi dell'attivo e del passivo patrimoniale, anche se non organizzate in forma d'azienda, possono essere legittimamente attribuiti alla beneficiaria in funzione della scissione. • Nella scissione parziale, gli elementi dell'attivo per i quali nulla disponga il progetto, restano alla scissa mentre per quelli del passivo vale la regola della responsabilità solidale che coinvolge la scissa e le beneficiarie; • nella scissione totale, i cespiti attivi sono ripartiti tra le sole beneficiare in misura proporzionale alla quota di patrimonio netto trasferito a ciascuna di esse e per gli elementi del passivo si ha la responsabilità solidale delle medesime beneficiarie, limitata al valore effettivo del patrimonio attribuito a ciascuna di esse; Il rapporto di cambio, seppure mantenga la funzione di quantificare il numero di azioni o l'entità delle quote della beneficiaria da riservare ai soci della scissa, deve essere separatamente definito per tutte le beneficiarie, in quanto in ciascuna di esse si dovranno effettuare differenti assegnazione di partecipazioni. Non è possibile un conguaglio in denaro superiore al 10% del valore nominale delle azioni o delle quote attribuite. Di regola, l'assegnazione di partecipazioni nelle beneficiarie segue criteri proporzionali alla partecipazione nella scissa ma ove ciò non avvenga, non viene pregiudicata la facoltà di alienare la

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propria partecipazione a soggetti preventivamente individuati dal progetto, per un corrispettivo determinato secondo i criteri previsti nel caso di recesso. La relazione degli amministratori deve descrivere e illustrare i criteri di distribuzione delle azioni o quote delle beneficiarie ed indicare il valore effettivo del netto patrimoniale ad esso riservato o residuante dalla scissione nel caso di scissione parziale La relazione degli esperti può essere evitata se la scissione, totale o parziale, porti alla costituzione di una o più nuove società e non siano previsti criteri di attribuzione delle azioni o quote diversi da quello proporzionale. Potrebbe accadere che l'operazione incida sull’entità del capitale delle diverse società interessate, come nel caso della scissa che, a seguito della scissione parziale, potrebbe deliberare, in mancanza di riserve utilizzabili per riassorbire la contrazione che ne deriva, la sua riduzione in misura proporzionale al valore degli elementi proporzionali assegnati alla beneficiaria o alle beneficiarie. Non si può avere il medesimo problema nella scissione totale, perché in questo caso la scissa si estingue e quindi non si ha alcuna riduzione del suo capitale. Il procedimento si compie con la stipula dell'atto di scissione e gli effetti della scissione si producono a partire dall'iscrizione dell'atto di scissione nel registro delle imprese ove sono iscritte le beneficiarie. Può essere anche stabilita una data di efficacia successiva, tranne nell'ipotesi di costituzione di nuove società. L’atto di scissione non può più essere invalidato a seguito della sua iscrizione, salvo il diritto dei soggetti pregiudicati di agire in responsabilità per i danni subiti.

CAPITOLO X LO SCIOGLIMENTO DELLA SOCIETA’ 1. CAUSE DI SCOGLIMENTO DELLE SOCIETA’ DI CAPITALI Le società di capitali, incluse quelle cooperative, si sciolgono: - per decorso del termine: salvo che i soci decidano di dar vita ad un ente con orizzonte temporale indeterminato, l’atto costitutivo indica il termine della società, decorso il quale la società di scioglie (a meno che i soci non provvedano a prorogarlo, adottando idonea modifica statutaria). - per conseguimento dell’oggetto sociale e la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo: anche in tale ipotesi la dissoluzione può essere evitata qualora i soci deliberino la modifica dell’oggetto sociale. - volontà dei soci: i soci sono liberi di determinare lo scioglimento in ogni momento ma la relativa decisione deve essere assunta con le stesse maggioranze richiesta per le modifiche dell’atto costitutivo. - impossibilità di funzionamento dell’assemblea: quando si ha una situazione che determina la continuata inattività dell’assemblea, riscontrabile quando essa sia convocata ma non si riesca mai a raggiungere il quorum costitutivo o quello deliberativo, a causa della ripartizione delle azioni tra due “blocchi” di soci con esigenze tra loro contrapposte; - per effetto di perdite: quando il capitale sociale sia eroso per perdite per oltre un terzo e risulti abbattuto al di sotto del minimo legale – in tal caso, per evitare la dissoluzione, i soci possono deliberare la riduzione del capitale ed il contestuale aumento per arrivare al minimo legale oppure optare per la trasformazione in un tipo societario in cui è

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previsto per legge un capitale inferiore o non è imposto capitale minimo (soc. di persone). impossibilità di rimborsare il socio receduto: quando il socio dichiari il proprio recesso ma non sia possibile soddisfare le sue pretese di rimborso della quota di partecipazione. altre cause previste dalla legge, dall’atto costitutivo o dallo statuto.

Fallimento: la dichiarazione di fallimento non determina lo scioglimento sino a che la chiusura della procedura non implichi la cancellazione dal registro delle imprese e la conseguente estinzione dell’ente. L’efficacia della causa di scioglimento nei confronti di terzi decorre dal momento dell’iscrizione nel registro delle imprese della dichiarazione con cui gli amministratori abbiano accertato l’evento dissolutivo o della delibera dei soci che abbiano deciso la liquidazione. Gli amministratori devono provvedere all’accertamento della causa di liquidazione ed alla pubblicità; in caso di ritardo o omissione essi sono personalmente e solidalmente responsabili dei danni subiti dalla società, dai soci, dai creditori sociali e dai terzi. In caso di inerzia degli amministratori, il tribunale, su istanza dei singoli amministratori odi soci o dell’organo di controllo, verifica la causa di scioglimento con decreto che deve essere iscritto nel registro delle imprese. Con il verificarsi della causa di scioglimento, occorre aggiornare la denominazione sociale con l’aggiunta della dicitura “in liquidazione” allo scopo di rendere noto ai terzi che la società ha cessato di operare sul mercato in una normale prospettiva speculativa.

2. LA FASE DI LIQUIDAZIONE L’accertamento della causa di liquidazione e la sua iscrizione nel registro delle imprese segnano l'ingresso nella fase di liquidazione, che costituisce un passaggio obbligatorio verso l'estinzione. In questa fase, la società non opera più nella normale prospettiva speculativa (o verso il perseguimento della finalità mutualistica nella cooperativa), alla quale subentra l'obiettivo della conservazione dell'integrità e del valore del patrimonio e della conversione in denaro delle sue componenti attive, al fine del soddisfacimento dei creditori e alla distribuzione dell'eventuale residuo tra i soci. Si assiste alla sostituzione degli amministratori con i liquidatori, ovvero i soggetti preposti alla dismissione dei cespiti dall'Ente nella prospettiva della sua estinzione, nel rispetto dei due principali centri di interesse coinvolti nella liquidazione i soci e creditori La legge attribuisce ai soci penetranti poteri d’indirizzo finalizzati a influenzare l'attività liquidatoria. I soci hanno il potere di nominare i liquidatori ed hanno il potere di determinarne le prerogative orientando la liquidazione secondo le modalità ritenute maggiormente idonea a raggiungere la più elevata valorizzazione della tipo Quanto alla tutela dei creditori, essa è affidata, oltre che alla concreta osservanza, da parte dei liquidatori, del divieto di distribuire tra i soci acconti sul risultato della liquidazione, anche ai normali strumenti civilistici tra cui spiccano le azioni cautelari ed esecutive esperibili sul patrimonio dell'ente. Ai creditori non è comunque consentito interferire nelle decisioni gestorie o in quelle dei soci l'unica eccezione è rappresentata dal loro diritto di proporre opposizione all'eventuale revoca della liquidazione che siano titolo di impedire laddove dimostrino latitudine a pregiudicare il proprio soddisfacimento

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3. POTERI E DOVERI DEGLI AMMINISTATORI DELLA SOCIETA’ IN LIQUIDAZIONE Una volta verificatasi la causa di scioglimento, gli amministratori, pur conservando il potere di gestire l'impresa fino al sub ingresso dei liquidatori, hanno il dovere di perseguire la conservazione dell'integrità e del valore del patrimonio sociale, con la conseguenza che risponderanno personalmente e solidalmente verso la società, i soci, i creditori sociali e terzi, dei danni che questi patiscano in seguito alla omessa osservanza di tale precetto. Gli amministratori sono preclusi esclusivamente dagli atti che non rispondono alla finalità di proteggere il patrimonio e che possano pregiudicare il regolare soddisfacimento dei creditori o le aspettative dei soci circa riparto finale. Pertanto, la gestione della società in dissoluzione deve mirare all'esclusivo obiettivo della miglior valorizzazione del patrimonio. Ciò non implica che, intervenuta la causa di dissoluzione, l'attività caratteristica debba obbligatoriamente cessare. Anche la scelta di continuare l'attività caratteristica può costituire un atto conservativo, nella misura in cui l'immediato fermo produttivo potrebbe portare a delle conseguenze peggiori per via dalla maturazione di penali su contratti che rimarrebbero in adempiuti o della dispersione del valore suscettibile di essere realizzato dall'eventuale cessione in blocco dell'azienda in funzionamento. L’osservanza di una prospettiva gestoria di carattere conservativo implica il divieto di compiere atti idonei a compromettere il successo della fase di liquidazione o comunque a condizionarne l’esito. Sugli amministratori gravano altresì obblighi finalizzati a porre i liquidatori nelle condizioni di intraprendere il relativo incarico. Essi sono tenuti a consegnare ai liquidatori i libri sociali per i quali si intendono i documenti custoditi dall'organo di gestione, i libri dei soci, delle obbligazioni, delle adunanze e delle deliberazioni delle assemblee, delle adunanze del Consiglio di Amministrazione o del consiglio di gestione, ove presente del comitato esecutivo, nonché degli strumenti finanziari ma anche libri delle decisioni dei soci e delle decisioni degli amministratori e tutte le scritture contabili dell'impresa. Inoltre, gli amministratori devono provvedere alla consegna dei beni ai liquidatori, che si accompagna alla redazione di un apposito verbale Ai liquidatori devono inoltre essere forniti la situazione dei conti riferita alla data in cui è intervenuta la causa di scioglimento ed il rendiconto della gestione successiva all'ultimo bilancio approvato. Tali documenti costituiscono di fatto lo stato patrimoniale e il conto economico di un vero e proprio bilancio, che infatti deve essere accompagnato dalla nota integrativa. Tali documenti non devono essere sottoposti all’approvazione dei soci ma devono essere allegati al primo bilancio successivo alla nomina dei liquidatori, accompagnati dalle loro osservazioni.

4. I LIQUIDATORI: LA NOMINA E LA CESSAZIONE DELL’INCARICO La nomina dei liquidatori compete all’assemblea che deve essere convocata dai soci contestualmente all’accertamento della causa di liquidazione. I soci sono chiamati ad esprimersi nel rispetto delle maggioranze previste per le modificazioni dell'atto costitutivo o dello Statuto. Nella società azionaria e nell'accomandita per azioni, vanno osservati i quorum fissati per l'assemblea straordinaria ed è richiesto il rispetto di tutte le regole relative al suo funzionamento, compresa la verbalizzazione notarile. Nelle società di persone, la delibera risulta approvata se ottenga il voto favorevole di tanti soci che rappresentino la maggioranza del capitale.

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In tutte le società di persone, la designazione dei liquidatori richiede maggioranze rafforzate ma può essere derogata dallo statuto. Infatti, la competenza dei soci è residuale ed opera solo qualora l’atto costitutivo o lo statuto non dispongano regole specifiche in materia oppure nell’ipotesi in cui, sebbene esistenti, non riescano a trovare concreta applicazione. Sono ammesse clausole statutarie che indichino direttamente i soggetti destinati ad assumere la carica o che demandino la scelta ad organi diversi, quali il consiglio di amministrazione o il consiglio di sorveglianza. Inoltre, è legittima la devoluzione di tale competenza a gruppi di soci indicati nominativamente, nonché agli azionisti contraddistinti dal possesso di speciali categorie di azioni e, nella società a responsabilità limitata, personalmente a uno o più possessori di quote. Infine, nulla impedisce che, pur mantenendo la competenza assembleare, vengano modificate le maggioranze richieste dalla legge, elevandole o al contrario rendendole meno severe. Si ha inoltre un ipotesi in cui la nomina è sottratta all'assemblea dalla legge ovvero quando la società venga dichiarata nulla, caso nel quale i liquidatori sono scelti direttamente dal tribunale che vi provvede con la sentenza dichiarativa dell’invalidità. Laddove gli amministratori omettano di convocare l'assemblea oppure nel caso in cui non venga raggiunto il quorum costitutivo o nel caso in cui si astenga dal deliberare, i singoli soci, gli amministratori e collegio sindacale, hanno il diritto di rivolgersi all'autorità giudiziaria che procede a indire l'adunanza. La nomina dei liquidatori si perfeziona con l'accettazione dell'incarico da parte dell'interessato e con la sua successiva iscrizione nel registro delle imprese, avente efficacia costitutiva. Nel caso di pluralità di liquidatori, la nomina può essere iscritta solo nel momento in cui intervenga l'ultima accettazione. L'incarico si presume oneroso ed il corrispettivo viene determinato dall'assemblea o in difetto dal giudice cui si rivolga all'interessato. Di regola, l'incarico è ricoperto da persone fisiche ma nulla vieta all'affidamento a una o più persone giuridiche. L’accettazione della carica richiede il possesso delle medesime qualità soggettive proprie degli amministratori: ne consegue l'applicazione delle cause d’ineleggibilità e di decadenza stabilite per gli amministratori mentre non sono previsti requisiti obbligatori di professionalità. Qualora lo statuto e l'atto costitutivo o l'assemblea dei soci non stabiliscano diversamente, i liquidatori restano in carica per tre esercizi nelle società per azioni e per un tempo indeterminato nelle società a responsabilità limitata. L'assemblea può revocarli in qualunque momento con le medesime maggioranze previste per la nomina, salvo solo il diritto al risarcimento del danno nel caso in cui la rimozione avvenga in assenza di giusta causa. Qualora sussista una giusta causa, la revoca può essere anche disposta dal tribunale che provvede su istanza di ciascun socio, dei sindaci o del pubblico ministero. Il liquidatore può cessare le proprie funzioni per cause diverse dalla revoca: nei casi di morte, per decadenza, per scadenza dell'incarico o per rinunzia. I liquidatori scaduti restano in carica fino alla nomina dei loro successori; le eventuali dimissioni hanno effetto solo qualora rimanga in carica la maggioranza di essi. Lo statuto può prevedere ulteriori ipotesi di cessazione dell'incarico, compresa quella determinata dall' inserimento della clausola in forza della quale la cessazione di uno dei liquidatori produca automaticamente la cessazione di tutti gli altri, con conseguente necessità di procedere al rinnovo dell'intero organo.

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5. IL FUNZIONAMENTO DELL’ORGANO PREPOSTO ALLA LIQUIDAZIONE. Qualora lo statuto e l'atto costitutivo non dispongano diversamente, è l'assemblea dei soci a fissare il numero dei liquidatori ed in caso di loro pluralità, decidere le regole di funzionamento, stabilendo a chi tra questi spetti il potere di rappresentanza. In mancanza di tali indicazioni, si applicano le medesime norme in materia di amministrazione. Ogni qualvolta che sia nominato un solo liquidatore, questo è destinato ad agire alla stregua di un amministratore unico, esercitando tutti i poteri di gestione e di rappresentanza della società. Quando invece venga nominata una pluralità di liquidatori e si danno vita ad un collegio equiparabile al Consiglio di Amministrazione che nella sola srl può essere sostituito dai modelli congiuntivo e disgiuntivo È possibile prevedere la ripartizione di competenze in favore di uno o più elementi delegati o di un comitato esecutivo. La rappresentanza generale della società spetta a ciascun liquidatore disgiuntamente, a meno che lo statuto e l'atto costitutivo individuino specifiche limitazioni, stabilendo casi di firma congiunta o privando dei poteri alcuni componenti dell'organo. Tali limitazioni non sono però opponibili ai terzi nonostante loro pubblicazione. L'atto compiuto dal liquidatore in esubero ai propri poteri di rappresentanza, resta valido ed efficace a meno che si dimostri che il contraente abbia intenzionalmente agito a danno della società. 6. I POTERI DEI LIQUIDATORI E L’ESERCIZIO PROVVISORIO DI IMPRESA I poteri dei liquidatori derivano da una duplice fonte: la legge e la volontà dei soci. Salvo diverse indicazioni contenute nell'atto costitutivo, nello statuto o nella delibera assembleare di nomina o nella successiva che la modifichi, i liquidatori hanno la facoltà di compiere tutti gli atti utili per la liquidazione. L'art 2487 dispone che l'adunanza dei soci può stabilire i poteri dei liquidatori nonché i criteri sulla base dei quali essi devono orientare la liquidazione. Spetta quindi all'autonomia privata circoscrivere i poteri dei liquidatori ed infatti una frazione del potere di gestione della liquidazione può essere riservata ai soci. Esula dai poteri standard dei liquidatori la continuazione dell'attività d'impresa benché in determinate circostanze possa rivelarsi utile alla liquidazione. La decisione di intraprendere l'esercizio provvisorio dell'attività di impresa, comporta il protrarsi della sottoposizione della società al rischio d'impresa; rischio di regola estraneo alla fase successiva al verificarsi di una causa di scioglimento. La continuazione dell'attività d'impresa da parte dei liquidatori deve essere preventivamente approvata dai soci che sono liberi di individuarne i limiti dimensionali e le tempistiche entro le quali la società debba essere proseguita. La legge ammette la continuazione dell'impresa solo qualora costituisca un atto davvero necessario per la conservazione del valore dell'impresa, essendo sufficiente il mero nesso di utilità rispetto a essa. In ogni caso, l'esercizio provvisorio nella fase di liquidazione richiede che la gestione sia orientata al perseguimento del miglior realizzo raggiungibile. In alternativa all'esercizio provvisorio, ove vi sia la disponibilità di un terzo di subentrare da subito nel rischio d'impresa, i liquidatori possono optare per la stipulazione di un contratto d'affitto d'azienda al fine di perseguire il duplice obiettivo dell'incremento della liquidità, attraverso il flusso di cassa generato dai canoni e della preservazione della funzionalità dell'azienda, in vista della successiva cessione. 7. IL VERSAMENTO DEI CONFERIMENTI ANCORA DOVUTI La liquidazione comporta l'alienazione dei beni sociali e la successiva soddisfazione dei creditori, attraverso l'impiego totale o parziale della provvista derivante dalla monetizzazione dei cespiti.

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Non sempre i tempi richiesti dalle alienazioni si rivelano compatibili con la necessità di onorare le obbligazioni sociali a mano a mano che queste vengono a scadenza, con la conseguenza che la società in liquidazione - benché astrattamente capiente - viene a trovarsi in una situazione d’illiquidità. Al fine di favorire il superamento della situazione d’illiquidità, i liquidatori possono chiedere i soci i versamenti ancora dovuti a titolo di conferimento. La domanda va rivolta contemporaneamente a tutti i soci in modo proporzionale alla partecipazione di ciascuno e rispettando il principio della parità di trattamento. Nell'ipotesi d’inadempimento di uno o più obbligati, gli importi necessari a far fronte ai debiti sociali possono essere pretesi dei soci solvibili ma sempre entro il limite dell'ammontare dai medesimi sottoscritto e non versato. La disposizione presenta delle analogie con la regola secondo la quale gli amministratori hanno il diritto di richiamare la frazione di capitale che non sia stata versata, con la differenza che si possono pretendere il pagamento in qualsiasi momento, in relazione alle esigenze di finanziare il fabbisogno di impresa. Invece, i liquidatori possono effettuare tale richiesta soltanto quando i fondi disponibili si rivelano insufficienti per il pagamento dei debiti sociali. La ragione di tale disparità, risiede nell'esigenza di evitare operazioni superflue: in caso di esuberanza dell'attivo sociale, gli ulteriori pagamenti sarebbero destinati alla restituzione ai soci in sede di riparto finale, con inutile duplicazione dei versamenti. La richiesta di versamento da parte dei liquidatori non è in alcun modo vincolata dalla decisione dei soci di fissare un termine ultimo per procedere ai versamenti o di subordinarli alla preventiva approvazione assembleare. I soci possono tuttavia opporsi alla richiesta, dimostrando la capienza delle risorse liquide nella disponibilità dell'ente. Tali regole subiscono un’eccezione con riferimento alla società in accomandita per azioni. La presenza di una categoria di soci illimitatamente responsabili, determina, ferma la possibilità dei liquidatori di ottenere dagli accomandanti contributi ulteriori nei limiti del capitale sottoscritto, che le richieste agli accomandatari non siano soggette ad alcun limite quantitativo. I soci accomandatari sono comunque tenuti a corrispondere alla società solo quanto si renda in concreto necessario per l'integrale soddisfacimento delle obbligazioni dell'ente. 8. GLI ACCONTI SULLA LIQUIDAZIONE Il diritto dei soci alla quota di liquidazione resta subordinato all'integrale soddisfacimento dei terzi. Tale precetto è tuttavia temperato dall'art. 2491 che ammette la corresponsione di acconti sulla liquidazione. L'art 2280 vieta la distribuzione ai soci di qualsiasi somma fino a quando siano stati pagati tutti i creditori o siano stati effettuati gli opportuni accantonamenti. Nelle società di capitali, la ripartizione anticipata risulta legittima a condizione che bilanci dell'ente attestino che essa non possa incidere negativamente sulla disponibilità degli importi necessari per la piena e tempestiva soddisfazione dei terzi. Inoltre, i liquidatori possono condizionare il pagamento alla prestazione di adeguate garanzie da parte dei soci che li ricevono e che potrebbero essere chiamati a restituirle in caso d’insufficienza dell'attivo residuo. La distribuzione di acconti non richiede alcuna accantonamento materiale ma è ammessa, se la società può contare di disporre per tempo di quanto occorre per onorare i propri debiti. In altre parole, i liquidatori devono effettuare una valutazione riferita sia all'ammontare delle passività e al momento in cui le stesse diverranno esigibili ma anche al valore dei cespiti sociali ed ai tempi della loro conversione in denaro: qualora i primi risulti non capienti ed il secondo compatibile con la necessità di onorare le obbligazioni sociali con regolarità, gli acconti sono legittimi.

