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Zitiervorschau

Michel de Certeau

'operazione storica introduzione e traduzione L u i g i Blandini

Argalia Editore Urbino

di

Pre-pubblicazione a cura del Centro Internazionale d i Semiotica Il

testo,

parte

del

e Linguistica d i Urbino.

concesso volume

gentilmente La

production

dall'autore, de

fa

l'histoire,

annunciato nella collana Bibliothèque des Histoires, Gallimard, Paris.

L'operazione storica

Michel de Certeau

operazione storica introduzione e traduzione di L u i g i Blandini

i ««coti* 01 MAGib'f NO - UNIVErtSiT*' 01 HOMA

Data c».

1.'

Argalia Editore Urbino

Le note tra parentesi quadre sono del traduttore. I riferimenti dell'autore corrispondono soltanto all'edizione francese.Si è ritenuto opportuno, là dove se ne presentava la necessità, non esistendo la traduzione italiana corrispondente, di rimandare ad altri testi degli stessi autori apparsi in edizione italiana. C'é da aggiungere, a questo proposito, che non vengono date le indicazioni bibliografiche di tutte le traduzioni italiane esistenti per ciascun autore, ma solo quelle che sono state ritenute più, pertinenti ai fini di una conoscenza delle tesi o dei lavori principali degli stessi, seguendo sempre il filo conduttore del saggio di M. de Certeau.

INTRODUZIONE S u l dibattito metodologico nella storiografia francese.

«Una collezione di fatti non ha più

valore

scientifico di u n a collezione di francobolli o d i conchiglie»

L'obiettivo di questa frase polemica di

H e n r i B e r r , non era tanto la concezione positivista della storia quanto i l modo concreto di fare opere di storia da parte degli storici francesi della seconda metà dell'Ottocento. Se i n Germania i l positivismo aveva contribuito ad immettere la filosofia della storia nella storiografia erudita, la storiografia francese si era i n vece caratterizzata per U rifiuto di ogni generalizzazione; ciò che veniva ereditato dal positivismo r i guardava piuttosto U perfezionamento dell'apparato tecnico della ricerca

storica ^, cioè i l

' H . B E R R , «Sur notre programme» i n Revue

cosiddetto

de Synthèse

histo-

rìque, n . 1, 1900, p. 6. ^ Naturalmente nel loro

rifiuto

d i porre problemi generali, essi

subivano implicitamente, e inconsapevolmente, delle filosofie che avevano come matrice l'empirismo; cfr. J . G L É N I S S O N , franfaise

contemporaine»

in

La

C.N.R.S., Paris, 1965, pp. X I - X I I .

Recherche

«L'historiographie

historìque

ere

France,

«metodo storico». I teorici riconosciuti di questa storiografia erano Charles-Victor Langlois e Charles Seignobos che nella loro Introduction aux études historiques \e avevano formulato e c diato la metodologia. Compito dello sto era quello di stabilire i «fatti», di presentarli se do la loro successione cronologica. La filosofia del progresso che era implicata nel lavoro storico voleva che il passato venisse inteso soltanto come preparazione del presente. La biologia evoluzionista dell'epoca esaltava e stimolava gli storici a costituire la loro disciplina su basi classificatorie per mezzo di quelle unità minimali che sono i «fatti», e i due teorici avevano codificato le regole di questa classificazione a partire da materiali e fonti che erano quasi sempre dei testi scritti (memorie, trattati, ecc.) Naturalmente, questi «fatti», a causa del materiale documentario adoperato, erano quasi sempre di tipo politico-diplomatico. Dopo venivano le storie particolari delle arti, delle scienze, della filosofia, della religione; ognuna nel suo compartimento a fare da sfondo alla storia politica. La storia economica era quasi inesistente. Al centro di questa storiografia primeggiava sovrano il Grande Personaggio, l'Eroe che, in concomitanza al ruolo attribuitogli in sociologia da Gabriel Tarde, era considerato come l'agente e l'iniziatore dei mutamenti sociali. Il privilegio assegnato all'individualità, giustificava anche l'uso di una certa psicologia individuale. ' Questo manuale citatissimo che è del 1898 ha conosciuto decine di ristampe.

L'ispiratore dei vari G. Monod, D. Caron, L. Halphen, L. Delisle, E. Lavisse, A. Aulard, era Ranke che aveva posto come compito dello storico quello di «stabilire i fatti così come si sono svolti» il fine del loro «metodo critico» era di riuscire a cancellare Vosservatore (lo storico) dal processo di osservazione; la spiegazione si basava sull'equivalenza successione-conseguenza come per la Scolastica: post hoc, ergo propter hoc. Il risultato dell'applicazione di questi principi veniva chiamato «storia scientifica». Oggi il quadro è molto cambiato. La storia non pretende piti di essere dispensatrice di certezza, essa è piuttosto da considerare come una «tecnica della diffidenza», e le ragioni, indubbiamente, vanno cercate nello sviluppo parallelo delle scienze umane. Ma chi vuole guardare storicamente la storia ed avere qualche elemento per comprendere quel processo interno (che probabilmente non è quello fondamentale) di cambiamento della disciplina deve risalire intorno agli anni in cui la storia empirico-erudita toccava il suo culmine. Fondata nel 1900 da H. Berr, la a Revue de ' Per una bibliografia e brevi note su questa storiografia, cfr., i capitoli X V I e X V I I dell'opera postuma di G. LEFEBVRE, La naissance de l'historìographie moderne, Flammarion, Paris, 1971; cfr., pure, l'antologia di J. EHROBD e G. PALMADE, Vhistoire, Colin, Paris, 1964. Inoltre commenti e polemiche si possono rintracciare in tutti gli scritti metodologici di L. Febvre, M. Bloch, H. Berr, F. Braudel.

Synthèse historiquey), fu luogo oltre che di dibattiti e iniziative editoriali come la collezione ccL'Évolution de l'Humanité», soprattutto di incontri interdisciplinari che contribuirono non poco al declino della storia empirica. La sintesi storica di H. Berr, pur restando nei limiti del positivismo \, utilizzava l'ccipotesi» * come suo elemento costitutivo e attribuiva alla sociologia un posto fondamentale; due procedimenti tenuti accuratamente lontani dalla storia (chistorisante»

L'abitudine ai contatti interdisciplinari e la polemica contro «l'histoire événementielle» venivano ereditate dalle «Annales» che L, Febvre e M. Bloch \i di H . Berr, fondavano nel 1

' Alla causalità meccanica dei Seignobos oppone le «cause complesse»: «Il problema principale della sintesi storica consiste nel rapporto di queste causalità. Fatti contingenti, leggi, ragioni; rapporti della contingenza, della necessità e della logica». Questa è l'articolazione della sua tesi più importante, che resta nell'ambito del positivismo; H . BERR, La Synthèse en histoire, A. Michel, Paris, 1953, n. ed., p. 5 3 . ' H. BERR, op. cit., p. 37. Nel passo c'è un richiamo esplicito a Henri Poincaré, il grande matematico francese, autore de La Science et l'Hypothèse. ' La definizione è dello stesso H. BERR, Vhistoire traditionelle et la Synthèse historique. Però, l'attrihuto più usato a proposito di questa storiografia è quello di «histoire événementielle» dovuto a P. Lacombe. Su questo cfr., F. BRAUDEL «Histoire et Sociologie» Gap. 4 del Traiti de Sociologie di G. GURVITCH (trad. it., Trattato di Sociologia, Il Saggiatore, 1967, 2 voli.) e riprese in Écrits sur Vhistoire, Flammarion, Paris, 1969, p. 103; ora tradotto in italiano, Scritti sulla storia, Mondadori, 1972, p. 108.

due, L. Febvre era quello più preoccupato della teoria, mentre M. Bloch, più impegnato nella pratica storiografica, solo negli ultimi anni della sua vita cominciò a scrivere un'opera di metodologia ' che lo accomunava alla problematica filosofica dello stesso Berr. Spingendo fino al limite la critica del «fatto», che era visto come un dato dalla storia «événementielle», L. Febvre affermava che «elaborare un fatto, significa costruirlo» Veniva cosi a cadere la base su cui si fondava la pretesa di oggettività della storia «événementielle» Il «fatto», questa «unità formale precedentemente costruita» (cfr., L'Operazione storica, p. 85) su delle ipotesi e dei problemi che lo storico formula " rinvia, per L. Febvre, al presente del ricercatore, che è la lente e il luogo attraverso cui si guarda il passato Però, le determinazioni socio-istituzionali e quelle filosofico-ideo* La bibliografia degli studi sui due storici è vastissima. A titolo indicativo si suggeriscono H.-D. MANN, Lucien Febvre. La pensée vivante d'un historien, Colin, Paris, 1971; D. Cantimori, Storici e Storia, Einaudi, 1971, cap. XIII; J. STENGERS, «Marc Bloch et l'histoire» in Annales. E.S.C., 1953, n. 2, pp. 329-337. ' M. BLOCH, Apologie pour l'histoire, Colin, Paris, 1949; trad. it., Apologia della Storia, Einaudi, 1969. Soprattutto nell'ultimo capitolo sulla causalità (pp. 161-166), si può vedere quanto fosse vicino alla sintesi storica di Berr e preso da un genere di questioni più filosofiche di quelle che si poneva L. Febvre. L. FEBVRE, «Examen de coscience . .. .» in Combats pour l'histoire, Colin, Paris, 1965, 2' ed., p. 8. " L. FEBVRE, «Vivre l'histoire» in Combats .... op. cit., p. 22. L. FEBVRE, ibid., p. 15.

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logiche di questo luogo (a cui è dedicata la prima parte del saggio di M. de Certeau), non sono mai esplicitate da L. Febvre; inoltre, cci bisogni del presente» in funzione dei quali si elabora la storia del passato, restano, lungo tutta la sua opera teorica, esclusi da un rapporto effettivo con la pratica storiografica. In un articolo del 1949, che è ormai considerato il suo testamento intellettuale, L. Febvre attaccava l'ultimo caposaldo della storia ((événementielle»: il documento scritto e i limiti che esso implicava per il lavoro storiografico. ((La storia si fa con i documenti scritti senza dubbio. Quando ci sono. Ma essa si può fare, si deve fare, senza documenti scritti se essi non esistcoio. Con tutto ciò che l'ingegnosità dello storico può consentire di utilizzare per fabbricare il proprio miele, difettando i normali fiori. Dunque, con delle parole, con dei segni. Con dei paesaggi . . . Con la forma dei campi . . . Con delle eclissi di luna . . . Con delle perizie di pietre fatte da geologi, delle analisi di spade di metallo compiute da chimici. In una parola con tutto ciò che essendo dell'uomo, serve all'uomo, esprime l'uomo, significa la presenza, l'attività, il gusto e il modo di essere dell'uomo» E raggiungeva cosi l'auspicio dello stesso Michelet, che, più di un secolo prima, rivolto agli storici, aveva scritto: ((Bisogna intendere le pa" L. FEBVRE, «Vers une autre histoire» in Combats. . . , op. cit., p. 428 (anche in it., nel volume Studi su Riforma e Rinascimento, Einaudi, 1966, pp. 557 e ss.

role che non furono mai dette, che restarono nel fondo dei cuori; bisogna far parlare il silenzio della storia» Non era quello di L. Febvre un plaidoyer astratto in favore dell'uomo ma piuttosto, da un lato, era un invito a utilizzare i vecchi materiali con nuove tecniche d'indagine, dall'altro, la constatazione che nessun oggetto può essere escluso dalla ricerca storica. Lo storico doveva diventare, per lui, il capo di una équipe, capace di utilizzare dati statistici, linguistici, psioologici, botanici, sociologici ed esperto in programmazioni di computers. In effetti, nessun procedimento delle altre discipline è rimasto escluso dagli interessi di L. Febvre. Attraverso i suoi numerosi articoli e la sua attività di organizzatore della ricerca egli ha dato l'indirizzo ad una scuola storiografica che ha rinnovato sia la maniera di porre i problemi, sia i mezzi per risolverli. Alla ricostruzione deU'ccoutillage mentale» del passato tramite la psicologia coHettiva e la linguistica (la filologia comparata), i successori di L. FebMichelet par lui-méme, Seuil, Paris, 1949, p. " Da ricordare la fondazione nel 1947 della sesta sezione dell'E.P.H.E.: istituzione che ebbe ed ha un ruolo fondamentale per la diffusione delle concezioni delle «Annales». " Cfr., in particolare, L. FEBVRE, Le problème de Vincroyance au XVle siede: la religion de Rabelais, CoU. Évolution de l'humanité, Paris, 1 9 4 2 ; M. BLOCH, Les rois Thaumaturges, Paris, 1924. " R. BAHTHES,

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vre e M. Bloch hanno potuto aggiungere i risultati e procedimenti teorici, riguardanti l'economico e il sociale, forniti dai «compagni di strada» di questi maestri. Se già F. Simiand " aveva insegnato agli storici delle «Annales» a utilizzare i dati sui movimenti dei prezzi e della moneta, per lo studio delle classi sociali, altri due storici, creatori di proprie «scuole», sono stati e sono in rapporto dialettico con essi: G. Lefebvre " ed E. Labrousse Il primo, piìi vicino alla storia positivista tedesca e alla «histoire-récit», ha aperto una serie di studi sulle strutture sociali, rurali e urbane prima e durante la Rivoluzione; l'altro, richiamandosi esplicitamente al marxismo, ha contribuito a far entrare nella storia sociale tutto l'armamentario economico delle fluttuazioni monetarie, l'analisi dei salari, dei redditi, per ricostruire i diversi tipi di congiunture (cicli corti, movimenti stagionali, ritmi secolari) che sconvolgevano la vita delle popolazioni sotto l'Ancien Regime. " Economista e sociologo, collaboratore della Revue de Synthèse; un suo articolo teorico Méthode historique et science sociale è stato ristampato in Annales E.S.C., n. 1, 1960, pp. 83-119. " Su G. Lefebvre tra i numerosi studi si possono leggere: M. REINHARDT, «G. L.» in Annales E.S.C., 1960, n. 1, pp. 1-8; F . VENTURI, Jean Jaurès e altri storici della Rivoluzione francese, Einaudi, 1948; P . F. HYSLOP, «G. L., historian» in French Historical Studies, t. I, 1960, pp. 265-281. " Tra i suoi lavori quello fondamentale: La crise de l'economie frangaise P.U.F., Paris, 1943.

Con la pubblicazione della Tesi di F. Braudel ^ nel 1949, la storia «ha compiuto la sua rivoluzione copernicana» L'apporto teorico è esplicitato nella prefazione dallo stesso Braudel. E' la stessa ripartizione della sua opera in tre parti ad implicarlo direttamente. Espresso in termini di tempo storico, si distingue in: «un tempo geografico, un tempo sociale e un tempo individuale» ^. Questa elaborazione che verrà sistematizzata nel conosciutissimo articolo sulla «lunga durata» ^, fonda una storia strutturale che fornisce il quadro dello spazio e delle «permanenze» ^ entro cui si svolge una storia congiunturale che determina le costanti di una storia dal tempo breve, del tempo dell'avvenimento. Tra il 1945 e il 1950, la storiografia francese «aveva ormai preso l'aspetto che oggi è il suo» ^. ^° La Mediterranée à l'epoque de Philippe II, Paris, Colin, 1949 (trad. it.. Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II, Einaudi, 1953). " AA. VV., «L'histoire et l'histoirien», Recherches et Débats, n. 47, 1964, p. 80. ^ La prefazione è stata ristampata in Écrits sur l'histoire, op. cit.; trad. it. cit., p. 32. (Nelle note successive si citerà solo la traduzione italiana). " Ora in F. BRAUDEL, Scrittitrad. it. cit., pp. 57-92. " Quanto poi questa storia di «lunga durata» deve all'affermarsi dell'epistemologia strutturalista, lo si può vedere da ogni scritto metodologico della scuola. " J. GLÉNISSON, op. cit., p. XXIV. Per una bibliografia dettagliata riguardante gli indirizzi della ricerca storica in Francia si possono consultare anche: t. XX, Encyclopédie Franjaise Paris, 1959;

L'impulso dato all'organizzazione della ricerca da L. Febvre è ripreso da F. Braudel che oggi dalla «Maison des Sciences de l'Homme» ^ dirige dei seminari metodologici interdisoiplinari e fa di questo luogo istituzionale un centro propulsore di iniziative di lavoro. Le opere significative, dei giovani storici della seconda generazione delle «Annales», sono innumerevoli. Tra le direzione principali, la storia delle mentalità, la storia congiunturale e l'analisi del contenuto su testi che caratterizzano aspetti ideologici e culturali del passato (con l'aiuto della linguistica moderna) ^. Pure la storia diplomatica, che una volta era come sradicata dalle strutture socio-economiche e culturali, si è trasformata. Oggi si delineano dei tentativi per portarla al di là di quella superficie del passato a cui sembrava rimasta ferma ^. Si possono citare alcuni storici con alcuni «L'Histoire aujourd'hui», n. sp. della Revue de l'enseignement supérieur, n. 44-45, Paris, 1969; C. SAMARAN, dir., L'Histoire et ses méthodes, Encyclopédie de la Plèiade, Paris, 1961. ^' La Maison des Sciences de l'Homme di Parigi è sede di numerosi centri di ricerca del C.N.R.S. francese ed anche della redazione delle «Annales». " La ripartizione schematica, che naturalmente non esclude interrelazioni reciproche, è la stessa di quella fornita dall'articolo di R. MANDROU «Statut scientifique de l'histoire», Encycloepedia Universalis. Voi. 8, Paris, 1968, pp. 424-429. ^ P. RENOUVIN, J.-B. DUROSELLE, Introduction a Vhistoire des Relations Internationales, Colin Paris, 1964; gli autori si applicano allo studio delle «forze profonde che hanno formato il quadro delle relazioni tra i gruppi umani», p. 2.

lavori che, pur diversi tra loro, hanno contribuito ad estendere l'omogeneità metodologica delle «Annales». Goubert ^ con lo studio suUa condizione demografica delle popolazioni francesi nell'Ancien Regime. Ph. Ariès ^ e l'organizzazione pedagogica nel Seicento e Settecento. E poi ancora E. Le Roy-Ladurie e le modificazioni climatiche in Europa, lungo l'arco di otto secoli; F. Furet e l'analisi delle strutture delle relazioni sociali nel XVIII" secolo; P. Chaunu ^' e i suoi due libri sull'Europa dello Spazio, del Numero, del Sesso, del Pensiero, della Cultura. Ad essi vanno aggiunti R. Mandrou, G. Duby, A. Dupront, P. Vilar, e altri ancora. Alcuni privilegiano l'analisi economica e il metodo marxista, come P. Vilar; per la gran parte, di essi invece, l'economia è soilo una «serie» tra le altre. Ma tutti riconoscono, contro il positivismo, che la verifica della scientificità di un lavoro storico si ha nell'attività stessa dello storico: nella sua capacità di tenersi ai parametri scelti preliminarmente e al materiale costitutivo dell'oggetto della ricerca. ® P. GOUBERT, Louis XIV et vingt millions de frangais, Fayard, Paris, 1966. P H . ARIÈS, L'enfant et la vie familiale sous l'Ancien Regime, Plon, Paris, 1960. P. CHAUNU, La Civilisation de l'Europe Classique, Arthaud, Paris, 1968; La civilisation de l'Europe des Lumières, Arthaud, Paris, 1971. A proposito di quest'ultimo si può leggere la rassegna critica di F. DIAZ, «Le stanchezze di Clio» in Riv. Storica Italiana, 1972, III fase, pp. 683 e ss.

Con la storia quantitativa, o anche storia seriale si ha una teorizzazione del cambiamento dello statuto metodologico della ricerca storica. Essa va dall'uso a fini ermeneutici di una semplice enumerazione aritmetica che riguarda un insieme di dati (per es., i dati suUa diminuzione delle nascite ai fini della ricerca sulla diff'usione delle pratiche sessuali) fino all'utilizzazione sistematica di modelli matematici per la ricostruzione di micro-unità o macro-unità economiche, sulla base della teoria della fisica della probabilità Essa ^, mira a costituire i fatti in serie di unità omogenee, misurabili su ritmi temporali, intervallati ma regolari. I fatti sono ritagliati in rapporto alle necessità esplicative e ai ritmi di queste serie, ognuno delle quali costituisce un livello tematico di un fenomeno globale che ne contiene infiniti. Saranno le serie omogenee a permettere di conoscere quale livello tematico subisce uno sviluppo accelerato, quale si evolve più lentamente, e quale infine muta soltanto sulla «lunga P. CHAUNU, «Histoire quantitative ou histoire sérielle» in Cahiers Vilfredo Pareto. Genève, Droz, 3, 1964, pp. 165-175. " Cfr., A. B u R C U i E R E , «De Malthus a Max Weber: le mariage tardif et l'esprit d'entreprise» in Annales E.S.C., n. 4-5, 1972, pp. 1128-1138; J.-L. FLANDRIN, «Mariage tardif et vie sexuelle» in Annales, n. 6, 1972, pp. 1351-1378. " Attraverso questi procedimenti, gli storici economisti lavorano per riempire il quadro economico del passato, avendo come modello le contabilità economiche attuali; su questo, J. MARCZEWSKI, Histoire quantitativa de l'economie frangaise, I.S.E.A., Paris, 1961-1968. ' " F. FURET, «L'Histoire quantitative et la construction du fait historique» in Annales, E.S.C., n. 1, 1971, pp. 63-75.

durata». Siamo qui all'opposto della storia positivista. Lo storico è «oggettivo» solo nella misura in cui le sue scelte dei fatti e delle serie sono pertinenti alle ipotesi iniziali del suo lavoro. La critica del «fatto» di L. Febvre ha trovato la sua sistematizzazione. Il «fatto» non è più la rivelazione di una «realtà» interpretata secondo una filosofia e secondo parametri ideologici esterni: esso è semplicemente l'indizio di una serie, di un ritmo che, per comprendere, bisognerà articolare con altre serie e altri ritmi. Se la storia seriale ha trovato le maggiori applicazioni nella demografia e nello studio delle congiunture (i prezzi, i raccolti, le tabelle della produzione, ecc.), non manca la prospettiva di applicazioni sugli aspetti ideologici e culturali della società. Anche W. Kula, storico economista polacco, collaboratore delle «Annales», nel suo saggio sul sistema economico feudale ^ ha sollevato indirettamente il problema di questo tipo di quantificazione. Quando passa a descrivere la trasformazione diacronica del sistema feudale, dopo averne descritto sincronicamente gli elementi costitutivi, egli ipotizza come fattori di cambiamento due variabili sociali: a) il coefficiente della pazienza umana, b) il coefficiente di disposizione alla rivolta. Che possono essere configurate come due serie da quantificare con adeguati strumenti interdisciplinari. " In trad. it., W . KULA, Teoria economica del sistema Proposta di un modello, Einaudi, 1970, p. 218. Sulle yl^cavoni metodologiche di questo lavoro, cfr., la recensione di R. Rivista Storia Italiana, 1970, fase. IV, pp. 962-970.

