Quando il tempo si fa lento. L'attesa amorosa nel romanzo del Novecento: Marcel Proust, Thomas Mann, Gabriel García Márquez
 8843073354, 9788843073351 [PDF]

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Zitiervorschau

Quando il tempo si fa lento L'attesa amorosa nel romanzo del Novecento: Marcel Proust, Thomas Mann, Gabriel García Márquez

COMUNALE

GEN L

66192

editore

ISBN 978-88-430-7335-1

€ 19,00 m

LINGUE E L E T T E R A T U R E C A R O C C I / 173 Serie di Letterature Comparate /z diretta da Piero Boitani c Emilia Di Rocco

I lettori che desiderano informazioni sui volumi pubblicati dalla casa editrice possono rivolgersi direttamente a: Carocci editore Corso Vittorio Emanuele li, 229 00186 R o m a telefono 06 4 2 81 84 17 fax 06 4 2 74 79 31

Visitateci sul nostro sito Internet: http://www.carocci.it

Elisabetta Abignente

Quando il tempo si fa lento L'attesa amorosa nel romanzo del Novecento: Marcel Proust, Thomas Mann, Gabriel Garcia Márquez

Carocci editore

i J edizione, aprile 2014 © copyright 2014 by Carocci editore S.p.A., Roma Realizzazione editoriale: Progedit Srl, Bari Finito di stampare nell'aprile 1014 da Grafiche VD srl, Città di Castello (PG) ISBN 9 7 8 - 8 8 - 4 3 0 - 7 3 3 5 - 1

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge zz aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione, è vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.

Indice

Introduzione

n

x.

Fenomenologia del non-ancora

19

i.x.

Pensare l'attesa

19

1.1.1. Una breve semantica / 1.1.2. C'è attesa e attesa: qualche premessa / 1.1.3. Verso una tassonomia dell'attesa

ì.i.

L'attesa amorosa: un identikit

36

1.2.1. Aspetto dunque amo / 1.2.2.. Non ti muovere / 1.2.3. U potere di chi è atteso / 1.2.4. Immaginazione e irrealtà / 1.2.5. Ripetizione, riti, tic, manie / 1.2.6. In attesa di segni: l'innamorato semiologo / 1.2.7. "Comme si": attesa e messa in scena / 1.2.8. Una questione di genere ?

1.3.

Il corpus: tre "modelli" di attesa

51

1.3.1. Aspettando Albertine, Rachele, Fermina / 1.3.2. Per una poetica dell'attesa, anzi tre

2.

La forma del tempo: attesa e narrazione

67

2.1. 2.2.

«Sette anni passarono»: i dilemmi del come La durata

67 78

2.2.1. Misurazione e percezione: il tempo dell'attesa nella storia dei personaggi / 2.2.2. La durata nel testo: la tecnica della dilatazione / 2.2.3. Mentre si aspetta: attese lunghe e impure, attese brevi e vuote

2.3. 2.4. 2.5.

La promessa e la rottura: quando l'attesa comincia La natura dell' ostacolo Esiti narrativi e falsi traguardi: la fine dell'attesa

7

94 104 109

QUANDO IL T E M P O SI FA L E N T O

3. 3.1.

Lo spazio sensibile: scenografie dell'attesa amorosa

121

La gestione dello spazio e della distanza

121

3.1.1. Attese in praesentia, attese in absentia / 3.1.1. L'attesa riflessa: cartografie sentimentali

3.2.. 3.3. 3.4.

Scenografie intime e claustrofobiche: la camera da letto, la casa ristrutturata, la camera nuziale Enplein air: paesaggi dell'attesa Soglie: l'attesa alla finestra

129 143 154

Bibliografia

165

8

A Pietro e Marta

È questo l'amore: lo spazio e il tempo resi sensibili al cuore. M. Proust, Alla ricerca del tempo perduto

Introduzione L'attesa è il risultato, il retroscena di questa nostra vita troppo piena. G. Gaber, L'attesa

Tempo di solitudine e di pazienza, di silenzio e di lentezza. Tempo interiore, ritmato da abitudini e da riti. Nell'era della globalizzazione, della riduzione delle distanze e dell'abolizione dei confini, nell'epoca della velocità delle comunicazioni e delle telecomunicazioni, la dimensione dell'attesa potrebbe apparire come un sentimento desueto, anacronistico, svuotato di senso. Come conciliare il tempo dell'attesa, intrinsecamente legato all'idea di lunga durata, con le istanze e i miti di una società che è stata acutamente definita dromocratica1 per il potere che la velocità vi ricopre ? Nella nostra modernità liquida2, in cui è la velocità e non la durata che conta, l'attesa, tempo sospeso e interstiziale5 per definizione e quindi naturalmente inconciliabile con l'idea di efficienza e di profitto, sembrerebbe destinata a essere percepita come un tempo perso, inutile, da attraversare il più velocemente possibile. «Nobody likes to wait» 4 , suggerisce un critico americano in un recente lavoro dedicato all'attesa, e non si può dargli torto se si pensa allo stato di noia, di impotenza, se non addirittura di smania, a cui è soggetto l'uomo contemporaneo costretto ad aspettare nei non-luoghi 1. Cfr. P. Virilio, Dromologìa: la logica della corsa. Conversazione di Giairo Daghini con Paul Virilio, in Id., La macchina che vede. L'automazione della percezione, trad. di G. Pavanello, SugarCo, Milano 1989 (ed. or. 1988) e là., L'orizzonte negativo. Saggio di dromoscopia, Costa&Nolan, Genova 2005 (ed. or. 1984). 2. Il riferimento è ovviamente a Z. Bauman, Modernità liquida, trad. di S. Minucci, Laterza, Roma-Bari 2009 e a Id., Amore liquido. Sulla fragilità dei legami affettivi, trad. di S. Minucci, Laterza, Roma-Bari 2010. 3. La definizione dell'attesa come «tempo interstiziale» è del sociologo Giovanni Gasparini: cfr. G. Gasparini, Sociologia degli interstizi. Viaggio, attesa, silenzio, sorpresa, dono, Mondadori, Milano 1988 e Id., La dimensione sociale del tempo, FrancoAngeli, Milano 1994, pp. 129-50. 4. Cfr. H. Schweizer, On Waiting, Roudedge, London-New York 2008, pp. 2 ss.

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QUANDO II. T E M P O SI FA L E N T O

che la quotidianità gli impone di frequentare: stazioni, aeroporti, autostrade, uffici postali. Di qui l'esigenza, complice l'uso di mezzi tecnologici sempre più sofisticati, di ridurre al minimo, se non di eliminare del tutto, il "tempo morto" dell'attesa. Di qui anche il tentativo, talvolta nevrotico ed estenuante, di riempire il tempo in cui ci è dato di aspettare con forme di immediato intrattenimento al solo fine di "ingannare l'attesa"5. L'interrogativo sul senso da attribuire alla dimensione dell'attesa nel nostro tempo rischia di farsi ancora più inattuale se proviamo ad aggiungere alla parola "attesa" un aggettivo: "amorosa". La mente corre inevitabilmente a Penelope e alla sua tela, ai topoi dell'amor cortese, all'attesa del ritorno a casa del soldato proprio a tanta letteratura di guerra e a vecchie canzoni popolari. L'attesa amorosa rimanda immediatamente a un tempo lontano, a un mondo fatto di giuramenti e di promesse, di lettere scritte a mano e logori messaggi in bottiglia. L'idea di fedeltà incondizionata, senza riserve e quasi sempre a senso unico, che l'attesa amorosa incarna potrebbe apparire come un sentimento inattuale. La serietà e il senso etico che possono caratterizzare un'attesa di tipo amoroso - si pensi al serissimo patto di fedeltà che chi attende stipula simbolicamente con chi è atteso - potrebbero essere letti, infatti, dall'esterno, come il segno di un fortissimo disimpegno, come una non assunzione di responsabilità, una mancanza di pragmatismo e concretezza, una tendenza al sogno e alla fantasticheria del tutto anacronistica. Ricordando quanto Roland Barthes sosteneva a proposito dell'emarginazione ¿.e\Yamour-passion nella società di massa6, si potrebbe persino affermare, in questo senso, che non vi sia situazione più imbarazzante, antiproduttiva, se non addirittura sovversiva, nella società odierna di una semplice attesa amorosa. La ricchezza e l'originalità delle rappresentazioni letterarie, e in particolare romanzesche, di questa particolare tipologia di attesa lun5. Un brillante esperimento editoriale nato con il dichiarato intento di "ingannare l'attesa" è The Paris Revìcw Book for Planes, Trains, Elevatori and Waiting Rooms (2004), edito in Italia da Fandango: una raccolta di racconti d'autore ordinati per durata crescente di lettura che si propone come «la miglior cura per allontanare la noia quando l'unica cosa da fare è aspettare» {The Paris Revìew. Il libro per aerei, treni, ascensori e sale d'attesa, trad. di A. Osti, Fandango, Roma 2012). 6. Si veda II più grande decrittatore di miti, intervista di Philippe Roger a Roland Barthes pubblicata in appendice a R. Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, Einaudi, Torino 2001, p. 240.

IZ

INTRODUZIONE

go tutto l'arco del Novecento e in questo inizio di millennio sembrano dimostrarci, però, qualcosa di molto diverso. Nel cuore del secolo della velocità, alcuni grandi scrittori europei ed extraeuropei hanno evidentemente trovato nella dimensione dell'attesa amorosa una chiave di lettura della modernità e dei cambiamenti che essa ha determinato nelle relazioni umane. La ragione di questo rinnovato interesse della letteratura del Novecento per il tema dell'attesa amorosa potrebbe essere cercata, forse, proprio nella sua inattualità. Se, come insegna Francesco Orlando, a partire da una determinata epoca la letteratura si configura come ricettacolo degli «scarti», «ripostiglio» e «sede di un ritorno del represso antifunzionale»7, non c'è da stupirsi nel constatare come la dimensione dell'attesa amorosa abbia stimolato e ispirato alcuni grandi capolavori letterari del secolo scorso. La ragione più profonda risiede però, probabilmente, nella constatazione che, lungi dall'essere cancellata dal ritmo incalzante e per certi versi impietoso della modernità, l'attesa amorosa finisca, proprio a causa della crescente velocità dei mezzi di comunicazione, per moltiplicarsi. L'attesa non scompare, dunque, ma semplicemente si trasforma: da tempo lungo, illimitato ed eterno diventa tempo segmentato, talvolta persino isterico. Si frammenta in tante "microattese", scandite dall'invio e dalla ricezione di segni di presenza da e verso l'altro. Spogliata dai limiti oggettivi della distanza e dell'impossibilità di comunicare con l'altro, l'attesa amorosa rivela così la sua essenza più profonda che consiste in una continua mancanza di tempismo tra i tempi dell'uno e quelli dell'altro e in una drammatica impossibilità di stabilire una vera comunicazione tra l'io che attende e il tu che è atteso. Al variare delle epoche e delle situazioni, essa si configura come attesa di segni, attesa di una risposta, continua prova ermeneutica. Non stupisce che esempi novecenteschi emblematici e significativi di attesa amorosa compaiano in opere di tipo narrativo. L'attesa amorosa irrompe nel romanzo del Novecento costringendolo a fare i conti con un doppio problema di rappresentazione: da un lato, la necessità di rendere con gli strumenti propri della narrazione un tempo apparentemente anomalo e sospeso, spesso del tutto privo di avvenimenti tangibi7. Il riferimento è a F. Orlando, Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura. Rovine, reliquie, rarità, robaccia, luoghi inabitati e tesori nascosti, Einaudi, Torino 1993. P- 1 9-

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Q U A N D O IL T E M P O SI FA L E N T O

li e concreti e che sembrerebbe impossibile scandire, segmentare, organizzare, dunque narrare. Dall'altro, la sfida di raccontare quello spazio fragile e mutevole che si colloca tra l'io che ama e il tu che è amato: un interstizio fatto di sentimenti inespressi, di equivoci, di fraintendimenti, caratterizzato il più delle volte da un cronico e drammatico décalage sentimentale ma allo stesso tempo da una costante e faticosa ricerca di sincronia con l'altro. Parafrasando una felice metafora di Alain Buisine, che aveva individuato nel «fuso orario sentimentale» una vera e propria «legge psicologica» della Recherche, si potrebbe dire che non vi sarebbe attesa, nel romanzo novecentesco e non solo, se fosse possibile, per i personaggi, sincronizzare i propri orologi sentimentali alla stessa ora8. I tre autori a cui sono dedicate le pagine che seguono hanno saputo cogliere questa duplice sfida rappresentativa con particolare sensibilità ed efficacia. Nella specificità dei loro linguaggi hanno raccontato tre attese amorose che lasciano il segno per la loro capacità di penetrare nell'intimità più remota dei personaggi che le vivono e per la loro abilità nel restituire sulla pagina, con tensione e ironia, con ritmo e profondità, il senso di ogni attesa amorosa. L'attesa nervosa e claustrofobica del ritorno di Albertine, être defuite per definizione, vissuta dal Narratore proustiano dopo la fuga dall'appartamento parigino di cui era stata "prigioniera"; la settennale attesa biblica di Giacobbe e Rachele, reinterpretata e umanizzata dalla riscrittura manniana; l'attesa iperbolica di Fermina Daza, lunga più di mezzo secolo, di cui è protagonista Fiorentino Ariza nel romanzo più sentimentale e insieme più ironico di García Márquez, potrebbero essere considerate perciò tre "modelli" di rappresentazione dell'attesa amorosa nel Novecento a cui guardare per interpretare e cogliere il senso di ogni altra attesa d'amore che il secolo scorso abbia raccontato e mostrato. Questo libro, che nasce come rielaborazione e approfondimento di una tesi di dottorato in Letterature comparate svolta in cotutela tra l'Istituto italiano di scienze umane presso l'Università La Sapienza di Roma e l'Università di Paris Ouest Nanterre La Défense, tenta di restituire sulla pagina, da un lato, l'andamento di un percorso di ricerca lento e graduale, dall'altro lo sforzo di dare una sistemazione organica e razionale ai contenuti e alle riflessioni elaborati negli anni di ricerca. Nel dar loro forma si è qui cercato di mantenere costante8. Cfr. A. Buisine, Proust et ses lettres, Presses universitaires de Lille, Lille 1983, pp. 97-8.

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INTRODUZIONE

mente in vita un duplice equilibrio: quello tra testi primari e contributi critici, dedicati in modo particolare alla rappresentazione del tempo e dell'amore nella forma del romanzo; e quello tra particolare e generale, ovvero tra i tratti specifici dell'attesa amorosa che i tre romanzi scelti danno l'opportunità di mettere in luce e le macrocategorie dell'attesa che pongono i tre "modelli" in un dialogo costante e vivace con altre espressioni letterarie, teatrali, musicali, pittoriche, che l'attesa amorosa ha conosciuto nel secolo da poco concluso, confermando la vitalità di un topos di lunga durata. Tale sforzo di modellizzazione - è forse opportuno precisarlo - non ha risposto a un interesse meramente tematico quanto anche e soprattutto narratologico, nella convinzione che non possa essere indagato un contenuto senza analizzare la particolare forma che dì volta in volta esso assume (in questo caso quella, assai complessa, del romanzo del Novecento, colta in tre momenti decisivi del suo sviluppo). Il CAP. i è dedicato a una lenta approssimazione al tema, che cerca di tenere conto, da un lato, della ricchezza e molteplicità di possìbili approcci allo studio dell'attesa - testimoniate tra l'altro dal fiorire di contributi critici di tipo fenomenologico, psicanalitico e sociologico dedicati all'attesa negli ultimi decenni - , dall'altro della specificità dell'approccio di questo lavoro che predilige, come è chiaro, un criterio di analisi propriamente letterario. Dopo aver tentato di inserire l'argomento specifico di questo libro - l'attesa di tipo amoroso entro i confini più vasti di una tematica letteraria di ampio respiro come quella dell'attesa, che conosce una grande pluralità di possibili rappresentazioni, ci si è interrogati sugli aspetti specifici e peculiari che distinguono la rappresentazione letteraria dell'attesa d'amore da quella di tutte le altre attese. Si è cercato, dunque, con il prezioso aiuto delle riflessioni del Roland Barthes dei Frammenti di un discorso amoroso9 e dei seminari sul Discours amoureux tenuti all'Ecole pratique des hautes études tra il 1974 e il 1976'0, di tracciare una sorta di "identikit dell'attesa amorosa", articolato in otto punti, che potesse fungere da primo strumento di analisi per rintracciare, distinguere e isolare, in base a specifici tratti caratteristici, l'attesa amorosa nel testo del 9. Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, cit. 10. R. Barthes, Le discours amoureux. Séminaire à l'Ecole pratique des hautes études (1974-11)76), suivi de Fragments d'un discours amoureux: tnédits, Editions du Seuil, Paris 1007.

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Q U A N D O IL T E M P O SI FA L E N T O

r o m a n z o . Il CAP. i si c o n c l u d e c o n u n a p r e s e n t a z i o n e dettagliata del corpus di opere su cui si è scelto di c o n c e n t r a r e l ' a t t e n z i o n e : è l'occasione per spiegare le r a g i o n i della scelta delle tre o p e r e prese in esame e di rintracciare u n a sorta di " p o e t i c a dell'attesa" che e m e r g e c o n f o r z a dal m a c r o t e s t o dei tre autori.

La seconda parte del lavoro è dedicata a un'analisi più specifica dei modi in cui l'attesa amorosa si traduce nella forma del romanzo del Novecento. Il CAP. x si sofferma sul modo in cui può essere reso, con i mezzi propri della narrazione, il tempo dell'attesa. Ragionando sul rapporto tra la durata dell'attesa nella storia dei personaggi e sulla sua estensione nel testo del romanzo, si è tentato, da un lato, di riflettere sulla difficoltà per i tre autori di rendere nello spazio della scrittura la temporalità complessa dell'attesa amorosa e, dall'altro, di stabilire i limiti temporali che le tre attese romanzesche presentano. Si è ragionato dunque sulla durata dell'attesa, su quanto la sua lunghezza incida sulla qualità dell'attesa amorosa vissuta, su quanto un'attesa amorosa lunga e "impura" possa distinguersi profondamente da un'attesa amorosa breve e "pura"; sull'origine dell'attesa, sull'ostacolo che la determina e sui suoi possibili esiti nel testo. Il CAP. 3, infine, paste dalla constatazione che lo sviluppo del tema dell'attesa amorosa nel romanzo non ponga problemi soltanto rispetto alla rappresentazione del tempo ma anche rispetto alla gestione dello spazio. Non tutti i luoghi sono ugualmente adatti a fare da scenario all'attesa: vi è uno spazio specifico dell'attesa amorosa e, come suggerisce Barthes, una sua specifica «scenografia»". Lo spazio di chi attende, che può essere interno e domestico, o esterno e naturale, può coincidere o meno con lo spazio di chi è atteso: l'attesa non comporta per forza l'assenza della persona amata e i testi letterari di cui questo lavoro si occupa presentano esempi di attesa in praesentia quanto di attesa in absentia. Tra l'interno intimo o claustrofobico della casa e il più o meno complice mondo esterno si pone infine uno spazio che per il suo "essere tra" è stato a lungo identificato, nell'iconografia e nella letteratura, con l'idea di attesa fino a diventarne un vero e proprio topos: si tratta della scena dell'attesa alla finestra. E su questa soglia tra il "qui" e 1'"altrove", tra il "già" e il "non ancora", una soglia fragile, provvisoria, ma forse proprio per questo suggestiva e simbolica, che questo breve studio sull'attesa amorosa si conclude. ii. Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, eie., p. 40.

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INTRODUZIONE

Al termine di questo lavoro desidero ringraziare tutte le persone, i professori e gli amici, che mi hanno accompagnato in questa attesa-, il loro nome è impresso nella mia memoria. Sono grata in particolare a coloro che mi hanno guidato nel mio percorso di ricerca, rivelandosi veri maestri: Piero Boitani, Karen Haddad, Giuseppe Merlino. Grazie a Francesco de Cristofaro per il suo sostegno affettuoso e a Emilia Di Rocco per aver accolto il libro nella serie di Letterature comparate da lei codiretta. Un grande grazie va infine alla mia famiglia, che mi incoraggia sempre a guardare lontano. Questo libro è dedicato a Pietro e alla piccola Marta, la nostra attesa più bella.