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La tutela dei creditori in questo scenario resta affidata all'esattezza delle previsioni dei liquidatori che si deve basare sui bilanci della società e su quelli che siano stati redatti nel corso della fase di liquidazione. In particolare, per poter procedere al versamento degli acconti è richiesta, oltre la prevalenza dell'attivo sul passivo ricavabile dalla stato patrimoniale, l'attestazione - da inserire nella relazione illustrativa - che le prospettive della liquidazione consentono di far fronte alle obbligazioni sociali, nonostante le erogazioni in via anticipata a favore dei soci. La legge stabilisce espressamente che i liquidatori sono personalmente e solidalmente responsabili per i danni cagionati creditori sociali dall'illegittima ripartizione gli acconti il che induce ad attenersi a stime prudenziali. Inoltre, i soci possono sempre essere chiamati a restituire quanto percepito, purché lo svolgimento della liquidazione lo renda necessario. 9. I BILANCIO REDATTI DURANTE LA LIQUIDAZIONE L’art 2490 sancisce che i liquidatori devono redigere il bilancio e presentarlo per l'approvazione all'assemblea, entro le medesime scadenze previste per la società non in liquidazione. Anche successivamente al verificarsi della causa di scioglimento, il bilancio deve essere compilato nel rispetto dei principi di chiarezza, di rappresentazione veritiera e corretta. Inoltre, è previsto che i liquidatori predispongono una relazione di accompagnamento al bilancio, nella quale essi illustrino l'andamento della liquidazione e le sue prospettive, oltre ai criteri osservati nell'attività di conversione in denaro dei cespiti e nell’attività di risanamento delle passività I liquidatori devono attenersi nella valutazione delle attività e delle passività a criteri prognostici circa l'esito della liquidazione. Il principio contabile n. 5, elaborato dall'organismo italiano di contabilità, prevede per le attività il parametro del probabile valore di realizzo conseguibile entro un termine ragionevole mente breve per le passività quello del valore di estinzione ovvero della somma che si dovrà pagare per estinguere, tenuto conto anche degli interessi. L'eventuale iscrizione di una posta titolo di avviamento può essere mantenuta soltanto in vista della cessione dell'azienda; inoltre devono essere azzerate le immobilizzazioni per costi d’impianto e ampliamento ricerca sviluppo e pubblicità. L'art 2490 quarto comma prescrive ai liquidatori di indicare nel primo bilancio di liquidazione la variazione nei criteri di valutazione rispetto all'ultimo bilancio approvato nonché le ragioni e le conseguenze delle stesse Tali disposizioni sono relative a una liquidazione pura, mentre nell'ipotesi di continuazione anche solo parziale dell'attività d'impresa, si applica una regolamentazione specifica. In quest'ultimo caso le poste di bilancio riferibili alla continuazione dell'attività devono essere indicate separatamente secondo un sistema di vera e propria doppia contabilità. Inoltre, i liquidatori sono tenuti a illustrare nella relazione di accompagnamento le ragioni e le prospettive della prosecuzione dell'attività ed indicare nella nota integrativa i criteri di valutazione adottati fornendo idonea motivazione delle proprie scelte. 10. IL BILANCIO FINALE DI LIQUIDAZIONE I liquidatori devono redigere il bilancio finale di liquidazione quando sia completata la conversione in denaro dei cespiti ed abbiano provveduto a soddisfare per intero i creditori sociali Il bilancio finale di liquidazione deve contenere l'indicazione della frazione di attivo spettante a ogni azione (nella srl la quota relativa ad ogni socio). Pertanto il bilancio finale si articola in due sezioni: il bilancio finale in senso stretto e il piano di riparto. Il bilancio finale di liquidazione, pur conservando la medesima struttura di un bilancio d'esercizio, viene redatto in forma semplificata. Lo stato patrimoniale è composto di due sole voci:

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- una dell'attivo, relativa alla cassa o i fondi disponibili presso le banche; - una del passivo dove vengono registrati gli importi disponibili per la distribuzione ai soci Nel bilancio finale di liquidazione, i liquidatori non dovranno fare alcuna stima, trattandosi di poste riferite ad importi in denaro, fatta eccezione per il caso in cui, su indicazione dell'assemblea, si siano astenuti dal monetizzare una parte dei cespiti in vista del riparto in natura; tali cespiti devono essere indicati al valore di mercato. Nel conto economico vanno iscritti i flussi finanziari e le operazioni commerciali successive all'ultimo bilancio approvato mentre non sembra necessario fornire particolari dell'intero svolgimento della liquidazione, quantomeno qualora ciò risulti agevolmente ricostruibile attingendo ai dati contenuti nei bilanci precedenti Nella nota integrativa, i liquidatori devono indicare ogni elemento utile alla valutazione delle operazioni realizzate nel corso dell'ultima fase della liquidazione, osservando un livello di dettaglio superiore a quello proprio di bilanci intermedi, anche al fine di evitare successive richieste di chiarimenti da parte dei soci. Nel piano di riparto devono essere indicate le somme spettanti a ciascun’azione e nella srl ad ogni socio. Inoltre, nelle srl occorre aver riguardo ai trattamenti di favore sugli utili eventualmente attribuiti ai singoli soci. Nelle società cooperative aventi scopo mutualistico, il progetto di distribuzione deve sottostare ai medesimi criteri previsti per la distribuzione di utili Il bilancio finale, va accompagnato dalla relazione del collegio sindacale o da diverso organo incaricato al controllo interno e se presente del revisore contabile Il bilancio finale, una volta sottoscritto dai liquidatori, va direttamente depositato presso il Registro delle Imprese, affinché ne venga curata la pubblicazione E’ richiesta l'approvazione unanime del bilancio da parte dei soci, con la precisazione che, al fine di evitare che la cancellazione possa essere impedita a causa dell'inerzia di alcuni di essi, non si richiede una deliberazione esplicita ma si adotta il meccanismo del silenzio assenso. Il documento può essere fatto oggetto di reclamo entro 90 giorni dall'iscrizione del deposito nel registro delle imprese e in difetto di opposizione il benestare di tutti i soci si intende definitivamente acquisito e quindi il bilancio risulta approvato. La legittimazione all'impugnazione compete soltanto ai soci, inclusi quelli privi del diritto di voto, ma che indipendentemente dall'effettiva sussistenza di un attivo residuo abbiano in astratto titolo di partecipare al riparto. Il reclamo va proposto entro il termine decadenziale di 90 giorni dall'iscrizione dinanzi al tribunale, con chiara indicazione delle partite impugnate. Tutti i reclami devono essere riuniti in un unico giudizio, nel quale hanno facoltà di intervenire tutti i soci anche se non opponenti, atteso che la pronuncia del Tribunale è destinata ad avere effetto anche nei loro confronti. Nel caso di accoglimento del reclamo, i liquidatori devono redigere il nuovo bilancio finale di liquidazione che deve tener conto della decisione del tribunale. Anch'esso è assoggettato allo stesso regime di pubblicità e di approvazione per silenzio assenso previsto dall'art 2492 cc.. Al contrario, il rigetto dell'opposizione determina l'automatica approvazione del documento contabile. L’art 2493 prevede che, indipendentemente dal decorso del termine di 90 giorni, anche il rilascio di quietanza di pagamento delle quote di riparto comporta l'approvazione del bilancio finale, assumendo il valore di una rinunzia implicita al reclamo. L’approvazione del bilancio comporta la liberazione dei liquidatori dai loro obblighi verso i soci, fatta eccezione per quelli relativi alla distribuzione dell'attivo. Resta invece intatta la responsabilità dei liquidatori per i danni che il negligente espletamento dell’incarico abbia eventualmente cagionato ai creditori sociali, ai terzi o alla società.

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Le eventuali azioni di responsabilità sono esercitabili anche dopo la cancellazione dalla minoranza dei soci (nella s.r.l. anche da ogni singolo socio). A seguito del deposito del bilancio finale presso il Registro delle Imprese, i liquidatori provvedono alla ripartizione dell'attivo secondo il progetto di distribuzione, senza dover attendere il decorso del termine per l'impugnazione del bilancio finale. Il riparto non si interrompe a fronte della semplice instaurazione del procedimento di opposizione, rendendosi invece necessario un apposito provvedimento del giudice del reclamo. Lo stesso effetto può essere ottenuto dei terzi creditori i quali, pur non essendo legittimati a impugnare il bilancio, possono esperire i normali rimedi civilistici a salvaguardia delle proprie ragioni, ad iniziare dalle azioni cautelari di sequestro. Le somme spettanti ai soci che non siano riscosse entro 90 giorni dall'iscrizione del bilancio finale presso il Registro delle Imprese, devono essere depositate dai liquidatori presso una banca con l'indicazione delle generalità del socio. La disposizione si applica anche nel caso di divisione di beni mobili, restando invece esclusa la possibilità di depositare beni immobili o beni immateriali. 11. LA CANCELLAZIONE DELLA SOCIETA’ A seguito del riparto, si procede alla cancellazione della società. Dinnanzi all'inerzia dei liquidatori, provvedere l'organo di controllo interno o i soci. Esso rappresenta l'atto finale della liquidazione e si accompagna al contestuale deposito dei libri sociali presso il Registro delle Imprese, anch'esso di competenza dei liquidatori L'ufficio del registro delle imprese deve conservare i libri per 10 anni dalla data di cancellazione, consentendo a chiunque di esaminarli o di estrarne copia. La cancellazione si ottiene presentando al conservatore del registro delle imprese apposita domanda, corredata della documentazione necessaria a comprovare l'esistenza dei requisiti della fattispecie. L’ufficio ha il dovere di verificare la sussistenza dei presupposti di legge e quindi di effettuare un controllo di natura esclusivamente formale, avente ad oggetto la verifica dell'autenticità delle sottoscrizioni, della regolarità della compilazione dell'istanza, della corrispondenza dell'atto al modello legale, la verifica dell'esistenza di creditori insoddisfatti, del deposito e dell'approvazione del bilancio. Nell’ipotesi in cui l'ufficio del registro delle imprese si rifiuti di procedere alla cancellazione, è esperibile il ricorso al Giudice del Registro che provvede con decreto a sua volta impugnabile dinanzi al tribunale. Alla cancellazione su richiesta dei liquidatori va aggiunta all'ipotesi in cui essa avvenga ex officio: l'art 2490 stabilisce che, laddove il bilancio intermedio di liquidazione non sia depositato per oltre tre esercizi consecutivi, la società è automaticamente cancellata dal registro delle imprese. La cancellazione, comunque sia disposta, determina l'immediata estinzione della società, indipendentemente dall' esaurimento dei rapporti giuridici facenti capo alla stessa. Deve pertanto escludersi che l'effetto estintivo possa essere annullato in dipendenza dell'accertamento della sopravvivenza di passività. L’art 2495 stabilisce che, ferma l'estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i propri crediti nei confronti dei soci, nei limiti dell'ammontare che costoro abbiano riscosso in esecuzione del bilancio finale di liquidazione, nonché verso i liquidatori a condizione che il mancato pagamento sia dipeso da loro colpa. Ciascun socio risponde in solido con i propri pari, solo nell'ammontare di quanto esso abbia riscosso in sede di riparto finale. Solo in un secondo momento, colui che abbia soddisfatto il creditore potrà rivalersi sugli altri soci Alla responsabilità dei soci si affianca quella dei liquidatori, i quali rispondono anche sul piano penale laddove la mancata soddisfazione del creditore sociale si accompagni ad un indebita

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ripartizione del residuo attivo e nella misura in cui mancato pagamento sia imputabile a loro colpa, cioè quando questi fossero a conoscenza (o comunque avrebbero potuto esserlo conformandosi al canone di diligenza prescritto dalla legge) dell'esistenza della pretesa del terzo e che disponessero delle risorse necessarie per soddisfarla anche solo in parte. I creditori possono notificare la domanda contro i soci e liquidatori presso l'ultima sede della società, a condizione che venga proposta entro un anno dalla cancellazione. La legge non dispone nulla in merito alle sopravvenienze attive e con riguardo alla omessa definizione di cause pendenti. in relazione alle prime, i beni sopravvissuti alla liquidazione o rinvenuti dopo l'estinzione cadono in comunione fra i soci. Quanto alle seconde, trovano applicazione le regole in materia di riassunzione (ripresa del processo),con la precisazione che questa deve avvenire nei confronti (o per iniziativa) dei soci. 12. LA RESPONSABILITA’ DEI LIQUIDATORI L’art. 2489 stabilisce che i liquidatori devono espletare i propri doveri con la professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell’ incarico, precisando che il mancato rispetto di tali obblighi determina l’applicazione delle medesime norme poste in tema di responsabilità degli amministratori. Pur in assenza di indicazioni in materia di requisiti obbligatori per l’assunzione della carica di liquidatore, pare congruo ipotizzare che l’art. 2489 postuli l’esigenza di un nucleo minimo di competenze tecniche la cui verifica in sede di designazione debba ritenersi necessaria al fine del corretto svolgimento dell’incarico. Nella valutazione della condotta dei liquidatori, il Tribunale deve astenersi dal giudicare in merito alle scelte di gestione, affidata alla discrezionalità di chi le assume. Infatti, la condotta dei liquidatori, non si deve valutare sulla base dei suoi risultati ma ci si deve limitare a verificare il rispetto da parte loro della legge ed in particolare della prescritta diligenza. Di conseguenza, i liquidatori rispondono quando violino la legge o compiano operazioni irragionevoli. Il sindacato di ragionevolezza, va tarato sugli obiettivi della conservazione della successiva monetizzazione del patrimonio sociale, in vista del soddisfacimento dei creditori sociali e della ripartizione dell'attivo residuo fra i soci. I liquidatori rispondono in solido tra loro, con gli opportuni temperamenti che discendono dall’eventuale delega in favore di singoli o di un comitato esecutivo. Essi sono responsabili sia verso la società sia verso i creditori sociali, nella misura in cui il patrimonio dell'Ente si riveli insufficiente a soddisfarli I liquidatori possono anche essere convenuti in responsabilità dei singoli soci o da terzi direttamente danneggiati dal loro comportamento contro la legge. Un’ ultimo cenno merita la figura del liquidatore di fatto, cioè di colui che, senza essere investito con i criteri stabiliti dalla legge, proceda allo smantellamento dell'apparato societario, inserendosi negli affari della liquidazione con sistematicità ed assumendo una posizione propria del liquidatore. Egli va equiparato sotto il profilo della responsabilità al liquidatore di diritto e quindi risponde di eventuali violazioni di legge e operazioni negligenti. 13. LA REVOCA DELLA LIQUIDAZIONE La liquidazione è sempre revocabile fino al momento in cui occorre l'estinzione della società. La revoca è subordinata a due requisiti: l'eliminazione della causa di scioglimento e la decisione dei soci assunta nel rispetto del principio maggioritario. La prima presuppone che la causa di solutiva sia disponibile da parte dei soci; tale non sarebbe quella derivante dalla dichiarazione di nullità della società. La decisione è quindi rimessa all'assemblea che delibera nel rispetto delle maggioranze richieste per le modificazioni dell'atto costitutivo e dello statuto.

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La verbalizzazione della delibera va curata da un notaio che, entro 30 giorni, procede al suo deposito presso il Registro delle Imprese e ne richiede l'iscrizione; qui l'ufficio provvede dopo aver espletato il controllo di regolarità formale. Gli effetti della delibera si hanno trascorsi 60 giorni dal deposito, a condizione che creditori non si oppongano. Benché la norma non lo richieda, appare necessario che i liquidatori procedano alla redazione di una situazione contabile aggiornata che consenta ai soci una decisione adeguatamente ponderata e consenta inoltre di verificare che, dopo lo scioglimento, il capitale non sia sceso al di sotto del minimo legale. Il socio dissenziente, che non abbia concorso alla revoca dello stato di liquidazione, ha il diritto di recesso. Di conseguenza, il dissenziente, l'assente e l' astenuto, possono recedere dalla società senza tuttavia pregiudicare la decisione della maggioranza di proseguire l'attività sociale, fatto salvo il caso in cui l'impossibilità di soddisfare il socio receduto conduca la verificazione di una causa di scioglimento. L’Art 2487 dispone, ai fini della tutela dei creditori, che la revoca abbia effetto solo una volta che siano decorsi sessanta giorni dall'iscrizione nel registro delle imprese, salvo che la società proceda all'integrale soddisfacimento degli opponenti. I creditori possono esercitare il diritto di opposizione, ma il tribunale può disporre che la revoca abbia luogo ugualmente a condizione che la società presi idonee garanzie o comunque che sia ritenuto infondato il pericolo di pregiudizio per i creditori. La revoca della liquidazione produce il recupero delle finalità speculative o mutualistiche della società, con la necessità di sostituire i liquidatori con i nuovi amministratori, la cui nomina può essere effettuata dalla stessa assemblea che ha deciso la revoca o da un'adunanza successiva. SEZIONE IV I GRUPPI E IL MERCATO DEL CONTROLLO 1. LA CONFIGURAZIONE DEL GRUPPO Il gruppo, che può assumere strutture differenti e può coinvolgere realtà soggettive assai difformi e di diversa dimensione, si iscrive nel fenomeno dei collegamenti e della cooperazione tra imprese, variamente articolati a seconda del contesto economico e giuridico in cui operano. Con la riforma del 2003 e l’introduzione degli artt. 2497-2497 septies c.c. è stato disciplinato il gruppo, sebbene non ancora organicamente, e le principali questioni ad esso correlate: la trasparenza pubblicitaria, gli obblighi informativi, la responsabilità dell’ente capogruppo, la tutela dei soci di minoranza e dei creditori, il diritto di recesso del socio esterno i finanziamenti. Il presupposto per l’applicazione di tali regole è l’esistenza di un’attività di direzione e di coordinamento, la quale si presume qualora ricorrano i requisiti previsti dall’art. 2497 sexiex - e cioè il consolidamento dei bilanci ed una fattispecie di controllo di cui all'art 2359 - ovvero dall'art 2497 septies e cioè l'esistenza di un contratto o clausole statutarie di dominio. Più precisamente, secondo quanto disposto dall'art 2359, sono da considerare controllate: A. le società nelle quali un'altra detiene una partecipazione grazie alla quale dispone della maggioranza dei diritti di voto esercitabili nell'assemblea ordinaria avendo riguardo anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie o soggetti interposti (c.d. controllo interno di diritto); B. le società nelle quali un'altra detiene una partecipazione grazie alla quale dispone di diritti di voto sufficienti ai fini dell'esercizio di un'influenza dominante o meglio determinante nell'assemblea ordinaria, avendo riguardo anche i voti spettanti a società controllate, società fiduciarie o a soggetti interposti (c.d. controllo interno di fatto); C. la società sulle quali un'altra società esercita un'influenza dominante in virtù di particolari vincoli contrattuali (c.d. controllo esterno o contrattuale): si tratta dei contratti come quelli di somministrazione, di franchising o di concessione di vendita, che

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sono idonei a determinare la soggezione economica di una società rispetto ad un'altra, indipendentemente da qualunque partecipazione di capitale; Le prime due fattispecie di controllo implicano una partecipazione munita del diritto di voto di una società in un'altra. Tale partecipazione è legittima, fatti salvi alcuni limiti indicati dall'art 2361 che contempla un divieto inderogabile per gli amministratori di una società di assumere partecipazioni in altre imprese nella misura in cui ne risulti una modifica sostanziale dell'oggetto della società partecipante, quale descritto nel suo statuto. A seguito della riforma del 2003, il tratto caratterizzante del gruppo viene identificato nella direzione unitaria, che consiste in un'attività di indirizzo delle decisioni gestorie dell'impresa, con una nozione più ampia di quella di controllo, coincidente con l'esercizio dei poteri di nomina degli amministratori, dei poteri organizzativi e delle scelte di finanziamento dell'impresa. La sussistenza del controllo, può far semplicemente presumere la direzione unitaria ma per l'esistenza della stessa è indispensabile costatare la presenza di altri elementi tali da configurare un'attività permanente e sistematica di ingerenza nelle scelte amministrative della società subordinata. Pertanto, occorre verificare in concreto che le operazioni strategiche nei settori chiave della società siano nelle mani della capogruppo con modalità più o meno formali, come accordi contrattuali tra le società interessate, istruzioni, regole di comportamento o anche semplici comunicazioni dirette tra organi della capogruppo e delle controllate. In merito alla natura giuridica del gruppo, si hanno due differenti concezioni: • secondo un'impostazione minoritaria (c.d. teoria del gruppo di fatto) nel gruppo di società, la funzione di direzione e controllo è affidata alla capo-gruppo mentre le funzioni operative sono distribuite tra le società controllate. In questa visione, l’ impresa esercitata dalla holding e dalle controllate è unica e di essa sono titolari tutte le società che compongono il gruppo. Inoltre, in tale impostazione, la holding non assume la qualifica di imprenditore per il fatto di svolgere l'attività di direzione e coordinamento, bensì solo ed in quanto eserciti l'attività imprenditoriale, seppur in modo indiretto e per il tramite di società controllate; • sul fronte opposto, l'interpretazione maggioritaria (c.d. teoria del gruppo di diritto), attribuisce un differente ruolo alla capogruppo; la holding è impresa in quanto esercita un'attività di prestazioni di servizi e compravendita di partecipazioni; attività che resta del tutto indipendente dalla direzione. In tale prospettiva, l'esercizio del potere di direzione e coordinamento da parte della holding presuppone un vero e proprio potere giuridico con inevitabili conseguenze sull'organizzazione societaria e sui rapporti fra le società del gruppo e con riconoscimento di un particolare valore organizzativo.

