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Italian Pages 262 Year 1947
STUDI P U B B L I C A T I D A L L ' I S T I T U T O P E R LA STORIA ANTICA
ITALIANO
FASCICOLO QUINTO
EUGENIO MANNI
PER LA STORIA DEI MUNICIPII FINO ALLA GUERRA SOCIALE
ANGELO EDITORE
SIGNORELLI
— ROMA — 1947
INDICE
PREMESSA METODICA .
. pag.
PARTE I — PER LA STORIA DEL CONCETTO DI MUNICIPIUM FINO ALLA GUERRA SOCIALE . . . . 1°
— Municeps e municipium secondo le definizioni delle fonti e la oritica moderna 1. — L'etimologia di municipium 2. — Le fonti antiohe
II« — Le oittà latine
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1. — La teoria dell'isopolitia . . . 2. — Le teorie del Mommaen e del Belooh 3. — La civitas delle oittà latine .
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III 0 — Le oittà senza suffragio e le prefetture
9-90
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11-28
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11 18
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29-56
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29 36 51
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57-74
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» ? »
57 62 69
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75-85
1. — I municipi! della terza oategoria festiana . . 2. — Pro moinicipieis e pro oolonieis. Municipium fundanum
» >
75 78
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86-90
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91-208
1. — La civitas sine suffragio 2. — Campani e Latini 3. — Mnnioipii oon autonomia limitata e prefetture IV* — L'ultimo secolo dalla Repubblica
CONCLUSIONE. — 11 cosiddetto foedus municipale PARTS II — LE MAGISTRATURE MUNICIPALI 1°
»
1-8
— 1 magistrati dei municipii latini
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1..— Dittatura ed edilità nei mnnioipii latini . 2. — La triplice edilità di Arpinum, Fundi e Formiae Nota sai poteri degli edili nei manici pii anteriori alla guerra sooiale
93-140 » 93 » 123 » 129
Indice
Vili
II 0 — Le magistrature degli altri municipii 1. 2. 3. 4.
— — — —
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pag. 141-208
I/ottovirato I mnnioipii oon l l v i r i Gli aedilea iuri dioundo di alcune città meridionali La questione dei cosiddetti Illviri aedilea . .
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141 148 155 159
EXCURSUS I. — L'origine dell'edilità nelle colonie ro mane
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165
EXCURSUS II. — Il qnattuoivirato e i quattuorviri «nude dirti» EXCURSUS I I I . — II quattnorvirato delle oolonie in Italia
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171 201
APPENDICE — L'EDILITÀ IN ROMA . 1. 2. 3. 4.
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Prime affermazioni della plebe romana L'origine dell'edilità plebea . . . L'origine dell'edilità onrule . . . Le dne edilità fi no a Cesare . . .
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209-260
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211 221 245 249
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PEEMESSA METODICA.
Il lavoro che presento consta di due parti distinte: la prima riguarda Io sviluppo del concetto di municipium fino alla guerra sociale, la seconda tocca le principali magistrature municipali di cui ci sia giunta nptizia. Entrambe vengono a fondersi in un tutto di cui costituiscono due aspetti diversi ma non fa cilmente scindibili l'uno dall'altro. J3e, infatti, la seconda parte riguarda l'aspetto del pro blema più comunemente discusso, la prima ne è però il fon damento e la base da cui non si può prescindere senza in correre in giudizi arbitrari e in gravi errori di metodo. Per rendersene conto sarà sufiìciente dare uno sguardo ad alcune delle opere più significative che appunto alle magistrature municipali sono state dedicate nell'ultimo periodo. La prima di queste opere è quella del Eosenberg (1), che, a pagina 3, per esempio, scrive: « Dove l'edile e Polizeiherr », assistente del magistrato supremo, è soprattutto magistrato politico, bisogna dedurne che egli è creato secondo l'esempio romano: soltanto se noi trovassimo in qualche luogo il * Tem pelherr », ciò potrebbe essere utile per la comprensione del l'origine dell'istituzione. Io vorrei porre il seguente postulato per un'edilità di cui la romana potrebbe essere una copia: un comune, nella cui vita un unico determinato tempio e il suo culto abbiano un'importanza dominante, in cui i capi di questo tempio portino il titolo di edili, e in cui essi con temporaneamente rivestano la magistratura comunale. Se fosse possibile constatare l'esistenza di una tale città, allora (1) ROSENBERG A., Der Staat der alten Italiker, Berlin 1913. 1
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PREMESSA METODICA
la soluzione del problema sarebbe avanzata di un importante passo ». A parte ciò che il Rosenberg dirà in seguito e che ve dremo, è fin troppo evidente che un postulato del genere non è affatto metodico: esso dipende da un altro postulato, precedentemente enunciato dal Rosenberg, e cioè che gli edili portavano questo nome come amministratori dei templi ple bei. Ma entrambi questi postulati restano indimostrabili e, per di più, sono concatenati in base ad un rapporto del tutto soggettivo : una possibile analogia della magistratura romana con una straniera non implica la necessità che quella derivi da questa o viceversa. Soltanto la conoscenza di altri dati — e, se possibile, di date — potrà servire a determinare un rapporto del genere : in mancanza di tali dati una conclu sione qualunque sarà del tutto impossibile. Il Rosenberg, invece, seguitando la sua via, crede di poter affermare : « Ve dremo tosto che questa città esiste, che essa non è troppo lontana da Roma, e che essa è ben nota; ma prima v'è an cora qualcos'altro da sbrigare, e cioè le principali obbiezioni, che il Mommsen ha sollevato contro una deduzione dell'edi lità dal Lazio». Si ricorderà che il Mommsen (1) era dell'opinione che l'edilità non fosse tra le magistrature del periodo delle origini né nel Lazio, né in Roma, poiché « Roma era prima di tutto una città latina» e poiché, non essendo certo originaria l'edilità romana come istituzione plebea, essa « non può esser tale nemmeno nel Lazio ». Il Rosenberg osserva che è certamente esatto l'affermare che l'edilità in Roma è «sekundär», e che anzi essa non costituisce una parte es senziale della costituzione originariamente comune a tutte le città latine: «essa è proprio un prodotto del caso (Zu fallprodukt), che nacque in condizioni d'origine ben deter minate, ma nessuno potrebbe asserire che questa creazione possa aver avuto luogo proprio in Roma; è così molto più verosimile che l'edilità romana sia derivata da una fore stiera» (2). Il Rosenberg ha ragione quando osserva che (1) MOMMSEN T., Eomiaohes Staatsrecht, vol. II«, pag. 474 nota. (2)
ROSENBERG, op.
cit.,
pag.
3.
PREMESSA METODICA
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l'affermazione del Mommsen è insufficientemente dimostrata, ma ha torto quando sostituisce ä quell'affermazione una pe tizione di principio altrettanto malsicura. In verità vi sono alcuni fatti che potrebbero servire a dimostrarne la tesi: ad esempio quello, importantissimo sebbene anch'esso molto di scusso, che la plebe romana^ in parte almeno forestiera in Borna, può aver portato nella città di cui diviene ospite l'organizzazione comune alle singole città donde proviene : fra queste certamente Tuscolo, che il Rosemberg vorrebbe prendere a modello ; ma il Rosenberg non vi fa caso, anzi non vi accenna neppure. E noi pure rimandiamo per ora la discussione del problema a luogo più opportuno. E così pure rinvieremo la discussione sulla possibilità o meno di identi ficare il praetor di Fundi con il maggiore dei tre edili esi stenti colà come in Formiae ed Arpinum, perchè pensiamo che una soluzione di questo problema non si possa tentare senza i dovuti collegamenti con il complesso della questione. Per ora ci limiteremo ad osservare che per il Rosenberg (1) neppure in quelle tre città è da cercarsi l'origine dell'edilità romana perchè, com'egli' osserva, nelle tre città «volsche» non v'è traccia di una funzione sacrale degli edili: ma anche questa osservazione ha scarso valore, in quanto è fondata non solo ex silentio, ma anche su quel postulato aprioristico, che resta da dimostrare, cui già s'è accennato. Analogamente si potrebbe discutere l'opinione del Rosenberg per altre ma gistrature. Più recentemente ha affrontato il problema dei rapporti fra città e Stato nell'Italia romana Hans Rudolph (2), la cui opera ha smosso nuovamente le acque apparentemente calme, rivolgendosi tuttavia soprattutto, come dice il sottotitolo del suo libro, allo sviluppo delle caratteristiche costituzionali municipali nell'età repubblicana. Ciò non toglie che, pur trattandosi ormai di municipii, il Rudolph debba affrontare di volta in volta i problemi inerenti ai rapporti fra le ma gistrature municipali e le corrispondenti romane, mettendo (1) ID., ibid., pag. 4 eegg. (2) RUDOLPH H., Stadi und Staat im römischen Italien, Leipzig 1935.
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PREMESSA METODICA
in tal modo in discussione quanto di originale si crede che sia sopravvissuto nei municipii. Egli prende in esame la dit tatura, l'ottovirato, il quattuorvirato dei municipii, e, inoltre, l'organizzazione delle colonie. Se la prima parte del lavoro è, anche per noi, fondamentale, ugualmente, interessante sarà anche Pesame dell'organizzazione delle colonie, poiché — come giustamente osservò il De Sanctis in un suo articolo sull'edi lità — la cronologia di queste potrà suggerire di volta in volta elementi indispensabili per la comprensione dello svi luppo anche della oostituzione romana. Ma intanto noi se guiremo l'introduzione dell'opera per renderci conto dei criteri seguiti dal Eudolph. Criteri di cui egli rivendica l'originalità poiché mette in evidenza (1) l'indipendenza del suo modo di vedere dalle opinioni dominanti, e specialmente da quella del Mommsen, cui egli direttamente si riallaccia. La differenza sta in questo, che il Mommsen ha essenzialmente pensato ad un'origine autonoma del diritto municipale : la « umgestaltete Autonomie » del municipio sarebbe « la parziale conservazione della sovranità di un altro Stato, giuridicamente revocata attraverso l'ingresso di esso nello Stato Romano >, mentre per il Eudolph il municipio è stato sempre in funzione di una decentralizzazione statale. In questo senso egli può porre storicamente sullo stesso piano municipii e colonie. La diffe renza, dirà il Eudolph, seguendo il Weber da lui citato con tro il Mommsen (2i, sta in questo soltanto, che, mentre alla natura del municipio repubblicano appartiene un diritto fon diario soltanto parificato a quello romano, la colonia traeva origine proprio dalla Umitatio o divisione in fundi. Se ciò è esatto dal punto di vista gromatico, non può tuttavia essere preso come base sicura per lo studio della storia delle costi tuzioni municipali. Non è quindi presumibile che sia meto dicamente esatto il partire da una tale concezione. Come, d'altro canto, non sarà sempre possibile, neppure, partire dal punto di vista che tutto ciò che troviamo nei municipii abbia soltanto e sempre origini preromane. Malgrado queste preCi) I D . , ibid., pag. 3, n. 1. (2) I D . , ibid., pag. 176, n. 1.
PREMESSA METODICA
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messe, il libro del Rudolph resta alla base di ogni ricerca su questi argomenti: noi dovremo tenerne conto ancora e molto sovente, tanto più che l'autore, malgrado la recisa affermazione da noi già confutata, deve ammettere che « i municipii e le colonie durante la Eepubblica sono nettamente distinti riguardo alle costituzioni cittadine loro concesse da Borna» (1). Infatti il Rudolph non può non ricordare e am mettere che solo i municipii hanno conservato, dopo il loro ingresso nello Stato Romano, una propria costituzione co munale (2) ; ma — egli aggiunge — « noi vediamo che in tutti questi casi l'incorporazione di queste città era accom pagnata da un'organizzazione della loro situazione interna, che però non prese nei tempi più antichi una forma costante, ma si differenziava nelle varie epoche > (3) : dittatura, triplice edilità, ottovirato e quattuorvirato. « Lo stato della tradi zione e le particolari condizioni non permettono di trattare nell'insieme lo sviluppo di queste costituzioni, ma esse pos sono essere trattate Puna dopo l'altra nell'ordine cronologico, secondo il tempo della loro genesi, ognuna secondo la pro pria natura e la particolare storia fino al I secolo. Peso particolare sarà sempre dato, corrispondentemente al punto di partenza di queste ricerche, specialmente alla prova del l'origine romana di questi ordinamenti > (4). Ma, intanto, ini ziando lo studio della dittatura, egli deve scrivere che i mu nicipii annessi nel IV secolo «hanno conservato nelle loro costituzioni tracce dell'originaria organizzazione della loro amministrazione autonoma fino a quando, nel tempo più tardo, durarono legalmente come città > (5) : si tratta di Arida, Lanuvium, Nomentum. Caere. Da ciò è tratto a discutere la « cosiddetta dittatura latina». Vedremo poi in che rapporto essa sia col problema che c'interessa. Per ora ci limiteremo a constatare che il pregio maggiore della posizione del Ru(1) (2) (3) (4) (5)
ID., ibid., ID., ibid., I D . , ibid. I D . , ibid., I D . , ibid.,
pag. 5. pag. 6. pag. 6 seg. pag. 7.
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PREMESSA METODICA
dolph è quello di uscire dal rigido schematismo del Eosenberg, per cui tutto ciò che v'è fuori di Eoma diverso da ciò che per Eoma è ben noto appartiene senz'altro al fondo ori ginario delle costituzioni delle singole città; ma è controbi lanciato dal grave difetto di un opposto schematismo, che non lascia luogo a nulla di non romano. D'altra parte, am mettendo questa capacità organizzativa e innovatrice di Eoma rispetto ai municipii, sorge il problema del perchè Eoma abbia di volta in volta mutato il primitivo criterio : e questo problema, senza risolvere il quale non si può comprendere l'evoluzione e lo svolgimento del sistema organizzativo ro mano, non pare adeguatamente affrontato dal Eudolph, che, comunque, non dà mai una spiegazione soddisfacente. Più elastica, e quindi più aderente al dinamismo storico delle istituzioni in continuo sviluppo, appare l'opera dello Sherwin White (1), cui molte volte dovremo fare riferimento : vedute larghe e felici tentativi di sintesi ne sono la princi pale caratteristica, ma talvolta manca, come del resto anche nel Eudolph, una documentazione adeguata. Malgrado questo difetto il libro resta però indispensabile sia per l'informa zione sui vari problemi, sia per i notevoli contributi che offre alla loro soluzione. Infine, prima di iniziare la nostra ricerca, ricorderemo ancora Topera del Leifer(2), che — studiando con gran cura e profonda conoscenza dei problemi anche linguistici la co stituzione degli Etruschi — tenta di portare un utile contri buto alla serie di problemi con essa collegati, tanto più utile dopo che il Eosenberg aveva intravisto la possibilità di met tere in evidenza quanto di etrusco fosse rimasto in diverse costituzioni italiche. Ma in questo campo, in cui, come è ovvio, non si può giungere a conclusioni particolari sicure, inquantochè non si conosce con assoluta sicurezza il signi ficato dei vocaboli, sarà bene non addentrarsi troppo. Ci limiteremo perciò a mettere in evidenza quanto di sicuro (1) SHERWIN WHITE A. N., The roman citizenship, Oxford 1939. (2) LKIPER F., Studien zum antiken Aemtertoeêen, vol. I, in Kliot Beiheft XXIir, N, F. Heft X, Leipzig 1931.
PREMESSA METODICA
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parve conquistato alla scienza dal Rosenberg e da coloro che l'hanno seguito sulla sua via, compreso lo stesso Leifer, ri petendo col Fell (1) che « il risultato principale delle ricerche del Rosenberg è di dimostrare che tanto nelle città etrusche quanto nella Lega la carica suprema era affidata ad un solo magistrato, con un assistente subalterno >. Ma sui particolari della questione avremo agio di tornare a suo luogo. Così, conclusa questa rapida rassegna delle posizioni di partenza di taluni studiosi, sarà facile e doveroso trarne al cune conseguenze. Anzitutto in una ricerca come questa bi sogna assolutamente evitare di partire con una base fondata su un concetto aprioristico qualunque, per non correre il rischio di costruire sulla rena: meglio sarebbe, in caso di sperato, giungere alla conclusione che non si può risolvere il problema. Movendo da questo ovvio criterio ho voluto cer care una base che mi permettesse di affrontare la questione con un più solido fondamento. E questo non poteva essere se non un approfondito riesame dei rapporti politici fra Roma e le città latine e non latine, che consentisse di stabilire fino a che punto si possa parlare di autonomia locale e quindi di originalità delle magistrature che noi troviamo fuori di Roma. D'altronde, all'infuori di un valore puramente antiquario, la conoscenza delle magistrature municipali non avrebbe sto ricamente alcun interesse se non appunto in relazione alla possibilità di trarne elementi positivi anche per un giudizio storico valevole sui rapporti che a Roma legarono nei tempi i municipii. Allo studioso di storia romana questo problema appare di grandissimo interesse perchè dalla sua soluzione dipende per molta parte il giudizio che potrà essere dato sulla politica estera ed interna della città dominante. Le pagine che seguono mirano soprattutto a questo scopo ; ma se la prima parte tenterà appunto di chiarire alcune que stioni essenziali della storia del concetto di municipium, la seconda servirà, forse, non tanto a dimostrare l'origine epi ci) FELL R. Â., Sulle ooatituzione degli Etrusohi, in Studi Etruschi 1928, pag. 185 eegg.
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PREMESSA METODICA
coria di molte magistrature — origine del resto già ammis sibile a priori per chi accetti i risultati della prima parte — quanto invece, e soprattutto, a mettere in evidenza anche alcuni possibili legami originari fra magistrature di luoghi diversi e apparentemente assai dissimili Tuna dall'altra. Naturalmente, non ho inteso scrivere una storia compiuta e completa di ogni magistratura : ho toccato soltanto i punti che mi sono parsi più importanti e, anche per questi, ho dovuto sovente contentarmi di avanzare delle ipotesi. Ho invece aggiunto un'appendice sull'edilità plebea e curule in Eoma : anche se i risultati non ne appariranno in ogni punto definitivi, essa mi è parsa indispensabile considerando la possibilità che ad un certo momento la plebe romana abbia costituito un ente assimilabile per taluni aspetti ad un vero e proprio munidpium. Ma soprattutto la ricerca si rendeva in dispensabile per poter tentare di stabilire, anche in base ad essa, se l'edilità latina fosse o non fosse un'imposizione ro mana, un'imitazione spontanea di un modello romano, o — finalmente — qualcosa di diverso e preesistente alla stessa edilità plebea. Dell'interessante volume di Santo Mazzarino sul tema « Dalla Monarchia allo Stato Eepubblicano > (Oatania 1945) ho potuto prendere visione soltanto quando ormai il mio la voro era pronto per la stampa. Di quel volume interessano particolarmente il nostro argomento le pagine in cui si tratta di talune magistrature municipali — edilità, pretura, ditta tura, ecc. —, ma, poiché la sua impostazione metodica è assai diversa da quella che io ho adottata, non ho creduto necessario ritoccare la mia trattazione e mi sono limitato ad aggiungere in alcune note qualche cenno di rinvio. Ruma
1945
E. M.
PARTE I
P e r la storia del concetto di municipium fino alla guerra sociale
I. MUNICEPS E MUNICIPIUM SECONDO LE DEFINIZIONI DELLE FONTI E LA CRITICA MODERNA
L'ETIMOLOGIA DI MUNIOIPIUM.
Il desiderio di chiarire il significato etimologico e origi nario del termine municipium, evidentemente connesso con municepa, è, senza dubbio, naturale per chi intraprende l'esame storico di questo concetto. E tuttavia esso risulta pressoché inattuabile poiché le fonti antiche, non meno degli autori moderni, sono portate — come sovente avviene in casi ana loghi — a fare un'ammirevole confusione fra il mezzo e il fine e, facilmente attrattevi dall'ambiguità dei termini da esaminare, scambiano volentieri per dimostrato ciò che non è — a ragione veduta — se non un a posteriori molto dub bio, derivante dalla concezione invalsa nell'uso o nata nella mente dell'esegeta in epoca in cui il significato veramente originario del vocabolo che c'interessa era probabilmente di menticato. Per rendersi conto della facilità con cui il vocabolo municepa e il suo derivato municipium possono aver mutato signi ficato secondo i tempi e le circostanze, basterà pensare ai vari e distinti significati che ha avuto a sua volta il termine munua (munia, munera) che ne è alla base. Se si pon niente a ciò, si potrà forse sottoscrivere soltanto in parte l'opinione di quei moderni glottologi che in mu-nas vedono un derivato dal tema *mei- « barattare » (1), ma bisognerà senz'altro rinunciare, 1939, 1910,
(1) ERNOUT A.-MEILLBT A., Dictionnaire étymologique de la langue latine, Paris pag. 643 ; WALDB A., Latein, etymologische Wörterbuoh, 2* ed., Heidelberg pag. 502, s. v. munie.
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PER LA STORIA DEL CONCETTO DI MUNIGIPIUM
per opportunità metodica, a scegliere nell'ampia gamma di sfumature che il concetto di « baratto » ha assunto in tutto il mondo indeuropeo. Già gli antichi, infatti, volendo fare questa difficile scelta non erano del tutto concordi fra di loro : possiamo anzi dire che non lo erano affatto. Già soltanto leggendo Festo (1), tro viamo che « municeps est, ut ait Aelius G alius, qui in municipio liber natus est. Item qui ex alio genere hominum munus functus est. Item qui in municipio ex Servitute se liberavit a municipe ». Fin qui dunque è riferito, a quanto pare, il pen siero di Elio Gallo, notevole perchè vi si afferma che è anche municeps chiunque e ex alio genere hominum (potremmo dire suddito o straniero) munus functus est*, e cioè si è sottopo sto a talun munus per Roma. Ma ecco la seconda parte del testo festiano : < At Servius films aiébat initio fuisse qui ea condicione cives Romani Jnissent, ut semper rem publicam separatim a populo Romano haberent , qui aeque < cives Romani erant et in legione merebant, sed dignitat.es non capiebant > ». Non dunque peregrini, ma cives Romani anche se appartenenti ad una diversa res publica. Lasciamo per ora in disparte questa questione : avremo occa sione di riparlarne a suo tempo. A noi importa per ora notare soltanto che sostanzialmente, a parte il problema se si trat tasse di cives Romani o di peregrini, i municipes sono per Servio come per Elio individui ammessi a sostenere tmuneris partem ». Alquanto diverso è invece ciò che ci riferisce Gellio (2) : « Municipes ergo sunt cives Romani ex municipiis, legibus suis et suo iure utentes, muneris tantum cum populo Romano honorari participes, a quo munere capessendo appellati videntur ». Qui il munus non è più il servizio militare o altra prestazione dovuta alla res publica Romana, ma il munus honorarium. Ma ancora Ulpiano (3) osserva che « proprie quidem municipes appéllantur muneris participes, recepii in civitatem ut munera (1) FEST., S. V. Municeps, pag. 126 L. (2) GKLL., N. A. XVI 13, 6 eegg.
(3) Dig. h 1, 1.
MUNÌGEPS E MUNICIPÏUM
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nóbiscum facerent » ; mentre da Paolo il giurista (1) apprendia mo « municipes dici, quod numera civilia copiant », e ancora Isi doro (2) ripete press'a poco la stessa cosa affermando che « municipes sunt in eodem municipio nati, ab officio munernm dicti, eo quod publica munia accipiant. Munia enim officia sunt. TJnde et immunes dicuntur, qui milium gerunt officium ». Lo stesso concetto è ribadito dallo stesso autore in altri luoghi : € dictus autem princeps a capiendi significatane, quod primus capiat, sicut municeps ab eo quod munia capiat* (3) e, a propo sito di municipium, « municipium est, quo manente statu, ius aliquod minoris aut maioris officii a principe impetrat. Dictum autem municipium a muniis, id est officiis, quod tantum munia, id est tributa debita vel munera, reddant > (4). Ma c'è di più perchè, come appare ovvio, sullo stesso si gnificato di munus gli autori antichi non sono concordi. Su di esso già Varrone osservava che è e munus quod mutuo animo qui sunt dant officii causa » (5) ; ma se si avvicinava qui sensibilmente al concetto che di munus si sono fatti gli eti mologi moderni — il concetto già ricordato del « baratto » —, quando poi voleva, subito dopo, specificare un altro significato di munus, scriveva essere questo « quod muniendi causa imperatum » e a questo secondo significato collegava l'etimologia di municeps : da questo munus avrebbero preso nome i municipes poiché « una munus fungi debent » (6). E Paolo (7) distingueva di munus ben tre significati : « uno donum altero onus tertio officium, linde munera militarla et qnosdam milites muniflcos vocari». A quest'ultimo si collega, come già abbiamo visto, il significato di municeps : « igitur municipes dici, quod munera civilia capiant >. Non merita particolare attenzione Isidoro, che molto sem-
(1) Dig. L 16, 18. (2) ISID. IX
4,
21.
(3) ID., IX 3, 21. (4) ID., XV 2, 10. (5) VARR., de l. I. V
(6) ID., ibid. (7) Dig. L 16, 18.
179.
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PER LA STORIA D E L CONCETTO DI MUNICIPIUM
plicisticamente deriva munus da manus : « munera autem vo~ cantur quia manibus vel accipiuntur vel dantur» (1). Comunque, anche ammettendo che munus andasse sempre inteso in un solo modo piuttosto che in un dato altro, reste rebbe ancora assai dubbio che cosa significhi il secondo mem bro componente il termine municeps. A prima vista esso ap pare un derivato di capio, talché municeps dovrebbe signifi care colui « qui munera capit » ; ma possiamo noi afiermare che « munera capere > o — come vorrebbero taluni antichi — € munera capessere » (2) significhi t ricevere incombenze » e non piuttosto « ricever doni » o « ricevere compensi » Î E « munus fungi > è forse lo stesso che « munus capere » ? Su tutto ciò già gli scrittori moderni hanno ripreso la discussione dagli antichi tentando di darle una base scientifica più sicura, ma — a mio parere — non vi sono riusciti. Sarà tuttavia utile riepilogare rapidamente i loro risultati. Vediamo dunque anzitutto quale sia la base etimologica da essi accolta. Il dizionario etimologico Eroout-Meillet sceglie l'interpre tazione « qui capit munera » e traduce < celui qui prend part aux charges > (3), ricollegandosi alla più comune opinione. Zöller, Mommsen, De Sanctis, Piganiol, Kornemann — per non citare qui che alcuni —- ammettono infatti che municeps sia colui che « capit munera », ed interpretano l'espressione nel senso che municeps è colui che ai munera, cioè ai doveri, si sottopone (4). Press'a poco la stessa cosa dice il Toutain (5), e, da ultimo, il Bernardi che giunge ad identificare la figura del municipe con quella del civis (6). Ancora analoga è la po ti) ISID., VI 9,
27.
(2) Cfr. GELL., loc. oit. ; il quale però iutende qui munus come a munus honorarium ». (S) ERNOUT-MEIIXET, loc.
cit.
(4) ZÖLLKR M., Rom. Staats-und Rechtsaltertümer, BreBlau 1885, pag. 412 ; MOMMSEN T., Rom. Staatsrecht, III 1 (J887), pag. 231; D B SANCTIS G., Storia dei Romani, II (1907), pag. 434 e n . 2; PIGANIOL A., La conquête romaine, Paris 1930 (2* ed.), pag. 173; KORNBMANN E., Municipium, in P. W., XVI (1933) 573. (5) TOUTAIN J., Municipium, in DARKNBERG-SAGLIO-POTTIER, III (1904)
pag. 2023. (6) BERNARDI A., I cives sine suffragio, in Athenaeum 1938, pag. 240,
MÜNICEPS Ê MUNÎCIPIUM
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sizione dell'Arangio Euiz, che spiega municipium da « munera capere*, cioè dal fatto che a tali comunità erano imposti da Roma certi servizi e prestazioni (1). Altro significato ha il nostro vocabolo per il Eudoro — e, dopo di lui, per Lange, Willems, Marquardt, Kariowa, Binder, Kubier, De Francisci — indicando invece « colui che riceve il dono ospitale » (2). La tesi sostenuta dal Eudoro parve per un certo periodo di tempo assolutamente inattaccabile. Nel 1880 il Willems poteva scrivere che la sua etimologia era allora « generalmente adottata» e aggiungeva: < Il arrivait que le Sénat Romain accordait à un étranger, voir même à une cité entière, le jus hospitii publici à Ko ine comme une récompense spéciale pour des services rendus » e in una nota, seguendo appunto Tetimologia del Eudorff e tentando di controbattere la tesi del Mommsen, scriveva, a proposito di munera dati all'ospite in seguito alla concessione deWhospitium publicum : « de là municepSj primitivement synonyme de hospes » (3). Il Karlowa poi (4) affermava nel 1885, citando Pesto, che i cittadini di talune città italiche allora indipendenti, quando abitassero a Borna non divenivano cives Romani, ma condivi devano coi cittadini Romani munera e diritti ad eccezione del (1) ARANGIO RUTZ V., Storia del diritto Romano, Napoli 1937, pag. 107. (2) RUDORFF A. F., in Berliner Lektiomkatalog, 1848-49 ; LANGE L., Rom. Alterthümer, I s (1876), pag. 468; WILLEMS P., Le droit public romain, Louvain 1880, pag. 364, n. 1 ; MARQUARDT J., Rom. Staatsverwaltung, I 2 (1881), pag. 2 6 ; KARLOWA O., Rom. Rechtsgeschiohte, I, Leipzig 1885, pag. 296 ; BINDER J., Die
Plebe, Leipzig 1909, pag. 339 ; KÜBLER B., Gesoh. d. rò'm. Rechts, Leipzig 1925, pag. 117 ; D E FRANCISCI P., Storia del diritto Romano, II (1938), pag. 22. Qnest'altinio autore oita in proposito anche BELOCH (Der ital. Bund, pag. 87 segg., 117 seg.) e BONFANTE (Storia del diritto Romano, I 3 242 segg. [ = I 4 240 segg.]) ; ina per costoro il rapporto federale assume un significato ohe va nettamente distinto da quello degli autori snelenoati. La tesi del Belooh, oui il Bonfante si riallaccia, Bara disoassa infra. Il Bonfante si stacca in parte dal Beloch quando pensa ad un municipium plebeo poi assorbito nella Civita» di Roma. Sa ciò ofr. infra, pag. 34 segg. e pag. 213 seg. (3) WILLEMS, loo. oit. Si veda ibid.y pag. 381, n. 9 una breve polemica oontro il Mommsen sul diritto di hospitium. (4) KARLOWA, op. oit., I 295 seg.
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PEU LA STORIA DEL CONCETTO DI MUNICtPIUM
ius suffragii e del itts honorum, cosicché questa classe di in dividui prendeva nome di municipes. E spiegava che questo concetto poteva porsi in rapporto col fatto che quelle città avevano allora verosimilmente lo hospitiumpublicum con Koma, mentre poi il vocabolo mutò significato quando le stesse città ebbero conseguito la cittadinanza romana. Così il Binder, scrivendo nel 1909 (1), riteneva certo che il termine municipium sia più antico del 338 e indichi in ori gine un comune indipendente, legato ad un altro da un « Gast- und Freundschaftvertrag ». Si faceva però sentire sempre maggiormente l'idea del Monimseo, che era giunto a formulare una netta negazione della concezione del Eudoro : « colui che ha il diritto di rice vere i doni dell'ospitalità non partecipa ai munta della città, dai quali bisogna invece partire sachlich wie sprachlich, e non è mai chiamato municeps » (2). Vero è che il Binder, come altri, dava poco peso a questa affermazione, osservando che ciò non prova nulla; ma la tesi del Eudoro era ormai destinata a trovar fortuna durevole solo presso taluni giuristi come il Bonfante — cbe aveva avuto modo di concretare il suo pensiero già da taluni anni, nel periodo appunto in cui, eccetto che dal Mommsen, la tesi del Eudoro* pareva comu nemente accettata (3) —, il De Francisci (4) — che ricalca sovente le orme dello stesso Bonfante —, e il Kiibler — che in verità non dedica troppo spazio alla questione (5). Quest'ultimo osserva soltanto che -ceps, secondo membro dei composto municeps, esclude l'interpretazione di coloro che intendono municeps da «munus facere», poiché in tal caso do vremmo avere munifex e non municeps. L'osservazione è senza dubbio degna di attenta considerazione, anche se già molti anni fa il Niebuhr credeva di averne sgombrato il terreno, affermando che e der Schein dass die endende Svlbe von ei(1)
BINDER, op.
(2)
MOMMSEN, op. cit.,
oit.,
pag. Ill
339. 1, pag.
(4) DB FRANCISCI, op. oit.
231,
n.
1.
(3) BOKFANTE, op. oit. La prima edizione è del 1902. (5) KÜBLBR, op. citr
MUNICEPS E MUNICIPIUM
17
nem Verbuin entlehnt sey, trügt ; es ist eben gar nichts als eine von jenen vielfachen Endungen womit die lateinische Sprache wuchert > (1). Alla tesi del Rudorff si venne dunque sostituendo la tesi del Mommsen, che si fondò sull'osservazione già riferita, in opposizione al Rudorff, e affermò senz'altro che municeps è chi, non essendo cittadino, è sottoposto ad alcune prestazioni obbligatorie (2). Analogamente scrisse il De Sanctis che « municipe è in senso proprio chiunque è obbligato ai doveri (roienia) del cittadino » (3). Era stata del resto già l'opinione di coloro che avevano creduto di poter accogliere la definizione più comunemente data dagli antichi, come lo Zöller (4) e come, molto più recentemente, avrebbe ammesso il Kornemann (5). Ma se, fondamentalmente almeno, pare che l'accordo sia raggiunto nel definire municeps nel senso più antico chi è sot toposto ai munta cittadini, variano di molto le singole inter pretazioni di questa posizione giuridica non del tutto chiara. Talune di esse, tuttavia, potranno essere lasciate in disparte senza tema di errore, come quella dello stesso Zöller già ricor dato, che connetteva la condizione dei municipes alla loro ori gine di dediticii (6). Ad essa si contrappone all'altro estremo, l'ipotesi del Bernardi, che è incline ad identificare senz'altro municeps e civis (7) ; non si capirebbe la necessità del doppione se una reale differenza fra i due vocaboli non esistesse. Importa invece seguire più da vicino lo sviluppo delle tesi intermedie: prima fra tutte quella del Mommsen, che identi ficava nei più antichi municipes i Latini residenti in Roma e dotati del ius suffraga pur senza essere cives Bomani (8). Ma per far ciò diviene indispensabile allargare il nostro esame ad un altro punto non meno interessante : la storia — o cro ci) NIBBUHR B., Rom. Gesohichte, II» 57 {= II 1 62), n. 7.
(3) DE SANCTIS, loo. oit.
(2) MOMMSEN, op. cit., I l i 1, pag. 232 seg.
(4) ZÖLLER, loo. oit. (anno 1885), (5) KORNEMANN, loo. oit. (6) ZÖLLER, loo. oit. (7) BERNARDI, loo. oit. (8) MOMMSEN, op. cit., I l l 1, pag. 644, n, 1.
18
ÊER LA S T O M A DEL CONCETTO DI MUNICIPIUBÌ
naca — delle varie interpretazioni moderne delle fonti a di sposizione. Tanto più perchè si tratta ormai di tentar di com prendere — indipendentemente dal significato originario del termine municeps — che cosa in realtà siano stati i municipes più antichi di cui si possa andare in traccia. LE FONTI ANTICHE.
Le fonti antiche che più comunemente vengono prese in esame per ricostruire la storia del concetto di municipium sono Festo — e il suo epitomatore Paolo — e, in secondo luogo, Gellio (1). Anche qui si va da un estremo all'altro, da chi nega asso lutamente fede all'uno o all'altro o a tutti e due gli autori, a chi invece li considera, singolarmente o nel loro insieme, de gni di rimanere alla base di qualunque ricostruzione moderna. Come suonassero alcuni dei passi in questione abbiamo già detto al principio di queste note. Conviene aggiungere qui il testo della voce Municipium di Festo-Paolo : e Municipium id genus hominum dicitur, qui cum Romani venissent, neque cives Romani essent, participes tarnen fuerunt omnium rerum ad munus jungendum una cum Romanis civilus, praeterquam de suffragio ferendo aut magistratu capiendo ; sicut fuerunt Fundani, Formiani, Cumani, Acerrani, Lanuvini, Tusculani, qui post aliquot annos cives Romani effecti sunt. Alio modo, cum id genus hominum definitur, quorum civitas universa in civitatem Romanam venit, ut Aricini, Caerites, Anagnini. 1 ertio cum id genus hominum definitur, etc. » (pa gina 155 L.). La cosiddetta prima classe di Festo-Paolo parrebbe com prendere « Binzelmunicipes > di antiche città latine e di città nella stessa condizione di queste, i cui cittadini post aliquot annos cives Romani effecti sunt. Così almeno intende il Kornemann, che si appoggia al Rubino e al Gradenwitz (2). Ma (1) FESTUS, B. v. Municeps, pag. 126 L., riassunto da PAUL., pag. 117 L. ; PAUL. DIAC, B. V. Municipium, pag.
155 L. ; GELL., N.
A. XVI
13.
(2) KORNEMANN, ìoo. cit., 573, che cita GRADBNWITZ (Sittber. Akad, Mei-
kÜNICEPS E
MUNICÎPIUto
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la cosa non è tanto semplice : v'è sul problema di Festo e di Paolo tutta una letteratura che comprende i nomi più illustri di un intero secolo dal Eubino (1844) ai più recenti studiosi italiani e stranieri, come Bernardi, Zmigryder Konopka, Sherwin-White e Frezza. Marquardt, Herzog, Kariowa, Mommsen e poi Toutain, De Sanctis, Binder, Gradenwitz, Beloch, Pais, Bonfante, oltre ai già citati, sono coloro che dopo il Niebuhr hanno portato i più notevoli contributi alla soluzione del dif fìcile problema (1). Il quale problema non può essere naturalmente studiato con profitto se non si cerchi anzitutto di verificare il valore stesso delle informazioni onde deriva il passo di Festo su cui la discussione è impostata. A questo proposito il Niebuhr scriveva che l'articolo Municipium « ist durch eine merkwürdige Fügung erhalten : er stand bei Festus auf einer weggebrannten Columne, und Pau lus hat ihn übergangen, ein römischer oder ravennatischer Grammatiker aber, von den einzelnen Nachschlössingen der alten Schulen, im 10. oder 11. Jahrhundert der Epitome hin zugeschrieben. Er fehlt nämlich in manchen Handschriften: wo er sich findet steht er ausser der Ordnung : und die Voll ständigkeit und Ausführlichkeit zeichnet ihn von den dürftig zusammengezogenen Artikeln die durch des Langobarden Hand gegangen sind . . . » (2). Ammessa in tal modo l'espli cita paternità festiana, era notevole l'afférmazione dello stesso dellerg 1916, XIV Abh., pag. 35) e pag. 962).
RUBINO
(Z. f. Altertumswiss., II, 1844,
(1) RUBINO, loc. cit. ; BERNARDI, loc. cit., pag. 239 seg. ; ZMIGRYDER KONOPKA
Z., Lea relations politiques entre Borne et la Campanie, in Eos 1929 (XXXII), pag. 587 8egg. ; SBERWIN WHITE A. N., The roman citizenship, Oxford 1939, pagg- 48 e 57 ; FREZZA G., Le forme federative e la struttura dei rapporti internazionali nelVantico diritto Romanoy in Studia et Dooum. kistoriae et iuris 1938, pag. 379 segg. ; MARQUARDT J., op. cit., pag. 28 segg. ; HERZOG E., Geschiohte u. System vón rò'm. Staatsverfassung, I (Leipzig 1884), pag. 986 ; KARLOWA 0., op. cit., I 295 segg. ; TOUTAIN J., loc. cit.t pag. 2022 segg. ; DE SANCTIS G., op. cit., pag. 435 e note l e 2; BINDER J., op. cit., pag. 339 segg. ; GRADENWITZ, art. cit. ; BELOCH K. J., op. cit., pag. 377 segg. ; PAIS E., Storia di Borna dalle origini alle guerre puniche, IV (Roma 1928), pag. 384, n. 1 ; BONFANTE P., op. cit., pag. 240, n. 1. (2) NIEBUHR, op. cit., II 8 58, n. 109.
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PER LA STORIA D E L CONCETTO DI MÙNICIPIUM
Niebuhr che Festo, derivando la sua definizione da Verrio Fiacco, fosse degno della più alta considerazione perchè lo stesso Verrio « als er schrieb, w a r . . . scbon so hoch in An sehen und Jahren, dass sein grosses Werk über die Bedeu tung seltner Worte ziemlich als gleichzeitig angesehen wer den kann » (1). Così veniva affermata la validità sostanziale di Festo che, riassumendo — sia pure a suo modo — il testo di Verrio Fiacco, poteva essere abbastanza fededegno nel ri ferire intorno a concetti che ancora al tempo di Cicerone ave vano mantenuto un significato diverso da quello assunto dopo la guerra sociale se Cicerone poteva ancora essere considerato, sia pure a scopo polemico, un inquilinus civis (2). Se a ciò si aggiunga la nota esattezza e completezza di ricerca di Verrio Fiacco, si sarà confermato che il testo di Festo a nostra di sposizione è quanto di meglio ci sia dato oggi di consultare in proposito. Ma l'afférmazione del Niebuhr ha trovato un serio oppositore nel Mommsen. Questo grande studioso, ricco di esperienze in ogni campo della ricerca storica, giuridica, epigrafica e filologica, ritiene che anche la voce Municipium sia stata ridotta da Paolo e, convinto che l'idea di municeps abbia avuto come punto di partenza i rapporti fra Borna e i Latini, scrive che ai municipes latini appunto (3) si rife risce molto verosimilmente l'inizio della definizione : e Municipium id genus hominum dicitur qui, cum Eomam venissent neque cives Romani essent, participes tarnen fuerunt omnium rerum ad munus fungendum una cum Romanis civibus». Ciò che segue — egli aggiunge — (e cioè: «praeterquam de suffragio ferendo aut magistratu capiendo ») non conviene ai municipes latini, che avevano il diritto di suffragio, ma si riferi sce alle città di semicittadini (4). Lasciamo per ora la questione delle città latine, su cui dovremo fermarci più oltre, e soffer miamoci invece sui motivi addotti dal Mommsen a giustifica zione della sua affermazione. (1) I D . , ibid. p. 58. (2)
SALL., Cat. 31,
(3)
PAUL.
6.
D I A C , pag.
155
L.
=127
M. Cfr.
pag. 232, n. 2. (4) MOMMSEN, op. cit.,
Ill
1, pag.
235,
n.
1.
MOMMSEN, op. oit,
III
I,
MUNICEPS E MUNICIPIUM
21
La prova del rimaneggiamento risulterebbe dal fatto che l'epitomatore, nella forma attuale del testo, vi rifiuta il diritto di cittadinanza ai dimani e agli Acerrani, che invece chiama correttamente cittadini Eomani s. v. Municeps. Non solo però Paolo non si sarebbe contentato di fare dei tagli : avrebbe anche interpolato : riunendo il municipium di diritto latino e il municipium di cives Romani senza suffragio poiché la man canza di ius honorum era comune, con le relative conseguenze. L'affermazione del Mommsen ha avuto la conseguenza di screditare il passo di Festo agli occhi di numerosi studiosi. Così il De Sanctis lo giudicò «confuso», il Pais «senza va lore », il Bonfante « spropositato » (1). Ma per molti esso ri mase alla base di ogni discussione : il Toutain pensò a Varrone come alla probabile fonte, il Gradenwitz ad una deriva zione dall'archivio e il Bernardi lo accettò senza discus sione (2). Ma, prescindendo da questi studiosi che, in fin dei conti, non fanno che esprimere un'opinione personale senza portare alla discussione nuovi elementi, non avremo fatto molto cammino sulla via di un risultato conclusivo quando avremo osservato la posizione di altri, come il Marquardt, il Herzog, il Binder (3). Per il primo di essi il problema è sol tanto un problema d'interpretazione ; il Herzog, invece, è convinto, al contrario del Marquardt, che il primo tipo di municipio ricordato s. v. Municipium vada riferito — sulla traccia del Niebuhr, del Walter e di altri suoi seguaci, fra cui in certo modo sarà da collocare lo stesso Mommsen — ai La tini immigranti in Borna, e ritiene esatta la definizione, men tre errati ne sarebbero gli esempi. E poiché il Binder resta sostanzialmente allo stesso punto del Herzog, sarà lecito con cludere che anche per questi tre studiosi la soluzione del pro blema è cercata in modo piuttosto soggettivo che oggettivo. Notevole, inoltre, è lo sforzo del Beloch, il quale, pur accu sando il Mommsen e i suoi « Mirmidoni » di aver creduto a torto nella concessione della civitas sine suffragio alle città (1) Luoghi oitati nella n. 1 a pag. 19. (2) Luoghi oitati nella n. 1 a pag 19. (3) Looghi oitati nella n. 1 a pag. 19.
