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Italian Pages 208 [210] Year 2010
1249. Collana di psicoterapia della famiglia Direttore: Camillo Loriedo Comitato scientifico: Luigi Boscolo, Laura Fruggeri, Sergio Lupoi, Marisa Malagoli Togliatti, Anna Nicolò Corigliano, Corrado Pontalti, Luigi Schepisi, Valeria Ugazio, Maurizio Viaro La psicoterapia della famiglia ha raggiunto un considerevole sviluppo, sia per la sua notevole diffusione nell'assistenza pubblica dove si avvertono le necessità quotidiane delle famiglie alle prese con il disagio mentale non più contenuto dalle istituzioni segreganti, sia per le numerose richieste di formazione degli operatori. Perché questo significativo sviluppo possa riuscire a mantenere livelli qualitativamente elevati e a conquistare maggior credito rispetto alla crescente diffusione del biologico, si avverte la necessità di una qualificata produzione scientifica sull' argomento. Questa collana vuole rispondere a tale esigenza mediante: - una trattazione organica e coerente della materia, - scelte qualitativamente adeguate, il ritorno ad un preminente orientamento clinico, - la possibilità di fare emergere contributi innovativi e di presentare le ri- cerche più avanzate nel settore.
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Corrado Bogliolo Anna Maria Bacherini
Manuale di mediazione familiare
Proteggere i figli nella separazione
FrancoAngeli
PSICOTERAPIA DELLA FAMIGLIA
In copertina: Giacomo Ceruti, Ragazzi che giocano a carte, particolare.
Copyright © 2010 by FrancoAngeli s.r.!., Milano, Italy. Ristampa 123456789
Anno
2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019 2020 2021
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Indice
Il processo di mediazione relazionale nell'interfaccia tra conflitto e negoziato: come ristabilire gli equilibri compromessi nelle relazioni umane , di Camillo Loriedo Riferimenti bibliografici
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Introduzione
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Ringraziamenti
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Parte prima Formazione, crisi e separazione della coppia 1. La formazione della coppia 1. L'incontro 2. La scelta duratura 3. Il sistema coppia 4. La coppia funzionale 5. Le famiglie d'origine e le appartenenze 6. Un cenno alle coppie "diverse"
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2. Le crisi della coppia 1. Disaccordi, delusioni, crisi 2. I figli nelle crisi dei genitori Appendice. Strutture disfunzionali e patologia
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3. Il percorso della separazione 1. Prese di coscienza 2. Conclusioni della storia 3. Tipologie delle separazioni 4. Fenomenologia della separazione 4.1. Lasciati e lasciatori 5. La separazione 5.1. Una ricerca 5.2. Il percorso 5.2.1. Ridimensionamento affettivo 5.2.2. Incertezze 5.2.3. Prove di riconciliazione 5.2.4. Il punto di non ritorno Appendice. Un glossario delle separazioni 4. Separazione e reazioni nei figli 1. I bambini divorziati 2. Le reazioni alle varie età 2.1. Nell'infanzia 2.2. Nella preadolescenza 2.3. Nell'adolescenza 3. La vita sociale dei figli di separati Appendice. Bambini e famiglie ricomposte
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Parte seconda La mediazione familiare relazionale 1. Post-separazione e controversie
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2. Origini e diffusione della mediazione familiare 1. Generalità 2. I modelli più conosciuti 2.1. Modello strutturato (Coogler) 2.2. Modello negoziale (Haynes) 2.3. Modello integrato (Marlow e Sauber)
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2.4. Modello interdisciplinare (Gold) 2.5. Modello terapeutico (Irving e Benjamin)
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3. Il ricorso alla mediazione familiare 1. Componenti fondamentali 2. I "residui" come base del contenzioso 3. Quando fare la mediazione 4. Quando non fare la mediazione 4.1. Le richieste per coppie in crisi 4.2. Quando c'è una relazione persistente 5. La mediazione non è psicoterapia 5.1. I confini 5.2. Somiglianze e differenze 6. Sintesi
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4. La legislazione
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5. La prassi della mediazione familiare 1. Gli "esperti" e le sedi della mediazione 2. La domanda 3. Il primo colloquio, linee guida 4. La conduzione delle sedute 5. Privilegiare la genitorialità 6. La questione del passato 7. Bambini in mediazione familiare 8. Le interferenze esterne 9. Resistenze e incidenti 10. I fallimenti 11. Conclusione della mediazione
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Conclusioni generali
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Appendici normative e giuridiche 1. Documento del Consiglio d'Europa (Strasburgo, 5 febbraio 1998). Raccomandazione n. 98-1
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2. Codice europeo di condotta per mediatori (2 luglio 2004)
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3. Legge 8 febbraio 2006 n. 54 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 1° marzo 2006, n. 50). Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli
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Bibliografia
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Il processo di mediazione relazionale nell'interfaccia tra conflitto e negoziato: come ristabilire gli equilibri compromessi nelle relazioni umane di Camillo Loriedo
Non è facile immaginare una relazione senza conflitti e senza separazioni, almeno provvisorie; e chi lavora abitualmente con le coppie e con le famiglie considera addirittura un segnale prognostico sfavorevole la mancanza (o, più spesso, l'apparente mancanza) di contrapposizioni e di variazioni di distanza più o meno ampie nella relazione. La fusione, la non definizione e la pseudomutualità (Wynne et al., 1958) sono spesso considerate, non a torto, un pericolo maggiore, anche per i figli, della stessa separazione o del divorzio. Chi si avventura nel territorio genitoriale-coniugale, pieno di asperità e di insidie, non può ignorare la terribile sensazione di vuoto e di perdita di significato che si incontra quando si attraversano le desolate paludi del divorzio emotivo (Bowen, 1979), che provvede a interrompere ogni forma di comunicazione emozionale all'interno di una famiglia, fino a trasformarla in una specie di natura morta che si riesce a mala pena a contemplare, ma con cui non si possono avere scambi. Quindi, piuttosto che chiederci se sono presenti o meno conflitti in una coppia o in una famiglia, è più opportuno chiedersi di quale tipo di conflitto si tratta. Se si hanno conflitti nascosti, sappiamo che questi sono particolarmente pericolosi per la salute mentale di coloro che vi sono coinvolti, ma anche quelli aperti, riconosciuti ed espliciti, non sono affatto privi di insidie. Così avviene nel caso di conflitti cronici, quelli con coinvolgimento di terzi che non dovrebbero, in linea di principio, esserne coinvolti; quelli che vengono continuamente interrotti da terzi e non giungono mai a conclusione, quelli che ostacolano l'evoluzione del sistema familiare verso fasi successive del ciclo vitale, quelli che si dimostrano rigidi nel tempo e nel loro modo di presentarsi, quelli che vertono non su contenuti, ma esclusivamente su aspetti di relazione, quelli multigenerazionali, quelli che non hanno reali finalità, quelli con escalation. Si tratta spesso di tipi di conflitti in 9
grado di condurre verso temibili e imprevedibili forme di runaway, o che possono addirittura comportare lo sviluppo di gravi patologie. Nonostante il ruolo potenzialmente lesivo che assumono spesso i conflitti all'interno delle relazioni umane, questa visione centrata sul malfunzionamento dei sistemi interattivi sembra oggi destinata ad acquisire una posizione secondaria. La ricerca sui sistemi interattivi umani, che fino a pochi anni fa era interessata soprattutto ai fattori di rischio, sta gradualmente lasciando il posto agli studi sui fattori protettivi e sulla resilienza. Una serie di fattori attivi nel proteggere individui, coppie e famiglie sono stati individuati da numerosi studiosi, che hanno costatato come taluni sistemi siano dotati di straordinarie capacità resilienti anche di fronte a quelle esperienze traumatiche che sono in grado di piegare la grande maggioranza delle risorse umane conosciute (Brooks, 1994; Walsh, 1998; NIMH, 1999; Grotberg, 2001; L an dau e Saul, 2004; Bonanno, 2004). Il possibile impiego di fattori protettivi e di risorse individuali e relazionali a scopo terapeutico ci ha fatto proporre una Terapia Sistemica Basata sulle Risorse (Loriedo, 2005) che sembra garantire lo sviluppo di un contesto collaborativo tra terapeuti e famiglia, talvolta minacciato da pregiudizi o fraintendimenti che possono compromettere il clima favorevole allo sviluppo di un adeguato processo terapeutico. Inoltre, l'intervento centrato sulle risorse presuppone lo sviluppo, nella famiglia e nella coppia, di capacità di funzionamento proprie che, se adeguatamente individuate e utilizzate, si dimostreranno particolarmente utili quando la terapia sarà conclusa. Gli studi sulla resilienza indagano soprattutto la capacità di tollerare e sopravvivere rispetto ai grandi traumi, eventi di elevata forza devastante, capaci di sconvolgere la vita di chiunque. Meno indagata è stata la resilienza nei confronti del conflitto, anche perché spesso questo non rappresenta un trauma unico determinante, ma più frequentemente una costellazione di microtraumi che operano per accumulo e per progressive alterazioni della stabilità funzionale di un sistema. Al momento mancano indicazioni quantitative e un numero adeguato di studi controllati sull'individuazione di fattori adatti a contrastare l'effetto di una conflittualità relazionale pervasiva e dirompente. Tuttavia, per l'esperienza condotta nel settore, ritengo che certamente esista un fattore che, più di altri, sia in grado di contrastare e alleviare la straordinaria forza lesiva di cui sono dotati alcuni tipi di conflitti. Questo fattore è costituito dalla cosiddetta capacità negoziale e rappresenta una risorsa di cui i sistemi interattivi umani, perennemente coinvolti in conflitti, funzionali e disfunzionali che siano, hanno indiscutibilmente bisogno. Saper contrattare, riuscire a trovare un'intesa, andare incontro all'altro 10
e permettere all'altro di venire incontro a noi, rappresenta una capacità insostituibile che consente di superare anche i peggiori conflitti, quelli più devastanti. Come sappiamo, oggi questa capacità negoziale può essere fortemente compromessa in presenza di gravi patologie, oppure in presenza dei conflitti del tipo di cui abbiamo fatto menzione. Sappiamo, per esempio, che i Disturbi del Comportamento Alimentare si accompagnano a una perdita pressoché completa della capacità negoziale in misura sensibilmente superiore a quella di altre patologie. Analogamente, questa risorsa relazionale è significativamente ridotta nella maggior parte dei Disturbi di Personalità. Nel caso delle gravi conflittualità, che ovviamente si trovano al' centro dell'interesse di quanti si dedicano specificatamente all'attività di mediazione, la capacità che consente di avviare e di portare a buon fine un conflitto relazionale costituisce un bene di primaria necessità. Ma le condizioni d'inesauribile tensione che accompagnano i conflitti sembrano avere un rapporto inverso con la possibilità di condurre adeguatamente un processo di tipo negoziale. Della capacità di ricostruire accordi mutualmente vantaggiosi si occupa la disciplina, sempre più richiesta (in proporzione con un incremento sempre più evidente delle condizioni di conflitto), della Mediazione. E la Mediazione viene esplorata in tutte le sue dimensioni, con sinteticità e chiarezza non comuni, da questo utilissimo volume di Bogliolo e Bacherini. La notevole esperienza relazionale-sistemica degli autori permette loro di trattare il tema con la necessaria profondità, ma anche con tutta la prudenza di chi non vuole lasciarsi soggiogare dalla propria scelta di intervento. Con grande equilibrio, il volume arriva a trattare della separazione e dei suoi problemi solo dopo avere esaminato attentamente e passo per passo la costruzione del legame. Questa costruzione, anche nel peggiore dei casi, assume sempre un enorme valore, che spesso tornerà utile anche quando la separazione sarà entrata nelle sue fasi più avanzate. Naturalmente, in questa fase, proprio quando il legame di coppia si costruisce, si intravedono già le prime crepe dell'edificio coniugale. Il modo di legarsi si dimostra poco affidabile e le basi dell'unione appaiono poco solide per sostenere i tempi difficili che prime o poi la coppia dovrà attraversare. Ma lo studio della costruzione del legame consente proprio di individuare dove si sono formate le crepe, di intervenire esattamente dove è necessario, senza pretendere una complessa e radi-
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cale ristrutturazione che finirebbe per stravolgere il significato stesso del processo di mediazione. Poi, i differenti momenti della separazione vengono vivisezionati nel libro, in tutte le loro componenti, senza risparmiare nulla, ma anche senza esaltarne incondizionatamente il ruolo. Anche in questo caso si comprende quanto sia utile individuare punti di attacco dei quali ci si servirà in seguito per avviare una negoziazione tra le parti che non poggi, con tutto il suo peso, su superfici drammaticamente scivolose. Un altro merito del lavoro di Bogliolo e Bacherini è nell'aver ribadito, e presentato con chiarezza e senza alcuna ambiguità, le differenze tra la mediazione e la psicoterapia. L'equivoco, che potrebbe derivare da posizioni prive della necessaria fermezza, e la mancanza di distinzione, che condurrebbe inevitabilmente a un rapporto mistificato e mistificante, vengono risolti con determinazione e impegno. Il libro ci consegna anche tutte le indicazioni per evitare di cadere nelle possibili trappole che si incontrano sul cammino del mediatore, che vanno dall'equivoco rispetto alla vera e propria psicoterapia appena menzionato, fino alle multiple interferenze relazionali, interne ed esterne al sistema familiare che, se non individuate per tempo, possono insidiare l'esito favorevole di un processo di mediazione condotto con la massima correttezza. Sono da apprezzare, soprattutto per chi lavora nel campo, ma anche per il lettore desideroso di conoscere per migliorare la propria preparazione o per affrontare con maggiore serenità il proprio processo di separazione, le appendici normative e giuridiche che contengono indicazioni e norme che regolano l'attività nel settore e gli aspetti legali inerenti alle attività di mediazione. Infine, ma certamente molto importante per una trattazione che tocca un'area così delicata delle relazioni umane, il libro si legge con grande piacere perché scritto in maniera gradevole e leggera, perché contiene eloquenti esemplificazioni e anche perché si percepisce in esso l'equilibrio e l'armonia di cui hanno particolare necessità le coppie in crisi.
Riferimenti bibliografici Bowen M. (1979), Dalla famiglia all'individuo, Roma, Astrolabio. Bonanno G. A. (2004), "Loss, Trauma, and Human Resilience: Have We Underestimated the Human Capacity to Thrive after Extremely Aversive Events?", Am. Psychol., 59(1), 20-28.
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Brooks R. B. (1994). "Children at Risk: Fostering Resilience and Hope", American Journal of Orthopsychiatry, 64, 545-553. Grotberg E. H. (2001), '"The International Resilience Research Project", in Cornmunian A. L., Gielen U. (eds.), International Perspectives on Human Development, Miami, Pabst. Landau J., Saul J. (2004), "Facilitating Family and Community Resilience in Response to Major Disaster", in Walsh E, McGoldrick M. (eds.), Living Beyond Loss, New York, Norton. Loriedo C. (2005), "Resilienza e fatto ri di protezione nella psicoterapia familiare sistemica", Rivista di Psicoterapia Relazionale, 21, 5-28. NIMH (1999), Resilience Survey. Risk Factors for Psychopathology Using Existing Data Sets, PA 99, 121. Walsh F. (1998), Strengthening Family Resilience, New York, Guilford. Wynne L. C., Rickoff I. M., Day J., Hirsh S. I. (1958), "Pseudomutuality in the Family Relations of Schizophrenics", Psychiatry, 21, 205-220.
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Introduzione La separazione e il divorzio sono la conclusione di una vicenda iniziatasi all'insegna dell'amore, della ricerca dell'altro, della speranza. Quando due persone, anche dopo la separazione, restano preda di gravi conflitti, possono divenire incapaci di salvaguardare i figli dalla tempesta che li travolge. I bambini possono esserne sopraffatti. Per lungo tempo si è mantenuto in Italia uno stigma pesante nei confronti della separazione e del divorzio delle coppie, derivato da una concezione della famiglia vista come garante della struttura sociale e della trasmissione dei valori religiosi. Da qui l'obbligo di salvaguardarne l'unità, anche se sono presenti conflitti irreversibili e/o la perdita d'ogni vincolo affettivo. La separazione era indicata come evento riprovevole, mai utile per uscire dai fallimenti e ancor meno per tutelare gli equilibri e le risorse dei figli. Nell'evoluzione sociale più recente stiamo assistendo a una sensibile trasformazione dei costumi, con accettazione di modelli comportamentali che un tempo erano ritenuti negativi: per esempio è considerato normale che i giovani, maschi e femmine, abbiano, prima del matrimonio, "storie" con coetanei, e che la loro vita sessuale, o la convivenza, siano praticate con disinvoltura e con il consenso degli adulti. Questi comportamenti sono considerati occasioni per una maggior maturazione che aiuterà nella scelta del partner definitivo`. Certamente è stata decisiva l'informazione, specie nella seconda metà del Novecento. La presenza della donna al mondo del lavoro ha fatto da cornice a questi mutamenti, anche se tuttora si trova impegnata con i figli e con le responsabilità strutturali della famiglia. Questa ultima ha assunto forme molteplici e diversi stili di funzionamento: sono aumentati i gruppi nucleari e le famiglie ricomposte da un nuovo legame dopo il divorzio. In questo "movimento culturale", comprendente anche una nuova legislazione, si è diffusa la tendenza a vedere la separazione come un evento non auspicabile, ma sostanzialmente normale. Sembrano, infatti, ora prevalere le componenti di maturazione civile, rispetto a quelle etiche o religiose. La fine di una relazione, legale o meno, è un fatto ' In molti Paesi, compresa l'Italia, da anni è in atto un aumento del numero dei divorzi e delle separazioni. Si assiste anche a una diminuzione del tasso di nuzialità, lo sviluppo crescente delle convivenze e un aumento dei figli nati al di fuori del matrimonio. 15
"ammesso", rispetto a quando la rottura di una famiglia era stigmatizzata come un evento grave e dalle conseguenze nefaste'. Non è considerata opportuna l'introduzione di rituali che sottolineano l'acquisizione dello status di separato: normalmente le cerimonie solennizzano il matrimonio e consacrano per gli sposi il consenso sociale, mentre la fine di una storia affettiva è di solito un evento doloroso, almeno per una delle partii. Oggi due ragazzi possono rapidamente passare dall'entusiasmo amoroso al sereno distacco, con ritorno disinvolto all'amicizia. Certe volte però uno può soffrirne molto. Quando le relazioni si allungano nel tempo, e diventano storie importanti, i legami si consolidano, si celebra il matrimonio o si decide di vivere insieme in modo duraturo. Le cose non sempre vanno bene e la relazione non cresce, anzi, si deteriora. Risultato: la comparsa dell'infelicità, dell'incapacità di trovare risposte quando le due persone non sono in grado di elaborare quanto sta accadendo. Compaiono i bisogni disattesi, le delusioni. Non di rado pesano anche i legami con le famiglie di origine, con le appartenenze. La separazione marcherà la chiusura formale della storia. Diciamo formale, perché da un lato la crisi spesso era in atto da tempo, dall'altro le separazioni si portano dietro qualche cosa che appartiene al passato. Questo qualcosa, sul quale torneremo più volte chiamandolo residuo, riguarda di regola le "fisiologiche" tracce di un rapporto. Anche in chi ne è stato promotore, pur se ha trovato un nuovo legame affettivo, resteranno i segni di quel periodo della propria esistenza. La questione cambia quando questi trascinamenti continuano a interferire in modo pesante sulla vita "dopo". I bambini sperimentano la sofferenza al momento della perdita della loro famiglia e quindi delle loro sicurezze: i più grandicelli hanno intuito quanto stava per accadere. Altri, i più piccoli, possono cadere in dolorose esperienze d'abbandono. Piccoli e meno piccoli si trovano, loro malgrado e spesso a loro insaputa, coinvolti in vicende di cui non comprendono il significato, alle quali non possono opporsi e che vivono nell'unico signi2 L'evoluzione della rappresentazione della famiglia è strettamente connessa con gli aspetti legali: cambiamenti legislativi hanno permesso il divorzio, è stato eliminato il concetto di colpa, accettando il dato dell'impossibilità di proseguire il rapporto di coppia. Contestualmente è stata introdotta la necessità di tutelare l'interesse dei minori, elemento che è diventato dominante nelle aule di tribunale in materia di adozioni, affidi, destino dei bambini in caso di separazione dei genitori. 3 P. N. Lewis (1983), dagli Stati Uniti e con l'originalità propria di questo Paese, riferisce della celebrazione di rituali vari, compresi quelli religiosi, da parte di coppie concordemente liete di interrompere la loro vita in comune, per sancire la fine della relazione e l'inizio di una nuova posizione sociale. Alcuni, una volta raggiunto l'accordo, sono ricorsi ad annunci sul giornale o addirittura a un ricevimento.
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ficato per loro valido: la perdita d'oggetti amati e fonte di sicurezza. I bambini non hanno alcun interesse o voglia di capire. Si tratta allora di metterli in condizione di accettare un doloroso dato di realtà, scacciare fantasmi peggiori, riorganizzare la loro vita intorno a nuove sicurezze. Due adulti che si combattono e si lacerano su un patrimonio da dividere, sono ben poca cosa di fronte a un bambino che si svegli nella notte in preda al terrore che il babbo non venga più a trovarlo, perché ieri ha sentito l'avvocato che diceva alla madre: a suo marito gli daremo una bella lezione! Destiniamo questo testo a quei separati tra i quali emerge una controversia avente per oggetto i loro bambini. In particolare ai casi dove appare sbrigativo e incompleto un ricorso al giudice affinché trovi, dall'esterno, le soluzioni. Da qui l'utilizzo della mediazione familiare, la cui finalità è uscire dalla disputa, trovare un accordo, con l'intento primario di proteggere i figli, o meglio aiutare i genitori a farlo. Il libro studia le vicende di queste coppie, dall'incontro fino alla fine, con la separazione o il divorzio. Accanto scorrono le storie, le angustie dei loro figli, fino a quando potranno trovarsi di nuovo tirati nella sofferenza per le dispute tra i loro genitori, anche se ormai divisi. Con queste premesse la seconda parte è destinata alla descrizione teorica e pratica della mediazione familiare. In questo senso si studia e si descrive questo importante intervento d'aiuto, che è altra casa dalla psicoterapia. Siamo contrari alla pretesa di interagire con due separati come se si trattasse ancora di una coppia: è incongruo inserire il concetto terapeutico in una storia conclusa. Il testo prende vita nelle ricerche, nelle esperienze didattiche e nella prassi dell'intervento di mediazione familiare relazionale nel nostro Istituto di Psicoterapia Relazionale, nelle due sedi di Pisa e di Rimini. È in sostanza un libro che tratta di vicende umane.
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Ringraziamenti
Gli autori ringraziano i colleghi e amici Dario Capone, Annibale Fanali, Roberto Lorenzini, Renato Capacci, Alessandra Toni, Claudio Fratesi, docenti all'Istituto di Psicoterapia Relazionale nelle due sedi, pisana e riminese, per i rilevanti contributi dati a questo lavoro.
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Parte prima Formazione, crisi e separazione della coppia
1. La formazione della coppia
1. L'incontro Accade ogni tanto, quando due esseri umani s'incontrano, che due universi si sono avvicinati. Si sviluppa un'esperienza di mutamento dell'esistenza che li farà divenire diversi, rendendo possibile quello che in termini gestaltici si chiama contatto. La scintilla dell'amore è sempre stata una matrice della storia. La spinta a legarsi in coppia è connessa a due istanze fondamentali: una individuale, sospinta dalle attese e dalle pulsioni soggettive, specie di ordine emotivo, l'altra, sociale, tesa al comporsi di una comunità solidale e difesa. Diversamente nelle varie culture, si assiste al rito nuziale, quasi sempre con celebrazione religiosa, cui è assegnato un potente significato di protezione e di stabilità (Levinson, 1980). Nel mondo occidentale contemporaneo la gran parte delle coppie è composta di coniugati o conviventi di sesso opposto, uniti da una serie di componenti la relazione, a partire dal legame affettivo e sessuale. Come si riferirà alla fine di questo capitolo, questa non è più la condizione assoluta: si formano molte unioni diverse, come le convivenze miste, o quelle omosessuali, che sono ormai di comune riscontro. Quale che essa sia, nella coppia il rapporto sentimentale, centrato sul coinvolgimento affettivo, seguito poi dal legame duraturo, è dominante nelle società avanzate. Nelle culture preindustriali il matrimonio era spesso sostenuto da motivi di tipo economico: sia per tutelare le strutture della famiglia, sia per formare nuclei capaci di garantirsi la sopravvivenza. Il rito religioso ne consacrava la validità. Negli strati sociali più poveri, la separazione mantiene un'incidenza molto bassa, dal momento che la vita della famiglia dipende dal lavoro di ambedue i membri della coppia. Il vincolo affettivo diviene secondario rispetto alla stabilità della famiglia. Nella società contemporanea la mancanza d'amore nella scelta di coppia è però considerata una specie di disadattamento. 21
È ritenuta essenziale l'esperienza dell'innamoramento, e che la scelta dell'altro avvenga soprattutto in ragione del sentimento. Per la verità nella realtà sussiste una disuguaglianza delle chances a seconda dei gruppi sociali, e ancora per gli uomini e per le donne: ciò ha ancora un peso notevole nelle circostanze della scelta del partner ed emerge non di rado in modo palese in molte storie di separazione Secondo D. Francescato (1992) esiste un aspetto, di natura ambigua, ma importante in questo periodo storico dominato da tumultuosi cambiamenti da parte della comunicazione di massa, secondo cui l'interesse per l'altro può essere distorto dalla pubblicità'. Tutto comincia con l'innamoramento (Sciarrabone, 2003). G. Salonia (2001) scrive: "Nell'innamoramento si è totalmente catturati dall'altro e, in modo più preciso, da ciò che l'altro suscita in noi". L'innamoramento non esisterebbe se non ci fosse l'altro, e questi diventa la conditio sine qua non per una consapevolezza unica. Ogni cosa è avvolta in un'atmosfera di incantamento, dove tutto è possibile: perfino essere felici per l'eternità, se c'è la persona amata. L'innamoramento allarga i confini dell'Io. Si liberano una serie di vissuti piacevoli, o addirittura inebrianti, solitamente accompagnati da un distacco dalla realtà circostante. Irrompono mitologie emotive, contenuti arcaici di pensiero, come quelli di fusione totale, d'identità reciproca, d'eternità. Ciascuno avverte la sensazione dell'essersi completato attraverso il riconoscimento nell'altro. Frasi come "non esiste differenza tra noi due, io sono te, tu sei me, noi siamo diversi dal resto degli umani, il nostro legame è speciale", sono quanto mai ricorrenti. Questo periodo particolare fu a suo tempo studiato da F. Merril (1949), che riconduceva i sentimenti in corso a bisogni più o meno consapevoli. Tra i punti segnalati dall'autore. ricordiamo l"`abrogazione culturale", per la quale ogni partner tenderebbe a scotomizzare la realtà circostante e a esaltarsi solo nelle proprie aspettative e nel vissuto dell'hic et nunc. Sulla stessa linea comparirebbe una "sterilità intellettuale", nella quale i due, all'interno di un'esperienza fusionale, abbandonano ogni attività razionale. Merril metteva anche in evidenza le componenti emozionali, per le quali l'intenso livello di coinvolgimento porterebbe a dei "fenomeni regressivi", attraverso i quali sarebbe affidata all'ambiente, di solito familiare, la tutela ' In molti spot televisivi è utilizzato l'abbinamento tra prodotti in vendita con un protagonista affascinante: si sviluppa un semplice inganno. Si pensi ai profumi, presentati da ragazze e giovani bellissimi, e associati a inebrianti esperienze. La conseguenza è l'insorgere di una singolare alterazione di giudizio: il mancato raggiungimento di una persona come quella è connesso al non avere la seduttività adatta. In sostanza si inducono distorsioni del giudizio, e spesso della propria autostima.
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della coppia. In questo senso l'innamoramento è stato giudicato un evento addirittura "pericolosamente acritico' 2 . Sottolineando la relativa attendibilità della fase di innamoramento, W. Lederer (1971) descrisse un corteggiamento pre-matrimoniale, nel quale si sviluppano dei particolari contratti impliciti condivisi dai due innamorati, i quali: 1. considerano del tutto scontato il successivo matrimonio, escludendo la possibile emergenza di difficoltà o problemi; 2. concordano e progettano patti e progetti più o meno dereistici, dai quali, prima o poi, potrebbero dover recedere; 3. avvertono con certezza di saper tutto del proprio partner, sorvolando su un opportuno approfondimento della reciproca conoscenza; 4. da una posizione regressiva si allarmano di fronte a ogni piccola difficoltà che minacci la loro estatica costruzione della relazione. Abitualmente due persone che decidono di stringersi come coppia lo fanno seguendo le ragioni del cuore. I due innamorati si comunicano i reciproci sentimenti attraverso atti di tenerezza, d'effusione o di passione, che non richiedono contenuti verbali. I messaggi d'affetto non peccano d'incongruità proprio perché la relazione in questa fase è chiara e definita, appunto, dalle ragioni del cuore. È un'esperienza dove le componenti emozionali sono talmente dominanti da aprire al sospetto che siano presenti, in questa fase, delle alterazioni del giudizio. Queste considerazioni possono essere avvicinate al pensiero di M. Bowen (1979), quando pone una distinzione importante fra sé reale e pseudo-sé. Il sé reale è composto di dati di pensiero chiaramente definiti, da principi vitali e di credenze che sono incorporate sulla base dell'esperienza, del ragionamento critico e nella capacità di assumersi le responsabilità delle proprie scelte. Lo pseudo-sé si configura sotto l'azione di una condizione emotiva, e da questa può essere fortemente influenzato. Lo pseudo-sé boweniano accoglie idee, principi e valutazioni anche discrepanti, di cui ignora 1' incongruenza. Esso si manifesta non solo nell'esperienza amorosa, ma anche in rapporto a pressioni provenienti dall'ambiente sociale, familiare o, infine, in ragione della propria dipendenza da vincoli o persone da cui il soggetto non riesce a emanciparsi (Kerr e Bowen, 1990). In questa luce, durante la fase d'innamoramento sembrerebbe essere dominante lo pseudo-sé. Possiamo affaccendarci nel fornire spiegazioni razionali, e giungere, con un bel paradosso, a definire l'amore come un pro2 In questo senso il persistere in questa fase egocentrica potrebbe risultare pericoloso: E. Bergler (1946) sottolineò mezzo secolo fa come possa accadere che uno o ambedue i partner investano in questo legame istanze di tipo narcisistico, o elementi di idealizzazione e di possesso dell'altro.
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blema di chi lo sperimenta. Di fronte a queste analisi resta invece vera la magia dell'incontro, che ne compone la travolgente, ineffabile esperienza. Ci sono poche cose, in questo mondo, capaci di smuovere l'animo umano quanto questa improvvisa ondata del riconoscersi nell'oggetto amato, anche se questo verrà più o meno idealizzato, trasfigurato rispetto alla sua oggettiva natura. Si può anche parlare di una sorta di stato nascente, estatico, dove domina la ricerca dell'esperienza immediata, estetica. Nella lingua inglese si dice felicemente to fall in love. Nello stesso tempo si può cadere nella fascinazione esercitata dalla vista dell'altro innamorato di noi. Queste intense emozioni, che caratterizzano quest'esperienza, sono centrate su moti dell'animo che non hanno bisogno di essere definiti, anzi riescono a essere vissuti come esaltanti esperienze positive, proprio perché inspiegabili. Non è corretto collocare l'innamoramento (che non è esclusivo dell'età giovanile) dentro connotazioni d'immaturità o di sprovvedutezza: in verità la maggior parte delle persone vivono questa scoperta in maniera tanto intensa quanto adeguata, concedendosi quella piacevole tinta di cui si colora la realtà, senza per questo perderne il senso. Tutto questo accade in funzione dalla personalità dei due partner, delle circostanze di vita, del contesto in cui la storia si svolge. Nell'adolescenza, o prima, è frequente l'esaltazione per il compagno di classe, o per il principe azzurro: si tratta di meccanismi proiettivi connessi a una fase in cui la capacità di sostenere le relazioni interpersonali fuori dell'alveo familiare possono essere in ritardo rispetto all'emergere delle pulsioni affettive. Già durante 1' innamoramento si cominciano a delineare le prime regole del rapporto, ma nella fase iniziale i due protagonisti non valutano troppo se e come l'altro possa entrare nella propria vita. In seguito, con l'emergere del legame d'amore, la relazione diventa più forte rispetto alla dominanza emozionale. Ci sono molte ricerche riguardanti il perché uno si sposa; in una condotta da E. D. Macklin (1987), il 70% degli intervistati rispose che il matrimonio era un' "emancipazione sociale". Il dato sembrerebbe confermare l'ipotesi, su cui torneremo, secondo cui l'avvio di legami affettivi e poi la creazione di una famiglia sarebbe un rito di passaggio all'età adulta. In tempi più recenti, e in rapporto alle migliorate risorse nel mondo occidentale, il formarsi del legame d'amore sembra, infatti, connesso anche alla conquista d'autonomia e la possibilità, da soli, di provvedere ai propri bisogni o desideri. Detto rito di passaggio prevede anche la capacità di tracciare un confine tra se stessi e le rispettive famiglie d'origine (Goode, 1964). Negli ultimi decenni questa autonomia è divenuta sempre più difficoltosa; così molti rimandano, anche per anni, il matrimonio, altri si rassegnano a iniziare la vita insieme rimanendo presso una delle famiglie.
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2. La scelta duratura C. Whitaker (1982) sostiene che il "Noi primario" della fase dell'innamoramento si va progressivamente dissolvendo, man mano che il "Noi secondario" del vivere insieme emerge e si sviluppa. Questo passaggio comporta uno stress che sarà risolto attraverso un'elaborazione più matura del legame, oppure, nei casi di fallimento, negando l'esistenza di problemi, pur di ristabilire rapidamente il noi, che in certi casi ha significato vitale per uno o ambedue i membri della coppia. L'esperienza di condivisione affettiva fa sì che si attivi un reciproco trasferimento sentimentale, dove gli spazi emotivi vanno stabilizzandosi. I due sviluppano gradualmente il gradiente di "giusta distanza emotiva" da mantenere fra loro, intesa come capacità di stabilire un controllo biunivoco delle esperienze affettive. Essa definisce il modo per poter condividere la vita quotidiana, sperimentare stati d'animo, consegnarli senza timore e senza sentirsi invasi dall'emotività dell'altro. Si dice che quando la giusta distanza emotiva è stata realizzata, a suo tempo, da parte delle rispettive coppie genitoriali, in questi spazi si svilupperà in modo sano e armonico l'esperienza affettiva, sia a livello individuale, sia in quello mutuale. In altre parole sarebbe importante come i rispettivi genitori, in precedenza, sono stati in grado di ben regolare le loro distanze emotive. Ove l'elaborazione di tali distanze non avvenga in modo corretto, la relazione può essere vissuta negativamente e i bisogni o le aspettative reciproche andare delusi. Uno dei due può avere l'esperienza di essere pervaso dall'altro, o viceversa sentirsi del tutto staccato, ignorato e quindi non più amato. Ci piace riproporre una frase di Lewis Thomas (1974), citata da Minuchin e Fishm an (1982): "Le cose viventi hanno la tendenza a riunirsi, a stabilire legami a vivere le une all'interno delle altre, a ritornare a organizzazioni precedenti, ad andare d'accordo quando questo è possibile. Così funziona il mondo". C'è, in questa frase, una proposta dinamica, di movimento biologico, che ha a che fare con il ciclo naturale degli scambi, delle fusioni e individuazioni, che ora si estende anche ai moti affettivi dell' accostarsi e anche dell'allontanarsi. Prelevando il termine dalla favola del Piccolo Principe di A. De Saint-Exupèry (1943), può essere interessante riflettere sul modo di dire "addomesticarsi l'uno all'altro", quale nodo centrale del legame. Esiste certamente una posizione, anche inconsapevole, dove ognuno cerca di addomesticare l'altro. È un concetto che si lega con il poter pensare che il legame si configuri intorno alla fantasia che il partner corrisponda alla persona idealizzata, quella che permette di definire la propria identità e di soddisfare le proprie istanze emotive.
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D. Francescato e M. Locatelli (1998), a proposito della scelta del partner, suggeriscono tre modelli di scelta dell'altro: • scelta oggettuale per appoggio; • scelta oggettuale di tipo narcisistico; • scelta oggettuale centrata sul legame con l'oggetto. Le autrici riportano, in modo conciso ma molto efficace, degli esempi tratti da autentiche interviste, dei quali riportiamo alcuni brani. Un'intervistata riferisce: "Io ero vissuta con dei genitori un po' all'antica, non mi permettevano di uscire [...] quindi, sposandomi, potevo avere quella libertà, potevo in un certo senso uscire da quel guscio". E un'altra: "Mi sono innamorata perché lui mi dava quella tenerezza che a casa mi mancava e poi perché era una fuga da casa [...] in quel momento era tale il mio bisogno di venire via da casa mia". Sottolineano le autrici come per le donne, ancora oggi, la scelta matrimoniale possa talora essere l'unica modalità di riscatto da una situazione familiare caratterizzata da una figura genitoriale di padre-padrone'. Alle interviste seguono delle valutazioni successive, fatte dai protagonisti. Per esempio, nella seconda intervista lei si è posta alla ricerca del genitore buono, ma dirà del marito: II mio partner è il cosiddetto figlio di mamma, non sa avere dei rapporti affettivi se non estremamente precari nei quali lui non dà niente di sé, non si concede, non ti dà. Per lui invece:
Si, mi piaceva essere un po' libero e divertirmi, ma non gli ho mai fatto mancare niente; lei forse voleva essere più corteggiata e io invece per motivi di lavoro avevo poco tempo da dedicare ai miei figli e a lei". Secondo le autrici in questo ultimo caso, il marito ritiene di aver svolto il suo compito, ma da una posizione one-up rispetto a quella down della moglie. Il suo impegno è soltanto formale e non sostanziale, per cui la donna non sente il marito come realmente d'appoggio. Queste modalità 3 Vi sono ragioni a volte singolari che sono addotte per giustificare la scelta di legarsi, come per esempio il fatto che gli amici del gruppo si sposano, o il desiderio di realizzare una propria immagine sociale integrata, o quale modo per emanciparsi da una vita intrafamiliare difficile.
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di scelta del partner sono effettuate in base ai bisogni di attaccamento e autonomia: il loro obiettivo è ottenere protezione o sottomissione dall'altro. In una luce transazionale, in queste coppie ciascuno dei partner tende ad assumere un ruolo rigido di bambino o di genitore, in modo complementare. Questo tipo di matrimonio rischia di rompersi quando o il partner-bambino cresce o il partner-genitore comincia a sentire il peso di non poter mai essere bambino. Nel realizzarsi del legame d'amore stabile, le persone avvertono in forma più serena e matura la tendenza a scegliersi in modo definitivo, e a legarsi per una vita in comune. Si realizzano intensi valori affettivi, che includono anche rilevanti parti cognitive come, per esempio, anticipazioni, attese condivise, la capacità di costruire progetti insieme. Gli elementi basilari della scelta duratura sono così costituiti dalla previsione di una vicinanza, fisica o emotiva, dall'attrazione sessuale esclusiva, dalla percezione di un tempo, più o meno lungo, in cui il rapporto è previsto continuare. Quasi sempre dalla piacevole previsione di avere figli e di crescerli. Insieme alla scoperta della vita in comune, i flussi emozionali vanno perdendo il carattere di sorpresa o di novità, anche se non cessano di essere una fonte di gratificazione. La vita si organizza verso una matura elaborazione, ma non verso l'abbandono, degli ideali originari di fusione e d'identità. In tal senso si vanno delineando maggiori elementi di conoscenza dell'altro, tali da rendere i reciproci comportamenti abbastanza prevedibili. L'aspetto più positivo di questa condizione è proprio questa "prevedibilità" dell'altro, che funziona come valenza reciprocamente rassicuratoria. Eppure, questa stessa scontatezza potrà divenire un elemento centrale del fastidio e della monotonia, tale che il rapporto vada deteriorandosi. Con l'evolversi della relazione saranno identificati alcuni dati di riferimento che in qualche modo garantiscono il futuro. Per esempio si vanno perfezionando le capacità di rispettare le regole della relazione, ma anche l'atteggiamento da adottare di fronte alle norme provenienti dal contesto sociale, e in particolare nei confronti delle rispettive famiglie d'origine. I due diventano consapevoli dell'impostazione della vita quotidiana, dei ritmi e dei modi di esprimere la sessualità o di costruzione di progetti, oppure del modo di affrontare le difficoltà. Nello stesso tempo preparano un sistema difensivo-competitivo, dove l'identità di coppia propone l'impegno comune, e delle energie, per raggiungere i propri obiettivi. Il passaggio all'amore duraturo è l'evoluzione più auspicabile: la negoziazione è andata a buon fine, ciascuno ha messo in gioco se stesso (ecco come io mi vedo) e ha espresso in modo chiaro la propria posizione verso 27
l'altro (ecco come ti vedo). Ambedue hanno accettato di essere criticati e giudicati (ecco come ti vedo che mi vedi) 4 . Quando il legame d'amore si realizza nella sua interezza, si esprime con un meccanismo d'intensa portata affettiva, un modello d'attaccamento in termini di dipendenza reciproca, ma anche di protezione bilaterale; infine si realizza la capacità di mantenersi uniti oscillando tra la fusione, ancor presente, dell'innamoramento, la capacità di appartenersi e nello stesso tempo di essere ben differenziati l'uno rispetto all'altro. Dentro questa dimensione, la relazione sarà valida se ciascuno saprà rispondere ai bisogni emotivi e affettivi, adeguarsi alle tradizioni, agli stili di vita, e in definitiva alla visione del mondo dell'altro, senza frapporre opposizioni pregiudiziali'. Per C. Galimberti (1992) questo passaggio corrisponde alla transizione da amore romantico e affare privato verso relazione pubblica e dal rapporto tra due individui verso l'unione di due reti parentali e amicali. La buona riuscita è legata ai modi con i quali ognuno saprà elaborare i propri preesistenti vincoli affettivi e le proprie relazioni. 3. Il
sistema coppia
La Teoria Generale dei Sistemi fu formulata da Von Bertalanffy (1971; 1978): il termine sistema è riferito al concetto del tenere insieme, a qualcosa basato sull'interdipendenza tra più componenti'. Se consideriamo la coppia come un sistema diadico con storia, lo strutturarsi di una relazione dipende dalla capacità dei due di affrontare i cambiamenti che il ciclo vitale della famiglia comporta (Walsh, 1982). Per esempio saper trovare insieme le risposte a eventi inattesi, anche mediante il confronto sulle rispettive divergenze, non 4 È possibile che una comunicazione parziale, o incongrua, si rifletta in modo pericoloso sulla costruzione del legame. Tra emittente e ricevente di un messaggio intervengono una serie di componenti: ci riferiamo alla parte verbale, nonché all'universo del non verbale, capace questo, come tale, di modificare, negare, stravolgere il significato del messaggio verbale stesso. A ciò si deve aggiungere la disponibilità del ricevente, alle circostanze e al luogo in cui il messaggio viene inviato; infine il feedback reciproco dei due interagenti. 5 Questo superamento della dicotomia tra pseudo-sé e sé-reale si struttura progressivamente attraverso la condivisione del modo di interagire, di adottare e rispettare le regole del convivere, che diventerà a sua volta un modello trasmissibile da parte della famiglia neoformata (Bowen, 1979). 6 Sulla scia dei teorici di Palo Alto, in modo intransigente, i puristi dei sistemi continuano a considerare la coppia solo come un sottosistema interno alla famiglia, quindi una struttura diadica con significato relazionale analogo agli altri sistemi diadici, quali padrefiglio, fratello-sorella. In questo senso ritengono che essa sia solo la parte di un tutto, dal quale non può essere scissa.
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frenati da timori di incomprensione o di non accettazione da parte dell'altro. La stessa Walsh afferma che, pur con rituali diversi, in ogni cultura le coppie attivano una metaforica contrattazione fin dall'inizio della relazione, per stabilire non solo se ci sarà o no il matrimonio, ma soprattutto le regole della relazione stessa. Nel progressivo comporsi del rapporto attraverso la vita condivisa, si vanno configurando le regole della convivenza, in modo più o meno soddisfacente. La coppia va incontro a una nuova normativa, dalla quale potranno ripartire nuovi mandati per le generazioni successive. Il sistema coppia, sin dal suo costituirsi, edifica progressivamente il proprio mondo di ruoli, di funzioni, di gerarchie, di modelli linguistici e comunicativi, di principi morali, di espressioni affettive o di risposte emozionali, di rispetto della tradizione o di disponibilità ai mutamenti, e quanto altro lo caratterizza, sulla base della storia vitale dei componenti la coppia stessa. Tutto sarà improntato fin dall'inizio alla possibilità dei due di scambiarsi chiari segnali comunicativi, e dal costruirsi progressivo di una struttura relazionale che andrà successivamente a definire la nuova famiglia. Con lo stabilizzarsi del legame di coppia il vincolo con le figure affettive originarie si va definitivamente ridefinendo: saranno rielaborati i vincoli della relazione primaria con la madre o con il padre, che ora assumono caratteri di affetto, misto a protezione, e sempre meno di dipendenza. Si sfumano anche i legami con altri membri della famiglia allargata, o con altre figure d'attaccamento. Il legame affettivo tende a divenire prevalente nei confronti della persona che è stata prescelta come oggetto d'amore (Cigoli, 1995; Bacherini e Fanali, 1995). La maggior parte delle ricerche sulla coppia sostengono che quello è il luogo ove vengono soddisfatti i bisogni: senza dubbio l'avvio della vita a due modifica i rapporti con il mondo e la costruzione della realtà. La relazione sana accoglie l'unicità di ciascun partner e la comunione tra i due. Virginia Satir, in una delle sue ultime apparizioni in pubblico, al congresso "La coppia in crisi" del 1988, propose cinque valutazioni, relative al come i membri di una coppia si rapportano, come le persone guardano a se stesse e come i terapeuti lavorano, che riportiamo per intero. 1. La prima. La possibilità di formare una coppia sana dipende dalla capacità di avere un senso d'uguaglianza rispetto all'altro. Questo in contrasto con l'idea che la coppia si basa su una disuguaglianza, comunemente intesa come relazione di dominanza-sottomissione. 2. La seconda. Gli individui sani sono caratterizzati dall'unione di parti intuitive e parti cognitive. In passato gli uomini sono stati relegati al ruolo cognitivo e le donne a quello intuitivo. "È come se la donna dovesse usare la testa dell'uomo perché non ne aveva una, e l'uomo il
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cuore della compagna [...]. Per aiutarli a cambiare le fasi della loro relazione dobbiamo aiutare ciascuno a diventare un tutto". 3. La terza. Per secoli la società ha definito le persone in base al ruolo. L'identità è separata dal ruolo. Da sempre il ruolo è stato il fattore più importante nella struttura d'identità, ma spesso anche il più sviante. Il ruolo descrive che cosa uno è: il medico, la figlia, la madre ecc., ma non chi è. L'identità basata sul ruolo ha segnato da sempre le diversità, in termini di potere, tra uomo e donna. L'emancipazione femminile, con il voto, con l'introduzione del divorzio, ha consentito alle donne un maggiore controllo sulla loro vita. N'è conseguita la possibilità per gli uomini di concedersi comportamenti emotivi e di ridefinire il rigido schema culturale basato su dominanza/sottomissione. Dice la Satir: "In alcuni ambienti è ancora considerata un'eresia l'idea che diventare una persona costituisca l'obiettivo principale della vita". 4. La quarta. Secondo l'autrice una buona valutazione di se stesso (selfesteem) è il fondamento delle decisioni su come comportarsi. Le difficoltà ad affrontare i problemi all'interno di una coppia sono spesso riconducibili alla scarsa stima di sé, dal momento che chi ha una bassa self-esteem avrà sempre dei limiti nell'assumere decisioni. "Due membri di una coppia portatori di bassa self-esteem possono rimanere imprigionati l'uno nell'altra in un incastro psicologico che ricorda i loro modelli infantili". 5. La quinta. Riportiamo per intero questo quinto punto della Satir che c'è parso di grande levatura: "Le persone sono esseri spirituali. Sono vita in azione e perciò parte di tutta la vita. Dico spesso che siamo tutti degli scherzi cosmici, ma che non possiamo accettare quest'idea finché non avremo realizzato d'essere anche degli esseri cosmici sacri. Questo porta a un rispetto per la vita senza il quale è difficile provare passione e compassione. Il comportamento dei partner spesso non ha a che fare né con la compassione né con la passione nei confronti di se stesso e dell'altro" (Satir, 1988). G Vella (1980) ritiene che nel processo evolutivo della famiglia, ma più in particolare nella vicenda della coppia, il procedere della storia sembra essere sotteso da un continuo oscillare tra due tendenze: 1. la necessità di mantenere la propria identità personale attraverso l'identità della coppia; 2. la necessità di evolvere attraverso cambiamenti, e quindi di identificarsi progressivamente attraverso un'emancipazione da relazioni simbiotiche o confusive. Questo può investire sia i rapporti intergenerazionali (tra i coniugi) sia i rapporti transgenerazionali (tra genitori e figli). 30
Molti studiosi sostengono che con la scelta del partner si continua a lavorare su un'area-problema con una persona significativa della nostra infanzia, rimasta incompiuta. Così, nella relazione, il meccanismo consisterebbe in una sorta di coazione a ripetere, che spingerebbe a rivivere con l'altro esperienze irrisolte, di solito nei confronti di un genitore. In questo senso il vincolo affettivo altro non sarebbe che una sorta di autoterapia, nella quale verrebbe riproposto il copione dell'altra esperienza, allo scopo di portarla a una conclusione felice e desiderata. È quindi comune affermazione che il partner sarebbe stato scelto proprio in quanto simile al genitore con cui si mantenevano cose in sospeso. In effetti, talvolta accade che una ragazza che ha avuto poco padre tenda a essere attratta da uomini maturi. Oppure che un giovanotto rimasto a lungo dipendente dalla madre sposi una donna molto giovane aspettandosi di educarla a servirlo e riverirlo.