2. LA STRUTTURA DEL GRUPPO E L’IMPUTABILITA’ DELLA DIREZIONE UNITARIA Non esistono forme precostituite del gruppo ed infatti esso può assumere configurazioni tra loro molto differenti, nelle quali la capogruppo può -ma non deve necessariamente- coincidere con una controllante di vertice. L’idea più diffusa è quella del gruppo verticale facente capo ad una holding di vertice cioè il soggetto tenuto al consolidamento dei bilanci e titolare del controllo, che esercita l'attività di direzione e di coordinamento. È ammissibile anche la presenza di una pluralità di centri subordinati (c.d. sub-holding) che svolgano a loro volta, in merito ad un particolare settore, un'attività d’indirizzo delle scelte gestionali, tale da potersi definire anch'essa una forma di direzione e di coordinamento.

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Pertanto, può coesistere l'attività di direzione e coordinamento esercitata dalla holding di vertice con quella delle sub-holding nei confronti delle società collegate. In questo contesto, occorre valutare in concreto quale sia l'effettiva autonomia direzionale delle sub-holding di settore: • può accadere che le sub-holding abbiano una mera funzione esecutiva e siano tenute ad uniformarsi alle direttive della holding; in questo caso si dovrà riconoscere unicamente alla holding di vertice la qualità di soggetto che esercita l'attività di direzione e coordinamento • in caso contrario dovrà attribuirsi rilevanza al potere di indirizzo autonomamente esercitato dalle sub holding nei confronti della società da essa controllate L’assoggettamento all’altrui direzione, comporta la dislocazione del processo decisionale al di fuori dell'organizzazione societaria delle controllate, con una sostanziale ridefinizione della forma organizzativa e dei loro processi decisionali interni. Il potere direttivo del soggetto controllante non influenza l'organizzazione societaria in senso formale ma rende necessaria l'individuazione dei confini tra i poteri della controllante e quelli della controllata. L’imputazione del potere di direzione richiede l'individuazione dei soggetti attivi e dei soggetti passivi che possono essere titolari o destinatari di tale potere • il soggetto passivo dell'altrui direzione può essere solo una società lucrativa (e mai una cooperativa che non entri a far parte di un gruppo paritetico), di regola di capitali ma anche di persone (considerato che l’art. 2361 legittima l’assunzione di partecipazioni in società di persone da parte di società di capitali) • il soggetto attivo può essere qualsiasi soggetto che in forza della propria partecipazione di fatto, di diritto o di controllo, eserciti su un’altra società la funzione di direzione e coordinamento. Può trattarsi di una società di capitali o di persone, di cooperative, enti diversi o enti pubblici. Può inoltre trattarsi di una persona fisica (holding di tipo personale) che svolge professionalmente e con stabile organizzazione l’attività di direzione e controllo di più società. 3. GESTIONE DELL’IMPRESA E INTERESSE DELLE SOCIETA’ CONTROLLATE. Il trasferimento del potere amministrativo e gestorio dalla controllata alla capogruppo, comporta la compressione dell'autonomia gestionale di quest'ultima e la conseguente alterazione delle competenze dei suoi organi. Gli amministratori di una società diretta e coordinata sono normalmente privi del potere di definire le linee strategiche della società (c.d. alta amministrazione) ma talvolta anche di alcuni poteri di gestione ordinaria, a seconda del maggiore o minore grado di accentramento del gruppo. Gli amministratori della società controllata devono collaborare con la capogruppo nel perseguimento delle politiche di gruppo ed eseguire le direttive impartite da quest'ultima. Gli amministratori dell'impresa eterodiretta hanno un vero e proprio obbligo di esecuzione delle direttive legittime impartite dalla capogruppo ed il dovere di gestire l'impresa con diligenza e nel rispetto dell'interesse sociale; esponendosi in caso contrario all'azione di responsabilità ed alla revoca per giusta causa.

4. TRASPARENZA ED INFORMAZIONE La sussistenza della direzione unitaria, comporta l'assoggettamento delle società eterodirette agli obblighi pubblicitari ed informativi contenuti nell' art 2497 bis. Tali disposizioni hanno lo scopo di far conoscere ai terzi il grado di rischio dell'investimento su un duplice versante, interno ed esterno: • Il primo consiste nel rafforzamento della tutela dei creditori e dei soci di minoranza che vengono in contatto con la società e devono essere posti in condizione di effettuare una

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scelta consapevole circa l’eventuale ingresso o permanenza nel gruppo oppure riguardo all’intraprendere rapporti con le società ad esso appartenenti • Il secondo contempla obblighi che vanno dalla pubblicità in un'apposita sezione del registro delle imprese all'indicazione dell'appartenenza al gruppo negli atti e nella corrispondenza ed infine alla trasparenza nella nota integrativa e nella relazione al bilancio in merito ai rapporti tra società eterodirette e capogruppo. La pubblicità nel registro delle imprese ha funzione di mera certificazione anagrafica e pubblicità notizia; questa consente a qualunque soggetto di prendere conoscenza della posizione di soggezione di una società da un’altra. L’iscrizione non riguarda il gruppo come impresa unitaria diversa dalle società che lo compongono ma ha come oggettp la relazione di dipendenza che si instaura tra la holding e la controllata. Gli unici soggetti legittimati a presentare la domanda d'iscrizione sono gli amministratori della società eterodiretta e l'informazione può essere circoscritta al rapporto esistente tra l'ente che esercita la direzione e la società che viene assoggettata. L’art 2497 bis dispone che gli amministratori che omettono l'iscrizione o che la mantengono quando la soggezione è cessata, sono responsabili dei danni che la mancata conoscenza di tali fatti abbia arrecato ai soci o terzi, in ragione dell'affidamento sull'esistenza o sull'inesistenza di una situazione di eterodirezione (es. la conclusione di operazioni commerciali confidando nella complessiva situazione del gruppo). Gli amministratori hanno l'obbligo di indicare, in un'apposita sezione della nota integrativa della società, il riepilogo dei dati più importanti della società capogruppo nonché del suo ultimo bilancio; inoltre hanno l'obbligo di predisporre una relazione sulla gestione dei rapporti intercorsi con chi esercita l'attività di direzione e coordinamento e con le altre eventuali società che vi siano soggette, nonché sull'effetto che tale attività ha prodotto sull'esercizio dell'impresa e sui suoi risultati. L’art 2497 ter stabilisce che le decisioni della società che siano effettivamente derivate dalle attività di direzione e coordinamento della holding debbano essere analiticamente motivate con la precisa indicazione delle ragioni degli interessi che hanno portato ad una determinata decisione.

5. LA RESPONSABILITA’ DELLA CAPOGRUPPO L’art. 2497 dispone che le società o gli enti che esercitano attività di direzione e coordinamento di società, sono direttamente responsabili nei confronti di queste ultime per il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della loro partecipazione sociale, nonché nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata all'integrità del patrimonio della società e quindi alla loro aspettativa di soddisfacimento . La capogruppo incorre in responsabilità qualora agisca in violazione dei principi di corretta gestione delle società eterodirette; è quindi fonte di responsabilità l'abuso di direzione unitaria. Inoltre, la capogruppo è responsabile per il mancato esercizio della direzione unitaria e quindi anche i comportamenti omissivi ed inconsapevoli. Sono legittimati all’azione: - I singoli soci, senza alcun limite di partecipazione detenuta, per il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della propria partecipazione - I soci “esterni” che possono richiedere il risarcimento per il pregiudizio derivante in modo indiretto dal danno direttamente cagionato dalla capogruppo al patrimonio della società eterodiretta - I creditori sociali o, in caso di fallimento, il curatore della società, per la lesione dell’integrità del patrimonio sociale - La società controllata – per il pregiudizio derivante dall’abuso di direzione della capogruppo, sia relativo al danno emergente che per il lucro cessante.

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Si pone il problema della qualificazione e del fondamento della responsabilità gravante sulla capogruppo. • Secondo una prima impostazione, la responsabilità della capogruppo nei confronti dei danneggiati, si dovrebbe ricondurre alla responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c.: l’interesse meritevole di tutela coinciderebbe con il diritto di credito che la controllata ha nei confronti dei propri amministratori, dai quali è legittimata a pretendere il rispetto degli obblighi connessi all’incarico amministrativo. Si ha quindi un concorso di colpa: quella contrattuale degli amministratori della controllata e quella extracontrattuale degli amministratori della capogruppo. • Secondo un’altra impostazione, la responsabilità ha natura contrattuale: si deve riconoscere l’esistenza di obblighi di comportamento e principi di corretta gestione imprenditoriale della capogruppo dai quali derivano doveri di protezione della società eterodiretta, dei suoi soci e creditori. • Secondo una posizione intermedia, l’azione dei soci dell’eterodiretta nei confronti della capogruppo avrebbe origine contrattuale mentre l’azione dei creditori avrebbe origina extracontrattuale in quanto non è individuabile alcun rapporto diretto tra la capogruppo ed i creditori stessi. • La giurisprudenza attribuisce natura extracontrattuale all’azione di responsabilità dei creditori sociali, posto che ha per oggetto la lesione dell’integrità del patrimonio sociale (e quindi dell’aspettativa di prestazione dei creditori sociali),che rientra nella generale figura della lesione del credito ex art. 2043 c.c. Alla responsabilità di chi esercita l’attività di direzione e coordinamento, si associa, in via solidale, quella di chiunque abbia preso parte al fatto lesivo e, nei limiti del vantaggio conseguito, di chi ne abbia tratto beneficio. E’ quindi responsabile anche chiunque, a prescindere dalla posizione formalmente assunta, abbia contribuito a causare il danno e ne abbia tratto vantaggio. Pertanto, la responsabilità si estende a tutti i coautori materiali dell’illecito ed ai beneficiari consapevoli dell’atto di eterodirezione abusiva. E’ il caso, in primis, degli amministratori e direttori generali della capogruppo, che devono rispettare gli obblighi che assicurano la corretta gestione della società e che verranno ritenuti responsabili, qualora tali obblighi vengano violati. Sono inoltre inclusi i sindaci che non esercitino il potere-dovere di controllo e gli amministratori della società controllata che abbiano eseguito direttive anche pregiudizievoli per questa. Ha carattere indennitario la responsabilità di chi, al di fuori di una vera e propria ipotesi di concorso, abbia tratto beneficio dall’atto illegittimo di chi abbia esercitato la direzione ed il coordinamento, nei limiti del vantaggio conseguito. La responsabilità della capogruppo nei confronti del socio esterno e del creditore sociale ha natura sussidiaria. Il socio ed il creditore sociale possono agire nei confronti della società che esercita la direzione ed il controllo solo se non siano stati soddisfatti dalla propria società. Pertanto il socio ed il creditore sociale dovranno prima richiedere il soddisfacimento delle proprie ragioni alla società controllata e solo qualora restino insoddisfatti potranno citare in giudizio la capogruppo. Il presupposto per la sussistenza di una responsabilità derivante da abuso di posizione dominante è l’accertamento del danno di cui si richiede il ristoro. La responsabilità è esclusa quando il danno risulta mancante alla luce del risultato complessivo dell’attività di direzione e coordinamento, ovvero integralmente eliminato anche a seguito di operazioni a ciò dirette. Pertanto occorre verificare se dall’attività della capogruppo siano derivati dei vantaggi compensativi per le società assoggettate alla direzione.

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A tal riguardo sono divergenti le interpretazioni in merito al momento a cui riferirsi per la comparazione e se il vantaggio debba essere già conseguito o riscontrabile oggettivamente al momento dell’accertamento del danno, ovvero possa essere solo prevedibile. Pertanto, il risultato della gestione non può mai essere rapportato alla singola operazione ma solo alla condotta gestionale nel suo complesso. La giurisprudenza ritiene che l’interesse del gruppo possa rendere legittime operazioni che, autonomamente considerate, dovrebbero ritenersi illegittime o inficiate da conflitto di interessi. Occorre quindi verificare se l’eventuale sacrificio economico della singola società del gruppo trovi giustificazione e compensazione della prospettiva di sviluppo del gruppo stesso e della singola società. Si potranno quindi qualificare come efficienti tutte le operazioni che pur comportando degli svantaggi ad una società, ne avvantaggino un’altra in modo che quest’ultima sia in grado di “ricompensare” la società penalizzata. L’art. 2497 nulla precisa in merito all’incombenza dell’onere della prova ed in merito alla qualificazione giuridica dei vantaggi. Si ritiene che l’onere della prova sia a carico del convenuto, anche considerata la difficoltà dell’attore (si pensi al creditore sociale che non può attingere ai documenti societari) nel reperire gli elementi di prova. Altro tema particolarmente discusso è quello dei finanziamenti infragruppo. E’ nota la prassi di ricorrere ai c.d. finanziamenti soci al fine di fronteggiare situazioni di sottocapitalizzazione della società, senza apportare nuovo capitale di rischio e, nell’ambito dei gruppi, tale pratica può essere realizzata attraverso la gestione dei flussi finanziari delle diverse società. Al fine di tutelare i creditori e di sanzionare le forme di elusione della disciplina dei conferimenti, il rimborso dei finanziamenti infragruppo (effettuati dalla holder o da altre società del gruppo a favore di una società eterodiretta) è postergato alla soddisfazione dei creditori della società controllata. Inoltre, il rimborso effettuato nell’anno antecedente la dichiarazione di fallimento della società, presumendosi la conoscenza della situazione di insolvenza da parte della controllante, è soggetto a revoca. Inoltre, il finanziamento infragruppo che contempli termini e condizioni penalizzanti per la società eterodiretta, potrebbe configurarsi come un abuso di posizione dominante. 6. IL DIRITTO DI RECESSO DEL SOCIO Sono tre le ipotesi legali nelle quali viene attribuito il diritto di recesso al socio della società eterodiretta, tutte consistenti in un’alterazione del livello di rischio dell’investimento: 1. Il mutamento strutturale o organizzativo della capogruppo: è il caso della sua trasformazione eterogenea, che comporti la variazione dell’oggetto sociale e quindi il perseguimento di un diverso fine (es. mutualistico in luogo di lucrativo). Rientra in tale ipotesi anche la variazione dell’oggetto sociale tale da determinare l’esercizio di attività che alterino in modo diretto le condizioni economiche e/o patrimoniali della società controllata. In questo caso il diritto di recesso è subordinato all’esistenza di elementi pregiudizievoli per la società eterodiretta. 2. Intervenuta condanna della capogruppo in favore del socio della controllata a causa della violazione dei principi di corretta gestione, a seguito dell’esercizio dell’azione di responsabilità. 3. L’inizio e la cessazione dell’attività di direzione e coordinamento ma anche l’ipotesi in cui muti il soggetto che esercita il controllo.

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E’ possibile introdurre altre cause di recesso a livello statutario, consentito per le s.p.a. che non facciano ricorso al mercato di rischio, le s.r.l. o le s.p.a. eterodirette.

7. L’AUTONOMIA PRIVATA NEI GRUPPI. IL REGOLAMENTO DEL GRUPPO. E’ ormai prassi diffusa quella di regolare i rapporti tra le società del gruppo attraverso uno specifico regolamento di natura contrattuale. E’ quindi consentita la regolamentazione contrattuale della direzione e coordinamento di gruppo tra società controllante e società controllata. Diverso dalla regolamentazione di gruppo è il c.d. contratto di dominio, con il quale una società si assoggetta al dominio di un’altra, tanto da arrivare all’esenzione di ogni responsabilità del proprio organo gestionale. E’ proprio la sottrazione di responsabilità dell’organo gestionale ad escludere la legittimità di tale contratto. Il legislatore consente la regolamentazione privata dell’attività di direzione e coordinamento attraverso accordi e regolamenti infragruppo consistenti in una definizione concorde tra le diverse società del gruppo del loro impianto organizzativo, in ossequio ad una politica di gruppo. Il contenuto di tali accordi o regolamenti non può comportare l’esclusione della responsabilità dell’organo gestionale, che manterrà sempre una funzione di filtro e sarà tenuto a non applicare le direttive non conformi ai principi di corretta gestione. Un esempio di tale regolamentazione infragruppo è il c.d. contratto di servizio infragruppo con il quale la capogruppo si occupa direttamente dei servizi amministrativi e/o tecnici in favore delle controllate, in ambito di pianificazione, finanza e controllo, risorse umane ecc.. 8. L’OPA: GENERALITA’ L’OPA (offerta pubblica d’acquisto) è una tecnica di acquisizione delle partecipazioni, di notevole impiego per l’acquisizione di partecipazioni di controllo in società con titoli quotati e che, al ricorrere di certe situazioni, è imposta dall’ordinamento. Essa si traduce nell’osservanza di una procedura che deve svolgersi sotto il controllo della Consob, caratterizzata dalla predeterminazione del prezzo da parte dell’offerente e dal rispetto del principio di parità di trattamento tra i suoi destinatari. Prima dell’introduzione della disciplina dell’Opa, ora contenuta nel t.u.f. del 1998, la cessione dei pacchetti azionari di controllo poteva avvenire interamente in una negoziazione privata in cui venditore ed acquirente determinavano liberamente il prezzo, di regola maggiore a quello derivante dalla quotazione in borsa in quanto incorporava il c.d. premio di controllo: chi acquistava il pacchetto di controllo era disposto a pagare un importo superiore rispetto alla mera sommatoria del valore delle azioni. Inoltre, la conquista del controllo poteva avvenire anche contro la volontà degli altri soci (c.d. scalata ostile) mediante l’acquisto massicce quantità di azioni sul mercato. Ciò determinava un incremento del valore delle azioni tale da generare una disparità di trattamento tra chi vendeva il primo giorno della scalata e chi vendeva l’ultimo giorno, ovviamente generando il malcontento degli azionisti di minoranza. Al fine di evitare gli inconvenienti sopra descritti, è stata introdotta la disciplina che regola l’acquisto di azioni di titoli di società quotate, imponendo di osservare una specifica procedura ed in taluni casi di promuovere un offerta pubblica d’acquisto, che consenta agli azionisti di minoranza di uscire dalla società vedendo le propri azioni al nuovo azionista di controllo, a condizioni simili a quelle riconosciute al cedente. Due sono i principi cardine su cui si basa l’Opa: • È una tutela attivabile dagli azionisti di minoranza in caso di cambiamento del gruppo di controllo, poiché consente loro di vendere le azioni beneficiando del premio di maggioranza. Per questo l’opa è obbligatoria quando viene ceduto il pacchetto di controllo di una quotata.

