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Zitiervorschau

Limit Limit Limit Presentazione Orley Space Station (OSS), 2 agosto 2024. Vic Thorn ha pochi secondi di vita. Stava riparando lo Shuttle che doveva portarlo sulla Luna, quando un braccio meccanico lo ha colpito, scagliandolo nel vuoto. Mentre fluttua verso il buio della morte, Vic comprende che il suo segreto si perderà con lui nello spazio infinito. È stato un incidente, un tragico incidente. Ma cambierà tutto… Isla de las Estrellas, oceano Pacifico, 19 maggio 2025. Il miliardario Julian Orley è un uomo che realizza sogni. È sua l’OSS, una grandiosa stazione spaziale. È suo l’ascensore che la collega alla Terra. Ed è suo il Gaia Hotel, il primo, lussuosissimo albergo costruito sulla Luna, in cui ospiterà alcune persone tra le più ricche e influenti del mondo, per offrire loro un’esperienza unica. Un viaggio che però non è soltanto una mossa propagandistica. Orley è infatti alla ricerca di finanziamenti per il suo progetto più ambizioso: estrarre e trasportare sulla Terra l’elio-3, una fonte di energia pulita e pressoché illimitata che si ricava dalla polvere lunare. Un’impresa rivoluzionaria, che muterebbe gli scenari economici e geopolitici mondiali. Un’impresa che, per qualcuno, deve fallire… Shanghai, Cina, 25 maggio 2025. Ormai da due giorni Chén Hóngbng non ha notizie di sua figlia Yoyo, una ragazza che non ha mai fatto mistero della sua attività di dissidente. Così si rivolge al detective Owen Jericho, chiedendogli d’indagare con la massima discrezione. Tuttavia quella che sembra una «semplice» scomparsa si rivela ben presto la prima tessera di un mosaico che si estende dall’Estremo Oriente agli Stati Uniti, dall’Europa fino al cuore segreto dell’Africa. Un mosaico che, se completato, rivelerebbe un piano che minaccia non solo il futuro della Terra, ma pure quello della Luna… Dopo averci portato nelle profondità degli abissi marini con Il quinto giorno, Frank Schätzing ci conduce là dove le nostre aspettative più audaci incontrano le nostre peggiori paure, in un’avventura senza limiti. Frank Schätzing è nato nel 1957 a Colonia, dove vive tuttora. Dopo aver studiato scienza delle comunicazioni, ha fondato la prestigiosa agenzia pubblicitaria Intevi e, in seguito, l’etichetta discografica Sounds Fiction. Si è imposto all’attenzione del pubblico con Il quinto giorno (Nord, 2005), un romanzo che ha ridefinito i confini del genere avventuroso ed è stato salutato da un enorme successo in tutto il mondo. Ma la sua personalità eclettica, unita a un’abilità narrativa fuori dal comune, gli ha permesso di ottenere eccezionali consensi anche con Il diavolo nella cattedrale (Nord, 2006; vincitore del Premio Bancarella 2007), un appas-

sionante giallo storico, con Il mondo d’acqua (Nord, 2007), in cui ha tracciato, con passione, ironia e competenza scientifica, la storia dell’evoluzione della vita sulla Terra, e con Silenzio assoluto (Nord, 2008), un thriller politico dai risvolti sorprendenti. È uno degli autori più letti in Europa. Limit NARRATIVA 421 Limit Limit Titolo originale Limit ISBN 978-88-429-1808-0 Traduzione di Romina Tappa e Rosa C. Stoppani Consulenza scientifica: Francesco di Tolle Si ringrazia Giorgia Sallusti per il suo contributo nella traslitterazione dei nomi cinesi Visita www.InfiniteStorie.it il grande portale del romanzo Originally published in the German language as Limit by Frank Schatzing © 2009 by Verlag Kiepenheuer & Witsch GmbH & Co. KG, Koln / Germany © 2010 Casa Editrice Nord s.u.r.l. Gruppo editoriale Mauri Spagnol Prima edizione digitale 2010 Realizzato da Jouve Quest´opera è protetta dalla Legge sul diritto d´autore. È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata. Limit LIMIT A Brigitte e Rolf, che mi hanno dato la vita sulla Terra A Christine e Clive, che mi hanno regalato un frammento di Luna Limit Planet Earth is blue And there’s nothing I can do DAVID BOWIE

Limit 2 AGOSTO 2024 PROLOGO EVA I want to wake up in that city that doesn’t sleep... Il caro, vecchio Frankieboy. Del tutto indifferente ai cambiamenti del mondo urbano, posto che, al risveglio, fosse possibile farsi un bicchierino. Vic Thorn si stropiccio gli occhi. Di l a mezz’ora, la sveglia avrebbe buttato giu dal letto quelli del primo turno. In teoria, lui poteva fregarsene. Da semplice visitatore, era libero di decidere come trascorrere la propria giornata. Tuttavia ci si aspettava che pure gli ospiti si adeguassero, almeno formalmente, alla situazione; il che non significava alzarsi presto, ma essere svegliati. If I can make it there, I’ll make it anywhere... Thorn inizio a slacciarsi la cintura di sicurezza. Considerava un prolungato riposo notturno alla stregua di una perdita di tempo e voleva quindi dormire il meno possibile; cos, per il risveglio, si affidava esclusivamente al proprio orologio biologico. Ma soprattutto voleva sempre scegliere chi o che cosa avrebbe riattivato la sua consapevolezza. E gli piaceva «riavviare il sistema» con la musica. Un compito che di preferenza affidava al Rat Pack, cioe a Frank Sinatra, Dean Martin, Joey Bishop, Peter Lawford e Sammy Davis jr., ruvidi eroi di un’epoca lontana per i quali provava uno slancio quasi romantico. Peraltro non c’era proprio nulla, in quel luogo, che avrebbe permesso ai cinque del Rat Pack di vivere com’erano abituati. Persino il famoso motto di Dean Martin: «Se riesci a startene sdraiato senza doverti aggrappare da qualche parte, allora non sei ubriaco», in assenza di gravita si scontrava coi limiti delle leggi fisiche; per non parlare del fatto che, in un posto come quello, non si poteva cadere dallo sgabello di un bar e ogni ebbrezza alcolica sarebbe repentinamente svanita nel momento in cui, arrancando, ci si fosse diretti all’uscita. A 35.786 chilometri dal suolo terrestre non c’erano battone ad aspettarti fuori dalla porta, solo il vuoto mortale dello spazio profondo. Top of the list, king of the hill... Thorn farfuglio uno stonato: «New York, New York...» Poi si diede lo slancio con un’impercettibile contrazione dei muscoli, si stacco dalla cuccetta, si lascio trasportare verso il piccolo oblo rotondo della cabina e guardo fuori. Nella citta che non dormiva mai, Huros-ED-4 era diretto verso il suo successivo intervento.

