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Psicologia Sociale Myers

CAPITOLO 1 INTRODUZIONE ALLA PSICOLOGIA SOCIALE La psicologia sociale ci parla di noi, del nostro mondo sociale. Che cos’è la Psicologia Sociale? E’ lo studio scientifico del modo in cui le persone e i gruppi percepiscono e pensano gli altri, li influenzano e si pongono in relazione con loro. “Nessuno vive solo” (Lewin) Studia l’intersoggettività, intesa come relazione tra individui e contesto sociale in cui agiscono. Essa si serve di un’articolazione basata sia sui processi basici della vita di relazione in ambito cognitivo, e sia di un’articolazione di processi che scaturiscono da interazioni sociali (pregiudizi, influenze sociale…).

Gli psicologi sociale dunque non fanno nient’altro che studiare i pensieri delle persone e come questi influenzino i loro comportamenti. La breve lista delle caratteristiche a cui noi dobbiamo far sempre riferimento è formata da 3 punti fondamentali: 1. Percezione e pensiero sociale; 2. Influenza sociale; 3. Relazioni sociali. Noi costruiamo la nostra realtà: Gli esseri umani hanno un necessario bisogno di spiegare ogni avvenimento, renderlo ordinato, e definendogli una causa per cui esso è avvenuto.Ciò che è importante è che esiste una realtà oggettiva al di fuori di noi, ma la vediamo sempre attraverso le lenti delle nostre credenze e dei nostri valori, ovvero siamo tutti degli scienziati ingenui. (Es.Partita Football tra università). Le nostre intuizioni sono spesso potenti ma talvolta pericolose: Le intuizioni sono comuni. Esse modellano le nostre paure, le nostre impressioni e le nostre relazioni. Esse influenzano le nostre azioni. I ricercatori fanno riferimento all’elaborazione duale, ovvero il processo basato sui 2 livelli che sviluppa il pensiero, la percezione, la memoria… Le influenze sociali plasmano i nostri comportamenti: Noi essere umani desideriamo sempre essere in relazione con gli altri. Le persone si adattano al contesto sociale in cui vivono.

La Psicologia Sociale e i valori La Psicologia Sociale è un insieme di strategie per rispondere a domande socialmente rilevabili. Così come in ogni altra disciplina scientifica, anche in questa c’è bisogno di totale oggettività da parte del ricercatore/psicologo. Difatti i valori del ricercatore penetrano all’interno del suo lavoro, intaccando quella che comunemente viene chiamata scientificità del lavoro, in due maniere diverse: manifesta , ovvero nella scelta del luogo di lavoro o dell’oggetto di studio, e non manifesta, ovvero per interpretazione personale. Spesso infatti ciò che riteniamo oggettivo, non è nient’altro che il frutto di una credenza sociale, di una rappresentazione sociale di cui non si è consapevoli e dunque non viene sottoposta a verifica (Moscovici). Quali sono le soluzioni? Le stesse che utilizza qualunque altra disciplina. Costruire congegni di ricerca sempre più precisi e accurati. Lo so da sempre, la Psicologia Sociale è semplice senso comune? I ricercatori sociali si sentono spesse volte rivolgere due critiche in netta contraddizione: 1)La psicologia sociale è banale perché documenta l’ovvio; e 2)La psicologia sociale è pericolosa perché con i suoi risultati potrebbe manipolare le persone. Alla base di tutto c’è il fatto che noi umani invochiamo il senso comune dopo che siamo venuti a conoscenza degli eventi. Verosimilmente nella vita quotidiana, spesso non ci aspettiamo che una cosa accada fin quando questa non accade realmente.Dopo che è accaduta, improvvisamente vediamo i processi che hanno prodotto l’evento e dunque non proviamo più sorpresa. (ES. Uragano

Katrina).Tale fenomeno viene chiamato bias della retrospezione o fenomeno dell’io-lo-so-dasempre. Quando e dove è nata la Psicologia Sociale? Le radici della Psicologia sociale vengono spesso ricondotte a due approcci significativi che si sono verificati nel XIXsecolo: Psicologia della folle (Le Bon 1885) di origine italo-francese e la psicologia dei popoli (Germania, Volkerpsichologie). -Psicologia delle folle: volume che ebbe molto successo e fu ripreso da molto psicologi dell’epoca nei quali rientra anche Freud. Anche Hitler e Mussolini ne furono affascinati grazie alla componente autoritaria che si leggeva fra le righe. Le Bon offre un’immagine molto negative delle folle a causa della presenza di irrazionalità nelle loro azioni. Le persone all’interno delle folle si annullano, i loro sentimenti si polarizzano e si viene a creare una sorta di corpo unico con idee e convinzioni a volte molto diverse da quelle di cui ciascun individuo ne risultava portatore. Secondo l’autore francese, alla basa di questi atteggiamenti vi sono 3 meccanismi principali: 1)Contagio mentale, propaganda; 2)Senso di potenza e conseguente riduzione del senso di responsabilità; 3)Suggestionabilità. A partire da questa teoria Le Bon sviluppa l’idea dell’importanza di un capo all’interno della folla: esso deve essere autoritario, carismatico, uomo d’azione e capace d’imporsi. D’altra parte anche Gabriel Tarde la pensava in questo modo, ma al contrario di Le Bon, credeva che all’interno della folla l’individuo non si perdesse, e dunque che le idee personali non si cancellassero. 1. Alla base della vita sociale per Tarde vi erano 3 aspetti molto importanti: Desiderio; 2. Invenzione;

3. Relazione. Volkerpsichologie: attorno agli stessi anni, in Germania si sviluppa la psicologia dei popoli.la quale indica una psicologia comparata e storica volta che si occupa dei prodotti della cultura che derivano dall’interazione sociale. Massimo esponente di questa corrente è Wilhelm Wundt. Negli anni in cui scrisse rapporti sulla psicologia sociale, la distinse dalla psicologia sperimentale e allo stesso tempo considerò entrambe le discipline complementari. Gli assunti principali del suo approccio sono: 1. L’essere umano è intrinsecamente un essere sociale; 2. La psicologia sociale deve essere necessariamente basata sulla storia; 3. L’oggetto di studio è il rapporto tra le persone e i prodotti della loro interazione. La sua psicologia si interessava dello studio delle origini della società e della sua evoluzione. Sia la psicologia delle folle che la Volkerpsichologie, pongono l’attenzione su fenomeni collettivi, sulla società ed entrambe sono d’accordo sull’utilizzo della metodologia osservativo-interpretativa per l’indagine dell’oggetto di studio. La Psicologia Sociale in America L’esordio: 1885-1934

Norma Triplett viene considerato il primo ricercatore sociale. Nel 1895, egli si pose la domanda se per caso la performance di una qualunque persona cambiava se durante la prova erano presenti altre persone ad assistere? (Es. Ciclismo) Ideò così il primo esperimento di psicologia sociale, e difatti si accorse che le persone, durante lo svolgimento di una prova, aumentano le loro performance se accanto a loro ci sono altre persone che osservano. Tempo addietro però, nel 1880, bisogna dire che anche Ringelmann si pose la stessa domanda e ideò lo stesso esperimento, ma che pubblicò solo nel 1913: • Ringelmann però, concluse il contrario di Triplett, ovvero le persone in presenza di terzi, diminuivano le loro performance. Tale contraddizione verrà spiegata più avanti. Sebbene Triplett condusse il primo esperimento, il merito della nascita della Psicologia Sociale viene attribuito a due autori, McDougall e Ross , che nel 1908 pubblicarono due testi contenenti la parola Psicologia Sociale. Sarà poi in seguito un terzo psicologo, Floyd Allport a rispondere alla domande cardine della neodisciplina e a darne una precisa definizione. Gli anni della costituzione: 1935-1945 Due avvenimenti molto importanti determinarono fortemente l’indirizzo disciplinare che avrebbe messo in moto la psicologia sociale: 1)La crisi del ’29: giovani psicologi persero il lavoro e cominciarono così ad occuparsi di tematiche sociali sempre più frequentemente fin quando nel 1936 fondarono un’associazione tutt’oggi molto attiva, la SPSSI, che si occupa appunto di questioni sociali; e 2)L’ascesa del Nazismo in Europa: difatti molti psicologi ebrei furono costretti ad emigrare negli USA per continuare i loro lavori. In questo periodo si svilupparono le teorie di

Kurt Lewin, ebreo fuggito dalla Germania nazista, ed è ritenuto il fondatore della moderna Psicologia sociale. La rapida espansione: 1946-1969 La Psicologia Sociale visse tra la fine degli anni 40 e la fine degli anni 60 un momento di grande e rapida espansione. E’ in questo periodo che furono condotti i principali sperimenti di cui parleremo in seguito. Per capire meglio cosa aveva portato la Germania Nazista a compiere gesti così violenti ci furono 3 importanti psicologi che se ne occuparono: Adorno e la sua “personalità autoritaria”, Milgram che studiò il potere della comunicazione persuasiva (Es.2/3 sei soggetti), e Festinger che propose la “teoria della dissonanza cognitiva”. Dall’altro fronte troviamo l’America che negli anni ’60 venne sconvolta da guerre, proteste e quant’altro, da cui inevitabilmente scaturirono necessarie spiegazioni da parte dei cittadini che volevano comprendere il motivo di questi avvenimenti per poi produrre cambiamenti in positivo. Di conseguenza gli psicologi sociali cominciarono ad interessarsi di fenomeni quali l’aggressività, la violenza e le relazione interpersonali. Gli anni della crisi e della rinascita: 1970-1984 All’inizio degli anni ’70 c’è da dire che gli psicologi sociali si accorsero che i problemi sociali di cui si erano occupati in precedenza non arrivarono ad essere né risolti né compresi completamente. Questo squilibrio portò ad una sfiducia nei confronti di questa disciplina. Vennero messi in discussioni sia i risultati raggiunti dalle ricerche condotte anni prima, e sia il vero e proprio metodo sperimentale utilizzato nei laboratori. Fortunatamente per lo sviluppo della psicologia sociale, da questi dibattiti e sfiducie, nacquero nuove questioni su cui impegnarsi maggiormente e di conseguenza si pianificò un lavoro più produttivo, etico e rigoroso. Sebbene il metodo sperimentale

rimaneva quello privilegiato, alcuni psicologi si allontanarono per affrontare i problemi con metodi di ricerca diversi. Da qui si venne a creare un doppio filone che permane tutt’oggi fra gli psicologi sociali: la prospettiva “calda” basata sulle emozioni e le motivazioni come determinanti dei comportamenti delle persone, e la prospettiva “fredda” che evidenzia l’aspetto cognitivo e percettivo come fenomeno che fa si che le persone si comportino in un preciso modo. Gli anni dell’espansione e della visione pluralistica: 1985-in corso La rinascita che seguì la crisi, si caratterizzò per il suo approccio pluralistico e multiculturale. Gli psicologi così mettono a frutto tutto ciò che hanno assimilato negli anni precedenti e avviano un lavoro di confronto e di integrazione. La Psicologia Sociale in Europa Psicologia delle folle e Volkerpsichologie, dopo una fase di espansione, subirono un radicale declino che li portò quasi a scomparire completamente. Si può dire difatti che fino alla metà degli anni ’40, la Psicologia sociale in Europa non fosse classificabile come disciplina a sé stante. Tra i singoli psicologi va ricordato Hellpach che in Germania nel 1923 fondò il primo laboratorio europea di psicologia sociale. Fu però dal 1945 in poi che tale disciplina cominciò, grazie alla collaborazione con gli USA, un lenta ma radicale ascesa verso la ripresa disciplinare. Punto d’inizio di questa riprese viene ricondotto allo studio Seven Nation sul rifiuto e sulla minaccia: nonostante gli esiti della ricerca produssero conclusioni insufficienti e povere, consentì ai ricercatori partecipanti di riunirsi e riconoscersi in un’identità di gruppo e poco dopo nel 1963, a Sorrento, fu tenuta la prima Conferenza europea di Psicologia Sociale. La psicologia sociale europea si distinse subito rispetto a quella NordAmericana, ritenuta dalla prima troppo individualista. Alla base della nuova identità ci furono due importanti psicologi:

Tajfel e Moscovici Essi mossero due principali critiche nei confronti della Psicologia NordAmericana: 1)Prospettiva troppo individualista che fa riferimento solo ed esclusivamente a processi individuali e presociali; 2)Concezione della società ingenua e astorica, intesa come semplice aggregato di persone. A parere di Tajfel, la società ha una struttura forte e solida, non definita in base alle caratteristiche dei singoli individui. Allo stesso modo Moscovici critica con le stesse accuse di Tajfel, la psicologia NordAmericana. In più egli sostiene due principi: 1)L’oggetto di studio della Psicologia Sociale è il conflitto generato rapporto tra persona e società; 2)La Psicologia Sociale studia anche la genesi e la struttura della comunicazione. Moscovici inoltre sviluppa lo “sguardo psicosociale”, ovvero una modalità di osservare e indagare i fenomeni sociali. Moscovici difatti propone una visione ternaria dei fatti e delle relazioni : soggettosocialeoggetto. La Psicologia Sociale di Lewin Lewin nacque a Mogilno nel 1890, fu affiliato alla scuola gestaltista e nel 1933 emigrò in USA. Fu grazie a lui che la psicologi sociale crebbe a livelli internazionali. I suoi contributi per la disciplina spaziano su vari fronti. Dal punto di vista epistemologico, Lewin distinse la famosa concezione aristotelica e quella galileana della scienza: la prima si avvia verso una conoscenza di tipo classificatorio ovvero verso studi di fenomeni che si ripetono con una certa frequenza e che permettono di dedurre leggi stabili. La seconda invece è di natura genetico-condizionale sostenendo che tutti gli eventi seguono delle leggi.

La fama di Lewin crebbe ancor di più quando egli propose la “teoria di campo”, la quale sostiene che ogni comportamento entro un campo psicologico dipende dalla configurazione del campo in quel momento. Le leggi del campo non derivano dalle caratteristiche dei singoli elementi, ma dalla totale configurazione. A Lewin si devono altri due contributi molto importanti: l’analisi della dinamica dei gruppi e la focalizzazione sulla ricerca-azione. I livelli di spiegazione in Psicologia Sociale secondo Willem Doise Doise fu collaboratore di Tajfel e Moscovici sostiene 4 livelli di spiegazione: psicologico, interpersonale, posizionale e ideologico. Si trattano di 4 livelli di analisi: ognuno di essi contribuisce alla comprensione della realtà. Psicologico: ci permette di comprendere il livello di percezione e valutazione del mondo reale di una persona. Interpersonale: consente di comprendere le dinamiche che si manifestano tra le persone considerate contestuali. Posizionale: consente di comprendere l’impatto delle differenze di ruolo. Ideologico: consente di comprendere in che modo le credenze sociali portano ad atteggiamenti e comportamenti differenziati e discriminatori. Persona= soggetto morale capace di pensiero libero e dotato di credenze e valori unici. Individuo= soggetto contenuto nel proprio spazio psicologico. CAPITOLO 2

METODI DI RICERCA PER LA PSICOLOGIA SOCIALE Gli psicologi sociali arrivano a formulare teorie e ipotesi attraverso l’utilizzo del metodo scientifico. La ricerca parte sempre dalla curiosità dello studioso o del ricercatore. Difatti egli si chiede per prima cosa “perché” accade tutto ciò nella vita quotidiana. Il secondo passo per lo studioso sarà quello di domandare alla comunità scientifica, attraverso la consultazione della bibliografia che tratta lo stesso argomento di studio, di controllare se già in passato è stata definita una risposta adeguata all’oggetto di indagine. Nel caso in cui questa risposta non è presente, il ricercatore progetta la sua teoria, la espone, e la presenta sottoforma di articoli o volumi che in seguito saranno messi a disposizione della comunità scientifica. Teoria e ipotesi di ricerca: il punto di partenza Anzitutto bisogna dire che ogni fenomeno sociale osservabile e dunque studiato, è organizzato in teorie. Cos’è la teoria? La teoria è un insieme di principi che spiegano e predicono gli eventi osservati. Nella scienza teoria e pratica sono sullo stesso piano in quanto la prima deve essere necessariamente verificata dai fatti (risultati). Ogni ricerca come detto prima deve partire da una teoria, iniziando quello che in metodologia viene chiamato ciclo di ricerca o disegno di ricerca. Ogni caratteristica di una data teoria viene resa osservabile grazie all’individuazione delle cosiddette variabili, ovvero particolarità di un soggetto che può assumere valori diversi in un dato intervallo. Dalla teoria si passa all’ipotesi che ha il compito di a)confermare la teoria; b)generare nuove vie di indagine; c)suggerire implicazioni pratiche. (Es. Studio sull’aggressività). Una Teoria viene scartata non perché priva di un sostegno statistico, ma al contrario se si presenta un’altra in grado di spiegare

meglio i fenomeni in questione. Dunque, la ricerca scientifica è un processo di falsificazione delle ipotesi. Validità della ricerca Una ricerca si considera valida nel momento in cui il ricercatore o studioso è sufficientemente certo delle conclusioni che ha riscontrato. Sono diverse le domande che il ricercatore si deve porre affinchè la ricerca possa avere un alto grado di validità: 1)Validità di costrutto (misurazione accurata di ogni variabile); 2)Validità interna (controllo della presenza di altre variabili nell’esperimento in grado di dare lo stesso risultato); 3)Validità esterna (verifica di generalizzazione dei risultati ad altri tipi di studenti). (Es. Esperimento di Darley e Batson con gli studenti di teologia) Le domande del ricercatore ovvero le finalità della ricerca Bisogna dire che le domande del ricercatore implicano finalità di ricerca differenti che di conseguenza daranno luogo a metodi di ricerca allo stesso modo differenti. Tali ricerche possono sia decidere di descrivere semplicemente un unico fenomeno, oppure sono finalizzate a trovare delle associazioni di eventi per cui si verifica un fenomeno, oppure ancora posso esse stesse decidere di produrre un dato fenomeno. Le ricerche correlazionali: indagare le associazioni tra le variabili: Esse si occupano di indagare il legame esistente tra due o più variabili. La correlazione difatti indica la presenza di relazione tra due variabili che però non implica necessariamente il loro rapporto di causa -effetto. Esse permettono al ricercatore di fare una predizione di fenomeni, ma non danno la possibilità di mettere in evidenza il rapporto di causa o di effetto esistente. Il loro vantaggio è che permettono di indagare il legame fra

variabili considerando al tempo stesso razza, genere, età e status sociale che non possono essere manipolate. La ricerca sperimentale: indagare la causa e l’effetto: Esse sono molto importanti in quanto identificando con rigore scientifico ciò che ha prodotto/generato/causato un preciso fenomeno, ci permettono di escludere dalla ricerca tutti i fattori che potrebbero confondere il ricercatore riguardo al fatto di essere o meno loro la causa dell’evento. Nelle ricerche sperimentali si altera la variabile indipendente per osservare il cambiamento avvenuto nella variabile dipendente. (Es. Esperimento ragazze obese - Gortmaker). Di fondamentale importanza è l’assegnazione casuale dei soggetti alle condizioni sperimentali. Campo o Laboratorio? La domanda che un ricercatore si pone all’inizio di un processo di ricerca è: affrontarla sul campo o in laboratorio? La differenza tra le due opzioni riguarda la presenza di un minore o maggiore controllo sulle variabili. Apparentemente ci potrebbe risultare più utile e valida la ricerca condotta sul campo, ma analizzando bene ci accorgiamo che questo tipo di ricerca ha una bassissima validità interna, ovvero il ricercatore difficilmente potrà stabilire se la situazione osservata sul campo è davvero la causa scatenante di un preciso atteggiamento, in quanto essendo ricerca sul campo, il ricercatore non può manipolare alcuna variabile. Al contrario invece, la ricerca in laboratorio ha un’altissima validità interna (manipolazione e organizzazione delle variabili), ma una bassissima validità esterna in quanto ci sarà difficoltà nel generalizzare i dati acquisiti e ampliarli ad altri tipi di soggetti nel “mondo reale”.

La soluzione a questo dibattito è per gli psicologi l’integrazione delle due strategie di ricerca. Difatti c’è un continuo rimando dalle ricerche di laboratorio al campo e viceversa. Strumenti per la ricerca Un’ulteriore diversità fra una ricerca e l’altra è dovuta al tipo di strumento utilizzato dal ricercatore. I tre tipi principali i strumenti sono: 1)L’osservazione; 2)L’intervista; 3)Il questionario. -L’osservazione: consente la registrazione del comportamento. Strumento di rilevazione molto complesso, difatti il compito del ricercatore è molteplice e arduo. Egli deve essere sistematico e selettivo e deve aver ben presente le scelte da fare. Si distinguono l’osservazione naturalistica e l’osservazione partecipante: nel primo caso l’osservatore è esterno e cerca di non influenzare i soggetti; nel secondo caso l’osservatore è coinvolto in ciò che avviene nell’esperimento, influenza i soggetti e ne viene influenzato (Es. Esperimento Inondazione - Festinger). Il ricercatore deve decidere la durata complessiva della ricerca osservativa, scelta che dipende dagli obiettivi della ricerca stessa. Una volta definito il tempo, il ricercatore ha il compito di precisare quale categoria di comportamento è in procinto di studiare: molare o molecolare. I comportamenti molari sono atteggiamenti che hanno una durata, inizio e fine, e che sono dotati di senso; al contrario i comportamenti molecolari sono atteggiamenti che durano frazioni si secondo. Infine il ricercatore può scegliere se registrare o videoregistrare i comportamenti. -L’intervista: E’ uno strumento di raccolta dati che consente al ricercatore di conoscere l’opinione dei soggetti riguardo a varie tematiche. L’aspetto fondamentale dell’intervista è il rapporto che si instaura tra intervistato e intervistatore. Vengono distinte: 1)L’intervista non-strutturata e

2)L’intervista semi -strutturate. La prima è un’intervista libera, l’intervistatore cerca di essere poco intrusivo e le domande non sono definite precedentemente. La seconda invece prevede una serie di domande prestabilite. -Il questionario: Confrontato con intervista e osservazione, esso è lo strumento con il più alto grado di strutturazione. Viene utilizzato per misurare atteggiamenti, opinioni, pensieri. E’ formato da domande che vengono poste al soggetto in ordine preciso, ed è uguale per tutti i soggetti. Le risposte dei soggetti possono essere o aperte o già codificate all’interno del questionario stesso. Occorre formulare in modo chiaro e preciso ogni domanda, cercare di evitare la doppia negazione. Altro fattore da tenere in considerazione è la desiderabilità sociale. Spesso difatti le persona rispondono ai questionari in modo da poter dare un’immagine di sé positiva, e non i base alle loro credenze/idee. La relazione tra ricercatore e partecipante Per controllare l’influenza del ricercatore gli psicologi sociali fanno uso dei confederati. Ovvero una persona che non è direttamente implicata nell’esperimento ma che interpreta un ruolo assegnato dai ricercatori all’interno dello stesso esperimento. In questo modo la relazione ricercatore/soggetto viene annullata e ogni tipo di influenza viene così inibita. A volta anche lo stesso ricercatore viene ingannato dallo sperimentatore rispetto agli obiettivi della ricerca. CAPITOLO 3 IL SE’ IN UN MONDO SOCIALE