¡7

I

Fenomenologia del non-ancora Aspettare è riconoscere che non si può fare la propria felicità da soli. A. Puck Petitier, On dit qu'unpromptdépart

vous éloignede nous

I.I

Pensare l'attesa I.I.I. UNA B R E V E S E M A N T I C A

Che cos'è l'attesa? E cosa si intende con l'espressione "attesa amorosa"? La prima operazione da compiere, preliminare a qualsiasi analisi critica, è quella di intendersi sulla scelta dei termini. Per liberare il campo da eventuali equivoci o fraintendimenti, può rivelarsi utile cominciare con un breve excursus semantico ed etimologico. Nella definizione del termine "attesa" (fr. attente, ted. Erwartung, ing. waìting, sp. espera), offerta dai dizionari delle principali lingue europee, sembrano emergere almeno tre distinte accezioni: "attesa" indica, da un lato, l'azione compiuta da chi aspetta, dall'altro l'arco di tempo che trascorre nell'attendere e, infine, lo stato d'animo di chi aspetta, secondo che si ponga l'accento rispettivamente sull'attività dell'aspettare, sul segmento di tempo entro cui quest'azione si colloca o sull'atteggiamento interiore del soggetto. L'attesa va intesa dunque come un'azione, un tempo, un sentimento. Per un'analisi semantica più profonda, è necessario spostare l'attenzione sul verbo a cui questo sostantivo si riferisce: "aspettare", "attendere" (fr. attendre, ted. warten, ingl. to wait, sp. esperar). Da un breve confronto tra le definizioni nelle diverse lìngue europee, salta immediatamente agli occhi una prima interessante ambiguità di significato. Indipendentemente dalla lingua in cui si presenta, il verbo "aspettare" viene definito, innanzitutto, come il permanere in un luogo o in una situazione nella prospettiva che qualcosa succeda o che qualcuno arrivi o ritomi. Prevale, in questa prima accezione del termine, il carattere

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Q U A N D O IL T E M P O SI FA L E N T O

passivo dell'azione. Che sia intrapresa liberamente o subita, la scelta di aspettare corrisponde in questo senso a un'impossibilità di muoversi o di svolgere ogni altra attività, che viene rimandata alla fine dell'attesa. L'attesa è dunque sentita come una situazione statica e sospesa e come una condizione che il soggetto non ha il potere di modificare. Aspettare, però, non indica solo uno status quanto una vera e propria azione, carica di iniziativa e di tensione. Chi attende, infatti, ha gli occhi e la mente protesi verso il futuro: veglia, spera, tende continuamente a un obiettivo. La seconda accezione del verbo pone dunque l'accento proprio sulla connotazione attiva dell'aspettare. Quest'accezione si presenta in maniera particolarmente evidente nella variante italiana attendere e nel francese attendre, in cui è chiara la derivazione dal latino ad + tendere, "tendere verso, guardare a" (da cui anche l'italiano attenzione e il francese attention), ma è fortemente presente anche nelle altre lingue europee. Il tedesco distingue, ad esempio, le due varianti erwarten e iuarten\ dove il secondo termine indica una situazione di stasi ("essere nell'attesa") mentre il primo una prospettiva di cambiamento in vista della realizzazione di un evento preciso ("aspettare qualcosa"). Anche lo spagnolo esperar, con il corrispondente espera, pone l'atcento sullo slancio positivo che accompagna la dimensione dell'attesa, riconducendolo alla stessa etimologia del termine esperanza. La dimensione attiva dell'aspettare è poi messa ulteriormente in luce nell'inglese to wait, la cui derivazione dal provenzale guaitar (ancora presente nell'italiano letterario guatare e nel francese guetter) ha determinato il persistere per alcuni secoli, accanto ad "aspettare, guardare verso", del significato, spesso connotato negativamente, di "spiare, stare con gli occhi fissi verso il nemico, vegliare", da cui anche wait, "guardia, sentinella", e il franceseguetteur, "sentinella, spia". Il richiamo all'atto di guardare è d'altronde ben riconoscibile anche nell'italiano: la variante i. Per una distinzione di tipo filosofico tra i concetti di erwarten e warten si rimanda al famoso dialogo di Martin Heidegger, Z « r Erörterung der Gelassenheit. Aus einem Feldweggespräch über das Denken, ig44-'4s, in Id., Gesamtausgabe. Abteilung: Veröffentlichte Schriften 1910-76, x i l l , Klostermann, Frankfurt a.M. 2001, pp. 37-74. Una spiegazione chiara e sintetica della distinzione grammaticale e semantica tra l'intransitivo warten e il transitivo erwarten è offerta dal critico tedesco Lothar Pikulik in Warten Erwartung: eine Lebensform in End - und Ubergangzeiten. An Beispielen aus der Geistesgeschichte, Literatur und Kunst, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1997, p. 15.

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I. F E N O M E N O L O G I A D E L N O N - A N C O R A

più comune del verbo italiano - aspettare - deriva infatti dal latino expectare, che indicava originariamente l'azione del "guardare da lontano". Sarà possibile individuare, a questo punto, un campo semantico dell'attesa: rispetto ai tipo di azione che essa mette in gioco si potranno far rientrare nel suo stesso campo semantico i concetti di immobilismo, sospensione, rimando, stasi; rispetto al tempo si potrà parlare di omogeneità, continuazione, rallentamento, dilatazione, durata; rispetto allo stato d'animo di chi aspetta, di ansia, inquietudine, smania, angoscia, paura, rassegnazione o, al contrario, di aspettativa, desiderio, speranza, investimento, progetto. Il riconoscimento di questa parentela semantica non deve però far correre il rischio di adombrare le specificità dell'attesa rispetto ad alcuni suoi pericolosi sinonimi. L'attesa non si identifica ad esempio con il desiderio, stato d'animo legato certo alla volontà e proteso verso il futuro ma privo della dimensione temporale di durata a cui è strutturalmente legata l'attesa. Quest'ultima non coincide neanche con l'assenza, che andrebbe invece considerata solo come una delle sue possibili cause (ad esempio l'assenza della libertà come motivo dell'attesa della libertà). Considerare l'attesa come azione non deve neanche indurre all'errore di confondere l'attesa con i due concetti ben distinti di ricerca e di conquista. Se la ricerca o la conquista di un obiettivo si realizzano in un movimento del soggetto verso l'oggetto, l'attesa si caratterizza al contrario proprio per il suo necessario e inconfondibile immobilismo. Vi sarà modo di tornare più avanti, in maniera più approfondita, su queste importanti distinzioni. Questo rapido excursus può intanto concludersi con una prima, seppur provvisoria, definizione dell'oggetto di questo studio. Ci si occuperà dell'attesa non intesa nel senso di un generico desiderio che qualcosa si realizzi nel tempo futuro ma come azione specifica che consiste nello stare fermi in un luogo o in una situazione per il segmento di tempo che separa il sorgere di un desiderio, di un bisogno, di un'aspirazione dalla loro realizzazione e che può essere vissuta dal soggetto con una varietà di stati d'animo, compresi tra i due estremi opposti dell'angoscia e della speranza. I.I.2.. c ' È ATTESA E ATTESA: QUALCHE PREMESSA

La dimensione dell'attesa è stata oggetto, nel secondo Novecento, di un vivace dibattito teorico caratterizzato da una notevole varietà di approcci. E stata innanzitutto la fenomenologia, intesa sia come branca

zi

QUANDO IL TEMPO SI FA LENTO

della filosofia che come uno dei possibili indirizzi della psichiatria, a interessarsi all'attesa considerandola come fenomeno vitale degno di essere analizzato con specifici criteri interpretativi. Si pensi agli studi di Eugène Minkowski, e in particolare al Tempo vissuto\ nel quale ampio spazio è dedicato all'analisi dell'attesa nell'ambito della riflessione sulla dimensione temporale dell'avvenire, così come alle riflessioni del filosofo francese Nicolas Grimaldi che in Ontologie du temps. L'attente et la rupture propone una vera e propria « fenomenologia dell'attesa » 3 . In ambito più specificamente psicanalitico e psichiatrico, all'attesa è dedicato un numero monografico della "Nouvelle revue de psychanalyse" che si interroga, attraverso una ricca varietà di contributi, sulla possibilità di definire una vera e propria «nevrosi dell'attesa», sulla scia delle riflessioni freudiane sull'angoscia4. La concezione dell'attesa come una delle forme più comuni di manifestazione dell'angoscia è al centro anche del lavoro dello psichiatra italiano Eugenio Borgna, che, a partire dalla propria esperienza professionale, individua nella dimensione dell'attesa da parte del paziente una delle componenti costitutive del processo terapeutico5.

A cavallo tra riflessione filosofica e analisi letteraria si colloca invece il lavoro di Ginevra Bompiani6, che si serve di testi poetici (da Leopardi a Valéry), narrativi (da Henry James a Borges, fino a un testo ibrido come L'attente, l'oubli di Maurice Blanchot) e teorici (in particolare le riflessioni di Wittgenstein nel suo Tractatus logico-philosophicus) per rintracciare l'essenza del fenomeno complesso dell'attesa ponendolo nello specchio della relazione mai risolta con l'altro da sé. Sul confine tra letteratura, filosofia e arte si collocano anche i lavori più recenti di due critici, l'uno tedesco, l'altro americano, che hanno il merito di porsi, pur nella loro diversità di approccio e di corpus di riferimento, come una sorta di manuali dell'attesa: si tratta del testo di Lothar Pikulik, Warten Erwar-

z. E. Minkowski, Il tempo vissuto. Fenomenologia e psicopatologia, Einaudi, Torino 2004, in particolare il cap. IV, L'avvenire, pp. 75-115 (ed. or. 1968). 3. N. Grimaldi, Ontologie du temps. L'attente et la rupture, PUF, Paris 1993, in particolare il cap. il, Phénoménologie de l'attente, pp. 37-59. 4. L'attente, "Nouvelle revue de psychanalyse", n. 34, automne 1986, numero monografico con contributi di P. Lacoste, L. Kahn, G. Bompiani, J. Le Goff, J. Starobinski et al. 5. E. Borgna, L'attesa e la speranza, Feltrinelli, Milano 2005. 6. G. Bompiani, L'attesa, Feltrinelli, Milano 1988.

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I. FENOiMENOLOGIA D E L N O N - A N C O R A

tung: eine Lebensform in End - und Ubergangzeiten. An Beispielen aus der Geistesgeschicbte, Literatur und Kunst7, e del recente lavoro di Harold Schweizer, intitolato, con classica semplicità, On Waiting8. Negli ultimi decenni anche la sociologia ha scoperto nella dimensione dell'attesa un campo di indagine privilegiato e particolarmente adatto a descrivere alcuni fenomeni sociali tipici del nostro tempo. In Sociologia, degli interstizi9, uno dei contributi più significativi e originali dedicati all'argomento in ambito sociologico, Giovanni Gasparini propone di considerare la dimensione dell'attesa come un tempo interstiziale, estendendo la nozione di "interstizio" dalla dimensione spaziale a quella temporale. Come l'interstizio è quella porzione di spazio che separa due oggetti più o meno lontani tra loro, anche l'attesa va considerata, secondo l'autore, come «l'intervallo di tempo tra due fatti», come «preparazione alla completa attuazione di un passaggio»10. Se le scienze sociali hanno a lungo ignorato fenomeni "intermedi" come quello dell'attesa, relegandoli all'idea di un tempo vuoto o perso, in quanto non produttivo per l'uomo, l'autore vi indica al contrario un valore da riscoprire nell'esperienza quotidiana della relazione con l'altro. Due nodi centrali attorno a cui hanno ruotato le riflessioni novecentesche sull'attesa riguardano la sua natura di azione e la sua durata. Se poco fa, nel tentativo di fissarne una prima definizione, non ho esitato a descrivere l'attesa come un'azione compiuta dal soggetto in vista della realizzazione di un obiettivo e come un segmento di tempo percepibile e misurabile dall'individuo che la vive, gran parte degli studi a cui ho fatto riferimento sembra sostenere al contrario che l'attesa sia un fenomeno di sospensione temporale e di pausa dall'attività compiuta dal soggetto. Il motivo di questa apparente contraddizione ha a che vedere con la specifica tipologia di attesa a cui si sceglie di fare riferimento. Il testo di Eugène Minkowski sopra citato è chiarificatore in tal senso. Nel capitolo del Tempo vissuto dedicato alla dimensione temporale dell'avvenire, Minkowski mette in relazione, o meglio in opposizione, i due fenomeni dell'attività e dell'attesa: «Il fenomeno vitale che si contrappone all'attività, pur essendo situato sullo stesso piano, non è

7. Pikulik, Warten Erivartung, cit. 8. H. Schweizer, On Waiting, Routledge, London-New York 2008. 9. Gasparini, Sociologia degli interstizi, cit. 10. Ivi, p. 41.

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la passività, come ragione vorrebbe, bensì l'attesa»11. L'idea di Minkowski di considerarla come l'opposto dell'attività appare immediatamente problematica, dal momento che l'attesa era stata definita poco prima dall'autore come un'attività del soggetto, dunque come azione. Proseguendo la lettura, ecco subito emergere un secondo nodo problematico che riguarda questa volta l'idea di durata: «Nell'attesa non c'è durata, non c'è organizzazione nel tempo, ma ci sono due elementi che si succedono»11. La mia prima definizione, che poneva immediatamente l'accento sull'idea dell'attesa come segmento di tempo, come durata, sembra andare anche in questo caso in direzione opposta rispetto alle conclusioni di Minkowski. E il suo stesso testo a spiegare però le ragioni di questa non coincidenza tra definizioni. E importante chiarire, infatti, spiega l'autore, a quale tipo di attesa si fa riferimento. Esistono almeno due fenomeni distinti che si è soliti indicare, in modo impreciso, con lo stesso termine di "attesa". Il primo tipo di attesa coincide con quelle che Minkowski definisce «attese prolungate» e che consistono nell'attesa di un evento definito e puntuale che si realizzerà nel tempo futuro. Non è a questo tipo di fenomeno che è dedicato il suo lavoro di analisi, bensì a uno dotato di caratteristiche assai diverse e che l'autore definisce «attesa primitiva». Quest'ultima consiste in un'attesa priva di un obiettivo ben individuabile, un'attesa esistenziale, perenne, che accompagna l'individuo lungo il corso della sua vita psichica impedendogli di svolgere qualsiasi altra attività. Al contrario delle "attese prolungate", che possono essere anche attese serene o addirittura felici, T'attesa primitiva" è indissolubilmente legata a uno stato di pietrificante angoscia. La differenza che separa la definizione proposta all'inizio di questo capitolo da quella a cui giungono le riflessioni di Minkowski va ricondotta dunque alla non coincidenza tra il tipo di attesa oggetto di questo lavoro e quello a cui invece è dedicato lo studio dello psichiatra francese. Il tipo di attesa a cui fa riferimento Minkowski nel Tempo vissuto coincide con un'attesa primitiva ed esistenziale, indipendente dal suo oggetto, assorbita dall'angoscia e sentita come sospensione dall'attività13. Il tipo di attesa che sarà oggetto di queii. Minkowski, Il tempo vissuto, cit., p. 82. 12.. Ivi, p. 84. 13. Ivi, p. 82. In quanto non orientata verso un preciso avvenimento, l'attesa primitiva ed esistenziale di Minkowski sembra avere diversi punti in comune con l'atte-

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sto lavoro coincide al contrario con il fenomeno "scartato" da Minkowski: quello dell'"attesa prolungata". Pur derivando dal fenomeno dell'attesa primitiva, questa seconda tipologia di attesa se ne distingue profondamente. Essa non va considerata, infatti, come un momento di sospensione dall'azione ma come un segmento di tempo che si può, al contrario, riempire di attività: è possibile fare qualcosa mentre si aspetta. In quanto prolungamento del tempo questa attesa è «impregnata di tempo misurabile»14 e dotata di una specifica durata. Finisce per risultare, dunque, vicina all'idea di "attività", dalla quale si distingue però per il tipo di relazione che instaura con il tempo futuro. Se nell'attività è il soggetto che si muove verso l'avvenire - spiega Minkowski ricorrendo al segno grafico di una freccia orientata verso destra (-») - , nell'attesa è l'avvenire che si muove verso il soggetto (>19. In altri termini, la quantità di tempo trascorsa ad aspettare può incidere profondamente sulla qualità dell'attesa amorosa.

fügen»]. Sono le parole a cui il narratore ricorre nella ricostruzione della storia di Mut-em-enet, la moglie vergine di Potifar, altra donna "in attesa". Per la discussione sul "come" nella tetralogia manniana cfr. anche Ferretti, Thomas Mann e il tempo, cit., p. in. 28. P. Cherchi, Il tempo degli amanti, in "Annali Online", II, 2, 2 0 0 8 , 1 dialoghi dello IUSS, Università di Ferrara, p. 12. 29. Ibid.

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Otto giorni; sette anni; cinquantatré anni, sette mesi e undici giorni: tanto durano, rispettivamente, le attese d'amore ài Albertine scomparsa, Le storie di Giacobbe e L'amore ai tempi del colera nella storia dei loro protagonisti. L'estensione temporale dell'attesa d'amore è molto diversa, dunque, all'interno del corpus scelto, così come diversa si rivela la percezione che i singoli personaggi dei tre romanzi hanno dello scorrere di questo tempo anomalo. Assai diverso è anche il modo in cui il lettore viene informato della durata effettiva dei giorni di attesa. Nel caso di Proust, il Narratore non si esprime mai in modo esplicito rispetto alla precisa durata del tempo che intercorre tra la notizia della fuga di Albertine e quella della sua morte. Per quantificare il periodo di attesa non resta che cogliere alcuni rapidi indizi che il Narratore dissemina tra le righe. Cogliendo le indicazioni temporali nascoste nel testo, si scopre che l'attesa per Albertine dura poco più di una settimana'0. Si tratta di un arco di tempo assai breve se si pensa ai sei mesi della loro convivenza, ma contemporaneamente di un lasso di tempo incredibilmente esteso per l'inguaribile gelosia del Narratore, soprattutto in rapporto al ritmo con il quale egli era abituato a controllarla, di ora in ora, di minuto in minuto, durante la "cattività" parigina. I limiti temporali dell'attesa amorosa di Fermina Daza vissuta da Fiorentino Ariza sono dichiarati invece in modo preciso ed esplicito nel romanzo di García Márquez. A conferma dell'attenzione quasi maniacale del narratore per i giorni e le date, il calcolo preciso del tempo dell'attesa d'amore rappresenta una preoccupazione costante all'interno del romanzo, tale da permettere al lettore non soltanto di tenere il conto complessivo degli anni di attesa ma anche di individuare, al loro interno, delle fasi ben distinte. Il tono nostalgico e indefinito del riferimento temporale presente nel titolo del romanzo - "ai tempi del colera" - è da intendersi quindi come ironico elemento di contrasto con la precisione cronologica di cui fa invece ampiamente mostra il romanzo. 30. Una prima indicazione temporale compare nel momento in cui il Narratore riceve il primo telegramma di Saint-Loup, inviato in Touraine per avere notizie su Albertine. Scopriamo in quell'occasione che sono "già" passati quattro giorni dalia partenza di Albertine: cfr. Proust, Alla ricerca del tempo perduto, iv, cit., p. 40 [A la recherche du tempsperdu, iv, cit., p. 32]. Una seconda indicazione temporale, desunta anche in questo caso dai pensieri del Narratore, fissa definitivamente la durata dell 'attesa per il ritorno di Albertine a otto giorni-, cfr. ivi, pp. 65 e 68 [A la recherche du temps perdu, iv, cit., pp. 52 e 54].

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Non è diffìcile, infatti, seguendo il filo delle informazioni offerte nel testo, ricostruire una sorta di calendario dell'attesa d'amore di Fiorentino Ariza e articolarne in modo abbastanza preciso la sua durata. Possono essere individuate, così, all'interno dei «cinquantatré anni, sette mesi e undici giorni» complessivi, tre diverse fasi che sembrano coincidere, quasi in una rivisitazione ironica della struttura di un canzoniere poetico, con tre diversi momenti della vita della donna amata: nubilato (circa tre anni), matrimonio (51 anni, 9 mesi, 4 giorni), vedovanza (1 anno e 8 mesi). Sarà sufficiente un rapido calcolo per comprendere come il conteggio complessivo dell'attesa d'amore di Fiorentino non coincida con la somma delle tre fasi individuate ma corrisponda esclusivamente alle ultime due. Risulta così in modo chiaro come, distinguendosi dai primi anni di corteggiamento, l'attesa amorosa vera e propria cominci, per Fiorentino Ariza, nel giorno del rifiuto di Fermina Daza e si concluda, come è giusto che sia, con il ricongiungimento. Il conteggio degli anni che intercorrono tra questi due momenti risulta, non soltanto per il narratore quanto per lo stesso Fiorentino, un'operazione del tutto naturale, portata avanti senza il minimo sforzo di ricostruzione o di memoria: egli, precisa infatti il narratore, «non aveva dovuto tenere il conto dell'oblio facendo un segno quotidiano sui muri di una cella, perché non era passato un giorno senza che accadesse qualcosa che gliela faceva ricordare»". L'amore per Fermina diventa per Fiorentino la sola unità di misura del tempo, il giorno del suo rifiuto l'unica data per la quale è possibile parlare di un ante quem e di un post quem. Ben più dei cambiamenti fisici o storici, è il conteggio dei giorni passati in sua attesa a scandire il trascorrere degli anni. Anche nelle fasi più avanzate e più nostalgiche dell' attesa, è alla donna amata che è affidato il compito di segnare l'avanzare del tempo. Fiorentino infatti non riesce a prendere coscienza della propria vecchiaia se non vedendola riflessa in quella di lei. Emblematica è in tal senso la scena in cui Fiorentino, vedendo Fermina inciampare all'uscita dal cinema, prende tutt'a un tratto coscienza della propria vecchiaia imminente e prova l'improvvisa consapevolezza di un forte scollamento, di un'inquietante frattura tra il 31. García Márquez, L'amore ai tempi del colera, cit.,p. 529 [Etamor en los tiempos del colera, cit., p. 59: «no había tenido que llevar la cuenta del olvido haciendo una raya diaria en los muros de un calabozo porque no había pasado un día sin que ocurriera algo que lo hiciera acordarse de ella»].