Il freddo dello spazio non lo impensieriva, ne lo preoccupava l’assenza di atmosfera. Il giorno e la notte - il cui alternarsi, a quella distanza dalla Terra, si fondava piu su una convenzione che su reali percezioni sensoriali - per lui non avevano nessun valore. La sua sveglia era un comando codificato nel linguaggio di programmazione. «Huros-ED» era l’acronimo di Humanoid Robotic System for Extravehicular Demands e il numero 4 lo identificava all’interno del gruppo di altri diciannove robot dello stesso tipo. Ciascuno era alto due metri, con la parte superiore del corpo e la testa dall’aspetto antropomorfo, e dotato di lunghe braccia che, a riposo, ricordavano le zampe anteriori di una mantide religiosa. In caso di bisogno, le braccia rivelavano una mobilita sorprendente, con mani in grado di compiere operazioni assai complesse. Dal tronco, che era un condensato di elettronica, fuoriusciva un secondo paio di braccia piu piccole. Gli arti inferiori, invece, erano assenti: dal bacino dell’Huros-ED, nel punto in cui nel corpo umano iniziavano le cosce, spuntavano organi prensili flessibili provvisti di ventose, che gli permettevano di ancorarsi in qualsiasi punto in cui fosse richiesto il suo intervento. Durante le pause, Huros-ED-4 cercava una nicchia riparata, collegava le batterie all’alimentazione centrale, riempiva i serbatoi dei suoi propulsori di navigazione e contemplava la macchina. Al momento, la sua ultima pausa risaliva a otto ore prima. Da allora, il robot Huros-ED aveva diligentemente lavorato nei punti piu disparati della gigantesca stazione spaziale. Nei settori esterni del «tetto», come veniva chiamata la parte rivolta verso lo zenit, aveva partecipato alla sostituzione di pannelli fotovoltaici, poi aveva regolato le luci di allineamento per il punto d’attracco 2 all’interno dell’hangar, dov’era in corso l’assemblaggio di una delle navicelle spaziali per la programmata missione su Marte. Successivamente era stato richiamato cento metri piu in basso, nel punto in cui, lungo le travi, erano allineate le strumentazioni scientifiche, col compito di rimuovere il circuito stampato guasto di un’apparecchiatura per la scansione della superficie dell’oceano Pacifico davanti alle coste dell’Ecuador. Dopo il ricondizionamento, gli era stato ordinato di raggiungere la piattaforma di attracco per esaminare il braccio di un manipolatore che, per qualche motivo, aveva smesso di funzionare durante un’operazione di carico. Raggiungere la piattaforma di attracco significava scendere lungo la stazione fino a un anello di centottanta metri di diametro provvisto di otto punti d’attracco per gli shuttle lunari e altri otto per le navette di evacuazione. Dimenticando per un attimo che le navicelle l ormeggiate solcavano il vuoto anziche l’acqua, l’attivita sulla piattaforma non appariva molto diversa da quella dei grandi porti marittimi terrestri di Amburgo o di Rotterdam, comprese le gru, che l erano enormi bracci robotizzati su rotaia chiamati «manipolatori». Uno di quelli aveva improvvisamente interrotto le operazioni di carico di uno shuttle commerciale con equipaggio che sarebbe dovuto partire per la Luna poche ore dopo. Vari indizi facevano pensare che non si