4. La coppia funzionale Le strutture delle famiglie sono state oggetto, a partire da oltre mezzo secolo fa, di numerosi studi da parte di coloro che hanno adottato la visione sistemica. I sistemici concordano nel ritenere che vi sia un rapporto diretto tra modelli di comportamento individuali e schemi comunicativi della famiglia. Se questi ultimi rispondono a principi come chiarezza, mancanza di messaggi distorti, scambio aperto, assenza di segreti o d'influssi negativi provenienti da inferenze familiari non conosciute o non palesate, avremo una struttura familiare funzionale. In questo sistema difficilmente compariranno segni clinici, quali espressione del suo mal funzionamento. Come ogni struttura umana, i membri di questo sistema potranno dare risposte psicologiche o emotive agli eventi, anche intense, ma non distorsioni strutturali e incapacità evolutiva. Lo stesso vale per le coppie. Secondo S. Minuchin (1976, 1982) la famiglia ben funzionante non si definisce per l'assenza di stress, o conflitti, ma per l'efficacia con cui li gestisce continuando ad adempiere alle sue funzioni. Questo, a sua volta, dipende dalla struttura e dall' adattabilità all' ambiente che cambia. L'autore introduce il concetto di struttura della famiglia definendola "l'invisibile insieme di richieste funzionali secondo cui i membri della famiglia interagiscono". Nessuna famiglia potrebbe funzionare se i suoi membri non accettassero un certo grado d'interdipendenza e di gerarchia. In una famiglia funzionale le regole si configurano attraverso un processo di differenziazione correlata: così i comportamenti di qualsiasi coppia
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si adattano reciprocamente in modo tale che ciascuno sviluppa aspetti selettivi di se stesso, mentre l'altro sviluppa una caratteristica integrativa. È sicuramente ingannevole l'immagine positiva (tipica della pubblicità) della coppia fatta di due persone in un rapporto sempre armonioso, che si confermano, non hanno dei confronti o scontri su opinioni contrastanti. Accade così che certi professionisti hanno in mente questo modello di coppia sana e vedono anomalie e problemi anche quando non ci sono. Nella coppia funzionale si riconosce l'autonomia delle idee e degli interessi dell'altro, senza che questo sia vissuto come minaccioso per l'unità e l'identità della coppia stessa. Esiste la capacità di stabilire confini chiari tra l'esterno e il suo interno. Questo aspetto non riguarda solo la diade coniugale, ma i compiti specifici della famiglia rispetto ai suoi membri'. Essere funzionali sta per il avere la capacità di porsi l'uno di fronte all'altro, di metacomunicare, mantenere spazi comuni dove vivere insieme, divertirsi o sostenersi, compatirsi o accapigliarsi, giocare o piangere. In una coppia che definiamo ok, uno dei coniugi può presentare delle carenze, o anche dei problemi connessi con la sua storia, ma questo dato, se esaminato a livello di funzionalità di coppia può essere del tutto ininfluente$. Al contrario, ciò che spesso definisce la coppia disfunzionale è il non tenere conto dei confini reciproci, mentre la fusione è la regola. Alla scarsa consapevolezza dei confini è legato il fenomeno della punteggiatura arbitraria del pensiero dell' altro, e la limitazione della comunicazione tra i partner. Come vedremo ampiamente più avanti, non sempre è netta la linea di confine che delimita funzionalità e disfunzionalità. Elenchiamo intanto una breve sintesi delle proprietà della coppia, funzionale o non, tratte da R. Beavers (1985): 1. soggettività della realtà e dei punti di vista. In una coppia funzionale i due riconoscono la soggettività dei rispettivi punti di vista. Ciò facilita lo scambio interattivo e la co-costruzione di una visione di coppia; in altri termini il passaggio dall'io al noi. Questo riconoscimento manca o è molto deficitario nelle coppie disfunzionali, dove in ciascuno dei due è prevalente la certezza del proprio punto di vista e il bisogno dell'affermazione di questo. Ciò provoca, nel momento in cui si attribuiSulla complessa problematica della normalità familiare, sono interessanti i contributi di F. Walsh e di M. McGold ri ck et al. (1991). 8 I concetti di funzionalità e di disfunzionalità costituiscono, sin dai suoi inizi, uno dei cardini fondamentali dell'approccio relazionale. L'importanza della qualità del rapporto della coppia per il suo buon funzionamento, e anche di quello dell'intero sistema familiare, emerge da numerose ricerche e costantemente si conferma nel lavoro psicoterapeutico (Mishler et al., 1968; Westley et al., 1969; Riskin et al., 1970; Lewis et al., 1976; Walsh, 1979). '
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scono significati agli avvenimenti, frequenti errori di valutazione a causa di fenomeni d' interpunzione arbitraria; la conferma del sé e i sentimenti negativi. Nella vita di coppia, la conferma che si riceve dall'altro è un'esigenza fondamentale per il buon funzionamento; anche l'esistenza di atteggiamenti negativi quali l'aggressività, la rabbia, il rancore, non mette in discussione la sopravvivenza della stessa. La coppia funzionale è in grado di accettare i sentimenti negativi senza che nessuno dei due tema l'abbandono o l'isolamento. Nella coppia disfunzionale invece i sentimenti negativi sono vissuti come minacciosi e pericolosi per la propria esistenza; causa ed effetto. Una coppia funzionale interagisce riconoscendo la molteplicità delle variabili che ne definiscono il comportamento; la causa e l'effetto di questo possono diventare così intercambiabili. In quella disfunzionale si osserva il rigido prevalere di una lettura lineare che sostiene il conflitto. C'è la percezione che l'altro sia colpevole. Tale visione della realtà provoca situazioni di sofferenza per l'emergere di un atteggiamento reciprocamente irrisolvibile e fonte di continue incomprensioni; il potere. Per due persone che vivono insieme da tempo, legate da una relazione valida e stabile, la questione del potere, non è molto sentita perché esiste una buona negoziazione. Lo scontro su questo livello diventa insignificante. Nella coppia sana esiste una differenza di potere tra i due coniugi solo perché esiste una diversità di responsabilità, ma tutto questo è accettato e riceve conferma continuamente nella reciproca delega che i due coniugi si assegnano nella gestione dei compiti nella famiglia. In caso contrario possiamo assistere invece allo strutturarsi di relazioni il cui scopo diventa quello di controllare l'altro per paura di soggiacergli; confini individuali e di coppia. Una caratteristica peculiare della coppia sana è la capacità di esprimere la propria autonomia emotiva facendola rientrare nei limiti del contesto di vita che in quel momento si trova a vivere e nei limiti delle persone interessate.
5. Le famiglie d'origine e le appartenenze La coppia rappresenta lo sforzo di fondere due culture in una sola: essa dovrà essere in massima parte diversa dalle rispettive famiglie d'origine, ma nello stesso tempo ci saranno componenti da conservare Whitaker, 1983
Nella cultura contemporanea del mondo occidentale, e in particolare 33
nei cosiddetti Paesi "latini" come l'Italia, sussiste una forte tradizione fusionale tra le famiglie d'origine e la coppia neoformata. I nuovi modelli di vita, l'immissione di tradizioni diverse, la quasi totale scomparsa della famiglia patriarcale e la minor coesione tra genitori e figli adulti, hanno ridotto sensibilmente questo fenomeno, il quale comunque perdura in larghe fasce della popolazione. A rinforzare questo aspetto si è introdotto un fenomeno nuovo, quello delle adolescenze prolungate, per il quale molti non più adolescenti continuano a vivere a lungo in famiglia e non di rado si costituiscono in coppia presso la casa dei genitori. Riferendoci a una struttura tradizionale, senz'altro tuttora maggioritaria nel nostro Paese, a proposito dei quattro genitori della coppia, quanto più intensi erano i legami precedenti, tanto più questi familiari tendono a partecipare alle vicende affettive dei due e in qualche modo a ingerirsi nella loro relazione. Non poche madri si affaccendano per spiegare le caratteristiche positive o negative del proprio figlio o figlia. Possono anche apparire intrusive o invadenti, ma ciò nonostante, questi comportamenti sono di solito abbastanza scoperti e non minacciosi. L'invadenza di un genitore può suscitare disappunto o irritazione in un genero, o in una nuora, ma solitamente non costituisce un pericolo per la struttura portante del sistema coppia. Problemi possono invece comparire quando la presenza attiva di figure parentali (e in certi casi anche di nonni), non è soltanto materiale, ma connessa a un invischiamento nei figli, cui consegue una più o meno consapevole assunzione di principi o di modelli del vivere. In altre parole alle "appartenenze" che ciascun partner porta con sé. Secondo A. M. Nicolò-Corigliano (1990) la coppia è costituita da due corpi, ma sulla relazione pesano elementi fantasticati o reali, come i comportamenti di un genitore dell'uno o dell'altro partner, o le dinamiche delle coppie genitoriali che si ripropongono nella nuova relazione. Secondo l'autrice il meccanismo che sta alla base del suo funzionamento, è la collusione, centrata sull'attribuzione biunivoca di sentimenti condivisi a livello inconscio. Nella coppia ciascuno accetta di sviluppare solo delle parti di sé conformemente ai bisogni dell'altro, ma dovrebbe permettere anche la capacità di potersi differenziare dall'altro 9 . 9 II concetto di collusione letteralmente suona come una coalizione, o una complicità nascosta tesa a concordare una linea comune per ingannare o creare danni a un terzo. Secondo Jurg Willi (1982; 1993) si tratta invece di "un gioco comune dei partner sulla base della condivisione di un dato inconscio". In altre parole la collusione è da vedere come un processo che unisce dinamicamente i partner. Questo termine, collusione, e la sua lettura, ripropone il mito dell'identità di coppia descritto da R. Neuburger (2001) la cui finalità sarebbe quella di potersi legare con modalità relazionali secondo le quali l'altro è vissuto come una parte di se stesso.
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Siamo d'accordo con V. Cigoli (1998) quando invita a non cadere nell'illusione che la coppia sia un'esclusiva nicchia di autoriferimento; esiste sempre sullo sfondo un incontro tra famiglie. È di G Bateson (1973), il concetto d'apprendimento, che si collega a quello di contesto: anche se ogni persona incontra nella propria vita molti contesti di apprendimento, resta la propria famiglia di origine il luogo di maggior rilevanza. In essa vengono predisposti i modi del come porsi in relazione con gli altri. Le famiglie d'origine hanno una funzione di matrice di pensiero, anche attraverso più generazioni 10 . Ogni coppia, anche la più sana, porta in sé il bagaglio proveniente dalle rispettive famiglie d'origine: per tale bagaglio abbiamo scelto la definizione di appartenenze. Rifacendoci alle descrizioni di A. Ferreira (1963) abbiamo anche fatto riferimento ai miti familiari: un insieme d'idee e sentimenti, condivisi aprioristicamente dai membri della famiglia, sintesi acritica delle tradizioni e delle attese di questa. Si tratta di modelli di pensiero, modalità di ri-
sposta emozionale, particolari tendenze o idiosincrasie che fanno parte del corredo di ogni individuo. A essi corrispondono semplici esperienze o sensazioni che talvolta s'inseriscono nella vita quotidiana, rinnovando la nostalgia o un affettuoso ricordo. C. Angelo (1988) afferma che nella coppia la decisione di avviare una vita in comune acquista senso e stabilità in rapporto a quanto accade nel progressivo incontro dei rispettivi miti familiari. È interessante il contributo di A. Canevaro (1988), il quale scrive: "La maggior parte delle persone non vede il partner o i figli per quello che essi sono, dal momento che ci sono dei fantasmi a impedire una chiara visione. Gli altri significativi sono solo vaghi rappresentanti di figure appartenenti al passato e aspetti scissi di sé". Tornando a M. Bowen (1979), questo studioso considera fondamentale, per la costruzione delle successive relazioni d'ogni individuo, il gradiente d'individuazione emotiva che questo è riuscito a raggiungere nella propria famiglia d'origine. Sostiene l'esistenza di una "massa indifferenziata" familiare che ingloba tutti i membri della famiglia stessa. Quanto maggiore è il grado di indifferenziazione, quanto più permeabili saranno i confini tra i vari componenti. Quando i figli raggiungono l'età dello svincolo e si accingono a formare nuove famiglie, dovrebbero avere ottenuto anche un buon livello d'individuazione e differenziazione, come preludio alla separazione dalla famiglia d'origine.
10 Nella visione di G. Bateson gli apprendimenti hanno un substrato nella mente della famiglia, la quale trascende l'individuo isolato, e si distacca anche dai componenti della famiglia attuale per dilatarsi, indietro, nel tempo o, in altre parole, oltrepassa i confini individuali e del gruppo.
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J. Haley (1977), propone l'importanza del ciclo vitale della famiglia e
sostiene che molti squilibri funzionali della famiglia si rivelano nelle sue fasi di transizione, in particolare quando i normali processi di separazione e di svincolo sono negati o deviati. È interessante, sotto il profilo psicodinamico, il pensiero di L. Pincus e C. Dare (1978), i quali ritengono che non di rado nelle rispettive famiglie esiste un segreto, conosciuto dai membri del nucleo, ma celato all'esterno, che potrebbe rendere molto difficile uno scambio comunicativo chiaro tra i due partner, ed essere fonte di misunderstanding. In definitiva, nella vicenda sentimentale, dall'innamoramento all'amore stabile, i due partner possono essere, senza saperlo, gli ultimi testimoni delle rispettive tradizioni familiari, dei loro miti. Con il formarsi della coppia, e con l'avvio delle negoziazioni verso un nuovo sistema, è possibile che ciascuno si presenti con un maggiore o minore grado di dipendenza emotiva non risolta: in effetti non esiste un nucleo familiare neonato in cui questo fatto non avvenga, anche se in modo variabile. Da questo deriva che, se il livello di differenziazione individuale è alto, i due partner hanno la prospettiva di un sano adattamento reciproco. Se invece prevale l'indifferenziazione, avremo una tendenza a mantenere il livello fusionale anche nella nuova relazione. Questa condizione fusionale non è, per così dire, naturale: l'eccessiva vicinanza appare una condizione forzata che finisce per limitare l'esistenza. Il rischio è di non trovare più la propria identità come individui indipendentemente dal legame affettivo con il partner.
6. Un cenno alle coppie "diverse" La grande prevalenza delle coppie è costituita da individui di sesso diverso che si uniscono in matrimonio attraverso una ritualizzazione sociale o religiosa. Oggi con la denominazione "coppie affettive" si indicano, rispetto alle cosiddette "normali", coppie con legami centrati sull'amore, ma socialmente "irregolari", non essendo omologabili alla tradizione perché non registrate per legge o per religione. Si assiste a un calo del valore formale del matrimonio stesso, a favore dei significati affettivi dell'unione: è la coppia a fissare le proprie norme etiche o di funzionamento. I comportamenti sono considerati sempre più espressione della libertà personale. Nello stesso tempo si è verificato un cambiamento rispetto all'orientamento culturale dominante dagli anni Settanta, quando si tendeva a una negazione tout court della famiglia. 36
Oggi si assiste a un sensibile recupero dei valori e dei legami affettivi duraturi: 1. oltre alle coppie sposate, prevalenti su tutte sono le cosiddette coppie di fatto, o conviventi. Esse hanno dignità e parità in ragione del cambiamento della pratica del matrimonio a vantaggio della libera scelta e dell'autonomia da vincoli. La famiglia di fatto è una società naturale senza la legalizzazione tradizionale. È una forma oggi non più scandalosa per gli equilibri sociali, ma appartiene alle comunità dei "diversi" nonostante la sua approvazione da parte di strati sempre più estesi della popolazione. Questi nuclei, proprio per la minore ufficialità del legame, offrono tutte le garanzie di un ambiente ricco di affetti e di stabilità; 2. le famiglie ricomposte (o ricostituite) dopo precedenti legami o matrimoni: ci sono numerose combinazioni con cui si formano queste nuove strutture familiari. È interessante come si possano comporre piccole comunità allargate, con figli dell'uno o dell'altra, di primo o secondo letto ecc. Ma, se tutto va bene, possiamo affermare: "Aggiungi un posto a tavola che c'è un bambino in più". Torneremo su queste famiglie a proposito dei figli nella separazione genitoriale. Aggiungiamo qui sommariamente altre due tipologie: 1. le unioni miste, tra italiani e stranieri, musulmani e cattolici, bianchi e neri ecc., sono oggi in notevole espansione. Sono strutture delicate, dove, in ragione delle diversità sociali, culturali o religiose, può accadere che dopo le iniziali proiezioni positive nel futuro, insorgano problemi di condivisione di esperienze, o di scelte in comune sui figli; 2. infine sulle coppie omosessuali grava ancora un forte stigma sociale e religioso, diffuso, esplicito e pesante. Altre volte più celato, ma altrettanto lesivo. Si tratta invece di legami affettivi che comportano esperienze emotive non diverse da quelle delle cosiddette coppie "normali". Queste strutture, dove la "diversità" è considerata anormale (o etichettata con aggettivi dispregiativi, come pervertita o degenere) a causa del peculiare vissuto affettivo e sessuale che le caratterizza, vanno a disturbare in modo radicale la tradizione (soprattutto religiosa, ma non solo) della coppia fondata sulla differenza di genere e sulla funzione generativa. Peggio quando si parli di bambini adottati, o ottenuti per inseminazione, da parte di coppie omosex. A commento di queste strutture diverse, e riflettendo sui bambini che possono allevare, U. Bronfenbrenner (1986), afferma che il bambino ha bisogno di "una figura di attaccamento con cui possa avere una relazione emozionale", e di un'altra figura "che dia supporto, appoggio [...] risalto alla persona che inter37
agisce con il bambino" e aggiunge che "è utile, ma non necessario, che questa persona sia di sesso diverso dalla prima". Tenendo conto di queste strutture, che oggi compongono un'importante percentuale del tessuto sociale, questo libro mantiene la sua formulazione originaria, facendo riferimento soprattutto alla coppia standard, sposata o convivente e parlando di procedimenti legali (che comportano il matrimonio) o di decisioni da assumere nel caso dei conviventi. Tralasciamo le famiglie miste, pur di estrema attualità, solo perché meritevoli di un'ampia trattazione in materia di incontri tra culture, che qui non è possibile. Sorvoliamo anche sulle coppie omosessuali, anche esse meritevoli di un approfondimento qui non praticabile. In ogni caso riteniamo che in ambedue questi casi un'eventuale mediazione può svolgersi rifacendosi ai principi generali esposti in questo testo.
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2. Le crisi della coppia
1. Disaccordi, delusioni, crisi Sul piano comportamentale nella coppia può verificarsi un confronto, nell'espressione formale di litigio, o di discussione, o di contrasto, che può evolvere anche in uno stato duraturo di conflittualità. Di regola si tratta d'eventi transitori che investono due persone durante la loro storia, un passaggio da uno stadio a quello successivo, dove le cose si riassestano su livelli diversi. Nelle situazioni normali, l'organizzazione della diade si svolge all'interno di una negoziazione aperta, franca: i livelli comunicativi consentono ai due uno scambio e una continua scelta reciproca. Si mantiene altrettanto alto il grado di curiosità e d'interesse, oltre ai sentimenti di protezione e solidarietà. Un periodo di difficoltà del rapporto può portare a confronti chiarificatori aperti, in cui i due possono anche reimpostare la vita all'insegna di un reciproco compromesso. Non poche coppie si costituiscono in una struttura dove piano piano accettano mutuamente anche l'imperfezione e la necessità di un adattamento; questo consolida una condizione di condivisione nel legame, anche se con delle consapevoli riserve. Non poche donne si rammaricano di un matrimonio deludente a causa di un marito prepotente, oppure debole e privo d'iniziativa, ma non riescono a rinunciare a un legame affettivo importante. Parecchi uomini si lamentano di una vita coniugale piatta a causa di una moglie poco seduttiva, ma poi si affidano alla sua funzionalità materna e di protezione delle proprie incertezze sessuali. La più vasta fascia delle unioni di coppia, e dei matrimoni, si colloca in questa posizione, dove, tra una discussione e l'altra, è possibile condividere spazi di appagante convivenza e di sostegno reciproco e si accettano serenamente i limiti della relazione. La storia della coppia si realizza in rapporto alle reciproche interazioni: quella dell'incontro, con quanto di aleatorio questo può contenere, ma an39
che in relazione a quanto ciascuno porta dalla propria storia con il gruppo di appartenenza. Tale costruzione è legata alla possibilità di sintesi delle due esperienze e all'elaborazione di un nuovo modello di relazione, il quale presuppone che ciascuno porti anche le proprie componenti familiari. Virginia Satir sostiene che è frequente il riscontro di una bassa stima di sé nei membri di una coppia con problemi: da qui il tentativo di mascheramento attraverso la creazione di difese. Di solito si è passati attraverso una finzione, a una messa in scena secondo cui uno presenta un personaggio diverso da quello che veramente è. Questo porterà a un senso di inautenticità, poi di sconfitta, e infine a un ulteriore calo della propria autostima. Nella sua prima proposizione di questo concetto di self-esteem e delle conseguenze della carenza di questa nella vita di coppia, all'inizio del suo celebre libro Psicodinamica e psicoterapia del nucleo familiare (1973), la Satir racconta di come Johnny e Mary si sono innamorati e poi sposati perché ciascuno si considerava debole e insicuro, e si aspettava di ricevere forza e sostegno dall'altro. Perciò ambedue hanno finto di essere forti e sicuri per non rischiare di non essere accettati. Così, quando emergeranno i reciproci bisogni di essere aiutati, il problema esploderà e il matrimonio entrerà in crisi. L'autrice descrive questa situazione per sottolineare come le reciproche aspettative possono essere fatte fallire all'interno di un nascondersi le verità, un non metacomunicare sulla propria reale natura. Se nella maggior parte delle coppie il litigio, il battibecco, la piccola burrasca, sono da considerare all'interno della fisiologia della relazione, in certi casi questa può vacillare in modo più rischioso. Per esempio quando la definizione che ogni partner dà di sé e dell'altro non è accolta senza riserve, ma criticata, o rifiutata, e questo perché ciascuno tende a interpretare il rapporto secondo le proprie istanze e punti di vista. Spesso le rispettive qualità si embricano con l'immagine dei ruoli che ciascuno ha portato con sé dalla sua storia e tende a privilegiare le proprie abitudini o principi. Il fatto diviene più serio quando questi ultimi assumono i caratteri di norme cui è fatto obbligo attenersi, pena il tradimento della lealtà. In questo senso può divenire difficile, per ciascuno, recedere dalle proprie convinzioni e questo può esitare in una difficoltà reciproca e nella necessità di una revisione del rapporto. I confronti potranno essere aperti e chiarificatori o rimanere occultati e diventare il campo minato ove potranno emergere i segni della disfunzione. Dunque, mentre il disagio ordinario può essere digerito e superato dalla coppia, altre volte i due avvertono che i loro sforzi e il loro desiderio di stare meglio non bastano, che i tentativi di capirsi naufragano e che non ce la fanno a uscire dall' impasse. 40
La Satir (1988) sottolinea anche come non poche volte si spera che il partner sia in grado di aiutarci a crescere, e su di lui si scaricano attese di non piccola portata. Così, in un certo numero di casi, il matrimonio non è vissuto come una scelta paritaria, ma bensì come una sorta di terapia. Ne deriva che, in una persona con questo tipo d' attese, passata la fase innamoramento, sopraggiungerà la presa di coscienza del fatto che l'altro non può, e non intende, essere il suo terapeuta. La delusione può essere più pesante della capacità critica, e ne conseguirà l'attribuzione all'altro della responsabilità della propria infelicità. Nelle interpretazioni degli eventi da parte di questi soggetti delusi, le personali insicurezze sono vissute come mancanza di considerazione e d'interesse da parte dell'altro. I propri insuccessi saranno visti, per esempio, come conseguenza delle imposizioni del partner, accusato di impedire le proprie realizzazioni. Ci sono persone che, unendosi in coppia, si allontanano fisicamente dalla propria famiglia, ma che non riescono a vivere quella con il partner come la relazione privilegiata. Uno dei motivi più frequenti di contrapposizione sono "i miei e i tuoi", cioè la lealtà che ciascuno dei due manifesta ancora nei confronti dei propri legami originari: è difficile differenziarsi se non ci si è sentiti sufficientemente amati. A. Canevaro (1994), con una felice metafora, sostiene un incompleto svincolo dalla famiglia d'origine accade perché la persona è partita "con delle valige troppo vuote", cioè con poche provviste affettive, e perciò continua a ritornare alla fonte per cercare di riempire le sue valigie. Così il partner può rappresentare solo una sorta di surrogato della relazione con la famiglia d'origine stessa. Le rispettive famiglie, a un certo punto, potranno apparire come due eserciti che si fronteggiano nell'imminenza di una battaglia campale. Il comparire, o il rivelarsi, di queste difficoltà segna anch'essa la necessità di un confronto, di un riesame della relazione e la ricerca di un accordo su nuovi livelli. Il momento in cui queste dialettiche si attivano — con le loro componenti di tensione o di disagio — è indicata come fase critica, o crisi. L'espressione crisi della coppia, in realtà un po' abusata, rimane quella che, pur nelle sfumature dei significati, meglio descrive il mutamento che può investire il rapporto a due, modificando bruscamente la condizione di serena, o dialettica, vicinanza, in uno stato di sofferenza, con comparsa di sentimenti negativi come l'ira, il risentimento, o la noia'. La crisi esprime la rottura di un equilibrio già acquisito e l'irruzione di una differenza negli Secondo Devoto/Oli si tratta di "difficoltà, dissidio, squilibrio interiore e/o conseguenza di profondi mutamenti organici e strutturali, che si manifestano spesso con difficoltà, disagio, oppure con sbalzi umorali, cambiamento di fini, d'interessi, di strumenti". 41
schemi abituali di comportamento, essa prelude solitamente a un cammino evolutivo e trasformativo ma, in quanto tale, può indurre anche una frattura del legame. Il passaggio attraverso delle fasi critiche è da considerare anch'esso connaturato con la vita di coppia: il reale pericolo non è connesso al loro verificarsi, quanto alla capacità elaborativa dei due partner. Quindi alla crisi di per sé può essere assegnato il significato positivo di sviluppo e trasformazione, tanto che si adotta questo termine anche per eventi del ciclo vitale della famiglia, legati ad aspetti sia biologici sia psicologici (preadolescenza, adolescenza, maturità, menopausa, senescenza e simili) e a eventi del tutto accidentali, che possono dare una svolta alla storia. Le fasi del ciclo vitale possono essere crisi molto importanti'. Una delle caratteristiche centrali della coppia in crisi è la resistenza di ambedue a mettere in discussione il proprio modo di percepire e di rapportarsi con la realtà, oppure di accettare le situazioni nuove. Secondo J. Haley (1976) l'emergere al disagio di coppia corrisponde il tentativo di controllare la relazione: quando ciascuno è impegnato a definire i termini del conflitto, emerge quel meccanismo chiamato interpunzione arbitraria da cui emergeranno messaggi di colpa e/o di cattiveria. La punteggiatura degli eventi che ciascuno propone rinforza il clima di tensione e impedisce il superamento dello stato di conflittualità. Gli esempi sono innumerevoli, e talora grotteschi. Un marito si dichiarava stufo e pronto ad andarsene di casa in quanto non sopportava più le imposizioni della moglie. Questa pretendeva che lui si lavasse e si cambiasse completamente ogni volta che tornava a casa. Lui sosteneva che si trattava di un abuso e una mancanza di comprensione verso uno che lavora. D'altra parte la moglie affermava questa necessità del marito di cambiarsi, dal momento che il suo lavoro era quello della raccolta di rifiuti. Più comune fu il disappunto di un padre per la preferenza data dalla moglie a un neonato: senza tenere conto delle radicali trasformazioni che stavano investendo la donna in quel momento, egli finì per sentirsi trascurato, ignorato, fino a strutturare spunti di gelosia. La moglie d'altra parte sviluppò 2
Non di rado le crisi di coppia conseguono a evasioni, come avventure extraconiugali, che s'inseriscono nelle dinamiche in corso e che possono costituire un pericolo per la stabilità della coppia. Non è detto che i tradimenti determinino sempre rotture insanabili. A questo proposito M. G. Cancrini e L. Harrison (1986) affermano, con una buona dose di ottimismo, che certe volte l'adulterio può diventare "la pila che ricarica un rapporto logorato dalla consuetudine e dall'incomprensione", e che la presenza di un altra persona nella vita di una coppia, può riattivare interesse, curiosità, passione, stati d'animo sopiti da tempo. 42
sentimenti di ostilità verso questo uomo egoista dal quale non si sentiva capita e protetta. Questa situazione andò a rappresentare il primo segno di una crepa tra i due, in termini d'attese e di bisogni, a costituire il germe di una successiva difficoltà nella relazione. Era una crisi di crescita del marito, per mancato adattamento alla nuova condizione. È curioso come le punteggiature (potremmo semplificare: la propria versione dei fatti), trovino facilmente consensi in ragione del contesto ove emergono o delle persone coinvolte. Pensiamo con quale frequenza le lamentele di una moglie, che riferisce i suoi disagi come conseguenza della perifericità dei marito da lei e dai figli, possono trovare approvazione in un consultorio gestito da donne; e all'inverso il consenso, da parte d'operatori maschi, che può trovare un marito che si rammarica perché la moglie è opprimente in quanto non gli permette di fumare o di tenere le scarpe quando rientra a casa.
In definitiva, le condizioni per parlare di crisi possono essere raccolte in queste caratteristiche: • l'emergere, talora tumultuoso altre volte più composto, di una simmetria che segnala l'opportunità di una verifica della relazione di coppia e forse di cambiamento; • le temporanee modificazioni della percezione di sé e dell'altro, che investono sia i livelli emotivi che quelli cognitivi; • la possibile ristrutturazione della relazione su livelli diversi dai precedenti, verso una consolidazione del rapporto affettivo, e un meccanismo di adattamento, oppure verso un'evoluzione negativa e fallimento della relazione. Questo ultimo aspetto sarà trattato a proposito della rottura della relazione e la separazione. Le crisi di coppia, dunque, di solito si risolvono spontaneamente, altre volte può essere indicata una consulenza psicologica o una psicoterapia, ma esse non devono essere lette sempre come indizio di una pericolosa disfunzione o di situazioni che necessitano di un trattamento da parte degli esperti'. Solitamente, nella loro connessione con l'evoluzione del sistema, esse sono un fattore di crescita e sviluppo. Vedremo più avanti i significati e le conseguenze ben più severe dello strutturarsi di una situazione disfunzionale in una famiglia. 3 Non possiamo omettere come, di fronte a dei momenti di difficoltà molte coppie si rivolgono a dei consulenti che talvolta iniziano delle interminabili, quanto inutili, psicoterapie alla ricerca di inesistenti disfunzioni.
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2. I figli nelle crisi dei genitori Lungo il ciclo vitale, la nascita di un figlio costituisce anch'essa una crisi, anche se fonte di gioia. Con la crescita i genitori prospettano al figlio, o cercano di imporre, i loro schemi e modelli esistenziali. Il bambino è così spinto ad adeguarsi alle rappresentazioni che loro stessi hanno appreso e che ora si aspettano da lui. Un modello restrittivo o troppo permissivo di un genitore potrà derivare dell'aver passato, per esempio, l'infanzia alle prese con un padre incapace di dare affetto, o peggio, minaccioso e violento. Non di rado accade che ciascuno sia legato ai propri principi, o bisogni, avviando una dialettica che finisce per mettere in disparte il figlio. Più in generale, i meccanismi in cui si sviluppa una crisi possono far sì che le dispute determinino la centralizzazione della relazione coniugale, e che di conseguenza i figli, anche se accuditi, vengano collocati in una zona d'ombra. Secondo una ricerca di I. V. Zussman (1980), durante i litigi, i due partner tendono al disinteresse verso i propri figli in una significativa proporzione con il loro grado di conflittualità. In particolare avrebbero minori attenzioni verso quelli più grandi, e assumerebbero atteggiamenti severi verso i più piccoli. Ci limitiamo qui a ricordare gli studi sulle risposte dei bambini a situazioni familiari burrascose, di cui riportiamo una serie di richiami bibliografici. Anche se la maggior parte dei figli non ha gravi conseguenze dai dissidi dei genitori, secondo i ricercatori un certo numero di bambini (tra il 9 e il 25%) che vivono in famiglie turbolente presentano disturbi del comportamento, con aggressività, opposizione, e, nei più grandi, piccola delinquenza (Grych e Fincham, 1990) 4 . Altri mostrano note depressive, o tendenza al ritiro sociale. Sono state anche segnalate difficoltà all'integrazione sociale (Emery e O'Leary, 1984; Kline et al., 1991), e problemi di adattamento scolastico e nell'apprendimento (Long e Foreh and, 1987; Long et al., 1988). Tutte queste ricerche statisticamente sostengono una causalità diretta tra il disagio familiare con quello individuale nei figli. Ove sia presente una patologia dei genitori, le probabilità che i bambini presentino disturbi aumentano (Downey e Coyne, 1990). 4 Esistono numerose indagini, risalenti agli anni Trenta, negli Stati Uniti, inerenti la correlazione tra problemi di coppia e problemi psicologici nei bambini (Hubbard e Adams, 1936; Towle, 1931; Wallace, 1935). Ma anche ai nostri tempi molti rapporti sottolineano la concomitanza tra vicende dei genitori e destino dei loro figli: in molte ricerche si sostiene anche che i matrimoni attraversano momenti critici in coincidenza con la fase infantile dei figli, raggiungendo un picco durante la preadolescenza (Belsky e Pensky, 1988; Cox, 1985; Isabella e Belsky, 1985; Belsky e Rovine, 1990; Belsky et al., 1983; Anderson et al., 1983).
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Ecco un racconto fatto da una ragazza adolescente: 'Quando avevo otto anni, babbo e mamma non facevano altro che urlare e lui diceva che le avrebbe rotto le ossa. Ero terrorizzata all'idea che lo facesse davvero. Lei lo guardava con odio e gli augurava di andare a fracassarsi da qualche parte. Cosi quando lui partiva in macchina io avevo paura che avesse un incidente e che morisse. Man mano che crescevo ho capito che dicevano cose terribili, e poi non succedeva niente".
Nelle storie coniugali ci sono anche situazioni contorte, come certe madri che avviano un'opera d'educazione di un figlio contro il marito attraverso una continua sottolineatura negativa dei suoi comportamenti. I di lui atti vengono descritti come errati o aggressivi, o peggio. Talvolta non esitano a indulgere nella permissività, pur di conquistare la sua adesione. Per contro certi padri assumono il ruolo del personaggio stanco ed esasperato dalle continue lamentele della moglie: sostengono che, stanchi del lavoro, vengono aggrediti con futili e sciocchi rimproveri. Così chiamano il figlio a giustificare la loro ira, e poi il fatto di uscire da casa. Queste stesse posizioni potranno essere ritrovate, tali e quali, nel post-separazione, a segnalare una struttura relazionale molto pericolosa per i figli. Ci sono coppie che passano la maggior parte del loro tempo nel confronto/scontro, anche intenso, ma che, rassicurandoli, riescono a far sì che i figli non ne paghino le conseguenze. Questi ultimi indubbiamente saranno poco soddisfatti durante l'infanzia, e manterranno dei ricordi non belli nell'età adulta, ma non per questo avranno manifestazioni psicologiche significative o sintomi di interesse psichiatrico'. In questa luce è accettabile il fatto che il litigio possa essere un evento tollerabile o anche comprensibile da parte di un bambino, anche se può rendere la sua vita meno serena. A conferma di questo, è interessante quanto scrive Rosemary Wells (1996), dal cui libro riportiamo un passaggio: Quando Patrizio e Antonio se le davano, venivano puniti, ma sentivano i genitori che ogni sera discutevano con violenza, si tiravano dietro oggetti e si comportavano come dei bambini. È facile definire queste famiglie come E bene tenere presente che i ricordi non hanno necessariamente una corrispondenza esatta con le vicende storiche, ma sono più o meno distorti dal tempo e dalle influenze delle componenti emotive a essi connesse (Scabini, 1985). Il passato in questa luce è concepito come l'insieme di metamorfosi continue, che sono il frutto di negoziazioni tra eventi vissuti e il modo in cui noi ricordiamo o interpretiamo questi eventi. Per questo è possibile pensare al passato non soltanto come insieme di dati oggettivi da recuperare nei meandri della nostra memoria, ma come a una costruzione fatta dal presente. '
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distruttive per lo sviluppo emozionale di un bambino. In realtà la maggior parte dei ragazzi si abitua alla propria famiglia. Sanno che papà si arrabbia quando è ubriaco, sanno che mamma è spesso fuori quando rientrano da scuola, sono abituati al fatto che i genitori si parlano attraverso i figli: questa è la loro famiglia.
Nelle coppie con figli, dove si attivi una grave simmetria, i bambini hanno alte probabilità di esserne le vittime. In questi casi l'intervento psicoterapeutico è assai importante. Occorre ricordare però che non pochi professionisti tendono a mettere eccessivamente in evidenza la corrispondenza tra conflitto di coppia e disagio psicologico infantile: essi adottano una lettura lineare delle dinamiche familiari, secondo cui gli adulti esternano il loro conflitto e di esso i bambini pagano le conseguenze. Sulla base di osservazioni di questo tipo per lungo tempo i genitori sono stati considerati direttamente responsabili dei problemi che investono i figli. Questa visione contrasta con quella relazionale, secondo la quale il sistema è coinvolto nella sua totalità, quale che sia il disagio. Ciò significa che i meccanismi che fanno emergere sofferenza non possono essere sempre connessi all'asse genitore-bambino, ma che intervengono altri dati che riguardano il gruppo familiare nel suo insieme sincronico e diacronico. Certamente molti bambini vivono l'esperienza di una relazione tumultuosa tra padre e madre come una minaccia alla loro sicurezza. La coppia genitoriale costituisce il luogo sicuro, il rifugio, in una parola la garanzia di fronte alle loro possibili angosce. La percezione, anche elementare, che il rifugio possa scomparire, diviene un elemento di ansia, anche forte. Molti di loro possono identificare ogni litigio dei genitori come la premessa della scomparsa di uno di loro o di ambedue; non pochi adulti ricordano la loro infanzia come turbata dalla continua paura della separazione dei propri genitori, cosa che in realtà non si è mai verificata. Certe costruzioni immaginarie di splitting familiare prendono origine in buona parte dalle dirette esperienze dei bambini, ma si connettono anche alle loro strutture emotive, a sogni, a stimoli provenienti dalla TV ecc. Il terrore dell'abbandono, e quindi della perdita della sicurezza, può accompagnare questi minori non solo durante l'infanzia, ma fino all'adolescenza. È un dato che è riferito spesso dagli insegnanti, con i quali specie i piccoli scolari si confidano. Si tratta spesso di fantasmi poiché, ripetiamo, la condizione di litigiosità della coppia non comporta per forza una trascuratezza dei bisogni di base del bambino. I problemi non sono neppure da ricondurre alla condizione sociale della famiglia, anche se gli impegni di lavoro, con orari inten46
sivi e ritmi stressanti, possono materialmente impedire ai genitori, stanchi e disfatti, di dedicarsi abbastanza ai figli'. Appendice. Strutture disfunzionali e patologia Riteniamo opportuno dedicare uno spazio alle relazioni disfunzionali perché, in quanto tali, possono rendere necessari interventi psicoterapeutici, ma soprattutto rendere inattuabile, dopo una separazione, una mediazione familiare. Nei rapporti gravemente disturbati di coppia talvolta i due non sono consapevoli del fatto che si stanno distruggendo a vicenda: in questo gioco non c'è mai un vincitore'. In generale si può dire che ci saranno tanti più problemi quanto più la coppia non riesce ad abbandonare le istanze personali, e nello stesso tempo nessuno dei due è capace di allontanarsi: il conflitto può diventare aspro, la lotta tanto intensa quanto insanabile. Quasi mai queste coppie si lasciano, ma i tentativi di psicoterapia, solitamente evitati, sono sistematicamente infruttuosi. Sono persone che potranno vivere assieme e passere il resto della vita tormentandosi nel tentativo di far trionfare i propri principi, l'uno contro l'altro. La simmetria sfocia, talvolta, anche nello scontro sul tema di "chi veramente non ne può più". Sono molti i casi noti per esperienza professionale, familiare o tramite il cinema e la letteratura. La crisi può diventare pericolosa quando l'esasperazione del conflitto diventa fine a se stessa, in una escalation simmetrica dove non si tratta più d'avere ragione o torto, ma solo di colpire e distruggere, configurando strutture francamente patologiche (Levenson e Gottman, 1985; Krokoff et al., 1988). In caso di separazione, la mediazione è rifiutata a vantaggio di rabbiose e interminabili battaglie legali. Se accettata, può diventare semmai un "espediente", una palestra dove mantenere attivi i dissapori. Sono situazioni in cui lo stato di conflitto è insuperabile e la separazione è solo un aspetto, anche se appariscente, di un legame distruttivo che in realtà non riesce a sciogliersi e invischia tutti, genitori, figli, parenti. In questo 6 Anche se il disagio ambientale, come povertà, disoccupazione, sottocultura, può in qualche modo essere una premessa per difficoltà dei figli, la maggior parte dei bambini che crescono in famiglie con carenze, o problemi di vita quotidiana, anche gravi, non per questo presentano danni psicologici più importanti di altri. George e Martha del Chi ha paura di Virginia Woolf o i protagonisti del film La guerra dei Roses sono efficaci esempi di turbolente e insanabili relazioni simmetriche. Possono portare alla disperazione, o alla morte. Anche se teoricamente suscettibili di psicoterapia, queste coppie sono impensabili in una mediazione familiare. '
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senso le storie possono assumere la forma di croniche competizioni burrascose e perdurare nel tempo.
Una testimonianza di questo, portata all'estremo nell'ambito della fiction, è quella del film La guerra dei Roses, di D. De Vito; qui le speranze di ragionevolezza, di scelte mature, sono boicottate da una ricerca irrefrenabile di umiliare, distruggere l'altro, senza mai accettare un tavolo di trattativa. Nel film una coppia di sposi, dopo un inizio apparentemente idilliaco, si distrugge nella lotta per la supremazia dell'uno sull'altro. Lei, sposata a un uomo in carriera, a un certo punto rifiuta il suo ruolo di moglie e di madre per volersi realizzare da un punto di vista professionale e avere spazi personali. Questa scelta provoca nel rapporto di coppia gravi conseguenze: si attiva una lotta, dapprima sorda e sommersa, fatta di reciproci atteggiamenti ostruzionistici, poi esplicita, aggressiva e violenta: ciò che si vuole raggiungere è non dargliela vinta. Si attiva perciò un'escalation simmetrica che si allarga a macchia d'olio attivando un gioco al massacro. C'è diversità tra un bambino che sia presente ai dissidi dei propri genitori e ne patisca un disagio reattivo, e uno che rimanga irretito nella trama disfunzionale del suo sistema di appartenenza. È possibile che un comportamento poco attento, o poco affettuoso, da parte dei genitori possa far star male i figli, e suscitare in questi stati di tensione, ma, come abbiamo detto, niente più di questo. Altra cosa è invece se crescono in un magma di comunicazioni distorte, senza che gli stessi protagonisti ne siano consapevoli. La psicologia relazionale interpreta la comparsa di un disturbo in un bambino come un movimento di difesa all'interno di un sistema incapace di evolvere. In altre parole, quando il disordine relazionale è grave e il problema è negato, i meccanismi s'irrigidiscono in schemi ripetitivi e nel blocco evolutivo. In questi casi la "tutela del sistema" è assolta da un figlio con il ruolo di malato, cioè colui che verrà chiamato paziente designato. Esiste spesso una correlabilità tra tipo di sintomatologia mostrata e soprattutto della gravità di questa, e gradiente di disfunzione familiare sottostante (Bogliolo e Capone, 1991). Ci sono coppie la cui storia appare per un lungo periodo priva d'eventi importanti o significativi, ma nelle quali a un certo punto esplode un segno clinico in uno dei due o in un loro figlio. Tutti i meccanismi si sono mossi a livelli subliminali o del tutto inconsapevoli; la negoziazione e il contratto si sono svincolati dai lontani motivi che hanno legato la coppia stessa. Non di rado i valori e i mandati delle famiglie d'origine hanno agito occultati, coartati, nella mente di ciascuno, ma hanno condizionato i loro pensieri, i 48
modelli di giudizio, i valori. Alle due persone non è consentita un'elaborazione a comune, una verifica. Il confronto dialettico non emerge: le poste in gioco sono tanto pesanti e dominanti quanto del tutto occulte'. Ciascuno ignora il meccanismo che sta conducendo alla devastazione del rapporto e la malattia, quando si manifesta, annienta le possibilità di commisurarsi nelle esperienze comuni o di lasciare emergere i problemi. Allora uno dei due comincia a presentare dei disturbi psichici o comportamentali, oppure un bambino manifesta disordini emotivi o psicosomatici. Si tratta di quadri di competenza psichiatrica o oggetto degli studi di psicologia e psicopatologia relazionale. Certamente per una coppia che attraversa una fase di litigiosità o incomprensione, anche severa, si può ricorrere agevolmente a uno psicoterapeuta. La storia di un amore può trovare il suo sbocco nel sintomo o in un comportamento abnorme (per esempio il ricorso patologico a sostanze) di uno dei due. Una coppia ove esiste una matrice comunicativa irrisolta, può essere il crogiolo ove nasce la malattia. La depressione, 1'alcoolismo, i disordini del comportamento alimentare, l'ansia, malattie psicosomatiche, possono emergere all'interno di una relazione "malata". Certe situazioni di grave squilibrio funzionale si possono trasformare anche in aggressività e in violenza fisica (Lloyd, 1990; Maiuro et al., 1988; Hotaling e Sugarman, 1990) 9 . Nello stallo di coppia 10 le aspettative reciproche sono deluse e mortificate. Non di rado uno dei due può sviluppare il sentimento che quanto sta accadendo sia il "giusto" esito dei suoi errori e che l'ostilità e l'indifferenza dell'altro sia esattamente la cosa che si merita. Queste elaborazioni depressive dell'esperienza di fallimento sono situazioni che spingono ancora più in basso il livello vitale ma, nello stesso tempo, l'evento patologico può essere letto in termini relazionali, dove la colpevolizzazione, e i conseguenti sintomi depressivi, possono essere un 8 Della disfunzionalità fanno parte la pseudomutualità o pseudoaccordo, o pseudoreciprocità, ovverosia quelle forme relazionali su cui la coppia si regge in una dimensione artificiale di buon funzionamento. Qui messaggi distorti e ambigui, o paradossali coinvolgono i figli in modo pesante. 9 È da ricordare che nella maggioranza delle coppie in cui si scatena la violenza, è la donna a soccombere all'aggressività del partner. Questo aspetto apre a problemi d'ordine psico-sociale, ma anche giudiziario, in materia di difesa della donna, dell'emancipazione femminile ecc. 10 La dizione stallo di coppia fu introdotta da M. Palazzoli Selvini in un articolo risalente al 1983. Il significato fu successivamente approfondito dal punto di vista relazionale da G Vella e C. D. Solfaroli (1992): "Il termine stallo è mutuato dal gioco degli scacchi: corrisponde a una posizione del Re, che, costretto a muoversi in quanto unico pezzo rimasto libero, cade sotto scacco qualunque mossa compia".
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modo (attirando l'interesse dalla posizione di malato) per recuperare una posizione up nella relazione". Un'altra situazione disfunzionale è quella di un bambino che si va a collocare in una posizione sostitutiva di uno dei coniugi. Il bambino-marito (o bambina-moglie) si trova legato in un rapporto innaturale. Questa posizione, chiamata del parental child, è stata descritta per indicare un ruolo genitoriale assunto da certi bambini, in famiglie con conflitti profondi (Minuchin, 1976), i quali assumono ruolo di guida dei fratelli, oltre che di partner del genitore. Ciò esprime una struttura distorta di un sistema, che in questo modo mantiene fuori dalla relazione uno dei genitori senza procedere a una effettiva espulsione. Al bambino è concesso apprezzamento e attenzione, ma gli è imposto un ruolo fisso, immutabile, che non gli appartiene. In tale dinamica, qualsiasi piccola infedeltà, come non essere presente nei momenti cruciali, manifestare la propria allegria o parteggiare per l'altro genitore, può suscitare in lui fantasie di trasgressione e di punizioni. Descriviamo queste evenienze al preciso scopo di separare il campo della disfunzione e della psicopatologia dalle finalità di questo libro, e per raccomandare, come faremo più volte in seguito, che un mediatore non si lasci coinvolgere in problematiche di questo tipo pensando di poter essere utile. Vedremo come certe conflittualità, come le relazioni persistenti, impongono di interrompere delle mediazioni, se iniziate. MONICA, UN CASO PSICHIATRICO
La famiglia Bottai fu inviata in psicoterapia familiare dopo che Monica, di 15 anni, qualche giorno dopo che era stata ricoverata in clinica per un drammatico susseguirsi di attacchi di panico. I genitori affermarono fin dall'inizio di essere venuti per il bene della ragazza per la quale erano molto preoccupati. Ogni tentativo di spostare l'attenzione sulla famiglia riceveva risposte del tipo: "Tutto andrebbe bene, se non fosse per Momca...". La stessa ragazza confermava: "Adesso le cose vanno meglio perché faccio le cure e mi sento meno male". Parlando della sua nascita, la madre ammise che in quell'occasione si era sentita molto sola, poiché il marito, molto impegnato, si vedeva sempre di meno in casa. Spesso non tornava la notte, e questo accadde per tutto il primo anno: "purtroppo io ero troppo Il Sono situazioni che non riguardano la mediazione visto che sono di pertinenza della psichiatria o della psicoterapia. Vedremo più avanti, a proposito della post-separazione, come si possa mantenere una "relazione persistente", dove sopravvivono legami patologici e contorti, anche in forme sintomatiche.
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presa dalla bambina e... sa come sono gli uomini...". Il marito aveva immediatamente aggiunto: "Comunque non è mai successo niente: io avevo molto lavoro e lei se la cavava benissimo. è andato tutto bene fino alla malattia di Monica". Nelle sedute successive emerse come Monica aveva avuto la sua crisi "salvaguardando" così la coppia genitoriale dall'affrontare la palude in cui fin dall'inizio era caduta la relazione. Si seppe infatti che il matrimonio era stato combinato, quale ottima fusione tra due famiglie benestanti e socialmente inserite. In realtà non si erano mai amati. Il marito aveva solo interessi carrieristici, nei quali seguiva le orme del proprio padre. La moglie aveva trovato un buon partito ma tutto sommato non aveva mai creduto nell'amore. Il loro accomodamento era durato tre anni, mentre avevano una vita reciprocamente abbastanza libera. L'arrivo della gravidanza aveva inchiodato la madre nelle sue mansioni, mentre il marito si era ulteriormente distaccato. Il fatale epilogo, la separazione, era impedito da Monica, che riuniva la famiglia intorno alla sua malattia. Quella dell'isolamento delle madri nel ruolo di nutrici e dei mariti periferici, è una condizione frequente e nota, ma in questo caso ci si affaccendava a negare l'esistenza di problemi, e questo era associato alla comparsa di un sintomo nella figlia.