Questo capitolo si articola in tre punti, rispettivamente basati su 3 domande diverse riguardate il sé: 1)Come le persone arrivano a conoscere se stesse e a sviluppare il proprio sé? 2)Come le persone valutano se stesse e cercano di promuovere un’immagine positiva del proprio sé? 3)Come se persone si presentano agli altri?. Riflettori e illusioni Solitamente le persone tendono a porsi in ogni occasione al centro dell’attenzione di chi ci sta di fronte o di chi ci circonda. Tale fenomeno prende il nome di effetto spotlight (effetto riflettore), scientificamente provato dall’esperimento del 2000 guidato da Gilovic, Medev e Savitsky. Dall’esperimento si concluse che il 100% degli studenti che fu costretto a indossare una giacca imbarazzante e stravagante ipotizzò che all’entrata in aula la metà dei suoi compagni l’avrebbe notato e deriso. Dopo un’attenta verifica, si dimostrò che solo il 23% degli studenti presenti in aula si accorsero della giacca vistosa dei loro amici. L’effetto spotlight che, come visto, riguarda abiti bizzarri o pettinature vistose, è vero anche per le nostre emozioni quali ansia, rabbia, disgusto e falsità. In realtà molte meno persone di quante ce ne aspettiamo tendono ad essere attenti alle nostre emozioni. Questo ci porta a soffrire di illusione della trasparenza, ovvero l’illusione che ci porta a ritenere che le nostre emozioni nascoste possano affiorare e dunque essere facilmente visibili. Allo stesso modo e con la stessa illusione valutiamo con troppa soggettività le cosiddette gaffe sociali: effettivamente ciò che accade viene a stento notato dagli altri e in breve dimenticato. (Es. Esperimento comizio in pubblico – Gilovic). Il concetto di sé: chi sono io?

Qualsiasi cosa si faccia, qualsiasi cosa si osservi, qualsiasi cosa si inventi o si incontri, ogni cosa è filtrata attraverso il sé. Twenty Statements Test – Test autodescrittivo basato sull’assunto della self -theory, ovvero la possibile previsione del comportamento di una persona che in precedenza ha dato una definizione di se stessa. Al centro del mondo: la percezione del sé: Quando noi pensiamo a ciò che siamo, ci forniamo di quelli che sono comunemente detti schemi del sé. Essi sono considerazioni sul sé che guidano l’elaborazione di informazioni riguardanti appunto il sé. Il sé influenza anche la memoria. Difatti si è scoperto che le persone ricordano meglio le informazioni ricevute da terzi che riguardano il proprio sé e non quello di un’altra persona. Tale fenomeno viene chiamato effetto autoreferenziale. E’ possibile affermare che i ricordi si formano in base al filtro che viene applicato dal sé. L’effetto referenziale è una diretta conseguenza degli effetti citati in precedenza ovvero spotlight e illusione della trasparenza in quanto esso ci fa capire quanto la considerazione del nostro sé influenza anche il modo in cui gli altri ci osservano e ci giudicano, sopravvalutando spesse volte quello che è il realtà il vero giudizio che gli altri stabiliscono di noi. Oltre agli schemi del sé bisogna tener presente che il sé si incentra anche su quelli che sono gli schemi possibili o sé possibili, ovvero le possibilità positive o negative che in futuro esso potrebbe diventare. Lo sviluppo del sé sociale: Cosa determina il concetto di sé? Accanto alla componente genetica, c’è la grande influenza esercitata dall’esperienza sociale. Difatti i principali fattori sociale che determinano il sé sono: 1) I ruoli che si assumono; 2) Le identità sociali delle persone;

3) I confronti; 4) Successi e fallimenti; 5) I giudizi; 6) La cultura dominante. 1.

2.

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I ruoli che si assumono: Il ruolo è un insieme di norme che definiscono in che modo una persona deve comportarsi in una precisa situazione sociale. Spesse volte l’assunzione di un ruolo diventa la principale realtà della persona in questione. Il ruolo viene difatti gradatamente assorbito all’interno della percezione del sé. Inizialmente, quando si recita un nuovo ruolo, ci sentiamo a disagio e finti: ma raramente questo disagio perdura nel tempo. (Es. Esperimento Prigione di Zimbardo). L’identità sociale: Il concetto di sé si avvale non solo dell’identità personale, ma anche di quella sociale, ovvero il nostro esprimerci in un preciso ambiente sociale. (Es. Università di colore). I confronti sociali: Essi fanno parte della nostra vita quotidiana. In una ricerca condotta da Festinger si è evinto che le persone si avvalgono del confronto sociale quando non è presente un metro preciso di giudizio oggettivo riguardo all’argomento in questione. Chi ci circonda ci aiuta a capire meglio se siamo intelligenti, leali, e quant’altro.

4.

Successi e fallimenti: Oltre ai ruoli e ai confronti sociali, anche i successi e i fallimenti aiutano a definire il concetto di sé. Un successo accademico porterà lo studente ad essere più consapevole della sua intelligenza spronandolo così ad ottenere risultati sempre maggiori.

5.

I giudizi degli altri: Il fatto che gli altri abbiano una buona opinione di noi, ci aiuta a pensare bene di noi stessi.

Sé e cultura: Riguardo al proprio concetto di sé, per alcune persona prevale l’individualismo, mentre per altre il collettivismo. Dobbiamo ringraziare Hofstede e Triandis per aver condotto numerosi esperimenti a proposito delle differenze della concezione di sé. Le culture individualiste danno molta importanza alla differenze dell’individuo. Esse prevedono l’assegnazione della priorità ai proprio obiettivi rispetto a quelli del gruppo. La persona infatti sceglie e valuta le prospettive migliori che maggiormente soddisfano le sue esigenze. Le persone appartenenti a questa categoria se si descrivono, lo fanno esprimendo attributi personali e non sociali. Le culture occidentali industrializzate appartengono a questa categoria. Le culture collettiviste, al contrario, valutano le prospettive sociali e di gruppo. Annullano le differenze individuali e tende ad instaurare all’interno del gruppo relazioni intime con gli altri individui. Nell’educazione vengono sottolineati elementi e valori sociali quali cooperazione, integrità familiare, onestà ed equità. Il loro sé viene definito allocentrico, ovvero determinante solo se messo in relazione agli altri. La conoscenza di sé: Fino a che punto ci si conosce davvero? Per certi versi, noi ci conosciamo attraverso l’osservazione dei comportamenti. Lo sostiene Daryl Bem con la sua teoria

dell’autopercezione: noi traiamo conclusioni riguardo al nostro sé osservando i comportamenti che adottiamo in determinate situazioni quando siamo completamente liberi di scegliere. Prevedere sentimenti, emozioni e stati d’animo, fa parte del nostro pensiero quotidiano sul quale basiamo molte delle nostre decisioni future. Cerchiamo in ogni situazione di prevedere come ci sentiremo nel caso un esame dovesse andar male, e di conseguenza proiettiamo tali emozioni sui nostri eventi futuri. Gli studi riguardo questo tipo di argomento dimostrano che le persone, a proposito di previsioni affettive, prevedono erroneamente intensità e durata delle loro emozioni. Gilbert e Wilson definiscono il fatto di sopravvalutare l’intensità e la durata di un’emozione ad un evento futuro impact bias. In realtà le emozioni che prevediamo svaniscono più rapidamente di quanto ci aspettiamo (Es. Esperimento test HIV). Allo stesso modo, in seguito ad un evento negativo, quale potrebbe essere la perdita delle mani dovuta ad un incidente, le persone sottovalutano quello che psicologicamente viene chiamato immune neglet, ovvero la capacità psicologica della persona a riprendersi dall’evento traumatico. L’Autostima L’autostima è il modo complessivo con cui giudichiamo noi stessi, dunque in poche parole la percezione del nostro valore. Crocker e Wolf sostengono che ogni persona attribuisce un grado di autostima diverso da quello di un’altra. Ciò significa che per una persona il proprio grado di autostima può essere percepito in base alla sua bellezza o alla sua intelligenze, mentre per un’altra persona può essere al contrario percepito in base alle sue alte caratteristiche morali e religiose. Di conseguenza la prima avrà più stima di se stessa se chi la circonda sottolineerà le sue qualità fisiche, mentre la seconda avrà un proprio giudizio positivo se verranno elogiate le sue qualità etiche e morali.

Brown e Dutton però, rivelano che non sono solo gli aspetti specifici del sé che aumentano l’autostima generale della persona, ma spesse volte accada anche il contrario, ovvero che una persona con un’alta autostima generale è in grado di proiettare tale giudizio positivo ad ogni singolo aspetto del proprio sé. Motivazione all’autostima: Secondo Tory Higgins (Teoria della discrepanza) l’autostima è definita dal grado di sovrapposizione o di scarto tra come ci si vede e come si vorrebbe vedersi. Esistono tre gradi del sé: sé attuale, sé imperativo e sé ideale. Il primo è il modo in cui noi ci vediamo e ci giudichiamo; il secondo è una guida del sé ovvero il modo in cui noi ci imponiamo di apparire agli altri e a noi stessi; e il terzo, così come il secondo, è anch’esso una guida del sé. La percezione dell’autocontrollo In che modo siamo consapevoli del nostro autocontrollo? Da uno studio condotto da Baumeister si è scoperto che le persone in procinto di svolgere un qualunque compito impegnativo che si definiscono persone operose e diligenti, concludono il lavoro più velocemente e in modo migliore delle persone che si definiscono fallimentari. Da qui sorge una domanda: Il pensare positivo può aiutarci nell’affrontare al meglio la vita? L’autoefficacia (Self-Efficacy): L’autoefficacia è la percezione della nostra competenza ed efficacia nei confronti di un’attività. Albert Bandura con la sua teoria dell’autoefficacia scoprì che bambini e adulti con un’alta autoefficacia si dimostravano meno depressi, meno ansiosi e vivevano vite di maggior successo. Si evince così che l’autoefficacia è un segno della produttività del lavoratore. Di conseguenza, con il raggiungimento degli obiettivi cresce anche l’autostima. Quindi se si è convinti di riuscire in qualcosa, questo ci potrebbe aiutare davvero nel facilitarci il raggiungimento, ma a dipesa di un

secondo fattore determinante: se si ritiene di avere il controllo dei propri risultati o al contrario di essere schiavi del destino. Locus of Control: Il Locus of Control è il modo in cui noi percepiamo i risultati o i fallimenti ottenuti come frutto del nostro agire o diversamente flusso inesorabile del destino e dunque da forze esterne al nostro volere. Coloro che credono di essere “artefici del proprio destino” hanno una maggiore possibilità di raggiungere ottimi obiettivi, che guadagnino bene e che stiano bene con il proprio partner. Impotenza appresa VS Autodeterminazione: Tale Locus of Control è risultato essere presente anche negli animali (Es. Esperimento scosse al cane). Il cane in gabbia a cui venivano somministrate scosse elettriche e non gli veniva fornita nessuna via di scampo, dopo poco tempo si richiudeva a riccio in un angolo e rimaneva accucciato subendo il maltrattamento. Tale situazione si verifica anche negli esseri umani e viene chiamata impotenza appresa. E’ la rassegnazione da parte della persona che non percepisce più nessun controllo sui suoi eventi negativi ripetuti. Self-Serving Bias: gli errori al servizio del sé La maggior parte delle persone gode di una buona stima di sé. E spesse volte tendono a percepire se stessi in modo eccessivamente positivo e favorevole per il sé (Self-serving bias). Spiegare eventi positivi e negativi: Numerosissimi esperimenti hanno messo in luce che le persona si associano ai loro successi e si dissociano dagli insuccessi giustificandone la mal riuscita a causa di eventi o fattori esterni. Fanno sfoggio dei cosiddetti stili attributivi a favore del sé. In questo modo riusciamo a conservare un’immagine positiva di noi stessi . Ottimismo irrealistico: Neil Weinstein definisce ottimismo irrealistico la credenza delle persone di avere un futuro felice.