trattasse di un guasto. Il braccio avrebbe dovuto funzionare ma, con la testardaggine tipica delle macchine, si rifiutava di eseguire qualsiasi movimento e se ne stava sospeso nel vuoto con gli attuatori aperti per meta nel vano di carico dello shuttle e per meta all’esterno, impedendo di fatto la possibilita di richiudere il portellone della navicella. Seguendo le traiettorie di volo, Huros-ED-4 passo accanto agli shuttle ormeggiati, alle camere di decompressione e ai tunnel di collegamento, ai serbatoi sferici, ai container e ai piloni fino a raggiungere il braccio difettoso, che brillava di una luce fredda sotto i raggi non schermati del sole. A mano a mano che si avvicinava alla struttura e ne sottoponeva ogni singolo centimetro quadrato a un’analisi approfondita, le telecamere installate dietro la mascherina sulla testa e alle estremita delle braccia inviavano immagini alla centrale. Il robot confronto via via cio che vedeva con le immagini registrate nella sua memoria finche non individuo la causa del guasto. Si fermo. Qualcuno nella centrale di comando sbotto in un «Oh, merda!» che indusse Huros-ED-4 a inviare un’immediata richiesta di conferma. Pur essendo programmato per la scansione della voce umana, non riusciva a riconoscere in quel commento nessun comando che per lui avesse un senso. La centrale prefer non ripetere, quindi inizialmente Huros-ED-4 non fece nulla, limitandosi a esaminare il danno. In una delle articolazioni del manipolatore erano incastrate alcune schegge. Una crepa lunga e profonda percorreva trasversalmente l’intera articolazione, come una ferita aperta. A prima vista, l’elettronica non sembrava danneggiata, dunque si trattava di un semplice guasto meccanico, comunque abbastanza grave da bloccare il manipolatore. La centrale gli ordino di pulire l’articolazione. Huros-ED-4 non si mosse. Se fosse stato un essere umano, si sarebbe detto che esitava. Poi chiese maggiori informazioni, rivelando cos, nel suo tipico modo un po’ vago, che il compito era al di sopra delle sue possibilita. Benche quella serie di robot fosse all’avanguardia - controllo tramite sensori, capacita di reazione alle impressioni sensoriali, azione flessibile e autonoma -, si trattava comunque di macchine capaci di ragionare soltanto in base alla loro programmazione. Huros-ED-4 vedeva le schegge e nel contempo non le vedeva. Sapeva che c’erano, pero non sapeva cosa fossero. Allo stesso modo, aveva registrato la presenza della crepa, pero non era in grado di associarla a nessuna delle informazioni memorizzate. I punti danneggiati per lui non esistevano, pertanto non riusciva a capire cosa dovesse pulire... e aveva quindi deciso di non pulire nulla. Se avessero avuto una minima scintilla di consapevolezza, quei robot avrebbero compreso quanto fosse spensierata la loro esistenza.

Quell’incidente era destinato a far preoccupare qualcun altro ancora di piu. Vic Thorn aveva fatto una lunga doccia, ascoltato My Way, indossato T-shirt, scarpe da ginnastica e shorts e aveva appena deciso d’iniziare la giornata in palestra, quando aveva ricevuto la chiamata dalla centrale. «Forse lei ci puo dare una mano a risolvere un problema», disse Ed Haskin, il responsabile della piattaforma di attracco e dei sistemi collegati. «Subito?» borbotto Thorn. «Volevo fare un giro sul tapis roulant.» «Meglio subito.» «Che succede?» «Sembra che ci siano problemi con la sua navicella.» Thorn si mordicchio il labbro. La prospettiva di dover ritardare la partenza fece risuonare mille campanelli d’allarme nella sua testa. Male, malissimo! La navicella, con a bordo sette astronauti oltre a lui, avrebbe dovuto lasciare la stazione intorno a mezzogiorno per dare il cambio all’equipaggio della base lunare americana, i cui componenti, dopo sei mesi di esilio, erano perseguitati da sogni febbrili di strade asfaltate, di appartamenti con la tappezzeria sulle pareti, di salsicce, di prati e di un cielo pieno di colori, di nuvole e di pioggia. Per di piu, Thorn era uno dei due piloti nei due giorni e mezzo di viaggio, per giunta col grado di comandante, il che spiegava perche lo avessero coinvolto. E c’era anche un altro motivo per cui lui considerava un possibile ritardo quantomeno inopportuno... «Che problema ha la carretta? » chiese in tono indifferente. «Non vuole volare?» «Oh, vorrebbe farlo, ma non puo. Si e verificato un guasto durante le operazioni di carico. Il manipolatore e fuori uso e blocca l’apertura. Non riusciamo a chiudere il vano di carico.» «Capisco.» Thorn fu travolto da un’ondata di sollievo. Un manipolatore difettoso era un problema risolvibile. «E si conosce la causa del guasto?» «Debris. Bombardamento intenso.» Thorn sospiro. Space debris, cioe detriti spaziali, la cui fastidiosa onnipresenza era dovuta alla frenetica corsa alla conquista dello spazio inaugurata negli anni ’50 dai russi col lancio degli Sputnik. Da allora, i rimasugli di migliaia di missioni fluttuavano a ogni altezza: stadi esauriti di missili, satelliti dimenticati, rottami d’innumerevoli esplosioni e collisioni, reattori completi e scorie minuscole, goccioline di liquido refrigerante congelato, viti e fili metallici, frammenti di plastica e di metallo, brandelli di fogli dorati, pezzetti di vernice scrostata... La continua frantumazione dei detriti, dovuta a sempre nuove collisioni, non faceva che moltiplicarli all’infinito. Secondo le stime, gli oggetti piu grandi di un centimetro erano ormai oltre novecentomila. Poco meno del tre per cento di quei frammenti era costantemente monitorato; tutti gli altri, e miliardi di particelle e micrometeoriti piu piccoli, si sottraevano a ogni previsione di percorso. Nel dubbio, si poteva considerare inevitabile un impatto analogo a quello di un in-