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3. Il percorso della separazione
R. Beavers (1985), a proposito delle crisi della coppia, anche se ne viene sottolineata la funzione evolutiva, si sofferma sul fatto che queste, in qualche modo, producono un disagio. Così fa una distinzione tra disagio acuto e disagio cronico: • nel disagio acuto (le crisi), quello che abbiamo descritto, si verifica il brusco attivarsi di un confronto/scontro. Si ha una messa in discussione delle posizioni dell'altro. Ci sono iniziative tendenti all'affermazione dei propri bisogni, o principi, anche con tentativi di prevaricazione, talora con scarso rispetto dei reciproci confini e invasione dello spazio esistenziale. In questo momento i due sono ben lontani dall'esperienza fusionale dell'innamoramento, ma di solito, dopo la burrasca, riescono a riorganizzarsi su un livello migliorato di relazione. Talora può anche comparire una presa di coscienza, dapprima nebulosa, poi strutturata, dell'esaurimento del rapporto; • il disagio cronico, quello più severo, è solitamente segnato da crisi subentranti, alle quali seguono delle fasi di recupero deboli e poco convincenti. In questi casi compaiono sentimenti di rabbia, oppure di noia, o di rassegnazione a segnare l'inizio della progressiva dissoluzione. Beavers precisa la compromissione delle basi stesse della relazione: si esplicitano le differenze profonde nei gusti, nelle tendenze, nei principi informatori della vita; il dialogo diventa rarefatto, monotono e ripetitivo, centrato su stereotipi tendenti a evitare ogni possibile analisi della situazione, mentre si rafforzano le esperienze soggettive che esprimono il senso di fallimento e delusione. Le manifestazioni affettive, comprese quelle sessuali, sono diradate e gradualmente evitate. Queste relazioni contengono livelli più o meno marcati di sofferenza e di solito preludono alla conclusione della storia, la quale peraltro può anche tardare, anche di anni, nonostante la realtà di un percorso ormai finito. La storia di una coppia non è fatta di un ripetersi di gesti amorosi, di 53
slanci passionali, di tolleranza reciproca e d'intesa sempre e su tutto. La coppia "mulino bianco", come propone una nota pubblicità, o non esiste, o non è sana. La sua funzionalità dipende dalla capacità dei partner di far fronte una continua verifica, e alla capacità di evitare una ricerca esasperata di affermazione di se (escalation simmetrica) oppure all'instaurarsi di una predominanza irreversibile di uno sull'altro (complementarietà rigida). Le coppie sono considerate sane quando passano con successo attraverso un numero imprecisato di crisi: il confronto, la capacità di metacomunicare, la disponibilità a cedere su qualcuna della proprie rigidità o dei propri pregiudizi, fanno sì che i due ne escano rafforzati e con maggior attaccamento reciproco. In altri casi le cose non vanno bene: l'esito è la rottura e la fine del rapporto. 1. Prese di coscienza È relativamente frequente che due persone si accorgano precocemente dell'esistenza di un gap tra le proprie aspettative e le reali possibilità che queste siano soddisfatte. Sono situazioni in cui ciascuno sembra reindirizzarsi verso il proprio indipendente percorso vitale. Molte storie d'amore si esauriscono attraverso un anticipato processo di disincantamento, che si contrappone e affonda quella che fu l'esperienza dell'innamoramento. Qui sembrano non trovare più risposta i rispettivi bisogni d'identità e d'intimità. I segnali di pericolo possono iniziare anche precocemente, o perché l'amore si intristisce e si spegne, o perché uno dei due si lega a un'altra persona. I due erano partiti nell'illusione di poter "comunicare sempre e comunque", ma si rendono conto che non si sentono più affrontare le questioni che imporrebbero un salto di livello. Per esempio due giovani da poco sposati, ma che si trovano in una fase in cui sono ancora in corso le negoziazioni e sui quali pesano le interferenze dei rispettivi genitori, cosa che non era stata esaminata prima. Altre coppie possono incrinarsi di fronte alle molte novità con cui stanno confrontandosi (la convivenza, la gestione della casa, la prospettiva dei figli ecc.). Oppure quando uno dei due s'impegna in un lavoro nuovo, che lo terrà lontano: questa cosa incolpevole potrà far saltare gli schemi di un rapporto. Prese di coscienza di questo tipo possono anche ricomporsi, ma quando i due non riescono più a trovare una condivisione di pensieri, desideri, emozioni, accade che, anche se non c'è ambiguità e si metacomunica apertamente, permane una incrinatura emotiva. Si giunge di solito a una separa54
zione condivisa, ma dove potranno emergere controversie su principi o su diritti ecc. specie per i figli. Queste potranno avere le indicazioni per una mediazione familiare.
2. Conclusioni della storia Più frequente è un'evoluzione negativa di una storia, segnata dal perpetuarsi di una conflittualità che, invadendo aree molteplici, rende impossibile la prosecuzione della convivenza: 1. spesso emerge la tendenza a mettere in discussione il rapporto. L'esempio classico di questo tipo di vissuti è: "Tu non vuoi accettare le mie idee, perché non mi ami". Cui seguirà: "Anzi, sei contro di me". Progressivamente emergono disagi, come il senso di incomprensione, l'amarezza, o il risentimento. I due fanno fatica a dialogare, i silenzi sono spesso carichi di significati negativi, gli scambi ritornano regolarmente sui problemi centrali. Ambedue sanno dell'esistenza di un problema, e su questo discutono, ma sempre con maggior fatica. Lentamente nei litigi s'insinua una sorta di rassegnazione, nella consapevolezza del fallimento dei tentativi, e il disinteresse per ogni condivisione'. Dopo poche battute sopravviene la rabbia, ma i due tendono a ritirarsi ciascuno nella propria dimensione. Da qui la consapevole fatale evoluzione verso l'allontanamento e la fine della storia; 2. quando nella coppia domina la simmetria, la competizione, i due aumentano il livello d'intolleranza. Di fatto ciascuno attribuisce all'altro difetti o mancanze, nessuno dei due è capace di comprendere e accettare il messaggio dell'altro, e ognuno risponde sempre e solo dal proprio punto di vista. Di fronte a questo fallimento possano recuperare una certa "consapevolezza" e giungere, più o meno civilmente, alla separazione. In questi casi l'animosità reciproca, anche se con una buona dose d'amarezza, si attenua con il distanziamento reciproco, con il prendere strade nuove, o legandosi ad altri compagni. Peraltro, ove ci siano figli, dopo la separazione, eventuali problemi inerenti alla cura della prole potranno riaccendere le non del tutto sopite differenze. Una mediazione familiare avrà discrete probabilità di successo. Nel film Scene da un matrimonio, Bergman coglie in maniera mirabile il problema comunicativo che sostiene il fallimento di una coppia. Il linguaggio è fatto di gesti, sfumature, di cose non dette, che esprimono la sempre maggior fiacchezza della relazione, e successivamente il distacco. È interessante notare come nel film, a un certo punto, il distacco si esprime anche nella relazione extraconiugale. 55
Dobbiamo tener conto che questi accadimenti, di "inizio della fine", sono eventi indicati da K. G. Terkelsen (1980) come paranormative events, "non prevedibili": cioè da collocare tra quelle evenienze che obbligano a uno scarto dell'evoluzione di un sistema e un salto di livello nelle relazioni. Anche se questi fatti sono ormai talmente frequenti da dubitare della loro imprevedibilità. Il fallimento della coppia non può essere inteso una "normale evoluzione": si tratta una circostanza possibile, ma non probabile.
3. Tipologie delle separazioni Oltre alle descrizioni appena fatte, molti ricercatori hanno proposto tipologie e classificazioni della separazione. Ne riportiamo alcuni. K. Kressel et al. (1980), hanno tracciato una classificazione delle coppie: • la coppia ambivalente mostra un alto livello d'invischiamento. I due dichiarano il desiderio di separarsi, ma nello stesso tempo, incapaci di perseguire i loro intenti, rimandano, trovando ragioni poco plausibili per giustificare il loro stare assieme; • la coppia disimpegnata, al contrario, ha un basso livello d'ambivalenza, ma anche una scarsa intimità. Di conseguenza nella separazione la conflittualità sarà ridotta; • la coppia in conflitto aperto manifesta una chiara consapevolezza delle ragioni del conflitto stesso e comunica apertamente sul desiderio di separarsi. D. Steinzor (1969) descrisse una serie composita relazioni coniugali che possono precedere la dissoluzione della coppia: • relazione antagonistica, centrata sull'aggressività e provocazione; • relazione d'amicizia, dove le componenti passionali o affettive sono attenuate a vantaggio di valori di stima, di comprensione, o di compagnia; • relazione statica, caratterizzata da un'assunzione rigida dei ruoli, spesso con una struttura complementare con uno dei due in funzione genitoriale; • relazione ciclica, nella quale si alternano fasi di tranquillità e di tensione: oscillante quindi tra la staticità e l'antagonismo; • relazione romantica: in questa si ha il perdurare delle idealizzazioni della fase iniziale del rapporto; domina il falso-sé, fin quando non emergeranno la frustrazione e la disillusione. Assai importante è stata la ricerca effettuata, con coppie in corso di se56
parazione, da V. Cigoli (1984), nella quale si fa riferimento alla relazione tra i coniugi secondo una serie di modelli teorici, diversi tra loro in rapporto al grado di conflittualità: • presenza di un conflitto totale. I due sono invischiati in dinamiche di tipo aggressivo. Non è concesso avviare iniziative di confronto o di cooperazione nel tentativo di dare ai problemi uno sbocco sereno; dietro queste forme esasperate si annidano conflitti gravi, profondi. Si pensi alle drammatiche escalation simmetriche di cui abbiamo trattato nella prima parte; • presenza di un conflitto costruttivo. In questo l'aggressività reciproca è meno tenace, anche se molto intensa; quindi può attivarsi una possibile collaborazione e un lavoro su problemi isolati; • presenza di un conflitto aperto. È quella condizione, sia pur difficile, in cui è possibile ricercare e trovare nella coppia in crisi una possibilità di collaborazione; • negazione del conflitto. La negazione dell'esistenza di problemi rende ovviamente impossibile, o comunque limitata, ogni elaborazione del conflitto. A nostro avviso in questi casi esiste una disfunzione grave, che porta all'occultamento della profonda struttura del disagio; • disimpegno emotivo. La base di questo è derivabile dal distacco affettivo dei coniugi rispetto all'esperienza matrimoniale, che i due considerano ormai conclusa. M. Little (1982) sostiene che la natura della relazione preesistente può influire in modo determinante sui rapporti che verranno con la separazione. L'autrice. identifica sei tipi di coppie destinate allo scioglimento: • nella coppia con i confini deboli, ambedue hanno mantenuto un rapporto molto invischiato con le rispettive famiglie d'origine permettendo la co-presenza, nella relazione, di modelli affettivi e norme di vita provenienti da parti esterne. Sono persone che non hanno sperimentato livelli affettivi di particolare intensità essendo costantemente chiamate in altre direzioni'. Queste situazioni corrispondono alle strutture allargate a confini diffusi secondo S. Minuchin e ai sistemi familiari coesivi secondo A. Canevaro, di cui abbiamo parlato. Possono essere influenzati da credenze che fanno parte della cultura locale o di modelli di pensiero della propria famiglia di origine. Per esempio: "Tutte le donne sono su2 Appare evidente in questi casi come la natura e il peso dello sbocco conclusivo siano connessi coi legami di ciascun partner con la propria famiglia d'origine. Abbiamo visto come i mandati familiari sostengono, anche nelle coppie sane, i modelli di comportamento: specialmente in quelle più giovani spesso non si tratta di fantasmi, ma più facilmente di reali intrusioni o di presenza attiva di qualche figura genitoriale.
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perficiali". "Gli uomini sono traditori". Oppure: "I mariti non hanno alcun dovere di occuparsi dei problemi domestici". Così, anche nelle circostanze finali, ciascuno proporrà copioni familiari e ruoli sostenuti da un genitore o da un altro membro della famiglia; nella coppia disgregata, i coniugi fin dall'inizio hanno espresso la spinta alla contrapposizione, attaccandosi, cercando di obbligare l'altro al proprio comportamento. Il risultato è stato il progressivo distacco, attraverso l'arroccamento nelle proprie posizioni. Ne abbiamo parlato a proposito delle escalation simmetriche; il cosiddetto matrimonio casa di bambola è basato su un'illusione, cui segue una disillusione. Per esempio un misunderstanding iniziale faceva credere al marito di avere potere su una moglie sottomessa. Questa invece, ben presto, diventerà assai più assertiva e tutt'altro che disponibile a una posizione complementare. È possibile la combinazione opposta; il matrimonio pietrificato è privo di espressività emozionale. Questo accade facilmente quando ci sia un ostacolo all'emergere dei sentimenti. Per esempio un marito che, per la sua riservatezza, o inibizione emotiva, ha costantemente frustrato ogni manifestazione di tenerezza o di vicinanza affettiva alla moglie, la quale finirà per adeguarsi a una relazione priva di calore umano; il matrimonio pseudo-perfetto inizia con l'illusione bilaterale di perfezione: figli sani, belli, intelligenti, un'organizzazione di vita super funzionale dove l'amore è "garantito". Prima o poi emergeranno le differenze. Possiamo ipotizzare, ma solo per analogia, un perdurare dell'immaginazione acritica dell'innamoramento'; nel matrimonio non formato non sono mai stati distinti i livelli di confidenza e intimità dai confini con altre relazioni. Per esempio quando ciascuno dei due è eccessivamente legato ad altri sistemi, come l'ambiente lavoro, gli interessi culturali, amici, gruppi artistici ecc. 4 . Si tratta di mondi esterni che diventano sempre più i rispettivi centri di vita, mentre la vita a due, tenderà a inaridirsi.
3 Esso è diverso dalle situazioni patologiche di pseudomutualità (Wynne et al., 1958), in cui alla presentazione di una vita coniugale formalmente sana, con una coppia che si dichiara unita e di grande intesa, corrisponde per esempio un figlio paziente designato e una grave disfunzione di fondo. 4 Sono situazioni dove entra in gioco anche la perdita di relazioni esterne per entrambi. Per esempio gli amici, che erano amici della coppia, sono incerti con chi rapportarsi. Si attivano esperienze che possono assumere tinte drammatiche, agite sull'impulso di un litigio o di una concatenazione di eventi che vedono entrare in campo altre figure, parentali o meno.
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Infine, in un'indagine molto estesa, J. Wallerstein e J. Kelly (1980) hanno ritenuto di poter raccogliere le circostanze in cui una coppia giunge alla separazione, proponendo quattro formule principali: • la soluzione razionale: la separazione è un punto d' arrivo maturo e critico da parte di ambedue i coniugi; • la risposta allo stress: quando per esempio uno dei due, a seguito di un lutto o per impegni psicoemotivi dolorosi, non riesce a sostenere la relazione; • la risposta impulsiva: come reazione immediata a un evento. Per esempio la scoperta di una relazione extraconiugale, o un' improvvisa propria passione alternativa; • la soluzione incoraggiata: quando sono i familiari, o amici, o addirittura uno psicoterapeuta, ad aver suggerito la rottura del rapporto.
4. Fenomenologia della separazione A prescindere delle numerose descrizioni appena riferite, il fallimento della coppia è un processo bilaterale: è il sistema coppia che fallisce. Per esempio il fatto che uno dei due si perda in un'avventura sessuale, o che sviluppi un sentimento profondo verso un'altra persona, può essere connesso a una mancata corresponsione affettiva del partner. Esiste sempre un quantum relazionale, anche quando lo svolgersi delle vicende sembra dominato da iniziative individuali. Eventi occasionali della vita, o il semplice scorrere della convivenza, possono divenire rivelatori di un quid pro quo iniziale, ed esitare nel dubbio, nel ripensamento, e poi nella rottura'. Molte storie di separati contengono premesse per un'evoluzione negativa a causa di un "contratto" non chiaro, o evitato, o mal interpretato. Si può prevedere l'insuccesso di unioni partite all'insegna della non autenticità, come per esempio i matrimoni combinati dalle famiglie, o opportunistici, o decisi da parte di persone timorose della solitudine o in funzione di accordi di natura economica. In questi casi spesso l'incontro è stato superficiale, o immaturo, e quindi fatalmente fallimentare'. 5 Con una frequenza superiore a quanto si potrebbe supporre, si può assistere a una distorta accentuazione del legame che permane tra i coniugi in crisi: sono stati coniati termini come legame disperante (Cigoli et al., 1988). Nella ricerca di questi autori, emerge come sia frequente il perdurare di situazioni di conflitto, anche a molti anni dalla separazione o dal divorzio. Riprenderemo questa tematica a proposito delle relazioni persistenti nella parte dedicata alla mediazione familiare. 6 C. Levinger e O. C. Moles (1979) hanno notato che i due partner non portano le stesse
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Una giovane donna, Luisa, di 27 anni, figlia unica, aveva alle spalle una storia dolorosa, dove il padre era un irresponsabile aggressivo, giocatore, malandrino, che tradiva abitualmente e sfrontatamente la moglie. La relazione dei genitori era basata sui suoi maltrattamenti verso la sposa, ma anche verso di lei, fin da bambina. Ne era uscita sgomenta e angosciata. La madre aveva mantenuto da sempre una posizione passiva, all'insegna della rinuncia, accettando ogni umiliazione pur di salvaguardare la famiglia e la figlia. A 25 anni Luisa, grazie alla protezione fornitole dalla madre, conobbe un uomo, Mario, maggiore di lei di quindici anni e lo sposò in quattro mesi. La coppia sopravvisse meno di un anno, quando, poco tempo dopo la morte improvvisa del padre, Luisa chiese la separazione e tornò dalla madre. Mario era un uomo normale, ma con un'impostazione culturale che lo spingeva a cercare un ruolo dominante. Luisa cercava un padre buono, che la guidasse, ma non sopportava alcun atto di autorità. Bastava un semplice appunto, o una critica, per farla cadere nell'ansia. Non fu possibile, per entrambi, intendersi su queste attese/delusioni. Luisa affermò che Mario era troppo rigido, intransigente, e privo d'ogni comprensione per lei. Un marito, Michele, cominciò non avvisare più quando ritardava dal lavoro, e la moglie Leda appariva sempre più presa e occupata da una serie di interessi culturali e sociali che le impegnavano non solo il week-end. Michele non avvertiva la moglie dei suoi ritardi, data la sua convinzione che lei non fosse più interessata a lui; e, nello stesso tempo, Leda manteneva i suoi interessi esterni da quando aveva percepito il marito come affettivamente lontano da lei. La tenerezza e la ricerca reciproca che li avevano portati a stare vicini, ora era inquinata da queste nuove rappresentazioni. Così i due non riuscivano più a comunicare in modo chiaro e iniziarono un percorso dove le ragioni del cuore erano state soppiantate da altre, che portarono ad agiti oppositivi, o indifferenti. Si era attivato un circuito ad autorinforzo, dove l'esperienza d'insoddisfazione provocava nuovi comportamenti negativi e portò alla separazione.
Andando a ricercare quale fu l'inizio del distacco, è laborioso individuare come avvenne il movimento iniziale, sempre che questo fatto possa aver significato. Si tratta di dimensioni della vicenda interpersonale di difficile decifrazione, per la complessità degli elementi che si mescolano e si intrecciano, per le interferenze esterne, oltre che per i problemi esistenti tra i due. Talvolta, peragioni per la rottura: gli uomini più spesso parlano di incompatibilità sessuale o trascuratezze per loro o per i figli, mentre le donne parlano di abusi fisici, problemi economici, assenza emotiva ecc.
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raltro, sussiste una predominanza individuale nello svolgersi degli eventi. Per esempio, persone con problemi psichici, o con comportamenti superficiali e immaturi preesistenti, possono mettere a repentaglio un matrimonio. 4.1. Lasciati e lasciatori Abbiamo visto che non di rado esiste un accordo nei due nel ritenere fallito il rapporto e ineluttabile la separazione; più spesso accade che solo uno sia maggiormente di questa opinione. In pratica c'è una disparità anche nella valutazione e nella decisione di separarsi, e quindi spesso è uno dei due che assume il ruolo di iniziatore mentre l'altro subisce, o sostiene di essere stato messo in tale posizione. A un esame approfondito risulterà non semplice fare distinzioni nette tra la posizione di colui che abbandona e di quello che viene abbandonato. Da un punto di vista socioculturale di solito si tende a dare un giudizio molto diversificato, accusando il lasciante di una serie di inadempienze, e riservando una buona dose di comprensione per l'altro. Dentro questa logica si pone anche la componente religiosa: come giustamente ricorda A. M. Dell'Antonio (1993): "non a caso la stessa Chiesa Cattolica ha un modo diverso di considerare i due coniugi separati, e offre un aiuto pastorale — pur limitato — a chi è stato lasciato, mentre non dà possibilità di giustificazione a chi ha abbandonato il tetto coniugale". Questa linea, in buona parte legata anche a costumi e tradizioni che tendono a una difesa arcaica del nucleo familiare, finirà per individuare nella coppia il buono e il cattivo. Il primo resta il testimone della validità del legame coniugale, della fedeltà alla parola data, dell'impegno e della responsabilità assunta. Il secondo rappresenta il trasgressore, distruttore della struttura istituzionale, il "rovina famiglia"; sarebbe anche sospettato di anomalie personologiche di tipo immaturo, quando non di vere e proprie patologie'. I vissuti relativi all'abbandono raramente coincidono con la realtà oggettiva, in quanto ciascuno tende a descrivere i fatti secondo la propria visione del mondo o, per così dire, alla propria epistemologia. Così, se da una parte esiste la percezione di essere stato lasciato solo, dall'altra è presente la sensazione di essere stato in qualche modo costretto a compiere quel passo, ad assumere la decisione. Numerosi contributi scientifici hanno descritto i fenomeni individuali di risposta in coloro che sono stati lasciati, come per esempio la negazione, 7 K. Kressel et al. (1980) affermano che colui che abbandona il coniuge in media ci ha pensato quasi un anno; il lasciato può aver avuto solo un mese.
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la depressione, la rabbia e la delusione. Anche se era in corso una crisi grave, quando uno si trova lasciato ha la sensazione di deprivazione brutale dell'oggetto amato, ma molto spesso questo fatto rinforza la speranza e il desiderio che tutto sia ricostruibile. Il lasciato ha spesso dei fenomeni di negazione, in cui tende a escludere che il fatto possa accadere veramente'. Nel periodo immediatamente seguente il fatto, insorgono reazioni più o meno intense. La persona che subisce l'imposizione di separarsi si trova in una posizione di svantaggio: esistono non pochi elementi che ne condizionano il vissuto. Si può facilmente pensare che il partner abbia acquisito, prima della decisione, un'immagine chiara di cosa sarebbe accaduto; ma per l'abbandonato, l'annuncio arriva come uno shock. Abbastanza frequenti sono le reazioni depressive, con vissuti che hanno le caratteristiche del lutto, e sono percepiti, infatti, come se fosse deceduta una persona cara. In questa luce potrà anche pensare al suicidio. Potrà rimuginare: "Sono stato rifiutato, sono ferito, non ho più scopi", con la dolorosa percezione di non essere degno di essere amato. È un'esperienza di vuoto, senza prospettiva di riempirlo, di crollo di progetti e di speranze. Il senso d'abbandono e di perdita si uniscono allo smarrimento e all'ansia di non poter organizzare la propria vita da soli, peggio quando si tratta di una donna che si trovi a dover gestire uno o più figli, anch'essi lasciati di fatto. La perdita comprende anche la privazione d'abitudini comuni, di parenti, amici. Il soggetto può allora costruire castelli di previsioni in cui tutto si accomoderà grazie a un suo radicale cambiamento'. Per contro, l'abbandonato è capace anche soffrire di una ferita narcisistica (Rice, 1977), proiettando tutte le colpe sul lasciante 10 . Può pensare, in un'escalation di giudizio: "Non puoi fare così, non hai il diritto, non puoi farmi questo, sei cattiva, sono deluso, sono arrabbiato". Produrrà fantasie punitive rivolte all'altro e ai modi per attuare la risposta all'offesa subita. In queste fasi possiamo assistere a tentativi di 8 N. Ackerman (1968) osservò che in modo assai più marcato nei lasciati è facile assistere alla comparsa di reazioni psicopatologiche all'evento separazione. La persona che sperimenta, contrariamente alla sua volontà, questa esperienza, tende ad attivare un meccanismo di negazione rivolgendosi al passato, e riproponendolo come se non fosse cambiato niente, senza accettare che ci sono state situazioni conflittuali, tentativi falliti, emergenze palesi di una crisi insanabile. 9 Sulla base di questo D. Sprenkle e C. Cyrus (1983), suggeriscono che, nella frequente offerta dell'abbandonato di cambiare, pur di tornare assieme, c'è l'implicito riconoscimento di avere in qualche modo una responsabilità in quanto sta accadendo. 10 Il meccanismo difensivo della negazione, e cioè il non accettare quanto di fatto sta accadendo, avviene prevalentemente alle persone che hanno sempre escluso di poter essere veramente lasciate, e che in quel momento pensano di non possedere alcuna risorsa per sopravvivere all'abbandono.
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coinvolgimento dei figli in pericolose alleanze transgenerazionali. Un aspetto particolare della ferita narcisistica è frequente nei maschi quando il senso di frustrazione è connesso al discredito del ruolo socialmente condiviso. L'umiliazione può essere intollerabile e andare a combinarsi in maniera drammatica con sentimenti di gelosia. Compaiono stati d'animo burrascosi e cupi, che possono condurre anche a pericolose reazioni nella condotta, come aggressioni al partner e all'eventuale rivale. Talvolta il pensiero del lasciato passa dalla posizione di negazione dell'evento a quella, più organizzata ma non meno distorta, di ritenere il partner portatore di un disturbo psichico, o di essere stato irretito in seduzioni, in meccanismi di plagio o in influssi magici. Infine, certe volte, la reazione di negazione dell'evento viene shuntata e si assiste all'emergenza, anche repentina, di vere e proprie sintomatologie psichiatriche (Giuli ani et al., 1992). Queste produzioni danno la misura del livello di sofferenza della persona, anche se in realtà le valutazioni relazionali la vedranno fortemente partecipe della storia con il partner che l'ha abbandonata. Le situazioni appena descritte, che riguardano essenzialmente le reazioni a esperienze abbandoniche, corrispondono a quelle che abbiamo indicato, ancora come reazioni, nei bambini di fronte alle crisi dei genitori. Si tratta di risposte psicoemotive a stimoli negativi che minacciano la sicurezza e l'identità. Il lasciatore, quello che se ne va, di solito ritiene di essere stato trascurato nei suoi bisogni, nelle sue speranze, nelle sue aspettative. In questo senso giustifica la propria grave decisione. È interessante uno studio di Montinari et al. (1980), condotto negli Stati Uniti, sui mariti che impongono la separazione. Si propongono due modelli: il primo è definito marito fuggitivo. Questo ha cominciato a minacciare di abbandonare la famiglia molto prima della separazione stessa. Il secondo, marito recalcitrante, può giungere a dilapidare i suoi beni, pur di non doverne dividerne una parte con l'ex coniuge. In tutte, con una certa frequenza, compare un comportamento difensivo di fronte al legame interrotto: il rifiuto di tutto quello che sia legato al partner (luoghi, situazioni, persone, parenti, oggetti ecc.), e che potrebbe sospingerlo indietro. Nello stesso tempo l'ambivalenza nella decisione è molto frequente: è il caso di chi, da un lato, voleva uscire dalla relazione e, dall'altro, aveva difficoltà a staccarsi dai propri vincoli affettivi (la casa, i figli, le memorie positive del rapporto di coppia), nonché il disagio per l'eventuale trasgressione dei mandati della propria famiglia d'origine. Spesso provano dispiacere per il fallimento, pensando che c'è stata in passato un'intesa e una crescita comune con una persona da cui ora intendono allontanarsi. Dal punto di vista sistemico la questione del chi prende l'iniziativa è 63
solo apparente, in verità molto spesso il partner lasciato fa parte, in qualche modo con l'altro, del meccanismo che ha portato all'evoluzione negativa della storia. Le cause formali di una separazione sono in buona parte ritrovabili nel conflitto aperto, ma acquistano un significato maggiormente esplicito quando uno dei due ha trovato un altro legame affettivo. Anche in questi casi, ove potrebbe apparire chiaramente una differenza nella condotta tra i due (il cattivo e il buono), si nascondono storie complesse, connesse al misunderstanding iniziale e sui ruoli e modelli di comportamento assunti da tempo nella coppia. In definitiva possiamo essere sempre certi che il responsabile di una separazione sia colui che ha avviato il proprio allontanamento oppure se lo sia quello che, per la rigidità dei suoi fantasmi, ha impedito ogni possibilità di ridiscussione e rielaborazione del rapporto?
5. La separazione Succede che, nel giorno della separazione, qualcuno possa, con leggerezza, festeggiare, ma in generale, e anche se da parte di uno la cosa era desiderata, è un momento non bello. Quasi sempre ambedue hanno bisogno di accettazione, approvazione, almeno da parte del proprio entourage. I sentimenti di perdita, quanto mai presenti nella persona lasciata, investono in qualche modo anche l'altra. 5. /. Una ricerca
A proposito di separazioni, riteniamo interessante riportare alcuni dati emersi da una ricerca che abbiamo effettuato nel 1996 nella Regione Emilia Romagna", riferita all'andamento delle separazioni e dei divorzi in un periodo prestabilito. Oltre al rilevamento di dati, si sono indagate, attraverso la somministrazione di un questionario, le valutazioni personali riguardo alla propria vicenda. Espressi in valori medi, proponiamo alcuni risultati interessanti: • l'uomo si è sposato quando aveva 28 anni, si è separato quando ne aveva 38, per divorziare a 43. La donna rispettivamente a 24, separata a 35 e divorziata a 37 anni; 11 La ricerca è stata condotta a Rimini, all'Istituto di Psicoterapia Relazionale da C. Bogliolo e R. Capacci, e con il contributo di Alessandra Toni e di Lorenzo Paoli, che qui
ringraziamo.
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il 50% degli intervistati aveva un figlio, il 30% non aveva figli, i restanti due e pochissimi più di due; • la durata media del matrimonio è stata di undici anni per i separati e di nove per i divorziati. Di tutti questi, il 20% non superava i cinque anni di matrimonio; • la separazione è richiesta da entrambi nel 20% dei casi; dalle mogli nel 50% e dai mariti nel 30%. Sembra palese come in questa Regione esiste una stretta relazione tra tale iniziativa delle donne e il loro inserimento nel mercato del lavoro; • tra gli eventi significativi che hanno preceduto la separazione compare nel 50% dei casi, per entrambi i sessi, il sorgere di nuove relazioni affettive; • rispetto alle ragioni principali della rottura si è confermato come ciascuno ha molte colpe da attribuire all'ex e molte di meno a se stesso; • con frequenza è segnalata l'ingerenza di genitori. Questo anche se l'innalzamento dell'età del matrimonio, il livello d'istruzione medioalto e il lavoro farebbero propendere per una maggiore autonomia individuale dei soggetti coinvolti; • dopo la separazione, i figli, nove su dieci se minorenni, erano affidati alla madre; • risulterebbe che un quarto degli intervistati che sono restati soli dopo la separazione, ha iniziato o aumentato l'uso di tranquillanti. Il questionario aveva previsto un ultimo spazio, riservato a eventuali precisazioni o considerazioni spontanee degli intervistati. Il risultato è stato che oltre il 50% del totale dei soggetti ha utilizzato questo spazio, spesso scrivendo molto di più delle poche righe previste. Le donne sono state più numerose degli uomini (60%). Se un numero così alto di persone ha voluto raccontare un pezzo della propria esperienza, e ha scelto di compiere un atto molto più impegnativo che non il mettere una crocetta su una domanda già confezionata, ciò indica l'esistenza di un bisogno che forse aveva trovato pochi ambiti in cui potersi esprimere. Tanto che non pochi hanno chiuso le loro note ringraziando per l'occasione offerta. La domanda era: "C'è qualche fatto o situazione, per lei importante, non compresa tra le domande del questionario, che desidererebbe segnalare tra le cause della sua separazione?". Abbiamo selezionato un certo numero di queste risposte, che ci sono parse di particolare significato. N. 1 Sesso: M L'immaturità dell'intervistato nei momenti decisivi (matrimonio-prole). Decisionismo eccessivo e sostanziale mancanza di rispetto dell'ex coniuge, scoperta di sentimenti più profondi e motivanti fuori del matrimonio.
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N. 4 Sesso: F Gioco d'azzardo e tutto quello che ne segue. Sparivano i soldi sia a casa che nel conto corrente, carabinieri che lo cercavano a casa e al lavoro, era completamente latitante nella famiglia. N. 5 Sesso: F La separazione mi ha profondamente segnato, tuttavia non credevo di trovare esclusivamente in me stessa la forza di continuare la mia vita. Adoro mia figlia, che è serena, e continuo a essere tiepidamente innamorata di mio marito. Questo punto finale mi disorienta. Perché gli uomini sono sempre così egoisti da privilegiare la propria condizione personale a quella della famiglia? Questa è la causa principale. N. 15 Sesso: F Ho provato con tutte le mie energie a salvare qualcosa in cui credevo, e credo ancora, perdendo comunque la fiducia nelle persone e nei sentimenti. Lui è stato troppo superficiale nelle sue responsabilità. Grazie. N. 31 Sesso: F Mancanza di fiducia e paura per un'eventuale aggressione fisica (per fortuna mai verificatasi) quando l'ex coniuge era sotto l'effetto dell'alcool. Situazione economica dell'ex coniuge disastrosa (debiti nascosti e continui problemi per soldi spariti nel nulla). N. 34 Sesso: F Essermi sposata senza capire il vero significato del matrimonio e senza quindi alcuna .volontà di impegnarmi davvero per la sua riuscita. Essermi sposata con un uomo troppo serio, incapace di affrontare la vita con un po' di leggerezza. N. 35 Sesso: M Semplicemente, la noia della rou tine quotidiana e il fatto che lei non voleva figli. Curioso, sarebbe poi sapere cosa vogliono oggi le donne e cosa sono pronte a offrire. N. 46 Sesso: M La mia ex coniuge ha giocato sulla paternità di mio figlio insinuando il fatto che fosse figlio dell'uomo con cui aveva la relazione. Cambiando di volta in volta versione a seconda delle circostanze a lei favorevoli. N. 54 Sesso: F Mi sono separata per colpa, perché in quindici anni dell'unione (si fa per dire), ho solo subito maltrattamenti e neppure con la nascita della bambina, anzi ha peggiorato e nelle percosse anche la bambina ha subito i miei 66
stessi traumi. Dalla separazione, io e la bambina, per merito del mio nuovo compagno la nostra vita è cambiata totalmente. Adesso siamo veramente finalmente felici. N. 80 Sesso: M Se in una coppia non esiste oltre all'iniziale attrazione fisico-intellettuale, anche una complicità o perlomeno un'affinità su come sviluppare e gestire la vita di coppia, è quasi inevitabile che prima o poi le incomprensioni e le incompatibilità prendano tutto il campo... N. 91 Sesso: F Il mio ex marito è un uomo iroso, collerico, con gravi problemi nel rapporto con il denaro, intransigente, privo di capacità psicologiche verso il proprio figlio, con concetti d'educazione rigida fino alla violenza fisica sul minore. Non provvedeva equamente all'andamento economico della famiglia... mandava più soldi ai suoi vecchi genitori di quanti ne dava in casa. Le vere ragioni della separazione sono state le angherie fatte su nostro figlio con continue critiche distruttive del tipo sei un'idiota, sei un fasullo, sei un inetto, sei un delinquente, sei una merda, non combinerai mai niente nella vita e avrai solo calci nel culo. La prima violenza sul minore la fece quando nostro figlio non aveva ancora due anni... lo poi ero continuamente umiliata davanti a nostro figlio... diceva che ero una pazza, che dovevo andare da uno psichiatra. N. 99 Sesso: F La poca considerazione per ciò che si fa per la propria famiglia, l'essere messa come ultima cosa (quando se ne ha voglia esiste una moglie, altrimenti è lo stesso, tanto lei è lì e aspetta). N. 105 Sesso: M La causa è stata la nascita del figlio che io desideravo e mia moglie no. Il bimbo... è stato l'occasione per fare entrare la mamma di mia moglie nella nostra casa destabilizzando l'equilibrio della nostra famiglia. N. 113 Sesso: F Ci siamo sposati troppo presto, in particolare il mio ex marito non era pronto e io non l'ho capito, così abbiamo continuato per dodici anni cercando sempre di scusarlo... Lui non pensava mai che io fossi capace di lasciarlo perché la casa è sua, ma preferisco non avere niente e dormire tranquilla con mia figlia che stare in una bella casa e andare dallo psicologo. N. 121 Sesso: M Sicuramente la fretta di vedermi sistemato per quanto concerne la mia posizione prima del matrimonio non le ha fatto fare la scelta giusta del
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partner. Devo dire in verità di non essere stato affatto maturo, tanto meno preparato a una relazione di così grande importanza. N. 127 Sesso: F Ho scelto di lasciarlo perché mi rifiutava dal punto di vista affettivo e sessuale. Prima del matrimonio ovviamente questi problemi non esistevano. N. 156 Sesso: F Non sopportavo più l'odore della pelle del mio ex coniuge, era un odore come di plastica bruciata, che per anni di tanto in tanto sentivo senza comprendere da dove venisse. Quando mi resi conto che era l'odore del suo sudore ne rimasi disgustata. Anche oggi, se provo a immaginare un suo contatto fisico vengo sopraffatta dalla nausea. N. 168 Sesso: M Tendenza esagerata a inserire la madre (dell'ex coniuge) autoritaria e vedova nella nostra vita familiare. N. 175 Sesso: M Quando l'ex coniuge si è trovata da sola (causa figlie divenute grandi e autonome)... ha cercato di risolvere il problema solitudine andando a ballare con delle amiche. N. 187 Sesso: F Ho capito che non potevo più vivere in quella casa (coniugale) dopo aver rincontrato un uomo che era stato fidanzato con me venticinque anni prima e del quale ero sempre stata innamorata. Ho detto tutto ciò che provavo per lui al mio ex marito il quale ha apprezzato moltissimo la mia lealtà e quindi abbiamo deciso di separarci. N. 201 Sesso: F Mi ha messo il figlio contro per punirmi del fatto che sono stato io a chiedere la separazione. Il bambino ne soffre tanto che devo portarlo dalla neuropsichiatria infantile. N. 214 Sesso: F Con i bambini mio marito passava da un estremo all'altro, dal coccolarli allo sgridarli per nulla, lo stesso faceva con me e nei miei confronti era molto pesante, con insulti e delle volte con schiaffi e strattoni. N. 216 Sesso: M Il matrimonio è avvenuto a causa della nascita del figlio, entrambi i genitori erano allora molto giovani, la separazione è stata quindi causata da un matrimonio precoce motivo di frustrazione per entrambi.
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N. 222 Sesso: F Il matrimonio era stato visto da entrambi come rifugio sicuro a seguito di un'interruzione di gravidanza avvenuta su pesanti pressioni dei genitori che ci descrivevano come bambini immaturi (per altro il bambino era stato da noi cercato). Ci siamo sposati subito dopo l'interruzione volontaria di gravidanza. Poi, il grosso esaurimento a seguito dell'intervento (di cui ho i postumi ancora oggi dopo sette anni) e l'incapacità del mio ex coniuge di gestire la situazione, lo ha portato a usare violenza nei miei confronti. Appena questa si è manifestata ho chiesto la separazione.
Le riflessioni emerse dalle risposte ricevute (239 su 412 intervistati) ci hanno suggerito i seguenti commenti: • stanti le situazioni venutasi a creare all'interno di queste famiglie, la separazione sembra che abbia rappresentato la soluzione meno dolorosa; • la scelta del matrimonio viene molto spesso esplicitamente ritenuta immatura o precoce; • non sono pochi i casi in cui situazioni di disagio vissute nelle famiglie d'origine finiscono per ripercuotersi negativamente sulle nuove; • in più casi si cita la mancanza di consapevolezza del ruoli che il matrimonio porta ad assumere; • è sottolineato che perché un matrimonio possa riuscire devono esistere tre elementi stima, fiducia e complicità. Dalla raccolta di queste risposte emerge uno spaccato, certamente non esaustivo, ma certo variegato e inquietante, dell'esperienza soggettiva di coloro che hanno sperimentato la fine del loro rapporto di coppia. Si può notare come ogni tentativo di tradurre separazione o divorzio in dati, cioè notizie prive di componenti emozionali, risulta del tutto freddo e inadeguato rispetto al vissuto, spesso dolente, di queste persone. Si avverte come molte persone, in questa occasione, abbiano trovato uno spazio ove riversare i propri stati d'animo, una parte della loro vita che sembra quasi non avere più interlocutori, o ascoltatori. Come se, di fronte a una situazione che appare definitivamente chiusa, nel bene o nel male, avvertissero il bisogno di riproporne i significati, in un ultimo tentativo di presentarsi come individui, cercando di sostenere ancora le proprie ragioni. In alcune risposte è chiaro il senso di delusione per una persona in cui avevano riposto intense speranze; in altre, al contrario, emerge un atteggiamento fatalistico, quasi spavaldo, secondo cui quello era l'unico, logico, epilogo della storia. Molti sembrano reagire ancora a qualcosa di non desiderato, di imposto, e ancora protestano contro la prevaricazione, o l'abuso, o anche per la tolleranza sociale verso l'abbandono; altri, -
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per contro, difendono il proprio operato, e sembrano chiedere una conferma sulle decisioni che hanno comportato cambiamenti profondi nella propria vita, in quella del partner, nei figli. In questo senso si avverte per lo più l'amarezza, il dispiacere di un capitolo chiuso, anche quando qualcuno tenta di proporre la cosa con un pizzico di umorismo. Addolorati, dispiaciuti, talvolta sarcastici, sono coloro che sono stati lasciati, mentre i lasciatori ostentano una certa sicurezza e si adoperano per sottolineare l'ineluttabilità della loro scelta. È dominante la differenza tra i due sessi: le risposte femminili sono mediamente più lunghe, più appassionate e hanno contenuti riferiti alla perdita: come sostegno, vicinanza, protezione. Quelle maschili sono più laconiche, e in esse è spesso palese il tentativo di nascondere il proprio stato d'animo attraverso brevi, lapidarie razionalizzazioni. Ancora una volta si ridisegna la posizione di svantaggio in cui si trovano le donne, sia sul piano della perdita di una situazione strutturata, sia per le maggiori difficoltà economiche, sia per il pressoché costante carico dei figli, che sono rimasti con loro, sia infine per lo stigma sociale che in qualche modo grava di più sulle separate rispetto ai separati. 5.2. Il percorso L'atto della separazione, suffragato da una sentenza o comunque socializzato in due conviventi, formalmente annulla gli eventuali vincoli collusivi che mantenevano in piedi una relazione ormai finita, ma che potevano aver costituito l'estrema difesa di un sistema-coppia. Esiste si solito un percorso, al termine del quale si verifica una importante indicazione del fatto compiuto, della distinzione tra "prima" e "dopo". Secondo F. W. Kaslow (1991) ci sono tre momenti cronologici, connessi ad altrettante fasi: fase della pre-separazione, della separazione in atto, della postseparazione. • Pre-separazione (pre-divorce). Corrisponde al percorso che abbiamo in vario modo descritto in precedenza. L'autrice sottolinea come ci sono sentimenti diversi nei due partner quando è uno a decidere. Questo sperimenta la disillusione, l'intolleranza, la perdita d'interesse, il desiderio di fuga. L'altro la disperazione, il caos, il senso di inadeguatezza, la perdita della stima di sé, oppure la rabbia e il desiderio di vendetta. • Separazione in atto (divorce). I sentimenti sono assai più intensi, spesso si accompagnano a reazioni drammatiche, come gesti disperati, la pro-
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testa, la minaccia, i tentativi di suicidio. È intenso il senso di solitudine, in parallelo a quello di sollievo. • Post-separazione (post-divorce). È riferita alla comparsa di sentimenti che oscillano tra indecisione, paura, ottimismo, rassegnazione, curiosità, rimpianto ecc., a seconda del momento e della persona. Se le cose procedono bene si assiste alla nascita di nuove amicizie o di un partner, l'inizio di nuove attività e interessi. Ricordando che, anche se l'iniziativa è di uno, il processo separatorio coinvolge circolarmente le due persone, ci sembra di grande rilievo la descrizione di C. A. Everett e S. S. Volgy (1995). Gli autori, nel tentativo di identificare alcuni aspetti del processo nel suo complesso, hanno esposto le componenti relazionali della separazione individuandone tre momenti fondamentali: la deconnessione strutturale, la connessione di rete e la riconnessione strutturale 12 . 1. La coppia al momento della separazione si trova in uno stato di difficoltà: i due si vanno disimpegnando l'uno dall'altro. Sarebbe questa la prima fase, o di deconnessione strutturale, la quale implica anche una modificazione dei ruoli esistenti, non solo di coppia, ma anche genitoriali. 2. A questo punto i due danno l'avvio a una serie di nuove connessioni di rete, e cioè stabiliscono o ristabiliscono legami relazionali nella famiglia allargata e nella rete sociale esterna. Scrivono gli autori: "nel momento in cui la perdita del sistema nucleare preesistente diviene evidente, gli individui cominciano a cercare di entrare in nuovi sistemi". Questo modo di evolvere della situazione si può esprimere, per esempio, con il rientro nella famiglia d'origine. 3. È la situazione auspicabile: anche se nella separazione la connessione del sistema-coppia va perduta, si presume che mediante un processo di riconnessione il sottosistema genitori-figli, ancorché i primi siano ormai divisi, debba mantenersi e ridefinirsi nell'ambito della protezione dei secondi. In tal senso il processo di riconnessione produrrà una nuova struttura, ancora comprendente genitori e figli, ma anche nonni e altre figure significative. Potrà accadere anche che questo nuovo sistema debba confrontarsi con nuove proposte di cambiamento, come per esempio in caso di un nuovo matrimonio di uno o di ambedue i separati. Secondo Everett e Volgy quei genitori che si trovano a lottare, dopo la separazione, sulle visita12 Il concetto di connessione adottato dagli autori, si può, con una certa libertà, accostare alle teorie di Maturana e Varela (1985, 1987), i quali definiscono connessione strutturale, o meglio accoppiamento strutturale, quel processo attraverso il quale componenti separate di un sistema in evoluzione si sviluppano in unità organizzative.
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zioni, sulla custodia dei figli o su problemi economici a questi correlati, non hanno ancora completato il loro processo di deconnessione, rendendo faticoso il passaggio verso la successiva riconnessione. In questi termini gli autori parlano di casi di blocco della riorganizzazione del sistema 13 . Il processo di riconnessione, inteso come sano e funzionale, centrato sul mantenimento della funzione genitoriale, diventerà un obiettivo centrale della mediazione familiare. Abbiamo preso la proposta di Everett e Volgy come una traccia per descrivere il percorso separatorio. Anche se ogni storia ha una sua specificità e unicità, si possono pensare una serie di tappe che si ripetono nella parte conclusiva di molte vicende. Esse riguardano le esperienze emotive e comportamentali che sono presenti in vario modo, mostrando una continuità dall'una all'altra, embricandosi e confondendosi. Quello che domina è l'instabilità, il riemergere di dubbi, incertezze, illusioni, che accompagnano questo tragitto. Descriveremo nell'ordine: ridimensionamento affettivo, incertezze, riconciliazioni, punto di non ritorno.
5.2.1. Ridimensionamento affettivo
Torniamo brevemente sui molteplici aspetti che mettono in evidenza il disagio nel vivere insieme. Essi non sono sempre percepiti, anzi accompagnano uno, o ambedue, per lungo tempo. Frequentemente si verificano difficoltà in rapporto a un misunderstandig originario: ogni partner aveva attribuito all' altro significati diversi dalla realtà o aveva attese che poi si sono rivelate inadeguate; ciascuno aveva proposto se stesso, o viceversa era stato vissuto, in un aspetto non corrispondente alla sua reale natura. Non è una questione d'inganno o di falsificazione, ma più semplicemente è accaduto che, nel costruirsi della relazione, ambedue hanno offerto solo certe parti di sé, omettendo i propri aspetti negativi, o quelli che segnavano la differenza, allo scopo di non perdere la propria accettabilità agli occhi dell'altro 14 . Si Gli autori si riferiscono ad aspetti del processo di deconnessione. Questo è del tutto bloccato in casi di disfunzione: corrisponde all'incapacità del sistema di affrontare il processo di disorganizzazione/riorganizzazione anche quando la coppia decide di separarsi. In altri termini, il cambiamento. La funzione di blocco può essere espressa da un membro della famiglia (uno dei genitori, o un bambino) che può presentare disturbi psichiatrici o anomalie del comportamento tali da impedire ogni decisione. 14 Abbiamo riportato in precedenza come V. Satir abbia dedicato ampio spazio alla riflessione su questi aspetti della dinamica di coppia descrivendo come, durante la prima fase del rapporto, ciascuno possa aver costruito una sua fantasticheria dell'altro e su come sarebbe stata la vita insieme. Accade che queste previsioni non sempre corrispondono alla realtà. 13
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tratta di solito d'istanze emotive, o di abitudini, o di quanto d'origine familiare fa parte del corredo individuale. Una delle ragioni della comparsa del senso di delusione, di rancore o di rabbia, è collegata al fatto che ciascuno ha investito, nella vita a due, attese che poi sono fallite. Secondo Little (1982) tende a diventare penosa la disparità tra l'immagine dell'altro come partner idealizzato e il suo comportamento oggettivo. In un rapporto affettivo funzionale ciascuno ritrova l'altro in aree come l'intimità, la vicinanza, la complicità; queste sono sottolineate come valori ideali. Anche secondo Bradbury e Fincham (1990) la delusione del "come poteva essere", è una delle ragioni più comuni per le quali le persone possono sentirsi infelici. Quando certe aspettative sono deluse, si avvia un cammino che, passando attraverso una più o meno drammatica fase terminale, condurrà alla separazione. Si tratta all'inizio di sensazioni, intuizioni che qualcosa stia cambiando in se stesso e/o nell'altro, alle quali segue, prima o poi, un mutamento del proprio comportamento. È difficile individuare il primum movens di questi passaggi; quando accade, spesso il circuito è ormai avviato 15 . In questo percorso, mentre perdura la convivenza, gli scambi interpersonali divengono sempre più difficili: meno possibili sono i confronti e i chiarimenti, mentre invece assai frequenti sono gli scontri. I due tendono ad attribuirsi reciprocamente la responsabilità di quanto sta accadendo. Si va progressivamente impoverendo il legame affettivo. Si assiste a un affievolirsi dell'interesse mentre compare un senso d'estraniazione reciproca. Sono falliti i tentativi di riavvicinamento, e i due non riescono più a trovare sentimenti condivisi o interessi comuni. La percezione del distacco affettivo, anche per coloro che hanno trovato un altro legame importante, rappresenta in qualche modo una sconfitta, una perdita rispetto a una esperienza che in passato aveva un significato positivo. Perde d'importanza un rapporto di cui, almeno fino a un certo punto, avevano fatto parte la solidarietà, l'interesse reciproco, la passione amorosa, la progettazione, nonché il desiderio di avere una famiglia con figli. La situazione di difficoltà peggiora se le rispettive famiglie d'origine cominciano a parteggiare per l'uno e a prendere le distanze dall'altro. PaInteressanti sono i giudizi, o preconcetti, che possono entrare in un matrimonio a dispetto dell'esperienza di innamoramento e dell'iniziale fiducia reciproca. 15 Quando ci si avvia alla separazione si verificano radicali cambiamenti, che nella maggior parte dei casi sono definitivi. La separazione segnerà chiusura della dialettica, del confronto attivo, anche se lascerà qualche problema irrisolto. J. F. Six (1990) sostiene che l'epilogo della crisi coniugale va a collocarsi nel momento in cui ciò che è avvenuto diviene parte della propria vita, vale a dire, a nostro avviso, diviene storia della coppia.