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Ma la storia quantitativa da sola non basta a rendere conto del genere di problemi connessi allo studio delle strutture mentali del passato. Quando, per lo studio di un'ideologia, è stato costituito un insieme di testi (un «corpus») bisognerà scoprirne la logica interna, se si vorrà valutarne la funzione a livello sociale (che è compito caratteristico dello storico). E qui viene in aiuto la linguistica moderna. Gli storici, in passato, avevano utilizzato strumenti e metodi linguistici soprattutto in funzione di studi filologici che riguardavano l'accertamento di documenti scritti o le unità - parola (i lessemi); i procedimenti erano quelli della linguistica tradizionale, cioè, i prestiti, le derivazioni, le flessioni, le analogie; a partire quasi sempre da fonemi o da sillabe, restando sul piano del signifioante. Era a questo tipo di linguistica storica che L. Febvre si riferiva quando, commentando l'opera di F. Brunot, scriveva «che le due discipline sono fatte per fecondarsi l'un l'altra» E lo stesso F. Braudel nel suo studio sul lessema «civilisation» fa soltanto una ricerca di vocabolario. Una storia che ha rifiutato r«événementiel» viene cosi a ricadere, sul fronte della collaborazione con la linguistica, nell'ambito dell'accidente delle unità - parola. Oggi invece, la linguistica moderna, se acconsente alle ricerche sulle " L. FEBVRE, «La nationalité et la langue en Franca au XVIIIe siècle» in Combats..., op. cit., p. 200. " Ora in Scritti sulla storia, trad. it. cit., pp. 240-264.

unità - parola, mette l'accento suU'insieme delle relazioni e sul modo delle combinazioni che sussistono tra le unità del vocabolario. I problemi della significazione sono cosi inseriti in un sistema in cui gli elementi usati per qualunque tipo di messaggio o per gli enunciati individuali (la «parole») sono sottoposti a una rete di condizionamenti sociali e collettivi (la «langue»). Anche se la linguistica strutturale post-saussuriana e la semantica, finora, hanno trovato l'accordo dei linguisti solo sulle analisi a livello della frase, mentre un'analisi e una tipologia dei discorsi é in fase di sistemazione ,ciò non ha impedito che strumenti teorici e metodologici generalizzati ad altre scienze umane abbiano dato risultati rivoluzionari. Ed è a livello della semantica strutturale che si situa l'analisi dei «Cahiers de doléance» della città di Semur-en-Auxois, fatta da Regine Robin Questi testi, vagliati alla luce dell'analisi attanziale di Greimas, hanno il «Soggetto» (i redattori, le comunità, i cittadini), l'«Oggetto» (la riforma del regno), gli «Adiuvanti» (il Re, gli stati generali), gli «Opponenti» (gli abusi, i privilegiati), i «Destinatori» (i francesi) e i «Destinatari» (confusi con gli «Adjuvants»). L'analisi del discorso secondo il modello di Harris, inoltre, fornisce un alto grado di utilità a questi materiali. Per esempio, i «Cahiers» prove" R. ROBIN, «Histoire et linguistique : premiers jalons» in Langue Frangais, n. 9, 1971, pp. 47-57.

nienti dal mondo agricolo, si presentano con un discorso di tipo assertivo, con caratteri di descrittivita, di stato di fatto, mentre i verbi degli enunciati sono quasi sempre al presente e all'imperfetto dell' indicativo; al contrario, nei «Cahiers» del mondo urbano, il discorso ha carattere di ingiunzione trasfomativa, col verbo al futuro e all'imperativo, che contrasta col carattere passivo dei quaderni rurali. Senza dubbio, un modello di collaborazione tra storia e linguistica è quella di F. Furet e A. Fontana Il «corpus» costituito dagli autori, la totalità dei titoli di libri registrati in Francia tra il 1723 e il 1789 (circa quarantamila), è una testimonianza della «coscienza e incoscienza collettiva di un'intera epoca». Come tale, esso interessa la storia, a patto che l'intervento dello storico si situi nella fase terminale del processo di analisi, ed egli resista alla tentazione di imporre categorie interpretative esterne. Solo così, gli autori hanno potuto sfruttare il tesoro di informazione accumulato sull'universo ideologico del Settecento. La contraddizione che è stata rilevata *' all'interno di una tendenza cosiddetta soggettivizzante (che " F. FURET, dir, Livre et societé dans la France du XVIIIe siècle, voi. II, Mouton, Paris - Le Hague, 1970, pp. 121 e ss. " R. ROBIN, La société frangaise ere 1789: Semur-en-Auxois, Plon, Paris, 1970. L'autrice rimprovera a P. Chaunu di voler ri-

in una prima fase del dibattito aveva accomunato i fondatori della scuola delle «Annales» e i seguaci dello storicismo tedesco, come R. Aron) ed una tendenza strutturalista e quantitativa (che è propria degli storici della seconda generazione, come E. Le Roy-Ladurie, F. Furet, P. Chaunu, R. Mandrou, P. Goubert ecc.), è solo apparente. Che sia l'autore a prendere la parola attraverso la narrazione storiografica, per proiettare verso il passato la sua situazione esistenziale'*^, o che ci sia presentazione di tabelle demografiche, di serie, di dati quantitativi, economici o mentali, il soggetto, con i suoi movimenti nello spazio dei criteri organizzativi dell'indagine, resta sempre il fondamento di questa storiografia. Si tratta, se mai, di aver chiari i vincoli che, a sua volta, subisce dallo stesso sistema di relazioni che ha contribuito a formare. Quando P. Veyne, nel suo saggio, interviene su questa contraddizione richiamandosi a M. Weber, suo interlocutore privUegiato, critica «l'idea largamente diffusa che la nostra visione del passato sarebbe la proiezione del presente, nuU'altro che una traduzione dei nostri valori e dei nostri interrogativi» fiutare la valutazione del passato mediante un concetto elaborato nel presente (il concetto di Ancien Regime) e quindi attribuisce a P. Chaunu il proposito di voler presentare la storia quantitativa come un nuovo metodo «oggettivo». " Qui si fa riferimento a L. FEBVRE, Combats ... op. cit., p. 15. " P. VETNE, Comment ore écrit l'histoire, Seuil. Paris, 1 9 7 1 ; trad. it. Come si scrive la storia, Laterza, 1973, p. 96.

Ma P. Veyne, con la teoria di Weber e di Nietzsche ^ e con tutto il suo apparato teorico ed erudito sottolinea soprattutto la funzione del soggetto. Per P . Veyne la storia ha subito tre mutazioni nell'ultimo secolo: 1) La fine della «histoire-bataille», della storia positivista, con H. Berr; 2) La scuola delle «Annales»; infine, quella che, annunciata dallo stesso Veyne, supera l'aimpasse» dello strutturalismo e della sociologia e diventa storia comparata o «storia categoriale». Questa tipo di storia detta anche «per items» è «lo studio di una categoria storica o di un tipo di avvenimento, senza tener conto delle unità di tempo e di luogo» Inoltre, per Veyne, la storia è soltanto «racconto di avvenimenti»: racconto, perchè ciò che risulta dal lavoro storico è una narra** Per P. Veyne la «valorizzazione» di cui parla Weber è un modello. Essa però non va intesa come rapporto ai valori costituiti di una data epoca ma, nietzschianamente come «sguardo», «visione» che non trova giustificazione in una verità data. Tuttavia questa concordanza tra Weber e Nietzsche non appare chiara. Per Weber la «storia categoriale» va sempre messa in rapporto con i valori e l'ordine costituito, e quindi s'impone un «luogo» teorico da cui si opera «questa selezione ingiustificabile». Per Nietzsche, invece il «luogo» non è mai imposto dall'esterno: «le Inattuali parlavano dell'uso critico della storia: si trattava di trascinare in giudizio il passato, di tagliare col coltello le sue radici, di cancellare le tradizionali venerazioni, al fine di liberare l'uomo e di non lasciargli altra origine che quella in cui luì vuol proprio riconoscersi», Michel FOUCAULT, «Nietzsche, la geneologia, la storia». Il Verri, n. 39-40, p. 104. ^ Esempi di «items» sono: la città, il millenarismo, la società industriale. Gli autori di questo tipo di storia, ancora pochi : M. Weber R. Aron, poi E. Hobsbawm e qualcun'altro, P. VETNE, Come si scrive la storia, trad. it. cit., pp. 219 e 490.

zione, un genere letterario; avvenimento perché «solo le variazioni interessano la storia» \ storia, dice Veyne, spiega una rivoluzione part un fenomeno rivoluzionario. Si rovescia cezione del neo-positivismo logico che c delle «covering laws» '^ tende a presentare la storia come una scienza oggettiva nella misura in cui essa si serve, per le sue spiegazioni, di generalizzazioni basate su leggi desunte da scienze teoriche come la sociologia, l'economia, ecc. E così arriviamo ad un punto fondamentale per Veyne. Se non esiste una Storia xinica, ma infinite «storie di items» da raccontare tramite gli avvenimenti che li riguardano, il referente di questa narrazione da fare diventa «la curiosità» dello storico (e dei lettori) e piìi precisamente la sua «volontà di sapere» P. Veyne raggiunge qui, in forma diversa, le riflessioni di R. Barthes sulla retorica del discorso storico» Come si scrive..., trad. it. cit., pp. 10-12. " La filosofia analitica mette innanzitutto in evidenza il carattere logico della spiegazione storica. Il modello teorico proposto per la spiegazione si può riassumere cosi : si ha una spiegazione causale di un avvenimento quando esso è dedotto da condizioni iniziali connesse a leggi generali empiricamente provate. Cfr. in traduzione italiana, C. G. HEMPEL, La formazione dei concetti e delle teorie della scienza empirica, Milano, 1971. " Da quanto dice P. Veyne, trad. it. cit., p. 115, questa curiosità, è da intendersi nel senso della «volontà di sapere» di Nietzsche. " R. BARTHES, «Le discours de l'histoire» in Social Science Information, VI, 1967, n. 4. * P . VETNE,

Tuttavia, quello che bisogna sottolineare, prima ancora di questa convergenza, è il rapporto fondamentale ribadito da Veyne: quello tra un'ottica, uno sguardo e un discorso. Ora, restare nell'ambito di questa problematica dello sguardo soggettivo che porta con se l'ideologia e la filosofia implicita dello storico ^, significherebbe dimenticare la svolta operata da questa storiografia. Essa infatti, come abbiamo visto, tende a ricondurre i problemi teorici e di senso a quelli connessi all'operazione e all'« apparato» storiografico. Più che suWoggetto o sul soggetto, in definitiva, la storiografia delle «Annales» pone l'accento sulle ipotesi metodologiche del lavoro. Essa s'interroga sulle condizioni della comprensione. Quindi, la relazione posta da P . Veyne sarebbe più rispondente a questa nuova situazione se fosse posta come il rapporto tra un atto produttore, un'attività e un discorso. Dal considerare la storia come una produzione, come «un fare», deriva la possibilità di porre questa relazione, come fa M. de Certeau, tra produttori (gli storici), il luogo da cui operano (cioè, la loro localizzazione nei rapporti sociali determinati ^ I saggi teorici di R. Aron, sviluppando temi dello storicismo tedesco, vertono appunto su questo. Cfr. R. ARON, Dimensions de la coscience historique, Plon, Paris, 1961. " E' forse necessario ricordare che tra le due accezioni che il termine «storia» ha in italiano e francese, cioè tra apparato scientifico di una disciplina (Historie) e l'oggetto di essa (Geschichte), qui si prende in considerazione soltanto la prima delle due?

dalla divisione del lavoro), le pratiche scientifiche che essi utilizzano (le metodologie, le tecniche della disciplina), e infine il discorso che essi producono e manifestano tramite la scrittura. «Questo non significa che la storia rinuncia alla realtà e si rivolge su se stessa, accontentandosi di esaminare i suoi procedimenti. E' piuttosto il rapporto con il reale che è cambiato» Le «cose che sono accadute», in questa prospettiva, hanno senso solo in funzione dell'attività che le organizza in un discorso storico E' stata cosi registrata una rivoluzione che ha fatto cambiare statuto all'epistemologia della storia. In Francia, il cambiamento ha trovato i suoi iniziatori tra quelli storici, che a partire dalle prime «Annales» arrivano a prospettare i problemi storiografici come problemi attinenti alla elaborazione di un meta-linguaggio (i modelli economici, i modelli culturali, ecc.), che permetta di costituire H materiale " M. DE CERTEAU, «Faire de l'histoire» in Recherches de Science Religieuse, 1970, t. 58, n. 4, pp. 481-515. ^' Per la storia ormai, scrive un semiotico tedesco, «non è l'oggetto che condiziona la forma della sua organizzazione. Piuttosto, è la stessa forma dell'organizzazione che, sola, costituisce l'oggetto come tale». K. STIERLE, «l'histoire comme Excmple ,rExemple comme histoire» in Poétique, n. 10, 1972, p. 179. Questo vale anche per la fase finale (ma non secondaria) del processo di produzione dell'opera storiografica, cioè la fase della scrittura, a cui M. de Certeau dedica la terza parte del suo saggio. Su aspetti che riguardano la scrittura, nel senso di graphein, cfr. le considerazioni di B. GENTILI - G. CERRI «Strutture comunicative del discorso storico nel pensiero storiografico dei Greci» in il Verrì, n. 2, 1973 p. 62 nota 34.

(le serie, i fatti) del lavoro storico. Non è piìi possibile cosi guardare al discorso storico come a una riproduzione del «vissuto». AUo stesso tempo comincia a porsi il problema di considerare questo discorso dal punto di visto linguistico, poiché esso fa parte del sistema del linguaggio. Se da una parte la storia si serve deUa linguistica e della semiotica per estendere i suoi modelli interpretativi, dall'altra, essa costituisce oggetto dell'analisi semiotica, in quanto testo che organizza delle unità di senso. R. Barthes, che R. Miguelez considera uno scettico nei confronti delle possibilità scientifiche del discorso storico, è stato tra i primi ad accorgersi della trasformazione operatasi nel movimento della storiografia. Barthes, dopo essersi impegnato a dimostrare, nei termini linguistici dell'analisi del discorso, che la storia è narrazione ideologica (su esempi molto datati, a dire la verità), conclude rilevando la sparizione della forma narrativa dalla scienza storica attuale, «che cerca di parlare delle strutture più che delle cronologie . . . : la narrazione storica muore perché il segno della storia è ormai meno il reale che l'inteUigibile» Con questo non si deve concludere che per la semiotica i problemi della storia siano quelli attinenti ^ R. MIGUELEZ, Le recit historique: legalité et signification» in Semiotica, III, 1971, n. 1, p. 22, nota 6.

" R. BARTHES, «Le discours.. .io, op. cit., p. 75.

alla produzione di un inteUegibile arbitrariamente estrapolato dalla cosiddetta «realtà». Se la funzione della storia è, in ultima istanza, quella stessa della letteratura in quanto le due scienze sono «modi specifici di formulazione e di organizzazione di contenuti in vista della loro conservazione e, soprattutto, della loro trasmissione» ^, tuttavia la storia soggiace a déMe limitazioni. Soltanto in apparenza lo storico ha illimitate possibilità per operare selezioni significative sul continuum del passato e costituirsi così le micro-unità (gli avvenimenti, ecc.) o le macrounità (il periodo, ecc.) per il suo testo. Infatti «bisogna riconoscere che esiste un livello storico più profondo di quello degli avvenimenti, un livello che presiede e regge i procedimenti di selezione. Questo livello profondo deKa storia è quello delle strutture fondamentali della società: strutture economiche, sociali, ideologiche, che, poiché sono suscettibili di trasformazione, si possono chiamare storiche» ^. L'impostazione di Greimas fa cadere cosi le preoccupazioni della storiografia marxista I problemi della storia, dice Greimas, sono: a) quello di come concepire " A. J. GREIMAS, «Sur l'histoire événementielle et l'histoire fondamentale», relazione per il Convegno su «Poetica ed Ermeneutica», tenuto a Costanza nel 1970, dattiloscritto distribuito al Seminario di Semantica Generale, E.P.H.E. - Sorbonne, Paris, 1972, p. 4. " Ibid., p. 6. ^ Espresse a proposito di un tipo di storiografia che ormai si baserebbe soltanto sulla «psicanalisi individuale» da P. VILAR, in «Histoire marxiste, histoire en construction» in Annales E.S.C., 1973, n. 1, pp.165 - 198.

e descrivere le relazioni esistenti tra questi due livelli; b) la definizione dell'apparato concettuale formale che permette di costruire la storia come scienza. Al primo problema, Greimas cerca di dare una risposta da semiotico, l'altro, è di pertinenza esclusiva degli storici. Questa attenzione portata alla storia dalla linguistica e dalla semiotica, oltre che dalla naturale tendenza di quest'ultima scienza ad occuparsi di ogni disciplina che veicola dei sistemi di significazione, nasce pure dall'interesse dell'epistemologia strutturalista verso una maggiore conoscenza delle regole generali delle trasformazioni diacroniche. Ma anche dai risultati a cui la storia è pervenuta. Lo strutturalismo** è stato il trait d'union di questo interesse reciproco. Lo stesso Greimas, in un articolo del '66 su Temps Modernes, concludeva che la storia poteva essere «integrata alla metodologia delle scienze sociali» solo se avesse integrato, nei suoi concetti di base, quello di struttura*'. Ebbene " I numeri unici delle riviste di linguistica dedicati ai problemi della storia, si moltiplicano. Oltre ai Cahiers de lexicologie del «Centre de lexicologie politique de Saint-Cloud», cfr. pure, Langue Francaise, 1972, n. IS, dedicato a «Histoire et Langage». A Nanterre (Parigi) nel 1972-73 si è tenuto un seminario interdisciplinare sullo stesso argomento. " Anche G. PROCACCI, sottolineava di recente, in un'inchiesta sulla ricerca storica marxista, l'influenza dello strutturalismo sulle «Annales», in Rinascita, n. 14, 1973, p. 12. " Ora in A. J. GREIMAS, DU Sens, SeuU, Paris, 1970, p. 115.

gli storici delle «Annales» ormai rifiutano esplicitamente quella divisione di compiti proposta da LéviStrauss quando affermava che la storia organizza il suo materiale «in rapporto ai dati coscienti, l'etnologia, aUe espressioni inconsce della vita sociale» Lo sviluppo della storia delle mentalità, che mira a ricostituire la logica inconfessata di una società, contraddice questo programma. Con l'aiuto di tecniche quantitative, con la psicologia sociale, la psicanalisi e la semantica, molti studi sono all'attivo di questo tipo di storia. Il lavoro di R. Mandrou sulle strutture mentali del Seicento", gli articoli di A. Besangon sulla storia psicanalitica, gli interventi metodologici di A. Dupront ^, le ricerche sulle nevrosi nel XVIF secolo dello stesso M. de Certeau ^, sono soltanto alcuni di questi lavori. Ma non è solo questo settore della storia ad andare incontro allo strutturalismo. A voler lasciare da parte le opere " C. LÉVI-STRAUSS, Anthropologie structurale, Plon, Paris, p. 25; [trad it.. Antropologia strutturale. Il Saggiatore, 1970, quarta ed. p. 3 1 ] . " R. MANDROU, Magistrats et sorciers en France au XVIIe siècle, Plon, Paris, 1968; trad. it.. Magistrati e streghe nella Francia del Seicento, Laterza, 1971. " A. B E S A N 5 0 N , Histoire et expérience du moi, Flammarion, Paris, 1971 " A. DUPRONT, «Problèmes et méthodes d'une histoire de la psicologie collective» in Annales E.S.C, a. 1, 1961; L'Acculturaàone, Einaudi, 1966. " M. DE CERTAU, La possession de Loudun, Julliard, Paris, 1970.

più conosciute della storiografia francese, come quella dello stesso Braudel, una serie di ricerche in tutti i campi mostrano che la storia delle «Annales» non accetta più di interessarsi air«inanità dell'avvenimento». Del resto, questa storiografia, sia attraverso singole personalità (come P. Vilar) sia come «scuola», non ha mai rifiutato di essere messa in relazione con il marxismo " e con certe impostazioni strutturaliste di esso**. La distinzione tra causalità e successività, l'uso di relazioni di tipo logico come l'implicazione, l'esclusione, la trasformazione; la nuova storia economica con l'uso di modelli omogenei, di modelli simulati (con le «ipotesi alternative» desunte dalla nuova storia economica americana), di modelli complessi, che combinano dati quantitativi con i sintomi di comportamento, tutto ciò è prova di particolari suggestioni dello strutturalismo. Basta sfogliare i numeri speciali delle ultime «Annales»: Histoire Biologique et Société * Histoire et Structure ™ Famille et Société Si percepisce subito che le ricerche " Cfr. P . LEON, «L'École frangaise et l'histoire économique globale» in Revue Suisse d'Histoire, t. 20, 1970, n. 1/2. " Oltre l'opera di L. Althusser, cfr. pure, M. GODELIER, in it., «Sistema, struttura e contraddizioni nel Capitale» in Marxismo e Strutturalismo, Einaudi, 1970, pp. 11-29. " Annales E.S.C., n. 6, 1969. ™ Ibid. n. 3-4, 1971. " Ibid. N. 4-5, 1972.

sulle condizioni di apparizioni e modificazioni dei sistemi di significazione, cominciano ad occupare il tempo degli storici. Ed è suUa via dell'interesse per il «senso» degli avvenimenti che la storia può diventare «una delle discipline fondamentali costitutive della semiotica» ^. Certo, anche a lasciare da parte i problemi che competono ad una semiotica storica (la quale dovrebbe stabilire una tipologia delle strutture narrative storiche), i limiti sono ancora numerosi. La storia non ha ancora un suo linguaggio formale e il discorso storico «é uno tra i discorsi piìi vicini al simbolismo» Gli inventari sulla propria metodologia sono poco sistematici e riguardano, più che altro, determinate scuole o determinati settori (storia economica, storia quantitativa, ecc.). In questa situazione, dare un contributo per una migliore definizione della storia significa scomporre analiticamente quell'insieme di segni, di procedimenti, di sensi che trovano una loro intesa nel momento in cui si «fa storia». Delineare un quadro, anche se provvisorio, dei limiti e delle possibilità della scienza storica. Significa far chiarezza sul rapporto che ogni ricerca storica ha con i suoi concetti operativi e i suoi operatori, cioè gli storici. In altre parole significa A. J . GREIMAS, «Sur l'histoire événementielle et l'histoire fondamentale», op. cit., p. 24. " JULIA KRISTEVA, «L'expansion de la sémiotique» in Social Science Information, V I , 167, n. 5.

considerare la storia come una forma di «pratica teorica» che lavora su una materia prima (rappresentazioni, concetti, fatti) che le viene fornita da altre pratiche, sia empiriche, sia tecniche, sia ideologichey) Ogni «pratica» è così caratterizzata da una «struttura specifica» che congloba «uomini, mezzi, e una data tecnica di impiego dei mezzi». Sotto questo aspetto la vecchia dicotomia soggetto-oggetto resta confinata in una problematica che non ha più ragione di essere. Ormai, per un nuovo discorso epistemologico sulla storia, per dirla nei termini della linguistica, bisognerà partire dal fatto che il soggetto deWenunciato storiografico (cioè, lo storico-osservatore) è parte integrante del processo di enunciazione. E soprattutto rendere esplicite le basi istituzionali e i meccanismi costitutivi di quel processo di osservazione che porta a comporre il discorso storico. Il saggio di M. de Certeau è un contributo in questa direzione. LUIGI BLANDINI

" L. ALTHUSSER, POUT Marx, Maspero, Paris, 1967; trad. it.. Per Marx, Ed. Riuniti, 1970, 2" ed., p. 146; per la definizione di «pratica» p. 145. " Per una trattazione sistematica su questi problemi, cfr., A. ScHAFF, Hstoria i Prawda, P.W.N. Warszawa, 1970, terza parte, cap. I I I .