22
PER LA STORIA D E L CONCETTO DI MUNICIPIUM
latine sottomesse nel 338 e di aver quindi corretto arbitra riamente il testo che ci interessa, è costretto a separare dalla definizione di questo autore gli esempi relativi : « es kommt nur darauf an, was Festus bzw. seine Quelle geglaubt hat»(l). Ma anche in questo caso siamo di fronte ad una posizione non del tutto giustificabile. Anche per ciò che ri guarda la concessione della sola civitas sine suffragio, il Beloch non riesce a smontare la posizione del Mommsen : pos siamo anzi dire che — sia pure con ragioni alquanto arbitrarie — egli non fa che confermarla quando, convinto che un foedus sia intervenuto a sistemare la posizione giuridica di talune città latine, afferma che questo joedus non potè essere con eluso con città dediticiae — come tali aventi, secondo lui, la sola civitas sine suffragio —, ma con comunità cui fu concessa la cittadinanza di pieno diritto. Ora, se noi consideriamo che la sconfitta delle città latine le rese probabilmente tutte dediticiae, non possiamo più vedere nel tentativo di distinzione fatto dal Beloch alcun motivo plausibile di sussistenza: tutte avrebbero dovuto avere la civitas sine suffragio ; ma per di più è ormai noto che la deditio non esclude il foedus (2) : nemmeno questo punto d'appoggio, che al Beloch parve tanto sicuro, può avere alcun valore determinante. Così anche la tesi del Beloch, controbattuta poi dal Frezza (3), può essere messa senz'altro in disparte. I testi di Festo e di Paolo a nostra disposizione non pos sono essere considerati se non come un tutto organico : e non possono essere rimaneggiati o ritoccati senza grave rischio di incorrere in errori di vario tipo. Ecco perchè noi riteniamo che, ammettendo la sostanziale derivazione di Festo da scrit tori dell'ultima età repubblicana che potevano ancora valersi di ottimo materiale e forse, per taluni punti, della propria memoria, Festo vada senz'altro accolto come fonte principale per la nostra ricerca. (1) BELOCH, op. oit., pag. 377. Sn oiò si veda anohe FREZZA, ÌOO. cit.
(2) Cfr. H E U S S A., Die völkerrechtlichen Grundlagen d. röm. Aussenpolitik in republikanischer Zeit, in Klio, Beiheft 31, N. F. 18 (1933), pag. 78 aegg. ; FREZZA, loo. cit., pag. 384. (3) FREZZA, loc. cit., pag. 382 segg.
MUNICEPS E MUNICXPIUM
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Vediamo dunque in rapida analisi quali ne siano i dati più importanti. Tre restano i testi a disposizione, e cioè la voce Municipium e le due voci Municeps. Noi le indicheremo semplice mente col nome dei loro autori, riservando perciò le ultime due rispettivamente a Festo (pag. 126 L.) e a Paolo (pag. 117 L.) e chiamando Festo-Paolo l'autore della voce Municipium (pag. 155 L.) la cui attribuzione rimane, dopo quanto abbiamo visto, oggetto di discussione. Crediamo infatti superfluo sta bilire se la voce in questione sia da attribuire a Festo diret tamente oppure no poiché, come vedremo, la voce stessa rap presenta un tentativo di conciliare fra loro le definizioni date appunto da Festo alla voce Municeps. Come già abbiamo osservato confluiscono in quest'ultima voce varie definizioni, alcune delle quali non possono non riferirsi ad un'epoca già avanzatissima della storia municipale. L'accento va ora posto invece sulla definizione che Paolo rias sume usando l'imperfetto : « Municipes erant qui ex aliis civitatibus Romam venissent, quibus non licébat magistratum capere, sed tantum muneris partem » e corrisponde malamente a quella che Festo attribuisce a Servio iuniore : « initio fuisse qui ea condicione cives Romani fuissent, ut semper rempublicam separatim a populo Romano haberent... qui aeque (cives Romani erant et in legione merebant, sed dignitates non capiebant) ». Se la prima definizione non accenna alla cittadinanza romana dei municipes e la seconda è esplicita nel dichiararli cives Romani, entrambe insistono però sulla mancanza del ius honorum senza discorrere mai del ius suffraga*, cosicché parrebbe verosimile che il tentativo fatto da pareccchi studiosi di identificare cives sine suffragio e municipes non sia da ritenersi del tutto si curo (1). Ma la complicazione maggiore sorge quando alla voce Municeps di Festo noi accostiamo la voce Municipium. La prima categoria ivi ricordata comprenderebbe « id genus hominum (1) Già HERZOG, op. oit., pag. 986, e BINDER, op. cit., pag. 339, avevano fatto
delle riserve su questa i dentifioaz ione almeno per quanto riguarda le orìgini dei due concetti.
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PER LA STORIA D E L CONGETTO DI MUNICIPIUM
qui, cum Romam venissent, neque cives Romani essent, participes tarnen fuerunt omnium rerum ad munus fungendum una cum Romanis civibus, praeterquam de suffragio ferendo aut magistratu capiendo : sicut fuerunt Fundani, Formiani, dimani, Acerrani, Lanuvini, Tusculani, qui post aliquot annos cives Romani effecti sunt*. Questa categoria, evidentemente diversa da quella di cui si parla alla voce Municipes, dove Festo riferisce la defini zione di Servio riguardante invece dei cives Romani, pare si possa porre in relazione con la definizione di Elio Gallo se condo cui è municipe anche « qui ex alio genere hominum munus functus est» (pag. 126 L.). La contrapposizione con quanto affermava Servio iuuiore — marcata da Festo nella voce Municeps con un significativo « at * — è qui scomparsa. Evidentemente, compilando la voce Municipium, Festo-Paolo La scelto fra le due definizioni quella che gli è apparsa migliore perchè identificava i « municipes » con i « cives sine suffragio*. Ma egli non poteva ignorare le parole di Gallo da lui stesso riferite e tentava quindi di con ciliare Gallo con Servio : in questo senso, forse, può essere inteso il « post aliquot annos > se si ammette che il testo sia genuino: i municipes — si tratta qui di singoli individui — che, venendo a Eoma, avevano soltanto il diritto di commercium e di connubium senza per questo divenire cives Romani, potevano del resto divenire forse veri e pro pri cives — acquistando almeno il ius suffraga — dopo una determinata permanenza nella città che li ospitava. Era logico che questo diritto fosse ripagato dal dovere ài fungere munus. Senonchè a questo proposito sottolineava il Marquardt la possibilità di interpretare il passo in modo diverso: la cit tadinanza di cui i municipes sarebbero privi originariamente sarebbe la civitas optimo iure, cosicché quando post aliquot annos essi furono fatti cives Romani, sarebbe loro spettato Voptimum ius (1). Non v'è tuttavia chi non veda lo sforzo ne cessario per sostenere quest'ipotesi: in realtà ciò potrebbe (1) MARQUARDT, op. cit., p. 32, n. 10. Sul significato dell'espressione «pò«* aliquot annos », ofr. tn/ra, n. 1 a pag. 58.
MUNIGEPS E MUNICIPIUM
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andar bene solo postulando che il concetto di civis sine suffragio — pur essendo posteriore a quello di municeps — non ne sia che un sinonimo : esso dovrebbe essere sorto solo in seguito, quando municeps potè essere anche un civis ottimo iure. Questa ipotesi che — sebbene non espressa — è impli cita nel Marquardt — è, d'altro lato, da dimostrare ancora, specialmente da quando furono in proposito espressi i primi dubbi, anche prescindendo dalla teoria niebuhriana dell'isopolitia romano-latina (1). La definizione data da Festo-Paolo, ad ogni modo, diffe risce da quella di municeps attribuita a Servio su di un punto sostanziale: i municipes del primo tipo non sono cives. Essa trova riscontro, invece, in una definizione attribuita a Gallo (« ex alio genere hominum »). L'identificazione che il Mommsen ne tentava con i Latini rimane quindi una possibilità che di pende soltanto da una correzione di testo, forse non neces saria e certamente indimostrabile perchè fondata a sua volta, in circolo vizioso, sulla convinzione che dei Latini appunto si debba trattare. Ma in Pesto-Paolo sono indicati per questo tipo di municipium esempi di città non soltanto latine, ma anche di diversa origine, cosicché bisogna pensare che FestoPaolo le accomuni fra di loro proprio prescindendo dal ius Latii. Né è possibile escludere che Festo-Paolo abbia ragione da questo punto di vista quando si tenga presente che municeps può essere diverso da civis sine suffragio almeno origi nariamente. La condizione stessa dei Latini indipendenti è d'altronde una condizione di non cives poiché essi cessano di essere La tini quando divengono Eomani. E il loro diritto di ferre sufJragium in Eoma può e, direi, deve essere posteriore al foedus Gassianum. Se poi gli esempi di Festo-Paolo siano o non siano esatti è un'altra questione che non può essere risolta a priori. Anche più complessa della correzione del Mommsen è quella proposta dal Frezza (2), ma non reca alcun contributo effet(1) Cfr. supra, n. 1 a pag. 23 (2) FREZZA, loo. cit.
26
PER LA STORIA D E L CONGETTO DI MUNICIPIUM
tivo alla soluzione del problema: la ovvia constatazione che il punto di vista romano non è sufficiente per classificare i municipia — io direi, forse meglio, per comprenderne la ge nesi — non pare sufficiente per postulare la caduta nel sunto di Festo Paolo di una definizione come quella d'TJlpiano, che non esprime nulla più di questo stesso punto di vista (1). Riteniamo pertanto non necessaria una correzione del passo di Festo-Paolo : così come esso è, propone taluni problemi di difficilissima soluzione, ma, cionondimeno, non è del tutto inaccettabile. Anche l'altra fonte a nostra disposizione, Gellio, ha susci tato molte discussioni. Il giudizio che ne dava il Mommsen (2) è ben noto : la sua definizione sarebbe un vero capolavoro di confusione storico-giuridica e di mescolanza del linguaggio antico e moderno. Questo giudizio, per essere stato sottoscritto da altri studiosi di provato valore, come il Bonfante e il De Sanctis (3), merita una particolare attenzione. Esso è stato però discusso a fondo dal Toutain, il quale osservava giusta mente che Aulo Gellio si riferisce per fatti anteriori al suo tempo solo a Preneste e a Cere (4). Ripetiamo dunque la prima parte del testo di Gellio : « Municipes sunt cives Romani ex municipiis, legibus suis et suo iure utentes, muneris tantum cum populo Romano honorarii participes, a quo munere capessendo appellati videntur, nullis aliis necessitatibus neque ulla populi Romani lege adstricti nisi in quam populus eorum fundus fantus esset ». Ciò che vi è detto, osservava il Mommsen, s'accorda con l'antica terminologia sopprimendone le parole iniziali — perchè l'antico municeps non è cittadino — e l'interpretazione di munus come munus honorarium — poiché tale diritto mancava agli antichi muni(1) Big. L I , 1 : « et proprie quidem municipes appellantur muneris participes recepii in civitatem ut munera nobiscum facerent. .. ». (2) MOMMSEN, op, oit., Ili
1, pag.
796, n. 3 ; ofr.
KARLOWA, op. oit., I
297,
il. 1 ; MADVIG N., Die Verfassung u. Verwaltung d. ròm. Staats, Leipzig 1832J II 8. (3) BONFANTE, op. cit.,
pag.
240,
n. 1 ; D E SANCTIS, op. oit.t II
434,
n.
2.
(4) TOUTAIN J., Etudes sur Vorganisation municipale du Haut-Empire, in Mèi. Aroh. et Hist. 1896, pag. 315 segg.
MUNICEPS E MUNICIPIUM
27
cipes (1). Se invece, continuava il Mommsen, ci si riferisce ai municipii più recenti, l'aftermazione che le leggi romane si applicherebbero soltanto ai fundi di esse è un errore senza scuse possibili: i municipii non sono diversi dalle colonie in quanto a diritti locali. Ma è evidente che il tentare di chia rire in questo modo il passo di Gellio presuppone la sicurezza che non si possa affermare — circa i muoicipii più recenti — nulla di diverso da quanto il Mommsen ritiene certo. È precisamente su questo punto che si sofferma il Toutain per tentare di mostrare, contro il Mommsen e il Beaudoin, che la loro afférmazione non può ritenersi sicura (2). Non è adesso nostro compito affrontare questo problema, che ci por terebbe troppo lontani dalla nostra attuale ricerca. Solo ci inte ressa qui, ancor più che l'accenno a Preneste— divenuta munici pio solo dopo la guerra sociale —, il passo riguardante i Ce riti : « Primo* autem municipes sine suffragii iure Caerites esse factos accepimus, concessumque Ulis ut civitatis Eomanae honorem caperent, sed negotiis tarnen atqne oneribus vacarent pro sacris bello Gallico receptis custoditisque ». Anche su questo passo si è molto discusso, ma, all'in fuori di ogni discussione, ci pare degno di nota il fatto che vi si parla di primi € municipes senza diritto di suffragio >. Se po tremo tener fede a questo punto del testo di Gellio, ne po tremo anche dedurre che prima dei Ceriti ottennero in blocco la condizione del municipium altri comuni cui non fu rifiutato il ius sufragii. La mente corre subito al passo di Festo-Paolo in cui appunto si parla di Aricini, Caerites, Anagnini(S): ivi i Ceriti tengono il secondo posto e poiché gli Aricini pote rono avere prima dell'annessione — come Latini — il ius suffragii in Eoma, il passo di Gellio e quello di Festo-Paolo si corrispondono perfettamente : la fonte ne è probabilmente la stessa e se Festo-Paolo, può risalire a Verrio Fiacco o a Varrone, anche Gellio si collegherà presumibilmente per que(1)
MOMMSEN, loo. oit.f HI
(2) TOUTAIN, loc. cit.,
1, pag.
p. 324
796,
n.
3.
eegg.
(3) PAUL. D I A C , a. v. Municipium: «Alio modo cum id genus hominum definitur quorum civitas universa in civitatem Romanam venit, ut Aricini, Caerites; Anagnini ».
28
PER LA STORIA D E L CONGETTO DI MUNICIPIUM
sto punto ad un autore dello stesso periodo. Sarà dunque op portuno tener conto di questo fatto che appare della massima importanza, anche se molti dubbi sono stati elevati circa la tradizione riguardante Cere (1). Il problema riguardante la più antica accezione del ter mino municipium appare comunque strettamente collegato con quello che riguarda la priorità della definizione di Elio Gallo (non cives) o di quella di Servio iuniore (cives sine suffragio). Festo-Paolo tenta di fonderle insieme nel primo tipo di municipium affermando che i non cives ebbero la cittadinanza « post aliquot annos >. Municiyes sarebbero quindi stati in origine dei peregrini che, per godere in Eoma taluni diritti, si assoggettavano ai doveri dei cives. Ciò pare confermato dal fatto che la defini zione di Elio Gallo non può essere stata inventata quando ormai tutti i municipes erano anche cives Romani. Ma restano da esaminare alcune teorie moderne che me ritano speciale attenzione per il nome di coloro che le hanno presentate. (1) Cfr. BELOCH, op. ait., pag. 363 segg. ; tua la sua posizione è, a sua volta, messa in dnbbio ed è, probabilmente, da respingere. Cfr. ultimamente GIANNELLi G., La Repubblica Romana, Milano 1937, pag. 185 e n. 54 ; 8HERWIN W H I T E , op. cit.,
pag.
51
segg.
II. LE CITTÀ LATINE
LA TEORIA DBLL'ISOPOLITIA.
Ohi fossero i più antichi municipes è stato in vario modo tentato di definire. Il Niebuhr (1), ad esempio, riteneva che municipium e isopolitia fossero fra loro identici. Municipium, arguiva il Niebuhr, è originariamente, come mancipium, il di ritto in sé, passato poi a definire la comunità cui questo di ritto compete. A questa si riferisce la triplice distinzione di Festo-Paolo. Al primo tipo ricordato da Festo-Paolo, inoltre, andrebbe collegata la definizione di Servio Sulpieio che già conosciamo : in quest'ultima si parla di cives Romani senza ius honorum, che avrebbero servito in legione, cioè, sempre se condo il Niebuhr, avrebbero costituito una legione distinta dell'esercito romano come la legione campana nella guerra di Pirro. Questo rapporto corrisponde ali'isopolitia altrettanto bene quanto l'ordinamento gentilizio romano corrisponde a quello greco. Come la definizione romana, egli aggiunge, ri corda la partecipazione « an allen Dingen », così la documen tazione greca si riferisce ad una partecipazione e an allen men schlichen und göttlichen Dingen». Così anche la prossenia non era estranea all'uso romano : e poiché il singolo ospite (1) NIEBUHR, op. cit., II" 53 segg. ( = II 1 56 segg.). Sostanzialmente sulla stessa posizione era ancora il WALTER, Gesch. d. röm. Rechts, 1* (1860), pag. 120 segg., presso il quale si troverà anche una bibliografia ragionata degli studi anteriori al 1860. Il Walter tuttavia dissentiva dal Niebohr perchè l'isopolitia di oni egli parlava non sarebbe stata acoordata — come pensava il Niebuhr — dopo la guerra latina (pag. 127, n. 36). Le città latine annesse nel 338 sa rebbero invece venate a far parte della seoonda classe festiana«
30
PER LA STORIA DEL
CONCETTO Dì MUNICIPIUM
(Gastfreund) dello-Stato aveva gli stessi diritti di chi era mieniceps per un trattato del suo Stato, « wird die Isopolitie ge meines Gastrecht mit dem gesammten Yolk genannt». Ma tutta questa dimostrazione ha, secondo me, un grave difetto nel punto di partenza : come si può pensare che siano sicuramente riferibili allo stesso momento della storia dei municipii il primo tipo di Festo-Paolo e la definizione di Ser vio Sulpicio ? Noi abbiamo poco fa ammesso per verosimile che sotto la voce Municipium fossero fuse in qualche modo le due definizioni ricordate da Festo s. v. Municeps. Ma queste non sono necessariamente riferibili allo stesso momento tanto meno poi se si osserva che tra la prima e la seconda Festo in troduce un significativo e at >, che vale a porle in opposizione fra di loro. Se dalla voce Municipium è possibile ricavare qual che cosa, non è dunque altro se non che, qualora si ritengano fondate le due definizioni ricordate da Festo s. v. Municeps, bisognerà intendere che la fusione tentatane da Paolo rispec chi l'anteriorità del tipo di municipio descritto da Elio Gallo rispetto a quello definito da Servio Sulpicio. In realtà Dionigi usa il termine loonoXiteia in casi diversi : a proposito di singoli individui, cui viene conferita la piena cittadinanza (1), a proposito del foedus Gahinum (2) e poi del joedus Cassianum sia con i Latini (3) che con gli Ernici (4), a proposito di una richiesta analoga dei Yolsci condotti da Coriolano (5), a proposito della concessione della civitas sine suffragio a Formiani e Fondani (6). Lasciando per ora in di sparte il joedus Gàbinum di cui si tratterà a suo luogo, noi possiamo osservare che — sempre secondo Dionigi — Latini ed Ernici entrano in rapporto di loojtoXiteia con i Romani dopo la stipulazione del foedus Cassianum, i Yolsci propongono un (1) D I O N . H A L . , IV
22,
3-4.
(2) ID., IV 58, 3. (3) I D . , VII 53, 5 ; V i l i 35, 2 ; 7 0 , 2 ; 74,2. Come p r o p o s t a : VI 63, 4 ; ofr. V I I I 76, 2 ; 77, 2 (jtoXixeia xoiW)). (4) ID., V i l i 74, 2 ; XI 2, 2 ; VIII 76, 2 (iao^oXTxai y.aì a i j ^ a x o i ) . Cfr. V i l i 69, 4 (jcoXiTEtav) ; 77, 2 (jtoMxaç). (5) I D . , V i l i 35, 2. (6) ID., XV 7, 8.
LÉ
CITTÀ. LATINE
31
patto analogo, i Foriniani e i Fondani conseguono la civitas sine suffragio. Ma tra il caso dei Latini e degli Ernici e quello dei Formiani e dei Fondani pare vi sia una notevole differenza, giacché per Latini ed Ernici non si tratta sicuramente, al mo mento del foedus Gassianum almeno, di civitas sine suffragio, com'è invece nel caso di Formiae e di Fundi, ma di vera e propria alleanza. Lo stesso foedus Cassianum (1) stabiliva che, oltre alFallean(1) ID., VI 95. Cbe il testo non sia oompleto pare doonmentato dal fram mento rioordato da FKSTO S. V. Nanoitor. Amplissima è la bibliografia riguar dante la cronologia del foedus Cassianum. BELOCH, Rom. Geschichte, pag. 193 8e gg- ; BINDER, Die Plebs, pag. 332 segg. ; ROSENBERG, Die Entstehung des sog. foedus Cassianum, in Hermes 1920, pag. 337 segg. ; STEINWENTER, lus Latti, in P.-W. X 1265 ; sono stati i più tenaoi oppositori della data tradizionale aooolta ancora dal DE SANCTIS, Storia dei Romani, II 96 segg. ; Sul foedus Cassianum, in Atti I Congresso Studi Romani, Roma 1929; dal FRACCARO, in Atti del Congresso intern, di diritto Romano, I, pag. 197 ; dal GIANNKLLI, La Repubblica Romana, pag. 159; dallo SHERWIN WHITE, The roman citizenship, pag. 21 segg.; e da altri. Ulteriore bibliografia in Eno. Ital. X (1931), pag. 335 seg. (P. F[RACCARO]).
I principali motivi addotti di volta in volta oontro la datazione tradizio nale sarebbero : a) ohe Roma non potesse essere fnori della Lega nel 493 ; b) ohe Roma non fosse tanto forte da poter trattare alla pari con la Lega La tina; o) ohe non potesse ambire all'egemonia. A ciò farebbe riscontro: a) ohe la lingna del frammento riportato da Festo (s. v. Nancitor) non è la lingna del V secolo; b) ohe l'iscrizione non potè sopravvivere all'incendio gallico ; e) ohe i Romani non avrebbero conservato nn documento superato. Tatti qnesti motivi sono pnramente soggettivi, compreso quello riguar dante la lingua del frammento festiano, non solo perchè il testo ne è in al cuni punti corrotto, ma anche perchè Festo poteva aver ■ tradotto ». Motivi di dubbio di maggior peso possono inveoe essere: a) ohe quaran tanni prima delle leggi soritte potessero essere stabilite clausole oosì preci ne come quelle riferite da Festo; b) ohe soltanto verso la metà del V secolo tro viamo accenni a procedura di « Gastprozess » analoghi a quella ohe si sarebbe stabilita nel nostro foedus. Ma tutto ciò, indipendentemente dalla storicità di Spurio Cassio, negata da tntti coloro ohe ripudiano la data tradizionale, non potrebbe fare altro se non suggerire l'ipotesi ohe, ool rinnovo del foedus av venuto nel 358, le norme del vecchio foedus Cassianum fossero completate e precisate. II DE SANCTIS, op. ci«., pag. 98, scriveva ohe « riportare questa lega con piena parità di diritti (foedus aequum) alla metà circa del secolo IV, prima della guerra latina, può solo ohi non riferisca a quell'età, come indubitatamente si deve, il primo trattato rouiano-oartaginese, il quale mostra Roma nell'atto di eaer-
32 PËB LA STORIA DEL CONCETÒ DI MUNÎCPIUM za difensiva e all'equa ripartizione dei bottino di guerra, vi gesse tra Eomani e Latini il ius commercii e, forse, il ius connubii : « tc5v te IÔICOTIXQVV ovpfioXaiœv a! XQIOEIÇ ev ^piéoaiç yiyvêoftcoaav Ôexa jiao'oîç Yéviyrai tò ov\xßo\aiov » dice il testo riferito da Dionisio (1); ed ivi gli îôiomxà aujißoXaia, cioè i contratti privati — che non vengono specificati —, possono avvenire in qua lunque città latina come a Roma, se si dice che i relativi giu dizi, che eventualmente si rendessero necessari, debbono aver luogo là stesso dove i contratti sono stati fatti. Data la stretta connessione fra commercium e connubium non pare poi che si possa escludere dal testo di Dionigi né quello né questo. Se condo Dionigi, dunque, Pisopolitia latina è comunità di di ritti privati (commercium e connubium) e nul l'altro (2). Appare pertanto inutile supporre (3) che la sua definizione di isopolitia circa i rapporti romano-latini derivi dalla possibilità che i Latini hanno di dare il loro voto nei comizi romani. Giu stamente osservava il Beloch ^4) che « dass Dionysios das laoitare nii'indisonssa supremazia sai Lazio ». 11 motivo, di per sé, non pare suf ficiente perchè l'inizio del V secolo trovò Roma nelle stesse condizioni in cni l'avrebbe trovata la metà del IV dopo l'invasione gallioa. I motivi addotti dal ROSENBERG a sostegno della propria tesi poggiano invece soprattutto sulla sna sicurezza ohe i rapporti romano-latini concretati dal foedua siano rapporti isopolitioi e perciò dovuti ad influsso greco (pag. 353 seg.)t m» su questo problema esprimiamo altrove la nostra opinione nettamente negativa. Il risultato cui giuDge il Rosenberg è che il foedus Latinum, il «so g e n a n n t e » foedus Casëianum, sia stato stipulato nell'età di Pirro (pag. 363). A Ini si oppose già il BELOCH, op. cit., pag. 195., osservando ohe Roma non potè al lora concludere un foedua con le proprie colonie, cui da tempo era legata in modo analogo : il foedua Latinum del Rosenberg avrebbe infatti riguardato solo le città ohe non erano state incorporate oon la civitaa — secondo lui optimo iure — nel 338 a. C. Noi restiamo dunque dell'opinione tradizionale, ammettendo però ohe il rinnovo del 358 potè comportare altresì un completamento di t a l u n i punti ri masti dubbi nel t r a t t a t o precedente: anche se il foedus Latinum a noi perve nuto è qnello stipulato nel 358, il nome di Spurio Cassio che ad esso si rife risce rende verisimile ohe il fondamento di questo 8Ìa identico a qnello del foedua Caaaianum vero e proprio. (1)
D I O N . H A L . , VI
95.
(2) Cfr. infra, pag. 34 e nota 3. (3)
MOMMSEN, op. cit.,
(4)
BELOCH, B.
G., pag.
Ili
1, pag. 196.
643,
n.
4.
LE CITTÀ LATINE
33
tinische Recht als laojioXueia bezeichnet, um es seinen griechi schen Lesern verständlich zu machen, beweist doch nicht, dass die griechische Einrichtung für Rom Volbild gewesen ist*. Obi scrive è personalmente convinto che una vera e pro pria lega politica non esistesse avanti il Y secolo (1) ma se questi diritti siano o non siano anteriori al foedus Cassianum (2), è questione di scarso interesse per Fattuale argo mento: importa soprattutto osservare che il foedus Cassianum li riconfermava anche se non li stabiliva per la prima volta. Se si può dunque ammettere che il rapporto fra Romani e Latini che Dionigi definisce inesattamente isopolitia com prenda soltanto commercium e connubium, si deve credere che sia altrettanto valida l'equazione municiyium = commercitim + connubium ? Rigorosamente, no : è certo soltanto che commercium e connubium sono diritti di cui godono in Roma i Latini ivi residenti. Ma se commercium e connubium sono ele menti che contribuiscono, se non in tutto almeno in parte, a costituire il municipium, la cosiddetta isopolitia latina rap presenta, almeno, un aspetto del diritto di municiyium. In questo senso potremmo affermare che di questo diritto godono i componenti della civitas romana come i membri delle varie res publicae : col foedus Cassianum non si ha ancora la con cessione della civitas Romana ad altre comunità, ma, appunto come dice Festo nella sua prima definizione di mnniciphim, un diritto esercitato da singoli « qui Romam venissent », o, po tremmo aggiungere tenendo presente il foedus Cassianum, uscissero di Roma. Con quest'atto internazionale si stabiliva un diritto ana logo al diritto di municipium quale fu supposto dal Karlowa per le origini, che, secondo lui, rendeva un civis Tusculanus residente in Roma municeps Romanus e un civis Romanus re sidente in Tuscolo municeps Tusculanus (3). È, comunque, lo gico pensare che chi gode diritti in una città non sua, le sia
((12)) CfCfrr.. MOMMSKN, DB SANCTISop., op.cit.cit.I, II1,388pag.;607FRACCARO P.DE, art.SANCTIcit.S,, op.pag.cit.196, aegg. ; f e a.(3) KARLOWA, op. cit.f I 296. 9
34
PER LA STORIA D E L CONCETTO DI MUNIC3PIÜM
debitore di certi numera e in questo senso sarà pensabile che il termine municeps — se è vera l'etimologia da *niei- ba ratto (1) — rispecchi assai bene la posizione di chi, sottopo sto ai numera, gode di una certa ricompensa o munvs. A questo punto s'innesta nella nostra ricerca un altro pro blema, cui vogliamo accennare prima di continuare la discus sione delle varie opinioni espresse riguardo alla condizione delle città latine. Al rapporto intercorrente fra i cives Latini residenti in Borna .e i cives Romani di pieno diritto, viene a corrispondere nello stesso giro d'anni un nuovo rapporto fra patres e plebe nella stessa Eoma. I cives Latini residenti in Eoma vengono in realtà a tro varsi nella stessa condizione che noi conosciamo per i ple bei (2). L'unica differenza è torse quella riguardante il connubium, di cui godono i Latini e che è stato negato dai mo derni alla plebe di Eoma. Ma la differenza di cui si tratta non è sicurissima: in realtà il divieto di connubium fra patres e plebei è sancito soltanto da una iniqua legge immedia tamente posteriore al 450, contro cui la plebe insorse otte nendone l'abolizione (3). A parte dunque quest'ostacolo, che è forse soltanto apparente, noi siamo in grado di aftermare la sostanziale analogia di condizioni fra Latini e plebei. Che quest'analogia di condizioni significhi anche un'identità d'ori gini, come credeva il Binder (4), oppure l'esistenza di un co ti) ERNOUT-MEILLBT, Diot. étym. de la langue latine, ed. 1939, pag. 643. (2) Su ciò ofr. già LANGE, Rom. Alterthümer, I3 (1876), pag. 421. (3) La mancanza di questo diritto è infatti aanoita soltanto da una legge rioordata da Cic, de r. p. II 37, 63 e da Liv., IV 4, 5, legge ohe va consi derata contemporanea o nn pooo posteriore al decemvirato e — nel secondo oaso — dovnta forse alla breve reazione oligarchica ohe ne scaturì (cfr. an oiò DE SANCTIS, op. oit.} II, 55 seg.)- Prima di tale momento nulla ci autorizza a oredere con sicurezza ohe il oonnubium non fosse rioonosointo almeno ad nna parte della plebe, quella precisamente ohe era costituita da immigrati tnunicipes. Le parole di Cicerone, ohe parla di questa legge oome di una legge iniqua, paiono confortare la nostra ipotesi. Il passo di Livio pare anohe più esplioito, poiohè in esso la legge è ricordata come esempio di innovazione a danno deDa plebe, anzi come una • iniuria*. (4) BINDER, op. oit., pag. 359 e passim.
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LE CITTA LATINE
mime autonomo plebeo antichissimo, come sostenne il Bonfante (1), è problema che pare inutile affrontare in questa sede : non è necessario credere né all'una né all'altra ipotesi, tanto più che a noi basta constatare che i plebei appaiono ben di stinti dai patres (2). Altrove affrontiamo, col problema delle origini dell'edilità plebea, anche il problema delle condizioni della plebe agli inizi del secolo Y (3). Qui basterà ricordare che col 493 noi troviamo la plebe organizzata con propri capi e perfino, stando alla tradizione, con un foedus ben definito nei riguardi dei patres. Questo foedus, che sarebbe stato concesso in seguito alla grande secessione (4), è stato considerato dal Bon fante come una prova che, sebbene non coincidesse in tutto e per tutto con la teoria del Beloch sui municipii federati, po teva tuttavia servire a dimostrare il carattere internazionale dell'istituto più antico del municipium (5). Il Beloch infatti pensava — come vedremo meglio in seguito — a municipii di cives optimo iuref mentre qui è evidente la limitazione imposta ai plebei per quanto si riferisce al ins honorum. A ciò probabilmente pensava il Bonfante quando faceva ta lune riserve sulla natura del municipium plebeo. Le città la tine mantennero tuttavia, anche dopo lo scioglimento dei foedus Cassianum, una propria autonomia e organizzazione (6), cui corrisponde il diritto che i plebei ottengono col 493 : il diritto di organizzarsi (7). Va però anche tenuto presente (1) B O N F A N T E . op. cit., I 95-96; 211 ; 240, n. 2 ; cfr. D E FRANCISCI,
I 231 segg. (2) Cfr. infra, pag. 211 segg. (3) Ibid. (4) Liv., II 33 ; DION. H A L . , VI 89. Sulla verisimiglianza dus ofr. infra, pag. 213 seg.
op.cit.,
di qneeto foe-
(5) BONFANTE, op. cit., I 96 ; ofr. D E FRANCISCI, op. cit., I 235, n. 3 ; F R E Z
ZA, art. o»«.t pag. 386. (6) Cfr. infra, pag. 93 segg. (7) Cfr. infra, pag. 219 segg, Una differenza, oertamente notevole, pnò essere presa in considerazione se si dà peso al fatto materiale obe i plebei non possedevano n n territorio proprio. P n ò essere meno importante se si ritiene cbe, almeno quelli d'origine latina, potessero in qaalobe modo, valersi dell'appoggio della loro patria d'ori-
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PER LA STORIA D E L CONCETTO DI MUNICIPIUM
il fatto che le città latine avranno, al momento in cui verrà creato il municipium, una propria tradizione di indipendenza ; mentre i plebei raggiungono forse soltanto nel 493 il diritto ufficiale di creare propri magistrati. Certamente, nucleo centrale e propulsore di questa orga nizzazione dovettero essere i più attivi cives d'origine latina che col foedus Cassianum vedevano quasi contemporaneamente riconosciuti, in un patto internazionale di particolare valore ed interesse, i diritti dei loro compatrioti; ma non è natural mente lecito affermare che solo essi costituissero il nuovo nu eleo politico retto da propri capi: ad essi poterono aggiun gersi altri elementi che, per un motivo o per un altro, si tro varono nelle loro condizioni. Il nuovo gruppo, autonomo sotto molti punti di vista ri spetto alla civitas romana, un vero comune anzi di cives senza ius honorum in quella civitas, potè essere il modello della se rie di municipia senza ius honorum che si sarebbe un giorno costituita nel Lazio. Il nome di municipium non è per esso documentato, ed — anzi — la sua stessa esistenza come municipium non è ri cordata da alcuna fonte in modo specifico ; ma,per molto tempo, i plebei furono una comunità ben distinta dalla civitas dei patres : ne furono potremmo dire, dei veri municipes, sebbene godessero del diritto di suffragio, e la loro organizzazione nel comune plebeo — pur senza ius honorum — è una vera con quista dovuta senza dubbio alla stessa importanza numerica ed economica. È anzi proprio questa organizzazione il fatto che differenzia i plebei organizzati dai municipes ancora considerati come singoli individui.
LE
TEORIE DEL MOMMSEN E DEL BELOOH.
Anche secondo il Mommsen (1) Pisopolitia di Dionigi non era una vera isopolitia di tipo greco, ma un qualche cosa ben gine e tanto più in nn momento in oui Roma doveva scendere a patti oon essa snlla base di nn foedus aequum. (1) MOMMSEN, op. cit., I l i
1, pag. 643, n. 4.
LE CITTÀ L A T I N E
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definibile soltanto in termini latini che Dionigi traduceva col greco ìaoJioXiteui forse perchè attrattovi dal diritto di voto esercitato in Roma dai Latini e dagli Ernici : era, secondo il Mommsen, nulPaltro che il ius Latii: un diritto molto com plesso che distingueva i Latini da altre genti nei riguardi di Roma perchè conferiva loro una serie di privilegi. A questi privilegi il Mommsen dedicava un capitolo della sua opera, ma dichiarava egli stesso di non ritenere necessario tentarne una cronologia poiché, secondo lui, essi discendevano tutti egualmente da principii fondamentali risalenti alla lega pree sistente al 338 a. 0. (1). Così il commercium — e diritti ine renti —, il connubium, il ius migrandi, il ius suffragii ferendi sarebbero le caratteristiche speciali del ius Latii. È logico che con questa convinzione il Mommsen giu dicasse errato il passo di Festo-Paolo riguardante il primo tipo di municipia, tanto piò perchè riteneva che esso si rife risse appunto ai municipes latini (2) ; ma anche per lui il signi ficato primo — poi scomparso — di municipium, era quello di e prestazione obbligatoria di non cittadini» (3). Si aggiunga che, per lui ancora, municeps è di fronte a Roma il cittadino di una città latina non emigrato a Roma, perchè « egli esce dal cerchio dei municipes ottenendo, con la sua immigrazione, la qualità di membro della comunità romana e più tardi il di ritto di cittadinanza» (4). Sarebbe dunque invertita la definizione di Pesto Paolo che affermava invece trattarsi di individui < qui Romani venissent*. E il diritto di commercio e di connubio non sarebbe che il primo tempo di una completa ammissione al diritto di cit tadinanza conseguente alla comunione di munia con i cives Romani. Egli infatti interpreta l'espressione « gui Romam venissent » come atta a spiegare la situazione di coloro che ve nivano a Roma solo per esercitare il loro diritto di voto (5). In conclusione, il termine municipium avrebbe designato (1) (2) (3) (4) (5)
I D . , ibid., I D . , ibid.t I D . , ibid., I D . , ibid., I D . , ibid.,
pag. 627. pag. 232, n. 2. pag. 231 seg. pag. 232 seg. pag. 644, n. 1 ; ofr. pag. 232, n. 2.
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P E R LA STORIA DEL CONCETTO DI MUNICÎPIUM
la città di diritto latino in comunità fondiaria e, conseguen temente, d'imposte con Eoma, e, soltanto in seguito, anche la località di cittadini inferiori coordinata ai cittadini com pleti con comunità di servizi e d'imposte, ma senza parteci pazione ai diritti politici: nell'un caso come nell'altro municipium è in opposizione alla qualità di civis optimo iure (1). Il Mommsen si fonda dunque su Festo, ma interpretan dolo a modo suo; né pare sussista alcun motivo specifico per sostenere la sua tesi. Quando egli afferma che il cittadino d'una città latina è, rispetto a Eoma, un municeps, non trova di me glio per suffragare la propria affermazione se non la possi bile, ma non sicura, manipolazione di Festo da parte di Pao lo (2). E, in realtà, non pare esatto limitare ai Latini l'esten sione del municipium fondandosi soltanto sul punto di vista che l'espressione « qui Bomam venissent » debba intendersi come conseguenza di un diritto di voto che tuttavia non pare ne gabile. A Eoma si poteva venire anche senza aver diritto al voto e non è facile credere che, accorrendo in Eoma per vo tare, i.Latini indipendenti dovessero sottostare ai munera a meno che non vi si fermassero per godere altri diritti : non pare possibile pensare che i vari munera cittadini dovessero essere condivisi da individui abitualmente residenti altrove. L'espressione « qui Romani venissent » potrebbe dunque es sere intesa solo nel senso di una reale immigrazione perma nente, ma se, come crede il Mommsen, l'immigrazione dà ai Latini i pieni diritti di cittadinanza in Eoma, non si tratta più di municipes ma di cives, com'egli stesso afferma recisamente (3). Cade dunque l'identificazione fra ins Latii e municipium per il periodo più antico, o, almeno, cade in parte, perchè — come già abbiamo visto — connuhium e commercium sono elementi dell'uno come dell'altro, anche se non sono i soli componenti del ius Latii. Il municipium del resto non pare sufficiente a definire il ius Latii, anche perchè, se di questo fa parte il ius migrandi, ius migrandi e municipium sono invece fra di (1) I D . , ibid., pag. 795. (2) I D . , ibid., pag. 232 e n. 2. (3) I D . , ibid., pag. 232 seg.
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LE CITTÀ. LATINE
loro antitetici: o immigrando in Borna si diveniva cives Romani o si diveniva soltanto municipes : ma non si può essere nello stesso tempo cives Romani optimo iure e soltanto municipes (1). Alla conclusione che i Lati DÌ abbiano avuto subito nel 338 Voptimum ius giunse il Beloch (2) contro l'opinione del Momm sen (3). Se, infatti, il Mommsen affermava che non può es servi foedus fra concittadini (4), il Beloch, pur ammettendo che in seguito alla loro deditio talune città latine fossero state in un primo tempo dotate della sola civitas sine suffragio, so stenne invece che solo Voptimum ius poteva essere alla base del foedus che legava a Borna i singoli municipii. Questi, per tanto, si sarebbero venuti a trovare in una posizione del tutto particolare, poiché, essendo composti di cives optimo iure, avrebbero non solo acquistato il diritto di interferire nella vita dello Stato Eomano, mediante la più completa parteci pazione alla sua attività politica — partecipazione che avrebbe loro permesso di far valere in ogoi caso il loro punto "di vi sta sia mediante l'espressione di un voto, sia mediante la pre sentazione di propri candidati alle maggiori magistrature ro mane (5) —-, ma avrebbero altresì mantenuto, mediante un foedus, la loro autonomia locale. E' evidente che in tali con dizioni queste città avrebbero dovuto considerarsi almeno pari rispetto alla stessa Eoma, la quale, sia pure entro certi (1) Sa questo punto è necessario notaio ohe già il MARQUARDT (op. cit., pag. 33 Beg.) aveva posto in rilievo l'inoompatibilità che egli vedeva fra il concetto di munioipium e la Lega L a t i n a di Cassio. (2) Le fonti citate da BELOCH, op. cit., pag. 376. (3) MOMMSEN, op. cit.t pag.
177,
nn.
1-2 ; ofr.
pag.
571, n. 1 ; pag. 573.
Sa
qnesto punto egli fn seguito, per esempio, dal GIRARD {Rist de Vorganisation judiciaire des Romains, I, 1901, pag. 275) e dal PAIS (Storia di Roma oit., IV 202 per Arida, Nomentum, ecc. ; pag. 384 per Tusculum ; pag. 392 seg. e a.). (4) MOMMSEN, op. cit., I l i 1, pag. 774. È quindi assurdo pensare a niunioipii federati dotati di optimum ius in base al rispettivo foedus. Cfr. anche KORNEMANN, loc. cit., 576; BERNARDI A., Borna e Capua etc, in Athenaeum 1942, pag. 94. =. (5) Ciò resta sostanzialmente vero anche se, oorae è stato notato, la con cessione dell'optimum ius deve considerarsi più teorica che pratioa. Cfr. su ciò già
L A N G E , op. oit,, I I s
64,
40
PER LA STORIA D E L
CONGETTO DI MUNICIPIUM
determinati limiti, avrebbe dovuto tollerare la loro interfe renza nella sua vita politica senza potere, a sua volta, inter ferire nella loro se non indirettamente e in virtù soltanto del proprio prestigio. Già così enunciata una simile teoria appare un assurdo storico, tanto più grave inquantochè questa con dizione di municipia foederata, così privilegiata, sarebbe ri masta a città ribelli, quasi in premio della loro ribellione. Il Beloch, che fu il più valido propugnatore di questa teoria, considerava federate con pienezza di diritti politici Lanuvium, Arida, Nomentum, Pedum (1). Ma intanto vediamo, prima di tutto, Livio. Il passo in questione(2) dice testualmente: «Lanuvinis civitas data sacraque sua reddita cum eo, ut aedes lucusque Sospitae Iunonis communis Lanavinis municipibus cum populo Romano esset. Aricini, Nomentani et Pedani, eodem iure quo Lanuvini in civitatem recepti >. Balza subito agli occhi il carattere sacro della convenzione, non solo, ma anche — e so prattutto importante a mio modo di vedere — la contrappo sizione fra i municipes Lanuvini e il populus Romanus (3) : è chiaro infatti che se i Lanuvini avessero ottenuto la piena cittadinanza non ci sarebbe stato bisogno di questo accordo poiché essi stessi avrebbero fatto parte del populus Romanus come cives optimo iure e, d'altro canto, la condizione loro im posta sarebbe stata inutile inquantochè la loro divinità sa rebbe divenuta una divinità romana che essi — Eomani or mai — avrebbero potuto venerare in comune con i nuovi con cittadini senza bisogno che essa fosse loro restituita come Li vio ci dice. Si ricostituisce invece un comune giuridicamente scomparso in seguito alla sua deditio(4): un organismo distinto in qualche modo da Roma, che gli restituisce certe preroga tive e, con ciò stesso, lo tiene lontano da sé, in una condi zione di palese inferiorità, come appare evidente dall'imposi zione che aedes e lucus siano comuni a Lanuvini e Romani. In questi termini, se un foedus esiste, è evidente che si (1) Cfr. nota 2 a pag. 39. (2) Liv., V i l i 14, 2-3. (3) Cfr. MOMMSEN, op. cit,y III 1, pag. 177, n. 2 ; e infra, pag. 51 segg. e note relative. (4) La deditio risalta implicitamente dalle oondizioni imposte.
LE CITTÀ LATINE
41
tratta anzitutto di un foedus di carattere sacro, tendente, come l'analoga famosa pratica delVevocatio (1), ad assicurare a Eoma l'appoggio e il favore di una divinità, non romana, di un po polo da vincere o, come in questo caso, da tenere sottomesso. Lo stesso dovrà dirsi delle tre altre città trattate come Lanuvio. Oltre questi quattro vi sarebbero secondo il Beloch (2) an che altri municipii federati, e cioè Capena, Gabii — che ne sarebbe l'esempio più antico — e i Laurentes di Lavinium ; ma di Capena non si può tener conto alcuno in una ricostru zione storica perchè le testimonianze che ad essa si riferiscono sono molto discutibili (3) ; e, per quanto riguarda Lavinium, ci troviamo di fronte ad un caso speciale, perchè questa città non prese parte, se possiamo credere a Livio, alla guerra la tina (4). Resta Gabii, che però pare rappresenti una tappa an teriore a questo momento cruciale che stiamo esaminando (5). Una serena discussione di questi problemi è stata recen temente fatta dal Bernardi (6), che in ciò s'oppone non solo al Beloch, ma anche al Kornemann (7); ma sarà opportuno riprenderla per chiarire ancora taluni punti che non paiono sufficientemente spiegati e riconsiderare le relative fonti per tenerci esclusivamente ad esse. Oominciamo dunque da Lavinium, che, secondo Livio, non prese parte alla guerra : « Cum Laurentibus — prosegue Livio, dopo aver osservato che essi non desciverunt — renovari foedus iussum, renovaturque ex eo quotannis post diem decimum Latinarum». La conferma delle ultime parole è data da una iscrizione di età imperiale (8). NulPaltro, ma questo poco è denso di punti interrogativi. Lasciamo stare il fatto che, se(1) Su di essa si veda MANNI E., A proposito del oidio di Saturno, in Athenaeum 1938, pag. 230 aeg. (2) BELOCH, op. cit., pag. 446 (Capena) ; 155 (Gabii); 181 (Laurentes) ; 376. (3) Cfr. BERNARDI, art. oit.f in Athenaeum 1942, pag. 93 aeg.