Linda Perloff però ci mostra come tale ottimismo può renderci ancora più vulnerabili. Coloro che credono che gli eventi futuri saranno migliori di quelli del presente, e che credono che la malasorte piano piano si allontanerà dalle loro vite, rischiano di sottovalutare quelle che possono essere le circostanza negative e imprevedibili comportandosi di conseguenza; ovvero non allacciano la cintura o evitano i discorsi sul fumo. Ciò che può salvarci da questo ottimismo illusorio è definito da Jules Norem pessimismo difensivo. Esso anticipa i problemi e di conseguenza ne motiva una risoluzione. Falso consenso e falsa unicità: Le persone tendono a sopravvalutare il consenso altrui riguardo alle proprie opinioni : tale fenomeno viene definito effetto del falso consenso: ovvero si tende a diffondere un’opinione o un comportamento fallimentare o indesiderabile alle altre persone. Se si viene bocciati ad un esame proiettiamo il nostro insuccesso sul fatto che quasi tutti gli studenti non sono riusciti a superarlo. Al contrario quando le persone raggiungono un obiettivo si verifica quello che viene chiamato effetto della falsa unicità: si sottovaluta la diffusione delle proprie capacità e dei proprio comportamenti desiderabili o di successo. Autopresentazione (Self-presentation) L’autopresentazione è la tendenza delle persone a plasmare i propri comportamenti al fine di dare una buona impressione agli altri. Falsa modestia e auto sabotaggio sono due aspetti dell’autopresentazione. Falsa modestia: A volte le persone denigrano e rifiutano se stesse per fare in modo che vengano consolate e rassicurate da chi gli sta vicino. Inoltre minimizzano le proprie capacità al fine di non incrementare le aspettative di chi le osserva.

In caso una persona raggiunga un eccellente obiettivo, riconosce il sostegno e l’aiuto ricevuto dalle altre persone quali famiglia, amici etc. In realtà, quella che si verifica viene chiamata gratitudine superficiale, ovvero una gratitudine che appare umile ma che in verità è fiacca. Autosabotaggio (Self-handiccaping): A volte le persone sabotano le proprie opportunità di successo creando in loro stessi disagi, ostacoli e impedimenti. Questo processo viene chiamato autosabotaggio e ha principalmente uno scopo autoprotettivo. Per quale motivo? Gli studenti che temono di non riuscire a superare un esame, trascorrono la sera prima dello stesso nei bar a bere o a casa a giocare ai videogiochi. In questo modo sviluppano in loro una scusa preconfezionata, in grado di garantire loro una giustificazione nel caso l’esame dovesse andar male. CAPITOLO 4 LA PERCEZIONE SOCIALE Questo capitolo spiegherà in che modo noi percepiamo, giudichiamo e osserviamo il mondo sociale e come le nostre aspettative influenzano gli altri. La percezione del mondo sociale La percezione sociale si basa anzitutto sull’osservazione degli elementi della percezione stessa. Questi elementi vengono collocati in tre ambiti collegati fra loro: persona, situazione, comportamento.

Alla base di tutto sussiste il principio che si risponde alla realtà non per come essa è ma per come noi la interpretiamo. Prime impressioni, pregiudizi, supposizioni, guidano in una determinata direzione la percezione della nostra realtà. L a prima impressione viene attuata quando si integrano varie fonti informative quali l’aspetto fisico di chi ci sta di fronte, la sua c.n.v, le sue espressioni e il suo tono di voce. Ci focalizziamo prima di tutto sugli indizi che di più attirano la nostra attenzione, ossia che sono più facilmente richiamabili dalla nostra memoria. L’effetto di innescamento: Il nostro sistema di memoria è una rete di associazioni e il priming è il risveglio di alcune di esse. L’attivazione di queste associazioni hanno risvolti quotidiani nella nostra vita. Ad esempio la visione di un film horror a notte di fonda può alterare la nostra percezione del rumore della caldaia trasformandolo nel rumore di un ladro. La percezione e l’interpretazione degli eventi: Dopo l’effetto di innescamento e la focalizzazione della nostra attenzione su un particolare indizio della persona che stiamo conoscendo, si attuano processi più complessi per approfondire la nostra prima impressione. Sono presenti due filone distinti che portano ad un medesimo risultato in merito alla formazione di impressioni complesse: modello configurazionale di Asch e il modello algebrico di Anderson. • Modello configurazionale di Asch: formazione gestaltista. Le persona si perpepiscono come unità psicologiche. Dunque non vengono considerate le varie parti, ma l’intero complesso della struttura. • Modello algebrico di Anderson: matrice psicofisica. Le integrazioni complesse si formano basandosi sull’integrazione dei singoli elementi.

La persistenza della credenza: E’ il continuo appoggio da parte di una persona riguardo ad un’affermazione in seguito poi ritenuta falsa. Costruire ricordi di noi e dei nostri mondi: Ricerche psicologiche hanno verificato che i nostri ricordi non sono copie esatte dell’esperienze vissute in passato e un giorno riaffiorate alla mente. Al contrario i ricordi vengono costruiti dalla nostra mente nel momento del riaffioro. I ricordi vengono riadattati a quelle che sono le nostre emozioni e conoscenze nel presente. Elizabeth Loftus ha condotto numerosi esperimenti a riguardo e ha dato nome al fenomeno effetto informazione fuorviante, ovvero ricordare esperienze e ricordi fuorvianti di un evento momento del riaffioro. Il giudizio sul mondo sociale In che modo i giudizi istintivi, intuitivi, forgiano le nostre azioni quotidiane? E in che modo si manifestano? I giudizi intuitivi: I sostenitori della gestione intuitiva sostengono che le intuizioni guidano le nostre azioni, e noi dobbiamo farci guidare da essi. Sono fondamentali per lo sviluppo di giudizi, dell’intelligenza e dell’analisi delle situazioni. Ricerche recenti hanno scoperto che è proprio l’inconscio che controlla gran parte dei nostri giudizi intuitivi. Prima di compiere un’azione, l’inconscio lavora per noi e stabilisce la direzione del nostro giudizio intuitivo. Si è scoperto che il nostro pensiero è parzialmente controllato (esplicito, conscio), e parzialmente automatico (implicito, inconscio). Il pensiero automatico si attiva fuori dagli schemi, ovvero dove non vi è ancora presenza della ragione.

Le Euristiche: scorciatoie mentali: Il nostro sistema cognitivo ha imparato a crearsi delle scorciatoie in modo da poter immagazzinare ogni tipo di informazione contemporaneamente. In questo modo ci formiamo impressioni, prendiamo decisioni e inventiamo spiegazioni. Esse vengono chiamate euristiche e si dividono in: • Euristica della rappresentatività: La rappresentatività è una guida alla realtà ma non sempre è valida. Non considera le informazioni, e l’unico indizio a cui fa riferimento è la frequenza con la quale alcuni avvenimento avvengono in generale. Considera gli attributi di una certa persona per appunto rappresentarla in una precisa categoria. • Euristica della disponibilità: Sono giudizi rapidi sulla probabilità degli eventi in base alla disponibilità nella nostra memoria. Non è importante il contenuto del ricordo, ma la facilità con cui il ricordo affiora alla mente. • Euristica della simulazione: E’ la facilità con cui può essere immaginato un futuro e ipotetico scenario. • Euristica dell’ancoraggio: Stima di un qualche valore a partire da un valore iniziale a cui viene accomodato il nuovo oggetto. La spiegazione del mondo sociale Ogni giudizio si sviluppa in base alla spiegazione di un comportamento. Tramite questa spiegazione si può capire le ragioni di un determinato atteggiamento e trarre i conseguenti giudizi.

La causalità dell’attribuzione: a una persona o a una situazione: Antonia Abbey hanno più volte condotto esperimenti a riguardo i fraintendimenti nei rapporti interpersonali. Si è scoperto che gli uomini sono più inclini a giudicare un sorriso di una donna come un segno di interesse sessuale, a rispetto delle donne nei confronti degli uomini. Tale fenomeno, ovvero l’attribuzione erronea di un comportamento alla fonte sbagliata è appunto detto fraintendimento. Per capire in che modo le persone giudicano i comportamenti degli altri ci serviamo della teoria dell’attribuzione: ovvero cercare di capire se il comportamento adottato da una persona è attribuibile a una disposizione interna (carattere, personalità), o esterna (situazione, circostanza fisica). Rispettivamente vengono elencate come disposizioni interne e disposizione situazionali. Weiner, in seguito alle scoperte del collega Heider, ha aggiunto sia una distinzione alle disposizioni elencate di sopra, ovvero disposizione stabili o instabili, e infine ha aggiunto il fattore controllabilità di un comportamento. La teoria dell’inferenza corrispondente di Jones e Davis prevede che le azioni di una persona vengano giudicati da terzi come indici del suo comportamento o personalità, di tipo stabile. Kelley invece a sostegno della teoria dell’inferenza, crede che prima dello sviluppo di ogni giudizio, le persone analizzino le relazione tra cause ed effetto dei comportamenti osservati. Distintività, Coerenza nel tempo e Consenso sono le domande che si pongono prima di ogni giudizio. L’errore fondamentale di attribuzione: Denominato da Lee Ross, ovvero la tendenza delle persone a sovrastimare nel comportamento degli altri le influenze dettate dalla personalità e a sottostimare le influenze dettate dalla situazione (Es. Esperimento Classe 8:00 e Classe 19:00– Myers).

Le aspettative del mondo sociale Credenze sociali e giudizi come abbiamo visto influenzano la nostra vita quotidiana. Quando le nostre credenze fanno in modo che noi agiamo in modo da farle diventare realtà, avviene il fenomeno chiamato da Robert Merton profezie che si auto avverano. Si tratta di agire in base ad una credenza facendo in modo che essa inconsapevolmente diventi davvero la nostra realtà. Esempio: Se si sparge voce che la banca sta per fallire, le persone ritireranno i solo averi e di conseguenza la banca andrà davvero incontro ad un fallimento. CAPITOLO 5 ATTEGGIAMENTI E COMPORTAMENTI In questo capitolo affronteremo l’argomento “atteggiamento”. Capiremo di cosa si tratta, come funziona e in che modo è possibile misurarlo. Gli atteggiamenti Alla base dell’insegnamento e dell’educazione ci sono credenze e sentimenti privati che determinano il nostro comportamento pubblico. L’atteggiamento è una valutazione, favorevole o sfavorevole, verso qualcosa o qualcuno, da cui derivano i nostri comportamenti intenzionali.

