La musica, il tempo, l'eterno nella Recherche di Proust [PDF]

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Zitiervorschau

LUIGI M A G N A N I

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LA MUSICA, IL TEMPO, L'ETERNO NELLA «RECHERCHE» DI PROUST Con un disegno di Giacomo Mani^ù

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•RICCARDO RICCIARDI E D I T O R E MILANO • NAPOLI MCMLXVII

L A M U S I C A , IL T E M P O , L ' E T E R N O N E L L A « R E C H E R C H E » DI PROUST

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LUIGI

MAGNANI

LA MUSICA, IL T E M P O , L ' E T E R N O NELLA «RECHERCHE» DI P R O U S T Con un disegno di Giacomo Man^ù

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RICCARDO RICCIARDI

EDITORE

M I L A N O • NAPOLI MCMLXVII

B.3M

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per mia Madre J e m e m i s à p a r l e r d e philosophie, sur le ton le p l u s i n d i f f é r e n t , en m ' a r r a n g e a n t c e p e n d a n t p o u r q u e m a g r a n d ' m è r e f i t attention à m e s paroles, j e dis q u e c'était curieux, q u ' a p r è s les dernières découvertes d e la science, le m a t é r i a l i s m e s e m b l a i t r u i n é , et q u e le plus p r o b a b l e était encore l'éternité des à m e s et l e u r f u t u r e réunion. Proust

Le citazioni delle opere di Proust sono tratte dalle seguenti edizioni Gallimard: Swann = Du coté de chei Swann (1913J Jeunesfilles = A l'ombre des jeunesfillesenfleurs (1919) Guermantes = Le coté de Guermantes (1921) Sodome = Sodome et Gomorrhe (1922) La prisonnière (1923)

Albertine dispariie (1925) Temps retrouvé = Le Temps retrouvé (1927) Jean Santeuil (1952)

PREMESSA

I

L Narratore della Recherche, in cui Proust s'identifica, ci

confida che quando, ragazzo, cercava per la sua opera futura un sòggetto che fosse degno di poter assurgere a un significato filosofico infinito, il suo spirito, come colto da paralisi, si ottenebrava ed egli non scorgeva dinnanzi a sé che il vuoto in luogo dell'Idea, sì da convincersi di non possedere genio e da rinunciare, scoraggiato, ai suoi sogni letterari. Non era infatti in virtù di una formula astratta che poteva sorgere l'opera concreta nella sua verità emotiva. Anche per lui, come per Faust, «im Anfang war die Tat», in principio era l'azione, un'anione che, come il logos che essa intende tradurre, è insieme pensiero e parola, concetto ed espressione. Sarà appunto soltanto nell'atto di comporre la sua opera che si andrà chiarendo alla coscienza di Proust l'Idea che già albergava nel suo petto e che stimolandolo al lavoro, infondendogli entusiasmo creativo, segretamente lo ispira e lo guida. Mediante e lungo questo suo fare, operando su di una realtà che sembra non avere alcun rapporto con il mondo del possibile (tanto più ricco al confronto, e a lui più aperto di quello della contingenza reale)' egli creerà questo possibile nello stesso tempo in cui va creando il reale. L'Idea ispiratrice, il tema generatore, il possibile, apparirà infatti e si renderà conoscibile post factum e, come Proust dice del passato, non si attualizzerà «qu'après l'avenir».^ Come il passato può essere ritrovato quando «le miroir du présent» si volge a rischiararlo, così l'Idea apparirà manifesta quando si assumerà coscienza della compiuta totalità dell'opera, di cui essa è il raggiungimento finale e l'essenza. 1. Swann, n, p. 208; Guermantes, i, p. 10; La prisonnière, i, p. 30. 2. La prisonnière, i, p. 1 1 7 .

Lungo il suo fluire, la narrazione proustiana, non diversamente da una melodia, tenderà a sollevarsi sul puro divenire, a spogliarsi degli elementi secondari, a lasciar intravedere l'alveo in cui scorre, la struttura ideale od armonica che le soggiace, gli elementi della sintesi che gradualmente si renderà manifesta nel tempo e sul tempo. È infatti soltanto nel corso della sua durata che, come ebbe ad osservare Hindemith in una acuta indagine sulla fenomenologia sonora,' sarà dato di percepire il Zentralton, il tono fondamentale di una composizione musicale. L'orecchio non può anticipare gli eventi, ma soltanto stabilire e determinare dei fulcri armonici, delle precarie zone di influenza, destinate a lor volta a cedere e a dissolversi di fronte alla nota fondamentale, verso cui tutto converge, all'afFermazione cadenzale della tonica. Anche nella Recherche, che si svolge come la musica nel tempo, si alternano zone di influenza diverse, si susseguono e si intrecciano temi contrastanti, si riflettono le ambiguità e le incertezze che accompagnano l'avventura temporale della melodia, e similmente i suoi singoli elementi non restano isolati, tendono a ritrovare la loro unità interiore, a integrarsi in una totalità coerente. E sarà la complessità stessa, l'incertezza, la fugacità dei rapporti interni alla narrazione, a stimolare l'interesse del lettore, a esigere la sua partecipazione attiva a quel divenire creativo. Pur senza poter scorgere il velato disegno, afli'errare i temi fondamentali e definire i loro fuggevoli rapporti, i loro contrasti, il lettore può avvertirne l'operante presenza nella consonanza e nella dissonanza delle armonie, nella limpida eco che emana e si diffonde sulla densa e complessa composizione a formare una specie di melodia, a lei parallela come un discanto I . Cfr. P. HINDEMITH, Unterwdsung irti Tansat^, Mainz, Schott, 1937, Theoretischer Teil, Abschnitt v : Melodik, pp. 197 sgg., e L . MAGNANI, Poetica di Hindemith, in Le frontiere della musica, Milano-Napoli, Ricciardi, 1957, pp. 1 5 4 sgg.

nell'antica diafonia, ma in chiave soprana, che ne riflette i tratti essenziali, ne regola e ne guida dall'alto il cammino. Lungo il suo svolgersi imprevedibile e nuovo, il pensiero dominante tralucerà nella polifonia del tessuto verbale, si delineerà con sempre maggior precisione, sino ad emergere e risuonare infine scoperto nelle pagine estreme. Soltanto infatti quando l'opera si sarà fatta realtà il tema, che non la precede se non virtualmente, riflettendosi su di essa e conferendole retrospettivamente pienezza di significato, l'avrà preceduta. Tema del tempo nella cui inarrestabile corrente gli uomini sono fatalmente immersi; tempo in cui muore ma anche rinasce la vita, per sottrarsi al suo ordine e alle sue leggi, quando una sensazione già provata lo sia di nuovo nel presente e insieme nel passato, partecipe di entrambi; un tempo che sembra allora arrestare il suo corso, isolarsi, rivelarsi per un istante allo stato puro. Di questi rari momenti di rapimento e della beatitudine sopraterrestre che essi suscitano, di questi ineffabili sentimenti di certezza che accompagnano le resurrezioni della memoria e che fanno del Narratore un essere fuori del tempo, incurante dell'avvenire e della morte, la musica costituisce non soltanto l'annuncio, il presagio, ma quanto meglio potrebbe dame una caratterizzazione, esserne l'equivalente espressivo. Essa infatti, isolando ii Narratore da ogni suo rapporto con la vita e col mondo, suscita in lui una gioia che più di ogni altra assomiglia a quell'entusiasmo che, sottraendolo al tempo, collocandolo nell'intemporale, gli dà la prova che esiste qualcosa d'altro che il nulla in cui aveva sempre urtato, accende in lui la speranza in una realtà metafisica. La musica, pur vivendo nel tempo fisico in cui discende per manifestarsi, si esprime in una durata autonoma, sottratta al suo divenire, che dà esistenza ed essere alla sua forma, porta in sé il suo vero tempo, che essa genera lungo

il suo dispiegarsi ed attuarsi, Tempo intemporale, eternamente attuale, perpetuo presente.' E sarà per il coesistere in essa, come nella vita, di queste due dimensioni, per questa sempre latente possibilità di passaggi e di superamenti dell'una nell'altra, che la musica potrà essere definita da Proust quale il filo conduttore che attraversa tutta la sua opera, filo d'Arianna che nel labirinto dei dubbi, nel continuo alternarsi e intrecciarsi di realtà e di apparenza, di essere e di nulla, guida e conduce ad una più alta verità spirituale, appare quale simbolo di quel tempo vero, verso cui l'anima aspira a trascendere, in cui gioiosamente si riconosce quando il tempo esistenziale si interrompe e l'istante sensibile la introduce nel presente spirituale: il Tempo di cui dice Platone, che è «immagine mobile dell'Eterno». La Musica, il Tempo, l'Eterno: questa triade, in cui risiede una indivisibile emozione e che costituisce la struttura basilare, il substràtum armonico delle grandi variazioni enigmatiche, che nel loro formarsi per progressivo accrescimento, nel loro sviluppo sembrano obbedire al suo impulso generatore, ci appare come una costellazione scintillante nella notte cui Proust tiene fisso lo sguardo, facendo continuo sforzo per non smarrirla, per farla riapparire nel cielo nebuloso e trarne orientamento, ispirazione e conforto. Da quelle alte luci e dal loro messaggio il Narratore doveva infatti non solo apprendere quanto fosse inconsistente e vana, a confronto della realtà spirituale, la realtà sensibile che lo attornia, la società in cui vive, ma assumere coscienza di dò che giaceva in lui nascosto, dell'individualità del suo sentire, dell'elemento tipico della sua personalità, sì da smuovere sotto le stanche abitudini, l'indifferenza, i rilasciamenti, le depressioni, qualcosa di vago, ma di cui avverte l'intima tensione e che gli infonde fiducia nelle possiI . Cfr. G . BRELET, le temps musical, Paris, Presses Universitaires de France, 1949, I, p p . 377-8 e passim.

bilità di una profonda trasformazione interiore, di una purificazione liberatrice, di una catarsi. Considerata nel suo contenuto narrativo l'opera di Proust ci appare come un grande affresco, che ritrae tutto un mondo nella varietà dei suoi caratteri, nel suo ordine effimero, basato sulle diverse classi sociali, nel suo divenire che tende ad accorciare le distanze o abbattere le barriere, a confondere e uniformare le differenze, sì da far convergere il mondo aristocratico di Charlus (Le monde-monde) e il clan borghese dei Verdurin, le còte de che^ Swann con le còte de Guermantes, alleandoli e coinvolgendoli insieme in una unica disgregazione finale. È una società che, se le vien meno il divertimento e il piacere, langue, inaridisce di noia, avverte il proprio nulla pur senza conoscerlo (« Qui ne voit pas la vanité du monde est bien vain lui mème» aveva ammonito Pascal), e che in questa cecità trova la sua condanna. Ma di questa vanità mondana Proust, come e più di Pascal, era consapevole, per esserne stato attratto, per aver ceduto alle sue lusinghe, per averne riportato « des remords de conscience et de la dissipation d'esprit. On sort dans la joie et souvent on revient dans la tristesse, et les plaisirs du soir attristent le matin. Ainsi la joie des sens flatte d'abord, mais à la fin elle blesse et elle tue». Non sono parole di Proust ma dell'autore della Imitatio Christi' che Proust cita frequentemente in Les plaisirs et les jours come testo esemplare di verità accertate e sofferte. Se Proust per bocca del Narratore afferma di aver voluto consolarsi di una vocazione letteraria mancata con i piaceri del mondo e giustifica la sua frequentazione della società elegante con il suo interesse di memorialista e di storico, in realtà, dopo di I . Cfr. Imitatio Christi, libro i, cap. xvm, e M . PROUST, Les plaisirs et les jours, Paris, Gallimard, 1924, p. 1 4 1 .

esservisi immerso egli si aggira in quel «royaume du néant» come un estraneo che non trova attorno a sé intima corrispondenza di sentimenti, affinità elettive. La sua individualità vi emerge e risalta come corpo vivente tra le ombre. Di quei fantasmi egli conosce la bètise, la Idcheté, l'irrealtà dei loro piaceri, la repugnanza dei loro vizi, e avverte come una simile vita paralizzi la sua sensibilità, impedisca ogni sforzo di essere se stesso. Ma è appunto nell'inferno di una vita realmente viziosa che il problema morale si pone « avec toute sa force d'anxiété»' a Proust che ne darà una soluzione più che sul piano individuale su quello generale e letterario. E se i grandi dottori della Chiesa, cui egli accenna, fatta esperienza dei peccati degli uomini, trassero da questi la loro santità personale, i grandi artisti, Proust stesso, si serviranno dei loro propri vizi per concepire la legge morale di tutti. Il gran mondo parigino fine secolo presenta a Proust tutte le maschere della commedia umana, ma ben presto, alla suggestione delle apparenze subentra, come in uno spettacolo teatrale, una visione più chiara di quanto avviene sulla scena : la maschera non basterà più a nascondere i pregiudizi di casta, gh egoismi, le ambizioni, i difetti, che assumeranno particolare evidenza e rilievo dal loro semplice contrapporsi alla vigile coscienza morale dello spettatore, a coloro che questa coscienza morale riflettono e incarnano, quali la madre e la nonna del Narratore, il Narratore stesso. C'è in Proust radicalismo etico e insieme conservatorismo aristocratico, un vivo senso di quanto è vivo e di quanto è morto nella tradizione. Occorreva infatti possedere una precisa coscienza dei valori morali per rilevarne e denunciarne la confusione, possedere una profonda conoscenza del cuore umano, una chiara armonia interiore per avvertirne le dissonanze, per risalire dal particolare al generale, dalFosservai.Jeunes filks, i, p. i 8 i .