setto sul parabrezza di un’auto. Ma, se una vespa avesse colpito una limousine con lo stesso impulso di uno Space debris, avrebbe sviluppato l’energia cinetica di una granata, causando una distruzione totale. Le velocita degli oggetti in rotta di collisione nello spazio si sommavano in modo devastante. Persino particelle non piu grandi di un micron alla lunga acquistavano un potere distruttivo enorme, mettendo fuori uso pannelli solari, distruggendo la superficie dei satelliti e scalfendo i rivestimenti esterni delle navicelle spaziali. I detriti piu vicini all’orbita terrestre si disintegravano a contatto con gli strati superiori dell’atmosfera, ma altri ne prendevano il posto. Ad altezze maggiori, non c’erano condizioni in cui potessero essere distrutti e, nell’orbita della stazione spaziale, potevano durare in eterno. L’unico aspetto moderatamente rassicurante del problema era il fatto che molti degli oggetti piu pericolosi erano noti e le loro traiettorie venivano calcolate con settimane o mesi di anticipo, consentendo cos agli astronauti di spostare l’intera stazione per evitare l’impatto. L’oggetto che si era disintegrato sul manipolatore evidentemente non rientrava in quest’ultima categoria. «E io che ci posso fare?» chiese Thorn. «Be’, lavoro di squadra.» Haskin fece una risatina nervosa. «Sa com’e, scarsita di risorse. Il robot non riesce a risolvere il problema da solo. Occorre uscire in due, ma al momento ho a disposizione solo una persona. Sarebbe disposto ad aiutarci?» Thorn non ci penso neppure. Per lui era di vitale importanza riuscire a partire all’orario stabilito. Inoltre le passeggiate nello spazio gli piacevano. «Nessun problema.» «Uscira con Karina Spektor.» Ancora meglio. Aveva conosciuto Karina, un’esperta di robotica di origine russa con gli zigomi alti e gli occhi da gatta, la sera prima nel ristorante riservato agli astronauti e lei aveva rivelato una piacevole apertura alla comprensione tra i popoli. «Sto arrivando», concluse. ... in a city that never sleeps... Le citta adorano produrre rumore. Strade in cui l’aria e satura di stimoli acustici. Persone che si fanno notare suonando il clacson, gridando il nome di qualcuno, fischiando, chiacchierando, ridendo, lamentandosi, urlando. Il rumore come collante sociale, codificato nella cacofonia. Chitarristi, cantanti, sassofonisti negli atri degli edifici e sulle banchine della metropolitana. Cornacchie che manifestano il loro malumore, cani che abbaiano. Il rimbombo delle macchine industriali, chiassosi martelli pneumatici, metallo su metallo. Rumori inaspettati, familiari, carezzevoli, striduli, acuti, cupi, misteriosi, che s’intensificano e poi si attenuano, che si avvicinano e poi si allontanano, rumori che salgono come gas, altri che colpiscono lo stomaco e le orecchie. Il borioso rumore baritonale delle limousine che si disputano l’egemonia della strada con schizzinosi motorini, col ronzio delle automobili elettriche, con l’aggressivita delle

macchine sportive, con le moto tirate a lucido, col secco «fatti-da-parte» degli autobus. Musica nelle boutique. Concerti improvvisati nelle zone pedonali, gente che gironzola, strascica i piedi, cammina impettita, va di fretta. Nel cielo, il rombo delle turbine di aerei lontani. Una citta e come una gigantesca campana. All’esterno di una stazione spaziale, non c’e nulla di tutto cio. Per quanto fossero familiari i rumori all’interno dei moduli abitativi, dei laboratori, delle sale di controllo, dei tunnel di collegamento, dei settori per il tempo libero e dei ristoranti, distribuiti su un’altezza complessiva di duecentottanta metri, quando si lasciava per la prima volta la stazione per l’EVA, l’Extravehicular Activity, l’attivita esterna, ci s’immergeva in un ambiente spettrale. Senza preavviso, ci si trovava fuori, ma davvero fuori, fuori come in nessun altro luogo. Al di la delle camere di decompressione, cessava ogni impulso acustico. Non era come diventare improvvisamente sordi, ovvio. Si potevano udire i rumori prodotti dal proprio corpo, il ronzio del sistema di pressurizzazione integrato nella tuta e la radio, ma tutto cio avveniva all’interno della piccola navicella portatile che s’indossava. Tutt’intorno, nel vuoto, regnava un silenzio assoluto. Era possibile scrutare l’impressionante sagoma della stazione; sbirciare all’interno degli oblo illuminati; scorgere il gelido luccichio degli accumulatori delle luci di allineamento, che non sarebbero mai atterrate su un pianeta e che avevano senso unicamente in assenza di gravita; osservare l’attivita di quella grande e laboriosa citta, i movimenti delle gru lungo l’anello esterno e il viavai delle navette nel settore interno; i robot che fluttuavano nel vuoto, abbastanza simili a esseri viventi da far venire voglia di chieder loro la strada... Intimamente sopraffatti dalla bellezza di quella grande costruzione, della Terra lontana e della fredda luce delle stelle, non diffusa da nessuna atmosfera, quasi ci si aspettava di udire una musica misteriosa o romantica. Ma l’universo restava muto: la grandiosita trovava la sua orchestrazione unicamente nel proprio respiro. In compagnia di Karina Spektor, Thorn fluttuava nel vuoto e nel silenzio verso il manipolatore guasto. I propulsori direzionali delle tute consentivano una navigazione molto precisa. I due superarono i vari punti d’attracco dell’enorme porto ad anello, largo come un’autostrada, che si snodava intorno alla costruzione a forma di torre della stazione. Al momento, vi erano ormeggiati tre shuttle lunari: due alle camere di decompressione e la navicella di Thorn in posizione di parcheggio; inoltre c’erano le otto navette di evacuazione, simili a piccoli aeroplani. In fondo, l’intero anello non era altro che un’enorme stazione di smistamento, grazie alla quale i veicoli spaziali potevano cambiare la propria posizione cos da mantenere la struttura simmetrica della stazione in perfetto equilibrio. Dal Torus-2, il modulo di distribuzione al centro dell’anello, Thorn e Karina avevano raggiunto uno dei tunnel esterni a poca distanza dallo shuttle. La sagoma della navicella si