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L’opa si deve svolgere secondo regole particolari ed inderogabili.

9. CENNI ALLA PROCEDURA L’OPA è una proposta irrevocabile rivolta a parità di condizioni a tutti gli azionisti. L’offerta può essere aumentata o modificata. La durata dell’offerta è prestabilita dal regolamento della Consob. L’offerta si svolge sotto la vigilanza della Consob che, in caso di violazione di norme di legge, la può sospendere o dichiarare decaduta. Chi promuove l’opa deve comunicare la propria intenzione alla Consob, presentando un documento di offerta che verrà poi pubblicato al fine di consentire ai destinatati di trarre informazioni necessarie alla decisione di adesione. 10. TECNICHE DI DIFESSA SUCCESSIVE E PREVENTIVE Sono molteplici le misure che possono essere adottate dall’assemblea quali tecniche difensive che la società potrebbe impiegare per ostacolare il successo della scalata: massicci aumenti di capitale gratuito o a pagamento, fusioni, scissioni, acquisto di azioni proprie, vendita di rami d'azienda significativi. L’uso di queste tecniche di difesa dopo il lancio dell'Opa è rimesso alla determinazione dell'assemblea ordinaria o straordinaria, a seconda dell'oggetto della deliberazione. La decisione dell'assemblea può essere derogata mediante un'apposita modifica statutaria adottata dalla società con titoli quotati, la cui adozione dovrà essere comunicata alla Consob eed al pubblico; l'introduzione della delega rimetterà l'impiego delle misure difensive alle decisioni dell'organo amministrativo. Con l'attuazione della direttiva 2004/25, è stato consentito alle società quotate di introdurre nei loro statuti regole volte neutralizzare eventuali misure di difesa preventiva ovvero non sotto la minaccia concreta di una scalata ma che avrebbero l'effetto di dissuadere qualsiasi futuro potenziale scalatore. Tra questi strumenti si possono menzionare le azioni a voto plurimo la maggiorazione dei diritti di voto e le limitazioni al trasferimento di titoli previste nello statuto. 11. L’OPA OBBLGATORIA La disciplina dell'Opa obbligatoria si applica alle società italiane con titoli ammessi alla negoziazione in mercati regolamentati italiani. L'opa deve essere lanciata da chiunque, a seguito di acquisti, venga a detenere, direttamente o indirettamente, una partecipazione superiore al 30% dei titoli che attribuiscono diritto di voto nelle deliberazioni assembleari riguardanti la nomina o la revoca degli amministratori o del Consiglio di Sorveglianza di una società con azioni quotate, ovvero si trovi a disporre di diritti di voto in misura superiore al 30% dei medesimi (c.d. opa successiva totalitaria). L’offerta deve avere ad oggetto l'acquisto della totalità dei titoli ancora in circolazione, aventi le caratteristiche sopra indicate. La legge impone il prezzo minimo che deve essere offerto per ciascuna categoria di titoli: esso non deve essere inferiore a quello più elevato pagato dall'offerente nei 12 mesi anteriori per acquisti di titoli della medesima categoria. Qualora non siano stati effettuati acquisti a titolo oneroso di titoli della medesima categoria nel periodo indicato, l'offerta è promossa per tale categoria di titoli ad un prezzo non inferiore a quello medio ponderato di mercato degli ultimi 12 mesi o minor periodo disponibile. Una regolamentazione più elastica è stata dettata dal d.l. 91/2014 per le piccole e medie imprese: i relativi statuti possono prevedere una soglia diversa da quella sopraindicata ma comunque non inferiore al 25% e non superiore al 40%.

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Il Regolamento Consob 11971 del 1999 stabilisce casi particolari di opa obbligatoria tra cui: • la opa a cascata qui è tenuto chi superi la soglia rilevante attraverso acquisti indiretti cioè per effetto dell'acquisto del controllo di una società interposta • la opa da consolidamento: imposta chi detenendo già la partecipazione superiore al 30% dei titoli ma non la maggioranza dei diritti di voto nell'assemblea ordinaria, abbia consolidato la sua posizione effettuando acquisti superiori al 5% (oppure ottenendo la maggiorazione dei diritti di voto in misura superiore al 5% dei medesimi); Inoltre la Consob stabilisce quando il corrispettivo dell'acquisto può essere costituito in tutto o in parte da strumenti finanziari offerte pubbliche di scambio o miste.

12. LE IPOTESI DI ESENZIONE L’OPA successiva totalitaria è particolarmente gravosa; pertanto chi intenda acquisire il controllo di una società quotata, può sottrarsi a tale onere lanciando un’opa preventiva che gli consenta di acquistare una partecipazione superiore alla soglia rilevante. Quest'opa, non obbligatoria ma volontaria, può essere totalitaria o parziale. L'Opa preventiva totalitaria ha per oggetto tutti i titoli che attribuiscono il diritto di voto nelle deliberazioni assembleari riguardanti la nomina o la revoca degli amministratori o del consiglio di sorveglianza; deve essere rivolta a tutti i possessori di titoli per la totalità di quelli in loro possesso. Essa non va assoggettata a condizioni, neppure riguardo al prezzo, che potrà essere stabilito liberamente dall'offerente in modo da rendere appetibile l'offerta per gli azionisti a cui è rivolta. L'Opa preventiva parziale deve avere ad oggetto almeno il 60% dei titoli della società; in questo caso l'esenzione dall'Opa totalitaria deve essere accordata dalla Consob e devono ricorrere due condizioni: • l'offerente ed i soggetti che agiscono di concerto non devono aver acquistato nell'anno precedente partecipazione in misura superiore al 1% della società bersaglio dell'acquisizione; • l'offerta deve essere subordinata all'approvazione degli azionisti di minoranza della società, nelle forme stabilite dalla Consob L'obbligo di Opa non opera in presenza di altri soci che già detengono il controllo di diritto della società. alla Consob è poi rimessa anche l'individuazione dei casi di esonero dal lancio dell'Opa successiva sulla base dei principi fissati dal TUF nei casi di: • operazioni dirette al salvataggio di società in crisi • trasferimento dei titoli tra soggetti legati da rilevanti rapporti di partecipazione • cause indipendenti dalla volontà dell'acquirente • operazioni ovvero superamenti della soglia di carattere temporaneo • operazioni di fusione, scissione, acquisti a titolo gratuito 13. OBBLIGO DI ACQUISTO, DIRITTO DI ACQUISTO Con l'attuazione della direttiva 2004/25, l'offerente che venga a detenere, a seguito di una offerta pubblica totalitaria, una partecipazione almeno pari al 95% del capitale rappresentato da titoli, ha l'obbligo di acquistare i restanti titoli da chi ne faccia richiesta. Lo stesso obbligo grava su chi venga a detenere una partecipazione superiore al 90% del capitale rappresentato da titoli ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato anche in questo caso l'obbligo di acquistare restanti titoli opera nei confronti di chi ne faccia richiesta e sempre che

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l'offerente non ripristini entro 90 giorni un flottante sufficiente ad assicurare il regolare andamento delle negoziazioni. Se la partecipazione sopra indicata è raggiunta esclusivamente a seguito di offerta pubblica totalitaria, il corrispettivo è pari a quello dell'offerta pubblica totalitaria precedente. in caso contrario il corrispettivo determinato dalla Consob tenendo conto anche del prezzo di mercato dell'ultimo semestre o del corrispettivo dell'eventuale offerta precedente E' inoltre tutelato l'inverso interesse di chi abbia conseguito un possesso quasi totalitario e ora voglia il 100% del capitale. Chi venga a possedere, a seguito di un’opa totalitaria preventiva (facoltativa) o successiva (obbligatoria), più del 95% dei titoli, può acquistare coattivamente i titoli residui entro tre mesi dalla chiusura dell'offerta, sempre che abbia dichiarato nell'offerta di volersi avvalere di tale diritto. Il prezzo di acquisto non è libero ma fissato come sopra. 14. OPA DI CONCERTO E SANZIONI PER LA VIOLAZIONE DELL’OBBLIGO DI OPA Per ragioni antielusive, l'obbligo di lanciare l'offerta pubblica scatta anche quando le percentuali di legge o statutarie ( nel caso delle PMI) sono superate in ragione della somma degli acquisti effettuati da più soggetti legati tra loro da rapporti che sottintendono l'esistenza di un accordo tra loro acquisto di concerto Superata tale soglia, questi sono obbligati in solido a promuovere un'Opa totalitaria, anche se gli acquisti a titolo oneroso sono stati effettuati da solo uno di essi La disposizione non si applica quando la detenzione di una partecipazione complessiva superiore alle percentuali di legge costituisce l'effetto di una stipula di un patto, anche nullo, salvo che gli aderenti siano venuti a detenere una partecipazione complessiva superiore alle predette percentuali nei 12 mesi precedenti la stipulazione del patto. La legge prevede alcune conseguenze per chi viola l'obbligo di promuovere l'Opa accanto alle sanzioni stabilite dal TUF si dispone che in caso di violazione degli obblighi previsti il diritto di voto inerente all'intera partecipazione detenuta non può essere esercitato e titoli eccedenti le percentuali di legge devono essere alienati entro 12 mesi nel caso in cui il diritto di voto sia comunque esercitato, l'impugnazione può essere proposta anche dalla Consob. in alternativa all'alienazione, la Consob, con provvedimento motivato, può imporre la promozione dell'offerta totalitaria al prezzo da essa stabilito.

SEZIONE V LE SOCIETA’ COOPERATIVE 1. LE SOCIETA’ COOPERATIVE MUTUALISTICHE L’art 2511 cc definisce la cooperativa "società a capitale variabile con scopo mutualistico". Lo scopo della cooperativa non è quello lucrativo ma quello di ridistribuire i soci gli avanzi di gestione o assorbirli nei servizi fruiti o nei beni da essi acquistati, nell'ambito di quella che viene definita "gestione di servizio". Il vantaggio riservato ai soci, può consistere • nella riduzione del prezzo delle merci che i soci acquistano dalle società cooperative di consumo • nella remunerazione migliorativa delle prestazioni di lavoro da essi fornite - cooperative di lavoro • nelle condizioni di favore ad essi riservate per l'accesso al credito, nelle banche cooperative • al mercato della casa, nelle cooperative di abitazione

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• alle prestazioni assicurative, nelle mutue assicuratrici Inoltre, le cooperative agricole mettono in comune mezzi, sementi, reti di commercializzazione, agevolando i soci nella coltivazione dei fondi, nella raccolta, trasformazione e vendita dei prodotti agricoli. Pertanto l'attività mutualistica richiede l'affiancamento al rapporto societario di un altro rapporto, che prende il nome di scambio mutualistico. Nella cooperativa, i soci divengono imprenditori di se stessi, controllando la gestione dell'impresa e partecipando al suo successo, fruendo del vantaggio mutualistico che ne deriva. Il vantaggio dei soci può essere conseguito in via diretta, attraverso una maggiore remunerazione delle prestazioni o dei beni erogati o la riduzione della spesa per i beni e servizi da essi acquistati. Può anche accadere che siano riservate ai soci le condizioni di mercato e si provveda successivamente, in via differita, alla ripartizione delle eccedenze patrimoniali risultanti dall'attività svolta mediante l'attribuzione di ristorni, cioè di somme di denaro che vengono e ridistribuite in misura proporzionale alla quantità è la qualità degli scambi mutualistici (e non dell'investimento effettuato). 2. SCOPO MUTUALISTICO E LUCRATIVO. LA MUTUALITA’ PREVALENTE La disciplina della cooperativa si differenzia in modo assai netto nei principi generali e in talune norme da quella applicabile alle società di persone e le società di capitali. L'art 45 Cost riconosce e promuove la funzione sociale della cooperazione e giustifica,ricorrendo particolari condizioni, un trattamento agevolativo anche sul piano tributario. l'elemento caratterizzante dell'impresa cooperativa e l'eliminazione dell'intermediazione imprenditoriale nel processo di produzione e distribuzione pertanto il vantaggio dei soci non consiste nella ripartizione degli utili bensì nella soddisfazione di un loro bisogno economico casa lavoro credito bancario attraverso una maggiore remunerazione per i beni servizi forniti o effettuate da essi ovvero un risparmio di spesa nel corso del tempo il principio di mutualità pura ha dovuto scontrarsi con le regole del mercato e con l'esigenza di attrezzarsi finanziariamente per essere operativamente competitiva. occorre però individuare un perimetro dell'attività della cooperativa per verificare se quest'ultima è circoscritta all'interno della compagine sociale aperta all'interazione con altri soggetti che ne siano esterni Pertanto si può distinguere tra: • cooperative a mutualità prevalente che si avvalgono in misura prevalente del lavoro o dei beni e servizi dei soci o prestano principalmente la propria attività a favore dei soci • e le cooperative altre nelle quali la condizione di prevalenza non si verifica Il requisito di prevalenza viene di regola quantificato in relazione ai dati di bilancio • nelle cooperative di consumo, la condizione è soddisfatta quando i ricavi delle vendite dei beni e delle prestazioni di servizi a vantaggio dei soci superano il 50% del totale dei ricavi delle vendite e delle prestazioni • nelle cooperative di lavoro il costo del lavoro dei soci deve essere superiore al 50% del totale del costo del lavoro • nelle cooperative di produzione e trasformazione il costo della produzione per servizi ricevuti dai soci o per i beni da essi conferiti deve essere superiore al 50% del totale dei costi dei servizi o del costo delle merci o materie prime acquistate o conferite • nel caso di cooperative agricole la quantità o il valore dei prodotti conferiti dai soci deve superare il 50% della quantità o del valore totale dei prodotti Se la cooperativa realizza contemporaneamente una pluralità di gestioni mutualistiche sarà ovviamente stabilito un criterio di rilevazione diverso dal requisito della prevalenza e questo sarà accertato per operando la media ponderata tra le percentuali sopra descritte.

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3. LE CLAUSOLE MUTUALISTICHE La condizione di prevalenza rileva anche sul piano formale per l'obbligatoria introduzione nello statuto della cooperativa di prescrizioni volte a limitare le prerogative più propriamente patrimoniali della partecipazione (le c.d. clausole mutualistiche). L’art 2514 circoscrive, alla misura dell'interesse massimo dei buoni postali fruttiferi aumentato di due punti e mezzo, la remunerazione del capitale effettivamente versato. Inoltre: • è vietata la remunerazione degli strumenti finanziari offerti ai soci cooperatori in misura superiore a 2 punti rispetto al limite massimo per i dividendi • si ha il divieto di distribuire riserve ai soci cooperatori • sancisce l’obbligo di devolvere, in caso di scioglimento della cooperativa, l'intero patrimonio sociale, dedotto solo il capitale sociale e dividendi eventualmente maturati, a speciali organismi denominati fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione, che hanno la funzione di sostenere la formazione è il finanziamento di nuove imprese e iniziative del movimento cooperativo; Sono inoltre posti dei limiti alla distribuzione degli utili: si ha l'obbligo di destinare il 3% degli utili annuali ai fondi mutualistici e di accantonare il 30% degli utili a riserva legale, indipendentemente dall'ammontare di quest'ultima; inoltre il divieto di distribuire dividendi se il rapporto tra patrimonio netto e complessivo indebitamento della società sia superiore a un quarto. Solo le cooperative a mutualità prevalente usufruiscono di importanti agevolazioni previste dalla legge tributaria. La distinzione tra cooperative a mutualità prevalente ed altre cooperative non compromette l'unità di fondo del sistema mutualistico, in quanto anche alle ultime viene riconosciuta una funzione sociale che le differenzia dalle imprese lucrative. Infatti, anche le cooperative non ammesse alle agevolazioni fiscali sono assoggettate al controllo dell'autorità governativa. Inoltre la legge ammette che una cooperativa a mutualità prevalente possa perdere tale qualifica e viceversa che la stessa qualifica possa essere successivamente conseguita da una cooperativa che in origine ne sia priva. 4. IL PRINCIPIO DELLA PORTA APERTA Nelle società cooperative, la partecipazione del socio non riflette l'investimento iniziale e successivo bensì la partecipazione ad un beneficio connesso alle esigenze riscontrabili in capo ai soci ma potenzialmente riferibili anche ad altri soggetti, che potrebbero entrare a far parte della cooperativa. Per questo motivo, si parla di principio della porta aperta, in base al quale, chi pur estraneo alla compagine sociale possieda i requisiti soggettivi fissati dalla legge e dallo statuto, può richiedere ed ottenere l'accesso alla cooperativa. Il soggetto esterno, può richiedere l'ingresso nella cooperativa ed è quest'ultima a doversi pronunciare sul punto. L’eventuale diniego motivato è trasmesso entro 60 giorni all'aspirante socio che a sua volta anni successivi 60 giorni potrebbe chiedere che l'assemblea si pronuncia in ultima istanza sull'argomento L'autorità di vigilanza, ha titolo per sanzionare eventuali irregolarità riscontrate nelle procedure di ingresso di nuovi soci. Il principio della porta aperta ha come conseguenza la variabilità del capitale che si modifica, oltre che a seguito di deliberazione dell'aumento da parte dell'Assemblea, anche in misura proporzionale all'entità dei nuovi ingressi in società, senza che occorra modificare formalmente l'atto costitutivo. 5. ISTITUZIONE, STATUTI, REGOLAMENTI, SOCI Le regole di funzionamento delle cooperative sono tratte, in quanto compatibili, dalla disciplina della spa.

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Solo qualora si tratti di cooperative con un numero di soci inferiore a 9, si fa riferimento alla disciplina delle srl; tale modello può essere adottato anche se i soci siano più di 9 ma meno di 20 o se l'attivo dello stato patrimoniale non superi il milione di euro. L’atto costitutivo della cooperativa, va redatto in forma pubblica e la stessa viene ad esistenza attraverso l'iscrizione nel registro delle imprese (pubblicità costitutiva). L’atto costitutivo è affiancato dallo Statuto per quanto riguarda le norme di funzionamento della società ed è integrato dai regolamenti, per quanto riguarda i rapporti tra cooperativa e soci. I regolamenti sono predisposti quando non siano già contenuti nello stesso attoi ; sono redattda parte dell'organo amministrativo e approvati dall'Assemblea con le maggioranze previste per l'assemblea straordinaria. La cooperativa deve avere di regola almeno 9 soci; è possibile costituire una cooperativa con un numero inferiore di soci, da 3 a 8, tutti persone fisiche ed in tal caso si adotta la normativa della srl. In relazione alla natura dell'attività esercitata, possono essere richieste cifre minime più elevate come 200 soci previsti per costituire una Banca di Credito Cooperativo e le banche popolari. Potranno accedere alla cooperativa solo soci cooperatori in grado di alimentare lo scambio mutualistico (per esempio in una cooperativa di lavoro, il socio deve essere idoneo a svolgere l'attività collettiva) o pur non svolgendo direttamente alcune attività mutualistica, che possono contribuire con le loro competenze tecniche all'esercizio dell'impresa. I requisiti di ammissione devono essere fondati su criteri non discriminatori e quindi fondati sull'esclusiva verifica delle competenze dell'aspirante socio ma non riferite alle sue caratteristiche personali quali la nazionalità, la fede politica o la religione. L’atto costitutivo può prevedere una particolare categoria di soci in prova: può essere stabilità una prova del periodo massimo di cinque anni prima del loro inserimento definitivo nella società ed il loro numero non potrà eccedere il terzo dell'intera compagine. La partecipazione di ogni singolo socio non può eccedere l'importo di €100.000; la partecipazione superiore al tetto legale dovrà essere riscattata o alienata dagli amministratori. Tale soglia può essere superata solo in caso di conferimenti di beni in natura o di crediti oltre che in altre ipotesi eccezionali previste dalla legge. 6. LA STRUTTURA FINANZIARIA Dietro espressa previsione dell'atto costitutivo, le cooperative in forma azionaria possono emettere sia titoli di debito, sia azioni munite di particolari diritti patrimoniali e amministrativi, sia i c.d. strumenti finanziari ibridi, che presentano caratteristiche sia delle azioni che delle obbligazioni. Le cooperative in forma di srl possono unicamente emettere strumenti finanziari di debito privi di diritto amministrativi e offrirli solo investitori qualificati come fondi mutualistici e fondi pensioni istituiti da società cooperativa. In tutte le cooperative a mutualità prevalente, è previsto un limite di remunerazione degli strumenti finanziari sottoscritti dai soci cooperatori, corrispondente a 2 punti percentuali oltre il tetto massimo previsto per il pagamento dei dividendi. Un ulteriore vincolo previsto anche per le cooperative altre, riguarda l'esercizio di diritti amministrativi: i possessori di strumenti finanziari non potranno in nessun caso vedersi riconoscere più di un terzo dei voti spettanti in assemblea e quindi in caso di voti eccedenti tale soglia il loro numero sarà proporzionalmente ridotto. Non tutte le cooperative possono emettere strumenti finanziari; infatti non possono farlo le banche popolari, le Banche di Credito Cooperativo , i consorzi agrari e le cooperative edilizie di abitazione. 7. RECESSO, ESCLUSIONE, MORTE DEL SOCIO, TRASFERIMENTO DELLA PARTECIPAZIONE

Le cause di scioglimento del vincolo sociale ripercorrono gli schemi di riferimento delle società di capitali, nei limiti della compatibilità. Il recesso è ammesso nelle ipotesi previste per la spa o per la srl, dalla legge o dall'atto costitutivo, nonché nel caso lo statuto fissi divieti al trasferimento delle partecipazioni.