L’ABC degli atteggiamenti: Affect, Behaviours, Cognitions. Affetti, Comportamenti e Cognizioni. Ogni atteggiamento si basa su uno di questi tre aspetti. Le funzioni dell’atteggiamento sono di tipo: 1)Conoscitivo; 2)Espressione dei valori; 3)Egodifensivo; 4)Adattamento sociale. La misurazione degli atteggiamenti: Esistono approcci diretti ed indiretti nel misurare l’espressione di un atteggiamento. Il più frequente è il metodo osservativo o autodescrittivo, ovvero vengono poste direttamente al soggetto domande al fine di capire il suo atteggiamento in quel preciso momento o situazione. La scala di atteggiamento più utilizzata è la scala Likert (accordodisaccordo). Ovviamente la validità del test dipende dall’onestà delle risposte del soggetto: difatti le persone a causa della desiderabilità sociale cercano di rispondere in modo da accontentare chi li ascolta dando una buona impressione di sé. Per risolvere questo problema, gli psicologi hanno adottato alcune tecniche: rilevazione di menzogna mediante riconoscimento facciale; bogus pipeline o falso collegamento, si scoraggia i soggetti dal mentire, ad esempio viene detto loro di essere collegati ad un macchinario in grado di rilevare i cambiamenti fisiologici nel momento della risposta. Un’altra misura dell’atteggiamento è il test di associazione implicita (IAT): utilizza i tempi di reazione per verificare la veridicità di una risposta Gli atteggiamenti sono in grado di predire il comportamento? Studi sono in disaccordo riguardo la previsione dei comportamenti tramite gli atteggiamenti. Alcuni studi lo confermano, altri confutano. La domanda precisa è dunque: quando gli atteggiamenti sono predittivi dei comportamenti? Atteggiamenti e comportamenti specifici: la teoria dell’azione ragionata: essa sostiene che specifiche intenzioni di agire un certo comportamento sono buoni fattori predittivi di comportamenti specifici.

Quando il comportamento influisce sugli atteggiamenti? Collegandoci al 3° Capitolo, possiamo ricordarci di quanto le persone, impersonando nuovi ruoli sociali, cambiano radicalmente le loro opinioni precedenti e se ne formano delle nuove. Da ciò possiamo dedurre che così come a volte gli atteggiamenti influenzano i comportamenti, allo stesso modo accade il contrario. L’esperimento di Zimbardo e della sua prigione è un esempio emblematico. I ragazzi che impersonavano le guardie cambiarono totalmente le loro credenze e si comportarono di conseguenza, così come i prigionieri. Quando difatti non troviamo una spiegazione esterna convincente al modo in cui ci comportiamo, il dire diventa credere: le persone tendono ad adeguare i loro messaggi ai loro ascoltatori e poi a credere al messaggio alterato. Da ciò sono state sviluppate numerose tecniche di vendita e di persuasione come la tecnica del piede nella porta: essa consiste nel fare una richiesta minore per poi assicurarsene una maggiore. L’adesione del soggetto alla richiesta minore è volontaria e di conseguenza credono maggiormente a quello che fanno accettando anche la seconda e più impegnativa proposta. (Es. Donazione contro Tumore). Robert Cialdini e collaboratori, hanno dato il nome ad una variazione della tecnica del piede nella porta. Essa si chiama tecnica del tiro mancino e viene spesso messa in pratica dalle concessionarie. Si mettono in vista prezzi convenienti per avvicinare il cliente, ma al momento dell’acquisto il costo dell’auto viene alzato nuovamente per motivi vaghi: in questo caso l’acquirente si trova bloccato e procede ugualmente all’acquisto. Perché il comportamento influisce sugli atteggiamenti?

In psicologia sociale sussistono tre teorie in grado di rispondere a questa domanda: 1) La teoria della gestione dell’impressione; 2) La teoria della dissonanza cognitiva; 3) La teoria dell’autopercezione. Autopresentazione: le gestione dell’impressione: A chi non importa quello che pensa la gente? Si ritiene che fare una buona impressione sia un modo per ottenere ricompense sociali e materiali. Per evitare di apparire sciocchi, manifestiamo atteggiamenti che corrispondono alle nostre azioni e in certi casi simuliamo. Autogiustificazione: la dissonanza cognitiva: Leon Festinger propose tale teoria. La dissonanza cognitiva è una tensione che nasce quando si è consapevoli di due informazioni incoerenti. (Es.Fumare). Festinger sostiene difatti che i nostri atteggiamenti cambiano perché siamo motivati a mantenere una coerenza tra i nostri saperi. Per ridurre questa tensione rettifichiamo il nostro pensiero. L’autopercezione: essa sostiene che quando non siamo sicuri dei nostri atteggiamenti li deduciamo osservando il nostro comportamento e le circostanze in cui avviene. CAPITOLO 6 CONFORMISMO ED OBBEDIENZA

In questo capitolo cercheremo di spiegare cos’è l’influenza sociale e perché le persone si conformano, perché altre riescono a resistere al conformismo. Influenza sociale e conformismo L’influenza sociale è un cambiamento di giudizi, opinioni e comportamenti di una persona a seguito dei corrispettivi giudizi, opinioni e comportamenti manifestati da altri individui in particolari circostanze. Vi è l’influenza della maggioranza (gruppi con maggior potere), e della minoranza (gruppi con potere minore). Il potere dell’influenza è la forza di cui dispone chi influenza per produrre cambiamenti di atteggiamenti e opinioni sugli altri individui. Esso ha obiettivo di manipolare, persuadere, convincere, avere ricompense o essere amato o ammirato dagli altri. Le conseguenza comportamentali dell’influenza sociale sono: conformismo, accondiscendenza, obbedienza e accettazione. Conformismo: anzitutto bisogna sottolineare il fatto che esso non può essere definito né positivo né negativo in quanto è in grado di essere entrambi gli aspetti. Come per i ruoli all’interno di un gruppo, anche per il conformismo dobbiamo fare differenza tra paesi occidentali e orientali. In occidente il termine conformismo ha valore negativo, a differenza di un paese quale il Giappone il cui termine viene spesso inteso come solidarietà, disponibilità e gioco di squadra. Il conformismo è un cambiamento di comportamento dei pensieri e dei sentimenti delle persone come risultato di una pressione di gruppo. Ciò significa non solo agire come agiscono gli altri ma anche essere condizionati da come agiscono. Ogni qual volta ci comportiamo in un modo che non sarebbe lo stesso se noi non facessimo parte del gruppo, ci conformiamo. Accondiscendenza: è un

tipo di conformismo. Accondiscendiamo per la maggior parte delle volte per ricevere una ricompensa; agiamo in un modo che implica un’azione pubblica ma con dissenso interiore (Es. Cravatta al convegno). Obbedienza: Se la nostra azione deriva da un comando o da una richiesta diretta da terzi, l’accondiscendenza si trasforma in obbedienza. Accettazione: Quando crediamo a ciò per cui ci siamo conformati. Studi classici sul conformismo e sull’obbedienza I cosiddetti “esperimenti classici” riguardo al conformismo e all’obbedienza hanno rilevato risultati alquanto allarmanti. Ne prenderemo in causa 3 dei più importanti e li analizzeremo. Gli studi di Sherif sulla formazione della norma: Sherif, uno dei fondatori della psicologia sociale, mise in pratica questo esperimento per cercare di capire la nascita e lo sviluppo di una conformazione. (Es. puntino luminoso – Effetto Autocinetico – Stimolo ambiguo ≠ Stimolo non ambiguo di Asch). L’effetto autocinetico fu utilizzato nei loro esperimenti anche da Robert Jacobs e Donald Campbell. Gli studi di Asch sulla pressione di gruppo: (Es. fila di 7 studenti – Linea standard) . Il 37% degli studenti si conformava alle risposte sbagliate dei confederati. I risultati sono sorprendenti perché non erano stabiliti né premi per conformarsi, né punizioni per essere individuali. Gli studenti erano liberi di scegliere. Gli esperimenti di Milgram sull’obbedienza: i suoi esperimenti coinvolgono il comportamento e la condotta dei soggetti. A differenza dei 2 esperimenti precedenti, questo di Milgram pone l’accento non sul risultato quantitativo, ma al contrario qualitativo, difatti mette in evidenza la differenza di

status tra i soggetti, tra chi esercita il potere dell’influenza e chi si adegua alla sua volontà. (Esperimento insegnante e scossa elettrica – 65% obbediva fino alla fine). Che cosa genera l’obbedienza: Milgram oltre a studiare gli atteggiamenti di obbedienza, ha anche cercato di capire in che modo nasce in una persona il sentimento di obbedienza e quali sono i fattori generanti. Milgram era un situazionista e metteva in primo piano sempre il contesto in cui si verificava un’azione d’obbedienza. Distanza emotiva dalla vittima, vicinanza dell’autorità e la sua legittimità, l’appartenenza dell’autorità e l’effetto liberatorio dell’influenza di gruppo sono per lui i fattori principali per cui si genera un atteggiamento di obbedienza. I fattori che predicono il conformismo Due dei fattori principali per i quali se verifica conformismo sono: valutazione delle prove difficile e incompetenza dei soggetti. Anche la dimensione del gruppo è un fattore determinante. Il conformismo è più alto se il gruppo è composto da 3 o più persone, è unanime e di status elevato. Inoltre è più alto quando la risposta è pubblica e priva di vincoli precedenti. Le dimensioni del gruppo: Un gruppo di 4-5 persone ha più effetto di un gruppo formato da una singola persona. Gruppi oltre le 5 persone non hanno ulteriori effetti. La teoria dell’impatto sociale formulata da Bibb Latanè prevede proprio la correlazione tra influenza sociale e numero di persone influenzate o influenzanti. L’unanimità: Numerosi esperimenti hanno rivelato che chi rompe l’unanimità del gruppo, ne sminuisce la sua influenza sociale.

La coesione: Più coeso è un gruppo più potere ha sui propri membri. Lo status: Le persone di status elevato tendono ad avere un impatto maggiore. La risposta pubblica: E’ più facile affermare ciò che si crede nel privato che di fronte ad un gruppo di persone. (Es. Asch). Presa di posizione e precedente assunzione di impegno: Una volta resa pubblica la propria dichiarazione, la persona vi aderisce anche in seguito. Perché conformarsi: influenza sociale normativa e informativa Una persona può conformarsi ad un gruppo per due ragione: 1)Per essere accettata (influenza normativa); 2)Per ottenere informazioni (influenza informativa). Influenza normativa significa adeguarsi alla massa per evitare il rifiuto (Myers e l’applauso). L’influenza informativa invece induce le persone nel loro privato ad accettare le informazioni ricevute dagli altri. Chi si conforma? Come abbiamo già detto il conformismo varia in base alla situazione in cui si verificano determinati atteggiamenti. Ma dobbiamo sottolineare anche l’aspetto caratteriale delle persone che vengono influenzate. Esistono persone più suscettibili? La ricerca sociale si focalizza su tre aspetti molto importanti: personalità, cultura, ruoli sociali. Personalità: Fino agli anni ’70 si era sempre tenuto lontano l’aspetto dell’influenza della personalità sulle azione che compiamo. Negli anni ’80 però numerosi esperimenti dimostrarono che c’è in ogni caso una correlazione fra chi siamo e cosa facciamo. La cultura: I valori culturali influenzano il conformismo. L’esperimento di Asch ripetuto in paesi come Libano, Cina, e Brasile hanno rilevano le stesse percentuali di conformismo; ma ripetuto

nuovamente nello Zimbawe, dove si manifestano punizioni per coloro che non si conformano alla società, la percentuale è salita al 51%. La reattanza: E’ lo stimolo a proteggere il proprio senso di libertà. CAPITOLO 7 LA PERSUASIONE La persuasione è inevitabile. E’ ovunque: nella politica, nel marketing, nelle negoziazioni, nel corteggiamento etc. Ma cos’è che conduce a persuadere, quali sono i fattori che incidono sulla persuasione? Le vie che conducono alla persuasione La persuasione è un processo mediante il quale, con atti di comunicazione, si conduce una persona a modificare o rafforzare un determinato atteggiamento. Gli ideatori dell’approccio della risposta cognitiva, ovvero l’importanza delle opinioni delle persone riguardo un preciso messaggio persuasivo, hanno cercato di capire i motivi per i quali la persuasione funziona più in alcune situazioni che in altre. Due sono i modelli principali che si sono sviluppati all’interno di questo approccio: il modello della probabilità di elaborazione ELM di Petty e Cacioppo, e il modello euristico-sistematico di Eagly e Chaiken. I due modelli sono molto simili: entrambi prevedono due vie, considerano l’essere umano un economizzatore di risorse cognitive, ed entrambi considerano fondamentali la motivazione e l’abilità cognitiva del soggetto.