L'operazione storica

Che costruisce lo storico, quando «fa della storia»? A che lavora? Che produce? Interrompendo il suo girovagare erudito nelle sale degli Archivi, egli si allontana un momento dallo studio monumentale che lo situerà tra i suoi eguali e, uscito per strada, si domanda: Che cos'è questo mestiere? Mi interrogo sidl'enigmatica relfizione che mantengo con la società presente e con la morte, tramite la mediazione d'attività tecniche. Certo, non vi sono né considerazioni, per quanto generali, né letture, per quanto estese, capaci di eliminare la particolarità del luogo dal quale parlo e del campo in cui investigo. Questo marchio è indelebile. Nel discorso nel quale io metto in scena delle questioni globali, esso avrà la forma dell'idiotismo: il mio dialetto rappresenta il riferimento a un luogo. Ma il gesto che riconduce le idee a dei luoghi è precisamente un gesto da storico. Comprendere, per lui, significa analizzare in termini di produzioni localizzabili il materiale che ogni metodo ha instaurato, conformandosi ai propri criteri di pertinenza

Quando la storia stessa ^ diviene per i l ricercatore l'oggetto della sua riflessione, può egli invertire i l processo d i comprensione che rimanda u n prodotto a un luogo? Diserterebbe, cederebbe a u n alibi ideologico se, per stabilire lo statuto del suo lavoro, ricorresse a u n altrove filosofico, a una verità formata e ricevuta al d i fuori delle vie secondo le quali, i n storia, ogni sistema d i pensiero è riferito a dei «luoghi» sociali, economici, culturali, ecc. Questa dicotomia tra ciò che egli fa e ciò che dice servirebbe d'altra parte l'ideologia dominante, proteggendola dalla pratica eff'ettiva. Ancora, essa destinerebbe l'esperienze dello storico a un sonnambulismo teorico. I n storia come altrove, una pratica senza teoria finisce necessariamente per scivolare, prima o poi, nel dogmatismo dei «valori eterni» o nell'apologia del «fuori del tempo». I n questo settore. Serge Moscovici, Michel Foucault, Paul Veyne e altri ancora, testimoniano un risveglio epistemologico Ciò manifesta i n Francia una nuova urgenza. Ma solo la teoria che articola una pratica è accettabile. Considerare la storia come un'operazione, significherà tentare, i n u n modo necessariamente limitato, d i comprenderla come rapporto tra un luogo (un reclutamento, u n ambiente, u n mestiere, ecc.), delle procedure d'analisi (una disciplina) e un'opera (un'organizzazione testuale, un «genere letterario», ecc.). Questo significa ammettere che la storia fa parte della «realtà», d i cui

tratta, e che questa reahà può essere coha «in quanto attività umana», «in quanto prassi» I n questa prospettiva, vorrei mettere i n evidenza che l'operazione storica è la combinazione d i u n luogo sociale, d i pratiche a scientifiche Ì) ^ e d i una scrittura.

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I - Un luogo sociale

Qualsiasi ricerca storiografica si articola su u n luogo d i produzione socio-economico, politico e culturale. Essa implica u n ambiente d i elaborazione circoscritto da determinazioni precise: una professione liberale, u n posto d'osservazione o d'insegnamento, una categoria d i letterati, ecc. Essa è dunque soggetta a condizionamenti, legata a privilegi, radicata i n una particolarità. I n funzione d i questa situazione si i n staurano dei metodi, si precisa una topografia d'interessi, si organizzano i dossiers e le questioni da porre ai documenti.

1. I l non detto Quarant'anni fa, una prima critica dello «scientismo» ha rivelato che la storiografia «oggettiva» è i n realtà i n relazione con un posto, quello del soggetto. Analizzando la «dissoluzione dell'oggetto» (R. Aron), essa ha sottratto alla storia i l privilegio d i cui questa si vantava quando pretendeva d i ricostruire la «verità» d i ciò che era avvenuto. La storia «oggettiva» perpetuava del resto, con questa idea d i «verità», u n modello tratto dalla filosofia d i ieri o dalla teologia d i ieri l'altro; essa si contentava d i tradurla i n termini d i «fatti» storici . . . I bei giorni d i questo positivismo sono finiti per sempre. Poi è venuto i l tempo della difiidenza. Abbiamo capito che ogni interpretazione storica dipende da u n sistema d i referenze; che questo sistema è pur sempre una «filosofia» implicita particolare; infiltrandosi nel lavoro d i analisi, organizzandolo a sua insaputa, esso rimanda infine alla «soggettività» dell'autore. Volgarizzando i temi deUo storicismo tedesco, Raymond Aron ha insegnato a tutta una generazione l'arte d i verificare le «decisioni filosofiche» i n funzione delle quali si organizzano le suddivisioni d i u n materiale, i codici della sua decifrazione e l'ordinamento del-

l'esposizione*. Questa «critica» rappresentava uno sfarzo teorico. Essa segnava una tappa importante in rapporto a una situazione francese dove prevalevano le ricerche positive e dove regnava lo scetticismo nei confronti delle «tipologie» tedesche. Essa esumava l'inconfessato e i l presupposto filosofico della storiografia del XIX° secolo. Essa rinviava ormai a una circolazione dei concetti, cioè agli «spostamenti» che nel corso d i questo secolo, avevano trasportato le categorie filosofiche nel sottosuolo della storiografia come i n quello dell'esegesi o della sociologia. Adesso noi conosciamo la lezione a menadito. I «fatti storici» sono già costituiti con l'introduzione d i un senso neir«oggettività». Essi rivelano nel linguaggio dell'analisi «scelte» anteriori al l i n guaggio stesso, scelte che quindi non risultano dall'osservazione e che non sono nemmeno «verificabili», ma solamente «falsificabili» grazie a vm esame critico La «relatività storica» compone quindi u n quadro dove, dallo sfondo della totalità della Storia, si stacca una molteplicità d i filosofie individuali, quelle d i pensatori che si travestono da storici. Questo ritorno alle «decisioni» personali si effettuava sulla base d i due postulati. Da una parte, isolando dal testo storiografico un elemento filosofico, si ammetteva Vautonomia dell'ideologia come condizione della sua stessa enucleazione. U n ordine delle idee era isolato dalla pratica storiografica. Da un'altra parte (ma le due operazioni vanno d i pari passo).

sottolineando le divergenze tra i ce pensatori» scoperti sotto i l loro abito da storici, riferendosi all'impenetrabilità delle loro ricche intuizioni, si faceva d i questi pensatori u n gruppo extra-storico e autonomo. I l ricorso alle opzioni personali impediva d i prendere i n considerazione U ruolo esercitato sulle idee dalle determinazioni sociali La molteplicità delle soggettività filosofiche aveva quindi l'effetto discreto d i conservare a degli intellettuali una posizione speciale. Dal momento che i problemi d i significato erano discussi all'interno del gruppo, l'esplicitazione delle differenze d i pensiero non faceva che accordare al gruppo stesso una relazione privilegiata con le idee. Nessuno dei rumori d i una produzione, d i tecniche, d i condizionamenti sociali, d i posizioni professionali o politiche turbava la pace d i questa relazione: i l silenzio era i l postulato d i questa epistemologia. R. Aron collocava i n uno statuto riservato tanto i l regno delle idee che la monarchia degli intellettuali. La «relatività» si dispiegava solo all'interno d i questo campo chiuso. Ben lontano dal metterlo i n causa, essa i n effetti lo difendeva. Fondate sidla d i stinzione weberiana dell'intellettuale e del politico queste tesi demolivano una pretesa del sapere, ma rafforzavano i l potere «a parte» degli intellettuali. Uno spazio era messo fuori portata nel momento i n cui si dimostrava la fragilità d i ciò che v i si produceva. I l privilegio tolto a opere controllabili era riportato a u n gruppo incontrollabile. I pili notevoli lavori suUa storia difficilmente

sembrano, ancor oggi, distaccarsi dalla posizione molto netta che R. A r o n aveva preso nel sostituire i l privilegio silenzioso d i u n luogo a quello, trionfante e discutibile, d i u n prodotto. Così Michel Foucault, pur rifiutando ogni riferimento alla soggettività o al «pensiero» d i u n autore, suppone ancora, nei suoi primi libri l'autonomia del luogo teorico dove si sviluppano, nel suo «racconto», le leggi secondo le quali dei discorsi scientifici si formano e si combinano i n sistemi globali. L'Archeologie du savoir (1969) segna, a questo proposito, una rottura, introducendo allo stesso tempo le tecniche d i una disciplina e i conflitti sociali nell'esame d i una struttura epistemologica, quella della storia (e questo non a caso). Analogamente, quando Paul Veyne (1971) distrugge completamente nella storia quello che d i «scienza causale» i l passaggio d i R. Aron v i aveva ancora mantenuto, quando con l u i la disgregazione dei sistemi interpretativi i n un pulviscolo d i percezioni e d i decisioni personali non lascia più sussistere, i n fatto d i coerenza, altro che le regole d i u n genere letterario e, i n fatto d i referente, altro che i l piacere dello storico, appare d'altra parte evidente che resta intatto i l presupposto che, fin dalle tesi del 1938, sottraeva implicitamente ogni pertinenza epistemologica all'esame della funzione sociale esercitata dalla storia, dal gruppo degli storici, e più i n generale, dagli intellettuali, dalla prassi e dalle leggi di questo gruppo, dal suo intervento nel gioco delle forze pubbliche, ecc.

' de

Introduction

l'objectivité Vrin,

Vhistoire,

à la philosophie

' KARL

1938

(rééd.,

POPPER,

H u t c h i n s o n , 1959 tere

Vrin,

historique,

l'historie. La

The

della

' ANTONIO

Logic

of

GRAMSCI,

Scientific

della

Gli

comincia

giustificazione nelle

mediante

soggettiva»,

Ètapes

[trad.

de

i t . . Le

la

tappe

spiegazione

Il

e

una

secondo l a q u a l e

scelta c h e

della

ARON

sottolineava

soltanto

ancora

(Gallimard,

sociologique pensiero

«l'elaborazione

comporta

una

1967,

Mondadori,

sociologico,

«causale»

500-522).

{ibid.,

Di

In 1966) del

p.

particolare, è

introduzione cit.].

510) la

razionale

conseguenza, far

egli che

passare

Tanti-Marx. nel

[ t r a d . i t . . Le parole

quale

una volta

1972],

l o stesso o c c u p a n e l l a società e p o t e v a a n c o r a u n a v o l t a per

carat-

l'organizzazione

o b l i t e r a v a i l c o n d i z i o n a m e n t o s u l l ' i n t e l l e t t u a l e , a d o p e r a d e l posto Weber

de

London,

scientifica.

connessione per W e b e r , t r a l a «scelta soggettiva» e i l sistema della

limites

1970].

intellettuali

R.

pensée del

les critique

6-38.

' R i t o r n a n d o s u l l a tesi w e b e r i a n a scientifica

sur

Discovery,

scoperta

Einaudi,

scienza,

E i n a u d i , 1949, pp.

Essai

philosophie

1969).

[ t r a d . i t . . Logica

autocorrettivo

cultura,

de 1938;

stato

l i b r o Les e le cose,

precisato

a L'Archeologie

e

Mots

situato du

et

les

choses

(Gallimard,

R i z z o l i , 1 9 6 7 , sec. e d . ] ,

savoir

successivamente nella (op.

l'obiettivo notevole

c i t . , p p . 9 - 2 8 ) . [trad.

it.

2. L'istituzione

storica

Questo spazio inoccupato o occultato dall'analisi che ieri trascurava i l rapporto d i u n soggetto con i l suo oggetto, è un'istituzione del sapere. Essa segna l'origine delle «scienze» moderne, come si può vedere dalle «assemblee» d i eruditi del '600 (a Saint-Germain des Prés, per esempio), dalla rete d i corrispondenze e d i viaggi caratteristica d i un ambiente d i «curiosi» " o più chiaramente ancora, dai circoli colti del '700 e dalle Accademie d i cui Leibniz si preoccupava tanto La nascita delle varie «discipline» è legata alla creazione d i tali gruppi. La figura d i questo rapporto tra un'istituzione sociale e la definizione d i u n sapere, appare già a partire da Bacone e Cartesio, con quella che è stata definita «spolitioizzazione» degli uomini d i scienza, che bisogna intendere non già come esilio rispetto alla società " ma come fondazione d i u n «corpo» all'interno d i una società dove istituzioni «politiche» e formazioni «ecclesiastiche» si specializzano a loro volta; non un'assenza, ma u n posto particolare i n una ridistribuzione dello spazio sociale. U n

luogo «scientifico» si costituisce i n correlazione a u n allontanamento dagli «affari pubblici» e dagli affari religiosi che si organizzano a loro volta i n corpi particolari. La rottura che rende possibile l'unità sociale chiamata a divenire «la scienza» indica che sta operandosi una riclassificazione globale. Questo taglio delinea, dunque, al d i fuori, u n posto articolato r i spetto ad altri i n u n nuovo insieme, e al d i dentro, un'instauTazione del sapere indissociabile da un'istituzione sociale. Da allora, questo modello originario si ritrova dappertutto. Esso si suddivide anche i n sottogruppi o scuole. Vediamo così l'atto che circoscrive una «dottrina» grazie a «un'assise istituzionale» L'istituzione sociale (una Società d i Studi d i . . .) resta la condizione d i u n linguaggio scientifico (la rivista o i l Bollettino succedono ed equivalgono alle corrispondenze epistolari d i u n tempo). Dagli «Observateurs de l'homme» del '700 alla creazione della sesta sezione deir«École Pratique des Hautes Études» da parte della scuola delle «Annales» (1947), passando per le Facoltà dell'SOO, ogni «disciplina» conserva la sua ambivalenza, nel senso che essa è contemporaneamente la legge d i u n gruppo e la legge d i una ricerca scientifica. L'istituzione non si limita a dare a una «dottrina» u n assetto sociale: essa la rende possibile e la determina i n modo surrettizio. Non che l'una sia causa dell'altra. Non basta invertire i termini (dove aUora l'infrastruttura diverrebbe «causa» delle idee)

presupponendo immutato i l tipo d i relazione introdotto dal pensiero liberale, che accordava alle dottrine i l privilegio d i guidare la storia. Bisogna piuttosto ricusare l'isolamento dei due termini, e d i conseguenza la possibilità d i mantenere tra essi u n rapporto d i causalità ( i n un senso o nell'altro). Uno stesso movimento organizza la società e le «idee» che v i circolano. Esso si distribuisce secondo vari regimi d i manifestazione (economico, sociale, scientifico, ecc.), che costituiscono g l i u n i nei confronti degli altri delle funzioni interdipendenti ma differenziate, funzioni d i cui nessuna è realtà o causa dell'altra. I n questo modo, i sistemi socio-economici e i sistemi d i simbolizzazione si combinano senza né identificarsi, né organizzarsi gerarchicamente. I n questo senso, u n mutamento sociale è paragonabile a una modificazione biologica del corpo umano: esso costituisce, come questa, un linguaggio, che è però proporzionato ad altri tipi d i linguaggio (verbale, per esempio). L'isolamento del corpo risulta da un modo d i interpretazione che non tiene conto del passaggio dalla somatizzazione alla simbolizzazione. Inversamente, i l discorso ideologico è proporzionato all'ordine sociale, nello stesso senso i n cui ogni «enunciato» individuale si produce i n funzione delle organizzazioni silenziose del corpo. Se è vero che i l discorso, come tale, obbedisce a regole proprie, è vero d'altra parte che queste regole non g l i impediscono d i articolarsi su ciò che esso non dice: sul corpo, che parla a suo modo.

Possiamo dunque definire «astratta», i n storia, ogni «dottrina» che rimuove ( i n senso psicanalitico) i l proprio rapporto con la società, denegando i l fatto i n funzione del quale essa si elabora. Essa quindi stibisce g l i effetti d i distorsione provocati dall'eliminazione d i ciò che d i fatto la situa senza che essa lo dica o lo sappia: un potere, che ha la propria logica; u n luogo, che sottende e «tiene» una disciplina nello spiegarsi d i questa i n opere successive; ecc. U n discorso «scientifico» che non parli della sua relazione con i l «corpo» sociale, non può articolare una prassi, dal momento che per i l fatto stesso cessa d i essere scientifico. Si tratta d i una questione centrale per lo storico. Questa relazione con i l corpo sociale è precisamente l'effetto della storia, e per questo non può essere trattata senza che sia messo i n causa i l discorso storiografico stesso. Nel suo rapporto generale del 1965 sulla storiografia francese, J . Glénisson evocava alcune delle articolazioni discrete tra i l sapere e i l luogo: l ' i n quadramento delle ricerche da parte d i alcuni dottori che, arrivati ai posti superiori del professorato, «decidono delle carriere universitarie» " ; i l condizionamento esercitato dal tabù sociale della tesi monumentale " ; i l nesso tra la scarsa influenza della teoria marxista e i l reclutamento sociale d i u n «personale dotto provvisto d i cattedre e presidenze» '^; gli effetti d i un'istituzione fortemente gerarchizzata e centralizzata sull'evoluzione scientifica della storia, evoluzione notevolmente pacifica da tre quarti d i secolo a questa parte

Occorre inoltre sottolineare g l i interessi troppo esclusivamente nazionali d i una storiografia unicamente preoccupata delle proprie beghe interne, circoscritta dallo sciovinismo linguistico della cultura francese, più volentieri dedita allo studio delle «spedizioni» nelle regioni più vicine alla referenza latina ( i l mondo mediterraneo, la Spagna, l ' I t a l i a , o l'America latina), e per d i più limitata quanto a mezzi finanziari. Eccetera. Queste, ed altre osservazioni, rimandano quello che è lo «statuto d i una scienza» a una situazione sociale che ne è i l non detto. E ' dunque impossibile analizzare i l discorso storico indipendentemente dall'istituzione i n funzione della quale esso è organizzato i n silenzio; o pensare a u n possibile rinnovamento della disciplina grazie unicamente alla modificazione dei concetti, senza che intervenga una trasformazione delle situazioni d i fatto. Sotto questo aspetto, come indicano le ricerche d i Jiirgen Habermas, una «ripoliticizzazione» delle scienze umane si impone: impossibile parlarne o renderne possibile i l progresso senza una «teoria critica» della loro situazione attuale nella società La questione messa i n luce dalla sociologia critica d i Habermas è del resto, più che abbozzata nel discorso storico. Senza attendere la denuncia del teorico, i l testo stesso rivela già i l proprio rapporto con l'istituzione. Per esempio, i l noi dell'autore r i manda a una convenzione nel senso forte del termine. N e l testo, esso rappresenta, «mette i n scena»,

u n contratto sociale «tra noi». E ' u n soggetto plurale che «tiene» i l discorso. Ponendosi come «colui che parla», i l «noi» si appropria i l linguaggio^*. Ecco che trovano conferma e la priorità del d i scorso storico^ rispetto alla singola opera storiografica, e i l rapporto d i questo discorso con un'istituzione sociale. La mediazione del «noi» elimina un'alternativa per cui la storia sarebbe riferibile o a u n individuo (l'autore, la sua filosofia personale, ecc.), o a u n soggetto globale ( i l tempo, la società, ecc.). Essa sostituisce alle pretese soggettive e alla genericità edificante la concretezza d i u n luogo sul quale i l d i scorso si articola senza pertanto ridurvisi. A l noi dell'autore corrisponde quello dei veri lettori. I l pubblico non è i l vero destinarlo del libro d i storia, anche se ne è i l supporto finanziario e morale. Come lo scolaro d i una volta parlava rivolgendosi alla classe mentre i l «giudice» g l i stava alle spalle, cosi un'opera non è tanto valutata dai suoi acquirenti quanto piuttosto dai «colleghi» che la considerano secondo criteri scientifici diversi da quelli del pubblico e decisivi per l'autore, se la sua vuole essere un'opera storiografica. Ci sono le leggi delVambiente. Esse circoscrivono delle possibilità che variano quanto al contenuto, non già quanto alla «costrittività». Esse organizzano una «polizia» del lavoro. Se non è «ricevuto» dal gruppo, i l libro scadrà nella categoria d i una «volgarizzazione» e, per quanto lo studio possa essere considerato con simpatia, non sarà più definito come «storiografico». Per-

che possa accedere all'enunciazione storiografica, i l libro deve essere «accreditato». «Lo statuto degli individui che, soli, hanno i l diritto regolamentare o tradizionale, giuridicamente definito o spontaneamente accettato, d i pronunciare un simile discorso» ^ dipende da una «aggregazione» che assegna all'«io» dello scrittore i l suo posto nel «noi» d i u n lavoro collettivo, o che abilita i l singolo, colui che parla, a parlare i l discorso storiografico. Questo discorso - o i l gruppo che lo produce - fa lo storico, proprio nel momento i n cui l'ideologia atomistica delle professioni «liberali» mantiene la finzione del soggetto-autore e lascia credere che la ricerca individuale costruisce la storia. Più generalmente, un testo «storico» (cioè una nuova interpretazione, l'esercizio d i metodi propri, l'elaborazione d i altre pertinenze, uno spostamento nella definizione e nell'uso del documento, u n modo d i organizzazione caratteristico ecc.), enuncia un'operazione che si situa i n un insieme d i pratiche. Questo aspetto è i l più importante, e costituisce l'essenziale d i una ricerca scientifica. Uno studio particolare sarà definito dalla relazione che esso comporta con altri studi contemporanei, con lo «stato della questione», con le diverse problematiche sfruttate dal gruppo e i punti strategici da esse costituiti, g l i avamposti e le deviazioni determinate i n questo modo o rese pertinenti i n rapporto a una ricerca i n corso. Ogni risultato individuale si inscrive i n u n si-

stema d i dipendenze reciproche, dove la combinazione dinamica dei diversi elementi forma la storia a u n dato momento. I n definitiva, che cos'è, i n storia, un'ccopera di valore»? Quella che è riconosciuta come tale dai (ccolleghi». Quella che può essere situata i n u n i n sieme operatorio. Quella che rappresenta u n progresso rispetto allo statuto attuale degli «oggetti» e dei metodi storici, e che, solidale con l'ambiente nel quale è elaborata, rende a sua volta possibili nuove ricerche. I l libro o l'articolo d i storia è i n sieme u n risultato e un sintomo del gruppo che funziona come u n laboratorio. Come l'auto uscita da una fabbrica, lo studio storico si ricollega piuttosto al complesso d i una costruzione scientifica e collettiva, non potendo essere considerato come l'effetto d i una filosofia personale o l'evocazione d i una «realtà» passata. E' i l prodotto di un luogo.

" p.

PHILIPPE

ARIÈS

2 2 4 ) , PIERRE

Arthaud,

(Le

CHAUNU

1 9 6 6 , pp.

Temps (La

404-409,

de

sulla

Monaco, 1 9 5 1 ,

Vhistoire,

Civilisation

de

VEurope

«costituzione

classique,

attraverso

l'Europa

d i u n piccolo m o n d o della ricerca»), e m o l t i a l t r i h a n n o notato questo fatto.