stagliava nel sole, bianca e massiccia, col portellone di carico aperto. Il braccio irrigidito del manipolatore sporgeva sopra di esso, piegato all’altezza del gomito per poi scomparire all’interno del vano di carico. Davanti alla piattaforma di ancoraggio stava sospeso l’HurosED-4. Era immobile, con gli occhi rivolti verso l’articolazione bloccata, in un atteggiamento che sembrava di disapprovazione. Solo all’ultimo momento si sposto di lato per consentire agli esseri umani di esaminare il danno. Ovviamente non si comportava cos per una specie di «testardaggine informatica », dal momento che un Huros non aveva la minima consapevolezza di se stesso: il fatto era che le sue immagini ormai non erano piu richieste. Da quel momento in poi, contavano solo le impressioni inviate alla centrale dalle telecamere incorporate nei caschi. «Allora?» chiese Haskin. «Che ne pensate?» «Brutta storia.» Karina afferro le aste del manipolatore e si avvicino leggermente. Thorn la segu. «Strano... È come se qualcosa avesse urtato il braccio, provocando questo solco. Ma l’elettronica non sembra danneggiata.» «Allora dovrebbe riuscire a muoversi», ribatte Haskin. «Non necessariamente», disse Karina. Parlava inglese con un forte accento slavo e Thorn trovava la cosa molto sexy. In fondo, era un peccato che non potesse fermarsi un altro giorno. «Durante l’impatto dovrebbe essersi formata una grande quantita di microdetriti. Forse il nostro amico soffre di stitichezza. L’Huros ha eseguito un’analisi ambientale?» «C’e una leggera contaminazione», spiego Haskin. «E le schegge? Potrebbero essere responsabili del blocco?» «Cos sembra... Ed e possibile che vengano dal braccio stesso. Forse qualcosa si e spostato e il braccio e in tensione.» Karina esamino l’articolazione. «D’altro canto, questo e un manipolatore, non una forchetta da dessert. L’oggetto che l’ha colpito probabilmente non misurava piu di sette-otto millimetri. Secondo me, non si e trattato nemmeno di un vero e proprio impatto. Una cosa del genere dovrebbe essere sopportabile.» «Te ne intendi parecchio», disse Thorn con ammirazione. «È la mia specialita», rise lei. «In pratica, non mi occupo d’altro. Gli Space debris sono il nostro problema principale, quassu. » «E quello cos’e?» Thorn si sporse in avanti e indico un punto da cui sporgeva un minuscolo frammento chiaro. «Potrebbe essere un pezzo del meteorite?» «Qualunque cosa sia, proviene sicuramente dalla cosa che ha colpito il braccio», annu Karina. «Le analisi ci potranno dire qualcosa di piu.» «Appunto», intervenne Haskin. «Quindi muovetevi. Propongo di tirare fuori quel coso col compressore a etanolo.»

«Abbiamo una cosa del genere?» chiese Thorn. «L’Huros ce l’ha», rispose Karina. «Possiamo usare il suo braccio. All’interno ci sono dei serbatoi e sugli attuatori ci sono degli ugelli. Pero dobbiamo farlo in due, Vic. Hai mai lavorato con un Huros?» «Non direttamente.» «Ti faccio vedere. Per poterlo utilizzare come strumento, bisogna disattivarlo parzialmente. Cio significa che uno di noi deve stabilizzarlo, mentre l’altro...» D’un tratto, il manipolatore si rianimo. Il gigantesco braccio usc dal vano di carico, indietreggio, esegu un giro completo, afferro l’Huros-ED e gli assesto un colpo, come se, accortosi della sua presenza, ne fosse infastidito. D’istinto, Thorn spinse Karina verso il basso, fuori dalla zona di collisione, ma non pote evitare che il robot le colpisse la spalla. La donna giro vorticosamente su se stessa, pero riusc ad aggrapparsi alle aste. Poi il manipolatore cozzo contro Thorn, lo scaglio lontano da lei e dall’anello e lo catapulto nello spazio. Indietro! Doveva tornare indietro! Con le urla di Haskin e di Karina nelle orecchie, cerco freneticamente di raggiungere i comandi dei propulsori direzionali, seguito dalla sagoma dell’Huros-ED che piroettava nel vuoto e si avvicinava sempre di piu. La parte inferiore del robot lo colp sul casco. Thorn si rovescio, prese a girare come una trottola e venne scagliato oltre il bordo dell’anello, allontanandosi a velocita spaventosa dalla stazione spaziale. Con orrore, si rese conto che, nel tentativo di proteggere Karina, aveva sprecato la sua unica possibilita di salvezza. Sebbene fosse in preda al panico, trovo i comandi dei propulsori direzionali e li accese per stabilizzare la traiettoria con brevi colpi. Poi si rese conto che non riusciva piu a respirare, che la sua tuta era stata danneggiata, che era finita... Si dimeno, cerco di urlare. L’urlo gli si spense in gola. Vic Thorn si perse nella silenziosa notte senza fine e, negli istanti della sua agonia, tutto cambio. Tutto. Limit 19 MAGGIO 2025 L’ISOLA ISLA DE LAS ESTRELLAS, OCEANO PACIFICO L’isola era poco piu di uno sperone roccioso che la linea dell’equatore attraversava come una perla fatta passare in un filo. Le sue attrattive non potevano competere con quelle delle