zione dei fatti alla legge che li determina, come è proprio dei moralisti. Non diversamente infatti da un La Bruyère Proust si erge a giudicare con spirito acuto e impietoso tutta una casta sociale, mostrandone il volto senza belletto, la mancanza di spirito, Taridità d'animo. In questo suo contrapporsi al mondo elegante in cui, senza appartenervi per nascita, era stato introdotto, ove aveva talora trovato una accoglienza «si hostile» com'egli ricorda non senza una punta di risentimento scrivendo alla principessa Bibesco,' e ove aveva conosciuto «les impolitesses très grand seigneur» di chi dell'insolenza sembrava aver fatto l'unica sua occupazione, non è forse esente, come non lo è nell'autore dei Caractères vissuto alla fastosa corte borbonica del castello di Chantilly, un sentimento di rivalsa nei confronti dell'orgoglio borióso, l'affermazione del valore personale sulla presunta superiorità delle prerogative di nascita e di fortuna. E sarà questa componente autobiografica, questa diretta esperienza a rivelare, nei suoi geniali ritratti, l'intima realtà di un personaggio, r« allure insoup^onnée», che Elstir ha conferito al ritratto di Odette, a fare di essi l'immagine parlante di quanto egli ha ammirato, amato, sofferto. Limitata, insufficiente se non proprio inutile e vana risulterà quindi l'indagine volta a riconoscere e ad individuare in un singolo modello un personaggio che nella sua generalità invece ne rispecchia molti I . Cfr. M . BIBESCO, Au bai avec Marcel Proust, in Les cahiers M . Proust, n. 4, Paris, Gallimard, 192.8, p. 1 1 7 . Proust allude in quella lettera alla serata in cui egli tentava di parlare alla principessa con la stessa insistenza con cui essa cercava «de ne pas l'entendre» e di sfuggirlo («Je l'ai fui»). «Je m e donnais pour prétexte«'racconta l'autrice «que, venue au bai pour danser, lui, pauvre homme, ne dansait pas; mais, sans que j e m e l'avoue, c'était sa présence seule qui m e faisait passer des bras d'un danseur à ceux d'un autre, et dire au suivant, avec l'accent de la suppUcation, de ne pas me ramener à la place où il m'avait prise, cette place devant laquelle, livide et barbu, le col de son manteau relevé sur sa eravate bianche, Marcel Proust avait trainé sa chaise depuis le commencement de la soirée. E t il l'avait placée de telle sorte, entra la salle et moi, qu'on eùt dit q u i i voulait m'accaparer, m e séquestrer, et m'isoler avec lui du reste du monde» (ivi, p. 8).

e ne è la sintesi. Benché i caratteri e i costumi descritti da Proust siano in gran parte tratti dalla società parigina e dalla sua sottospecie provinciale, non possono né debbono essere ristretti, limitati a quell'ambito senza che l'opera perda della sua più ampia validità e venga meno all'intento, che essa ha in comune con La Bruyère, di rappresentare gli uomini «en général, comme des raisons qui entrent dans l'ordre des chapitres et dans une certaine suite insensible des réflexions qui les composent».' Nella Recherche infatti (lo stesso Proust ebbe ripetutamente ad affermarlo) non vi sono personaggi chiave, o meglio: «dans tout l'ouvrage il y a à peine deux cu trois clés et qui n'ouvrent qu'un instant».^ E se tutto, come egli pretende, non risulta interamente da lui inventato, tutto è stato riinventato, approfondito, dotato di una umanità ben più ricca di quanto sarebbe se egli si fosse limitato alla somiglianza di un modello, tutto appare rielaborato,' ricomposto « selon les besoins de sa démonstration». Da ogni gesto, parola o sentimento spontaneamente espresso, colto al suo affiorare dal subcosciente, da mille reminiscenze incoscienti Proust scopre la legge psicologica (che ha la validità di una legge fisica) cui tutte quelle espressioni sembrano obbedire, estrae «une généralité».^ Generalità che appare tra l'altro esemplarmente dimostrata, raggiunta e rappresentata in atto nella figura di Legrandin, che per la concretezza, l'umorismo, la complessità e il valore sintetico della sua determinazione psicologica risulta modellato ben più che dal vero, più che su di un presunto originale offertogli dalla vita,"* su di una immagine letteraria, su di un 1. Cfr. J , DE LA BRUYÈRE, les Caraaères, Paris, Flammarion, 1938, p. 54. 2. Cfr. M . PROUST, Lettres à Robert de Montesquiou (1893-1921), in Correspondatue générale de Marcel Proust, i, Paris, Plon, 1930, p. 2 8 1 . 3 . Cfr. ivi, p. 284. 4. Cfr. G . D . PAINTER, Marcel Proust, Milano, Feltrinelli, 1965, p. 53 : «Legrandin può essere identificato con una persona che gli assomigliava sotto ogni punto

8

carattere tipico di La Bruyère, quello appunto di Pamphile.^ Umili e timidi dinnanzi ai potenti, pieni di sussiego verso coloro «qui n'ont que de la vertu », nemici della naturalezza, i Pamphiles non sono, dice La Bruyère, che dei personaggi da commedia, «des Floridor, des Mondoris» e, preciseremo con Pfoust «degli snobs». Uno snob, Legrandin, che infierisce contro lo snobismo, identificandolo con «le péché sans rémission» di cui parla san Paolo, illudendosi di esserne immune, poiché, osserva Proust, « nous ne connaissons j amais que les passions des autres et que ce que nous arrivons à savoir des nòtres, ce n'est que d'eux que nous avons pu l'apprendre».^ di vista . . . il dott. Casalis . . . un poeta simbolista di poca fama, amico intimo di Mallarmé . . . e famoso soprattutto come arrampicatore sociale». 1. La Bruyère inserisce il ritratto di Pamphile nel capitolo Des Grands quale esempio di un faux grand (il nome stesso di Legrandin forse potrebbe anche accusare questa sua estrazione), di un individuo investito cioè di «une fausse grandeur qui l'abaisse et qui embarrasse fort ceux qui sont ses amis et qui ne veulent pas le mépriser» (cfr. Les Caractères,cit., p. 199), quali appunto riguardo a Legrandin, in seguito ad un suo mancato saluto, il padre e la nonna del Narratore, la quale «refiise de croire qu'il eùt été impoli». Sull'esempio di Pamphile che vergognandosi di aver famigliarità con qualcuno che non sia importante o amico di persone importanti, se vi incontra in società vi sfugge «et le lendemain s'il vous trouve en un endroit moins public il prend courage, il vient à vous» Legrandin trovandosi in compagnia di una castellana risponde appena al saluto del padre del Narratore «d'un air étonné c o m m e s'il ne nous reconnaissait pas». Ma incontrandoli poi l'indomani, questa volta solo, «il vint à nous la main tendue et avec certe perspective du regard particulière aux personnes qui ne veulent pas ètre aimables» (Swann, i, p. 174). C o m e Pamphile, «si quelquefois il sourit à un h o m m e du dernier ordre, à un h o m m e d'esprit, il choisit son temps si juste qu'il n'est jamais pris sur le fait», così Legrandin: «Nous croisàmes près de l'église Legrandin qui venait en sens inverse, conduisant la m é m e dame [femme d'un gros propriétaire terrien des environs] à sa volture. Il passa contre nous, ne s'interrompit pas de parler à sa voisine, et nous fit du coin de son oeU bleu un petit signe en quelque sorte intérieur aux paupières et qui, n'intéressant pas les muscles de son visage, put passer parfaitement inaper^u de son interlocutrice; mais cherchant à compenser par l'intensité du sentiment le champ un peu étroit où il en circonscrivait l'expression dans ce coin d'azur qui nous était affecté, il fit pétiller tout l'entrain de la bonne grSce quidépassa l'enjouement, frisa la malice; il subtilisa les finesses de i'amabilité» (Swann, i, p. 182). 2. Swann, i, p. 187.

Ravvisando neirinfatuazione del prestigio mondano il movente segreto dei sentimenti del personaggio, riconducendone i tratti discordanti alla loro causa prima, egli risolve tutte le apparenti contraddizioni di quel carattere e gli conferisce verità e coerenza. Proust ben poteva asserire di non saper vedere, osservare, ascoltare, al modo dei Goncourt, il mondo esterno ma soltanto sino a che alla sua immaginazione non si imponesse qualche «essence générale» comune a diverse persone o cose. Si risvegliava allora in lui e prendeva vita r« esprit intérieur» che, come il geometra spoglia l'oggetto delle sue qualità sensibili e non ne vede che il substratum, penetra oltre le apparenze del personaggio, mirando a coglierne, pur senza cadere nelle astrazioni della classifica scientifica, gli elementi rivelatori del carattere, la tipicità, l'idea che in essi s'incarna e di cui essi sono il simbolo vivente. Alla verità documentaria e storica Proust sostituisce nei suoi ritratti una verità di validità universale, la verità dell'arte. I nomi propri cedono allora sotto il peso del loro contenuto, sconfinano nei nomi di generi (Bergotte o la letteratura, Elstir o la pittura, Vinteuil o la musica), affondano nella corrente dei nomi comuni, si da poter dire un Legrandin, una Mme Verdurin, come si dice un M. Jourdain, una Précieuse ridiade. Nella Recherche vi è tutto un gruppo di personaggi che, pur nella varietà delle sue caratterizzazioni, sembrano appartenere, per affinità elettiva, ad una unica specie e che, come mossi da una segreta attrazione, si cercano l'un l'altro, formano una sola realtà, la cui essenza è comune a diversi soggetti, ma più vera di questi singoli per essere la sintesi colta da uno sguardo che penetra nell'intimo di ciascuno e di tutti, a scoprirvi ciò che veramente vi è contenuto e vi si nasconde. Questa stessa lucidità di visione, per rendere più evidente l'inganno delle apparenze e la falsità IO

delle convenzioni, varrà a distogliere lo sguardo di Proust dal mondo esterno e a rivolgerlo in se stesso, a passare dalla pittura di caratteri della umana commedia all'espressione dei sentimenti e dei conflitti dell'intimo dramma individuale di cui egli è l'eroe solitario e a rivelare così tra «regrets et réverfes» la storia della sua anima, la sua segreta ansia di assoluto. A questa vaga, oscura ma imperiosa esigenza sembrerebbe sulle prime rispondere e soddisfare l'amore per il possente afflato con cui investe l'animo umano; tuttavia, ben presto, questi risulterà essere bene illusorio, anzi calamità fisica e morale: «L'amour est un mal inguérissable»', alimentato da una ansietà dolorosa. Il Narratore, amando, potrà credere di vivere sotto il dominio di leggi magiche più che razionali, di avvertire l'esistenza nell'anima di una parte più durevole dei diversi io che muoiono successivamente in lui, gh sembrerà che il tempo e lo spazio si siano resi sensibili al cuore. Nondimeno sullo schermo di quelle magiche proiezioni, nel fondo di questa prospettiva temporale, su questo orizzonte spaziale non apparirà mai la terra misteriosa che egli va cercando e cui egli aspira. Scoprirà tuttavia, lungo il suo errare, che l'amore è sempre «amour d'autre chose», «exigence d'un tout»,^ che di tanto oltrepassa ciò che sembra costituirne l'oggetto, da trascenderlo e da rivolgere l'amante verso ciò che veramente accende in lui il sacro fuoco dell'Eros. Se l'amore per Proust è un fenomeno soggettivo, mero riflesso di uno stato della nostra anima, che non trova giustificazione né corrispondenza nella persona amata, la sua incomunicabile essenza emotiva appare pienamente espressa dalla musica e quasi immedesimarsi in essa. Ma la musica, pur interpretando sentimenti e passioni, li sottomette I. La prisonnière, i, p. 114.

2. La prisonnière, i, p. 145.

II

II

alla sua legge, li purifica, li eleva alle regioni serene della forma opponendo alla pura individualità dell'amore una più vasta, superiore realtà. L'ansia « d'un charme inconnu » che la petite phrase della Sonata di Vinteuil risveglia in Swann e che questi erroneamente assimila ai piaceri d'amore, e il presentimento di una beatitudine sovrumana che il Septuor suscita nel Narratore sono ansia di assoluto (di cui l'amore non è che l'immagine sensibile e il simbolo vivente), presentimento di eternità. E sarà la musica che, distogliendo dai piaceri banali, stimolando le più nobili facoltà dell'anima, trasformando per un istante il Narratore nell'uomo nuovo che vorrebbe essere e che aspira a diventare, gli darà slancio e forza per trascendere dall'eros umano all'Eros metafisico. Essa non sarà più un simulacro delle gioie dell'amore, nostalgia di felicità perduta, ma « pressentiment... des allégresses de l'au delà »,' « la formule éternellement vraie, à jamais feconde, de cette joie inconnue»,'' da cui Proust trarrà la prova che esiste qualcosa d'altro che il nulla da lui trovato in tutti i piaceri e nell'amore stesso. L'immagine che andiamo dehneando differisce sostanzialmente da quella più largamente accreditata, che propone un Proust scettico, areligioso e amorale, voluttuoso analista delle proprie emozioni, ma incapace di trasformare questa conoscenza in uno strumento di elevazione,^ dominato da un erotismo sensuale quasi perverso, imphdto nella sua bramosia di rivivere le sensazioni di un tempo lontano,'^ creatore di personaggi privi di inquietudini, di purezza, di rimorsi, inseriti in un mondo senza Dio, senza fede, senza speranza.' I. La prisonnicre, n, p . 79. 2. La prisonnière, n, p . 3. Cfr. A . HUXLEY, Proper Studies, London 1927, p. 4. Cfr. B. CROCE, La Poesia, Bari, Laterza, 1937, p. 5. Cfr. M . GALEIT, Une véritable Comédie humaine, 1965, p. 160.