Ma

questa

basta

solo i l d e t t a g l i o p e r

«costituzione»

sociale

segni

far rilevare una

rottura

fino

a qual

e s e m p i o , esiste u n o s t r e t t o r a p p o r t o t r a l a delimitazione denti (o erudito

d e i v i a g g i ) e l'instaurazione (su

Réligion, 1968,

queste

érudition pp.

2-9), 0

corrispondenze, et

critique

t r a le

à la

tra cfr. fin

«assemblee»

loro

stessi

XVIIe

del

di una

( s u q u e s t e r i u n i o n i , c f r . L E O P O L D D E L I S L E , Le Cabinet la

Bibliothèque

Nationale,

Paris,

tomo

un

siede,... alla

linguaggio

I , 1 8 6 8 , pp.

in

P. U . F., biblioteca

ricerca des

Per

corrispon-

DE GAIFFIER,

mercoledì

C o l b e r t i n a , d a l 1 6 7 5 a l 1 7 5 1 , e l'elaborazione de

dei di

BAUDOIN

du

punto

epistemologica.

storica

Manuscripts 476-477).

D A N I E L R O C H E d i m o s t r a l a stretta connessione t r a l ' e n c i c l o p e d i -

" smo

( u n «complesso

demie

parigine

Livre

et

pp.

d i idee») e quelle istituzioni

e provinciali

société

dans

( «Encyclopédistes

la France

du

73-92); così S E R G I O M O R A V I A

costituzione dell'uomo

del nel

gruppo

degli

Acca-

académiciens», I I , Mouton,

siede,

Laterza,

dell'uomo»

1970,

in

1970,

alla

collega la nascita dell'etnologia

«Osservatori

Bari,

settecento,

XVIIIe

che sono le

et

(La

Scienza

pp.

151-172).

E

si

città

scientìfica

è si-

potrebbero moltiplicare g l i esempi. "

Anche

tuata

ai

se

G. BACHELARD

margini

della

società

s c r i v e v a : «la sociale»

P . U . F . , 1 9 6 6 , p . 2 3 ; c f r . La formation pp.

32-34)

«una

A.

vita

KOYRE

propria,

essere c o m p r e s a sua

stessa

Etudes [Per di,

e

storia»

le t e s i Dal

storia

de l'esprit stessa

immanente»

( «Perspectives

de

di A.

mondo

la

pensée

KOYRE,

del

sur

cfr. trad.

pressappoco

della

ma

per

scienza,

che

«può della

des

P. U . F.,

i t . Studi

t r a differenziazione e

difendere

stessi p r o b l e m i ,

l'hisloire

all'universo

1965,

scientifique,

tesi,

suoi

scientifique,

applique,

Rationalisme

sciences» 1966.

p.

isolamento, come

se

Einau-

precisione,

1) u n a con-

l'instaurazione

l u o g o « p r o p r i o » n o n fosse connesso a u n a r i d i s t r i b u z i o n e dunque a

«storia

delle

rideSnizioni

delle idee»

che

2)

reciproche;

in

360).

Einaudi,

newtoniani, della

1 9 6 7 ] . S e m b r a c h e v i sia q u i , c o m e p e r M . W e b e r :

fusione un

una

la

soltanto i n funzione dei

d'histoire

1972;

riprendeva

(Le

una

toglie o g n i p e r t i n e n z a alle



generale

concezione

della

partizioni

sociali,

m e n t r e l e s u d d i v i s i o n i e p i s t e m o l o g i c h e sono i n d i s s o c i a b i l m e n t e s o c i a l i ed

intellettuali.

in

Vingtcinq

p.

XXIV,

"

JEAN

"

ans

«L'historiographie

recherche

historique

frangais

en

France,

contemporaine» C.N.R.S.,

1965,

Annales.

Ibid. Ibid.,

"

Ibid.,

P.

CLARK.

in

Revue

autori

de

n . 3, a p r o p o s i t o d e l l e

"

cace

GLÉNISSON,

che

p.

X X V I .

p. X X I V .

«Le

Su

patron

frangaise

de

poteva

essere

definiscono

questi due

et s o n sociologie, fatta

i l sistema

p u n t i , cfr.

cercle;

clef

de

TERRY

N . e

l'Université

PRISCILLA

frangaise»

12, 1 9 7 1 . p p . 19-39, analisi soltanto da mediante

«osservatori

quattro

perspi-

estemi».

elementi

Gli

essenziali:

la

centralizzazione del controllo, i l carattere monopolista del sistema,

il

ridotto

zioni

n u m e r o dei posti

del padrone.

importanti,

la moltiplicazione delle

fun-



"

J. GLÉNISSON,

"

Ibid.,

"

J . HABERMAS

op.

pp.

cit.,

XXII-XXIII.

p. X L .

necessario

critica i n

aggiungere:

o

particolare,

storiche)

di

nelle

tipo

teorie

sociologiche

puramente

tecnico

e

« g n o s e o l o g i c o » , i l « s o t t i n t e s o » d i u n a neutralità r i s p e t t o a d e i v a l o r i postulati dalla prospettiva epistemologica

delle loro ricerche

tische Wissenschafttheorie

u n d D i a l e k t i k » i n Zeugnisse.

Adorno

Geburtstag,

Zum

500-501).

sechzigsten

C f r . dello

Sozialwissenschaft, ah J. tica

sul

M.,

stesso l e o p e r e d i base che

sono Zar

T u b i n g a , M o h r , 1 9 6 7 , e Technik

und

sono:

Logik

vEpistemologia

analitica

in

e dialettica>ì

delle

della

società

Laterza,

e interesse,

tecnologica,

L a t e r z a , 1 9 7 1 , 2 ' ed., e

BENVENISTE, pp. 2 5 8 - 2 6 6

a

chi

Teoria

Conoscenza

1970].

S u l r u o l o e i l senso d e l l ' i o o d e l noi,

linguaggio

Dialetscienze

I l M u l i n o , 1 9 6 9 ; c f r . p u r e p e r le t e s i d i J . H A B E R M A S ,

"

der

Wissenscìiaft

d i a u t o r i v a r i , E i n a u d i , 1 9 7 2 ; Logica

e positivismo

e prassi

W.

1 9 6 3 , pp.

Francoforte sul Meno, S u h r k a m p , 1 9 6 8 . [ L e trad. i t . d i

Ideologie, HABERMAS

sociali.

nel

Francoforte

(«Analy-

Theodor,

se

Problemes

che è l o spazio assegnato

ne

«appropria»

come

de

linguistique

generale,

[ t r a d . i t . . Problemi

di linguistica

locutore,

cfr.

EMILE

Gallimard, 1 9 6 6 . I l Saggiatore,

generale.

1971].

^

Per

«discorso»

intendo

i l genere

storico

stesso,

o

piuttosto,

nella prospettiva d i M i c h e l F o u c a u l t , «una pratica discorsiva» - «l'insieme delle regole che logie

du M.

medicina.

savoir,

caratterizzano u n a pratica discorsiva»

1 9 6 9 , p p . 7 4 e 1 6 8 ) . [trad.

FOUCAULT,

op.

cit.,

it.

p. 6 8 , a proposito

(Archeo-

cit.]. del

discorso

della

3. Gli storici nella società Secondo una concezione piuttosto tradizionale nell'intellighenzia francese e che risale alle settecentesche «élites», si conviene che non si debba i n trodurre nella teoria ciò che si fa nella pratica. Cosi si parlerà d i «metodi» ma senza avere l'impudenza d i evocare i l loro aspetto «iniziatorio» (bisogna apprendere o praticare i metodi «buoni» per essere introdotti nel gruppo), o i l loro rapporto con una forza sociale ( i metodi sono i mezzi grazie ai quali U potere d i u n corpo d'insegnanti e d i chierici si d i fende, si differenzia e si manifesta). Questi «metodi» delineano un comportamento istituzionale e le leggi di u n ambiente, pur non cessando d i essere scientifici. Supporre un'antinomia tra un'analisi sociale della scienza e la sua interpretazione i n termini d i storia delle idee, vuol dire ratificare la doppiezza d i coloro che credono che la scienza è «autonoma» e che, i n nome della stessa dicotomia, considerano come non pertinente l'analisi delle determinazioni sociali e come estranei o accessori i condizionamenti che essa rivela. Questi condizionamenti non sono accidentali.

ma fanno parte della ricerca stessa. Ben lungi dal rappresentare l'inconfessabUe intromissione d i u n estraneo nel sancta sanctorum della vita intellettuale, essi formano la trama dei procedimenti scientifici. I l lavoro si articola sempre più i n funzione d i équipes, leaders, sussidi finanziari, e dunque anche, attraverso la mediazione dei crediti, dei privilegi che una determinata prossimità sociale o politica procura a uno studio particolare. Esso viene inoltre organizzato da una professione che ha le sue gerarchie proprie, le sue norme centralizzatrici, i l suo tipo d i reclutamento psico-sociale ^. Nonostante i tentativi per abbatterne le frontiere, esso è tutto compreso nel cerchio della scrittura: i n questa storia che viene scritta esso «ospita» i n primo luogo proprio coloro che hanno scritto, i n modo che l'opera d i storia fomenta una tautologia socioculturale tra i suoi autori (letterati), i suoi oggetti ( l i b r i , manoscritti, ecc.), e i l suo pubblico (colto). Questo lavoro è legato a u n insegnamento, dunque alle fluttuazioni d i una clientela; alle pressioni che essa esercita, pressioni tanto più forti quanto più la clientela è numerosa; ai riflessi d i difesa, d i autorità o d i ripiegamento, che questa modificazione provoca negli insegnanti; all'introduzione della cultura di massa i n un'università «massificata», un'università che, cessando d i essere un luogo limitato d i scambi tra la ricerca e la pedagogia, spinge i l professore verso la volgarizzazione destinata al «gran pubblico» (studenti o no), mentre lo specialista si isola dai circuiti dell'insegnamento. La produzione storica si trova allora d i -

visa tra l'opera letteraria d i chi «fa autorità» e l'esoterismo scientifico d i chi «si dà alla ricerca». Una determinata situazione sociale agisce contemporaneamente sul metodo d i lavoro e sul tipo d i discorso. E' questo u n «bene» o u n «male»? Innanzitutto, si tratta d i u n fatto, u n fatto che si manifesta dappertutto, anche là dove è taciuto. E ' facile riconoscere delle corrispondenze rimaste occultate, quando ci si trova d i fronte a cose che «si muovono» o «si fermano» insieme, i n settori fin allora considerati estranei l'uno all'altro. E ' forse u n caso che si passi dalla «storia sociale» alla «storia economica» nel periodo tra le due guerre intorno della grande crisi economica del 1929, o che la storia culturale prevalga nel momento i n cui si impone dappertutto, con i l tempo libero e i mass-media, l ' i m portanza sociale, economica e politica della «cultura»? E ' forse u n caso che !'«atomismo storico» d i Langlois e Seignobos, esplicitamente associato a una sociologia fondata sulla «figura dell'iniziatore» (Tarde) e a una «scienza dei fatti psichici» (che scompone lo psichismo i n «motivi», «impulsi» e «rappresentazioni») si combini con i l liberalismo della borghesia al potere alla fine dell'SOO? E ' forse un caso che g l i spazi morti dell'erudizione - quello che cioè non è né l'oggetto né i l luogo della r i cerca - coincidano «casualmente», dalla Lozère allo Zambesi, con le regioni sottosviluppate, cosi che si può dire che l'arricchimento economico crea oggi una topografia e delle scelte storiografiche d i cui

non viene confessata l'origine né garantita la pertinenza? Dalla raccolta dei documenti alla redazione del libro, la prassi storica è interamente relativa alla struttura della società. Nella Francia d i ieri, l'esistenza d i piccole unità sociali fortemente strutturate ha definito i diversi livelli della ricerca: archivi circoscritti agli avvenimenti del gruppo e ancora vicini ai diari d i famiglia; una categoria d i mecenati o d i autorità che sottoscrivono personalmente la «protezione» d i u n patrimonio, d i clienti e d'ideali; un gruppo d i eruditi-letterati votati a una causa e che adottano d i fronte alla loro grande o piccola patria i l motto dei Monumenta Germaniae Historica: Sanctus amor patriae dat animum; le opere «consacrate» a soggetti d i interesse locale e che forniscono un linguaggio proprio a lettori l i m i t a t i ma fedeli, eccetera. G l i studi condotti su temi più vasti non sfuggono a questa regola, ma l'unità sociale da cui essi dipendono non è più dello stesso tipo; non è più una località, ma l'intellighenzia prima accademica, poi universitaria, che si «distingue» contemporaneamente dalla «storiucola», dal provincialismo e dal popolino, per imporre più tardi, quando i l suo potere aumenterà grazie all'estensione centralizzatrice dell'università, le norme e i codici dell'evangelismo laico, liberale e patriottico elaborato nell'SOO dai «borghesi militanti».

Così quando Lucien Febvre, tra la prima e la seconda guerra mondiale, vuole togliere alla storia del '500 la «tonaca» delle beghe del tempo andato e liberarla, per esempio, dalle categorie imposte dalle lotte tra cattolici e protestanti ^, egli attesta i n primo luogo la scomparsa delle formazioni ideologiche e sociali che nel XIX° secolo riutilizzavano le bandiere dei «partiti» religiosi al servizio d i campagne omologhe. D i fatto le guerre religiose hanno continuato a lungo, sia pure su u n terreno non religioso: per esempio tra repubblicani e tradizionalisti, o tra la scuola pubblica e la scuola «libera». Ma quando, dopo la guerra del '14, queste lotte perdono qualcosa della loro importanza socio-politica, quando le forze a cui esse si opponevano si frammentano i n organizzazioni diverse, quando si formano «raggruppamenti» o «fronti» comuni e l'economia organizza i l linguaggio della vita francese, diventa possibile trattare Rabelais come cristiano, cioè come testimone d i u n tempo passato, diventa possibile liberarsi da certe divisioni che non sono più inscritte nella vita concreta d i una società e quindi non privilegiare più i Protestanti o i Cristiani democratici nella storiografia politica o religiosa universitaria. Con questo si delinea non già un insieme d i concezioni migliori o più oggettive, ma una situazione diversa. U n cambiamento della società permette allo storico d i collocarsi a distanza nei confronti d i quello che diviene globalmente U passato. Sotto questo aspetto, L . Febvre adotta lo stesso procedimento dei suoi predecessori. Essi prendevano

come postulato della loro comprensione la struttura e le «evidenze» sociali del loro gruppo, situandosi però criticamente a distanza. I l fondatore delle «Annales» non fa forse altrettanto quando promuove una «ricerca» e una «rèconquista» storiche dell'«Uomo», figura «sovrana» situata al centro dell'universo mentale del suo ambiente ^; quando definisce come «storia globale» i l panorama che si offre allo sguardo d i una magistratura universitaria; quando con la «mentalità», la «psicologia collettiva» e tutto l'armamentario del Zusammenhang, mette i n piedi una struttura ancora «idealista» ^ che funziona come l'antidoto dell'analisi marxista e maschera dietro un'omogenità «culturale» i conflitti socio-economici nei quali egli stesso si trova implicato? ^. Per quanto geniale e nuova essa sia, la sua storia porta i l marchio della società esattamente come i tipi d i indagine storica che egli rifiuta; d'altra parte è i n grado d i superarli i n quanto corrispondono a situazioni passate, mentre un'altra «tonaca» g l i è imposta, beU'e fatta, dal posto che egli occupa nei conflitti del presente. A prescindere dal «fuoco» d i Febvre, lo stesso fenomeno può essere appurato dappertutto, anche senza tener conto del ruolo delle divisioni sociali e politiche, evidenti perfino nelle pubblicazioni e nelle «denominazioni» dove operano interdizioni non dette. Certamente non si tratta più d i guerre tra partiti o tra l'uno o l'altro dei grandi corpi d i u n tempo (l'esercito, l'università, la chiesa, ecc.), ma questo perchè l'emorragia delle loro forze trasforma i n folklo-

re i loro programmi e perché le vere battaglie non si decidono piìi i n queste zone. La «neutralità» rimanda alla metamorfosi delle convinzioni i n ideologie, i n una società tecnocratica e produttivistica che ha perduto u n linguaggio adeguato per designare le sue scelte e i suoi poteri. Così, nell'università colonizzata, corpo tanto meno autonomo qanto più vasto, lasciato ormai i n balia alle consegne e alle pressioni provenienti dall'esterno, l'espansionismo scientista o le crociate «umaniste» d i ieri sono sostituiti da una serie d i fughe. Quando si tratta d i opzioni, i l silenzio si sostituisce all'affermazione. I l discorso scade nel grigiore, trasformandosi addirittura i n u n mezzo per difendere dei posti, invece d i essere l'enunciato delle «cause» capaci d i articolare u n desiderio. Eccolo divenuto incapace d i parlare d i ciò che lo determina, prigioniero d i u n labirinto d i posizioni da rispettare e d i influenze da sollecitare. Ci si può chiedere se questo rapporto con U non detto (che è contemporaneomente ciò che i testi, divenuti pretesti, non osano più ammettere, l'esteriorità del fare rispetto al dire, e i l dileguarsi d i u n luogo i n cui una forza si articola su u n linguaggio) non sia per caso ciò che si «tradisce» con i l riferimento sempre più frequente a u n «inconscio» dotato d i stabilità magica e trasformato i n feticcio sotto la pressione del bisogno che «pur si ha» d i affermare u n potere interno che, «come ben si sa», è ormai scomparso . . . ^

" Ancora non c'è purtroppo, per il reclutamento degli storici, un equivalente dello studio pubblicato da MONIQUE DE SAINT MARTIN, Les fonctions sociales de Venseignement scientifique, Mouton, 1 9 7 1 . ^ La data fondamentale qui è quella della tesi di GEORGES LEFEBVRE, Paysans du Nord de la France pendant la Revolution, 1924. Ma tutta una pleiade di storici segna questa svolta: Hauser, See, Simiand, ecc.. ^ L'Introduction aux ctudes historiques ( 1 8 9 8 ) resta il grande libro di un certo tipo di storiografia. Cosa sorprendente, lo si legge con interesse; esso è di una chiarezza ammirabile. Soprattutto nel eap. 8 (libro II) e nei cap. 1 - 4 (libro III) tutti dovuti a Seignobos si esplicitano i riferimenti scientifici degli autori. " L. FEBVRE, AU coeur religieux du XVIe siede, Sevpen, 1957, p. 146. «Tutto ciò che essendo dell'uomo, dipende dall'uomo, serve all'uomo, esprime l'uomo, significa la presenza, l'attività, il gusto e il modo di essere dell'uomo» dichiara in Combats pour l'histoire, A. Colin, 1965, 2" ed., p. 428. Da allora, la figura creata da questo ottimismo militante ha perduto molto delle sua credibilità. ^ HENRI BERB segnalava già nel 1 9 2 0 il carattere idealista della storia secondo L. FEBVRE (Revue de synthèse historique, 30, 1920, p. 15). " SuUa «teoria dello Zusammenhang», utilizzata diffusamente nella sua opera cfr. HANS-DIETER MANN, Lucien Febvre. La pensée vivante d'un historien, A. Colin 1 9 7 1 , pp. 93-119. L. Febvre fa riferimento alla «classe» per spiegare il XVI° secolo (cfr. per esempio Pour une histoire à part entiere. Paris, 1963, pp. 350-360 sulla borghesia), anche se con molta reticenza (cfr. ihid., pp. 185-199), ma evita il problema della propria localizzazione sociale quando analizza la propria pratica e i propri concetti storici. [Di L. FEBVRE, è stato curato in italiano un libro dal titolo Studi su Riforma e Rinascimento e altri scritti di metodo e di geografìa storica, Einaudi, 1966, che raccoglie alcuni saggi facenti parte dei testi francesi citati dall'autore]. " Cfr. M. DE CERTEAU «Les Révolutions du croyable» in Esprit, febbraio 1969, pp. 190-202. O. MANNONI, «Je sais bien, mais quand méme» in Clefs pour l'imaginaire ou l'Autre scène, Seuil, 1969.

4. Permettere e interdire: il luogo Ancor prima di sapere ciò che la storia dice di una determinata società, è importante analizzare come essa vi funziona. Questa istituzione si inscrive in un complesso che le permette solamente un tipo di produzione e gliene interdice gli altri. Abbiamo qui la doppia funzione del luogo. Esso rende possibili determinate ricerche, a partire da congiunture e da problematiche comuni. Ma esso rende altre ricerche impossibili, escludendo dal discorso quello che, a un dato momento, ne costituisce la condizione ed esercitando un ruolo di censura nei confronti dei postulati presenti (sociali, economici, politici) dell'analisi. Questo combinarsi di permettere e interdire costituisce indubbiamente la zona inafferrabile della ricerca storica, ed è la ragione per cui quest'ultima non è compatibile con qualsiasi cosa. Ancora, è su questa combinazione che opera il lavoro destinato a modificarla. Ma in ogni caso questo lavoro non è pensabile al di fuori di questo articolarsi con una connessione del possibile e dell'impossibile. Considerarlo unicamente come un «dire», equivarrebbe a re-introdurre nella

storia la leggenda, cioè, la sostituzione di un nonluogo, o di un luogo immaginario, all'articolazione del discorso su un luogo sociale. Al contrario - come si vedrà in seguito - la storia si definisce nella sua totalità come rapporto tra linguaggio e corpo (sociale), e quindi anche come rapporto limite, in quanto essa si situa come «luogo» particolare in un sistema di forze e insieme come «la cosa» che ci è detta (il passato, la morte). La storia riceve, dunque, interamente la sua configurazione dal sistema in cui essa si elabora. Oggi come ieri, essa è determinata dal fatto di venire «fabbricata» in un punto ben determinato di questo sistema. Per questo è indispensabile che il sapere storiografico prenda in esame il luogo della propria elaborazione, se vuole smettere di manifestare l'incoscienza di una classe che si disconosce come tale nei rapporti di produzione che le sono caratteristici, e che di conseguenza disconosce la società in cui si trova inserita. L'articolazione della storia su un luogo è dunque, per un'analisi della società, la condizioni stessa della sua possibiltà. E' noto del resto che, sia per il marxismo sia per il freudismo, qualsiasi analisi è integralmente dipendente dalla situazione creata da una relazione sociale e da una relazione analitica. Prendere sul serio il suo luogo, non significa ancora spiegare la storia. Niente è ancora detto di ciò che vi si produce. Ma è questa la condizione necessaria affinchè ciò che è detto non sia né leggen-

darlo (o «edificante») né a-topico (senza pertinenza). Essendo U principio stesso dell'ideologia, la denegazione della particolarità del luogo esclude ogni teoria. Ancor più, installando il discorso in un nonluogo, essa interdice alla storia di parlare della società e della morte, cioè di essere, appunto, storia.