La principale differenza fra i due modelli risiede nel rapporto tra le due vie. Difatti nell’ELM sono alternative, mentre nell’euristico-sistematico non si escludono, bensì si potenziano a vicenda. In ogni caso il maggior riferimento a proposito della persuasione deriva dall’ELM e di seguito ne esporremo la sua analisi. La via centrale: nell’ELM è un processo di elaborazione attenta delle informazioni contenute nel messaggio persuasivo. Implica di conseguenza la valutazione della qualità delle informazioni fornite dal messaggio. Più le argomentazioni sono convincenti più è probabile che esse persuadano. Nel modello euristico-sistematico questa via prende il nome di processo sistematico ed ha la stessa funzione del modello ELM. La via periferica: Quando motivazione e abilità cognitiva del soggetto non sono al massimo, si sviluppa una rapida attenzione sugli aspetti superficiali e più comprensibili del messaggio persuasivo. Gli elementi della persuasione Tra i componenti principali della persuasione vi sono: 1)Fonte del messaggio; 2)Contenuto del messaggio; 3)Canale comunicativo; 4)Ricevente. Chi? La fonte: Psicologi sociali hanno scoperto che l’oratore, il comunicatore o chiunque si appresti a lanciare un messaggio persuasivo influisce su come l’ascoltatore riceve lo stesso messaggio. Fattore determinante che provoca questa situazione è quello della credibilità. La persuasione che avviene in un secondo momento, dopo aver dimenticato la fonte o la sua connessione con il messaggio viene definita effetto ritardato (sleeper effect).

C’è bisogno che l’oratore si dimostri esperto, e sicuro. Che cosa? Il contenuto del messaggio: Non è importante solo chi espone il messaggio, ma al tempo stesso il contenuto esposto. •

Ragione o emozione: Meglio porre l’accento su una o sull’altra? Dipende dall’audience. Un ascoltatore istruito, che ragiona in maniera accurata e sistematica ha bisogno di statistiche, studi e ricerche per essere convinto o quantomeno per essere attratto da un messaggio. Al contrario un’audience più disinteressata, meno istruita, è probabilmente portata a ragionare in base alla via periferica, e quindi facendo prevalere le emozioni in quel momento.

Inoltre i messaggi che sfruttano l’effetto del sentirsi bene aiutano molto nel persuadere un soggetto. Si sa che i soggetti che hanno un buon umore sono portati a vedere la realtà secondo le proprie lenti che in quel momento sono filtrate da felicità, agio e curiosità: proprio per questo sono motivate ad agire di impulso, prendono decisioni più veloci e istantanee. Allo stesso modo, con l’effetto mettere paura si crea uno stato emotivo negativo nel soggetto in grado di spaventare a tal punto lo stesso da convincerlo a non compiere nuovamente le azioni le quali il persuasore non vorrebbe più veder compiute. Esempio perfetto sono le fotografie dei rischi del fumo applicate ai pacchetti di sigarette. • La discrepanza: essa interagisce con la credibilità del comunicatore. Solo se il comunicatore è efficace e credibile può essere persuasivo esprimendo una posizione estrema. • Il

primo o l’ultimo: Può verificarsi l’effetto primacy che consiste nel porre attenzione all’informazione fornita per prima e di conseguenza esserne influenzati di più, o l’effetto recency, ovvero che l’informazione fornita per ultima viene ricordata con più facilità rispetto alla prima. Nel caso in cui si espongono due idee diverse in un intervallo di tempo breve, è preferibile parlare per primi e assicurarsi l’accettazione da parte dell’audience della vostra opinione. Nel caso in cui però l’intervallo di tempo aumentasse a giorni o settimane, è preferibile parlare per ultimi, così sarete in grado di assicurarvi l’ultima buona impressione. Come? Il canale di comunicazione: esso è la via per comunicare un messaggio. Numerosi studi hanno rilevato la maggior influenza di un messaggio esposto faccia a faccia che uno esposto tramite mezza di comunicazione. Non è da sottostimare però il potere dei mezzi di comunicazione. Gli effetti dei media ad esempio operano in un flusso di comunicazione a due fasi: ovvero un processo per cui il potere dei mezzi di comunicazione avviene attraverso opinionisti che a loro volta influenzano gli altri. Ciò ci insegna quanto in profondità e subdolamente veniamo influenzati dai media. Non tutti i mezzi di comunicazione però hanno la stessa efficacia ed influenza. Come abbiamo detto prima i messaggi esposti faccia a faccia sono i più persuasivi e di conseguenza se ne trae che più il messaggio è realistico più è persuasivo: faccia a faccia, videoregistrato, audio registrato e per ultimo scritto. A chi? Il ricevente: soggetti con bassa autostima spesso sono lente nel comprendere un messaggio e difficilmente vengono persuase. Di contro quelle con un’alta autostima, anche se capiscono il

messaggio, spesse volte riconfermano le proprie opinioni. Si evince che le persone con un’autostima moderata sono le più facili da persuadere. Età, abilità cognitive e tratti di personalità sono altri fattori che incidono sulla suggestionabilità del soggetto. Per spiegare le differenze dovute all’età sono avanzati due approcci in contrasto fra loro: l’approccio del ciclo della vita che dà importanza all’avanzare degli anni e all’invecchiare delle persone, che giorno dopo giorno cambiano idea diventando più “maturi”; e l’approccio della spiegazione generazionale, che al contrario insiste sulla stabilità delle opinioni delle persone, sulla persistenza delle proprie idee da quando si è giovani fino alla nostra morte. Il secondo approccio viene supportato maggiormente dagli psicologi. Le abilità cognitive e i tratti di personalità fanno in modo che le persone analizzino il messaggio e suscitano emozioni e sentimenti riguardo ad esso. Se il messaggio porta la persona a valutare elementi contrari, finirà per spingerla ad obiettare. Ad esempio quando qualcuno sa che un terzo sta cercando di persuadere. In questo modo si attivano obiezioni al fine di mantenere coerente il nostro messaggio. C’è da dire che la distrazione disattiva le obiezioni ed è estremamente efficace quando il messaggio è semplice. (Immagine visiva). Un messaggio è ancor più persuasivo quando aumenta il bisogno di cognizione del soggetto, ovvero la sua motivazione ad analizzare e a studiare meglio il messaggio che gli viene esposto. Come si può resistere alla persuasione Rafforzare la propria posizione, aiuta molto nell’essere più chiusi nei confronti di altri messaggi persuasivi. Dichiarando pubblica una propria idea, la si rafforza e in questo modo si tende a tener lontano ogni opinione discordante.

CAPITOLO 8 INTERAZIONE NEI GRUPPI Cosa sono i gruppi? Solo i gruppi influenza i singoli? O anche i singoli possono influenzare un gruppo intero? E quali sono gli effetti di un’appartenenza ad un gruppo? Scopriamolo. Gli elementi del gruppo Con questo capitolo daremo una definizione di gruppo, spiegheremo i motivi e in che modo si formano. Definizione di gruppo: Il gruppo è un insieme di due o più persone che condividono un destino comune e che si percepiscono essi stessi come membri di uno stesso aggregato sociale che viene riconosciuto anche da terze persone. Questa considerazione deriva da numerosi studi condotti da psicologi sociali quali Lewin, Sherif, Tajfel. Kurt Lewin definisce gruppo una totalità dinamica che è qualcosa di diverso della somma delle sue parti. Con la sua teoria del campo, egli sostiene che il gruppo abbia una struttura propria. Ciò che ne costituisce l’essenza è l’interdipendenza fra i suoi membri. Nel caso di Lewin l’interdipendenza è dettata dal compito o dal destino del gruppo. L’interdipendenza del compito significa che ogni azione svolta da un membro del gruppo, al fine di raggiungere l’obiettivo comune, influenza inevitabilmente le azioni degli altri individui.

Sherif invece sostiene una concezione architetturale. I membri del gruppo sono legati tra di loro mediante rapporti di status e di ruoli sociali in cui si assumono precise norme comportamentali. Struttura e organizzazione dunque sono gli elementi fondamentali per la nascita di un gruppo. Tajfel si appoggia alla concezione di nazione proposta da Emerson nel 1960 secondo cui una nazione è un corpo aggregato di persone che credono di essere appunto una nazione. L’autocategorizzazione per Tajfel è alla base della nascita di un gruppo. Tale sentimento di appartenenza confluisce in 3 componenti precisi: cognitiva (sapere di far parte al gruppo),valutativa (possibilità del gruppo di essere positivo o negativo, emozionale (sentimenti suscitati dall’appartenenza). Da questa premessa Tajfel svilupperà il paradigma di gruppi minimali e le nozioni di ingroup e outgroup (Cap. 9). Continuum interpersonale-gruppo: il comportamento delle persone cambia a seconda se esse si trovano da sole o in gruppo? La risposta ci viene fornita dalla teoria dei processi di gruppo di Tajfel. Essa colloca il comportamento sociale delle persone lungo un continuum interpersonaleintergruppo. Interpersonale comprende le azioni svolte volontariamente, ovvero soggette alla personalità delle persone e dalle loro caratteristiche personali; mentre intergruppo rappresenta il comportamento di una persona come rappresentante di un gruppo. Le persone si comportano assumendo atteggiamenti conformi con quelli del gruppo di appartenenza. Ma perché le persone si muovono su questo continuum e spostano i loro atteggiamenti?

Secondo Tajfel il comportamento preciso di una persona su un punto preciso del continuum dipende da tre fattori: 1.La precisione con cui è possibile identificare le diverse categorie sociali: nel caso siano presenti categorie sociali non rilevanti e difficilmente visibili, il soggetto agirà in base al continuum interpersonale. Al contrario nel caso siano presenti categorie sociali rilevanti e ben identificabili come Ebreo-Ariano, la persona seguirà i comportamenti in base al suo gruppo di appartenenza. 2.Uniformità dei comportamenti all’interno del gruppo: se il gruppo è unito e compatto, le persone tendono a conformarsi l’un l’altro. Nel caso il gruppo non sia uniforme, al suo interno si riscontreranno differenza di comportamenti. 3.Comportamento stereotipato o uniforme verso i membri di un altro gruppo. Come si può notare con questa teoria non vengono messe in evidenza solo le differenza interpersonali- intergruppi, ma anche le relazione interpersonali-intragruppi. A questo proposito furono Brown e Turner a rinominare la teoria interpersonale-intergruppo di Tajfel in interpersonale-gruppo. Identità personale e identità sociale: Nel 1968 fu Erickson ad introdurre il termine identità. Esso indica l’insieme delle dinamiche attraverso le quali le persone raggiungono la consapevolezza di chi sono.