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In nessun caso, il recesso potrà essere esercitato solo per una porzione della partecipazione, come invece accade per le società azionarie. La dichiarazione di recesso, entro 60 giorni dalla ricezione, deve essere valutata dagli amministratori che, qualora ne ritengano insussistenti i presupposti, ne danno immediata comunicazione al socio; quest'ultimo nei 60 giorni successivi potrà fare opposizione dinanzi al tribunale. Gli effetti del recesso, si producono in momenti diversi sul vincolo sociale e sul rapporto mutualistico: sul primo, con la comunicazione dell'accoglimento della domanda di recesso; sul secondo, con la chiusura dell'esercizio in corso se comunicato almeno tre mesi prima di esso o in caso contrario con la chiusura dell'esercizio successivo L’esclusione del socio si può avere in un'ampia serie di ipotesi: • può avere luogo nei casi previsti dall’atto costitutivo; • per gravi inadempienze degli obblighi derivanti dalla legge o dal contratto sociale, dal regolamento o dal rapporto mutualistico; • per la mancanza o la perdita dei requisiti soggettivi necessari a conseguire la partecipazione in società; • a causa del fallimento del socio • per l'omesso pagamento delle quote o delle azioni Se non attribuita all'assemblea, la decisione sull' esclusione del socio spetta agli amministratori e contro tale decisione il socio può ricorrere al tribunale entro 60 giorni dalla comunicazione; di regola l'esclusione dalla società determina anche la cessazione dei rapporti mutualistici pendenti. La terza ipotesi di scioglimento del vincolo sociale è la morte del socio ma l’atto costitutivo può prevedere che continui con gli eredi, che a loro volta siamo in possesso (anche nominando un rappresentante comune). Il valore della quota o delle azioni da liquidare al socio uscente o ai successori del defunto è computato sulla base del bilancio d'esercizio dell'anno in cui si è verificato lo scioglimento, ma va ridotta in proporzione alle eventuali perdite di capitale. Dalla cooperativa si può uscire anche alienando le proprie azioni o quote, ma in coerenza con le caratteristiche della cooperativa, seguendo regole particolari. L'atto costitutivo può vietare del tutto l'alienazione fatto salvo soltanto il diritto di recesso ma anche qualora non sia vietato e subordinato al gradimento dell'organo amministrativo Il socio che intenda cedere la propria partecipazione deve dare avviso a mezzo raccomandata agli amministratori; questi sono tenuti a comunicargli entro 60 giorni la propria decisione in merito. Qualora il gradimento venga negato, il diniego sarà impugnabile dall'interessato. Tale disciplina, non trova applicazione solo se a cedere la propria partecipazione sia un socio finanziatore (e quindi disinteressato allo scambio mutualistico) ed inoltre nei trasferimenti tra i soci, per i quali la verifica del possesso dei requisiti personali si rivela superflua. 8. L’ASSEMBLEA – IL VOTO PRO CAPITE Anche la disciplina dell'organo assembleare della cooperativa si appoggia a quella del tipo capitalistico di riferimento ovvero la spa o la srl Si ha però una fondamentale differenza: la regola che attribuisce ad ogni socio cooperatore non più di un voto, a prescindere dall'entità della propria partecipazione. Tale regola può essere derogata sotto molteplici profili: • attribuendo per statuto alle persone giuridiche, che assumono la qualifica di soci cooperatori, fino a 5 voti, in funzione del capitale da essi sottoscritto o del numero dei loro associati • l'assegnazione di un voto plurimo ai soci non cooperatori sottoscrittori di strumenti finanziari • prevedendo nelle cooperative consortili, nelle quali soci realizzano lo scopo mutualistico con integrazione tra le rispettive imprese, che il voto sia attribuito in ragione della partecipazione allo scambio mutualistico; qui il solo limite è che nessun socio possa

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esprimere un'assemblea più di un decimo dei voti esercitabili ed il totale dei voti attribuiti alla categoria non potrà eccedere il terzo del totale per espressa previsione dell'atto costituto, per la nomina dell'organo di controllo, con attribuzione del voto in proporzione alla quota di capitale posseduta o alla partecipazione allo scambio mutualistico

Le maggioranze richieste per la costituzione e la validità del voto sono determinate dall'atto costitutivo e calcolate secondo il numero dei voti spettanti ai soci. Nelle spa è ammessa la previsione statutaria del voto per corrispondenza o mediante mezzi di telecomunicazione. In merito alla rappresentanza assembleare, ciascun socio può ricevere un numero massimo di 10 deleghe. La procura può essere data solo ad un altro socio della cooperativa Allo scopo di facilitare la partecipazione all'assemblea del maggior numero di soci, è prevista la possibilità di formare delle assemblee separate in cui soci possono eleggere i loro delegati, a loro volta destinati ad intervenire nell' assemblea generale. Possono essere delegati solo soci della cooperativa e deve essere assicurata una proporzionale rappresentanza delle minoranze. L'applicazione di tale istituto, è obbligatoria nelle cooperative che abbiano oltre 3000 soci e svolgano la loro attività in diverse province ovvero che abbiano oltre 500 soci e realizzino più gestioni mutualistiche. Le assemblee separate non hanno autonomia giuridica; pertanto, se invalide, non possono essere impugnate autonomamente rispetto a quelle dell'Assemblea Generale. 9. L’AMMINISTRAZIONE l'organo amministrativo deve essere composto in maggioranza da soci e la sua nomina e di competenza assembleare fa eccezione e caso in cui la nomina dell'organo amministrativo sia riservata allo Stato oa enti pubblici ma anche in tale ipotesi la maggioranza dei consiglieri dev'essere di nomina assembleare l'atto costitutivo può prevedere che uno o più amministratori siano scelti fra le diverse categorie di soci in proporzione all'interesse che ciascuna di esse ha nell'attività sociale anche nelle cooperative può attivarsi il meccanismo della delega di poteri a singoli membri oa un comitato esecutivo ma non sono mai delegabili le competenze in tema di ammissione recesso ed esclusione come pure le decisioni che incidono sui rapporti mutualistici con i soci anche nelle cooperative è consentito adottare con gli opportuni adattamenti i modelli di amministrazione alternativi se si opta per il sistema dualistico i consiglieri di sorveglianza devono essere scelti fra i soci cooperatori; se vi sono soci finanziatori e si possono nominare non più di un terzo dei componenti del consiglio di sorveglianza del consiglio di gestione. se si introduce il sistema monistico gli amministratori eletti dai finanziatori non dovranno essere più di un terzo del totale e non potranno partecipare al comitato per il controllo della gestione nel ricevere deleghe. per quanto non espressamente previsto si applicano le disposizioni sugli amministratori di Spa e srl 10. IL CONTROLLO Le cooperative sono sottoposte ad una serie di controlli interni ed esterni. Sotto il profilo interno, tali controlli sono esercitati dai sindaci e dal revisore; la nomina del collegio sindacale è obbligatoria per le cooperative azionarie e qualora la società assuma particolari dimensioni (di capitale) e di gruppo o se abbia emesso strumenti finanziari non partecipativi. La nomina del collegio sindacale non è invece richiesta nel caso di adozione dei sistemi dualista e monista, per i quali la presenza di un organo di controllo risulta comunque necessaria.

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Nelle cooperative SpA, anche in assenza del collegio sindacale, si dovrà provvedere alla designazione del revisore legale In caso di sospetto di gravi irregolarità, può essere attivato il procedimento di controllo giudiziario da parte dei soci che siano titolari del decimo del capitale sociale o, nelle cooperative che abbiano più di 3000 soci, di un ventesimo di essi. Il controllo esterno si traduce nell'attività di vigilanza del Ministero dello Sviluppo Economico, finalizzata alla verifica dell'effettiva sussistenza dei requisiti mutualistici Tale controllo esterno si realizza attraverso: • le revisioni aventi cadenza biennale, promosse e condotte, oltre che dallo stesso Ministero, tramite le associazioni nazionali di categoria cui aderiscono le cooperative vigilate • sia con le ispezioni straordinarie Qualora emergano irregolarità di funzionamento della società, l'autorità di vigilanza può disporre la revoca di amministratori e sindaci e l’affidamento della gestione a un commissario, di cui fissa i poteri e la durata. 11. IL BILANCIO Nel bilancio di esercizio della cooperativa è necessario indicare separatamente i dati relativi all’attività svolta con i soci, distinguendo le varie gestioni mutualistiche. Gli amministratori ed i sindaci, in sede di approvazione del bilancio, dovranno specificare nelle rispettive relazioni i criteri adottati nella gestione sociale per perseguire lo scopo mutualistico. Nelle cooperative a mutualità prevalente, occorrerà dar conto nella nota integrativa della condizione di prevalenza. E’ ammessa la distribuzione dei dividendi solo se sussiste un rapporto tra patrimonio netto e ed indebitamento complessivo superiore ad un quarto. Inoltre le cooperative hanno l’obbligo di imputare a riserva legale il 30%, degli utili netti annuali e di destinare il 3% degli stessi ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione. Lo statuto o la legge possono prevedere la costituzione di riserve indivisibili che non possono essere distribuite tra i soci né durante la vita della società né durante la sua dissoluzione. Esse sono utilizzabili per far fronte a necessità della cooperativa, come nuovi investimenti o la copertura di perdite. 12. IL GRUPPO COOPERATIVO PARITARIO Anche le società cooperative possono formare veri e propri gruppi, oggi disciplinati dalla legge nella forma del gruppo paritetico cooperativo ovvero il gruppo che nasce dal contratto stipulato tra più cooperative in forza del quale esse regolano la direzione ed il coordinamento delle relative imprese. Tale contratto deve indicare la cooperativa o le cooperative cui sono attribuiti i compiti di direzione e coordinamento, i poteri ad esse attribuiti, l’eventuale partecipazione di enti pubblici e privati, la durata, le regole di adesione e recesso. Si deve trattare di un gruppo paritetico quindi deve essere assicurato l’equilibrio nella distribuzione dei vantaggi derivanti dall’attività in comune, nonché condizioni di equilibrio nelle condizioni di recesso, sempre esercitabile se la partecipazione della cooperativa dovesse comportare un pregiudizio per gli altri soci. Si ritiene applicabile al consorzio la medesima disciplina della direzione e coordinamento di società lucrative. 13. OPERAZIONI STRAORDINARIE E SCIOGLIMENTO. A seguito della riforma societaria del 2003, le cooperative “altre” possono accedere all’istituto della trasformazione eterogenea e quindi trasformarsi in società lucrative; restano precluse le

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cooperative a mutualità prevalente. Queste ultime potranno comunque trasformarsi, perdendo prima i requisiti che determinano la prevalenza e poi procedendo alla trasformazione. La relativa delibera è assunta dall’assemblea straordinaria; tale delibera deve prevedere la devoluzione del patrimonio sociale, depurato del capitale versato e rivalutato, ai fondi mutualistici, previa verifica della consistenza effettuata da un esperto designato dal tribunale. Tale “cristallizzazione” del patrimonio si ha anche nel caso di scissione e di fusione che coinvolga sia cooperative a mutualità prevalente che altre, se dall’operazione sopravviveranno una o più cooperative prive del requisito della prevalenza. Alle cooperative si applica la disciplina comune della fase dissolutiva delle società di capitali con un ulteriore ipotesi: la cooperativa può sciogliersi per provvedimento dell’autorità amministrativa oppure per il venir meno del numero minimo legale di soci e se esso non venga ricostituito entro un anno.

SEZIONE VI LA CRISI DELL’IMPRESA 1. DIFFERENZA TRA ESECUZIONE CONCORSUALE ED ESECUZIONE FORZATA INDIVIDUALE Il creditore insoddisfatto, per ottenere la realizzazione forzata del proprio credito, dovrà prima munirsi di un titolo esecutivo e poi rivolgersi al giudice dell’opposizione. La procedura esecutiva individuale inizia con il pignoramento; segue la vendita forzata ed infine l’assegnazione del ricavato al creditore e la restituzione al debitore dell’eventuale residuo. Il fallimento può essere equiparato ad un esecuzione collettiva. Dal momento in cui è aperto, i creditori non possono promuovere azioni esecutive individuali e quelle già aperte vengono dichiarate improcedibili, a meno che il curatore non decida di subentrarvi. Sono definite procedure “concorsuali” le procedure esecutive alle quali concorrono tutti i creditori; l’espressione indica il concorso dei creditori sull’intero patrimonio dell’impresa. Le procedure concorsuali sono regolate dal r.d. 267/1942 (c.d. legge fallimentare). Sono invece disciplinate separatamente la liquidazione coatta amministrativa e l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza. A parte sono disciplinate anche le procedure destinate ai debitori non fallibili, dalla l. 3/2012 relativa alle disposizioni in materia di crisi da sovraindebitamento. La legge fallimentare del 1942 è stata oggetto di numerosi interventi legislativi nel corso del 2005, in particolare volti alla “privatizzazione” e “degiurisdizionalizzazione” della crisi di impresa; tali interventi si sono tradotti nel generale arretramento del giudice a favore del curatore (nel fallimento) o del commissario (nelle altre procedure). La riforma del diritto fallimentare del 2006, ha incentivato il ricorso all’autonomia negoziale per superare la crisi. Il fallimento ha assunto un ruolo quasi residuale (ma certo depotenziato) in quanto l’imprenditore dispone di ulteriori strumenti di risoluzione della crisi aventi base negoziale, quali i piani di risanamento e di ristrutturazione dei debiti. Inoltre, il nuovo diritto fallimentare mira alla conservazione ed al rilancio dell’impresa in difficoltà. In caso di esito negativo di tali procedure e di successivo fallimento, è garantita la prededucibilità (cioè il pagamento integrale) dei crediti derivanti da finanziamenti erogati all’imprenditore per consentirgli di superare la crisi economica.

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2. STRUMENTI DI RISOLUZIONE DELLA CRISI Le procedure concorsuali applicabili all’imprenditore sono: • Il fallimento • Il concordato preventivo • L’accordo di ristrutturazione dei debiti • La liquidazione coatta amministrativa • L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese Il fallimento è finalizzato a realizzare il residuo attivo ed a ripartire il ricavato tra i creditori; sono esentati da tale procedura gli imprenditori agricoli, le start up innovative e gli imprenditori commerciali che non raggiungano le soglie quantitative fissate dall’art. 1 l.fall. o, anche qualora superino tali soglie, qualora assumano interesse la salvaguardia dei loro complessi produttivi e dei livelli occupazionali. Gli imprenditori agricoli, le start-up innovative e gli imprenditori sotto soglia, sono sottoposti alle procedure di composizione della crisi di sovraindebitamento e di liquidazione del patrimonio del debitore non fallibile. I grandi e grandissimi imprenditori commerciali che abbiano i requisiti previsti • dall’art. 2 d.lgs. 270/1999 (numero di lavoratori subordinati non inferiore a 200 da almeno un anno - debiti per un ammontare complessivo non inferiore ai due terzi tanto del totale dell'attivo dello stato patrimoniale che dei ricavi provenienti dalle vendite e dalle prestazioni dell'ultimo esercizio) • dall’art. 3 d.lgs. 347/2003 – numero di lavoratori subordinati non inferiore a mille da almeno un anno e debiti per un ammontare non inferiore ad un miliardo di euro sono invece sottoposti alla procedura di amministrazione straordinaria normale o speciale. Quest’ultima punta al risanamento dell’impresa e la tutela di altri interessi coinvolti, in primo luogo quelli dei lavoratori. Gli imprenditori operanti in settori c.d. sensibili (bancario, assicurativo, finanziario) sono invece soggetti alla liquidazione coatta amministrativa. 3. ELEMENTI IN COMUNE Le procedure concorsuali presentano come elementi in comune: - il fatto di essere collegate ad uno stato di dissesto economico dell’imprenditore commerciale - di avere interesse collettivo (c.d. concorsualità) - e carattere universale, in quanto interessano tutto il patrimonio dell’imprenditore, sia i beni preesistenti che quelli già alienati ma recuperati con le azioni revocatorie, sia quelli sopravvenuti. Fanno eccezione solo i beni strettamente personali e quelli che risulti antieconomico acquisire nell’attivo o liquidare. Si ha indebitamento dell’imprenditore quando l’imprenditore non è più in grado di soddisfare regolarmente, con mezzi normali e nel rispetto delle scadenze, le proprie obbligazioni. In questo caso l’imprenditore versa in stato di insolvenza che si manista, oltre che nel caso di inadempimento, per altri fatti esteriori, come la fuga, l’irreperibilità o la latitanza dell’imprenditore, la chiusura improvvisa dei locali di impresa, la sostituzione o diminuzione fraudolenta dell’attivo. Lo stato di insolvenza non coincide con lo sbilancio patrimoniale: un’eccedenza della’attivo sul passivo non esclude che l’attivo sia immobilizzato e quindi l’imprenditore non disponga di liquidità per fronteggiare le obbligazioni in scadenza; anche l’eccedenza di passività rispetto alle attività non implica lo stato di insolvenza, sino a che l’imprenditore gode di fiducia sul mercato e quindi può ricorrere al finanziamento bancario.

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Inoltre l’insolvenza non và confusa con l’inadempienza; quest’ultima si ha quando l’imprenditore si rifiuta di pagare o ritiene di avere ragioni per rifiutarsi di adempiere. La denuncia tempestiva delle difficoltà nel fronteggiare i debiti, prima che la situazione precipiti, può evitare l’approdo al fallimento; infatti, al fine di accedere al concordato preventivo o agli accordi di ristrutturazione del debito, è sufficiente lo stato di crisi ossia una condizione di dissesto, anche temporanea, che non abbia ancora le caratteristiche dell’insolvenza. Invece, per le grandi imprese, l’accesso all’amministrazione un’esposizione debitoria qualificata (vedi paragrafo precedente).

straordinaria

richiede

Per quanto riguarda i soggetti sottratti al fallimento, il presupposto comune per l’accesso a tutte le procedure ad essi riservate è lo stato di sovraindebitamento ovvero la situazione di squilibrio tra le obbligazioni assunte ed il patrimonio prontamente liquidabile per far fronte alle stesse, ovvero la definitiva incapacità di adempierle regolarmente. In tutte le procedure concorsuali vige la regola (non assoluta) della par condicio creditorium : il soddisfacimento dei crediti avviene in base alla percentuale resa disponibile dalla liquidazione del patrimonio del fallito. Ciò vale per tutti i creditori chirografari, che corrono il rischio di non ricevere alcuna somma (o di essere soddisfatti solo in parte) in quanto vengono pagati solo dopo aver soddisfatto i creditori privilegiati, il cui credito è assistito da pegno, ipoteca o da un privilegio di legge (dipendenti, artigiani). Il principio della par condicio creditorium non si applica nell’accordo di ristrutturazione del debito, che vincola soltanto i creditori che lo accettino; gli altri sono considerati creditori estranei e devono essere soddisfatti entro i termini massimi stabiliti dalla legge. Durante il fallimento e le altre procedure, opera il divieto per i creditori di intraprendere o proseguire azioni cautelari o esecutive individuali sui beni dell’imprenditore.