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proprio cronometro interiore - quello dell'attesa immobile e dell'eterna giovinezza - e il tempo esterno del mondo che scorre inesorabile31. La necessità di fare i conti con l'idea della vecchiaia e con il fantasma della morte colora la sua attesa ormai matura di un tono nostalgico e riflessivo che era mancato negli anni precedenti, condotti con una certa spensieratezza nell'autoreferenzialità dei progetti e dei ricordi. Da allora in poi il conteggio degli anni di attesa e dell'età si fa più sofferto e più pesante, fino a toccare momenti di dolore acuto, fitte di «male al cuore». Come quella che coglie Fiorentino durante una delle visite a Fermina, ormai vedova, che con la sua caratteristica schiettezza lo mette di fronte alla realtà dei loro anni: «Ho appena compiuto settantadue anni». Fiorentino Ariza ricevette il colpo in mezzo al cuore. Avrebbe voluto trovare una risposta con la rapidità e l'istinto di una saetta, ma lo vinse il peso dell'età: non si era mai sentito così spossato da una conversazione tanto breve, gli faceva male il cuore, e ogni battito risuonava come un'eco metallica nelle sue arterie'1. Ancora più esplicite sono le informazioni offerte dal narratore manniano rispetto agli anni vissuti da Giacobbe in attesa di Rachele. Con la consueta attenzione alla periodizzazione delle fasi di vita dei suoi personaggi e l'altrettanto nota tendenza a svolgere i suoi ragionamenti "in pubblico", egli coinvolge pienamente il lettore nel calcolo degli anni di attesa. L'interrogativo sulla "quantità" di tempo trascorso si traduce immediatamente, per il narratore manniano, in una duplice questione: si tratta, da un lato, di indagare quanto tempo effettivamente sia durata l'attesa di Giacobbe e, dall'altro, di chiedersi come egli abbia percepito lo scorrere degli anni. In altre parole, è necessario distinguere il piano della misurazione del tempo da quello della sua percezione. Un'operazione, questa, che Thomas Mann aveva già compiuto, con una capacità di analisi cristallina e pregnante, nelle pagine della 32. Ivi, p. 780 [El amor en los tiempos del colera, cit., pp. 252-3]. 33. Ivi, p. 841 [Elamor en los tiempos del colera, cit., pp. 298-9: «"Acabo de cumplir setenta y dos años". Florentino Ariza recibió el golpe en el centro del corazón. Hubiera querido encontrar una réplica con la rapidez y el instinto de una saeta, pero lo venció el peso de la edad: nunca se había sentido tan agotado con una conversación tan breve, le dolía el corazón, y cada golpe repercutía con una resonancia metálica en sus arterias»].

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Montagna magica dove aveva affidato a un dialogo tra Hans Castorp e il cugino Joachim, destinato a diventare uno dei brani più celebri del romanzo, la questione centrale del rapporto tra misurazione e percezione dello scorrere del tempo'4. Uniformità e articolazione, misurazione e percezione sono le questioni centrali che accompagnano anche il narratore della tetralogia nel tentativo di raccontare, oggettivamente e soggettivamente, la durata dell'attesa. La sua preoccupazione è duplice: da un lato, vi è la volontà di restituire alla storia la precisione cronologica delle fonti che, seppur facendo confusione sul numero complessivo degli anni di permanenza di Giacobbe presso Labano'5, parlano chiaramente per l'attesa del matrimonio di un periodo di sette anni. La determinazione esatta della durata dell'attesa è d'altronde uno degli elementi che maggiormente distinguono l'attesa "programmata" di Giacobbe e di Rachele da quella provvisoria e sospesa degli innamorati in attesa degli altri due romanzi'6. Dall'altro lato, però, il narratore è chiamato a tenere conto, nel calcolo degli anni di attesa, del ritmo assai soggettivo e variabile che il loro scorrere può avere per colui che vive l'attesa. Se lo sguardo esterno del narratore può cedere alla tentazione di articolare e suddividere il tempo secondo fasi successive e ben distinte tra loro, colui che vive lo scorrere del tempo dall'interno finisce per guardare ai suoi anni come a un "tutto" unitario, perché vissuto nel desiderio di raggiungere una meta. In altre parole, se quando li si vive gli anni si presentano all'individuo nel loro scorrere uniforme, giorno dopo giorno, se vi si ragiona a posteriori sarà inevitabile rileggerli e interpretarli seguendo articolazioni diverse. La percezione dello scorrere del tempo risulta cosi, sempre, il prodotto di 34. Si ricorderà come, nel romanzo del '24, l'operazione quotidiana e rituale della misurazione della temperatura, aveva offerto ai due cugini lo stimolo per una cruciale riflessione intorno alla possibilità o meno per l'uomo di misurare oggettivamente il tempo (cfr. Mann, La montagna magica, cit., pp. 94 ss.; Der Zauberberg, cit., pp. 97 ss.). Per la "Thermometerszene" cfr. R. Thieberger, Der Begriff der Zeit bei Thomas Mann, Verlag für Kunst und Wissenschaft, Baden-Baden 1952, pp. 32-3. 35. Sulle complesse questioni di periodizzazione del soggiorno di Giacobbe cfr. Mann, Giuseppe e i suoifratelli, I, cit., par. Quanto tempo Giacobbe rimase presso Labano, pp. 287 ss. [Joseph und seine Brüder, cit., pp. 179 ss.]. 36. Cfr. ivi, p. 326: «Tu e io non aspettiamo nel vuoto e nell'incertezza, conosciamo la nostra ora e la nostra ora conosce noi ed essa ci viene incontro» [Joseph und seine Brüder, cit., p. 203: « D u und ich, wir warten nicht ins Leere und Ungewisse, sondern wir kennen unsere Stunde, und unsere Stunde kennt uns, und sie kommt auf uns zu » ].

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due forze: l'uniformità e l'articolazione. Si tratta di due diversi piani di misurazione del tempo, entrambi arbitrari e inesatti ma entrambi validi: Nello scorrere del tempo e della vita si trovano sempre all'opera, contemporaneamente, le due forze a lui propizie: l'uniformità e l'articolazione. Cosi la suddivisione del tempo finisce col diventare qualche cosa di arbitrario, non molto diverso dal tracciare linee sull'acqua'". Tali riflessioni, che si riferiscono nel testo al periodo complessivo di venticinque anni che Giacobbe trascorre presso Labano, si rivelano estremamente adatte a interpretare anche, più nello specifico, i sette anni di attesa che ne sono parte integrante. La tradizione narra che quegli anni trascorsero per Giacobbe «come giorni»' 8 : il narratore si chiede cosa debba intendersi con questa espressione e conclude che, nel ritmo "magico" del tempo, vi è un'esatta corrispondenza tra il modo in cui trascorrono le piccole e le grandi unità di misura del tempo. Ciò che distingue i sette minuti del termometro di Joachim dai sette anni del contratto di Giacobbe è solo una questione di proporzioni ma non ha nulla a che vedere con la sostanza del tempo né tanto meno con la sua velocità, perché il ritmo del tempo, tra giorni, mesi e anni, non varia: Giacobbe non ha detto che sette anni trascorsero "presto" per lui come giorni; con questo confronto egli non voleva affatto diminuire l'importanza di un singolo giorno di vita. Anche il giorno non passa "presto", ma anch'esso trascorre con le sue stagioni, il mattino, il mezzogiorno, il pomeriggio, la sera, un giorno come un altro, e tale è pure, nello stesso indefinibile modo, il cammino dell'anno con le sue stagioni da una resurrezione a un'altra. Per questo l'enunciato di Giacobbe, secondo cui i sette anni erano passati per lui come giorni, divenne proverbiale'9. 37. Ivi, p. 290 [Joseph und seine Brüder, cit., p. 181: «so daß beim Zeit- und Lebensvertreib stets beide ihm förderliche Kräfte auf einmal am Werke sind, Einförmigkeit und Gliederung. Zuletzt steht es recht willkürlich ums Einteilen der Zeit und nicht viel anders, als zöge man Linien im Wasser»]. 38. Ivi, p. 314 [Joseph und seine Brüder, cit., p. 195: «wie Tage»]. 39. Ivi, p. 315 [Joseph und seine Brüder, cit., p. 196: «Jaakob hat nicht erzählt, sieben Jahre seien ihm so "schnell" wie Tage vergangen, er wollte das Gewicht eines Lebenstages nicht herabsetzen durch diesen Vergleich. Auch der Tag vergeht nicht "schnell", aber er vergeht mit seinen Tageszeiten, mit Morgen, Mittag, Nachmittag und Abend, einer unter anderen, und das tut, mit seinen Jahreszeiten, von Auferstehung zu Auferstehung, auf die gleiche unqualifizierbare Weise, eines unter anderen,

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2.2.2. LA DURATA NEL T E S T O : LA T E C N I C A DELLA DILATAZIONE

La durata dell'attesa nella storia dei personaggi non coincide molto spesso, in termini di proporzioni, con l'estensione del racconto dell'attesa nel testo del romanzo. Un rapido confronto tra l'estensione delle attese d'amore nella storia e nel testo dei tre romanzi guida mostra in modo chiaro come il ritmo - o la velocità, per dirla con Genette40 con il quale si sceglie di narrare l'attesa può variare in modo molto significativo da un caso all'altro. Ecco riprodotto in forma schematica il rapporto tra durata dell'attesa nella storia (ds) e durata del suo racconto nel testo (dr) nelle tre opere di riferimento: Attesa di Albertine: DS: 8 giorni

DR: circa 58 pagine (primo capitolo di Albertine scomparsa)

Attesa di Rachele: DS: 7 anni cobbe)

DR: circa 58 pagine (quinto e sesto capitolo delle Storie di Gia-

Attesa di Fermina Daza: DS: 53 anni, 7 mesi e 11 giorni

DR: (quasi) l'intero r o m a n z o

Si osserverà immediatamente come il rapporto d s / d r del romanzo di García Márquez si distingua in modo evidente da quello degli altri due romanzi: diversamente da quanto avviene in Proust e in Mann, ds e DR arrivano quasi a coincidere nell'Amore ai tempi del colera, trasformando quest'ultimo in un vero e proprio romanzo dell'attesa. Il racconto del tempo di attesa finisce qui per combaciare, infatti, in modo quasi esatto, con lo spazio del romanzo. L'analisi del rapporto tra ds e d r si fa molto più complessa e interessante nelle altre due opere. Il caso di Proust, in particolare, è quello più emblematico e significativo. L'attesa del ritorno di Albertine dura, auch das Jahr. - Darum über - lieferte Jaakob, die sieben seine ihm vergangen, wie Tage vergehen»]. 40. Cfr. G. Genette, Nuovo discorso del racconto, Einaudi, Torino 1987 (ed. or. 1983), pp. 25 ss.

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nella storia, solo otto giorni, un'estensione di tempo insignificante se paragonata agli anni di vita del Narratore (quarantaquattro, secondo il calcolo di Genette)4' che la Recherche racconta. Eppure il racconto di quell'attesa occupa nel testo un posto rilevante, coprendo un intero e lungo capitolo, di uno dei suoi sette volumi. In altre parole, il racconto dei giorni trascorsi in attesa del ritorno di Albertine sembra corrispondere a un periodo della vita dei personaggi molto più esteso di quello che ci viene infine rivelato. Per raccontare l'attesa e tradurre la sua portata emotiva nel testo, il Narratore ricorre, infatti, a una tecnica di cui è ineguagliato maestro: quella della dilatazione. Tale tecnica, con cui i lettori della Recherche sono chiamati a confrontarsi sin dalle pagine del drame du coucher, va intesa come uno degli strumenti chiave di cui il Narratore dispone per tradurre sul piano narrativo l'estrema soggettività della sua misurazione del tempo. La descrizione sulla pagina del proprio tempo interiore comporta, infatti, inevitabilmente, una continua variazione nel ritmo della narrazione proustiana o, per dirla con Jean-Yves Tadié, la compresenza di «velocità diverse» che prevedono salti temporali improvvisi alternati a scomposizioni minuziose di singoli episodi in grado di rallentare sensibilmente, se non addirittura di immobilizzare, il ritmo del racconto41. La dilatazione del tempo vissuto nella narrazione avviene in Proust tramite due canali: da un lato, l'introspezione psicologica che dà spazio a ragionamenti a voce alta, stati di indecisione, descrizioni minuziose, analisi intime dei propri sentimenti contrastanti; dall'altro, l'apertura di digressioni di tipo narrativo (ricordi o episodi collegati per associazioni di idee) o filosofico (le affermazioni sentenziose e le celebri massime proustiane). Nel caso dell'attesa d'amore, sembra che il Narratore, pur non disdegnando il secondo, prediliga il primo di questi due canali: passando sotto la lente di ingrandimento della dilatazione, il racconto dell'attesa amplifica e deforma ogni minima percezione fisica ed emotiva del Narratore e trasforma il desiderio in angoscia, il respiro in affanno, la quiete in smania. L'intero racconto dell'attesa di Albertine dopo la sua partenza è interessato da questo meccanismo tipicamente proustiano. L'attenzione ai singoli gesti e movimenti nello spazio domestico, l'autoanalisi microscopica della propria intimità, la 41. Ivi, p. 26. 42. Cfr. Tadié, Proust et le roman, cit., p. 313 (trad. mia).

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percezione dello scorrere del tempo minuto per minuto, come in una sequenza al "rallentatore", sono strumenti narrativi a cui si ricorre per rendere nel testo l'ipersensibilità tipica dei momenti di attesa. Se le prime pagine di Albertine scomparsa si rivelano emblematiche in tal senso, la corrispondenza tra attesa amorosa e tecnica della dilatazione era già emersa con forza in un altro episodio, assai celebre, della Recherche-, si tratta dell'attesa del bacio di Albertine raccontata nelle pagine della Prigioniera. Come nella famosa notte insonne di Combray, l'angoscia dell'attesa non è tanto quella che si prova prima di ricevere un bacio ma quella che nasce dopo un bacio della buonanotte negato. Le due angosce, così simili anche se a distanza di anni, nascono da quell'unico gesto mancato. L'attenzione del Narratore ai minimi rumori e segnali, l'analisi ravvicinata degli impercettibili progressi della sua angoscia, l'indugio sulle proprie sensazioni fisiche, il resoconto dei singoli gesti compiuti, dei movimenti e delle pause, e infine dei passi con cui misura, instancabile, il corridoio che lo separa dalla camera di lei, fanno di questa microattesa uno degli esempi più caratteristici e significativi della tecnica della dilatazione proustiana45. Di dilatazione narrativa è opportuno parlare anche per il romanzo di Thomas Mann, anche« se in termini molto diversi. Non si tratta infatti di una tecnica di distorsione della velocità attraverso il rallentamento, di un' «anisocronia» 44 per usare la terminologia di Genette, come si è visto nel caso di Proust appena commentato. L'operazione di dilatazione che Mann compie nell'intera tetralogia, e che interessa in modo particolare il racconto dell'attesa d'amore, non riguarda tanto il rapporto tra avvenimento e racconto, quanto quello tra fonte e riscrittura. Il racconto dell'attesa d'amore di Giacobbe per Rachele occupa nel testo un'estensione considerevole: il suo racconto si sviluppa nel quin43. Cfr. Proust, Alla ricerca del tempo perduto, in, cit., p. 502 [A la recherche du tempsperda, in, cit., p. 619]. Questo episodio può essere a sua volta accostato al racconto di un'altra celebre notte insonne della Prigioniera, quella che precede la presunta partenza di Albertine, durante la quale, racconta il Narratore: «andai avanti e indietro tutta la notte per il corridoio, sperando, col rumore che facevo, di attirare l'attenzione di Albertine, che avrebbe avuto pietà di me e mi avrebbe chiamato; ma dalla sua camera non sentivo alcun rumore», ivi, ili, cit., p. 824 [A la recherche du tempsperdu, in, cit., p. 903: «je marchai toute la nuit dans le couloir, espérant, par le bruit que je faisais, attirer l'attention d'Albertine, qu'elle aurait pitie de moi et m'appellerait, mais je n'entendais aucun bruit venir de sa chambre»]. 44. Cfr. Genette, Figure in. Discorso delracconto, cit., pp. 135 ss.

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to capitolo {Alservizio diLabano) del primo volume e si estende anche in buona parte del sesto {Le sorelle). L'autore sembra voler dare tra l'altro al racconto dell'attesa un ruolo di rilievo anche dal punto di vista simbolico, oltre che quantitativo, intitolandovi un paragrafo - La lunga attesa - di fondamentale importanza ai fini del presente discorso. Basterà un rapido confronto con la fonte biblica per comprendere come il posto, materiale e simbolico, occupato dal racconto dell'attesa d'amore nel romanzo di Mann superi di gran lunga, in termini di proporzioni, quello dedicatovi dal libro della Genesi. La concisione e la stringatezza proprie del racconto biblico non gli consentono di dilungarsi in particolari riguardanti la difficoltà di Giacobbe di vivere la sua attesa o il trauma che egli deve subire la mattina dell'amaro risveglio, né tanto meno concedono spazio ai pensieri di Rachele in merito al suo destino di donna in attesa. Thomas Mann riprende gli episodi biblici e li riscrive reinterpretandoli, arricchendoli, espandendoli, dilatandoli, appunto. Gli anni di attesa di Giacobbe e Rachele offrono, infatti, al narratore manniano la possibilità di interrogarsi sugli stati d'animo dei personaggi che li vivono, di entrare nella realtà dei loro sentimenti, dei loro timori e delle loro speranze. La dilatazione del racconto dell'attesa d'amore di Giacobbe nel testo della tetralogia va intesa, da un lato, come un'operazione legata alla particolare attrazione che la dimensione peculiare dell'attesa suscita nell'autore della Montagna magica, da sempre attento alla rappresentazione narrativa del tempo e delle sue anomalie. Dall'altro, però, va considerata come una delle più naturali espressioni di quella volontà di estensione narrativa rispetto alla concisione del racconto biblico che era stato uno dei motivi ispiratori dell'opera su Giuseppe. La decisione da parte di Mann di cimentarsi nella riscrittura biblica derivava, infatti, dall'idea di uno dei suoi più grandi maestri, Goethe, già attratto a suo tempo dalla vicenda biblica di Giuseppe, della quale lamentava però l'eccessiva stringatezza. Raccogliendo la sfida lanciata dal suo predecessore in Poesia e verità'''', Mann decide di riscrivere la vicenda nella forma del romanzo, che avrebbe quindi comportato la necessità, per sua stessa natura, di integrare gli eventi con una grande abbondanza di descrizioni, narrazioni, analisi psicologiche e riflessioni stilistiche: in

45. Cfr. T. Mann, Giuseppe e i suoifratelli. Una conferenza, in Id., Giuseppe e i suoi fratelli, il, cit., p. 1465.

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altre parole di inserire, nella stringata ma necessaria laconicità del testo biblico, una grande quantità di materiale umano46. L'attenzione del narratore manniano a rendere nella forma del romanzo tutta la profondità e il peso dell'attesa d'amore di Giacobbe va allora intesa come uno degli effetti più significativi della "poetica delle aggiunte" che è alla base della scrittura della tetralogia. La dilatazione della fonte biblica nella forma narrativa passa, infatti, come ben spiega Fabrizio Cambi, per un delicato processo di individuazione e caratterizzazione dei personaggi, ovvero per una delle tappe più interessanti e impegnative dell'intero progetto di attualizzazione e umanizzazione del mito che Mann si propone di compiere nella sua opera47. 2.2.3. MENTRE SI ASPETTA: ATTESE LUNGHE E IMPURE, ATTESE BREVI E VUOTE

Otto giorni, sette anni, cinquantatré anni: i nostri tre romanzi guida raccontano attese amorose di durata molto diversa. Sorge spontaneo domandarsi quanto questo possa incidere sul modo in cui i personaggi vivono tali attese. La quantità di tempo che il soggetto innamorato trascorre in uno stato di attesa determina, in altre parole, la qualità del suo aspettare ? Le riflessioni di Mann sull'attesa di Giacobbe offrono una risposta particolarmente acuta e stimolante a questo interrogativo. Nelle pagine dedicate al «lange Wartezeit» di Giacobbe, il narratore manniano opera infatti alcune distinzioni di fondamentale importanza per comprendere le peculiarità del tempo di attesa, distinzioni che per la loro profondità e pregnanza si rivelano strumenti critici utilissimi anche per l'interpretazione delle altre attese romanzesche di cui qui ci occupiamo. In un inatteso gioco metatestuale, Mann si fa dunque critico, in questo caso, non soltanto di sé stesso ma anche, involontariamente, delle attese raccontate da Proust e Garda Márquez. La prima osservazione che Mann ci offre in queste splendide pagine di "teoria dell'attesa" riguarda la sua intensità-, secondo Mann, la durata più o meno estesa dell'attesa non si traduce automaticamente in una 46. Sulla dovuta concisione biblica e sulla "poetica delle aggiunte" di Mann cfr. F. Cambi, Mito e epicità. La conquista dell'umano in "Giuseppe e i suoifratelli", in Mann, Giuseppe e i suoifratelli, 1, cit., p. XLVII. 47. Cfr. Cambi, "Giuseppe e i suoifratelli" di Thomas Mann, cit., p. 197.