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II - Una prassi

«Fare della storia», è una prassi. E' vero che, nella misura in cui «l'università professa il disprezzo della pratica e della tecnicità» ^, si tende a classificare come «scienza ausiliare» tutto ciò che mette la storia in relazione con delle tecniche: ieri, l'epigrafia, la papirologia, la paleografia, la diplomatica, lo studio dei codici, ecc., oggi, la musicologia, il «folklorismo», l'informatica, ecc. La storia comincerebbe solo con la «parola nobile» riducendosi infindei conti a un'arte di discorrere capace di cancellare pudicamente le tracce di un lavoro. Si tratta in realtà di un'opzione decisiva. Il posto che si concede alla tecnica può far avvicinare la storia alla letteratura o viceversa alla scienza. Se è vero che l'organizzazione della storia è relativa a un luogo e a un tempo, questa relazione è stabilita innanzitutto dalle sue tecniche di produzione. Possiamo dire genericamente che ogni società si pensa «storicamente» con gli strumenti che le sono propri. Ma il termine di strumento è equivoco. Non si tratta solamente di mezzi. Come ha magistralmente mostrato Serge Moscovici sebbene in

una prospettiva diversa, la storia è mediata dalla tecnica. In questo modo viene relativizzato il privilegio che tutto il XIX° secolo - e spesso anche il XX° - accordano alla storia sociale. Al rapporto della società con se stessa, al «divenire altro» del gruppo, succede, al centro dell'attività scientifica attuale, il divenire della natura che è «simultaneamente un dato e un'opera» ^\ La ricerca opera precisamente su questa frontiera mobile tra ciò che è dato e ciò che è creato, e in definitiva tra natura e cultura. La biologia scopre nella «vita» un linguaggio parlato prima che appaia il parlante. La psicanalisi svela nel discorso l'articolazione di un desiderio costituito in modo diverso da come la coscienza lo esprime. In un altro campo, la scienza dell'aenvironment» modifica le combinazioni instabili della natura e dell'industria, ma non permette più di isolare dalle strutture naturali che essa muta l'estensione indefinita delle costruzioni sociali. Questo immenso cantiere opera «un rinnovamento [della natura], provocato dal nostro intervento» ^. Esso «unisce in modo diverso l'umanità alla materia» Così, «l'ordine sociale si inscrive come forma dell'ordine naturale e non come entità ad esso opposta» E' chiaro che questo comporta la profonda modifica di una storia abituata a considerare come proprio «settore centrale» la storia sociale, cioè «la storia dei gruppi sociali e dei loro rapporti» Di fatto, la ricerca si è già diretta prima verso il fat-

tore economico, poi verso le «mentalità», oscillando così tra i due termini del rapporto che le appare sempre più importante, il rapporto tra natura e cultura. I segni sono sempre più numerosi. L'orientamento rivelatosifindal periodo compreso tra le due guerre con l'interesse per la geografia e per la «storia degli uomini nei loro stretti rapporti con la terra» si accentua con gli studi sulla costruzione e le combinazioni degli spazi urbani *\a transumanza delle piante e i suoi effetti socio-economici sulla storia delle tecniche sulle mutazioni della sessualità, sulla malattia, la medicina e la storia del corpo, ecc. . Ma questi campi aperti alla storia non sono, non possono essere semplicemente dei nuovi oggetti forniti a unUstituzione immutata. La storia stessa entra in questa relazione del discorso con le tecniche complesse. Bisogna fare attenzione a come essa tratta determinati elementi «naturali» per mutarli in un (nenvironmenty) culturale, a come essa fa accedere alla simbolizzazione letteraria le trasformazioni che si effettuano nei rapporti tra una società e la «sua» natura. I rifiuti, la carta, le verdure, perfino i ghiacciai e le «nevi eterne» ''^ lo storico li trasforma in altro: li trasforma in storia. Lo storico artificializza la natura: partecipando al lavoro che cambia la natura in «environment», modifica la natura dell'uomo. Le sue tecniche lo situano precisamente nel punto di questa articolazione. A livello di questo tipo di prassi non troviamo più la dicotomia che oppone il

naturale al sociale bensì la connessione tra la socializzazione della natura e la «naturalizzazione» (o materializzazione) dei rapporti sociali. FREDERIC BO> ET M. A. BuRNiER, Les Nouveaux intellectuels, Seuil, 1 9 7 1 , p. 180. Cfr. MICHEL DE CERTEAU, «L'Universile devant la culture de masse» in Projet, luglio 1970, pp. 843-855. " Essai sur l'histoire humaine de la nature, Flammarion, 1968. " Op. cit., p. 2 0 . « Ibid. " Op. cit., pp. 7 e 2 1 . Op. cit., p. 5 9 0 . " ERNEST LABROUSSE, «Introduction», in L'histoire

P.U.F., 1 9 6 7 , p. 2 .

sociale,

* L'espressione è di FERNAND BRAUDEL, Legon inaugurale au

College de France, 1950. [Di F. BRAUDEL, successore di L. Febvre e Marc Bloch alla guida della «scuola» delle «Annales E.S.C.», è tradotta l'opera fondamentale, punto di arrivo riconosciuto di un nuovo tipo di storiografia, col titolo. Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II, Einaudi, 1965, 2 ' ed.]. In La Catalogne dans l'Espagne moderne (Sevpen, 1962, t. I, p. 12); PIERRE VILAR ricorda che tra le due guerre «Le grandi questioni di cui noi intuivamo più o meno confusamente che avrebbero dominato il nostro secolo, ci erano poste soltanto attraverso le lezioni dei nostri maestri geografi». [Di P. VILAR sono tradotti in italiano. Oro e moneta nella storia 1450-1920, Laterza, 1 9 7 1 ; una raccolta antologica di saggi, sopratutto metodologici, col titolo. Sviluppo economico e analisi storica, Laterza, 1970].

*' Cfr. in particolare FHANCOISE CHOAT, «L'Histoire et la méthode en urbanisme» in Annales E.S.C., 2 5 , 1 9 7 0 (nimiero speciale su «Histoire et urbanisation»), pp. 1143-1154, e anche STEPHAN THERNSTROM,

«Reflections on the New Urban History» in Daedalus, Prima-

vera, 1 9 7 1 , pp. 359-376.

" Come il capitolo sulla «civiltà vegetale «in EMMANUEL LE ROY

LADURIE, Les Paysans

de Languedoc,

Sevpen, 1 9 6 6 , pp. 53-76,

[trad. it., / contadini di Linguadoca, Laterza, 1 9 7 0 ] . Questo studio originale sui «fondamenti biologici» della vita rurale mostra che i vegetali sono «oggetti di storia» «per il fatto stesso della loro plasticità, per le modificazioni incessanti che l'uomo fa loro subire». Purtroppo questa parte è scomparsa nell'edizione economica, Flammarion, 1 9 6 9 . " Cfr. la grande Histoire generale des techniques sotto la dire-

zione di MAURICE DUMAS, P.U.F., 4 tomi, 1963-1968 [trad. it.,

«Storia della Scienza» Laterza, 1 9 6 9 ; la trad. it. è integrata da contributi e aggiornamenti di studiosi italiani]; BERTRAND GILLE, Les Ingénieurs de la Renaissance, 1964, ecc.. ** Cfr. il numero speciale delle Annales E.S.C., 24, nov.-dic, 1 9 6 9 , «Histoire biologique et société»; MICHEL FOUCAULT, Naissance de la clinique, P.U.F., 1 9 6 3 [trad. it.. Nascita della clinica, Einaudi, 1 9 6 9 ] ; JEAN-PIERRE PETER, «Le corps du délit» in Nouvelle Revue de Psychanalyse, n. 3 , 1 9 7 1 , pp. 71-108; ecc..

" EMMANUEL LE ROT LADURIE, Histoire du climat depuis Van

mil, Flammarion, 1 9 6 7 .

1. L'articolazione natura-cultura E' senza dubbio eccessivo dire che lo storico ha come «materiale d'analisi» o come «oggetto specifico», il tempo. Egli tratta secondo i suoi metodi gli oggetti fisici (documenti, pietre, immagini, suoni, ecc.) che distinguono, nel continuum di ciò che è percepito, l'organizzazione di una società e il sistema di pertinenza proprio a una «scienza». Egli lavora su un materiale per trasformarlo in storia, esercitando una manipolazione che, come le altre manipolazioni, obbedisce a delle regole. Si tratta di un lavoro paragonabile a una fabbricazione effettuata con un metallo già raffinato. Trasformando in primo luogo le materie prime (informazione primaria) in prodotti standard (informazione secondaria), trasferisce il materiale lavorato da una regione della cultura (le «curiosità», gli archivi, le collezioni, ecc.) a un'altra (la storia). Un'opera «storica» attesta così il movimento con cui una società ha modificato il proprio rapporto con la natura trasformando il «naturale» nell'utilitario (per esempio, la foresta in sfruttamento) o nell'estetico (per esempio, la montagna in paesaggio) o facendo passare un'istitu-

zione sociale da un statuto all'altro (per esempio, la chiesa trasformata in museo). Ma lo storico non si contenta di tradurre un linguaggio culturale in un altro, cioè le produzioni sociali in oggetti di storia. Egli può trasformare in cultura gli elementi estratti dal campo della natura. Nel processo che va dalla documentazione (in cui introduce sassi, suoni, ecc.) al libro (in cui le piante, i microbi, i ghiacciai acquistano lo statuto di oggetti simbolici) lo storico opera uno spostamento dell'articolazione natura/cultura. Egli modifica lo spazio, esattamente come fanno l'urbanista quando integra il verde nel sistema delle comunicazioni: della città, l'architetto quando dispone lo sbarra-/ mento di un lago, Pierre Henry quando trasforma lo stridere di una porta in motivo musicale e il poeta quando rovescia la relazione tra «rumore» e «messaggio» . . . Egli modifica l'aenvironment» mediante una serie di trasformazioni che spostano le frontiere e la topografia intema della cultura. Egli «civilizza» la natura - il che ha sempre voluto dire che di fatto la «colonizza» e la cambia - mediante un'operazione indissociabilmente legata a una mutazione interna della società e alla sua espansione al di là dei suoi limiti precedenti. Si constata oggij è vero, che una quantità crescente di libri storici scade nel romanzo o nella leggenda e non produce più nessuna trasformazione nel campo della cultura, mentre al contrario la «lette-

ratura» mira a un lavoro sul linguaggio e sul «testo» mette in scena aun movimento di riorganizmzione, una circolazione di morti che produce distruggendo»''^ Questo vuol dire che, in questa forma, la storia cessa di essere «scientifica» mentre la letteratura lo diventa. Quando suppone che un passato già dato si palesa nel suo testo, lo storico si conforma del resto al comportamento del consumatore che riceve passivamente gli oggetti distribuiti dai produttori. (Lo stesso rapporto a un dato situa lo spettatore in relazione a un'immagine) .Egli dissimula il lavoro effettuato da una tecnica e di cui ogni testo di «ricerca» è applicazione. Si dice «scientifica», in storia come altrove, l'operazione che trasforma l'ambiente - ovvero che fa di un'organizzazione (sociale, letteraria, lecc.) condizione e luogo di una trasformazione. In una società, l'operazione consiste dunque nel far giocare in uno dei suoi punti strategici, l'articolazione della natura sulla cultura. In storia, essa instaura «un governo della natura» su un registro che riguarda la relazione tra presente e passato - in quanto quest'ultimo non è un «dato», bensì un nuovo prodotto. E' possibile distinguere i segni di tale caratteristica comune a qualsiasi ricerca scientifica, precisamente là dove questa diventa tecnica. Non si tratta qui di ritornare sui metodi della storia. Mediante alcuni sondaggi, si tratta solamente di evocare

il tipo di problema teorico suscitato dall'esame dell'ccapparato» e delle procedure tecniche della storia.

* RAYMOND ROUSSEL, Impressiona d'Afrique,

Gallimard, 1970,

p. 209. Cfr. JULIA KRISTEVA, «La productivité dite texte», in Communications, a. 15, 1970, pp. 59-83.

2. La costituzione delle fonti, ovvero la ridistribuzione dello spazio In storia, tutto comincia con U gesto di mettere da parte, di raccogliere, di trasformare così in «documenti», certi oggetti ripartiti in altro modo. C'è poi il gesto di produrre tali documenti, con il ricopiare trascrivere o fotografare gli oggetti, cambiando contemporaneamente U loro posto e il loro statuto. Questo gesto consiste nell'«isolare» un corpo, come fa la fisica. Esso forma la «collezione»; costituisce delle cose in «sistema marginale» secondo l'espressione di Jean Baudrillart le sottrae alla pratica per ordinarle negli oggetti «astratti» di un sapere. Lungi dall'accettare dei «dati», esso li costituisce. Il materiale è creato dalle azioni programmate che lo «isolano» nell'universo dell'uso, che vanno a cercarlo anche fuori della frontiera di questo universo destinandolo a un nuovo impiego coerente. Esso è la traccia degli atti che modificano un ordine ricevuto e una visione sociale''*. Instauratrice di segni consegnati a un trattamento specifico, questa rottura non è dunque solo e soprattutto l'eff^etto di uno «sguardo». L'operazione tecnica vi è come incorporata.

Le origini dei nostri archivi moderni, imphcano già, in effetti, la combinazione di un gruppo (gli «eruditi»), di diversi luoghi (le «biblioteche») e pratiche (copiatura, stampa, comunicazione, classificazione, ecc.). E' come l'abbozzo di un complesso tecnico, inaugurato in Occidente con le «collezioni» raccolte in Italia prima, in Francia poi, a partire dal XV° secolo, e finanziate per ragioni di prestigio dai grandi mecenati (i Medici a Firenze, i duchi di Milano a Pavia, Carlo d'Orléaiis e Luigi XIF a Blois, ecc.). Qui si uniscono in un luogo specifico, la creazione di un nuovo lavoro («collezionare»), il soddisfacimento di nuovi bisogni (la giustificazione di gruppi familiari e politici recenti, grazie all'instaurazione di tradizioni, di «lettere», insomma di linguaggi propri) e la produzione di nuovi oggetti (documenti isolati, conservati e ricopiati). Una scienza che nasce (l'«erudizione» del XVIF secolo) riceve con questi procedimenti volti a «costituire le fonti» - istituzioni tecniche - la sua base e le sue regole. Collegata dapprima all'attività giuridica, presso uomini di penna e di toga, avvocati, funzionari, conservatori d'archivi l'impresa si espande e si afferma quando passa nelle mani degli specialisti. E' un'impresa produttrice e riproduttrice, che abbedisce alla legge della moltiplicazione. A partire dal 1470 si allea alla tipografia™; la «collezione» diventa «biblioteca». «Collezionare» significa per molto tempo fabbricare degli oggetti: copiare o stampare, rilegare, classificare . . . E moltiplicando i

prodotti, il collezionista diventa un attore nella catena di una «.stona da fare» (o da rifare) secondo nuove pertinenze intellettuali o sociali. Attraverso la sua collezione, cioè mediante un capovolgimento degli strumenti di lavoro, egli ridistribuisce le cose, ridefinisce le unità del sapere, instaura un luogo di «ricominciamento» costruendo una «gigantesca macchina» (Pierre Chaunu) che renderà possibile un'altra storia. Non solo, ma deve inoltre interpretare i diversi codici delle innumerevoli «rarità» che gli sono come portate dalle traiettorie indefinite della sua curiosità, e dunque inventare dei linguaggi che ne assicurino la comprensione. A giudicare dall'evoluzione del suo lavoro (passando per Peiresc e Kircher, giù giù fino a Leibniz), l'erudito si orienta, fin dalla fine del XVI° secolo, verso Vinvenzione metodica di nuovi sistemi di segni, grazie alle procedure analitiche di scomposizione e ricomposizione Tramite la cifra, centrale in questa «arte della decifrazione», esistono delle analogie tra l'erudizione e la matematica. E' vero che alla cifra, codice destinato a costruire un ordine, si oppone allora il simbolo, poiché questo, legato a un testo riconosciuto che rimanda a un senso nascosto nella figura (allegoria, blasone, emblema, ecc.), implica la necessità di un commento autorizzato da parte di qualcuno che sia abbastanza saggio e profondo per riconoscere questo senso ^. Dalla serie di «rarità» ai linguaggi universali o artificiali - diciamo da Peiresc a Leibniz -, le svolte

sono numerose. Tramite la «cifra» esse si inscrivono comunque sulla linea di sviluppo instaurata dalla costruzione di un linguaggio, e quindi dalla produzione di tecniche e oggetti propri. La costituzione delle fonti richiede anche oggi un gesto fondatore, connotato come ieri dalla combinazione di un luogo, di un «apparato» e di diverse teniche. Primo indice di questo spostamento: non c'è lavoro che non debba utilizzare in modo diverso dei fondi conosciuti, per esempio, cambiando il funzionamento di archivi definiti fino a quel momento da un uso religioso o «familiare» ^. Egualmente, in virtù di nuove pertinenze, esso costituisce in documenti gli arnesi, le ricette culinarie, i canti, un'insieme di immagini popolari, la disposizione dei terreni, la topografia urbana, ecc. Questo non significa soltanto far parlare gli «immensi settori sepolti della documentazione» ^ e dare voce al silenzio, o al possibile la sua effettività. Significa piuttosto cambiare qualcosa, che aveva uno statuto e un ruolo particolari, in un'altra cosa che funziona diversamente. In realtà, non si può chiamare «ricerca» uno studio che adotti semplicemente le classificazioni di ieri, che per esempio «si attenga» ai limiti posti dalla serie H degli archivi, e che dunque non si definisca una nuova base. Ancora una volta, uno studio è «scientifico» là dove interviene il lavoro che opera una ridistribuzione dello spazio e che consiste innanzitutto nel darsi un luogo tramite la «costituzione delle foniti» - tramite cioè un'azione costituente e tecniche trasformatrici.

Le procedure di questa istituzione suscitano oggi problemi che sono più fondamentali di quanto questi primi indizi non facciano apparire. Infatti ogni prassi storica stabilisce il suo luogo solo grazie air«apparato», che è insieme la condizione, il mezzo e il risultato di un spostamento. Simili alle fabbriche del paleotecnico, gli archivi nazionali o municipali formavano un segmento di questo apparato che ieri permetteva un'operazione proporzionata a un sistema di ricerca. Ma non è pensabile che si possa cambiare la loro utilizzazione conservandone la forma, o che a problemi differenti la stessa istituzione tecnica possa fornire risposte nuove. Si può infatti affermare che oggi altri «apparati» indirizzano la ricerca altrove. E' vero che un'ideologia del «fatto» storico «reale» o «vero» fa ancora parte del clima del nostro tempo, proliferando perfino in una certa letteratura sulla storia. Ma questa folklorizzazione di pratiche antiche è la parola senza vita che sopravvive a battaglie terminate; essa mostra soltanto il ritardo delle «idee» comunemente ammesse rispetto alla prassi che prima o poi le modificherà. La trasformazione dell'»archivistica» è il punto di partenza e la condizione di una nuova storia. Essa è destinata a svolgere lo stesso ruolo della «macchina» erudita del '600 e del '700. Frangois Furet ha messo in evidenza alcuni degli effetti prodotti dalla «costituzione di nuovi archivi conservati su schede perforate»; c'è significante solo in funzione di una serie, e non in rapporto a una «realtà»; è oggetto di ricerca soltanto ciò che viene for-

malmente costruito prima della programmazione, ecc. ^. Eppure non si tratta che di un elemento particolare, quasi un sintomo di un'istituzione scientifica più vasta. L'analisi contemporanea trasforma radicalmente le procedure collegate all'cc analisi simbolica» che ha prevalso dopo il romanticismo e che si prefiggeva di riconoscere un senso dato e nascosto; essa ritrova fiducia nelVastrazione che caratterizzava l'epoca classica - un'astrazione che oggi è però un insieme formale di relazioni, ovvero una «struttura » ^. La prassi corrispondente consiste nel costruire dei «modelli», nel «sostituire lo studio del fenomeno concreto con quello di un oggetto costituito dalla propria definizione», nel giudicare il valore scientifico di questo oggetto secondo il «campo di questioni» a cui esso permette di rispondere e secondo le risposte che esso fornisce, e infine nel «fissare i limiti della significabilità di questo modello» Quest'ultimo punto è importantissimo in storia. Poiché se è vero che in generale l'analisi scientifica contemporanea mira a ricostruire, e dunque a moltiplicare o a modificare dei sistemi costituiti (fisici, letterari o biologici) partendo da modelli relazionali e da linguaggi (o meta-linguaggi) che essa stessa costruisce, la storia tende a mettere in evidenza «i limiti della significabilità» di questi modelli e di questi linguaggi; essa ritrova sotto questa forma di un limite relativo ai modelli quello che appariva ieri come passato relativo a un'epistemologia dell'origine e della fine. Sembra che si possa affermare che, in questo modo, la storia è fedele al

suo proposito fondamentale che resta senza dubbio ancora da definire, ma che certamente comporta una relazione simultanea al reale e alla morte. La specificazione del suo ruolo non è determinata dall'apparato stesso (il calcolatore elettronico, per esempio) che rende la storia solidale dei condizionamenti e delle possibilità nate dall'istituzione scientifica attuale. La messa in luce di quello che è specifico della storia è eccentrica rispetto a questo apparato: essa si situa nel momento preparatorio della programmazione che rende necessario il passaggio attraverso l'apparato, e riappare all'altra estremità, nel momento della utilizzazione reso possibile dai risultati ottenuti. Essa si elabora, in funzione delle interdizioni fissate dalla macchina, tramite i diversi oggetti di ricerca da costruire, e d'altra parte, in funzione di ciò che la macchina permette, tramite una maniera particolare di trattare i prodotti standard dell'informatica. Ma queste due operazioni si articolano necessariamente sull'istituzione tecnica che inscrive ogni ricerca in un «sistema generalizzato». Anche le biblioteche di ieri esercitavano la funzione di situare l'erudizione in un sistema di ricerche. Ma si trattava di un sistema regionale, e quindi i tempi epistemologici (concettualizzazione, documentazione, trattamento o interpretazione), oggi ben distinti all'interno di un sistema generalizzato, potevano confondersi l'uno con l'altro nel sistema regionale dell'antica erudizione. La costituzione delle fonti

(in quanto mediata dal tipo di apparato di cui si serve) non si limita a creare una nuova ripartizione dei rapporti ragione/reale o cultura/natura; è il principio di una ridistribuzione epistemologica dei tempi deHa ricerca scientifica. Nel '600, la Biblioteca colbertina - o i suoi omologhi - era il passaggio obbligato dove si elaboravano in comune le regole proprie all'erudizione. Una scienza si sviluppava attorno a questo apparato, che resta il luogo in cui circolano, a cui rimandano e si sottomettono i ricercatori. «Andare agli archivi» è l'enunciato di una tacita legge della storia. A questo posto centrale, un'altra istituzione sta per sostituirsi. Essa impone ugualmente alla prassi una legge, ma si tratta allora di una legge diversa. Per questo, abbiamo dovuto considerare in primo luogo l'istituzione tecnica che, come un monumento in una piazza, organizza lo spazio in cui circolerà la ricerca scientifica, prima di analizzare più da vicino le traiettorie operazionali che la storia traccia su questo nuovo spazio. " JEAN BAUDRILLART, «La collection», in Le système des objets,

Gallimard 1968, pp. 120-150.