IL FALLIMENTO 4. PRESUPPOSTI Possono fallire gli imprenditori commerciali, individuali o collettivi, che non rientrino nei tre requisiti massimi dimensionali e di indebitamento, che devono essere rispettati congiuntamente nei tre esercizi precedenti alla presentazione della domanda (o dall’inizio dell’impresa, se di durata inferiore): • ammontare di debiti anche non scaduti non superiore a 500.000 euro • attivo patrimoniale non superiore a 300.000€ • ricavi lordi non superiori a 200.000€ Il presupposto oggettivo è lo stato di insolvenza. Inoltre, il fallimento può essere dichiarato solo se l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati è inferiore a 30.000€. L’imprenditore che abbia cessato l’attività può essere dichiarato fallito entro un anno dalla cancellazione del registro delle imprese, se l’insolvenza si sia manifestata precedentemente o nell’anno successivo. In caso di impresa individuale, si ha la facoltà del creditore o del pubblico ministero di dimostrate il momento dell’effettiva cessazione dell’attività. Per le società di fatto, il termine di un anno decorrerà dal momento in cui la cessazione dell’impresa sia stata portata a conoscenza dei terzi con mezzi idonei.

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5. APERTURA Sono legittimati a chiedere il fallimento: • l’imprenditore: in caso di insolvenza, ha il dovere di portare i libri in tribunale. Il mancato esercizio di tale dovere è sanzionato. • i creditori: tutti coloro che vantano un credito verso l’imprenditore • il pubblico ministero: qualora l’insolvenza sia riscontrata nel corso di un processo penale oppure risulti dalla fuga, l’irreperibilità, la latitanza dell’imprenditore, la chiusura improvvisa della sede di impresa, la diminuzione fraudolenta dell’attivo. L’iniziativa pubblica è prevista anche nel caso in cui un creditore inoltri domanda ma poi ci ripensi: in tal caso il tribunale dovrà segnalare la situazione al pubblico ministero così che questo, ove lo reputi opportuno, possa ripresentare domanda allo stesso tribunale. • Inoltre, l’insolvenza può essere rilevata nel corso di un procedimento civile. 6. COMPETENZA La domanda di fallimento deve essere presentata al tribunale del luogo in cui si trova la sede legale ( o si trovava nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento). di regola la sede legale coincide con la sede effettiva ma in caso di divergenza prevarrà la sede effettiva. Se l'imprenditore ha una sede principale all'estero e una secondaria in Italia, potrà essere dichiarato fallito in entrambi i paesi. Il trasferimento all'estero, dopo che sia stata presentata la domanda di fallimento in Italia, non fa venir meno la giurisdizione del giudice italiano, a meno che il tribunale declini la propria competenza o sia dichiarato incompetente e pertanto dovrà trasmettere gli atti al giudice competente, che disporrà la prosecuzione della procedura nominando un nuovo giudice delegato e il relativo curatore; qualora anche quest'ultimo venga dichiarato incompetente, si richiede l'intervento della Cassazione affinché dirima il conflitto. Il tribunale, al fine di decidere se accogliere o respingere la domanda di fallimento, deve effettuare una serie di adempimenti: deve innanzitutto convocare il debitore ed i creditori istanti per il fallimento; nel procedimento interviene il pubblico ministero se sia stato esso ad assume l'iniziativa. Il ricorso e decreto di fissazione dell'udienza sono notificati al debitore e, affinché egli sia messo in condizioni di difendersi, tra la data della notificazione e quella dell'udienza deve intercorrere un termine non inferiore a 15 giorni; fino a 7 giorni prima al debitore sarà consentito presentare memorie e depositare documenti e relazioni tecniche per dimostrare il mancato superamento delle soglie dimensionali. in questo modo, si dà luogo ad una vera e propria istruttoria prefallimentare, volta ad accertare la sussistenza delle condizioni richieste per la dichiarazione di fallimento e durante la quale il tribunale può emettere provvedimenti cautelari o conservativi a tutela del patrimonio dell'impresa L’istruttoria può chiudersi con una decisione di rigetto (con decreto) o di accoglimento (con sentenza del ricorso.) La sentenza che apre la procedura nomina il giudice delegato e il curatore ed ordina al fallito il deposito dei bilanci degli ultimi tre anni e delle scritture contabili e fiscali obbligatorie nonché dell'elenco dei creditori; stabilisce il luogo, il giorno e l'ora dell'adunanza in cui si procederà all'esame dello stato passivo; assegna ai creditori ed a terzi il termine di 30 giorni per la presentazione delle domande di insinuazione al passivo o di restituzione dei beni. Gli effetti del fallimento si producono : • per l'imprenditore dal giorno in cui la relativa sentenza dichiarativa è depositata in Cancelleria; • per i creditori da quello in cui la sentenza viene annotata presso l'ufficio del registro delle imprese;

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Contro la decisione del tribunale, sia di rigetto che di accoglimento del ricorso, è possibile proporre reclamo alla corte d'appello in caso di rigetto, la legittimazione attiva spetta al creditore ricorrente o al pubblico ministero; l'eventuale accoglimento del reclamo rimetterà d’ufficio gli atti al tribunale competente. in caso di accoglimento del ricorso, possono proporre reclamo l'imprenditore e qualunque interessato; l'impugnazione non sospende gli effetti della sentenza appellata e quindi la procedura fallimentare farà ugualmente il suo corso; tuttavia, la Corte d'Appello investita del reclamo, su richiesta di parte o del curatore potrà, quando ricorrano gravi motivi, sospendere in tutto o in parte anche temporaneamente la liquidazione dell'attivo. Nell'ipotesi di revoca del fallimento, restano in ogni caso salvi gli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi della procedura (ad esempio il curatore che avesse eseguito dei pagamenti non dovrà restituire le relative somme al fallito).

7.ORGANI Gli organi del fallimento sono il tribunale, il giudice delegato, il curatore ed il comitato dei creditori. Il tribunale è investito dell'intera procedura fallimentare, dalla dichiarazione alla chiusura, compresa l'eventuale concessione dell'esdebitazione. Competono al tribunale, la nomina, la revoca e la sostituzione per giustificato motivo degli organi della procedura, la decisione di tutte le controversie ad esso relative e dei reclami proposti contro i provvedimenti del giudice delegato; sono inoltre previste numerose altre attribuzioni, come la liquidazione del compenso al curatore e la decisione di disporre l'esercizio provvisorio dell'impresa. La competenza del tribunale fallimentare abbraccia tutte le azioni che ne derivano cioè che trovino causa nel fallimento (quali non sarebbero quelle nascenti da crediti dell'imprenditore preesistenti all'apertura della procedura, che andranno radicate dinanzi al tribunale competente). Il giudice delegato, oltre ad accertare i crediti e i diritti reali e personali vantati da terzi, esercita una funzioni di vigilanza e di controllo sulla regolarità della procedura. Il giudice delegato riferisce al tribunale su ogni affare per il quale sia richiesto un provvedimento collegiale; emette i provvedimenti urgenti per la conservazione del patrimonio; convoca il curatore e il comitato dei creditori ogni qualvolta lo ritenga opportuno; liquida i compensi e dispone l'eventuale revoca dell'incarico conferito alle persone che collaborano con il curatore (Es. il legale della procedura nominato dal curatore); provvede sui reclami proposti contro gli atti del curatore e del comitato dei creditori; autorizza per iscritto il curatore a stare in giudizio; nomina eventuali arbitri su proposta del curatore. Il curatore detiene l'amministrazione del patrimonio fallimentare e compie tutte le operazioni della procedura sotto la vigilanza del giudice delegato (cui compete il controllo della loro legittimità) e del comitato dei creditori al quale spetta un controllo sul merito di esse). Egli può compiere atti di straordinaria amministrazione ma in tal caso deve richiedere la preventiva autorizzazione del comitato dei creditori ed informare il giudice delegato se tali atti siano di valore superiore a €50.000 e per le transazioni. Il legislatore ha previsto dei requisiti di professionalità ma anche delle cause di ineleggibilità e incompatibilità del curatore. Possono assumere l'incarico: gli avvocati; i dottori commercialisti; gli studi professionali associati; le società tra professionisti; coloro che abbiano svolto funzioni di amministrazione direzione e controllo in spa.

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Sono esclusi il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado del fallito; i creditori; chiunque abbia concorso al dissesto dell'impresa durante i due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento, ed in generale chiunque si trovi in conflitto di interessi con la procedura; il legale del fallimento. Il curatore nell'esercizio delle proprie funzioni è un pubblico ufficiale ed i suoi adempimenti più importanti sono: • redigere l'inventario dei beni del fallito ed entro 60 giorni da questa incombenza predisporre il programma di liquidazione ovvero l'atto di pianificazione e indirizzo in ordine alle modalità e termini previsti per la realizzazione dell'attivo; • entro 60 giorni dalla dichiarazione di fallimento, deve presentare al giudice delegato una relazione sulle cause e circostanze del fallimento, sulla diligenza spiegata dal fallito nell'esercizio dell'impresa, sulla responsabilità del fallito o di soggetti terzi e di quanto possa interessare ai fini delle indagini preliminari in sede penale; in tale documento deve anche indicare gli atti del fallito già impugnati dai creditori nonché quelli che egli intende impugnare; • ogni sei mesi deve redigere un rapporto riepilogativo delle attività svolte e se il fallito abbiamo omesso di farlo, deve redigere o completare il bilancio dell'ultimo esercizio; • deve esaminare le domande di insinuazione allo stato passivo, scomunicando ad ogni creditore l'esito del procedimento di verifica dei crediti; • è legittimato a proporre domanda di revocazione o di impugnazione dei crediti ammessi • deve depositare entro 10 giorni dall'incasso le somme riscosse a qualunque titolo sul conto corrente intestato alla procedura fallimentare e presentare ogni quattro mesi un prospetto delle somme disponibili ed un un progetto di riparto delle stesse; • dopo aver compiuto la liquidazione dell'attivo e prima del riparto finale, deve presentare il rendiconto della sua gestione e quindi promuovere la chiusura del fallimento • inoltre egli deve adempiere a tutti i doveri del proprio ufficio, imposti dalla legge o derivanti dal piano di liquidazione approvato, con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico. • Infine, previa autorizzazione del comitato dei creditori, può nominare dei coadiutori o dei delegati, gravando negli oneri sul proprio compenso. Il tribunale può revocare il curatore in ogni momento, anche d'ufficio, oppure sostituirlo su istanza dei creditori ammessi al passivo, esclusi quelli in conflitto di interessi. Il comitato dei creditori è composto da tre o cinque membri scelti in modo da rappresentare in misura equilibrata la quantità e qualità del credito; l'equilibrio deve essere rispettato anche nell'ipotesi di sostituzione dei suoi membri. È un organo collegiale, che deve essere convocato dal suo presidente ( in prima convocazione del curatore) per le deliberazioni di competenza o quando sia richiesto da un terzo dei suoi componenti; decide a maggioranza dei voti. Il Comitato detiene una funzione consultiva ma i suoi pareri non sono vincolanti: lo diventano quando si tratti di autorizzare decisioni di particolare rilievo, quali l'esercizio provvisorio dell'impresa e l'affitto dell'azienda e l'approvazione del programma di liquidazione. Inoltre curatore dovrà richiedere l'autorizzazione del comitato dei creditori per compiere atti di straordinaria amministrazione; per rinunciare ad acquisire nell'attivo beni gravati da oneri o per rinunciare a liquidarli se tale attività risulti non conveniente ed infine per subentrare nei rapporti contrattuali ancora in corso fra l'imprenditore e i terzi alla data di apertura del fallimento. Inoltre il comitato dei creditori ha una funzione di vigilanza sull'operato del curatore infatti il comitato o ciascun suo componente possono ispezionare in qualunque momento le scritture contabili ed i documenti della procedura fallimentare ed hanno diritto di chiedere notizie e chiarimenti al curatore ed al fallito. Il comitato ha inoltre il diritto di essere informato dell'esito della vendita dei beni fallimentari e durante l'eventuale periodo di esercizio provvisorio dell'impresa deve essere convocato almeno ogni

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tre mesi, per essere aggiornato sull'andamento della gestione e pronunciarsi sull'opportunità di continuarla. Da queste prerogative, discende una sorta di rapporto gerarchico tra gli organi: • contro i decreti del giudice delegato o del tribunale, può essere proposto reclamo rispettivamente al tribunale e alla Corte d'Appello • mentre contro gli atti del curatore o contro le autorizzazioni o i dinieghi del comitato dei creditori, il fallito o ogni altro interessato possono proporre reclamo al giudice delegato per violazioni di legge. Il controllo sull'operato del curatore riguarda la sola legalità e non entra nel merito della procedura; non potranno essere contestate le operazioni da esso compiute in merito alla convenienza o l’opportunità di adottarla, salvo il caso in cui abbia agito senza richiedere l’autorizzazione al comitato dei creditori. Inoltre, in caso di comportamento omissivo del curatore, il giudice gli ordinerà di provvedere ma non come prevedere.

8. EFFETTI Il principale effetto patrimoniale è lo spossessamento; la sentenza che dichiara il fallimento priva l'imprenditore sia dell'amministrazione che della disponibilità dei suoi beni esistenti in quel momento sia di quelli sopravvenuti durante la procedura, naturalmente dedotte le passività incontrate nel loro acquisto e conservazione. Al curatore è consentito di rinunciare all'acquisizione, qualora i costi da sostenere risultino superiori al presumibile valore di realizzo dei beni stessi. Il curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori, può decidere di non acquisire all'attivo o di rinunciare a liquidare uno più beni, se l'attività di liquidazione appaia manifestamente non conveniente. Lo spossessamento colpisce anche i beni che si trovino in possesso del fallito ma siano di proprietà di terzi; questi ultimi, per recuperarli, dovranno richiederne in sede fallimentare la rivendicazione, provando la proprietà, o la restituzione, dimostrando per esempio che gli aveva concessi in comodato. Sono esclusi i beni di natura personale, tra cui quelli indispensabili per il sostentamento del fallito e della propria famiglia; si ha inoltre la possibilità di attribuirgli un sussidio a titolo di alimenti e di lasciarlo temporaneamente nella casa di sua proprietà, fino a che si realizzino le condizioni favorevoli alla liquidazione dell'immobile. Dallo spossessamento discendono due ulteriori effetti: • tutti gli atti compiuti dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento sono inefficaci rispetto ai creditori, compresi sia i pagamenti eseguiti che quelli ricevuti. Ciò comporta che il terzo che abbia onorato al suo debito direttamente nei confronti del fallito, dovrà rinnovare il pagamento al curatore, a meno che non dimostri che il fallito abbia consegnato quanto incassato alla procedura; viceversa chi abbia ricevuto un pagamento dal fallito dovrà restituirlo al curatore. • tutte le formalità necessarie a rendere opponibile ai terzi atti soggetti a pubblicità, se compiute dopo la data della dichiarazione di fallimento, sono senza effetto rispetto ai creditori. Per esempio, affinché una vendita immobiliare stipulata anteriormente all'apertura della procedura sia opponibile al curatore, dovrà essere anche stata trascritta prima della annotazione della sentenza dichiarativa di fallimento nel registro delle imprese. Agli effetti patrimoniali si affiancano gli • effetti personali: Il fallito ha l'obbligo di consegnare al curatore la propria corrispondenza di ogni genere, inclusa quella elettronica, riguardante rapporti patrimoniali e aventi per

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oggetto beni compresi nel fallimento e quindi non soggetti ad esigenze di tutela della privacy, nonché di comunicargli ogni cambiamento di residenza o domicilio, così da essere reperibile ogni qualvolta occorrono ulteriori informazioni e chiarimenti ai fini della gestione della procedura. Tutta la corrispondenza indirizzata al fallito- persona giuridica, è dirottata al curatore. Gli effetti processuali consistono nella perdita da parte del fallito della legittimazione a stare in giudizio nelle controversie patrimoniali non personali concernenti quelle riguardanti i beni compresi nel fallimento.

8.2. EFFETTI PER I CREDITORI Gli effetti della dichiarazione di fallimento per i creditori sono • da un lato, la scadenza anticipata dei debiti contratti dall'imprenditore, in osservanza del principio della decadenza del debitore dal beneficio del termine • e dall'altro, per i creditori chirografari, la stabilizzazione dei loro crediti, ossia la sospensione ai soli effetti del concorso dall'ulteriore decorrere degli interessi su quelli pecuniari. Da questa seconda conseguenza sono esentati soli creditori privilegiati ( garantiti da pegno, ipoteca, privilegio) che già ricevono un trattamento di favore in quanto sono soddisfatti con preferenza rispetto ai creditori chirografari e possono realizzare i loro crediti anche durante il fallimento, una volta ammessi al passivo con prelazione. I creditori, durante la procedura fallimentare, hanno il diritto di compensare i loro eventuali debiti verso il fallito con i crediti che essi vantino nei suoi confronti, qualora non siano scaduti prima della dichiarazione di fallimento. In questo modo, il creditore, anche senza essere privilegiato, riesce a soddisfarti integralmente. La compensazione non ha luogo se il creditore abbia acquistato il credito per atto tra vivi dopo la dichiarazione di fallimento o nell'anno anteriore. Inoltre, i creditori, a partire dalla data di apertura del fallimento, hanno il divieto di intraprendere o proseguire azioni esecutive e cautelari individuali. I creditori che abbiano acquisito un credito prima della data di apertura del fallimento dovranno limitarsi a presentare la domanda di ammissione allo stato passivo diventando così creditori concorrenti. I creditori che vantino pretese acquisite dopo la dichiarazione di fallimento, per effetto di atti compiuti dal fallito e quindi inefficaci rispetto alla procedura, sono privati di qualsiasi prospettiva di soddisfacimento del proprio credito e potranno agire solo dopo la chiusura della procedura nei confronti del fallito tornato in bonis, e sempre che questi non abbia ottenuto l'esdebitazione cancellando ogni pendenza residua. 8.3. (segue) SUGLI ATTI PREGIUDIZIEVOLI AI CREDITORI La dichiarazione di fallimento è preceduta da un periodo più o meno lungo di tempo durante il quale l'imprenditore pur già trovandosi in stato di insolvenza continua ad operare ed intrattenere rapporti con i terzi, presumibilmente dandosi da fare per tentare di correre ai ripari ed evitare il peggio. L’inefficacia degli atti compiuti dal debitore quando era già in stato di insolvenza, può essere automatica , di diritto o prodursi a seguito di una pronuncia giudiziale. Sono automaticamente privi di effetto nei confronti dei creditori sia gli atti a titolo gratuito che i pagamenti anticipati di debiti che sarebbero scaduti nel giorno della dichiarazione di fallimento o posteriormente. Sia gli atti a titolo gratuito che i pagamenti anticipati sono inefficaci per legge; di conseguenza il curatore dovrà soltanto dimostrare un unico presupposto: il loro compimento nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento.