isole vicine. A ovest, si stagliava sul mare una massiccia scogliera, incoronata dalla foresta tropicale, scura e inaccessibile, abbarbicata sui fianchi rocciosi di un vulcano e abitata quasi esclusivamente da insetti, ragni e una specie di pipistrelli particolarmente brutti. Nelle fenditure e nelle gole s’infiltravano rigagnoli che confluivano in torrenti, i quali riversavano le loro acque nell’oceano. Sul lato orientale, il paesaggio si presentava a terrazze, punteggiate da alture rocciose, perlopiu spoglie. Sarebbe stato perfettamente inutile cercare spiagge dorate e palme: le spiagge delle poche insenature dalle quali era possibile raggiungere l’interno erano di sabbia basaltica nera. Sulle rocce lungo la riva, prendevano il sole lucertole variopinte che trascorrevano la giornata saltando fino a un metro di altezza per acchiappare gli insetti: l’avvenimento piu eccitante offerto dalla natura in quel luogo. Nel complesso, insomma, l’isola non possedeva nulla che non si potesse trovare altrove. E che fosse piu bello, piu grande o piu alto. Eppure quell’isola aveva qualcosa di unico: la posizione geografica. Si trovava esattamente sull’equatore, sulla linea in cui l’emisfero settentrionale e meridionale s’incontrano, cinquecentocinquanta chilometri a ovest delle coste dell’Ecuador e quindi fuori dalle rotte aeree. In quella parte del mondo, le tempeste erano pressoche sconosciute e non c’erano mai fulmini. Nella prima meta dell’anno pioveva spesso, intensamente e per ore, ma senza che il vento rinfrescasse l’aria. Le temperature non scendevano quasi mai al di sotto dei 22 °C; di solito, pero, erano sensibilmente piu alte. In piu, l’isola era disabitata e di nessun interesse dal punto di vista economico. Ecco perche il parlamento ecuadoriano non aveva avuto problemi a cederla in affitto per quarant’anni, in cambio di una sostanziosa somma di denaro che era andata a rimpinguare le casse dello Stato. Il primo atto dei nuovi locatari era stato ribattezzare l’isola, chiamata Isla Leona, in Isla de las Estrellas: Stellar Island, l’isola delle stelle. In seguito, parte del versante orientale sarebbe scomparsa sotto un ammasso di vetro e acciaio, scatenando le ire degli ambientalisti. Di fatto, pero, l’impatto della costruzione sull’ecosistema fu pressoche nullo. Gli stormi di uccelli marini che nidificavano sull’isola non sembrarono minimamente turbati dalla presenza umana e continuarono a imbiancare le strutture architettoniche e le rocce coi loro escrementi, come avevano sempre fatto. Gli animali erano completamente indifferenti al concetto di bellezza, e gli uomini coltivavano aspirazioni che nulla avevano a che fare coi gabbiani codadirondine e coi fratini. In ogni caso, fino a quel momento, ben poche persone avevano messo piede sull’isola, e tutto lasciava supporre che quella sarebbe rimasta una localita esclusiva anche in futuro. Nel contempo, pero, quell’isolotto aveva acceso la fantasia dell’umanita intera. Benche fosse poco piu di un insieme di rocce frastagliate ricoperte di guano, agli occhi del mondo quello era il posto piu straordinario e forse piu promettente della Terra. Il suo fascino

risiedeva in una struttura situata a circa due miglia marine dall’isola, una gigantesca piattaforma che poggiava su cinque piloni alti come palazzi. Nelle giornate di foschia, da lontano, non si riusciva a coglierne la particolarita. Si vedevano costruzioni basse, centrali elettriche e serbatoi, un eliporto, un terminal con una torre di controllo, antenne e radiotelescopi. Nell’insieme, il complesso ricordava un aeroporto, con l’unica differenza che mancavano le piste di atterraggio. Al centro troneggiava una struttura cilindrica di dimensioni imponenti, un colosso luccicante dai cui fianchi uscivano fasci di tubi, simili a meandri di un fiume. Solo socchiudendo le palpebre s’individuava una sottile linea nera che, dal cilindro, si protendeva verso il cielo, perfettamente in verticale. Nelle giornate nuvolose, quella linea scompariva, inghiottita dalla massa bianca dopo poche centinaia di metri; d’istinto, veniva da chiedersi cosa si sarebbe visto se il cielo fosse stato sereno. Persino chi ne sapeva qualcosa di piu - ed era il caso di chiunque fosse autorizzato a entrare nel settore di massima sicurezza - si aspettava di vedere il punto di arrivo di quella linea sottile, di trovare nel cielo un riferimento al quale l’immaginazione potesse appigliarsi. Invece non c’era nulla. Anche se splendeva il sole e il cielo era terso, era impossibile vederne la fine. La linea diventava sempre piu sottile, fino a smaterializzarsi nell’atmosfera. Osservandola attraverso un binocolo, si riusciva soltanto a vederla sfumare un po’ piu in alto. Chi restava a fissarla sino a farsi venire il torcicollo, alla fine arrivava quasi a comprendere il significato profondo delle ormai leggendarie parole di Julian Orley: «L’Isla de las Estrellas e il pianterreno dell’eternita». Quel giorno, fu Carl Hanna a mettere a dura prova la sua cervicale, contorcendosi sul sedile dell’elicottero con lo sguardo fisso al cielo e la bocca aperta come un ebete, mentre sotto di lui due balenottere fendevano l’azzurro del Pacifico. Hanna non le degno della minima attenzione. Quando il pilota segnalo per l’ennesima volta la presenza di quei rari mammiferi, lui borbotto che non c’era nulla di piu noioso del mare. L’elicottero viro e si diresse rombando verso la piattaforma. Per un attimo, la linea sbiad fino a dissolversi, tornando poi ben visibile, diritta come se fosse stata tracciata nel cielo con un righello. Un momento dopo, si sdoppio. «Sono due», noto Mukesh Nair, scostandosi i folti capelli neri dalla fronte. Il suo viso scuro era trasfigurato dall’eccitazione e le grandi narici del naso bitorzoluto si gonfiavano come se lui volesse assorbire quello che stava vedendo attraverso il respiro. «Certo che sono due.» Sua moglie Sushma alzo l’indice e il medio come se dovesse spiegare una cosa ovvia a un bambino: «Due cabine, due funi». «Ma s, lo so, lo so!» replico Nair, spazientito. Poi sorrise e guardo Hanna. «Un vero prodigio! Lo sa quanto sono larghe quelle funi?»