(4) Liv., Vili 11, 15. (5) Per eaa» si veda infra, pag. 44 segg. (6)
BERNARDI, art.
oit.,
pag.
(7) In P.-W. XVI 570 segg. (8) C. I. L. X 797.
91-97.
42
PER LA STORIA DEL
CONCETTO DI MUNICIP1UM
condo il Belocli (1), il rinnovo del foedus implica la parteci pazione alla guerra : analogamente bisognerebbe ammettere l'assurdo che quotannis in seguito i Laurenti si ribellassero per poi rinnovare, come ci è testimoniato da Livio e dall'epi grafe, lo stesso foedus. Ci sono invece due altre questioni ben più importanti e ben più considerevoli. La prima è quella che riguarda la natura del foedus stesso -, la seconda è quella che concerne la data del rinnovo. Quanto alla prima non si può forse rispondere con sicurezza, ma poteva trattarsi di un foedus particolare stretto dai Laurentes coi Eomani, in base al quale appunto i Laurentes non si unirono ai Latini ribelli (2) ; né la data dell'annuale rinnovo del patto può servire a chia rire il problema della sua natura : se effettivamente il foedus fosse stato in rapporto con le ferie latine (3) non si vede per chè avrebbe dovuto essere rinnovato soltanto dieci giorni dopo. Pare tuttavia possibile che il carattere del foedus fosse essen zialmente religioso: tale almeno esso fu quando Lavinio ebbe la cittadinanza romana, e come tale il rito — così possiamo chiamarlo — del rinnovo del foedus sopravvisse alPindipendenza politica della città : ciò dimostra solamente una realtà che non avrebbe bisogno di dimostrazione, e cioè che il foedus, anche se era eminentemente politico, non andava disgiunto da un rito religioso. Non si può infatti negare che anche un valore politico avesse in origine la cerimonia annuale solo (1)
BKLOCH, op.
cit.,
pag.
376.
(2) Per la fedeltà a Roma ofr. Liv., V i l i 1 1 , 15. Il nome dei L a n r e n t ì n i compare inoltre nel primo t r a t t a t o pnnico-roinano ricordato da POLYB., I l i 22 per l'anno 508-507 a. C. Ivi i Lanrentìni sono considerati ouujiaxoi e XIJCI^XOOI (rispettivamente 22, 11 e 22, 4) dei Romani, cioè foederati protetti. A q n a u t o scrive il G I A N N E L L I (ojp. cit., pag. 91 seg.) non troviamo altro da aggiungere ; ad esso rinviamo anche per una breve storia della questione (ofr. le note 31 e 32 alla pag. 96 dell'op. cit.). Analoga è, in seguito, la posizione dello SHKRWIN W H I T E , op. oit., pag. 15 seg. Cfr. anche infraì pag. 50. L ' A F Z K L I U S , Die römische Eroberung Italiens^ Koebenhavn 1942, pag. 56, oonolude ohe Lavinium non si ribellò anche peroliè, data la sua posizione geo grafica, sarebbe s t a t a senz'altro incorporata qualora avenue partecipato alla guerra Latina. Roma, poi, non volendo commettere soperchiane, sarebbe ad divenuta all'idea di un t r a t t a t o rinnovabile annualmente. (3)
B E R N A R D I , art,
cit.,
pag.
92
seg.
LE CITTÀ LATINE
43
perchè a taluni (1) parve opportuno determinare al 338 la data d'incorporazione nello Stato Romano dell'antica città latina. Infatti, sebbene nessuno neghi che Lavinium abbia avuto la civitas optimo iure prima della guerra sociale, i Laurenti po terono essere in un primo tempo incorporati anche senza pieni diritti o con altre condizioni. Quanto a Capena, sappiamo da alcune iscrizioni che essa fu un municipium foederatum (2) : il significato di questa espres sione fu, come abbiamo già detto, inteso in varie maniere. Una delle più note e più discusse fu che Capena fosse detta federata derivando dalla fusione di tre centri minori (3), e po trebbe anche essere la maniera migliore ; senonchè non ci pare di poter accettare il punto di vista del Bernardi (4), il quale scrive che « ammettendo pure, per un momento, che vi siano stati dei municipio, foederata, se si ammette che Capena fu uno di questi, si cade fra l'altro in un anacronismo, perchè la pratica romana di permettere la sopravvivenza dell'auto nomia amministrativa delle città incorporate, è in ogni caso di epoca alquanto posteriore alla incorporazione dei primi cen t r i ! . Il che è indimostrato, tanto più che il Bernardi pare trascurare nella sua rassegna l'esistenza di Gabii. Ma c'è di più, perchè il titolo di municipium foederatum ci è testimo niato solo in età imperiale (5) ; ora, come Fidenae, dopo es sere stata municipium retto da Ilviri (6), ebbe in età impe riale dei dictatores (7), si può pensare ad una riesumazione di vecchi titoli e di vecchie magistrature cadute in disuso. Se dunque non si può escludere la possibilità che Gapena fosse federata in quanto costituita dalla fusione di tre borghi, non si può neppure escludere, in base alla contraddizione notata dal Bernardi, ma non dimostrata, che il titolo di municipium foederatum spettasse a Gapena proprio per unfoedus con Roma. (1)
BELOCH, loo.
cit.
(2) C. I. L. XI 3932, 393G, 3883, 3876a. (3) D E ROSSI, in Bull. Arch. Crist., IV (1883), pag. 115 segg. (4) BERNAUDI, art. (5) BELOCH, op. cit.,
oit.,
pag.
pag.
94.
446.
(6) C. I. L. XIV 4063. (7) Cfr. C. L L. I 8 1709; XIV 4068. Sa di oiò si veda infra, pag. 112 aeg.
44
PER LA STORIA DEL
CONCETTO DI MUNICIPIUM
Anche in questo caso dovremo dunque concludere con un non liquet, tanto più grave quanto più inafferrabile è la natura del foedus in questione. Vediamo dunque Gabii, il municipium joederatum più an tico secondo il Belocb, che anzi nel suo « Der italische Bund » (1), lo riteneva un municipio ante litteram e considerava il foedus Gàbinum come qualcosa d'analogo al foedus Cassianum, nel senso che questo fu il primo segno della politica federale in Italia, e diede l'avvio al posteriore regolamento dei rapporti fra Roma e i municipii. Egli infatti (2) osservava che Gabii, come Fidenae e come Ostia, si trovavano da tempo molto*an tico chiuse nel territorio romano senza esser comprese nella divisione per tribù. Nella Römische Geschichte (3) egli riprende la questione riaffermando l'esistenza del foedus posta in dub bio dal Täubler(4). Ma, intanto, la distinzione fra agro Gabino e agro Eomano è fondata su di un passo di Varrone (5), che non appare di lettura troppo sicura e che il Beloch rife risce così : « (Ager) Gabinus (dictus) ab oppido Gabiis, peregrinus ager pacatus, qui extra Bomanum et Gàbinum, quod uno modo in his seruntur auspicia, dictus peregrinus a pergendo, id est progrediendo, eo enim ex agro Romano primum progrediebantur, quocirca Gabinus quoque (Scaligero, ms. : quo sive) peregrinus, sed quod auspicia habet singularia, a reliquo discreto ». A parte la lettura — che non interessa ora discutere in modo speciale — pare evidente che l'accenno che si fa a fun zioni religiose, come gli auspicia, faccia convergere l'atten zione dello studioso piuttosto su un rapporto appunto reli gioso intercorrente fra Roma e Gabi, che su un qualunque rapporto politico. Mail Beloch, che in questa sua ultima opera attenua di molto la posizione assunta in « Der italische Bund », scrive ancora che quattro città latine — Praeneste, Tibur, Ardea e Gabii — mantennero fino al tempo della guerra sociale (1) (2) (3) (4)
BELOCH, Der italische Bund, pag. 118. I D . , ibid., pag. 47. I D . , Rom Oesch., p a g . 155 seg. TXÜBLER, Imperium Romanum, I 382.
(5)
VARRO, de l. I. V
33.
LE CITTÀ LATINE
45
la loro e Selbständigkeit » (1) e respinge fra le interpolazioni i due tribunati consolari della gens Antistia, essendo propenso a fare altrettanto perii tribunato della plebe della stessa gens (2). Va anche più oltre, negando fede alla devotio di Gdbii di cui parla Macrobio, perchè la ritiene in contrasto con desistenza del foedus. Ma se questa argomentazione non è metodica, as sai dubbio è anche che la devotio escluda il foedus. Possiamo anzi affermare che un foedus, specialmente se di carattere re ligioso, presuppone sovente la devotio : si ricordino i vari esempi da cui si apprende che i Ko mani « restituiscono > i sacra ad una città sottomessa a patto che essi siano comuni anche al popolo Romano. Si tratta in questi casi, senza dubbio possi bile, di un Joedus che si stringe fra vinti e vincitori, dopo che questi ultimi — in seguito alla devotio — ne hanno evo cate le divinità (3). Il foedus Gaoinum può essere senz'altro di questo tipo. Nulla, almeno, pare opporsi a questa possibilità : non la mo neta che ricorda il foedus populi Romani cum Gaoinis (4) senza specificare il tipo di foedus, non la ricordata elezione — vera o falsa che sia poco importa — di membri della gens Antistia a cariche pubbliche in Roma (5), perchè, come osserva lo stesso Beloch, non era difficile a cittadini del Lazio entrare nella cittadinanza romana e tanto meno — come pare nel caso nostro — fra i plebei (6). Al contrario l'assenza del nome di G ab vi dall'elenco delle città latine federate che fondarono il lucum Dianium presso il lago di Nemi (7) potrebbe affermare soltanto che Gabii non è membro di quella Lega Latina, pò litica, che ha fondato Para di Diana nel bosco Aricino. Per quanto, poi, riguarda la distinzione fra ager Gàbinus (1) BELOCH, It. Bund, pag. 155.
(2) ID., ibid., pag. 156. (3) Valga l'esempio di Lanuvium in Liv., Vili 14, 2. (4) BABKLON, Monnaies de la Rép. Romaine, I 149, n° 65 seg. (5) Su di essa ofr. BELOCH, R. G., pag. 156.
(6) Sulla possibilità ohe soli i membri della classe governante latina potessero ottenere Voptimum tue equiparandosi ai patrizi romani si veda ZUMPT A., Studia Romana, pag. 365 ; oit. da SHKRWIN WHITE, op. cit., pag. 34.
(7) BELOCH, It. Bund., pag. 47.
46
Î>ER LA STORIA DEL CONCETTO DI MÜNICIPIUM
e ager Romanus, nulla vieta di pensare che il territorio gabino costituisca dal punto di vista religioso una categoria per sé stante perchè, unito al romano in epoca anteriore a quello delle altre città latine, ebbe la propria condizione regolata da uno speciale foedus. Appare dunque metodicamente impossibile affermare che Gabii fosse un municipio ante luterani almeno nel senso vo luto dal Beloch : si potrà invece pensare che, sottomessa a Roma per deditio, perdesse la sua autonomia religiosa, tanto che il suo agro fu, in certo modo, considerato di pertinenza romana, almeno dal punto di vista degli auspicia. Ma resta dubbio se non abbia invece mantenuta una certa autonomia amministrativa : l'esistenza di Illlviri (1) parrebbe infatti di mostrare che Gabii nou ebbe prima della guerra sociale la cittadinanza né di pieno diritto né senza suffragio : da questo punto di vista seguì, in certo modo, le sorti di Tibur e di Praeneste. Ma può anche dimostrare soltanto che Gabii non ebbe fino alla guerra sociale una costituzione municipale re golare o che, comunque, la vecchia costituzione non fu rite nuta sufficiente (2). Quanto a Tuscuhim essa partecipò alla guerra latina del 340 (3). Questo fatto ha suggerito al Beloch (4) l'ipotesi che essa non fosse ancora stata incorporata nello Stato Romano prima di quella data, mentre la tradizione è esplicita nel regi strare tale incorporazione nel 381 (5). Il Bernardi si è opposto a questa conclusione, osservando che l'insurrezione dei Tuscolani nel 340 prova soltanto che « il conseguimento della cit tadinanza romana, anche quella con i pieni diritti politici, ebbe sempre la forma di un'imposizione dalla quale, se se ne offriva l'occasione, i cosiddetti beneficiati cercavano di libe(1) C. I. L. XIV, pag. 278. (2) L'AFZKLIUS, op. cit., pag. 54, pensa che Gabii avrebbe avuto una « Kenkostitaiernng » dopo la gnerra sociale, essendo « so verfallen » ohe tale rinnovamento era necessario. Fino a tale momento sarebbe stata — come già aveva suggerito il BELOCH — un munioipium foederatum. (3) LlV., Vili 14, 4 ; ofr. 7, 2. (4) BELOCH, R. G., pag. (5) Liv.,
318.
VI 25-26 ; PLÛT., Cam, 38 ; ofr.
DION. HAL. XIV
6, 9.
47
LE CITTÀ LATINE
rarsi > (1): e questo può essere senza dubbio vero nella so stanza. Ma c'è subito da fare un'osservazione assai importante : come si dimostra che Tuscolo ebbe, nel 381 o nel 338 poco importa, la piena cittadinanza ! Oon la considerazione, si ri sponde (2), che i Tuscolani entrano ben presto nella vita po litica di Eoma conseguendo anche le maggiori magistrature romane. In realtà ciò sarebbe stato impossibile se i Tusco lani fossero stati dei cives sine suffragio ; ma il primo esem pio di Tuscolani magistrati romani è del 322(3). Prima di tale data non si può dunque affermare — per questa via — che i Tuscolani fossero cives optimo iure : nel 338 a Tuscolo non avviene nulla di sostanzialmente nuovo : « Tusculanis servata civitas, quam habeoant, crimenque redellionis a publica fraude in paucos auctores ver sum > (4). Tuscolo è dunque la più antica città fra quelle di cui si parla a proposito delle disposizioni del 338, che abbia conseguito la cittadinanza ro mana, ma il problema rimane — da questo punto di vista — quello stesso che è per Lanuvium, Arida, Nomentum e Pedum : quale tipo di cittadinanza è quello di cui si tratta 1 Per Tusculum, tuttavia, si può porre il problema su altre basi, senza pregiudicare la soluzione del problema del 338. Vero è che, se Festo-Paolo (5) elenca Tusculum fra i municipii senza suf fragio, Dionigi d'Alicarnasso (6) scrive che i Romani « jtoXiteuxv eyvœaav TOLÇ xQatTyfrelai xaQioaaûai, Jtdvtcov ^leTaôovteç (óv tolç TcD^aioiç netfjvj, e per Pesto-Paolo si deve tener presente il dubbio cui abbiamo accennato discutendo il valore della sua testimonianza. Meno chiara è invece la frase di Cicerone (7) — municipium antiquissimum —, giacché non è detto che si debba intendere municipium optimo iure. Ma nulla ci auto rizza a considerare Tusculum come municipium foederatum. Col titolo di municipium foederatum, infine, fu indicata (1)
BERNARDI, art.
cit.,
(2) BELOCH, R. G., (3) PLIN., n. Ä. VII
pag.
pag.
94, n.
5.
379 ; BERNARDI, toc.
136 ; ofr.
BELOCH, R.
oit.
G.f pag.
(4) Liv., V i l i 14, 4. (5) *E8T. ap. PAUL. S. V. Municipium, pag. 155 L. (6) DION. HAL., XIV
6,
9.
(7) C i c , pro Plane. 8 ; 19.
379.
4S
PER LA STORIA D E L CONCETTO DI MUNICiPIUM
talora anche Arida (1): il termine compare anzi esplicitamente solo per Arida e per Capena; ma per Capena permane il dub bio che abbiamo espresso e per Arida — municipium vetustate antiquissimum, iure foederatam — non bisogna dimenticare che essa fu federata, ancora secondo lo Sherwin White (2), molto tempo prima del 338, anno in cui, con Pedum e Nomentum, fu trattata « eodem iure quo Lanuvini >. L'afferma zione del Beloch secondo cui anche queste tre città furono municipii federati con pienezza di diritti politici perchè tale sarebbe stata Arida, verrebbe dunque a cadere automatica mente quando si ammettesse la preesistenza del foedus Aridnum. Cicerone, comunque, scrive: « Quod antera municipium non contemnit is, qui Aricinum tanto opere despidt vetustate antiquissimum, iure foederatum, propinquitate paene flnitimum, splendore municipium honestissimum ? » (3). Pare evidente che vetustas, ius, propinquitas7 splendor, siano caratteristiche varie messe innanzi per magnificare il municipio Aricino e che l'accento cada su quei vocaboli più che sugli aggettivi cor rispettivi : antiquissimum, foederatum, paene flnitimum, honestissimum. Anzi se si può pensare ad un climax, ascendente o discendente non importa, «foederatum » ha qui minor valore che altri aggettivi. Pare chiaro anche che Cicerone non sen tirebbe la necessità di parlare di questa caratteristica se, pur essendo comune ad altri municipii, non distinguesse il gruppo cui appartiene Arida da municipii con diverso carattere : ed allora è facile mettere in contrasto questi municipii, che hanno una forma di costituzione interna tanto diversa dai municipii costituiti, ad esempio, lege lidia, con questi ultimi. Ma ciò non autorizza a pensare che sia gli uni che gli altri avessero la stessa origine o gli stessi diritti. A ciò si oppone una constatazione già fatta dal Mommsen (4) ed ormai divenuta (1) Cic, Phil III 6, 15; ofr.
BELOCH, (2) SHERWIN WHITE, op. cit., pag. 58.
R. G., pag. 378 seg.
(3) Cic, Phil. Ill 6, 15. (4) MOMMSEN, op. eit., Ill 1, pag. 774. Cfr. KORNEMÀNN, loo. cit.t 576 ; BERNARDI, art. cit., pag. 94.
40
LE CITTÀ LATINE
di dominio comune, che noi enunceremo anche più chia ramente così : optimum his e foedus sono in contraddizione fra di loro, perchè non si può concepire un foedus politico fra concittadini (1). E quindi Arida non ha, al momento al meno del foedus, la cittadinanza romana di pieno diritto. È forse un municipio del tipo più antico (vetustate antiquissimum) che soltanto in un secondo tempo — nel 338 — entrò nel novero di quelli « quorum dvitas universa in dvitatem Romanam venit». Soltanto quando ciò avvenne Arida si trovò nella condizione di poter essere affiancata a Caere ed Anagnia (2), che pur non godettero di pieni diritti. La teoria del Beloch appare dunque difficilmente soste nibile, salvo nel caso in cui per foedus s'intenda non già «Bündnis», ma «Vertrag» come egli appunto sottolinea(3), concludendo che un munidpium foederatum è un comune en trato nello Stato Eomano (römischer Staats verband) per un « Vertrag » e non per unilaterale decisione del popolo Eomano. Bisogna però considerare che questa affermazione implicala convinzione che munidpium sia lo stesso che dvitas e, anzi, dvitas optimo iure : il Beloch, infatti, mostra di credere che la prima categoria di municipii comprenda città che, come dice Paolo, non avevano il Bürgerrecht, ma, per liberare il campo da questa incomoda definizione, afferma anche che «diese Categorie kommt folglich für unsere Frage nicht in Betracht » (4) ; e soltanto nella seconda categoria egli rintrac cia municipii « quorum dvitas universa in dvitatem Romanam venit » o per foedus o per deditio. L'affermazione pare arbi traria perchè non è detto a priori che un municipio della prima categoria non possa essere un munidpium foederatum. Ma c'è di più perchè, se noi poniamo mente al fatto che, se ti) Che Cicerone {loo. cit.) parli di iu8 può essere di scarso rilievo: an. ohe sol fas pnò essere fondato un ius : tale è il oaso delle città che godono il tua di carnem accipere. Si t r a t t a di un antioo diritto di città federate che permane anohe quando il foedus ohe le legava ha perduto ogni carattere po litico. (2) S. v. Munidpium, p. 155 L. (3) B E L O C H , B.
Q., pag.
379.
(4) I D . , ibid., pag. 377. 4
50
P E R LA STORIA D E L CONCETTO DI MUNICÌPIÙM
condo le nostre fonti, le prime città latine incorporate nella civitas Romana sono, oltre Tusoulum e Gàbii (?), appunto ta lune di quelle che il Beloch chiama federate — Arida, Lanuvium, Nomentum, Pedum —, dovremmo, per rimanere al Beloch, concludere che solo col 338 queste città poterono di ventare municipii federati, perchè solo in tale data esse eb bero appunto la civitas. Ma il foedus Àricinum a noi noto pare di gran lunga anteriore (1), e quindi dovrebbe essere anteriore anche alla concessione della civitas, sia essa ovtimo iure o sine suffragio. Se, dunque, è possibile e verosimile ammettere l'esistenza di municipii federati, non già nella concessione della civitas optimo iure dovremo cercarne l'origine, ma in foedera diversi, anteriori ad essa (2). Di tali foedera noi abbiamo notizia — talora direttamente, talora indirettamente — dalle fonti antiche : si pensi ai le città menzionate nel primo trattato punico-romano, la cui data noi crediamo riferibile al periodo della Eoma etnisca (3) : Lavinium, Ar dea, Antium, Circeii, Suessa Pometia e Tarracina vi sono considerate come WCTJXOOL, ma anche come ov\L\iaypi, cioè come sodi dipendenti da Roma. Inoltre conosciamo i foedera con Gahii e con Grustumerium (4). Il foedus rinnovato coi Laurentes potrebbe essere quello stesso implicito nel foedus punico-romano, quello con Arida di poco posteriore alla cacciata dei Tarquinii (5). In tal modo il termine di municipium foederatum si riporterebbe ad una (1) Seoondo lo S H B R W I N W H I T E , op. oit., pag. 26,
il foedus
Aricìnum
sa
rebbe da porre nel V secolo, snbito dopo la oacoiata dei re. I n realtà Arida non compare nel primo t r a t t a t o pnnico-romano, su cui ofr. supra, p a g . 42, n. 2. (2) Sarà opportuno rioordare anche l'acuta osservazione del FREZZA, art. cit., p a g . 384, seoondo oui, poiché un foedus può segnire anche ad u n a deditio (ofr. H K U S S , loo. cit.) « viene a mancare il fondamento un oh e dell'altra affer mazione del Belooh, che municipia foederata possono essere stati soltanto dei oomoni oni Roma aveva sin dal momento della loro annessione uonoessa la oittadinanza optimo iure ». À questa debolezza fondamentale della tesi del Belooh abbiamo aooennato a pag. 22 con note 2 e 3. (3) Cfr. supra, pag. 42, n. 2. (4) Cfr. u l t i m a m e n t e S H E R W I N W H I T E , op. cit., pag. 18 seg.
(5) Cfr. ID., ibid., p a g . 26.
LE CITTÀ LATINE
51
epoca anteriore alla pace del 338: e resterebbe da spiegare solo il fatto che questo titolo non compaia anche per Tuseulum, incorporata nel 381 ; ma Tuscultim ebbe nel 381 la civitas, divenne cioè municipium non per un foedtis, ma proprio perchè ebbe la civitas (1) come poi, nel 338, essa fu data a Laimvini, Aricini, Nomentani e Pedani. Il problema che ci troviamo di fronte è dunque ora uno solo : di che tipo di civitas si tratta nel 338 ? LA CIVITAS DELLE CITTÌ LATINE.
L'ipotesi che ben presto Eoma abbia concesso la civitas optimo iure alle città del Latium vetus, trova oggi concordi tutti i critici (2). Le fonti che si ritengono utili al riguardo si riferiscono a Tuseulum (3), Arida, Lanuvium, Nommtum e Pedum (4), ed infine a varie città sabine e latine (5). Ma le fonti letterarie non valgono a mostrare quando pre cisamente i Latini abbiano avuto la civitas optimo iure, seb bene sia presumibile che l'abbiamo ricevuta ben prima di quelle città non latine cui fu concessa innanzi la guerra so ciale (6). Né valgono altre testimonianze di cui non si riesce a scorgere il legame con il nostro problema. (1) Liv., VI 26, 8 : tpacem in praesentia neo ita multo post civitatem etiam impetraverunt ». Cfr. V i l i 44, 4 : « Tusculanis servata civitas, quam habebant », (2) BELOCH, Ä. G.j pag. 377 segg. ; KORNEMANN, loc. cit., 570 segg. ; SHERWIN
W H I T E , op. cit., p a g . 56 seg.
(3) Cfr. supra, p a g . 46 seg. ^4) Liv., V i l i 11 ; V i l i 14 ; ohe però non dice ohe si t r a t t i di optimum ius ; ofr. supra, p a g . 40 segg. (5) C i c , pro Baiò. 13, 31 ; de off. I 11, 35. (6) Per Tuseulum ofr. supra, pag. 46 seg. Per Arida, Lanuvium, Nomentum e Pedum cfr. supiat nn. 4 e 5 e pag. 40. Nulla ai pnò ricavare di oonoreto dal passo di VELL., I 14, poiohè questo è assai incerto e oorrotto : cfr. BOLAFFI ad loc. nell'ed. da Ini onrata per il Corpus Paravianum. Quanto ai due passi di Cicerone {pro Balbo 13, 31 ; de off. I 11, 35) vi si parla soltanto di civitas senza indicazioni cronologiche e senza speoifioazioni particolari. Si noti che nel secondo paBso troviamo affiancati « Tusculanos, Volsoos, Jequos, Sabinos, Hernioos », la cui storia appare diversa per molti punti di vista. Una particolare disonssione meriterebbe il passo della pro Balbo per taluni problemi ohe pro-
52
PER LA STORIA DEL CONCETTO DI MUNICÌPIUM
La costituzione delle due tribù Scaptia e Maecia (1;, avvenuta per inquadrarvi novi cives, non differisce sostanzial mente da quella delle tribù Amen sis, Stellatina, Tromentina, Sabbatino,, avvenuta per lo stesso motivo nel 387 (2) : i « novi cives » ceusiti nel 331 possono essere quei plebei cui si dette Pagro confiscato ai ribelli (3), capitecensi non più tali cbe entrano per la prima volta nel censo come proprietari di terra. E' la stessa cosa per le tribù già ricordate, che furono create pone, raa, poiché permane il dubbio che Cicerone scriva in qnesto oaso sotto rinflnsso di considerazioni contingenti, ci si limiterà a trascrivere le sue pa role : « Ex Latio multi, ut Tusculani, ut Lanucini, et ex ceteris generibus gente* uni' versae in civitatem sunt receptae, ut Sabinorum, Folscorum, Hernicorum ; quibus ex oivitatibu8 nec coacti essent civitate mutarif si qui nolnissent, nec si qui essent civitatem nostrani beneficio populi Romani consecuti, violatum foedus eorum videretur ». Si potrebbe qui oredere a d d i r i t t u r a ohe t u t t i oostoro mantenessero per foedus una propria oivitas, alla quale non dovessero rinunziare se non di loro vo lontà, mentre avrebbero ottenuto la civitas romana solo in taluni oasi « p e r be neficio » del popolo Romano. Ma oiò potrebbe derivare dal fatto che Cicerone perora la causa di Balbo, cui appunto si contesta il diritto di cittadinanza romana perchè già cittadino di Gades, e oioè proprio di u n a città federata (Cic, pro Balb. 15, 34 seg. ; cfr. Liv. XXXII 2. Nel 49 a. C. Cesare le conferì il d i r i t t o di c i t t a d i n a n z a : Liv., ep. C ; CABS,
D I O X L I 2 4 ; COLUM., V i l i 16, 9).
Quanto al foedus si veda infra, pag. 86 segg. ; quanto al « beneficio», potrebbe forse essere inteso nel senso che in taluni casi si concedesse l'optimum ius a membri di mnnioipii sine suffragio; quanto all'assenza dell'obbligo di m u t a r e civitas, può t r a t t a r s i della reminisoenza del fatto ohe talune città rifiutarono la Civita« sine suffragio (cfr. su questi rifiuti S H E R W I N WHITK, op. cit., pag. 46 seg.). Potrebbe pertanto trattarsi dell'affastellamento da parte di Cicerone di condizioni di diversi momenti, per q u a n t o oiò possa sembrare strano. (1) L i v . , V i l i 17, 11. (2) L i v . , VI 5. I Veienti, i Capenati e i Falisoi ohe oome novi cives eb bero assegnazioni di terreno (Liv., VI 4, 4) non erano dei vinti, ma individui ohe per ea bella transfugerant ad Romanos. Solo questi entrarono dnnque nelle nuove tribù, e si t r a t t ò di un'eccezione analoga a quella degli Anziati ammessi nella oolonia istituita nel 338 (Liv., VIII 14, 8 : nova colonia missa cum eo, ut Jntiatibus permitteretur, si et ipsi adscribi coloni vellent). Livio sottolinea questi due avvenimenti probabilmente proprio perchè erano eccezionali. Ma nel oaso di Antium gioverà notare ohe si t r a t t a v a forse già di una colonia romana (ofr. Liv., I l i 1) ancbe se da tempo staocatasi d a Roma. (3; L i v . , VIII 11, 1 3 : « Latium Capuaque agro multati, Latinus ager, Privernati addito agro, et Falernus, qui populi Campani fuerat, usque ad Fulturnum flumen plebi Romanae dividitur ».
LE CITTÀ LATINE
53
in territorio tolto alla distrutta Veli e distribuito a nuovi co loni (1). Né hanno un valore probante in senso opposto le do cumentazioni epigrafiche riflettenti l'esistenza, anche in epoca imperiale, di istituti normalmente riguardanti comunità indi pendenti : senatus, populus, census (2), poiché, in ultima analisi, potrebbe trattarsi di veri fossili. Già il Mommsen, del resto, ammetteva la permanenza di un'autonomia locale dei municipii anche dopo la concessione dell'optimum ius, affermando che ciò sarebbe avvenuto perchè «quando le città di semi cittadini ottennero il diritto di suffragio, quando altre città allora autonome ottennero immediatamente i pieni diritti, l'in dipendenza comunale era probabilmente già troppo sviluppata perchè si potesse — cambiando la loro posizione personale — ritirare ai popoli ammessi al diritto di suffragio romano o ricevuti nell'unione romana gli elementi della autonomia, i loro magistrati propri, il loro consiglio comunale proprio e i loro propri comizi » (3). Ma sarà opportuno tener presente che quella documentazione, comprovante l'esistenza di pcpuli e di res ptiblieae distinte dal populus e dalla res publica di Roma, è altrove ritenuta dallo stesso Mommsen prova dell'impossi bilità di credere all'esistenza per essi dell'optimum ins (4). Dob biamo comunque ammettere che le citta latine, salvo Tibur, Praeneste e Gabii (1), poterono mantenere i nomi ricordanti (1) Liv., V 30, 8 : « . .. agri Veientani septena iugera plebi dividuntur . . . ». Cfr. però la n. 2 a pag. 52. (2) Cfr. Indices in C. I. L., special inente I a e XIV. Quanto all'esistenza di n a populus e di a n senatus in quasi tatto le città latine, si può pensare anche alla benevola concessione da parte di Roma di titoli, quasi, onorifici, privi di ogni senso reale, ma giustificati dalla persi stenza di ana certa autonomia locale. Sarà anche opportuno non sopravvaintare la circostanza ohe speciali magistrati oompaiono ogni lustro oon fun zioni censorie (a Tusoulum, per esempio, l'aedi«« quinquennalis o lustrali»), perchè dopo la guerra sociale il censo dovette essere affidato in ogni singolo oomune a magistrati looali e non possiamo peroiò avere la certezza ohe, ad esempio, gli aediles lustrales di Tusoulum siauo praticamente diversi dai Ilviri o dai I l I I v i r i quinquennali di qualunque colonia o municipio del nuovo ordinamento. (3) MOMMSKN, op. cit.,
Ili
1, pag.
779.
(4) Cfr. il caso di Tusoulum e del suo populus infra, p a g . 54 seg.
in Livio, su cui si veda
54
PER LA STORIA D E L CONCETTO DI MUNICIPIUM
la loro libertà anche dopo la concessione dell'optimum ius e si differenziarono da Tibur e da Praenestè apparentemente sol tanto perchè queste due città erano federate, essendo stata la punizione loro imposta nel 338 limitata ad una confìsca di territorio (1). Ma, in realtà, i nuovi municipii avevano do vuto accettare di entrare nello Stato Eomano mentre Tibur e Praenestè mantenevano invece, con ogni verosimiglianza, un foedus sul tipo di quello che in precedenza aveva regolato i rapporti fra Roma e la Lega Latina (2) : mantenevano cioè, almeno, il diritto di provvedere localmente alla leva dei con tingenti di truppe richiesti da Roma. In altri termini, Tibur e Praenestè mantengono il vecchio foedus su di un piede di apparente parità, le altre città hanno una autonomia locale concessa soltanto dalla generosità di Roma, di cui sono state dediticiae. Dobbiamo tuttavia tener presente che, pur ammettendo che le città latine abbiano avuto almeno in un primo tempo la civitas sine suffragio, il Mommsen mise in evidenza gli elementi utili per credere che ben presto esse abbiano otte nuto Voptimum ius. E alla sua tesi pare prudente attenersi anche se talvolta il Mommsen* pare in contraddizione con se stesso. Ciò si riferisce specialmente a quanto dice di Tuscolo e di Lanuvio, i soli municipii latini, invero, su cui gli sia possibile impostare la questione. A proposito di TuscuJum, infatti, egli (3) osserva che alle espressioni delle fonti in cui si parla di civitas (4) si possono contrapporre : a) un passo di Tito Livio (Vili 37), b) la testi monianza di Festo-Paolo. Tralasciando quest'ultima — il cui valore è soggetto al dubbio da noi avanzato a suo luogo —, ci soffermeremo ora sul passo di Livio per osservare che in esso si parla di un «poyulus Tusculanus >, che pertanto an drebbe ben distinto dal populus Bomanus ancora nel 323 a. 0. : (1) Liv., Vili 14. (2) Cfr. supra, pag. 31 segg. (3) MOMMSBN, op. cit., Ili 1, pag. 177, n. 1. (4) DION. HAL., XIV 6; 9 ; PLUT., Cam. 38 ; ofr.
$upra, pag. 46 seg.
Liv.,
VI 26, 8.
Si Teda
LE CITTÀ L A T I N E
55
secondo il Mommsen non si può per quella data parlare di civitas optimo iure. Tuttavia egli ritiene che Tusculum abbia avuto questo diritto « molto tempo prima di Atina (1), in un'epoca antica, probabilmente prima di qualunque altra città di semicittadini >, ma la sua ipotesi si fonda soltanto sul l'espressione « municipium antiquissimum » usata da Cice rone (2), e sul noto passo dello stesso autore (3), secondo cui < ex Latto multi, ut Tusculani, ut Lanuvini, et ex ceteris gé». Ma nérions gentes universae in civitatem sunt receptae non v'è chi non veda che è impossibile basare la credibilità della concessione dell'optimum ius soltanto sulla definizione di municipium. Unico elemento a disposizione per contrastare la testimonianza di Dionigi resterebbe dunque la documen tazione dell'esistenza di un populus Tusculanus distinto dal populus Romanus. Ma l'espressione non va forse presa in senso assoluto perchè il passo di Livio letto nel suo contesto as sume un significato generico. E' certo invece che Catone non era più un forestiero in Borna se si può credere a Cicerone (4). Per quanto riguarda Lanuvium, la situazione è press'a poco la stessa che per Tusculum. Il Mommseu, appoggiandosi sul passo di Fes to Paolo che noi già abbiamo accantonato per quanto riguardava Tusculum, mette in dubbio la testimonianza liviana e crede che, secondo il passo della *pro Balbo» già citato, Lanuvio sia giunta probabilmente all'optimum ius solo dopo Tusculum (5). Ma dal passo in questione non si può ri cavare nulla di sicuro. La data precisa della concessione del l'optimum ius resta dunque un mistero. Indipendentemente da questo problema, sarà per noi in teressante notare che la concessione dell'optimum ius non mo dificò sempre le amministrazioni locali. La permanenza delle funzioni sacrali delle varie magistrature ne è certo una prova (1) Per Atina oonverrà tener presente ohe la data del 102 fissata oome terminus ante quem per la concessione dell'optimum iu/t è molto incerta. Sn ciò ofr. infra, pag. 149, n. 3. (2) C i c , pro Plano. 8, 19. (3) I D . , pro Baiò. 13, 31. (4) I D . , de leg. II 2, 5. Il significato si ricava dal contesto. (5) MOMMSEN, op. cit., III 1, pag. 177, n. 2.
56
PER
LA STORIA DEL CONCETTO DI MUNICIPIUM
non indifferente, poiché noi sappiamo che perfino ad Anagma — dove ai magistrati fu tolta ogni altra incombenza — ri masero ad essi queste funzioni (1). È questo un fenomeno analogo a quello per cui soprav vissero i foedera con Gabi e coi Laurenti e continuò a cele brarsi la solennità sul Monte Albano anche quando tutti i comuni interessati facevano già sicuramente parte integrante della civitas Romana con pieni diritti. Yale a questo proposito l'osservazione dello Sherwin White, che il dittatore di Lanuvio è un Lanuvino (2), ma — anche più — il fatto che questo dictator abbia incombenze sacrali. Altri argomenti, comunqu e, troveremo a suo luogo quando esamineremo le varie magistrature. (1) A proposito del termine municipibus usato da Livio nell'espressione « aedes lucusque Sospitae Iunonis communis Lanuvinis municipibus cum populo Jiomano esset*, lo S H E R W I N W H I T E , op. cit., p a g . 56, osserva ohe dall'interpre tazione di esso dipende la solnzioue del problema se si trattasse per le c i t t à latine di civitas completa oppure no. Ed osserva ohe Livio pare qui distinguere nettamente fra civitas e municipium : le oittà latine sarebbero dunque divenute municipia, i loro oittadini munioipes. I L a n u v i n i , pertanto, municipes, non sa rebbero stati dotati della civitas optimo iure. Sulla questione vale ancora, so stanzialmente, la discussione del Momnisen, di oui già s'è detto. (2) Cfr. infra, pag. 89.
III. LE CITTÀ SENZA SÜFFEAGIO E LE PKEFETTUBE
LA OIVITAS SINE SUFFRAGIO. Dopo quanto abbiamo visto crediamo opportuno tornare per un momento a Festo (1). Delle due definizioni di municeps da lui riferite sarà forse possibile ormai collegare la prima al momento dei foedera di volta in volta stipulati da Eoma con altre città, foedera da cui può esulare totalmente il con cetto di oivitas, ma questa possibilità sussiste solo a patto di distinguere il municipium originario dalla civitas sine suffragio ; la seconda definizione si riferisce invece senza sforzo ai municipii di cives creati per la maggior parte nel 338. Delle tre definizioni di municipium riferite da Festo-Paolo po tremo invece supporre che la prima, se può distinguersi dalla seconda, trovi conferma nel fatto che i più antichi municipes divennero tutti — post aliquot annos — dei veri e propri Gives in conseguenza della civitas data ai loro comuni. I muni cipii della seconda categoria corrispondono invece senza dub bio alla seconda definizione di municeps, quella di Servio Sulpicio riferibile ai municipii del 338. Se gli esempi addotti da Servio — dimani, Acerrani, Atellani — non sono identici a quelli ricordati da Festo-Paolo —Aricini, Gaerites, Auagnini —, ciò non costituisce affatto una prova in contrario per quanto affermiamo. Poiché tutti i municipes del primo tipo — i non cives, si trasformarono presto o tardi in cives con la creazione dei municipii della seconda categoria, è evidente che FestoPaolo, elencando Acerrani e dimani fra gli esempi della prima categoria, non avrà dovuto credere necessario riferirli anche
(1) FEST.,
S. V.
Municeps.
58
PER LA STOMA D E L CONCETTO DI MUNICIPIUM
alla seconda: bastava l'accenno, da lui ritenuto abbastanza esplicito, che «post aliquot annos cives Romani effecti stmt* (1). È la condizione dei Lanuvini e dei Tuscolani che, pur dive nendo cives solo in un secondo tempo, potevano essere so stanzialmente municipes — se è verisimile quanto abbiamo supposto — già da epoca anteriore. Nella seconda categoria di municipio,, poi, troviamo come esempi Aricini, Caerites, Anagnini : non è detto che queste tre città siano divenute municipii solo dopo la concessione della civitas : da Festo-Paolo possiamo solo desumere che fu rono municipii dotati della civitas senza conoscere la data della concessione. Festo può dunque essere creduto : Tesarne della documen tazione a nostra disposizione lo ha confermato quasi su ogni punto. Ma anche ultimamente esso è stato discusso a fondo da uno studioso come il Kornemann (2), il quale, tra l'altro, (1) Fra i vari significati ohe si sono volati dare alla frase di Festo-Paolo « qui post aliquot annos cives Romani effecti sunt », mi pare senz'altro da scar tare quello proposto dallo SHBRWIN WHITE, op. cit.t pag. 38, n. 9. Egli, in fatti, pare intendere la frase oome riferita ad individui la oni civitas era sol tanto potenziale : essi potevano divenire cives emigrando in Roma e rimanere tali finobè servivano in legione ; ma non si vede come il legame fra l'espres sione di oni oerohiamo il significato e la definizione dello Sherwin White possa essere inteso. Meno nebuloso, ma forse uon meno impreoiso, è il BERNARDI in Athenaeum 1938, pag. 242, secondo il qnale si tratterebbe di individui ohe ottengono i pieni diritti poco dopo l'immigrazione in Soma. Ma questa era già implici tamente l'interpretazione del MARQUARDT, ohe (op. cit., pag. 32, n. 10) sugge riva a proposito delle parole « ncque cives Romani essent » che si trattasse di cives sine suffragio: questi evidentemente avrebbero potuto ottenere «post aliquot annoa» Voptimum iua. Per noi, ohe abbiamo ritenuto possibile distinguere la definizione di Elio Gallo da quella di Servio Sulpioio iuniore perchè, forse, riferibili a due momenti diversi (cfr. pagg. 28 e 57) viene a mancare la pos sibilità di aooettare con sicurezza l'identificazione del Marquardt e, conseguen temente, la deduzione del Bernardi. Restiamo inveoe oonvinti della possibilità ohe sia verosimile l'ipotesi acoolta dal KORNEMANN (loo. oit., 573 ; da RUBINO, Zeitsohr. f.
Älterlumsw. 1844,
pag. 962: GRADENWITZ, Sitzber. d. Akad. Heidelberg 1916, XIV Abh., pag. 35). Seoondo quest'ipotesi si tratterebbe di municipes di città ohe ebbero solo in seguito la civitas romana. Cfr. anohe KARLOWA, op. cit.y I, 295 seg. (2) KORNEMANN, loe. cit., 573 segg.
LE CITTÀ SENZA SUFFRAGIO E LE PREFETTURE
59
afferma che il primo gruppo di municipii citato da FestoPaolo sia un contributo solo alla storia dei municipes e non dei municipio,. Lo stesso Kornemann, però, è costretto ad am mettere che pur trattandosi di singoli municipes, questi ap partengono a determinati comuni i cui componenti godono nei riguardi di Roma di una condizione per la quale « grie chisch gesprochen in einem isopolitischen Verhältnis zu Rom standen ». E su questo punto abbiamo già espressa la nostra opinione (1). Gli esempi addotti da Festo-Paolo per il secondo tipo di municipio sono invece assai interessanti per Paccostamento che vi viene fatto fra Aricini, Caerites e Anagnini, cioè fra rappresentanti di tre diversi gruppi etnici : Latini, Etruschi, Ernici. A questo proposito sarà però da notarsi anzitutto che a Festo non interessa la storia della civitas, ma quella del municipium. Aricini, Caerites e Anagnini sono avvicinabili fra di loro appunto in quanto per essi si può dire che la loro civitas universa in civitatem JRomanam venit, ma — almeno presso Festo-Paolo — non vi sono altri elementi atti ad in dicare se la civitas loro data fu per tutti identica. Solo si in siste sul fatto che ad un certo momento Arida, Caere ed Anagnia vennero in blocco compatto incorporate — ciascuna a suo tempo — nella civitas romana. Se ciò sia avvenuto con pienezza di diritti o meno a Festo-Paolo non interessa. Non si parla nel suo testo, per questo secondo tipo di mu nicipii, né di civitas optimo iure né di civitas sine suffragio. Lasciando in disparte Arida, che — come città latiua — si trovò forse in condizioni privilegiate rispetto alle altre due, sarà opportuno soffermarsi su Caere e su Anagnia. Con que ste due città noi entriamo nel vivo della storia della civitas sine suffragio : soltanto ora, infatti, possiamo identificare i municipes con i dves Romani che non godono del diritto di voto nemmeno trasferendosi in Roma. Ma i due esempi si riferiscono a periodi ben distinti della storia romana e sono logicamente da considerare non solo come l'espressione di una concezione fondamentalmente identica, ma anche, e soprat(1) Cfr. $upraf pag. 29 segg.