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E’ irrilevante l'eventuale conoscenza o non conoscenza da parte del terzo creditore o del donatario dello stato di insolvenza. La revoca giudiziale deriva da una pronuncia ad hoc del giudice e riguarda gli atti a titolo oneroso compiuti dall'imprenditore prima del fallimento. Qui si deve distinguere il caso il caso in cui tali atti si debbano considerare normali (cioè fisiologici all'esercizio d'impresa) o anormali in quanto sintomatici dello stato di insolvenza dell'imprenditore. Tale distinzione deve tener conto nell'arco di tempo entro il quale è ragionevole ritenere che le operazioni effettuate fossero idonee ad alterare il quadro patrimoniale dell'impresa e diritti della massa creditizia. Sono considerati anormali : • gli atti a titolo oneroso in cui le cui prestazioni eseguite o le obbligazioni assunte dal fallito sorpassino di oltre un quarto ciò che a lui è stato dato o promesso ( si pensi a una vendita a prezzo rovinoso) • gli atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con denaro o con altri mezzi normali di pagamento ma per esempio attraverso la dazione di un bene • i pegni e ipoteche volontarie costituiti per debiti preesistenti non scaduti Affinché tali atti siano revocati, il curatore dovrà solo dimostrarne il compimento nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento; tale periodo si riduce a 6 mesi per le meno sospettabili garanzie richieste dopo il rilascio del finanziamento ma per debiti già scaduti. Il terzo convenuto in revocatoria non avrà altro mezzo che dimostrare - e sarà sua cura fornirne la prova - che non conosceva lo stato di insolvenza dell'imprenditore. Sono invece considerati normali: • gli atti a titolo oneroso in cui vi sia equilibrio tra prestazione e controprestazione esempio vendita giusto prezzo: • i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili effettuati con denaro o altri mezzi normali • gli atti costitutivi di un diritto di prelazione, pegno, ipoteca per debiti contestualmente creati Spetta al curatore che intenda revocare tali atti considerati normali dimostrare, purché tramite presunzioni gravi, precise e concordanti, la conoscenza effettiva dello stato di insolvenza da parte del terzo. In questo caso il periodo “sospetto” si riduce a 6 mesi. La riforma delle procedure concorsuali ha previsto alcuni casi di esenzione, finalizzati a favorire la conservazione ed il rilancio dell’impresa in crisi: è stato previsto un regime esonerativo per i fornitori di beni e di servizi, di credito e di prestazioni lavorative. Al curatore è consentito l’esperimento dell’azione revocatoria ordinaria. L’azione revocatoria ordinaria mira a ripristinare la garanzia patrimoniale, intesa come sufficienza del patrimonio del debitore ad assicurare il soddisfacimento dei crediti. La revocatoria fallimentare presuppone l'esistenza di una situazione patologica preesistente (lo stato di insolvenza) che avrebbe già dovuto comportare la dichiarazione di fallimento. La revocatoria ordinaria è l'unica azione esperibile quando all'atto esca dal perimetro del periodo sospetto, come nel caso in cui il debitore fallito abbia costituito un ipoteca contestualmente al debito, due anni prima della dichiarazione di fallimento. L'azione va instaurata dinanzi al tribunale fallimentare, sia nei confronti del contraente, sia nei confronti dei suoi aventi causa, nei casi in cui sia esercitabile contro costoro; naturalmente anche in tal caso la parte soccombente potrà solo insinuarsi al passivo. 8.4 (SEGUE) SUI CONTRATTI PENDENTI L’esecuzione dei contratti stipulati dall’ imprenditore anteriormente al suo fallimento ed ancora in corso di esecuzione alla data della sua dichiarazione, rimane sospesa fino a quando il curatore, con l'autorizzazione del comitato dei creditori, operi una scelta fra due soluzioni

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alternative: decida o di subentrare nel rapporto pendente al posto del fallito, assumendosi tutti i relativi obblighi, oppure di sciogliersi da esso. Solo nel secondo caso la controparte del fallito potrà insinuarsi nel passivo per il suo eventuale credito, senza che gli spetti alcun risarcimento del danno. Il contraente può accelerare i tempi facendo assegnare dal giudice delegato al curatore un termine per pronunciarsi non superiore a sessanta giorni, decorso il quale il contratto si intenderà risolto. L'articolo 72 l.fall. precisa che sono inefficaci le clausole negoziali che facciano dipendere la risoluzione del contratto dal fallimento di una delle parti La facoltà di scelta del curatore viene meno in due casi • quando il venditore di una cosa mobile l'abbia spedita al compratore anteriormente al suo fallimento e questa non sia ancora giunta nel luogo di destinazione; in questo caso il venditore ha diritto di riprendere la cosa assumendo a suo carico le spese e restituendo gli eventuali acconti ricevuti; a meno che non decida di insinuarsi al passivo per l'intero importo oppure che il curatore decida di farsi consegnare la cosa pagandone il prezzo integrale; • nel caso di promessa di acquisto di un immobile da costruire, prima che curatore abbia comunicato di voler dare esecuzione al contratto, il promissario acquirente potrà sciogliersi escutendo la fideiussione ricevuta a garanzia della restituzione di quanto versato al costruttore fallito. La regola che il fallimento determina la sospensione dei rapporti pendenti subisce due ordini di deroghe; vi sono infatti contratti che in seguito alla dichiarazione di fallimento si sciolgono per legge ed altri invece che proseguono automaticamente • appartengono categoria dei contratti che si sciolgono automaticamente, quei contratti in cui abbia assunto un ruolo decisivo la controparte contrattuale (e quindi la persona del contraente) come i contratti di conto corrente, i contratti di borsa a termine, l’appalto (se entro 60 gg dalla data di fallimento il curatore, previa autorizzazione del comitato, non abbia dichiarato di voler subentrare, prestando le idonee garanzie e purchè il committente non si opponga eccependo che la considerazione delle qualità soggettive dell’appaltatore siano state motivo determinante del contratto. • Proseguono automaticamente i contratti ad effetti reali, nei quali il trasferimento del diritto sia avvenuto contestualmente allo scambio di consensi. Ad essi sono equiparati la vendita a rate con riserva della proprietà in caso di fallimento, il leasing finanziario in caso di fallimento del concedente (l’utilizzatore del bene conserva il diritto di riscatto). Inoltre, l’affitto di azienda e la locazione di immobili: in questi casi il curatore può esercitare la facoltà di recesso anticipatamente, corrispondendo alla controparte un equo indennizzo.

9. FASI DELLA PROCEDURA La procedura si snoda attraverso una serie di fasi: Acquisizione dell’attivo: il curatore procede all’apposizione dei sigilli sui beni che si trovano presso la sede principale dell'impresa e sugli altri beni del debitore, dei quali redige l'inventario, prendendoli così in consegna. Predispone il bilancio dell'ultimo esercizio e compila, per poi depositare in cancelleria, gli elenchi dei creditori, con indicazione dei relativi crediti degli eventuali diritti di prelazione. Accertamento del passivo: dopo aver invitato i creditori a partecipare alla procedura, il curatore esamina le domande di insinuazione al passivo e quelle di rivendicazione e restituzione dei beni che si trovano presso il fallito.

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Tali richieste devono contenere, a pena di inammissibilità, l'indicazione della procedura cui si intende partecipare, le generalità del creditore, la determinazione della somma o la descrizione del bene, nonché l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto su cui si fondano. Sulla loro base, il curatore forma un progetto di stato passivo che sarà esaminato in un'apposita udienza nella quale il giudice delegato decide su ciascuna domanda, tenendo conto delle eccezioni del curatore, di quelle rilevabili d'ufficio e quelle formulate dagli altri interessati ( anche il fallito può richiedere di essere sentito). Tale udienza si finisce con un decreto che dichiara esecutivo lo stato passivo. Le domande, al fine di essere tempestive, devono essere trasmesse al curatore tramite PEC almeno 30 giorni prima dell'udienza fissata con la sentenza dichiarativa di fallimento per l'esame dello stato passivo. Le domande pervenute dopo la scadenza di tale termine, fino a 12 mesi, prorogabili a 18, saranno considerate tardive. Ciò significa che i ritardatari, che non siano creditori privilegiati o che non dimostrino che il ritardo non è dipeso da causa a loro imputabile, concorreranno soltanto alle eventuali ripartizioni dell'attivo posteriori alla loro ammissione. Il giudice delegato, fissa un ulteriore udienza per l'esame delle domande tardive ogni 4 mesi, ossia con la stessa periodicità con cui avvengono le ripartizioni parziali. Fase eventuale delle impugnazioni: contro lo stato passivo dichiarato esecutivo, sia il creditore che il titolare dei diritti su beni mobili e immobili, la cui domanda è stata accolta solo in parte o respinta, possono proporre opposizione dinanzi al tribunale fallimentare e possono inoltre impugnare l'accoglimento della domanda di un altro creditore o concorrente. Qualora si scopra che il provvedimento di accoglimento o di rigetto sia stata determinato da falsità, dolo, errore essenziale di fatto o dalla mancata conoscenza di documenti decisivi non prodotti tempestivamente, è possibile ricorrere all'istituto della revocazione; il termine per proporlo è di 30 giorni dalla scoperta del fatto o del documento che legittimano l'impugnazione. Liquidazione dell’attivo (ossia realizzare i crediti del fallito e trasformare i suoi beni in denaro da ripartire tra i creditori: il curatore deve operare in conformità ad un programma di liquidazione da predisporre entro 60 giorni dalla redazione dell'inventario ed approvato dal comitato dei creditori; in esso occorrerà specificare le possibilità di cessione unitaria dell'azienda o di singoli rami, di beni o di rapporti giuridici individuabili in blocco. La vendita dell'azienda o di un ramo di essa offre la possibilità di incrementare l'attivo ma consente anche la conservazione di ricchezza e di posti di lavoro; il relativo contratto deve essere provato per iscritto e depositato per l'iscrizione nel registro delle imprese. Qualora non sia realizzabile la vendita totale o questa non consenta una maggiore soddisfazione dei creditori, il curatore dovrà procedere alla vendita atomistica dei singoli beni. Ripartizione del ricavato: il curatore dovrà infine procedere alla ripartizione del ricavato tra i creditori. Essa non presuppone necessariamente il completamento delle operazioni di liquidazione, infatti l'attivo può essere distribuito mediante riparti parziali con cadenza quadrimestrale, a partire dalla data del decreto esecutivo dello stato passivo. Ogni riparto parziale non dovrà eccedere il 80% delle somme disponibili ed almeno il 20% delle somme distribuibili deve essere accantonato per soddisfare eventuali imprevisti legati alla ammissione al passivo di creditori “con riserva” (di cui non sia stato ancora accertato il diritto o per i quali sia in pendenza il giudizio di impugnazione dello stato passivo). Tali accantonamenti saranno distribuiti solo con il riparto finale, preceduto dall'approvazione del rendiconto del curatore. Chiusura: il fallimento si chiude in seguito alla ripartizione integrale dell'attivo.

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Può inoltre chiudersi per la mancata presentazione di domande tempestive di ammissione al passivo, poiché in tal caso la procedura resterebbe priva di scopo, sia perché il pagamento integrale dei creditori sia venuto prima del riparto finale. Con la chiusura del fallimento decadono gli organi preposti al fallimento, cessano gli effetti sul patrimonio del fallito e le limitazioni strumentali alla procedura, le azioni esperite dal curatore non possono essere proseguite, i creditori riacquisteranno il libero esercizio delle azioni verso il debitore per la parte non soddisfatta del loro crediti. E’ possibile ottenere la riapertura del fallimento se nel patrimonio del fallito si rinvengono attività in misura tale da renderla utile oppure se il fallito offre la garanzia di pagare almeno il 10% ai creditori vecchi e nuovi. Concordato fallimentare: un altro modo concretamente utilizzato per chiudere la procedura è rappresentato dal concordato fallimentare ossia un accordo tra imprenditore fallito ed i suoi creditori. La relativa proposta può essere presentata dal fallito soltanto dopo il decorso di un anno dalla dichiarazione di fallimento e purché ne siano trascorsi due dal decreto che rende esecutivo lo stato passivo. Il concordato fallimentare può essere formalizzato anche prima di questo momento da uno o più creditori o da un terzo, detto assuntore, che può obbligarsi per l'adempimento del concordato in solido con il fallito (accollo cumulativo) o da solo (accollo privativo). L’offerta può avere un contenuto piuttosto vario, compresa la possibilità di suddividere i creditori in classi e proponendo loro trattamenti differenziati. Inoltre, l’offerta può prevedere la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti in qualsiasi forma, per esempio tramite pagamento dilazionato. La proposta è assoggettata al preventivo esame del giudice delegato che sarà tenuto a richiedere anche il parere del curatore. Dopodiché, la proposta è sottoposta all'approvazione dei creditori; tutti possono partecipare alla votazione ma non hanno diritto di voto i creditori privilegiati, le società appartenenti al medesimo gruppo di quella fallita, i parenti ed affini sino al quarto grado dell'imprenditore fallito e coloro che siano diventati cessionari o aggiudicatari dei crediti di dette persone da meno di un anno prima della dichiarazione di fallimento. Il concordato deve essere approvato ma può esserlo anche implicitamente per la regola del silenzio-assenso dalla maggioranza dei crediti ammessi al voto o dal maggior numero di classi di creditori. a seguito dell'approvazione il proponente deve chiederne l'omologazione ovvero un controllo formale della procedura della votazione. Qualora un creditore dissenziente contesti la convenienza della proposta, il tribunale potrà comunque omologare il concordato ove ritenga che il credito possa risultare soddisfatto in misura non inferiore rispetto alle altre alternative concretamente applicabili. il tribunale decide con decreto reclamabile dinanzi alla Corte d'Appello e decorsi termini di opposizione il curatore rendiconto della gestione e il tribunale dichiara chiuso il fallimento. In questo modo il concordato fallimentare diventa obbligatorio per tutti i creditori anteriori al fallimento compresi quelli che non si fossero insinuati al passivo. La sua esecuzione avviene sotto la sorveglianza del curatore del comitato dei creditori e del giudice delegato. Come tutti i contratti, il concordato potrà essere risolto per inadempimento, qualora le garanzie promesse non vengano costituite o il proponente non adempia regolarmente agli obblighi assunti. Inoltre il concordato potrà essere annullato qualora sia stato dolosamente esagerato il passivo ovvero sottratta o dissimulata parte rilevante dell'attivo. in entrambi i casi si avrà la riapertura del fallimento che dovrà tener conto dell'eventuale parziale esecuzione.

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10. L’ESDEBITAZIONE L’esdebitazione consiste nel beneficio della liberazione dai debiti concesso al fallito-persona fisica, agli imprenditori individuali e ai soci illimitatamente responsabili (dichiarati falliti in conseguenza del fallimento della società), in presenza di particolari requisiti oggettivi e soggettivi. L'esdebitazione si sostanzia nella dichiarazione di inesigibilità dei debiti non soddisfatti nella procedura concorsuale: il fallito tornato in bonis non potrà subire ulteriori azioni esecutive da parte dei creditori. Lo scopo dell'esdebitazione è quello di rendere possibile al fallito la ripresa dell'attività economica, senza il peso dei debiti pregressi. Per ottenere l'esdebitazione sono necessari due requisiti: la chiusura del fallimento per compiuta ripartizione finale dell'attivo e la soddisfazione almeno in parte dei creditori concorsuali, siano essi privilegiati o chirografari. Spetta al giudice di merito valutare caso per caso se l'entità dei pagamenti effettuati rispetto al totale dei debiti possa essere considerato come parziale soddisfazione; infatti il legislatore non ha chiarito se sia sufficiente soddisfare i privilegiati o se anche i chirografari debbano ricevere il pagamento almeno parziale. Per ottenere l'esdebitazione devono ricorrere alcune condizioni; è necessario che il fallito: • abbia operato con gli organi della procedura, fornendo tutte le informazioni e la documentazione utile all'accertamento del passivo e adoperandosi per il proficuo svolgimento delle operazioni; • non abbia in alcun modo ostacolato o ritardato lo svolgimento della procedura con comportamenti ostruzionistici; • non abbia violato l'obbligo di consegna della corrispondenza; • non abbia beneficiato di un'altra esdebitazione nei 10 anni precedenti la richiesta; • non abbia distratto dall'attivo o esposto passività insussistenti, cagionato o aggravato il dissesto rendendo difficoltosa la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari o fatto ricorso abusivo al credito • non sia stato condannato con sentenza passata in giudicato per bancarotta fraudolenta o per delitti contro l'economia pubblica, l'industria e il commercio. Sono esclusi dall’esdebitazione e dai suoi effetti i debiti di mantenimento e alimentari (verso il coniuge ed i figli minori) oppure quelli derivanti da rapporti estranei all'esercizio d'impresa o da fatto illecito extracontrattuale, nonché le sanzioni penali ed amministrative di carattere pecuniario non accessorie a debiti estinti. Il decreto di accoglimento della domanda di esdebitazione produce effetti anche nei confronti dei creditori che non hanno presentato domanda di ammissione al passivo. Il tribunale, con il decreto di chiusura del fallimento o su ricorso del debitore presentato entro l'anno successivo, verificata la ricorrenza delle condizioni necessarie e tenuto conto dei comportamenti collaborativi dell'imprenditore fallito, sentito il curatore del comitato dei creditori, dichiara inesigibili nei confronti del fallito i debiti concorsuali non soddisfatti integralmente. L’esdebitazione non può essere concessa d'ufficio ma è sempre necessaria la domanda dell'interessato, a seguito della quale il tribunale fisserà la data dell'udienza, che sarà comunicata tramite PEC dal curatore ai creditori ammessi al passivo. Contro la decisione del tribunale, possono proporre reclamo davanti alla Corte d'Appello: • il debitore nel caso di rigetto della propria istanza • i creditori non integralmente soddisfatti • il pubblico ministero, riguardo alla legalità del procedimento e ad evitare speculazioni dannose per il mercato • qualunque interessato La decisione della Corte d'Appello è a sua volta ricorribile per cassazione.

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11. IL FALLIMENTO DELLA SOCIETA’ la disciplina fin qui esaminata si applica al fallimento delle società che esercitano un'attività commerciale e che superino le soglie dimensionali fissate dall'art 1 l.fall.. se fallisce una società in nome collettivo, una società in accomandita semplice o una società in accomandita per azioni, falliscono anche in proprio i soci illimitatamente responsabili (c.d. fallimento per estensione o in ripercussione). Nelle società di persone commerciali falliscono anche i soci occulti cioè quelli il cui vincolo sociale non sia stato esteriorizzato e sia rimasto nascosto. Anche gli ex soci possono essere dichiarati falliti ma solo entro un anno da quando lo scioglimento del vincolo sociale sia stato reso noto ai terzi con mezzi idonei; così anche nel caso di cessazione della responsabilità illimitata ad esempio per trasformazione della società in un'altra che non la preveda e a condizione che l'insolvenza della società attenga a debiti esistenti alla data di cessazione della responsabilità illimitata. Nell’ipotesi di contestuale dichiarazione di fallimento della società e dei soci il tribunale designa un solo giudice delegato ed un solo curatore mentre è possibile nominare più comitati dei creditori. I creditori della società sono per definizione anche i creditori dei soci, che partecipano per l'intero credito e con il medesimo eventuale privilegio anche nei loro fallimenti, senza che sia necessario presentare distinte domande di ammissione al passivo; invece i creditori particolari del socio partecipano al solo fallimento del loro debitore. La procedura fallimentare è applicabile anche alla società occulta cioè nascosta dietro le sembianze di un'impresa individuale. E’ inoltre ammesso il fallimento della società apparente che si ha quando due o più persone operino in modo da generare e mettersi la ragionevole opinione che si agiscano come soci Al contrario, i soci delle società di capitali non falliscono in conseguenza alla decozione della società e ad essi il giudice delegato può soltanto ingiungere di eseguire i versamenti ancora dovuti, anche quando non sia scaduto il termine stabilito per il pagamento; inoltre nella srl può autorizzare il curatore ad escutere la polizza assicurativa o la fideiussione bancaria rilasciata in sostituzione del versamento del 25% dei conferimenti in denaro o a garanzia di una prestazione d'opera o di servizi. Il curatore può proporre nei confronti degli organi sociali una serie di azioni qualora questi abbiano violato le regole che presiedono la gestione o i doveri di vigilanza sul corretto funzionamento della società e quindi l'abbiano portata al dissesto. Il curatore, dopo aver sentito il comitato dei creditori e previa autorizzazione del giudice delegato, può intraprendere le azioni di responsabilità contro gli amministratori e i componenti degli organi di controllo, i direttori generali, i liquidatori ed i soci che abbiano assunto funzioni gestorie della società a responsabilità limitata. Inoltre, in caso di fallimento della società soggetta all'altrui direzione e coordinamento e curatore si sostituisce creditori di questa nelle esercitare l'azione di responsabilità. Unico paletto sta nel fatto che si debba trattare di azioni di massa; è considerata azione di massa l’azione di responsabilità per mala gestio degli amministratori o per l’inosservanza delle regole che presiedono all’integrità del patrimonio sociale e quella esercitabile dai terzi o soci il cui patrimonio personale sia stato pregiudicato da atti dolosi o colposi degli amministratori. Sorge quindi il problema della esatta quantificazione del danno risarcibile. La giurisprudenza ha per lungo tempo applicato il criterio del deficit fallimentare determinando tale dato dalla differenza fra il passivo accertato e l'attivo realizzato dal curatore. Oggi prevale l'opinione che tale metodo possa essere utilizzato solo quando risulti impossibile o molto difficile per il curatore ricostruire con esattezza gli effetti dei singoli atti di mala gestio sul patrimonio sociale, a causa dell’omessa o irregolare tenuta della contabilità oppure quando il dissesto sia stato causato direttamente da comportamenti dolosi o colposi degli amministratori. In tutti gli altri casi occorrerà dimostrare l'inadempimento, il danno ed il nesso causale tra l'uno e l'altro.