82. 247. 227. in Proust, Paris, Hachette,

chi scrive dissente profondamente da coloro che, confondendo l'opera con l'autore, tendono a conferire preminente risalto al lato oscuro di una ben più vasta realtà, che indagano senza ritegno nei più intimi particolari della sua vita, che si compiacciono di trasferire le ombre dell'uomo all'artista, mostrando così di ignorare, pur dopo tanto cercare, o di misconoscere una verità ribadita dallo stesso Proust che, se intesa, di tanto diminuisce il loro assunto da renderlo quasi vano : « qu'un livre est le produit d'un autre moi que celui que nous manifestons dans nos habitudes dans la société, dans nos vices» e che quell'io, se vogliamo cercare di comprenderlo, «c'est au fond de nous-mémes, en essayant de le recréer en nous, que nous pouvons y parvenir».' Ed è questo io profondo, che non si ritrova se non facendo astrazione dall'altro, l'io che resta nascosto e in attesa quando l'altro si manifesta, e che, lo si sente, è il solo vero e reale, il solo in cui la coscienza di Proust si riconosce, a formare l'oggetto della nostra ricerca. Ci parrà di ritrovarlo là ove altri non vede che «un coeur subtil et froid», in quegh episodi in cui (come nella scena di sadismo di Mlle Vintemi) ogni espressione di sensibilità è assente, riconoscendolo appunto in quella subordinazione della sensibilità alla verità, della pietà individuale alla espressione artistica; lo riconosceremo anche là ove altri non scorge che un «nihilisme désenchanté et en méme temps quelque peu hargneux, qui déforme, décompose, désintègre ies àmes»,^ nel flusso incessante delle sensazioni, in quella «dissolution de l'individu»^ pur da lui stessa accusata («Je n'étais pas un seul homme, mais le défilé heure par heure d'une 1 . Cfr. M . PROUST, Contre Sainte-Beuve, Paris, Gallimard, 1954, p. 157. 2. Cfr. F. DELATTRE, Bergson et Proust, in Les Etudes Bergsoniennes, Paris, Michel, I, 1948, p. 118. 3. Cfr. P. DESJARDINS, Un aspect de l'oeuvre de Proust: dissolution de Vindividu, in « L a Nouvelle Revue Fran^aise», gennaio 1923 (Hommage à Marcel Proust), pp. 146-50. 13

armée compacte où il y avait selon le moment des passionnés, des indifFérents, des jaloux»),' a reintegrare e a determinare e a riaffermare, presa coscienza della durata ininterrotta della sua vita interiore,^ la continuità nella successione, Tunità nelle molteplicità. Ne avvertiremo inoltre la presenza efficace, operante nella sostanza verbale di quelle frasi che sembrano trasmetterci l'essenza qualitativa delle cose, in quelle «gouttes de lumière cimentées» di cui la sua prosa è impregnata, in quella ritrascrizione del mondo di cui laRecherche ci offre, per virtù di stile, l'originale visione. Ma sarà principalmente in quel vago, costante tendere alla conoscenza della verità, ad accertare l'esistenza della realtà dei valori, in quella esigenza metafisica che, pur tra cedimenti e contrasti, serpeggia nella Recherche, in quel presentimento d'eterno che ne scuote con il suo brivido la materia, che si rivela nella sua essenza, in ciò che essa ha di singolare e di inesphcabile, l'intima, vera personalità di Proust, quanto della sua anima per impulso spontaneo ha voluto perpetuarsi, distaccandosi come frutto dall'albero, per sopravvivere nell'opera alla caducità della vita. È divenuto un luogo comune lamentare con Mauriac «la totale et terrible absence de Dieu» nella Recherche, l'areligiosità del suo autore, il suo agnosticismo, il suo paganesimo. Ma poiché Cristianesimo anche per Proust significa « Dieu intérieur, vérité désirée par le coeur, consentie par la conscience», il non subordinare a un dovere oscuro, incerto e lontano, un dovere preciso, immediato di giustizia e di carità, non potremo non dire Proust cristiano. E se in questa sua affannosa ricerca di verità, se nella sua fede dichiarata nella forza dello spirito che tutto abbraccia («tout est dans l'esprit e nella sua realtà, al cui confronto l'esistenza umana I . Alberane disparue, i, p. i i 8 . 3. Temps retrouvé, 11, p.

2. Temps retrouvé, 11, p. 253.

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appare effimera come un sogno, se nella sua intima aspirazione a «ressusciter après la Mort»' e nella sua affermata credenza in una probabile esistenza anteriore e negli obblighi morali in essa contratti («Tout se passe dans notre vie comme si nous y entrions avec le faix d'obligations contrattées dans une vie antérieure»)^ non si vuole o non si sa riconoscere un intimo, segreto afflato religioso, il sentimento di quei misteri «qui n'ont probablement leurs explication que dans d'autres mondes» e che sono quanto più lo commoveva nella vita e nell'arte,^ converrà allora precisare che la divinità non è assente dalla Recherche, ma vi fa una triplice apparizione, a illuminarne per un istante con il suo baleno, come in una epifania biblica, il cielo oscuro, a colmarne con la sua manifesta presenza il vuoto. Con timore e tremore Proust nomina l'Onnipotente quale arbitro supremo della vita d'oltretomba («par quels chemins étranges, sur quelles cìmes, dans quels gouffres inexplorés le maitre tout-puissant nous conduira-t-il ? quale « Maitre de sa destinée»,'e vive nell'ansia di non poter sapere se Egli vorrà soprassedere al suo «arrét de mort», se gli consentirà di portare a compimento l'opera che costituisce l'unico scopo della sua vita, il solo mezzo, per lui, di purificazione e di salvezza. Apparirà evidente il contrasto tra questa finale professione di fede e le sconsolate negazioni che la precedono, e dicono essere questa vita « la seule vie qu'il y ait sans doute»,® che «peut-étre est-ce le néant qui est le vrai et tout notre réve est-il inexistant».' Contrasto che sta a rivelare una 1. Albenine disparue, n, p. 142. 2. La prisonnière, 1, pp. 255-6. 3. Temps retrouvé, n, p. 240. 4. La prisonnière, i, p. 254. 5. Temps retrouvé, 11, p. 255. Si noti il passaggio, in queste due u l t i m e citazioni, dalla minuscola alla m a i u s c o l a , che sta a rilevare ( c o m e p e r la parola tempo, che a partire dall'ultimo v o l u m e appare con la maiuscola), il nuovo, più profondo significato che il concetto era andato assumendo nella sua coscienza. ó.Jeunes jìlks, 11, p. 156. 7. Swann, 11, p. 1 9 1 . 15

evoluzione e un approfondimento del suo pensiero, durante la lenta gestazione dell'opera e che trova riscontro sia nel divario tra le sue concezioni della memoria (passiva, subordinata alla casualità nella Recherche du temps perdu ma che nel Temps retrouvé si trasforma in principio attivo, in elemento determinante, nel tentativo di ricostituire il Tempo allo stato puro), sia in quello tra la sua poetica originaria (secondo cui « les moindres éléments de son oeuvre lui avaient été fournis par sa sensibilité»)' e la teoria esposta nel suo ultimo volume. Se infatti l'opera al suo inizio era potuta apparire ad alcuni critici una specie di raccolta di ricordi concatenati secondo le leggi fortuite della associazione delle idee,^ in realtà, affermerà poi Proust, essa ha una struttura, se pur ascosa, rigorosamente composta, obbediente a un disegno unitario e a precise leggi formali, come l'architettura di una cattedrale, se pur in continuo divenire. «L'idée de mon oeuvre étaìt dans ma tète toujours la méme, en perpétuel devenir Egli cerca di conciliare quegli opposti, di intellettualizzare le sensazioni, di trascendere dall'analisi individuale alla scoperta di leggi generali, di tutto spiritualizzare ed elevare al mondo delle Idee («Ce ne sont pas les ètres qui existent réellement, et sont par conséquent susceptibles d'expression, mais les idées»),'^ sì da conferire alla sua opera una unità che, com'egli dice di quella di Balzac, per essere ulteriore non è meno reale; si sforza infine di far affiorare 1 . Così Proust avrebbe dichiarato a A . I. Blois. Cfr. F. DELATTRE, op, cit., p. 94. 2 . C f r . M . PROUST, A propos du «style» de Flaubert, in Chroniques, Paris, Gallim a r d , 1 9 2 7 , p. 2 1 0 , e la severa recensione di H. GHÉON a Du coté de cfie^ Swann, apparsa nella «Nouvelle R e v u e Fran^aise», gennaio 1 9 1 4 , pp. 139-43. in cui tra l'altro Proust viene accusato di essersi valso, per la sua opera, di una indiscriminata messe di ricordi («il n'a rien refusé»): « L o i n d e l u i l e d e s s e i n d e c h o i sir . . . ce qui est le contraire de l'oeuvre d'art». V e d i anche la lettera di Proust a Ghéon, del giugno(?) 1 9 1 9 , in M . PROUST, Lettres retrcuvées, présentées et annotées par P. Kolb, Paris, Plon, 1966, p. 1 2 6 . 3 . C f r . M . PROUST, Cantre Vobscurité, in Chroniques,

trouvé, II, pp. 252-3. 4 . Temps retrouvé, n, p. 66.

16

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dalla sostanza viva, puramente affettiva e sensualmente poetica, una coerenza razionale, in verità non richiesta, una filosofìa. Proust sembra aver dimenticato che il letterato e il poeta possono penetrare nella realtà delle cose tanto profondamente quanto il filosofo, ma per altra via, e che il sussidio del ragionamento, lungi dal fortificare, paralizza lo slancio del sentimento. Ma è lo stesso concetto dell'arte, non intesa come fine a se stessa, bensì quale rivelazione di una realtà metafisica, strumento di conoscenza e di redenzione, che stimola Proust a cercare di stabilire una specie di accordo tra l'impressione intuitiva e lo sforzo intellettuale; il che di conseguenza lo avrebbe indotto, se gli fosse bastata la vita, a meglio coordinare, integrare e a esprimere in atto e non solo in potenza, mediante la semplice enunciazione, i princìpi contenuti nei frammenti, di epoche diverse, che, raggruppati costituiscono il testo di Le Temps retrouvé.' In questa ultima parte, i temi positivi che egli aveva introdotto in forma dubitativa nella Recherche, contrapponendoli a temi negativi, in corrispondenza delle due ipotesi fondamentali dell'essere e del nulla, trovano infatti, e più avrebbero trovato, la loro affermazione in armonia con il suo anelito spirituale, con la sua segreta esigenza. «Ce n'est qu'à la fin du livre» (egli aveva scritto nel febbraio 1924 a Jacques Rivière, ammonendo i critici troppo frettolosi nel giudicare con troppo scetticismo l'opera dalla sua sola prima parte)'' «et une fois les le^ons de la vie comprises, que ma pensée se dévoilera. Celle que j'exprime à la fin du premier volume est le contraire de ma conclusion. Elle est une étape, d'apparence subjective et dilettante, vers 1 . CFR. M . PROUST, A la recherche du temps perdu, Bibliothèque de la Plèiade, Paris, Gallimard, 1954, i, Note sur le Texte, p. xxxi. 2. CFR. P. CLAKAC, «Les croyances inteìlectuelles» de Marcel Proust (Textes inédits), in «BuUetìn de la Société des A m i s de Marcel Proust», 1958, p. 414.

17

la plus objective et croyante des conclusions. Si je n'avais pas de croyances intellectuelles . . . je ne prendrais pas, malade corame je suis, la peine d'écrire». Ed è di questa verità che le pagine che seguono intendono portare testimonianza.

i8

II

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ROUST amò la musica con l'ardore di un romantico; essa non fu soltanto per lui l'ispiratrice di «utiles rèveries», di

poetiche suggestioni, una fonte di sensazioni raffinate, ma la voce che porta testimonianza della realtà dello spirito, che richiama l'uomo alla sua superiore destinazione.