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renti e amici si attivano intorno all'analisi delle rispettive responsabilità. Ogni gruppo si affaccenda cercando prove schiaccianti per dimostrare la colpevolezza dell'altro. Il sistema allargato fa riscontro alla progressiva indisponibilità personale tra i due. In realtà, come risulta anche dalle ricerche di G. Kitson, R. Mair e P. Mason (1982), i parenti non riescono quasi mai a essere d'aiuto. Altre volte emergono sentimenti come la collera o il desiderio di vendetta che, se particolarmente pervicaci, confermano una grossa difficoltà nell'elaborazione degli accadimenti. In questo contesto i bambini possono cominciare a fare domande su quanto sta accadendo, e a chiedere esplicitamente ai genitori se hanno intenzione di separarsi. Quelli, in grande difficoltà, rimangono spiazzati da un interrogativo che li chiama a una visione chiara della situazione; così spesso negano ai figli la verità. Diranno poi che hanno mentito per il bene dei figli stessi, ma di solito è stata un'autodifesa di fronte a una presa di coscienza alla quale non erano ancora pronti. Ci sono situazioni dove uno sta preparando la separazione e aspetta proprio certe domande per trovare il coraggio di far sapere le proprie intenzioni. 5.2.2. Incertezze
Quando la decisione di separarsi si svolge all'insegna della maturità, siamo di fronte alla circostanza più desiderabile. Questa chiarezza sembra però essere spesso più apparente che sostanziale, e non di rado è sostenuta da mascherati atteggiamenti di sfida. Certe coppie fanno le prove a lasciarsi, quasi a saggiare se stessi o l'altro di fronte all'evento, e talora ci riescono. Questa ambivalenza si prolunga con alterne vicende. Segnala la difficoltà che i due trovano a convenire che la fine è divenuta inevitabile, e che ormai è cessata la speranza di salvare la coppia. Molti dissapori sono connessi all'incapacità di accettare il punto di vista dell'altro senza temere di perdere qualcosa di se stessi. Per questo, a questo punto, ci può essere la sgradevole sensazione di star perdendo qualcosa, ma anche la percezione di non tollerare più la relazione. La fase dell'indecisione può occupare un periodo anche lungo, precedente alla risoluzione dell'uno, o di ambedue, di chiudere la vita insieme: talvolta occupa alcuni anni, e passa attraverso dubbi, decisioni, conflitti aperti, perdoni, ripensamenti ecc. Questo anche se uno o entrambi i partner avvertono chiaramente l'insoddisfazione della propria vita affettiva 16 . Dominano l'instabilità e la 16
Studiandone i tempi, G. Spanier e L. Thompson (1984) hanno rilevano che ci voglio-
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tensione, e anche queste sono avvertite con allarme dai figli. Per questi, specie se piccoli, è difficile allontanarsi per evitare l'ansia; ma neppure possono ridurre le distanze dai genitori per farsi rassicurare, in quanto questi sono troppo presi dalla loro vicenda. Poi, lentamente, si consolida la consapevolezza che i tentativi sono falliti e che ambedue si avviano al distacco: in altre parole divengono più nitide le idee di quanto sta per succedere, e di conseguenza compaiono le previsioni del dopo. Come abbiamo detto, più brusco, e complesso, è il problema quando è uno dei due che se ne va. In questi casi l'altro, sentendosi rifiutato, è assalito da profonda disperazione, e nello stesso tempo da rancore. Le reazioni di sconforto, o di rabbia, possono talvolta far sì che il fuggitivo ritorni sui suoi passi. Quando il processo di deconnessione è in pieno svolgimento, colui (o colei) che decide di separarsi si abbandona a fantasie di poter trovare ora la miglior soluzione della propria vita. Spesso utilizza i propri legami sociali, specie la propria famiglia d'origine: si tratta di tentativi di allontanarsi facilitandosi la strada mediante riferimenti sicuri. Di solito immagina una nuova condizione di esistenza, facile e rassicurante, che seguirà ben presto a questa transitoria ricongiunzione coi propri familiari. Nello stesso tempo sarà intimorito/a, pur negandolo, dalle possibili conseguenze, immediate o a distanza, talora sul partner, quasi sempre sui figli. È più o meno angustiato/a dal timore di indurre sofferenza, o che si scatenino reazioni così drammatiche da costringerlo/a a far marcia indietro. Questa fase, chiamata da Everett e Volgy riconnessione di rete, è dominata spesso dalla fantasie. Meglio vanno le cose per chi ha immediatamente la possibilità, e la determinazione, di vivere da solo/a o di riaccompagnarsi subito con un'altra persona. 5.2.3. Prove di riconciliazione
Certe persone che si lasciano, specie se con un atto impulsivo unilaterale, si trovano presto alle prese con il dubbio, con il ripensamento. Possono provare rimorso per la lontananza dai figli o di colpa, per l'abbandono commesso. Tanto più se, nello stesso tempo, l'altro invia segnali del proprio smarrimento, o i figli manifestano tutta la loro angoscia e il desiderio di rivedere i genitori insieme. Queste vicende, specie se i fatti si sono svolti all'insegna dell'ambivalenza, possono far apparire meno gravi no meno di sei mesi per il 50% delle donne e per i165% degli uomini per decidere consapevolmente. Ci volevano almeno due anni, o anche di più per i restanti soggetti studiati.
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le ragioni sino allora sostenute: da qui i tentativi di riconciliazione e ricostruzione d'edifici ormai crollati. Infatti, anche se all'inizio la decisione sembrerà aver funzionato, i conflitti fatalmente riaffiorano: nell'impossibilità di riparare le strutture di base della relazione, ben presto ciascuno si troverà nello stato d'animo precedente. Anzi, ora emergono fantasie preoccupanti: chi già è stato lasciato entrerà in uno stato d'apprensione, o di vera e propria ansia anticipatoria, aspettando il momento in cui di nuovo riceverà la notificazione della fine. Intravederà un dopo ancor più buio, cupo, irto di difficoltà e di avversità. Oppure ricomincerà a elaborare propositi di vendetta. La persona che stava per allontanarsi rientrerà nelle sue immaginarie fantasie di liberazione, di spazio autonomo, di incontri nuovi. Le conseguenze di queste pseudoriconciliazioni sono quasi sempre infauste. È costante il pericolo per i figli, che in queste circostanze possono attaccarsi di nuovo alla speranza: produrranno fantasie magiche secondo cui essi sono in grado di far stare insieme i genitori: la delusione, alla nuova divisione, sarà assai più cocente. Ancora una volta tutto è percepito con ansia, specie in quelli più grandicelli. In questi la fantasia riguarda anche il loro destino: con quale dei due genitori andranno a vivere, se e quanto potranno vedere l'altro, quanto la loro vita ne sarà sconvolta, e così via. Nella storia di molte separazioni, anche quando il processo sembra aver imboccato la fase conclusiva, secondo Everett e Volgy incertezze e tentennamenti possono riemergere più volte. Queste ambivalenze tardive sono un'evenienza più frequente di quanto non si creda: esse devono essere viste come un persistere di smarrimento, di paura degli eventi, e di un riproporsi di fantasie riferite a un passato immaginario. Così a volte si assiste a un'altalena tra il rimettersi insieme e il lasciarsi, ma questo fa parte dell'imprevedibilità delle umane vicende. È importante tener conto che, ove questi comportamenti si prolunghino e si ripetano all'infinito, è verosimile che le due persone si trovino ancora in una posizione dove alle proclamazioni di un rapporto concluso fa da contraltare una relazione tutt'altro che elaborata. Sono quei casi che non arriveranno mai alla separazione e seguiranno uno dei percorsi disfunzionali che abbiamo previsto evitare, nella cronica infelicità, o nei sintomi. 5.2.4. Il punto di non ritorno
Esiste un momento in cui la coppia raggiunge quella condizione che abbiamo indicato come punto di non ritorno. I due hanno la consapevolez76
za che la divisione è ormai inevitabile, sia che la decisione sia di uno solo, sia di ambedue. È il momento in cui si ha l'allontanamento fisico, che nei matrimoni coincide anche con l'inizio delle pratiche legali". In questa specifica situazione, sul piano tecnico, non si parla più di coppia in crisi o di crisi della coppia, ma di separazione in corso e di separandi. È un momento in cui possono emergere delle controversie relative al dopo, oppure possono vedersi atteggiamenti distaccati, disincantati con il rifiuto di ogni analisi della situazione. Certuni insistono con pignoleria sulla necessità di programmare tutte le conseguenze della fine della storia fino a, paradossalmente, voler stilare un preciso contratto di fine relazione. Non tutti quelli che iniziano il processo separatorio hanno un'idea precisa di quanto sta per accadere e si rifugiano in una posizione di dipendenza regressiva rivolgendosi, a seconda dei casi, a legali, giudici, assistenti sociali, periti di vario tipo, che potranno entrare a far parte del sistema. La vicenda separatoria suscita, ma solo in chi osserva dall'esterno, l'idea che ciascun membro della coppia disponga di sufficienti risorse di maturità e di solidità per affrontare, o liquidare rapidamente i problemi. Negli sposati, il momento definitivo è quello della presa di contatto con il legale e la presentazione, tramite lui, della richiesta di separazione. È un'iniziativa che tende a consegnare le proprie decisioni e la conduzione delle proprie scelte nelle mani di un esperto. Nei conviventi la situazione è più indefinita: più semplice, perché vengono evitate tutte le pratiche burocratiche, più difficoltosa, perché implica il massimo di assunzione dei responsabilità e decisionalità personale'. Il momento in cui si accetta formalmente di lasciarsi, deciso da uno o da ambedue, è indicato come il tempo di inizio della fase "coppia separata". La separazione è da considerare un evento coerente quando è la conclusione razionale di una situazione divenuta impossibile. Si può, infatti, definire la separazione un avvenimento "sano" quando si accompagna una presa di coscienza delle cose che non andavano, quando non è più possibile forzare un rapporto su canali divenuti impercorribili rispetto a una vita in comune ormai naufragata. Quando è così, pur dolorosa, resta un fatto plausibile e può essere l'opportunità per ricostruire le rispettive vite e aprirsi a 17 Nei conviventi non ci sono pratiche di legge, mentre nei matrimoni religiosi qualcuno inizia quelle di annullamento. 18 Quella delle coppie di fatto è una questione di grande delicatezza. Quando si lasciano, anche dopo molti anni di vita in comune, la loro vicenda non è diversa da quella dei "regolari": mancano però gli ingredienti legali, o buona parte di essi. Ci sono numerose iniziative d'ordine legislativo che tendono a regolamentare queste situazioni, ma non si è ancora giunti a una soluzione definitiva del problema.
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nuovi rapporti interpersonali Essa presuppone la riorganizzazione della famiglia in due unità separate, e un riadattamento dei figli; quest'ultimo fatto non sempre si verifica in modo sereno e tranquillo. Talora questa prospettiva appare utopica, se la tendenza di coloro che si lasciano è ad accantonare le responsabilità verso i figli. Non è questa un'accusa di disamore o di cinica indifferenza: l'evento separazione li coinvolge in modo talmente intenso che non colgono la ferita emotiva che può colpire i loro figli, pensando erroneamente che siano immuni da danni, oppure, attribuendo loro un'improbabile maturità, che "certamente capiranno". Appendice. Un glossario delle separazioni Anche se il riferimento comune è al matrimonio e allo scioglimento legale di questo, con separazione si fa riferimento all'interruzione formalizzata di un rapporto, comprendendo quindi, come prima formulazione, quella composita forma di esiti dei legami di coppia elencati come: • separazione fra conviventi; • separazione di fatto fra coniugati; • separazione legale; • divorzio civile; • annullamento del matrimonio religioso. È possibile descrivere le separazioni secondo le caratteristiche soggettive e sociali con un'altra classificazione, impropria, in quanto queste forme spesso sono embricate tra di loro: 1. la separazione emozionale corrisponde a quelle esperienze, di cui abbiamo riferito a proposito della fine del rapporto d'amore, dove uno, o ambedue i partner, sono ormai distaccati affettivamente. Per contro possono essere aumentati altri interessi e soprattutto la partecipazione a fatti o persone esterne alla vita di coppia 19 ; 2. la separazione legale corrisponde non soltanto all'atto giuridico che convalida la fine della relazione, ma un momento a partire dal quale diventano disponibili "le carte" che, in caso di dispute, accompagneranno le "prove" delle rispettive posizioni nel confronto sulla spartizione dei beni o sul destino dei figli; 3. la separazione economica è strettamente connessa alla precedente: non di rado, quando la coppia ancora conviveva, era iniziato lo scambio 19 V. Cigoli et al. (1988), con il termine divorzio emotivo indicano un passaggio che concerne il mondo interno: una esperienza funzionale, che porterebbe a un distacco tale da consentire un buon divorzio.
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d'idee sulla spartizione di un patrimonio, o più semplicemente dei reciproci oggetti. In una separazione ben riuscita queste ridistribuzioni vanno a buon fine. In altri casi emergono dei contenziosi, per esempio la richiesta di modificare quanto era stato deciso all'inizio in termini di assegno mensile o di assegnazione di una casa; 4. la separazione sociale si esprime nei sistemi allargati. Molte persone, che in qualche modo erano già partecipi della vicenda della coppia, rimangono ora coinvolte nel dramma: i genitori, i fratelli, molti membri della famiglia estesa, amici o colleghi di lavoro. Così, come al momento del matrimonio gli invitati si dispongono in chiesa sul lato destro o sinistro a seconda se fanno parte del clan della sposa o dello sposo, altrettanto adesso si formano le fazioni, le squadre. Alle prese con le controversie ciascuno sarà chiamato a dire con chi sta (Gerstel, 1987); 5. la separazione psichica esprime il livello maggiormente compiuto della vicenda: essa segna il momento in cui ogni partner percepisce se stesso come un'entità del tutto differenziata dall'altro. Non solo sotto il profilo della partecipazione affettiva, ma anche come dimensione dell'essere e del vivere, in cui l'altro non ha più posto come partner, ma solo come ex; 6. la separazione genitoriale è uno dei passaggi più delicati e che in modo particolare interessano la mediazione familiare: di regola, con il concludersi del rapporto, i genitori dovrebbero mantenere un comportamento corretto tra loro e verso figli. Quando il distacco va a toccare componenti relazionali dove dominano questioni di principio, di valori, frustrazioni o rivendicazioni di uno, o addirittura di ambedue, ne possono derivare effetti negativi sull' accudimento e la protezione dei figli. In questo senso sembrano divenire distaccati dai bisogni dei bambini: un esempio comune è di quando questi finiscono, per tempi più o meno lunghi, "appoggiati" a una tata, una zia, o una nonna, senza spiegazioni di quanto sta accadendo.
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4. Separazione e reazioni nei figli Il processo post-separatorio implica da un lato l'esistenza di un nuovo sistema genitoriale riconnesso e coerente con la separazione, da un altro, radicali riadattamenti individuali. Questo sviluppo verso un nuovo ordinamento funzionale è attuato presto nelle strutture più sane. La riconnessione strutturale comincia quando genitori, figli e componenti della famiglia allargata, trovano nuove regole di funzionamento con un progressivo attenuarsi delle simmetrie, e sempre maggiore cooperazione (Weiss, 1975).
1. I bambini divorziati Abbiamo visto come i dissapori dei genitori possono determinare una sofferenza nei figli in fasi assai precedenti: in generale hanno prospettive peggiori quei figli che per lungo tempo hanno sperimentato il cattivo funzionamento dei genitori stessi. I bambini che sono stati correttamente fatti partecipi dai genitori delle loro difficoltà, e rassicurati sulla garanzia della loro presenza e della loro protezione, supereranno abbastanza bene l'evento separatorio. Al contrario, nelle situazioni in cui i genitori hanno interagito con disapprovazione o aggressività reciproche, o, peggio, hanno coinvolto i figli già molto tempo prima, si avranno più facilmente conseguenze negative (Amato e Keith, 1991; Eme ry, 1988; Block et al., 1988). Certe persone non riescono, specie nelle fasi tumultuose in cui il processo si determina, a mantenere una chiara percezione del loro ruolo genitoriale: può sfuggire loro il fatto che la coppia, intesa come "coppia genitoriale" dovrebbe mantenere intatta la propria funzione. Durante le varie crisi certi bambini sono stati triangolati nella conflittualità e hanno manifestato reazioni acute Hanno temuto fortemente la perdita della coppia genitoriale intesa come garanzia. I valori d'attaccamento, in modo variabile con l'età, hanno vacillato di fronte al pericolo. Un bambino, nel momento della separazione, subisce l'oggettiva privazione del sostegno della coppia genitoriale e non saprà più gestire i suoi processi d'identificazione e l'immagine di sé. Potrà sentirsi perduto, specie se è piccolo, quando vede concretizzarsi nella realtà certe sue fantasie di scomparsa dei genitori. Questa perdita, nella percezione dei bambini, è una delle cause principali di sofferenza. Da parte di molti studiosi si sostiene che essi soffrono sempre (Jouriles et al., 1991; Porter e O'Leary, 1980; Rutter, 1970). Durante le ultime fasi della separazione, sono stati spettatori di una catastrofe che ora si sta abbattendo su di loro in modo massiccio. Nelle situazioni, per così dire 81
"comuni", i due separati, adulti, dispongono di persone con cui confidarsi, sfogarsi, o consultarsi. Sono in grado di prendere decisioni nel campo del lavoro e delle abitudini: in qualche modo compensano il peso di quanto sta accadendo. I bambini non sono in grado di fare tutto questo, sono in balia di quello che i grandi (e persino un giudice), stanno decidendo "su di loro". Per un adulto la fine del legame è un evento relativamente recente della sua vita: egli dispone di un passato e, in qualche modo, è in grado di prevedere un futuro. Per un bambino la famiglia è l'unica cosa che ha posseduto e sperimentato: essa rappresentava l'intero suo mondo, e in essa sono contenute le sue più profonde e originarie memorie. Con la separazione, il temuto diventa realtà, o si verifica senza preavviso. A quelli che erano i disagi in precedenza descritti, si aggiunge l'esperienza della reale privazione. L'allontanamento da casa di uno dei due genitori, che è il modello più ricorrente, costituisce forse l'evento più drammatico, e i figli avranno reazioni diverse in rapporto all'età, al sesso, al livello di maturità, al ruolo occupato nella famiglia e soprattutto al livello di preparazione emotiva ricevuto in precedenza. A suo tempo abbiamo proposto la dizione "bambini divorziati" (Bogliolo e Bacherini, 2003) per intendere i figli di genitori separati, che come tali possono avere problemi personali e sociali; ma anche a indicare che sono bambini separati dai loro genitori, o meglio dalla coppia genitoriale. Come tali sono esposti alle conseguenze della perdita, all'esperienza abbandonica. Infine sono bambini separati da sé, nei quali la stessa percezione dell'identità può vacillare. Il divorzio investe la loro coscienza di sé e l' autostima. Oltre a questo accade che spesso ciascuno dei genitori ritenga paradossalmente di essere il più idoneo a comprenderne i bisogni; a volte cercandone una conferma sociale, affaccendandosi per far sapere all'ex partner e a tutto il mondo, che si è l'unico vero buon padre, o buona madre. Si può assistere anche a eccessi, solo dimostrativi, di protettività. Così una madre può prendere iniziative sanitarie o cercare consultazioni psicologiche, oppure predispone soggiorni climatici per bambini che non ne necessitano, al solo scopo di sottolineare la propria premura e indispensabilità. Tornando al tema delle situazioni non risolte, non di rado si trovano separati ancora travolti dalla tempesta dei sentimenti, oppure immersi nella palude dell'inconsapevole negazione di ogni problema. Preoccupanti sono i comportamenti di una madre che elegga un bimbo come proprio confidente e protettore. Il bambino, accettando l'alleanza, si troverà nemico proprio dell'oggetto desiderato e perduto: il papà. Ma non potrà opporsi alle sollecitazioni materne. Certi figli di separati ricevono messaggi affettuosi da parte di un padre nello stesso momento in cui quello afferma che la mamma
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è cattiva e del tutto inadeguata. Essi non sono in grado di rifiutare questo contatto gratificante, ma neppure di accettare le critiche all'indirizzo della madre. È relativamente frequente il caso di un genitore che chiede al figlio di tenerlo al corrente sui comportamenti dell'ex coniuge; spesso accade quando l'altro abbia instaurato una nuova relazione sentimentale. Il bambino potrà finire per essere incaricato di un vero e proprio spionaggio. Avremo di conseguenza un incremento delle difficoltà del minore: infatti questo incarico, difficilmente rifiutabile, porterà anche a un peggioramento dei rapporti dei genitori con il bambino stesso. Il genitore sorvegliato si sentirà sempre meno naturale e spontaneo, dal momento che ben presto comprenderà che il bambino trasporta e consegna continuamente informazioni sul suo conto. Intanto l'altro genitore vive in funzione delle notizie che il suo piccolo informatore deve portare, e fatalmente tende a distaccarsi da un rapporto emotivo e a disinteressarsi dei bisogni di lui'. Queste strutture poco funzionali, se non sono transitorie, diventeranno fattori di controindicazione alla mediazione familiare.
2. Le reazioni alle varie età Utilizzeremo il termine reazione per indicare le manifestazioni dei figli connesse strettamente alle situazioni di cui essi sono attori e spettatori. R. Wells (1996) riporta un tema di un dodicenne, che racconta come poco tempo prima i genitori si erano seduti ai lati, prendendogli le mani, per informarlo con ogni riguardo che si sarebbero divisi, ma anche che il loro amore per lui era invariato, per ora e per sempre. Il programma era che rimanesse con la mamma, ma, se lui voleva, potevano fare il contrario; ambedue stavano piangendo dirottamente. Il ragazzo scrisse: "allora ho lasciato le loro mani, che altro potevo fare?". Nell' ambito delle reazioni alla separazione dei genitori, è importante distinguere quanto accade nei bambini più piccoli rispetto a quelli più grandicelli, in fase di preadolescenza o di adolescenza, per le differenze esistenti tra questi due periodi della vita. Quanto minore è l'età quanto maggiormente domina il bisogno di protezione. L'attaccamento si esprime attraverso la garanzia del nutrimento, ' I casi in cui, dentro queste lotte e tentativi di sopraffazione, un figlio può essere segretamente conteso dai genitori, e sottoposto a una serie di occulte prevaricazioni, sono stati ampiamente descritti da A. Dell'Antonio (1993). 83
delle cure, dell'offerta di calore umano e di un rifugio dalle paure. J. Wallerstein e J. Kelly (1980) hanno studiato le reazioni dei bambini in relazione all'età, separando diversi periodi: un primo fino a otto anni, prescolare, un secondo tra i nove e i 12 (preadolescenza) e infine quello dell'adolescenza. Adotteremo, con le opportune modifiche, il loro schema. 2.1. Nell'infanzia Nell'infanzia si osservano alcuni quadri ricorrenti, dominati da manifestazioni di timore, ansia, depressione, fantasie magiche di ricomposizione della famiglia che accompagnano l'angoscia di rimanere abbandonati e soli. Sono bambini che non dispongono di sufficienti capacità di elaborazione del proprio dolore, subendone in modo completo la pervasione. Nei bambini in età prescolare il fatto, soprattutto nei suoi significati incomprensibili, può frantumare le più profonde e vitali fondamenta della loro vita, generando un primitivo senso di instabilità dove è difficile, o impossibile, trovare consolazione o rassicurazione. Talvolta uno dei genitori scompare mentre il figlio dorme; altre improvvisamente arriva un familiare a prelevarlo per qualche giorno: al suo ritorno non troverà più la madre. Egli si troverà a non avere niente con cui confrontare il proprio dolore e la propria disperazione'. I bambini più piccoli, a differenza degli adulti, sono carenti di modelli di pensiero, e ancor meno di strumenti verbali, per esprimere quanto loro sta accadendo: essi spesso sono del tutto in balia di questa esperienza, senza poterne fare neppure un racconto o dare una spiegazione. Così li vedremo semplicemente irritabili o disubbidienti, o anche aggressivi e violenti. Talora sono tormentati da incubi terrifici, centrati su uccisioni, o animali feroci che divorano loro o uno dei genitori. Nei più piccoli sembrano prevalere disagi e somatizzazioni di tipo regressivo, con distacco emotivo, rifiuto del gioco, perdita del controllo sfinterico, caduta dei capelli, irritabilità, pianto irrefrenabile, balbuzie, mal di pancia. Verso i cinque anni il bambino avverte maggiormente la distruzione del suo mondo relazionale, con riverberi cognitivi. Ne possono seguire esperienze di smarrimento, disturbi del linguaggio, ritiro. Dopo i sei anni, pur crescendo la comprensione della situazione, la ferita resta grave; è frequente in questi 2 In una ricerca (Levinger e Moles, 1979) 1'80% dei bambini di separati erano del tutto impreparati, anche se per un certo tempo ne avevano vissuto i segni premonito ri . Numerosi studi riportano dati provenienti da ricerche su questi meccanismi (Walker, 1974; Toomin,
1974; Wilkinson, 1981; Sines et al., 1984; Stolberg e Garrison, 1985; Philips, 1983; Adams 1984; Zaslow, 1989).
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bambini la produzione di fantasie distruttive, oppure ossessività, disordini alimentari (iperfagia o rifiuto del cibo). Talvolta compare il vomito dopo l'incontro con un genitore. È importante rilevare come, nella loro drammaticità, questi disturbi sono di solito transitori, ma anche è di grande importanza riflettere sulle componenti emotive, delle quali essi non sempre sono in grado di fornire una descrizione. Una delle reazioni più frequenti è la negazione, che emerge secondo un intuibile meccanismo autoprotettivo. "Questo non è successo...", oppure: "Non è vero...", sembrano essere le sue convinzioni preferite. Così il bambino continuerà a trovare ragioni più o meno bizzarre per affermare che certamente i genitori saranno presto di nuovo insieme. Dice un bambino di sei anni: "I miei genitori non sono separati; hanno solo deciso di non sposarsi più". In buona parte dei casi questo artificio funziona, rassicurandolo però solo in modo transitorio. Un'altra attitudine che si osserva con frequenza nei piccoli è quella al pensiero magico'. Il bambino utilizza la sua tendenza naturale a questo per tentare di modificare il corso degli accadimenti che lo hanno travolto. In modo teneramente ingenuo alcuni cercano di avviare una sorta di contratto con Dio, con la Madonna, o con la propria coscienza, promettendo rinunzie e buone azioni purché i genitori si riconcilino. Ne possono scaturire rituali ossessivi, tendenti a un'esorcizzazione degli accadimenti. La rabbia è pure frequente: anche questo sentimento ha origini difensive, e nel nostro caso si connette, al momento dell'ineluttabile delusione, a un vissuto di privazione di qualcosa che il bambino ritiene suo. Egli si considera pertanto un derubato... addirittura della propria famiglia. In queste fasi gli sforzi degli adulti per trovare in lui ragionevolezza e controllo sono utopistici. R. A. Gardner (1977) scrive a questo proposito: la maggior parte dei bambini di divorziati sono arrabbiati in quanto vogliono vedere i loro genitori di nuovo insieme, mentre questi non ne vogliono sapere. Anche se i genitori spiegano loro che non stanno più insieme perché hanno smesso di amarsi e insieme sarebbero solo infelici [...1 questi bambini persisteranno nella loro rabbia, perché non riescono a smettere di credere di poter cambiare le menti dei loro genitori; e più che sperano e provano, tanto più saranno arrabbiati e aggressivi Altri bambini possono essere aggressivi verso quel genitore che ha 3 Abbiamo visto come tale meccanismo emerga anche negli adulti, quando uno dei due si prodiga con prove di resistenza, di abnegazione, di fiducioso coraggio, nel proprio compito, per ribaltare il percorso di un destino crudele. Si tratta di atteggiamenti dove una componente sacrificale, tendente a riscattare se stessi dai propri errori, assicurerebbe una svolta degli eventi.
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messo loro paura con la sua violenza, o è apparso loro inaccessibile e rifiutante. Sono anche frequenti gli episodi in cui un bambino colpisce fisicamente la madre con cui è rimasto a vivere. Per esempio in ragione di sentimenti ambivalenti connessi da un lato a una sua alleanza/solidarietà con la madre contro il padre, dall'altro l'attribuzione alla stessa della responsabilità della sparizione del padre stesso. Ovviamente può accadere il contrario. Nicoletta, una bambina di nove anni, raccontava alla maestra: "Io sogno continuamente i miei genitori che muoiono; bevono del veleno e poi invocano aiuto. Sono sicura che muoiono e io vorrei trovare del veleno per morire con loro". L'ansia è una presenza quasi costante. Il sentimento d'attesa penosa investe i bambini in quanto viene a reificarsi la minaccia della perdita di ogni sicurezza. La separazione appare loro come una cosa assurda, incomprensibile, espressione solo di una ingravescente deprivazione affettiva. Si sentono esposti a ogni sorta di disgrazia.
Pierina, una bambina di sette anni, riferì alla sua psicoterapeuta come immaginava che il padre, che se ne era andato da casa senza nemmeno una spiegazione e senza salutarla, fosse stato ucciso o rapito. Altre volte pensava alla sua morte dovuta a fame o altre disgrazie. L'ansia assume spesso le tinte della vera e propria angoscia. Il senso di perdita di sicurezza si esprime in una serie di domande piene di tormentosa attesa: "Quando rivedremo papà? Ma viene di sicuro? Quando? E la casa sarà la stessa? Ci chiamerà al telefono? Perché non abbiamo il suo numero? Ma il cane resterà con noi? Perché il nonno si è arrabbiato tanto? Perché la nonna piange? Ma ora dov'è la mamma?". Il senso di colpa è frequente e doloroso. Esso può pervadere la mente dei bambini, i quali sentono così di essere responsabili della separazione dei loro genitori. Possono fantasticare di aver commesso gravi trasgressioni, di aver detto cose sbagliate, o di aver offeso qualcuno in modo imperdonabile. Spesso, quando si riesca a evidenziarle, queste fantasie sono riferite a eventi del tutto innocenti, come l'aver rifiutato di prendere una medicina, o aver fatto un capriccio nell'andare all'asilo. Finiranno per viversi come cattivi, e indegni di essere amati. Esiste una vasta letteratura a questo proposito, e anche testimonianze provenienti dalla cinematografia. Nel film Kramer contro Kramer, il protagonista, un bambino coinvolto in una separazione genitoriale, a un certo momento si abbandona sul letto, e 86
piange disperatamente, dicendo: "La mamma è andata via perché sono stato cattivo". Ecco un esempio, scritto a scuola da un bambino d'otto anni: "II mio papà se n'è andato perché quel giorno io volli andare in bicicletta dove volevo io, e quando lui mi chiamò gli risposi di no, e di andarsene via. Così lui lo fece, e si separò dalla mamma...". Ecco un'altra confidenza di una giovanetta di nove: "La mamma non mi sgridava, ma io mi accorgevo che era molto scontenta di me quando la mattina trovava il letto bagnato. 'Te la sei rifatta addosso!' diceva, 'Di questo passo non troverai marito e resterai sola'. Invece ho perso il mio papà, che è andato via, e questo è peggio".
Queste esperienze possono lasciare segni pesanti nel tempo; il senso di colpa potrà più tardi indurre un andamento patologico nello sviluppo della personalità e nelle tendenze. Per esempio si ritiene che casi di questo genere spieghino la successiva emergenza di bisogni compulsivi di essere puniti, o di creare le condizioni per essere a loro volta abbandonati da un partner. Molti bambini hanno sperimentato il senso di solitudine nelle famiglie in cui i genitori passavano molte ore fuori di casa, non tanto per il lavoro, quanto perché già era in corso la loro crisi. Quando si determina la separazione reale, la solitudine è avvertita in modo assai più pesante. Un turbamento di questo tipo si può verificare quando un genitore se ne va all'improvviso: il bambino può avere la sensazione di una solitudine lacerante, che il genitore rimasto non riesce a colmare Con il passare dei giorni, questa esperienza si può strutturare su livelli più articolati: per esempio quando il genitore rimasto va a lavorare, e quindi è assente da casa per molte ore. In questi momenti il bambino può facilmente cadere in fantasie negative che anche questo possa non tornare e che lui resti abbandonato. Il sentimento più intenso, e senza dubbio più preoccupante, è la depressione. La reazione depressiva si manifesta con stanchezza, sonnolenza o insonnia, perdita dell'appetito, distrazione, diminuzione degli interessi e dello stimolo al gioco, ripiegamento su se stesso. Talvolta compaiono anche veri e propri pensieri tristi, riflessioni malinconiche, fino a, sia pur rari, tentativi di suicidio. Nei casi meno gravi si osserva una caduta in verticale della selfesteem, e la percezione di non poter essere aiutati da nessuno. Nella loro esperienza disperata, che qualcuno ha paragonato a una mutilazione, questi bambini spesso tendono a identificarsi con il genitore con cui sono rimasti. Quindi paura, insicurezza, senso di solitudine possono essere simili, e 87
sommarsi con quelli del genitore abbandonato. Tristezza e dispiacere sono sentimenti coerenti con quanto sta accadendo, ma in un bambino si sviluppano all'interno di una reinterpretazione cognitiva ed emotiva. La depressione, intesa come sindrome psichiatrica, può comparire in queste circostanze e assumere un andamento quanto mai tumultuoso. Infine, la rassegnazione costituisce un esito psicologico frequente della vicenda separazione. Non intendiamo la rassegnazione come un modo di farsi una ragione, affrontare con pazienza gli eventi, bensì come una modalità di adeguarsi passivamente ai fatti, avendo perduto ogni capacità di reagire. In questo senso si assiste all'abbandono dello stimolo al gioco, delle sfrenatezze e dell'allegria, per ripiegarsi in manifestazioni di abnegazione, di solito a sostegno del genitore convivente. Dentro la rassegnazione questi bambini, anche piccoli, assumono spesso ruoli francamente innaturali di consiglieri, di confidenti, o addirittura di guida del genitore, dimenticando la propria fantasia. Sono spesso segnalati casi d'apparente maturazione precoce, con esibizione di un'improbabile capacità di comprensione e di consolazione dei genitori, e in particolare di quello affidatario. Questo fenomeno è assai più frequente nella preadolescenza. Quando ciò accade, essi facilmente saranno poi incaricati per lungo tempo di questo compito. Mariella, una ragazzina d'otto anni, si era dedicata, in modo operativo e razionale, alla madre separata e sofferente di un disturbo neurologico. Molto di più di quanto i problemi della madre richiedessero, essa si adoperava, fin dal primo mattino, per mantenere in perfetto ordine la casa, predisporre la sorella minore per l'asilo, aver tutto pronto per il pranzo, controllare la lavatrice ecc. Questa operosa, piccola massaia, si sostituiva alla madre, amplificandone i problemi, dentro una inconfessata fantasia magica di far tornare a casa il padre. Da un lato sembrava accettare il destino da cui non poteva sottrarsi, da un altro, questa presa di posizione malcelava la speranza che attraverso il proprio impegno, con relativa rinuncia alla propria spensieratezza, si potesse compiere la miracolosa fine di quella brutta storia. Sempre alla rassegnazione appartiene l'assunzione di un atteggiamento fatalistico, in cui si mischiano il pensiero magico, la negazione, la depressione. Interessante un caso segnalato da R. Wells (1996): "Se non mi fanno vedere il mio papà, preferirei che fosse morto. Almeno potrei visitare la sua tomba. è mio padre per sempre".
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2.2. Nella preadolescenza Il secondo gruppo indicato da J. Wallerstein e J. Kelly, in ragione dell'età prescelta (9-12, older school-age), ci fa pensare alla preadolescenza così come descritta a suo tempo da H. S. Sulliv an (1961; 1972). Anche la reazione dei preadolescenti alla separazione è dominata dai vissuti di perdita, e da una forte sofferenza con componenti depressive. Inizialmente essi manifestano profondo disagio, connesso all'acquisita capacità di comprendere quanto accade: a questa età è molto più difficile attuare risposte di negazione, come invece accade in età inferiori. Dominano peraltro ancora le fantasie su una riconciliazione dei genitori. Curiosa quella di un bambino di 12 anni, raccontata a una zia presso la quale era ospite dopo la divisione dei genitori: "Ho visto alla televisione di due bambini che sono stati rapiti. I genitori erano disperati e li cercavano dappertutto, poi con un poliziotto li hanno ritrovati e li hanno portati a casa. Vorrei che succedesse anche a me e a mia sorella". Molti di loro strutturano idee angosciose, centrate sul terrore di una fatale, tragica dissoluzione di tutta famiglia, e quindi sulla propria condizione di abbandono completo. Gli stati d'animo verso i genitori sono mutevoli: possono avere palese ostilità verso un padre che ha lasciato la famiglia, oppure legarsi a lui in modo intenso, sviluppando sentimenti ambivalenti verso la madre, ritenuta in qualche modo responsabile della scissione. Una ragazza di 18 anni, figlia di divorziati, racconta, riferendosi al suo passato: "Avevo solo 11 anni, ero bambina, ma 'certe cose' già le capivo. Così un giorno tornai a casa e trovai mia madre a letto con un tale, vicino di casa. Scappai nella mia stanza e piansi per ore e ore, senza riuscire a smettere. Mia madre non mi cercò, a cena fece finta di niente e neppure io le parlai. Poche settimane dopo papà improvvisamente ci lasciò. Io l'ho odiata per degli anni, pensando che era andato via solo per colpa sua. Sono rimasta con lei, ma non ne ho mai parlato".
Come abbiamo già segnalato, questi eventi si possono accompagnare a pesanti conflitti di lealtà nei confronti dell'uno o dell'altro genitore. La separazione può indurre tentativi di sostegno rivolti al genitore ritenuto in maggiore difficoltà. Sovente questi minori assumono un atteggiamento apparentemente razionale e ipercontrollato: a esso corrisponde invece un profondo senso di disorientamento. Ma è più difficile in questi casi che essi la89
scino emergere, come nei più piccoli, risposte elementari di rabbia, di aggressività, o di sconforto interiore. Un bambino di 12 anni aveva cominciato ad avere fantasie fobiche aventi come tema i coltelli, subito dopo la separazione dei genitori: aveva un forte risentimento contro il padre, che se ne era andato, e nello stesso tempo minacciava la madre di ucciderla, di sgozzarla ecc. In questi bambini possono comparire, come nei più piccoli, reazioni compensatrici, come per esempio l'enuresi notturna, o l'iperfagia, oppure l'avvio di rituali ossessivi. Oppure ancora disturbi più organizzati, come cefalee persistenti, gastriti o asma bronchiale, che i pediatri indicheranno come psicosomatici. In altri casi si osservano disturbi di tipo dismorfofobico, con difficoltà alla percezione del proprio corpo nella sua interezza o di parti di esso. Connessi a un senso di colpa, più evidenti sono certi comportamenti abnormi, che tradiscono facilmente il segnale del disagio e il richiamo dell'attenzione su di sé, spesso come ricerca di punizione: piccoli furti, fughe da casa, cambiamento radicale del rendimento scolastico o delle relazioni coi compagni di scuola e gli insegnanti. Man mano che il giovanetto cresce, ma prima che esploda la pubertà, sembrano dominare i tentativi di entrare nella vicenda genitoriale e di correggerne il decorso. Guido, un bambino di 12 anni, dopo la separazione dei genitori, aveva assunto dei comportamenti esageratamente adulti per la sua età: non frequentava i suoi amici che definiva piccoli, era estremamente impegnato nella buona conduzione della casa e in questo tendeva a sostituirsi alla madre e spesso a rimproverarla se non era efficiente. Di fronte all'idea di non potersi affidare completamente ai genitori era diventato apparentemente tirannico, rappresentando una poco probabile figura paterna. Quando occasionalmente ebbe un colloquio con un neuropsichiatra, ben presto il suo edificio di difesa si sgretolò, per lasciare il posto alla sua disperazione, al bisogno di aiuto e di protezione. Riportiamo qui un articolo comparso nella cronaca del Corriere della
Sera del 2 settembre 2004:
A scuola, oggi, c'è ancora qualche insegnante disposto a prendere in considerazione i "problemi" dell'alunno con genitori divisi? Fenomeno di ordinario disagio, si dice. Ed è vero. Le aule pullulano di "nuovi orfani". Ma quando la cronaca ti spiazza con la crudezza del fatto "Dodicenne accoltella alla gola la madre per punirla della sua colpa", allora si torna a riflettere. È accaduto in questi giorni, ad A., in provincia 90
di Vicenza. Un macabro gioco, inscenato da una ragazzina, che convince la madre a bendarsi gli occhi, e poi le conficca una lama nel collo. Tragedia evitata per un soffio. Lo scenario 4 : Giuseppe A., muratore quarantenne, Concetta, casalinga trentacinquenne, separati da circa un anno, dopo 15 di matrimonio. Tre figli, Anna, 12 anni, e due gemelli di otto. Affidati alla madre. Poi c'è il nuovo compagno di lei, che di tanto in tanto abita con la donna e i tre bambini. "La verità è — racconta Concetta — che mia figlia preferisce vivere con il papà, anche se lui la trascura. La trascura, ma l'accontenta in tutto: bicicletta, ricariche del cellulare, regalucci vari. Poi non si preoccupa se la ragazzina, dopo la scuola, resta da sola e fa ciò che vuole. Ho tentato tutte le strade per riportarla da me, senza risultati. Ho chiesto aiuto ai servizi sociali, nessuno mi ha dato retta più di tanto". Come ha potuto Anna covare tanto rancore verso la madre? La versione di Concetta P. è che il marito, ferito nell'orgoglio, ha riversato sulla giovane figlia i suoi umori. "Mi dipingeva come una donna indegna, e Anna gli ha creduto. Allora ha voluto punirmi". Il dramma si consuma venerdì 27 agosto: interno, camera da letto: mamma e figlia sedute sul letto chiacchierano. All'improvviso, Anna dice: "Ti bendo gli occhi con un fazzoletto, facciamo un giochino...". Concetta è perplessa. "Hai paura?" "Un po'. Non è che hai un coltello e...", replica, cedendo però alla richiesta di bendarsi. E' un attimo, il sangue comincia a colare dal collo... "Mi sono toccata, ho capito subito che cos'era successo", spiega. Poi Concetta disarma la figlia e dà l'allarme ai carabinieri Anna continua a ripetere: "Non volevo farlo, non volevo". La conclusione (provvisoria) della vicenda è l'affidamento della dodicenne a una famiglia di un paese vicino.
2.3. Nell'adolescenza
Quando si avvia lo sviluppo puberale il giovanetto, imbrigliato tra l'infanzia e la maturità, è chiamato a sostenere emotivamente l'impatto con il mondo esterno. In questa fase della sua vita dovrà saper sostenere sia la perdita della sua infanzia che la sperimentazione di nuovi rapporti. Ricordiamo come nell'adolescenza i processi di rielaborazione cognitiva ed emotiva diventano difficili, o molto ardui, quando il giovanetto si trovi alle prese anche coi propri genitori in crisi. Diventerà così assai più difficile la ricerca della propria identità, attraverso l'acuirsi delle differenze tra sé e le figure parentali. Quando l'adolescente è coinvolto in un conflitto genitoriale, i suoi comportamenti anche leggermente trasgressivi vengono sistematicamente ridefiniti: "È così a causa dei comportamenti di sua madre, oppure è così a causa dei comportamenti di suo padre". Tutto sarà stravolto in caso di separazione. In questa egli vede attuati da qualcun altro gesti che erano, per così dire, scontati nel suo sviluppo, come l'opposizione, la sfida, 4
I nomi sono di fantasia.
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le trasgressioni. In questo senso può percepire, per esempio, di essere stato superato da uno dei genitori: quello che se ne va. Questo accade perché quel genitore lo sta anticipandolo in materia di trasgressione, assumendo un comportamento che lo blocca, per contrasto, in una posizione corretta. Proprio queste circostanze possono legare un figlio in un rapporto di dipendenza con l'altro genitore. Difficilmente questi figli dispongono di una percezione positiva della famiglia: quasi tutti hanno avuto una partecipazione, anche durata anni, alla discordia genitoriale. Di questa hanno avuto più o meno paura, su questa hanno costruito fantasie negative che ora diventano realtà. Questi fatti possono provocare una caduta della stima verso i propri genitori, con conseguente e parallelo senso di colpa per questo sentimento negativo. Per attenuare in parte questa condizione, possono accettare le proposte d'alleanza da parte di un genitore contro l'altro: così avranno un alleato e un nemico. Oppure la reazione difensiva sarà di rabbia, verso ambedue e verso tutti. Questo è lo stadio del processo nel quale i figli corrono seri rischi: possono vivere i genitori come figure estranee e sentire di aver perduto ogni controllo sull' ambiente in cui vivono. Esiste però una differenza sostanziale, rispetto al bambino piccolo, ma anche rispetto alla preadolescenza: l'adolescente difficilmente subirà lo shock improvviso della separazione dei genitori. Anzitutto in quanto negli anni precedenti questi ragazzi possono avere vissuto direttamente, o appreso il senso di queste vicende da amici o altri familiari, o infine perché li hanno osservati attraverso la televisione. Essi sono stati quasi sempre al corrente della vicenda e a essa partecipi, sia in quanto già chiamati dentro da uno o da ambedue i genitori, oppure perché talvolta sono intervenuti fisicamente a frenare le risse. Altro elemento di turbamento è la libera interpretazione che i genitori possono dare ai fatti, anche se con un certo intendimento di informare i figli. Ecco il racconto di Ginetta, di 15 anni: "Papà ci aveva presi da una parte, me e mio fratello, e aveva detto che doveva andare a lavorare in Germania per un periodo lungo, e che la mamma non voleva andarci 'neanche morta', perché là era troppo freddo. La mamma invece disse che lui aveva il vizio di bere e che per questo gli aveva detto di andarsene. Avevamo io nove anni e mio fratello cinque; papà non è più tornato e non abbiamo mai saputo se è scappato o se è morto alcolizzato. Chi diceva la verità?". ,
Da un altro punto di vista, potremmo pensare che per certi adolescenti si tratti di un evento anche salutare, che consente finalmente una loro
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emancipazione forzata; bisogna tenere conto però che per coloro che di fronte alle vicende genitoriali hanno in qualche modo procastinato il proprio svincolo, le cose possono andar peggio. Assunta, una ragazza di 18 anni, nel raccontare la sua vita con la madre disse: "Quando mio padre se ne andò io avevo solo otto anni, ma pensai che se non mi fossi occupata di lei, anche essa mi avrebbe lasciato... e per rassicurarla pensai che mi dovevo occupare anche della mia sorellina di cinque anni. Adesso sono qui, e non posso smettere di aiutarla...". E Luigi, un adolescente di 15, scrive in un tema: "Sono convinto che il concetto di trasgressione dovrebbe essere esteso anche ai comportamenti infantili di certi genitori. Mio padre si è innamorato di una donna molto giovane, e fa il ragazzino. Mi fa rabbia e m'impedisce di innamorarmi".
Possono anche accusare il genitore con cui vivono d'essere responsabile di aver mandato via l'altro. Il meccanismo è analogo a quello della preadolescenza, ma più strutturato. Tutto questo spiega l'emergere di esplosioni di aggressività o di collera verso il genitore ritenuto responsabile dell'evento, o verso entrambi. Nella ricerca di J. Wallerstein e J. Kelly (1980), si colloca il periodo dell'adolescenza tra 13 e 18 anni, mentre per noi può essere molto più prolungata. Quando si separano i genitori di adolescenti, la già complessa condizione psicologica, propria di quell'età, si complica in quanto i primi sono fortemente deviati dalle loro angustie, e in genere si comportano come se i figli fossero già abbastanza grandi per capire e tollerare i loro problemi, anzi talvolta addirittura per aiutarli. Ecco la versione fornita da Salvatore, un ragazzo di 16 anni, a una psicologa che si occupava del suo non giustificato rifiuto di andare a scuola: "L'ho fatto perché voglio lavorare. Vivo con mia madre, divorziata da quattro anni, e il mio fratello Roberto di 11 anni. La mamma non riesce ad andare avanti con i pochi soldi che le da il babbo. Un mio amico mi ha detto che la povertà è una delle cause maggiori del divorzio. Per questo ho pensato di lavorare, di sostenere la famiglia e di evitare che succeda anche a me". Diceva una quindicenne: "Non sopporto mia madre quando mi domanda se è bella. Non sopporto di trovarmi in questa situazione... dovrebbe esserci mio padre qui, a risolvere questo problema!".
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Sul piano clinico, anche in adolescenza si possono osservare reazioni più o meno acute all'evento separazione: 1. una reazione frequente, equivalente alla negazione dei bambini, è il rifiuto di vedere il padre o la madre, e di conseguenza la pretesa di vivere con uno dei due da lui prescelto. In certi casi l'adolescente chiede di vivere con il genitore che si è allontanato: cerca così di verificare la sua capacità d'accoglimento e lo sfida nella sua capacità di continuare il rapporto. Questi comportamenti sono agiti in modo impulsivo, spesso del tutto irrazionale, con intensissime cariche emotive e di malcelata aggressività. Fenomeni tanto intensi quanto pari ai livelli di angoscia che trasudano da ogni atteggiamento del ragazzo; 2. in altre occasioni si riscontra l'avvio precoce di comportamenti devianti come l'uso di sostanze, o l'abbandono della scuola. Sono manifestazioni equivalenti alla rabbia del bambino piccolo; la trasgressione, l'insubordinazione, hanno in questi casi il significato della protesta fine a se stessa per un fatto che ha sconvolto la sua vita. Ritroveremo questi atteggiamenti anche in situazioni più complesse, dove emerge che il figlio in realtà era stato in qualche modo triangolato all' interno di una coppia disfunzionale. In questi casi il disordine relazionale pervade l'area della genitorialità, chiamando un figlio, attraverso i suoi sintomi, a giocare la sua parte nel sistema; 3. sulla stessa scia del comportamento abnorme legato alla rabbia, possiamo assistere ad altri atteggiamenti provocatori, come per esempio le fughe da casa, improvvise e senza meta, oppure la proposta di andare a vivere con un parente lontano o con un amico. Il pericolo è che s'imbattano in gruppi a rischio. Altri, meno autonomi, possono rinchiudersi in se stessi, abbandonando amici e scuola e sviluppando una reazione depressiva.
3. La vita sociale dei figli di separati I figli che, sia all'inizio sia a distanza di anni, hanno una sicura evoluzione positiva sono quelli in cui l'evento separazione, anziché costituire un trauma distruttivo, è servito per ristabilire un equilibrio da tempo perduto. Per prima cosa, anche se si sono adoperati in questo senso in precedenza, e a maggior ragione se non l'hanno fatto, i separati dovrebbero tenere a mente i rischi di sensi di colpa o le angosce di abbandono nei loro figli. Questi dovrebbero essere salvaguardarli da illusioni di riconciliazione, le quali spostano solo nel tempo l'imporsi della realtà dei fatti. 94
Sono i genitori a mandare informazioni: positive attraverso parole rassicuranti e con i contatti affettivi, oppure negative, con le reticenze, le affermazioni insincere su quanto sta succedendo. Il risultato è che i bambini non solo rischiano di rimanere disinformati, ma anche di essere chiusi in una visione distorta della realtà. I genitori sono vissuti dai figli come una unità difensiva: la perdita o la rottura di questa garanzia di sicurezza può essere devastante. Quindi è doveroso assicurarne loro la presenza, la continuità, all'interno di uno spazio sicuro, garantito. Essi pretendono i loro genitori, ne rivendicano la proprietà, non riescono, e non vogliono capire le spiegazioni logiche della vicenda. Hanno solo bisogno di essere sicuri di non perderli'. Perciò sarebbe auspicabile che i genitori si impegnassero nel rendere i figli partecipi, con la massima delicatezza, di ciò che sta accadendo. Dovrebbero essere fornite spiegazioni credibili della situazione, senza mai escluderli e senza mai tirarli dentro. È probabile che già in quella fase che abbiamo indicato come ultima tappa prima della separazione, o punto di non ritorno, sarebbe ancora possibile far qualcosa per prevenire il loro disagio. In sostanza una salvaguardia potrebbe essere attuata da parte dei genitori, cercando un contatto privilegiato coi bambini, centrato sulla confidenza e la rassicurazione. Rassicurandoli che certamente non perderanno mai l'amore e la vicinanza di mamma e papà. Si può considerare più salutare una separazione precoce, con una sana preparazione del figlio, piuttosto che uno stillicidio di crisi distruttive e ricomposizioni legate colpevolmente all'immagine sociale, a principi religiosi o economici. Allora la separazione rappresenta, nella sua dolorosità, un evento auspicabile che segna per un bambino la fine di un'illusione, ma anche l'interruzione di una serie di traumi. Si può affermare con Fthenakis (1989) che la maggior parte dei figli di famiglie divorziate riesce a superare l'evento della separazione senza danno per il loro sviluppo. L'incidenza di problemi persistenti nei figli di separati è possibile se sussiste una problematica irrisolta nei genitori che si sono, per così dire, "separati male", e la divisione ha mantenuto, o aggravato, i loro problemi interpersonali. In quegli adolescenti che hanno dovuto affrontare la separazione dei genitori in assenza di un sostegno, Long et al. (1987), in una ricerca su vasta scala, hanno evidenziato come vi sia una notevole caduta della self-esteem anche a distanza di tempo; è stata anche segnalata una 5 La scissione dei legami primari ha effetti particolarmente critici sull'adattamento dei "figli del divorzio" anche a lungo termine (Cigoli, 1998).