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III LE PROCEDURE ALTERNATIVE IN SINTESI 12. IL CONSORDATO PREVENTIVO Il concordato preventivo, pur ricalcando la procedura del fallimento, si distingue per due differenze: - richiede che si verifichi uno stato di crisi non necessariamente già sfociato in un’insolvenza irreversibile - essendo richiesto prima della dichiarazione di fallimento, se ha esito positivo, consente di uscire indenne dalla stessa crisi; La domanda di concordato preventivo deve essere presentata da un imprenditore commerciale non piccolo; il ricorso va depositato presso la cancelleria del tribunale fallimentare e corredata di una serie di documenti, quali la dichiarazione di un professionista che attesti la “veridicità dei dati aziendali” e “la fattibilità del piano” proposto per definire la situazione. Gli unici vincoli da rispettare sono il divieto di alterare l'ordine di eventuali cause legittime di prelazione (c.d. divieto di sorpasso) ed una soglia minima di soddisfazione dei creditori privilegiati, che non deve essere inferiore a quanto egli potrebbero realizzare con la garanzia. Spetta ai creditori valutare la proposta e la sua convenienza economica e comprendere quale sia il punto di equilibrio tra il vantaggio per essi di ottenere immediatamente una ridotta soddisfazione delle loro pretese e gli inconvenienti derivanti dalla più o meno complessa procedura fallimentare. Il tribunale si limita a verificare il rispetto delle condizioni di legge e l'effettiva realizzabilità dell'obiettivo, che, indipendentemente dalla proposta formulata deve essere finalizzato al superamento dello stato di crisi dell'imprenditore ed al soddisfacimento anche parziale dei creditori. Il tribunale, dopo aver sentito il debitore, dichiara con decreto non reclamabile il ricorso inammissibile. La domanda può essere ripresentata dall'imprenditore fino a quando non intervenga il fallimento. Se invece il tribunale accoglie il ricorso viene aperta la procedura, con decreto pubblicato nelle forme previste per la sentenza dichiarativa di fallimento. Il tribunale nomina un giudice delegato e il commissario giudiziale; ordina la convocazione dei creditori per la votazione; stabilisce il termine non superiore a 15 giorni entro il quale il ricorrente deve depositare nella cancelleria del tribunale, a pena di revoca dell'ammissione al concordato, una somma pari al 50% e non inferiore al 20% delle spese che si presumono necessarie per l'intera procedura. Il giudice delegato presiede l'adunanza dei creditori decide sull'ammissione provvisoria di crediti eventualmente contestati e riferisce al tribunale l'esito della votazione dei creditori Il commissario giudiziale è un pubblico ufficiale ed è assimilabile al curatore fallimentare ma con minori poteri, dato che il debitore ammesso al concordato conserva l'amministrazione dei suoi beni e l'esercizio dell'impresa. Non è invece obbligatoriamente previsto il comitato dei creditori ma tale organo, insieme a uno o più liquidatori, potrà essere nominato dal tribunale solo se il concordato contempli la cessione di uno o più beni ai creditori. Durante il concordato, il debitore subisce uno spossessamento attenuata: gli è preclusa espressamente una serie di atti di straordinaria amministrazione, potenzialmente lesivi della par condicio, per la cui efficacia rispetto ai creditori anteriori al concordato è di regola necessaria l'autorizzazione scritta del giudice delegato E’ necessaria la pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese e fino al decreto di omologazione i creditori non possono, a pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore o acquisire diritti di prelazione, salva l'autorizzazione del giudice. Sono inoltre inefficaci le ipoteche giudiziali eventualmente iscritte nei 90 giorni antecedenti alla pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese.

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In merito alla sorte dei contratti pendenti, il debitore può essere autorizzato dal tribunale o, dopo il decreto di ammissione, dal giudice delegato, a sciogliersi da quelli in corso di esecuzione o a sospenderli per non più di 60 giorni prorogabili una sola volta. nel caso di accoglimento della sua richiesta il contraente avrà diritto a un indennizzo equivalente al risarcimento del danno per il mancato adempimento da soddisfare come credito anteriore al concordato e quindi da sottoporsi alla medesima procedura. Per l'approvazione dei creditori è fissata un'apposita udienza presieduta dal giudice delegato, alla quale sono legittimati a partecipare, oltre al debitore e ai creditori, il commissario giudiziale, che dovrà anche presentare la sua relazione sulla proposta. Durante l'udienza, i creditori potranno illustrare le ragioni pro e contro la proposta oppure contestare il concorso di altri creditori; anche il debitore avrà la possibilità di rispondere alle osservazioni ed eventualmente modificare la sua proposta. Il concordato sarà approvato se sarà raggiunta la maggioranza dei creditori votanti. A questo punto, si apre il giudizio di omologazione in cui il Tribunale è chiamato ad una mera verifica formale di legittimità del procedimento di controllo. Se ha esito positivo, il concordato diventa obbligatorio per tutti i creditori anteriori alla pubblicazione nel registro delle imprese della proposta. In caso di verifica con esito negativo, il tribunale non omologa il concordato e su istanza di un creditore o del pubblico ministero e previo accertamento dello stato di insolvenza, dichiara il fallimento. Il concordato deve essere eseguito sotto il controllo del commissario giudiziale. Può essere risolto per inadempimento è annullato per dolo. Qualora, a seguito del concordato preventivo, si giunga al fallimento, saranno considerati prededucibili i crediti sorti in occasione o in funzione del concordato e sono irrevocabili gli atti, i pagamenti e le garanzie poste in essere in esecuzione dello stesso. 12.1 IL CONCORDATO IN BIANCO E CON CONTINUITA’ AZIENDALE La forma normale di concordato può presentare due varianti: La prima è costituita dal preconcordato o concordato in bianco, che consente di presentare, a seguito della proposta, il piano e la documentazione o in alternativa un accordo di ristrutturazione dei debiti, entro un termine fissato dal giudice compreso fra 60 e 120 giorni, prorogabile per giustificati motivi di non oltre 60 giorni. Alla domanda di concordato, l'imprenditore deve allegare, oltre ai bilanci degli ultimi tre esercizi, l'elenco nominativo dei creditori con l'indicazione dei rispettivi crediti ed attribuire al tribunale la possibilità di nominare, fin da subito, il commissario giudiziale affinché controlli se l' impresa in crisi si sia effettivamente adoperando per predisporre una compiuta proposta di pagamento e nel caso in cui accerti atti di frode ai creditori, ne riferisca al tribunale che può dichiarare improcedibile la domanda o anche dichiarare il fallimento, se vi sia istanza di un creditore o del pubblico ministero. La seconda è rappresentata dal concordato preventivo con continuità aziendale. In esso la domanda di concordato deve prevedere, oltre le modalità e tempi di adempimento della proposta, la prosecuzione dell'attività d'impresa da parte del debitore oppure la cessione dell'azienda in esercizio o il conferimento in una o più società anche di nuova costituzione. La relazione del professionista indipendente dovrà attestare che la prosecuzione dell'attività d'impresa è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori. Il Tribunale deve revocare l'ammissione alla procedura concordataria qualora l'esercizio dell'attività d'impresa risulti manifestamente dannoso per i creditori Inoltre l'imprenditore può richiedere al tribunale l'autorizzazione a pagare i creditori anteriori per prestazioni di beni e servizi essenziali per la prosecuzione dell'attività d'impresa e funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori.

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13. GLI ACCORDI DI RITRUTTURAZIONE DEI DEBITI L'accordo di ristrutturazione dei debiti è frutto di negoziazioni fra il debitore e creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti, senza la partecipazione del giudice. La fase giudiziale ovvero la richiesta di omologazione inizia solo dopo che si sia conclusa fruttuosamente quella privatistica. L'imprenditore in stato di crisi deve depositare presso la cancelleria del tribunale competente un ricorso contenente la stessa documentazione richiesta per il concordato preventivo e la relazione redatto da un esperto in cui sia indicata “l'idoneità del imprenditore ad assicurare l'integrale pagamento dei creditori estranei”, entro 120 giorni dall' omologazione, in caso di debiti già scaduti o dalla scadenza. L'accordo omologato produce effetti anche per i creditori estranei, il che conferma la concorsualità del procedimento. L'accordo acquista efficacia dal giorno dopo della sua pubblicazione nel registro delle imprese Da questo momento decorre un doppio termine: di 60 giorni entro il quale i creditori non potranno iniziare o proseguire azioni cautelari ed esecutive il patrimonio del debitore né acquisire titoli di prelazione di 30 giorni per fare opposizione contro la proposta di accordo di ristrutturazione dinanzi al tribunale che, solo dopo averle decise,e può procedere all'omologazione in camera di consiglio con decreto motivato da pubblicare nel registro delle imprese. Il divieto di azioni esecutive o cautelari può essere chiesto dall'imprenditore anche durante la delicata fase delle trattative; l'effetto si conserva anche qualora il debitore cambi idea e presenti domanda di concordato preventivo. La vigilanza sulla regolare esecuzione dell'accordo è rimessa agli stessi creditori che potranno richiedere la risoluzione per inadempimento non di scarsa importanza o l'annullamento per lesione della loro libertà negoziale. Anche i creditori estranei potranno richiedere il fallimento, appena constatino la loro mancata integrale soddisfazione. Qualora l'imprenditore voglia chiudere anche le pendenze con il fisco, potrà presentare una proposta di transazione fiscale. Entrambi gli istituti sono stati estesi anche l'impresa agricola. 14. I PIANI DI RISANAMENTO ATTESTATI I piani di risanamento possono essere proposti unilateralmente dall'imprenditore e devono puntare a recuperare l'equilibrio di impresa e quindi a garantire la permanenza sul mercato. La legge prevede che, in caso di successivo fallimento, saranno comunque esonerati da revocatoria gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse sui beni del debitore, purché posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento dell'esposizione debitoria dell'impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria, la cui fattibilità sia dettata da un professionista. 15. LA LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA La liquidazione coatta amministrativa è prevista per determinate categorie di imprese (bancarie, assicurative), in via esclusiva o in concorrenza con il fallimento. La relativa disciplina si differenzia dal fallimento: - per l'organo competente ad esporla che è l'autorità amministrativa al posto del tribunale; - per il suo presupposto oggettivo, non necessariamente consistente nello stato di insolvenza ma riconducibile anche alla violazione di norme o atti amministrativi, a gravi irregolarità di gestione, ragioni di pubblico interesse; - per la finalità perseguita cioè l'eliminazione dell'impresa dal mercato

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L’accertamento dello stato di insolvenza rimane di competenza del tribunale per le sole imprese private; esso può procedere ad seguire il provvedimento di apertura della procedura. Per gli enti pubblici economici, l'insolvenza non può essere oggetto di accertamento anteriore e quindi la pubblica amministrazione ha il potere discrezionale di disporla. La liquidazione coatta amministrativa si apre con un decreto dell'autorità governativa, pubblicato integralmente nella Gazzetta Ufficiale, entro 10 giorni dalla sua emanazione ed iscritta nel registro delle imprese. Gli organi della procedura sono: - l'autorità amministrativa di vigilanza(che sostituisce il tribunale e il giudice delegato), che a sua volta nomina un commissario liquidatore ( nel caso imprese di particolare importanza) le cui funzioni sono simili a quelle del curatore fallimentare e che al pari di questi è pubblico ufficiale; - il comitato di sorveglianza composto da tre o cinque membri scelti tra persone esperte del ramo di attività esercitata dall'impresa e possibilmente fra i creditori Alla liquidazione coatta amministrativa si applicano le medesime norme sugli effetti del fallimento per il debitore, per i creditori e sui contratti pendenti e qualora sia stato accertato lo stato di insolvenza, quelle sulla revocatoria fallimentare. Il commissario liquidatore subentra nelle cause pendenti. La liquidazione coatta amministrativa delle società comporta la cessazione delle funzioni degli organi sociali. La procedura si snoda attraverso l'accertamento del passivo, la liquidazione e la ripartizione dell'attivo. Il commissario giudiziale prende in consegna tutti i beni, tutti i documenti e le scritture contabili dell'impresa con l'assistenza ove occorra di un notaio; procede la formazione dell'inventario, nominando se necessario uno o piu' stimatori. Il commissario deve presentare all'autorità di vigilanza, con cadenza semestrale, una relazione sulla situazione patrimoniale dell'impresa e sull'andamento della gestione, accompagnata da un rapporto del comitato di sorveglianza. Entro un mese dalla sua nomina, il commissario deve comunicare ai creditori le somme risultanti a credito di ciascuno, informare quanti possono far valere le domande di rivendicazione, restituzione e separazione su cose mobili; questi avranno perciò facoltà di proporre osservazioni e istanze. I creditori/titolari di diritti hanno il diritto di richiedere, entro 60 giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del provvedimento, il riconoscimento dei propri crediti e la restituzione dei propri beni. A conclusione, il commissario forma d'ufficio lo stato passivo, depositando in cancelleria che così diventa esecutivo. La fase delle eventuali impugnazioni è disciplinata dalle stesse norme sul fallimento. Alla distribuzione dell'attivo si deve provvedere attraverso riparti ed eventualmente anche acconti, parziali. Prima dell'ultimo riparto, il commissario sottopone all'autorità amministrativa di vigilanza il bilancio finale di liquidazione, il conto della gestione ed il piano di riparto; questi documenti, in mancanza di contestazioni, si intendono approvati. La procedura si chiude per l'esaurimento dell'attivo o per concordato; questo però a differenza di quello fallimentare non richiede l'approvazione dei creditori bensì del solo tribunale, dato il prevalente interesse pubblico che caratterizza la procedura. I creditori potranno ricorrere e richiedere la risoluzione o l'annullamento, con conseguenza che se accolta la domanda si riapre la liquidazione coatta amministrativa.

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16. L’AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA DELLE GRANDI IMPRESE IN CRISI L’amministrazione straordinaria comune (quella speciale è prevista solo per le grandissime imprese e ne costituisce una semplice variante) è una procedura volta a conciliare il soddisfacimento dei creditori dell'imprenditore insolvente con il salvataggio del complesso produttivo e dei livelli occupazionali. È una procedura mista, sia giudiziaria che amministrativa, ed è articolata in due fasi. Nella prima fase, detta di osservazione, la grande impresa dichiarata insolvente dall'autorità giudiziaria (che può procedere anche d'ufficio) sarà sottoposta ad un esame volto ad accertare la sussistenza di concrete prospettive, da realizzarsi attraverso un programma di cessione o di ristrutturazione che verrà abbozzato dal commissario giudiziale ed in seguito predisposto dal commissario straordinario (che prenderà il posto del commissario giudiziale una volta aperta la seconda fase). Solo se la prospettiva di una ripresa sia realistica, l'impresa potrà essere ammessa all'amministrazione straordinaria; altrimenti sarà sottoposta al fallimento. L'organo competente a disporre l'apertura e l'accettazione della seconda fase è l'autorità giudiziaria. L'apertura immediata della procedura è possibile solo nell'amministrazione straordinaria speciale: in tal caso, contestualmente la richiesta al ministro, il debitore deve anche presentare ricorso per la dichiarazione dello stato di insolvenza al tribunale del luogo in cui si trova la sede principale dell'impresa. Il commissario straordinario viene nominato entro 5 giorni dalla comunicazione del decreto di apertura dal Ministero dello Sviluppo Economico, chiamato a vigilare sullo svolgimento dell'intera procedura, fatta eccezione per le competenze esclusive degli organi giudiziari tribunale e giudice delegato. Le modalità di soddisfacimento dei creditori variano in base al tipo di programma: se di risanamento avviene con il ritorno in bonis dell'imprenditore; in caso di cessione, l'attivo viene ripartito secondo le regole analoghe al fallimento. Gli effetti del Decreto dell'amministrazione straordinaria implicano lo spossessamento del debitore cioè l'affidamento della gestione dell'impresa al commissario. Ai creditori continueranno ad applicarsi le norme sulla loro regolazione concorsuale e il divieto di azioni esecutive individuali. Per i contratti pendenti la regola principale è quella della loro automatica prosecuzione e non della sospensione, come invece accade nel fallimento. La revocatoria nei confronti degli atti pregiudizievoli ai creditori sarà esperibile dal commissario straordinario soltanto se c'è stata autorizzata l'esecuzione di un programma di cessione dei complessi aziendali; invece nell'amministrazione straordinaria speciale, anche nel caso di autorizzazione all'esecuzione del programma di ristrutturazione, purché ciò ti traduca in un vantaggio per i creditori L'amministrazione straordinaria potrà essere convertita in fallimento quando il tribunale prende atto che questa non potrà essere utilmente proseguita o perché il programma utilizzato non risulti più realizzabile o non lo sia stato entro il termine previsto. La procedura si chiude quando: - non siano state proposte domanda di ammissione al passivo; - se prima del termine di scadenza del programma l'imprenditore insolvente abbia recuperato la capacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni; - per concordato. In caso di programma di cessione dei complessi aziendali, la procedura si chiude quando i crediti ammessi allo stato passivo sono stati pagati per intero o sia stato integralmente ripartito l'attivo senza la completa soddisfazione dei creditori ma in quest'ultimo caso si ha la possibilità di riaprire la procedura.

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17. LE PROCEDURE PER IL DEBITORE NON FALLIBILE L’applicazione di tali procedure riguarda le situazioni non soggette all’applicazione delle procedure concorsuali; possono avvalersene oltre alle persone fisiche non imprenditori, gli imprenditori agricoli, quelli commerciali al di sotto delle soglie di fallibilità, le start-up innovative. Il presupposto soggettivo è lo stato di sovraindebitamento che ricomprende sia l’insolvenza vera e propria che una mera crisi finanziaria. Sono esperibili tre diverse forme di composizione della crisi: • l'accordo di ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei crediti • la liquidazione del patrimonio • il piano di ristrutturazione dei debiti, fruibile solo dal consumatore ovvero dal debitore persona fisica che abbia assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta. Queste procedure possono essere avviate solo su iniziativa del debitore, purché non vi abbia già fatto ricorso nei 5 anni precedenti; garantiscono la protezione da azioni cautelari ed esecutive e la sospensione del corso degli interessi; inoltre l'esdebitazione, che è automatica. Tali procedure, hanno in comune l'organismo di composizione della crisi con funzioni assimilabili a quelle del curatore ovvero del commissario giudiziale o liquidatore nelle procedure concorsuali tradizionali. L'accordo per la composizione della crisi viene raggiunto sulla base di una proposta formulata dal debitore ai suoi creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti (vige la regola del silenzio assenso). Non vi sono vincoli di contenuto: può essere dilatorio, remissorio o misto, oltre a poter prevedere la suddivisione dei creditori in classi e di offrire anche ai privilegiati un pagamento non integrale; è inoltre prevista la possibilità di cedere il redditi. La proposta, insieme alla documentazione richiesta dalla legge, deve essere depositata presso del tribunale del luogo di residenza o della sede principale del debitore; presentata agli uffici fiscali ed infine omologata dal giudice, divenendo così è obbligatoria per tutti i creditori anteriori alla data in cui è stata data la pubblicità, anche mediante iscrizione nel registro delle imprese. L’accordo cessa di produrre effetti qualora non siano integralmente eseguiti i pagamenti dovuti alle amministrazioni pubbliche e agli enti previdenziali e assistenziali obbligatori; è inoltre revocabile nel caso di compimento, durante la procedura, di atti diretti a frodare le ragioni dei creditori e può essere risolto per inadempimento o annullamento. Qualora il procedimento dovesse sfociare nel fallimento del debitore, si applicherebbe l'esenzione dalla revocatoria degli atti pagamento e garanzie posti in essere in esecuzione dell'accordo omologato e sarebbe assicurata la prededucibilità dei crediti derivanti da finanziamenti effettuati in esecuzione un pensione dello stesso. Il piano di ristrutturazione dei debiti è un atto unilaterale del consumatore ed è omologato dal tribunale purché il consumatore non abbia assunto obbligazioni senza la ragionevole prospettiva di poterle adempiere o non abbia consapevolmente determinato il sovraindebitamento, anche a causa del ricorso al credito non proporzionato alle sue capacità patrimoniali. La liquidazione del patrimonio del debitore civile può essere richiesta dal debitore in alternativa della proposta per la composizione della crisi o essere il risultato della conversione di tale accordo disposta dal giudice, anche su istanza di uno o più creditori. E’ una sorta di “fallimento in miniatura”: sono analoghi l’effetto dello spossessamento ed il divieto dei creditori di intraprendere o continuare azioni esecutive o cautelari.7 Al posto del curatore vi è un liquidatore che dovrà formare lo stato passivo, amministrare i beni che compongono il passivo e liquidarli sulla base di un programma predisposto entro 30 giorni dall’inventario, la cui liquidazione determina la chiusura della procedura che può avvenire solo decorsi 4 anni dalla domanda.

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