Occorre infatti risalire all'estetica mistica del romanticismo tedesco per trovare una così elevata concezione della musica, intesa quale manifestazione suprema del potere evocativo dell'arte, espressione immediata della vita dell'anima, rivelazione dell'assoluto. Per Proust, come già per Schiller, essa proviene da un mondo sconosciuto e ci apporta un messaggio celeste, come già per Schelling, essa ci introduce nel mistero della natura e dell'essere, come già per Hoffmann, suscita nell'animo di chi l'ascolta un presentimento d'infinito, che è speranza d'immortalità. Affascinato da quella fede nella sacralità dell'arte anche Proust si sforzò di penetrare nel mistero dei suoni, di cogliere dò che di divino in essi si nasconde, di intenderne il linguaggio ineffabile. Persuaso che le opere che ascoltava al concerto esprimevano le verità più alte, egli cercava (come ebbe a dire) di elevarsi quanto poteva per giungere sino ad esse, e traeva dal suo animo per comprenderle, e restituiva loro tutto ciò che vi coglieva di più profondo e di migliore. Era quello il tempo in cui filosofia e poesia, con slancio concorde, miravano a penetrare, al di là delle illusorie apparenze, nel cuore dei fenomeni, per ricercarvi l'essenza segreta delle cose. L'arte, la musica, aveva affermato anche Bergson in armonia con le correnti vitaliste della letteratura francese a lui contemporanee, non fa che sopprimere i simboli, le generali19

tà convenzionali, tutto ciò che maschera la realtà, per offrirci una visione più diretta e immediata della realtà stessa, per renderne manifesta la verità nascosta.' Ascoltare musica significava anche per Proust cogliere certi ritmi, che hanno nell'uomo radici più profonde dei sentimenti stessi, quasi costituissero la legge vitale delle sue depressioni e dei suoi entusiasmi, inserirsi nel suo divenire, elevarsi dalla durata sonora all'eterno presente del Tempo dell'arte. «La musique a été une des plus grandes passions de ma vie . . . Elle m'a apporté des joies et des certitudes ineffables, la preuve qu'il existe autre chose que le néant auquel je me suis heurté partout ailleurs».^ Viene di chiedersi quali compositori abbiano così altamente parlato al suo spirito, quali musiche, risuonando in lui come l'eco di un paradiso perduto, gli abbiano rivelato la presenza di una realtà assoluta, gli abbiarto dato la certezza di una verità metafisica. Ragazzo, egli stesso ebbe ad indicare in Mozart l'autore suo preferito (unitamente, hélas ! a Gounod)^ e questa scelta assume l'importanza di un felice battesimo, che lo inizia al culto della musica, «religion neuve» per lui come per Mallarmé. A vent'anni il nome di Mozart appare sostituito da quello di Beethoven, di Schumann, di Wagner,'^ a testimoniare le acquisizioni raggiunte nel suo naturale procedere lungo il cammino della storia: cammino felicemente iniziato sotto il segno di Mozart e che egli mostra di non smarrire quando uscendo dal sicuro tracciato del passato e trovandosi tra gli II

1 . Cfr. H . BERGSON, Le Rire, in Oeuvres, Edition du centenaire, Paris, Presses Universitaires de France, 1959, p. 462. 2. Cfr. J . BENOIST-MÉCHIN, Retour à Marcel Proust, Paris, Amiot, 1957, p. 192. 3. Album Proust, Paris, Gallimard, 1965, p. 90: risposta a un questionario nell'album d'Antoinette Paure. L a scrittura, quasi ancora infantile, fa supporre che Proust avesse allora tredici o quattordici anni.

4. Album Proust, dt., p. 1 2 1 .

II

incerti sentieri del presente, al bivio tra Massenet e Debussy, fidando sul suo sicuro istinto e in aperto contrasto polemico con il gusto imperante, sceglie la via giusta, quella dell'avvenire, verso cui Debussy lanciava fidente la sua opera come in uno spazio profondo. L'orecchio accostato al ricevitore del théàtrophone, Proust non si stanca di ascoltare il Pelléas, di cui preferisce le pagine strumentali, «celles de musique sans parole» e particolarmente le «notations fugaces», quelle «lignes vraiment imprégnées de la fraìcheur de la mer et de l'odeur des roses». «Cela n'a rien d'"humain" naturellement,» concede al suo contradditore, l'amico musicista Reynaldo Hahn « mais est d'une poésie délideuse».' Era in questo elemento indefinito e ineffabile, emanante si direbbe dalla materia sonora in fermento, che lo spirito romantico di Proust ama riconoscere, al di là della forma definita, l'essenza della musica, il suo incanto, la sua poesia; era cioè il poetico incanto della metamorfosi di tutti i sensi fusi in uno, che Baudelaire, riecheggiando «le divin Hoffmann», aveva celebrato nel famoso sonetto delle Correspondances. Camme de longs échos, qui de loin se confondent dans une ténébreuse et profonde unité, vaste camme la nuit et comme la clarté, les parfums, les couleurs et les sons se répondent. Se Debussy aspirava a tradurre in suoni i profumi della notte, i riflessi luminosi del giorno, la voce del vento e del mare, Proust percepiva nella musica le diverse sensazioni incorporate e fuse nei suoni, a formare una indivisibile armonia, un unico concerto. Ma lungi dall'arrestarsi al mero compiacimento della audizione colorata instaurata da Tieck («Die Farbe klingt, die I . C f r . M . PROUST, lettres

à Reynaldo

Hahn, Paris, G a l l i m a r d , 1956, p. 202.

Form ertònt. . . sich Farbe, Duft, Gesang, Geschwister nennet » : « Il colore tintinna, la forma risuona . . . colore, odore, canto si dicono fratelli»), alle suggestioni sinestetiche di Hoffmann, alle sollecitazioni epidermiche della «sensation multipliée» di Baudelaire, Proust, in virtù di queste analogie o corrispondenze, giungerà ad intendere ciò che l'artista ha voluto comunicare, a cogliere l'ineffabile che qualifica e individualizza la sua emozione. E sarà appunto il candore liliale della «bianche sonate», la fragranza di geranio del «rougeoyant Septuor» a fargli percepire e comprendere il particolare accento di Vinteuil, ad aprirgli uno spiraglio sul suo mondo, di cui le singole opere non erano che i disgiunti frammenti. Annotazioni fugaci anch'esse, ma profondamente significative, che restituendo una impressione decantata e purificata dal ricordo, ne lasciano esalare l'originaria essenza emotiva: poetica della memoria, operante non meno in Vinteuil-Pfoust che in Debussy. Durante la composizione de La Mer questi scriveva da Bichain, in Borgogna, a André Messager: «Vous direz peut-étre que l'océan ne baigne pas les coteaux de la Bourgogne et que je suis comme un paysagiste en chambre. Mais j'ai des souvenirs inoubUables, et je crois qu'ils valent mieux que la réalité, qui le plus souvent pése trop lourdement sur l'esprit».' E sarà appunto in questo spogliare la percezione dalla nozione limitatrice dell'intelligenza, in questo sottrarre la sensazione alla categoria in cui la classifica e la localizza l'intelletto, nel collimare deir« impression véritable» con la «mémoire involontaire» in cui essa rivive, che consiste per Proust l'autentico processo creativo, da cui sorge la musica immaginaria di Vinteuil e quella reale di Debussy. Ma quanto di realtà sarà dato di riconoscere in quell'immaginario? Proust stesso ci confida che le individualità umane e non I. Cfr. V . I. SEROFF, Debussy, Paris, Buchet-Chastel (Correa), 1957, p. 221.

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umane del suo libro sono formate da numerose impressioni, che per ottenere «du volume, de la consistance, de la généralité, de la réalité littéraire» gli sono occorse molte persone per un solo ritratto, molte chiese, molte sonate per descriverne una: «méme pour Ics choses inanimées (ou soi-disant telles)» scrive a Robert de Montesquiou «j'extrais une généralité de miUe réminiscences inconscientes. Je ne peux vous dire combien d'églises ont "posé" pour mon église de C o m b r a y . . . lesmonuments viennentapporterdoucement, tei sa flèche, tei son pavage, tei son dòme»." Così cogliendo dalle composizioni più disparate gli elementi che le caratterizzano e fondendo queste impressioni sonore in un contrappunto emotivo («gràce à la similitude de nos sentim e n t s , . . . il n'y a pas grand inconvénient à ces substitutions»),® Proust conferirà alla musica di Vinteuil la plasticità, il rilievo, l'individualità che hanno i suoi personaggi, ritratti a tutto tondo su diversi piani psicologici; le conferirà cioè un carattere più generale, più assoluto, per essere espressione non più di una cosa esistente, ma di una idea. In una lettera a Jacques de Lacretelle Proust accenna ai modelli che avrebbero posato per la Sonata di Vinteuil e particolarmente per la petite phrase, che non costituisce soltanto il Leitmotiv sempre ricorrente nell'opera di quel compositore ma, si direbbe, la voce stessa della musica, il suo stimolante richiamo, che risuona lungo tutta la Recherche. «Dans la mesure où la réalité m'a servi, mesure très faible à vrai dire, la petite phrase de cette Sonate, et je ne l'ai jamais dit à personne, est (pour commencer par la fin), dans la soirée Saint-Euverte, la phrase charmante mais enfin médiocre d'une sonate pour piano et violon de Saint-Saèns, musicien que je n'aime pas. (Je vous indiquerai 1 . CFR. M . PROUST, Lettres à Robert de Montesquiou (1893-1921), in Correspondance générale, i, cit., p. 284. 2. Cfr. Temps retrouvé, n, p. 66.

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exactement le passage qui revient plusieurs fois et qui était le triomphe de Jacques Thibaud). Dans la méme soirée, un peu plus loin, je ne serais pas surpris qu'en parlane de la petite phrase j'eusse pensé à "L'Enchantement du Vendredi Saint". Dans cette méme soirée encore, quand le piano et le violon gémissent comme deux oiseaux qui se répondent, j'ai pensé à la Sonate de Franck (surtout jouée par Enesco) dont le quatuor apparaìt dans un des volumes suivants. Les trémolos qui couvrent la petite phrase chez les Verdurin m'ont été suggérés par un Prélude de Lohengrin, mais elle-méme à ce moment-là par une chose de Schubert. Elle est dans la méme soirée Verdurin un ravissant morceau de piano de Fauré».' Precisazione di fonti che illustra il processo creativo di Proust e rivela come questi, considerando l'arte quale ispiratrice e generatrice di arte, riconduca le immagini altrui a materia e se ne valga quale elemento compositivo per dare corpo ed «espressione ad una nuova immagine, la sua. Tuttavia nonostante questa confidenza (che, in verità, per far convergere tante e così disparate sensazioni sonore sulla petite phrase di Vintemi, sembrerebbe più intesa ad occultarne il modello che a precisarlo) non mancarono, tra gli esegeti di Proust, coloro che, insistendo nel voler riconoscere il singolo nel multiforme, il determinato nel vago, ritennero di poter identificare, nella mitica sonata, ora l'una, ora l'altra opera realmente esistente.^ Ma per quel poco o pochissimo che la realtà può avergli 1. Cfr. J. DE LACRETELLE, Les clefs de l'oeuvre de Proust, in « L a Nouvelle Revue Frangaise», gennaio 1 9 2 3 , cit., p. 2 0 1 . 2. Si veda, tra le m o l t e proposte, quella avanzata da G . GONFALONIERI (L'ultima sulla petite phrase) con r i f e r i m e n t o alla Sonata in la maggiore di Fauré. Proust ebbe ad indicare ad A n t o i n e Bibesco (cfr. A . BIBESCO, Lettres de Marcel Proust d Bibesco, L a u s a n n e , Clairefontaine, 1949, pp. 153-4) quale f o n t e della Sonata di Vinteuil, oltre al p r i m o P r e l u d i o del Lohengrin, la Ballade di G . Fauré, di cui la Sonata in la m a g g i o r e p e r violino e pianoforte f i g u r a n e l p r o g r a m m a di u n concerto da lui o f f e r t o ad un gruppo di amici. A l l ' u l t i m o t e m p o di quest'opera egli accenna nella Recherche definendolo «inquiet, tourmenté, schumannesque, mais enfin antérieur à la Sonate de Franck» (Sodome, n, 2,

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servito, riteniamo si possa veramente riconoscere quale archetipo, quale Urmotìv o spunto originario della frase famosa (in accordo con le sue ammissioni e con la testimonianza di Reynaldo Hahn)' un tema della Sonata in re minore per piano e violino di Saint-Saens : tema peraltro che non ci risulta essere sino ad ora stato individuato e che, per trovare puntuale riscontro negli elementi formali con cui Proust ha caratterizzato la petite phrase ben può averne costituito il suo primo decisivo modello.'^ Negli arpeggi del pianoforte che accompagnano la prima esposizione del tema è riconoscibile infatti, «au-dessous de la petite ligne du violon mince, résistante, dense et directrice... un clapotement hquide,.. . multiforme, indivise, piane et entrechoquée, comme la mauve agitation des flots»^ (vedi l'esempio musicale A, a p. 28). p. 223). Inoltre, facendo riferimento ad un passo di un frammentario abbozzo della Recherche in cui «le bonheur particulier qui n'est pas de ce monde dont la mélodie était la révélation» è associato all'impressione di un paesaggio notturno, P r o u s t annota: «avoir soin que cela se rapporte à ce bonheur indiqué dans l'analyse du Cantique de Fauré», analisi e precisazione rimasti tuttora ignoti. Cfr. P. COSTIL, La amstructìon musicale de la «Recherche du Temps perdu», in «Bulletin d e la Société des Aniis de Marcel Proust», n. 9, 1959, p. 98. 1 . «Teintée d e réminiscences franckiennes, fauréennes et m è m e wagnériennes, la " p e t i t e p h r a s e " est un passage de la sonate en ré mineur de SaintSaens». C f r . H. BARDAC, Proust et Reynaldo Hahn ou la petite phrase de Vintemi, in « C a r r e f o u r » , 28 aprile 1948. Era appunto uno spunto melodico di questa Sonata di Saint-Saens c h e Reynaldo Hahn (come egli ebbe a confidare) doveva r i p e t u t a m e n t e eseguire al pianoforte per compiacere a Proust, al termine dei loro incontri; lo stesso motivo, certo, che Jean Santeuil non si stancava di richiedere a l l ' a m i c a Frangoise e di ascoltare: « T o u t d'un coup elle se leva. Il crut q u ' e l l e venait à lui. Mais elle s'arrèta devant le piano, s'assit et joua. A u x p r e m i è r e s notes une angoisse . . . le s a i s i t . . . Il avait reconnu cette phrase de la Sonate de Saint-Saens que presque chaque soir . . . il lui demandai! et qu'elle lui jouait sans fin, dix fois, vingt fois de suite, exigeant qu'il reste contre elle pour qu'elle pùt l'embrasser sans s'interrompre {]. Santeuil, iii, p. 223, e I, p. 300); motivo che Swann richiederà a Odette nella trasposizione di questa scena nella Recherche: «Il lui demandait de j o u e r . . . la petite phrase de la Sonate de V i n t e m i . . . Il la faisait rejouer dix fois, vingt fois à Odette, exigeant qu'en m è m e temps elle ne cessàt pas de l'embrasser» {Swann, 11, pp. 32, 35). 2. Queste pagine formarono già l'argomento di una lettura (Proust e la musica) trasmessa dalla R A I - T V - Terzo Programma il 3 1 maggio i960. 3. Swann, i, p. 300.