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maggior riservatezza, o anche atteggiamenti depressivi (Guidubaldi et al., 1987). In realtà, dopo circa un anno e mezzo, la maggior parte di loro trova un discreto equilibrio: i problemi che erano esplosi subito dopo la separazione appaiono in buona parte superati. Riferendoci ai sistemi esterni, in certi luoghi questi figli sono ancora additati, o addirittura compatiti, attraverso una loro identificazione di "figli di separati", come se questa fosse una loro "diversità". Fino a non troppo tempo fa in certi ambiti culturali era dominante il pregiudizio. Tra i parenti, gli amici, e talora nell'ambito scolastico, emergeva un atteggiamento frammisto d'ipocrita comprensione e di rifiuto verso di loro. Questi figli provavano esperienze di profondo disagio ogni volta che erano interpellati sulla propria famiglia. Rispondere i miei genitori sono separati, io vivo con mia madre, può divenire veramente penoso, se un giovanetto non è abbastanza sostenuto. Così certuni hanno dovuto lottare contro la vergogna l'autorimprovero per il trauma che hanno subito, con caduta verticale della self esteem. -
I figli di separati sono stati a lungo a rischio di abbassamento del rendimento scolastico, o afflitti da apatia, ansia, aggressività, depressione. Nel timore di emarginazione o di squalifica, i più grandicelli avevano paura di non essere accettati dai compagni e affrontavano male il confronto tra pari. Non sempre gli insegnanti disponevano di validi strumenti di protezione per questi minori anche perché, con le dovute eccezioni, nella letteratura per l'infanzia, le tematiche riguardanti le famiglie separate sono sempre state attentamente evitate, mentre si proponeva uno stereotipo basato sulla solidità perfetta e idilliaca del nucleo (Fazzi e Picerno, 1996). Non si prevedeva che si dovessero discutere in classe, attraverso storie e racconti, i diversi tipi di strutture familiari. Oggi è diminuito in modo radicale il significato negativo e l'atteggiamento stigmatizzante del fenomeno e l'esposizione di un caso generale può alleviare il sentimento di disagio, presente in certi bambini, per non essere come gli altri. Molte cose sono cambiate sia per una generale evoluzione culturale, sia per un diverso approccio pedagogico degli insegnanti. Si è convenuto che la scuola dovesse rispettare la vita privata degli alunni e delle loro famiglie e non manifestare mai giudizi di commiserazione nei confronti dei figli di separati. Certamente allo stato attuale essere figli di separati non costituisce più, per la maggior parte dei ragazzi, un grave problema: la diffusione del fenomeno e l'informazione tendono a banalizzarne la portata. Molto dipende dall'età degli stessi, dalla cultura locale, dal tipo di scuola. Il numero molto alto di figli di separati che frequentano le scuole ha attenuato il problema. È divenuto normale per i ragazzi parlare del nuovo status dei propri genitori, 96
questo anche grazie a una diffusa informazione, proveniente dai media, e anche per una evoluzione culturale che va permeando tutte le classi sociali. Ovviamente restano sempre i due genitori i principali responsabili di una buona o cattiva accettazione della loro condizione di vita. Mart a, una ragazza di una scuola superiore, che era oppressa dal suo segreto di vivere con la madre separata, si sentì fortemente rassicurata quando, cambiando liceo, scopri che nella sua classe ben nove dei suoi venti compagni avevano i genitori separati.
In realtà molti insegnanti svolgono una funzione di sostegno anche verso i genitori, per esempio quando si presentano da soli a prendere un bambino o per chiedere notizie. Non è necessario che una maestra s'improvvisi psicologa, può svolgere ottimamente il suo lavoro consultandosi semmai con il servizio di psicologia o con i servizi sociali, onde verificare le proprie valutazioni. Il gruppo dei compagni, se sensibilizzato al problema, può divenire un essenziale punto d'appoggio. Esiste a volte il rischio che certi insegnanti siano coinvolti nella controversia genitoriale e anche strumentalizzati da uno dei due, finendo in una sorta di allineamento a una ulteriore componente distruttiva'. Talora gli adolescenti cercano nell'insegnante una figura genitoriale: il docente può diventare un appoggio importante. Appendice. Bambini e famiglie ricomposte I figli riconoscono in un nuovo partner la conferma della fine della relazione dei genitori. Salvo eccezioni, nutrono scarse simpatie per i nuovi arrivati: anche se riescono a stabilire relazioni corrette, si trovano in una posizione di disagio rispetto all'intruso. La situazione è più delicata quando emergono sentimenti ostili, centrati sulla rivalità/gelosia. È piuttosto comune il caso delle giovanette: per esempio, se la nuova compagna del padre è molto giovane, la vicinanza generazionale può suscitare esperienze di tradimento, come se si trattasse di una vera e propria rivale, e comportare nuove laceranti esperienze abbandoniche. Si assiste sovente anche ad atti'
I risultati di una recente ricerca sul rapporto insegnanti e divorzio, sottolineano che da un lato il divorzio è ancora considerato una causa traumatica di disadattamento, anche se legittimata da una situazione di grave crisi familiare e da un altro esso è considerato come vicenda personale e privata su cui non è opportuno pronunciarsi (Gallo e Campana, 1991, p. 28).
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vità di competizione, o scene di gelosia, che vanno dalla squalifica al rifiuto, fino ad aperte provocazioni sessuali. Queste situazioni, nello sviluppo successivo dell'adolescente, possono portare alla ricerca, che può durare molto oltre la gioventù, di partner più anziani. La situazione peggiora quando il nuovo compagno/a trasmette segnali di squalifica nei confronti dell'altro genitore. I bambini più piccoli possono trovarsi ancora una volta incastrati nel dover mantenere un livello di disponibilità e di comprensione per le vicende affettive dei genitori, assumendo ruoli più adulti, se non addirittura protettivi. Un'altra occasione di difficoltà può emergere quando ambedue i genitori avviano una nuova relazione affettiva. Ne scaturiscono con facilità le richieste di passaggio dei figli dall'uno all'altro. Curiosamente possono venir fuori proteste da parte dell'ex coniuge già risposato, che teme che il (secondo) nuovo arrivato distolga le attenzioni dei figli o ne modifichi il comportamento. Su queste vicende possono attivarsi le famiglie d'origine'. È di comune riscontro che il genitore meno coinvolto è quello che aveva o avrà più facilmente nuovi legami. Quando la riconnessione postseparazione si sviluppa con l'inserimento di un altro adulto, legato affettivamente a uno dei genitori, si crea una struttura sistemica che renderà necessaria una nuova rielaborazione di tutti i sottosistemi adiacenti. I bambini saranno costretti ad adattarsi a nuovi confini, regole di funzionamento, sia rispetto al genitore, il quale ora si propone come legato a una persona diversa da quella cui essi erano abituati, sia al nuovo step parent. Inoltre dovranno gestire i rapporti con l'altro genitore, di fronte al quale ora appariranno come frequentatori di un personaggio che, in qualche modo, può essere un rivale. Nei primi anni della separazione, il genitore che tiene maggiormente i figli solitamente non struttura nuovi rapporti, perché teme di essere accusato di comportamenti dannosi per i figli stessi o di violazione degli accordi. Le componenti sociali, prevalentemente di ordine culturale, e connesse a tradizioni più o meno arbitrarie, fanno la loro parte. È un ambito in cui si prevede che un il genitore rinunci o procrastini l'avvio di una relazione nuova. Talora, quando uno dei separati avvia un nuovo legame, in difesa del proprio congiunto abbandonato, e dei bambini, può avere inizio una singolare mobilitazione tra i componenti la famiglia allargata, i quali si attiveranno contro il nuovo personaggio. Questo dovrà affrontare situazioni spiacevoli, come attacchi diretti, insulti, diffamazioni ecc. Riemergeranno accuse contro il genitore considerato traditore, anche se ormai si trova in una nuova posizione sociale. Queste vicende andranno poi configurandosi come uno scontro tra i due separati che appariranno i soli protagonisti della controversia. '
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Quando queste vicende si sviluppano in modo ordinato, si costruisce progressivamente una binuclearità familiare senza problemi (Scotti, 1989; Morawetz, 1984). Questo tipo d'evoluzione dei genitori separati appare coerente con le tendenze di una società dove l'incremento delle separazioni, e il crearsi di nuovi legami, sempre di più rendono abituale il contatto precoce dei bambini con nuove figure di adulti. In questo senso da parte di studiosi come R. Rodgers e L. Conrad (1986) o R. Felner et al. (1988) si parla di riorganizzazione della famiglia post-matrimoniale, come fatto che può attenuare i disagi dei figli e dei loro genitori. A distanza di tempo, i figli possono avere un'esperienza più stabile dell'equilibrio familiare quando entrambi i genitori si sono risposati: essi si trovano ad accantonare le fantasie di riconciliazione, e ad accettare il carattere definitivo del divorzio. Quando cominciano a funzionare, i due nuovi sistemi familiari, formati dai sottosistemi coniugali, due sottosistemi genitore-figlio e quattro sistemi intergenerazionali, necessitano di una serie di organizzazioni funzionali, le quali prevedono modelli di movimento dei figli tra queste due sponde e un adeguato comportamento degli ex coniugi. Se le cose vanno a buon fine, assisteremo a un processo di riconnessione strutturale, nel quale i partecipanti a questa rete complessa sono capaci di mantenere identità e funzioni separate e nello stesso tempo di conservare relazioni positive.
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Parte seconda La mediazione familiare relazionale
1. Post-separazione e controversie
È indispensabile fugare ogni equivoco. Abbiamo rilevato quanto sia delicato cogliere i confini tra quello che abbiamo indicato come residuo (positivo o negativo) delle esperienze tra due persone e la persistenza di disfunzioni relazionali. In sostanza, una delle ragioni per la comparsa di controversie nei separati riguarda una divergenza di vedute o di propositi sui figli, inasprite dalle reciproche contrapposizioni causate dai residui della storia precedente. In ogni caso il prevalere dei contenuti della disputa rispetto alla responsabilità genitoriale, porta all'accendersi della controversia. Non si tratta di una patologia della relazione, ma solo di una "distrazione" dal compito, un riverbero attivato dalla vicenda separatoria, uno squilibrio tra l' acquisizione di nuove identità e diritti a scapito della percezione congiunta dei doveri'. Questi genitori separati sono caratterizzati, così come abbiamo fatto per i bambini divorziati, da uno scollamento tra l'atto (di solito legale) che sancisce la divisione, e il mantenimento della funzione di coppia parentale. Il genitore divorziato è un soggetto che ritorna formalmente alla condizione pre-coniugale, ed è corretto che sia così. È però anche una persona che deve mantenere correttamente e responsabilmente la funzione di sorgente d'amore, protezione, educazione dei propri figli. Diana, una piacente signora di 44 anni, si era divisa dal marito a causa delle loro profonde incomprensioni. In realtà era intensamente legata al mondo della propria famiglia d'origine, che da sempre aveva una fattoria in Toscana, dove lei stessa ora lavorava come amministratrice. Il suo amore per la campagna aveva da sempre contrastato con le attitudini del marito, inguaI1 conflitto, inteso come disfunzione di fondo e non come contrasto d'opinioni o inappartiene alla sfera della psicopatologia relazionale e, come tale, al territorio delle psicoterapie. Si tratta di un ambito che non è pertinente a questo testo, ma a quello delle psicoterapie della coppia. 1
terpretazioni dei diritti e doveri,
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ribilmente cittadino. Al momento della separazione, la loro figlia Chiara aveva 12 anni, e Diana ottenne che non rimanesse con il padre per proseguire gli studi. Dopo circa un anno Chiara cominciò a rifiutare la madre e questa accusò l'ex coniuge di metterle contro la figlia. Il realtà, anche se effettivamente il padre aveva la brutta abitudine di squalificare la campagna, era pur vero che la ragazzina, quando era alla fattoria, era costretta ad apprezzare le cantine con il vino, l'allevamento dei polli, la poesia dell'alba, l'aria non inquinata ecc., cose che sua madre adorava, ma lei no. Il padre chiese una modifica del dispositivo di affido, e il contenzioso si apri ufficialmente intorno alla questione degli studi la figlia, dove da un lato la madre sosteneva che le scuole non erano lontane mentre il padre affermava che la figlia avrebbe avuto grandi vantaggi culturali e personali crescendo in città. La mediazione familiare fu proposta dal medico di famiglia. Ettore, un medico cinquantenne separato da un anno, aveva preso a concedere molti spazi d'autonomia alle figlie Piera (13 anni) e Antonella (15), rettificando ogni modello educativo della madre quando andavano nella sua casa il fine settimana. Quando passarono insieme i quindici giorni d'estate, lui mai le rimproverò, o impose loro di fare il letto, tenere in ordine la propria stanza o gli abiti, rispettare gli orari, non lasciare il bagno senza pulire ecc. Al ritorno dalla madre, le figlie esaltavano la bella esperienza trascorsa con il padre, e cominciarono contestare ogni tipo di controllo di lei: passavano il tempo alla TV, trascuravano lo studio, sostenevano che la madre era tirannica e ingiusta e il padre buono e accogliente. Di fronte a ogni rimprovero la risposta era: "papà non ci maltratta come te!". A seguito di segnalazioni scolastiche, la madre riuscì a sollevare il caso attraverso un consulente psicologo. Ma il padre sosteneva che in realtà lui altro non faceva che proporre soluzioni di vita più libere, alternative agli schemi rigidi, convenzionali e perbenisti dell'ex moglie. Fu comunque possibile avviare una mediazione.
Ci sono, a volte, degli errori grossolani nel comportamento di un genitore separato, legati alla sua convinzione che ai bambini piacciano le sue stesse cose. Questi casi spesso nascondono la delusione di non essere riusciti a trascinare l'ex partner nei propri interessi, hobby, tendenze artistiche, o semplicemente nelle abitudini. A proposito della genesi delle controversie tra divisi, D. Sprenkle e C. L. Storm (1983) affermano che queste difficilmente compaiono tra coloro che già lungo il processo di separazione hanno avviato un maturo percorso di distanziamento. In verità non di rado i disaccordi erano già in atto molto prima della separazione: per esempio già discutevano sulle rispettive re104
sponsabilità, sull'indirizzo educativo da scegliere, sulle cure mediche, sullo sport ecc. Queste divergenze possono essere opportunamente esplicitate durante il compimento degli atti legali, cioè in corso di separazione. Può accadere, infatti, che, proprio in quei giorni tumultuosi emerga una divergenza su qualcosa da decidere. A separazione avvenuta, di solito dopo una fase di apparenti buoni rapporti, ricompaiono i problemi: per esempio una madre reclama per il mancato rispetto degli orari di visita o di cura da parte del padre. Oppure quest'ultimo può essere accusato di comportamenti inadeguati dall'ex moglie, in quanto ha avviato un legame affettivo con un'altra donna, con richiesta di restrizione delle norme a suo tempo emanate'. L'elenco delle ragioni di controversia è interminabile, visto che spesso l'occasione per attivare la contrapposizione non sarebbe di difficile soluzione, se non altro attraverso il buon senso, ma la divergenza in sé è capace di riaccendere dei "residui di simmetria" e dare il via alla contesa. Riportiamo alcuni tipi di controversia, per i quali può essere suggerito l'intervento di un esperto: 1. richieste di annullamento dell'affido condiviso. Per queste di solito i giudici si affidano al lavoro di periti d'ufficio (CTU). Anche in corso del lavoro di questi, possono mantenersi tensioni. In tal caso può essere affidato a un mediatore il compito di facilitare un accordo 3 ; 2. nel caso di affido prevalente a uno dei due genitori, istanze di controllo o modificazione della frequenza, durata e orari delle visite. È il campo dove maggiormente si evidenziano le resistenze ad accettare dei cambiamenti dei rispettivi modelli di vita 4 ; 3. dichiarazione di difficoltà di accordarsi sulla cura delle inclinazioni e le scelte di un bambino. Quindi la valutazione della scuola, dello sport, dello studiare musica, o altro: in sostanza, la scelta dei modelli educativi, compresa la disciplina. Frequenti sono le dispute tra il genitore permissivo e quello rigido; 4. segnalazione di difficoltà nei rapporti tra fratelli. Questo quando non si riesce a trovare intese per la guida dei figli. Per esempio quando i criteri per le femmine e i maschi sono percepiti in modo diverso; 2 A volte si hanno richieste a dir poco singolari, come quella di un padre separato che ha formato un nuovo nucleo familiare che fa richiesta di revisione degli accordi di affidamento, sostenendo che ora lui è in grado di offrire ai figli una nuova famiglia "più sicura". 3 Come vedremo, in questi casi, con la mediazione si devono interrompere le azioni in corso, compresi gli accertamenti peritali. 4
Talora si tratta del riassestamento di alcune regole in precedenza concordate, a seguito del cambiamento di vita di uno dei due ex coniugi. Per esempio un padre ottiene un lavoro in una città lontana e non potrà più visitare i figli come prima.
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5. le frequentazioni dei nonni. Per esempio un bambino che ha in casa i nonni materni, come e quando visiterà gli altri nonni? Su questo possono avviarsi difficili e interminabili conflitti tra le famiglie d'origine; 6. le frequentazioni della casa di un genitore che ha trovato un nuovo partner. È una situazione frequente, capace di turbare e irrigidire una relazione in separazione sino ad allora abbastanza tranquilla; 7. la scelta degli amici. Il circuito è comunemente quello dei figli del genitore maggiormente affidatario; possono nascere problemi quando gli amici (o i loro parenti) sono disapprovati dall'altro genitore; 8. quando i figli sono più grandi possono continuare a emergere situazioni che chiamerebbero il padre e la madre a una capacità di cooperazione e di unità decisionale. Tra queste il permesso e gli orari per uscire la sera, il tipo di vita sociale, l'acquisto del motorino, il fumo. Peggio quando si tratta di casi preoccupanti, come l'uso di sostanze (hashish, alcool ecc.), la gravidanza di una figlia minorenne, la scoperta di un'omosessualità ecc.
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2. Origini e diffusione della mediazione familiare
1. Generalità Già in tempi lontani molte società hanno adottato metodi pacifici per risolvere le dispute tra singoli, famiglie o gruppi, utilizzando un terzo che aiutava i contendenti a contrattare soluzioni accettabili. Le caratteristiche della figura incaricata di questo compito sono variate nel tempo, come si può intuire dalle molteplici formule attuate nel corso dei secoli e nelle varie culture. Parecchie dottrine, sia filosofiche, sia religiose, a cominciare dall'islamismo e dal cristianesimo, si fondano sul perseguimento del rispetto, della fratellanza e dell'accordo con il prossimo. Ancora oggi nei Paesi orientali, in particolare Giappone e Cina, la mediazione rappresenta una forma di realizzazione del principio etico che vuole l'universo teso verso uno stato d'armonia da raggiungersi superando le divisioni e i dissidi, condizioni considerate degradanti'. Nel sistema legale ebraico si trovano principi tradizionali secondo cui è importante non solo l'applicazione della giustizia, ma soprattutto il raggiungimento della pace, attraverso un attivo coinvolgimento delle parti. A tale scopo da sempre esiste il Beth Din, una corte formale a carattere religioso. Nel 1920 fu costituito il Jewish Conciliation Board. Nelle grandi comunità, o nelle famiglie patriarcali, la tradizione considera normale rivolgersi al capoclan, riconosciuto come neutrale, per dirimere le questioni a carattere civile o familiare. Si tratta di modelli d'intervento che hanno a lungo preceduto le vie legali, e tuttora sono ritrovabili in gruppi che vivono in posizione marginale rispetto alla società. Se ne allarghiamo il significato, gli esempi di mediazione sono molteIl confucianesimo sostiene che fine ultimo a cui deve tendere l'uomo è l'armonia, in contrasto con la presenza del conflitto: da qui la negoziazione di accordi, attraverso l'attivazione delle risorse, verso una funzione educativa e di difesa sociale (Rigliano e Siciliani, 1988). 107
plici; basti ricordare, ai tempi nostri, il lavoro svolto da celebri mediatori, come i rappresentanti delle Nazioni Unite, in controversie gravi e apparentemente insanabili tra popoli. Nel mondo contemporaneo l'attività di mediazione ha ripreso il copione ereditato dalla storia, proponendosi come un percorso lungo il quale delle persone sono aiutate, dopo aver identificato le loro istanze e l'oggetto del contendere, a stabilire degli accordi che possano essere mantenuti anche per il futuro. L'intervento, inteso come un aiuto strutturato e professionale fornito a persone, è agito in tutto il mondo. Nella sua applicazione più moderna, il concetto di mediazione nasce come legato agli scambi commerciali, per passare ben presto alle controversie di lavoro, alle questioni sindacali, come per esempio i rapporti tra aziende e dipendenti, e solo alla fine come aiuto nelle dispute tra separati. È del 1913 l'introduzione di un'attività mediatoria negli Stati Uniti, da parte del Dipartimento del Lavoro, con il nome, appunto, di Servizio di Conciliazione, seguito poi dal Servizio Federale di Mediazione e Conciliazione. Molti dei primi mediatori familiari hanno iniziato la loro attività proprio nelle controversie di lavoro, a cominciare da J. M. Haynes, che diventerà una delle maggiori autorità in questo campo. Nello svolgimento di quest' attività si è sempre ricorsi a esperti, delegati dalle parti, per la conduzione della trattativa. La mediazione familiare, quale oggi è comunemente intesa, è un intervento d'aiuto affidato a un esperto che si assume il compito di aiutare due persone separate (o in corso di separazione) a sciogliere delle controversie, o dispute, o contenziosi, che sono emersi dopo la dissoluzione della famiglia. Nella mediazione familiare parziale questi problemi riguardano il ruolo genitoriale nella gestione dei figli (vedi avanti). Storicamente la teoria e la prassi della mediazione familiare si diffondono alla fine degli anni Settanta negli Stati Uniti, a partire dall'insoddisfazione ad affrontare le dispute coniugali solo attraverso gli organismi giudiziari che, inevitabilmente, finivano per opporre il campo del diritto a quello degli affetti'. La diffusione di questa attività professionale fu sorprendente: nel giro di 10 anni erano nate oltre trecento organizzazioni che si occupavano della materia. All'epoca il conciliatore lavorava individualmente con le parti. Con il Rapporto Finer, o Finer Committee on One-parent Families (Fi2 In realtà la Los Angeles County Conciliation Cou rt , come sezione della Corte Suprema, fece i suoi primi interventi 1939. Già allora, tra i suoi propositi, si poteva trovare: proteggere i figli, salvaguardare il bene comune, curare la famiglia, ricercare accordi amichevoli nelle controversie, compreso l'intento di favorire la riconciliazione dei coniugi.
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ner Report, 1974) Si distinse in modo definitivo la riconciliazione dalla conciliazione, delimitata questa seconda dal: come aiutare le parti ad affrontare le conseguenze della crisi ormai definitiva del loro matrimonio, sia che questa porti a una separazione o a un divorzio, raggiungendo accordi, dando consensi o riducendo l'entità del conflitto sull'affidamento, gli alimenti, l'accesso e l'educazione dei figli, e su tutte le questioni che richiedono decisioni per come organizzarsi in futuro.
I programmi più importanti di mediazione familiare negli Stati Uniti emersero negli anni Settanta sotto l'influsso di pionieri come Coogler, Haynes, Irving, i quali hanno poi anche influenzato i lavori in molti Paesi compresi quelli europei. O. J. Coogler nel 1974 fondò il Family Mediation Center ad Atlanta, Georgia, e la Family Mediation Association nel 1975. Nel 1978 fu pubblicato il suo libro, Structured Mediation in Divorce Settlements. Qui l'autore proponeva quella formulazione del processo di mediazione familiare che sarà indicata come mediazione strutturata. Ispirato dalla professione d'avvocato e dalla sua personale esperienza di divorzio, in tale modello prevedeva la collaborazione tra l'avvocato e il mediatore con successiva stesura per iscritto degli accordi presi. Nello stesso periodo, e con una lettura diversa, H. Irving e M. Benjamin (1987; 1994) proposero il cosiddetto modello di mediazione familiare terapeutica. Essi sostenevano che il percorso di mediazione può avere effetti durevoli nel tempo solo se sono affrontate le problematiche di tipo emotivo e relazionale. Su questa linea in Canada, nel 1974, Irving realizzò il "Toronto Conciliation Project". Per parte sua J. Haynes, che apparteneva all'indirizzo detto negoziale, pubblicò nel 1981 un importante volume, Divorce Mediation, che darà un notevole impulso alla diffusione della mediazione. In Europa la mediazione comincia a diffondersi verso gli anni Ottanta. Il primo servizio fu aperto a Bristol (UK) nel 1978 e, poco dopo, ne fu istituito un altro presso il tribunale della stessa città. A Londra ha tuttora sede la National Association of Family Mediation and Conciliation Services. In realtà qui prese inizialmente l'avvio la reconciliation, ma più avanti l'attività si è definita appropriatamente come una conciliation. La mediazione familiare inglese (mediation) attualmente affronta in forma globale i problemi, dai figli ai beni economici, dai versamenti in denaro al diritto a usufruire della casa?. Notevole è stata la diffusione in Francia, 3 Una accurata la descrizione del Servizio di Conciliazione delle Famiglie di B ri stol viene riportata da A. Quadrio Aristarchi e L. Venini (1992): in questa città, gli interessati si
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dove attualmente esistono più di 80 centri. È del 1995 la legge francese che introduce la mediazione familiare nell'ordinamento giudiziario nazionale. La prima e più importante associazione europea di mediatori familiari è l'APMF (Association pour la Promotion de la Mèdiation Familiale con attuale sede ad Amiens). Qualche anno dopo rispetto agli altri Paesi europei, la mediazione e stata introdotta in Italia. Le prime significative esperienze in Italia sono nate a Milano nel 1987, presso il Centro GeA (Genitori Ancora); questo, orientato sulla conciliation inglese, tendeva soprattutto alla salvaguardia dei figli. Queste prime sperimentazioni in ambito psicologico furono ben accolte solo da alcuni esponenti dell'ambito giuridico che rilevavano i limiti nel valutare le controversie attraverso i percorsi giudiziari (Ardone e Mazzoni, 1994). Seguirà un ampliarsi dell'interesse alla diffusione della mediazione, anche se vista con un certo scetticismo in vari settori della cultura psicologica. Nel 1988 iniziava a Roma una collaborazione fra il Centro Studi di Psicologia giuridica dell'età evolutiva e della famiglia dell'Università La Sapienza e l'Ufficio Tutele della Pretura di Roma. Nel maggio 1993 si tenne a Roma il primo "Convegno internazionale sulla mediazione familiare nella separazione e nel divorzio", per un confronto sulla mediazione familiare in Italia e all'estero 4 . Si sono poi andate costituendo diverse Associazioni che riunivano persone e servizi, che, pur condividendo principi generali, finalità, programmi, mantenevano le proprie specificità e originalità. Oggi le ricerche e le attività per la mediazione familiare in Italia e in Europa convergono quasi tutte nel "Forum Europeo di Formazione e Ricerca in Mediazione Familiare", al quale confluiscono anche i principali centri italiani'.
2. I modelli più conosciuti Storicamente e sul piano lessicale si devono distinguere varie forme di gestione e di finalità di chi media una disputa: l'arbitrato (arbitration), la presentano ai centri preposti, per trovare un accordo sui figli, o sull'organizzazione delle visite del genitore che se ne è andato, prima che il tribunale decida sulla materia. Sono interventi fatti prima della separazione legale, ma quando questa è ormai in corso. Presenteremo questo argomento a proposito dei "separandi". 4 Per quanto ci riguarda, già nell'autunno 1996 il nostro Istituto organizzò a Firenze un Convegno, che portava il titolo "Bambini Divorziati", cui parteciparono, oltre a noi, esperti quali A. M. Dell'Antonio, M. Lagazzi, F. Contri ecc. 5 La sede italiana è a Milano, Corso Sempione, 8. 110
causa (litigation), la riconciliazione (reconciliation), la conciliazione (conciliation). In dettaglio: 1. l'arbitrato (arbitration) è utilizzato quando le parti concordano volontariamente, e per iscritto, di ricorrere a una persona neutrale la quale ascolta, esamina i dati, ed emette un suo giudizio finale sulla vertenza. L' arbitrato è basato su criteri legali. Il tecnico si colloca in una posizione separata dai contendenti, e il suo è un giudizio pienamente autonomo, non dibattuto; 2. nella causa (litigation) un esperto (di solito il giudice) è incaricato di interpretare e applicare la legge rispetto alle questioni sollevate dalle parti. Di solito i contendenti sono rappresentati dai rispettivi avvocati, i quali si adoperano per il successo nel procedimento contro la parte avversa. Nella litigation la controversia è affidata a qualcuno che tratta a livello legale sulle questioni irrisolte, mentre gli interessati sono esclusi dalla partecipazione diretta alla vertenza. Tutta l'attività è centrata sull'oggetto del contendere (una rivendicazione, un'operazione di economica, una modificazione degli orari di lavoro ecc.) e non sulle persone. Storicamente, emerse proprio nelle litigation come gli strumenti giuridici non fossero sufficienti a risolvere le divergenze tra separati; 3. la riconciliazione (reconciliation). Si è creato a suo tempo l'equivoco per il quale lavorare per la ricerca di un accordo tra due persone significava tentare di riunire la coppia; in pratica riproporre la vicenda coniugale. Sappiamo come il tentativo di riconciliazione è esperito anche in Italia dal giudice in occasione dell'incontro conclusivo con i separandi e anche al momento del divorzio. Si tratta per lo più di un atto formale, in ossequio alla legge, ma solitamente del tutto privo di un impegno delle parti. La riconciliazione riguarda il ripensamento sulla decisione presa, il ritorno alla vita insieme, non la soluzione di uno o più problemi. Negli Stati Uniti, già prima della seconda guerra mondiale, furono sperimentate esperienze di questo tipo. Si tendeva, appunto, solo a una riconciliazione, nel senso che si attivava ogni sforzo per convincere le coppie che stavano per separarsi o lo erano già, a rappacificarsi; 4. infine la conciliazione (conciliation) è la procedura che apre alla mediazione familiare così come oggi è intesa. È un processo nel quale si cerca un accordo su questioni divergenti, in assenza d'ogni intendimento rappacificatorio. Il conciliatore cerca di attenuare le tensioni, di chiarire le posizioni: la procedura può condurre rapidamente alla soluzione della controversia, o essere la premessa facilitante per un processo di mediazione. Un'altra definizione della mediazione familiare è la seguente: "un per-
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corso per la risoluzione di una disputa tra due persone in corso di, o a separazione avvenuta. Il mediatore, terzo neutrale, munito di una formazione specifica, nella piena riservatezza e autonomia, si adopera per il raggiungimento di un accordo soddisfacente per le parti e tale da rinnovare le rispettive responsabilità genitoriali". Cercando un'uniformità di base tra i vari indirizzi teorici, un passo importante è stato compiuto con la costituzione del citato "Forum Europeo per la Formazione e la Ricerca in Mediazione Familiare", avvenuta a Marsiglia nel 1997. Continuando con le terminologie ufficiali, riportiamo quella del 1990, emessa dall'Association pour la Promotion de la Mediation Familiale (APMF, 1990): La mediazione familiare, in materia di divorzio o di separazione, è un processo di risoluzione dei conflitti familiari. Le coppie, coniugate o no, richiedono o accettano l'intervento confidenziale di una terza persona, neutrale e qualificata, chiamata mediatore familiare. Il ruolo del mediatore familiare è quello di portare i membri della coppia a trovare da sé le basi di un accordo durevole e mutuamente accettabile, tenendo conto dei bisogni di ciascun componente della famiglia e particolarmente di quelli dei figli in uno spirito di corresponsabilità e di uguaglianza dei ruoli genitoriali. Facciamo notare come in questa definizione si parla di "coppie, coniu-
gate o no" e, più avanti di "membri della coppia": come osserveremo più avanti, ci sono problemi lessicali che possono condurre a fraintendimenti, come se i "coniugati o no" fossero ancora considerati una "coppia". Torneremo più volte su questo tema. I protagonisti di questo processo sono il mediatore e i separati. Il primo, mantenendosi imparziale e neutrale, dovrà aiutare i due a negoziare, senza mai prendere decisioni per loro. Gestirà le rispettive richieste, cercherà le alternative e li incoraggerà verso un accordo comune. Tutto ciò troverebbe un terreno favorevole nel processo di riconnessione che di solito segue la dissoluzione coniugale'. Riportiamo adesso le caratteristiche delle scuole internazionali di mediazione maggiormente note. Si tratta di modelli "storici" che sono stati poi prescelti, rielaborati e adottati dalle varie scuole italiane. 6
L uso del termine mediazione (mediation) è ritrovabile in una vasta serie di ambiti i quali, anche se riguardano la famiglia, configurano spesso interventi di tutt'altra natura e spesso alquanto ambigui. Si parla di mediazione prematrimoniale (quale trattamento per coppie con incertezze sulla decisione di sposarsi), di mediazione per famiglie con disabili o handicappati (relativamente a controversie sull'assistenza), infine qualcuno pratica persino la mediazione pre e post-pensionamento, riguardanti la riorganizzazione della vita familiare in occasione di questo evento del ciclo vitale. '
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2.1. Modello strutturato (Coogler) Il modello strutturato, proposto da O. J. Coogler, è un intervento di tipo sistemico che impone il rispetto di una serie di impegni, anzitutto l'accordo sulla cura e l'educazione dei figli, ma anche come affrontare la situazione patrimoniale. È dunque un processo globale. Il mediatore si pone in una in posizione neutrale, ma ha una funzione direttiva, e controlla le possibili simmetrie tra le parti. Ha il compito di valorizzare l'importanza di ciascuno, imporre il reciproco rispetto, distanziando il conflitto, ritenuto inutile, a vantaggio del lavoro in comune e la cooperazione (Killman e Thomas, 1977). Non sono concessi i colloqui individuali: altrettanto la consultazione di avvocati. I due genitori sono incaricati di informare i figli di quanto accade in mediazione, e questi potranno talora partecipare a un incontro. Il processo segue uno "schema di risoluzione del problema", lungo una serie di passaggi: • anzitutto si procede alla definizione del problema, rispettando la posizione di ciascuna delle parti; • successivamente si raccolgono le informazioni, ma anche e le preoccupazioni relative all'insieme della situazione; • viene redatto quindi un schema di accordo temporaneo che distingua i problemi a breve termine da quelli a lungo termine; • si esaminano poi le proposte che ogni separato espone e si discute sulle conseguenze positive o negative di ogni ipotesi; • si sceglie l'opzione che offre la migliore soluzione al problema e se ne stabilisce la modalità attuativa; • infine si stende un documento d'accordo, la cui sintonia con la legge potrà essere esaminata da un legale. Il modello Coogler spinge verso l'autodeterminazione delle parti e contiene un forte indirizzo verso la soluzione dei problemi: in pratica, trascurando le componenti emozionali, si ricorre a tecniche di problem solving'. 2.2. Modello negoziale (Haynes) Con il suo principale rappresentante, J. M. Haynes, il modello negoziale prende vita, come detto sopra, nelle trattative di lavoro. Nell'applicazione familiare si propone una definizione unificata del problema e l'individuaGrebe (1994) ha successivamente rielaborato il pensiero di Coogler, accettando l'influenza delle componenti emotive nel processo negoziale, ma affermando anche che queste restano elementi di interferenza sulla mediazione e quindi sono da evitare. '
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zione delle soluzioni più utili in un'atmosfera di cooperazione. Le linee guida del processo prevedono che la controversia tra i due ex partner sia considerata un evento sano e non patologico. Si parte dal presupposto che i genitori devono essere pienamente capaci di individuare quale sarebbe la soluzione migliore per i figli: essi dispongono di una quantità di informazioni superiore rispetto a quanto sembra emergere dalla trattativa. Di conseguenza si cerca di chiamare in causa le loro risorse positive evitando al massimo lo scontro o la direttività, in vista di un accordo (Haynes e Buzzi, 1996). Per evitare di essere coinvolti nei giochi relazionali, Haynes (1994) suggerisce di individuare un'area a comune su cui lavorare. Questo può essere fatto invitando ciascuno a definire le prospettive di quanto è stato richiesto come assai possibile, possibile, difficile, impossibile, e su questa base esaminare insieme la praticabilità d'ogni idea e i costi della stessa. Il metodo si propone di circoscrivere il problema della relazione in un ambito operativo quanto mai ridotto. Poiché la questione a monte spesso poggia su una competizione simmetrica, sul timore di potere essere prevaricati, o di perdere la posizione di supremazia, il trovare un accordo su una questione minore verrà più facilmente vissuto dalle parti come accettabile e quindi fattibile. In realtà questo accordo minimale rappresenta la possibilità che ci si avvii verso un cambiamento più globale, con abbandono delle posizioni rigide. Questo tipo di operazione è tanto più possibile quanto più la vertenza non è grave. Si lavora per il futuro temendo che il richiamo al passato possa far riattivare problemi interpersonali. Non sono previsti colloqui individuali, mentre i figli possono essere ammessi a partecipare, ma solo in modo occasionale e a giudizio del tecnico. Si discute solo sugli aspetti pragmatici della separazione e del divorzio, sulle questioni riguardanti l'affidamento e il mantenimento dei figli, sia su quelle patrimoniali: è anche questo un processo di mediazione globale. Si conclude con la stesura scritta degli accordi. Ci troviamo in buona parte concordi con i principi di base di questo modello. 2.3. Modello integrato (Marlow e Sauber)
L'intervento integrato, diffuso negli Stati Uniti, ha tra i suoi rappresentati L. Marlow, avvocato e D. Sauber, psicoterapeuta familiare. Viene condotto da due professionisti, un mediatore e un legale, che operano in modo integrato anche se in sedi diverse. I separati sono consultati scegliendo un ambito riservato alle componenti emotive e uno connesso agli aspetti pratici. Si affrontano così i problemi dai diversi punti di vista, avendo in comune la finalità di normalizzare il disaccordo. Nella funzione
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affidata al mediatore il processo è centrato sull'intenzione di risolvere la relazione. I clienti sono invitati a non discutere sui temi del negoziato, ma a capire quanto sono pronti a condividere l'uno con l'altro i problemi. In questo modo viene ribaltato il significato della controversia e facilitato il compito della successiva consulenza legale. A questo proposito, per Cigoli (1998) non è il chiarimento legale a dare equilibrio agli ex coniugi, ma l'aumento delle loro capacità di autodeterminazione come risultato di una rivalutazione di sé. 2.4. Modello interdisciplinare (Gold) Il rappresentante più noto è Gold (1988). Il modello interdisciplinare riprende il precedente, ma questa volta propone un intervento con la copresenza dei due esperti, cooperanti e in sintonia, pur presentandosi con formazione e schemi di pensiero diversi. Si pratica molto in Germania, dove il legale e il mediatore prospettano ai separati di esaminare sia gli aspetti concernenti il diritto di famiglia, sia le ipotesi per un'analisi e una riproposizione delle loro relazioni. Mentre l'avvocato porta avanti le questioni pratiche, il mediatore si fa carico dello scambio comunicativo e cerca di contenere le aree conflittuali. Si prevede che queste quattro persone siano impegnate verso una creatività collettiva dove, oltre alla soluzione della controversia, si persegue anche una migliore intesa nei separati. Esiste solo una certa analogia con le co-terapie della psicoterapia familiare, ma in questo caso i due cooperano durante gli incontri secondo le rispettive competenze, presentandosi come una unità professionale. È perciò improprio parlare di co-mediazione, vista la distanza culturale e i differenti obiettivi dottrinali. Questa corrisponde meglio a un intervento condotto insieme da due mediatori. 2.5. Modello terapeutico (Irving e Benjamin) Il modello terapeutico di Irving e Benjamin (1994) si basa sulla premessa che sia opportuno, prima di avviare un processo mediatorio, intervenire direttamente sui soggetti in causa. In questo senso s'introduce la premediazione. Si tratta di una fase preliminare, destinata a migliorare i rapporti, in modo da facilitare l'analisi dei problemi oggetto della controversia. Ci si propone di riflettere sulla vicenda separazione correggendone, se possibile, le componenti disfunzionali Inizialmente si valuta la disponibilità, la
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situazione psicologica, la presenza di una conflittualità e il grado di questa, oltre che i problemi relativi ai figli. Il processo prevede non solo una motivazione, ma anche consapevolezza e disponibilità. Vengono anche effettuate alcune sessioni individuali, due o tre, più un'ultima congiunta: qui si valuta il possibile inizio del processo. In pratica l'obiettivo è di superare disfunzioni di vario tipo, interne ed esterne, comprese le intromissioni delle famiglie d'origine, amici, avvocati, e così via, che potrebbero interferire o vanificare il processo. Con l'inizio della mediazione propriamente detta, il tecnico fissa gli argomenti, iniziando dai problemi minori. In sostanza si tratta di un percorso centrato sul sostegno emotivo. Ci si rifà anche qui alle tecniche problem solving, ma alla luce delle componenti emozionali. È concesso contattare i propri avvocati ma non di far assistere i figli alle sedute. Dopo circa due mesi dalla conclusione del processo è previsto un follow-up per verificare controllare i progressi e il rispetto degli accordi raggiunti. Da una interpretazione estesa del modello di Irving e Benjamin sono derivati alcuni principi e applicazioni delle cosiddette "mediazioni terapeutiche" con le quali non concordiamo e su cui torneremo più avanti. Dall'analisi della letteratura sull'argomento, specie negli USA, è possibile individuare un'altra serie, molto lunga, di modelli di mediazione: questi dati vengono riportati da numerosi autori (Haynes, 1981; Lemmon, 1985; Moore, 1986; Saposnek, 1985; Bienenfeld, 1983; Blades, 1985) e proposti come modelli propri o altrui. H. H. Irving e M. Benjamin (1987), affermano che i modelli possono essere ricondotti a otto. Il numero ci appare elevato, specie se riferito a un settore di lavoro relativamente ristretto come questo. Aggiungeremo infine un particolare modello, proposto da R. W. Nickles e J. Hedgespeth (1991) organizzato secondo una struttura ad albero decisionale dove, partendo dal colloquio iniziale, s'imboccano percorsi diversi secondo un punteggio che è assegnato alla coppia. Il punteggio emerge dall'esplorazione di elementi come il potere, la volontà di mediare, la comprensione della situazione e delle possibili soluzioni, le risposte emotive ecc. Ne scaturiscono tre indirizzi procedurali: il primo viene indicato come terapeutico, cui ricorrere quando ci sono figli in pericolo; il secondo, di tipo strutturale, riguarderebbe le coppie con problemi irrisolti, ma non troppo gravi; il terzo infine adotterebbe le tecniche del problem solving e sarebbe destinato a coppie ad alto punteggio, ovverosia con grossa predisposizione e facilità alla negoziazione. Purtroppo si fa un uso estremamente disinvolto del termine "coppia", il che porta fatalmente a equivoci e false interpretazioni della natura e delle finalità della mediazione stessa.
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3. Il ricorso alla mediazione familiare
1. Componenti fondamentali Specie da quando separazione e divorzio sono divenuti un fatto socialmente accettato, la mediazione familiare si è andata meglio definendo, e gli esperti hanno iniziato ad aiutare le persone separate, o che si separavano, cercando decisioni concordate, specie per i figli. In questo contesto, dove aumentava la critica verso i percorsi legali, si sono diffuse istituzioni, per lo più private, che davano impulso alla pratica. Con la fine del legame si chiude il precedente assetto e la nuova struttura, costituita dai due ex, dai figli, e talora, in modo diretto o indiretto, con l'ingerenza delle rispettive famiglie d'origine, può dar luogo a delle dispute, o controversie. Quando le contese sono affrontate in prima istanza per la via legale, è molto frequente che si crei un aggravamento in un sistema già in difficoltà. Il rivolgersi al legale costituisce di per sé un atto d'ulteriore distacco. Se i rapporti erano già precari, i due diminuiscono in modo drastico i loro incontri, gli scambi di opinioni e delegano gli avvocati alla gestione di ogni minimo disaccordo. Le controversie si acuiscono quando accordi che erano stati già conclusi siano contestati o disattesi. Se questi impedimenti non possono essere composti attraverso un cooperativo confronto tra i due separati, oppure quando si vuole evitare una decisione dall'esterno fatta da un giudice, si può tentare una soluzione attraverso un esperto che faciliti le "trattative'. Si può prevedere anche l'agevolazione del compito del giudice: è difficile immaginare che questo possa da solo far fronte a tutti i problemi. Il magistrato può chiedere un intervento mediatorio sospendendo tempora8 Si assiste ormai da tempo nel nostro Paese anche alla progressiva creazione e regolamentazione di forme di composizione stragiudiziale dei conflitti. È lo stesso legislatore ad aver previsto e alimentato il ricorso a una giustizia al di fuori del processo: in sostanza è un tentativo di ricercare forme alternative per la composizione dei conflitti restituendoli ai singoli, privilegiando la loro responsabilizzazione.
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neamente le procedure giudiziarie. In pratica, se il procedimento è in corso, esso dovrebbe essere sospeso fino all'esito della mediazione stessa'. La mediazione si svolge in uno spazio-tempo riservato allo scopo: in questo senso si devono interrompere anche eventuali operazioni peritali, rimandando a tempi successivi il loro completamento 10 . I. Buzzi (1992) sottolinea che con la mediazione si tratta di passare da una giustizia imposta a una giustizia negoziata, aprendo una via alla collaborazione interdisciplinare fra tecnici giuridici e psico-sociali. Come abbiamo visto il concetto di mediazione è applicabile a una vasta gamma prestazioni che vanno, non sempre propriamente, sotto questo nome e che, pertanto, sfuggono a una definizione unitaria. Nello specifico di quella familiare è fondamentale definire sia i suoi obiettivi sia precisare chi è il mediatore. Ove si affrontino tutte le problematiche insorte con la separazione, comprese quelle inerenti ai figli, quelle patrimoniali, lavorative ecc., si parla di mediazione globale. Quando si agisce limitandosi solo ai problemi inerenti i figli si parla di mediazione parziale, quindi: 1. mediazione globale: l'insieme di tutte le possibili controversie, comprese quelle di ordine economico patrimoniale"; 2. mediazione parziale: è quella che si riferisce a problematiche riguardanti i figli. Bambini che, quale che sia la chiave di lettura adottata, restano le parti più indifese di fronte ai comportamenti degli adulti, e ai quali deve andare il massimo della tutela. La mediazione familiare parziale è quella che viene adottata, per l'insegnamento e per la prassi professionale, nel nostro Istituto. 9 Questo per evitare la tradizionale emanazione di provvedimenti temporanei e urgenti che si ripetono come una sorta di "tabellarizzazione" dei diritti dei coniugi, senza tener conto delle peculiarità dei casi singoli. Lo stesso vale per il tentativo riconciliativo finale, che obbligatoriamente deve essere esperito, ma che non si riduce ad altro che alla verbalizzazione della fatidica frase: "fallito il tentativo di conciliazione...". 10 La mediazione può interrompere transitoriamente le indagini dei periti d'ufficio, di per sé aride, descrittive, centrate su un orientamento diagnostico, e proporre un incontro dove la collaborazione e la ricerca dell'intesa sono in prima linea. Ma talora accade che un CTU possa utilizzare il setting peritale per avviare un processo di vera e propria mediazione con le persone in osservazione. Riteniamo che si tratti di un'anomalia procedurale: le due persone (ed eventualmente i figli) dovrebbero essere sottoposte solo ad "accertamento", e questo è il mandato del CTU. 11 Il settore economico può costituire un terreno intriso di pesanti problemi e conflitti: può trattarsi della spartizione dei beni, o, più comunemente, della concessione di un assegno di mantenimento. Così anche il tema concernente il denaro può assumere un ruolo di grande rilievo nelle dinamiche. C'è da chiedersi se si dibatta intorno al denaro utilizzando questo contenuto per occultare una relazione ancora non elaborata e risolta, e le conseguenze di questo sui bambini.
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La mediazione familiare parziale si rivolge a due persone in fase di separazione o già separate o divorziate con un'esigenza di chiarire o stipulare degli accordi nella necessità dei figli di poter contare su due genitori che, pur separati, garantiscano la loro presenza affettiva. Facciamo degli esempi: • controversie su affidamento condiviso o assegnato a un genitore. Presenza del genitore non affidatario, il calendario delle visite di questo, organizzazione delle vacanze, la frequentazione dei figli con le famiglie d'origine, le scelte educative, la relazione con eventuali nuovi compagni dei genitori ecc.; • situazioni in cui i progetti di gestione dei rispettivi compiti, o dei diritti, risultano di difficile attuazione o non sono rispettati; • quando i dispositivi stabiliti dal tribunale, divenuti inadeguati alle mutate condizioni di vita, devono essere aggiornati o modificati. Così come nelle mediazioni imposte nei tribunali ai separandi, è evidente come i due possano vivere sfavorevolmente, come un arbitrio, il doversi rivolgere insieme a una persona che sembra assumere una specie di ruolo "curante", e che può prendere delle iniziative che loro non hanno richiesto. La mediazione familiare (parziale) si rifà pertanto ad alcuni principi: • si prevede che due separati (o separandi) in disaccordo su qualcosa riguardante i figli cerchino una soluzione condivisa; • si creano le condizioni per attuare una procedura più snella e accettata bilateralmente rispetto a quelle abituali nell'ambito legale; • si presume di superare le contrapposizioni utilizzando soprattutto le risorse delle parti; • si qualifica il contesto in cui si affronta il processo come riservato, sganciato dalle procedure legali o da interventi di terzi; • si prevede un esperto, che non emette giudizi, non prende le parti di alcuno, partecipa alla ricerca di soluzioni per costruire qualcosa nell'interesse dei figli. La mediazione, nel suo implicito, si pone come obiettivo, per le parti, quello dell'essere ancora genitori anche se separati, offrendo uno spazio d'incontro dove rendere queste persone protagoniste e responsabili in un'ottica di reciprocità, e quindi accompagnarle nella ricerca di soluzioni soddisfacenti per sé e per i figli. Inoltre, favorire una cooperazione che permetta loro di rispettare gli accordi e di essere capaci di trovarne altri in base all'evoluzione vitale. Gli esiti favorevoli e sfavorevoli dipendono dai livelli di motivazione e di divorzio emotivo e sono collegati anche ai criteri teorici cui il mediatore s'ispira per l'accesso alla mediazione stessa. Come vedremo tra poco, se la
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selezione è severa i casi con controversie gravi saranno scartati, e sarà quindi probabile un discreto numero di buone riuscite. Se invece il modello prevede di accettare anche persone in cui sussista una disputa pesante, il processo sarà più impegnativo e gli insuccessi più facili.