60
PER LA STORIA D E L CONCETTO DI MUNICIPIUM
tutto, come il risultato di uno sviluppo storico rispondente a mutate necessità e a mutati interessi della città dominante. Quando Anagnia viene ridotta a civitas sine suffragio non si tiene nemmeno più conto del fatto che essa, come città ernica, ha goduto fino a quel momento degli stessi diritti di cui godono tutti gli Brnici in seguito al foedus Cassiamim : la sua riduzione a civitas sine suffragio è una cocente puni zione che si riflette non solo sui rapporti esterni della città, privata di ogni possibilità di fare una qualsiasi politica estera, ma perfino sulla sua amministrazione interna, e i suoi magi strati sono ridotti ad sacra (1). Ciò è tanto più degno di nota perchè pare un'assoluta novità : il fatto stesso che Livio senta la necessità di sottolinearlo pare infatti significare che si tratta del primo esempio del genere. Anagniay pur essendo congiunta a Roma — come ogni città ernica — da connubium e da commercium, è trattata as sai peggio di quanto fosse toccato in sorte all'etnisca Caere, una città del tutto straniera almeno d'origini. Caere infatti mantenne una certa autonomia, qualunque sia il motivo per cui fu ridotta a municipium (2). Né ci stupisce la mancanza del ius suffraga poiché questo non spettò certamente a città non latine, come infatti non spettò alle città campane che la civitas sine suffragio ebbero nel 338 (3). G eli io, infatti, afferma che i Ceriti furono i primi stranieri che divennero « municipes sine suffraga iure » in compenso dei servizi resi a Eoma durante la guerra gallica (4), e Livio parla addirittura di hospitium (5), cioè di un diritto che naturalmente doveva essere re ciproco e comprendeva senza dubbio connubium e commercium ; senonchè S trabone dice che la cittadinanza senza diritto di suffragio fu data ai Ceriti dopo una loro sconfitta per punirli
(1) Liv., IX 4 3 : « Anagninis civitas sine suffraga latioiie data, concilia conubiaque adempia et magistratibus praeterquam sacrornm curatione interdiotum ». (2) La tradizione è molto inoerta su qnesto p a n t o . Cfr. supra, pag. 26 eegg. e n. 1 a pag. 28. (3) Liv., V i l i 14, 10. (4; G K L L . , XVI
(5) Liv., V 50.
13,
7.
L E CITTÀ SENZA SUFFRAGIO E LE PREFETTURE
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della loro ribellione (1). Si può dunque presumere che la civitas sine suffragio sia stata data ai Ceriti allo stesso titolo per cui nel 338 fu data la cittadinanza ai Latini : secondo Livio, infatti, alla concessione daWhospithim seguì una guerra che fu conclusa da una tregua secolare (2) : ora pare evidente che questa tregua non possa essere stata accompagnata dalla concessione della cittadinanza senza suffragio poiché questa avrebbe reso inutile la tregua stessa ; e ne consegue che — se questo è vero — i Ceriti avrebbero mantenuto per un certo tempo la loro autonomia senza essere incorporati per nulla nella civitas romana. Tale condizione potè però durare relativamente poco, dato che il nome stesso delle talulae Caeritum suggerisce l'ipotesi che i Ceriti appunto siano stati i primi cives s. s. (3). In tal modo abbiamo confermata la possibilità — non la certezza — che esistano tre tipi di municipii corrispondenti ai tre esempi della seconda categoria di Festo-Paolo : Caere entra, forse, nello Stato romano come munidpium dotato di civitas dopo di aver mantenuto per un breve periodo una certa indipendenza formale, Arida diviene munidpium do tato di dvitas incompleta ma con ius suffraga e autono mia locale nel 338, Anagnia diviene munidpium perdendo addirittura la propria autonomia. Sono, comunque, tre tappe di una storia sola, tre tappe di cui specialmente due — Arida e Anagnia — svelano un mutamento di atteggiamenti di Roma verso le città vinte, che porta la dvitas sine suffragio ad un sempre più grave stato di inferiorità degli individui (1) STRAB., V 2,
3.
(2) Liv., VII 19-20. (3)
Contra P A I S , op. oit.,
IV
438
seg.
Crediamo imitile sottolineare il fatto ohe non possiamo essere d'accordo col P A I S (op. cit.t IV 212 seg.) il quale propende ad escludere la possibilità ohe Caere avesse la. civitas sine suffragio prima del 273, solo perohè egli crede ohe, se l'avesse avuta, non avrebbe potuto sooppiare allora la guerra fra Roma e Caere : esempi di ribellioni di popoli soontenti della civitas sine suffragio sono abbastanza numeroèi anche all'infuori di questo. Né pnò valere a dirimere la qnestione oronologioa il passo di Festo-Paolo, che potrebbe aver segnito an che altri criteri, come quello gerarchico : Arioia poteva avere ius suffraga mentre Caere non l'aveva sicuramente.
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P E R LA STORIA D E L CONCETTO Dt MÜNICIPIUM
che ne sono dotati rispetto alla signoria di Roma sempre maggiormente afiermantesi. Da una condizione di parità teo rica — i patti del 338 furono da taluno considerati perfino come foedéra aequa (1) — si passa ad una vera e propria sud ditanza. Il municipium costituito sulla base della civitas sine suffragio è un comune suddito e protetto anche quando non sia trattato come Anagnia. Le frequenti ribellioni di municipii di questo tipo e i frequenti rifiuti di accettare la civitas sine suffragio sono la prova più sicura della nostra afférmazione (2). CAMPANI E LATINI.
Per comprendere il primo periodo della storia dei muni cipii senza suffragio, periodo in cui la civitas incompleta viene estesa anche pacificamente (3) a città non latine, bisogna ri farsi agli studi più recenti sull'argomento (4). Il concetto, in fatti, che la civitas sine suffragio sia, per così dire, la premessa indispensabile per il conseguimento dell'optimum ius e che come tale fosse usata dai Romani, ha tutta l'apparenza di un puro e semplice a posteriori, tanto più facile a formularsi inquantochè in Italia non rimase alcun popolo privo della piena cittadinanza romana. Non possiamo credere che quando (1) Cfr. BONPANTE, op. cit., pag. 231. Si noti tuttavia ohe di due rinvìi a L I V I O fatti d a questo studioso uno è anteriore alla pace ooi Latini ( V i l i 11), l'altro si riferisoe agii Ernioi di cui nel 338 non si parla (IX 43, 23) e che ora rifiutano la civitas. (2) Si veda su oiò anohe S H E R W I N W H I T E , op. cit., pag. 45 segg. I l
PAIS
era t u t t a v i a convinto (op. cit., IV 383 ; 391) ohe la civitas sine suffragio non costituisse u n a diminuzione per i popoli ohe la ricevevano. Della stessa opi nione fu press'a poco lo Z M I G R Y D E R K O N O P K A , seguito dallo S H E R W I N W H I T E :
dei risultati conseguiti da qnesti due studiosi si fa oenno nel paragrafo ohe segue. (3) Tale almeno pare, ad esempio, la « concessione » fatta a Formiani e Fandani nel 338 « quod per fines eorum tuta pacataque semper fuisset via », e, in certo senso, ai Campani « equitum honoris causa, quia cum Latinis rebellare noluissent», ai dimani e Suessulani ohe «eiusdem iuris condicionisqw, cuius Capuam, esse placuit » : L i v . , V i l i 14, 10-11. (4) Cfr. s p e c i a l m e n t e Z M I G R Y D E R K O N O P K A , art. cit.
LE
CITTÀ
SENZA SUFFRAGIO
È LE
PREFETTURE
63
Boina incorporò i primi cives sine suffragio abbia pensato al giorno in cui avrebbe potuto accoglierli come suoi tigli le gittimi, insieme ai discendenti di coloro che avevano portato le armi per sottometterli ; tanto meno possiamo crederlo quando osserviamo che non pochi comuni italici ebbero la civitas sine suffragio pur mantenendo la propria lingua (1) ed altri ancora furono accettati o spinti ad entrare nella comu nità romana e in ricompensa » di qualche loro atto (2). Abbiamo già detto a conclusione del precèdente paragrafo che la civitas sine suffragio implica una vera e propria sudditanza : i cives sine suffragio mantengono sovente una loro res publica, mantengono propri magistrati e propri comizi (3) ed hanno quindi una certa autonomia locale, ma a Borna, anzi tutto, cedono la direzione della politica estera. Del resto, se noi pensiamo che essi sono soggetti ai munera di Roma senza poter interferire direttamente nella sua politica, non ci riesce in alcun modo di vedere come Roma stessa potesse pensare di farne un giorno altrettanti elettori capaci di imprimere alla sua linea politica svolte nuove e forse non convenienti alle necessità e agli interessi romani. Se le comunità fornite di civitas sine suffragio ebbero in seguito Voptimum ius, ciò avvenne non già in attuazione di un preconcetto disegno ro mano, ma per desiderio loro di partecipare più attivamente alla vita politica dello Stato, desiderio che i Romani — i quali tante volte si erano aflratellaCi con essi sul campo di battaglia — non esitarono ad accogliere e soddisfare. Ma Roma
(1) Sa oiò ofr. ultimamente GOHLKR J., Mom und Italien, Breslau 1939, pag. 23 seg. Le sue oonolusioni, tuttavia, sono susoettibili di revisione. (2) Cfr. n. 3 a pag. 62. (3) Sa oiò si veda già MOMMSEN, op. cit., I l i 1, pag. 5 8 3 ; ma sogli edili ohe egli considerava u n a magistratura di rango inferiore ofr. infra, pag. 93 segg. Si noterà inoltre ohe l'espressione populus — ohe viene osata per indi care i municipe8 di queste città — può avere un valore puramente storico ed esaere mantenuta in grazia dell'autonomia locale di cai essi godono sia pure entro determinati limiti (su oiò ofr. supra, pag. 53 e n. 2). Si veda anohe, su altri basi, ZMIGRYDBR KONOPKA, art. cit., pag. 596 seg. ; ofr. SHKRWIN W I T I , op. oit., pag. 40 segg. e 45 segg.
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PER LA STORIA DEL CONCETTO Di MUNICIPIUM
non coucesse la piena cittadinanza se non a chi spontanea mente ne avesse accoltele leggi, tutte le leggi (1). La civitas sine suffragio sorse dunque da necessità di di verso tipo. L'aver tentato di rintracciarle, sebbene il risultato non sia in gran parte accettabile, è — ultimamente — merito dello Zmigryder Konopka. Punto di partenza per la sua ricerca sono le ion ti riguar danti gii équités Campani, i quali sono detti talora cives Romani, talora sodi. Dalla rassegna dei passi di Livio, che sono almeno apparentemente in contraddizione gli uni con gli al tri, di Di odoro, di Dionigi d'Alicarnasso, di Appiano, di Po libio, egli crede di poter concludere, superando le posizioni del Mommsen già ricordate, che « il faut donc supposer qu'une ville par le fait même d'être municipium ne perdait pas son caractère essentiel d'état autonome — cela veut dire la pos session complète de son territoire (2)», e, poco dopo, che munieipia sine suffragio sono civitates con formale indipendenza politica : « le don de la civitas s. s. ne signifiait pas que la particularité de la civitas fut effacée > (3). Eesta, ben inteso, assai dubbio che la civitas sine suffragio sia un « dono > (4), e non pare sufficientemente dimostrato che municipium sine suffragio indichi una comunità autonoma entrata nell'orbita di Eoma soltanto con certi obblighi mi litari. Per quanto poi riguarda particolarmente Capua, città che poteva rivaleggiare per importanza con la stessa Eoma, pare possibile che essa abbia avuto proprio per la sua importanza un trattamento particolare rispetto alle altre città annesse allo Stato Eomano. E pertanto la dimostrazione dello Zmi gryder Konopka — pur se si potessero sottoscrivere tutte le
(1) Cfr. a proposito della lex Iulia de civitate la clausola riferita da C i c , pro Éalb. 8, 21 : « ut qui fundi populi facti non essent, oivitatem non haberent». Non v'è motivo di oredere ohe anteriormente l'optimum ius fosse oonoesso in modo diverso. (2)
Z M I G R Y D E R K O N O P K A , art
(a) ID., riid., paff. 597. (4) Liv., V i l i 30.
cit.,
pag.
596.
LE CITTÀ SENZA SUFFRAGIO E LE PREFETTURE
65
sue affermazioni riguardo a Oapua — non sarebbe estensi bile cou sicurezza a tutti i municipii di cices sine suffragio. Accettando tuttavia la dimostrazione dello Zmigryder Konopka, lo Sherwin White può dire che « Festus gives only the roman point of view, and hênce imply that it was a dis advantage to be a civis s. 5., but the only original obliga tion which could equally well have been determined by a fo'dus, is the liability munus facere » (1), ed osserva cbe, se è vero che i Campani non hanno ius honorum in Eoma, nem meno i Romani hanno tale diritto presso di loro (2). Poco oltre può scrivere ancora che « it is difficult to see any dif ference between the status of mimici pes enjoying the origi nal form of civitas s. s. and the status of Latins enjoying connubium, commercium and ius civitatis mutandae1 except that the line of demarcation between Latin and civis Romanus was more clearly drawn » (3). Le pagine che seguono dello stesso autore mostrano brillantemente come il concetto di civitas sine suffragio si sia presto mutato — cominciando dall'esempio di Anagnia — in uno stato inferiore (4). Ma, al meno nel primo periodo, la completa autonomia locale avrebbe compensato — sufficientemente secondo lui — i municipes del munus cui erano sottoposti. Noi non possiamo usare che le stesse parole dello Sherwin White circa i vantaggi che la concessione della civitas sine sujfragio offriva a Roma : essa le dava il controllo diretto sulle truppe alleate che « in legione merebant » (5). Ma a ciò — che già di per sé sarebbe suffi(1)
S H E R W I N W H I T E , op. cit.,
pag.
40.
(2) I D . , ibid. (3) I D . , ibid., pag. 44. (4) I D . , ibid., pag. 45 segg. (5) I D . , ibid., pag. 44. 11 MOMMSEN, op. cit., I l l 1, pag. 586 seg., affermava ohe non si formarono mai legioni di Ceriti o di altri cives sine sufragio all'infuori deUa Campana, ma in ana n o t a a pag. 587 (n. 31), osservando ohe D I O N . HAL., XX 1, ricorda la presenza nella battaglia di Asculum del 279 ( = 475 di Roma) di quattro nèon di vjtrjxooi — Latini, Campani, Sabini, Umbri, Volsoi, Marrnoini, Peligni, F r e n t a n i , Arpani —, afferma ohe, ponen dosi da nn p n n t o di vista storicamente non ingiusto, e forse sotto l'influsso di fonti greche, Dionisio pare riunire come sndditi i cives aine sujfragio e i iodi nominis Latini. La mancanza di altre, fonti riguardanti i municipes e la 6
66
PER LA S i O R l A D E L CONCETTO DÌ MÛNICIPÎUM
ciente a garantire l'egemonia romana e, quindi, anche nella prima fase, a rendere indiscutibilmente sudditi i cives sine suffragio — si deve senza dubbio aggiungere che i cives sine suffragio pagavano — come tutti i cives — il tributo e sot tostavano alla giurisdizione romana. A questo proposito, anzi, merita un cenno particolare la ricerca del Bernardi, del quale tuttavia non possiamo condi videre l'opinione su ciascun punto. Egli si oppone allo Sherwin White, negando che la civitas sine suffragio data ai Cam pani rappresenti qualcosa d'analogo all'isopolitia greca, per affermare che essa rappresenta invece, immediatamente al suo comparire, uno stato di netta inferiorità di questi ultimi (1). E su ciò siamo sostanzialmente d'accordo. Così pure possiamo forse credergli quando, dopo aver*discussa la teoria del Pais negante che i Campani fossero tutti cives Romani (2), intende spiegare diversamente dallo Zmigryder Konopka come tal volta i Campani stessi, pur essendo cives Romani, siano de signati come sodi, e Tale termine — egli dice — ha un si gnificato non strettamente giuridico, ma piuttosto vago, di amici in generale > (3). H Bernardi passa poi in rassegna le varie teorie che hanno tentato di spiegare come i Campani potessero essere nello costituzione di legiones oomposte da essi non può, comunque, impedire di cre dere ohe, almeno per un certo periodo, essi siano stati nelle condizioni atte state per i Campani. Per questi i n a n e le fonti, già raooolte dallo ZMIGRYDER K O N O P K A , sono riferite dallo S H E R W I N W H I T E , op. cit., p a g . 40, n. 4. (1) B E R N A R D I , art. cit., p a g . 98 segg.
(2) I D . , ibid., pag. 89 segg. (3) I D . , ibid., pag. 103. Varrebbe p e r questi sodi Campani l'analogia con le oittà latine ricordate nel primo t r a t t a t o pnnioo-romano, che sono dette tanto ov\i\ia%oi quanto wcrjxooi. Ma così faoendo non si fa ohe spostare il problema, po nendone i terutini nell'ambito più antico del Lazio e facendo coincidere dei sodicives con dei ouu,[iaxoi-i>;tr|xooi : un risultato possibile, n o n intravisto dal Ber nardi, sarebbe quello di mettere in evidenza la possibilità che quelle c i t t à latine fossero g i à dei municipia: oosa n o n del t u t t o inverosimile data l a più autioa n a t u r a dei municipes descritti da Festo e di cui già ci siamo occupati. Va peraltro notato ohe t r e volte Livio (XXIII 5, 9 ; XXV 18, 6 ; XXXI 31) usa espressamente il termine foedus, ma soltanto p e r indicare i rapporti romano-campani anteriori alla Civita* sine suffragio.
LE
CITTÀ SENÄA SUFFRAGIO E
LÉ PREFETTURE
67
stesso tempo cives Romani e sodi dei Eomani stessi, e, prima di tutte, quella del Beloch concernente i miinicipia foederata di cui già abbiamo parlato, e che, veramente, non si riferì mai alle città campane. L'ultima parte soltanto riguarda la teoria dello Sberwin Wlìite e dello Zmigryder Konopka, ed è su questa che ci tratterremo brevemente. Gli elementi su cui si fonda la sua discussione sono i seguenti : anzitutto la differenza esistente fra la civitas sine suffragio e l'isopoli tia greca; poi l'esistenza di un'iscrizione del 180 a. 0. in cui compare un TCO[ACUOC FX KI3JIT]Ç ; infine l'impossibilità di cre dere che i rapporti romano-campani abbiano subito dopo un certo periodo una modificazione per cui i Capuani avrebbero visto aggravata la loro posizione. Quanto al primo argomento dobbiamo però dire subito che la posizione assunta dallo Sherwin White, se è quasi cer tamente erronea in quanto si riferisce ad una presunta origine greca dell'istituzione (1), non è però altrettanto facilmente confutabile per quello che riguarda la posizione dei Campani rispetto a Roma. Nessun dubbio può esistere sul fatto che V isopoliti a greca non ha alcun rapporto con la civitas s. s. dei Campani ; e, del resto, come dice Cicerone nel noto passo secondo cui « diiarum civitatum civis nosier esse iure civili nemo potest» (2), i Campani cives Romani non possono più dirsi cives di una loro civitas distinta appunto da quella romana. D'al tronde una netta differenza fra la cosiddetta isopolitia romanocampana e Pisopolitia greca fu già messa in chiaro anche dallo Zmigryder Konopka perfino in base alla frase di Cicerone già riferita (3). Non v'è dunque bisogno di stabilire dei rapporti cronologici per dimostrare che il concetto di isopolitia sia nella Grecia stessa posteriore alla concessione della civitas sine suffragio ai Campani, poiché è evidente che si tratta di isti tuti giuridici di diversa origine (4). (1) S H K R W I N W H I T E , op.
cit.,
pag.
40 ; 45
seg.
(2) C i c , pro Baïb. 1 1 , 28 seg. (3) ZMIGRYDER K O N O P K A , art,
oit.,
pag.
599.
Cfr.
a n c h e ROSENBERG,
art.
oit., in Hermes 1920, pag. 351 seg. La oivitas romana di n n colono latino o di nn rives eine suffragio sarebbero puramente potenziali. (4) Quanto alla cronologia si osserva ohe il BERNARDI, loo. cit., interpréta
68
PER LA STORIA D E L
CONCETTO DI MUNICÎPIUÀÎ
Poco utile, poi, pare essere per la dimostrazione del Ber nardi l'iscrizione ricordata (1) : il Tcofjiaïoç ex KTJJIT]Ç che vi incon triamo poteva dirsi Eomano non solo perchè i suoi concitta dini avessero la civitas sine suffragio, ma anche perchè egli stesso avesse, in qualche modo, conseguita la cittadinanza ro mana (2). Resta il terzo argomento, che dovrebbe essere il più pe sante : ma anch'esso se ben si osservi, è più apparente che reale : la confisca dell'agre?* Falermis (3) non può essere presa in considerazione perchè avviene in periodo di piena guerra contro la Lega lati no-cam pan a nel 340 ; e la nomina di un dittatore nel 314 alla notizia di una congiura antiromana dei Campani, con conseguente soffocamento di ogni velleità (4), non implica che Capua avesse già perduta completamente la sua autonomia locale rispetto a Eoma perchè il dictator non fu creato tanto per ingerirsi negli affari interni di Capua quanto invece per difendere Eoma: e JEodem anno (314 a. C.) — scrive Livio — cum omnia infida Romanis essent, Capuae quoque occultae prineipum coniurationes factae, de quibus, cum ad Senatum relatum esset, haudquaquam neglecta res : quaestiones decretae, dictatoremque quaestionibus exercendis dici placuit. C. Maenius dictus ; is M. Folium magistrum equitum dixit*. Lo stesso fatto che si nomina un dittatore e un magister equitum dimostra l'eccezionalità della cosa : ci si pone in regime militare, e in regime militare non era certo discu tibile la supremazia romana sui cives sine suffragio tenuti fra l'altro a fornire contingenti alle legiones. Al punto in cui siamo ci pare comunque lecito restare alla conclusione che i Latini divenuti cives e i Campani si siano le fonti (raooolta già da ÒHLKR, in P.-W., IX 2227 segg.) in modo troppo ri gido e tenendo conto troppo spesso di argomenti ex silentio. (1) HOMOLLE, in Bull, de Corr. hell. VI, pag. 45, 1. 147. (2) È analogo il caso del Lanninus — 'Pconcûoç doll'isorizione oitata dal MOMMSEN op. cit., I I I 1, pag. 573, n. 2 ) : Lannvino d'origine è t u t t a v i a rivi» Eomanua e se, entro i confini dello Stato, indica la propria origine, di fronte agli stranieri indica lo Stato oui appartiene. (3) BERNARDI, art. oit.f pag. 103. Cfr. Li v., V i l i 11, 13. (4) I D . ibid. Cfr. Liv., IX 26.
LE CITTÀ SENZA SUFFRAGIO E LE PREFETTURE
69
trovati nel 338 press'a poco nelle stesse condizioni : furono tutti, possiamo affermare, dei cives legati a Roma dai tre fon damentali diritti di connubium, commercium e migratio, e te nuti a fungere munera. La distinzione fra essi avviene quando ai Latini è concesso Voptimum ius. MUNIOIPII OON AUTONOMIA LIMITATA
E PREFETTURE.
Anagnia, il primo municipio cui siano stati lasciati sol tanto ad sacra i propri magistrati, è forse anche la prima prefettura a noi nota. Il Kornemann tuttavia considera come appartenenti allo stesso tipo di comunità anche Fundi, Formiae e Privernum, già da una data anteriore (1). Fondamento di quest'affermazione dovrebbe essere ancora una volta Festo, ma il passo in questione merita di essere esaminato nel suo contesto. « Praejecturae — leggiamo a pag. 262 L. — eae appellantur in Italia, in quibus et ius dicebatur et nundinae agebantur ; et erat quaedam earum res publica, neque tarnen magistrat tus sìios habebant, in -f qua his f legibus praefecti mittebantur quotannis, qui ius dicerent. Quorum genera fuerunt duo : alterum alter urn, in quas ibant, quos praetor urbanus quotannis in quaeque loca miserat legibus, ut Fundos, Formias, Caere, Yenafrum, Allijas, Privernum, Anagniam, Frusinonem, Reate, Saturniam, Nursiam, Arpinnm, aliaque complura». L'espressione « neque tarnen magistratus suos habebant > può aver valore per Capua e per i luoghi della prarfectura Capuani Cumas uno a quando vi furono dedotte le colonie di Yoltumum, Litemum, Puteolij senza contare che almeno Cumae, Acerrae e Suessula, fedeli a Roma durante la defezione dei Campani, poterono mantenere propri magistrati pur ap partenendo alla stessa prefettura (2). Quanto invece alle pre fetture del secondo tipo, l'espressione ricordata può aver si gnificato soltanto in quanto la magistratura suprema vi dive(1) KORNEMANN, loo. cit.,
581 segg,
(2) Cfr. infra, pag. 131, n. 1.
70
PfiR LA STORIA D E L CONCETTO DI MUNICIPI UM
niva naturalmente proprio il praefectus, dotato di poteri giu risdizionali. Magistrati locali dovevano certo sussistere perchè evidentemente il prefetto non sarebbe da solo bastato a tufcte le necessità del luogo, né le sue mansioni uscivano dalla iurisdictio. Si noterà inoltre che molte delle città nominate appar tengono a tre stirpi che conseguirono Voptimum ius prima della lex lidia de civitate : Brnici, Volsci, Sabini (1). Molte di queste città avevano già una loro organizzazione politica ben sviluppata quando furono sottomesse ed ottennero la civitas sine suffragio e, a parte le città sabine che ricevettero Pottovirato, esse poterono mantenere i propri magistrati origi nari (2). Ma, come il testo di Festo è inesatto nella definizione ge nerale, così non sarà possibile seguirlo ad occhi chiusi per quanto riguarda la cronologia, il che, del resto è costretto ad ammettere per altri motivi lo stesso Kornemann, che esclude dall'ordine di Festo tanto Caere (3) quanto Vena fr um e Allifae (4). Neppure è certo che la concessione della civitas sine suffragio significhi anche l'istituzione della prefettura. Anche a prescindere dalle opinioni dello Zmigryder Konopka — se condo cui la prefettura j>uò sorgere anche in un municipium che conservi piena autonomia locale pur accettando con le
(1) C i c , pro Balbo 13, 31 : « Ex Latto multi, ut Tusculani, ut Lanuvini, et ex ceteris generibus gentes universae in civitatem aunt receptae, ut Sabinorum, Volsoorum, Hernicorum, eto. » ; ofr. de off. I 11, 35. (2) Salla possibile origine del duovirato di queste prefetture si veda infra, pag. 148 segg., ove si t r a t t a fra l'altro di Vena/rum e Allifae. Quanto ad Anagnia i I l v i r i sostituirono forse i praetores, ridotti ad sacra, quando il munici pio ottenne, in qaalohe modo, u n a maggiore autonomia; Caere ebbe un dictator (ofr. infra, pag. 109 segg.) ; Saturnia, divenuta oolonia civium Romanorum, ebbe auoh'essa dei Ilviri (C. I. L. XI, pag. 419). Ignote sono le magistrature di Vrusino e Privernum. (3) Di questa prefettura egli dubita perchè oollooa Cere fra gli « Altbürgergemeiuden » oon piena autonomia (P.-W., XVI 579). (4) Di queste due prefetture si ignora in ohe anno abbiano a v u t o la cit'itas, Cfr. ibid, 583.
LB CITTÀ. SENZA SUFFRAGIO E LE PREFETTURE
71
leggi di Eoma, di cui diviene fundum, un prefetto romano (1) —, nulla ci assicura cbe altre prefetture siano sorte prima di Anagnia. Almeno per Fundi è possibile cbe l'istituzione della pre fettura non coincida con la civitas sine suffragio poiché l'in dipendente gesto dei Fondani di unirsi ai Privernati in una spedizione militare nel 329 a. 0. (2) non sarebbe forse avve nuto se in Fundi e in Privernum vi fosse stato un prefetto romano: in tale data Fundi poteva dunque essere ancora senza un praefectus ivi residente, non essere cioè centro di una prefettura. Tale situazione potè perdurare ancora qualche tempo per chè i Eomani si limitarono a punire Vitruvio Vacco lasciando inalterata la condizione dei Fondani (3). La sorte di Fundi potè essere condivisa da Formiae, che con Fundi ed Arpinum raggiunse V optimum ius solo nel 188(4). Tra le città che sarebbero state prefetture prima di Anagnia, il Kornemann ricorda ancora Privernum : ma alla data del 329 ci viene detto da Livio soltanto che essa ebbe la civitas (5). Troppo poco per decidere se fosse la civitas optimo iure o la civitas sino suffragio e se immediatamente essa sia divenuta sede di un prefetto. La prefettura di cui parla Festo potè essere anche posteriore. Nel 306-305, finalmente, siamo al caso di Anagnia, che di venne miinicipium perdendo la propria autonomia al punto che i locali magistrati mantennero puramente funzioni sa crali. È evidente che un prefetto romano potè allora esservi inviato ; ma dobbiamo anche notare che Livio, pur dilungan dosi abbastanza sul caso di Privernum, non ci dice nulla se non che — come già s'è osservato — ad essa fu data la civitas, mentre poi, parlando di Anagnia, ricorda come un caso speciale la limitazione di poteri imposta ai suoi magistrati : (1) ZMIGRYDER KONOPKA, art,
(2) (3) (4) (5)
Liv., Liv., Liv., Liv.,
V i l i 19. V i l i 19, 10-14. XXXVIH 36. V i l i 21, 10.
cit.,
pag.
592 segg.,
595.
72
PER LA STORIA DEL CONCETTO DI MUNICIP1UM
se possiamo credere che ciò significhi che Anagnia fu la prima città che ebbe tale trattamento, potremo anche pen sare che, toltale l'autonomia amministrativa, essa si sia ve nuta a trovare in condizioni del tutto particolari rispetto alla stessa Privernum, se non addirittura identiche a quelle in cui Oapua sarebbe poi stata ridotta — « locus comportandis condendisque frugibus » — dopo il 211 (1). È escluso infatti con sicurezza che essa abbia avuto Voptimum ius non già perchè si debba credere che questo fatto l'avrebbe resa privilegiata rispetto alle città senza suffragio, ma perchè Anagnia fu tra l'altro privata del connubium con gli altri Ernici (2) : già notò lo Sherwin White (3) che tale di ritto le sarebbe spettato senz'altro se avesse allora avuta la civitas di Roma. Lo Sherwin White invero si riferiva alla civitas sine suffragio, ma a maggior ragione l'osservazione vale per la civitas optimo iure. Anagnia dunque fu una prefettura di sudditi, che poterono avere titolo di municipes solo perchè tenuti ai mimerà e la civitas sine suffragio le conferì maggiori doveri e minori diritti che ai municipii preesistenti. Con Anagnia il terzo momento della storia del concetto di municipium è ormai raggiunto. Il primo — addirittura preistorico — era stato, forse, quello che congiungeva fra loro due città mediante taluni diritti — forse il connubium e il commercium, se non pure anche altri — cui avrebbero corri sposto, per coloro che si trovavano nella condizione di poter godere di tali diritti, taluni doveri — munera — nella città di cui venivano ad essere municipes (4). Il secondo momento era stato quello in cui un'intera città diveniva municipium perchè costretta — per necessità o per interesse — ad accet tare la civitas di Roma (5). Il terzo momento si verificava con l'assoggettamento di una città in condizioni anche più gravi
(1) C i c , de leg. agr. II 32, 88 : « locus comportandis condendisque frugibus » Cfr. ibid. 1 6 , 19 ; Liv., XXVI 16, 7 (« aratorum sede8 » ) ; VELL., II 44. (2) Liv., IX 43, 24. (3)
SHKRWIN W H I T B , op. cit.,
(4) Cfr. supra, pag. 33 seg. (5) Cfr. supra, pag. 51 segg.
pag.
46.
LE CITTÀ SENZA SUFFRAGIO E LE PREFETTURE
73
e con limitazioni dolorose di diritti d'autonomia interna e perfino di ordine privato. Anagnia tuttavia potè raggiungere Y optimum ius prima della guerra sociale e la divisione della sua praefectura in tre municipii potè corrispondere ad una maggiore autonomia concessa a ciascuno di essi. L'esistenza di praetores ivi osser vata dal Beloch, praetores che poi furono sostituiti da Ilviri (1), non dice nulla perchè essi potevano benissimo es sere gli antichi magistrati sopravvissuti ad sacra; ma l'esi stenza dei Ilviri pare suggerire la nostra ipotesi se — come crediamo — essi rappresentano una magistratura anteriore alla creazione del llllvirato. Tra le altre probabili prefetture converrà fare una certa cernita : alcune di esse sono comuni che furono trasformati ad un dato momento in municipia retti da Ilviri, altre ebbero degli VIIlviri, altre ancora dei IIIlviri (2). Al primo gruppo appartengono Atina, Casinum, Aufidena, Trebula Sujfenas, forse gli Aequiculi, Treba e Afllae : di cia scuna di esse si conosce la data della concessione della civitas sine suffragio e — salvo che per le ultime due — l'esi stenza di Ilviri (3). Poiché la magistratura data ai municipii optimo iure creati dopo la guerra sociale è il llllvirato, pos siamo anche credere che i Ilviri che si trovano nelle loca lità surricordate non siano altro che gli antichi meddices delle città osche (4). Con esse va forse considerata Superaequum, sebbene non vi siano testimonianze sicure in proposito (5). Al secondo gruppo appartengono le città sabine che eb bero Voptimum ius già nel 268 : Beate e Nursia sono ricor date come prefetture da Festo. Con esse va certamente Amiternum e la serie di JEretum, Cures, Trebula Mutuesca, Fui giniae, Plestia, e, forse, Interamnia Praetuttianorum, seb(1) B E L O C H , R.
G., pag.
498 ; cfr.
C. I.
L.
X,
pag.
584.
(2) Cfr. BELOCH, H. G.t rispettivamente pagg. 508 segg. ; 499 seg. ; 505 seg. (3) Per tntto ciò ofr. infra, pag. 148 seg. Di Treba e Afilae la costituzione è del t a t t o ignota. (4) Cfr. anohe infra, pag. 149. Vale l'analogia eon la sorte di Arpinum, Fundi e Formine. (5) Cfr. infra, pag. 149.
74
PER LA STORIA DEL CONCETTO Di MUNICIPIUM
bene in talune di queste si trovino già dei IlIIviri. È noto infatti che PVIIIvirato cedette talora il posto al IlIIvirato, forse dopo la guerra sociale quando il IlIIvirato fu la magi stratura comune data a tutti i nuovi municipii (1). Per Fulginiae si ha la testimonianza della prefettura in un frammento di Cicerone, in cui essa è detta contemporaneamente anche municipium (2). V'è anche da notare che Interamnia Praetuttianorum ri sulta documentata verso la fine dell'era repubblicana come municipium et colonia (3). Che cosa significhi quest'espressione può essere spiegato in vari modi : ma a noi interessa ora sol tanto l'esistenza del municipium. Altre prefetture furono infine quelle di Saturnia, Statonia e Suana e quelle del Piceno e della Lucania nominativamente ignote. Se possiamo adottare la teoria del Beloch, che fa delle città rette da Ilviri altrettante comunità di cittadini optimo iure anteriori alla guerra sociale (4), altre ancora potremmo aggiungerne. Ma rimarrà una difficoltà : oltre alla possibilità che si tratti di municipii esiste la possibilità che si tratti di conciliàbula di cives Romani d'origine. Poiché discuteremo al trove la questione (5), ci limiteremo qui ad indicare i comuni che conciliàbula non furono sicuramente : essi sono Caiatia, Cuoulteria, Herculaneum, Suessula, Surrentum e Nuceria Ah faterna. Pochi dubbi possono permanere al riguardo. Per un certo periodo anche Caere dovette esser tale, come Festo dice ; essa, comunque, ebbe in età imperiale il vecchio dictator (6). (1) Cfr.
BELOCH, op. oit.,
pag.
520
aeg.
(2) Cic, pro Varen., fr. 4. (3) C. I. L. IX 5074. Già prefettura questa città rioevette una colonia BÌIlana: ofr. BELOCH, E. G., pag. 512.
(4) BELOCH, op. cit., pag. 508 segg. ; cfr. pag. 510. Naturalmente vanno escluse le comunità ohe oon Ilviri sostituirono i IlIIviri : ofr. ibid., pag. 508 e 521. (5) Cfr. infra, pag. 149 segg. (6) FEST., S. V. Praefectura. Per il dictator ofr. C. I. L. XI 3593, 3614, 3615 = 3257.
IV. L'ULTIMO SECOLO DELLA REPUBBLICA I MUNIOIPII DELLA TERZA CATEGORIA FESTIANA.
Resta da esaminare il terzo gruppo di municipia ricor dato da Festo-Paolo : esso si ha «cum id genus liominum definitur, qui ad civitatem Komanam ita venerunt uti municipia essent sua cuiusque civitatis ( = civitates f) et coloniae, ut TiburteSy Praenestini, Pisani, TJrbinates, Nolani, Bononienses, Piacentini, Nepetini, Sutrini, Lucenses». 11 testo è stato da alcuni modificato con la sostituzione di « municipes » a « municipia » e si è pertanto creduto che la definizione si riferisse a singoli individui anziché a intere città; ma in tal caso non vi sarebbe alcuna differenza fra questo gruppo e il primo, se questo aveva come caratteristica la per manenza di una res publica separata. Tuttavia questa lezione ebbe notevoli sostenitori dal Niebuhr al Madvig, al Marquardt, al Karlowa, al Toutain (1), sebbene non tutti ne tirassero le conseguenze che si sono or ora riferite. 11 Marquardt, per esempio, pure ammettendo la lettura municipes, affermava che le città ricordate a mo' d'esempio divennero municipii solo con la lex Iulia che diede loro V optimum ins (2). Questa, del resto, era anche l'opinione del Mommsen, il quale leggeva municipia, pur intendendo che la «pessima» lezione del testo dovesse rispecchiare una frase di Festo anàloga a quella di (1) NIEBUHR, op. cit., Il» 61, il. 18 = II1 68 ; MADVIG N., Opuicula academica, Hanniae 1834, p. 236, n. 2; MARQUARDT, op. cit., p. 35, n. 1; KARLOWA, op. ci*., I 296 ; TOUTAIN, in DARKNBERG-SAGLIO-POTTIER, III, pag. 2024, cfr. 2025.
(2) MARQUARDT, op. cit., pag. 35 ; ofr. anche HERZOG, Gesch. u. System oit., I 986.
76
PER LA STORIA DEL CONCETTO DI MUNICIPIUM
Ulpiano (1) e dire press'a poco :
82
PER LA STORIA D E L CONCETTO DI MUNICIPIUM
mente dalla lex lidia de civitate, restarono liberi di accogliere di volta in volta le nuove leggi di Roma, di divenire cioè fundi di esse. Seguono la prima opinione Yon Premerstein, Gradenwitz, Kornemann, Cary, Sherwin Yvnite(l). Seguono la seconda numerosi altri che il Kornemann tenta di confutare appoggiandosi soprattutto allo studio del Yon Premerstein (2). Ma una terza ipotesi è stata avanzata dal Rudolph (3). La questione ci interessa in questa sede solo per la pos sibilità che col termine di municiyium fundanum s'intenda far riferimento a comuni preesistenti alla guerra sociale. Come già sappiamo, invero, prima della guerra sociale sono ricor dati soltanto colonie e municipii, procolonie e promunicipii. Se il termine che studiamo dovesse riferirsi a taluno di questi comuni, esso non potrebbe riferirsi se non ai promunicipii o alle colonie latine divenute municipii dopo la guerra sociale. Ma appunto questo si tratta di vedere. Per il Rudolph, in fatti, municipium fundanum sarebbe un termine tecnico usato per indicare i municipii costituiti sulla base di una divisione in fundi — nel senso gromatico — di un dato territorio. Il termine sarebbe stato usato per distinguere questi municipii di nuova creazione sia dai municipii di vecchio tipo, sia dalle colonie : si tratterebbe in altre parole di talune prefetture, di fori e di conciliaboli trasformati da poco in municipii perchè il testo presuppone ancora viventi i commissari che li avreb bero costituiti (4).
(1) VON PREMERSTEIN (in Zeitsohr. Sav.-Süß. XLIII, 1922, pag. 45-152), GRADENWITZ (Die Gemeindeordonnanzen von Heraklea, in Sitzber. Akad. Heidelberg 1616, XIV Abh.) e KORNEMANN {art. oit., 611 segg.) sono oitati e discussi da RUDOLPH, op. cit., pag.
178 seg., e da RICCOBONO, op. cit., pag. 141. Si aggiun
gano i oontributi del CARY (in Journ. of Rom. Studies 1929, pag. 116 segg. e 1937, pag. 51) e dello SHERWIN WHITE (op. cit., pag. 142 seg.). (2) KORNEMANN, art. oit., 585 segg. (3) RUDOLPH, op. oit., pag. 176 segg.
(4) Cfr. RUDOLPH, op. oit.y pag. 178. Si tenga presente che non è esatto quanto egli afferma, che oioè queste oittà « unmittelbar vor den Erlass des Gesetzes von Heraklea begründet bzw. eingerichtet sein müssen » : ciò ohe si ricava dall'iscrizione è soltanto una data approssimativa della loro trasforma zione in municipii.
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Essi, poi, avrebbero — come le colonie — delle leges datae (1). Ma conviene anche tener presente che la Tàbula Heracleensis ricorda in tutta una serie di paragrafi la serie intera municipium colonia praefeotura forum conciliabulum (2) : i ter mini legali in essa usati per indicare comunità come quelle che il Rudolph pare identificare con i municipia fundana sono dunque ancora quelli di praefeotura, forum, conciliabulum. V'è inoltre — e soprattutto — da tener presente che una nuova divisione in fundi dei territori su cui sarebbero costituiti i municipia fundana non è attestata né pare verosimile, e bi sogna perciò pensare, come del resto fa lo stesso Eudolph, che l'aggettivo usato nell'espressione che c'interessa vada ri ferito più che altro alla natura stessa del territorio che, come «römisches Assi gnation sland », aveva «das römische Boden recht, für das die Limitation das entscheidende Moment war i. Ma centri di questo tipo ne esistettero parecchi, in di verse epoche e con origine diversa. A sostegno della tesi del Rudolph potrebbe stare, tuttavia, una sola circostanza : non essendo mai usato altrove in luogo del creduto sinonimo fundus l'aggettivo fundanusy presenta qualche difficoltà il pensare che esso possa essere usato nello stesso significato di fundus in questo caso soltanto. Quest'ultima considerazione era già fatta da coloro che leg gevano municipium Fundanum in luogo di municipium fundanum ; ma, per ammettere questa lettura, bisognerebbe anche ammettere che un frammento di legge riguardante Fundi sia andato a finire per errore nella Tabula (3). E ciò sembra ve ramente un po' diffìcile da ammettere anche quando si am metta che la Tabula sia una lex satura (4). Ma non basta, (1) R U D O L P H , ibid. Ma si t r a t t a di comuni optimo iure, e quindi la consta tazione non avrebbe gran valore dopo la lex Iulia de oivitate. (2) Linee 83, 108 e 109, 119 ; 124, 126, 127, 130, 135, 136. (3) Si veda KORNBMANN, loa. cit., 586 seg., ove si troverà anohe la rela tiva bibliografia. (4) S A V I G N Y , Vermischte Schriften, I I I 279 segg. ; D E PETRA, Monum. dei Lincei VI, p a g . 433 segg.; HACKKL, in Wiener Studien XXIV (1902), pag. 552 segg. ; e altri fra cai il MOMMSEN. Cfr. RiccoBONO, op. cit., pag. 140 seg., il quale però oonolnde : « Quaestio, ut mea feri opinio, de natura et nomili« legis in pendenti manet*.
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PEH LA STORIA D E L CONCETTO DI MUNICIPIUM
perchè tutta la teoria si fonda sopra un'illusione veramente incomprensibile. Si è infatti voluto ricavare da un passo di Cicerone (1) che Arpinum sia stata costituita a municipium soltanto nel 46 a. C. Il contesto non convalida certo quest'opinione, che anzi vi si parla di un municipium già esistente da lungo tempo. Ma su quest'opinione ci si è l'ondati per inferirle che anche Fundi dovette seguire la sorte di Arpinum, onde nello stesso anno o press'a poco sarebbe avvenuta anche la costituzione del municipium di Fundi e cioè del municipium Fundanum. Ciò è più che sufficiente per respingere senz'altro anche quest'ipotesi. Non rimane dunque che l'ultima, quella che identifica i municipii fundani con le città che divennero fundae della cit tadinanza romana dopo la lex lulia de civitate : l'unica seria obbiezione deriva dal fatto già accennato che non si trova altrove l'epiteto fundanus in luogo à\ fundus, ma non si tratta che di un argumentum ex silentio di cui non pare indispensa bile tener conto. A questa soluzione pare inoltre che si op ponga la data della Tàbula (2). Ma anche questa difficoltà viene facilmente superata se si tiene presente che effettivamente, in quel giro d'anni, Cesare potè promulgare una legge per dare ai municipii creati dopo la guerra sociale un'organizza zione più uniforme. Dal passo di Cicerone che serve per la datazione di questa legge si ricava infatti soltanto che essa dovesse contenere norme per la carriera politica municipale;
(1) Cic, adfam. XIII11, 3. Si veda su ciò SHEEWIN WHITE, op. cit., pag. 142; oft. KORNEMÀNN, loc. cit. Ma il verbo « constituée > vi appare usato in senso generico. (2) Secondo il RUDOLPH, op. cit., pag, 120, la Tabula presuppone la pree sistenza di una lex lulia municipalis. La data del 44 è ritenuta sionra anche dallo SHERWIN WHITE, op. cit., pag 142. La bibliografia sull'argomento si trova in RICCOBONO, loc. cit. Questi propende per l'anno 45. Allo stesso giro d'anni crede opportuno riferirsi anche I'ARANGIO RUIZ, Storia del diritto romano (1937), pag. 200. Ritengo ohe si tratti toi tan to di un terminus post quem per quanto riguarda la compilazione della Tabula, poiohè aderisco alla probabilissima ipo tesi del D E SANCTIS (in Atti Aoc. Scienze Torino, vol. XLV, adunanza 26 dU oembre 1909) ohe si tratti di una raccolta di leggi interessanti Eraclea. -
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ma questo basta per superare l'osservazione del Eudolph ri guardante i commissari che devono agire nei municipii fundani poiché non si tratta più di quelli creati ex lege Iulia de civitate o per una legge analoga di quel periodo. Né vale osservare che la Tabula, come afferma lo Sherwin White sulla traccia di Von Premerstein e di Stuart Jones (1), non parla di una classe di municipii «at all» perchè, egli dice, l'espressione municipes fundani ivi impiegata non è pa rallela ad un termine come Latini coloniarii : aggettivi non indicanti luogo non sarebbero normalmente congiunti a DIMniceps se non in un senso non tecnico. Ma è chiaro che una regola del genere può avere eccezioni. Si deve dunque concludere che i municipio,/andana paiono essere, comunque, una creazione posteriore alla lex Iulia de civitate e non sono identificabili con i pro moinicipieis e pro colonieis della legge agraria del 111.