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Con non minore evidenza è dato poi constatare come la frase, «après une pause d'un instant», muti bruscamente di direzione e assuma «un mouvement nouveau, plus rapide, m e n u . . . incessant et doux»' (vedi l'esempio musicale B, a p. 28). Anche la ripresa del tema nella Sonata di Saint-Saéns trova esatta rispondenza nella Sonata di Vinteuil: «le violon était monté à des notes hautes où il restait comme pour une attente, une attente qui se prolongeait sans qu'il cessàt de les tenir, dans l'exaltation où il était d'apercevoir déjà l'objet de son attente qui s'approchait, et avec un effort désespéré pour tàcher de durer jusqu'à son arrivée... de lui maintenir encore un moment de toutes ses dernières forces le chemin ouvert pour qu'il pùt passer, comme on soutient une porte qui sans cela retomberait (vedi l'esempio musicale C, a p. 29). Decisiva' è inoltre l'identità della struttura formale del motivo, che per Proust trae carattere e incanto dal «faible écart entre les cinq notes qui le composaient et au rappel Constant de deux d'entre elles»^ (vedi l'esempio musicale D, a p. 30); ripetuto richiamo che è forse quanto l'apparenta a un tema del Tristano: «la phrase de Vinteuil avait, comme tei thème de Tristan... épousé notre condition mortelle, pris quelque chose d'humain qui était assez touchant».'* Sarà forse l'insistenza di quel richiamo, che assume il valore umano di un gesto, di un segno d'intesa, a dissolvere il semplice chiaro disegno melodico di Saint-Saéns, rinchiuso entro lo schema armonico di cui è emanazione diretta, a trasporlo con la fantasia nelle inquiete, tormentate curve della melodia infinita di Wagner, nel libero slancio del loro divenire e a dare adito alle estasi sonore dell'Incantesimo del Venerdì Santo. I. Swann, i, pp. 301-2. 4. Swann,

2. Swann, n, p. 183.

11, p. 191.

26

3. Swann, n, p. 189.

Se l'accenno a Schubert e a Fauré, quali fonti della Sonata, è destinato a rimanere vago, è facile invece riconoscere Franck nel «beau dialogue . . . entre le piano et le violon au commencement du dernier morceau», e precisamente il Franck dell'ultimo tempo della Sonata in la minore per piano e violino che, per la severa struttura in forma di canone melodico all'ottava, per la rigorosa esattezza e puntualità delle imitazioni, la semplicità e la spontaneità del dialogo, ben poteva suscitare in Proust l'impressione di un linguaggio immediato, essenziale e diretto, dominato da inflessibili leggi. «La suppression des mots humains, loin d'y laisser régner la fantaisie . . . l'en avait éliminée; jamais le langage parlé ne flit si inflexiblement nécessité, ne connut à ce point la pertinence des questions, l'évidence des réponses. D'abord le piano solitaire se plaignit,... le violon l'entendit, lui répondit. . . C'était. . . comme s'il n'y avait encore eu qu'eux deux sur la terre, ou plutót dans ce monde fermé à tout le reste, construit par la logique d'un créateur»." Avulse da loro contesto, quelle voci frammentarie e confuse di così diverse immagini musicali, perdono la loro qualità intrinseca per assumere un nuovo inconfondibile accento, per comporre, come le mobili particelle di un caleidoscopio sonoro, una nuova immagine, e risuonano nell'orecchio interiore di Proust come una sola voce, altamente significativa, assoluta, che tutte le comprende e le supera.

I . Swann,

ii, pp. 192-3.

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La musique parie de vous-mème et vous raconte le poème de votre vie: elle s'incorpore en vous et vous vous fondez en elle. Elle parie de votre passion. Baudelaire

A nutrire questo alto ideale non concorsero in realtà soltanto le opere da lui citate, ma tutte le sue esperienze musicali, dirette o mediate che fossero, la cui latitudine sembra spaziare da Palestrina e da Bach ai grandi romantici sino a Strauss, da Rameau ai moderni francesi sino a Ravel, da Mussorgski, Borodin, Rimski-Korsakov, a Strawinski; Proust, ascoltandone con zelo le opere e gustandole sub specie poesis le amò, come è proprio dell'amore «sans raison, n'y connaissant pas » com'egli confessa candidamente a Reynaldo Hahn,' ma con vivo trasporto, si da famigliarizzarsi con esse, da intenderle come l'eco dei suoi più intimi sentimenti e farne «le grand miroir» della sua anima. Costante, appassionata ricerca di comprendere nella sua essenza la musica, «d'essayer de l'expliquer»,® di esprimerne l'ineffabile, cui a sua volta egli era stato iniziato da spiriti congeniali, quali Stendhal, Balzac, Baudelaire, Nerval, che lo avevano preceduto nel riconoscere in essa il linguaggio dell'amore, nell'avvertirne i suggestivi richiami, le sottili analogie ispiratrici, nel trarne la rivelazione di realtà invisibili e misteriose.^ 1 . Cfr. M . PROUST, Lettres d Reynaldo Hahn, cit., p. 229. 2. Cfr. L . DAUDET, Autour de soixante lettres de Marcel Proust, Paris, Gallimard, 1928, p. 29: «Un jour qua nous sortions d'un concert où nous avions entendu la Symphonle avec Choeurs de Beethoven, je fredonnais de vagues notes qui, j e le croyais, exprimaient l'émotion que je venais d'éprouver, et je m'écriai avec une emphase dont j e ne compris le ridicule qu'après: "C'est splendide, ce passage!" Marcel Proust se mit à rire et m e dit: "Mais, mon petit Lucien, ce n'est pas votre poum poum poum qui peut faire admettre cette splendeur ! Il vaudrait mieux essayer de l'expliquer!"». 3. Riguardo a Stendhal e al suo associare l'incanto melodico («ce qui fait de la musique le plus entraìnant des plaisirs de l ' I m e » ) al godimento fisico, ri31

Se la musica, incorporandosi in lui, facendogli rivivere idealmente le sue passioni, risuona al suo orecchio come la voce della persona amata, a sua volta egli si abbandona docilmente ad essa, aderisce a tutte le suggestioni che essa propone alla sua fantasia; «une fois qu'on m'a dit qu'un morceau d'orchestre veut peindre la tempéte, je sens toutes les convulsions "d'un vaisseau qui soufFre". Mais tant qu'on ne me l'a pas dit, je ne sais pas».' In realtà la musica «ne se confie pas volontiers» come diceva Mallarmé, serba gelosamente il suo segreto, il senso profondo del suo linguaggio per chi è, o si rende degno di accoglierlo, pur presentando ai non iniziati, ai profani, una superficie sonora che ha la proprietà riflettente di una lama d'acqua. E sarà appunto alla luce di questo specchio, proiettando la loro immagine su questo schermo, che i personaggi della Recherche mostreranno il loro vero volto, la loro autentica originaria natura. La musica appare infatti in quest'opera come l'elemento catalizzatore, l'infallibile strumento che sta a rivelare i limiti di gusto e di cultura di una gran dama, il filisteismo di un uomo di scienza, l'arrogante saccenteria e la passione snobistica per l'avanguardia di una borghese promossa aristocratica, l'ignoranza e la volgarità di un duca borioso, l'ostentata insincera ammirazione per l'arte di una parvenue, che mira soltanto a scalare l'olimpo della mondanità. Quando ascoltiamo la duchessa di Guermantes affermare, in difesa del genio di Wagner, che « méme dans Tristan il y a ^a et là une mandiamo al nostro saggio Stendhal e la musica della felicità, in Le frontiere della musica, cit., pp. 75 sgg. Per B a l z a c (il Balzac degli Etudes philoscphiques) ci si richiama qui alle estasi musicali descritte in Massimilla Doni e alla concezione e al godimento della musica come puro principio astratto, libero da ogni compiacimento dei sensi, d a ogni fine edonistico di Gambara: estasi sonore, fatte di voluttà e di connaissance, mistici abbandoni al divenire melodico in cui Gérard de Nerval e Baudelaire hanno riconosciuto una prova della vita e della realtà superiore dello spirito. I . C f r . M . PROUST, Lettres à Robert Dreyfus, 1 9 3 3 , pp. 251-232

in Correspondance générale, cit., iv,

page curieuse», il professor Cottard fare dello spirito sulla Sonata di Vintemi, Mme de Cambremer nata Legrandin disprezzare Chopin per apparire avancée («jamais assez à gauche... », in arte soltanto, naturalmente) e lamentare la presenza, nel Parsifal, di «un certain halo de phrases mélodiques, donc caduques, puisque mélodiques», il duca di Guermantes affastellare sacrilegamente Fra Diavolo con il Flauto magico, le Noi^^e di Figaro con i Diamanti della Corona esclamando «Voilà la musique!», infine Mme Verdurin, che, fingendo una sensibilità musicale tanto acuita da non poter riascoltare senza nocumento la Sonata di Vintemi, grida «Ah ! non, non, pas ma Sonate ! je n'ai pas envie, à force de pleurer, de me fiche un ruhm de cerveau avec névralgies faciales comme la dernière fois », non è tanto la leggerezza e la presunzione dilettantesca e il ridicolo del falso entusiasmo che ci colpisce, quanto la congenita sordità spirituale, l'irrimediabile carenza morale di quei personaggi. Provocando, determinando le singole reazioni, la musica saggia, come pietra del paragone, la sostanza delle anime, giudica e colloca gli uomini in un ordine gerarchico in contrasto con quello cui esse appartengono nella scala sociale. E se il mito della duchessa di Guermantes risulterà di conseguenza offuscato, in compenso verrà tolta un po' d'ombra alla figura di M.de Charlus, si accrescerà la simpatia per Mme de Cambremer, la douairière, mentre l'oscuro, l'umile maestro di pianoforte, la « vieille bète» di Vintemi, ci apparirà in virtù della musica non solo di tanto elevarsi sul così detto gran mondo della Recherche (in realtà insignificante e banale), ma rifulgere glorioso nel cielo degli eletti. Sono state ripetutamente rilevate le lacune esistenti nella cultura musicale di Proust, la sua mancanza di discernimento critico, la sua incompetenza tecnica, e si è lamentato il suo non perfetto sincronismo di gusto con le tendenze del rinnovamento musicale francese a lui contemporaneo, e 33

cioè il suo tardivo interesse per il Pelléas, il laconico accenno a Ravel e Strawinski, di cui non avrebbe saputo deviner il genio, e persino che egli non abbia riconosciuto in Romain Rolland «l'un des meilleurs musicographes de l'époque»/ Ma in realtà non si comprende perché egli avrebbe dovuto assumersi i compiti a lui non spettanti di storico della musica. Biasimare Proust perché nel suo grande romanzo non ci parla criticamente di Mozart o sembra ignorare le nostalgie archeologiche dei vari ritorni al passato, allora attuali, come il «retour à Bach», o il neo-classicismo di Strawinski, è assurdo quanto pretendere che in una partitura debbano figurare tutti gli strumenti dell'orchestra. Egli ama le musiche che sente a lui più congeniali, che trovano una più profonda eco nel suo animo, e si vale, come è diritto di ogni artista, di ciò che egli giudica meglio convenire ai suoi fini, guidato nella scelta non già da un indiscriminato ecclettismo o dalle suggestioni della moda, ma da un impulso spontaneo, da un criterio istintivo. Nella sua ammirazione «malgré la mode»^ per Beethoven, Chopin, Wagner egli non è infatti trattenuto dagli scrupoli di coloro ai quali, com'egli dice, «le devoir diete de fuir dans l'art comme dans la vie la beauté qui les tente et qui, s'arrachant à Tristan comme ils renient Parsifal et, par ascétisme spirituel, de mortification en mortification parviennent, en suivant le plus sanglant des chemins de croix, à s'élever jusqu'à la pure connaissance et à l'adoration parfaite du Postillon de Longjumeau»? Le opposte vie del più raffinato snobismo iconoclasta e del più banale dilettantismo conservatore appaiono così con1 . C f r . G . PIROUÉ, Proust et la musique

du devenir,

P a r i s , D e n o e l , I960, p p . 34-7-

V e d i a n c h e , s u l l ' a r g o m e n t o , l ' a c u t o g i u d i z i o di L . RONCA, n e l l ' a r t i c o l o