" Da questo punto di vista, i «documenti» storici possono essere assimilati ai «segni iconici» di cui UMBERTO ECO analizza l'organizzazione: essi «riproducono», egli dice «alcune condizioni della percezione comune sulla base dei codici percettivi normali» («Semiologie des messages visuels» in Communications, n. 15, 1970, pp. 11-15) [cfr. sul «segno iconico» il capitolo «I codici visivi», pp. 107-130 in U. Eco, La struttura assente, Bompiani, 1 9 6 8 ] . In questa prospettiva.

diciamo che vi è lavoro scientiiìco ogni qualvolta vi sia cambiamento nei «codici di riconoscimento» e «nei sistemi di attesa». *' Cfr. PHILIPPE ARIES, Le Temps de l'histoire. Monaco, Ed. du Rocher, 1954, pp. 214-218. [Dell'autore, cfr. in trad., it.. Padri e figli nell'Europa medievale e moderna, Laterza, 1968]. ™ GILBERT GUY, «Les Bibliothèques» in L'Histoire et ses méthodes. Pleiade, 1961, p. 1066, sull'accordo fatto tra Guillaume Fichet e tre tipografi tedeschi, in procinto di fondare il laboratorio tipografico della Sorbona e di sostituire la copia dei manoscritti che G. Fichet stesso accertava in parte, per la biblioteca del collegio della Sorbona. [In edizione italiana, tradotto dall'inglese, esiste sull'argomento un'ampia sintesi fatta da Steinberg, S. H., Cinque secoli di stampa, Einaudi, 1963; il libro tratta delle tecniche di stampa degli inizi e, documentando l'evoluzione delle tipografie, giunge fino all'epoca dell'organizzazione su basi industriali dell'attività di stampa e delle edizioni economiche]. Essendo per l'erudito la sua «biblioteca» ciò che egli costituisce (e non ciò che egli riceve, come sarà più tardi per i «conservatori» di Biblioteche create prima di loro stessi), sembra esservi continuità, sul piano della scrittura, tra la produzione della collezione di testi e la produzione di cifrari destinati a decodificarli. Cfr. MADELEINE V.-DAVID, Le Débat sur les écritures et Vhiéroglyphe aux Ile et 18e siecles, Sevpen, 1965, pp. 19-30. " Cosi, nella sua Guide des Archives diocésaines francaises (Centre d'histoire du catholicisme, Lyon, 1971), JACQUES GADILLE sottolinea «il valore di questi archivi per la ricerca storica» notando che essi permettono la costituzione di nuove «serie» preziose per una storia economica o una storia delle mentalità (op. cit., pp. 7-14). " FRANQOIS FURET, «L'histoire quantitative et la construcion du fait historique» in Annales E.S.C., 26, 1971, p. 68. Si allude non ai metodi peculiari di questo a quello storico, ma, come nelle scienze esatte, al complesso delle procedure che caratterizza un periodo o un settore della ricerca. " F. FURET, «L'histoire quantitative . . .», op. cit., pp. 66-71. " Cfr. a questo proposito le acute riflessioni di MICHEL SERRES, Hermes ou la communication. Ed. de Minuit, 1968, pp. 26-35. ^' ANDRÉ RECNIER, «Mathématiser les Sciences de l'Homme?», in P. RICHARD e R. JAULIN, Anthropologie et calcul, coli. 10-18, 1971, pp. 13-37.

3. Evidenziare le differenze: dal modello alla variazione L'utilizzazione delle tecniche attuali d'informazione porta dunque lo storico a separare ciò che fino ad oggi nel suo lavoro era collegato: la costruzione degli oggetti di ricerca e dunque anche delle unità di comprensione; Vaccumulazione dei «dati» (o di un materiale già sgrossato) e la loro disposizione in luoghi in cui essi possono essere classificati e risistemati ^'; Vutilizzazione resa possibile dalle diverse operazioni di cui questo materiale è suscettibile. In questa linea, il lavoro storico si compie, propriamente parlando, nel rapporto tra i poli estremi dell'operazione intera: da una parte la costruzione dei modelli; dall'altra, l'attribuzione di una significabilità ai risultati ottenuti al termine delle combinazioni dell'informatica. La forma più visibile di questo rapporto consiste in ultima analisi nel rendere pertinenti delle differenze proporzionate alle unità formali precedentemente costruite, cioè, nello scoprire un eterogeneo tecnicamente utilizzabile. «L'interpretazione» di una volta diviene, in funzione del materiale prodotto mediante la costituzione di serie e mediante le loro combinazioni, la

messa in evidenza di variazioni relative ai modelli. Senza dubbio questo schema resta uno schema astratto. Molti studi attuali ne rendono più comprensibili il movimento e il senso. Per esempio, l'analisi storica non ha come risultato essenziale una relazione quantitativa della statura e dell'alfabetismo dei coscritti dal 1819 al 1826, e nemmeno la dimostrazione di una sopravvivenza deU'cc ancien regime» nella Francia post-rivoluzionaria, bensì le coincidenze impreviste, le incoerenze o le ignoranze che questa inchiesta mette in risalto Quello che importa non è la combinazione deUe diverse serie ottenute grazie a un isolamento preliminare di tratti significanti secondo modelli precostituiti, ma piuttosto, da una parte la relazione tra questi modelli e i limiti che il loro impiego sistematico fa apparire, e, d'altra parte la capacità di trasformare questi limiti in problemi tecnicamente trattabili. Questi due aspetti sono del resto coordinati, poiché se la differenza viene manifestata grazie all'estensione rigorosa di modelli costruiti, essa è resa significante grazie alia sua relazione con i modelli in virtù di una variazione, provocando così un ritorno agli stessi per correggerli. Si potrebbe dire che la formalizzazione della ricerca ha precisamente l'obiettivo di produrre degli «errori» - delle insufficienze, delle mancanze - scientificamente utilizzabili. Questo procedimento sembra significare un capovolgimento della ricerca storica quale la si praticava nel passato. Si partiva da alcune tracce (mano-

scritti, pezzi rari, ecc.) in numero limitato, e ci si proponeva, di cancellare tutte le loro diversità, di unificarle in una comprensione coerente In questo modo il valore di tale totalizzazione induttiva veniva a dipendere dalla quantità d'informazioni accumulate. Essa vacillava quando la sua base documentaria era compromessa dalle raccolte derivanti da nuove investigazioni. La ricerca - e il suo prototipo, la tesi - tendeva a prolungare indefinitamente il tempo dell'informazione, allo scopo di ritardare il momento nondimeno fatale in cui elementi sconosciuti sarebbero venuti a minarne la base. Spesso mostruoso, lo sviluppo quantitativo della caccia al documento ha finito con l'introdurre nel lavoro, divenuto interminabile, la legge che lo rende caduco non appena terminato. Adesso abbiamo superato una soglia importante, e la situazione è capovolta. Dallo sviluppo quantitativo secondo una struttura stabile, si passa a una successione di cambiamenti strutturali incessanti. In effetti, la ricerca si fonda oggi, fin dall'inizio, su delle unità che essa stessa definisce, come definisce oggetti, livelli e tassinomie d'analisi. La coerenza è iniziale. Grazie al calcolatore elettronico, la quantità d'informazione trattabile in funzione di queste norme è divenuta indefinita. Il fronte della ricerca non è più lo stesso. Basandosi su totalità formali poste deliberatamente, essa si dirige verso le variazioni rivelate dalle combinazioni logiche delle serie. Essa si svolge sui limiti. Se si vuole riprendere un vecchio vocabolario che non corrisponde più alla

nuova traiettoria, si potrebbe dire che la ricerca parte non più dalle «rarità» (resti del passato) per pervenire a una sintesi (comprensione presente), bensì da una formalizzazione (un sistema presente) per dar luogo a dei «resti» (che sono l'indice dei limiti e quindi di un «passato» che è il prodotto del lavoro). Questo movimento è senza dubbio accelerato dall'impiego del calcolatore elettronico, ma ha cominciato prima - così come un'organizzazione tecnica ha preceduto il calcolatore che ne è solo un sintomo di più. Bisogna infatti constatare uno strano fenomeno nella storiografia contemporanea. Lo storico non è più il fondatore di un impero, non tende più al paradiso di una storia globale: si è ridotto a circolare intomo alle razionalizzazioni acquisite, lavora ai margini. Sotto questo aspetto fa pensare al vagabondo. In una società portata alla generalizzazione, dotata di possenti mezzi centralizzatori, lo storico avanza verso le grandi regioni sfruttate, si «allontana» in direzione della stregoneria della foUia della festa della letteratura popolare del mondo dimenticato del contadino dell'Occitania ecc., che sono tutte zone silenziose. Questi nuovi oggetti storici non sono che il segno di un movimento nelle strategie. Così Fernand Braudel mostrava come gli studi sulle «aree culturali» hanno ormai interesse a situarsi nei luoghi di passaggio, là dove siano individuabili i fenomeni di «frontiera», di «prestito» o di «rifiuto» ^. L'interesse

scientifico di questi lavori sta nella relazione da essi stabilita con delle totalità poste o supposte - «una coerenza nello spazio», «una permanenza nel tempo» — e nei correttivi che permettono di apportare alle totalità stesse. Senza dubbio bisogna situare in questa prospettiva molte delle ricerche attuali. La biografia stessa si pone come distanza e margine, l'una e l'altro proporzionati alle costruzioni globali: è questo un modo per evidenziare le differenze relative alle continuità o alle unità da cui parte l'analisi. Nella misura in cui è collegata all'uso del calcolatore elettronico, l'informatica organizza, tra «entrate» e «uscite», la disposizione di simboli in posti riservati nella memoria, e il loro trasferimento in luoghi convenuti, secondo le istruzioni programmabili. Essa regola collocazioni e spostamenti in uno spazio informazionale che non è del tutto privo di analogia con le Biblioteche di una volta. " E. LE ROY LADURIE e P. DUMONT, «Quantitative and Cartographical Exploitation of French Military Archives, 1819-1826», in Daedalus, primavera 1971, pp. 397-441. " In realtà, la sintesi non veniva fatta nella fase terminale; ma veniva elaborata nel corso della manipolazione dei documenti. In questo modo, essa tendeva già in ultima analisi a una variazione rispetto alle idee precostituite che la pratica dei testi svelava e dislocava, mediante una serie di operazioni fissate da una disciplina istituzionale. " Cfr. ROBERT MANDROU, Magistrats et sorciers en France au XVlIe siede, Plon, 1968, e l'abbondante letteratura storica su questo soggetto, [trad. it., Magistrati e streghe nella Francia del Seicento, Laterza, 1971]. " Soprattutto dopo MICHEL FOUCAULT, Histoire de la folie à l'age classique, Plon, 1961, rééd. 1972 [trad. it.. Storia della follia, Rizzoli, 1963].

** Cfr. in particolare MONA OZOUF, «De Thermidor à brumaire: les discours de la Revolution sur elle-mème», in Au siede des Lumières, Sevpen, 1970, pp. 157-187, e «Le Cortège et la ville. Les itinéraires parisiens des fètes révolutionnaires», in Annales E.S.C., 1971, 26, pp. 889-916.

" Cfr. PAUL DELARUE, Le Conte populaire francais, 1957; ROBERT MANDROU, De la Culture populaire en France aux XVIle et XVllIe siècles. Stock, 1964; GENEVIÈVE BOLLEME, Les Almanachs populaires au XVlIe et XVllle siècles, Mouton, 1969; MARIE-LOUISE TENEZE, «Introduction a l'étude de la littérature orale: le conte» in Annales, E.S.C., 24, 1969, pp. 1104-1120, per non parlare dei lavori più direttamente «letterari» di MARC SORIANO (Les Contes de Perrault, Gallimard, 1968) ou de MIKHAÌL BAKHTINE (L'Oeuvre de F. Rabelais et la culture populaire . . . , Gallimard, 1970), ecc. " Sui contadini, cfr. innanzitutto le pubblicazioni di E . LE ROT LADURIE, op. cit.. Sui poveri, i lavori di JACQUES LE GOFF [in trad. it., esistono due opere fondamentali di J. LE GOFF, La civiltà dell'Occidente medioevale. Sansoni, 1969 e II Basso Medioevo, Feltrinelli, 1 9 6 7 ] e, negli ultimi dieci anni, le Recherches sur les pauvres et la pauvreté du Moyen Age, dirette da MICHEL MOLLAT. " Cfr. ROBERT LAFONT, Renaissance du Sud, Gallimard, 1970, ecc., e anche ANDRE LARZAC, «Décoloniser l'histoire occitanen, in Les Temps modernes, novembre 1 9 7 1 , pp. 675-695. " «L'Histoire des civilisations : le passe explique le présent», uno tra gli studi metodologici più importanti di FERNAND BRAUDEL, ripreso in Écrits sur l'histoire, Flammarion, 1969, pp. 255-314 (vedere soprattutto pp. 292-296), [trad. it.. Scritti sulla storia, Mondadori, 1973].

4. Il lavoro sul limite Questa strategia dispone la prassi storica a una teorizzazione più conforme alle possibilità offerte dalle scienze dell'informazione. Potrebbe darsi che essa specifichi sempre più non solamente i metodi, ma la funzione stessa della storia nell'insieme delle scienze attuali. Infatti i suoi metodi non consistono più nel procurare oggetti «autentici» alla conoscenza; né il suo ruolo sociale consiste nel fornire alla società rappresentazioni globali della sua genesi. La storia non occupa più, come nel XIX° secolo, questo posto centrale organizzato da un'epistemologia che, rinunciando alla realtà come sostanza ontologica, cercava di ritrovarla come forza storica e come divenire nascosto nell'interiorità del corpo sociale. Essa non svolge più la funzione totalizzante che consisteva nel prendere il posto della filosofia nel suo ruolo di indicatore del senso; ma interviene come sperimentazione critica dei modelli sociologici, economici, psicologici o culturali. E' stato detto che essa utilizza un'«attrezzatura chiesta in prestito» (P. Vilar). E' vero. Ma, appunto, essa collauda questa attrezzatura adoperandola su terreni diversi, esattamente come si collauda una vettura da turismo

facendola funzionare su piste da corsa, a una velocità e in condLziioni che eccedono l'uso normale. La storia diviene un luogo di «controllo», esercita una «funzione di falsificazione», dove possono essere messi in evidenza i limiti di significabilità relativi ai «modelli» che sono «collaudati» di volta in volta dalla storia in campi estranei a quello della loro elaborazione. Questo funzionamento può essere segnalato, a titolo di esempio, in due dei suoi momenti essenziali: l'uno considera il rapporto con il reale nel registro del fatto storico; l'altro, l'utilizzazione dei ccmodelliy) esistenti e dunque il legame della storia con una ragione contemporanea. Essi riguardano soprattutto, l'uno, l'organizzazione interna dei procedimenti storici; l'altro, le loro articolazioni su campi scientifici differenti. 1. I fatti hanno trovato il loro campione, Paul Veyne, stupefacente decapitatore di teste astratte. Come è normale, egli issa la bandiera di un movimento che lo ha preceduto. Non solo perché ogni vero storico è un poeta del particolare e gioca senza tregua, come l'esperto di estetica, sulle miUe armonie che un pezzo raro evoca in una rete di conoscenze, ma soprattutto perché i formalismi danno oggi una nuova pertinenza al particolare che fa eccezione. In altre parole, questo ritomo ai fatti non può essere arruolato in una campagna contro lo spauracchio dello «stmtturalismo», né messo al servizio di una regressione rispetto alle ideologie o alle prassi

antecedenti. Esso si inscrive piuttosto nella linea dell'analisi strutturale, ma come uno sviluppo di questa. Poiché ormai il «fatto» di cui si tratta non è più quello che offriva a un sapere osservatore l'emergere di una realtà. Combinato a un modello costruito, esso ha piuttosto l'aspetto di una differenza. Lo storico non è più dunque posto davanti all'alternativa: «o la borsa o la vita» - o la legge o il fatto (due concetti che d'altronde vanno sparendo dall'epistemologia contemporanea) Sono i suoi stessi modelli che gli permettono di far apparire delle variazioni. Se, durante un certo tempo, ha sperato in una «totalizzazione» ™ e creduto di poter conciliare differenti sistemi di interpretazione in modo da «coprire» tutta l'informazione in suo possesso, ora lo storico dà la precedenza alle manifestazioni complesse di queste differenze. A questo titolo il luogo dove egli si situa può ancora, per analogia, portare il venerabile nome di «fatto». Essenzialmente, il rapporto con il reale diviene un rapporto tra i termini di un'operazione. Così Fernand Braudel attribuiva un significato interamente funzionale all'analisi dei fenomeni di frontiera. Gli oggetti che egli proponeva alla ricerca erano determinati in funzione di un'operazione da intraprendere (e non di una realtà da raggiungere) e in rapporto a modelli esistenti Di conseguenza, il «fatto» è diventato la designazione di un rapporto. Anche Vavvenimento può ritrovare così la sua definizione come cesura. Certamente esso non traversa più lo spessore di una realtà il cui fondo sarebbe

visibile attraverso una trasparenza del linguaggio o i cui frammenti arriverebbero alla superficie del nostro sapere. L'avvenimento è interamente relativo a un combinarsi d i serie razionalmente isolate d i cui esso segna d i volta i n volta i l punto d'incrocio, le condizioni d i possibilità e i l i m i t i d i validità. 2. Ciò indica già una maniera «storica» d i servirsi dei modelli tratti da altre scienze e d i situarsi nei loro confronti: una funzione deUa storia. Uno studio d i Pierre VUar permette d i esplicitarne i l principio. A proposito dei lavori d i J . Marczewski e d i J . C. Toutain, egli mostrava g l i errori ai quali potrebbe condurre «l'applicazione» sistematica dei concetti, e anche dei modelli economici contemporanei all'»ancien regime». Ma i l problema era piìi vasto. Per Marczewski, l'economista è caratterizzato daUa «costruzione di u n sistema d i referenze» e lo storico è quello che «si serve della teoria economica». Questo significa porre una problematica che fa d i una scienza lo strumento d i un'altra e che può invertirsi continuamente: i n fin dei conti, chi è quello che «utilizza» e chi è r«utilizzato»? P. Vilar spostava una concezione del genere. Egli suggeriva che la storia ha i l compito d i analizzare le «condizioni» nelle quali questi modelli sono validi e, per esempio, d i precisare «i l i m i t i esatti delle possibilità» d i una «econometria retrospettiva». La storia manifesta u n eterogeneo relativo agli insiemi omogenei costituiti da ogni disciplina, e potrebbe inoltre mettere i n relazione g l i u n i con gli altri i l i m i t i propri a ogni sistema o «livello» d'analisi (sistema econo-

mico, sociale, ecc.) Cosi la storia diviene una scienza «ausiliaria», secondo l'espressione d i Pierre Chaunu Non che essa sia «al servizio» dell'economia, ma la relazione che essa mantiene con differenti scienze le permette d i esercitare i n rapporto a ciascuna d i esse una funzione critica necessaria, e le suggerisce anche i l proposito — aleatorio — d'articolare i n u n insieme i l i m i t i così messi i n evidenza. Ritroviamo la stessa complementarità i n altri settori. I n urbanistica la storia potrebbe, «per differenza, favorire la comprensione della specificità dello spazio che abbiamo i l diritto d i esigere dai responsabUi attuali», permettere «una critica radicale dei concetti operativi dell'urbanismo» e inversamente, rispetto ai modelli d i una nuova organizzazione spaziale, rendere conto delle resistenze sociali mediante l'analisi d i «strutture profonde a lenta evoluzione» Una tattica della variazione specificherebbe l'intervento della storia. Da parte sua, l'epistemologia delle scienze parte da una teoria attuale ( i n biologia, per esempio) e incontra la storia come ciò che prima non era chiarito, o pensato, o possibile, o articolato I l passato v i appare i n primo luogo come «mancante». L'intelligenza deUa storia è legata alla capacità d i organizzare differenze o assenze pertinenti e gerarchizzabili perché relative a formalizzazioni scientifiche attuali. Possiamo generalizzare un'osservazione d i Georges Canguilhem sulla storia deUe scienze i n modo da trarre da questa definizione della storia come

100

«ausiliaria» tutte le conseguenze. I n effetti, la storia sembra avere un oggetto fluttuante la cui determinazione non dipende tanto da una decisione autonoma, quanto piuttosto dalVinteresse e dall'importanza che esso ha per altre scienze. D i fatto, u n i n teresse scientifico «estemo» definisce g l i oggetti che la storia si dà e le regioni a cui essa si dedica successivamente, secondo i campi d i volta i n volta piìi decisivi (sociologico, economico, demografico, culturale, psicanalitico, ecc.) e conformemente alle problematiche che l i organizzano. Ma lo storico assume questo interesse come compito proprio nell'insieme della ricerca. Egli crea così laboratori d i sperimentazione epistemologica Certamente egli può dare una forma oggettiva a questi esami unicamente combinando i modelli con g l i altri settori della sua documentazione su una determinata società. Da qui i l suo paradosso: egli stabilisce u n «gioco» tra formalizzazioni scientifiche adottate i n vista d i u n collaudo, e g l i oggetti non scientifici sui quali pratica questa verifica. Così la storia non perde affatto la funzione che ha esercitato nel corso dei secoli nei confronti di «ragioni» ben diverse e che interessa ciascuna delle scienze costituite: quella di essere una critica.

" Adottando

come

concezione piuttosto superata delle scienze

esatte («la fisica è un corpo di leggi» scrive), P . V E Y N E le oppone una

storia che dovrebbe essere «un

corpo di fatti» {Comment

écrit Vhistoire, op. cit., pp. 21-22). [Trad. ™ Dopo che H E N R I

it.

on

cit.].

B E R B ebbe combinato i l comparativismo, i l

primato del «sociale» e i l «gusto permanente delle idee generali»,

questa «totalizzazione rappresentava u n ritomo allo spirito di sintesi e una reazione contro lo «sbriciolamento erudito» tipico della «storia atomista», piuttosto che la pretesa di instaurare un discorso storico universale. Dopo Mauss, Durkheim, Vidal de L a Blache, essa tende a

far prevalere l'idea di organizzazione

avvenimento. In

«Théorie et pratique de l'histoire»

1965,

pp.

su quella di fatto o di

Cfr. H.-D. M A N N , Lucien Febvre.

139-170),

HENRI-IRENEE

«storia generale» che si difende

. . , op. cit., pp. 73-92.

(nella Revue

MARROU

historique 89,

riprende l'idea

di una

dalla specializzazione dei metodi

e dalla diversificazione delle cronologie secondo i livelli : egli auspica una

«storia totale

che tenda a cogliere nella sua complessità, la

matassa imbrogliata di queste storie particolari» (op. cit., p. 169). " L'oggetto di studio ha. per F . B R A U D E L , i l significato di una «pietra di paragone», un'operazione tattica rispetto a una situazione della ricerca e proporzionata a una «definizione» (della civiltà) essa stessa formulata non come se fosse la più vera, ma «la più agevole da utilizzare,

per continuare

nel migliore dei modi

i l nostro lavoro»

(Écrits sur Vhistoire, op. cit., pp. 288-294; sono io che sottolineo). P I E R R E V I L A R , «Pour une meilleure comprehension

entre eco-

nomistes et historiens, in «Revue historique», 233, 1965, pp. 393-312 [questo articolo è tradotto nell'antologia i n it., trad. cit., pag. 233-254]. PIERRE CHAUNU,

«Histoire quantitative et histoire sérieUe», in

Cahiers Vilfredo Pareto, Genève, Droz, 3, 1964, pp. 165-175. «L'Histoire et la méthode en urbanisme», op. cit.,

'* F . C H O A Y ,

pp. 1151-1153 ( l a sottolineatura è mia). Come suggerisce da parte sua C H R I S T O P H E R 1971,

pp.