(1) Citati dallo stesso SHERWIN WHITE, op, oit., pag. 143.
CONCLUSIONE. IL COSIDDETTO FOEDUS MUNICIPALE.
La civitas sine suffragio è data dal popolo Romano me diante una legge. Ciò è senz'altro dimostrato dal caso di Acerrae, come ben vide il Mommsen (1) sulla base di un passo di Livio che non pare ammettere repliche: a Romani facti Acerrani lege ab L. Pap ir io praetor e lata, qua civitas sine suffragio data » (2). È Vanno 332 a. C, anno vicinissimo a quel 338 in cui la civitas fu data a tante città. Si può dunque ritenere che anche nel 338 la civitas sia stata data nello stesso modo. Ma nel 338 si sarebbe avuto anche un vero e proprio foedus. Questa, al meno, è la convinzione di taluni eminenti studiosi, fra i quali conviene particolarmente citare lo Zmigryder Konopka, se condo cui nei rapporti del IY e del III secolo la civitas sine suffragio e il municipium sono delle vere e proprie forme di relazioni internazionali (3). Le due opposte tesi non sembrano inconciliabili perchè un foedus non esclude la legge che lo sancisce né una legge esclude la possibilità di un foedus an teriore ad essa; ma, se vogliamo credere che foedus e lex (1) MOMMSEN, op. cit., Ili
1, pag.
573, n. 8.
(2) Liv., Vili 17 ; cfr. VELL. PAT., I 14. Si può aggiungere, come fa lo SHKRWLN WHITE, op. cit., pag. 42, la legge riguardante i cavalieri Campani rioordata da Liv., XXIII 31, 10: « de trecentia equitibus Campanie... latum ad populum ut cives Romani essent, item uti municipes Cumani essent pridie quam populus Campanu8 a populo Romano defecisset ». Si noterà ohe i Campani sono de uniti come nu populus distinto dal populua Romano par essendo da tempo oives sine suffragio. Ma oiò avviene forse perchè la stessa definizione li stacca da Roma. (3) ZMIGRYDER KONOPKA, art.
cit., pag.
602.
CONCLUSIONE
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coesistano, dovremo in ogni caso, ammettere che i\ foedus pre ceda cronologicamente la lex dalla quale viene annullato, come nel caso dei municipii creati ex lege lidia de civitate. Nel IV secolo, infatti, noi vediamo taluni popoli rifiutare la civitas sine suffragio (1) : ciò significa che, per avere la realizzazione di questa condizione nei rapporti fra Borna e la città cui la civitas deve essere concessa, è, almeno in taluni casi, indispen sabile un accordo reciproco, dunque — in altri termini — il consenso degli interessati all'abolizione del foedus (2) ; e solo in determinate circostanze una lex romana sancirà l'estensione della cittadinanza a genti peregrine. L'opposta conclusione traeva, forse arbitrariamente, il Bonfante a proposito di pre sunti foedera del 338 e del 306 (3). Si osserva però che di un foedus si parla per i Campani (4), di foedus si parla per talune città latine come Arida, Lavi nium e altre, ma se per queste è probabilmente necessario (5) rifiutare il significato politico del foedus dopo la concessione della civitas (6), v'è tuttavia un documento dal quale l'esistenza di foedera con pieno significato politico può apparire proba bile : . . . . . . in quoque municipio colonia praefectura quoiusque Il vir(i) eiusve qui ibei lege fo edere pl(ebei)ve sc(ìto) s(enatus)ve consulto) institutove, iure dicundo praefuit »(7). Poiché il frammento è databile al 49 a. 0., dopo la guerra sociale dunque, Faccenno ad un foedus non pare riferibile se non a comuni che avessero magistrature sopravvissute alla trasformazione avvenuta nell'89 quando il IVvirato divenne comune a tutti i municipii di nuova creazione : tali comuni, che dovrebbero essere stati legati a Roma da un Joedusy non possono dunque (1) Si veda a questo proposito SHERWIN W H I T E , op. cit., pag. 46 seg. (2) Contra BONFANTE, op. cit., pag. 241, n. 5. (3) L i v . , VIII 1 1 ; IX 43. Cfr. BONFANTE, op. cit., pag, 231.
(4) Cfr. supra, pag. 66 e n . 3. (5) Cfr. supra, pag. 39 segg. (6) Per i Campani la cosa pare ohiarissinia : nei tre passi in oni Livio aooenna ad un foedus (XXIII 5, 9 ; XXV 18, 5 ; XXXI 31) il foedus è sempre considerato come la tappa piü antica dei rapporti fra le due oittà, tappa su perata dalla « oonoessioue » della civitas sine suffragio. (7) fragm. Atest., linea 10.
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PER
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essere le città di federati italici né le colonie latine che as sunsero dei IVviri. Si tratta dunque di antichi municipii e prefetture. Anche la Tabula Heracleensis (1) si esprime in modo analogo rispetto alla serie municipia, coloniae, praefecturae, a pro posito della « vocatio rei militaris legibus pl(ebei)ve sc(itis) exve foedere ». Ma la testimonianza di questi due passi va senza dubbio intesa nel senso che ad un foedus anteriore alla concessione della civitas sopravvissero, nell'atto della promulgazione della costituzione municipale, taluni privilegi. Il foedus — come tale — non poteva sopravvivere perchè, come già s'è detto più volte, non può esistere foedus fra concittadini, ma la lex che lo sostituisce definitivamente può sancirne alcuni punti secondo i desideri manifestati dai nuovi cives prima di farsi fundi di essa, e dal foedus consacrati fino a quel momento. Da questa lex possono dunque essere garantite anche le magistrature locali già garantite dal foedus. In questa opinione ci conferma la considerazione che solo per Anagnia noi sap piamo da Livio che la civitas sine suffragio portò con sé, come particolare aggravio di punizione della città ribelle, la limi tazione dei poteri della locale magistratura ridotta ad sacra (2). Se possiamo ritenere che il fatto sia notato da Livio appunto per la sua straordinarietà, potremo anche tener per certo che i municipii anteriori conservarono tutti i propri magistrati anche quando fu loro data la civitas sine suffragio o, comun que, una qualche specie di civitas. La loro autonomia interna è limitata soprattutto per quanto riguarda i rapporti con Borna, la città egemone e protettrice (3). Indipendentemente dalle considerazioni che noi abbiamo or ora fatte, era per altra via giunto alla conclusione che i municipii conservassero le proprie magistrature anche lo Sher-
(1) Tab. Heraol., linee 93 e 103. (2) L I T . , IX 43, 24. (3) CANADESI M., La politica estera di Borna antica, I, Milano 1942, pag. 81, ofr. ibid., pag, 63-65, Vi si parla di « sudditanza p r o t e t t a ».
CONCLUSIONE
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win 'White (1), tentando di dimostrare contro il Eudolph (2) l'inverosimiglianza del contrario. Perciò, non sarà forse inutile un cenno anche alle osservazioni più importanti da lui fatte contro il Eudolph, assertore dell'opposta tesi. La prima osservazione è che il Rudolph dimentica che i municipii furono inseriti nella vita dello Stato Eomano solo gradualmente e che essi cedettero a Eoma solo poco per volta l'interferenza nei loro affari interni, — e ciò potrebbe essere tratto in dubbio — mentre, d'altro canto, una riorganizzazione generale non era necessaria al tempo della loro incorpora zione (3). Soprattutto interessante è l'osservazione che l'esem pio di Anagnia mostra come, almeno in apparenza, i municipii conservassero, entrando nello Stato Eomano, la loro costitu zione originaria, anche se soltanto «maimed and shadowy» (4): i loro magistrati mutarono soltanto, talora più talora meno le loro attribuzioni. Le quali, naturalmente, turono limitate in vario modo e, nei municipii come Anagnia, furono addi rittura ridotte ad sacra. Lo Sherwin White sottolinea inoltre l'importanza del fatto che il dittatore lanuvino sia un Lanuvino : « in this detail lies the essence of the change which was inaugurated on a grand scale in 338, after certain preliminary trials at Gdbii and Tusculum. The change set free the idea of the town wi thin the State to develop as it would. To say that Eome merely left religious duties to the incorporated boroughs obscures the fact that in this remnant lies hid the continuated existence of the separate community within the Eoman state > (5). A questo proposito lo Sherwin White ricorda lo stretto le game esistente fra lex, ius e /as, ma le conseguenze che egli vuol trarne ci paiono forzate anche se verosimili. Le riferiamo perciò lasciando il giudizio al lettore. Se la vita del munici(1) SHERWIN WHITE, op. cit., pag. 65 segg., liallaooiautesi alla teoria del Mom m sen sulla e umgestaltete Autonomie », sii oui si veda supra, pag. 53 seg. (2) RUDOLPH, op. cit., pag. 6 seg. (3) SHERWIN WHITE, op. cit., pag.
(4) ID., ibid., pag. 65. (5) ID., ibid., pag. 66.
65.
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pio — egli dice — fosse solo religiosa, « doubtless » la nozione di una duplice patria posseduta da ogni civis Romamis vi vente fuori dell'Urbe sarebbe rimasta solo latente e il sistema municipale sarebbe « died of inanition » (1). Perciò, scrive an cora lo Sherwin ^Yhite, in aggiunta alla base teoretica era necessario, per la formazione di una sana costruzione, un fon damento «broad material». Fondamento costituito da tutta una serie di attività che il Rudolph aveva trascurate come pu ramente amministrative e come operazioni di polizia (2). La conclusione complessiva dello Sherwin White è dunque che Koma non abolì la vita locale dei municipii e che a in however rudimentary a fashion, Rome entered at this period on the road that led to the municipal system of the Empire » (3). Ad essa possiamo aderire anche noi, che vi siamo giunti per una via in parte diversa. I municipii mantennero dunque di regola le proprie ma gistrature anche quando queste furono limitate nelle loro fun zioni come nel caso di Anagnia (4). (1) I D . , ibid., pag. 67. (2) I D . , ibid., pag. 67. (3) I D . , ibid., pag. 67. (4) Ciò non significa naturalmente ohe t n t t o ciò che BÌ trova nei muni cipii sia epioorio o, comunque, non romano.
PARTE II Le magistrature
municipali
I. I MAGISTRATI DEI MUNICIPII LATINI.
DITTATURA ED EDILITÀ NEI MUNIOIPII LATINI.
Una delle prime questioni che si affacciano allo studioso che voglia rendersi conto dell'origine delle varie magistrature latine è naturalmente quello che riguarda l'origine della dit tatura. Le fonti più antiche sono di due tipi : epigrafiche e letterarie. Cominciando dalle prime troveremo la dittatura in parecchie città, ma non sempre, almeno a prima vista, con le stesse caratteristiche. Notiamo qui subito, per evitare equivoci, che, in un primo tempo, non faremo distinzioni cronologiche : l'elenco che segue mira al solo scopo di porre sul tavolo il materiale utile per il problema. Si tratta delle seguenti città, elencate in ordine alfabetico : ALBA : C. 7. L. VI 2161 : L. Fonteius Flavianus haruspex Augg. (ducenarius) pontifex dictator Âlban(us) mag(ister) publions haruspicum LX d. d. C. I. L. XIV 4452 : P. Flavio P. fll(io) Pai. Prisco e. v pontifici et dictatori Albano primo. ARIOIA : C. 7. L. VI 2169 : q(uaestor) aedilis dictator Ariciae. C. 7. L. VI 2213: Dianae Nemoresi Testae sacmm dict(atore) Imperatore) Nerva Traiano Aug. Germanico III cos., pracj\ecto) eins T. Yoltedio Mamiliano, quaestorib(us) L. Caecilio Urso II M. Lucretio Sabino 77, aedilib{us) Q. Vibenim Quieto Ti. Claudio Magno CAERE : C. 7. L. XI 3593 : Deos Curiales Genium Ti. Claudi Caisaris Augusti P. P. Curiae Aterniae A. Avillius Acanthus
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LE MAGISTRATURE
MUNICIPALI
dictator M. Iunius Eutyclius de suo posuer(unt) es (per l'inter pretazione cfr. infra). C. I. L. X I 3614 : L. Publilio Celso II C. Glodio Crispino co(n)s(ulibus) idibus Aprilib(us) M. Ponilo Celso dictatore C. Svetonio Glaudiano aedili iuri dicundo praef(ecto) aerari In curiam fuerunt Pontius Celsus dictat(or) Svetonius Claudiamcs aed(ilis) iuri dic(undo) M. Lepidus Nepos aedil(is) annon(ae) C I. L. X I 3615 = 3257 : T. Egnatio T. / . Tot. Rufo q(uaestori) aed(ili) dict(atori) aed(ili) Etrur{iae). FABRÀTERIA V E T U S : C. I. L. X 5655: . Bufo dilatori) F I D B N A B : C. I.
L.
P 1709 =
Not. Sc. 1903, pag. 349 :
T.
Terentius T. f Già. Taravos dictator Fidenis quater. C. I. L. X I Y 4058 : Magno et invicto Imperatori) Gallieno senatus fid(elis) Dict(atore) C. Petr. Podalirio et. T. Aelio Octobre cu rag T. Ter. Octobre (per l'interpreta zione cfr. infra). LANUVIUM : C. I. L. P 1428 = Eph. Epigr. I X 602 : P .
Fourius L f. dictator) tertium Hercoli ea dat (anno 202 d. O. : cfr. C. I. L.} ad Zoe). C. I. L. X I V 2097 : C. Caecio Pulchro dictator e P. Autronio Celso L. Laberio Maximo aed(ilibus). C. I. L. X I V 2112 : (1. 8 segg.) [ikT. Antonio Hiber]o P. Mummio Sisenna co(n)s(ulibus) Kal(endis) Ianu{uariis) collegium salutare Dianae L. Caesennio L. f. Quir. Bufo dict(atore) III idemq(ue) patrono. C. L It. X I V 4178c: G. Mari G. f. Quieti haruspicis aedilis bis flam(inis) Martialis allecti inter dictatorios NOMBNTUM: G. I. L. X I V 3 9 4 1 : D. Valerius
D. f
Cor.
Proculus aedil(is) dictator quaest(or) alimentorum C. I. L. X I V 3955: ön. Munatius. M. f. Pal. Aurelius Bassus flamen perpetus (sie) duumvirali potestate aedilis dictator IUI. TUSOULUM : C. I . L. X I V falsde 212 : Marco Bebio Brix dictator e. Accanto alle fonti epigrafiche bisognerà tener conto anche delle seguenti fonti letterarie, che elencheremo anche queste secondo l'ordine alfabetico delle città cui si riferiscono :
i MAGISTRATI D E I MUNICÌPI! LATINI
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ALBA : PLUT. Rom. 27 : 'Ejrel 8è xov nànnov No^toçoç êv
"AXßT) TEAeuTiioavtoç, alitò) (seil. Romulo) ßaaiXeveiv JIQOGTJXOV, eîç \iioov efrrjxe XT|VrcoXiTeiavôn[AaYû)YûW xal xœc'eviautov d:reÖeixvuev açxovta TOIÇ 'AAßavoic . . . DION. H A L . V 74 (ex LICINIO MAGRO): AIXLWIOÇ ôè jrap' 'AXßavcov oYetai tòv ôixrdtOQa 'Pcojiaiovç elXeqrévai, TOUTOUÇ Xeycov JIQCOTOUC \LRxà tòv 'AJAOXCOV xal Nepietoçoç frdvatov exXutcyuoTic tfjç ßaoiXixfic avyysvEiaç èviauaio'uç apx0VTaÇ djroôei£ai rr)v aurrjv e^ovrac eÇovaiav TOIÇ ßaaiXexioi, XCCXÊLV Ôè avtovç ôixtatopaç. Liv. I 23, 4 : In his castris Cluilius, Aïbanus rex, moritur : dictatorem Albani Mettium Fufetium créant. Cfr. Li y. I 23, 9 : per suum dictator em. FLDENAE : MACR. Sat. I 11, 37 : Post urbem captam cum sedatus esset Galliens motus, res publica vero esset ad tenue dedueta, finitimi opportunitatem invadendi Romani nominis aueupati praefecerunt sibi Postumium Livium Fidenatium dicta torem LANUVIUM: ASCON. ad Cio. pro Mil. 17, 45: Milo hanuvium, ex quo erat municipio et ubi tum dictator, profectus est ad flaminem prodendum. TUSCÜLÜM : Liv. ITI 18, 2 : L. Mamilius Tusculi tum dictator erat. Liv. VI 26, 9 : Dictator Tusculanus ita verba fecit. .. PLIN. n. h. VII 44, 136: Est et L. Fulvius inter insignia exempla, Tusculanorum rebellantium consul, eodemque honore, cum transisset, exornatus confestim a populo Romano, qui solus eodem anno qtio ftier at host is Romae triumphavit ex iis quorum consul fuerat. Cfr. Ghron. Cassin, IV 125. Ed infine per la Lega Latina : CATO, Orig. 2, ap. PRISOIAN. IV, pag. 129 H (= frg. 58
Peter) : Lucum Dianium in nemore Aricino JEgerius Laevius Tusculanus dedicavit dictator Latinus. Hi populi communiter : Tusculanus, Aricinus, Lanuvinus, Laurens, Cor anus, Tiburtis, Pometinus, Ardeatis Rutulus. II cod. E reca « dicator ». LIY. VIII 3 : Praetores turn duos Latium habébat, L, Annium Setinum et L. Numisium Gerceiensem, ambo ex coloniis Romanis (anno 341 a. C ) . DION. HAL. I l l 34 : (dopo la caduta di Alba e le richieste
96
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
dei Romani) al ôè twv Aativcov rcoXeiç. . . xoivfj ôè xov eiïvovç ayopàv êv eoevTivcp JCOIT| ad jie voi ijjeqnÇovtai \ir\ jcaoaxcooelv 'PcojAaioiç xr\ç àQXf\çt xal avtCxa aîoowtai ovo aiQaxj\yovç avcoxodropaç eto^vT]ç te x«i jroXe^ov, "Ayxov UO-UJIXIXIOV ex jroXeo)ç Kooaç xal Satoijaiov OuexCXiov ex Aaovïviov. D I O N . H A L . V 61 (dopo la presa di Fidene, all'inizio della r e p u b b l i c a ) : . . . ol 7zgoeoTT]xórec tfjç 'AQIXTJVCOV «oXecoç Oi ô'eyYQa^dfievoi taîç o"u\n&rjxaiç taûra TiQOßovXot xal TOVÇ OQXOVÇ ôfxocavteç arcò TOVTCÛV TCÛV JioXeœv Tjoav dvôoeç 'Ex TOVTCDV djcaawv tc5v jióXecov TOXJÇ êv CM.\LT\ cruarpaTe-ueiv ôacov av ÔÉT) totç fjyejLióoiv 'OxtaODicp Ma^iXicp xai SéÇtcp Taoxxmcp ' xovxovç yàg djtéôeiÇav orQarrjyovg avroxQaiOQaç. "Iva ô'evjtpejieiç ÔOÇOÛOI jroieîaftai tàç toû jtoXéfiov Jtooqpdaeiç, jtpeoßevTac e| êxdarrjç rcoXecoç toùç ènupaveoxârovç etç eP tanto che « es ist nämlich auffallend, dass die Überlieferung den Diktator ausschliesslich in solchen Städten nennt, in denen nachweislich das Amt später in der römischen Zeit vorhanden ist, während (1) I D . , ibid., pag. 8. (2) MOMMSEN, op, ait.,
II 3 ,
pag.
RUDOLPH, op. cit.,
pag.
8,
(3)
170
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7
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LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
für andere latinischen Gemeinden kein Zeugnis vorliegt» (1). È chiaro che non è possibile seguire il Eudolph sulla sua via. Ma bisognerà ancora tener presente il suo lavoro e, per ora, le pagine che riguardano Alba. Infatti esse potranno servire ad una più completa discussione delle fonti letterarie che si riferiscono a questa città. Plutarco attribuisce a Eomolo l'istituzione della dittatura albana: alla morte di Numitore, di cui è erede, Eomolo iiç \iéaov efrrpte TTJV jtoXiteiav " ÔTinaycoY&v ,, xaL xai'IviauTÒv àneÔeixvuev aQxovta TOIÇ 'AXßavoIc (2). Vero è che ap^cov non corri sponde tecnicamente a « dictator », per lo meno nel senso che di solito si dà a questo vocabolo (3) ; ma il passo di Plutarco è logicamente posto in relazione con quel frammento di Li cinio Macro conservatoci da Dionigi d'Alicarnasso, secondo cui gli Albani, alla morte di Numi tore, avrebbero ogni anno eletto degli apxovreç " TTJV avxr\v e/ovrac eljovoiav TOIÇ ßaaiXevat, xcdeïv 06 avtoùç Ôixtatoçaç „ (4). Ma qui entra in gioco anche la notizia dataci da Livio (5), secondo cui, proprio durante la mortale lotta con Eoma, gli Albani avrebbero eletto dictator Mettio Fufezio, chiamato in tal modo a succedere al de funto rex Oluilio. Qui è il punctum dolens della questione, poiché si è voluta vedere una contraddizione fra i due scrit tori greci e Tito Livio, osservando che la dittatura sarebbe sorta in Alba in extremis, essendosi fino a quel momento conservata la monarchia (6). Tuttavia un'osservazione è pos sibile : Licinio Macro afferma che i dittatori di Alba avevano autorità regia ; se ammettiamo — il che non appare fuori luogo — che la fonte di Livio, diretta o indiretta poco im porta, fosse scritta in greco, potremo ammettere anche che in essa " ßaaiXevc „ stesse talvolta per e dictator », termine (1) I D . , ibid. (2) P L U T . , Som.
27.
(3) Il MAGIE infatti (De romanorum iuris publiai saorique vooabulii solUmnibus in graeoum sermonem conversis) nou aoooglie àç^ùy fr.-t i vooaboli ohe traduoono « diotator ». Cfr. a. v. Dictator, pag. 78 seg. (4) D I O N . H A L . , V
74.
(5) Liv., I 23, 4. (6) R U D O L P H , op. cit.,
pag.
9
seg^
99
i MAGISTRATI DÈI MUNICIPII LATINI
questo prettamente latino e diffidi mente traducibile in gre co^). Il problema diventa dunque problema di fonti, almeno fino ad un certo punto, poiché si tratta di vedere se l'autore di lingua greca da cui potè derivare la fonte di Livio, di stinguesse fra aQx. Dictator appunto doveva essere il titolo compeJ tente al magistrato che guidò l'ultiina lotta di Alba contro Roma, ma dictator, come già s'è detto, non è termine facil mente traducibile in greco e, aggiungiamo, la traduzione greca, molto approssimativa, si presta facilmente a confusioni. Livio, o la sua fonte latina che certamente non poteva igno rare l'esistenza del dictator, dovette rendere con questo vo cabolo il titolo dato a Mettio Fufezio dalla sua fonte troppo imprecisa, lasciando invece il nome di rex a Oluilio (3), — men tre altrove disse rex lo stesso Mettio — ponendolo sullo stesso piano con Tulio Ostilio nella frase « cum trigeminis reges, ut pro sua quisque patria dimicent ferro » (4). Pare evidente che in questo luogo Livio non avrà sentito la necessità di distin guerli, fors'anche perchè la sua fonte avrà tradotto con «reges* il termine di "ßaaiAeic,,, attribuito indifferentemente al su(1) Cfr. M A G I E , op. oit,
pag. 7 8 ;
ofr.
pag.
12 seg.
e passim;
HOLLKAUX
M.,
2xQaxT)yòc \maxoc, pag. 121 seg. È notorio che comunemente non si ritengono fou ti di prima mano di Livio nò Pisone né Fabio Pittore ; ma l'esistenza di varie citazioni di qnesti autori presso il Padovano autorizza a pensare ohe, almeno indirettamente, egli ne abbia ricavato talune notizie. S'intende quindi ohe quanto è detto nel testo oiroa l'eventualità di una difficoltà di traduzione in greco di termini latini — e viceversa — h a valore indipendentemente dalla solnzione positiva o negativa del problema riguardante l'uso diretto degli Annalisti di lingua greca d a parte di Tito Livio. (2) R O S E N B E R G , op. cit.,
(3) L i v . , I 23, 4. (4) Liv., I 24, 2.
pag.
75.
iòo
LE
MAGISTRATURE MUNI CIP ALI
premo capo romano come al suo antagonista albano. Invece poi, nello stesso capitolo (1) Livio tornerà per Mettio Fufezio al titolo di dictator, che meglio corrispondeva all'evidenza dei fatti. Crediamo dunque che non sia possibile parlare di due tra dizioni differenti conflueuti in Livio ma in contrasto fra di loro, ma soltanto di una verosimilissima confusione di ter mini derivante dalla difficoltà di rendere in greco il titolo di dictator. A questa confusione non si sottrae probabilmente lo stesso Catone (2) quando parla di un praetor albano, titolo che potrebbe corrispondere al generico aoxcov (3) ; e solo ap parentemente la sfugge Strabone(4) che parla soltanto di ßaaiXetc. Non ha quindi valore Posservazione del Eudolph (5), che Dionigi d'Alicarnasso non conosca la dittatura albana solo perchè, parlando del capo di Alba, lo chiama talora oTQornYÓc semplicemente, talora OTQ(XTT|YÒC avcoxodTcop, talora infine rfjç àoxfjç uÇiofreiç, e non mai ÔIKTCITCOQ (6). Altrettanto poco è ragionevole l'esclusione della testimonianza di Plutarco solo perchè essa presupporrebbe la conoscenza della leggenda — di posteriore formazione — dei re Albani (7) : conoscenza che a noi non pare indispensabile, essendo sufficiente la tra dizione dell'origine albana della dinastia romulea. Nemmeno ci pare giusto, come abbiamo visto, pensare che in Livio il ricordo del dictator albano sia un puro e semplice a poste riori (8). Assurda, infine, risulta la conclusione del Rudolph che « la menzione della monarchia in Alba porta piuttosto a (1) Liv., I 24, 9. (2) CAT., Or. fr. 22. (3) Evidentemente il titolo h a qai — come s'è già vieto sopra (ofr. pag. 98) — un valore p u r a m e n t e aggettivale. Si noti inoltre ohe, per qnanto riguarda Alba, non v'è traccia di un uso del termine aToat-nyoç a^xoxax(OQ. Catone potè t e n t a r e di usoire dal generico usando il termine « praetor », ohe oorrispondeva a quello in uso al suo tempo in molte oittà e colonie latine. (4) STRAB., V
231.
(5) R U D O L P H , op. oit.t pag.
9.
(6) Le fonti supra, pag. 95 seg. (7) R U D O L P H , op. cit.,
pag.
9.
(8) Basti a questo proposito rinviare alle sae stesso parole di pag. 9 seg. e 10, n. 1, per rendersi oonto dell'incertezza dello stesso RUDOLPH.
I MAGISTRATI D E I MUNICIPII LATINI
101
questo, che essa ha lo stesso appoggio che quella della dit tatura nelle più tarde istituzioni albane » (1). Di questa con clusione egli cerca la conferma nella possibile esistenza di reges sacrorum in Lanuvio e in Tuscolo, da cui gli Annalisti, poiché essi « dovettero » esserci anche in Alba, ricavarono l'esistenza della monarchia albana (2). Non basta però certa mente l'iscrizione bovillana di C. I. L. VI 2125 (= XIV 2413) a confermare un'affermazione del genere, tanto più che po trebbe anche essere posto in dubbio che si tratti proprio di reges sacrorum locali (3). D'altro canto il rex sacrorum non esclude l'esistenza del dictator, come non esclude quella dei consoli romani, se si considera che potrebbe essere il residuo di quella monarchia che non potè non esistere in Alba come in Roma e come in altre città latine. Indica, tutt'al più, che come in Roma così altrove la monarchia ha lasciato il luogo (1) R U D O L P H , op. cit.,
pag.
10.
(2) I D . , ibid. (3) A proposito del rex albano t u t t o si ridaoe ad un'ipotesi del WISSOWA (Religion und Kultus der Römer, II ediz., pag. 520, n. 6), il quale ritiene irapossibile ohe lo stesso individuo ohe fu re» sacrorum abbia potuto essere tale in Roma, dove fu auohe fiotor pontifioum P. R. Noi, in verità, nou vediamo questa inoompatibilità, tanto più ohe dei flotores pontifioum sappiamo ben poco. Vorremmo t u t t a v i a tener presente l'opinione del MARQUARDT (Staatverwaltung, III, pag. 249, 1), aooolta dal D E RUGGIERO nel suo Dizionario Epigrafico (s. v. Fiotor, voi. I l i , pag. 72) secondo oui i fictores pontificum, talora auohe individui dell'ordine equestre, « siauo stati di una condizione simile a quella dei pontifìcea minores ». Il De Ruggiero stesso, anzi, afferma ohe « se il rex sacrorum della lapide su riferita [ohe è la stessa di oui oi ooonpiamo] è quello di Roma e non già di Bovillae, oome ad altri sembra ohe fosse, si ha anzi il caso di un fiotor, ohe col tempo ascende a quell'alto sacerdozio.)». Quanto al rex sacrorum attribuito a Lanuvium (C. I. L. XIV 2089 ; ofr. RUDOLPH, op. cit., pag. 11), la presenza nello stesso cursus del titolo di flamen Dialis pare un indizio per esoludere ohe si t r a t t i di un rex sacrorum di Roma. Del rex sacrorum dell'iscrizione di Tusculum (C. I. L. XIV 2634) non pos siamo dire altro se non che la carica di senator municipi e di aedilis non esclude del tutto ohe, oome oittadino romano, sia stato rex sacrorum in Roma. Del resto a questi reges già rioordati bisognerebbe aggiungere — e non si vede perchè il Rudolph non l'abbia fatto — anohe quello di Velitrae (C. I. L. X 8417) e quello di Faesulae o di Florentia (C. 1. L. XI 1610), ohe infatti il ROSENBERG elenca nel suo articolò su Rex sacrorum (in P . W. I A, 725 seg.), reges che potrebbero anche essere imitazioni locali del modello Tornano,
102
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
alla repubblica e, in questo caso, sarebbe anzi una prova che la tradizione è nel vero quando ricorda confusamente re e dittatori prima della distruzione dello Stato Albano : perchè accanto al dictator, capo supremo dello Stato, potè sussistere anche il rex sacrorum con funzioni analoghe a quelle che competevano in Eoma a questa secondaria figura; a meno che non si tratti addirittura di un sacerdozio introdotto in taluni luoghi proprio ad imitazione di Roma. Ma la questione esorbita dal nostro campo e non è indispensabile affrontarla in questa sede, tanto più che ben difficilmente potrebbe es sere il caso di Alba, scomparsa prima della caduta della mo narchia romana, quando ancora il rex manteneva intatte tutte le sue prorogative sovrane. A prescindere da ciò, essendo la scomparsa di Alba ante riore al dominio etrusco nel Lazio, ben diverse saranno le condizioni storiche delle altre città latine : la dittatura albana non può essere posta sullo stesso piano di quella che dobbiamo ora studiare (1). Quanto alla Lega Latina il Rudolph (2) osserva chela fa mosa testimonianza di Catone è in contraddizione con la tra dizione riferita da Livio (3), secondo cui nel 340 i Latini sono sotto la guida di due praetores ; ma evidentemente, non cre diamo sia lecito parlare di contraddizione tra due fatti di cui il primo appartiene ad un secolo ed il secondo ad un altro (4). (1) Si osserverà anche che Alba è l'unica oittà latina di cui, per forza di cose, ignoriamo assolutamente se abbia a v u t a l'edilità. Questa lacuna è p e r noi gravissima perone non oi permette di assicurarci se la sua costituzione fosse analoga a quelle che conosciamo. Soltanto possiamo snpporre ohe — se è vero che l'origine d'Alba è « m e d i t e r r a n e a » (cfr. MANNI, Le tracce della conquieta voìsca del Lazio, in Athenaeum 1939, pag. 245 e n. 2) — la sna costitu zione non doveva essere molto diversa da quelle degli Etruschi. Da questo punto di vista, i risultati della nostra rioeroa sulle oittà latine — ohe agli Etruschi furono sottomesse — potrà in linea di massima valere anche per Alba. Ma vogliamo fin d'ora sottolineare ohe la d i t t a t u r a albana — anche se, come s'è visto, non può essere negata per la scarsità e l'incertezza degli ele menti a disposizioue — resta un mistero. (2)
R U D O L P H , op. cit.,
pag.
11.
(3) CAT., Or. fr. 58 ; Liv., V i l i 3, 9. (4) Al 358 a. C. ri sa) irebbe la creazione di due praetores latini subordinati
103
I MAGISTRATI DEI MUNICIPII LATINI
Più ragionevole appare il dubbio del Eudolph sull'esat tezza del testo di Prisciano (1) da cui si ricava il passo di Catone, inquantochè è norma che in casi dubbi del genere si segua la lectio difftcilior : in questo caso il « dicator » del codice II andrebbe preferito al più noto e dictator >. V e tut tavia da rilevare che « dicator > potrebbe in questo caso es sere ritenuto uu autoschediasma dello scrivano derivante dalla connessione col verbo « dedicavit > che precede immediata mente. D'altronde la questione è ben più complessa di quanto sia apparsa al Rudolph, perchè non basta a postulare l'esi stenza di un dicator della Lega il fatto che un dicator esista a Spoleto : si tratta di vedere se le condizioni di Spoleto siano le stesse di quelle della Lega. Il che, se pure è impos sibile a determinarsi con sicurezza, è tuttavia alquanto im probabile, essendo per Spoletium testimoniata in C. J. L. X I 4822 — litteris antiquis et pulchris — l'esistenza di due pretori (2). Le osservazioni del Rudolph non sono dunque tali da permettere di seguirlo nella sua recisa negazione. Per il Rudolph anche la dittatura delle città latine è una imposizione romana, nel senso che Roma, riorganizzando que sti municipii, avrebbe loro dato il dittatore come capo su premo, mentre in un primo tempo sarebbe stato soltanto il loro rappresentante sacrale; e, per di più, lo avrebbe esone rato da quelle che, secondo il Rudolph ancora (3), sarebbero state in origine le sue funzioni. Tutto ciò è talmente strano che per essere creduto avrebbe bisogno di una certa dimostra zione ; ma questa dimostrazione il Rudolph non la dà ; come al solito il suo ragionamento non convince. Stabilito che la dittatura sia imposta da Roma in sostituzione di qualcosa di simile, che però egli non tenta neppure di determinare, passa ai ooinandauti romani ohe sostituirono il vecchio dictator latino, già comandante federale delle forze comnni romano-latine. Su oiò si r e d a GIANNELLI G., La Repubblica Romana, pag. 186 e n. 58. (1) PRISCIAN., I, pag.
129
H e r t z . Cfr.
R U D O L P H , op. oit.,
pag.
12
aeg.
{2) BELOCH, op. cit.t pag. 490. L'isorizione dioe : . . .]ucius St. f. pr.[.... Prima della frattura si vede anoora la parte sinistra di n n a lettera tondeggiante. (3) RUDOLHP, op. cit.t pag. 27 segg. e passim.
10-1
LÉ MAGISTRATURE MUNICIPALI
a studiare quella magistratura come magistratura municipale romana ; e pertanto è costretto a postulare un « atto di di ritto statale » romano che abbia e revocate definitivamente > le costituzioni originarie (1). Quest'atto poi dovrebbe coinci dere, non con l'incorporazione in qualità di cive sine suffragio dei vinti nemici, ma con la concessione del pieno diritto di cit tadinanza (2). Egli, inoltre, ritiene di poter trascurare Fidene e Tuscolo, cavandosela a questo proposito con queste poche parole : « Es kann daher mit Sicherheit angenommen werden, dass die Überlierferung nur von diesen Institutionen (cioè dalle dit tature dei tempi storici) ausgegangen ist und diese in die Frühzeit übertragen hat > (3). Metodo spiccio, come si vede, che però permette al Rudolph di passar oltre. Sia su Fi dene (4) che su Tuscolo (5) tornerà poi in brevi note ; ma la sua posizione non può naturalmente mutare. Ma c'è forse di più, perchè la situazione di Tuscolo non è ancora nemmeno per il Rudolph, sufficientemente chiarita e lo stesso Rudolph cade in qualche incertezza quando, non potendo escluderne l'esistenza di un dictator, lo relega nel campo sacrale (6). A Tuscukim vide il Rosenberg (7) il luogo d'origine del l'edilità, ma la sua tesi non ha solide basi, anzitutto perchè infondato è il ragionamento da cui egli parte (8). Ma non in questo soltanto consiste il suo errore, che è anche materiale, in quanto egli, contro l'evidenza delle fonti epigrafiche, so stiene che l'edilità di Tuscolo è un collegio di tre membri. Questo errore è stato notato già dal Dessau (9), il quale ha (1) (2) (3) (4) (5) (6) (7) (8) (9) segg.
I D . , ibid,, pag. 17. I D . , ibid., pag. 18. I D . , ibid., pag. 9. I D . , ibid., pag. 19 n. 2 ; ofr. pag. 29. I D . , ibid., pag. 19 e n. 1 ; ofr. pag. 27 segg. I D . , ibid., pag. 12 seg. ROSENBERG, op. oit.t p a g . 7 segg. Cfr. supra, pag. 1 segg. DESSAU, Zur Stadtverfasaung von Twculum, in Elio XIV (1915), pag. 489
I MAGISTRATI D E I
MUNICIPII LATINI
105
sostenuto che il Lorentius Atticus di « Année épigr. > 1906, 79 ( = N. S. 1905, pag. 271) non è un magistrato tuscolano. Anche se la tesi del Dessau non viene accolta in tutto poiché non pare possibile ammettere che Lorentius Atticus sia edile di un viens (1), resta tuttavia evidente che gli eponimi tuscolani sono soltanto due e Lorenzo Attico può pertanto es sere un ex-edile che dedica la sua opera dopo di averla ini ziata quando era tuttora in carica (2). Scompare così l'unico appiglio con cui poteva sostenersi la tesi del Bosemberg, poi ché le altre iscrizioni parlano tutte di collegi di due edili, talora enumerati senza epiteti, talora detti quinquennales (ne gli anni del censo) o lustrales, epiteto questo che, come ha mostrato il Leuze (3), va inteso nello stesso senso che l'altro di quinquennales. Accanto a questi due edili la tradizione ri corda un dictator, e bisogna dire che vani appaiono gli sforzi di chi vuol negarne l'esistenza, compreso lo stesso Eosenberg, che se la cava col dire che : « die Diktatoren die Livius zwei mal nennt (III 18; VI 26J sind überhaus verdächtig » (4), dando la preferenza alla citazione di Plinio (5), secondo cui nel 322 un L. Fulvius fu consul dei Tuscolani ribelli. Egli infatti spiega questo titolo piuttosto come quello che « die beiden regie(1) Il DESSAU (in Klio XIV, 1915, pag. 491) afferma a torto che Lorentius Atticus deve essere edile del viens Angusculanus « vornehmlich auch wegen der einleitenden Formel ex auetoritate S. P. Tusculani ». Se qui Terrore è evidente, è però possibile ammettere ohe « die verschiedene Beteiligung der Kollegen an der Arbeiten « ofientlioh zum Ausdruck zu bringen, war nicht der Brauch ». Restano quindi in parte valide anche le osservazioni del ROSENBERG (op. cit., pag. 7 segg.), secondo cui il nostro personaggio non avrebbe potuto usare la cassa di Tusculum se non ne fosse stato un vero magistrato. Erronea ci pare invece la deduzione ohe si trattasse di un oollegio di t r e edili, smentito da t u t t e le altre iscrizioni tusoolane. (2) Che perfino la dedioatio di un tempio possa essere oompiata non solo da un magistrato in oarica, ma auche da un ex magistrato che vi sia interes sato risulta evidente da numerose fonti (ofr. su oiò MOMMSEN, op. cit., I I 3 621 seg.). A maggior ragione la regola può valere per la restitutio di un'ara come sarebbe nel oaso di Lorentius. (3) LBUZE, Aedilis lustralis, in Hermes 1914, pag. 110 segg. ; ofr. contra, ma a t o r t o , D E S S A U , l. e , pag. (4) ROSENBERG, op. cit., (5) P L I N , n. h. VII
136.
492. pag.
14.
106
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
renden Aedilen von Tusculum ebenso neben ihrer eigentli chen Bezeichnung gelührt haben, wie ursprünglich die bei den Praetoren von Rom » (1). Ma, ammesso che il titolo ricor dato da Plinio non vada inteso che come un'espressione re torica diretta a mettere in maggiore evidenza quella sfortuna » per cui il Fulvio nello stesso anno divenne console in Eoma, non si vede il motivo per cui egli non potesse essere stato dictator in Tuscolo. La tradizione riguardante la dittatura tuscolana, infatti, non si limita a Livio — che già sarebbe mol tissimo —, ma ha anche altre basi, considerando che compare anche nell'iscrizione di M. Bebio rivalutata dal Beloch (2), e, sia pure come reminiscenza, nella Oronaca di Montecassino (3). La dittatura di Tuscolo non può dunque essere così leg germente esclusa, né — come s'è visto — è del tutto esclusa la presenza di un rex sacrorum locale (4). 11 problema è dun que meno semplice di quanto l'abbia prospettato il Rosenberg, ma, per taluni aspetti è pi h chiaro : resta da vedere come si potrebbe conciliare l'esistenza del rex sacrorum con quella del dictator e dei due edili. Se infatti il dictator di Tuscolo non è il magistrato eponimo, bisogna pensare, come il Rudolph (5), che si tratti di un magistrato ad sacra. Avremmo così un re siduo di una precedente costituzione, per cui il rex sacrorum dovrebbe essere un assistente del dictator per certe funzioni, così come in Roma il rex sacrorum sopravvive pur essendo riservata al ponti/ex maximus la suprema autorità religiosa. L'eventuale esistenza del rex sacrorum di Tuscolo si concilierebbe dunque benissimo anche con l'esistenza della ditta tura che, a sua volta, non va esclusa per nessun serio mo tivo. Se davvero potessimo credere al rex sacrorum tuscolano, anzi, sarebbe questa una prova di più che la dittatura non sorse solo per motivi religiosi, ma ebbe funzioni nettamente politiche in un periodo intermedio fra la monarchia e la du(1) R08KNBEU (2). Tuttavia — persistendo il dubbio, di cui parleremo (3), che la dittatura possa essere d'origine etrusca — non si può escludere a priori che città latine e non latine state sotto il dominio etrusco avessero in comune il tipo di magistratura pur essendo di origine diversa. In secondo luogo non crediamo di poter ripetere un'afferma zione così recisa come quella che fa il De Sanctis quando scrive e ripete che queste costituzioni furono date da Roma. Studiamo dunque la costituzione di Caere senza precon cetti ; poi, solo dopo ciò> sarà possibile tentare di ricavarne i dati utili alla questione. Gli elementi a nostra disposizione sono quelli già ricordati, tutti di carattere epigrafico (4) : nelle fonti letterarie non si trovano accenni diretti alla nostra que stione.
(1) DB SANCTIS, loc. cit., pag. 147 BQgg. (2) ID., ibid., pag. 151. (3) Cfr. infra, pag. 123 segg. (4) Cfr. supra, pag. 93 seg.
HO
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
L'iscrizione più importante è quella di C. J. L. XI 3614, dalla quale risulta anzitutto che in Caere, nel 113 d. C, erano eponimi un dictator e un aedilis iuri dicundo, il quale ultimo è altresì praefectus aerarli, mentre un altro aedilis, non epo ni ino questo, ha funzioni annonarie (aedilis annonae). Il col legio dei due edili si è dunque spezzato, mentre un altro se n'è formato fra il dictator e ì'aedilis turi dicundo. Osserva giustamente il De Sanctis che se Yaedilis i. d. è detto anche praefectus aerarvi ciò significa che si tratta di un incarico straordinario, che non esclude l'esistenza di quaestores e che, comunque, non doveva rientrare nelle normali funzioni di questo edile (1^. Anche a proposito dell'iscrizione di C. I. L. XI 3593, in cui compaiono due dictatores (siamo al tempo di Claudio) è possibile che abbia ragione il De Sanctis che, ammessa la collegialità del dictator con Vaedilis i. d., spiega l'apparente anomalia con l'ambizione di questo secondo magistrato op pure con una bizzarria di Claudio (2), e sia detto qui per in ciso che, sebbene da una pura ipotesi aon sia lecito trarre conseguenze, ciò confermerebbe forse la possibile esistenza di due praetores della Lega Latina, di cui uno corrispondente al dictator e uno corrispondente al magister equitum : Claudio non avrebbe fatto che riesumare iu qualche modo, senza averne colto il significato con perfetta esattezza, l'antico collegio latino (3). Allo stesso ordinamento di Caere attribuisce il De Sanctis anche l'iscrizione di C. I. L. XI 3615, da altri variamente at tribuita; e già il Eosenberg (4) ne aveva compresa l'affinità : vi compare infatti un personaggio che fu quaestor, aedilis, dictator, aedilis Etruriae. È evidente che, come nota il De San ctis, questo magistrato non potè essere che di una città etni sca, di Cavre dunque che è l'unica cui possa essere attribuita l'iscrizione trovata fra Sutri e Nepet. (1) DK SANCTIS, loc. oit., pag. 154.
(2) ID., ibid., pag. 153 seg. (3) ID., ibid., pag. 154.