Hanna ricambio il sorriso. «Poco piu di un metro, mi pare.» «Per un attimo sono sparite. Semplicemente sparite», mormoro Nair, guardando fuori e scuotendo la testa. «Confermo.» «L’ha visto anche lei? E tu? Tremolava come un miraggio nel deserto. Hai visto anche...» «S, Mukesh. Ho visto anch’io.» «Credevo di aver avuto un’allucinazione.» «No, hai visto bene», disse gentilmente Sushma, appoggiandogli sul ginocchio la mano piccola e liscia. A Hanna i due sembravano usciti da un quadro di Fernando Botero. Le stesse figure tondeggianti con gli arti corti e gonfi. Guardo di nuovo fuori dal finestrino. Mentre passava accanto alla piattaforma, l’elicottero si tenne a distanza di sicurezza dalle funi. Solo i piloti autorizzati della NASA e dell’Orley Enterprises potevano seguire quella rotta per portare gli ospiti sull’Isla de las Estrellas. Hanna tento d’indovinare cosa si nascondesse all’interno del cilindro nel punto in cui scomparivano le funi, ma era troppo lontano. Un attimo dopo, la piattaforma era alle loro spalle e stavano gia puntando verso l’isola. Sotto di loro, l’ombra dell’elicottero scivolava rapidamente sull’acqua azzurra. «Queste funi devono essere davvero sottili se di lato non si vedono», disse Nair. «Piatte, voglio dire. Ma sono davvero funi? » Rise, torcendosi le mani. «Sembrano piu simili a nastri, non vi sembra? Ma probabilmente non ho capito niente. Santo cielo, cosa volete che vi dica? Sono cresciuto in mezzo ai campi, io. In mezzo ai campi!» Hanna fece un cenno di assenso. Durante il volo da Quito avevano fatto due chiacchiere ma, al di la di quello, lui era gia a conoscenza dell’intimo legame di Mukesh Nair con la campagna. Figlio di umili contadini, originario di Hoshiarpur, nel Punjab, amava la buona tavola, ma preferiva i chioschi di strada ai ristoranti a tre stelle; dava piu importanza alle richieste e alle opinioni delle persone semplici che allo small talk dei ricevimenti o dei vernissage, preferiva volare in classe economica e aspirava a possedere vestiti costosi come un cavallo puo aspirare ad avere dei mocassini. Tuttavia, con un patrimonio personale stimato in quarantasei miliardi di dollari, Mukesh Nair era uno dei dieci uomini piu ricchi del mondo e non ragionava affatto da contadino. Aveva studiato Agraria a Ludhiana ed Economia politica all’University of Mumbai, era stato insignito del premio Padma Vibhushan, la seconda piu alta onorificenza civile indiana, e attualmente era il leader incontrastato dell’esportazione di frutta e verdura indiane nel resto del mondo. Hanna conosceva a fondo la biografia di «Mr Tomato», come lo chiamavano tutti: aveva studiato con attenzione il curriculum vitae di tutti gli ospiti che avrebbero partecipato al viaggio.

«Adesso guardi la, guardi!» grido Nair. «Anche quello non e male, vero?» Hanna allungo il collo. L’elicottero si stava avvicinando al versante orientale dell’isola, il che permetteva ai passeggeri di godere di una vista panoramica dello Stellar Island Hotel. Adagiato sulle pendici della montagna, come un transatlantico arenato, era costituito da sette piani terrazzati, ognuno affacciato sull’enorme piscina situata nel punto che rappresentava la prua. Ogni camera disponeva di un terrazzino privato. Il punto piu alto della struttura era occupato da una terrazza circolare, sovrastata per meta da un’imponente cupola di vetro. Hanna riusc a distinguere tavoli, sedie, sdraio e un bar. Al centro di quella strana nave, s’intravedeva una costruzione piatta, con ogni probabilita la hall, che a nord, in corrispondenza di quella che avrebbe dovuto essere la poppa, confinava con un eliporto. Gli elementi architettonici si fondevano con le rocce aguzze, come se qualcuno avesse tentato di proiettare l’immagine olografica di una nave da crociera davanti all’isola, ma avesse sbagliato i calcoli di qualche centinaio di metri verso l’interno. Hanna si chiese se alcune parti della struttura alberghiera non fossero state strappate alla montagna con la dinamite. Un sentiero a scalini scendeva sinuoso lungo il pendio, attraversava una zona verde e pianeggiante troppo armoniosa per essere di origine naturale e, piu in basso, si ricollegava a una stradina costiera che circondava tutta l’isola. «Un campo da golf», mormoro estasiato Nair. «Credevo che lei prediligesse la sobrieta», commento Hanna. L’indiano lo fisso, stupito, e allora lui aggiunse: «Lo ha dichiarato lei. Ristoranti sobri. Gente semplice. Terza classe». «Credo che mi abbia frainteso.» «Se dobbiamo credere ai media, lei e un uomo sorprendentemente modesto per essere un personaggio pubblico.» Nair aggrotto la fronte. «Macche! Cerco semplicemente di stare alla larga dalla cosiddetta vita pubblica. Le interviste che ho rilasciato negli ultimi anni si possono contare sulle dita di una mano. Se la stampa esprime giudizi positivi sulla Tomato, sono piu che soddisfatto. Basta che nessuno mi trascini davanti a una telecamera o a un microfono. Comunque ha ragione. Il lusso non m’interessa. Vengo da un piccolo villaggio, dove la ricchezza non conta nulla, e una parte di me vive ancora in quel villaggio. Anche se si e un po’ ingrandito.» «Di un paio di continenti da un lato all’altro dell’oceano Indiano. Capisco», lo stuzzico Hanna. «E allora?» sogghigno Nair. «Come ho gia detto, secondo me lei mi ha frainteso.» «In che cosa?» «Guardi, e molto semplice. La piattaforma che abbiamo appena sorvolato e una cosa che mi emoziona profondamente. Da quelle funi potrebbe dipendere il destino dell’umanita intera. L’albergo invece esercita su di me lo stesso fascino che puo esercitare il teatro. È divertente,