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maggiore o minore intensità del sentimento di angoscia che si prova nell'affrontarla. Non vi è, nel modo di porsi di fronte all'attesa, un rapporto di proporzionalità diretta tra estensione temporale e intensità del sentimento e non è affatto detto che a un periodo di attesa più lungo corrisponda un'angoscia maggiore di quella che è possibile provare in un segmento di attesa molto più ridotto e concentrato. Al contrario, suggerisce Mann, «in certe circostanze sette giorni o solo sette ore sono più difficili da bere, e affrontarli può rappresentare un'impresa più audace che non affrontare sette anni» 48 . La corrispondenza diretta tra durata dell'attesa e fatica nell'affrontarla è messa in discussione dall'equivalenza intrinseca e strutturale che esiste tra le varie unità di misura del tempo: se un anno è composto dalle stagioni che segnano il ritmo del proprio scorrere, anche nel singolo giorno e nella singola ora è possibile individuare delle "stagioni". Se far passare il tempo, che è l'occupazione e la preoccupazione principale di chi aspetta, significa affrontarne le varie unità una dopo l'altra - «come singoli giorni» - , non ci sarà allora alcuna differenza sostanziale tra lo svolgersi di una serie di anni e quello di un singolo giorno. Indipendentemente dalla sua durata, l'attesa si poggia, infatti, su un'attività di segmentazione e di articolazione interna del tempo. La necessità di svincolare la durata dell'attesa dall'intensità dei sentimenti provati nell'affrontarla non deve far credere, però, che non esistano enormi differenze nel modo in cui il soggetto vive l'attesa rispetto alla sua durata. Nel dare pari dignità ad attese sia lunghe che brevi, a "macroattese" cosi come a "microattese", Mann non intende infatti annullare le differenze che le distinguono. Se da un lato non è possibile «dire come l'uomo si abbandoni al tempo, se con animo lieto o pauroso» perché «la necessità di farlo domina queste differenze e le annulla»49, il narratore manniano riconosce poco dopo come l'animo di chi aspetta per sette anni sia inevitabilmente molto diverso da quello di colui che attende per sette giorni, così come quest'ultimo non potrà vivere lo stesso tipo di attesa di chi aspetta per un'ora. 48. Mann, Giuseppe e i suoi frateUi, I, cit.,p. 315 [Joseph und seine Brüder, cit., p. 196: «Sieben Tage oder auch Stunden unter Umständen schwerer zu trinken sein und ein kühneres Zeitunternehmen darstellen mögen als sieben Jahr»]. 49. Ibid. [Joseph und seine Brüder, cit., p. 196: «Nicht einmal auszusagen und zu unterscheiden ist, wie der Mensch sich der Zeit überlasse, ob froh oder zag [...]. Die Notwendigkeit, es zu tun, überherrscht solche Unterschiede und macht sie zunichte»].

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Un'attesa lunga, proprio in virtù del fatto ehe occupa un arco di tempo notevole all'interno della vita di un individuo, non può che mescolarsi, nel suo trascorrere, con altre attività, altre emozioni, altri obiettivi, dunque con la vita stessa. Un'attesa breve, al contrario, ha il potere assolutizzante di immobilizzare l'individuo nel suo tormento e di impedirgli di svolgere qualsiasi altra attività in contemporanea. E possibile individuare, quindi, un rapporto di proporzionalità inversa tra la lunghezza del tempo dell'attesa e il grado di inazione e di angoscia di colui che la vive: Una mezz'ora di semplice e pura attesa può essere terribile e mette alla prova la nostra pazienza più crudelmente che l'aspettare imposto, avviluppato in sette anni di vita. L'imminenza di un evento, appunto a causa della vicinanza, esercita sulla nostra pazienza uno stimolo più acuto e diretto che non l'attesa di cose lontane, la trasforma in un'impazienza che logora i nervi e i muscoli e fa di noi altrettanti malati che letteralmente non sanno più come comportarsi; un'attesa invece a lunga scadenza ci lascia in pace e non solo ci permette ma ci costringe a pensare ad altro, a fare altro, perché dobbiamo vivere. Da ciò si può trarre questa strana conclusione: per l'uomo, quale che sia l'intensità del suo desiderio, l'attendere non è più difficile ma più facile quanto più il suo oggetto è collocato lontàno nel tempo50. La lunghezza dell'attesa si rivela, dunque, anche in un rapporto di proporzionalità inversa con il suo grado di pienezza e di purezza. Un'attesa lunga, proprio perché non distinguibile dalla vita stessa, sarà un'attesa piena e dunque, inevitabilmente, impura. Al contrario, un'attesa breve, in cui tutte le energie sono indirizzate al raggiungimento dell'obiettivo, è un'attesa vuota di qualsiasi altro pensiero o attività che non coincidano con l'attesa stessa e si configura, pertanto, come attesa pura. 50. \Josepb und seine Brüder, cit., p. 197: «Darum mag eine halbe Stunde reinen und bloßen Wartens gräßlicher sein und eine grausamere Geduldsprobe als ein Wartenmüssen, das in das Leben von sieben Jahren eingehüllt ist. Ein nach Erwartetes übt, eben vermöge seiner Nähe, auf unsere Geduld einen viel schärferen und unmittelbareren Reiz aus als das Ferne, es verwandelt sie in nerven- und muskelzerrende Ungeduld und macht Kranke aus uns, die buchstäblich mit ihren Gliedern nicht wissen, wohin, während ein Warten auf lange Sicht uns in Ruhe läßt und uns nicht nur erlaubt, sondern uns zwingt, auch noch an anderes zu denken und anderes zu tun, denn wir müssen leben. So stellt der wunderliche Satz sich her, daß der Mensch, gleichviel mit welchem Grade von Sehnlichkeit er warte, es nicht desto schwerer, sondern desto leichter tut, je ferner in der Zeit das Erwartete gelegen ist»].

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Proust e Garcia Márquez avrebbero certamente condiviso questa teoria manniana dell'attesa. La validità delle riflessioni proposte da Mann, l'acutezza delle sue distinzioni si riflettono infatti in modo quasi impressionante non soltanto nelle pagine della tetralogia ma anche nelle attese raccontate negli altri due romanzi. Le due attese di Giacobbe e di Fiorentino Ariza condividono il carattere impuro delle attese lunghe. Il periodo di attesa che Giacobbe deve affrontare, confessa Mann, «non era un puro periodo di attesa perché per essere tale... era troppo lungo» 51 . Si potrebbe dire altrettanto nei riguardi di Fiorentino, per il quale la durata dell'attesa coincide con la quasi totalità della sua vita, dall'adolescenza alla vecchiaia. Se il carattere impuro dell'attesa di Giacobbe si manifesta nello zelo dimostrato, proprio negli anni di attesa, nel suo lavoro di pastore e nella grande quantità di progetti che affollano la sua mente in quegli anni "distraendolo" dal tormento dell'aspettare per amore, anche le innumerevoli frequentazioni femminili di Fiorentino Ariza acquistano un senso preciso se le si legge come un'inevitabile conseguenza del "continuare a vivere mentre si attende". Nel raccontare le prodezze da conquistatore del suo innamorato in attesa, Garda Márquez sembra portare all'estremo, con la consueta passione per l'iperbole, una delle conclusioni a cui era giunto anche Mann riflettendo sull'attesa di Giacobbe, ovvero che a nessun innamorato è dato di vivere un'attesa lunga che non sia, contemporaneamente, anche piena. Dopo un primo momento di resistenza e la promessa di conservarsi vergine fino al termine dell'attesa, il protagonista del romanzo di Márquez si ritrova infatti a collezionare, secondo una logica di "sostituzione dell'amore", un numero impressionante di relazioni che per il loro scarso coinvolgimento sentimentale non mettono certo in discussione la fedeltà alla donna amata, ma che lo aiutano a rendere meno "vuota" la sua attesa51. 51. Ibid. \Josepb undseine Brüder, cit., p. 197: «Nicht reine Wartezeit war, die er zu bestehen hatte, denn - dazu war sie zu lang»]. 52. Cfr. García Márquez, L'amore ai tempi del colera, cit., p. 649: «Cinquantanni dopo, quando Fermina fu libera dalla sua condanna sacramentale, aveva circa venticinque quaderni con seicentoventidue annotazioni di amori continuativi, a parte le innumerevoli avventure fugaci che non si erano meritate neppure un appunto di carità» [El amor en los tiempos del colera, cit., p. 151: «Cincuenta años más tarde, cuando Fermina Daza quedó libre de su condena sacramental, tenía unos veinticinco cuadernos con seiscientos veintidós registros de amores continuados, aparte de las incontables aventuras fugaces que no merecieron ni una nota de caridad»].

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Ad accomunare le arrese d'amore di Giacobbe e di Fiorentino è anche un altro aspetto che consiste nell'atteggiamento paziente e fiducioso con il quale i due personaggi le affrontano. La lunga durata dell'attesa, che sia determinata come nel caso di Mann, o indeterminata come in quello di Márquez, non spaventa in modo eccessivo i due personaggi, che la vivono - fatta eccezione per i rarissimi attacchi di dolore acuto o di rabbia - con uno stato d'animo non particolarmente tormentato. Si tratta di un modo di aspettare, secondo Mann, proprio degli uomini destinati a vivere a lungo e naturalmente pronti, seppur inconsciamente, a considerare nelle giuste proporzioni le durate e gli eventi. Se chi vive con angoscia e sofferenza estrema un'attesa lo fa perché avverte, in qualche modo, che il suo tempo sta per scadere - si pensi ai casi limite dell' io narrante di Malina di Ingeborg Bachmann o della protagonista femminile di Erwartung di Arnold Schönberg - , Giacobbe e Fiorentino Ariza condividono lo slancio vitale e la serenità di chi sente di avere davanti a sé ancora molti anni da vivere: Giacobbe doveva vivere centosei anni e, se non lo sapeva il suo spirito, lo sapevano tuttavia il suo corpo e l'anima della sua carne; in tal modo i sette anni non erano ai suoi occhinosi pochi come agli occhi di Dio, ma nemmeno tanti come per chi abbia da vivere solo cinquanta o sessant'anni, e la sua anima poteva contemplare tranquillamente questo tempo di attesa55. Torna alla mente allora la definizione di attesa che lo stesso Mann aveva dato nelle pagine della Montagna magica per descrivere lo stato d'animo dei pazienti del sanatorio durante la consueta attesa della posta nel pomeriggio della domenica, e che ben si presta a commentare anche il tipo di attesa, nel tempo ma contemporaneamente fuori del tempo, vissuto da Giacobbe e Fiorentino: Si dice che aspettare sia noioso. Eppure è anche, o anzi, in senso proprio un piacevole diversivo, poiché l'aspettare divora quantità di tempo senza che esse siano vissute o sfruttate come tali. Si potrebbe dire che colui il quale null'altro

53. Mann, Giuseppe e i suoi fratelli, I, eie., p. 316 \Joseph und seine Brüder, cit.,p. 196: «Denn Jaakob sollte hundertundsechs Jahre alt werden, und das wußte zwar nicht sein Geist, aber sein Leib wußte es und seines Fleisches Seele, und so waren sieben Jahre vor ihm zwar nicht so wenig wie vor Gott, doch längst nicht so viel wie vor einem, der nur fünfzig oder sechzig Jahre alt werden soll, und seine Seele konnte die Wartezeit ruhiger ins Auge fassen»].

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fa che aspettare assomigli a un gran mangiatore il cui apparato digerente faccia passare una quantità enorme di cibo senza assimilarne l'utile valore nutrizionale. Si potrebbe anzi continuare e dire: come le pietanze non digerite non rafforzano l'uomo, così il tempo trascorso in attesa non lo rende più vecchio. Vero è, del resto, che il puro e semplice aspettare praticamente non esiste'4. Se per il Thomas Mann della Montagna magica l'attesa "pura" non esiste", si potrebbe dire, di Proust, l'esatto contrario, dal momento che non esifte attesa proustiana che non sia "pura", almeno secondo la definizione di purezza dell'attesa data fin qui. Se ci si chiede cosa faccia il protagonista della Recherche mentre aspetta, la risposta non potrà che essere: assolutamente niente. La sua condizione è quella di un totale asservimento all'attesa stessa, tale da non permettere a colui che la vive di distrarsi dall'azione dell'aspettare. L'attesa è vuota, dunque, in quanto le energie dell'individuo sono interamente assorbite dai pensieri, dalle supposizioni, dalle ipotesi e da un'implacabile ansia. La "prepotenza" dell'attesa è tale, in alcuni casi, da distogliere addirittura chi la vive dallo stesso oggetto della sua attesa. Accade così che, ad esempio, il Narratore si ritrovi a pensare, durante l'attesa, più che ad Albertine, ai mezzi per farla tornare: D'altra parte, ciò che io chiamavo pensare ad Albertine era un pensare al modo di farla tornare, di raggiungerla, di sapere cosa facesse. E così, se durante quelle ore di incessante martirio un grafico avesse potuto rappresentare le immagini che accompagnavano la mia sofferenza, si sarebbero viste quelle della Gare d'Orsay, dei biglietti di banca offerti a Mme Bontemps, di SaintLoup curvo sullo scrittoio inclinato d'un ufficio postale mentre riempiva il modulo d'un telegramma per me, mai l'immagine di Albertine'6. 54. M a n n , L a montagna magica, cit.,p. 351 [DerZauberberg, cit., p. 311: «Warten, sagt man, sei langweilig. Man könnte sagen, der Nichts-als-Wartende gleiche einem Pressen, dessen Verdauungsapparat die Speisen, ohne ihre Nähr- und Nutzwerte zu verarbeiten, massenhaft durchtriebe. Man könnte weitergehen und sagen: wie unverdaute Speise ihren Mann nicht stärker mache, so mache verwartete Zeit nicht älter. Freilich kommt reines und unvermischtes Warten praktisch nicht vor»]. Sulla noia come «forma allentata dell'attesa» cfr. anche Bompiani, L'attesa, cit., p. 40. 55. La purezza dell'attesa, anche secondo Bachelard, è messa in discussione dal fatto che «nessuna esperienza temporale è veramente pura» perché ognuna di esse contiene al proprio interno dei momenti di discontinuità (cfr. Bachelard, Dialettica della durata, cit., p. 2.87). 56. Proust, Alla ricerca del tempo perduto, IV, cit., p. 60 [A la recherche du temps perdu, IV, cit., p. 48: «D'autre part, moi-même, ce que j'appelais penser à Albertine,

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Una caratteristica, quella di lasciarsi assorbire completamente dall'attesa, che egli sembra ereditare direttamente dalla Tante Léonie, capace di trascorrere l'intera giornata della domenica non facendo altro che aspettare e non pensando ad altro che all'attesissima visita di Eulalie. Anche Swann, protagonista di così tante e significative scene di attesa amorosa, sa bene quanto un'attesa breve e concentrata possa generare una sofferenza e una smania più acute di un'attesa lunga - «Per Swann era stato molto meno tormentoso sentire avvicinarsi uno dopo l'altro i quindici giorni della separazione da Odette, che non attendere i dieci minuti necessari al cocchiere per attaccare i cavalli alla carrozza sulla quale si sarebbe recato da lei» 57 - e ben conosce i sintomi di quello stato di dipendenza che affligge chi, come lui, non può che farsi schiavo della sua stessa attesa: «non usciva per paura di perdere un suo messaggio, non andava a dormire per il caso che, tornata con l'ultimo treno, volesse fargli la sorpresa di venire a trovarlo in piena notte»58.

z.3

La promessa e l a rottura: l'attesa comincia

quando

Se si considera l'attesa amorosa come un segmento dotato di autonomia narrativa all'interno del romanzo e degno in quanto tale di essere isolato in fase di analisi dal resto della narrazione, è importante definire in modo attento quali siano i suoi confini nel testo. Bisognerà dunque domandarsi, proseguendo la nostra indagine, se è possibile stabilire con c'était penser aux moyens de la faire revenir, de la rejoindre, de savoir ce qu'elle faisait. De sorte que si pendant ces heures de martyre incessant, un graphique avait pu représenter les images qui accompagnaient ma souffrance, on eût aperçu celle de la gare d'Orsay, des billets de banque offerts à Mme Bontemps, de Saint-Loup penché sur le pupitre incliné d'un bureau de télégraphe où il remplissait une formule de dépêche pour moi, jamais l'image d'Albertine»]. 57. Ivi, 1, p. 371 [A la recherche du temps perdu, 1, cit., p. 301: «Swann avait eu bien moins de peine à sentir s'approcher un à un les quinze jours qu'il devait rester séparé d'Odette, qu'il n'avait à attendre les dix minutes que son cocher mettait pour atteler la voiture qui allait l'emmener chez elle»]. 58. Ivi, 1, p. 357 [A la recherche du temps perdu, 1, cit., p. 290: «Il ne sortait pas de peur de manquer une dépêche, ne se couchait pas pour le cas où, revenue par le dernier train, elle aurait voulu lui faire la surprise de venir le voir au milieu de la nuit»].

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esattezza quando comincia l'attesa nella storia dei personaggi e come il suo inizio venga reso nel testo romanzesco. Sarà utile poi ragionare sul tipo di ostacolo che determina e tiene in vita l'attesa amorosa nella narrazione, nonché sugli esiti che l'attesa conosce nei tre romanzi. Nell'analisi del modo in cui l'attesa prende inizio nei tre romanzi è possibile fissare un primo criterio di distinzione relativo alla natura più o meno traumatica della sua origine nella vicenda dei personaggi. L'inizio dell'attesa può coincidere infatti con un evento di tipo traumatico, quale la rottura tra i due amanti o l'allontanamento di uno dei due, oppure configurarsi, al contrario, come un processo lento e graduale, di tipo dunque non traumatico, quale l'innamoramento e il conseguente inizio del corteggiamento. Un secondo criterio di distinzione potrebbe essere individuato nel carattere più o meno improvviso dell'origine dell'attesa amorosa nella vicenda e nel testo. L'inizio dell'attesa può essere determinato in modo netto e imprevisto all'interno della storia se legato a un evento che modifica improvvisamente il normale svolgimento delle cose, o essere, al contrario, atteso da tempo e più volte rimandato all'interno del testo, dando vita in questo modo a un interessante meccanismo di "attesa dell'attesa". Questo duplice criterio di distinzione permette di individuare diverse tipologie di attesa amorosa e rivela come la riflessione sull'origine dell'attesa possa avere ricadute profonde sulla sua stessa definizione. In base al grado di trauma subito, possiamo distinguere infatti attese amorose iniziate a seguito di rotture (attesa del ritorno dell'amato) e attese amorose legate alla fase di innamoramento (attesa della prima unione). In base alla prevedibilità della loro comparsa nella storia e nel testo, si potrà parlare invece di attese amorose improvvise e di attese amorose previste. Tentando di applicare in via estremamente schematica questo modello ai tre romanzi del corpus, risulterebbe il quadro seguente : Attesa di Rachele origine non traumatica, legata a una situazione di innamoramento, in vista della prima unione, prevista Attesa di Fermina Daza -> origine traumatica, legata a un momento di rottura ma in vista della prima unione, imprevista Attesa di Albertine origine traumatica, legata a un momento di rottura, in vista di un ritorno, attesa ma imprevista

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Il primo criterio individuato suggerisce come, in base al tipo di esperienza più o meno traumatica al quale la sua origine è legata, l'attesa d'amore di Giacobbe si distingua profondamente da quella narrata negli altri due romanzi. Nel caso di Mann, ci troviamo infatti di fronte a un'attesa di tipo non traumatico, la cui origine è legata alla fase iniziale dell' innamoramento. L'attesa amorosa non soltanto riguarda, in questo caso, l'arco di tempo precedente all'unione tra i due innamorati (attesa dell'unione), ma sembra addirittura coincidere con la scena della première vue, nei termini in cui essa è stata efficacemente definita e analizzata da Rousset59. Il primo incontro al pozzo tra Giacobbe e Rachele, rappresentato come vera e propria scène nel testo60, sembra consacrare, infatti, con il primo échange (di sguardi)6' e la prima occasione di franchissement (il bacio), un tacito ma già complice inizio di attesa. Il primo contatto tra Giacobbe e Rachele è un bacio già molto intenso dal punto di vista emotivo, come se i due personaggi, più che conoscersi, si fossero in quel primo incontro "riconosciuti"61. Sin dal primo scambio di sguardi al pozzo, infatti, verrà precisato più avanti, Giacobbe aveva considerato Rachele «come sua sposa» e Rachele, allo stesso modo, aveva riconosciuto in lui «il suo pretendente e il suo sposo» 6 '. L'inizio dell'attesa di Giacobbe per Rachele coincide dunque con il loro primo incontro, o meglio ancora, lo precede. È il testo stesso a sottolineare, con una chiara strategia anticipatoria, come l'attesa di Giacobbe, giunto al pozzo dopo il lungo viaggio verso la casa di Labano,

59. Mi riferisco naturalmente a Rousset, Leursyeux se rencontrèrent, cit. Per i casi in cui la première vue coincide con il "colpo di fulmine" cfr. anche S. Micali, L'innamoramento, Laterza, Roma-Bari 2001. 60. Di qui anche l'indugio nella lunga descrizione fisica di Rachele - i capelli neri, la tunica ricamata, la sua bellezza espressiva e «birichina» - che è elemento canonico della scena del primo incontro per Rousset: cfr. Mann, Giuseppe e i suoi fratelli, 1, cit., p. 264 ss. [Joseph und seine Brüder, cit., pp. 166 ss.]. 61. Sugli occhi neri di Rachele, scuri come «una notte profonda, liquida, mite, dolcissima, una notte eloquente, piena di serietà e di ironia», indugiano le parole del narratore interpretando i pensieri di Giacobbe: ivi, p. 266 [Joseph und seine Brüder, cit., p. 166: «eine tiefe, fließende, redende, schmelzende, freundliche Nacht, voller Ernst und Spott»]. 62. Cfr. ivi, p. 267 [Joseph und seine Brüder, cit., p. 167]. 63. Ivi, p. 298 [Joseph und seine Brüder, cit., p. 185: «als seine Braut»; «den Freier und Bräutigam»].