2. I "residui" come base del contenzioso La separazione è il risultato di una vicenda, spesso molto datata. Di solito le due persone avevano problemi che si trascinavano da più o meno tempo ed erano divenute progressivamente incapaci di fare scelte alternative. Con la separazione non solo vanno a dissolversi le antiche esperienze fusionali, la collusione su cui era stata impostata la vita della coppia, ma entrano anche in crisi le appartenenze alle famiglie d'origine. Il cambiamento dell'esistenza ridefinisce in modo radicale il prima. È prevedibile che la richiesta di mediazione riguardi persone ancora amareggiate, tendenti a controllare le pretese dell'altro, ritenute assurde e lesive (Kaslow, 1984). L'epilogo di una crisi può lasciare tracce sui singoli membri, sulla famiglia allargata, sulla rete sociale esterna (Weiss, 1975; Luepnitz, 1983). Dissidi o competizioni però non sono di per sé indicatori di una "disfunzione" relazionale: essi corrispondono a un quantum di componenti della relazione, che sono sempre presenti dopo la fine di una storia. In pratica rimangono quelli che abbiamo chiamato residui della connessione preesistente, presenti in ciascuna delle parti, i quali potranno influire in positivo o in negativo, sul dopo. Vale a dire sulle possibili controversie che potranno essere oggetto della mediazione familiare. Dopo la separazione le diversità del pensare e dello stile di vita possono infatti riemergere, portando a contrasti intorno a problemi come l'accudimento e l'educazione dei figli o, più semplicemente, la loro gestione. Quindi possiamo concludere che le controversie sono spesso connesse al mantenersi di residui della relazione, senza che questi vadano a segnalare un incompleto divorzio psicologico: il residuo è un dato inevitabile, provato dal fatto che sono rari quei separati che riescono a mantenere una piena cooperazione, il rispetto dell'altro, l'amicizia, l'impegno completo. Un quantum di rifiuto fa parte delle ragioni della separazione e sarà ovviamente presente anche nel dopo. Il residuo non appartiene pienamente alla sfera della consapevolezza, e di solito si limita a manifestarsi, appunto, in occasione di una contesa sui figli, dove ciascuno rifiuta di cedere, e non accetta l'altrui opinione. Il residuo potrà rendere laboriosa una mediazione familiare.
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3. Quando fare la mediazione Abbiamo sinora esposto l'intervento mediatorio come una pratica da attuare con persone separate o divorziate. È possibile però accettare in mediazione anche persone che propongono una controversia quando ancora la separazione è in corso di ratifica, vale a dire anche se la divisione non è ancora sancita legalmente o, nel caso delle coppie di fatto, purché sia cessata la convivenza'.
Vale la pena ricordare come negli Stati Uniti e in Inghilterra la mediazione si è sviluppata per iniziativa dei giudici proprio durante le pratiche di separazione e divorzio 13 . Successive esperienze furono realizzate, su incarico dei giudici, da parte del Servizio Sociale legato alle amministrazioni della giustizia, anche in altri Paesi europei. In questi casi, ove emerga una problematica già durante le operazioni di stesura degli accordi sull' affido a uno dei genitori, la custodia di figli o le visite dell'altro genitore, il giudice può disporre una procedura che precede l'udienza. I due sono convocati da un assistente sociale del tribunale, per un'intervista, detta, a nostro avviso in modo affrettato, di "conciliazione". Ove venga raggiunto un accordo, presso il tribunale viene depositato un atto di consenso delle parti. Altrimenti si procede con altri tentativi, al termine dei quali, se ogni sforzo è stato vano, sarà il giudice a decidere. Un'interpretazione "allargata" di questa opportunità sarebbe, da parte di alcuni, quella di applicare la mediazione come procedura "istituzionale", affidata ai servizi pubblici, per tutte le coppie che stanno separandosi. Essa sarebbe affidata a équipe specializzate. Ci sono delle critiche da fare a queste forme di mediazione: per esempio, se decisa da un giudice, diviene imposta, vale a dire un'ingiunzione che investe i confini della libertà individuale, anche se suggerita seguendo un "principio preventivo a vantaggio dei figli". Esprimiamo delle riserve su questo intervento, salvo che ci sia un valido livello di informazione e la disponibilità da parte dei due. Con il termine separandi intendiamo coloro che, oltrepassato il "punto di non ritorno" della loro storia, hanno avviato le pratiche per la separazione, e sono pertanto ben diversi da coloro che ancora sono alle prese con 12 Everett e Volgy, propongono una "terapia familiare del divorzio" e parlano esplicitamente di terapia. Come dire che ritengono opportuno un procedimento atto a facilitare un'eventuale buona separazione sotto la guida di una psicoterapeuta familiare. La scelta per questo trattamento, da parte di una coppia che non è ancora giunta agli ultimi atti del suo scioglimento, è senz'altro corretta, ma a nostro avviso non riguarda i mediatori familiari. 13 I tribunali sono stati fra i primi a dare inizio a interventi di questo tipo allo scopo di utilizzare un supporto valido nel momento decisionale (Bastard e Cardia-Voneche, 1990).
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delle "crisi", le quali invece appartengono a un prima non ancora concluso 14 . Di fronte a due persone che hanno ormai effettivamente deciso la separazione (o uno solo l'ha decisa e l'altro la subisce), la mediazione può essere senz'altro applicata. Anche se non ci sono stati atti legali definitivi, è questo il momento in cui si attivano gli avvocati e nel quale si potrebbero effettivamente prevenire battaglie sul destino dei figli, sulla gestione dei beni, e quindi evitare il rischio di decisioni affrettate da parte del magistrato. In questi casi la mediazione familiare diviene intervento praticabile. La mediazione in corso di separazione è però da riservare solo a quei casi in cui la separazione (legale, o fattuale nei casi di non coniugati) è oggettivamente in via di concretizzazione, e si prevede la ricerca di accordi 15 . Di solito si tratta di persone che non riescono a trovare accordo sul dopo dei figli. Spesso sono incoraggiati dagli operatori di un Consultorio familiare, da parte degli avvocati, o dallo stesso giudice prima di ratificare la sentenza. Si va a configurare una sorta di prevenzione, dove si tenta di evitare la comparsa di problemi successivi 16 . Possiamo affermare, sia pur con una certa ovvietà, che la mediazione è più agevole quando vi sia alta motivazione, quando esistono cose concrete su cui si possa trattare e ci sia una funzionalità di fondo dei due separati. Viceversa quanto più la motivazione è bassa e più numerosi sono gli elementi negativi sopravvissuti dalla relazione precedente, tanto meno il tecnico riuscirà nel suo scopo.
4. Quando non fare la mediazione 4.1. Le richieste per coppie in crisi
Il compito di un mediatore è quello distinguere le situazioni che non possono essere accettate in un processo mediatorio, da quelle hanno le ca14 Non possiamo non ripropone il Rapporto Finer (Finer Report, 1974), citato in apertura di questa parte, dove si afferma, fra l'altro "come aiutare le parti ad affrontare le conseguenze della crisi ormai definitiva del loro matrimonio, sia che questa porti a una separazione o a un divorzio". 15 Ricordiamo ancora gli interventi cosiddetti estra o stragiudiziali di accertamenti peritali su dissidi di coppie in separazione, i quali hanno forti analogie con le mediazioni di cui stiamo parlando. 16 Una situazione particolare è quella della cosiddetta separazione (legale) in casa, dove i due, pur in possesso di una disposizione di legge che ne consente il distacco, continuano, con varie giustificazioni, a convivere. Essa è da distinguere da vuote e tristi convivenze tra sposati, i quali per varie ragioni non procedono alla separazione.
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ratteristiche d'idoneità e ne potrebbero trarre vantaggio. Consideriamo rigo rosa la controindicazione di una richiesta mediatoria da parte di persone ancora legate e conviventi, in conflitto, anche se con la "minaccia" di uno o di ambedue di separarsi. In questi casi l'invio deve essere a una terapia della coppia, o familiare. Purtroppo certe coppie in crisi equivocano tra i professionisti, ritenendo che il mediatore sia l'esperto in conflitti, ma non è così. Del resto gli stessi invianti talora incappano nello stesso equivoco. "Vi mando la coppia tal dei tali, perché sono in grave crisi e lei dice che vuol separarsi". Queste persone devono essere indirizzate dallo psicoterapeuta, non dal mediatore, Nel caso di una richiesta di mediazione da parte di coppie "in grave crisi", la mancanza di una separazione formalizzata fa sì che siano incerti i confini tra la scelta fatta e l'ipotesi di un recupero del rapporto". Infatti l'intervento mediatorio non deve essere destinato alla coppia in quanto tale. In questi casi è opportuno chiarire e sottolineare che lo scopo degli incontri non sarebbe quello di fare una "cura" della coppia e meno che mai tendere alla sua riconciliazione.
4.2. Quando c'è una relazione persistente Un'importante distinzione cui è chiamato il mediatore è tra "relazione persistente", considerata patologica e controindicante la mediazione e quello che abbiamo indicato come "residuo", considerato una normale e naturale componente storica di una relazione, da valutare un ingrediente del processo mediatorio. Ci sono, abbastanza spesso, separazioni di persone con relazioni disfunzionali rigide, le quali, in circostanze fortuite o artatamente cercate, possono giungere alla mediazione portando elementi di conflittualità tanto gravi quanto estranei ai bisogni dei figli, e quindi con obbiettivi diversi da quelli dichiarati. Due separati da pochi mesi, dopo un matrimonio di 18 anni, si presentarono per una mediazione su insistenza dell'ex moglie, la quale aveva sostenuto che c'erano problemi con la scuola della loro figlia di 14 anni. Lui aveva accettato con riluttanza, ma fin dalle prime battute apparve chiaro l'atteggiamento della signora, la quale cercava esplicitamente un'alleanza con il mediatore, invitandolo a convenire con lei che l'ex coAccade talora che uno dei due, quello più debole, pensi alla mediazione come a un estremo tentativo di mantenere la vicinanza con l'altro. Oppure, altre volte, che un altro sia mosso dall'idea di una consacrazione ulteriore dello scioglimento del legame. "
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niuge (che lei chiamava ostentatamente "mio marito") non stava bene, che aveva preso una decisione avventata, e che, anche se la sentenza era emessa, non c'era ragione per non riaprire un confronto. Il contatto si concluse con il primo incontro.
L'esempio appena citato configura aspetti tali da impedire un processo di mediazione: le reazioni di negazione, frequenti nei "lasciati", di cui abbiamo parlato nella prima parte del libro, possono perdurare anche dopo la separazione, in soggetti incapaci di elaborare la perdita. Il risultato è una persona che si comporta come se la coppia non si fosse mai scissa. Nel caso riportato, la signora, "lasciata", aveva richiesto la mediazione con la sola speranza di riaprire il dialogo, sperando che il mediatore fosse capace di convincere l'altro ad avere un ripensamento, e "tornare a casa". Specialmente in persone che in origine si erano legate nella ricerca di una sicurezza, la fine del rapporto può aprire voragini di angoscia e solitudine, dando vita a un simulacro di relazione mediante il setting mediatorio. Dovrebbero essere gli invianti a intuire l'inopportunità di aderite a certe richieste 18 . Per una strana analogia, i "lasciatori" possono cercare, in modo altrettanto capzioso, nella mediazione solo un contesto dove si consacri ancora una volta la nuova condizione sociale tanto cercata ma ora ancora osteggiata dall'ex coniuge. G Gulotta (1983), D. Skafte (1985), M. Malagoli Togliatti (1990) in vario modo segnalano anche emergenze patologiche tardive nei separati 19 . Ricordiamo il legame disperante di V. Cigoli et al. (1988) dove si sostiene che è frequente il perdurare di situazioni di conflitto, anche dopo anni dalla separazione o dal divorzio. Queste evenienze non hanno a che fare con quelli che noi abbiamo indicato come "residui" ma, appunto, e con varie modalità ed espressioni, con una relazione persistente che esporremo tra poco. Ci sono casi di conflitti che possono perdurare anche dopo una separazione e costituire uno dei più delicati dilemmi per un mediatore familiare. 18 Rimandiamo ai lavori di Barsky (1983); Milne (1983); Power (1985); Wallerstein (1987). Inoltre, a sostegno della necessità di una selezione preventiva di coloro che chiedono mediazione, Bahr et al. (1987) hanno sottolineato il rischio che le parti individuino il setting della mediazione come un campo di battaglia, sul quale lo scontro durerà fin quando lo stesso mediatore interromperà le sequenze: ma nello stesso momento cesserà anche il processo di mediazione. 19 Ricordiamo le risposte sintomatiche, anche molto serie, come il ricorso agli alcolici o ad altre sostanze, oppure con manifestazioni psichiatriche tali da imporre dei ricoveri, nonché cambiamenti radicali e irrazionali del proprio stile di vita ecc. (Bloom, 1975; Bloom et al., 1978; Renshaw, 1984; Langsley e Kaplan, 1968).
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Può dipendere da irrisolte problematiche personali, che possono coinvolgere uno o ambedue i separati. Per esempio uno dei due può non aver superato l'identificazione nel proprio partner di una figura genitoriale con cui esistevano problemi. In tal caso il conflitto non potrà essere interrotto dalla divisione: si conserva una coazione a ripetere, e l'interminabilità dello scontro. In questo senso ci sono non pochi casi in cui le due persone, ormai separate da tempo, mantengono un rapporto fatto di frequentazioni turbolente, a volte addirittura con ambigui incontri sessuali, oltre a contestazioni perenni, minacce, pratiche legali, processi ecc. J. Wallerstein e J. Kelly (1980) hanno chiamato relazione persistente il prolungarsi sine die di una relazione disfunzionale. Non si tratta di un semplice mantenersi di cose in sospeso, o di una certa animosità reciproca, ma di un vero e proprio conflitto irrisolto che perdura nel tempo, quindi anche in occasione della mediazione. In pratica una paradossale patologia della coppia dove il conflitto non è stato interrotto dalla divisione dei partner, perché fissato nella sua "interminabilità". R. Weiss (1975) descrisse queste relazioni persistenti rifacendosi a due modalità comportamentali, l'attaccamento e l'ostilità: • nell'attaccamento, in modo inconsapevole, un individuo ha mantenuto un legame affettivo/dipendente dall'altro. Anche se compie atti di distacco, in realtà resta in attesa che l'altro compia atti riparativi. In questi casi difficilmente troverà interessi affettivi alternativi. In pratica saranno incapaci di realizzare quello che V. Cigoli propone come "buon divorzio"; • nell'ostilità il soggetto è chiuso dentro la delusione e la sconfitta, che esprimerà con azioni ostili e distruttive. Da qui le recriminazioni, i rimproveri, le critiche, le accuse di maltrattamenti o di grave inadeguatezza di fronte alle responsabilità 20 . Queste situazioni, che non di rado possono sfuggire all'osservazione dei Servizi, sono caratterizzate dalla cronicità, con ripercussioni più o meno gravi sui figli (Santi, 1980; Cigoli et al., 1988). In questi casi, nell'infrenabile escalation simmetrica, i figli possono infatti essere utilizzati in lotte di tese alla ritorsione o all'umiliazione dell'altro; questo anche se ambedue hanno già una vita propria, paradossalmente, con un nuovo compagno. Sono state più volte descritte iniziative, non di rado concordate con il proprio avvocato, capaci di gettare l'ex in estenuanti procedure burocratiche (Emery, 1988; Johnston et al., 1987; Long e Forehand, 1987). Le accuse e le re20 G Gulotta (1983), D. Skafte (1979), M. Malagoli Togliatti (1990) sottolineano come queste modalità interattive tardive nei separati si mantengono spesso in modo del tutto acritico, e vedono impegnate queste due persone, coinvolti i figli, attivati avvocati e giudici.
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criminazioni di solito hanno preceduto la mediazione ma poi, nonostante gli inviti a una tregua, continuano senza sosta, rendendo impraticabile la mediazione, che finisce per rappresentare il terreno di svolgimento di giochi più o meno letali. Gli stessi legali possono rimanere sconcertati di fronte alla cieca intransigenza del loro assistito. Non saranno mai sufficienti le nostre raccomandazioni ai mediatori meno esperti affinché non si lascino trascinare all'interno di giochi perversi, mascherati da apparenti richieste di cercare soluzioni per i figli. Ci sono grosse difficoltà a suggerire a due separati di questo tipo, spesso ormai con vite proprie, ma con legami irrisolti, una psicoterapia, ma in realtà questo sistema, sul piano delle dinamiche interpersonali, è ancora "coppia".
5. La mediazione non è psicoterapia Non porremo mai abbastanza l'accento sul fatto che la mediazione familiare non è una psicoterapia, non è un counselling matrimoniale, non è una procedura basata sulla legge e non propone una figura che decida per le parti. 5.1. I confini La distinzione tra psicoterapia e mediazione familiare emerge separando il concetto di curare le persone e le relazioni tra loro, da quello di cercare con loro un accordo su una controversia. I separati, sia pur con i rispettivi residui, ossia con una "conservazione" del loro passato, hanno ormai avviato una nuova vita: non possono essere chiamati a ridiscutere la relazione originaria o ad affrontare insieme il loro (presunto incompiuto) divorzio psichico. Anche se dietro una vertenza sulle visite a un bambino, si cela qualche rimanente contrasto, consideriamo improprio, nel linguaggio mediatorio, il ricorso a termini come conflitto, terapia, resistenze, mito, prescrizione, sintomo, che sono di stretta pertinenza del lessico psicoterapeutico 21 . Altrettanto dicasi, a nostro avviso, per terminologie come "trigenerazionale" (Mazzei, 2002), che si rifanno a un processo di ricostruzione stoPer esempio, se si usa il termine conflitto per indicare l'esistenza pregiudiziale di un'anomalia relazionale, si commette un abuso, in quanto è il tecnico che prestabilisce l'esistenza di questo tipo di problema e lo impone ai clienti come se quello fosse il focus dell' intervento. 21
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rica e di narrazione che è proprio della psicoterapia familiare 22 . È altresì sconsigliabile l'uso dello stesso termine "coppia": esso dovrebbe riguardare soggetti uniti in un legame significativo, che ritengono (ancora) di discutere sulla loro vita. Per questo preferiamo ricorrere a espressioni come "persone separate", "separati", "divisi" o "ex", con i vari aggettivi, oppure "coppia di genitori". Per segnare un confine chiaro e che orienti i professionisti che operano in questi settori, riteniamo opportuno dedicare un certo spazio a questo tema, spesso controverso, emerso sull' onda dei cosiddetti "approcci di mediazione terapeutica" 23 . Un proposito "terapeutico" ripropone, in maggiore o minor misura, la coppia, recuperandone l'identità coniugale, e proponendosi come una sorta di "trattamento" di quella relazione, ritenuta in qualche modo ancora presente. Noi stessi con il termine "residui" abbiamo inteso che parti del legame storico perdurino, e che certe rigidità, o resistenze agli accordi, ne siano l'espressione. Il principio fondante rimane però quello di promuovere la "genitorialità", mentre la "coniugalità" deve essere considerata distinta dalla sfera dell'intervento; se presente, e irrisolta, essa non compete alla mediazione.
Nella realtà di molte scuole o di mediatori familiari privati sono adottate procedure "terapeutiche" (riprendendo le posizioni di Irving e Benjamin 24 ), enfatizzando il mondo emozionale, le storie, le famiglie d' origine, le appartenenze e i miti familiari. La coniugalità è considerata un ambito ineludibile da affrontare in mediazione. Riteniamo importante citare, agli effetti dei confini con altre interpretazioni, la trattazione della mediazione proposta recentemente su due volumi: uno di Canevelli e Lucardi e uno di Mazzei. 22
Non per niente l'approccio trigenerazionale è importante nella psicoterapia relazionale: evoca storie e miti che hanno un riverbero in due (o più) persone ancora interdipendenti. Incontra la famiglia non solo nella sua espressione orizzontale, attuale, ma anche in quella verticale, delle storie. 23 C. Marzotto (1994), considera l'evento separatorio una fase del ciclo di vita della famiglia, nell'idea che esso mantenga un legame con la storia e con le appartenenze familiari. In questo approccio, detto ortopedico, si giunge a una lettura che sembra tener minor conto delle responsabilità genitoriali per privilegiare invece le componenti relazionali dell'ex coppia. 24 Irving e Benjamin affermavano che le radici delle difficoltà incontrate nel lavoro di mediazione sono connesse al mantenimento, da parte delle coppie separate, di un "invischiamento affettivo e all'interferenza di elementi esterni al sistema familiare". Noi pensiamo che in tali casi sussiste una relazione patologica che interferisce sulla mediazione. 127
Nel modello di mediazione proposto da Canevelli e Lucardi (2000), il procedimento si divide in una fase preliminare e tre fasi di mediazione. • Fase preliminare: nell'accogliere una richiesta bisogna tener conto, nel colloquio iniziale, dell'inviante, dei richiedenti, e del motivo della richiesta, della possibilità di instaurare un rapporto di rispetto reciproco, e dell'esistenza di condizioni, personali o relazionali. • Prima fase di mediazione (uno-tre incontri): — si definiscono le posizioni: del mediatore, ma anche della mediazione stessa rispetto a terzi; — si verifica la dinamica tra i due separati, che dipende dal tipo di disputa ("conflitto congelato", silenzio, delega; litigio, escalation ecc.). • Seconda fase di mediazione (tre-cinque incontri): il ruolo del mediatore è meno direttivo e meno asettico, più apertamente negoziatore. • Terza fase di mediazione (due-quattro incontri): si procede verso la stesura dell'accordo, tendente a restituzioni rispetto alla progettualità futura dell'altro come genitore; si stabilisce un'area di fiducia, dove permangono esperienze di delusione o di fallimento, che possono coesistere con immagini positive o ricordi piacevoli. Sulla questione della "coppia" gli autori, specificando che la separazione introduce importanti modifiche strutturali nel sistema familiare, affermano che "i modelli prevalenti d'interazione in genere persistono". Riteniamo che corrispondano ai nostri "residui", e concordiamo quando propongono le finalità dell'intervento come sostegno verso un clima cooperativo, per il raggiungimento di un accordo vantaggioso ed equo. Siamo meno d'accordo invece quando prevedono "la disponibilità della coppia a intraprendere un processo di cambiamento" e di perseguire una modifica delle "disfunzioni relazionali delle coppie", come se questo dovesse aprire a procedimenti terapeutici nei confronti dei due separati. Per la verità gli autori, citando H. H. Irving e M. Benjamin (1994), aggiungono che, nel caso d'arresto o fallimento della mediazione, si deve provvedere a un invio ad altri contesti (giudiziari o terapeutici) della coppia; aggiungono che questa decisione... "non appare incoerente con i suoi principi, nell'interesse della risoluzione del disaccordo, proprio perché il fallimento della mediazione è spesso riconducibile a una disfunzionalità di tipo relazionale". In buona sostanza sembrano parlare della nostra relazione persistente. D. Mazzei (2002) propone un suo modello "simbolico trigenerazionale". Premettendo che la mediazione è prevalentemente proiettata sul futuro piuttosto che sull'analisi delle cause passate, prevede però "uno spazio importante per il passato". Critica inoltre la mediazione intesa come "specifi-
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camente destinata alla coppia normale" per sostenere che non si possono negare le dinamiche psicoemotive della coppia e che non sempre una psicoterapia nasce da una diagnosi di psicopatologia, anzi, molto spesso ciò che spinge una coppia a intraprendere un percorso terapeutico "è proprio il conflitto". Conclude così: "crediamo sia piuttosto arduo per chiunque riuscire a individuare una soglia che definisca e discrimini conflitti patologici a carico delle psicoterapie di coppia e familiari e conflitti fisiologici per ciò che attiene alla mediazione". Siamo d'accordo sulla difficoltà di individuare confini, ma è pur vero che una coppia conflittuale può chiedere una psicoterapia, mentre due separati, pure in disaccordo, non possono farlo, a meno che non cerchino una riconciliazione. Infine ci sentiamo di citare una posizione molto esplicita di F. Belforte (2001), che asserisce: "le emozioni che la separazione, la rottura del legame, la frattura, il divorzio, hanno provocato; quindi i sentimenti di fallimento, di disistima, la rabbia, il rancore e il dolore conseguenti alla rottura della comunione/identità di coppia". Sostiene anche che questi elementi debbono essere espressi ed elaborati nel setting della mediazione, compreso il "recupero di alcuni temi-chiave (miti ecc.) della storia familiare, di come essi si sono intrecciati con quelli dell'altro, di come essi spesso costituiscono l'elemento di blocco e di conflitto nella relazione con l'altro". Aggiunge che "solo un percorso in questa direzione permetterà la reale assunzione di responsabilità verso i figli, mantenendo la continuità genitoriale, da tutti gli approcci teorici auspicata, ma che resta un'utopia se non si lavora sulle emozioni, sulla paura del distacco e sulla propria appartenenza familiare". La stessa autrice propone, usando il termine "coppia in mediazione", la ricerca di "comprensione reciproca più profonda", di "cosa c'è dietro il blocco comunicativo, quali sono gli elementi che appartengono alla storia passata, al vissuto individuale dei coniugi, che hanno causato questo blocco, quali sono i temi-chiave, i nodi che, a partire dalla storia con la propria famiglia d'origine, hanno portato a quel tipo specifico di difficoltà e d'emozione". L'autrice continua affermando che separare la genitorialità dalla coniugalità, oppure dire "non più coniugi, per sempre genitori" sono solo slogan. Infine che "resta un'utopia separare questi aspetti proprio perché la ferita, la rottura del legame è un elemento di grande sofferenza che necessita di essere compresa e riparata". A noi pare che in questa posizione, quanto mai approfondita riguardo alle vicende umane e alle "crisi" dei legami affettivi, sia proposto un "setting psicoterapeutico" di alto livello, un intervento molto coinvolgente che
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connette il professionista (che a questi livelli altro non può essere che uno psicoterapeuta specializzato) con delle persone le quali, volenti o nolenti, si collocano in una posizione di "coppia" in trattamento. Applicare a un setting mediatorio una procedura sovrapponibile alla psicoterapia è una proposta discordante rispetto alle premesse della mediazione stessa e una contraddizione rispetto alla posizione sociale di separati. Segnaliamo quindi degli aspetti pratici, per noi più che discutibili, riscontrabili in certe mediazioni "terapeutiche" dove si prevede di "lavorare con la coppia". Per esempio nel richiedere la storia del primo incontro, le ragioni della scelta reciproca, i valori portati in gioco. Si pongono domande del tipo: "Cosa le piacque veramente di lui?", "quali furono le risposte delle vostre famiglie d'origine", oppure "in quali circostanze emersero le prime differenze o difficoltà". O anche richieste come: "quale fu il suo stato d'animo quando sua moglie... ?". Si aggiungono anche "esercizi", come prescrivere di "dire qualcosa di vero all'altro" oppure esprimere, guardandolo in viso, una connotazione positiva. Sono azioni centrate sulla relazione, che hanno una esplicita funzione di "trattamento" e fanno parte del bagaglio specifico di uno psicoterapeuta relazionale. Non si deve peraltro ignorare che lungo una mediazione si possono verificare effetti positivi: benefits, come li chiama Lisa Parkinson (1983; 1985); per esempio una certa rivalutazione dell'ex compagno/a e una facilitazione dei canali comunicativi, ma, insistiamo, la domanda che porta le persone in mediazione non è per una cura e non per un cambiamento della coppia.
Nel già citato studio di E. M. Hetherington et al. (1985), in un vasto gruppo di separati fu messo in evidenza come in oltre il 60% dei casi, dove erano presenti modalità di relazionarsi centrate sull'ostilità e la rivendicazione, si aveva nella storia un ostilità mai risolta. Questo confermerebbe l'opinione secondo la quale le conflittualità protratte nascondono una incompleta o inadeguata soluzione di precedenti problemi. Se la relazione era e resta malata, i trattamenti di mediazione familiare non sono praticabili mentre, almeno in teoria, ci si potrebbe attendere un risultato da una psicoterapia Qualche anno fa (2001) in un Convegno a Firenze, un gruppo di direttori d'istituti, tra i quali uno di noi, dibatteva sulla formazione dei mediatori. Il clima divenne acceso quando qualcuno sostenne la necessità di corsi intensivi, con un grosso lavoro individuale sulla persona del formando, in funzione di un intervento di gran delicatezza sul mondo emotivo, e sulle appartenenze. Oggi assistenti sociali, pedagogisti e anche persone con titoli diversi, ma non psicoterapeuti, sono giustamente accettati e vanno a costi130
tuire la maggior parte dei mediatori familiari. Se la legge ha stabilito certe norme per autorizzare a fare certe cose, ci sarà una ragione. Se per la mediazione familiare prevalesse una posizione "terapeutica", diverrebbe d'obbligo ingaggiare solo psicoterapeuti. Di conseguenza la mediazione diventerebbe un'attività collaterale alla psicoterapia, specializzata nei problemi delle persone separate. 5.2. Somiglianze e differenze La psicoterapia della coppia non appartiene alla materia trattata in questo libro. È un intervento specialistico tendente a superare un disagio (secondo un modello teorico) e prevede due persone che chiedono un aiuto in quanto coppia e, in ogni caso, per affrontare un'empasse della relazione e del vivere. La psicoterapia di coppia si può definire come un percorso che permette alle due persone di lavorare sulle loro distorsioni comunicative, sui problemi irrisolti, sul disagio emozionale. In questo contesto assume importanza il ritorno alla storia, al come e quando i problemi si sono formati, quali sono state le soluzioni tentate e conoscere le ragioni per cui i due hanno deciso di iniziare una terapia di coppia. La terapia non mira a mantenere unita la coppia, ma a favorirne l'evoluzione: talora la separazione può essere riconosciuta come il male minore. La disfunzione della relazione può esprimersi anche sotto forma di sintomi: con comportamenti abnormi, come il ricorso agli alcolici o all'assunzione di sostanze, oppure con problemi psicologici di vario tipo come malattie psicosomatiche, nevrosi ecc. 25 . Possiamo qui tracciare brevemente le somiglianze e le differenze tra psicoterapia della coppia e mediazione familiare. Somiglianze • •
In entrambi i casi l'intervento ha come oggetto due persone in difficoltà, che si sono bloccate di fronte ad alcuni ostacoli e per superarli necessitano di un aiuto esterno. Sia il terapeuta che il mediatore sono due esperti che hanno percorso un iter formativo teorico e pratico. Il primo (medico o psicologo) deve
25 Può trattarsi di disturbi psicologici di ordine psicoemotivo, ma talora essere così gravi da tali da imporre anche dei ricoveri, oppure da indurre cambiamenti radicali e irrazionali del proprio stile di vita ecc. (Bloom, 1975; Bloom et al., 1978; Renshaw, 1984; Langsley e Kaplan, 1968).
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aver fatto quattro anni di scuola di specializzazione. Il secondo può essere anche un assistente sociale o avere un titolo di laurea affine e deve aver fatto un corso per mediatore familiare 26 . • In ambedue i casi all'inizio vengono stabilite le regole di funzionamento del processo e il tipo di procedura che verrà eseguita. In entrambi i casi si utilizza un setting ben definito, si stabiliscono in linea generale la durata e la frequenza degli incontri e viene delineato l'obiettivo da raggiungere e quindi stipulato un accordo. Ci sono altre analogie fra i due ruoli del terapeuta e del mediatore: 1. l'intervento deve essere equilibrato e cioè deve dare sostegno a entrambi i clienti senza che nessuno dei due possa pensare di avere il terapeuta/mediatore come alleato; 2. il professionista non si sostituisce alle persone: non decide per loro gli obiettivi e il modo per raggiungerli, ma il suo compito è quello di aiutarle in modo cooperativo e costruttivo. Valorizza il lavoro che viene svolto e le fa sentire direttamente coinvolte nel raggiungimento degli obiettivi. Differenze •
• • • •
•
La mediazione prevede problemi che sorgono con la separazione/divorzio, come la divisione dei beni, i modelli di gestione dei minori o la loro educazione, gli accordi sui periodi di visita ai figli per il genitore non affidatario ecc. La psicoterapia precede la separazione in quanto è un intervento utile per aiutare la coppia a risolvere i nodi relazionali che rendono difficile la continuazione del rapporto. La mediazione non opera a livello della gestione del conflitto, ma, in particolare, nell'interesse dei figli e la riacquisizione della genitorialità. La psicoterapia agisce principalmente sui vissuti psichici ed emotivi, entra nel merito dei pattern di relazione per comprenderne la funzione e il significato. La mediazione familiare presuppone una decisionalità dei separati e una motivazione a collaborare per risolvere la disputa. Obiettivo principale è la negoziazione di un accordo equo e accettabile attraverso l'utilizzo di una disponibilità reciproca. La psicoterapia agisce su un sistema più o meno disfunzionale che deve 26
Ricordiamo anche la distinzione tra psicoterapia della famiglia e interventi sulla famiglia da parte del Servizio Sociale, centrati sul compito come suggerito a suo tempo da W. J. Reid (1986).
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"essere curato". La psicoterapia può essere avviata anche se i componenti della coppia hanno livelli motivazionali bassi. • In mediazione si deve tener del quantum di residuo che può permanere anche dopo la separazione, e che spesso l'ha determinata. In questo senso un certo livello di simmetria, o di competitività, è un ingrediente comune nelle sedute di mediazione. • Nella psicoterapia il tecnico entra in congiunzione con il sistema, anche se mantiene una relativa distanza. È connesso con la coppia ed evolve insieme a essa secondo i principi della seconda cibernetica. Infine, in ragione delle differenze che abbiamo esposto, possono emergere alcuni quesiti rispetto ai cosiddetti modelli "terapeutici". Per esempio: • Il contratto iniziale non dovrebbe prevedere una spiegazione da parte di chi opera in questo senso e quindi l'accettazione dell'orientamento prescelto?
• •
Di conseguenza è corretto imporre questo tipo esperienza a chi, per esempio, ha già fatto un'altra scelta affettiva? Infine tutti i mediatori hanno la preparazione e i titoli sufficienti per la mediazione terapeutica così come sembra essere proposta 27 ?
6. Sintesi In sintesi la mediazione familiare può essere descritta come un processo dove due persone sono facilitate nel cercare soluzioni per il benessere dei propri figli. I due separati diventano interpreti di un nuovo rapporto, in qualche modo diverso dal precedente. Ma non è una riconciliazione: talvolta l'esperienza offre loro l'opportunità di recuperare stima nell'altro, l'amicizia, o anche affetto. Possono invece perdurare la contesa o la disapprovazione, ma queste componenti negative dovrebbero mantenersi ben separate dal progetto per i figli. Il mediatore deve saper rispettare il principio di affrontare solo le situazioni di separazioni familiari non patologiche 28 . 27
C. A. Everett e S. Volgy (1995) affermano addirittura che, anche se il mediatore opera in un'area intermedia tra psicoterapia e campo legale, si tratta di una posizione talmente impegnativa, per la quale gli esperti dovrebbero essere sempre individuati tra i terapeuti della famiglia. Anche se, senza dubbio, uno psicoterapeuta relazionale ha una formazione che potrebbe favorirne il lavoro in questo ambito, riteniamo che, proprio per la sua finalità non terapeutica, questo compito possa essere ampiamente assunto da professionisti provenienti da altri settori. 28 Come abbiamo già detto, oltretutto coloro che si occupano di questi ambiti hanno titoli di studio e competenze non di tipo psicoterapico. 133
Tab. 1- Ambito dell'intervento
Giudiziario
Mediatorio Il problema
Psicoterapeutico
Problema formale
Violazione reale o presunta di un diritto. Richiesta di tutela di un diritto
Controversia intorno ai figli
Crisi, emergenza sintomatica
Problema relazionale
Vertenza tra separati
Difficoltà a trovare accordi
Conflitto, misunderstanding originario, sintomi
La struttura Modalità
Dibattito. Sentenza a seguito di prova
Negoziato. Ricerca di un accordo
Ristrutturazione dei processi relazionali; rielaborazione della realtà.
Atteggiamento
Sfiducia, richiesta di giustizia
Competizione, disponibilità al confronto
Non rilevante per il raggiungimento dell'obiettivo.
Chi decide Risorse
Il giudice Paga chi perde
Gli ex coniugi insieme La coppia come diade come genitori Ricerca in comune
Ricerca in comune
Gli obiettivi Obiettivo concreto
Decisione del giudice
Cooperazione tra separati
Cambiamento, evoluzione
Obiettivo finale
Applicazione della legge
Dialogo, accordo, funzione genitoriale
Trasformazione, salute psichica
Tratto da: Esposito E. (2000), "La pratica della mediazione come nuovo strumento e risorsa sociale. Differenze epistemologiche e operative con i diversi interventi d'aiuto alla persona", Diritto e Diritti, 3, 23 (modificato parzialmente).
Per questo è deontologicamente corretto non attribuire una finalità terapeutica della mediazione familiare, anche se ciò non toglie che ci siano degli elementi che propongono questa come "metodo di aiuto".
In sostanza: 1. nelle persone che si lasciano, quale che ne sia la ragione, permane un residuo, una memoria della relazione, che può essere serena, o viceversa dolorosa. Possono mantenersi sentimenti di gelosia, vendicativi, o di risentimento. Qualcosa, in ogni caso, "resta". Nello svilupparsi del processo di mediazione si entra in contatto con tali residui e in qualche modo con la storia. Si lavora però tenendo presente che non si tratta di una coppia in terapia, ma di due persone in disaccordo su qualcosa; 134
2. anche la mediazione prevede una "associazione" con i due partecipanti, separati nei fatti, ma ora messi accanto in ragione di sentimenti e doveri genitoriali, tesa a trovare una cooperazione e una migliore capacità di scambio; 3. in definitiva, ripetiamo ancora, l'intervento non è una riesumazione della coppia, la quale, come tale, non è presente in seduta, ma sul mandato genitoriale che quelle due persone si portano dalla storia precedente. In questo senso è importante che il mediatore coinvolga i due separati, ma non deve avventurarsi in interventi con pretese di psicoterapia. In chiusura di questo capitolo ci è parso interessante riportare lo schema (tab. 1, alla pagina precedente) proposto da E. Esposito (2000), al quale abbiamo apportato qualche nostra modifica. È evidente come le differenze sono sostanziali.
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4. La legislazione
Gli studi sociali, specie quelli risalenti alla metà del secolo scorso, riportano come nella quasi totalità delle disgregazioni delle famiglie, i figli, tanto più se piccoli, sono stati allevati dalle madri. Al di là dei successivi dispositivi di legge (separazione legale, divorzio), queste si sono trovate il carico di gestirne la crescita, sia emotivamente sia sul piano educativo. Quasi sempre hanno dovuto accettare uno stile di vita inferiore a quello cui erano abituate'. Anche i figli spesso hanno affrontato un'esistenza relativamente più modesta, con cambiamenti di casa, rinunzie di vario tipo, senza che ne potessero ben comprendere le ragioni. Nonostante leggi come quella del diritto di famiglia e quella sul divorzio, il fenomeno ha avuto modifiche piuttosto modeste: la donna ha continuato a trovarsi non solo in una posizione post-separatoria di svantaggio per sé e per i figli, ma anche rispetto all'eventuale scelta di un nuovo partner. Si è assistito non solo a una diminuzione delle sue risorse economiche, ma anche dei contatti sociali. Dietro a queste disparità si è mantenuta anche un'altra distorsione culturale secondo cui l'uomo avrebbe scarse o nulle capacità di occuparsi di attività domestiche e in particolare dei bambini. Ancor più approssimativa è stata la valutazione della tutela psicoemotiva dei minori, dove si afferma che il contatto con la figura materna, e relativi modelli di comportamento femminili, sarebbero assai più rassicuranti. Anche se queste componenti hanno a che fare con attitudini predeterminate, diciamo pure proprie del genere femminile, questo non può portare all'esclusione del padre dai compiti di allevamento. In verità, anche se i modelli materni appaiono essere prevalenti nella donna, e di solito assai confortanti, è pur vero che molti padri, rimasti 1
1965.
Interessante, anche se datato, a questo proposito è uno studio di C. Rolin che risale al
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soli con i figli, dimostrano una piena capacità di proteggere l'attaccamento del bambino. Vale la pena ricordare come, in caso di separazione, il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa, nel lontano febbraio 1985, considerando l'evoluzione della famiglia, dispose di non parlare più di "patria potestà", ma di "responsabilità genitoriale". Il figlio è soggetto di diritti e i genitori sono portatori di poteri, ma nella funzione unica dei doveri che hanno verso i figli stessi. Si attribuiscono tali doveri a entrambi i genitori, sia prima che dopo la separazione. Per quanto riguarda l'affidamento dei figli, allora previsto — per legge — alla madre per i minori, era previsto l'affido congiunto, nel quale, anche se i figli abitavano con uno dei genitori, tutte le decisioni (modalità di vita, scuole, viaggi, interventi medici, vacanze ecc.) erano prese concordemente dai due. Ai separandi era suggerito di convenire tra di loro, prima di presentarsi al giudice, le modalità di vita dei figli dopo la separazione, impegnandosi nel loro dovere genitoriale. Si raccomandava che il livello di vita dei figli, che stessero con la madre o con il padre, fosse uguale a quello del partner con una situazione economica più elevata. Queste indicazioni, e il buon senso, avevano suggerito delle scelte nella condotta dei genitori separati, che in realtà troppe volte sono andate disattese. La mediazione familiare ha cercato di introdurre il buon senso nelle vicende più o meno turbolente delle post-separazioni, dove le controversie possono raggiungere livelli elevati. Il trascinarsi di questo problema, unitamente a un movimento dei "padri" tendente ad annullare la precedente normativa sull'affido e richiedente una parità dei diritti e doveri dei genitori, ha condotto a una revisione legale che si è espressa nella recente legge sull'affido condiviso. Questa legge (54/2006) eroga le "Disposizioni in materia di separazione dei genitori e l'affidamento condiviso dei figli". Il testo ripropone anche principi di equità, ponendo alla base del destino dei figli il principio della potestà genitoriale condivisa. In essa, infatti, si prospetta un impegno paritario tra padre e madre. La modifica sostanziale è il recupero della figura paterna, figura che con le precedenti norme è sempre stata fortemente emarginata rispetto ai figli minori e che ora non può essere più ignorata. Inoltre la tutela dei bambini prevede anche tutte le risorse familiari, ossia i parenti di ambedue i rami genitoriali (art. 155, comma 1), sostenendo l'importanza delle famiglie d'origine. In sostanza, in relazione al paradigma della bigenitorialità (Dosi, 2006), il legislatore accoglie la competenza paterna e, anche se si è verificata la disgregazione della famiglia unita, propone un profilo nuovo, più affettivo e collaborante.
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La stessa legge riconosce il ricorso volontario alla mediazione familiare nei casi di disputa tra i separati. Nonostante 1' apprezzamento dei principi espressi dalla legge, man mano che questa si è andata proponendo, sono emerse voci critiche, anche severe. Per esempio, ha sollevato una diffusa disapprovazione da parte degli assistenti sociali, i quali, per esperienza pluriennale e per molti rilievi statistici, hanno fin dall'inizio segnalato il frequente permanere, a partire dai primi mesi dopo la separazione, di dissidi tra i separati. Dissidi connessi a quei "residui" negativi della relazione che si trascinano oltre l'atto formale o legale. Queste difficoltà sono spesso tali da dubitare della possibilità di svolgere fin dall'inizio un'attività educativa in comune. Segnalano inoltre gli assistenti sociali, come molti padri (in numero superiore alle ex mogli), trovano precocemente nuovi legami affettivi e come questo induce un certo distacco dall'impegno coi figli. Aggiungono infine — e noi concordiamo — che il precedente affido congiunto solo raramente era realizzato proprio per queste difficoltà; quindi si può temere il perpetuarsi di una tradizione culturale inveterata, che vede la figura maschile tendenzialmente delegante alla donna la maggior parte dei compiti d' allevamento della prole. Con le riserve appena espresse, dobbiamo sottolineare come quella dell'affido condiviso, anche se in questa fase appare di faticosa applicazione, è a nostro avviso una legge che tende saggiamente alla salvaguardia dei minori. Non intendiamo quindi sottoscrivere certe descrizioni negative della figura maschile e rifiutiamo quei modelli, connessi alla tradizione di certe famiglie d'origine o a culture dell'ambiente di vita, che spesso sostengono l'esistenza di una certa "inadeguatezza" o poca attitudine dei maschi, in particolare nei compiti d'allevamento. Talvolta con malcelato compiacimento per una presunta "superiorità" maschile. In realtà esiste un numero crescente di babbi del tutto adatti ed "idonei" alla cura e alla sana crescita dei loro bambini, mentre non pochi padri ingiustamente si sono trovati, in passato, allontanati dai figli solo in osservanza di un dispositivo di legge. Persiste anche un altro pregiudizio storico, che vuole il lavoro maschile più importante di quello femminile, e ha da sempre creato una sorta d'assoluzione per la sua assenza dagli impegni familiari. In conseguenza di questi dati, e in modo alquanto paradossale, la legge, di fronte alla riscontrata difficoltà del far realmente condividere la gestione dei figli, prevede anche che il giudice possa disporre l'affidamento dei figli a un solo genitore. La cosa si sta verificando in numerosi casi di separazione, con dispositivi che quasi sempre propongono di nuovo la responsabilità centrale della madre. 139
È comunque da sottolineare come. riprendendo il lontano suggerimento dei Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa, con la legge 54/2006 il legislatore si rivolge non alla coniugalità ma bensì alla genitorialità: nel prendere atto della controversia dei due separati, si tende apertamente verso un coinvolgimento co-genitoriale 2 .
2
Il testo integrale della legge si trova nell'appendice finale del libro.
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5. La prassi della mediazione familiare La separazione e il divorzio non sono una malattia dalla quale si deve guarire (Scabini e Cigoli, 2000).
1. Gli "esperti" e le sedi della mediazione Sul piano delle figure professionali, il lavoro di mediazione presup-
pone una competenza sui principi generali di scienze dell'uomo, nonché una adeguata e specifica formazione, dove le competenze appartengono grandemente all'area del saper essere oltre che del saper fare. Si aggiunga una conoscenza delle normative di legge che regolano questa materia. A nostro avviso le figure più facilitate per svolgere quest'attività sono quelle che dispongono di una preparazione secondo l'indirizzo relazionale. Idonei sono i medici, gli psicologi, gli psichiatri, i neuropsichiatri infantili e in particolare gli assistenti sociali, tutti dopo un corso di formazione, non inferiore a due anni. Poniamo l'accento sull' attitudine degli assistenti sociali, che, proprio in ragione del loro compito professionale, che li tiene abitualmente a contatto con le situazioni interumane, appaiono tra le figure più facilitate per questo lavoro. Essi normalmente hanno a che fare con casi di dissidi di coppia, di crisi familiari o con vertenze di separati che coinvolgono dei minori, e sono spesso chiamati ad affrontare situazioni d'allontanamento e d' affido di bambini. A parte consideriamo gli educatori professionali e i legali. Gli educatori professionali si trovano in un'area alquanto indefinibile, in ragione della diversità, spesso marcata, delle scuole di formazione in Italia. Per quanto riguarda gli avvocati, riteniamo che non si possa negare loro l'accesso, ma che sia però indispensabile che dispongano di un comprovato curri culum formativo che riguardi anche le scienze umane, verificabile attraverso l'analisi dei titoli formativi e il colloquio di ammissione. Gli operatori del settore giuridico hanno potuto apprezzare la flessibilità propria del contesto mediatorio. Su questo terreno l'integrazione delle competenze nel campo giuridico e psico-sociale, costituisce un importante obiettivo che la mediazione familiare sta perseguendo. In ogni caso, nel141
l'attesa di una legge che regolamenti l'accesso alla formazione, le scuole di mediazione dovrebbero sempre attenersi a una seria valutazione preliminare dei candidati'. L'esercizio della mediazione familiare si sta diffondendo in molte strutture pubbliche come i consultori o i centri di salute mentale. Molti utenti considerano la mediazione privata di più alta competenza, cosa erronea, in quanto molti servizi pubblici sono attrezzati e preparati per svolgere questa attività in modo più che valido. In pratica i luoghi dove si possono svolgere gli incontri di mediazione familiare sono: 1. servizi pubblici: attraverso richieste dirette, invii dal Servizio Sociale o anche su disposizione del tribunale; 2. centri privati: questi si organizzano da soli, o presso istituti o scuole di formazione. Come in ogni altro contesto, appare indispensabile curare al massimo la protezione della privacy dei clienti. Un accorgimento importante è quello di proporre un ambiente dove le persone che si presentano per la mediazione non siano messe insieme a quelle che giungono per altri tipi di consultazione, comprese le visite mediche. Meglio sarebbe disporre di salottini d'attesa; comunque è opportuno privilegiare una struttura che preveda servizi selettivi per le famiglie, un centro di psicoterapia familiare e della coppia, di aiuto alle madri sole, per separati, e così via. Questi possono costituire un insieme funzionale e ove coesistono competenze molteplici in questo settore.
2. La domanda Per quanto riguarda la richiesta di mediazione, una corretta domanda prevede una iniziativa congiunta e cioè che, a nome di entrambi, uno dei due, un loro rappresentante (un legale), o per esempio un assistente sociale che si occupa del caso, si metta in contatto con il Centro. Se esiste un inviante ufficiale, questo può anche essere interpellato sulle ragioni della richiesta, oppure può essere pregato di inviare una breve relazione scritta. Un centro di mediazione familiare deve disporre di un servizio di ricezione delle richieste. Al momento della chiamata si può compilare una scheda telefonica, che servirà allo staff per raccogliere dati d'ordine generale (chi 1 Alcune scuole impongono un titolo di studio elevato, come laurea in medicina o in psicologia, avvicinando la formazione a quella psicoterapica.
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chiama, nomi, indirizzi, inviante, esistenza di figli ecc.). È molto importante sapere se la richiesta riguarda una coppia in via di separazione legale, di due conviventi che si sono lasciati, di due separati da più o meno tempo, o divorziati. È altresì possibile chiedere se la separazione sia consensuale o giudiziale. Infine se ci sono figli, la loro età ecc. Naturalmente è fondamentale che chi compila la scheda sia persona appartenente allo staff, assolutamente affidabile, legata al segreto professionale e alle norme sulla privacy. In sostanza un esperto in mediazione familiare. Con questi limiti, la scheda può anche prevedere uno spazio per le impressioni del ricevente sulla natura della chiamata e sugli scopi di questa'. Alcuni centri utilizzano una scheda telefonica particolarmente dettagliata ed estesa, come per esempio il GeA di Milano (Bernardini, 1994). Nonostante l'indubbia utilità di una scheda, specie nella sua funzione selettiva, è bene sottolineare che durante i colloqui telefonici, con scheda o meno, è indispensabile mantenere la massima discrezione e non insistere mai in domande che potrebbero apparire invadenti: molte persone hanno difficoltà a rispondere a indagini telefoniche, o hanno un istintivo rifiuto. Quando due separati chiedono la mediazione, o qualcuno lo fa per loro, spesso non ne comprendono a fondo la natura e le finalità'. Inoltre la convocazione può suscitare delle reazioni difensive in quanto, nonostante le informazioni ricevute, essi possono equivocare, sospettando per esempio che gli incontri corrispondano a un intervento sui loro trascorsi dissidi, oppure, al contrario, che il tecnico sia una persona molto potente e influente, che assumerà le decisioni senza consultarli. Talvolta accade che sia uno dei separati a chiamare di propria iniziativa, ma che segnali la scarsa disponibilità dell'altro. In questi casi si può insistere perché cerchi di convincerlo, dichiarando la disponibilità ad attendere, ma il Centro non può contattare o sollecitare una persona che sia contraria all'incontro. In casi eccezionali può verificarsi un colloquio personale, nel quale sarà chiarito che, ove l'ex coniuge accetti la mediazione, il professionista lo metterà al corrente di quanto è stato detto. 2 Quando questo sia possibile, già al telefono si può fare una decodifica di quanto giunge in forma del tutto criptata: per esempio la posizione di chi chiama rispetto all'ex partner, se quest'ultimo è d'accordo o meno sulla richiesta; quale tipo di aiuto sembra realmente venire richiesto e se la mediazione familiare sia uno strumento appropriato per quella situazione. 3 Questo accade in quanto, come abbiamo segnalato in precedenza, ci sono purtroppo non pochi professionisti o gruppi di lavoro che usano in modo indifferenziato i termini di mediazione, mediazione di coppia, intervento sulla coppia in crisi, in via di separazione, a rischio di separazione, e così via, in maniera colpevolmente disinvolta e ambigua, con il risultato di aumentare la confusione.