6-9,

A L E X A N D E R , De la Synthèse de la Forme,

[trad.

it.

dall'inglese,

CHRISTOPHER

Dunod,

ALEXANDER,

Note sulla sintesi della forma. I l Saggiatore, 1967], è appunto merito di un'esplicitazione logica dell'attuale costruzione

di «strutture

d'insieme» e quindi di una «perdita della sua innocenza» intuitiva, se l'urbanista scopre una pertinenza rispetto alle differenze storiche, sia

per distinguersi dalle concezioni del passato, sia per relativizzare

le sue, sia per articolarle su situazioni complesse che resistono al rigore di un modello teorico. "

Così, M I C H E L F O U C A U L T , «Fino alla fine del X V I I I " secolo la

vita non esiste, ma soltanto esseri viventi» ( L e s Mots et les choses, Gallimard, 1966, p. 173) [trad. it.. Le parole e le cose, Rizzoli, 1971], o FRANQOIS

JACOB, SUU'«inesistenza dell'idea di vita» fino ai primi

101

anni del XIX° secolo (La Logique du vivant, Gallimard, 1970, p. 103): un

esempio tra molti altri. ™ G . GANCUILHEM,

Sciences,

Sur

Etudes

d'histoire

et

de

Vrin, 1968, p. 18. Cfr. les osservazioni di

philosophie

dea

MICHEL FICHANT,

l'histoire des sciences, Maspero, 1969, p. SS. " «A field of epistemological enquiry» scrive GORDON L E F F , ( H i -

story and Social Theory, Alabama, University of A . Press, 1969, p. I ) . Un

esempio tipico, e senza dubbio eccessivamente metodologico, é lo

studio originale di J O H N M C L E I S H (Evangelical Religion and Popular Education,

Londra, Methuen, 1969), che «collauda», una dopo l'altra,

diverse teorie (Marx, Malinowski, Freud, Parsons): egli fa del problema storico (le campagne scolastiche di Griffith Jones e di Hannah More nel X V I I P secolo) a case-study method (op. cit., p. 165), il mezzo per

verificare la validità e i limiti specifici di ciascuna di queste

teorie.

5. Critica e storia Questo lavoro sul limite potrebbe essere reperito altrove, e non solamente là dove si fa ricorso ai «fatti» storici o si trattano «modelli» teorici. Pertanto, se le si accetta, già queste poche indicazioni ci orientano verso una definizione dell'intera r i cerca. La strategia della prassi storica implica uno statuto della storia. Non ci si meraviglierà dunque che la natura d i una scienza sia precisamente i l postulato che è necessario «tirar fuori» dalle sue procedure effettive, e che questo sia i l mezzo d i precisarle. Se cosi non fosse, ogni disciplina sarebbe identificabile a un'essenza, un'essenza che passerebbe attraverso varie tecniche successive, sopravvivendo (non si sa dove) a ciascuna d i esse e che avrebbe con la prassi solamente una relazione accidentale. I l breve esame d i questa prassi sembra permettere d i precisare tre aspetti della storia connessi fra loro: la mutazione del «senso» o del «reale» i n una negatività significativa; la posizione del particolare come limite del pensabile; la composizione d i u n luogo che instaura nel presente la raffigurazione ambivalente del passato e del futuro.

I l primo aspetto suppone u n capovolgimento della conoscenza storica, capovolgimento che data dal secolo scorso. Cento anni fa, questa rappresentava una società come «memoria» del suo divenire. E' vero che la Storia si era frammentata i n una pluralità d i storie (biologiche, economiche, linguistiche, ecc.) ^^ Ma tra queste positività i n frantumi, come tra i cicli differenziati che caratterizzavano ognuna di esse, la conoscenza storica restaurava «l'identico», riferendo i l tutto a una'evoluzione. Essa rifiutava dunque queste discontinuità percorrendole come le figure successive o coesistenti d i uno stesso senso (cioè d i un'orientazione) ed esplicitando i n un testo più o meno teleologico l'unicità interiore di una direzione o d i u n divenire Attualmente, i l suo valore risiede piuttosto nella sua capacità d i misurare esattamente le variazioni — non solamente quantitative (curve demografiche, d i salari o d i pubblicazioni), ma qualitative (differenze strutturali) — i n rapporto a delle costruzioni formali attuali. I n altri termini, ciò che era la forma dell'incipit nei racconti storici antichi è diventato la conclusione: «Una volta, non era come oggi». Coltivata metodicamente, questa distanza è divenuta i l risultato della ricerca, invece d i esserne i l postulato. Quindi i l «senso» è, per ipotesi, eliminato dai campi scientifici mano a mano che essi si costituiscono. La conoscenza storica mette dunque i n luce non u n senso, ma le eccezioni fatte apparire dall'applicazione d i modelli economici, demografici o sociologici a differenti regioni della documentazione. I l

lavoro consiste nel produrre una negatività significativa. Esso è specializzato nella «confezione» d i queste differenze pertinenti che permettono d i «sfornare» programmazioni più rigorose e ne rendono possibile uno sfruttamento sistematico. I l secondo aspetto, non molto diverso dal primo, concerne l'elemento che a ragione viene considerato la peculiarità della storia: il particolare (che G. R. Elton distingue giustamente dall'»individuale»). Pertanto se è vero che i l particolare specifica contemporaneamente l'attenzione e la ricerca storica, ciò non avviene i n quanto esso è u n oggetto pensato, ma perché è al contrario il limite del pensabile. Soltanto l'universale è pensato. Lo storico si situa sulla frontiera dove la legge dell'intelligibilità si scontra con i l proprio limite, cioè con quello che essa è obbligata a superare spostandosi continuamente, e che ritrova continuamente sotto altre forme. Se la «comprensione» storica non si chiude nella tautologia della leggenda e non si rifugia nell'ideologia, essa ha per caratteristica non tanto di rendere pensabili serie d i dati passati al vaglio (anche se è ben questa la sua «base»), quanto piuttosto d i non rinunciare mai al rapporto in cui queste (.uregolaritày) si trovano rispetto alle aparticolaritàyy che sfuggono loro. I l particolare biografico, una toponimia aberrante, una caduta locale dei salari, ecc.: tutte queste forme dell'eccezione, simboleggiate dall'importanza del nome proprio i n storia, rinnovano la tensione tra i l sistema esplicativo e l'aid» ancora inesplicato. Ora, designare r « i d » come u n «fatto» è semplicemente

u n modo d i nominare l'incompreso; è u n Meinen c non u n Verstehen. Ma ciò significa anche mantenere l'impensato come necessario. Senza dubbio bisogna collegare a questa esperienza i l pragmatismo che sonnecchia i n ogni storico, e che traspone rapidamente i n ridicolo Ija teoria. Ma sarebbe illusorio credere che la sola affermazione «è u n fatto», o «è avvenuto», equivalga a una comprensione. Una cronaca o un'erudizione che si accontentino d i sommare delle particolarità, semplicemente ignorano la legge che le organizza. Questo discorso come quello dell'agiografia o dei «fatti d i cronaca» ^, non fa che illustrare secondo mille varianti le antinomie generali proprie a una retorica dell'eccezionale. Esso scade nella banalità della ripetizione, mentre invece la particolarità ha come movente i l fatto d i agire sullo sfondo d i una formalizzazione esplicita; la sua funzione è allora quella d i introdurvi un'interrogazione; e i l suo significato, quello d i r i mandare ad atti, a persone, e a tutto ciò che, i n ultima istanza, resta esterno al sapere come al discorso. 106

I I luogo che la storia crea combinando i l modello con le sue variazioni o operando sulle frontiere della regolarità rappresenta u n terzo aspetto della sua definizione. Esso conta non tanto come riferimento al passato, quanto piuttosto come ^distanza»_. Ecco che una fessura si insinua nella coerenza scientifica del presente: come ciò può avvenire se non mediante qualcosa d i oggettivabile, i l passato^, che

ha la funzione d i significare l'alterità? Anche se l'etnologia ha parzialmente sostituito la storia i n questo compito che consiste nell'instaurare una messa in scena dell'altro nel presente — ed è per questo che le due discipline sono sempre i n stretta relazione tra loro — , i l gassato è innanzitutto i l mezzo per rappresentare una differenza. L'opera"zioni storica consiste nell'isolare nel dato una parte presente distinta dal suo «altro» (passato), nel porsi a distanza rispetto a una situazione acquisita e nel contrassegnare cosi con u n discorso i l cambiamento effettivo che ha permesso questa distanza. Essa ha u n doppio effetto. Da una parte storicizza l'attuale. Propriamente parlando, essa rende presente una situazione vissuta e obbliga a esplicitare i l rapporto i n cui la ragione regnante si trova nei confronti d i un luogo specifico che, per opposizione a u n passato, diviene i l presente. Una relazione d i reciprocità tra le legge e i l suo limite genera simultaneamente la differenziazione d i u n passato e d i u n presente. Ma d'altra parte, la figura del passato conserva i l suo valore primario che consiste nel rappresentare ciò che manca. Con u n materiale che, per i l fatto d i essere oggettivo, si trova necessariamente qui, ma i n forma tale da connotare u n passato nella m i sura i n cui rinvia innanzitutto a un'assenza, l'operazione storica introduce anche la «fessura» d i u n futuro. E' noto che u n gruppo può esprimere ciò che si trova davanti — ciò che manca ancora — soltanto

tramite una ridistribuzione del suo passato. Così la storia è sempre ambivalente: i l posto ch'essa crea per i l passato è ugualmente una maniera d i fare posto a un avvenire. Come tra l'esotismo e la critica i n virtìi di una messa i n scena dell'altro, essa oscilla tra i l conservatorismo e l'utopia i n v i r t i i della funzione che essa ha di significare una mancanza. Nelle sue forme estreme diviene, nel primo caso, leggendaria o polemica; nel secondo, reazionaria o rivoluzionaria. Ma questi eccessi non possono far dimenticare ciò che è scritto nella sua prassi più rigorosa, che consiste nel simbolizzare il limite e quindi rendere possibile un superamento. Perfino i l vecchio slogan delle «lezioni della storia» riprende u n nuovo significato i n questa prospettiva, se, lasciando da parte u n modo di pensare da «eredi», si identifica la «morale della storia» con l'interstizio creato nell'attualità dalla rappresentazione delle differenze. ™ Cfr. le considerazioni dello stesso tipo di M I C H E L F O U C A U L T , «L'Histoire» ( i n Les Mots et les choses, op. cit., pp. 378-385) sul legame tra la riduzione della Storia in varie storie positive particolari (della natura, della ricchezza o del linguaggio) e la condizione di possibilità comune a tutte quante - la storicità o la condizione, di finitezza dell'uomo. 108

" D a tempo, storici e teorici americani hanno manifestato la loro

riserva

Meaning

of History, C.

nei confronti

dell'uso

«pericoloso»

delle

nozioni di

o Significance in storia. Cfr. P A T R I C K G A R D I N E R , Theorìes New York, T h e Free Press,

DANTO, Analytical Philosophy

1967, pp. 7-8; A R T H U R

of History,

Cambridge, University

Press, 1965, pp. 7-9; ecc. [trad. it., A . C . DANTO, La filosofia analitica della storia. I l Mulino, 1971]. Cfr.

ROLAND

BARTHES,

«Structure du fait-divers», in Essais

critiques Seuil, 1964 [trad. it., R . B A R T H E S , Saggi Critici, 1966] e M I C H E L

Universalis,

DE CERTAU,

voi. 8, 1971.

art. «Hagiographie», in

Einaudi,

Encyclopaedia

I I I . Una

scrittura

La rappresentazione - messa i n scena letteraria è effettivamente «storica» solo se si articola su un luogo sociale dell'operazione scientifica, e se è tecnicamente connessa a una prassi della variazione i n rapporto ai modelli culturali o teorici contemporanei. Non si può parlare d i racconto storico là dove la relazione a u n corpo sociale e a un'istituzione del sapere non è esplicitata. Non solo, ma occorre che ci sia «rappresentazione». Bisogna che lo spazio di una raffigurazione sia composto. Anche se si lascia da parte tutto ciò che concerne un'analisi strutturale del discorso storico i n senso stretto *\a da esaminare l'operazione che fa passare dalla prassi investigatrice alla scrittura.

"

A questo proposito, cfr. R O L A N D

l'histoire» in Social Science

B A R T H E S , «Le Discours de

Information,

V I , 4,

1967,

pp. 67-75;

M. D E C E R T A U , «L'histoire, discours et realité», in Recherches science

religieuse,

GuTTGEMANS,

58,

«Texte

1970, et

pp. 500-510;

histoire,

Poétique generative» in Linguistica

e soprattutto

catégories Biblica

de

ERHARDT

fondamentales

(Bonn), n. 11,

d'une 1972.

1 . L'inversione

caratteristica della

scrittura.

I l «Writing» ^ o la costruzione di una scrittura (nel senso generico di un'organizzazione d i significanti) è u n passaggio strano sotto molti aspetti. Esso conduce dalla prassi al testo. Una trasformazione assicura i l passaggio dall'indefinito della «ricerca» a quella che H . I . Marrou definisce «servitù» della scrittura «Servitù», i n effetti, poiché la fondazione d i uno spazio testuale comporta una serie di distorsioni rispetto alle procedure dell'analisi, come se, con u n discorso, essa ponesse una legge contraria alla prassi.

112

I l primo condizionamento del discorso consiste nel prescrivere come inizio ciò che è i n realtà u n punto d'arrivo della ricerca: mentre questa si inìzia nel presente di u n luogo sociale particolare e opera con un apparato istituzionale o concettuale tratto dall'attualità, l'esposizione segue u n ordine cronologico, e prende come punto di partenza i l più antico. Inoltre, divenendo testo, la storia obbedisce a u n altro condizionamento: la priorità che la prassi concede a una tattica della variazione (rispetto ai «modelli») sembra contraddetta dalla

conclusione imposta al libro o all'articolo, cioè da una struttura d'arresto che fa rifluire i l movimento e lo fissa nell'organizzazione d i unità architettonimente coordinate. Infine, (se ci si limita a qualche esempio) U discorso rappresenta ciò che, nella prassi, «avviene» sotto i l segno della differenza, della mancanza o dell'assenza: la messa i n scena storiografica è corredata d i nomi propri, d i raffigurazioni o d i racconti destinati a rendere presente al lettore ciò che la prassi trova solamente come u n limite e un passato. Da questi pochi tratti - l'inversione dell'ordine, la «chiusura» del testo, la rappresentazione del passato - si misura la «servitù» che i l discorso i m pone alla ricerca. Ciò che la prassi storica compie avrebbe dunque la sua immagine rovesciata nello specchio della scrittura storiografica? E' ciò che succede i n effetti quando la scrittura si distacca dalla prassi, e si contenta d i essere lo «specchio della storia». M a , reciprocamente, che cosa produrrebbero i procedimenti critici della ricerca se essi non dessero luogo a una simbolizzazione della mancanza, se non permettessero d i trasportare nel discorso ciò che non si trova più nell'attualità, se, i n altri termini, non si articolassero su u n linguaggio organizzato? Non si tratta d i riprendere qui i processi intentati contro la letteratura da leggenda degli «specchi della storia» (spesso accusata con leggerezza d i non essere «seria» per i l fatto d i non essere valutabile i n termini d i anni d i ricerca e non conforme alle

113

leggi dell'ambiente: essa è seria, ma come «favola» piuttosto che come storia). Si tratta d i analizzare in quale rapporto la prassi sta rispetto alla scrittura e che cosa quest'ultima ci insegna sull'operazione storica.

114

" I n The Practice of History, 1970,

pp. 88-141), G . R . E L T O N

(New York, T . Y . Crowell Co., dedica alla scrittura - Writing

-

la parte centrale della sua analisi. " H E N R I - I R E N E E M A R R O U , De la connaissance historique,

Seuil.

19o4, p. 279 [trad. it.. La conoscenza storica, I l Mulino, 1968, 3° ed.].

2. La cronologia del discorso

o il ritorno

della legge: Vordine

I n Occidente, la cronologia è ben lontana dall'essere la sola legge suscettibile d i reggere l'ordine dell'esposizione. I l cinema e i l romanzo hanno reso possibili dei modi d i esporre diversi, e del resto già nell'antica storiografia se ne trovano a l t r i . Tuttavia questa norma fa autorità e, come indice d i una funzione della scrittura, ha valore paradigmatico. Ciò che la cronologia comporta precede la classificazione i n unità d i tempi e d i luoghi. Essa è la condizione d i possibilità deUa suddivisione i n periodi, regioni o livelli, secondo cui i l discorso è organizzato, e stabilisce nel testo la proiezione rovesciata del tempo che, nella ricerca, va dal presente al passato. L'esposizione storica suppone dunque una dis-orientazione del tempo, un cambiamento della sua orientazione. E' questo «momento» d i rovesciamento, se pur contraddistinto, che, solo, sembra rendere possibile l'articolazione della prassi suUa scrittura. E' vero che indica un'ambivalenza del tempo ma i l problema che ci si pone qui è principalmente i l problema di u n nuovo inizio: dove

115

comincia la scrittura? Dove cioè, si colloca la scrittura perché ci sia discorso storico? A prima vista, essa riporta i l tempo verso i l luogo del lettore. Tutta la storia scritta va verso d i l u i . Che partecipi o no a una tematica del «progresso», che si diffonda sulle lunghe durate o racconti una successione d i episteme, quale che sia insomma i l suo contenuto, i l punto d'arrivo del racconto è i l presente. La scrittura orienta e conduce i l lettore verso i l suo presente, offrendogli u n cammino più o meno lungo da percorrere sulla traiettoria cronologica (la storia d i u n secolo, d i u n periodo o d i una serie d i cicli). I l luogo i n cui «ha luogo» i l discorso diventa situazione «acquisita». Il

racconto ha tuttavia la sua duplicità. Cos'è dunque ciò che esso fa così «venire»? La cronologia esplicita del testo storiografico non è che u n segmento i n u n ordine più vasto (per esempio, si descrive l'evoluzione della Linguadoca dal XV° al X V I I F secolo). Da una parte essa considera i l presente attraverso una distanza lasciata i n bianco ma cifrabile (dal X V I I F secolo ai nostri giorni). Dall'altra suppone una serie anch'essa finita benché incerta e si collega i n ultima istanza al concetto vuoto e necessario d i u n punto zero che renda possibile u n ordine temporale. I l racconto riconduce dunque su tutta la superficie della sua organizzazione attuale questa incognita iniziale, che è la condizione d i possibilità della sua storicizzazione. Permettendo all'attualità d i classificarsi, d i inscriversi nel tempo e infine di

simbolizzarsi, esso la colloca i n una relazione «necessaria a un «inizio» che non è niente - o che non è altro che u n puro limite. I l «farsi» del racconto si attua i n u n tacito rapporto a qualcosa che non può aver luogo nella storia, e senza d i cui tuttavia non ci sarebbe una storiografia. La scrittura disperde nella messa i n scena cronologica la referenza d i tutto i l discorso a u n impensato che è i l postulato della rappresentazione. Questo non luogo è l'intervallo tra la prassi e la scrittura. La cesura qualitativa tra l'una e l'altra è senza dubbio manifestata dal fatto che la scrittura snatura e inverte i l tempo deUa prassi, ma solo u n silenzioso passaggio al limite pone effettivamente la loro differenza. U n grado zero del tempo articola l'una sull'altra la prassi e la scrittura. E ' la soglia che conduce dalla «confezione» dell'oggetto alla costruzione del segno. Questo «qualcosa» d'impensato che «ritorna» non è che u n indice e tuttavia già segna i l ritomo mascherato d i u n passato straniero. «Inquietante familiarità» (Unheimlichkeit) della storia. Si tratta sempre della storia d i qualcuno che «viene dall'altro mondo»! Presente dappertutto ma censurata, un'altra scena sorge non si sa dove. Wo es war, soli ich werden, scriveva Freud: « Je dois devenir là ou c'était» Tale sembra essere la «morale» segreta d i questa storia. Una determinazione originaria si insinua attraverso la datazione. U n passato che non ha nome

118

proprio (es war) trova posto nella rappresentazione d i u n progresso. U n «precedente» (irriducibile all'unità nazionale, sociale o economica d i cui il racconto fa l'apologia) si impone al racconto come una legge dell'altro ^. « La legge si avvalora sempre mediante ciò che viene scritto» Se dunque la scrittura risidta da un'operazione che ha i l suo inizio nel presente, simultaneamente essa la rovescia mediante la cronologia, poiché essa ripete u n altro inizio che, stavolta, non si può nè datare nè ripristinare, e che è postulato dallo spiegarsi, a prima vista così semplice, deUa cronologia Essa attribuisce al «tempo che viene» della storiografia l'ombra d i u n tempo interdetto: l'assenza da c u i comincia ogni letteratura; una morte senza morte che è i l luogo ambiguo dove l'origine del desiderio inverte i l modo i n cui si enunciano u n «senso» (una direzione) e una comprensione presente. La scrittura sostiene le contraddizioni d i questo tempo instabile; i n questo essa è u n testo. Essa è menzogna e finzione, cioè tradimento, ma solo i n quanto ristabilisce l'ambivalenza - «lavoro della negazione» nell'universale, diceva Maurice Blanchot, poiché i l linguaggio dello scrittore «non presenta rendendolo presente ciò che mostra, ma mostrandolo dietro i l tutto, come i l senso e l'as - senza d i questo tutto»

" Cfr. per esempio le osservazioni di ANDBÉ V I R E L , « D U chronique au chronologique», ( i n Histoire

de notre

image, Mont-Blanc,

1965, pp. 109-141), in particolare sul «tempo non orientato e l'ambivalenza». ^ S I G M U N D F R E U D , Gesammelte commenti

di J A C Q U E S

LACAN,

864-867. [ D i J . L A C A N , scritti,

col titolo.

linguaggio,

Werke,

Écrits, Seuil,

voi. 5, p. 86. Cfr., i 1966, pp. 416-418 e

è stata tradotta in italiano una scelta di

La cosa freudiana e altri scritti.

Psicanalisi e

Einaudi, 1972; i commenti a cui si accenna nella nota

non sono tuttavia inclusi in questa antologia. S i è preferito lasciare la frase in francese per l'ambivalenza di una trad. i t . ] . "

Cfr. a questo

prostito

JEAN

LAPLANCHE

e

J . B.

PONTALIS,

«Fantasme originaire, fantasme des origines, origine du fantasme», in

Les Temps

sulla

Modernes,

19. 1964, pp. 1832-1868. Questo

studio

«messa in scena del desiderio» nella sequenza di immagini

chiarisce anche i problemi aperti dal discorso storico. «Il soggetto può presentarsi i n una forma desoggettivizzata,

cioè nella sintassi

stessa della sequenza in questione». «Il desiderio si articola nella frase del fantasma che è i l luogo di elezione delle più primitive operazioni difensive quali i l ritorcersi contro se stessi, i l rovesciamento nel contrario, la proiezione, la degenerazione» op. cit., p. 1868. I l racconto storico presenta anche, a livello di messa in scena, questi caratteri del fantasma. " MAURICE

BLANCHOT,

L'Entretien

infini,

Gallimard, 1969,

p. 625. " PHIHP RIEFF

ha particolarmente insistito sulla ripresa e la

ripetizione che caratterizzano il «model of time» freudiano; cfr. «The authority of the Past» in Freud:

The Mind

of the Moralist, New

York, Viking Press, 1959; «The Meaning of History and Religion in Freud's Thought» in B R U C E M A Z L I S C H , History,

( E d . ) Psychoanalysis and

Englewood Cliffs, N . J . 1963, pp. 23-44 ecc. [trad. it. sullo

stesso tema, P H . R I E F F , Gli usi della fede dopo Freud,

I . L . I . , Mon-

dadori, 1966]. " MAURICE Critique

BLANCHOT,

«Le Règne

animai

de l'Esprit», in

n. 1., 1947, pp. 387-405, e «La littérature et le droit à la

mort», i n Critique n. 20, 1948, pp. 30-47.