Proust

e la musica p u b b l i c a t o s u l « C o r r i e r e d e l l a S e r a » , il 1 0 s e t t e m b r e I960. 2. C f r . M . PROUST, Lettres à Walter Berry, in Correspondance p . 43. La prisonnière,

i, p p . 216-7-

34

générale,

cit., v , 1 9 3 5 ,

vergere verso il nome di Adolphe Adam e accomunare nell'ammirazione delle sue opere l'intellettuale iniziato con l'uomo di mondo orecchiante. A ciascuno, dunque, la musica che si merita. Dei numerosi richiami nella Recherche, a compositori e dei giudizi "relativi alle loro opere soltanto quelH del Narratore, salvo qualche eccezione, possono essere riferiti a Proust, riflettere le sue preferenze e insofferenze musicali. Ma se l'indignazione di M. de Charlus nell'apprendere che Morel, l'interprete di Bach e di Handel, di Fauré e di Vintemi «allait jouer du Puccini» non può dubitarsi debba corrispondere all'opinione dell'autore, non si potrà poi esimere questi dal rispondere dell'assurda pretesa che Morel, con il suo violino potesse «palestriniser» o eseguire musiche di Scarlatti, di Meyerbeer, di Bizet, e tanto meno i Fètes di Debussy. Gli è che anch'egli, come tanti letterati convertiti alla musica, non era nato musicista. Se i ricordi d'infanzia del Narratore possono aver valore autobiografico, la prima opera cui Proust avrebbe assistito sarebbe stata Les diamants de la Couronne o il Domino noir («mes parents m'ayant dit que quand j'irais pour la première fois au théàtre j'aurais à choisir entre ces deux pièces»),' opere queste poi ripudiate con tanta maggior onta quanto più grande era stato il godimento nell'ascolto di quelle melodie, banali ma facili e carezzevoli, sì da giungere poi, grazie al lavacro purificatore di Mozart e alla cultura sinfonica, a mortificare quel gusto e a reprimerlo come un cattivo istinto. Ma giunti a questo punto, osserva Proust generalizzando la sua propria esperienza, quando le persone, meravigliate dell'éblouissant colorito orchestrale di Strauss vedono questo musicista accogliere con una indulgenza degna di Auber i motivi più volgari, allora ciò che esse segretamente amano « trouI. Swann, i, p. n o .

35

ve soudain une justification qui les ravit, et elles s'enchantent sans scrupules et avec une doublé gratitude, en écoutant Salomé de ce qu'il leur était interdit d'aimer dans Les Diamants de la Couronne».' E sarà forse questa la segreta ragione che induce Proust a confessare a Reynaldo Hahn come un peccato il suo amore appunto per la Salomè di Strauss."® Si comprende come tra le incertezze e le oscillazioni di gusto, fra amori proibiti e miraggi (tra cui quello che gli fa apparire Liszt un «grand génie»),^ egli trovasse infine rifugio in una musica che la tradizione storica e letteraria aveva proclamata assoluta, si abbandonasse fiducioso ai suoi incanti, ne traesse illuminazione spirituale. Con il passare degli anni questa musica andrà per lui assumendo sempre maggiore importanza, sarà elevata a mJto, e gli apparirà, pur nella sua più raggiunta pienezza formale ed espressiva, quale simbolo di valori umani, di verità morali. «Pllis Wagner est légendaire, plus je le trouve humain et le plus splendide artifice de l'imagination ne m'y semble que le langage symbolique et saisissant de vérités morales».'^ Essa non costituirà soltanto «le fil conducteur» che corre lungo tutta la Recherche, ma il Virgilio, già da lui invocato, che lo accompagna nella discesa all'inferno di zolfo e di pece dei vizi umani, lo conduce attraverso le bolge di Sodoma e Gomorra, lo guida lungo l'erto, faticoso cammino del suo Purgatorio sino alle soglie di una beatitudine paradisiaca. Le immagini sonore che egli capta le descrive, non diversamente dalle persone e dalle cose con cui viene in contatto, non nella loro realtà oggettiva, ma come riecheggiano e si riflettono nella sua anima. E sarà in virtù di questo pote1. Guermantes, ii, p. 126. 2. Cfr. M. PROUST, LeUres à Reynaldo Hahn, cit., p. 229. 3. Cfr. M . PROUST, Lettres à L. Gautier-Vignal,

in Correspondance

1932, P- 3274. Cfr. M. PROUST, Lettres à Reynaldo Hahn, cit., p. 47. 36

générale, cit., iii,

re trasfiguratore che le opere dei più svariati compositori perderanno la loro qualità intrinseca per assumerne una nuova, quella della individualità originale di Proust. La sua musica immaginaria, se ha potuto valersi in vario modo e per alcuni particolari formali di una così grande varietà e ricchezza di apporti, sarà piiì precisamente dalla ultima Sonata per pianoforte e dagli ultimi Quartetti di Beethoven, oggetto per Proust di entusiastica ammirazione, che essa trarrà l'aureola di religioso mistero che l'avvolge, l'ispirazione celeste del suo metafisico messaggio.' Sarà a Chopin, alla libertà e alla flessuosità del suo fraseggio, vago e penetrante dalle imprevedibili divagazioni e dai ritorni esatti e premeditati, che essa intonerà il suo linguaggio appassionato ed umano. Sarà da Debussy che assumerà la concezione dell'esistenza autonoma della sonorità, le suggestioni timbriche, la raffinatezza armonica e la libertà di forma che caratterizzano appunto il Septuor di Vinteuil. La prima impressione che il Narratore riceve ascoltando quest'opera è infatti di novità assoluta: «je me trouvais en pays inconnu,... qu'on a abordé par un coté nouveau,. . . un univers inconnu . . Il canto che vi si diffonde risuona come « le plus inconnu, le plus différent de tout ce que j'eusse jamais pu imaginer, à la fois ineffable et criard . . . quelque 1. Secondo la testimonianza di J . BENOIST-MÉCHIN (ReWur à Marcel Proust, cit.) Proust avrebbe tratto ispirazione dalie u l t i m e Variazioni d e l secondo T e m p o della Sonata p e r p i a n o f o r t e op. i i i di B e e t h o v e n (là o v e il t e m a s e m b r a dissolversi in un etereo fluire di suoni e farsi luce),per descrivere l ' e s t r e m a apparizione della petite phrase della Sonata di V i n t e u i l : « E l l e était encore là c o m m e une bulle irisée q u i se soutient. T e l u n arc-en-ciel, d o n t l'éclat faiblit, s'abaisse, puis se r e l è v e et, a v a n t d e s'éteindre, s'exalte u n m o m e n t c o m m e il n'avait pas encore f a i t : a u x d e u x c o u l e u r s qu'elle avait j u s q u e - l à laissé paraitre, elle ajouta d ' a u t r e s cordes diaprées, toutes celles d u p r i s m e , et les fit chanter» (Swann, ii, p. 193). T r a gli u l t i m i Quartetti Top. 1 3 2 (xv), fu da Proust p a r t i c o l a r m e n t e a m m i r a t a , c o m e a p p r e n d i a m o da u n a sua lettera a R o b e r t de M o n t e s q u i e u , in Correspondance générale, cit., i, p. 244, e da altra lettera a E. R . C u r t i u s , ivi, in, p. 3 1 2 . 2. La prisorinière,

11, p p . 63 sgg.

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chose comme un mystique chant du coq, un appel ineffable mais suraigu de l'éternel matin». L'atmosfera fredda dell'inizio muta gradualmente: à midi è già tutto un festoso tripudio di luci e di suoni. « La titubation de cloches retentissantes et déchaìnées . . . semblait matérialiser la plus épaisse joie», una gioia, si direbbe, emanante dalla stessa materia sonora, che filtrando a traverso i vari strumenti, come un raggio di sole a traverso un prisma, si scompone ed assume varietà di timbri e luminosa ricchezza di colori. «Chaque timbre se soulignait d'une couleur, que toutes les règles du monde . . . ne pourraient pas imiter». In quel divenire perpetuo e feHce, in quel puro dinamismo sonoro, il subHme sembrava sorgere spontaneo « de la rencontre des cuivres, haletant,... affolé, vertigineux». Continuo e discontinuo palpito ritmico, che tuttavia non suscita instabilità e inquietitudine per fluire entro un alveo tonale, che genera saldezza di forma, per tendere costantemente, al di là di quel divenire, al riposo di una idea, che riunifica gli sparsi frammenti e conferisce loro coerenza e senso. Come non riconoscere in quest'arte di Vinteuil, che Proust, con accostamento rivelatore, paragona a quella del pittore Elstir, immagine riflessa di Monet e sintesi dei grandi impressionisti, l'arte innovatrice, libera, originale, «impressionista» di Debussy? Sorta da una nuova visione estetica, basata su di una nuova concezione armonica, incarnazione immediata dell'idea, la sua musica sembra anch'essa vivere, come quella di Vinteuil, nel godimento dell'istante sonoro che (sebbene in sé conchiuso e autosuffidente), perpetuamente si rinnova, ricostruendo l'universo armonico secondo un nuovo ordine, determinato dalle affinità elettive dei suoni. E, più particolarmente, si sarebbe tentati di riconoscere nel Septuor, per quella durata che scorre mutevole e irriversibile come il tempo, il tempo appunto di «un matin d'orage», dall'aurora all'assolato meriggio (« à midi pourtant 38

un ensoleillement brùlant et passager»),una profonda affinità d'ispirazione poetica e formale con La Mer, che intitola la sua prima parte: «De l'aube à midi sur la mer». Quella libertà di struttura, rilevata da Proust quale caratteristica di Vinteuil, quell'abbandono degli schemi tradizionali, sostituiti da forme più adeguate alle esigenze di una ispirazione volta ad esprimere le più sottili sensazioni del colore e della luce, i più segreti palpiti emotivi, hanno infatti puntuale riscontro nella composizione di Debussy, ove i suoni che si susseguono senza determinata continuità né voluto contrasto, i motivi che affiorano sulle onde del tumulto orchestrale, gli sparsi frammenti melodici, come obbedendo all'imperativo di una loro insita legge, trovano salda coesione nella invisibile armatura di una coscienza tonale che, in La Mer, raggiunge l'evidenza espressiva e la perfezione formale di un'opera classica. Con acutezza d'intuito Proust ha saputo cogliere l'intelligibilità concreta dell'armonia timbrica di Vinteuil-Debussy che, come la pittura di ElstirMonet, estrinseca, rende manifesto «cet ineffable qui différencie qualitativement ce que chacun a senti». Non gli è inoltre sfuggito come l'amore per la pura sonorità giustifichi i tratti naturalistici di quella musica, come cioè «le motif triomphant des cloches » non valga tanto come suggestione realistica quanto per attrarre l'attenzione sulla sonorità in se stessa, avulsa dal contesto e dalla struttura del discorso musicale. Quel motivo gioioso delle campane, sulle prime quasi sgradevole, il cui ritmo «se traìnait si péniblement à terre . . . qu'on aurait pu en imiter presque tout l'essentiel, rien qu'avec des bruits», il richiamo terrestre di quella «titubation de cloches rententissantes et déchaìnées (pareilles à celles qui incendiaient de chaleur la place de l'église à Combray)» distraendo dall'ascolto, riportavano d'improvviso dalla idealità del tempo della musica alla banaUtà del tempo esistenziale. Ma in seguito, 39

riascoltando il Septuor, lo stesso motivo, che già gli era apparso così poco melodico e troppo meccanicamente ritmato, diverrà il suo preferito per avere scoperto, in seguito allo sforzo fatto per meglio comprenderlo, la bellezza e la verità di quel «mouvement perpétuel et heureux», che scaturisce dal divenire di istanti musicali autosufHcienti sempre rinnovantesi, essenza intima della durata sonora, carattere fondamentale della musica impressionistica. Questa stretta affinità tra le due opere appare confermata da alcuni passi del grande commento di Proust al Septuor di Vinteuil. L'inizio infatti « sur des surfaces unies et planes comme celles de la mer, au milieu d'un aigu silence », si addice perfettamente alle prime battute, largamente distese e di ampio respiro di quel poema sinfonico ispirato al mare, mentre al penetrante motivo « à la fois ineffable et criard . . . quelque chose comme un mystique chant di coq» che risuona come «un appel ineffable mais suraigu de l'étemel matin», corrisponde l'inciso melodico della tromba con sordina nel terzo tempo di quella stessa opera, che non soltanto per l'affinità timbrica ci richiama alla memoria il tema iniziale, di carattere chiaramente imitativo, di Le coq d'or di Rimski-Korsakov, musicista assai ammirato da Debussy. Comunque, suggestioni a parte, Fimmaginario Septuor, «univers inconnu . . . tiré du silence et de la nuit», trova idealmente riscontro, più che con ogni altra musica moderna, con quella di Debussy, una musica che questi vagheggiava appunto potesse sembrare «sortir de l'ombre» e fosse atta a evocare, in virtù delle correspondances baudeleriane, le più sottili e fugaci sensazioni emotive. E si può ben comprendere la naturale, spontanea adesione di Proust all'arte di un musicista, che si proponeva di tradurre « des impressions sincèrement ressenties », sì da consentirgli, e non solo in sede critica, di porre la propria emozione 40