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cominci a ben guardare ancora prima del vero e proprio ingresso del personaggio di Rachele nel romanzo: l'arrivo della fanciulla presso il pozzo64, preparato dalle parole dei pastori di Labano, è infatti abilmente rimandato dal narratore in modo da dilatare la sua attesa nel testo e amplificare l'effetto della comparsa della giovane Rachele sulla scena65. Questa prima attesa, preliminare e precedente al primo incontro, si fa cosi profezia e segno di quei "quattordici anni" di attesa ai quali è destinatoti protagonista. Il carattere non traumatico dell'inizio dell'attesa di Giacobbe per Rachele la avvicina, per analogia, ad altri esempi di attesa amorosa legata ali 'innamoramento, quali l'attesa di Clawdia Chauchat vissuta da Hans Castorp nella Montagna magica o, per andare al di là degli esempi manniani, l'attesa d'amore proustiana di Gilberte (e quella di Alberane, se si guarda alla fase iniziale della relazione tra quest'ultima e il Narratore). La stessa caratteristica la distingue, per contrasto, dalle altre due attese d'amore di cui ci occupiamo. Tanto l'attesa di Fermina Daza vissuta da Fiorentino Ariza quanto quella del Narratore proustiano dopo la fuga di Albertine sono infatti legate a un'origine di tipo traumatico che coincide, in entrambi i casi, con il momento della rottura. Rispetto all'attesa proustiana, tuttavia, l'attesa di Fiorentino nell'Amore ai tempi del colera si distingue per una caratteristica alquanto anomala che lo schema proposto mette bene in luce: pur essendo un'attesa amorosa generata da una rottura - nel senso che essa nasce quando si interrompe un rapporto che andava avanti già da tempo, seppur in maniera "platonica" e di tipo quasi esclusivamente epistolare - , essa si svolge tutta in un arco di tempo precedente al momento della prima unione. Più che di un'origine legata a una rottura si dovrebbe parlare allora più propriamente, in questo caso, di un'attesa generata dal rifiuto. Se si considera l'attesa amorosa come quel segmento più o meno esteso di tempo che separa il desiderio di un amore dalla sua realizzazione, l'attesa amorosa di Fiorentino dovrebbe cominciare, a rigor di logica 64. La scelta del pozzo come luogo del primo incontro è un topos della Genesi: anche il primo incontro tra il servo di Abramo e Rebecca, futura moglie di Isacco, era avvenuto presso il pozzo (cfr. Gn 24). 65. In questo senso la première vue tra Giacobbe e Rachele potrebbe rientrare, a ben guardare, nell'insieme degli "scarti" individuati da Rousset, ovvero quei casi in cui il primo incontro sia anticipato da alcuni elementi di tipo visivo, uditivo o onirico nel racconto e nel testo: cfr. Rousset, Leursyeux se rencontrèrent, cit., pp. 149 ss.

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- come nel caso appena visto di Giacobbe - , dal momento del primo incontro, seguito dalla dichiarazione e dallo scambio di lettere in attesa del fidanzamento ufficiale e del matrimonio66. Ma il conteggio del narratore è diverso. Proprio a voler marcare il carattere traumatico della sua origine, il narratore fa iniziare l'attesa di Fiorentino in un luogo e in un momento ben precisi e delimitati nel testo. Il luogo è il Portico degli Scrivani, che contribuisce con la seduttività dei suoi colori e delle sue merci a marcare il contrasto con l'aspetto squallido e indifeso del fedele pretendente. Il momento è la mattina in cui Fermina ricompare in città di ritorno dal quel lungo "viaggio dell'oblio" che, a quanto pare, ha avuto il suo effetto. La scena della rottura, dall'efficacia quasi teatrale, condensa la disillusione e il rifiuto della donna in un paio di sguardi, in una frase asciutta e in unico gesto, sobrio e netto. Alla vista di Fiorentino, che compare d'un tratto alle sue spalle facendosi riconoscere nella folla rumorosa, «lei lo cancellò dalla sua vita», indica con estrema e meravigliosa sintesi il testo, «con un gesto della mano» :

Alle sue spalle, così vicino al suo orecchio che solo lei poté udirla nel tumulto aveva udito la voce: «Questo non è un buon posto per una dea incoronata». Lei girò la testa e vide a due palmi dai suoi occhi gli altri occhi glaciali, il viso livido, le labbra pietrificate dalla paura, così come le aveva viste nel tumulto della messa di mezzanotte la prima volta che lui era stato così vicino a lei, ma a differenza di allora non sentì la commozione dell'amore bensì l'abisso del disincanto. In un istante le si rivelò nella sua completezza la portata del suo stesso inganno, e si domandò atterrita come avesse potuto incubare per tanto tempo e con tanta sevizia una simile chimera del cuore. A stento riuscì a pensare: «Dio mio, pover'uomo!». Fiorentino Ariza sorrise, cercò di dire qualcosa, cercò di seguirla, ma lei lo cancellò dalla sua vita con un gesto della mano. «No, per favore» gli disse. «Se lo dimentichi»6". 66. Anche nella storia tra Fermina Daza e Florentino Ariza viene stipulato una sorta di "patto matrimoniale", stabilito però all'insaputa del padre della ragazza e condiviso solo con due complici testimoni, la madre di Fiorentino e la zia di Fermina: cfr. Garda Márquez, L'amore ai tempi del colera, cit., p. 554 [Elamoren los tiempos del colera, cit., p. 78]. 67. Ivi, p. 589 [Elamor en los tiempos del colera, cit., pp. 104-5: « A sus espaldas, tan cerca de su oreja que sólo ella pudo escucharla en el tumulto, había oído la voz: - Este no es un buen lugar para una diosa coronada. Ella volvió la cabeza y vio a dos palmos de sus ojos los otros ojos glaciales, el rostro lívido, los labios petrificados de miedo, tal como los había visto en el tumulto de la misa del gallo la primera vez que él estuvo tan cerca de ella, pero a diferencia de entonces no sintió la conmoción del amor sino el abi-

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Quel pomeriggio, che aveva spalancato a Fermina 1' «abisso del disincanto», segna contemporaneamente, nel calendario sentimentale di Fiorentino, l'inizio della sua attesa amorosa. E infatti a partire da quel momento, l'ultimo in cui ebbe «occasione di vedere da sola Fermina Daza, [...] di parlare con lei da soli» 68 , che il narratore avvia il conteggio dell'attesa. Se l'attesa del ritorno di lei in città poteva essere letta nei termini di un generico desiderio amoroso legato al corteggiamento, da qui in poi, sembra suggerire il narratore, comincia la vera e propria attesa, legata a un'idea di inesorabilità, di fedeltà senza riserve e di impotenza riguardo al tempo. L'attesa amorosa di Fiorentino coincide, dunque, lo precisa chiaramente il testo, con il segmento di tempo compreso tra il loro ultimo incontro ravvicinato - quello al Portico degli Scrivani - e il primo di una nuova serie di incontri, quello avvenuto il giorno del funerale del dottor Urbino: Fiorentino Ariza non ebbe mai più occasione di vedere da sola Fermina Daza, né di parlare con lei da soli nei tanti incontri delle loro lunghissime vite, fino a cinquantun anni, nove mesi e quattro giorni dopo, quando le reiterò il giuramento di fedeltà eterna e amore perenne durante la sua prima notte da vedova6'. Non tutte le rotture amorose segnano, come nel romanzo di García Márquez, l'inizio dell'attesa del ritorno dell'amato/a. Alcune rotture vengono immediatamente percepite come tali e vissute dunque dal soggetto innamorato in un'ottica definitiva e senza possibilità di ripensamenti. La rilettura del momento della rottura come soglia a partire da cui l'attesa comincia è un'operazione dunque per nulla scontata ma che

smo del desencanto. En un instante se le reveló completa la magnitud de su propio engaño, y se preguntó aterrada cómo había podido incubar durante tanto tiempo y con tanta sevicia semejante quimera en el corazón. Apenas alcanzó a pensar: "¡Dios mío, pobre hombre !". Florentino Ariza sonrió, trató de decir algo, trató de seguirla, pero ella lo borró de su vida con un gesto de la mano. - No, por favor - le dijo - . Olvídelo»]. 68. Ivi, p. 591 [Elamor en los tiempos del cólera, cit., p. 106: «una oportunidad de ver a solas a Fermina Daza, [...] de hablar a solas con ella»]. 69. Ibid. [El amor en los tiempos del cólera, cit., p. 106: «Florentino Ariza no tuvo nunca más una oportunidad de ver a solas a Fermina Daza, ni de hablar a solas con ella en los tantos encuentros de sus muy largas vidas, hasta cincuenta y un años y nueve meses y cuatro días después, cuando le reiteró el juramento de fidelidad eterna y amor para siempre en su primera noche de viuda » ].

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colui che aspetta si ritrova a compiere, in modo più o meno cosciente. E questo il tipo di operazione che compie anche, e in modo particolarmente esplicito, il Narratore proustiano, autorizzandoci a leggere la fase successiva alla fuga di Albertine come un'attesa del suo ritorno. Leggendo le ultime pagine della Prigioniera e le prime di Albertine scomparsa, sembrerebbe possibile affermare che l'origine dell'attesa amorosa del Narratore sia di natura traumatica e che coincida con la mattina in cui, al risveglio, egli riceve da Françoise la notizia della partenza di Albertine. A ben guardare, però, la sua fuga da casa segna nel testo l'inizio della sua assenza, ma non quello dell'attesa del Narratore per il suo ritorno. Se l'origine dell'assenza di Albertine è di natura evidentemente traumatica perché legata al momento della rottura, sarebbe invece più indicato legare l'attesa del suo ritorno a un'origine di tipo terapeutico. L'inizio dell'attesa di Albertine, infatti, coincide nel testo con la precisa volontà da parte del Narratore di difendersi dall'idea di una vera e propria rottura e di leggere invece la sua assenza come qualcosa di passeggero, provvisorio. L'inizio dell'attesa propriamente detta consiste in questa presa di coscienza del Narratore, nella sua convinzione, dunque, che pensare'all'assenza di Albertine come a un'attesa del suo ritorno sia la sola possibilità di convivere con la sofferenza e arginare il potere dirompente e distruttivo di quest'ultima: Bisognava farla cessare immediatamente, la mia sofferenza; tenero verso me stesso come mia madre verso la nonna morente, mi dicevo, con la stessa buona volontà con cui si cerca di non lasciar soffrire chi si ama: «Abbi un secondo di pazienza, ti si troverà un rimedio, sta' tranquillo, non ti si lascerà soffrire così». Fu a quest'ordine di idee che sirivolseil mio istinto di conservazione allaricercadei primi calmanti da mettere sulla mia ferita aperta: «Tutto ciò non ha nessuna importanza, perché la farò tornare subito. Penserò a quali mezzi usare, ma in ogni caso stasera sarà qui»70.

70. Proust, Alla ricerca del tempo perduto, IV, cit., p. 5 [A la recherche du temps perdu, IV, cit., p. 3: «Il fallait faire cesser immédiatement ma souffrance; tendre pour moi-même comme ma mère pour ma grand-mère mourante, je me disais, avec cette même bonne volonté qu'on a de ne pas laisser souffrir ce qu'on aime: "Aie une seconde de patience, on va te trouver un remède, sois tranquille, on ne va pas te laisser souffrir comme cela". C e fut dans cet ordre d'idées que mon instinct de conservation chercha pour les mettre sur ma blessure ouverte les premiers calmants: "Tout cela n'a aucune importance parce que je vais la faire revenir tout de suite"].

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Il richiamo alle parole pronunciate dalla madre sul letto di morte della nonna fanno emergere con particolare forza uno degli aspetti più significativi e peculiari della dimensione dell'attesa, ovvero la sua simulazione per fini terapeutici o rassicuranti. Il Narratore proustiano si rivela così particolarmente consapevole di quella tendenza alla "messa in scena", propria dell'innamorato che aspetta, che Barthes avrebbe posto così bene in luce nei Frammenti. Terapia messa in atto dal Narratore per sopportare l'idea della rottura, la lettura dell'assenza di Alberane come attesa del suo ritorno sembra svolgere così una duplice funzione. Da un lato, essa rappresenta un'"ipotesi di simulazione" sentita come indispensabile dal Narratore: «L'ipotesi della simulazione mi diventava tanto più necessaria quanto più era improbabile, e guadagnava in forza quel che perdeva in verosimiglianza»7'. Dall'altro, essa non può che assomigliare, per il lettore proustiano che ne conosce l'esito, a una sorta di prova generale del lutto. Se l'attesa è una strategia per simulare la provvisorietà dell'assenza, allo stesso tempo essa è, insegna Barthes, quel «segmento puro di tempo in cui si mima la perdita dell'oggetto amato, il lutto e l'orrore dello svezzamento»71. Il secondo criterio individuato all'inizio di questo paragrafo consiste, si ricorderà, nel grado più o meno significativo di prevedibilità dell'inizio dell'attesa nella storia e nel testo. L'attesa amorosa, nel romanzo di Mann, non risulta per il lettore un elemento inatteso, tale da sconvolgere il normale svolgimento della storia. La prevedibilità dell'attesa è resa nel testo da due diversi elementi che potremmo definire di tipo sentimentale e di tipo giuridico e che corrispondono in qualche modo al doppio inizio dell'attesa di Giacobbe per Rachele. Dal punto di vista sentimentale, l'inizio dell'attesa è raccontato nel romanzo attraverso una scena, come abbiamo già visto, di "attesa dell'attesa", che preannuncia e prelude alla successiva attesa. Il suo grado di prevedibilità è poi ulteriormente sancito dalla stipula del contratto che dà ufficialmente inizio ai quattordici anni pattuiti75. Assente nella fase iniziale, il tratto di imprevedibilità dell'at-

71. Ivi, p. 23 [ A l a recherchedu tempsperdu, iv, cit., p. 18: «L'hypothèse de la simulation me devenait d'autant plus nécessaire qu'elle était plus improbable et gagnait en force ce qu'elle perdait de vraisemblance»]. 72. Barthes, Le diseours amoureux, cit.,p. 478. 73. Mann, Giuseppe e i suoi fratelli, 1, cit., pp. 310-2 [Joseph undseine Brüder, cit., p p . 1 9 0 - 3 ] e PAR. 2 . 4 .

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tesa si concentrerà invece, come vedremo più avanti, nel suo esito del tutto inatteso. Molto diverso è il caso dell'attesa d'amore di Fiorentino Ariza, che comincia in modo del tutto imprevisto all'interno della storia, non tanto per il lettore già informato all'inizio del romanzo della pluridecennale fedeltà del protagonista, quanto per i personaggi stessi, increduli di fronte a un disincanto non messo in conto. L'elemento che colpisce maggiormente è infatti la totale imprevedibilità della scena della rottura, un'imprevedibilità che riguarda a ben guardare non soltanto il personaggio di Fiorentino, per nulla preparato all'eventualità di un rifiuto, ma la stessa Fermina Daza che si sorprende a chiedersi, alla vista dell'impietrito Fiorentino, «come avesse potuto incubare per tanto tempo e con tanta sevizia una simile chimera del cuore»"4. «L'abisso del disincanto» consiste, per Fermina, nella scoperta dello spazio enorme che la separa da quell'amore acerbo della sua giovinezza e cambia così per sempre, in modo fulmineo, inconsapevole e inatteso, il destino di Fiorentino, che si vede immediatamente "declassato" da futuro marito a innamorato in attesa. Rispetto al livello di prevedibilità dell'inizio dell'attesa nella storia e nel testo, la fuga di'Albertine dalla casa del Narratore offre un esempio particolarmente significativo proprio in quanto anomalo. La rottura con Albertine, che in qualche modo, come si è visto, determina il successivo originarsi della dimensione di attesa, non è certo un evento capace, di per sé, di provocare stupore e sorpresa tanto nel protagonista quanto nel lettore. La crisi nella relazione tra il Narratore e Albertine è già materia della Prigioniera e l'annuncio di una possibile partenza della ragazza è più volte anticipato nelle sue pagine. Questo elemento si fa particolarmente evidente verso la fine del volume - e della convivenza parigina - , quando l'interrogativo sul momento più opportuno per rompere la relazione con Albertine diventa così martellante da presentarsi addirittura nei termini di un'"attesa dell'attesa", o più precisamente di un'"attesa della rottura": Era nelle mie mani, quella scelta del momento [...]. Bisognava non esser troppo difficili, non aspettare troppo, bisognava essere saggi. E tuttavia, avendo 74. García Márquez, L'amore ai tempi del colera, cit., p. 589 [El amor en los tiempos del colera, cit., p. 105: «cómo había podido incubar durante tanto tiempo y con tanta sevicia semejante quimera en el corazón»].

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aspettato tanto, sarebbe stata una follia non saper aspettare qualche giorno di più, finché si presentasse un minuto accettabile75. L'inizio dell'attesa di Albertine, legata alla sua assenza, è da considerarsi, in questo senso, come un evento abbondantemente atteso e preparato all'interno del testo. Eppure, la mattina della partenza di Albertine, la reazione del Narratore al risveglio è emotivamente violenta, come se la sua fuga fosse "un fulmine a ciel sereno". Come si spiega dunque questa dialettica, apparentemente contraddittoria, tra atteso e inatteso, preannunciato e imprevisto, che l'inizio dell'attesa presenta nel testo proustiano? La ragione di questa apparente contraddizione risiede in un meccanismo che si potrebbe definire di "falso allarme", o più opportunamente di "falsa partenza", abilmente utilizzato dall'autore per mescolare, ancora una volta, le carte della narrazione. Il motivo per cui la rottura di Albertine sconvolge il Narratore come se si trattasse di un evento completamente imprevisto va rintracciato, infatti, a ben guardare, non tanto nell'episodio stesso del risveglio dopo la sua partenza ma in un altro episodio, uguale e contrario, che l'autore fa precedere di qualche pagina. Uguale perché si tratta anche in questo caso di un risveglio, scandito dalla ritualità del suono del campanello utilizzato per chiamare Françoise e dalla domanda alla domestica sul conto di Albertine. Contrario perché in quel caso il risveglio, con la constatazione della presenza di Albertine nella camera accanto, placa le ansie alimentate nel Narratore da una notte di insonnia e di "attesa della rottura". Con un crudele quanto efficace gioco di simmetrie, la pagina conclusiva della Prigioniera, che si chiude peraltro all'improvviso e con un fortissimo effetto di suspense, ripropone lo stesso episodio ma con un'inversione di attese e di esiti. Dopo una notte tranquilla, non più attraversata dall'angoscia della rottura ma, anzi, dalla consapevolezza di una sicura indifferenza nei riguardi di Albertine, quello che attende il Narratore è un brusco risveglio nel corso del quale gli viene immediatamente chiesto di fare i conti con la sua assenza. La lettura affiancata

75. Proust, Alla ricerca del tempo perduto, III, cit., p. 815 [.A la recherche du temps perdu, m , cit., p. 894: « C e choix du moment, j'en étais le maître [...]. Il ne fallait pas être trop difficile, attendre trop, il fallait être sage. Et pourtant, ayant tant attendu, ce serait folie de ne pas savoir attendre quelques jours de plus, jusqu'à ce qu'une minute acceptable se présentât»].

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dei due episodi - la "falsa partenza"76 e la "vera partenza"77 - porta alla luce in maniera straordinariamente efficace quella dinamica tra atteso e inatteso che caratterizza l'inizio dell'attesa amorosa proustiana. Questo "doppio inizio" è marcato, e non potrebbe essere altrimenti in Proust, anche da un significativo dettaglio psicosomatico: l'attesa delle notizie da parte di Françoise sul conto di Albertine provoca in entrambi i casi un effetto immediato sul respiro asmatico del Narratore, come se le intermittenze, prima ancora che del cuore, fossero prima di tutto "di fiato".

La natura

z.4 dell' ostacolo

L'inizio dell'attesa cosi come la sua durata sono determinati dalla natura dell'ostacolo che si frappone alla realizzazione dell'unione desiderata dal protagonista. Se l'ostacolo costituisce il motivo per cui il personaggio è costretto ad aspettare - senza ostacolo non vi sarebbe attesa78 - , il suo superamento diventa, per chi aspetta, l'obiettivo centrale della propria esistenza. Il romanzo d'amore ci offre un'infinita varietà di possibili ostacoli alla realizzazione del desiderio: dalla mancanza di reciprocità amorosa alla preesistenza di legami relativi a uno o entrambi i componenti della coppia; da impedimenti di tipo storico ad accadimenti tragici79. I tre romanzi scelti aiutano a far ordine in questa pluralità di casi, proponendo una duplice tipologia di ostacolo: da un lato, ostacoli esterni alla coppia, determinati cioè da motivazioni o congiunture di tipo familiare e sociale, che quindi riguardano il rapporto dell'innamorato con la comunità in cui vive. Dall'altro, ostacoli interni alla coppia, legati dunque alla sfera interiore, e più o meno condivisa, dei sentimenti. Nel Giuseppe e i suoifratelli, l'ostacolo che dà luogo alla settennale attesa di Giacobbe e Rachele è decisamente esterno alla coppia e slegato dai sentimenti, del tutto reciproci, provati dall'uno e dall'altra. Come dettato dalla fonte biblica, l'ostacolo è qui determinato da una motivazione di tipo familiare e giuridico: ovvero dall'esistenza di un 7 6 . Ivi, p. 9 0 4 . 7 7 . Ivi, p. 915.

78. Cfr. B. Sarlo, I segni della passione. Il romanzo sentimentale, 1700-2000, in Moretti (a cura di), Il romanzo, 11, cit„ pp. 383-412, in particolare il par. Teoria dell'ostacolo. 79. Cfr. Micali, L'innamoramento, cit., p. 37.