Il concetto di sé difatti è composto da un’identità personale ed un’identità sociale. L’identità personale rappresenta ogni tipo di descrizione che le persone danno di se basandosi esclusivamente su caratteristiche individuali (Es. “Sono timido”). L’identità sociale rappresenta invece sono gli aspetti del sé che vengono definita dalla persona in base alla sua appartenenza ad un gruppo e dal suo sentimento suscitato da tali appartenenze. La consapevolezza di appartenere a un gruppo fa in modo che si attui il processo di auto categorizzazione, ovvero il processo per cui l’”io” di una persona diventa il “noi”. L’autocategorizzazione è flessibile e muta in base al contesto in cui ci si trova (università, stadio, lavoro). Bisogna ricordare che i comportamenti di una persona possono essere influenzati anche da appartenenze a gruppi sociali fittizi o creati ad hoc. Tale situazione viene chiamata situazione intergruppi minima. Rabbie e Horwitz furono i primi ad occuparsi di questa situazione. Essi difatti ipotizzarono, sulla base delle ricerche di Lewin, che la condizione fondamentale per far nascere un sentimento di gruppo fosse quella di condividere un destino comune fra i membri. (Esperimento due gruppi divisi differenziati dalla presenza o assenza di finalità di gruppo). Tajfel però volle approfondire questo esperimento, cercando di capire se anche un gruppo minimo potesse essere sufficiente a sviluppare fenomeni di discriminazione intergruppale. (Esperimento simile a Rabbie e Horwitz ma con ricompense o penalità da distribuire). Risultato: le persone in una situazione sperimentale, anche se classificate in base a elementi arbitrari ed effimeri in gruppi che non hanno alle loro

spalle una storia, nel caso debbano distribuire risorse o denaro, preferiscono i membri del proprio gruppo rispetto ad altri. Da questi esperimenti Tajfel ipotizza la teoria dell’identità sociale (teoria motivazionale in base alla quale gli individui sono motivati ad appartenere ad un gruppo per aumentare o conservare la stima di sé). Essa poggia su tre assunti fondamentali: 1)Valorizzazione del gruppo di appartenenza; 2)Percezione di omogeneità dei membri del gruppo cui non si appartiene; 3)Favoritismo nei confronti del proprio gruppo. Altro punto fondamentale è cosa succede nel momento in cui ci accorgiamo che l’appartenenza ad un gruppo diventa negativa. Nel caso in cui l’appartenenza al gruppo e di conseguenza la nostra identità sociale è adeguata, cerchiamo di permanere nel gruppo e ad estendere la superiorità con l’oggetto di confronto. Nel caso in cui però la nostra identità sociale diviene negativa possono verificarsi due situazioni: 1) Mobilità sociale (disidentificazione o dissociazione); 2)Cambiamento sociale (creatività, competizione sociale, ricategorizzazione). Aspetti strutturali del gruppo La struttura del gruppo guida i comportamenti dei membri al suo interno. Si sviluppa molto rapidamente e muta molto lentamente. Gli elementi base su cui si basano le numerose interazioni all’interno del gruppo sono: Status, Norme e Ruoli. Status, Norme e Ruoli: Lo status è la posizione che una persona occupa all’interno di un gruppo sociale o la valutazione di tale posizione in una scala di prestigio. Esso acquista valore in ogni tipo di gruppo e ne differenzia i gruppi proprio in base alla loro autorità o prestigio. I ruoli dei membri

possono essere acquisiti col tempo in base alle azioni compiute per il corretto mantenimento del gruppo, oppure in modo ascritto ovvero semplicemente in base alla considerazione di una persona. Tali differenza, secondo la teoria dell’aspettativa di status, si creano quando i membri di un gruppo si incontrano per la prima volta e si formano delle aspettative in merito al probabile contributo reciproco. Una persona può sia aumentare di status che diminuire. Bisogna però dire che un lieve errore commesso da una persona con un elevato status viene giudicato meno rilevante di un errore di uguale misura commesso da una persona con uno status basso. I ruoli sociali secondo Levine e Moreland non sono molti: leader, nuovo arrivato, dipendente conformista e capro espiatorio. Essi servono sostanzialmente a mantenere una differenza dei compiti di lavoro fra i vari membri del gruppo. Le persone nei gruppi seguono inoltre quelle che comunemente vengono chiamate norme sociale, ossia modi di pensare, sentire o comportarsi ampiamente accettati su cui le persone del gruppo concordano e reputano giusti. Le fasi di sviluppo del gruppo: Per analizzare lo sviluppo di un gruppo nel tempo, Levine e Moreland hanno proposto il modello temporale di sviluppo dell’appartenenza ad un gruppo il quale sostiene che i cambiamenti che si verificano in un gruppo sono dovuti alla mutua influenza e interdipendenza dei membri. I processi psicologici attraverso i quali una persona entra a far parte di un gruppo sono tre: 1)Valutazione iniziale reciproca tra persona e gruppo; 2)Sentimento di impegno; 3)Transizioni di ruoli derivati dal cambiamento di impegno.

Il primo punto si basa su un duplice processo: ricognizione individuale e reclutamento di gruppo. Il primo si riferisce al contributo che il gruppo può portare alla persona e il secondo viceversa. Gli stadi dello sviluppo di un gruppo per Levine e Moreland sono cinque: 1. Fase di esplorazione: Ricerca della persona di un gruppo che soddisfi i suoi bisogni e viceversa ricerca del gruppo di una persona che possa contribuire al raggiungimento dell’obiettivo finale (prospective member). 2. Fase di socializzazione: Periodo nel quale le persone si conoscono e cercano di dare il massimo all’interno del gruppo. I nuovi entrati (newcomers) portano nuove idee al gruppo. 3. Fase di mantenimento: Periodo in cui si attribuiscono nuovi ruoli all’interno del gruppo al fine di massimizzare il contributo da parte dei full members. 4. Fase di risocializzazione: E’ la fase in cui un marginal member viene riconsiderato full member dopo aver avuto una negoziazione proficua con l’altra parte del gruppo. 5. Fase del ricordo: Quando un marginal member, non soddisfacendo le richieste del gruppo diviene un ex membro del gruppo. Forsyth ha riconsiderato questo schema e ne ha proposto un’alternativa a proposito dei gruppi faccia a faccia: 1.

Formazione: Fase di primo contatto, di conoscenza e di attenzione verso l’obiettivo.

2. Conflitto: Nascono i primi disaccordi tra i membri. Si influenza e si viene influenzato. Emozioni forti, di aggressività e rifiuto. 3. Evoluzione: Superamento del conflitto. Sentimenti di unità e armonia. Si assegnano ruoli e si sanciscono le regole. 4. Esecuzione del compito: Stadio della produzione. 5. Conclusione e scioglimento: Alla fine del mandato i gruppi si sciolgono. Spesso significa rottura di legami relazionali. La Leadership: processo per il quale ad alcune persone del gruppo viene permesso di guidare gli altri membri affinchè raggiungano più velocemente l’obiettivo prefissato. Alcuni studioso pongono l’accento sulle capacità di alcune persone ad influenzare gli altri, altri studiosi invece sulle posizioni elevate che mantengono all’interno del gruppo, e altri ancora accostano il termine leadership a quello di potere. In generale si tende a descrivere una leadership in base alla situazione e al suo stile adottato. Ci sono leader orientati al compito, che danno indicazioni precise, e altri leader orientati alla relazione, che adottano uno stile più democratico e favoriscono il mantenimento di un buon stato d’animo all’interno del gruppo. Stodgill nel 1974 ha stabilito quelle che sono le caratteristiche fondamentali che un leader deve possedere: responsabilità, problem solving, forza, tenacia e originalità, fiducia in sé e capacità di influenzare.

Hollander però si è accorto che non sono pochi i limiti presenti in questo modello. Egli infatti crede che le caratteristiche di un leader varino a seconda della situazione in cui egli si trova. Da questi due pensieri nascono due correnti di pensiero: la prima che crede negli stili di un leader, e la seconda più situazionista. Questa seconda corrente sostiene che il leader debba assolvere compiti e debba agire in base alle circostanze e non secondo le proprie caratteristiche. Il modello della contingenza di Fiedler invece definisce un leader colui in grado di far corrispondere le sue caratteristiche alle situazioni che le richiedono. Lo stile della leadership viene misurato dall’ LPC (Least Preferred Co-worker). Il controllo della situazione da parte del leader dipende da tre fattori: 1)Reazioni del leader con il gruppo; 2)Struttura del compito; 3)Posizione di potere del leader. L’influenza del gruppo sulle persone e su altri gruppi In che modo un gruppo può influenzare una persona, e in che modo può accadere il contrario? E quali sono le condizioni che fanno si che ciò possa accadere? Deindividuazione: Situazione in cui una singola persona vede se stessa solo nei termini di identità di gruppo, e di conseguenza segue norme e azione dello stesso. Difatti i gruppi possono generare un sentimento di eccitamento che può spingere singole persone a comportarsi in modi che non si verificherebbero se le persone in questione fossero sole. Le persone in gruppo abbandonano le normali restrizioni e perdono la propria identità individuale, deindividuandosi appunto. Essere anonimo, non identificabile rende le persone meno responsabili.

Per verifica questa situazione Patricia Ellison condusse un esperimento (Es. Semafori – clacson). Ampiezza del gruppo, anonimato, e conseguente diminuzione della coscienza di sé sono i tre fattori fondamentali che favoriscono la de individualizzazione. Essa favorisce sia comportamenti antisociali che al contrario pro sociali. In genere segue quella che è la direzione in cui si sposta il gruppo. Facilitazione sociale: A volte può accadere che la sola presenza di una terza persona o di un gruppo al completo possa spingerci a massimizzare le nostre prestazioni in modo da renderci migliori agli occhi degli altri (Esperimento Triplett). A volte però può accadere anche il contrario, come quando una folla di persone assiste mentre noi dobbiamo fare qualcosa di cui siamo capaci, che abbiamo eseguito tante volte, ma falliamo. Cos’è dunque che ci porta a cambiare atteggiamento in presenza di altre persone? E perché l’effetto prodotto può essere sia positivo che negativo? Zajonc ha dato il nome a questo fenomeno: facilitazione sociale. Secondo lo psicologo infatti in queste occasioni, si forma un’attivazione fisiologica nella persona causata fondamentalmente da due distinti fattori: timore della valutazione e effetto distrazione. In entrambi i casi l’attivazione fisiologica favorisce l’accesso alle risposte dominanti ovvero ai comportamenti più semplici. Inerzia sociale: Essa è la tendenza individuale ad impegnarsi di meno se l’azione che si sta svolgendo viene eseguita in gruppo. E’ riconducibile a numerosi fattori uno dei quali è quando le persone credono che il compito che stanno svolgendo è privo di importanza e dunque poco coinvolgente. La minoranza attiva: Affinchè una minoranza possa influenzare un gruppo più ampio, secondo Moscovici, ha bisogno di alcune caratteristiche fondamentali. Anzitutto deve offrire un consenso alternativo a quello della maggioranza e deve rimanere coerente nel tempo. Il punto di visto

alternativo della minoranza deve essere in ogni caso appoggiato da più persone in modo da esser preso sul serio dalla maggioranza.