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In alcuni Centri, si organizza un incontro preliminare con ciascun coniuge da solo, prima di dare l'avvio agli incontri congiunti, con lo scopo di incoraggiare ogni partecipante, rassicurarlo e abbassarne il livello di tensione difensiva. Questa procedura è a nostro avviso da evitare. Conveniamo infatti con I. Bernardini (1994) quando sostiene che in tal modo verrebbe a mancare la dinamica dell'interazione, elemento indispensabile per trarre una prima valutazione della coppia di separati. Inoltre in questo modo, invece che favorire lo scambio, si potrebbero rafforzare le difficoltà a parlarsi, aumentando il distacco. Talora si verificano iniziative manipolatorie tese a influenzare il mediatore. Per esempio una signora può presentarsi senza preavviso al Centro dicendo "Debbo avvertirvi, il padre dei miei figli non lo confesserà mai, ma io so che, quando escono, lui frequenta persone ambigue, del giro del gioco d'azzardo". Oppure: "Mi raccomando... cercate di sondare bene il terreno... il mio ex marito non esita a portare la bambina a casa sua anche quando c'è la sua nuova compagna... non so a cosa l'espone... lei mi capisce?". In generale dietro a questi tentativi anticipatori esiste il tentativo mantenersi in posizione up, residuo di una storica simmetria: il fine è squalificare l'altro con una captatio benevolentiae del mediatore. Queste iniziative sono da controllare, ma talvolta, anche con irruzioni telefoniche, possono "incastrare" il professionista. Un modo per evitarlo, di fronte al tentativo di trasmettere segreti, è quello di avvisare l'interlocutore che di tutto quanto sta dicendo, sarà doverosamente informato l'ex coniuge. Non dobbiamo meravigliarci se questo accade a due persone proprio nel momento in cui stanno avviando una mediazione; se il cosiddetto residuo della relazione, con le sue componenti di animosità, è tuttora presente facilmente potranno emergere le sottolineature delle negatività dell'altro, l'aggressività, le rivendicazioni, talora una malcelata gelosia.
3. Il primo colloquio, linee guida Ripetiamo: il mediatore familiare aiuta un padre e una madre a comunicare efficacemente sui figli, a trovare soluzioni realistiche, a cercare accordi, che consentano ai bambini di crescere sereni, in nome di un comune compito genitoriale. Il primo colloquio è l'inizio del percorso e comprende una prima valutazione sulla possibilità delle due persone di affrontare il processo. Il mediatore lavora per instaurare un diverso rapporto, una differente relazione, che deve essere impostata tenendo conto della condizione di separazione. All'inizio, dopo le debite presentazioni, informa i clienti 144
sulla natura e gli scopi del lavoro, ne espone concisamente i principi, chiarisce che il suo intendimento non sarà quello di investigare su di loro e sui loro mondi privati, ma bensì di cercare insieme una risposta al problema riguardante i figli, per il quale hanno chiamato. Procede alla condivisione dei dati della scheda (se questa esiste) o su quanto è emerso dalla conversazione telefonica. Avverte che non ci saranno segreti, e che ciascuno sarà posto nelle condizioni di sapere le opinioni e i bisogni dell'altro. Poi propone alle parti a fornire una descrizione dei fatti. Inving e Benjamin, ma anche mediatori di oggi, preferiscono iniziare con una o più sedute che chiamano pre mediazione. A nostro avviso questa appare come una sorta di test d'idoneità cui sottoporre i clienti, mentre in sostanza sembra più che altro destinata a un'assicurazione del potere del tecnico. In analogia con le psicoterapie familiari strategiche, l'imporre delle scadenze e dei periodi fissi di valutazione sembra teso ad aumentare il potere del terapeuta e la disponibilità dei clienti. Le domande non saranno mai troppo insistite: sarà opportuno sorvolare su quesiti che potrebbero urtare la suscettibilità di qualcuno o riaccendere simmetrie, ed evitare di dare troppo spazio a una delle parti nel sostenere la propria storia, creando squilibri pericolosi. È opportuno garantire che entrambe le versioni sono importanti e meritevoli di rispetto. Chiedere poi di rimanere concentrati sul proprio racconto, evitando di "descrivere ciò che fa l'altro": in mediazione non esistono torto e ragione, ma diverse percezioni della vicenda. Lo scopo è quello di giungere a un "ponte", che permetta di abbandonare le posizioni iniziali. Talvolta è relativamente facile sintetizzare le due definizioni dei problemi e ben presto spostarsi sui figli, come figure direttamente coinvolte e bisognose. Più spesso i due faticano ad abbandonare il contenzioso, e ogni proposito di parlare dei figli sembra riaccendere la contesa. Si può così restare a lungo in attesa di un "movimento minimo", necessario per giungere a una condivisa definizione del problema e quindi al processo di negoziazione. Se queste sono le sequenze iniziali, non è necessario poi che si percorrano delle precise tappe del processo; ogni azione del mediatore sarà condotta sulla base dello svolgersi della relazione di aiuto. Così il percorso si sviluppa attraverso una serie di incontri dove è possibile che egli modifichi di volta in volta il proprio stile (Irving e Benjamin, 1987), affidandosi alle spinte evolutive e trasformative emergenti. I colloqui si svolgono coi soli genitori: i bambini non vi partecipano, per loro lavorano "i grandi" 4 . Si cerca di comprendere le motivazioni di cia-
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Della presenza dei bambini in mediazione parleremo nel par. 7 di questo capitolo.
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scuno, ma anzitutto le oggettive condizioni del sistema separato (rispettivi stili di vita, risorse, impegni lavorativi, presenza di altri legami affettivi, connessioni con le famiglie di origine, situazione scolastica dei figli ecc.), per giudicare la praticabilità dell'intervento. Di solito i due esordiscono con una delle loro abituali sequenze comunicative, dove domina più il giudizio che non l'esposizione dei fatti: per esempio descrivendo l'altro in termini d'intransigenza, inadeguatezza, inaffidabilità ecc. Ciascuno tende a negare le proprie responsabilità e ad attendersi dalla mediazione solo la "resa" dell'altro. Il mediatore dovrà essere consapevole che già l'atto di essere venuti costituisce un impegno per due persone che si trovano su fronti contrapposti. I fattori che influenzano i primi stadi dipendono anche da che cosa il professionista suscita nei clienti. Talora ci possono essere elementi propri del suo aspetto (l'età, il genere, l'abbigliamento) o semplicemente il modo di muoversi, di sedersi ecc. che possono influenzare la reazione delle persone'. Nello stesso tempo, come abbiamo già accennato, sono da tenere in conto le reazioni del mediatore stesso al contatto con le persone: queste talvolta suscitano in lui stati di ansia, o aggressività. Cose che possono suggerirgli di elaborare i propri vissuti ed eventualmente tirarsi indietro: spetta alla sua sensibilità e alla sua preparazione, optare per procedere, oppure rinunciare al mandato. A questo proposito possiamo proporre alcuni suggerimenti elementari di comportamento, che poi sono ritrovabili in ogni relazione d'aiuto: • rivolgere sempre lo sguardo alla persona con la quale si sta parlando; • chiamare le persone per cognome, a prescindere dall'età, classe sociale, sesso e cultura, precedute da un signor, o signora. Se c'è un minorenne si usa il tu, ma è buona norma informarsi sull'età, specie con le ragazze; • mostrare interesse per il pensiero e i punti di vista di ciascuno, oltre che per i rispettivi stati d'animo; • informarsi in modo colloquiale e non "a questionario", con domande individuali, evitando di destinarle ad ambedue, i quali in quel momento possono essere poco disposti a rispondere insieme. Solo in fasi più avanzate, parlando dei figli, si potrà ricorrere al "voi". Chi si trova di fronte a un professionista molto giovane può dubitare della sua competenza. In questi casi è consigliabile non cercare imporre il potere attraverso il ruolo. Utile è semmai ricorrere agli strumenti e le tecniche apprese. Per esempio usando con atteggiamento rispettoso espressioni tipo "vedo che Lei ha qualche incertezza, tanto da chiedersi se io saprò capirla... mi rendo conto, lei sta affrontando un impegno delicato e si fa molta fatica a mettere in piazza i propri problemi e sentimenti. Se a un certo punto avesse la sensazione di non farcela la prego di avvertirmi". 146
Ritornando alla scheda telefonica o alla semplice indagine, i dati potranno essere raccolti in parte nel primo e poi successivi colloqui man mano che aumenta il livello di confidenza. Essi riguardano: • nome dei figli, età, posizione scolastica; • se c'è, chi è il genitore affidatario; • epoca della cessazione della coabitazione; • procedimenti in corso, sentenze ottenute, dispositivi vigenti; • nel caso di separandi, quando è prevista la separazione; • se c'è stato un evento scatenante la separazione; • se ci sono un "lasciatore" e un "lasciato"; • se e come sono stati informati i figli, quali sono state le loro reazioni; • se ci sono nuovi legami; • se esistono figli avuti da una successiva relazione.
4. La conduzione delle sedute In mediazione l'accordo a tutti i costi, imposto dal tecnico pur di raggiungere un compromesso, è per definizione un atto controsistemico, destinato a fallire. Si tenta di raggiungere un abbandono delle posizioni, mentre il sistema non ha ancora imboccato questa strada È possibile che, anche quando sembra presente una valida cooperazione, la mediazione sia erroneamente vissuta come il luogo in cui saranno riconquistate posizioni, appagate le fantasie. Un percorso cooperativo richiede invece una valida coltivazione dell'interesse per i figli, alla presenza di un terzo che li aiuti a immaginare scenari alternativi. Il mediatore familiare, che oltre ad avere delle competenze specifiche, è un professionista capace di garantire e tutelare tutto il processo. Si dedica al caso ponendosi a una relativa distanza, senza lasciarsi coinvolgere, anche se attiva una relazione centrata sull'empatia. Un'importante risorsa è l'autorevolezza che gli viene riconosciuta dalle parti che si rivolgono a lui senza costrizioni. Il suo compito è aiutare le persone a confrontarsi sul quantum attuale di disponibilità, consapevoli un loro passato più o meno difficile. Dovrà creare un clima dove si accetta che le cose non hanno funzionato ma che adesso è importante non pensare più a sé ma ai propri figli. Non somministra soluzioni: al massimo introduce un tema, un'ipotesi di lavoro. Semmai una congettura sul percorso da fare; non la formula per l'uscita dal contenzioso. Non si schiera, non porrà domande dirette riguardo alla relazione, non stimolerà emozioni positive o negative, salvo che questo riguardi i fi147
gli. Attraverso un ascolto empatico parteciperà alle difficoltà, ai principi comuni o divergenti. Sono indispensabili la sensibilità, la capacità di affiancarsi alle persone, di accogliere i retroscena della loro vicenda senza interferire con il loro privato, di prevedere la presenza di figure che possono esercitare un'induzione negativa, favorire il coinvolgimento sui figli e i bisogni di questi. Si lavora perseguendo un incontro che riunisca gli stati d'animo, le responsabilità, le risorse verso soluzioni alternative. Il mediatore può anche aiutare nelle scelte. Gli incontri sono distanziati tra loro di circa 2 settimane. Il mediatore elabora sempre una strategia di massima, prima d'ogni seduta, riflettendo sul decorso precedente del processo. Ogni volta si inizia con il riassunto dell'ultimo colloquio, per poi proseguire con il domandare se ci sono eventi nuovi. È abituale attenersi ad alcuni rituali (Gulotta e Santi, 1989), per esempio il mediatore propone all'inizio un suo commento su quanto è accaduto la volta precedente, interpellando i due su che cosa ciascuno ha pensato. L'obbiettivo è che le decisioni siano prese di comune accordo, ma i problemi sono spesso complessi e il mediatore sarà chiamato a saper osservare e ricordare le interazioni che si svolgono durante la seduta. In pratica, fra l'altro, dovrà: • annotare quali sono i temi che fanno reagire l'uno o l' altro; • afferrare gli atteggiamenti emotivi prevalenti di ciascuno; • individuare i rispettivi bisogni, distinguendoli tra realistici e irrealistici; • capire la rispettiva percezione del ruolo genitoriale; • valutare se esiste una simmetria incontenibile. Sarà necessaria molta comprensione, perché spesso gli animi possono essere tesi, anche se ambedue hanno accettato questo percorso'. L'abilità del professionista sta nel saper incoraggiare le parti, partecipare alle rispettive preoccupazioni, ed essere talvolta lui stesso a formulare ipotesi e proporle per favorire la partecipazione. È indispensabile che gestisca il timing, ovverosia la scelta dei momenti più adatti per immettere gli argomenti. Mediatori che prevedono la pre-mediazione, predispongono una sorta di documento, un contratto iniziale, che sarà firmato dalle due parti, sul 6 Il ricorso spericolato ad atteggiamenti direttivi deve essere evitato, nel rispetto di due persone che in ogni caso, anche con le loro difficoltà, si trovano in questa sede per lavorare insieme. Questa modalità di procedere, quella che noi adottiamo sotto il nome di modello consenziente (Bogliolo, 1987), è una via per entrare in rapporto con il sistema (in questo caso un sistema di separati). Si rinuncia ad avviare, come dice B. Keeney (1985), un rapporto di pugilato, o ancora, con J. Habernas (1980) preferendo il linguaggio regolativo a quello imperativo. Procedendo, nel rapporto coi clienti, con un atteggiamento orientato verso l'intesa, come prerequisito per una verità e correttezza della comunicazione.
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progetto da perseguire (Haynes, 1994). Ribadiamo che questo metodo costituisce per noi essenzialmente uno strumento di controllo, tendente ad assicurarsi il potere. Forse è più importante cercare un'intesa di fondo, centrata sulla reciproca fiducia e la convinzione che molte cose potranno emergere in itinere, invece di imporre vincoli pregiudiziali. Non ci possiamo immaginare che due persone separate in mediazione si muovano all'interno di un gentlemen agreement, elargendosi gentilezze, attenzioni, disponibilità. Al contrario, anche se la loro presenza conferma il desiderio di fare un tentativo per sanare le cose, l'animosità e la diffidenza permangono. Sono persone che, nella maggior parte dei casi, hanno litigato molto, sono allenate a questo e con facilità lo ripresentano di fronte al mediatore. In mediazione si deve saper dare spazio anche alla lite. Si dovrà valutare quanto litigano, come litigano, quali contenuti portano e soprattutto se, in queste occasioni, i figli hanno ancora una loro importanza o scompaiono. Sappiamo che quando è in atto un litigio ciascuno vede l'altro come lo l'ha in testa e non come è realmente. Prende frammenti di frasi, o quello che si presume ci sia dietro una frase, per alimentare lo scontro. Di fronte due separati molto litigiosi si deve rimandare un'immagine di neutralità e di autocontrollo. Si deve anche dare uno spazio per far esprimere liberamente le persone, e nello stesso tempo non connotare, mantenere una certa empatia. Il mediatore deve essere in grado non solo di contenere una tensione emergente, ma anche di vigilare per non essere coinvolto nella vicenda. Questo può accadere quando i contenuti emotivi, come le ripercussioni sui figli, sono molto intensi, tali da influire sulle componenti personali del professionista. Il mediatore deve riflettere sulle proprie reazioni, per esempio: "Come sto io in questo momento?". "Cosa sto provando verso queste persone?". "Avverto in me qualche differenza verso l'uno o l'altro?". Sarebbe opportuno che ci si domandasse sempre: "Chi sono io all'interno di questa situazione?". Ecco alcune interazioni fra due separati in mediazione familiare. Claretta: "Questo uomo se ne è andato e ci ha lasciati soli, senza una spiegazione... dicendo che doveva pensare... e dopo due settimane mi ha annunciato che voleva separarsi. Ora trascura del tutto i suoi figli!". In certi casi l'attacco è diretto, e contiene anche ingiurie o provocazioni: Enrica (all'ex: "Sei il solito intollerante e aggressivo... tanto quanto è grande la tua stupidità... mi domando cosa sono venuta a fare qui, quando
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mi trovo di nuovo alle prese con una persona di questa razza...". Vincenzo (al mediatore): "Come vede non riesce a stare zitta, e invece di parlare sa solo offendere!". Sono modelli linguistici che seguono un percorso ricorsivo, costituito da botte e risposte che sembrerebbero bloccare ogni possibilità di progresso: in realtà fanno parte del processo, costituendone la parte comunicativa. Anche se il lessico è piuttosto forte, o pesante, o talora volgare, non è detto che a questo corrisponda una relazione persistente e irreparabile: ogni parte mantiene, o rinforza in queste circostanze le proprie convinzioni e posizioni rispetto all'altra. Il mediatore dovrà saper evincere dal linguaggio i segni di un possibile coinvolgimento nel progetto. Un'altra sequenza: Madre: "Luigi, per avere 10 anni, è molto intelligente e pronto, ha bisogno di pochissimo tempo per fare i compiti". Padre: "È sicuramente dotato, ma tu non lo segui e così alla fine si allontanerà dalle responsabilità". Madre: "Ma se noi ci sei!! Se non ci fossi io, mi domando chi lo educherebbe alla responsabilità, non certo il padre...". Mediatore: "Avete detto che è molto intelligente. Questo certamente lo rivela anche in settori diversi dello studio, potete parlarmi di altri suoi interessi? Per esempio, quali letture preferisce?". È un semplice esempio di come, attraverso un semplice slittamento di contesto, il mediatore cerca controllare l'inizio di una sequenza simmetrica. Il professionista, se ha sufficiente potere, già nelle prime battute potrà inserire interventi di tipo relazionale senza essere un terapeuta. L'interesse mostrato per le realtà di ciascuno è un primo esempio d'associazione. Farà anche bene attenzione che questa congiunzione con il sistema separato avvenga rigorosamente in uno spazio personale con ciascun individuo. Riserverà uno spazio per una dinamica congiunta solo quando li affiancherà nella loro funzione genitoriale. Tornando ancora sulla gestione dell'animosità, si dovrà anzitutto evitare sia la delega che l'alleanza. Se, come abbiamo detto, c'è sufficiente potere, e i due sono motivati, il tentativo diretto, chiaro, di invitarli a una maggiore collaborazione è perseguibile. Per esempio: Mediatore: "Sono consapevole che esistono serie difficoltà tra voi. Vor150
rei ribadire che in questa sede nessuno ha intenzione di farvi riconciliare. La separazione è un evento della vostra vita. Essa mi riguarda solo poiché qui stiamo cercando di trovare le soluzioni migliori per i vostri figli. Si tratta di impegnarci per discutere, partendo da un atto di fiducia, e sul principio che io possa garantire l'imparzialità di ogni decisione". Oppure si scuserà, dicendo di essere del tutto all'oscuro di eventuali questioni private, ma che è importante lavorare per la soluzione di problemi pratici. Cercherà di concentrare il lavoro intorno a questioni semplici, come gli impegni dei bambini, e la compatibilità di questi con gli impegni di lavoro di ciascun genitore, le abitudini, i mezzi di trasporto ecc. È un metodo utile per spostare l'attenzione dalla lite e nello stesso tempo per iniziare una conoscenza delle rispettive vite. Ecco un intervento nel corso di un'escalation simmetrica tra due ex coniugi. Mediatore: "Mi rendo conto della difficoltà in cui ciascuno di voi si trova. È molto difficile in questo momento per voi mantenere la calma e parlare con pacatezza. Sento però che i vostri due bambini per voi sono molto importanti, e mi domando se riuscirete a trovare da qualche parte le risorse da investire in questa impresa. Vi trovo sfiduciati e questo mi preoccupa... Mi chiedo se sarebbe opportuno soprassedere per un certo tempo..."'.
Anche se sembra che stia per congedarli, il tecnico si rivolge ad ambedue sottolineando la loro importanza come coppia genitoriale. Questa modalità di solito contribuisce a un risveglio delle risorse motivazionali e a la spinta cooperativa. Un altro modo di controllare il litigio è la proposta di attuare una transitoria sospensione della belligeranza, una tregua. È un intervento direttivo e prevede potere: per esempio si propone ai due di rispettare per tre incontri successivi la sospensione delle recriminazioni, dopo di che potranno ricominciare. L'iniziativa deve essere ben chiarita alle parti. Frequentemente ci sarà una domanda: "Ma come, noi veniamo per discutere e lei ci propone una tregua?". Il tecnico spiegherà: "Mi rendo conto che vi chiedo uno sforzo notevole, ma questo mi è necessario per capire se c'è un'altra possibiliLa mossa ricorda quelle proposte da I rving e Benjamin, quando suggeriscono ai due di tornare dagli avvocati. E anche le tecniche strategiche nelle terapie di coppia dove di prospetta provocatoriamente la separazione di fronte a una incapacità di impegnarsi nella terapia stessa. 151
tà". Si chiedono dei tempi molto brevi, tipo 2-3 sedute, perché possano vedere accessibile il traguardo'. Ci sono situazioni particolari dove il mediatore può tentare prescrizioni extra setting. Per esempio: Padre: "Quando mio figlio sta con me la madre telefona anche 6 volte al giorno!". In questo caso si può proporre una tregua per 15 giorni, impegnando la madre a non telefonare, ma contestualmente obbligando il padre a far chiamare la mamma dal bambino almeno due volte al giorno, per darle notizie. È una tecnica da adottare con autorevolezza, che va motivata, chiarita e argomentata. La tregua non solo è utile a controllare il litigio, ma si tratta già di un intervento sulle relazioni, sia pure sotto forma di un patteggiamento sulla gestione di un bambino. Se accolta, la tregua ha anche dei riverberi esterni, per esempio con una riduzione delle contrapposizioni anche al di fuori dal setting mediatorio. Quando il risentimento è molto forte, così come prima, nella vita insieme, i figli vengono esclusi e apparentemente dimenticati. Occorre riportare i contenuti su di loro cercando un altro problema, come per esempio una preoccupazione condivisa da entrambi. Per esempio, uno dei bambini che ha "una febbricola ricorrente", oppure "un nonno che sta male" Quando è difficile bloccare un'escalation, può essere utile un inaspettato slittamento di contesto. Il mediatore sposta l'attenzione su un altro terreno, ignorando l'interazione in corso, e domanda all'improvviso a un genitore. Mediatore: "Mi scusi, ci sono dei momenti in cui lei si sente preoccupato pensando al futuro di questo bambino, per esempio quando affronterà le scuole superiori?". Infine, di fronte a delle sequenze pericolose per eccesso di aggressività o per una litigiosità incontrollabile, il mediatore può anche decidere di interrompere la seduta a metà. Il professionista deve sempre restare alla guida del processo. Mediatore: "Mi rendo conto che ci sono delle divergenze aperte tra voi, 8 R i cordiamo ancora: questa prescrizione è molto selettiva; riguarda solo il contesto mediatorio e non investe il resto della vita dei due. Altrimenti sarebbe un intervento sulla coppia, cosa che non appartiene alla mediazione.
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e che questo ha turbato i ragazzi anche il passato. Purtroppo ancor oggi, da separati, non riuscite ad affrontare con una certa calma i fatti. Forse non avevamo messo a punto le procedura in tutti i loro dettagli, e qualcosa è sfuggito al nostro controllo. Sarà meglio sospendere la seduta e metterci al lavoro la prossima volta. Arrivederci". È un tipico esempio del "fare il down". in pratica di esprimere una previsione pessimistica della situazione, dubitando del risultato più di quanto i protagonisti lo stiano segnalando attraverso le loro interazioni. Con aria preoccupata il tecnico dichiara il procedimento molto difficile in queste condizioni, e insinua Ia possibilità di rinunciare. È un atto che serve a permettere ai due un recupero delle capacità di controllo e una migliore utilizzazione delle rispettive risorse. Su questa scia, un modo per uscire da un'impasse è quello di riformulare il progetto iniziale.
Mediatore: "Mi sento obbligato a essere chiaro: con i problemi che avete, questo procedimento non può dare risultati immediati, anzi, certamente richiede del tempo. Dobbiamo però ricordarci da dove siamo partiti, e io ho bisogno di sapere se ambedue ancora volete raggiungere l'obiettivo che ci siamo dati. Dobbiamo valutare le risorse prima di proseguire il lavoro insieme. Mi chiedo se sia opportuno riflettere sull'esistenza di altri problemi oltre quelli che avete presentato, o se forse l'iniziale valutazione del Centro non sia stata adeguata."
Un altro modo, un po' provocatorio, si ha quando il mediatore, interrompendo il colloquio, avanza dei dubbi rispetto alla versione che ciascuno dà dei fatti, chiedendosi se non ci sia altro di cui preoccuparsi. È una sfida cui dovrebbe seguire una uscita dalla rigidità di ciascuno.
5. Privilegiare la genitorialità Abbiamo ricordato più volte la posizione centrale della genitorialità e l'accantonamento della coniugalità. Il mediatore cercherà con pazienza uno spostamento in questa direzione. Nel proporre la negoziazione, potrà inserire i legami d'amore verso i bambini, o far leva sul fatto che i padri e le madri altro non vogliono che la salute e la felicità dei loro figli, e questo farà da contrappeso alle ragioni per le quali si è accesa la disputa. Altro argomento, anche se scontato, è che ogni genitore ama i propri figli, e li conosce 153
meglio di chiunque altro. Sollevando questo ambito, il mediatore comincia a indagare sulla vita dei bambini. Le domande saranno sempre discrete e genuinamente interessate; riguardano le loro abitudini, le caratteristiche di personalità, episodi indicativi della loro storia. Si raccoglieranno notizie e aneddoti sulla scuola, sulle amicizie e sui giochi preferiti. È scontato che facilmente ciascuno dei due tenderà a porre l'accento sulla validità proprio ruolo, e semmai a rimarcare le componenti negative dell'altro. Si dovrà quindi vigilare acciocché le tematiche sui figli non diventino di nuovo un pretesto per ricadere nelle critiche reciproche, insomma nella competizione su chi è di più un "vero babbo", o una "vera mamma". Una volta ci trovammo alle prese con una madre che accusava (in verità con buone ragioni) l'ex marito per l'abbandono della famiglia e la sua inconsistenza emotiva nei confronti della figlia di 11 anni, prima e dopo la separazione. Sosteneva d'essere l'unica ad avere conoscenze sulla vita della piccola, delle sue abitudini e bisogni. Quando il mediatore, forse in modo un po' incauto, si rivolse al padre per avere notizie sui giochi della bambina, la signora scattò vivacemente affermando che non intendeva essere presa in giro. Non fu facile trovare un argomento, o sollecitazione, che la trovasse disponibile ad abbassare la guardia e ad accettare che anche l'altro fosse coinvolto. In questo caso ebbe poi una buona riuscita sollecitare ricordi lontani, relativi alla nascita della figlia, perché questo era accaduto in un momento d'armonia della coppia. Il mediatore cercherà poi di mettere in evidenza le aree di interesse che ogni bambino ha in comune con ciascuno dei genitori, o su quelle sue attitudini che entrambi considerano riconosciute anche da altri, negli hobby, nell'ambito sportivo ecc. Inoltre andrà a curiosare su come i figli hanno mantenuto i contatti con la rete parentale di ciascun genitore, facendo peraltro attenzione nel caso di animosità tra le famiglie d'origine. In certi casi ci si può avvalere della presenza di una qualche difficoltà di un bambino, o di un adolescente, aderendo, e semmai amplificando la preoccupazione di entrambi. Ecco un breve elenco di aree che si può cercare di conoscere: • la loro sensibilità, le cose che li rendono gioiosi e quelle che li turbano; • le loro aree d'interesse, dai giochi alle letture, dalla play station allo sport; • quanti sono gli amici, di quale sesso, se frequentano la loro casa; • hanno animali? quali? se no, quali desidererebbero?; • quali sono i contatti con la rete parentale di ciascun genitore; • il circuito degli amici, dai compagni di scuola ai vicini di casa; • se hanno delle gracilità o facilità ad ammalarsi; 154
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se hanno problemi del sonno; se sono mangioni o disappetenti; se hanno ricercatezze nel vestirsi o nella cura di sé, oppure no; come si comportano quando sono ammalati o hanno ansia per la scuola; cosa funziona per rassicurarli in questi casi. L'affrontare i bisogni affettivi dei figli introduce solitamente uno stimolo emotivo e motiva i genitori nell'esperienza. È un modo di procedere che induce uno slittamento dai contenuti simmetrici e di solito rinforza il coinvolgimento: in tal modo il mediatore attiva un terreno libero, nel quale i genitori possono parlare di quelle qualità, o problemi, dei figli, su cui hanno posizioni concordi. Il colloquio s'imbatterà prima o poi in un contenuto che li trova vicini su un aspetto di un figlio che suscita tenerezza, gioia, apprezzamento, orgoglio, o preoccupazione. Ne deriverà in entrambi un' attivazione "naturale" verso la protezione. In definitiva, anche se i figli si trovano ancora, ma virtualmente, nel campo di battaglia, il mediatore ha riproposto l'amore e l'istinto protettivo di genitori. Non sempre il percorso è così semplice, perché non di rado è proprio su qualche caratteristica (modello educativo, temperamento, scelte religiose ecc.) del bambino che possono riemergere stimoli conflittuali. Le risposte difensive, o le occasioni per riaccendere un litigio, possono essere sempre in agguato: sta alla capacità del mediatore allontanarsi dalla dimensione dove la trattativa è annullata dal persistere degli schemi personali, per cercare ambiti a forte contenuto emozionale. Su questo terreno si può offrire a queste persone una opportunità. Quando le relazioni non sono patologiche, l'intervento non viene osteggiato: due genitori in mediazione possono essere recalcitranti, ma cercheranno una soluzione. Quando ogni tentativo attiva di continuo simmetrie e conflitti aperti, con chiara conseguenza a non vedere il tema figli, sarà bene lasciare provvisoriamente il campo, rimandando a un' altra seduta il tema in corso, ma il richiamo alla genitorialità resta l'obbiettivo di base e il mediatore dovrà evitare in ogni modo di essere coinvolto nella simmetria. Se dopo diversi tentativi, al massimo due o tre incontri, in comportamento non cessa, è verosimile che ci si trovi di fronte a una relazione persistente, e si sarà costretti a prendere atto che la mediazione è del tutto impraticabile. Due separati da oltre 5 anni si presentarono in mediazione per discutere sull'educazione dei due figli (un maschietto di 7 e la sorella di 10) sulla quale avevano pareri discordi. Al secondo incontro il mediatore venne a conoscenza del fatto che la madre era testimone di Geova, chiusa in una fede incrollabile. In quello stesso incontro la mediazione fu interrotta per l'as-
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soluta impossibilità di discutere sui modelli adottati dalla madre che erano quelli imposti dalla sua religione. Qualche esempio: se ambedue i genitori parlano di un bambino che è spesso irritabile, che fa i "capricci", le prime domande saranno rivolte separatamente, ma ad ambedue: Mediatore (al padre): "ma lei come si sente quando Marco fa i capricci? Come si comporta per farlo calmare ?". E poi (alla madre): "E lei signora?". Quindi potrà fare una domanda destinata a entrambi: Mediatore: (al padre): "Se Marco fa un capriccio quando lei lo riporta a casa, fate qualcosa insieme per calmarlo?". Un intervento di questo genere richiede molta attenzione, specie quando ci sia una presunta (o anche oggettiva) perifericità di un padre che, per ragioni varie, vede poco il bambino e delega tutta la sezione educativa e di accudimento alla madre. L'approdo alla responsabilizzazione di questo uomo dovrà essere raggiunto per altre vie.
6. La questione del passato In mediazione il passato appartiene alla storia individuale, diventa importante quando si parla della storia dei figli. Questo non significa che si debba ignorare il prima, ma solo tener conto che appartiene a un'altra dimensione. Capita peraltro che, specie nelle prime sedute, qualcuno citi il passato: il mediatore non può contestare un richiamo a momenti dolorosi o drammatici: molte volte per qualcuno è difficile ricominciare a vivere. Si dovranno gestire queste evenienze con sapienza e professionalità. Lo stesso si dica se emergono storie personali: Ciò che conta è che il mediatore non scelga questi ambiti per svolgere il proprio lavoro. È vero quanto dice Haynes (1994): "Più il mediatore si sofferma sulle storie iniziali, più rimane intrappolato nella disputa su un passato che non può cambiare, e ciò aumenta la frustrazione e il senso di impotenza dei clienti". È indispensabile, dunque, avvedutezza se emergono temi che riportano alla pregressa vita di coppia, oppure alle famiglie di origine. Il mediatore può raccogliere aspetti della storia che possono spostare le tensioni. Per esempio, domandando qualcosa sull'attuale atteggiamento dei nonni, 156
si può intuire in che modo questi possano aver influito sugli avvenimenti. Il tecnico deve tenersi lontano dalla gestione delle relazioni, e ritrarsi non appena il rapporto professionale assuma le tinte di un lavoro sulla coppia. È sempre indispensabile procedere con prudenza, accettando i tempi del sistema che si ha di fronte e non pretendendo di inserire input di presunta efficacia. Non siamo in psicoterapia, quindi si tratta di muoversi in modo discreto, pronti ad abbandonare il campo qualora i temi siano fonte di disagio e possano riaccendere vissuti dolorosi negli ex: questo evento è invasivo e illecito. I passaggi del processo passano spesso attraverso le appartenenze familiari di ciascuno: a volte sono fonte di sano arricchimento reciproco, altre fonte di insanabili contrapposizioni. Per esempio, se uno dei due proviene da una famiglia in cui predomina una struttura di tipo coesivo, potrà temere che la mediazione possa procurare disagi ai propri familiari. Sarà portato così a informare i propri congiunti sugli incontri con l'ex coniuge, favorendo, o peggiorando l'invischiamento. Se uno proviene da una famiglia di tipo dispersivo, più facilmente avremo recriminazioni intorno all'indifferenza dell'altro. In ogni caso, in queste situazioni, più facilmente si verifica un incremento degli scambi con le rispettive famiglie, secondo il citato concetto di riconnessione di rete previsto da C. A. Everett e S. S. Volgy (1995): questo fatto può temporaneamente attenuare la tensione e l'isolamento in cui i due separati possono trovarsi. 7. Bambini in mediazione familiare Da tempo ci si interroga sull'opportunità di far partecipare i bambini alle sedute di mediazione familiare. Alcuni lo ritengono opportuno perché permetterebbe loro di intervenire sul processo di cambiamento delle relazioni familiari (Ardone, 1994): ci si aspetta che in una seduta congiunta, gli stessi genitori potrebbero meglio comprendere le sofferenze e le attese dei loro figli'. Altri sostengono che nel corso del processo possano essere ascoltati i 9 A. Dell'Antonio (1996) a proposito dei figli scrive: "In altre parole, tenendo presente che essi solitamente non sono stati coinvolti in passato in decisioni determinanti e che il fatto di sentirsi nuovamente esclusi può diventare un ulteriore motivo di ansia e insicurezza. In sedute in cui anche i figli sono presenti può diventare inoltre più facile per gli stessi genitori prendere coscienza dei loro reali vissuti e bisogni (invece di quelli che essi spesso tendono ad attribuire loro in base alle loro ansie ed esigenze) e accettare di cercare strategie adeguate per migliorare la loro condizione psicologica".
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figli da soli, oppure in seduta separata con ciascun genitore e infine con il nucleo intero, ora provvisoriamente ricongiunto. In queste occasioni da un lato si verificherebbero le relazioni, da un altro si faciliterebbero gli incontri dei figli coi genitori in un territorio neutrale 10 Noi riteniamo invece preferibile lavorare con i soli genitori, ricorrendo semmai a un'evocazione simbolica dei figli, attraverso la narrazione e le descrizioni fatte dai due genitori. Si deve evitare che i minori siano gravati responsabilità che riguardano agli adulti, ed esonerarli da ulteriori aggravi emotivi. A nostro avviso si deve rispettare l'esclusiva pertinenza del lavoro ai protagonisti. La stessa definizione del setting, come territorio dove i due adulti si confrontano sulle loro idee, automaticamente distingue l'individualità dei figli e la loro identità. Consideriamo, assieme ad altri (Bernardini, 1994a; 1994b) la convocazione tout cou rt dei figli inutile (se non dannosa), in quanto li coinvolge di nuovo in dinamiche che hanno già procurato loro difficoltà non indifferenti. Basti riflettere su quanto sia frequente il riemergere della contrapposizione, anche forte, proprio in questa sede. Ciò potrebbe esporre i bambini a pericolose sollecitazioni emotive. Ci sembra inoltre opportuno evitare che possano inutilmente fantasticare magicamente di partecipare a un lavoro teso alla riconciliazione dei genitori. La delusione sarebbe cocente. In definitiva è auspicabile un preciso impegno dell'esperto che salvaguardi i minori da ogni rischio. Di conseguenza è preferibile lasciare i figli a casa, mentre i genitori si incontrano. Stabilita questa regola generale, naturalmente si devono prevedere le eccezioni: per esempio quando ci sono bambini che potrebbero vivere un'ulteriore angoscia nel sapere che oggi il papà andrà a parlare con mamma, e sentirsi deprivati di una occasione di vedere il padre. Oppure quando possono immaginarsi che papà e mamma litigheranno di nuovo, mentre loro non possono controllarli. È un territorio delicatissimo, che chiama in causa la sensibilità del mediatore, la valutazione dell'oggettiva situazione dei bambini, il fatto che un genitore potrebbe strumentalizzare il disagio del figlio per ottenere benefici ecc. Di fronte a oggettive sofferenze dei minori dovrà essere trovato uno spazio ad hoc, transitorio, dove il loro desiderio venga accolto. Potranno allora essere autorizzati ad accompagnare i genitori e fatti entrare con loro nella stanza del colloquio, esplorare l'ambiente, conoscere 10 Questi metodi vengono adottati, in modo spesso disinvolto, anche in corso di accertamenti peritali. Come tali debbono invece prevedere un lavoro molto vicino all'atto terapeutico. In questo senso allora l'intervento dovrebbe essere effettuato solo da professionisti con il titolo di psicoterapeuta.
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l'esperto, essere rassicurati sulla non minacciosità di quanto sta accadendo, e poi andarsene, o aspettare in un'altra stanza. L'incontro di tutta la famiglia naturale, se i genitori riescono a parlare in modo pacato, può essere per i bambini una fonte di sollievo. Il mediatore dirà poi loro che potranno tornare anche in seguito, se lo vorranno Di solito i bambini dapprima sono tesi, ascoltano attentamente, seguono il dialogo. Poi, adagio, si distraggono, s'interessano all'ambiente e finiscono per comportarsi come se la conversazione fosse solo un rumore di fondo. Di solito, come è costume dei bambini, una volta osservato l'oggetto delle loro fantasie negative, il bisogno di assistere scompare. L'eventuale partecipazione dei figli sarà sempre concordata con i genitori e questi dovranno essere sollecitati a sospendere le ostilità in loro presenza e semmai a esprimere insieme il proprio affetto. Per quanto concerne il coinvolgimento di bambini piccoli il professionista farà dei commenti positivi (vedo che hai un bellissimo paio di scarpe!). Eviterà accuratamente l'approccio basato su una serie di domande (come ti chiami? quanti anni hai?, e la scuola? ecc.) perché queste provocherebbero un atteggiamento di chiusura. È preferibile che egli dapprima racconti qualcosa di sé (per esempio dicendo che anche lui ha sempre il raffreddore), e poi cerchi di coinvolgerli su argomenti che suscitano il loro interesse. Il mediatore in queste occasioni non deve assolutamente servirsi del bambino. Il suo scopo è di attenuarne l'ansia, rassicurandolo sulla non minacciosità del contesto, facendosi aiutare dai genitori e stimolando la loro cooperazione". I genitori possono sentirsi a disagio, essere assaliti da sentimenti di protettività o anche di colpa. È da rilevare anche che il disagio dei genitori, non cessa miracolosamente con la chiamata del figlio: persiste il livello di tensione legato alla controversia L'incontro deve essere condotto concentrandosi non su di lui, ma bensì lavorando con i genitori e inviando il segnale che lui c'è, ma non è coinvolto: può vedere, ascoltare, e anche di interloquire, ma senza impegno. Queste soluzioni — quando si decida di applicarle — possono certamente anche servire come occasione educativa alla genitorialità per i genitori stessi, mentre i figli possono essere aiutati a capire più chiaramente il significato e le conseguenze della separazione. 11 In questo senso si possono talora aprire quei rischi, più volte sottolineati, che essi, o uno di loro, cerchi di utilizzare questa circostanza a proprio vantaggio. Per esempio può accadere che uno dei genitori ne approfitti per far emergere una proposta diversa rispetto ai temi che si stavano affrontando. In questi casi si può parlare di slittamento di contesto: viene inserito un elemento nuovo, non previsto. Il mediatore dovrà rinviare subito il tema a un momento successivo.
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IL CASO DI PIETRINO
Due genitori separati da poco più di 1 anno (Piera e Marco), arrivano alla mediazione familiare su invio di un assistente sociale. Il bambino, Pietrino, di 7 anni, è andato a vivere con il padre con il consenso della signora Piera, in quanto questa aveva ripreso una vita affettiva con un'altra persona. Marco si è sistemato insieme al figlio nella grande casa dei suoi genitori. All'inizio, anche perché vicini di casa e reciprocamente disponibili, non ci sono stati problemi e il bimbo ha visitato regolarmente e liberamente la madre nella sua casa. La vicenda ha avuto una svolta da quando il nuovo compagno della sig.ra Piera è andato a vivere con lei. Da quel momento Pietrino lo trova quasi sempre in casa quando va dalla mamma. Il contenzioso tra i due ex coniugi riguarda il fatto che Marco disapprova i contatti del piccolo con il nuovo arrivato nella casa materna: afferma che questa vicinanza è troppo precoce e questa persona rischia di diventare per il bambino una figura alternativa a lui. La madre sostiene che il suo compagno non turba il bambino e afferma che entrambi hanno sempre mantenuto un atteggiamento corretto durante le visite del figlio, con connotazioni positive verso il padre. Ne sono però scaturiti litigi, anche abbastanza aspri, dove Marco ha cominciato ad andare a riprendere il bambino in orari sempre più anticipati, a trovare scuse per non mandarlo, mentre l'ex moglie lo accusa di fastidiose ingerenze e di turbare il figlio. In realtà non si sono osservati sintomi o anomalie comportamentali del minore, ma Marco ha chiesto al tribunale l'affido a se stesso e una modifica delle condizioni di visita alla madre. In terza seduta il padre improvvisamente afferma che non ritiene più possibile continuare questo tipo d'incontri, perché il figlio, piangendo disperatamente, gli ha chiesto più volte cosa andava a fare e cosa stava succedendo in queste riunioni. Aggiunge che ha fatto di tutto per spiegargli che si trattava d'incontri "tranquilli" con la mamma, ma Pietrino ha risposto: "non ci credo... voi andate in quel posto per picchiarvi, e io non voglio". A questa notizia Piera reagisce in modo ambivalente: in un primo momento si dichiara preoccupata dicendo che il bambino è molto sensibile e certamente sta male, ma subito dopo inserisce un giudizio sull'ex marito: Piera: "Se il bimbo ha di queste paure è perché troppe volte ti ha visto aggressivo e minaccioso verso di me". Poi aggiunge: "Sarebbe meglio chiarire se è vero che Pietrino sta male o per Marco è una buona scusa per smettere la mediazione e continuare ad attaccarmi per togliermelo del tutto!".
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Marco (si arrabbia): "Io cerco di tener bene, sereno, questo bimbo, e tu, d'accordo con 'quell'altro', sei buona solo a farlo soffrire!". L'escalation simmetrica è in atto. Di fronte alla sofferenza del bambino il mediatore decide che è opportuno di convocarlo. Lo comunica ai genitori. Med.: "Penso che il vostro Pietrino in questo momento abbia un 'attacco d'amore' per voi, e sia di nuovo assalito dalla paura di perdervi. Secondo me non è importante in questo momento stabilire chi ha ragione o chi torto, in quanto il bambino soffre... soffre da quando ha perso i genitori. Mi sembra invece che sia opportuno che insieme troviamo un rimedio. Che lo aiutiamo. Penso che sarebbe corretto che la prossima volta lui venisse qua assieme a voi. Potreste trovarvi al portone, e salire insieme: gli direte, tutti e due, che io ho espresso il desiderio di conoscerlo. Però mi raccomando: quella mattina saremo tre terapeuti che aiutano un bambino. Voi dovrete attuare, per il bene suo, una tregua dei vostri litigi. Una pausa. Subito dopo potrete ricominciare da capo". Ecco l'incontro. Pietrino entra tenuto per mano dal padre, ma tende la mano cercando anche quella della madre, che raggiunge. Sono state preparate quattro poltroncine. Med.: "Buon giorno, accomodatevi. Ecco, allora tu sei Pietrino, mi fa piacere conoscerti, abbiamo parlato molto di te, io sono Roberto, piacere" (gli stringe la mano con fare cameratesco). Pietrino è piuttosto imbarazzato, è seduto tra i genitori e tenta di tirarli a sé. Il padre lo guarda preoccupato. La madre si piega su di lui per aggiustare qualcosa. Gli sorride in modo affettuoso. Marco: "Ecco, hai visto? Tutto tranquillo. Ti piace questo signore?". Piera: "Siamo qui per te. Così non avrai più paura...". Med. (a Pietrino): "Senti, adesso io devo chiedere delle cose ai tuoi genitori. Puoi startene lì, oppure alzarti. Guarda, su quel tavolo ci sono anche dei fumetti, se li vuoi guardare fai pure. Fai quello che ti va: io non ho da farti domande, se tu mi volessi chiedere qualcosa fammi un segno con il dito, cosi" (indica il segno di richiamo). Poi si rivolge alla madre. Med.: "Signora Piera, non le ho ancora chiesto una cosa importante. Mi racconta di quando Pietrino è nato? Dove eravate, chi c'era, com'era...". Piera (il suo viso si rischiara): "Fu bellissimo, era tanto atteso... eravamo a Perugia, dai miei genitori e...arrivò dodici giorni prima del tempo, non si potette tornare a casa, così lui è perugino". Med. "E Marco c'era?" (guarda verso il padre). Piera: "Si, quella volta sì... venne persino in sala parto". Med. (rivolto a Marco): "Che effetto le fece?" Marco: "Fu un'esperienza straordinaria, emozionante...".
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Med. (rivolto ad ambedue): "E com'era questo bambino?". Piera (leggermente emozionata): "Un amore, un amore davvero... era appena nato ed era già tutto armonico, formato, era un po' piccino, ma dolcissimo...". Med. (a Marco): "Anche per lei?". Marco "Sottoscrivo". Pietrino è rimasto seduto, seguendo il colloquio guardando di volta in volta i genitori. È curioso, interessato, non impaurito. ' Med.: "Vorrei chiedervi un'altra cosa. La questione dei mezzi di trasporto. Quali servizi pubblici ci sono dalle vostre parti?". Con l'inizio del nuovo argomento Pietrino comincia a guardare in giro per la stanza, poi lentamente lascia le mani, e infine si alza per andare a raggiungere, con aria circospetta, il tavolo delle riviste. Trova ben presto un fumetto e s'immerge nella lettura u . La partecipazione alla seduta rappresenta per Pietrino un forte elemento di rassicurazione rispetto al timore che aveva per il non sapere cosa accadeva in tale contesto.
IL CASO DI LUCIA Lucia, di cinque anni, è figlia di Laura e Luciano, ambedue impiegati. Lavorano insieme da più di vent'anni e per dieci sono stati sposati. Dopo crisi ripetute e drammatiche, sono giunti un anno fa alla separazione. Sono due intellettuali, impegnati politicamente, circondati da amici vivaci, e hanno destinato tutte le energie alla dialettica e alle lotte sociali. Con la nascita di Lucia, Laura ha dovuto cambiare radicalmente la sua vita, mentre Luciano ha continuato la solita routine. Le loro divergenze sono peggiorate e il conflitto si è fatto insanabile; con la separazione, con affido condiviso, Laura è rimasta con la bambina nella casa coniugale, Luciano ha trovato una sistemazione in un appartamento di proprietà dei genitori. La richiesta di mediazione si è verificata dopo alcuni mesi, su iniziativa della pediatra. Lucia dopo pochi mesi ha reagito all'uscita del padre con un comportamento regressivo: ha preteso di dormire con la madre, di farsi imboccare, ha ripreso la sua enuresi, e Occorre sempre valutare se i comportamenti di un bambino sono da considerare "sintomatici" per un sistema disfunzionale, ossia se soltanto reazioni a esperienze di abbandono e quindi tentativi di richiamo della coppia genitoriale su di sé. In questo senso il professionista può convocarlo per una rassicurazione di base. Ove questa non avesse un seguito, i genitori riceveranno il suggerimento per un altro intervento, per esempio uno psicoterapeuta dell'infanzia. 12
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recentemente a chiedere di parlare con il papà nelle ore più strane del giorno e della notte. I genitori hanno preso a discutere su quale fosse il comportamento pedagogicamente più idoneo. Laura sosteneva che doveva essere il padre a venire a casa e passare del tempo con la figlia; Luciano affermava che questo l'avrebbe soltanto illusa, e che invece era meglio parlarle francamente e abituarla alla realtà. Il risultato è stato di vedersi ancor di meno rispetto ai primi tempi della separazione. Fin dalla prima seduta i genitori si muovono all'insegna di un certo intellettualismo, compresa la sfida su chi è più maturo; ambedue riferiscono i problemi della bambina dalle rispettive posizioni. Al terzo incontro la madre racconta come, fin dall'inizio, la bimba ha cominciato a "subissarla di domande" sulle sedute in corso, che lei chiama visite con il babbo, e che oggi piangeva disperata, dicendole: "non ci andare, non ci andare. Ho paura!". Il mediatore ha proposto allora di convocare Lucia che ora siede, intimorita e schiva, all'esterno, a fianco della madre. Guarda il mediatore con molto sospetto e timore, mentre non volge mai lo sguardo verso il padre. Med.: "Ho l'impressione che Lucia non sia soddisfatta di essere qui... sono il Dott. Rossi, Lucia, ti chiedo scusa per averti costretta a questo sacrificio... spero che potrai perdonarmi". Lucia tace e guarda la madre in modo molto dipendente. Med.: "Ringrazio anche lei, signora, per la sua disponibilità, e lei, Luciano per l'impegno che sta dimostrando. Vediamo, cosa potremmo fare per far star bene questa signorina... Prima di tutto, Laura, mi dica se ci sono stati in passato problemi con Lucia...". Laura: "Niente! Mai niente. È sempre stata precoce, intelligente, capace di stare in compagnia, anche con i grandi... quando venivano gli amici a casa si meravigliavano di com'era spigliata, anche a tre anni!". Med.: "Bene... questo significa che se lo era a tre anni lo è ancora (si rivolge al padre) Secondo lei, Luciano, questa bella ragazza che non vuol più essere grande, perché fa così?". Luciano (perplesso): "Mah, non so capire, è successo tutto all'improvviso, forse qualche complesso...". Med.: "Mi dica sinceramente, ma lei è preoccupato per la sua bambina?". Luciano (imbarazzato, incerto): "Ecco, io... la verità è che... sì insomma, certo che lo sono, la vedo che non è più lei e poi mi dicono che non mangia, che mi cerca la notte...". Med.: "Ora però sta vicino a mamma... mi dica, Luciano, quanto bene vuole lei a Lucia?". Luciano: "Tanto, tantissimo".