(4) .ROSENBERG, op. cit., pag. 68.
t MAGISTRATI DÈI MUNICIPI! LATINI
111
Vogliamo anche sottolineare la spiegazione data dal De Sanctis della singolare posizione deWaedilis iuri dicicndo : « Il fatto della assunzione di uno degli edili — egli scrive — a collega o quasi collega del dittatore ha la sua naturale spie gazione nella evoluzione degli ordinamenti municipali dati da Koma all'Italia dopo la guerra sociale » (1). La spiegazione ci pare logica, anche se, d'altro canto, converrà forse tener pre sente qualche altro elemento, come, per esempio, la possibi lità che questa specie di collegialità sia invece un fenomeno di riduzione della triplice collegialità edilizia comparente al trove : da essa potè in un primo tempo elevarsi la figura del dictator e poi quella deWaedilis i. d. ma su queste distinzioni cronologiche avremo occasione di tornare più oltre. Alla costituzione di Caere collega il Rudolph (2) quella di Nomentum e sulla stessa via si pone il De Sanctis (3), il quale ammette — come già il Eudolph — che il « duumvirali potestatv» di C. I. L. XIV 3955 sia da intendersi, come vuole il Rosenberg (4) riferito al titolo che segue — aedilis — e non a quello che precede — flamen perpetua — ; e ne ricava un istruttivo parallelo con Vaedilis i. d. di Caere. Meno im portante è l'altra iscrizione citata, in cui compare un aedilis, dictator, quaestor alimento-rum, il cui ultimo titolo si riferisce certo (5) ad una carica di istituzione recente. Anche Fabrateria vetus, che ottenne con la guerra sociale la condizione di municipium optimo iure con a capo IlIIviri (6) ha un dictator (7). Il Rosenberg (8) dice che in questa sola città « im Gegensatz zu der praetorischen Ordnung findet sich das Diktator-schema ausserhalb seiner eigentlichen Heimat ». Non so se il Rosenberg abbia ragione a parlare di contrapposizione con l'ordinamento pretorio, caratteristico delle più antiche (1) DE SANCTIS, loc. oit., pag. 158. (2) RUDOLPH, op. cit., pag. 32 segg. (3) D E SANCTIS, loc. oit., pag. 152. (4) ROSENBERG, op. oit., pag. 73 seg.
(5) ID., ibid., png. 73.
(6) BELOCH, op. cit., pag. 501.
(7) C. I. L. X 5655.
(8) BOSBNBKRG, op. cit., pag. 111.
lia
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
colonie latine (1), trattandosi per Fabrateria velus, di una città che prima di essere municipio — per la guerra sociale, come s'è detto — si sottomise a Eoma spontaneamente (2) e rimase federata a Eoma appunto fino alla guerra sociale (3): certo è invece che la dittatura persistette, almeno ad sacra (4), e non se ne spiegherebbe l'esistenza accanto al Illl^irato se non fosse esistita in precedenza. Ohe poi essa sia «ausserhalb seiner eigentlichen Heimat» (5), questo è problema che non si può risolvere se non ricercando l'origine etnica di Fabrateria stessa, il cui nome almeno non pare latino, né volsco o ita lico in genere, ma mediterraneo e forse etrusco (6), e quindi, contrariamente a quanto scrive il Rosenberg, suggerirebbe rapporti di affinità con Tusculum, Caere (?) e così via, città tutte di probabile origine etrusca. Tra queste città va posta Fi dene, che, secondo Macrobio (7) ebbe appunto un dictator : un Postumius Livius Fidenatium dictator è eletto a guidare i ribelli contro Eoma. Pare con trapporsi alla notizia di Macrobio l'iscrizione di epoca repub blicana di C. I. L. XIV 4063 in cui compaiono due Ilvirei, ma l'esistenza dei Ilviri non esclude quella del dictator, non solo perchè i TI viri di Fideue sono attestati solo in epoca sillana, mentre la notizia di Macrobio si riferisce ad epoca ben anteriore ; ma anche perchè il dictator Fidenis quater dell'iscrizione pubblicata in « Notizie Scavi)) 1903, pag. 349 (8) non può essere posto in dubbio, anche se l'iscrizione fu sca vata a Troia in Apulia, perchè l'esistenza della dittatura è attestata anche da O. i . L. XIV 4058 al tempo di Gallieno. A complicare la questione intervengono però un'altra iscri-
(1) B K L O C H , op. cit., (2) L i v . , V i l i
pag. 490.
19 ; ofr. B E L O C H , op. cit., pag. 368 e 3!'0.
(3) BKLOCH, op. cit.,
pag. 586.
(4) I D . , ibid. (5) R O S E N B E R G , op. oit.t p a g . 111.
(6) MANNI, Le tracce della conquista vohca del Lazio, in Athenaeum 1939, pag. 243. (7) M A C R . , Sat. I 11, 37.
(8) =
C. I. L. I 2 1709,
1Î3
î MAGISTRATI D E I MUNICIPII LATINI
zione in cui compaiono due dittatori (1) e le difficoltà stesse di lettura di quest'ultima. Si affaccia spontanea la domanda se per caso i due ditta tori non corrispondano ai due IIviri e se, gli uni come gli altri, non trovino raffronto con quei due dittatori di Caere di cui abbiamo parlato. Il problema deve pertanto essere approfondito : ma, intanto, bisognerà porre in disparte il « dictator Fidenis quater » (2) di cui non possiamo sapere se avesse un collega e quello di Fabrateria vetus, di cui il nu mero dei dittatori non è assicurato da nessuna testimonianza. Per quanto riguarda Caere sappiamo già che 0. I. L. XI 3593 presenta appunto due dittatori. Per l'iscrizione si sup pose dallo Henzen (3) che si tratti di una cosa molto semplice : le lettere ES, con cui termina l'iscrizione, sarebbero state in cise nell'interlinea per applicarsi alla parola « dictator*, avendo M. lunius FJutychus, successore di P. Avillius Acanthus nella carica di dittatore, voluto che anche il suo nome figurasse sul l'iscrizione accanto a quello del predecessore. L'ipotesi, logicis sima, fu posta in dubbio da Huillard-Bréholles (4) solo per la presunta esistenza di due dittatori anche a Fidenae; ma a me pare avvalorata dal fatto che là, ove ora si legge il nome del secondo dittatore, si intravvede chiaramente una raschiatura : le parole raschiate erano con grande probabilità « sua impensa posuit » (5). Il mistero si può dunque chiarire supponendo che Gianio Eutico abbia completata l'opera iniziata da Avillio Acanto, cosicché fosse necessaria la correzione di quel « sua impensa posuit », rispondente solo in parte a verità. Quanto all'iscrizione di Fidene c'è l'ipotesi del Eosenberg che è già stata accolta da altri (6), e cioè che si debba cor reggere l'ET in AED. La D potrebbe essersi mutata per errore in T essendo seguita da un'altra T, ma appare meno proba bile che sia scomparso anche il dittongo — E in sostituzione (1) C. I. L. XIV 4058. (2) C. I. L. I 1 1709. (3) H E N Z E N , in O R E L L I - H E N Z E N , ad n. 5772 ; ex Ann.
Inst.
1846, pag. 266.
(4) H U I L L A R D - B R É H O L L E S , in Bev. Aroh. 1862, pag. 356. (5) Cfr. BORMANN in C. I. L. X I ad n. 3593. (6) R O S E N B E R G , op. oit.t p a g . 74 seg. ; R U D O L P H , op. cit., p a g . 42. 8
Ì14
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
di AB — quando si osservi che nella stessa linea il dittongo compare nel nome ABLIO. Ho voluto perciò risalire ancbe questa volta alla fonte prima, e cioè al Guattani (1), che pub blicò la prima volta l'iscrizione, ed ho potuto osservare che dopo quel difficile ET c'è un punto, segno questo che non com pare fra una parola e l'altra nel resto dell'iscrizione. Si può dunque credere che si tratti veramente di un'abbreviazione. Ma l'iscrizione presenta anche un'altra anomalia, come quella di quel OURAG (2), che, per essere spiegato, dovrebbe essere considerato un nuovo errore del lapicida. Se proprio vogliamo tenere in considerazione un'iscrizione così poco chiara, po tremo forse dire che la probabilità che essa dimostri l'esi stenza di due dittatori è per lo meno dubbia, come pare in tuibile dal fatto che ogni nome sembra preceduto da un'ab breviazione diversa; ma sarà forse più prudente porre l'epi grafe nel dimenticatoio e non tenerne alcun conto. Nulla dunque ci autorizza a pensare come possibile l'esi stenza di collegi di due dittatori. Dobbiamo invece osservare che, almeno a Capena (3) si crede da taluni che sia esistito un tipo di pretura assai simile alla dittatura e costituita anch'essa da un magistrato unico. Questo tipo di pretura è stato avvicinato dallo Sherwin White (4) al praetor ricordato da Orazio per Fundi (5), dove sono invece testimoniati dalle epigrafi soltanto collegi di tre (1) GUATTANI, Monumenti sabini, voi. II, pag. 358. (2) L'interpretazioue our(am) ag(ente) mi pare assai difficile da ammettere per quanto paia la più ovvia. (3) C. I . L. XI 3873 e 3876a. Cfr. S H E R W I N - W H I T E , op. cit., pag. 65. Bi sogna però tener presente non solo ohe tali iscrizioni sono di t a r d a età impe riale (rispettivamente dell'età di Pertinace e di Caracalla) e potrebbero quindi doonuieutare ana m a g i s t r a t u r a non originaria, ma nnohe che un fenomeno ana logo si ha pnre per Falerii. Nella C. I. L. XI 3081 (Menerua sacra A. Cotena La. f. pretod de zenatuo sententiad vootum dedet, cuando datti, rected concaptum) nn solo pretod agisce de zenatuo sententiad ; ma in C. T. L. XI 3I56a = C. J. E. 8343 appaiono due pretori insieme (Hirmio M. [fj] Ce(piof). Tertineo. C.f.pret(ores): la l e t t u r a non è sicurissima, ma è almeno probabile). Non è quindi impossibile ohe anche a Capena i pretori fossero due. (4) S H E R W I N W H I T E , op. oit.,
(5) H O R . , Sat. I 5, 34.
pag.
63.
I MAGISTRATI DEI MUNIGIPII LATINI
115
edili (1). Secondo lui il praetor d'Orazio non sarebbe un er rore, ma andrebbe inteso come traduzione del nome di un magistrato corrispondente ai dictator di Lanuvium. Non sa rebbe dunque necessario «rovesciare» il carattere collegiale della triplice edilità per intendere Orazio, perchè è possibile pensare ad un magistrato, diverso dagli edili, le cui funzioni siano state ridotte (2). Questa variazione dei poteri del meddix — poiché è appunto di un meddix «travestito» quello di cui, secondo lo Sherwin Wite (3) si tratta —sarebbe inoltre avvenuta senza l'intervento di Koma. Noi dobbia mo senza dubbio sottoscrivere in linea di massima le pa role che lo stesso autore fa seguire (4) a proposito di al cune tendenze allo schematismo più assoluto di taluni stu diosi ; ma non siamo d'accordo con lui quando egli pare voler inserire la sua ipotesi sul praetor di Fundi in quella del Kornemann sulla triplicità delle magistrature indigene d'Italia (5), da cui trae la conclusione che «since an explana tion has been found even for the apparent disappearence of the meddix, it is hardly necessary to go on believing that Rome in 188 B. C. abolished the constitutions of the states then incorporated » (6). Ool che contraddice se stesso, a meno che non si voglia ammettere che i tre edili posteriori al 188 fossero una spontanea reviviscenza di una più antica magi ci) Cfr. infra, pag. 123 segg. (2) L'opinione del ROSENBERG (op. cit., pag. 5) e del KORNEMANN (Zur alt-
italischen Ferfaesungsgeschiohie in Elio 1914 pag. 199), è invece ohe il titolo non ufficiale di praetor sia spettato al primo dei t r e edili : « der Praetor-Aedil steht aber geradeso über den beiden anderen Âedilen wie der Diktator in den äl teren Verfassungen dieser A r t » . A proposito della tesi del KORNEMANN ofr. infra, p a g . 125 seg. (3) S H E R W I N W H I T E , op. cit., p a g . 63.
(4) I D . , ibid. : « I t is a serions flaw in several current views about the early municipalities t h a t sufficient allowance is made neither for the activity of the oommnnities themselves, in remodelling and in developing their constitutions, nor for t h e scattered and broken oharaoter of t h e evidence for the mnnioipal history of Italy. This flaw produoes its evil effeot especially in a tendency to elaborate extremely schematic t h e o r i e s » . (5) KORNEMANN, art. cit., in Klio 1914, p . 190 segg. (6;
SHERWIN WHILTE,
op. cit., pag. 63,
116
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
stiratura, risorgente in luogo dei caduti meddices, cui sareb bero rimaste — come egli suppone — funzioni limitate. Ma del praetor di Fundi dovremo ancora parlare fra poco e al lora vedremo come, secondo noi, possa trattarsi non già di un wfieddix, messo in disparte, ma, forse, soltanto di uno dei tre soliti edili, cui Orazio può dare il pomposo titolo di praetor perchè è fornito di funzioni giurisdizionali, o, forse di un quinquennalis che ha la suprema iurisdictio in un anno di censo. Sulla giusta strada appare invece lo Sherwin White quando osserva che, a differenza dei pretori di Anagnia, Capitulum Hernicum e Cumae (1), il praetor di Oapeoa — unico e cioè senza collega — < may be supposed to hold the same office as the (1) Lo S H E R W I N W H I T E (op. cit., pag. 65), riprendendo l'elenco del B E L O C H
(op. oit., p a g . 498), vi comprende, come il Belo oh stesso, an oh e Lavinium, su oui si veda infra (pag. 135, n. 1). Quanto ad Anagnia ofr. infra (pag. 132). Riguardo a Capitulum Hernicum bisognerà tener presente ohe essa fu dapprima compresa nella prefettura anagnina e solo più tardi eretta a municipium (ofr. BELOCH, op. oit., p a g . 527) : ciò spiega a sufficienza come fosse r e t t a da magistrati ana loghi a quelli di Anagnia. Qualohe parola di p i ù merita il caso di Cumae, ohe, secondo il BELOCH, (op. cit., p a g . 518) ebbe praetoren come colonia, dopo averli avuti oome munioipium (ibid., p a g . 498). È naturalmente soltanto quest'ultima affermazione quella ohe qui o'in te ressa. Il BELOCH la basa sulle due iscrizioni C. 1. L- X 3685 e 3698 ; ma, anzitutto, non si capisce come mai egli possa oitnre a que sto proposito il n. 3698, quando si ricordi ohe egli lo cita poi, e giustamente (pag. 518), anche come esempio per la p r e t u r a della colonia, che, sempre se condo l u i , non potrebbe essere augustea (contra MOMMSEN, in C. I. L. X pag. 351). Bisogna però osservare ohe I'isorizioue d a cui il Beloch ricava l'esi stenza del municipium all'inizio dell'Impero (C. I. L. V 3711) è da altri a t t r i buita alla une della repubblica (MOMMSEN, loc. cit.). Se d'altra parte l'isorizione 3685 non è databile ad epoca anteriore alla deduzione della oolonia — n o n solo perchè è impossibile preoisare la data esatta di quella deduzione, ma anche perchè malcerta è la datazione dell'epigrafe stessa oggi perduta (ofr. C. I. L. X pag. 352) — bisognerà concludere ohe non abbiamo alcuna documentazione dell'esistenza di praetores nel municipium di Cumae. Di conseguenza non po tremo tener conto, oome invece vorrebbe il MINGAZZINI (Notizie Scavi 1930, pag. 547 seg.), n é dell'iscrizione C. I. L. I 2 1575 ( = X 4651) — già a t t r i b u i t a a Cales dal MOMMSEN (C. I- L. X pag. 451) e dallo stesso BELOCH (op. cit., pag. 490) — né di quella ohe egli stesso pubblica, identica all'altra e, oome quella, attribuibile non solo a Cales, ma anohe u Roma (MINGAZZINI, loo. cit.). Resta l'isorizione edita in Notizie Scavi 1913, pag. 186 seg., in cui la p r e t u r a è senz'altro del periodo coloniale (l'individuo onoratovi fu anohe our.peo. pub.).
I MAGISTRATI DEI MUNICIPTI LATINI
117
dictator at Caere » (1). In ciò egli segue il Kornemann (2), te nendo presente il praetor Etruriae. E non si discosta dall'ipo tesi del Rosenberg (3), pur rilevando sulla traccia del Beloch (4) che lo stato attuale delle nostre conoscenze etruscologiche non permette di dare un valore assoluto alle sue con clusioni. Noi abbiamo già notato (5) come praetor e dictator possano, ad un certo momento, essere stati considerati come sinonimi» Nò dobbiamo dimenticare la possibilità che Puno e l'altro termine siano stati di volta in volta usati per tradurre termini analoghi in epoche diverse (6). Se dunque si può pensare che esista una forma di pretura unica corrispondente in qualche modo alla dittatura, il pro blema da affrontare è quello che riguarda il rapporto fra que ste magistrature e la triplice edilità di taluni comuni. Ma intanto converrà stabilire i termini del problema per quanto riguarda i rapporti fra le città del Lazio e Eoma circa le magistrature che abbiamo terminato di passare in rassegna. Abbiamo già dimostrato che ai municipii era possibile in qualche caso mantenere le magistrature del periodo anteriore alla < concessione » della civitas sine suffragio. Per quanto ri guarda particolarmente le città latine incorporate in un pri mo tempo con questo tipo di cittadinanza, si osserverà facil mente che la dittatura di Arida, di Lanuvium e di altre città non può essere un'imposizione romana. A Tuscolo avvenne anzi il contrario perchè il dittatore restò — se restò — sol tanto ad sacra, mentre magistrati supremi divennero gli edili. Del resto fin le più antiche colonie latine, in cui Roma, già egemone nel Lazio fin dal periodo della monarchia etnisca, esprime la sua capacità organizzativa, sono rette — come Roma stessa — da coppie di praetor es. Non si capirebbe per chè stati teoricamente sovrani, come le colonie latine, doves(1)
SHBRWIN WHITE, op. cit.,
pag.
65.
(2) KORNEMANN, art. cit. in Klioy pag. 199. (3) R08ENBKRG, op. oit., pn-g. 51 aegg. (4)
BELOCH, op. ait.,
pag.
231.
(5) Cfr. supra, pag. 114 aegg. (6) E' il punto di vista del KORNEMANN (Zoe. oit., pag. 199) rer Zeit Diktator Mese, wurde jetzt Praetor genannt »,
twas in alte»
118
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
sero assumere una magistratura identica a quella ordinaria in Eoina, mentre città più o meno totalmente assorbite dallo Stato Eomano avessero avuto per il magistrato locale il ti tolo che i Eomani riservavano ad un magistrato di fronte al quale perfino i poteri dei consoli decadevano totalmente. La dittatura sorse dunque spontaneamente nel Lazio e il dittatore fu probabilmente il successore del re quale capo su premo delle singole città. Quanto all'edilità la sua assenza nelle colonie latine rette da due pretori (1) ci conferma soltanto cbe la costituzione romana, modello di quella coloniale, ignorava, quando furono fondate le prime colonie latine, questa magistratura. D'altro canto dobbiamo tener presente la considerazione che fin quando gli edili plebei sono sacrosancti essi costituiscono una magi stratura puramente plebea avente quindi carattere rivoluzio nario (2). Durante questo periodo — che giunge almeno fino all'anno 339 (3) — non è pensabile che lo Stato patrizio dia alle città sottomesse una magistratura siffatta. In particolare, Tnsculum non può dunque aver avuto dai Eomani una tale edilità nell'anno 381. Ma, ammesso questo punto, restano aperte due vie nel campo delle ipotesi : o l'edilità tuscolana e, in generale, latina fu il modello della edilità plebea ro mana (4), o l'edilità tuscolana risale a data anteriore al 381 essendosi foggiata sul modello dell'edilità plebea quaudo que sta si avviava ancora a divenire una vera magistratura. Per le altre città latine, sottomesse soltanto nel 338, quando già esisteva l'edilità curule da quasi trentanni, e per la stessa Tusculum, esiste infine una terza possibilità : e cioè che in esse si sia imitata l'edilità curule di Eoma durante il periodo intercorrente fra il 366 — anno dell'istituzione in Eo(1) Cfr. infra, pag. 165 segg. (2) Cfr. infra, pag. 260. (3) Cfr. infra, pag. 260. (4) Lo sviluppo dell'edilità verso il 400 a. C. sarebbe dimostrato secondo il MAZZARINO a YoUinii {Dalla monarchia allo Stato repubblicana, pag. 136 : aiZ/[.]), nonoliè a Falerii (op. cit.y pag. 140 : efiles). Se ciò potesse essere accolto oon qualche sionrezza, l'ipotesi ohe an oh e Tusoolo conoscesse l'edilità prima del dominio romano ne trarrebbe valido sostegno.
I MAGISTRATI DEI MUMICIPII LATINI
119
ma — e il momento della rivolta armata. Si può infine pen sare ad una istituzione posteriore al 338. Ciascuna di queste ipotesi ha il suo pro e il suo contro. Consideriamo anzitutto la possibilità che l'edilità tuscolana sia anteriore al 381. Se ammettiamo che essa sia sorta in dipendentemente dall'edilità plebea di Roma, appare logico il pensiero che anche le altre città latine non fossero rette in modo diverso : poiché pure in esse troviamo le stesse magi strature — dittatura ed edilità — ed anzi la tradizione della dittatura appare più saldamente radicata nelle altre città che non in Tuscolo. A sostegno appunto dell'origine dell'edilità latina indipen dente dall'edilità plebea di Roma, si può anche notare che gli edili latini, e fra essi i tuscolani, non sono — o per lo meno non appaiono mai — sacrosancti : essi, a differenza degli edili plebei, sono legittimi funzionari locali cui lo Stato sovrano demanda talune funzioni. Anche ammettendo che, per ipotesi, gli edili plebei fossero già praticamente dei magistrati di tutto il popolo pur non essendo riconosciuti come tali (1), questa differenza apparirebbe ugualmente alquanto significativa. D'al tro canto il più valido sostegno all'ipotesi dell'origine romana dell'edilità latina durante il periodo dell'indipendenza e anzi prima del 381, resta la possibile considerazione che aedilis vada posto in relazione con aedes—tempio. In realtà quest'ipo tesi si fonda soltanto sul fatto che gli edili plebei sono con nessi col tempio di Cerere dove conservarono per un certo periodo di tempo il tesoro e l'archivio della plebe. Ma a que sta considerazione si oppongono due altre possibilità : la prima di esse è che, analogamente a quanto avviene per i questori, la connessione col tempio — il tempio di Saturno per que sti ultimi — potrebbe indicare soltanto la necessità di con servare in luogo sicuro tanto il tesoro che l'archivio. La se conda possibilità è che, oltre alle due interpretazioni tradizio nali della derivazione di aedilis da aedes (Bauherren o Tem pelherren), ne esista una terza : aedes potrebbe anche essere V aedes regia. Ma in questo caso l'origine dell'edilità andrebbe (1) Per la data ofr. infra, pag. 260.
120
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
cercata fuori di Borna per l'impossibilità di pensare ad edili romani di età regia trasformatisi in funzionari puramente plebei. Penso pertanto che, quando si ammetta una data ante riore al 381 per Porigine dell'edilità tuscolana, bisogna risalire anche oltre il 493 perchè l'edilità plebea non pare il modello, ma, se mai, la copia dell'edilità latina. Alle considerazioni già fatte bisogna anche aggiungere che — qualunque sia il peso dell'osservazione — è difficile pen sare che quando — per effetto della sottomissione a Eoma — si diminuirono le funzioni dei dittatori latini, si sia sentita la necessità per centri così piccoli di istituirvi anche l'edilità. Anche le colonie latine — Stati sovrani — non ebbero da Eoma l'edilità all'atto della loro costituzione : è pertanto dif ficile pensare che per città ridotte a sudditanza — e quindi con poteri molto più limitati — se ne sia sentita la neces sità prima che per esse. È però necessario, d'altronde, tener presente la possibilità che l'edilità sia stata data da Eoma perchè i dittatori fossero rimasti con incombenze puramente nominali, o quasi, anche nel campo amministrativo. In questo caso però si scenderebbe ad una data posteriore al 366 perchè i Eomani non diedero certo alle città sottomesse una magistratura plebea. Ed allora siamo nuovamente di fronte ad altre due possibilità : o furono i Eomani ad imporre una tale magistratura oppure essa preesisteva al 338. Oltre alle considerazioni già fatte bisognerà dunque soffermarsi anche su questo nuovo dilemma. Se l'edilità delle città latine è posteriore al 366 — anno in cui fu istituita l'edilità curule in Eoma — bisogna ammet tere che Tusculum sia stata senza magistrati effettivi almeno fino a tale data. Il caso non sarebbe inverosimile se si tiene conto del fatto che Antium — che era però una colonia ro mana almeno dal 338 — si trovò realmente in tali condizioni e solo nel 318 le furouo dati « ad iura statuenda », dietro sua ri chiesta, « ipsius coloniae patroni » (1). Ma bisognerebbe anche ammettere che le altre città latine, quelle che poi furono incor(1) Liv., IX 20.
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LATINI
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porate nel 338, si fossero date tutte spontaneamente l'edilità per imitare l'edilità curule romana nel breve volgere di tempo che intercorre fra il 366 e il 340, anno della loro rivolta. Anche questo caso non è del tutto inverosimile ; ma nel complesso appare tuttavia poco probabile cbe si siano verificate entrambe le circostanze e che cioè Tusculum sia rimasta senza magi strati almeno fino al 366(1) e che poi fra il 366 e il 340 le al tre città latine ancora indipendenti abbiano spontaneamente imitata l'edilità curule romana proprio alla vigilia della loro rivolta. Non resta dunque da considerare se non la possibilità che tanto Tusculum quanto le altre città latine abbiano avuto l'edi lità solo dopo la loro sottomissione. In questo caso però non scompare la necessità di dover credere che Tusculum abbia dovuto rimanere senza magistrati fino al 366, almeno, perchè — come s'è detto — è estremamente difficile ammettere che modello della sua edilità sia stata l'edilità plebea romana. Questa difficoltà mette in dubbio anche la possibilità che le altre città latine abbiano ricevuto l'edilità da Borna. Comunque sia, è necessario rilevare che nessun fatto do cumentato può illuminarci con sicurezza sull'origine dell'edi lità : il calcolo delle possibilità ci pare tuttavia che suggeri sca piuttosto l'ipotesi dell'origine latina. E questa possibilità ci pare in realtà la migliore. Ognuno giudicherà per conto suo se sia bene aderirvi. Se poi si vorrà spiegare come e perchè sia sorta l'edilità nel Lazio si entrerà per forza nel regno delle ipotesi pure e semplici e cioè nella pseudostoria. Non si può tuttavia esi mersi dal tentare di affrontare il problema anche se le spe ranze di risolverlo in modo definitivo sono quasi nulle. Si può osservare, comunque, che l'edilità compare nel (1) Si tenga presente a questo proposito ohe per Anagnia il fatto della esautorazione dei magistrati looali — non della loro soppressione, si noti — è sottolineato in modo particolare da Livio (cfr. supra, pog. 88 seg.) e che per d o abbiamo potuto ritenere ohe si trattasse di uu avvenimento straordinario. Quanto ad Antium, trattandosi di una colonia civium Romanorum, ci tro viamo di fronte al oaso di uu organismo di origine ben distinta da quella di Tusculum e sostanzialmente nuovo.
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LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
Lazio, in età storica, come seconda magistratura accanto alla dittatura; ma non si può decidere con sicurezza se questa posizione di inferiorità sia originaria o derivata. L'iscrizione di Lanuvio già ricordata (1) e la triplice edilità di Arpinum, Fundi e Formine (2) potrebbero far pensare che il dictator non fosse che il primo dei tre edili, ma potrebbe sembrare un assurdo il pensare ad aediles cum imperio. Quest'obbiezione è senza dubbio valida per gli edili plebei di Roma per i quali è certamente errato il parlare di Imperium ; ma, se si può am mettere che gli edili plebei siano una creazione posteriore al l'edilità latina, il problema riguardante le città latine merita di essere riesaminato anche da questo punto di vista. Bisogna intanto osservare che l'obbiezione di cui si parla sarebbe valida soltanto se si considerasse come sicuro che gli aediles fossero originariamente i custodi dvWaedes sacra. In tal caso, infatti, ci troveremmo di fronte a magistrati sacer dotali e, per credere alla possibilità del loro imperium, bisogne rebbe sostenere l'ipotesi con esempi tratti dal mondo semi tico e orientale. Abbiamo però già osservato che l'etimologia del loro nome è assai incerta (3) e d'altronde la connessione originaria con un tempio è presumibile soltanto per gli edili della plebe romana, ma è indimostrabile per gli edili latini (4). Di aedes, invece, poteva esservi anche la regia e, come molti secoli dopo, sorgeranno i comités palatini e i domestici che prenderanno il loro nome dal palatium imperiale o dalla domus dell'Augusto, nulla ci vieta di credere che anche il re fosse stato assistito da aediles, torse in numero di tre come tre erano a quanto è dato di supporre le tribù in cui si sud divideva la civitas da loro retta. Per le città latine si potrebbe dunque pensare che, cac ciato il re, tre edili ne prendessero la successione e sceglies sero nel loro stesso seno un capo supremo, il dictator. Solo Roma, che conosceva forse i due praetores potè al
ci) Cfr. supra, pag. 108. (2) Cfr. infra, pag. 123 segg. (3) Cfr. supra, pag. 119 ; infra, pag. 126, n. 3. (4) Cfr. DE SANCTIS G., in Biv. di EiloU 1932, pag. 439 Beg.
I MAGISTRATI DEI MUNICIPII LATINI
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fidare a questi il supremo imperio in sostituzione del re : le città latine, invece, potevano in quel momento conoscere an cora soltanto gli edili e affidare ad essi il potere. Il dittatore sarebbe in tal caso sorto per la necessità di dare un capo alla Lega quando il turno spettava alla sua città. A Roma esso rimase un magistrato straordinario, nel Lazio — al contrario — fu il magistrato eponimo. Tutto ciò, naturalmente, può essere fondato soltanto su una serie di ipotesi : chi non voglia accettarle non potrà, se condo me, concludere se non con un non liquet.
LA TRIPLICE EDILITÀ DI AKPINUM, FORMIAE E FUNDI. Fra le varie prefetture extra-latine, città che ebbero da Roma un praefectus qui ius diceret, ve ne sono tre che me ritano un cenno particolare per la loro speciale costituzione. Si tratta di Arpinum, Fundi e Formiae, che troviamo nelle iscrizioni e in altre fonti rette da collegi di tre edili (1). •Si aggiunge sovente a questi tre comuni la colonia latina di Ariminum, in cui si ritiene che esistessero dei Illviri aediles. Per quanto però riguarda Ariminum, avremo occasione di di scutere la questione più oltre (2). Ci limiteremo qui ad osser vare che, comunque, la suprema magistratura di Ariminum è il duovirato comune alle colonie (3). Preferiamo quindi di stinguere il caso di questa città da quelli delle tre prefetture che ci interessano ora. (1) Le fonti opigrafiohe sono : per Arpinum : G. I. L. l a 1537, 1538, 1539 (rispettivamente = X 5679, 5680, 5682) e X 5681 ; per Formiae : C. I. L. I 2 1563, 1564, 1565 (rispettivamente = X 6105, 6111, 6108) e X 1800, 6101, 6107 ; per Fundi : C. 1. L. I 2 1557 a, b, e, 1558, 1559, 1560 (rispettivamente = X 6233, 6234, 6235, 6238, 6239, 6242), X 6228, 6232, 6240, 6241,6243, 6244 e XII 4357. Negli anni del oenso troviamo a Formiae Yaedilis solus {C. / . L. I 2 1564 = X 6111; X 6105 — aed. quinq. solo —, X 6016) e a Fundi Vaedilis quinquennali* (C. I. L. X 6240, 6244 ? ; XII 4357). Si aggiunga C i c , ad/am. XIII 11, 3. Per il praetor di Fundi ofr. supra, pag. 114 segg. (2) Ofr. infra, pag. 159 segg. (3) Un Ifvir è oerto il consul di C. /. L. XIV 4269 : ofr. BELOCH, op. oit., pag. 490 Beg.
124
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
Il carattere epicorio della triplice edilità di Arpinum, Fundi e Formiae è reso probabile più cbe dalla singolarità della stessa costituzione — singolarità cui può non credere chi am metta la triplice edilità di Tusculum o di Lanuvium, ove del resto l'edilità pare ugualmente nata sul posto —, da una con statazione di carattere tecnico-storico. Se, infatti, la magi stratura in questione si ritiene instaurata all'atto della con cessione dell'optimum ius, la triplicità dei magistrati non si spiega facilmente ; Eoma ha già dato l'ottovirato alle città « sabine » (1) e darà meno di un secolo dopo il quattuorvirato ai sodi ammessi nella cittadinanza : nello sviluppo storico non pare vi sia posto per il triumvirato di queste tre città. Se invece la magistratura in questione si considera come la continuazione di quella che resse il municipium sine suffragio, la constatazione già fatta (2) che solo per Anagnia la conqui sta romana significò sicuramente, per la prima volta nella storia dei municipii, la perdita dei propri magistrati, ci con sente di credere che non sia avvenuto alcunché d'analogo in queste tre città che entrarono pacificamente nello Stato Eomano prima della sottomissione di Anagnia. Eesta tuttavia da vedere come abbia potuto sorgere que sto tipo di costituzione. Avrà forse scarso valore a questo riguardo la notizia del l'esistenza sia in Fundi che in Formiae di un interrex (3), per chè non si può affermare con sicurezza che esso ci documenti l'antica esistenza dei re. Ma questa esistenza ci è suggerita per Arpinum anche dalla vantata genealogia regia dei Tullii (4), gente di stirpe probabilmente etnisca (5). È appunto al (1) Cfr. infra, pag. 141 segg. (2) Cfr. supra, pag. 88 seg. e 121, n. 1. (3) Sa di essa ofr. ROSENBERG, op. cit., pag. 7. (4)
Cfr.
PLUT., Cic. 1,
1 ; AUCT. de
vir.
ill.
18,1 ; SIL. ITAL., VIII
405
segg. Si veda per ciò MÜNZER, in P. W., VII A 800, 8. v. Tullii. (5) Cfr. SUULZE W., Zur Gesch. latein. Mgennanmen, pag. 246. ho stesso autore (pag. 30, n. 5), aocennando all'esistenza dello stesso nome in illirico, osserva ohe è «vielleicht nur zufallig mit dem Namen des Volskers Cicero identisoh und abgeleitet von einem illyr.-venet. Tullus, etc.». Si osservi ohe siamo sempre in ambiente «mediterraneo». Assai dubbia l'etimologia secondo WALDE A., Lai. Etymol. Wörterbuch, II ediz., pag. 797.
ì MAGISTRATI DEI MUNICIPII LATINI
125
dominio etrusco in questa zona che potremo forse riferire la origine della triplice edilità se teniamo presente l'organizza zione, forse anch'essa etrusca, delle tre tribù, di cui gli edili sono verosimilmente i rappresentanti (1). Eiferimenti alle ma gistrature che conosciamo in Etruria difficilmente potrebbero avere un valore determinante, data purtroppo la lacunosità delle nostre conoscenze al riguardo, aggravata dalla difficoltà di valutare rettamente le testimonianze ; né posso io pre tendere di dire in merito una parola definitiva; ma almeno vorrei tentare di mettere in evidenza il l'atto che nulla si op pone alla mia ipotesi. Stando, infatti, alle ultime teorie avan zate in questo campo, dovremo credere che in luogo del re detenessero poi i poteri supremi dello Stato dei magistrati il cui titolo potrebbe essere tradotto col latino praetor. Essi sa rebbero stati più di UDO e si sarebbero suddivisi funzioni di verse. Pare au che che la durata della loro carica fosse proba bilmente annuale. Accanto ad essi sarebbero anche esistiti dei magistrati, il cui titolo dimostrerebbe l'esistenza di collegi di duoviri, triumviri e quattuorviri (2). Per noi sarà sufficiente la constatazione della possibile esistenza di collegi di Illviri, che ben si confà con la nostra ipotesi (3) ; ma non dovremo dimenticare che, secondo il Kornemann (4), è appunto il numero tre che caratterizza i collegi magistratizi delPItalia più antica. La tesi del Korneniann me rita naturalmente un esame accurato per il rispetto dovuto alla sua firma, ma dobbiamo dire subito che non ci pare molto convincente, soprattutto per il fatto che egli accosta, arbitrariamente a mio avviso, magistrature di tutti i tempi e di tutti i luoghi a partire dai magistri dei vici — che, tra parentesi, non sono sempre tre — per giungere fino al trium virato di Ottaviano, Antonio e Lepido. Certo è però che la (1) Salle tre tribù cfr. MOMIGLIANO A., Rioerche sulle magistrature romane, IV, in Bull. Comm. Arch. Com. 1932, pag. 232, e, ivi, la bibliografia utile. (2)
PALLOTTINO H . ,
Gli
Etruschi,
pag.
245.
(3) I collegi di dne e di qnattro magistrati possono facilmente ritenersi di origine romana o, comunqne, italica. (4) KORNEMANN, art. oit. e Die Dreibeamtenzahl in Italien, in Klio, 1915, pagg. 494-496.
226
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
tradizione del numero tre non viene mai meno in Borna; la esistenza anzi di tre auguri, di tre pontefici, ecc. ne garantisce l'antichità e, forse, il carattere etrusco per il rapporto che si può istituire con le tre tribù. Meno certo sarà che l'esistenza dei tre magistrati dei vici e dei pagi dimostri che « die Dreibeamtenzahl ist der Rest eines älteren weit verbreiteten Verfassungsschemas in Italien, sowohl in der latinischen, wie in der oskischen Sphere > (1), tanto più che entrambe queste «sfere» si sono trovate sotto l'inuiisso etrusco. Eesta però aperto il problema, poiché abbiamo visto in altre città che subirono certamente il dominio etrusco un tipo di costituzione in cui compare un dittatore con due edili (2), e di cui è possibile credere che originariamente constasse di tre magistrati. Per quanto, in particolare, riguarda le tre città di Arpimnn, Fundi e Formiate, il primo punto da discutere dovrebbe pertanto essere quello riguardante il nome stesso degli edili. Il quale è, secondo ogni probabilità, di origine latina (3) e, (1) I D . , Zur altit. Verf., citato, pag. 195. (2) Cfr. supra, p a g . 104 segg. Coa esse v a certamente considerata anche Caere. (3) Il collegamento di aedilis con aedes, concordemente acoolto dagli stu diosi m o d e r n i , è già in V A R R O N E {de l. I. V 81). Solo il KORNEMANM (art.
in Elio, pag. 196, n. 1) tenta di oonfatare VON
P L A N T A (Gramm,
d. osk.-umbr.
Dial.,
cit.,
l'origine latina dal nome contro
I 424 e 468) e R O S E N B E R G (op. cit.,
pag. 102, n. 1). Ma i suoi motivi sono poco plausibili : e88Ì sono infatti rica vati da un'affermazione del MOMMSBN di cui già abbiamo parlato (ofr. aupra, pag. 2) e dalla negazione che sia possibile dedurre solo dallo < Zweizabl s de gli edili nelle città osohe la derivazione d a n n modello l a t i n o ; ma l'afferma zione del MOMMSEN è del t u t t o soggettiva e le ragioni linguistiche, aocolte tacitamente anche d a l DEVOTO (Gli antichi Italici, pag. 286 seg.) — che pure è preoisamente un glottologo —, superano l'importanza limitata che il KORNKMANN vorrebbe loro a t t r i b u i r e . Inoltre il KORNEMA_NN vuole negare l'origine romana degli edili comparenti nell'ottovirato di Trebula Mutuesca e a Peltuinnm e couolnde chiedendo come si possano spiegare gli aediles i. d. di Benevenluin, Gnalhiu, Ausculum, Herdoniae. La risposta a questa domanda crediamo di poterla dare ben diversa da quella cui pensa il KORJÏEMANN (cfr. infra, pag. 155 aegg.) e p e r q n a n t o r i g u a r d a Trebula Mutuesca rinviamo al luogo dove ne parliamo di proposito (pag. 142 segg.). P e r qnanto riguarda Peltuinum e la sua duplice edilità (ofr. C. I. L. IX 3384, 3385, 3431, 3433, 3438 e, p e r aedilis quinqùennalis, 3385, 3429, 3437, 4209) e Aveia, ohe viene considerata p e r aiia-
î MAGISTRATI DEI MUNICIPII LATINI
Ì27
quindi, non originario nelle tre città in questione. Ma che non sia originario il nome non implica di conseguenza che non sia originaria nemmeno la magistratura e perciò scarsa luce può venirci da questa nozione. Inoltre è assai arrischiato il credere col Rosenberg (1) che Vaedilis solus di Formiae(2) sia normalmente superiore ai due colleghi : il fatto che con ogni probabilità aedilis quinquennalis solus vale quanto aedilis solus semplicemente (3) dimostra, come ha visto il Dessau (4), che negli anni del censo si ha un solo edile anziché tre. Tuttavia il praetor di Fundi può avere un valore assai relativo se si pensa che Orazio abbia voluto in qualche modo prendersi gioco di un magistrato insdicente locale quale era certo un qualunque aedilis di Fundi. Va an che tenuto presente che praetor può, in questo caso, avere un logia sullo tìteBso piano (RUDOLPH, op. cit., pag. 44 segg.), dobbiamo notare ohe qaeste due prefetture, considerate dell'età repubblicana e anteriori alla guerra sociale da t u t t i gli studiosi (ultimamente dal RUDOLPH, loo. oit., che ne pone l'origine al I I I seo. a. C ) , forse per analogia con le prefetture sabine, hanno visto i loro edili (testimoniati solo per Peltuinum) oollooati oome un unicum nella serie delle magistrature via via oreate ed imposte dai Romani per le città sottomesse. £ ' faoile però osservare che in entrambe le località si trova ricordato an che il praefectua iure dicundo (come appare da talune iscrizioni di Peltuinum — C. 1. L. IX 3433-3437, nelle quali compaiono i due titoli affiancati — e una di Aveia — 3613 — ). Appare pertanto assai diffìcile considerare l'edilità oome la massima gerarchia anohe se un'iscrizione del 242 d. C. accenna a due edili quinquennali « ordinem habentes» (C. I. L. IX 3429). Â parte infatti la cronologia, è noto ohe gli edili hanno il potere di oonvocare l'assemblea co munque essa si chiami. Più diffioile è spiegare perchè si trovino aedxles quinquennales (cfr. anche il n. 3385) se la massima a u t o r i t à è il praefedus iure dicundo; ma appunto p e r questo converrà evitare di confondere gli edili di Peltuinum con quelli delle città latine. (1) ROSENBERG, op. cit., pag. 19 seg., 51 segg.
(2) Per la doouinentazione ofr. supia, pag. 123, n. 1. (3) Cfr. C. I. L. X 6015 (C. Iunio C. f. Anien(si) [forse per Jemilial] Tertio eq(uo) public(o) aug(uri) aed(ili) quinq(uennali) solo praef{eclo) coh(ortis)...) e C. I. L. X 6016 (6\ Iunio Cf. Aem(ìlia) Tertio eq. public, aed. solo augur.). Che l'individuo ricordato in entrambe le iscrizioni sia lo stesso non mi pare af fermabile ; ma i due cursus paiono identioi fra loro. (4) DESSAU, in Klio XIV (1915), p a g . 489 segg. Cfr. R U D O L P H , op. oit., pa
gina 63 seg.
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
12S
significato generico (1). Ma non si può tuttavia escludere con sicurezza che detto titolo trovi la sua spiegazione nell'esi stenza del praetor Campanus (2), ossia del meddix tutictis di Oapua (3). Se, infatti, teniamo presente che dei due meddices uno è gerarchicamente superiore all'altro (4), sarà possibile credere che fin dove si irradiò in qualche modo l'influsso osco do vette comprendersi ben presto quanto vantaggioso fosse il comando unico, non ignoto del resto agii stessi Etruschi, abi tuati al potere regio dei re o dei loro successori, e agli stessi Latini se effettivamente conobbero un dictator della loro Lega. Dal collegio dei tre edili, rimasto indipendente con la cac ciata del rex, potè dunque emergere anche qui la figura di uno di essi, come altrove era sorto — forse — in qualche luogo il praetor, in qualche altro il dictator7 o un magistrato il cui titolo potè a volta a volta essere tradotto con dictator o praetor nelle città etnische più vicine al Lazio (5). Ma l'es senza della magistratura fu forse sempre la stessa e, da que sto punto di vista, pare possibile credere che la triplice edi lità sia stata comune non solo alle tre città in cui essa è storicamente accertata, ma anche là dove troviamo un dictator o un praetor solo. Una vaga reminiscenza si potrà forse scorgere nell'iscrizione di Lamivium in cui compaiono ap punto tre aediles (6). . (1) Praetores si legge anche in un'iscrizione Il D E GRASSI, accostando appunto quest'iscrizione ohe praetor abbia in entrambi i oasi soltanto un a quello di magistrates. Debbo quest'informazione De Grassi, che qui ringrazio. (2) Liv., XXIII 7. (3)
R O S E N B E R G , op.
cit.,
pag.
19
metrica ( 0 . I. L. X 6193). al noto passo d'Orazio, pensa significato geuerico analogo alla gentilezza dello stesso
seg.
(4) DEVOTO, op. cit., pag. 264 segg. (5) Cfr. KORNSMANN, loc. cit., pag. 199 : « der erste Aedil ist eines Tages — wohl wiederum u n t e r dem Einfluss des etruskisohen Einzelbeamtenstaates — zum Diktator erhoben worden ». E per l'identificazione del praetor di Funài col primo dei tre edili ibid., con rinvio a ROSENBERG, op. cit., pag. 5. Sulla critica dello SHERWIN W H I T E a questo punto di vista abbiamo già espresso la nostra opinione. (6) Cfr. supra, p a g . 108 seg. Si noti ohe l'isorizione è so fiooientemente arOttiOtt,
i MAGISTRATI DEI MUNICIPI! LATIN!