Processi di presa di decisione Solitamente segue 4 fasi: 1)Fase di orientamento; 2)Fase di discussione; 3)Fase della presa di decisione; 4)Fase dell’implementazione. Le ricerche hanno dimostrato che il tipo di compito a cui viene sottoposto un gruppo determina anche il tipo di influenza che ogni membro esercita per raggiungere l’obiettivo. Esistono due tipi di influenze: informativa (la persona accetta informazioni da terzi come prova della realtà), e normativa (la persona accetta la definizione di realtà proposta da terzi. L’influenza informativa agisce soprattutto in situazioni che richiedono lo svolgimento di un compito di natura cognitiva, ovvero la cui soluzione è una e sola. Quando invece il compito è di natura valutativa, ogni persona cerca di dimostrare l’esattezza e la concretezza della sua soluzione trascurando le informazioni e le proposte dettate dagli altri. La polarizzazione di un gruppo: i gruppi intensificano le opinioni personali?: Si sa che nei gruppi difficilmente è presente unanimità e divisione uniforme delle decisioni. Pertanto è difficile che tutti i membri del gruppo abbiano la stessa opinione. Quando da queste discussioni, nasce un compromesso che placa le stesse in modo da metter tutti d’accordo, si verifica la depolarizzazione. Nel caso contrario, ovvero nel caso in cui una iniziale posizione intermedia di un gruppo si sposta verso una posizione più estrema dopo la discussione con altri, si verifica la polarizzazione di gruppo.

Tre sono le teorie più accreditate riguardo alla nascita di tale polarizzazione: 1. Burnstein & Vinokur: propongono un modello di polarizzazione basato sulla persuasione. A loro avviso, durante una discussione, vengono introdotti argomenti nuovi e a volte più accreditati, facendo in modo che le posizioni delle persone in precedenza vengono messe in dubbio e pertanto vengano surclassate dalle nuove proposte. 2. Sanders & Baron: riprendono la teoria del confronto sociale di Festinger. Secondo loro la polarizzazione non è altro che un modo semplice di autopresentazione delle persone all’interno del gruppo. In questo modo le persone si autopromuovono, e cambiano le loro idee in base al confronto interpersonale con terzi. 3. Wetherell: modello della polarizzazione come differenziazione intergruppi. Quando in gruppo si verifica polarizzazione, i singoli aderiscono con più forza alle norme dell’ingroup, denigrando quelle dell’outgroup. La polarizzazione bisogna ricordare, non funziona in gruppi nei quali le persone non si conoscono né hanno un leader. Pensiero di gruppo: la polarizzazione a volte può portare ad un bias estremo e più dannoso per la presa di decisione. Irving Janis si accorse che un gruppo, pur di raggiungere un consenso, non

prestano attenzione alle modalità più efficaci e adeguate per l’occasione. Denominò questo fenomeno groupthink (pensiero di gruppo). Le condizioni sociali per cui avviene un pensiero di gruppo sono cinque: 1. Alta coesione; 2. Isolamento del gruppo; 3. Mancanza di procedure metodiche per la ricerca e la valutazione; 4. Leadership direttiva; 5. Alto stress e tempi di decisione brevi. Otto invece sono i sintomi del pensiero di gruppo delineati da Janis: 1. Illusione di invulnerabilità: eccessivo ottimismo che rende cieco il gruppo nei confronti dei segnali di pericolo. 2. Credenza nella moralità intrinseca nel gruppo. 3. Razionalizzazioni collettive: Il gruppo rafforza il consenso e non lo sottopone verifica. 4. Stereotipizzazione dei gruppi esterni: Considerazione poco importante per l’outgroup. 5. Autocensura: Il gruppo soffoca ogni pensiero dubbioso, potenzialmente dissenziente. 6. Illusione di unanimità: Consenso del gruppo ottenuto non per unanimità, bensì per conformismo.

7. 8.

Pressione diretta sui dissenzienti: Autosorveglianza.

CAPITOLO 9 IL PREGIUDIZIO Natura e potere del pregiudizio Definizione di Pregiudizio: il pregiudizio è un atteggiamento. Un pensiero, un giudizio negativo preconcetto su un gruppo e i suoi membri. Tale giudizio negativo viene sostenuto da credenze negative e sbagliate chiamate stereotipi. Avere degli stereotipi significa generalizzare. Possono essere più o meno veri e non necessariamente negativi. Quando queste generalizzazione sono chiaramente sbagliate ed infondate vengono sovra generalizzate. Un atteggiamento che deriva da preconcetti giudiziali, viene chiamato discriminazione. Pregiudizio: implicito ed esplicito: il pregiudizio implicito è un giudizio che conserviamo spesse volte dall’infanzia, inconsciamente. Esplicito al contrario è l’atteggiamento manifesto ed osservabile. L’implicito può perdurare nel tempo, a differenza dell’esplicito che può essere modificato con l’educazione. Pregiudizio razziale: comportamento discriminatorio di un individuo verso persone di una data etnia o pratiche istituzionali. Bisogna dire che dal 1958 ad oggi sono prevalentemente scomparsi la maggior parte di pregiudizi razziali, spesse volte però solo ad un livello esplicito. Implicitamente i pregiudizi persistono ancora in molte persone. Difatti i comportamenti discriminativi riaffiorano quando possono nascondersi dietro il paravento di un altro motivo. Pregiudizio di genere: diffusione

della discriminazione nei confronti delle donne. Si è scoperto che gli stereotipi di genere maggiormente diffusi dei pregiudizi razziali. A differenza delle discriminazioni di genere che sono cambiati tanto rapidamente quanto quelli razziali. Le fonti sociali del pregiudizio Il pregiudizio scaturisce da varie fonti. E spesse volte viene utilizzato per proteggere la propria autostima o posizione sociale. Le diseguaglianza sociali: lo status iniquo e il pregiudizio: lo status può aumentare il pregiudizio. Gli status delle persone che differiscono fra loro spingono le persone appartenenti a quello più elevato a proteggere il proprio ambiente sociale e a giustificare la superiorità economica e sociale. Le persone con un orientamento al dominio sociale alto tendono a vedere altre persone in termini di gerarchia. Amano appartenere ad uno status elevato e desiderano essere al vertice di tale gerarchia. La socializzazione: Adorno e i suoi colleghi scoprirono che dietro al massacro nazista degli ebrei, non era presenta esclusivamente un odio profondo verso quella precisa razza, ma al contrario era presenta una discriminazione totale verso altre minoranze. Le persone definite etnocentriche, ovvero credenti nella superiorità della propria etnia/cultura con corrispondente disprezzo verso altre, condividevano una pesante intolleranza nei confronti della debolezza. Da questa studi Adorno teorizzò la persona autoritaria, ossia una personalità incline a favorire l’obbedienza all’autorità e l’intolleranza verso l’outgroup.

Una volta che il pregiudizio ha preso piede nella società, molte persone seguono la sua direzione in base alla conformità delle mode. Le fonti motivazionali del pregiudizio Numerose sono le fonti che spingono alla nascita di un pregiudizio: frustrazione, aggressività, ostilità, e desiderio di risultare imparziali. Frustrazione e aggressività: la teoria del capro espiatorio: La teoria del capro espiatorio sostiene che in situazioni di frustrazione si sfoga la propria aggressività su persone più deboli. Essa trae origine dalla teoria della frustrazione- aggressività, secondo cui, l’aggressività di un individuo dipende dalla frustrazione: in seguito a frustrazioni aumenta l’aggressività. Tale aggressività, quando non può essere diretta verso la fonte della frustrazione, si dirige verso un bersaglio più debole (il capro espiatorio). (Hovland & Sears). Così come la teoria del conflitto realistico che sostiene che il pregiudizio nasce quando i gruppi competono per risorse insufficienti. Le fonti cognitive del pregiudizio Stereotipi e pregiudizi sono spesso conseguenza di normali processi di pensiero. Sono il risultato più delle macchinazioni della mente che della malizia del cuore. La categorizzazione sociale: classificare le persone in gruppi: gli esseri umani organizzano il mondo racchiudendo gli oggetti in gruppi.

Più frequentemente categorizzano in precise circostanze, quando sono pressati dal tempo, preoccupati, stanchi, eccitati o troppo giovani per apprezzare la diversità. Difatti la categorizzazione è necessaria al pregiudizio. Molto spesso si verifica quello che comunemente viene chiamato effetto omogeneità dell’outgroup: etichettare come “uguali” tutti i membri di un gruppo a cui non si appartiene. Oppure ancora un bias per la propria etnia (riconoscere più facilmente i visi appartenenti alla propria etnia). La consapevolezza dello stigma invece è l’aspettativa delle persone di essere vittime di pregiudizi o discriminazioni. La teoria del mondo giusto è la tendenza delle persona a percepire il mondo come un luogo giusto, in cui le stesse persone ottengono ciò che esse meritano. Le conseguenze del pregiudizio Minaccia dello stereotipo: Preoccupazione dirompente quando si è di fronte a uno stereotipo negativo, di venir valutati in base a quello stereotipo. Diverso dalla profezia che si auto avvera perché l’effetto in questo caso è immediato. CAPITOLO 10 L’AGGRESSIVITA’ Che cos’è l’aggressività

L’aggressività è un comportamento verbale o fisico il cui scopo è di causare violenza. Negli esseri umani si definiscono due tipologie di aggressività: ostile e strumentale. L’aggressività ostile viene alimentata dalla rabbia, scaturisce dall’odio e ha per obiettivo il causare danni. L’aggressività strumentale invece, pur avendo anch’essa obiettivo di causare danni e sofferenza, rappresenta un mezzo per raggiungere un altro scopo. La maggior parte degli omicidi rientra nella prima categoria. Alcune teorie sull’aggressività Gli aspetti principali su cui gli psicologi basano i loro studi sull’aggressività sono tre: l’esistenza di un impulso aggressivo innato e biologico; l’aggressività come risposta alla frustrazione; aggressività come comportamento appreso. L’aggressività come fenomeno biologico: Tale teoria fu ipotizzata e presa in esame da Sigmund Freud. Egli credeva che l’aggressività scaturisce da un impulso autodistruttivo, il quale reindirizza verso terzi l’energia di un primitivo desiderio di morte (pulsione di morte). Sosteneva dunque che l’aggressività non fosse un comportamento appreso, ma di tipo istintivo. C’è da dire però che con il trascorrere del tempo, questa teoria fu messa da parte a causa della sua plurifunzionalità: difatti in qualunque studio dell’epoca, ogni comportamento veniva ricondotto ad una matrice istintiva dell’uomo. Inoltre questa teoria non spiega i diversi livelli di intensità di aggressività dei vari individui. Si è scoperto, tramite numerosi studi e ricerche, che tre sono le influenze biologiche che causano aggressività: neurali, genetiche e biochimiche (Alcol, Testosterone, Bassi livelli di serotonina). L’aggressività come risposta alle frustrazioni: Una delle prime teorie psicologiche riguardo l’aggressività fu quella della frustrazione-aggressività di Dollard. Essa sosteneva che la

frustrazione, ovvero l’ostacolo che blocca un comportamento teso al raggiungimento di un obiettivo, potesse condurre sempre a qualche forma di aggressività. Inoltre l’aggressività non obbligatoriamente viene esplosa nei confronti di chi è la diretta causa della propria frustrazione. Si potrebbe difatti verificare il meccanismo di dislocazione: ovvero un reindirizzamento dell’aggressività verso un obiettivo diverso da ciò che ha originato la frustrazione. In genere è un obiettivo più debole e socialmente avvicinabile. Quando invece sperimentiamo malcontento quando la situazione reale non corrisponde a quella attesa si verifica il fenomeno deprivazione relativa. L’aggressività come comportamento sociale appreso: A differenza delle teorie sull’istintività dell’aggressività, sussiste una seconda teoria più accreditata secondo gli psicologi sociali: l’aggressività come apprendimento. Albert Bandura nella sua teoria dell’apprendimento sociale, spiega che gli esseri umani apprendono il comportamento sociale per osservazione e imitazione e mediante un sistema di ricompense e punizioni. (Esperimento pupazzo gonfiabile). Famiglia, cultura e mass media sono potenziali fonti di apprendimento sociale.