«à Fabri de toutes les esthétiques parasitaires»,' che considerava la musica come l'arte dell'inesprimibile, atta a cogliere nella sua immediatezza quel particolare elemento qualitativo « qui fait que les choses sont pour nous ce qu'elles ne sont pour personne au monde Potrebbe apparire strano tuttavia che Proust, in un tempo in cui la personahtà di Debussy era ancora contrastata e misconosciuta non solo tra il pubblico (salvo eccezioni snobistiche nei circoli mondani, ove peraltro, come documenta la Recherche, il suo nome appare più sovente quale sinonimo di scandalo o di noia) ma anche tra critici e musicisti, ne avesse saputo cogliere con tanta lucidità i caratteri peculiari dello stile, il genio. In cortese polemica con il compositore Reynaldo Hahn, che nella querelle provocata dal caso Debussy parteggia con gli oppositori, negando originalità e umanità alPelléas («une oeuvre», aveva già sentenziato M. A. Cheramy, «qui n'offre pas la moindre trace de sentiment humain»), Proust, pur facendo alcune concessioni e riserve di convenienza, ribadisce la sua sincera ammirazione per quest'opera di cui ha riportato all'ascolto «une impression extrémement agréable» che lo incanta. «Je demande perpétuellement Pelléas au théàtrophone . . . Et tout le reste du temps il n'y a pas un mot qui ne me revienne. Les parties que j'aime le mieux sont celles de musique sans parole . . . Il est vrai que celle du souterrain méphitique et vertigineux, par exemple, est si peu méphitique et vertigineuse . . . mais quand Pelléas sort du souterrain sur un "Ah! je respire enfin" calqué de Fidelio il y a quelques lignes vraiment imprégnées de la fraìcheur de la mer et de l'odeur des roses que la brise lui apporre. Cela n'a rien d' "humain" naturellement mais est 1 . D a u n o scritto d i D e b u s s y n e l l a « R e v u e B i a n c h e » , a p r i l e 1 9 0 1 , citato d a V . I. SEROFF, o p . cit., p . 1 8 2 . 2. C f r . M . PROUST, Lettres à Reynaldo

Hahn,

41

cit., p . 2 5 7 .

d'une poésie délicieuse, quoique étant . . . ce que je détesterais le plus si j'aimais vraiment la musique, c'est à dire n'étant qu'une "notation" fugace».' All'ammirazione per l'opera si accompagna la simpatia per l'uomo, che egli soleva incontrare al Café Weber e con cui, pur appartenendo a clans differenti, aveva stabilito rapporti intonati a sincera cordialità, se pur limitati, per la naturale ritrosia di Debussy, a degli incontri casuali. Ma alla migliore conoscenza dell'arte e della personalità del musicista potrà aver efficacemente contribuito l'amicizia con un giovane letterato, René Peter, intimo di Debussy. Nessuno meglio di lui avrebbe infatti potuto iniziarlo alla musica nuova di quel compositore, rivelargliene l'originalità e insieme i sottili rapporti con la tradizione, superata ma non ripudiata, renderlo edotto dei vari aspetti artistici ed umani della sua personalità, quali si possono riconoscere trasposti o fedelmente riflessi nella Recherche. Se nel grande romanzo Mme de Cambremer poteva vantare di aver ricevuto dall'ultima allieva di Chopin a Parigi «la manière de jouer, le sentiment du Maitre», in realtà l'erede di quella gloriosa tradizione era Debussy, che, com'egli ebbe a confidare agli amici, aveva lungamente studiato in gioventù con una anziana maestra, allieva di Chopin,® e Proust ben conosceva quanta importanza quell'insegnamento avesse avuto nella sua formazione artistica, d'esecutore e di compositore, e il decisivo contributo da lui dato alla « réinvention de Chopin », il suo « musiden préféré ». Non ostante l'abituale riserbo, Debussy aveva infatti reso giustizia a quel genio citandone «le nom avec faveur» e riconoscendolo come suo precursore, per aver realizzato. 1 . C f r . M . PROUST, Lettres à Reynaldo Hahn, cit., pp. 1 9 9 e 203.. Proust allude qui alla «dilatation q u e Beethoven a si bien m a r q u é e dans Fidelio quand ses prisonniers respirent enfin "cet air qui vivifie"» (Sodome, 11, p. 38). 2 . C f r . A . CASELLA, 21 +26,

Roma-Milano, Augustea, 1 9 3 1 , p. 122.

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scrive Proust, « quelque chose qui ressemble à ce . . . que luimème avait voulu faire», sì che le sue opere, beneficiando deirammirazione che, nonostante i contrasti iniziali, il Pelléas andava sempre più suscitando, avevano ritrovato «un éclat nouveau».' E sarà anche grazie alle confidenze di René Peter (che verosimilmente avrà riferito a Proust quanto ebbe poi a scrivere in un libro di memorie sul suo celebre amico musicista)^ se l'accenno di Mme Verdurin all'acceso nazionalismo e all'atteggiamento decisamente « anti » assunto da Debussy nell'affare Dreyfiis, acquista il valore di storica testimonianza. Come per la Sonata anche per il Septuor posarono accanto al principale modello altre opere, ad integrazione e arricchimento di quell'immaginario capolavoro, «un chef-d'oeuvre triomphal et compier», simbolo per Proust della musica stessa. Lo sta a rivelare infatti, nella descrizione di Proust, la struttura formale del Finale : « à plusieurs reprises telle ou telle phrase de la sonate revenait, mais chaque fois changée, sur un rythme, un accompagnement différents, la méme et pourtant autre, comme renaissent les choses dans la vie . . . Puis elles s'éloignèrent, sauf une . . . Puis cette phrase se défit, se transforma, comme faisait la petite phrase de la sonate, et devint le mystérieux appel du début. Une phrase d'un caractère douloureux s'opposa à lui. . . Bientòt les deux motifs luttèrent ensemble dans un corps à corps où parfois l'un disparaissait entièrement, où ensuite on n'apercevait plus qu'un morceau de l'autre. Corps à corps d'énergies seulement, à vrai dire . . . combat immatériel et dyna1. Sodome, ii, 2, p. 37. 2. Cfr. R. PETER, Claude Debussy, Paris, Gallimard, 1931 : sull'autore e sulla sua amicizia con Proust vedi il lucido saggio di G. MACCHIA, Un amico di Proust (con una lettera inedita), in II mito di Parigi, Torino, Einaudi, 1965, pp. 154 sgg.

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mique . . . Enfiti le motif joyeux resta triomphant; ce n'était plus un appel presque inquiet lancé derrière un del vide, c'était une joie inefFable qui semblait venir du Paradis».' Siamo ben lontani qui dalla fluida continuità senza contrasti della musica atematica di Debussy, da queirimprovviso accendersi e spegnersi di spunti melodici, da quella frammentarietà, che solo nell'iridiscente alone armonico che l'avvolge trova coesione e forma. Assistiamo ora, per contro, alla vicenda sonora di due temi ben definiti e tra loro contrastanti: «Tappel du d é b u t . . . à la fois ineffable et criard», cui si oppone «une phrase d'un caractère douloureux... profonde, v a g u e . . . interne», alle fasi alterne della loro lotta, al trionfo finale del primo tema, del «motif joyeux», misticamente trasfigurato, arricchito di un più profondo valore espressivo. Assistiamo cioè allo sviluppo dinamico della forma-sonata beethoveniana, determinato dal contrasto dialetticd di due temi in perpetuo conflitto tra loro, impulsi vitali da cui tutto procede e tutto ritorna, temi che assumono il valore di idee, di princìpi opposti. L'uno aggressivo l'altro implorante, l'uno energico, conciso e nettamente determinato (« chant de sept notes »), melodicamente espressivo l'altro («une phrase d'un caractère douloureux... vague»), vago appunto, per la sua indeterminatezza tonale: il « widerstrebende Prinzip» e il «bittende Prinzip», come ebbe a definirli Beethoven.^ La profonda emozione che quella musica suscita in chi l'ascolta, impressione ineffabile di una gioia celeste, « approximation la plus hardie des allégresses de l'au delà», trova inoltre degno, adeguato riferimento nella «Freude, schòner Gòtterfunken», nella «gioia, scintilla divina» celebrata nel1. La prisonniére, ii, pp. 77 sgg. 2. Cfr. L. MAGNANI, I Quaderni di conversatone

di Beethoven, Milano-Napoli,

Ricciardi, 1962, cap. v. L'antinomia kantiana e i due principi della forma-sonata, PP- 79 sgg.

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l'ultimo Tempo della Nona Sinfonia, nella casta e trasumanata gioia della Cannona di ringraziamento in modo lidico offerta alla Divinità da un guarito, neir« enivrante finale du Quin^ième Quatuor ... délire d'un convalescent qui mourut, d'ailleurs, peu après», definito da Proust «ce que je connais de plus beau én musique».' Tuttavia una particolarità strutturale del Septuor, la forma ciclica e il diffuso wagnerismo, ci riportano all'arte di César Franck. Sebbene il procedimento ciclico (mediante cui un tema, pur modificandosi nel ritmo, nella melodia e nell'armonia durante il corso di una composizione resta riconoscibile a rinforzo della coesione e dell'unità sintetica dell'opera) fosse già implicito in Beethoven e da lui consapevolmente applicato nella Sinfonia Pastorale e in alcune Sonate per pianoforte (quali Top. 54, Top. 8i, Top. io6. Top. tic), tuttavia, per essere stato esumato dall'oblio in cui giaceva e riportato a nuova attualità nella musica francese da César Franck, ne era divenuto non solo un tratto caratteristico del suo stile, ma l'eminente contrassegno della sua personalità. Nel Septuor si ritrova infatti «la ressemblance entre le thème de l'adagio et celui du dernier morceau, qui est bàti sur le méme thènie-clef que le premier, mais tellement transformé par les différences de tonalité, de mesure, que le public profane, s'il ouvre un ouvrage sur Vinteuil, est étonné de voir qu'ils sont bàtis tous trois sur les quatre mèmes notes E sarà la presenza di quel motivo conduttore, di quel tema ciclico che sempre riaffiora, ma ogni volta alterato, «sur un rythme, un accompagnement dilférents», lo stesso e tuttavia diverso, a conferire unità alla varietà non solo di una singola composizione ma di tutta l'opera del musicista. 1. Cfr. M . PROUST, Lettres à Robert de Montesquiou, in Correspondance générale, d t . , I, p. 2452. La prisonnière, ii, pp. 252-3.