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patto - anomalo, in quanto matrimoniale e lavorativo a un tempo80 stabilito tra Giacobbe e Labano. La rara attenzione del narratore manniano nel ricostruire le modalità contrattuali e le procedure di diritto privato in uso nel mondo arcaico della Genesi meriterebbe certo uno studio specifico e approfondito. A interessare in questa sede, tuttavia, è soprattutto il senso che la dimensione del "patto" assume nella storia di Giacobbe e quanto la natura^giuridica e contrattuale dell'ostacolo determini la qualità della sua attesa amorosa. Se la serietà è il tratto caratteristico degli anni di attesa di Giacobbe per Rachele - serietà annunciata dalla solennità di quel «ti servo» 81 , denso di risonanze bibliche - , il modo in cui Giacobbe vive la sua attesa ha infatti molto a che vedere con la natura dell'ostacolo che lo divide dal raggiungimento del suo obiettivo. La fedeltà di Giacobbe va letta, a ben guardare, prima ancora che nei confronti di Rachele, come assoluta fedeltà nei confronti del patto. Dapprima percepiti nella loro principale natura di ostacolo, i sette anni di attesa amorosa si rivelano a lungo andare per Giacobbe una sorta di "palestra" per mettere alla prova la propria costanza, la propria capacità di resistere all'ostacolo, la propria forza di lottare per il raggiungimento degli obiettivi: in altre parole, la propria fede e il proprio rapporto con Dio. La mentalità biblica di Giacobbe, che riaffiora con forza anche nella riscrittura manniana, considera l'attesa come un banco di prova a cui si è chiamati, proprio come era accaduto ad Abramo nel giorno del mancato sacrificio di Isacco. Se il senso dell'ostacolo e della lotta "alla pari" è un tratto caratteristico della storia dell'Alleanza, anche la grinta di Giacobbe nel portare a termine il proprio compito di uomo innamorato che attende si fa segno del suo rapporto con Dio: un Dio inquieto con cui è possibile solo una relazione difficile e tormentata, fatta di continua ricerca e di infaticabile attesa82.

80. Mann, Giuseppe e ì suoifratelli, 1, cit., p. 312: «Era un contratto di matrimonio e allo stesso tempo di lavoro, un misto dell'uno e dell'altro» [Joseph und seine Brüder, cit., p. 194: «Es war ein Ehevertrag und dann auch wieder ein Dienstvertrag, eine Mischung aus beidem » ]. 81. Ivi, p. 310 [Joseph und seine Brüder, cit., p. 193: «ich diene»]. 82. Si ricordino le parole del Prologo in cui Mann definisce il Dio della tetralogia come «un Dio dell'irrequietezza e del travaglio, che voleva essere cercato e per il quale comunque bisognava tenersi liberi, mobili e pronti», Mann, Giuseppe e i suoi fratelli, 1, cit., p. 55 [Joseph und seine Brüder, cit., p. 38: «ein Gott der Beunruhigung

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Anche l'attesa di Fiorentino Ariza, di certo figlia di una mentalità ben più immanente e mondana, è legata a un ostacolo esterno alla coppia. Si tratta, in questo caso, non di un patto matrimoniale ma di un vero e proprio matrimonio: quello di Fermina Daza con il dottor Juvenal Urbino. Sembrerebbe ingenuo e inesatto, a prima vista, ricondurre il mezzo secolo di attesa del protagonista a un ostacolo di natura esclusivamente sociale, quasi a voler sminuire il suo iperbolico amore per farlo rientrare nei binari canonici del romanzo borghese. Tuttavia, è proprio questa l'operazione, ironica e insieme consolatoria, che Fiorentino compie durante la propria attesa amorosa. Oggettivando tutti i possibili motivi di rifiuto da parte dell'amata nella sua condizione di donna sposata, egli lascia che il tempo copra e cancelli le vere ragioni del loro allontanamento, che consistono, si ricorderà, nell'assenza di reciprocità del sentimento amoroso. Lungi dallo scoraggiare la sua speranza di amante anacronistico e incallito, l'ostacolo funge al contrario per Fiorentino da motivo di incoraggiamento e di forza, finendo per diventare la sua ragione di vita. Egli vive nella certezza che il solo superamento dell'ostacolo materiale - la morte del medico - significherà immediatamente il coronamento del suo sogno d'amore e attende dunque quel giorno «come un evento ineluttabile », nella convinzione assoluta di sopravvivere al dottor Urbino8'. La lontananza di quel giorno non spaventa affatto Fiorentino : convinto che il rifiuto della donna sia esclusivamente legato, al pari dell'ostacolo, a motivi di natura sociale, egli è sicuro che il modo più saggio di trascorrere i lunghi anni che lo aspettano consista in una ragionata e costante scalata sociale. L'amore ai tempi del colera potrebbe essere letto in questo senso come un paradossale romanzo di formazione.

[...], ein Sorgengott, der gesucht sein wollte und für den man sich auf alle Fälle frei, beweglich und in Bereitschaft halten mußte»]. Cfr. anche Ferretti, Thomas Mann e il tempo, cit., p. 86. 83. Cfr. Garcia Màrquez, L'amore ai tempi del colera, cit., p. 664: «Il dottor Juvenal Urbino doveva morire. Non sapeva né quando né come, ma se lo prospettò come un evento ineluttabile, che era deciso ad aspettare senza fretta né furia, anche se fosse stato alla fine dei secoli» [Elamor en los tiempos del colera, cit., p. 163: «... el doctor Juvenal Urbino tenia que morir. No sabia ni cuàndo ni cómo, pero se lo planteó corno un acontecimiento ineluctable, que estaba resuelto a esperar sin prisas ni arrebatos, asi fuera hasta el fin de los siglos»].

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Il superamento dell'ostacolo materiale assume anche nel testo un posto rilevante: il romanzo si apre, infatti, attraverso una brillante operazione di spaesamento che genera inizialmente confusione nel lettore circa i reali protagonisti della storia, proprio con il racconto della morte, peraltro piuttosto ridicola, del dottor Urbino, avvenuta per una caduta dalla scala dove era salito, ultrasettantenne, per riportare giù da un albero del suo giardino un pappagallo fuggito dalla gabbia84. Con una totale mancanza di pudore e di inibizione, come a voler sanare decisamente i conti con una vita di timidezza e riservatezza, Fiorentino troverà infine il coraggio di rinnovare una goffa quanto decisa dichiarazione di amore a Fermina proprio nel giorno del funerale del marito8'. Se il meccanismo messo in campo dal romanzo di García Márquez sembra essere quello di un'oggettivazione del sentimento amoroso attraverso la scelta di un ostacolo di tipo sociale, la natura dell'ostacolo, nel caso di Proust, è di segno completamente opposto. Il ricongiungimento del Narratore con Albertine non è impedito, prima della sua morte, da alcun tipo di ostacolo esterno alla coppia: nessun patto, nessun matrimonio, nessuna particolare pressione di tipo sociale né esplicite ragioni di convenienza separano i due personaggi. La loro, in sostanza, è una normale rottura: il loro allontanamento, e dunque la loro attesa, dipendono esclusivamente da fattori interni alla loro relazione amorosa. Non manca, certo, anche nell'attesa raccontata da Proust, un ostacolo di tipo materiale, rappresentato dall'oggettiva lontananza di Albertine dopo la sua fuga in Touraine. Questo ostacolo oggettivo e tangibile, tuttavia, non può essere in alcun modo legato a un impedimento esterno, imposto dalla volontà altrui, e non può che essere ricondotto, al contrario, esclusivamente alla sfera interiore dei personaggi, e a quel84. Sulle funzioni dell'incipit nel romanzo e della scena della morte di Juvenal Urbino, cfr. le due opposte letture, rispettivamente in chiave morale e in chiave comica, di L. Morales-Gundmundsson,Eljardiny la caída: mito y parodia en "Elamor en los tiempos del colera", in "Cuadernos Hispanoamericanos", 492,1991, pp. 117-24 e di C. Segre, Introduzione, in Garda Márquez, Opere narrative, 1, cit., p. x v i n . Bruno Arpaia propone di leggere nelle due morti ravvicinate di Jeremiah di Saint-Amour e del dottor Urbino uno «sdoppiamento barocco, raffigurazione dei due fuochi di un'ellisse che, rimandando continuamente l'uno all'altro, impediscono al lettore di individuare immediatamente il centro della storia » (B. Arpaia, Barocco è il mondo, in Garda Márquez, Opere narrative, 11, cit., p. XXXII). 85. Cfr. García Márquez, L'amore ai tempi del colera, cit., p. 802 [Ed amor en los tiempos del colera, cit., p. 269].

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la del Narratore in particolare. Il vero ostacolo alla realizzazione del proprio, controverso, desiderio amoroso nei confronti di Albertine - e di tutte le altre donne che egli ha pensato di amare - risiede infatti nell'interiorità stessa del Narratore86. Non si può parlare, dunque, a proposito dell'attesa proustiana, soltanto di un ostacolo interno alla coppia, legato alla non corrispondenza del sentimento amoroso o alla mancanza di sincronia sentimentale (dinamica peraltro tipicamente proustiana), bensì di un ostacolo interno allo stesso protagonista: un ostacolo interiore, dunque, di tipo psicologico-relazionale. La natura dell'ostacolo che determina l'attesa amorosa è profondamente legata, in questo senso, alla concezione proustiana delle relazioni interpersonali, secondo la quale esse non posseggono un loro statuto di realtà se non nella mente di chi le vive. Al pari dei legami a cui si riferiscono, anche gli ostacoli sentimentali non possono essere collocati altrove che nella mente e nel cuore dell'individuo: « I legami tra un essere e noi non esistono che nel nostro pensiero»87 perché «l'uomo è l'essere che non può uscire da sé, che non conosce gli altri se non in sé; e, se dice il contrario, mente»88, si legge in una pagina particolarmente intensa di Albertine scomparsa. Della veridicità di queste riflessioni rispetto all'esperienza concreta dell'amore si ha conferma quando il Narratore si scontra con l'impossibilità di eliminare l'ostacolo materiale - l'assenza di Albertine - , per poi rendersi conto di come il vero ostacolo sia dentro di sé e consista nell'inarrestabile volubilità del desiderio, nelle continue e inesorabili "intermittenze del cuore". L'unica possibile rimozione di un simile ostacolo, così interiore e così intimo, non è dunque legata al variare delle condizioni esterne ma è offerta dal fatto che esso non sia più un ostacolo per noi, perché a essere mutati sono i nostri desideri.

86. Per un'analisi acuta e straordinariamente chiara di quel processo di interiorizzazione dell'ostacolo a cui si assiste nel romanzo del Novecento, dal modernismo in poi, e sulle conseguenze che l'abolizione dell'ostacolo esterno determina nella trama, si vedano le parole introduttive di Sergio Zatti a L'eroe e l'ostacolo. Forme dell'avventura nella narrativa occidentale, Bulzoni, Roma 2010, p. 17. 87. Proust, Alla ricerca del tempo perduto, IV, cit., p. 43 [A la recherche du temps perdu, IV, cit., p. 34: «Les liens entre un être et nous n'existent que dans notre pensée»]. 88. Ibtd. [A la recherche du temps perdu, iv, cit., p. 34: «l'homme est l'être qui ne peut sortir de soi, qui ne connaît les autres qu'en soi, et, en disant le contraire, ment»].

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«Non riusciamo a cambiare le cose secondo il nostro desiderio, ma a poco a poco il nostro desiderio cambia»89: in questa massima si condensa il senso, e si preannuncia l'esito, di ogni attesa amorosa proustiana. Posto sulla fragile linea di confine tra fantasticheria e disillusione, il desiderio non può giungere, in Proust, ad alcuna forma di realizzazione. Prima ancora che nell'impatto con il reale, sempre più banale o spietato dell'immaginario, la colpa dell'inevitabile insoddisfazione del desiderio amoroso risiede nella congenita incostanza di colui che ama, il quale, una volta giunto a un passo dall'agognato traguardo, si accorge, semplicemente, di non desiderare più ciò che aveva, fino a un attimo prima, fortemente voluto.

Z.5

Esiti narrativi e falsi traguardi: la fine dell'attesa L'analisi del tempo dell'attesa amorosa, dei suoi tempi e dei suoi ritmi nella narrazione, non può che concludersi con una riflessione sul momento e sul modo in cui l'attesa finisce. Nei tre romanzi presi in esame, l'attesa non è una linea retta dalla lunghezza indefinita ma un segmento ben preciso di tempo, dotato quindi di un inizio e, appunto, di una fine. Si potrebbe pensare che la fine dell'attesa coincida con la rimozione dell'ostacolo che l'aveva determinata impedendo l'unione o il riawicinamento dei due innamorati. I tre romanzi guida mostrano, tuttavia, come la rimozione dell'ostacolo non rappresenti che una risoluzione provvisoria, in altri termini soltanto una tappa nel lungo percorso che conduce l'innamorato che attende al suo traguardo. Ma qual è poi questo traguardo ? Esso non cambia continuamente, come insegna Proust, in base ai propri desideri? E se il raggiungimento dell'obiettivo non è risolutivo, non significa che l'attesa amorosa è diventata una condizione esistenziale? Tenterò di rispondere a queste domande e di dare corpo a queste prime ipotesi dando ancora una volta la parola ai testi. L'esempio di García Márquez è, come sempre, quello più lineare e tipicamente romanzesco. Se il matrimonio della donna aveva costitui89. Ivi, p. 44 [A la recherche du temps perdu, IV, cit., p. 35: «Nous n'arrivons pas à changer les choses seion notre désir, mais à peu à peu notre désir change»].

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to, per i lunghi anni di attesa di Fiorentino Ariza, l'unico ostacolo a cui resistere e la morte del dottor Urbino il solo obiettivo a cui mirare, all'indomani del funerale l'attesa amorosa si rivela tutt'altro che conclusa. Nelle sue previsioni, iperbolicamente ottimistiche, Fiorentino non aveva fatto i conti con un aspetto fondamentale: i sentimenti provati da Fermina Daza. Dal momento che la donna, ben lungi dal lasciarsi andare immediatamente nelle sue braccia, è invece immersa in un turbine di sentimenti contrastanti - dal dolore per la perdita del marito alla sensazione di una vecchiaia che incombe e, non ultima, una sincera rabbia nei confronti dello sfacciato e ormai attempato pretendente - , dopo la fine dell'attesa comincia, per Fiorentino, un'altra attesa. Si potrebbe leggere, è vero, questa nuova fase senile molto più come un corteggiamento che non come una vera e propria attesa. Del corteggiamento, infatti, presenta tutte le caratteristiche canoniche: dal saluto in chiesa ai timidi inviti, dall'invio di lettere ai primi appuntamenti. Eppure, è lo stesso narratore a suggerire di leggere anche questa fase finale della storia sotto il segno dell'attesa. Nel conteggio finale con cui si chiude il romanzo, il narratore fa rientrare, infatti, con la consueta precisione, anche il periodo successivo alla morte di Juvenal Urbino. Il testo parla infatti di «cinquantatré anni, sette mesi e undici giorni con le loro notti» 90 e non di «cinquantuno anni, nove mesi e quattro giorni» 9 ' che sarebbero quelli trascorsi fino al momento dell'intempestiva dichiarazione. Al di là di questi problemi di periodizzazione, quel che è certo è che se di attesa si continua a parlare anche dopo la morte del dottore, la dichiarazione mette fine alla fase più statica e discreta dell'attesa amorosa di Fiorentino e inaugura invece una nuova fase molto più dinamica e di conquista. Dopo aver varcato una sorta di "falso traguardo"», l'attesa di Fiorentino conosce però una vera fine, precisa e inequivocabilmente lieta. Il romanzo si chiude con uno sdolcinato quanto meritato happy end, del tutto privo di ombre se non fosse per le rughe pronunciate dei due protagonisti che lo trasformano in una goffa apologia dell'amore senile, o se si preferisce in una splendida apoteosi dell'amore eterno. 90. García Márquez, L'amore ai tempi del colera, cit., p. 890 [El amor en los tiempos del colera, cit., p. 335: «cincuenta y tres años, siete meses y once días con sus noches»]. 91. Ivi, p. 529 [Elamor en los tiempos del cólera, cit., p. 59: «cinquienta y un años, nueve meses y cuatro días»].

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A bordo di un battello della compagnia fluviale di Fiorentino, che non poteva non portare il nome di Nueva Fidelidad9\ per un viaggio che segna il definitivo affrancamento di Fermina dalle convenzioni familiari e sociali da cui "a terra" era costretta, avviene finalmente l'intempestiva quanto attesa unione tra i due anziani innamorati. Per non mettere fine, con il ritorno in città, a quella sospensione spaziale e temporale che sola ha permesso finalmente il libero realizzarsi del suo intramontato desiderio, Fiorentino escogita un sistema per non scendere dalla nave e restarvi sopra in compagnia di Fermina. Non è un caso che la sua "trovata" si collochi, proprio come le fasi acute del suo amore, sotto il segno del colera che dà il titolo al romanzo. L'unico modo per evitare al battello di fermarsi è infatti quello di dichiararlo in quarantena per un caso di colera e continuare a navigare in stato di emergenza, issando una bandiera gialla. Il protocollo avrebbe così impedito al battello, evacuato di tutti i passeggeri, di sostare in qualsiasi porto, se non per motivi di rifornimento. Sulla nave, ormai abitata esclusivamente dai due anziani protagonisti, oltre che dal capitano e dalla sua donna, può finalmente e definitivamente dirsi conclusa la pluridecennale attesa. García Márquez sembra compiere, a questo punto, un errore imperdonabile. Invece di tagliare su questa scena, o addirittura su quella della partenza del battello, e mettere decisamente la parola "fine" al suo romanzo, l'autore propina al lettore un prolungamento della storia, come una sorta di dilatazione del finale, che infligge un immeritato colpo al ritmo fino ad allora perfettamente calibrato del romanzo. Con una deriva quasi da telenovela, egli non esita a indugiare nella descrizione dei giorni successivi all'annuncio della quarantena, entrando nei dettagli di un amore senile, pacato, rassicurante ma ormai, com'è chiaro, assai poco avvincente, e lasciandosi andare a considerazioni generali sull'amore certamente vere e intense, ma non altrettanto originali93. Si tratta davvero di un'improvvisa caduta di stile di uno dei romanzieri più brillanti e inventivi dell'ultimo secolo, di un errore dunque? Non sarebbe più giusto considerare queste pagine finali come un ulteriore gioco narrativo, ironico e voluto, a conclusione di un romanzo che si era divertito a mescolare gli stereotipi delfeuilleton ottocentesco 92. Cfr. ivi, p. 862 \Elamor en los tiempos del cólera, cit., p. 314]. 93. Ivi, p. 886 [El amor en los tiempos del colera, cit., p. 333].

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con quelli dei moderni teleromanzi sudamericani? L'annuncio della durata eterna dell'andirivieni del battello lungo le rive del fiume andrebbe interpretato, in questo senso, come un accenno implicito al principio della serialità che accomuna tanta letteratura sentimentale fino agli esiti televisivi più recenti: « E fin quando crede che possiamo proseguire questo andirivieni del cazzo ? » gli domandò. Fiorentino Ariza aveva la risposta pronta da cinquantatré anni, sette mesi e undici giorni con le loro notti. «Tutta la vita » disse94. Il finale rosa che ha fatto ampiamente discutere pubblico e critica95 si rivelerebbe in questo senso l'unico possibile a conclusione di un romanzo che aveva fatto dell'ibridazione dei modelli e del gusto per l'iperbole il proprio esplicito e inconfondibile marchio. A distinguere profondamente l'esito dell'attesa dell'Amore ai tempi del colera da quello degli altri due romanzi è, certamente, un aspetto formale. Tanto nella Recherche quanto nel Giuseppe, la fine dell'attesa non coincide infatti con il finale del romanzo, che si estende ancora per centinaia di pagine dopo che l'attesa si è conclusa. Nonostante questa importante differenza, le tre attese condividono, rispetto al problema della fine, un aspetto cruciale. Si tratta di quello che, nel caso di García Márquez, ho definito come "falso traguardo", indicando con questa espressione la non coincidenza tra il superamento dell'ostacolo e la reale fine dell'attesa per il personaggio che aspetta. Anche nei romanzi di Proust e di Mann lo "scioglimento" narrativo del motivo che imponeva l'attesa non corrisponde alla sua vera fine. In altre parole, l'attesa si rivela, anche nel loro caso, ingannatrice come un armadio a doppio fondo. La fine dell'attesa è segnata apparentemente con molta precisione e chiarezza all'interno dei due testi. Due eventi forti - la morte di 94. Ivi, p. 890 [Elamor en los tiempos del colera, cit., p. 335: « - ¿Y hasta cuándo cree usted que podemos seguir en este ir y venir del carajo ? - le preguntó. Florentino Ariza tenía la respuesta preparada desde hacía cincuenta y tres años, siete meses y once días con sus noches. -Toda la vida - dijo»]. 95. Si vedano ad esempio le due letture opposte di C. Segre, Introduzione, in García Márquez, Opere narrative, I, cit., p. XIII e G. Bellini, Garda Márquez: l'epopea di una sconfitta, Bulzoni, Roma 2006, p. 105, nonché l'appassionata recensione di T. Pynchon, Los eternos compromisos de corazón, in AA.VV., Gabriel Garda Márquez. Testimonios sobre su vida. Ensayos sobre su obra, Selección y prólogo de J. C. Cobo Borda, Siglo del Hombre Editores, Santa Fé de Bogotá 1992, pp. 337-43.