3 . Le aunità» storiche: dei concetti.

la costruzione

e

Verosione

La storia scritta sarebbe soltanto u n mito se i l suo fine fosse d i mettere i n scena un'origine necessaria e perduta, ordinandosi cosi i n funzione d i u n avvenimento che non ha avuto luogo D i fatto, essa non parla dell'origine, la cancella, al contrario, ma come u n vuoto sul quale si articola un lavoro. Essa mette i n gioco, certo, l'Eros dell'origine (la seduzione dell'inizio), ma solo per svelarne l'inganno. I n questo modo, diventa «scientifica». L'assenza non è né l'oggetto del discorso, né i l suo referente, ma la condizione alla quale i l discorso rimanda tramite la sua stessa organizzazione. Si tratta ora d i determinare questa organizzazione; che mette i n causa i l modo i n cui i l racconto è costruito. Sarà uno dei suoi elementi a servirci da test: i «concetti» storici. La composizione si compie i n effetti grazie a una suddivisione d i unità. Prima d i tratteggiarne i l funzionamento, notiamo innanzitutto che, nel suo insieme, questa costruzione si coUoca ancora una volta i n relazione al suo altro, l'avvenimento Ma mentre prima questa legge

si accordava tacitamente con la cronologia, q u i essa è rappresentata dal testo. Che cos'è dunque l'avvenimento, se non ciò che bisogna supporre affinchè un'organizzazione d i documenti sia possibile? Esso è i l mezzo grazie al quale si passa dal disordine a un ordine. Esso non spiega affatto: permette la spiegazione. Autorizza a porre un'intelligibilità. E' lo strumento - ma spesso anche la spiegazione troppo facile - della comprensione. «Deve essere successo qualcosa» là, e grazie a questo qualcosa si possono costruire delle serie, o passare da una regolarità all'altra. Lontano dall'essere i l piedistallo o i l punto d i riferimento fondamentale intorno al quale si disporrebbe la documentazione, l'avvenimento è i l supporto ipotetico d i u n ordine determinato, e contemporaneamente una semplice localizzazione del disordine. Con questo procedimento, una volta posta r« inquietante familiarità» nella casella vuota chiamata «avvenimento», diviene pensabile una «ragione» della storia. I n altre parole, l'architettura seriale o ideologica opera suUa contraddizione insita nell'avvenimento come su u n limite che essa circoscrive per edificarsi. La proporzione d i questi due elementi varia secondo U tipo d i discorso storico (dalla cronaca all'analisi strutturale), ma essi sono necessari l'uno all'altro; una strana reciprocità vuole che l'uno si ponga unicamente nel rapporto al suo altro. Nessuna storia sfugge a questa struttura che «sistema» «l'inquietante familiarità» i n u n luogo utile alla ragione, e che esorcizza l'incompreso per trasformarlo i n mezzo d i comprensione. Perfino U discorso più sin-

121

cronico, ammesso che riuscisse a cancellare l'avvenimento, lo ritroverebbe sotto la forma dei l i m i t i e delle varie sfaccettature che esso stesso crea: i l posto vuoto non ha più contenuto; è lasciato i n bianco eppure continua a funzionare. Inversamente la cronaca organizza d i fatto g l i «avvenimenti» che v i si accumulano secondo u n ordine che è reso ancor più costrittivo dal fatto d i non essere esplicito, tanto che i l puro discorso dei «fatti diversi» è alla fine i l più docile alle leggi d i una retorica: ed è i l meno «storico», precisamente perchè l'avvenimento è solamente portato alla superficie del testo, e non esercita più la sua funzione che consiste nel permettere a u n ordine d i articolarsi.

122

Quando questo ordine non è più considerato solamente dal punto d i vista d i ciò che è la condizione della sua possibilità - l'avvenimento -, esso si presenta come un'organizzazione d i unità storiche. La messa i n scena della scrittura è assicurata da u n certo numero d i suddivisioni. A queste unità, Frangois Chatelet dà i l nome d i «concetti», ma si tratta di concetti «che si potrebbero definire, per analogia con l'epistemologia delle scienze della natura, categorie storiche»'^.. Esse sono d i t i p i molto diversi: cosi i l perìodo, i l secolo, ecc., ma anche la mentalità, la classe sociale, la congiuntura economica, oppure la famiglia, la città, la regione, i l popolo, la civiltà o ancora la guerra, l'eresia, la festa, la malattia, H libro ecc., senza parlare d i nozioni come l'Antichità, VaAncien Régimeìì, le ccLumièresy),

ecc. Queste unità comportano spesso combinazioni stereotipate. U n montaggio senza sorprese dà la serie: vita-opera-pensiero, ovvero l'equivalente collettivo: vita economica - vita sociale - vita intellettuale. U n «livello» si sovrappone all'altro. U n concetto si incastra nel precedente. Ogni codice ha la sua logica. Non è i l caso d i ritornare qui sui condizionamenti sociali o sulle necessità teoriche e pratiche della programmazione che intervengono nella determinazione d i queste unità; si tratta piuttosto di coglierne i l funzionamento a livello d i scrittura. Ora, sembra talvolta che l'organizzazione d i questi «concetti» sia fatta scattare quasi automaticamente dal titolo stesso del testo e che essa non sia altro che una cornice, piìi o meno artificiale (poco importa, del resto), entro cui ammassare i tesori dell'informazione. Secondo questa concezione, le unità formano come i compartimenti d i una bancarella che devono essere t u t t i riempiti. I n ultima analisi, esse sono i n differenti alle ricchezze che portano: nel negozio della storia, è solo i l contenuto che conta, e non la presentazione (a condizione che essa sia chiara e classica). Ma questo significa rendere (o credere) inerte la composizione storiografica, come se essa si limitasse a concludere la ricerca per sostituirla con i l momento dell'addizione, del fare la somma del capitale acquisito. La scrittura consisterebbe nel «mettere u n finale». I n realtà niente d i tutto questo nel discorso storico, discorso che impone regole diverse da quelle della prassi, ma complementari, queMe d i un

testo che organizza dei luoghi in vista di una produzione.

124

I n una parola, la scrittura storica compone con u n insieme coerente d i grandi unità una struttura analoga all'architettura dei luoghi e dei personaggi nella tragedia. Ma i l sistema d i questa messa i n scena è lo spazio dove i l movimento della documentazione, cioè delle piccole unità, semina i n questo ordine i l disordine, sfugge aUe divisioni stabilite e opera una lenta erosione dei concetti organizzatori. I n termini approssimativi, si potrebbe dire che i l testo è i l luogo dove si effettua un operare del «contenuto» sulla forma. Per riprendere l'espressione più precisa d i Roussel, esso « produce distruggendo». Mediante la massa mobile e complessa che getta nella costruzione storiografica e che v i si agita, l'informazione sembra comportare un'usura delle divisioni classificatorie che pure costituiscono la «posizione» del sistema testuale. I n f a t t i , i l discorso non è più «tenuto» se l'organizzazione strutturale viene a crollare, ma si tratta d i u n discorso storico nella misura i n cui u n lavoro sposta e corrode l'apparato concettuale pur necessario alla formazione dello spazio che si apre a questo movimento. Costruzione ed erosione delle unità: ogni scrittura storica combina queste due operazioni. E ' necessario porre un'architettura economica o demografica affinché appaiano dei movimenti che la rendano elastica, la spostino e rimandino infine a u n altro i n sieme (sociale o culturale). Bisogna tracciare delle

divisioni entro un'unità geografica (regionale e nazionale), perchè si manifesti ciò che le sfugge da tutte le parti. La costituzione d i «corpi» concettuali mediante un'operazione d i suddivisione è insieme la causa e i l mezzo d i una lenta emorragia. La struttura di una composizione non trattiene ciò che essa rappresenta, ma tuttavia essa deve «tenere» affinché i n questa «fuga» siano veramente messi i n scena i l passato, i l reale o la morte d i cui i l testo parla. Cosi si trova simbolizzata la relazione del discorso con ciò ch'esso designa e perde, cioè con i l passato che i l discorso non è, ma che non sarebbe pensabile senza la scrittura che articola delle composizioni sulla loro erosione. La combinazione d i tagli (le macro-unità) e d i usure (lo spostamento dei concetti) ha qualcosa di strano. Certamente è qualcosa d i piti d i uno schema astratto. Si tratta del resto d i qualcosa che non concerne la struttura del discorso stesso e che non descrive un solo aspetto della scrittura. Ma si può riconoscerlo fin nei testi piti importanti della storiografia francese contemporanea. Per spiegare l'apparizione di una coscienza nazionale i n Catalogna - problema fatto emergere da uno studio socio-economico d i questa regione - Pierre Vilar stabilisce una connessione tra mercantilismo (al quale è legata la formazione d i una classe dirigente) e nazionalismo (strumento utilizzato da questa classe per fondare una dominazione politica). U n «luogo» economico è la base d i un'analisi che può essere straordinariamente feconda. Ma v i si producono delle infiltrazioni: così,

la constatazione che U nazionalismo cresce con la coscienza infelice d i una nazione minacciata Questo intervento d i u n elemento eterogeneo non instaura né un'altra divisione concettuale, né tanto meno una storia globale. Esso «fa muovere» la messa i n scena iniziale del testo. U n esempio fra tanti del lavoro di erosione che si opera i n una composizione costruita su una solida argomentazione, e questo proprio perchè la composizione non è u n quadro inerte. Possiamo definire ancora come erosione i l movimento che fa spostare l'unità d i Beauvais fermamente delineata dallo «studio regionale» d i Pierre Goubert, spingendola alternativamente verso la Beauce o verso la Piccardia ^. I l lavoro che sposta i l luogo e lo fonde con ciò che era distinto abbozza nel testo una sparizione (mai totale) dei concetti, come se esso portasse la rappresentazione (sempre mantenuta finché si dà un testo) fino al limite dell'assenza che essa designa. * Su questa concezione del mito, cfr. C L A U D E R A B A N T , in Esprit, mai

1971.

" Dal punto di vista della scrittura, distinguo gli avvenimenti dai

fatti storici : i primi svolgono i l ruolo di una puntualizzazione

rispetto a delle continuità o a delle relogarità; i secondi costituiscono piuttosto un dizionario di «dati» in un tipo di discorso storico. FRANCOIS Cfr.

C H A T E L E T , Naissance de l'histoire,

a questo proposito C H A Ì M

PERELMAN,

1 9 6 2 , p. 1 1 5 .

in Les Catégories en

histoire. E d . dell'Istituto di sociologia. Università libera di Bruxelles, 1969,

pp.

Cfr.

11-16.

supra, «Un luogo», pp. 3 - 1 6 .

" Cfr. supra, «Una prassi», pp. 1 6 - 3 5 . ^ P I E R R E V I L A H , La Catalogne dans l'Espagne moderne, op. cit., t. I . pp. 2 9 - 3 8 .

" P I E R R E G O U B E R T , Beauvais et le Beauvaisis de 1600 a 1730, Sevpeu,

1960,

p.

123-138,

413-419,

ecc.

4. La denominazione lizzazione.

dell'assente, sepoltura e simbo-

Terzo paradosso della storia: la scrittura mette i n scena una popolazione d i morti - personaggi, mentalità o prezzi. Su registri diversi e con diversi conten u t i , essa resta legata alla sua archeologia dell'inizio del X V I F secolo («uno dei punti zero della storia d i Francia» dice P. Ariès) alla «galleria d i storia» quale la si vede ancora nel castello d i Beauregard " : una serie d i r i t r a t t i , d i effigi o d i emblemi dipinti sul muro prima ancora d i essere descritti dal testo. Essa ri-presenta dei m o r t i , è i l luogo che è loro offerto - u n ostensorio che si organizza i n epifania intorno all'assente, intorno a u n vuoto centrale. M o l t i indizi attestano i n storia questa struttura a «galleria». Per esempio la moltiplicazione dei «nomi propri» (personaggi, località, monete, ecc.) e la sua ripetizione negli «Indici dei nomi propri»: ciò che prolifera cosi nel discorso storico sono questi elementi «al d i qua dei quali l'unica cosa possibile è mostrare» ^ e attraverso cui i l dire è al suo limite, là dove si confonde quasi col mostrare. I l sistema significante con questi nomi propri si ingrossa smisuratamente ad una estremità, come se l'assenza stessa d i cui esso

tratta facesse inclinare dalla parte dove i l «mostrare» tende a sostituirsi al «significare». Ma ci sono molti altri indizi: i l ruolo della carta geografica, della figura o del grafico; l'importanza delle vedute d i assieme o delle «conclusioni» ricapitolatrici, i paesaggi che costellano i l libro, ecc., t u t t i elementi estranei al trattato d i sociologia o d i fisica. Bisogna d i nuovo riconoscere a questi tratti un'inversione letteraria dei procedimenti propri alla ricerca? I n effetti la prassi trova i l passato alla maniera di una variazione pertinente relativa a dei modelli presenti. I n realtà, la funzione specifica della scrittura non è contraria, ma diversa e complementare rispetto a quella della prassi. Essa può essere precisata sotto due aspetti. Da una parte, nel senso etnologico e quasi religioso del termine, la scrittura svolge i l ruolo di un rito di sepoltura; esorcizza la morte introducendola nel discorso. D'altra parte, essa ha una funzione simbolizzatrice; permette a una società d i situarsi dandosi nel linguaggio u n passato, aprendo così al presente uno spazio proprio: «contrassegnare» un passato significa costituire u n possibile - u n possibile che resta non detto essendo ancora da fare. La prassi storica «fa» delle differenze. La scrittura opera la metamorfosi di questo lavoro, facendo di queste differenze l'oggetto stesso del discorso. Mentre nel lavoro scientifico i l passato appariva sotto forma di «distanza», qui esso occupa nel testo i l posto sovrano del soggetto. Ma questo perchè si è operata una conversione a livello della scrittura. I n f a t t i ,

mentre la ricerca effettuava una critica dei modelli presenti, la scrittura costruisce u n «sepolcro» per la morte. I l posto fatto al passato funziona dunque, da una parte e dall'altra, su due tipi diversi d i operazione, l'una tecnica, l'altra a livello d i scrittura. E ' solamente attraverso questa differenza d i funzionamento che si può ritrovare un'analogia tra le due posizioni del passato - nella tecnica deUa ricerca e nella rappresentazione del testo. La scrittura parla del passato solo per sotterrarlo. Essa è u n sepolcro nel senso che con lo stesso testo onora i l passato e insieme lo elimina. Qui, i l linguaggio ha la funzione d i introdurre nel «.direi) ciò che non si fa più. Esorcizza la morte e la «sistema» nel racconto, secondo u n processo che si ripete i n molti altri modi non scientifici, dall'elogio funebre alla sepoltura. Ma a differenza d i altri «sepolcri» artistici o sociali, i l rito del ricondurre i l «morto» ovvero i l passato i n u n luogo simbolico qui si articola su u n lavoro che mira a creare nel presente u n posto vuoto (passato o f u turo). La scrittura raccoglie i l prodotto d i questo lavoro. Essa elimina inoltre, parzialmente, l'ambivalenza d i questo prodotto assumendo u n «passato», installandolo nel linguaggio come tale. I n questo modo essa libera i l presente, senza bisogno d i nominarlo. Così possiamo dire che la scrittura produce dei morti affinché altrove ci siano dei v i v i . Più esattamente, essa riceve i morti prodotti da un cambiamento sociale, affinché lo spazio aperto da

129

questo passato sia contrassegnato, e tuttavia resti possibile articolare ciò che appare su ciò che scompare. Nominare g l i assenti della casa e introdurli nel l i n guaggio della memoria, significa liberare l'appartamento per i v i v i , con u n atto d i comunicazione che combina all'assenza dei vivi nel linguaggio l'assenza dei morti nella casa. Una società si dà così u n tacito presente grazie a una scrittura storica. L'instaurazione letteraria d i questo spazio fa esattamente quello che faceva la prassi storica. Sostituto dell'essere assente, «isolamento» del triste spirito della morte, U testo storico ha inoltre u n ruolo simbolico. I l linguaggio permette a una prassi attuale d i situarsi i n rapporto al suo altro, i l passato. Certamente la ricerca può essere enunciata letterariamente solo nei termini d i questo rapporto. I n sè, essa non è oggetto d i descrizione. D i per sè, la prassi é silenzio. Essa non è direttamente introdotta nel discorso, appunto perché se ne distingue, ponendo cosi i l discorso come i l suo altro. Tuttavia, bisogna che questa assenza venga delineata da qualche parte perché una distanziazione diventi possibile. I l morto importuna i l vivo, se non è simbolizzato nel linguaggio. L'angoscia trionfa quando la mancanza non può avere né luogo né rappresentazione. Che questa simbolizzazione mediante i l linguaggio sia la condizione d i u n fare e insieme la denegazione d i un'assenza, che essa funzioni d i volta i n volta come una possibilità (quando i l dire storico apre al fare t m presente) o come u n alibi

(quando scambia per u n terreno reale la localizzazione letteraria d i ciò che non è più), questo è u n problema che concerne i l lettore e l'autore, e non direttamente l'operazione storica. Ma nella scrittura, i n quanto questa conclude l'operazione storica, bisogna almeno notare l'ambivalenza tra atteggiamento blasfemo e curiosità, tra ciò che essa elimina costituendolo come passato e ciò che essa schiude come ancora assente, tra la privazione che postula e la costruzione che permette: mediante t u t t i questi aspetti combinati nella messa i n scena letteraria, la scrittura simbolizza i l desiderio costituito dalla relazione con l'altro che manca. Essa è i l marchio d i questa legge. Non è sorprendente che qui sia i n gioco ben altro che la sorte o la possibilità d i una «scienza obiettiva». Nella misura i n cui i l nostro rapporto con i l linguaggio è sempre u n rapporto con la morte, i l discorso storico è la rappresentazione privilegiata d i una «scienza del soggetto» e del soggetto «preso i n una divisione costitutiva» ™ - ma con una messa i n scena delle relazioni che un corpo sociale stabilisce col suo linguaggio. Negli anni f u t u r i sarà certamente compito della storia elaborare la sua operazione e i l suo statuto non più i n funzione d i u n «oggetto» o d i una «realtà», ma come trasformazione e come organizzazione d i linguaggio. I l fenomeno storico definito dallo Zeitgeist del romanticismo non è più u n referente epistemologico. Ormai, è i n rapporto al linguaggio, dove essa si inscrive come transfert particolare o

come discorso specifico, che la storia può essere definita. Ma una determinazione essenziale sembra caratterizzare tutte le sue operazioni. Ernest Labrousse la preannunciava nel settore della storia sociale, ed ecco che essa si estende via via a tutta l'epistemologia storica. ((Volete che v i dica la verità»? diceva. ((Ebbene, è che noi abbiamo fatto fino ad oggi la storia dei Movimenti, mentre non abbiamo fatto abbastanza la storia delle Resistenze» Veduta profetica, se è permesso d i usare questa parola a proposito d i uno storico. Da allora, i n effetti, la storiografia si trasforma lentamente. Attraverso i suoi obiettivi, ma anche e soprattutto attraverso i suoi metodi, i fenomeni d'eccezione, d i latenza e d i resistenza che la storia esplicita nei confronti dei modelli o delle organizzazioni del presente, le assegnano un posto nuovo nel complesso della ricerca: quello di una critica relativa a dei luoghi, quella d i una distanza proporzionata a delle programmazioni. Si tratta d i u n posto ambivalente, poiché essa può regredire o far progressi. Ma l'operazione storica ha assunto l'aspetto d i un lavoro ai limiti. Sotto questa modalità contemporanea, essa r i trova quindi l'atteggiamento che Georges Bataille scopriva alle origini dell'umanità», i n ((un tempo i n cui g l i esseri umani non conobbero altra superiorità che la superiorità sulla morte» M I C H E L DE C E R T E A U

" P H I L I P P E A R I È S , L e Temps de l'Histoire, *

C f r . P . A R I È S , op. cit., pp. 1 9 5 - 2 1 4

op .cit., p. 1 5 5 .

su queste

«gallerie di

storia» o collezioni di ritratti storici. " CLAUDE 285, Il

LÉVI-STRAUSS,

La Pensée sauvage,

Plon, 1 9 6 2 , p.

a proposito dei nomi propri [trad. i t . . Il pensiero Saggiatore,

selvaggio.

1965].

™ I l «Tombeau» é un genere letterario o musicale dal XVII° secolo. A questo genere appartiene anche i l racconto storiografico. [ I n it. del

la traduzione richiama erroneamente, per omonimia, u n genere Romanticismo]. JACQUES

LACAN,

Écrits, Seuil,

1 9 6 6 , p.

8 5 7 , Cfr. op. cit.,

p. 8 5 9 : «Non esiste scienza dell'uomo, perché l'uomo della scienza non esiste, ma soltanto i l suo soggetto». E R N E S T L A B R O U S S E , in L'Historie sociale. Sources et méthodes, op. cit.. GEORGES

B A T A I L L E , «Le Berceau de L'Humanité. L a Vallee

de la Vézère», i n Tel quel, n . 4 0 , 1 9 7 0 , p. 37.

133

INDICE

5 33 39 42 47 57 65 69 76 80 89 95 103

Introduzione di Luigi Blandini L'operazione storica I . Un luogo sociale 1. I l non detto 2. L'istituzione storica 3. Gli storici nella società 4. Permettere e interdire: i l luogo I I . Una prassi

1. L'articolazione natura-cultura 2. La costituzione delle fonti, ovvero la ridistribuzione dello spazio 3. Evidenziare le differenze: dal modello aUa variazione 4. I l lavoro sul limite 5. Critica e storia

109 I I I . Una scrittura 1. L'inversione caratteristica della scrittura 112 2. La cronologia o i l ri tomo della legge: ^ 115 l'ordine del discorso 3. Le unità storiche: la costruzione 120 e l'erosione dei concetti 4. La denominazione dell'assente, sepoltura 127 e simbolizzazione

1

^

Finito il 28 i tipi

delle

di

stampare

dicembre Arti

1973

Grafiche

AGE/Urbino

Editonali

Dopo aver insegnato «Storia e psicanalisi» nell'Università di Paris VlII-Vincennes, Michel de Certeau insegna

attualmente

nell'Università

«Antropologia

di Paris

e

storia»

V I I . Storico,

M . de

Certeau è anche membro della «École freudienne de

Paris»

( i l cui maestro

riconosciuto

è J.

Lacan) e del «Cercle de Sémiotique de Paris». Dirige la Bibliothèque de scienses E'

collaboratore

delle

«Annales

religieuses.

E.S.C.»

e di

numerose altre riviste. T r a le opere principali: Le Mémorial de Pierre respondence

de J. ].

Paure (1960), La CorSurin

(1967),

La prise

de la parole (1968), La Possession

de

Loudun

(1971).

Le

langage

I n via di pubblicazione:

mystique,

Aubier e La production

de

l'histoire,

Gallimard.

HKGALlA E D I T O R E U R B I N O