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Med.: "Quanto è tantissimo? Un treno?". Luciano: "Si, un treno" (è quasi commosso). Med.: "E quanto è lungo questo treno?". Luciano: "Almeno trenta vagoni...". Med.: "Accipicchia! Un treno d'amore lungo trenta vagoni!". Med.: "E lei Laura, quanto bene vuole a Lucia?". Laura: "Che domande, tutto quello del mondo". Med.: "Quello di tutto il mondo. È quello che volevo sapere. Qui ci sono due genitori che vogliono un bene grandissimo alla loro bambina, e me lo hanno detto e io lo scriverò nel registro. Dobbiamo fare qualcosa insieme perché Lucia sia sempre sicura di quanto l'amate". Lo spezzone di colloquio indica la strategia adottata dal mediatore: Lucia è presente e interagisce in modo indiretto. Sembra trattarsi di un comprensibile fenomeno di disagio di Lucia: una paura che si esprime con palesi manifestazioni di "richiamo". Si tratta di mandarle un segnale rassicuratorio sull'amore dei genitori per lei; fatto attraverso una dichiarazione ufficiale del loro bene grande e incondizionato, impegno che dovrà travalicare ogni ragione del loro contendere. Attraverso questo coinvolgimento Luciano e Laura vanno a riappropriarsi del loro ruolo genitoriale al di là dalle loro incomprensioni. Il mediatore gioca sul rispetto della bambina: le parla, ma le fa sapere che non si aspetta da lei una risposta. Le manda segnali tranquillizzanti facendo domande ai genitori senza chiedere a lei conferme sulla ricezione del messaggio.
8. Le interferenze esterne Sia all'inizio, sia negli stadi avanzati della mediazione, possono sorgere impedimenti dovuti a fattori esterni: ostacoli più tipici in questa fase sono rappresentati dalla presenza di terzi (avvocati, nuovi partner, famiglie d'origine) più o meno coinvolti nella vicenda. Talora anche dei figli adolescenti possono intromettersi a rendere difficile la mediazione. È fondamentale tutelare la libertà dei due ex partner: il mediatore preciserà subito sia la propria autonomia, sia quella dei due convenuti. Citiamo alcune componenti che possono complicare la situazione. 1. Anche se possono divenire loro stessi dei mediatori, non di rado gli avvocati interferiscono con il processo continuando a esercitare il proprio controllo sulla situazione, per esempio suggerendo al cliente un comportamento combattivo pur di vincere la disputa. Oppure consigliando di non esporsi parlando per primo, o di diffidare di
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fronte alle proposte d'accordo ecc. Infine cercando di contattare personalmente il centro di mediazione. Ecco una sequenza estrema, ma interessante: Avvocato: "Sto cercando un mediatore familiare che sia anche uno psicoterapeuta. Sono certo che voi corrispondete a questo... avrei l'intenzione di inviarvi una coppia". Mediatore alla ricezione: "Scusi, lei si sta riferendo a una mediazione familiare o a una psicoterapia?". Avv.: "Guardi, io desidero che, quando ci sarà l'udienza, il giudice comprenda che quella donna non è assolutamente adatta per la custodia della bambina. Così, quando loro verranno, lei certamente diventerà nervosa e infine esploderà e manifesterà tutta la sua aggressività. Allora voi potrete vedere e testimoniare. Potrete anche dire che la signora ha bisogno di cure, e che il padre è venuto invece alla mediazione dimostrando un perfetto equilibrio...". Med.: "Guardi avvocato, quello che lei sta suggerendo è del tutto inappropriato per la mediazione: forse c'è stato un equivoco nelle sue informazioni. Quello che lei vorrebbe fare è esattamente l'antitesi di ciò che la mediazione si propone" 13 2. Nei casi in cui palesemente emerge la discordanza tra la richiesta e le prestazioni che possono essere offerte, sarà bene rinunciare all'impegno già durante il contatto telefonico. 3. Abbiamo già segnalato come in presenza di un nuovo partner, un coniuge (prendiamo quello lasciato) può facilmente strutturare idee che quello sia colui (o colei) che non solo gli ha scippato la persona che gli apparteneva, ma che anche si adopera per distogliergli l'affetto dei figli. Di fronte a questo sospetto possono nascere accuse di plagio o il rifiuto di accettare ogni proposta di compromesso. 4. I familiari possono esercitare un'ingerenza massiccia, tanto apparentemente rispettosa, quanto penetrante. Anche se la loro presenza e partecipazione emotiva forniscono senza dubbio un appoggio e un conforto, l'ingerenza acuisce invece la conflittualità reintroducendo appartenenze pericolose. Da qui l'emergere di difese morfostatiche, invece attivare processi positivi di riadattamento (Suskind, 1981). 13 Da questo esempio non deve derivare una demonizzazione dell'avvocato, visto unicamente come l'agente del cliente secondo la logica del vincitore e del vinto. Gli avvocati lavorano, specie nelle fasi di contatto iniziale con le coppie in via di separazione curando in modo più che adeguato un processo conciliativo e preventivo.
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5. Amici, i quali spesso sono ormai da tempo schierati su due fronti e pos-
sono intervenire al momento della mediazione.
9. Resistenze e incidenti Non di rado, a partire dai primi incontri, i tentativi verso l'accordo appaiono rapidamente avviarsi al successo. Gli ex escono dal Centro in un clima relativamente sereno e tranquillo: anzi talvolta si attardano in giudizi positivi nei confronti del lavoro fatto. Questo fatto può attivare un certo ottimismo nei mediatori. All'incontro successivo si assiste invece alla recrudescenza delle contrarietà; le rivendicazioni riemergono e appaiono molto forti. Queste evoluzioni si osservano tanto più spesso quanto più i due separati hanno portato una situazione complessa, oppure quando il tecnico abbia ceduto alla speranza che il tutto fosse facile. A parte queste "lune di miele", sin dalle prime sedute il mediatore può trovarsi ad affrontare delle iniziative prese dalle parti che, in termini sistemici, nello stesso tempo in cui richiedono un aiuto, mettono in atto una resistenza al suo potere, o alla perdita del proprio. Ecco alcune richieste significative: 1. richiesta di un giudizio sulla situazione, magari suffragato dalla legge: è in sostanza una ricerca di alleanza. Talvolta, più facilmente emerge la richiesta: "Lei cosa che pensa?"; 2. richiesta di definire diritti e doveri dell'uno o dell'altro. Spesso nasconde il desiderio di tornare su problematiche che riguardano l'ex coppia. È simile alla precedente; è bene che il mediatore si dichiari impegnato solo a "ciò che può giovare allo sviluppo psicologico dei bambini"; 3. richiesta di suggerimenti personali per poter garantire a un figlio "il migliore dei futuri", per esempio sulla scuola, nello sport ecc. È un tentativo di enfatizzare la propria posizione e sottolineare l'inadeguatezza dell'altro. Il mediatore ne può uscire, attraverso uno slittamento di contesto, rinnovando le richieste ad ambedue i genitori sulle abitudini e le inclinazioni del bambino; 4. è frequente la richiesta di disporre l'interruzione frequentazioni di un figlio/a con nuovi compagni/e dell'ex coniuge, oppure dei figli di questi. È una situazione molto delicata perché, se da un lato può trattarsi di semplici gelosie o rivendicazioni, dall'altro possono realmente emergere nei bambini moti di risentimento e rifiuto 14 . A questo livello si ci14 Non poche volte un genitore avventato propone a un bambino troppo precocemente convivenze o rapporti con figure a lui estranee o sgradite.
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menta veramente la capacità e la maturità del mediatore, il quale deve tener conto nei nuovi studi e interventi sulle famiglie ricomposte. Se il mediatore nota che si stanno riattivando animosità e simmetrie, oltre a valutare quanto sta accadendo e la portata delle rigidità reciproche, è opportuno che si domandi anche se ha commesso errori di valutazione. Il modo più efficace per uscire da queste situazioni, e per arginare il rebound in corso, è quello di ridefinire l'accaduto, proponendo un dubbio su un successo troppo rapido, e quindi che sarà opportuno "ripartire da zero", eventualmente inserendo allusioni a pericoli per l'equilibrio dei bambini. Ecco un esempio: Mediatore: "Mi rammarico molto del fatto che oggi siete tornati così alterati. Evidentemente pensavamo di avere affrontato le cose nel modo giusto ma eravamo invece rimasti al punto di partenza. Così saremo costretti ad azzerare quanto abbiamo fatto. Ma mi preoccupo molto per Martino e Giulietta... temo che non riescano a reggere i turbamenti cui sono esposti da tempo. Dovremmo non rischiare d'essere proprio noi a generare nuove complicazioni. Dobbiamo trovare un modo per tutelarli dalle conseguenze di queste crisi. Penso che dovremo rimboccarci le maniche e ricominciare tutto da capo".
Questa condotta down del mediatore ha la finalità di controllare il sistema. Con il suo "noi" esprime il suo allarme per i figli, e si propone come coinvolto nel processo assieme ai genitori. Resta la premura, ma s'inserisce anche la speranza, creando una sorta di gruppo di lavoro a tre. Sottolineando che ogni atto è destinato al benessere dei figli, il mediatore non perderà mai l'occasione per esprimere ai genitori il suo apprezzamento per ogni loro frase o azione che rientri nel progetto. Ovviamente non potrà mai gratificarne uno solo, pena l'implicito emergere di un giudizio negativo dell'altro. Invece, tutte le volte che sarà possibile, emetterà una valutazione positiva su quanto può essere attribuito all'impegno di ambedue. Non può essere infine considerata una resistenza quando uno dei genitori segnala problemi più gravi di un figlio (comportamenti illegali, uso di droghe ecc.). Le condotte devianti possono essere espressione di una disfunzionalità del sistema familiare precedente. È importante far leva sul genitore (se tale è) meno presente o riluttante di fronte ai problemi del figlio 15 , 15 Ricordiamo che certe volte le segnalazioni di "problemi" di un figlio sono facilmente confermabili, ma altre si tratta di operazioni francamente strumentali al coinvolgimento o alla denigrazione dell'altro. Quindi la sollecitazione di quest'ultimo porrebbe il mediatore nel rischio di essere trascinato nella manovra.
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proponendo un impegno comune, sospendendo la mediazione, quanto meno per accertare la reale portata del problema. Se effettivamente ci sono importanti anomalie della condotta si potranno chiamare in causa altri esperti (per esempio operatori del Ser.T.). IL CASO DI DONATELLA Nel corso di una mediazione dove il problema era centrato sui suoi incontri con il padre, i genitori riferirono che, in occasione di una gita scolastica, Donatella, di 15 anni, aveva in modo inatteso, accettato di essere accompagnata alla stazione dal padre stesso. Fino ad allora la ragazza aveva rifiutato di uscire con lui e non tollerava che le amiche li potessero vedere assieme. Aveva confidato alla madre che si vergognava di presentarlo come colui che aveva lasciato la famiglia. Durante una seduta di pochi giorni prima il padre aveva pianto, dichiarando il proprio dispiacere per l'allontanamento della figlia. La madre, che lo aveva sempre incolpato, in quell'occasione aveva trovato alcune parole di comprensione per lui. Poi, separatamente, la madre aveva raccontato alla figlia cosa era accaduto. Med.: "Questa notizia che Donatella ha accettato di essere accompagnata dal padre è molto importante... mi devo compiacere vivamente con voi... non sono in grado di dire cosa sia successo o cosa avete fatto, tenendo conto che il nostro programma è ancora molto indietro, ma evidentemente avete trovato le vostre energie per fare una cosa valida". L'attribuzione del merito (voi avete fatto...) dei cambiamenti in positivo ha una funzione incoraggiante, ma soprattutto crea le condizioni per non trasgredire qualcosa per la quale si è ricevuta una connotazione positiva. Ha anche una funzione di aggiramento delle resistenze. Si potrebbe dire che il sistema separato, proprio in quanto il cambiamento è attribuito a esso stesso e non al terapeuta, si apre a ulteriori input. In altre parole, quanto più i genitori hanno l'impressione di avere il merito della comparsa di positivi risultati per le decisioni prese, tanto più stabili saranno i loro atteggiamenti verso la conciliazione.
10. I fallimenti I fallimenti della mediazione sono abbastanza frequenti e possono verificarsi lungo tutto il percorso, anche dopo molti incontri: anch'essi sono di solito da connettere alla scollatura tra le aspettative e nuovi eventi, talora 168
del tutto imprevedibili. Possono anche derivare da circostanze fortuite. Oppure, ed è il caso più frequente, quando permangono conflitti irrisolti, animosità irrefrenabili, a esprimere la presenza di una relazione disfunzionale persistente. Oppure, infine, quando una delle parti è irrimediabilmente ancorata, a causa di problemi psicologici, alle proprie posizioni. La delusione può essere pesante quando un processo che sembrava aver fatto significativi passi avanti, invece, improvvisamente, si blocca. IL CASO DI GIANNI
Un episodio significativo fu quello di Federico e Antonia, separati da sette anni, con Gianni, un bambino di 9, i quali erano stati accolti in mediazione su sollecitazione dell'ex marito, il quale lamentava il mancato rispetto di quanto stabilito all'atto della separazione condivisa. In questo gli accordi erano che il figlio vivesse con la madre e che lui lo vedesse due volte la settimana, il week-end a settimane alterne, oltre ai periodi invernali ed estivi secondo uno schema "classico". Affermando che era il bambino a opporsi a frequentare il padre, l'ex moglie rifiutava sistematicamente di consegnarlo. La mediazione ebbe inizio con grossa difficoltà: i due si accusavano reciprocamente di gravi inadempienze. Si seppe presto che da parte dell'ex moglie c'erano stati atti ostili verso l'uomo, con insulti, squalifiche in pubblico ecc. La donna lo accusava di aver sempre mancato ai suoi doveri, di essere un giocatore, donnaiolo ecc. Una prima serie di tre colloqui non modificò la situazione. In particolare la donna partecipava con puntualità, senza esprimere sofferenza o rabbia, ma dichiarando l'impossibilità di far cambiare parere al bambino. Il padre sosteneva di essere respinto dal figlio su istigazione della madre. Con il procedere del processo, quando i due accettarono il richiamo alla genitorialità, si assistette a un cambiamento del piccolo. Questo divenne più disponibile verso il padre mentre la madre dava qualche segno di disponibilità. Proprio in questa fase, il padre disertò per tre volte consecutive l'appuntamento, ma la situazione precipitò quando, dopo una sollecitazione, si presentò con la sua nuova compagna, che pregò di aspettarlo nella sala di attesa. La conseguenza fu la fuga del figlio, piangente, e il ritorno drammatico alle condizioni iniziali. Un ultimo evento, ma poco frequente, è l'incidente finale, o colpo di coda. Qui la situazione è ormai ristrutturata, le regole sono state discusse e concordate, si sono trovati nuovi modelli di comportamento da parte di due
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persone che hanno apparentemente appreso nuove modalità di porsi; ciò nonostante può sembrare che tutto torni sulla linea di partenza. Virgilio e Renata avevano accettato una mediazione che era giunta, tra alti a bassi, al sesto incontro, e sembrava che l'accordo finale fosse a portata di mano: dopo lunghe trattative, l'ultimo accordo prima del congedo era stato che la madre accettava che l'ex marito prelevasse i bambini il sabato non prima della 17 e non dopo le 18; poteva entrare liberamente in casa, ma non abbandonarsi in giochi o in esplorazioni. La domenica li avrebbe riportati entro e non oltre le 21. Il tutto a settimane alterne. In quello che sembrava essere l'ultimo incontro, improvvisamente: Renata: "A proposito, mi dispiace, ma mio padre mi ha offerto di trasferirci da lui, nella villa in campagna, è una cosa troppo vantaggiosa per rifiutarla...". Virgilio (irritato): "Ma ci sono 45 chilometri! Questo è un sabotaggio!". Renata: "Non fare storie, non è colpa mia se è nata questa opportunità". Virgilio (molto teso): "Ma lo capisci che mi salta tutto?!". Mediatore: (interrompe): "Signora, è un fatto nuovo... suppongo che anche lei sia rimasta sorpresa per questa occasione... Certo che la villa è distante... ora i programmi che avevamo fatto non sono più buoni... (al padre)... la vedo turbato... Vediamo... dobbiamo anzitutto pensare ai bambini, non vorrei che soffrissero... lei converrà... abbiamo parlato a lungo delle loro fragilità". Renata: "Si, ma non posso mica dire di no al babbo...". Med.: "Io devo anche far si che i bambini vedano il padre... Fissiamo un nuovo appuntamento e parliamone". Si tratta di insistere con la trattativa, anche quando i segnali sono quelli di un punto morto. Purtroppo in questo caso l'accordo naufragò di fronte all'intransigenza della madre e i problemi oggettivi del padre. Dopo altre tre sedute la mediazione fu interrotta. In un altro caso, anch'esso in dirittura d'arrivo, l'ex marito annunciò di aver trovato una nuova compagna e di aver deciso di stabilirsi in modo definitivo in casa di lei. Di conseguenza i figli avrebbero passato con loro le prossime vacanze di Natale e certamente il successivo periodo estivo. La reazione dell'ex moglie determinò una crisi della mediazione: gli incontri furono sospesi per quattro mesi. Quando tornarono, sapemmo che la vicenda sentimentale del padre si era conclusa rapidamente, in quanto la nuova compagna era stata contraria a passare le vacanze coi ragazzi. Una volta calmate le acque, il percorso fu ripreso. 170
Infine, in un altro caso di affido condiviso, dopo un lungo lavoro per organizzare la collaborazione dei due genitori per la scuola e gli svaghi dei ragazzi, il padre prese a cercare dei contatti con il mediatore chiedendo di essere sollevato da ogni impegno perché aveva scoperto comportamenti inadeguati dell'ex moglie. Il mediatore rifiutò un appuntamento, ma non riuscì a sottrarsi dalle informazioni appena riferite. Nell'incontro successivo la signora giunse puntuale, ma l'ex marito non si presentò. Di fronte ai ragguagli del mediatore sulle intenzioni di lui, l'ex moglie disse di aver effettivamente conosciuto un uomo con il quale stava nascendo un affetto. Una reazione emotiva aveva messo in discussione tutto quanto era stato fatto. Sempre, ma in particolare in situazioni come quest'ultima, si devono evitare colloqui individuali. Come regola generale non si può accettare che vengano trasmessi segreti, rispondendo che l'informazione deve essere sempre patrimonio di tutti, e che quindi, se la persona vuole a tutti i costi fare una confidenza, ci si riserva la libertà di parlarne durante i colloqui congiunti. Gli incidenti che si verificano verso la fine del processo sono difficilmente prevedibili, ma una volta che si presentano, diventa importante capire dove è emersa una qualche sfilacciatura del processo stesso. In generale sono interpretati come una difesa finale dal cambiamento: coincide con un'iniziale presa di coscienza da parte dei due ex partner che stanno ora abbandonando le regole del precedente funzionamento, e sono di fronte al dover accettare e applicare le nuove.
11. Conclusione della mediazione Della conclusione, ma non di quanto si è detto nei colloqui, sarà riferito al giudice, se ne ha fatto richiesta. Gli accordi raggiunti in mediazione non vincolano giuridicamente la coppia, la quale può decidere di rispettarli per riorganizzare la propria vita in modo autonomo o di sottoporli al proprio avvocato perché li trasfonda in un atto giuridico. L'avvocato e il mediatore hanno quindi un ruolo tra loro autonomo e complementare. Il primo può fornire consigli e pareri motivati al cliente elaborati in base alle proprie capacità professionali. Ci sono state non poche questioni se i mediatori debbano trasmettere dati al giudice o agli avvocati. Le conclusioni saranno riferite dai clienti al giudice (ove questo l'abbia disposta), o agli avvocati, e non dai mediatori, i quali sono vincolati dal segreto professionale. Su questa questione i pareri
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però non sono concordi. Non siamo d'accordo con chi sostiene l'oppor tunità di un documento ufficiale sugli accordi presi, sottoscritto dalle parti e dallo stesso mediatore, da consegnare, ma non da utilizzare come impegno con valore legale. Precisando inoltre che si tratta di un intervento ben lontano da un accertamento peritale, qui è evidente la posizione extragiudiziale assunta dal mediatore, basata sulla scelta di superare ab initio gli inquinamenti legati alla competizione legale. Il mediatore non può essere mai la longa manus del giudice e, meno che mai, di un avvocato. Il concludersi (quando positivo) del processo coincide con il raggiungimento e con l'applicazione delle nuove regole di funzionamento che sono state concordate. L'aspetto più importante, e che dà il significato professionale a questo lavoro, è che la mediazione familiare non si risolve con la semplice adozione di nuovi comportamenti. La relazione triadica, composta dai due genitori e il tecnico, ha una sua precisa connotazione: in essa si sono verificati accadimenti e si sono mosse non poche componenti emotive. I cambiamenti non investono solo gli aspetti comportamentali: essi non sono semplici adattamenti a disposizioni ingiunte. Di solito avviene una rimessa in gioco dei rapporti, degli stati d'animo, e in definitiva degli atteggiamenti reciproci. Fedele alla sua definizione, il processo di mediazione può concludersi con un maggior livello di comprensione, e in particolare, di tolleranza, talvolta con il riuscire a prendere coscienza dei propri schemi irrigiditi, rinunciare ad attese impossibili, a inutili rancori. Tutto questo non è indispensabile, è desiderabile. Concludere positivamente il processo non significa far pace, e meno che mai riconciliarsi: indica semplicemente acquisire la capacità di agire una migliore tutela dei figli nel rispetto reciproco. Il mediatore non è una sorta di taumaturgo e sotto le sue spoglie non nasconde uno psicoterapeuta. La conclusione del rapporto tra il mediatore e due separati, anche se possono essersi instaurati dei legami emotivi, non è mai troppo difficile: l'assenza di problematiche gravi, e la relativa brevità del processo, di solito rendono questo momento abbastanza facile. A volte si rende opportuno un intervento rituale, conclusivo, da parte del mediatore: Med.: "Bene... signori... penso che questa possa essere l'ultima volta che ci vediamo... avete fatto un buon lavoro, anche se ci sono stati momenti non facili da superare. Certamente siete meritevoli di elogio, visto che ciascuno ha dovuto cedere qualcosa di sé e accettare una rinuncia. Questo non è stato un mercato, ma solo un lavoro che abbiamo fatto insieme, per assicurare ai vostri bambini il massimo possibile di serenità e sicurezza...".
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Il mediatore con una connotazione positiva attribuisce principalmente ai genitori il merito del successo. Med.: "Naturalmente sarà bene non fare peccati di ottimismo, e credere che tutto funzioni alla perfezione. Siete due persone che hanno passato un periodo difficile; siete due separati e questo ci dice che le divergenze non possono non esserci, anche se ce la mettete tutta... quindi prepariamoci a qualche possibile ricaduta...".
La previsione del peggioramento li aiuta a temere di meno la sua eventuale comparsa. Dal punto di vista sistemico contiene un potente messaggio subliminale "Guardate che in realtà qua dentro non è ancora cambiato niente". Non si tratta di propone una definizione paradossale, ma solo di amplificare un segnale di realtà: .
Med.: "Non dovete preoccuparvi se i cambiamenti che abbiamo introdotto sono minimi, avete un passato che vi ha portato a separarvi, e oggi sarà molto se riuscite a trovare quel minimo di cooperazione che vi consente di dare il massimo ai vostri figli".
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Conclusioni generali
I problemi che investono una coppia possono essere tanto gravi, quanto intenso e profondo può essere il legame d'amore che li lega, capace di mantenersi per tutta la vita. I sentimenti, dall'esperienza del fall in love al piacere del riconoscersi, condividere le proprie storie e le proprie esperienze, confrontarsi, costruire una famiglia, sono il collante che configura l'entità coppia. Questo ha senso solo se l'integrità di quest'ultima è garantita dalla conservazione dell'individualità e indipendenza di ciascuno dei componenti. I figli sono la naturale estensione del nucleo iniziale: occupano una dimensione specifica della mente familiare e nello stesso tempo dispongono di spazi propri. Il loro sviluppo, dalla nascita alla definitiva uscita dal nido, segna fasi di mutamento ineluttabili, cui tutti debbono adeguarsi. Così va dipanandosi il ciclo vitale familiare, il quale non prevede, tra i suoi eventi normativi, la separazione dei genitori. Questa può però verificarsi, in qualità di paranormative event, capace di sconvolgere schemi, attese, sicurezze, oppure, attraverso una crisi evolutiva, di risolvere modelli di vita distorti e pericolosi. Una crisi della coppia s'avvia verso la separazione e il divorzio in ragione di una serie complessa d'elementi che abbiamo esaminato in questo libro. La trattazione ovviamente poteva allargarsi a dismisura se d'ogni capitolo avessimo voluto approfondire i contenuti, le opinioni contrastanti, le interpretazioni. L'approccio sistemico relazionale consente una lettura d'insieme, e cioè meno centrata sul mondo e sulle esperienze individuali, ma su ciò che accade tra le persone. Abbiamo preferito seguire un percorso che consentisse al lettore di accedere a una dimensione del vivere umano della quale spesso si trascurano molte sfaccettature, o, e questo è l'aspetto più importante, le componenti di sofferenza. Nella separazione la parte più dolente è rappresentata certamente dai figli. Abbiamo lungamente insistito sulle differenze tra dispute difficili, ma sane, e quelle disfunzionali; sulle conseguenze dolorose, ma non minac175
ciose, dei dissapori tra sani e, al contrario, le nefaste evoluzioni della disfunzione. Abbiamo ricordato come una conflittualità pervicace e inarrestabile, costituisca la reificata prova della cronica "malattia" di un sistema familiare. In questi casi la mediazione ha ben poco significato. In questo senso abbiamo insistito nel segnalare come le relazioni persistenti, legate a profondi e irrisolti legami, portano ad altrettanto persistenti e insolubili relazioni perverse. Abbiamo poi descritto il processo di mediazione familiare: è un intervento delicato, i cui risultati non possono essere esaltati, perché è statisticamente difficile ingaggiare le ex coppie con dispute e spesso è difficoltose giungere a una costruttiva negoziazione. In ogni caso è sempre un'offerta di aiuto. Ci pare che alla fine si tratti di proporre ai separati un'esperienza di confronto, un luogo di parola, il tentativo di proteggere i loro figli. Questa proposizione potrebbe apparire retorica, ma contiene due grandi verità: la prima riguarda il fatto che ogni processo di aiuto passa attraverso un tentativo di riaprire canali comunicativi occlusi o distorti: qui l'esperto cerca di utilizzare le risorse di due persone che hanno scelto strade diverse, per metterle a frutto. La seconda verità è che la separazione o il divorzio, anche se segnano un passaggio importante nella loro vita, restano eventi sfavorevoli per i figli. Vale la pena lavorare con queste persone.
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Appendici normative e giuridiche
1. Documento del Consiglio d'Europa (Strasburgo, S febbraio 1998). Raccomandazione n. 98-1
Riportiamo per primo il testo del presente documento il quale fornisce una visione abbastanza precisa sulla mediazione familiare a livello europeo. Ci pare che esso confermi in larga parte quanto abbiamo esposto nel libro. Ci possono essere delle differenze quando per esempio si parla dei conflitti che possono intervenire tra i membri di una stessa famiglia che siano legati per sangue o matrimonio, la qual cosa allarga il campo dalla coppia ai familiari in genere. Nello stesso tempo si afferma che gli Stati sono liberi di determinare quali sono le questioni o i casi coperti dalla mediazione familiare, a conferma dell'esistenza di una libertà di scelta del campo operativo. Si afferma infine che la mediazione non dovrà, per principio, essere obbligatoria. Comitato dei ministri degli stati membri sulla mediazione familiare
1. Il Comitato dei Ministri, visto l'art. 15. B dello Statuto del Consiglio d'Europa; 2. Riconoscendo il numero crescente delle controversie familiari, particolarmente quelle che danno luogo a una separazione o a un divorzio, e osservando le conseguenze pregiudizievoli dei conflitti per le famiglie e il costo sociale ed
economico elevato per gli Stati; 3. Considerando il bisogno di assicurare la protezione degli interessi superiori del bambino e del suo benessere, come è consacrato negli accordi internazionali, tenuto conto inoltre dei problemi che si manifestano in materia di tutela e del diritto di visita nel corso di una separazione o di un divorzio; 4. Tenuto conto dello sviluppo di vie di regolamento soddisfacente delle controversie e del riconoscimento della necessità che esiste di ridurre i conflitti nell'interesse di tutti i membri della famiglia; 5. Riconoscendo le caratteristiche specifiche dei conflitti familiari, nella consapevolezza: a. il fatto che i conflitti familiari implicano delle persone che, per definizione, si trovano ad avere delle relazioni interdipendenti che vanno a perdurare nel tempo;
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b. il fatto che i conflitti familiari sorgono in un contesto emozionale particolare che tende a esacerbarli; c. il fatto che la separazione e il divorzio hanno degli impatti su tutti i membri della famiglia, specialmente sui bambini; Riferendosi alla Convenzione Europea sull'esercizio dei diritti dei bambini, e in particolare all'art. 13 di tale convenzione, il quale tratta della messa a disposizione della mediazione o altri metodi di risoluzione dei conflitti concernenti i figli; Tenendo conto dei risultati della ricerca per ciò che concerne l'uso della mediazione e delle esperienze fatte in questo campo in numerosi Paesi, che mostrano che il ricorso alla mediazione familiare può: a. migliorare la comunicazione fra i membri della famiglia; b. ridurre i conflitti tra le parti che si contrappongono; c. dare luogo ad accordi amichevoli; d. assicurare il mantenimento di relazioni personali fra i genitori e i bambini; e. ridurre i costi economici e sociali della separazione e del divorzio per le parti stesse e gli Stati; f. ridurre i tempi altrimenti necessari per la regolazione della controversia; Sottolineando l'internazionalizzazione crescente delle relazioni familiari e i problemi specifici associati a questo fenomeno; Coscienti del fatto che un certo numero di Stati prevede di mettere in atto la mediazione familiare; Convinti della necessità di ricorrere maggiormente alla mediazione familiare, processo nel quale un terzo, il mediatore, imparziale e neutro, assiste le parti stesse nella negoziazione delle questioni che fanno l'oggetto del conflitto, in vista dell'ottenimento di accordi comuni; Raccomanda ai Governi degli Stati membri: a. di istituire o di promuovere la mediazione familiare o, ove essa esista, di rinforzare la mediazione esistente; b. di prendere o di rinforzare tutte le misure che si giudichino necessarie in vista di assicurare la messa in opera dei principi seguenti per la promozione e l'utilizzazione della mediazione familiare come modo appropriato di risoluzione dei conflitti familiari.
Principi sulla mediazione familiare I. Campo di applicazione della mediazione
a) La mediazione familiare tratta dell'insieme dei conflitti che possono intervenire tra i membri di una stessa famiglia che siano legati per sangue o matrimonio, e fra le persone che hanno avuto o hanno delle relazioni familiari così come definite dalla legislazione nazionale. b) Tuttavia, gli Stati sono liberi di determinare quali sono le questioni o i casi coperti dalla mediazione familiare.
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II. Organizzazione della mediazione
a) La mediazione non dovrà, per principio, essere obbligatoria. b) Gli Stati sono liberi di organizzare e mettere in atto la mediazione nei modi che essi stimino appropriati, sia per quanto riguarda il settore pubblico, sia quello privato. c) Senza pregiudizio sul modo in cui la mediazione è organizzata e messa in atto, gli Stati dovranno vigilare che ci siano dei meccanismi appropriati che assicurino l'esistenza: • di procedure per la selezione, la formazione e la qualificazione dei mediatori. • di norme di buona pratica che dovranno essere elaborate e rispettate. III. Processo di mediazione
Gli Stati dovranno vigilare sull'esistenza di meccanismi appropriati affinché il processo di mediazione si svolga conformemente ai principi seguenti: • il mediatore è imparziale nei suoi rapporti con le parti; • il mediatore è neutrale per quanto riguarda la materia del processo di mediazione; • il mediatore rispetta i punti di vista delle parti e tutela le loro parità nella negoziazione; • il mediatore non ha il potere di imporre una soluzione alle parti; • le condizioni nelle quali si svolge la mediazione familiare dovranno garantire il rispetto della vita privata; • le discussioni che avvengono durante la mediazione sono confidenziali e non possono essere ulteriormente utilizzate salvo che, con l'accordo delle parti o nei casi permessi dal diritto nazionale; • il mediatore dovrà, nei casi appropriati, informare le parti della possibilità che esse hanno di ricorrere al consultorio familiare o ad altre forme d'aiuto e d'intervento sui problemi coniugali o familiari; • il mediatore dovrà avere più particolarmente a cuore il benessere e l'interesse superiore del bambino, dovrà incoraggiare i genitori a concentrarsi sui bisogni del bambino e dovrà far presente ai genitori la loro responsabilità primordiale che è quella del benessere dei loro bambini e la necessità che essi hanno di informare e consultare questi ultimi; • il mediatore dovrà avere una attenzione particolare al problema di sapere se hanno avuto luogo violenza fra le parti o se tali violenze sono suscettibili di prodursi nel futuro, e sugli effetti che tali violenze potrebbero avere sulla situazione delle parti nella negoziazione, esaminare se, in queste circostanze, il processo di mediazione è da ritenersi appropriato; • il mediatore può fornire delle informazioni giuridiche ma non potrà mai dispensare dei consigli giuridici; egli dovrà, nei casi appropriati, informare le parti della possibilità che esse hanno di consultare un avvocato o un altro professionista competente.
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IV.Lo statuto degli accordi di mediazione
Gli Stati dovranno facilitare l'approvazione degli accordi di mediazione da parte dell'autorità giudiziaria o di un'altra autorità competente quando le parti lo domandino e fornire dei meccanismi di esecuzione di tali accordi conformemente alla legislazione nazionale. V.Relazione fra la mediazione e le procedure davanti all'autorità giudiziaria o altra autorità competente
a) Gli Stati dovranno riconoscere l'autonomia della mediazione e la possibilità per questa di avere luogo prima, durante o dopo una procedura giudiziaria. b) Gli Stati dovranno stabilire dei meccanismi in vista: • di permettere l'interruzione della procedura giudiziaria pendente al fine di instaurare la mediazione; • di assicurare che in questi casi l'autorità giudiziaria, o un'altra autorità competente, conservi il potere di prendere delle decisioni urgenti relative alla protezione delle parti o dei loro figli, o del loro patrimonio; • di informare l'autorità giudiziaria, o un'altra autorità competente, se le parti accettano o no la mediazione e se esse sono o no pervenute a un accordo. VL Promozione e accesso alla mediazione
a) Gli Stati dovranno promuovere lo sviluppo della mediazione familiare, particolarmente attraverso programmi di informazione rivolti al pubblico per permettere una migliore comprensione di questo modo di composizione concordata delle controversie familiari. b) Gli Stati sono liberi di stabilire dei metodi in casi particolari per fornire delle informazioni pertinenti la mediazione come modo alternativo di composizione dei conflitti familiari (per esempio stabilendo l'obbligo per le parti di incontrare un mediatore) e permettendo così alle parti di esaminare se è possibile e appropriato instaurare una mediazione sui temi che fanno l'oggetto del conflitto. c) Gli Stati dovranno ugualmente sforzarsi di prendere le misure necessarie per permettere alle parti l'accesso alla mediazione familiare, ivi compresa la mediazione internazionale, al fine di contribuire allo sviluppo di questo modo di concordare amichevolmente i conflitti familiari. VII. Altri modi di composizione dei conflitti
Gli Stati possono esaminare l'opportunità di applicare in modo appropriato ad altre modalità di risoluzione dei conflitti i principi relativi alla mediazione così come stabiliti nella presente raccomandazione.
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VIII. D Questioni internazionali
a) Gli Stati dovranno, quando ciò è appropriato, ravvisare l'opportunità di mettere in opera dei meccanismi di mediazione nell'ambito dei casi che presentino un elemento internazionalità; in particolare per tutti i problemi concernenti i bambini e in particolare per quelli relativi alla tutela e al diritto di visita quando i genitori vivano o contino di vivere in stati diversi. b) La mediazione internazionale dovrà essere considerata come un processo appropriato, la natura del quale può permettere ai genitori di organizzare o di riorganizzare la tutela e il diritto di visita, o di regolare delle differenze conseguenti a delle decisioni relative a questi temi. Tuttavia nel caso dello spostare o trattenere senza diritto il bambino, la mediazione internazionale non dovrà essere utilizzata se essa rischia di ritardare il ritorno rapido del bambino. c) Tutti i principi sopra detti sono applicabili alla mediazione internazionale. d) Gli Stati dovranno in tutti i modi possibili promuovere la cooperazione fra i servizi di mediazione familiare esistenti al fine di facilitare l'utilizzazione della mediazione internazionale. e) Tenuto conto della specificità della mediazione internazionale, i mediatori internazionali dovranno essere tenuti a seguire una formazione complementare specifica.
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2. Codice europeo di condotta per mediatori (2 luglio 2004)
Il presente codice di condotta stabilisce una serie di principi ai quali i singoli mediatori possono spontaneamente decidere di aderire, sotto la propria responsabilità. Tale codice è destinato a essere applicabile a tutti i tipi di mediazione in materia civile e commerciale. Anche le organizzazioni che forniscono servizi di mediazione possono impegnarsi in tal senso, chiedendo ai mediatori che operano nell'ambito dell'organizzazione di rispettare il codice. Le organizzazioni hanno l'opportunità di dare informazioni in merito alle misure assunte al fine di favorire il rispetto del codice da parte dei singoli mediatori, per esempio mediante formazione, valutazione e monitoraggio. Ai fini del codice per mediazione si intende ogni procedimento in cui due o più parti si accordano sulla nomina di un terzo (d'ora in avanti, "il mediatore") che assista le parti nella risoluzione di una controversia mediante il raggiungimento di un accordo senza l'emanazione di una sentenza e indipendentemente dal modo in cui tale procedimento può essere definito o generalmente qualificato in ciascuno Stato Membro. L'adesione al codice non pregiudica la legislazione nazionale o le regole che disciplinano le singole professioni. Le organizzazioni che forniscono servizi di mediazione possono elaborare codici più dettagliati, adattati al proprio specifico contesto o ai tipi di servizi di mediazione che offrono, nonché con riferimento a settori specifici come la mediazione familiare o quella relativa ai consumatori. .
1. Competenza e nomina dei mediatori 1.1. Competenza I mediatori dovranno essere competenti e abili in merito al procedimento di mediazione'. t A proposito della formazione dei mediatori familiari, risale al 1992 la "Charte europèenne de la formation des médiateurs familiaux dans les situation de divorce et separation" a cura della Commissione sulla formazione del mediatore familiare e promossa dalla
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Elementi rilevanti comprendono un adeguato training e un continuo aggiornamento della propria formazione e pratica nelle capacità di mediazione, avuto riguardo ai relativi standard e ai sistemi di accreditamento. 1.2. Nomina
Il mediatore si consulterà con le parti riguardo a date adatte nelle quali la mediazione potrà aver luogo. Il mediatore dovrà essere convinto della propria preparazione e competenza a condurre la mediazione prima di accettare l'incarico e, su richiesta, dovrà fornire alle parti informazioni in merito alla propria preparazione ed esperienza. 1.3. Pubblicità/promozione dei servizi del mediatore
I mediatori possono promuovere la propria attività, in modo professionale, veritiero e dignitoso. 2. Indipendenza e imparzialità 2.1. Indipendenza e neutralità
Il mediatore non deve agire (o avendo già iniziato, non deve continuare ad agire) prima di aver dichiarato qualsiasi circostanza che possa (o possa essere considerata tale da) intaccare la propria indipendenza o determinare un conflitto di interessi. Il dovere di informazione costituisce una obbligazione che persiste per tutta la durata del procedimento. Le suddette circostanze includono: • qualsiasi relazione di tipo personale o professionale con una delle parti; • qualsiasi interesse di tipo economico o di altro genere, diretto o indiretto, in relazione all'esito della mediazione; o • il fatto che il mediatore, o un membro della propria organizzazione, abbia agito in qualità diversa da quella di mediatore per una delle parti. In tali casi il mediatore può accettare l'incarico o proseguire la mediazione solo a condizione che sia certo di essere in grado di condurre la mediazione con piena indipendenza e neutralità, al fine di garantire piena imparzialità e con il consenso espresso delle parti. 2.2. Imparzialità
Il mediatore dovrà in ogni momento agire con imparzialità nei confronti delle parti, e sforzarsi di apparire come tale, e dovrà impegnarsi ad assistere equamente tutte le parti in relazione al procedimento di mediazione. citata Association pour la Promotion de la Mèdiation Familiale (APMF). La Carta europea, cui aderiscono numerosi Paesi, quali Germania, Belgio, Francia, Gran Bretagna, Italia, Svizzera, ha lo scopo di garantire ordine, coerenza, omogeneità, professionalità.
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3. L'accordo, il procedimento, la risoluzione della controversia e gli onorari della mediazione 3.1. Procedura
Il mediatore dovrà essere convinto che le parti coinvolte nella mediazione comprendano le caratteristiche del procedimento di mediazione e il ruolo del mediatore e delle parti nell'ambito dello stesso. Il mediatore dovrà, in particolare, assicurare che prima dell'avvio della mediazione le parti abbiano compreso ed espressamente prestato il proprio consenso riguardo ai termini e alle condizioni dell'accordo di mediazione, comprese le previsioni applicabili in tema di obblighi di riservatezza in capo al mediatore e alle parti. L'accordo di mediazione dovrà, su richiesta delle parti, essere redatto per iscritto. Il mediatore dovrà condurre il procedimento in modo appropriato, tenendo conto delle circostanze del caso, inclusi eventuali squilibri di potere e norme di legge, eventuali desideri espressi dalle parti e l'esigenza di una rapida risoluzione della controversia. Le parti saranno libere di concordare con il mediatore, con riferimento a un insieme di regole o altrimenti, il modo in cui la mediazione dovrà essere condotta. Il mediatore può, se lo reputa opportuno, ascoltare le parti separatamente. 3.2. Correttezza del procedimento
Il mediatore dovrà assicurare che tutte le parti abbiano adeguate opportunità di essere coinvolte nel procedimento. Se opportuno, il mediatore dovrà informare le parti, e potrà porre fine alla mediazione, nel caso in cui: • sia raggiunto un accordo che al mediatore appaia non azionabile o illegale, avuto riguardo alle circostanze del caso e alla competenza del mediatore per raggiungere tale valutazione; o • il mediatore valuti che la prosecuzione della mediazione difficilmente conduca a una risoluzione della controversia. 3.3. Fine del procedimento
Il mediatore dovrà adottare tutte le misure appropri ate al fine di assicurare che un eventuale accordo sia raggiunto tra le parti sulla base di un consenso informato e che tutte le parti comprendano i termini dell'accordo. Le parti possono ritirarsi dalla mediazione in qualsiasi momento senza fornire alcuna giustificazione. Il mediatore può, su richiesta delle parti e nei limiti della propria competenza, informare le parti delle modalità in cui le stesse possono formalizzare l'accordo e delle possibilità di rendere l'accordo esecutivo.
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3.4. Onorari
Il mediatore deve sempre, ove non sia stato già previsto, fornire alle parti una completa informazione sulle modalità di remunerazione che intende applicare. Il mediatore non dovrà accettare una mediazione prima che le condizioni della propria remunerazione siano state accettate da tutte le parti interessate. 4. Riservatezza
Il mediatore dovrà mantenere la riservatezza su tutte le informazioni derivanti dall'o relative alla mediazione, compresa la circostanza che la mediazione è in corso o si è svolta, a eccezione dei casi in cui sia obbligato dalla legge o da ragioni di ordine pubblico. Qualsiasi informazione riservata comunicata al mediatore da una delle parti non dovrà essere rivelata all'altra senza il consenso della parte o a meno che ciò sia imposto dalla legge.
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3. Legge 8 febbraio 2006 n. 54 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 1° marzo 2006, n. 50). Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli
La Camera dei deputati e il Senato della Repubblica hanno approvato; Il Presidente della Repubblica — Promulga la seguente legge: Art. 1. Modifiche al codice civile
1. L'articolo 155 del codice civile è sostituito dal seguente: "Art. 155 (Provvedimenti riguardo ai figli). — Anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. Per realizzare la finalità indicata dal primo comma, il giudice che pronuncia la separazione personale dei coniugi adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa. Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all'istruzione e all'educazione dei figli. Prende atto, se non contrari all'interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori. Adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole. La potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all'istruzione, all'educazione e alla salute sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice. Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la potestà separatamente. Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando: 1. le attuali esigenze del figlio; 189
2. il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori; 3. i tempi di permanenza presso ciascun genitore; 4. le risorse economiche di entrambi i genitori; 5. la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore. L'assegno è automaticamente adeguato agli indici ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice. Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi.". 2. Dopo l'articolo 155 del codice civile, come sostituito dal comma 1 del presente articolo, sono inseriti i seguenti: "Art. 155-bis (Affidamento a un solo genitore e opposizione all'affidamento condiviso). — Il giudice può disporre l'affidamento dei figli a uno solo dei genitori qualora ritenga con provvedimento motivato che l'affidamento all'altro sia contrario all'interesse del minore. Ciascuno dei genitori può, in qualsiasi momento, chiedere l'affidamento esclusivo quando sussistono le condizioni indicate al primo comma. Il giudice, se accoglie la domanda, dispone l'affidamento esclusivo al genitore istante, facendo salvi, per quanto possibile, i diritti del minore previsti dal primo comma dell'articolo 155. Se la domanda risulta manifestamente infondata, il giudice può considerare il comportamento del genitore istante ai fini della determinazione dei provvedimenti da adottare nell'interesse dei figli, rimanendo ferma l'applicazione dell'articolo 96 del codice di procedura civile. Art. 155-ter (Revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli). — I genitori hanno diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli, l'attribuzione dell'esercizio della potestà su di essi e delle eventuali disposizioni relative alla misura e alla modalità del contributo. Art. 155-quater (Assegnazione della casa familiare e prescrizioni in tema di residenza). — Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli. Dell'assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l'eventuale titolo di proprietà. Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l'assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio. Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell'articolo 2643. Nel caso in cui uno dei coniugi cambi la residenza o il domicilio, l'altro coniuge può chiedere, se il mutamento interferisce con le modalità dell'affidamento, la ridefinizione degli accordi o dei provvedimenti adottati, ivi compresi quelli economici. Art. 155-quinquies (Disposizioni in favore dei figli maggiorenni). — Il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipen-
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denti economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all'avente diritto. Ai figli maggiorenni portatori di handicap grave ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, si applicano integralmente le disposizioni previste in favore dei figli minori Art. 155-sexies (Poteri del giudice e ascolto del minore). — Prima dell'emanazione, anche in via provvisoria, dei provvedimenti di cui all'articolo 155, il giudice può assumere, a istanza di parte o d'ufficio, mezzi di prova. Il giudice dispone, inoltre, l'audizione del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento. Qualora ne ravvisi l'opportunità, il giudice, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l'adozione dei provvedimenti di cui all'articolo 155 per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell'interesse morale e materiale dei figli.". Art. 2. (note). Modifiche al codice di procedura civile
1. Dopo il terzo comma dell'articolo 708 del codice di procedura civile, è aggiunto il seguente: "Contro i provvedimenti di cui al terzo comma si può proporre reclamo con ricorso alla Corte d'appello che si pronuncia in camera di consiglio. Il reclamo deve essere proposto nel termine perentorio di dieci giorni dalla notificazione del provvedimento.". 2. Dopo l'articolo 709-bis del codice di procedura civile, è inserito il seguente: "Art. 709-ter (Soluzione delle controversie e provvedimenti in caso di inadempienze o violazioni). — Per la soluzione delle controversie insorte tra i genitori in ordine all'esercizio della potestà genitoriale o delle modalità dell'affidamento è competente il giudice del procedimento in corso. Per i procedimenti di cui all'articolo 710 è competente il tribunale del luogo di residenza del minore. A seguito del ricorso, il giudice convoca le parti e adotta i provvedimenti opportuni. In caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore o ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell'affidamento, può modificare i provvedimenti in vigore e può, anche congiuntamente: 1 ammonire il genitore inadempiente; 2. disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore; 3. disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti dell' altro; 4. condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 euro a un massimo di 5.000 euro a favore della Cassa delle ammende. I provvedimenti assunti dal giudice del procedimento sono impugnabili nei modi ordinari.".
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Art. 3. Disposizioni penali
1. In caso di violazione degli obblighi di natura economica si applica l'articolo 12-sexies della legge 1° dicembre 1970, n. 898. Art. 4. Disposizioni finali
1. Nei casi in cui il decreto di omologa dei patti di separazione consensuale, la sentenza di separazione giudiziale, di scioglimento, di annullamento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio sia già stata emessa alla data di entrata in vigore della presente legge, ciascuno dei genitori può richiedere, nei modi previsti dall'articolo 710 del codice di procedura civile o dall'articolo 9 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni, l'applicazione delle disposizioni della presente legge. 2. Le disposizioni della presente legge si applicano anche in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati. Art. 5. Disposizione finanziaria
1. Dall'attuazione della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato. Note Avvertenza: il testo della nota qui pubblicato è stato redatto dall'amministrazione competente per materia, ai sensi dell'art. 10, comma 2, del testo unico delle disposizioni sulla promulgazione delle leggi, sull'emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica e sulle pubblicazioni ufficiali della Repubblica italiana, approvato con D. P. R. 28 dicembre 1985, n. 1092, al solo fine di facilitare la lettura della disposizione di legge modificata e della quale restano invariati il valore e l'efficacia. Note all'art. 2. Si riporta il testo dell'art. 708 del codice di procedura civile in vigore dal 1° marzo 2006, come modificato dalla presente legge: "Art. 708 (Tentativo di conciliazione e provvedimenti del presidente). — All'udienza di comparizione il presidente deve sentire i coniugi prima separatamente e poi congiuntamente, tentandone la conciliazione. Se i coniugi si conciliano, il presidente fa redigere il processo verbale della conciliazione. Se la conciliazione non riesce, il presidente, anche d'ufficio, sentiti i coniugi e
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i rispettivi difensori, dà con ordinanza i provvedimenti temporanei e urgenti che reputa opportuni nell'interesse della prole e dei coniugi, nomina il giudice istruttore e fissa udienza di comparizione e trattazione davanti a questi. Nello stesso modo il presidente provvede, se il coniuge convenuto non compare, sentiti il ricorrente e il suo difensore. Contro i provvedimenti di cui al terzo comma si può proporre reclamo con ricorso alla Corte d'appello che si pronuncia in camera di consiglio. Il reclamo deve essere proposto nel termine perentorio di dieci giorni dalla notificazione del provvedimento.". Per opportuna conoscenza, si riporta il testo dell'art. 708 del codice di procedura civile, in vigore fino al 28 febbraio 2006, come modificato dalla presente legge: "Art. 708 (Tentativo di conciliazione, provvedimenti del presidente). — Il presidente deve sentire i coniugi prima separatamente e poi congiuntamente, procurando di conciliarli. Se i coniugi si conciliano, il presidente fa redigere processo verbale della conciliazione. Se il coniuge convenuto non comparisce o la conciliazione non riesce, il presidente, anche d'ufficio, dà con ordinanza i provvedimenti temporanei e urgenti che reputa opportuni nell'interesse dei coniugi e della prole, nomina il giudice istruttore e fissa l'udienza di comparizione delle parti davanti a questo. Contro i provvedimenti di cui al terzo comma si può proporre reclamo con ricorso alla Corte d'appello che si pronuncia in camera di consiglio. Il reclamo deve essere proposto nel termine perentorio di dieci giorni dalla notificazione del provvedimento. Se si verificano mutamenti nelle circostanze, l'ordinanza del presidente può essere revocata o modificata dal giudice istruttore a norma dell'art. 177.".
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