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Albertine nel romanzo di Proust, il giorno del matrimonio nel testo di Mann - segnano infatti lo scadere del tempo di attesa per i due protagonisti. Eppure, in entrambi i casi, la fine "oggettiva" dell'attesa, segnata dal carattere definitivo dei due eventi e dalle loro inesorabili conseguenze, non corrisponde al termine dello stato di attesa dei due protagonisti che continuano anche dopo questi eventi ad aspettare, desiderare, sperare. Come per Fiorentino dopo la morte del dottor Urbino, anche per loro alla fine dell'attesa se ne apre, dunque, una nuova. La storia del mandarino e della cortigiana raccontata da Barthes aveva già istruito rispetto alla possibile non coincidenza tra la fine programmata e pattuita dell'attesa e il momento in cui l'individuo pone un termine alla sua condizione interiore di attesa. Se in quel caso la fine scelta dal mandarino precedeva di pochissimo il suo obiettivo iniziale, i tre romanzi guida offrono, invece, l'esempio contrario, raccontando la storia di personaggi che continuano ad aspettare anche dopo la "centesima notte". Questa dinamica è messa in luce con particolare efficacia nelle pagine della Recherche. L'attesa del Narratore sembrerebbe concludersi, si diceva, con il sopraggiungere di un evento improvviso, brusco e irrevocabile: la morte di Albertine. Dal momento del suo annuncio, marcato nel testo dalla brutale asciuttezza di quel «Non tornò mai» 96 e immediatamente seguito dalle parole del telegramma di Mme Bontemps, vengono definitivamente meno tutti i motivi che mantenevano in vita l'attesa. Pur consapevole che una simile notizia non potrà che cambiare in modo definitivo il suo modo di vivere l'assenza di Albertine, percepita fino ad allora come una situazione provvisoria97, il Narratore continua a condurre la propria vita interiore come se la sua attesa non fosse affatto conclusa. Ai tempi di Combray, la fine dell'attesa del bacio materno era immaginata dal Narratore bambino e insonne come un momento di immediato sollievo e inebriante felicità. Se aspettare significava essere

96. Proust, Alla ricerca del tempo perduto, IV, cit., p. 73 [A la recherche du temps perdu, iv, cit., p. 58: «Elle ne revint jamais»]. 97. lhid.\ « M a non me l'ero detto tante volte che forse non sarebbe tornata? Me l'ero detto, in effetti, ma adesso m'accorgevo di non averlo creduto per un solo istante» [A la recherche du temps perdu, IV, cit., p. 58: «Ne m'étais-je pas dit plusieurs fois qu'elle ne reviendrait peut-être pas? Je me l'étais dit, en effet, mais je m'apercevais maintenant que pas un instant je ne l'avais cru»].

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immerso nella più profonda angoscia, la fine dell'attesa non poteva essere che una fonte di «felicità [...] come quando un farmaco potente comincia ad agire e ci toglie il dolore» 98 . La notizia della morte di Albertine trasforma questa volta la fine dell'attesa in un'esperienza di segno completamente opposto. Lungi dal portare sollievo, essa conduce il Narratore in una nuova angoscia. Quest'ultima non è tanto dovuta, almeno in un primo tempo, alla perdita di Albertine, quanto alla difficoltà di abituarsi all'idea che l'attesa del suo ritorno sia davvero finita. L'ineguagliabile capacità autoanalitica del Narratore proustiano lo rende estremamente consapevole di come la notizia di un accadimento non corrisponda affatto, nel complesso meccanismo della psiche umana, alla reale consapevolezza di quanto accaduto. Perché questo avvenga è necessario che trascorra, appunto, un ulteriore periodo di attesa: Perché la morte di Albertine potesse sopprimere le mie sofferenze, l'urto avrebbe dovuto ucciderla non soltanto in Touraine, ma dentro di me. Lì non era mai stata più viva". Sarebbe più opportuno parlare, per questa fase, di un processo di lenta elaborazione del lutto. Tuttavia, l'assimilazione della notizia della morte di Albertine è ancora profondamente legata, per il Narratore, a tutti i sintomi che avevano accompagnato l'attesa del suo ritorno. Non soltanto egli si sorprende più volte in un atteggiamento inconscio di sospensione e di speranza, come se un ritorno di Albertine fosse ancora possibile'00, ma si scopre anche a ripercorrere nel ricordo tutti i momenti di attesa che hanno scandito il tempo della loro relazione e della convivenza parigina. Nel riportarli alla memoria del Narratore, Proust compie un magistrale esercizio di scrittura, o meglio di "riscrittura": egli rielabora infatti in queste pagine le stesse attese che aveva già raccontato in Sodoma e Gomorra e nella Prigioniera ma in un'ottica

98. Ivi, 1, p. 40 [A la recherche du temps perdu, 1, cit., p. 32: «Une allégresse extraordinaire», «comme quand un médicament puissant commence à agir et nous enlève une douleur»]. 99. Ivi, IV, p. 75 [A la recherche du temps perdu, IV, cit., p. 60: «Pour que la mort d'Albertine eût pu supprimer mes souffrances, il eût fallu que le choc l'eût tuée non seulement en Touraine, mais en moi. Jamais elle n'y avait été plus vivante»]. 100. Cfr. ivi, p. 76 [A la recherche du temps perdu, iv, cit., p. 61].

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completamente nuova, quella di un amaro e profondamente malinconico "senno di poi"101. Un carattere di attesa pervade, dunque, anche le pagine successive alla morte di Aibertine. Il motivo del perdurare di questo stato di sospensione è da ricercare non soltanto nel riaffiorare dei ricordi ma anche in un'altra attività che occupa, parallelamente, il Narratore nella lunga fase di elaborazione del lutto: si tratta della ricerca della verità sul conto di Aibertine, sulle sue relazioni, sul suo passato, sui suoi possibili tradimenti. I risultati ambigui e poco convincenti delle indagini impediscono al Narratore di chiudere definitivamente la porta della relazione con Aibertine. Il suo personaggio resterà in questo senso eternamente sospeso in uno stato di irrisolta attesa della verità: Aibertine, «emblema della verità che sfugge» 101 , resterà être de fuite anche dopo la sua morte. La difficoltà e il ritardo del Narratore proustiano nel mettere la parola "fine" alla sua attesa evidenziano un aspetto molto interessante e per nulla scontato dell'attesa amorosa, ovvero la resistenza del soggetto ad affrancarsi dalla sua condizione di innamorato che aspetta. A qualcosa di non molto dissimile si riferiva Roland Barthes negli appunti preparatori al corso sul Discours amoureux, quando parlava dell'attesa amorosa come una forma di dipendenza assoluta non soltanto dall'oggetto amato ma anche dalla stessa azione dell'aspettare e del «non aspetto più!» come unico possibile «canto di vittoria definitiva dell'innamorato»103, finalmente libero dalla sua condizione di soggetto in attesa. Thomas Mann fornisce una chiave di lettura particolarmente penetrante di questo fenomeno, che preferisce leggere come una sorta di "nostalgia dell'attesa". Si tratta di quella «vaga tristezza esistenziale» che coglie l'innamorato a pochi passi dalla meta, nella vigilia del giorno tanto atteso, desiderato, immaginato, e che è insieme trepidazione per il nuovo, paura del cambiamento ma anche malinconia del distac-

101. Si veda, ad esempio, il ricordo dell'attesa del ritorno a casa di Aibertine, scandita dalla musica di Wagner (cfr. ivi, IV, p. 84; A la recherche du temps perdu, IV, cit., p. 67), già raccontata nella Prigioniera (cfr. ivi, HI, p. 555; A la recherche du temps perdu, IV, cit., p. 664). 102. K. Haddad-Wotling, L'illusion qui nous frappe. Proust et Dostoïevski. Une esthétique romanesque comparée, Champion, Paris 1995, p. 435 (trad. mia). 103. Barthes, Le discours amoureux, cit., p. 478.

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co da una condizione che è stata si fonte di sofferenza ma anche culla di progetti, sogni e speranze. La fine dell'attesa significa infatti anche il definitivo ingresso nella vita adulta. Cosi Giacobbe spiega a sé stesso, nelle parole di Mann, quello strano tormento, misto di eccitazione e tristezza, che legge nei giorni prima delle nozze negli occhi di Rachele e che riconosce anche nel suo stesso stato d'animo: Che cosa la tormentava? Giacobbe non riusciva a capirlo, sebbene anch'egli fosse allora molto spesso malinconico. Piangeva forse sul suo stato virginale, poiché il tempo della sua fioritura volgeva al termine ed ella doveva diventare un albero che porta frutti ? Si sarebbe allora trattato di quella vaga tristezza esistenziale che non è affatto incompatibile con la felicità e che anche Giacobbe in quel tempo provava spesso104. Un secondo motivo di nostalgia che coglie l'innamorato nel momento del traguardo, o appena prima, è legato, più nello specifico, alla dinamica stessa del desiderio amoroso: la felicità che si prova nel realizzarsi dell'evento tanto atteso non può mai corrispondere alla felicità piena, limpida e priva di ombre che ci si era prefigurati immaginandolo. Senza arrivare agli esiti proustiani, che negano ogni possibilità di incontrare, nella realizzazione, una soddisfazione possibile solo nell'immaginazione, colpisce come anche il narratore manniano colga nello stato d'animo di Giacobbe, il giorno delle nozze, quell'inevitabile mutamento che avviene nella percezione della felicità quando essa dal piano "divino" dell'immaginazione e della prefigurazione si "incarna" nella vita reale assumendo la «pesantezza del corpo» : Cercava di rallegrarsi della sua vittoria sul tempo, l'amaro tempo dell'attesa [...]. Ma con la felicità avviene come con l'attesa della felicità, che quanto più dura tanto meno è solo attesa ma si mescola con le necessità dell'esistenza, le occupazioni, gli affari. E quando arriva finalmente la felicità attesa, un'atte-

104. Mann, Giuseppe e i suoi fratelli, I, cit., p. 38 \Joseph und seine Brüder, cit., p. 109: «Was hatte sie auf dem Herzen? Jaakob verstand es nicht, obgleich auch er damals oft traurig war. Trauerte sie um ihr Magdtum, weil nun die Zeit ihrer Blüte zur Neige ging und sie ein Baum sein sollte, der Früchte trug? Das wäre jene Lebenstrauer gewesen, die keineswegs unvereinbar ist mit dem Glück und die Jaakob zu jener Zeit häufig empfand»]. Sul pianto di Rachele come presentimento di un'ulteriore e più dolorosa attesa cfr. anche A. De Luca, Scritto nella pietra. La lettura della Bibbia nel romanzo di Thomas Mann, Laterza, Roma-Bari 2004, pp. 99-100.

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sa spesa nel lavoro e nell'attività, essa non è più composta di materia divina come appariva quando era futuro ma è divenuta presente calato nella corporeità e ha la pesantezza del corpo, come tutto ciò che vive. [...] Quando la felicità diventa vita calata nella corporeità, corporea si fa anche l'anima che la aspettava105. Il carattere ingannevole della fine dell'attesa non si limita però, in Mann, a restare un elemento di tipo simbolico ed emotivo, legato cioè all'inevitabile delusione che l'uomo prova al raggiungimento dei suoi agognati obiettivi. L'inganno si sposta, infatti, in questo caso, dal piano simbolico a quello della narrazione e prende corpo in un avvenimento chiave della storia: lo scambio di figlia da parte di Labano nella prima notte di nozze. Al risveglio dopo la lunga notte d'amore immaginata e attesa per sette anni, Giacobbe si volta ancora assonnato verso l'amata e scopre che sul talamo giace, al posto di Rachele, sua sorella Lia. L'attesa amorosa di Giacobbe non poteva conoscere un esito più amaro: Vi era distesa Lia. [...] Allora Giacobbe ci ripensò e comprese come durante quella notte aveva preso Lia per Rachele, e appoggiò il braccio alla parete e sul braccio la fronte, e pianse amaramente. Cosìrimasea lungo, con il cuore dilaniato, e ogni volta che gli si ripresentava il pensiero di come aveva creduto e conosciuto, come tutta la sua felicità era stata un inganno, come l'ora dell'adempimento, quell'ora per cui aveva servito e per cui aveva vinto il tempo, gli era stata profanata, era come se cuore e cervello gli si rovesciassero, e disperò della propria anima'06. 105. Ivi, 1, p. 355 \Joseph und seine Brüder, cit., p. 218: «Er trachtete, seines Sieges zu freuen über die Zeit, die bittere Wartezeit [...]. Aber mit dem Glücke ist es wie mit dem Warten darauf, welches, je länger es währte, desto weniger reines Warten war, sondern versetzt mit Lebenmüssen und geschäftlicher Strebsamkeit. Kommt nun das tätig erwartete Glück, so ist es auch nicht aus Götterstoff, wie es in der Zukunft schien, sondern ist leibliche Gegenwart worden und hat Leibesschwere, wie alles Leben. [...] Ist nichts anderes mehr als der Lieb mit ölgetränkten Poren, zu dessen Sache das einst ferne und selige Glück nun geworden»]. 106. Ivi, 1, p. 365 [Joseph und seine Brüder, cit., p. 224: « D a war's Lea. [...] Da dachte Jaakob nach und besann sich, wie er sie für Rahel gehalten diese Nacht, und ging hin an die Wand und legte den Arm daran und die Stirn auf den Arm und weinte bitterlich. So stand er eine längere Weile, zerrissenen Gefühls, und jedesmal, wenn sich ihm der Gedanke erneuerte, wie er geglaubt und erkannt hatte, wie all sein Glück nur Trug gewesen und ihm die Stunde der Erfüllung geschändet worden war, für die er gedient und die Zeit besiegt hatte, so war ihm, als wollte sein Magen und Hirn sich umkehren, und er verzweifelte an seiner Seele»].

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La scoperta dell'alba rappresenta per Giacobbe molto più di un'attesa delusa. Nel suo stato d'animo, ancora poco lucido a causa della stanchezza e del risveglio traumatico, si affolla una temperie di pensieri e di sensazioni: non soltanto la rabbia per aver subito un inganno, ma anche la sensazione di aver pagato, in questo modo, la colpa di aver ingannato in passato, a sua volta, suo fratello Esaù107; non soltanto il dolore di aver tradito involontariamente l'amata Rachele108 ma anche il disorientamento di scoprire dentro sé stesso una pericolosa scissione tra desideri del corpo e desideri dell'anima che quella notte di passione mal direzionata ma autentica gli ha rivelato109. Non potendo qui dedicare alla molteplicità di pensieri che affiora nella mente di Giacobbe l'attenzione che meriterebbero queste intense e meravigliose pagine manniane, va però almeno notato come nel suo caso il ruolo dell'inganno non sia soltanto quello di allungare genericamente l'attesa, ma anche di moltiplicarla in modo quasi simmetrico come in un inquietante gioco di specchi. Il rigore nella periodizzazione tipico del narrare manniano - che poi si fa chiaro richiamo, nel caso della tetralogia, all'attenzione biblica per la simbologia dei numeri - definisce molto bene questo moltiplicarsi del segmento'di attesa in altre due estensioni di tempo di quasi uguale misura. Ai sette anni già spesi da Giacobbe al servizio di Labano, si aggiungono infatti immediatamente, il giorno stesso delle nozze, altri sette anni che Giacobbe dovrà trascorrere nuovamente al suo servizio per poter prendere in moglie la "vera" Rachele: «anche per la seconda figlia tu mi devi servire tanto a lungo quanto per la prima» 110 ,

107. È questa l'accusa che Labano muove a Giacobbe (cfr. ivi, I, p. 369; Joseph und seine Brüder, cit., p. 227) mentre questi si era illuso di aver già pagato la colpa nei confronti del fratello Esaù con i duri anni di attesa. 108. Ibid. 109. Sebbene i suoi sentimenti fossero rivolti, nella notte delle nozze, interamente e ingenuamente a Rachele, Giacobbe non può dimenticare come d'altra parte Lia fosse stata « tutta la notte una compagna stupenda, grande nella voluttà e vigorosa nel generare», ivi, I, p. 364 \Joseph und seine Brüder, cit., p. 224: «eine herrliche Gesellin diese ganze wehende Nacht hindurch, groß in der Wollust und rüstig zu zeugen»]. Di qui la natura enigmatica della maternità del primo figlio di Giacobbe, Ruben, generato "con Rachele" eppure cresciuto nel ventre della sorella (cfr. ivi, 1, p. 374-,Joseph und seine Brüder, cit., p. 230). no. Ivi, 1, p. 371 [Joseph und seine Brüder, cit., p. 228: «Dienen sollst du mir auch für das zweite Kind, so lange als für das erste»].

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aveva infatti imposto Labano, stabilendo con il genero un nuovo contratto, il terzo dal suo arrivo. Parlare di attesa per questi secondi sette anni non sembrerebbe adeguato, dal momento che questa volta a Giacobbe viene data la possibilità di prendere immediatamente in moglie Rachele per evitare che la sua età si faccia troppo elevata per generare dei figli. Eppure, ancora una volta, il testo ci sorprende: l'unione tra Giacobbe e Rachele, tanto sospirata e infine avvenuta, non pone fine al Wartezeìt. Le loro nozze danno inizio a una nuova, lunghissima, estenuante e dolorosa attesa, quella di un figlio, destinata a durare ben tredici anni (i sette del nuovo contratto più altri sei ulteriori). Se si inizia a contare dal giorno del primo accordo con Labano, la settennale attesa d'amore di Giacobbe per Rachele si rivela, dunque, lunga vent'anni: sette + sette + sei. La moltiplicazione dell'attesa d'amore passa dunque, oltre che per l'inganno, per un'ulteriore prova: quella della sterilità. Al contrario della sorella Lia, che sembra nata per generare figli, Rachele sembra affetta da un'inguaribile sterilità, la stessa che, secondo un principio di Wiederholung wagneriana e di ripetizione mitica, aveva riguardato le sue "antenate" bibliche Sara e Rebecca, mogli di Abramo e di Isacco1'1. L'attesa di generare figli reitera, nella storia dei personaggi, quei meccanismi che essi hanno imparato a conoscere durante i primi sette anni, con la differenza che, contrariamente a quanto accaduto per la prima, la durata di questa nuova attesa non può essere stabilita da alcun contratto e può, in linea teorica, non concludersi mai, almeno fino a quando le condizioni fisiche di Rachele permettono di nutrire speranze. A caratterizzare questa attesa, accanto alla malinconia e all'invidia di Rachele nei confronti della sorella prolifica, è anche il martellante ripetersi degli interrogativi di Giacobbe rispetto all'ulteriore prova richiesta al loro travagliato rapporto. La mentalità veterotestamentaria che sopravvive nel Giacobbe manniano non può che attribuire la colpa a un Dio geloso, un Dio così vicino all'uomo da provarne gli stessi sentimenti e con il quale proprio per questo Giacobbe si trova, continuamente, a lottare. Quest'ulteriore attesa rappresenterebbe dunque un castigo nei confronti di Giacobbe per il suo amore incondizionato, arbitrario e fiero per Rachele, così assoluto da risultare troppo vicino all'idolatria. Una predilezione che si proietm . Cfr. Cambi, "Giuseppe e i suoifratelli" di Thomas Mann, cit., p. 201.

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terà, da Rachele, sul suo primogenito Giuseppe e che sarà pregna di conseguenze nella storia di cui l'attesa di Giacobbe non rappresenta che l'anticipazione e il prologo. Proprio con la nascita di Giuseppe, nel ventesimo anno dal giorno in cui è iniziata, può dirsi infine conclusa l'attesa di Giacobbe e di Rachele, ormai trentunenne. A questo punto, chiosa il narratore, l'attesa non sarebbe potuta durare nemmeno «un'ora o una mezz'ora di più » : Fidente aveva aspettato sette anni insieme con Giacobbe e poi per tredici anni, incomprensibilmente, era stata delusa. Ma ora che la natura le concedeva infine ciò che aveva tanto agognato, lo faceva a un prezzo davvero orribile [...]. Trentasei ore, da mezzanotte a mezzogiorno e poi ancora un'intera notte fino al nuovo mezzogiorno, durò la terribile opera della natura; fosse durata solo un'ora o una mezz'ora di più, avrebbe esalato l'ultimo respiro"1.

uz. Mann, Giuseppe e i suoifratelli, l, p. 397 \Joseph und seine Brüder, cit., p. 151: «Sieben Jahre hatte sie mit Jaakob gewartet im Glauben und war dann dreizehn Jahre lang unbegreiflich enttäuscht worden. Nun aber, da die Natur ihr das Ersehnte denn endlich zugestand, tat sie's zu so gräßlichem Preis [...]. Sechsunddreißig Stunden, von Mitternacht zu Mittag und wieder durch eine ganze Nacht bis zu anderem Mittag, währte das Schreckenswerk, und hätte es nur noch eine Stunde oder eine halbe gewährt, so wäre der Atem ihr ausgegangen»].

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3 Lo spazio sensibile: scenografie dell'attesa amorosa La casa vede, veglia, sorveglia, attende. '

G. Bachelard, La poetica dello spazio

3-i

La gestione dello spazio e della distanza 3.I.I. A T T E S E INPRAESENTIA,

ATTESE

INABSENTIA

All'origine di ogni attesa d'amore vi è uno spazio: quello della distanza che separa chi attende da chi è atteso. Sin dall' amor de lonh della poesia trobadorica, la rappresentazione letteraria dell'attesa amorosa è fondata sull'idea di una distanza, difficile da percorrere o talvolta volutamente incolmabile, tra un io e un tu. Tale distanza non va intesa, è chiaro, esclusivamente nei termini di una lontananza geografica. Tanto nella finzione letteraria quanto nella realtà delle relazioni umane, lo spazio che separa X io e il tu può prescindere dal suo significato letterale per assumere invece un senso più ampio e all'occorrenza metaforico. La distanza può allora essere intesa come lo spazio occupato dall'impedimento o dall'ostacolo, interno o esterno alla coppia, deciso o subito, che separa chi aspetta da chi è atteso. In relazione all'idea di spazio si possono dunque distinguere innanzitutto due diverse situazioni di attesa amorosa, entrambe prolifiche sul piano letterario: quella in cui una distanza fisica o geografica separa l'io che aspetta dal tu che è atteso e quella in cui l'attesa è determinata da un ostacolo di natura diversa. Nel primo di questi casi - che si potrebbe definire di attesa in absentia - lo spazio occupato da chi aspetta non coincide con quello vissuto da chi è atteso. L'attesa d'amore è in questo caso strettamente legata ai concetti di assenza e di lontananza. L'assenza della persona amata dalla scena dell'attesa stimola l'immaginazione e provoca sentimenti tipici della lontananza, quali la nostalgia e il ricordo ma anche il sospetto, la gelosia, la rabbia.