129
Resterebbe soltanto da chiedersi perchè i tre magistrati di Arpinum, Fundi e Formiae abbiano assunto il nome di aediles. La risposta più semplice è fondata sulla considerazione che il nome è certamente di origine aggettivale latina. Nel Lazio, anzi, abbiamo intravisto la possibilità che l'edilità fosse la magistratura fondamentale che — come si può rite nere possibile anche per Arpinum, Fundi e Formiae — scalzò la monarchia e le successe nella suprema direzione dello Stato. Nel Lazio stesso, inoltre, qualunque fosse la vera ori gine del suo nome, l'edilità potè assumere con la cacciata dei re un nuovo significato e passare ad indicare soltanto il supremo collegio dei magistrati. Se ciò è possibile, è altresì possibile che il nome dell'edilità si sia prestato a tradurre il nome delle magistrature collegiali di varie comunità venute a contatto col Lazio e, per un motivo qualunque, profonda mente latinizzate. L'influsso romano potè essere decisivo. Ancora una volta, purtroppo, dobbiamo però contentarci di ipotesi. Una soluzione definitiva non pare in alcun modo raggiungibile.
NOTA SUI
POTERI DEGLI EDILI NEI MUNIOIPII E NELLE PRE
FETTURE ANTERIORI ALLA GUERRA SOCIALE.
Se è lecito credere che l'edilità sia sorta spontaneamente nei comuni di cui abbiamo parlato, che mantennero probabil mente le proprie magistrature epicorie, anche dopo la guerra sociale, sarà interessante altresì tentare di stabilire i limiti di essa e ricercarne le tracce più antiche. Questa magistratura, ormai sappiamo, tiene per lo più il secondo rango dopo la dittatura, eccetto che nelle tre città di Arpinum, Fundi e Formiae e a Tusculum dopo il possibile passaggio ad sacra del dittatore. Difficilissimo appare invece determinarne le funzioni speciali, soprattutto perchè la do cumentazione — scarsissima per il periodo anteriore alla guerra sociale — non potrà quasi mai essere considerata come indiscutibile per quanto concerne le funzioni originarie della 9
130
LÉ MAGISTRATURE MUNICIPALI
nostra magistratura. A questo proposito, infatti, bisogna an che tener conto della considerazione che l'edilità, come qua lunque altra manifestazione della vita umana, dovette essere soggetta ad una continua, se pure lenta, evoluzione, non solo per rispondere di volta in volta a mutate necessità lo cali, ma ancbe in corrispondenza di analoga evoluzione dei rapporti con i centri urbani vicini e lontani. Non per questo è lecito trascurare del tutto la ricerca, cui pertanto ci accin giamo pur senza grandi speranze. I municipii latini di cui ci occuperemo saranno Arida, Lanuvium, Nomentum, Tuscalum e, inoltre, quello viciniore di Capena(l). Non potremo invece considerare i municipii campani di Acerrae, Capita e Cumae perchè Capua, come è noto, fu privata delle proprie magistrature e ridotta a t locus comportando condendisque frugilms» fin dal 210 a. O. (2), men-
(1) Per Velitrae sarà opportuno notare ohe questa c i t t à dovette mante nere la sna costituzione a n t e r i o r e alla guerra latina, perchè i coloni, mandati nei campi dei senatori esiliati, non costituirono una vera e propria colonia^ ma soltanto fecero sì che « speciem antiquae frequentiae Velitrae receperunt » (Liv., V i l i 14). A questo proposito si noti ohe la Tabula Velitema (CONWAY, op. cit., n. 252), attribuita al IV secolo, ci parla di due meddioes volsoi, cosicché pare senz'altro da esoludersi la n o t i z i a di un'antica dednzione di colonia di oui parla L I V I O (II 31, 4). Del resto la notizia è respinta da taluni studiosi, in tendendosi il «colonia deduota» dei manoscritti come un glossema di «coloni ab Urbe missi » ohe preoede immediatamente (cfr. WKISSKNBORN, ad loc). L'attributo di Vbteres cives Romani, con oui il Padovauo qualifica i Veliterni non può dunque riferirsi se non ad un munioipio costituito dopo la oonquista volsoa di Velitrae (see. V I - V : cfr. MANNI, Tracce della conquista volsoa del Lazio, in Athenaeum 1939, p a g . 237, u. 10), forse appunto quando furono dedotti coloni nell'agro confiscato (« Volaci» devictis Volitemus ager ademptus » : LlV., I I 31, 4). Velitrae infatti oontinuò a lottare contro Roma, il ohe non avrebbe potuto avvenire se effettivamente si fosse costituita una colonia (cfr. Liv., passim, fino al 1. V i l i ) . L'edilità di Velitrae non pare pertanto epi. ooria se si considera il I l v i r a t o come diretta trasformazione della meddioità Dubbin è i a posizione di Ulubrae, retta da Ilviri e ricordata la prima volta ai tempi di Siila (BBLOOH, op. cit., pag. 524). Resta Ficulea, di oui conosciamo soltanto un aedil. praef, iur. die. et sacris Jaciundis (C. I. L. XIV 4002) e il oui prefetto sostituisce certo i normali ma gistrati, m ano an ti per qualohe motivo ohe non possiamo stabilire. (2> C i c ,
de leg. agr.
II
32, 88 ; I 6, 1 9 ;
Liv.,
XXVI 16, 7 ;
VBXL., II
44.
t MAGISTRATI DÈI MUfctClPlI LATINI
131
tre per Cumae e Acerfae non abbiamo iscrizioni anteriori alla concessione dell1 optimum ius (1). Diversa da quella di Capua è anche la posizione delle pre fetture del secondo tipo festiano, che in gran parte non solo ebbero magistrati propri, ma conservarono senz'altro quelli stessi che Eoma vi trovò, e fra di esse fu, per un certo periodo, anche Caere (2). Questa posizione di privilegio ebbero proba bilmente, secondo quanto s'è visto, Fundi, Formiae ed Arpinum, che raggiunsero poi, nel 188, l'optimum ins. Analogamente furono probabilmente trattate le prefetture degli Equi, se è vero che a Trebula Suffenas compaiono a (1) L'edilità di Acerrae è documentata d a C. I. L. X 3758 ; quella di Cumae da C. I. L. X 3704. In entrambe l'edile è già cittadino romano poiché ne è indioata la tribus. Queste due città avrebbero avuto nna prefettura del primo tipo festiano (FRSTUS, S. V. Praefecturaé) : esse cioè sarebbero s t a t e sot toposte ai praefecti Capuani Cumas instaurati per il 210 a. C. Si è già notato (BBLOCH, Der italische Bund, pag. 132 segg.) che questa prefettura avrebbe compreso almeno dal 194 — l'anno della oolouizzazione di Liternum, Puteoli e Volturnum (Liv., XXXIV 45) — tre tipi distinti di comuni : le tre colonie ricordate, quattro munioipii sine suffragio {Cumae, Acerrae, Suessula, e Atella) e tre oonciliàbula sine suffragio {Cupua, Casilinumt Calatia). Nel 210 si. trattò evi dentemente di provvedimenti straordinari adeguati alla oiroostanza : il terri torio campano venne a trovarsi — con la riduzione di Capua a «sedes aratorum » o « locus comportando condendisque frugibus » — in condizioni del tutto particolari : la neoessità di costituire una prefettura per la iurisdiotio nel ter ritorio di Capua — rimasto senza magistrati propri — potè suggerire l'oppor t u n i t à ohe anche i munioipii rimasti fedeli {Cumae, Acerrae, Suessula) facessero capo ad essa anziché al pretore romano. Sedici anni dopo si addivenne pro babilmente ad una nuova sistemazione della regione con la oolonizzazione di parte del territorio, ma non persero la loro autonomia locale i munioipii com presi nella prefettura. (2) Come risulta da FESTUS, S. V. Praefeotura, pag. 262 L. Secondo il KORNBMANN (in P. W., XVI, s. v. Municipium) essa fu dapprima municipium s. $. diveuno per un oerto periodo prefettura, poi riebbe il titolo di municipium, ma oon l'optimum ius. La permanenza del dictator in età imperiale pare t u t t a v i a suggerire l'ipotesi ohe essa non abbia mai perduto le proprie magistrature. La sua storia è dunque analoga, per questo aspetto, a quella di Arpinnm oui si è g i à aooennato. Sulla questione cerite si vedn ultimamente anche l'ottimo contributo re cato dallo SHERWIN W H I T E {op. cit., pag. 51 segg.). Si veda inoltre R U D O L P H , op. cit., pag. 17 seg., specialmente per quanto riguarda l'istituzione della dit t a t u r a . Su ciò ofr. supra, pag. 109 aeg.
132
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
capo del posteriore municipio dei IIviri che potrebbero ri specchiare i due antichi meddices (1). La stessa considerazione potrebbe valere per gli Equicoli : nei due municipii che sor sero poi sul loro territorio — Gliternia e la respubliea Aequi•eulorum — troviamo ancora dei IIviri (2). La stessa supposi zione infine può farsi per Vena/rum, Allifae, Atina Latii, che, come Casinum e Aufidena, ebbero pur esse dei IIviri anziché dei IlIIviri (3). Bisogna tuttavia notare subito che questi co muni retti da Ilviri non possono avere per noi grande impor tanza, perchè a noi non interessa ora il Ilvirato in quanto tale né in quanto erede della meddicità italica, ma Pedilità, che, in questi comuni, non pare originaria e talvolta non è nem meno documentata (4). Oosì pure non può interessarci Anagnia, che vide le fun zioni dei suoi magistrati ridotte ad sacra, e di cui manca una documentazione anteriore al momento di questa limitazione (5) ; né possono interessarci le prefetture rette ad VlIIvirato, la
(1) Cfr. BELOCH, op. cit., pag. 508; e, Balla meddioità di queste s t i r p i ita llone, anche DEVOTO, op. oit., pag. 265 segg. (2) Cfr. B E L O C H , op. cit., pag. 509;
(3) Si salda oon queste, in an bloooo geografloamente abbastanza compatto anche Caiatia, attraverso Cubulteria, di oni pnre ci sono noti Ilviri. P i ù a setten trione si trova in condizioni analoghe la peligna Superaequum ; a mezzogiorno si p o t r à forse pensare a l t r e t t a n t o per JEhirum e Surrentum, oongiungentisi per nna stessa linea idealmente tracciata alle c i t t à già ricordate attraverso Sues8ula ed Heroulaneum (anoh'esse rette da I l v i r i ) . Le fonti epigrafiche sono indi cate in BELOCH, op. cit., p a g . 508 seg. Manca n n a doonmentazione dei Ilviri per Venafrum e Allifae, che però furono certamente prefetture ( B E L O C H , op> oit., p a g . 472, 586, 600 ; KORNEMANN, in P. W., XVI 583 s. v.
Munioipium).
(4) Cfr. infra, pag. 148 segg. (5) Anohe Anagnia fu munioipio retto da praetores e poi-da Ilviri (C. I. L. X p a g . 584), ma, essendo essa stata prefettura (ofr. KORNEMANN, loc. oit., 582) oerto d a l tempo in oui i Romani tolsero ai magistrati anagnini ogni potere ci vile e politico, oodesti praetores o Ilviri non dovettero essere diversi d a quelli delle oolonie romane e non furono probabilmente coadiuvati da aediles almeno in un primo periodo. Ritengo pertanto ohe non sia il caso di prenderne in considerazione in questo capitolo la documentazione, anche perohè d a nessuna iscrizione risulta l'indicazione di qualohe funzione specifica degli edili locali (cfr. C. I. L. I s 1520 e 1521 ; X 5922).
I MAGISTRATI DEI MUNIGIPII LATINI
133
cui costituzione, come vedremo a suo luogo, non può essere considerata come epicoria (1). Restano le prefetture lucane e picene, ma esse sono troppo lontane dall'ambito geografico che ci interessa e, per di più, non v'è alcun motivo per presumere che le loro magistrature, se pure ebbero origine epicoria, abbiano potuto avere qual siasi influsso sull'organizzazione delle città latine e special mente di Roma. Si aggiunga che v'è la possibilità che code ste prefetture siano sorte soltanto, come quelle sabine, per or ganizzare cittadini romani costituenti nuclei più o meno com patti negli agri confiscati. Il nostro campo resta così limitatissimo. Il materiale disponibile è pertanto il seguente : ARIOIA : E. E. V I I 1236 (assai mutila). C. I . L. I» 1433 ( = X I V 4196 : plinto o base con due nomi di edili « d. s. s. »). LANUVIUM: G. I. L. P 38 (frammento).
I2 2442 (per multaticum) X I V 2097 (datata da un dictator e due aediles, anno 42-43 d. C ) . X I V 2104 (dedica di un edile). Gfr. Ciò. pro Mil. 17, 45 seg. e Aso. ad loc. NOMENTUM : G. I. L. X I V 3955 (llvirali potestate aedilis). OAPENA : nulla.
OAEEE : G. 1. L. X I 3614 (aedilis iuri dicundo ; aedilis annonaé). TUSCULUM: G. I. L. P 1441 e 1442 (atti de s. s.).
X I V 2579 (dedica a Iuppiter Libtrtas). X I V 2590 (edili eponimi nel 186 d. C). X I V 2621 (per multaticum). X I V 2623 (per ludi). A. E. 1906, 79 (edili quinquennali eponimi). ARPINUM : O. T. L. P 1537-1539 (opere pubbliche, de s. s.). FORMIAE : G. I. L. P 1563 (opere pubbliche, de s. s.). P 1564 (idem, de pequn. publica). P 1565 (idem, ex sen. sen.). (1) Ofr, infra, pag. 141 segg.
134
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
F U N D I : C. I. L. F 1557-1^60 (idem, ex s. e ) . Ammettendo, come noi facciamo, che le città suelencate possano aver m a n t e n u t o le loro magistrature epicorie anche sotto il predominio romano, pare necessario aggiungere a questo materiale anche quanto si può conoscere delle costitu zioni di Praeneste e di Tibur per il periodo anteriore alla lex Julia de civitate. Perciò, prima di riassumere e commentare le notizie forniteci dal materiale surriferito, crediamo sia op portuno dare u n o sguardo a quanto si riferisce a queste due città. La costituzione di Preneste non potè però sopravvivere a Siila, che ridusse la città colonia di suoi veterani (1) : la grande maggioranza di edili a noi noti appartiene senza dubbio pos sibile ad epoca posteriore a questa data e pertanto non inte ressa la nostra attuale ricerca. Il dubbio può sussistere solo per i due edili di C. I. L. F 1469 (= 1442 = X I V 3000), ma anche in questo caso sarà iti utile tenerne conto perchè i due edili agiscono ex senatus consulto, cioè non fanno nulla di di verso dai comuni edili di epoca posteriore) (2). È invece interessante notare che — ad u n certo momento che non possiamo ideutitìcare con sicurezza — compaiono in Praeneste anche d u e praetores (3), magistrati che portano lo stesso nome di quello ricordato da Livio (4) p e r l'anno 319 a. 0. Il EosenbeTg (5) è d'opinione che questa sia la magistra tura originaria di Praeneste, anche perchè, secondo lui, le iscri zioni che la ricordano « possono » essere più antiche dell'età sillana. Ma n o n ci sentiamo di sottoscrivere senz'altro la sua opinione anche perchè di nessun'altra città latina abbiamo veramente le prove di alcunché di simile e della stessa Tibur, ove pure pare dimostrabile l'esistenza della pretura (6), non si può dire se si trattasse di u n a magistratura unica o col legiale. La duplice pretura compare nel Latium vetus soltanto (1) KORNEMANN, in P . W., IV 523, a. v.
Colonia, n. 47.
(2) D E RUGGIERO, loc. cit., pag. 256 segg. (Poteri degli edili). (3) C / . L. XIV 2906 a-b, 2890, 2902, 2994. (4) Liv., I X 16. (5) R O S E N B E R G , op. cit., pag. 72. (6) W E I N S T O C K , in P , W., VI A 822, 8. v. .Tibur,
I MAGISTRATI D E I MUNICIPII LATINI
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a Lavinium e in epoca molto tarda (1). Nelle altre città che conservarono la louo autonomia interna come municipii non si trova nulla di simile ; nemmeno a Capena, in cui, come s'è visto, il praetor è unico. E tale poteva essere la magistra tura originaria di Lavinium (2) e di Praeneste. Per quanto riguarda Praeneste crediamo quindi che l'ipo tesi del Rosenberg sia destituita di fondamento. I due praetor es che vi troviamo, au che se anteriori alla lex Tulia de civir tate come crede il dotto tedesco, non sono necessariamente esponenti della magistratura originaria della città, ma forse di un'innovazione che può corrispondere ugualmente bene a quella analoga di Roma — duplice pretura —, come alla du plice meddicità, certamente esistente presso gli Equi, con i quali furono per un certo periodo collegati i Prenestini (3). Per Tibur si dovrà pensare a qualcosa d'analogo. E anche di qui nessuna luce potrà venire al nostro problema, tanto più che delle due sole iscrizioni che potrebbero essere prese in considerazione, la prima ci presenta una dedica « Felicitàtei » che potrebbe ugualmente beue attribuirsi a cittadini pri vati poiché non è detto per quale motivo sia fatta (4), e la seconda (5) ci presenta una documentazione dell'uso di aes multaticum, che è comune a tutti gli edili a noi noti (6). Resta pertanto sgombrato il campo sia da Praeneste che da Tibur. Delle città che abbiamo elencate più sopra tre sono anch'esse scarsamente utili poiché la triplice edilità che in esse compare è una magistratura unica in cui tutte le fun zioni appaiono comuni a tatto il collegio. L'unica osserva zione che si può fare è quella che negli anni del censo il po tere si riassume nelle mani di uno solo che prende un ti tolo particolare (7). (1) C. I. L. X 2070 : « Divo Antonino Äug. . . . ». (2) Cfr. Liv., V i l i 11, 4. (3) BELOCH, op. oit., pag.
295.
(i) (J. I. L. I» 1481 = XIV 3538. (5) Ibid. 1496 = XIV 3678. (6) D E R U G G I E R O , loc. cit., pag.
261
sg.
(7) Aedili8 solvè, aedili» quinquennali* ; ofr. supra, pag. 123, n. 1, e D E RUG GIERO, loc. cit.,
pag.
251.
136
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
Il campo infine si restringe anche maggiormente quando si osservi che di Capena non sappiamo assolutamente nulla nei riguardi dell'edilità e che Tusoulum mantiene la dittatura solo ad sacra, lasciando tutti gli altri compiti agli edili (1). Restano dunque Arida, Lanuvium, Nomentum e Caere. Per Lanuvium il problema è abbastanza complesso. Una buona discussione se ne trova però presso lo Sherwin White (2), ove sono anche controbattute efficacemente talune afferma zioni del Rudolph. Secondo quest'autore la dittatura sarebbe un'imposizione romana ad sacra per i municipii incorporati, cui si dettero altresì i due edili con funzioni amministrative (3) ; ma lo Sherwin White pone in rilievo alcuni elementi di fatto che contraddicono e negano l'idea del Rudolph, e non sarà qui necessario riparlarne. A noi interessa invece, soprattutto il famoso episodio di Mi Ione (4) che fu appunto dittatore a Lanuvio nel 52 a. C. : Cicerone ci narra che costui doveva re carsi a Lanuvio « ad flaminem prodendum >, e su questo fatto si incentra tutta la discussione secondo il Rudolph, i cui ar gomenti però non paiono definitivi e le conclusioni, pertanto, risultano affrettate. Secondo il Rudolph infatti la dittatura di Milone avrebbe carattere puramente sacrale : le prove ne sarebbero le seguenti : 1° : la funzione di Milone è tale che mai spettò ai più tardi magistrati supremi (5) ; 2° : Milone, se tosse stato un vero magistrato, non avrebbe potuto abbandonare Lanuvium senza essere sostituito da un praefectus che, naturalmente, avrebbe dovuto o potuto sosti tuirlo anche in questa circostanza (6) ; 3°: Cicerone parla soltanto di astata sacrificial per quanto riguarda i compiti di questo dictator (7). Di questi tre argomenti il terzo si elimina facilmente per(1) Cfr. supra, pag. 104 segg. (2) S H E U W I N W H I T K , op. oit., p a g . 60 Beg. (3) R U D O L P H , op. cit., pag. 27 sgg. ; 32 segg. (4) C i c , pro Mil. 45-46 ; cfr. A S C O N . , ad loc. (5) R U D O L P H , op. cit., pag. 30.
(6) I D . , ibid., p a g . 3 1 . (7) ID., ibid., pag. 3X.
I MAGISTRATI DEI
MUNICIPII LATINI
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che è un argumentum ex silentio. Quanto agli altri due non si può dire che reggano molto di più. Se intatti può essere ritenuto certo che l'elezione del flam en spettasse al popolo o, più tardi, all'orbo, ciò non significa che le elezioni non doves sero essere dirette da qualcuno che potesse prodere il loro ri sultato. L'osservazione del Rudolph non può pertanto valere a negare che il dictator fosse un vero magistrato, ma anzi pare confermarlo. Perchè ciò non possa essere considerato vero oc : corre dimostrare il secondo dei tre punti del Eudolph : e cioè la necessità della sostituzione con un praefectus del magistrato assente. Ma anche questa dimostrazione non è facile quando si consideri che la vicinanza stessa di Lanuvium a Eoma po teva, forse, permettere a Milone di portarsi a Lanuvio quando ciò fosse necessario e quindi di considerarsi presente nel suo municipio. D'altronde la legge Petronia de praejectis pare as segnabile ad epoca posteriore e, per quanto non sia del tutto certo, ciò potrebbe esimerci dal tener conto di essa. Di altre anteriori non pare sia possibile parlare, e non si vede quindi perchè l'indimostrabile necessità di eleggere un praefectus possa ostacolare la tesi di chi vede in Milone un vero magi strato (1). In conclusione dovremo escludere anche Lanuvium dal campo della nostra ricerca soltanto se considereremo sicura la tesi— che a noi pare indimostrabile — del Rudolph. Tanto più poi dovremo ritenerla indimostrabile quando avremo os servato che a Caere e Nomentum il dictator è effettivamente il magistrato supremo del municipio e nella stessa Lanuvium il dictator appare superiore agli edili in più d'un'iscrizione che (1) Riguardo alla lex Petronia si osservi che già al MOMMSEN e ad altri oitati dal MARQUAKDT (Römische Staatsverwaltung, II ed., pag. 170, n. 1), essa, rioordata per la prima volta nei tasti Venusini del 32 a. G., pare debba asse gnarsi all'ultimo periodo repubblicano e sarebbe stata estesa solo da Angusto dalle colonie a t n t t e le città. Quanto alla lex lidia municipalis o, almeno, alla Tabula Heracleensis non v'è oenno di praefecti e, del resto, pare anoh'essa posteriore al nostro episo dio (per la situazione attnaJe del problema ofr. R U D O L P H , op. cit., pag. 113 seg.). Sono inane posteriori all'episodio sia la lex Cornelia ohe la lex Bubria (per la prima ved. RUDOLPH, op. oit., pag. 118, n. 1 ; per l a seconda ibid., pag. 237).
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LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
il Kudolph non tiene in considerazione perchè posteriore alla data che egli crede di poter stabilire per l'avvento della dit tatura fra le vere magistrature (1). Bisognerà tuttavia respingere un'ulteriore affermazione del Eudolph, secondo cui appunto la dittatura assunse il carat tere di vera magistratura solo assai tardi (2) ; ma, a questo proposito, sarà sufficiente considerare il passo della lex Acilia citato dallo Sherwin White (3), in cui il dictator appare sullo stesso piano degli altri magistrati : praetor e aedilis. Malauguratamente le informazioni che abbiamo sull'edi lità di Arida, Caere e Nomentum per quanto riguarda il rap porto fra l'edilità e la dittatura sono tutte assai tarde e non possono dunque esserci molto utili. Le funzioni anzi di quegli edili — cui già abbiamo accennato — non sono cer tamente originarie : non è originaria la distinzione fra aedilis iuri dicundo e aedilis annonae di Caere, nou è originaria la posizione dell'edile Ilvirali potentate di Nomentum. E quanto ad Arida solo l'iscrizione C. I . L. P 1433 ( = XIY 4196) ci mostra i due edili agenti d. s. s. Troppo poco per trarne qualche lume. Cosicché riesce impossibile trovare notizie certe per quanto riguarda le più antiche funzioni degli edili. Si può tuttavia considerare la possibilità che proprio Arpinum, Formiae e Fundi abbiano più a lungo delle città latine man tenuta la loro costituzione originaria, così come quelli di Tu sculum iu seguito al passaggio ad sacra del primo dei tre ma gistrati, il dictator (4). Se è vero che l'edilità è ivi epicoria, se è possibile che le sue funzioni non siano sostanzialmente mutate col tempo, nulla ci permette però di conseguire risultati maggiori di questi. L'oscurità è, invero, ancora troppo profonda. Solo si potrà osservare che a Lanuvium, ove la dittatura fu, come s'è visto, una vera e propria magistratura, si trovano (1) C. I. IJ. XIV 2097, dell'anno 42-43 d. C. ; 4178o, in oui an aedilis bis flam. Martialia è adlectus inter dictât orios ; per non considerare i nn. 2110 e 2121. Cfr. RUDOLPH, op. oit., pag. 36 segg. (2) RUDOLPH, op. oit., pag. 36 segg. (3) SHBRWIN WHITÄ, op. cit., pag. 61.
(4) Cfr. supra, pagg. 104 segg.
LE MAGISTBATURE DEGLI ALTRI MUNICIPI!
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in un'iscrizione di cui abbiamo già parlato per altri motivi (1), tre aediles che compiono una dedica « moltatico » : se è vero simile che dei tre aediles uno sia il dictator (2), bisogna am mettere che si tratta qui di uua funzione comune a tutti e tre. E il fatto che i due edili compaiano come datanti a fianco del dictator in C. I. L. XIV 2097 (3) pare confermare l'ipo tesi che tutti e tre i magistrati agissero un tempo come colleghi proprio come si vede in Arpinum, Formiae e Fundi. Più oltre non ci pare possibile procedere. Ma prima di chiudere questa breve ricerca vogliamo ac cennare anche agli edili delle iscrizioni osche di Pompeii (4) e, se pure incerta ne sia la testimonianza, di Aufldena e Bovianum vetus (5). Se essi infatti fossero eflettivamentè di origine osca, la loro esistenza potrebbe in qualche modo porre in dubbio quanto finora abbiamo detto, ma — al contrario — pare as sodato che gli Osci ne abbiano tratto il modello proprio da Borna (6). Da questo punto di vista il loro interesse è per noi (1) C. I. L. I" 2442 ; cfr. supra, pag. 108, seg., 128. (2) Cfr. supra, loo. cit. (3) Cfr. supra, pag. 94. (4) Cfr. CONWAY, op. cit., n. 39 ( = Ephem. Epigr. II, pag. 165, n. 20); 40 ( = ZVETAIEF, Syll., 73); 53 (=» Eph. Epigr. II, pag. 169, n. 24). (5) Per A ufi den a si veda ZVRTAIEF, Ose, 12, e contra, CONWAY, op. cit.,
178. Por Bovianum vetus : ZVETAIEF, Syll., 20, e, contra, CONWAY, op. cit., 173. (6) Cfr. DEVOTO, op. oit., pag. 286 aeg. ; ROSENBERG, op. cit.t pag. 102 (e
n. 1) segg. ; SHERWJN WHITE, op. cit., pag. 122 segg.
Si noti speoialmente ohe anohe a Bantia, ove oonosoiamo l'intera gerar chia locale e possiamo stabilire con oertezza il cursus — questura, pretura, censura —■ l'edilità non oompare, sebbene vi siano prove di nn già intenso inflasso romano nell'esistenza di nn tribnnato della plebe non certo epioorio (ofr. su tntto oiò DEVOTO, op. cit., pag. 269 seg.
Inoltre noi troviamo impegnati questi edili, insieme con i meddices, sol tanto nella oostrozione di strade ; ma dobbiamo notare ohe l'iscrizione pom peiana di OONWAY u. 39 non è molto ohinra; pare che si tratti della collabo razione di magistrati di due diverse città. La traduzione latina del CONWAY suona infatti così : « Maius Suttius Maii f. Numisius Pontius Maii f. aediles Ilio viam terminaverunt ante pontem Stabianum. Via terminata est cippi« X. Iidem via m Pompeianam terminaverunt cippis III ante oaelatum (signum) Iovis Melichii Has vias et viam loviam ac deoumanam medioes Pompeiani solide ab ima (parte)
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L E MAGISTRATURE- MUNICIPALI
limitato ai rapporti esistenti fra queste città e l'Urbe eterna in età anteriore alla guerra sociale, quando Pompeii e Bovianum vetus non erano ancora municipii (1), ed Aufldena era una prefettura del secondo tipo festiano (2). Ma di questi rap porti non è il caso di parlare qui (3). operati sunt, iidem aedile» probaverunt ». Potrebbe qnindi sembrare ohe questi aedilea non siauo di Pompeii o si considerino saperiori ai meddices di qnesta c i t t à se possono « probare » la loro opera. Ogni concinsione però sarebbe per ine avventata perone n o n sono in grado di giudicare se sia perfetta o meno la traduzione di nno studioso insigne quale il CONWAY. Per quanto riguarda i rapporti fra questi aedilea osci e gli edili poste riori, d'età romana, in Pompeii si veda infra, pagg. 201, 203 segg. (1) Cfr. B K L O C H , op. cit., pagg. 586, 600. (2) KORNBMANN, in P . W., XVI 583, s. v.
Munioipium.
(3) Larga e sufficientemente profonda fu la penetrazione romana, anche paci fica, fra queste popolazioni. Si vedano, ad es., SHERWIN W H I T E e DEVOTO {loco, citt.), e si ricordi il passo di Liv., IX 20, 6 : « Neo arma modo ned iura etiam romana laie poll el ant ».
II. LE MAGISTRATURE DEGLI ALTEI MUNICIPII L'OTTOVIRATO.
L'ottovirato è documentato nelle seguenti città dalle iscri zioni indicate a fianco di ciascuna. AMITEROTM : C. I L. I 2 1855 ( = I X 4398) :. C. Oviolenus I [1] Q(uirina)ì octo(o)vir . . . C. I. L. IX 4182 : T. Vinio Bufo T. Titsieno oct(o)vir(is)y Q. Orflo Fulcinio C. Iegio aed(ilibas), praefectiira Amiternina pro reditu Imp. Caesaris Au[gusti .. .] Fortunai[... C. 7. L. I X 4198 : P. AH . . . P. f. Qui . . . Till vir. q. a[erarii f] aed. C. L L. I X 4 1 9 9 : . . . ] Attio F.f. Quir. Tergo Vili vir(o\ quaestori, quinquennali... C. I. L. I X 4211 : o]ct(o)vlr de\diU C. I. L. IX 4324 : D. M. 8. P. Fullonio P.J. Celeri VII Iviro Fullonia P. / . Celerina . . . C. I. L. IX 4400 : . . . L. f. f. \o\cl. vir. p. ss. C. I. L. I X 4519 : Q. Gavio T. f. Cla(ternia) Pedoni tr. mil. a populo, praef. jabr. praef. eq., octovir[o~\ c. f. p. q. p{raef. f) pro o[cto]viro, ex testamento . . . C. I. L. I X 4520 : D. M. S. C. Cuspio C. J. Poppae [a]no iuvenum magistr(o), Ylllviro . .. Cfr. anche C. I. L. IX 4203 e 6352. Nella stessa Amiternum è documentata l'edilità, oltre che dalle ricordate iscrizioni C. I. L. IX 4182 e 4198, anche nelle seguenti : C. I. L. IX 4197 : Q. Orfio Q. f. Fiacco Caesio tr. mil.> praef. fabr.> aed» iter., L. Fabius A[vi]tu[s].
142
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
G. I. L. IX 4202 : T. Gallatronius . . . aedilis, G. I. L. IX 4205 : . . .] Proculeius F.f. aed. lud(os) f(ecit). G. 1. L. I X 4212 : . . . et Fronto f] aedilis . . . C. I. L. IX 4270 add. : . . . [ae]d., praef. i. d. [... La questura compare nelle tre iscrizioni IX 4198, 4199 e I 2 1855 già trascritte, se in quest'ultima non si preferisce leg gere Q{uirina) in luogo di q(uaestor). Si n o t e r à cbe nella 4198 la questura compare t r a Pottovirato e la quinquennalità. Quest'ultima magistratura, infine, compare nella iscrizione 4199 già trascritta e, inoltre, nelle seguenti : C. I. L. I X 4206, 4207, 4399 : cursus honorum di C. Sallio O. f. Quir(ina) Proculo, cbe fu iterum quinquennalis senza aver ricoperto altre magistrature amiternine. G. 1. L. I X 4 2 1 0 : frammento in cui si legge «quinq.». NURSIA : G. I. L. I X 4545 : Q. Pompei / / / . Prisons, VlIIvir IIvir{aìi) [p]ot(estate). G. I. L. IX4547 : T.Septimio T.f. [Quir.] Blasto, VIIIrvr(o) 1]lanorum... Ilvir(ali) pot(estate\ IIIl[vir(o) ?] coloniae A[scu C. I. L. X I 5006 : D. M. T. Verrutio T. j . Quir. Sabino IlIIvir. aed. potest., quaest. aerari Spoleti, item Vlllvir(o) Ilvir(ali) pot(estate) Nursiae ... G. I. L. I X 4543 : Sex. Petronius Sex. fil. Sempronianus VlIIvir aed [ìl(icia)] pot (estate), mag(istro) iuven(um) prim(o)... Gfr. anche 4549. G. I. L. IX 4622 : . . . Q. Aufldienus Q. F. Imtus, harispexy VlIIvir, praef. iur. die. ex decreto ordinis . . . È dunque documentato l'otto virato llvirali potestate e Pot tovirato aedilicia potestate. Solo l'ultima iscrizione indica sem plicemente Pottovirato senza specificare le mansioni di Q. Aufìdieno. TREBULA
MUTUESOA :
C.
I.
L.
IX
4891
:. . .
G.
Abelasi
G. f. Sabiniani. . . VIIlvir(i) aed, pot., VI Ilvir(i) [iterum...] sttis(1), IIIaer(ari\ C. Abelasi G. f. Castoris VIII(viri) aed. pot., VHIvir[i) II fanor(um), VlIIvir(i) III aer(ari) ; G. Abelasi G. f. Proculeiani iun{ioris) VIIIvir{i) aed. potest. ; G. Abelasi G. j . Gastoris iun(ioris) VIIIvir{i) aed. pot. ; C. Abelasi G. f Sabini VIIIvir{i) aed. pot. VlIIviro G. I. L. 1 X 4 8 9 6 : T, Petidio T.f. Fab(ia) Gessino
LE M A G I S Ï R A f U R E DEGLÎ ALTRI MUNICIPI!
Ì43
aedicüiae potestatis, YIIIvir(o) II fanor(um), YIII(viro) III aerari . . . C. I. L. IX 4900 c: Vlllvir: Il.aer. proc. L'ottovirato compare inoltre senza specificazioni di sorta in C. I. L. IX 4895 ?, 4897 (funeraria) e, inoltre, in 4889 e 4890. La quinquennalità risulta da: C. I. L. IX 4889:... mag. iuvent. bis, [quinta., YlIIvir bis, praef. Jabrum ter. C. I. L. IX 4890 :.. .qu] inquennalis, [octov\ir ter[. . . ] , etc. C. J. L. IX 4892 : C. Alfenu[*] C. f. Qui[r(ina)] Positimus frater aed(ilis), quinquen[nalis]. C. I. L. IX 4902 : Q. Yassi[. . .] aed. quin[ . . . Si veda anche G. I. L. IX 4883, 4903, 6363. A tutte queste si deve aggiungere C. I. L. IX 4119 (cfr. C. I. L., p. 388) in cui compare un « YlIIvir II qq>. A Trebula Mutuesca infine è documentata l'esistenza del l'edilità dalle già citate iscrizioni 4892 e 4902, in cui essa compare accanto alla quinquennalità. PLBSTIA : C. I. L. XI 5621 (della prima età d'Augusto) : dedica in onore di un Liconio della tribù Oufentina, YlIIvir. INTBRAMNÏA PllAETUTT. : C. I. L. I X 5067 = N. S. 1929,
p. 224 : L. Agusius Cn. f. L. n. Mussus, C. Arremis T. j . Rufus, octoviri iterum baìneas reflc. d. e. s. e. Riferibile ad Inter attinia è anche l'iscrizione di Truentum, C. J. L. IX 5158 (VIILvir) secondo il Beloch (R G„ p. 500). Al più tardi nell'età d'Augusto l'ottovirato si modella dunque, in talune località, sulle costituzioni duovirali. L'octovir senz'attributi di Amiternum corrisponde bene aWoctovir duovirali potestaU di Nur sia. Permangono inoltre gli aediles (Amiternum) o octoviri aedilicia potestate (Nursia) a costituire una specie di quattuorvirato (cfr. specialmente C. I. L. IX 4182). Altre magistrature non sono note eccetto la questura di Amiternum, che appare ormai un munus perchè, come s'è notato, non ha una posizione fìssa nel cursus honorum. Anche sull'origine dell'ottovirato il Rudolph si contrappone al Rosenberg : il primo pensa, come al solito, ad un'origine romana (1), mentre il secondo crede ancora una volta ad una (1) RUDOLPH, op. cit., pag. 66 sogg.
Ì44
LÉ MAGISTRATURE MUNICIPALI
origine epicoria (1) ed è seguito, con qualche limitazione, dallo Sherwin White (2). Sarà dunque necessario riesaminare tutta la questione, complicata dal fatto che neppure la distinzione fra le varie coppie che compongono il collegio degli VlIIviri è considerata originaria. Osserveremo dunque anzitutto che secondo il Rosenberg (3) l'origine epicoria delPVIII virato è dimostrata dalla comune razza delle città che ne furono rette, mentre il Rudolph, os servando giustamente* che Plestia non è sabina ma umbra e Interamnia è pretuzia, pone piuttosto l'accento sul fatto che tutte queste città dovettero ottenere la cittadinanza nello stesso anno (4). Lo Sherwin White obbietta che non si può dar ragione al Rudolph fino a che non siano dimostrati gli eventuali vantaggi che l'VIIIvirato presentasse, per esempio, rispetto alla triplice edilità o alla pretura (5). Ma è evidente che un'osservazione di questo genere non può essere presa in considerazione, specialmente da chi non crede — e lo Sherwin White è fra questi (6) — che siano di imposizione romana le magistrature sunnominate. D'altra parte, se vogliamo credere che, come pare incline a pensare lo stesso studioso inglese — si tratti qui di meddices o di mar on es con nome tradotto (7), non si capisce perchè di due meddices o di due marones si sia fatto un collegio di otto magistrati, le cui competenze, per di più, non sarebbero state ben distinte ; tanto meno si compren derebbe questa denominazione pensando ai Yviri di Asisium o al praetor di Oapena che— anche nel numero — non hanno alcun rapporto con l'VIIIvirato (8). Dovrebbe trattarsi di una forma di magistratura del tutto particolare, ma la cui esten sione avrebbe abbracciato popoli di diversa origine : il che (1) ROSENBERG, op. cit., pag. 40 segg. (2) SHERWIN WHITE, op. oit., pag. 62 (3) ROSENBERG, op. cit., pag. 40.
seg.
(4) RUDOLPH, op. cit.t pag. 66 seg. (5) SHERWIN WHITE, op. oit., pag.
62.
(6) ID., ibid., cap. II. Cfr. ad es. pag. 68. (7) ID., ibid., pag. 62 seg. ; per quanto a pag. 62 oritiohi quest'opinione nel RUDOLPH (op. oit., pag.
67).
(8) SHERWIN WHITE, ibid.
LE MAGISTRATURE DEGLI ALTRI MUNICIPI!
145
pare inconcepibile. Ma neppure lo Sherwin White è sicuro di quanto dice poiché, poche pagine dopo, non crede opportuno insistervi e pensa invece possibile che l'VIIIvirato sia il pre cedente storico del IlIIvirato (1) e che Roma appunto abbia sentito la necessità di dare un ordinamento a quelle popola zioni ancora rette con un sistema tribale : « some provision had to be made for the internal development of the various com munities, since external expansion was barred to tbem. In the area covered by the Octovirate, this duty fell to Rome, and was rendered more specially urgent because Roman settlers accustomed to the various forms of the Latin municipal sy stem were mixing whit the original inhabitans » (2). D'altronde non convincono neppure i motivi addotti dal Rosenberg (3) e cioè che le città cvolsche*> abbiano un ordinamento diverso — che egli stesso ritiene non romano (4) — o che compaia in queste prefetture la particolarità del magister iuventutis (5). Il Rudolph dal canto suo non sa sempre controbattere efficacemente la tesi del Rosenberg perchè, ad esempio, giunge ad affermare che l'VIIIvirato è romano perchè i magistrati hanno titoli latini (ti) —e su questo punto è già stato discusso dallo Sherwin White (7) ; — ma ha anche un'osservazione che pare decisiva poiché osservando che la magistratura ori ginaria di Plestia è il maronato, può facilmente dedurne che almeno per questa città l'VIIIvirato rappresenta un'innova zione (8). Noi crediamo che il Rudolph sia su questo punto dalla parte della ragione, ma riteniamo sia necessario vedere se è
(1) ID., ibid., pag. 68 seg. ; ofr. ROSENBERG, op. cit., pag. 45 seg. ; RUDOLPH, op. cit., pag. 109. (2) ID., ibid., pag. 69. (3) ROSENBERG, op. cit., pag. 40. (4) ID., ibid., pag. 4 8egg. (5) ID., ibid., pag. 44 seg. (6) RUDOLPH, op. oit., pag. 66. (7) SHERWIN WHITE, op. cit., pag. 62. (8) RUDOLPH, op. cit., pag. 67. Snl maronato si
veda ora anohe MAZZARINO 8. Dalla Monarchia allo Stato repubblicano, pag. 36 seg. ; 98 Aegg. ; 141 ; di coi però non oredo di poter condividere l'opinione. 10
146
L E MAGISTRATURE MUNICIPALI
possibile aderire alla sua tesi anche per quanto riguarda la suddivisione dei compiti fra le quattro coppie di VlIIviri, suddivisione che non dovrebbe essere originaria (1). Egli osserva giustamente che il magister iuventutis di que ste città non può essere considerato come una vera e propria magistratura (2), contrariamente a quanto aveva supposto il Rosenberg (3), poiché le quattro coppie che noi conosciamo nel 1° secolo a Trébula Mutuesca, Punica città che ci abbia fatto conoscere per intero la sua costituzione ottovirale, sono rispettivamente di TlIIviri Ilvirali potestate(i), VlIIviri aedilicia potentate, VlIIviri aerarti, VlIIviri fanorum. Il magister iuventutis è dunque estraneo al collegio. Quanto agli VlIIviri è noto che le iscrizioni C. I. L. IX 4891, 4896, 4900c mostrano come l'VIIIvirato vada inteso come un tutto orga nico, una magistratura unica sul tipo di talune magistrature inferiori o straordinarie di Roma, come i Xviri, i Vviri a. d., i XVviriy i XXTIviri (5) : in esse infatti è esempio di VlIIviri che hanno iterato la loro magistratura cambiando ogni volta incombenza senza seguire un determinato cursus. Secondo C. I. L. IX 4896 un T. Petidio è la prima volta VlIIvir aediliciae potestatis, la seconda VlIIvir fanorum, la terza VlIIvir aerar ii e analogo è il cursus che compare in C.I. L. IX 4891 ; ma secondo il numero 4900° ci fu un VlIIvir II aer. proc. Così si può pensare col Rudolph che Patto dell'elezione è distinto da quello della suddivisione dei compiti, pro prio come avviene per i XXVIviri romani (6). Soltanto in un secondo periodo di tempo si potrà dunque credere che la differenziazione dei compiti indichi una subordinazione di una coppia ad un'altra. Considerando dunque questa stretta analogia con altre ma gistrature romane, apparirà anche più facile la conclusione (1) RUDOLPH, ibid., pag. 77 segg. (2) ID., ibid., p a g . 71 n. 1. (3) R O S E N B E R G , op.
cit.,
pag.
44.
(4) L'aggi a n t a Ilvirali potestate non pare indispensabile, essendo docu mentata solo a Nursia (C. I. L. IX 4545-4547). (5)
R U D O L P H , op.
oit.f pag.
(6) I D . , ibid., p a g . 75.
75.
LE MAGISTRATURE DEGLI ALTRI MÜNICIPI
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che PVIII virato sia appunto una creazione romana. Eesta da vedere come e perchè Eoma l'abbia introdotto nella costitu zione delle città «sabine». A questo proposito non sarà inutile ricordare che, contra riamente alle città di Arpinum, Fundi e Formiae, questo ter ritorio fu considerato, anche prima della conquista, un terreno da colonizzare e sfruttare da parte della-plebe romana (1) ed è noto che ben presto la popolazione indigena fu infatti as sorbita dai nuovi colonizzatori : la concessione deìYoptimum ius fu la più immediata conseguenza di questo stato di cose (2). Cittadini romani, è stato notato, non potevano adattarsi ad un'organizzazione ancora tribale se tale era — come taluno ha supposto forse a torto — quella delle località da loro oc cupate (3), ma soprattutto, aggiungiamo, non potevano sotto stare a magistrature indigene quali i meddices o i marones (4). Si rendeva necessaria una completa riorganizzazione, che non poteva però essere suggerita dai raunicipii che mantenevano le forme epicorie, né dalle colonie latine — veri e propri al leati forniti di un diritto diverso —■, né dalle colonie romane che erano ancora sottoposte ai praefecti ed avevano compiti ben diversi, miranti soprattutto a fini di carattere militare (5). Qualcosa di assolutamente nuovo doveva dunque essere immaginato : e fu l'VIIIvirato, il precedente storico del IlIIvirato. Quanto ai motivi che potevano suggerire questa forma di costituzione, limitata a compiti puramente locali, perchè la giurisdizione spettò al pretore romano per mezzo dei suoi pre tetti, lo Shervvin White se la cava con poco, scrivendo che « likewise where social life was not complex, and in these areas, where, if anywhere in Italy, the importance of the ru ral area outweighed that of the central oppidum, it is easy to (1) FRACCARO P., in Atti Congresso Internaz. di Diritto Romano, I 201 seg. ; BERNARDI A., I cives sine suffragio, iu Athenaeum 1938, pag. 272. (2) BERNARDI, ibid., pag. 272 seg. (3)
SHKRWIN W H I T E , op. at.,
pag.