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Di queste frasi sempre ricorrenti, che aleggiano nella partitura di Vinteuil come divinità famigliari, il Narratore ne identifica nel Septuor alcune appartenenti alla Sonata, tra cui la petite phrase « toute ruisselante de sonorités brillantes, légères et douces . . . reconnaissable sous ces parures nouvelles»: motivo conduttore che lo introdurrà «dans un monde inconnu», lo inizierà air«oeuvre nouvelle».' Non diversamente nelle Variazioni sinfoniche di Franck riappare un tema che sotto figurazioni ritmiche diverse aveva già conferito unità ciclica ai tempi del suo Quintetto. Importa qui rilevare che questa composizione, destinata a figurare «d'abord pour la dernière matinée des Guermantes», aveva posato, in una ulteriore versione della Recherche di cui esiste l'abbozzo manoscritto, per una soirée al Casino di Balbec («Le "célèbre quintette" Lepic, composé de femmes, vint exécuter un quintette de Franck [mettre un autre nom])® che pet figurare parzialmente trasposta nel concerto di casa Verdurin, sta a riproporre con maggiore evidenza la possibilità di un rapporto tra quel Quintetto e il Septuor di Vinteuil, musicista che con Franck ha in comune non soltanto la forma ciclica e il wagnerismo, ma alcuni fondamentali aspetti della sua figura di uomo e della sua personalità di artista.^ 1. La prisonnière, n, pp. 64 e 77. 2. Cfr. M . PROUST, A la recherche du temps perdu, cit., I, Notes et variantes, p. 979-

Bìbliothèque de la Plèiade,

3. In seguito q u e l Quintetto, inserito f r a i suoi m o d e l l i , apparirà sempre menzionato nei manoscritti c o m e Sextuor, p e r divenire Septuor nella versione definitiva. Tracce rivelatrici della trasposizione del concerto di B a l b e c in casa V e r d u r i n si riconoscono là ove l ' a i m m o b i l i t é f a r o u c h e » della Patronne riass u m e e s i m b o l e g g i a la pretesa dell'elegante pubblico del Casinò «[d'avoir] l'air de connaitre ce qu'on j o u a i t , de j u g e r les exécutants et de les "attendre à l'allegro vivace", fort diiìHicile», con un sorriso « q u i v o u l a i t dire à la fois: "C'est c h a r m a n t " et " V o u s pensez si j e le c o n n a i s ! " » (Jeunes filles, ed. de la Plèiade, cit., I, Notes et variantes, p. 979). In La prisonnière l e g g i a m o appunto: « M m e V e r d u r i n ne disait p a s ; " v o u s c o m p r e n e z q u e j e la connais un peu certe musiq u e " . . . Mais sa taille droite et i m m o b i l e , ses y e u x sans expression, ses mèches f u y a n t e s le disaient p o u r elle» (Laprisonnière, 11, p. 66). E d è inoltre significativa

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Se di Beethoven ha il genio creatore, di Debussy la raffinata sensibilità e lo slancio audace verso il nuovo e l'originale, di Cesar Franck Vinteuil possiede l'arte sapiente, l'umile semplicità della vita, il candore, la bontà indistruttibile, che gli consente di sopportare con rassegnata tristezza, senza risentimento, l'ostinata incomprensione, l'infelice destino. Entrambi insegnanti di pianoforte e organisti (la Variation religieuse pour orgue di Vinteuil potrebbe trovare ideale riscontro nelle Variazioni del i" e del 2° Corale per organo di Franck) hanno servito disinteressatamente la musica senza chiederle la gloria. Inginocchiati dinnanzi ad essa hanno innalzato «la prière la plus profondément humaine qui soit sortie d'une àme mortelle », come scrisse Debussy di Franck ; ' le loro opere appaiono infatti formare, come scrisse Proust di Vinteuil, «une méme prière jaillie devant difFérents levers de soleil intérieurs et seulement réfractée à travers les milieux différents . . . de recherches d'art en progrès All'effusione del cuore si accompagna in essi, come sempre nei grandi musicisti, un senso esatto del suono, inteso nella sua pura accezione sonora, libero cioè e sciolto da ogni arbitrario attributo, un preciso rigore formale, una sempre crescente maestria nel comporre armonie e nella scelta dei timbri. E come a Franck « d'avoir trouvé une belle harmonie sufla ripresa di un particolare, quello della tnèche che cade, non senza civetteria, sulla fronte del giovane violinista, qui More!, là, nella prima versione, a Balbec, Santois: « A ces traits agréables vint s'ajouter . . . une mèche incurvée et légère . . . charmante . . . peut-ètre pas tout à fait fortuite, mais déclenchée au m o m e n t opportun par le virtuose qui savait quelle part de collaboration étroite elle peut ajouter à un jeu séduisant» (ed. de la Plèiade, cir., i, p. 981); «Quant à Morel une mèche jusque-là invisibile et confonduedans sa chevelure venait de se détacher et de faire boucle sur son front», ecc. (La prisonnière, 11, p. 67). In una dedica a Edouard Hermann, Proust trascrive il tema iniziale del Quintetto di Franck accompagnandolo con queste parole; «Je voulais Vous rappeler Ysaie, Vous, moi et le grand musicien que vous méconnaissez mais jouez si bien», citata da G. PIROUÉ, Proust et la musique du devenir, cit., p. 185. 1. Cfr. C. DEBUSSY, Monsieur Croche antidilettante, Paris, Gallimard, 1926, cap. xviii, César Franck, p. 1 5 1 . 2. La prisonnière, n, p. 72.

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fisait à sa joie d'un jour»,' così a Vinteuil era di conforto «la joie que lui avaient causée telles sonorités», la «joie éperdue » che gli procuravano le sue invenzioni timbriche.^ Timidi nella vita, essi avevano saputo trovare nell'esercizio della loro arte (la loro vita vera), sicurezza e audacia, una forza, un potere di scoperta da cui sorgeva la calma gioia che nobilita i loro volti. Tuttavia se per certi aspetti l'immagine dei due musicisti, per la pertinenza dei riscontri, sembra coincidere, la personalità di Vinteuil non si limita a quella della figura storica di César Franck, né si esaurisce nel confronto con essa. Il personaggio proustiano trae infatti la sua profonda umanità da una sofferenza che non è solo determinata dall'incomprensione e dall'ostile indifferenza del pubblico. La luce che da lui emana non è soltanto quella della gloria, ma l'aureola del martirio. E sarà appunto l'alto senso morale, la salda virtù di quest'uomo umiliato che incontriamo, all'inizio della Recherche, aggirarsi «près du Cimetière» di CombrayMontjouvan, vacillante, oppresso si direbbe dall'onta e dallo scandalo di una condizione famigliare da lui deprecata e formalmente condannata, a rendere per contrasto più tragico il dramma della sua vita. Dramma che ci appare anche più toccante per adombrare un altro tormento, quello che nella Recherche si nasconde (e si rivela) nelle inquietudini e nella desolata rassegnazione della madre del Narratore, per identificarsi cioè in una sofferenza che sentiamo trascendere la finzione letteraria, provenire dall'esperienza della vita; sofferenza che Proust, non diversamente da Vinteuil, sa restituire in silenzio all'arte. L'ombra dolente del musicista si accompagna così al mesto corteo delle «mères profanées», oggetto di pietà e di rimorso per Proust, cui è mancato, a suo dire, il coraggio di sollevare il velo che avvolge d'ombra i loro volti. 1. La prisonnière, n, p. 7 1 . 2. C f r . C. DEBUSSY, Monsieur Croche antìdilettante, cit., p. 149.

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V ' è n e l l ' a r i a u n a i m p r o n t a , che consiste in u n a serie di sensazioni distinte; le l e t t e r e vi s o n o in q u a l c h e m o d o d i s e g n a t e da colui che e m e t t e dei suoni - Poi la f a c o l t à a u d i t i v a e la sostanza stessa d e l l ' a n i m a l e g g o n o i c a r a t t e r i scritti nell'aria . . . Plotino, Enneadi,

I

iv, 6, io.

L problema della realtà assoluta dell'arte, l'istanza metafisica che la musica con le sue illuminazioni e le sue estasi sembra proporre, trovano profonda risonanza in tutta la Recherche, ove i personaggi di Swann e del Narratore rivivono le fasi di una esperienza musicale, che dall'acuta indagine del fenomeno fisico della percezione sonora trascende ad una esperienza mistica, che investe sensi ed anima. Ascoltando per la prima volta la Sonata di Vinteuil, Swann non sembra godere che della «qualité matérielle des sons secrétés par les instruments»,' ma poi, senza ancora poterne distinguere nettamente alcun contorno, egli cerca di captare la fuggevole frase, che aveva suscitato in lui una di quelle impressioni confuse, «inétendue», originali, irriducibili ad ogni altro ordine di impressioni, le sole forse meramente musicali. Senza dubbio le note che allora si ascoltano, tendono appunto, come aveva osservato Plotino, a ricoprire dinnanzi ai nostri occhi, secondo la loro altezza e quantità, delle superfici di dimensioni variate, a tracciar degli arabeschi, a suscitare sensazioni di labilità, di saldezza. Di queste sensibili impronte, per essere annullate dalle successive prima di aver raggiunto sufficiente consistenza, non resterebbe I . Swann,

i, p . 300.

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traccia se la memoria non ne fabbricasse infaticabilmente dei fac-simili, e non ci permettesse di comprendere e di differenziare quelle impressioni fuggitive, indefinibili e ineffabili, trasponendo la sostanza sonora in sostanza figurativa, i valori temporali in valori spaziali. Non era ancora spento infatti l'incanto musicale che già la memoria di Swann glie ne aveva fornita una trascrizione sommaria e provvisoria, tale tuttavia da poterne cogliere, quando quella stessa impressione si fosse rinnovata, l'estensione, i raggruppamenti simmetrici, la grafia, il valore espressivo. «Il avait devant lui cette chose qui n'est plus de la musique pure, qui est du dessein, de l'architecture, de la pensée, et qui permet de se rappeler la musique».' Ma se la facoltà intellettiva ricorda e traspone la sensazione sonora, sarà la sostanza stessa dell'anima, per Plotino e per Proust, che saprà leggere e intendere quei geroglifici scritti nelKaria. La frase che Swann distingue emergere nettamente sulle onde sonore sembra infatti proporgli «des voluptés particulières», insospettate ed esaltanti; ora con ritmo lento essa lo guida verso una beatitudine nobile, intelligente, precisa, ora, con movimento più rapido, malinconico, incessante e dolce, lo convogha verso prospettive sconosciute, evocando l'immagine di una bellezza nuova, che conferisce alla sua sensibilità un valore più grande, risveglia in lui la fede perduta nei valori dello spirito. Egli vi riconosce infatti la presenza di una di quelle realtà invisibili cui egli da tempo aveva cercato di credere e alle quali egli avrebbe desiderato ancora consacrare la vita. Sentimento inintelligibile ma preciso di una gioia nuova e ineffabile, che Swann crede tuttavia debba inverarsi nella felicità dell'amore. Sebbene la petite phrase nella sua grazia leggera e distaccata sembrasse premonire quanto fosse vana quella felicità di cui pur indicava il camI. Swann,

i, p. 3 0 1 .

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mino, Swann, isolandola dal contesto della Sonata, priva ormai per lui d'interesse, astraendo dalla sua bellezza intrinseca, la considera soltanto come il suggestivo richiamo, il pegno, l'air national del suo amore per Odette. Facendosi ripetere al piano quel motivo per cercare di scoprire la ragione segreta del suo fascino, s'indurrà a credere che quella impressione «de douceur rétractée et frileuse» sia dovuta «au faible écart entre les cinq notes qui la composaient et au rappel Constant de deux d'entre elles».' Ma in realtà egli ben sapeva di ragionare in base a dei semplici valori formali, sostituiti, per comodità dell'intelligenza, alla misteriosa entità percepita alla prima audizione della Sonata. Sapeva che il campo aperto al musicista non è una semplice tastiera di sette note, ma «un clavier incommensurable . . . où seulement. . . quelques-unes des millions de touches de tendresse, de passion, de courage, de sérénité qui la composent... ont été découvertes par quelques grands artistes», che risvegliando in noi «le correspondant du thème qu'ils ont trouvé», rivelano quale ricchezza, quale varietà nasconda a nostra insaputa questa grande notte impenetrata e scoraggiante della nostra anima, «que nous prenons pour du vide et pour du néant».^ Campo questo ancora quasi interamente sconosciuto, che trova riscontro (per esserne l'equivalente psichico) nella «région des images» bergsoniana, anch'essa « immense clavier sur lequel l'objet extérieur exécute tout d'un coup son accord en milles notes, provocant ainsi... une énorme multitude de sensations élémentaires correspondant à tous les points intéressés du centre sensoriel»;^ meccanismo interiore del fenomeno psicofisico, che soggiace alle correspondances tra le sensazioni, alle resurrezioni 1. Swann, n, p. 189. 2. Swann, n, pp. 189-90. 3. Cfr. H. BERGSON, Matìère et mémoire, in Oeuvres, cit., p. 144.

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della memoria, e che assumerà poi il suo pieno significato di incessante processo, tendente a riconquistare al passato la sua efficacia perduta, a ritrovarlo attualizzato, mediante l'arte, in un eterno presente. Accertata la presenza di mirabili idee rimaste in ombra alla prima audizione, come monumenti nella nebbia, acquisita gradualmente la percezione dei temi, che entrano nella composizione delle frasi come le premesse di una conclusione necessaria, Swann si addentra nel misterioso processo mediante cui un musicista di genio organizza e anima di vita originale combinazioni ritmiche e sonore in obbedienza alle leggi segrete di una forza sconosciuta, che lo guida attraverso l'inesplorato, verso la terra incognita, la patria perduta, di cui la musica sembra essere emanazione ed annuncio. Ma egli, pur intuendo queste alte verità, si arresta alle soglie dei mirkcolo creativo, non sa corrispondere al richiamo dell'arte, non può accoglierne e renderne operante il messaggio. Smarrito nell'inseguire le lusinghe d'amore, della cui vanità e fragilità la musica, già confidente e testimone delle sue gioie pur lo aveva ammonito, stanco e deluso egli sente lentamente dileguarsi quella benefica influenza sulla sua aridità morale, spegnersi in lui quella speranza di rinnovamento. In luogo del significato profondo che già le aveva richiesto, la musica, ricantandogh i ritornelli dimenticati della felicità perduta e rendendo così più profondo il sentimento della sua miseria, non saprà ora che restituirgli tutto ciò che di essa conservava la specifica, volatile essenza ed evocare a lui, ormai rassegnato ed inerte, l'immagine nostalgica di «un printemps dont il n'avait pas pu jouir autrefois», la fredda, immobile immagine di un paesaggio notturno. «N'est-ce pas que c'est beau cette Sonate de Vintemi? me dit Swann. Le moment où il fair nuit sous les arbres, où les 52

arpèges du violon font tomber la fraìcheur. Avouez que c'est bien joli; il y a là tout un coté statique du dair de lune, qui est le coté essentiel... C'est cela qui est si bien peint dans cette petite phrase, c'est le Bois de Boulogne tombé en catalepsie»."

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