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Sono situazioni di attesa in praesentia quelle in cui, al contrario, 10 spazio di chi attende coincide con lo spazio di chi è atteso. L'attesa non è determinata in questo caso dalla lontananza della persona amata, bensì dall'impossibilità di possederla. La vicinanza fisica ma inaccessibile dell'amato/a spiega il carattere dolcemente estenuante di questa seconda tipologia di attesa, che si configura come un faticoso e quotidiano esercizio di pazienza. L'attesa biblica di Rachele raccontata da Thomas Mann è un esempio romanzesco significativo e paradigmatico di attesa in praesentia. 11 tratto peculiare, se non addirittura anomalo, dell'attesa vissuta da Giacobbe consiste nel fatto che i sette anni di attesa si compiano per i due cugini nella vicinanza e nella condivisione : « erano anni che avrebbe trascorsi nella vicinanza di Rachele e ciò illuminava di grande gioia d'amore il suo sacrificio» 1 , specifica il narratore indovinando i pensieri del giovane Giacobbe. A impedire la sua unione con Rachele non è la lontananza fisica né una mancanza di reciprocità del sentimento amoroso ma sono le condizioni poste da Labano, uomo crudele e «privo di immaginazione»2, nel contratto di matrimonio offerto, o meglio imposto, a Giacobbe. La presenza costante di Rachele al suo fianco rappresenta certo per Giacobbe una prova difficile ed estenuante; il senso forte della promessa che si respira nelle dense pagine di questo primo volume della tetralogia sembra tuttavia addolcire il suo sacrificio. E quanto suggerisce il narratore manniano nel porre l'accento su due caratteristiche dell'attesa d'amore di Giacobbe piuttosto rare da incontrare in altre rappresentazioni letterarie di attese in praesentia. La prima di queste consiste nella reciprocità dell'attesa. L'unica fonte di consolazione di Giacobbe consiste nel vedere la trepidazione della sua attesa specchiata nella donna che, come lui, «aspettava nel tempo»'. Sebbene il testo metta volontariamente l'accento sulla diversa intensità di sofferenza che distingue il modo di vivere l'attesa di Rachele - il peso dell'attesa è inversamente proporzionale al numero 1. Mann, Giuseppe e i suoifratelli, I, cit., p. 313 \Joseph und seine Brüder, cit., p. 194: « waren es Jahre, die er in Raheis Nähe verbringen sollte, und das breitete große Liebesfreunde über das Opfer»]. 2. Cfr. ivi, l, p. 313 [Joseph und seine Brüder, cit., p. 195]. 3. Ivi, 1, p. 324 [Joseph und seine Brüder, cit., p. 201: «Rahel, die ebenfalls wartete in der Zeit»].

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di anni che le restano da vivere4 - da quello più sereno e fiducioso di Giacobbe, la loro attesa amorosa non può essere letta se non nei termini di un'esperienza pienamente corrisposta. «Tu aspetti me come io aspetto te» 5 è la formula perfettamente simmetrica, il ritornello sincero e rassicurante che Giacobbe sussurra all'orecchio di Rachele per rinnovare, nello scorrere dei giorni, la promessa reciproca. La seconda caratteristica dell'attesa in praesentia vissuta da Giacobbe consiste in quella che si potrebbe definire come la garanzia dell'esclusività. Se la gelosia è uno dei sentimenti tipici e più naturali dell'innamorato che aspetta, Giacobbe non ha motivo di provarne nei confronti di Rachele. La sua condizione, in questo senso diametralmente opposta a quella del Narratore proustiano, è quella di un amante sicuro del buon esito della propria attesa. Una sicurezza che poggia su una duplice consapevolezza: alla fiducia di essere riamato dalla giovane figlia di Labano si aggiunge infatti per Giacobbe la garanzia di essere legato alla fanciulla, in virtù del contratto debitamente firmato, da un punto di vista non soltanto sentimentale ma anche giuridico. Il narratore manniano mette bene in luce questo elemento, passando peraltro, con la consueta maestria, da un registro puramente letterario al linguaggio tecnico della materia in questione : « dal primo giorno dell 'entrata in vigore del contratto - egli spiega - Rachele gli era giuridicamente promessa e vincolata e nessun altro uomo avrebbe potuto avvicinarla senza rendersi colpevole, come se avesse sedotto una donna maritata»6. Se l'attesa d'amore raccontata da Thomas Mann può essere considerata come un caso emblematico di attesa in praesentia, le attese 4. Ibid.-, « M a per lo più era Rachele che doveva essere consolata, perché il tempo per lei era più lungo, e più duro a sopportare per la sua anima; ella infatti non sarebbe vissuta centosei anni, ma solo quarantuno, così che sette anni contavano per la vita di lei più del doppio che per la vita di lui» [Joseph und seine Brüder, cit., p. 201: «Doch meistens war es Rahel, die getröstet sein mußte, denn die Zeit war ihr länger und kam ihrer Seele härter an, da sie nicht hundertundsechs Jahre alt werden sollte, sondern nur einundvierzig, so daß sieben Jahre mehr als doppelt so viel waren vor ihrem Leben wie vor seinem»]. 5. Ivi, 1, p. 325 [Joseph und seine Brüder, cit., p. 202: «In Geduld und Ungeduld meiner harrest, wie ich deiner»]. 6. Ivi, I, p. 313 [Joseph und seine Brüder, cit., p. 194: «vom ersten Tage an der Vertragserfüllung Rahel ihm rechtlich verlobt und verbunden sein würde, so daß kein anderen Mann sich ihr würde nähern dürfen, ohne sich ebenso schuldig zu machen, als verleitete er eine Ehefrau»].

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amorose della Recherche costituiscono nel loro insieme un modello imprescindibile - probabilmente il più significativo del Novecento di attesa in absentia. Il lettore proustiano sa bene che nella mancata realizzazione del sentimento amoroso, nell'impossibilità di raggiungere l'oggetto del proprio desiderio, risiede il senso ultimo di ogni amore della Recherche: l'assenza della persona amata si rivela così il vero e proprio motore non soltanto dell'attesa ma dello stesso sentimento amoroso. Tra l'io che aspetta e il tu che è atteso si inserisce, per Proust, una distanza incolmabile e impenetrabile: la non coincidenza tra lo spazio di chi aspetta e lo spazio di chi è atteso diventa in questo senso la chiave di lettura, suggerisce Georges Poulet, di tutti gli amori, reali o potenziali, della Recherche7. Se è possibile leggere l'opera di Proust come la ricerca non soltanto di un tempo ma anche di uno spazio perduto8, la distanza tra chi attende e chi è atteso si configura come un abisso negativo e vuoto che rende impossibile il ricongiungimento con l'altro. L'assenza della persona amata è fonte, in questo senso, della più forte angoscia e non potrebbe essere altrimenti in un'opera come quella proustiana costruita tutta intorno al dfamma dell'esclusione: dai luoghi, dai divertimenti, dai piaceri e persino dai pensieri altrui. Basterebbe sostituire alle parole "essere desiderato" ed "essere che desidera" del brano riportato qui di seguito le espressioni "essere atteso" ed "essere che attende" per comprendere come nella «non-identità di luoghi », messa così bene in luce da Poulet, finisca per condensarsi anche il senso di ogni attesa in absentia proustiana:

L'angoscia dipende dunque essenzialmente da questa non-identità dei luoghi rispettivamente occupati dall'essere desiderato e l'essere che desidera, dallo scarto bruscamente percepito fra il luogo in cui l'uno si scopre solo, ed il luogo in cui suppone che l'altro si trovi e si diverta. Fra l'uno e l'altro di questi luoghi si scopre un abisso9.

7. Cfr. G. Poulet, Lo spazio di Proust, Guida, Napoli 1972 (ed. or. 1963), p. 47: «Siamo qui. L'essere amato è là. Fra questi due luoghi non c'è ponte, non c'è comunicazione, nient'altro che una specie di rifiuto tacito, universale ed anonimo, opposto dallo spazio al ravvicinamento e alla congiunzione degli esseri». 8. Cfr. ivi, p. 14. 9. Ivi, p. 48 (corsivo mio).

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Causa di un'angoscia profonda e incolmabile, la distanza, non va dimenticato, si configura però anche come vera e propria fonte del sentimento amoroso, come motivo di rinnovamento e di incoraggiamento del desiderio dell'altro. Lungi dall'essere esclusivamente scarto, separazione, abisso, la sottrazione dell'essere amato dalla propria vista è infatti da sempre motivo di accrescimento del desiderio e, allo stesso tempo, di ispirazione poetica. Ogni attesa in absentia va intesa, in questo senso, come un vero e proprio elogio della lontananza10. Nel caso di Proust, l'assenza sulla scena della persona amata, dunque la sua mancanza di corporeità, si fa non soltanto motivo di angoscia ma anche stimolo all'immaginazione. Il senso dell 'altrove è sempre fortemente presente nei pensieri del Narratore, affetto da una sorta di impossibilità cronica di godere dell'hic et nunc. La sua insaziabile curiosità di geloso, unita a un'inamovibile apatia - ereditaria se si pensa agli anni di immobilismo della zia Léonie - , lo costringe a sviluppare ulteriormente, come una forma estrema di compensazione, la predisposizione naturale per l'immaginazione. Uno dei risultati di questo instancabile esercizio mentale consiste nella costante compresenza, sulla pagina proustiana, di due o più luoghi allo stesso tempo. Il lettore si trova infatti costretto a oscillare continuamente tra due spazi dell'attesa: quello reale - che coincide quasi sempre, come si vedrà nel paragrafo che segue, con le quattro pareti domestiche - e quello immaginato, fluttuante, mutevole, frutto della fantasia del Narratore, dal quale entrano ed escono, senza sosta, luoghi, paesaggi e personaggi. Questi ultimi, si sa, sono sempre associati, nella mente del Narratore, a un particolare luogo o paesaggio: poco importa, nello stratificato sistema di segni proustiano, che si tratti di luoghi reali o immaginati, perché il meccanismo associativo non cambia". Questo tipico meccanismo proustiano entra pienamente in gioco nel caso di Albertine. Durante la concitata attesa del suo ritorno dopo la "fuga" da casa, il Narratore è tormentato da un dilemma: meglio riuscire a scoprire il luogo in cui si trova Albertine o continuare a ignorare la sua io. Sulla lontananza come fonte inesauribile dell'amore e sorgente di ispirazione poetica, cfr. A. Prete, Trattato della lontananza, Bollati Boringhieri, Torino 2008, in particolare il capitolo Amore di terra lontana. n. Per la sistematica compresenza di luoghi nella Recherche e per il loro rapporto associativo con i personaggi cfr. Poulet, Lo spazio di Proust, cit., pp. 34 ss. e Genette, Proust palinsesto, cit., pp. 55 ss.

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precisa collocazione ? In altre parole, si soffre di più quando si conosce la verità delle cose - dei luoghi, delle persone, delle relazioni - o quando ci si limita a immaginarle senza avere conferma del loro statuto di realtà? Il dilemma, che è poi quello tipico del geloso, permette di mettere a fuoco un punto centrale, e assai interessante, del sistema di attese in absentia proustiane: la spazializzazione del sentimento amoroso. 3.1.2. L'ATTESA RIFLESSA: CARTOGRAFIE SENTIMENTALI

Nel rappresentarmi la casa in cui abitava Albertine avevo forse pensato che non potessero esserci nérimessa,né salotto? No, non me l'ero rappresentata per niente, o come un luogo indefinito. Avevo sofferto una prima volta quando il luogo dove lei stava si era individualizzato geograficamente, quando avevo saputo che, anziché essere in due o tre posti possibili, lei era in Touraine; le parole della portinaia avevano impresso nel mio cuore come su una mappa il punto in cui alla fine bisognava soffrire11. «Nel mio cuore come su una mappa»: nel sistema degli amori proustiani vi è una piena corrispondenza tra corpo, stato d'animo e spazio geografico. L'io che soffre nell'attesa cerca di placare il senso di inquietudine e di esclusione dedicandosi a indagini accurate che mirino a svelargli finalmente la verità sul luogo in cui si trova l'altro. Una volta nota, la sua individuazione geografica non fa, tuttavia, che acuire terribilmente il dolore, dandogli un nome e localizzandolo in un posto preciso dello spazio - e dello spazio interiore. Già nella Prigioniera Proust individuava nella relazione tra spazio interiore ed esteriore un elemento chiave del sentimento amoroso: « E questo l'amore: lo spazio e il tempo resi sensibili al cuore» è la frase, asciutta ed evocativa a un tempo, in cui si condensa la teoria dell'amore proustiana'3. È però nelle pagine di Albertine scomparsa che la

il. Proust, Alla ricerca del tempo perduto, IV, cit., p. 69 [A la recherche du temps perdu, iv, cit., p. 54 (corsivo mio): «Je m'étais donc représenté la maison où habitait Albertine comme ne pouvant posséder ni hangar ni salon? Non, je ne me l'étais pas représenté du tout, ou comme un lieu vague. J'avais souffert une première fois quand s'était individualisé géographiquementle. lieu où elle était, quand j'avais appris qu'au lieu d'être dans deux ou trois endroits possibles, elle était en Touraine; ces mots de sa concierge avaient marqué dans mon cœur comme sur une carte la place où il fallait enfin souffrir » ]. 13. Ivi, III, p. 806 [A la recherche du temps perdu, ni, cit., p. 887: «L'amour c'est l'espace et le temps rendus sensibles au cœur»].

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spazializzazione dei sentimenti - dall'attesa iniziale al graduale processo di oblio - occupa un ruolo di primo piano, tale da far pensare a un'esatta corrispondenza tra geografia reale e geografia del cuore, dunque a una vera e propria cartografia amorosa. Le pagine di Albertine scomparsa sono costellate di riferimenti topografici e cartografici che corrispondono a percezioni fisiche e stati emozionali. Ogni nome di città o di regione indicato sulla carta della Francia è un segno che rimanda« fa riaccendere un determinato sentimento nell'interiorità del Narratore14: la Touraine risveglia la gelosia più pungente mentre la Normandia conduce a uno stato di nostalgica tristezza; la città di Tours sembra agire invece direttamente sul sistema circolatorio accelerando il battito cardiaco'5. Il discorso si fa immediatamente più complesso se ai riferimenti topografici espliciti - nomi di città e regioni - si prova ad aggiungere una seconda categoria di riferimenti costituita dalle numerose metafore geografiche e cartografiche a cui Proust ricorre nel testo. Il lento e sofferto passaggio dal dolore all'oblio è percepito infatti dal Narratore come una vera e propria strada, una linea, un tragitto. Che lo si percorra in una direzione (dall'indifferenza al desiderio all'amore) o in quella opposta (dall'attesa all'oblio all'indifferenza), l'amore si rivela nient'altro che un lento e accidentato percorso da e verso l'indifferenza, costellato da faticose tappe intermedie. Per tornare all'indifferenza iniziale bisogna dunque che l'innamorato, «come un viaggiatore che torna per la stessa strada al punto da cui è partito»' 6 , ritorni pazientemente sui suoi passi ripercorrendo a ritroso, seppur con inevitabili varianti17, tutti i sentimenti già provati nel percorso di innamoramento. "Indifferenza", "oblio", "paesi", "tappe", "tragitto": l'insistenza, martellante e precisa, del testo proustiano su questi termini farebbe quasi 14. Per il valore di segno affidato ai nomi propri si veda il famoso saggio di R. Barthes, Proust e i nomi, in là., Il grado zero della scrittura, Einaudi, Torino 2003, pp. 118-31. 15. Cfr. Proust, Alla ricerca del tempo perduto, IV, cit., p. 151 [A la recherche du temps perdu, IV, cit., p. 122]. 16. Ivi, p. 171 [A la recherche du temps perdu, IV, cit., p. 138: «comme un voyageur qui revient pour la même route au point d'où il est parti»]. 17. La strada dell'andata non potrà mai coincidere con quella del ritorno «perché l'oblio non avanza più regolarmente dell'amore», ivi, p. 172 [A la recherche du temps perdu, iv, cit., p. 139: «parce que l'oubli pas plus que l'amour ne progresse pas régulièrement » ].

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pensare a un caso di intertestualità con una fonte celebre e sicuramente nota all'autore della Recherche. Si tratta della "Carte du Pays de Tendre", descritta da Madeleine de Scudéry nelle pagine di Clélie, histoire romaineli, rappresentazione grafica, raffinata e naif a un tempo, del percorso che secondo l'eroina del romanzo ogni uomo o donna deve compiere per giungere alla pienezza del rapporto amoroso. Nella mappa, destinata a un'incredibile fortuna mondana e iconografica'9, pari forse solo a quella di alcune icone pop novecentesche, sono rappresentate, sotto forma di fiumi, laghi, mari, paesi e colline, tutte le fasi del sentimento amoroso: dall'amicizia al corteggiamento alla tenerezza. Ai lati della via principale da seguire per giungere all'amore, la carta indica anche i sentieri sbagliati che un amante poco accorto potrebbe rischiare di intraprendere, finendo nel «Mare d'Inimicizia» o nell'opposto «Lago d'Indifferenza». Nella sua rappresentazione grafica il paesaggio si fa incarnazione del viaggio narrativo e contemporaneamente dell'itinerario emotivo del romanzo che vengono così meravigliosamente a coincidere10. Se non è questa la sede per addentrarsi in un confronto analitico delle corrispondenze tra i due testi, a tratti assai suggestive11, mi limiterò qui a suggerire come, in almeno un punto della Recherche, compaia un riferimento esplicito alla "Carte du Tendre". È significativo constatare come tale riferimento sia inserito, a questo punto non a caso, in un altro importante contesto di attesa amorosa in absentia: quella di Swann per Odette, momentaneamente lontana da Parigi perché partita con i Verdurin per la foresta di Compiègne. Non potrebbero esserci parole più adatte a mostrare come ogni attesa in absentia proustiana vada letta anche nei termini di una complessa mappatura dei sentimenti:

18. M. de Scudéry, Clélie, histoire romaine (1654-60), éd. critique par Ch. MoretChantalat, Champion, Paris 2001-05. 19. Cfr. G. Bruno, Atlante delle emozioni. In viaggio tra arte, architettura e cinema, ed. ic. a cura di M. N'adotti, Mondadori, Milano 2.006 (si veda in part. il cap. 7). 20. Cfr. ivi, p. 3. 21. Si pensi, ad esempio, al passo in cui il Narratore paragona il proprio cuore innamorato a un serbatoio aperto che l'indifferenza minaccia di chiudere ritrasformandolo in acqua stagnante. Come non pensare a un'allusione, sia pure inconsapevole, alle acque stagnanti del «Lac d'Indifférence» della "Carte" della Scudéry? Cfr. Proust, Alla ricerca del tempo perduto, IV, cit., p. 43 [A la recherche du temps perdu, IV, cit.,p. 34].

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Decisamente, era meglio non rischiare di guastarsi con lei, pazientare, attendere il suoritorno.Passava le giornate chino su una carta della foresta di Compiègne come se fosse stata la carta del Tenero22.

3.1 Scenografie intime e claustrofobiche: la camera da letto, la casa ristrutturata, la camera nuziale Nella vita quotidiana lo spazio dell'attesa si configura, il più delle volte, come una zona asettica e vuota, neutra e impersonale, caratterizzata dalla sola presenza di elementi di intrattenimento che aiutino a ingannare il tempo che vi si è costretti a trascorrere: basti pensare alle sale d'attesa di uffici o studi medici, che invitano alla lettura di riviste e settimanali, o ai binari dei treni e delle metropolitane, recentemente dotati di schermi che proiettano notizie e messaggi pubblicitari. Le rappresentazioni letterarie novecentesche dell'attesa non sono esenti da questa tendenza asettica e minimalista: vuoti o estremamente scarni sono i palcoscenici dei più famosi drammi dell'attesa, da Aspettando Godot di Beckett al Calapranzi di Pinter, deserti e desolati i paesaggi di alcuni dei romanzi in cui la dimensione dell'attesa gioca un ruolo fondamentale, come suggerisce il caso emblematico del Deserto dei Tartari di Buzzati. Anche nel caso dell'attesa amorosa lo spazio si connota in modo del tutto peculiare e specifico. Per ricorrere ancora una volta alle parole di Roland Barthes, si potrebbe dire che vi è una vera e propria "scenografia" dell'attesa amorosa2'. L'innamorato organizza infatti la propria attesa non soltanto dal punto di vista cronologico - suddividendo la durata dell'attesa in singole unità di tempo - ma anche dal punto di vista scenico e spaziale. Colui che attende il più delle volte privilegerà per la propria attesa luoghi intimi e solitari, privati, domestici. Pur confermando il tratto

22. Ivi, I, cit., p. 357 [A la recherche du tempsperdu, 1, cit., p. 290: «Il valait mieux ne pas risquer de se brouiller avec elle, patientet, attendre son retour. Il passait ses journées penché sur une carte de la forèt de Compiègne, comme si ., A la recherche du temps perdu (1913-27), texte établi sous la direction de J Milly, Garnier Flammarion, Paris 2009. p r o u s t m . , S C U D É r y m . d e , Clélie, histoire romaine (1654-60), éd. critique par Ch. Moret-Chantalat, Champion, Paris 2001-05. s c h ö n b e r g a . , Erwartung: Monodram, op. 17 (1909), Dichtung von Marie Pappenheim, Universal Edition, 1950.

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Biblioteca Comunale