68.
(4) Per i marones di Plestia ofr. C. J. L. I a 2112 ; ROSENBERG, op. cit., pag. 46 segg. (5) Tale, infatti, era stato Bovente lo scopo della loro fondazione.
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see that a board of eight men had special advantages . . . >(1). Forse intendeva dire che il numero dei magistrati permetteva loro di dividersi le incombenze nei diversi centri di vita del loro oppidtim; ma non è certo una risposta esauriente del problema proposto, poiché bisognerebbe ammettere non solo che non vi fu da principio una gerarchia di coppie — che è stata negata con molte probabilità (2) —, ma anche che non esistette alcuna distinzione fra di esse. La subordinazione ge rarchica sorse invece probabilmente quando cessò di essere inviato il prefetto, come avvenne nelle colonie civium BornanoTum (3). I MUHTI01PII OON I I V I B I .
Questi municipii, elencati dal Beloch (4), e considerati una vera croce dagli studiosi degli ordinamenti municipali, sareb bero tutti sorti, per esprimerci appunto col Beloch, in territo rio di romani «Altbürger». Se questo è vero, il problema non è più quello di vedere perchè abbiano Ilviri invece di ffllviri, ma quello di cercare i motivi per cui ebbero Ilviri invece di Vlllviri. Ma, ancor prima, bisognerà cercare di stabilire se essi fossero veramente tutti antiche prefetture e di che tipo. Potremo intanto osservare che Atina, Casinum, Auftdena, Trèbula Suffenas, forse Aequiculi, sono tutte prefetture del secondo tipo festiauo, di cui si conosce la data della conces sione della civitas sine suffragio (5) : il titolo di prefettura è dunque analogo a quello di Arpinum, Fundi e Formiae, an ch'esse in un primo tempo incorporate con quella forma di (1)
SHEBWIN WHITE, op. oit., pag.
69.
(2) Cfr. supra, pag. 146. (3) Cfr. infra, pag. 168. (4)
BELOCH, op. oit.,
pag.
508
segg.
(5) Atina, Casinum, Aufidena prefetture : Cic, pro Plane. 8, 21 ; C. I. L. X 5193-5194; C. I. L. X 2802. Per Trebula Suffenas e gli Equiooli ofr. KORNEMANN, in P. W. XVI 582 sg. s. v. Municipium. Per gli Equiooli ofr. anche infra, pag. 149, n. 4. Lo stesso articolo del KORNEMANN si consulterà util mente per quanto segue.
LE
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civitas. È pensabile che anche Superaequum — civitas sine suffragio dal 303(1) — fosse nelle stesse condizioni. Per queste città il pensiero corre dunque subito ai meddices osci, che poterono continuare a reggere la loro comunità sia come municipio sine suffragio sia come municipio optimo iure, come i tre edili di Arpinum, Formiae e Fundi. Ma si ignora quando ottennero Voptimus ius. Dati probanti non mi pare ve ne siano per tutte, ma non credo sia impossibile pensare ad una data un poco posteriore a quella delle tre città rette da tre edili. Il Kubitschek credette di poter affermare che Atina ebbe la pieua cittadinanza nel 102, il che farebbe pen sare altrettanto anche per Casinum e Aufidena, che — come Venafrum e Allifae, di cui non conosciamo i magistrati, e la stessa Atina — ebbero forse la civitas sine suffragio solo nel 201 a. 0. (2), circa un secolo dopo le tre città di Arpimim, Formiae e Fundi. Ma la data del Kubitschek non è esente da dubbi (3). Più antica è invece la concessione della civitas sine suffragio agli Equi, ai Peligni e, con ogni verosimiglianza, agli Equicoli (4) ; ma — anche questa volta — nessun indizio pre ciso si ha sulla concessione dell'optimum iusy che potè comun que esser fatta circa nello stesso tempo che ad Arpinum, Formiae e Fundi. Un secondo gruppo di prefetture — e conciliaoula — è quello dell'agro Piceno, cui si dovranno probabilmente àggiun(1) Per la concessione della Civita* sine suffragio ofr. DIOD., XX 90, 3. Ved. BERNARDI, art.
cit.,
pag.
260
seg.
(2) Venafrum e Allifae sono prefetture secondo FH8T. pag. 262 L. La data della civitas sine suffragio si suppone il 201, perchè in quell'anno furono fatte — seoondo Liv., XXXI 4, 1 — delle assegnazioni v i n t a n e in territorio confi scato ai Sanniti. Sa oiò cfr. BERNARDI, art. cit., pag. 274. (3) Il KUBITSCHEK (De ro manor um tribuum origine ao propagatane, pag. 57 e n. 180) si fonda sn ana notizia di Plinio (n. h., XXII 6,11), ohe parla di un centurione atinate nella guerra oimbrioa. Ma anzitutto non è detto se si tratti di Atina del Lazio o di Atina della Lucania ; in seoondo lnogo non è leoito arguire dalla oittadinanza di un individuo la oivitas del suo oomune d'origine. (4) Per gli Equi cfr. Liv., IX 45 ; X 1 ; DIOD., XX 101, 5. Per i Peligni ofr. u. 1. Quanto agli Equiooli si veda BELOCH {op.cii., pag 422, 429,597), cbe ne attribuisce al 990 la sottomissione e la concessione della civitas sine sufragio.
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L E MAGISTRATURE MUNICIPALI
gère la vicina Matilica e i due comuni dell'agro Gallico Ostra e Siiasa. A queste la civitas sine suffragio fu forse concessa nel 233 (1) ; il titolo di prefettura è documentato genericamente da Cesare (2). Difficile è pensare che i Piceni avessero otte nuto Voptimum ins prima della guerra sociale, poiché a que sta guerra parteciparono attivamente almeno quelli di Asco li (3). Si noti però che i cittadini romani dovevano essere as sai numerosi in tutto Pagro, che era stato in gran parte con fiscato all'atto della conquista (4). Furono certo questi, cui si aggiunsero dopo la guerra sociale anche gli indigeni divenuti cives wptimo iure, a costituire numerosi conciliabula o fora, riorganizzati poi a municipio al tempo di Cesare (5). Un terzo gruppo di città che certamente furono optimo iure, forse come conciliabula, comprende tutta una serie di comuni che sorsero in agro confiscato a varie genti : JSburum nell'agro Picentino, Blanda lulia e Aceruntia in territorio lucano, Veli sul cui territorio furono stabilite quattro nuove tribù, e forse Ama se si può pensare che sorgesse come conciliabulum ai margini di Perusia (6). Alle prefetture del secondo gruppo si possono aggiungere Yisentium, che faceva parte forse della prefettura di Statonia(l),
(1) Cfr. BERNARDI, loc. cit., pag. 273. Si tenga però presente ohe per il B E LOCH (op. cit., pag. 475) i Piceni non furono affatto sterminati, come —seguendo il MOMMSEN (Rom. JBorsch., I l 397) — mostra di credere il BERNARDI. Ancora se condo il BELOCH però almeno Osira e Suasa furono conciliabula fin dal 283. Sulla questione dei Piceni si veda ultimamente GOEHLER J., Rom und Italien, p a g . 14-16, che segue FRANK e BELOCH. (2) CAKS., bell. oiv. I 15, 1.
(3) Le fonti in GREENIDGE-CLAY, Sources for romanhistory 133 70, p. 109 segg. (4) Ne sono prova le colonie ivi fondate di Birmwm, Potentia, Auximum, (cfr. B E L O C H , op. cit., p a g . 476). (5) Per Cingulum ofr. CAES. loc. cit.
(6) Non mi pare « warscheinlich » — come invece al BELOCH (op. cit., pag. 606) — ohe Ama sia stata federata a Roma fino alla guerra sociale. L a man canza dei I l I I v i r i non è t u t t a v i a indizio sufficiente (ofr. ancora BELOCH, op. cit., pag. 510). Quanto ad Eburum, Blanda lulia, Aoeruntia, Veii, e alla loro origine si veda B E L O C H , op. cit., rispettivamente a pag. 544 seg., 591, 510, 607. (7) B E L O C H , op. cit., p a g . 566.
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e Cereatae Marianne, che fece parte senz'altro della praefeotura di Arpinum(l). Eestano da considerare Caiatia, Cubulteria, Herculaneum, Suessula e Surrentum. Quanto a Caiatia è certo che essa fu municipium sine suffragio (2). Per Cubulteria invece non ab-
(1) P L U T , Mar.
3.
(2) La questione r i g a a r d a u t e Caiatia è a n a delle più discusse : basti pen sare ohe punto di partenza deve essere considerato la famosa coufasione fra Caiatia e Caiatia, per oui nelle fonti si volle sovente vedere uno soambio fra i d u e nomi di oittà oon l a n a t u r a l e conseguenza ohe si venne di volta in volta escludendo dalla storia di Caiatia ciò ohe potesse sembrare più adatto per chia rire la storia di Caiatia e viceversa. 11 merito di aver affrontato di petto la questione, impostandola su basi più serie, spettò al MOMMSEN (già in / . B. N.f poi, meglio, in C. I. L. X p a g . 444). Ma anche il MOMMSEN non giunse in t u t t o ad una conclusione definita : il passo di DIODORO (XX 80, 1) è da lui oorretto in modo che ove i codici presentano « SCÒQOW a a ì 'Atiav» si legga « ScÓQdv xcù KOUOLTCOLV > : di conseguenza egli vuole logicamente correggere an che L i v i o (IX 43 : « Caiatia et Sora » in « Caiatia et Sora »), pur ammettendo ohe e oum oommodius longe cum Sora iungatur Atina, poterit etiam de hao cogitavi, scilicet Fabium scripsisse SOJOOLV wxl 'Axivav, inde latinos auctore% a Fabio pendentes id fecisse quod legimus apud Livinm». A parte questo dubbio il MOMMSEN giunge però a stabilire con sufficiente base che Caiatia, tenendo oonto delle monete oon iscrizione CAIATINO ohe ne conosciamo e ohe vanno poste crono logicamente fra la guerra di P i r r o e quella d'Annibale, aia stata., oome Acerrae, ridotta a Civita» sine suffragio. Se si oousidera poi, che, più tardi, Caiatia fu municipio con a oapo I l v i r i — e questa volta optimo iure—, tenendo oonto della nota teoria dello stesso MOMMSEN (Sl.-R., I l i 1, p a g . 582 e n. 1 ; pag. 797), secondo oni la prefettura è la via per oui la oivitas sine suffragio si tra sforma in civitas optimo iure, si confermerà ohe Caiatia fu appunto, per un oerto periodo, una praefeotura. L a teoria ricordata or ora è stata, in vero, discussa dal
FRACCARO (iu Atti
Congr. cit., I 205) e dello SHERWLN W H I T A
(op. cit.,
pag. 50), il quale osserva ohe essa non può considerarsi sufficientemente giu stificata dalla corrispondenza fra le due liste di Festo riguardanti le prefet ture e i primi municipi. Ma, anche tenendo oonto di questa osservazione, noi troviamo nel pasuo di F E S T O (pag. 262 L.) sulle prefetture il nome di Caiatia ohe essendo il passo notoriamente corrotto, potrebbe doversi correggere in quello di Caiatia : tanto p i ù se si considera ohe nella stessa lista troviamo il nome di Aoerrae o h e — secondo il MOMMSEN (loc. oit.) — ebbe una storia ana loga a quella di Caiatia. Bisogna anche tener presente che fino a quando scom parirà il sistema della prefettura (ofr. SHERWIN-WHITE, op. cit., pag. 76 segg. È oerto ohe Puteoli — oolonia romana e cioè prefettura — ebbe al p i ù tardi nel 105 a. C. propri organi looali oome risulta dalla lex de paristi /adendo,
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LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
biamo altro indizio se non l'affinità con Caiatia e la vicinanza geografica (1). Si tratterà dunque di città che, come Arpinum, Pandi, Formine, Oasinum, Yenafrum, Allifae, Aufidena, si trasformarono in prefetture : data la loro origine si potrà per tanto pensare ad una trasformazione degli antichi meddices, a meno che non si voglia tener presente il possibile caso che — come avvenne per il municipium di Perusia al tempo di Augusto (2) — il IIIIvirato abbia ceduto il luogo al Ilvirato in epoca posteriore alla costituzione del municipium. Vedremo infatti fra poco (3) che esistono numerosi municipii in cui, ac canto ai Ilviri iusdicenti troviamo dei IUI viri evidentemente identici agli edili. Ma bisogna osservare che si tratta di luo ghi — Yerulae, Fagifulae, Sa&pinum, Terventum e, forse, AnUnum e Carsioli — in cui evidentemente il IHIvirato non riesce ad imporsi definitivamente per la duplice magistratura antica : a Perusia forse il maronato, a Yerulae e negli altri municipii ricordati la duplice ineddicità. Nello stesso caso di Perusia potrà trovarsi Carsulae che ebbe al tempo d'Augusto i. d. (4). Tale feno dei Ilviri i. d.y sostituiti poi da Illlviri meno si verificò forse anche ad Herculaneum e a Surrentum, che seguirono le sorti di Nuceria Alfaterna, sottomessa fin dal 308 a. 0., ma rimasta federata a Roma fino alla guerra sociale (5)^e indi municipio fino a che vi fu dedotta una coloC. I. L. I 2 698) ogni comonità di cives optimo iure è sorvegliata da prae/ecti. E nelle stesse condizioni si sarà trovata anche Caiatia. (1) Di Cubulteria si conosoono monete osche. Secondo L i v i o (XXIII 39, 6 ; XXIV 20, 5) essa fa ripresa dai Romani dopo la defezione ad Annibale. Come vada inteso il termine di res publica ohe le si riferisce (ofr. MOMMSEN, in C. I. L. X, pag. 499) non è d'altronde affatto chiaro. (2) C. I. L. XI, p a g . 353. (3) Cfr. infra, pag. 171 segg. (4) Cfr. BBLOCH, op. oit., p . 503 ; infra, pag. 181 sog. (5) Da Liv., IX 4 1 , 3 sappiamo che nel 308 il console Fabio la costrinse a deditto. Parrebbe d n n q n e fuori discussione ohe da qnesto momento essa sia divenuta an municipium sine suffragio. Seuonchè il BELOCH (op. cit.t pag. 415) oonsidora questa notizia come a n falso di Fabio l'annalista « da der Stadt vielmehr ein günstiges foedus bewilligt warde ». La notizia dei foe das si rioava da Cic., pro Balbo 11, 28. Per JJeroulaneuni e Surrentum ofr, BELOCH, op. cit., pag. 539.
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nia di veterani in seguito alle devastazioni degli uomini di Spartaco (1). Ma, mentre Nuceria rimase fedele (2), Herculaneum e Surrentum si ribellarono durante la guerra sociale (3). Quanto a Suessula, essa ebbe la civitas sine suffragio dopo la guerra latina, ma divenne colonia romana al tempo di Siila (4). Anche Ulubrae fu forse colonia, dedotta dai Triumviri, e pertanto i suoi Ilviri potrebbero avere quest'origine; ma il Beloch ritiene più opportuno porla nell'elenco dei munitipii (5). L'esempio di Ulubrae potrebbe, comunque, collegarsi a quello di Praeneste, che chiese a Tiberio il titolo di muni cipio dopo di essere stata trasformata in colonia da Siila (6). Stando così le cose, appare anche evidente che, nelle città che furono poi municipii con Ilviri, la loro seconda magistra tura — cioè l'edilità — non potè essere che romana : fu ro mana certo là dove sorse in un primo tempo un conciliabulum, fu romana quasi certamente nei casi, come quello di Per mia, in cui il II virato derivò dal IUI virato, fu romana con molta probabilità dove il Ilvirato potè sostituire la meddicità. Abbiamo infatti scarse tracce dell'edilità osca ed è as sai probabile che fra gli Osci essa non fosse per nulla origi naria. Come già sappiamo, infatti, anche le iscrizioni prero mane in cui essa compare sono considerate dagli studiosi della storia italica come documentazione di un influsso ro mano : così sarebbe per Pompei, così per Aufidena, se pure in quest'ultimo comune sia da considerarsi sicura la documen tazione (7). (1) F L O R . , I I 85. (2) Cfr. P H I L I P P , in P . W. X V I I 1236.
(3) Le fonti sulla ribellione sono assai scarse. Cfr. GALL, in P. W . V i l i 534 e P H I L I P P , in P . W . IV A 969 segg.
(4) Ebbe la civitas sine suffragio con Capna (cfr. BELOCH, op. cit., p a g . 584). Fa colonia si liana secondo il Lib. Col. pag. 237, 5. (5) BELOCH, op. cit., pag. 524. Il PAIS, Storia della colonizzazione romana, Roma 1923, pag. 271 segg., raccoglie le fonti relative e ritiene ohe Ulubrae fosse origiuariamente « nn povero vicus » trasformato in municipio per costituire u n centro urbano nel onore delle Pontine (loc. cit., pag. 273). (6) G E L L . . XVI 13.
(7) Cfr. supra, p a g . 139 seg. e n. 5 a p a g . 139.
154
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
Eiassumendo in breve quanto abbiamo detto, possiamo anche osservare alcuni periodi ben chiaramente delimitabili nella storia dei municipii la cui costituzione fu imposta da Koma con assoluta certezza e delle prefetture di cives optimo iure : in un primo tempo troveremo l'VIIIvirato — anno 268 a. 0. ; — in un secondo tempo, forse, il mantenimento della costituzione epicoria del municipium sine suffragio con la sola variante del titolo — dopo la II guerra punica — ; in un terzo tempo il IIvirato per i comuni di cives optimo iure — lex Mamilia Boscia(l). Possiamo anche affermare che l'esperimento dell7 VI rivirato non dovette essere considerato sodisfacente : la prova si potrà avere nel fatto che PVIlIvirato stesso cede talora il posto al I U I virato creato per i municipii ex lege lulia de civitate e, dove pure sussiste, specializza i compiti dei suoi magistrati riducendosi talvolta anche di numero (2). Ai conciliabula e ai fora — già prefetture di diritto e di fatto (3) — fu così lasciata la costituzione Ilvirale sorta in essi forse spontaneamente per analogia con le colonie (4), mentre i comuni anticamente retti da meddices ebbero essi pure dei Ilviri, come accadde quasi sicuramente anche a Yelitrae, dove appunto il duovirato pare derivare direttamente dalla nieddicità dei Volsci : Yelitrae divenne un municipio in un primo tempo forse sine suffragio (5) — come le città latine che con servarono le magistrature epicorie — senza mai essere stato, per quanto ne sappiamo, sede di una prefettura. (1) La lex Mamilia Rascia è datata dal RUDOLPH (op. cit., pag. 191) al 55 a. C. ; ofr. SHERWIN WHITE, op. oit., pag. 142, che ne accoglie le oonolnsioni.
Al 109 a. C. essa andrebbe invece fatta risalire seoondo il FABRICIUS (Ueber die lex Mamilia Rotaia etc , in Sitz.-Ber. Akad. Heidelberg 1924 25), seguito dal BERNARDI (loo. cit., pag. 275). Il GOEHLER (op. cit. pag. 190 segg.) accoglie la tesi del B-UDOLPH, distinguendo dalle lex Mamilia Roscia, che ci interessa, nna lex Mamilia de limitibiisy da attribuirsi effettivamente al 109 a. C. Sulla oostitnzione duovirale ai veda RUDOLPH, op. cit., pag. 207 segg. (ofr. pag. 186 segg.), oon discussione e delimitazione della legge in questione. (2) Cfr. RUDOLPH, op. oit., pag. 69 segg., 80 segg. (3) Cfr. FEST., pag. 262 L., s. v. Praefecturae ; e, su di esso, MOMMSEN, St.-R. Ili 1, pag. 797 seg. ; RUDOLPH, op. oit., pag. 166. (4) BELOCH, op. oit.t p. 497.
(5) Cfr. éupra, pag. 130, n. 1.
GLI AEDILES I. D. DI ALCUNE CITÀ MERDIONALI Llì MAGISTRATURE DEGLI ALTRI MUNICIPII
155
Meritano un cenno in questo capitolo au che gli aediles i. d. di alcune città meridionali, a taluno dei quali il De Buggiero assegnava funzioni direttive nei loro comuni (1). Le fonti sono di carattere epigrafico e si riferiscono a : AUSCULUM : C. / .
L.
IX
BENEVENTUM : C. I. L. G N A T H I A : C.
I. L.
IX
H E R D O N I A E : C. / . L.
669 ; cfr.
IX
1646,
666. 1656.
263. IX
960.
Non è qui il caso di ritornare su Caere e Nomentum di cui già s'è parlato (2) e le cui condizioni storiche sono del tutto differenti. Per le quattro città ricordate sarà n a t u r a l m e n t e opportuno tentare una spiegazione distinta. Le iscrizioni di Âusculum e di Gnathia sono quelle che hanno dato al De Euggiero (3) l'impressione che si tratti di magistrati supremi. Ma, anzitutto, ci si stupisce che egli possa aver tratto una simile conclusione quando si osservi che an che a Beneventum ed Herdoniae compare lo stesso titolo, là dove è certo che Yaedilitas i. d. non fu sicuramente la su prema magistratura, essendo Beneventum un'antica colonia latina e Herdoniae una città ex-federata — retta da praetores e aediles — divenuta municipio con I U I viri. D'altra parte an che ad Ausculum e Gnathia non pare sufficiente a stabilire l'autorità di quegli aediles i. d. il loro attributo i. d. : si noti che si tratta di iscrizioni funerarie in cui non compare nessun altro titolo e da cui dunque non si può ricavare un qualsiasi cursus. Si potrà anzi peusare che l'assenza di altri titoli stia a dimostrare che quello di aed. i. d. non fosse che il primo gradino della scala gerarchica. Resta il problema dell'attributo i. rf., ma questo troverà una prima chiarificazione dal raffronto che si può fare con le iscrizioni di Beneventum e di Herdoniae. (1) D K R U G G I E R O , in Diz. epigr., I, 251, s. v. (2) Cfr. supra, pag. 109 aegg. (3) D E R U G G I E R O , loc. cit.,
pag.
251.
Aedilis.
156
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
Di Herdoniae è l'iscrizione C. I. L. I X 690, in cui compare un cursus assai interessante : la trascriviamo qui nelPedizione del a I. L. : [ ] / [mit] nicipi. aed j iur. die. q. bis / Illvir. i. d. bis J q. q. curat mu j neris. bis\ / et q. s. Si nota subito il carattere ascendente del cursus che cul mina con la carica di quinquennalis rivestita dopo il I l I I v i rato i. d. L'edilità i. d. è dunque il primo gradino della scala gerarchica (1) e corrisponde bene alla comune edilità di tutti i municipii. Di Beneventani sono le due iscrizioni surricordate : la prima ci ricorda uno scriba aed. i. d., la seconda — più importante — è la seguente : M. Tanonius / Firmianus. aed j i. d. basent, cum j staterà, et. pon j der. aeneis / de. suo. fee. È evidente che questa è una delle solite curae degli edili normali ; ma pare complicare la questione il fatto che in Beneventum compaiono numerosi gli aediles senz'attributi e per fino un IlIIvir aedills che — come suggerisce lo stesso ti tolo — va considerato posteriore alla guerra sociale. Le iscri zioni che ricordano edili senz'attributi sono quelle contrasse gnate dai numeri 1419, 1503, 1614, 1622, 1644, 1648, 1651, 1657, 1658, 1661. La prima è di Aeqaum Tuticum (?) e ricorda questa carica in modo un po' confuso : è anzi probabilmente incompleta e non se ne può ricavare un gran che. Ad ogni modo la tra scriviamo : I. 0. M. C. JEnnius. C. f. Firmus permissu. decurion. C. B. Benevento . aedilis . . . 1] . I I . vir. i. d. quaestor curator, operis. thermarum datus. ab Imp. Gaesare. Hadriano. Aug. (1) Il genitivo municipi (o dativo munioipi ?) paò riferirsi alla parte man cante.
LE MAGISTRATURE DEGLI ALTRI MUNICIPII
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Le lettere non inclinate sono scritte « in lituris». È evi dente che alla linea 5 deve mancare l'inizio : mancando quello, non si può capire se, per esempio, si possa supporre un i. d. q. che completerebbe il cursus sull'esempio dell'iscrizione di Herdoniae, in cui però compare un IlIIvir i. d. anziché un Ilvir i. d. Il n. 1503 è del pagus Veianus e vi compare un aed. decur. Beneventi; al n. 1614 v'è una dedica aedili, quaes. Ilvir / i. d. ecc.; il n. 1622, incompleto, ricorda semplicemente un aed.; il n. 1644 ricorda due aed. che « viam straverunt et lacuus fecerunt» ; il n. 1648 è dedicato ad un aedili praef. fahr, ed edili senz'altro sono ricordati anche dai numeri 1651, 1661 e 1658; il n. 1657 infine ci presenta un altro cursus completo: aed. pr[aef\ j fahr. Ilvir j i. d. [q.] ponti/ / [ È evidente che il titolo comunemente usato era appunto quello di aedilis senz'attributi ; m a una ragione deve pure es serci perchè nelle due iscrizioni citate in principio compaia il titolo di aedilis iure dicundo. E intanto possiamo notare che, accanto al titolo di aedilis senz'attributi, compare nei cursus soltanto il titolo di Ilvir i. d., mentre ad Rerdoniae Vaedilis i. d. si trova, come s'è visto, accanto ad un IlIIvir i. d. Quest'osservazione potrebbe assumere grande valore se potessimo stabilire la data in cui furono poste le d u e iscri zioni beneventane di aed. i. d., perchè, se si potesse stabilire che esse appartengono al periodo municipale immediatamente posteriore alla guerra sociale, il paragone con Herdoniae avrebbe immediata evidenza. P u r t r o p p o l'impossibilità di avere a di sposizione indicazioni di carattere cronologico c'impedisce di afìermare con sicurezza qualsiasi cosa del genere. Possiamo tuttavia supporre con molta verosimiglianza che la nostra ipo tesi non sia lontana dal vero e, in questo caso, riservare al periodo municipale di Benevento le due iscrizioni riguardanti l'edilità i. d. Se, poi, consideriamo che agli inizi del municipium non doveva ancora essersi formata u n a gerarchia religiosa parti colare, possiamo pensare che il titolo di aed. i. d. stesse ad indicare la distinzione necessaria fra Tedile del I l I I v i r a t o e Tedile sacro. È noto infatti che edili sacri sono testimo-
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niati un po' dovunque: a Napoli, per esempio (aedilis Augustalis), a Ostia (aedilis sacris Voïkano faciundis), in un pagiis di Super aequum (aedilis ad deam Pelinam) e altrove (1). Sarà possibile presumere che anche Herdoniae, avendo avuto còme capi prima dei IlIIviri i prastores e gli aediles, li abbia con servati ad sacra. Il caso non sarebbe unico ; basterà ricordare i pretori e gli edili di Vulcano ad Ostia (2) e il pretore o dittatore di talune località conquistate dai Eoraani nel Latium adiectum (3). Di qui la necessità di distinguere l'edile ad sacra dall'edile iusdicente e l'uso del titolo di aedilis i. d. che potè diffondersi su una larga zona, comprendente Gnathia ed Auscultila e Beneventani, forse per qualche fatto analogo a quello supposto per Herdoniae (4). A Beneventum però l'uso (1) Ad Ostia troviamo Yaedüis saoris Folkani faciundis (C. I. L. XIV 3, 351, 375, ofr. 376, 390, ofr. 391, 4453, 4688). Vaedilxs ad deam Pelinam di Superaequum o di un suo pago è testimoniato in C. I. L. X 3314 (ob honorem aedilitatis . . . . . ad deam Pelinam). A Sutrium troviamo uno scriba aedil. Diespitris (C. / . L. XI 3259). Di Neapolia è l'iscrizione di C. I. L. X 1493, in oui troviamo un aedilis Augustalis, a meno ohe non si tratti di due titoli aooostati in una Bpeoie di cursus. Funzioni saorali, qualunque ne fosse l'origine, ebbero gli aediles Elruriae (C. I. L. XI 1806, 1905, 2116, 2120, 3615, 5170, 5265). Crediamo invece di poter escludere la possibilità ohe Hiano edili con fun zioni saore tanto gli aediles lustrales di Tusculum (C. / . L. I* 782 = XIV 2603 ; XIV 2628 ; Année épigraphique 1916, 106. Un edile normale va considerato quello di C. / . L. XIV 2580. Sul valore dell'epiteto lustralis ofr. LKUZB O., in Hermes 1914, pag. 110 sgg. ; D E SANCTIS G., in Eiv. di Filol. 1932, pag. 439 segg.) ; quanto al preteso aedilis P. A. di Pompeii (C. I. L. IV 817 ; cfr. ibid., pag. 9) va notato ohe le due lettere P. A. possono intendersi anche oome le iniziali del prenome e del cognome di quell'A/ricanus che presenta il candidato nella stessa iscrizione: l'uso di tali abbreviazioni è abbondantemente documentato nello stesso volume del Corpus non solo, ma lo stesso personaggio doveva es sere ben noto poiché sovente compare senza prenome e senza nome gentilizio in altre iscrizioni — C. I. L. IV 818, 1026, 1544 e, particolarmente notevole, 2258a. Fu console secondo il n. 1544). (2) Cfr. CARPOPINO J., Virgile et les origines d'Ostie, pagg. 42-48 ; ofr. an che C. I. L. XIV, pag. 4. (3) Per il praetor di Aletrium ofr. C. I. L. X 5832 ; por il dictator di Fabroteria vetus ofr. C. J. L. X 5655. Cfr. supra, ad es. pag. 112 e 117, per altri oasi analoghi. (4) Degno di nota, sebbene non ne sia facile una spiegazione, è il fatto che talora il supremo magistrato di Beneventum assume il complesso titolo di
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fu assai raro e riprese il predominio la forma più breve del titolo : è possibile che, se vi fu nn aedilis con funzioni sacre, abbia cessato di esistere con la comparsa dei pontifices (1). Il titolo di aeri. i. d. non va dunque considerato come di verso da quello del semplice aedilis o IlIIvir aedilis dei mu nicipi i e delle colonie (2). LÀ QUESTIONE DEI COSIDDETTI I I I V I R I ÀEDILES.
Assai difficile appare la soluzione del problema riguar dante i IIIviri coloniali, che, a dire il vero, non pare sia stata sufficientemente bene impostata dal Rosemberg (3). Il dotto tedesco aveva a disposizione una minor mole di materiale di quanto oggi possiamo considerare, ma anche da una parte di quella nota al suo tempo egli prescinde volen tieri, limitando la sua ricerca ai IIIviri di Ariminum. In questi egli vede, come in tutto ciò che non si può ricondurre a Roma senza una speciale ricerca, una magistratura locale. Ma è fin troppo evidente che il suo modo di vedere urta contro dif ficoltà non trascurabili : anzitutto il fatto che Ariminum, sorta come colonia latina, dovette subire la sorte di tutte le altre co lonie latine e trasformarsi perciò in un municipium dopo la guerra sociale, fino a che non fu colà dedotta dai Triumviri una colonia romana : questa è infatti l'ultima trasformazione della costituzione di Ariminum di cui si abbia notizia. Ma, anche ammesso che la colonia latina avesse accolto una magistrapraetor Cerialis i. d. (C. 1. L. IX 1640, 1641, 1655 e N. S. 1913, pag. 211 — sempre quinqusjinalis — e C. I. L. IX 1637), mentre la stessa magistratura arreca Vhonor cerialitatis (C. I. L. IX 1655 e N. S. 1913, pag. 211, entrambe dello stesso individuo). Si può pensare, forse, ohe il praetor (C. I. L. I 9 , 396, 1729, 1748) della colonia latina, rimasto ad sacra oome praetor Cerialis, in se guito alla trasformazione costituzionale connessa con la creazione del nlnnioipio, abbia ceduto il proprio titolo al magistrato supremo quando furono creati i pontifices (ofr. nota seguente) : il passaggio del titolo al magistrato sapremo avrebbe portato con so la necessità di aggiungergli l'attributo iure dioundo. (1) Cfr. C. I. L. IX 1657 e 1729. (2) Ad analoga conclusione ginnse per altra via il RUDOLPH (op. cit., pag. 40y n. 1). (3) R O S E N B E R G , op.
cit.
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tura epicoria accanto al suo Ilvirato, non si capisce come que sta abbia potuto sussistere attraverso le due trasformazioni successive, e specialmente la prima — la costituzione muni cipale— in cui senza dubbio non poterono esservi che Illlviri. I III viri dunque avrebbero potuto sussistere, al massimo, come magistrati ad sacra. Senonchè noi troviamo III viri anche altrove : di uno bo lognese ha dato ultimamente notizia il Ducati (1), di altri si sa da tempo : a Spoletium e ad Ilici e forse a Yerona, Tergeste, Aquìleia e Glusium (2). È dunque chiaro che anche trascurando 1 Illyiri di Cirta e delle colonie dipendenti (3) e i Illviri locorum publicorum perseqiiendorum di Vienna (4) — dei quali è stata data una sufficiente spiegazione già da molto tempo (5) — il problema dei Illviri non va limitato alla sola Ariminum. Diventa anzi impossibile pensare alla soluzione prospettata dal Eosenberg. Una possibilità da prospettare, per essere scartata imme diatamente, è anche quella che in un certo periodo si sia in (1) DUCATI P., Un'iscrizione latina di Gherghenzano, in Aiti Mem. Dep. St. Patr. Emilia e Romagna 1937-38, p a g . 99 segg. (2) Per Spoletium : C. I. L. XI 4802 : P. Fulio P. f. IIIvir(o), ex testa] Aug sac. mento) L. Fuli P. f. ; per Ilici : C. I. L. II 5950 : Hercul[ [ ] L. Poroius [....] Illvir, IIIIv[ir ] Aug. s. p.d.; per Verona: Suppl. Italicum I 1255 : DM Cybelifii. dec. 11 loir f Priamins j v. s. p. (l'editore commenta : « corrupturn titulum et fortasse interpolatimi non habeo quomodo emendem*; per Tergeste : C. I. L. V 5 4 4 : M. Surinus M. f. Marcellus HI vir. aed praef. i. d. Hoir pont, praef. fahr, quinq. d. d., M. Surinus M. f. Marcellus filius (sul valore di quest'iscrizione si veda ibid., p a g . 53. Cbi scrive sarebbe propenso a leggere piuttosto IlIIvir. aed. : contro l'opinione ammessa dall'edi tore del C. I L. non ci meraviglia l'opposizione di Illlviri aediles a Ilviri. Su ciò ofr. infra, a proposito dei I l l l v i r i «.nude dicti»). P e r Aquileia : C. I. L. Ia 2204 = V 872 : L. Luoilius C. f. / trium. virum / cap. ; per Glusium : C. I. L. XI 212ff: [ ] / [ ] / ». HI. vir. iter. i. d. Cinsi (l'iscrizione « videtur corruptay>). (3) Cfr. G. I. L. V i l i , p a g . 618 e i relativi Supplementa. (4) Cfr. C. I. L. X I I , pag. 219 ; ESPÉRANDIEU, Inscr. Lat. de Gaulef n . 348. (5) L É C R I V A I N , in D A R . - S A G L I O - P O T T I E R , I I I
1543, s. v. Magistratus
cipales. Si veda auohe STRASBURGBR, in P . W . VII A 521, s. v. n. 12, ove però non ai dà u n a spiegazione sodisfacente.
muni-
Triumviri
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talune città modificato il IlIIvirato staccandone Yaedilis plebeius. Vero è che l'esistenza di questo tipo d'edile non è docu mentata, ma è facilmente immaginabile da chi creda all'esi stenza dell'edile curule (l). È anche vero tuttavia che le iscri zioni a noi note sono di epoca diversa : si pensi al Illvir di Spolettimi che non ha cognome ed è ritenuto di epoca « satis antiqua » (2) mentre ad Ariminum i Illviri noti sono di avan zata età imperiale (3). Piìi probabile pare invece l'ipotesi che si tratti di titoli e di compiti ben diversi. L'ipotesi del Eosenberg sottoposta a revisione pare infatti passibile di una sensibile variazione. Anche indipendente mente dal fatto che mai altrove i Illviri a noi noti hanno il titolo di aediles se non, forse, a Tergeste in un'iscrizione di incerta lettura (4), osserviamo che nella stessa Ariminum la cosa non è certa. L'iscrizione C. 1. L. XI 378 ci parla di un Illvir, e lo stesso titolo ci ripresenta il n. 417, che troviamo (1) Qaesta esistenza è d a p o r r e in dnbbio per la stessa Ariminum (ofr. infra, pag. 162 e n. 1). Quanto alla doonnientazione rignardante Salonae e Intei amna N., raooolta dal DM R U G G I E R O , loo. cit., pag. 251 sg.) non oredo sia possibile considerarla valida: l'iscrizione di Salonae (C. I. L. I l i 2077) pnò forse esser Ietta integrando decurioni) aedili cur(atori) def(en8or\) ; l'iscrizione di Inter amna (O. 3279, ora in C. I. L. XI 4206) potrà essere riferita ad un edile onrnle romano : si noti ohe lo stesso personaggio è ricordato in C. I. L. XI 4207, un'iscrizione ignota sia all'Orelli ohe al De Ruggiero, che I'OLCOTT (The8aur. linguae latm epigraphicae, I, 145) non esita ad elencare fra quelle ro mane. A ciò bisogna aggiungere ohe della stessa Interamna oonosoiamo dne iscrizioni di aediUa senz'attributi (C. I. L. XI 4212 e 4219), riguardo alle qnali un evidente errore (di s t a m p a ? ) si ha in BORMANN, C. I. L. XI, pa gina 611, ove sono attribuite a «idem homo» cui le due di cui già s'è detto. (2) Cfr. BORMANN, ad C. / . L. X I 4802, pag. 702. (3) Le iscrizioni di F u r i a n o (C. I, L. XI 385-387) sono di un pont, flamen Divi Nervae; il n. 417 è di a n flamen Divi Claudii, come pure il n. 6010; C. / . L. XI 378 è di un proo(urator) Imp. Anton. Aug. PU. Meno facile è la datazione dei nn. 406 e 418. Il personaggio rioordato in quest'ultima è però un G. Sentius C. f. Pal. Valerius Faustinianua, il oui nome ci riohiama al l'onomastica dell'età imperiale. L'isorizione 406 è inveoe assai mutila, ma non pare oomunque attribuibile ad epoca anteriore alle altre di cui s'è fatto cenno. Si deve anche tener presente che Beneventani, fondata anch'essa nel 268, non ha altre magistrature ohe la p r e t a r a e la questura (cfr. infra, pag. 165). (4) C. I. L. V 5 4 4 ; ofr. ibid., p a g . 53. li
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tÈ
MAGISTBATUBÈ MUNICIPALI
ancora al n. 418 ; inversamente i n. 361, 409, 416 ricordano aediles soltanto. Eestano i n. 385, 386, 387 che si riferiscono tutte allo stesso personaggio in diversi momenti della sua carriera e, inoltre, i n. 406 e 6010. Al n. 387 L. Betuzio Furiano è stato soltanto edile acni et curulis i. d. et plebeia mandata est*. Ai n. 385 e 386 il suo cursus è ormai completo : è diventato patrono della colonia, flamine del Divo Nerva, pontefice, e la sua carriera politica è stata contrassegnata dalle tappe indicate in ordine inverso : Ilviro quinq. Ilvir i. d. Illvir aedili cur. Analogo, seppure meno completo, è il cursus del personag gio onorato con l'iscrizione n. 406 : Ilvir 1 Ilvir aed. p[ont Î] Perchè si possa pensare ad identificare i due titoli di Illvir e aedilis bisognerebbe ammettere che Illvir valga aedilis pleMs : si osservi infatti che il titolo di aedilis pleMs manca nel cursus dei nn. 385-387, mentre la 387 dice che a Betuzio furono affidate entrambe le giurisdizioni edilizie. Il cursus completo non dovrebbe ignorare questa magistratura plebea. Ma è stato pensato che l'iscrizione 387 non faccia che enfa tizzare le incombenze del comune aedilis (l), e allora non si spiegherebbe come mai i nn. 385 e 386 presentino il titolo di aed cur. anziché di aed. semplicemente come la 406. Appare anche difficile decidere con sicurezza perfino se il titolo di Illvir vada inteso come rispondente ad una magistra tura sacra o civile, quando si osservi il cursus di XI 6010 in cui si trovano mescolate incombenze di genere diverso : ponti/. Ilviro I quinq. Illviro flamini. Bivi Claudi patrono. Lo stesso fatto si verifica a Bononia : praef. fahr. q. Illvir. aug. Ilvir. pon. L'esempio che ci pare più adatto a chiarire i compiti di questi strani III viri è comunque quello dei III viri loc. plub. pers. di Vienna. Se è vero che costoro avessero l'incombenza di tutelare gli interessi del demanio nell'agro pubblico degli Allobrogi (2), questo stesso compito possouo aver avuto i (1)
KOSENBERG, op. cit.,
pag.
116.
(2) Cfr. supra} pag. 160 e n. 5.
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163
Illviri delle altre colonie a noi noti. Si presentano però alla mente altre possibilità. Una è suggerita dall'esistenza di Illviri Augustales in città della IV Regione (1). Pertanto, come noi sappiamo dell'esistenza distinta di seviri e di seviri Augustales, di seviri seniores e di seviri iunior es (2), potremo pensare an che a Illviri e Illviri Augustales con funzioni quasi ìnagistratizie, sebbene ad sacra. Ciò tuttavia pare escluso per Spoletium che, essendo senza cognome il suo Illvir, potrebbe es sere anteriore ad Augusto. Del resto non è nemmeno neces sario pensare agli Augustali. Come questi si organizzano cer tamente su qualche modello preesistente, così i nostri Illviri potrebbero avere funzioni analoghe a quelle dei tre pontiflees o dei tre augures : e si noti che nell'iscrizione di Bononia, come al n. 418 di Ariminum, il titolo di Illvir è seguito da quello di augur (a Bononia : aug.). A parte, dunque, il caso di Spoletium, v'è però da notare che, come Ariminum, anche Bononia, Aquileia ed Ilici sono colonie di cittadini romani dedotte da Augusto dopo che la trasformazione era forse avvenuta in un primo tempo ad opera dei Triumviri r. p. e. Per Ariminum in realtà la duplice de duzione è documentata in modo certo e per Bononia appare probabile (3). Si potrebbe dunque pensare che codesto trium virato r. p. e. avesse ispirato la decisione di dare ad Ariminum e a Bononia e, in seguito ad altre colonie di veterani augustee o posteriori, un triumvirato locale. La più tarda di queste colonie sarebbe Verona, dedotta forse da Nerone (4), ma l'esistenza dei Illviri è ivi incerta. E resterebbe in tal modo da spiegare soltanto l'esistenza di Illviri a Clusium,
(1) Cfr. VON PRBMBRSTEIN, in DE RUGGIERO, Diz. Epigr. I 829, s. v. Augustales. (2) ID., ibid., pag. 824 sgg. (3) Per Ariminum oolonia dei Triumviri ofr. APP., h. c. IV 3 ; per la co lonia aaguatea C I. L. XI 408 e PLIN., n. h. III 15. Per Bononia la oolonia augastea è documentata da CI. L XI 720; ofr. PLIN., n. h. Ili 19 e XXXIII 23. Una colonia dei Triumviri si suppone da CASS. DIO. L 6. (4) Sarebbe oolonia secondo TAC. Hist., Ill 8. Cfr. tuttavia KORNEMANN, in P.-W. IV 539, s. v. Colonia, n. 153.
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L É MAGISTRATURE MUNICIPALI
dove tuttavia essa è assai incerta e dove potrebbe avere la stessa origine che a Spoletinm. La coesistenza dei Illviri e dei IlIIviri, sicura almeno per Iìici, pare, comunque, un nuovo motivo per escludere l'identifi cazione degli edili con i Illviri ; ed appare ancora una volta verisimile il raffronto con i Illviri locorum publicorum perseqtiendorum di Vienna, che è anch'essa una colonia di veterani dedotta, come Ilici, da Augusto (1).
(1) Per Ilici ofr. KORNEMANN, loc. cit., 541, n. 182 ; per Vienna, ibid., 542,
n. 191.
EXCURSUS
I :
NELLE
L'ORIGINE
DELL'EDILITÀ
COLONIE ROMANE.
Nessun edile ci è documentato per le colonie latine, seb bene abbastanza numerose siano le iscrizioni riguardanti i praetor es, i consules e perfino un dicator — se si tratta di un magistrato — e, più tardi, dei Ilviri senza attributi speciali (1). La documentazione relativa a quanto qui si afferma è co stituita dalle seguenti iscrizioni : BENEVENTUM : G. I.
L.
Oppio [ ] Capiton[ï] q. G. I. L. F 1748 = G. I. quis) : Visellius L. f. Fai. tus e(st), duovir Tele[s{iae)]y Si tratta evidentemente l'edilità non compare.
P
1729
=
G.
I.
L.
X
1635 :
G.
pr. in[terr.] cens[ori]. L. X 2240 (Telesiae, litteris antiFlaccus Beneventan(us) liete sepul[p]r(aetor) Benev[enti] di due cursus completi, in cui
INTERAMNÀ LIRENAS : G. I. L.
V
1545
=
C
1. L. X
5203
(da Casinum, ina attribuibile ad Interamnà, cfr. BELOCH, R.