quindi ogni tanto ci si va. Il problema e che la maggior parte della gente, non appena si ritrova con un po’ di soldi, comincia a confondere il teatro con la vita vera. Se potesse, vivrebbe sul palcoscenico, si travestirebbe ogni giorno in modo diverso, reciterebbe una parte. Mi viene in mente la barzelletta dello psicologo che vuole catturare un leone. La conosce? » «Mai sentita.» «Come fa uno psicologo a catturare un leone?» «Non ne ho idea.» «Semplice. Va nella savana, monta una gabbia, si siede all’interno e decide che dentro e fuori.» Hanna ridacchio. Nair rise di gusto. «Capisce? Questa non e roba per me, non lo e mai stata. Non intendo star seduto in una gabbia ne tantomeno vivere su un palcoscenico. Ciononostante ho intenzione di godermi appieno le prossime due settimane. Ci puo scommettere. Domani, prima che inizi lo spettacolo, voglio fare una partita a golf e divertirmi! Ma, finita questa vacanza, tornero a casa mia, dove si ride di una barzelletta perche e divertente e non perche chi la racconta e un riccone. Mangero i cibi che mi piacciono, non quelli che costano di piu. Cerchero la compagnia delle persone perche le apprezzo, e non perche sono importanti. Molte di queste persone non possono permettersi di frequentare i miei ristoranti, quindi sono io che frequento i loro.» «Chiaro», disse Hanna. Nair si gratto il naso. «Mi deve scusare, non volevo rattristarla... io di lei non so praticamente nulla.» «Certo, perche hai parlato solo di te stesso per tutto il volo», lo biasimo Sushma. «Davvero? La prego di perdonare la mia smania di... comunicare. » Hanna fece un cenno. «Non si preoccupi. Su di me in realta non c’e molto da dire. Lavoro perlopiu dietro le quinte.» «Investimenti?» «Esatto.» Nair arriccio le labbra. «Interessante. In che settore?» «Principalmente in quello energetico. Pero mi occupo un po’ di tutto», rispose Hanna, tenendosi sul vago. «Le interessera sapere che sono nato a Nuova Delhi.» L’elicottero punto verso l’eliporto. La superficie di atterraggio era abbastanza grande per ospitare tre elicotteri di grandi dimensioni ed era decorata con un simbolo fluorescente, una O argentata incastonata in una Luna arancione stilizzata: il logo dell’Orley Enterprises. Ai lati dell’eliporto, Hanna intravide alcune persone in uniforme che accoglievano i viaggiatori e prendevano in consegna i bagagli. Dal gruppo, si stacco una donna alta e snella che indossava un tailleur pantalone chiaro. Il vento prodotto dalle pale del rotore faceva svolazzare

i suoi abiti e il sole strappava lampi dorati ai suoi capelli. «Davvero viene da Nuova Delhi?» Sushma Nair si avvicino, colpita dalla rivelazione di Hanna. «Quanto tempo ha vissuto la?» L’elicottero atterro delicatamente. Il portellone scivolo di lato e si apr una scaletta. «Ne riparleremo in piscina», le disse Hanna, cedendole il passo per scendere. Poi si accodo alla coppia. Non appena ebbe posato piede a terra, Nair s’illumino. Rivolse un sorriso raggiante alle persone in attesa, palesemente entusiasta dell’ambiente intorno a lui. Allargo le narici per inalare a pieni polmoni l’aria di mare, esclamando di continuo: «Ah!» oppure: «Incredibile!» e quasi travolgendo di lodi la donna in tailleur, che non pote far altro che ringraziarlo. Continuo a parlare ininterrottamente - «Meraviglioso!» «Perfetto! » - mentre Sushma si limito a qualche cenno di assenso. Hanna si godeva la scena, aspettando pazientemente il proprio turno e osservando la donna in tailleur. Poco meno che quarantenne, portava i capelli biondo cenere raccolti sulla nuca e aveva un aspetto molto curato, ma nel contempo sembrava quasi inconsapevole di possedere una tale grazia naturale che le avrebbe permesso d’interpretare Venere nella pubblicita di un istituto di credito o di una casa di cosmetici. In realta, era a capo dell’Orley Travel, il ramo turistico del gruppo Orley, quindi era al secondo posto all’interno del piu grande impero economico del mondo. «Carl.» La donna sorrise e gli porse la mano. Hanna fisso l’intensita surreale delle sue iridi azzurre contornate di scuro. Gli stessi occhi del padre. «È un piacere averla come nostro ospite!» «Sono io che vi ringrazio per l’invito.» Ricambio la stretta di mano e abbasso la voce: «Sa, mi ero preparato un paio di commenti carini sull’hotel, ma temo che chi mi ha preceduto abbia gia sparato tutte le mie cartucce col suo fucile». «Ah-ah-ah!» Nair gli diede una pacca sulla spalla. «Mi dispiace, amico mio, ma Bollywood e roba nostra! Anche sfoggiando tutto il suo fascino canadese al profumo di legno di cedro non potra mai competere con la nostra poesia e il nostro pathos! » «Non lo stia a sentire», disse Lynn, la donna in tailleur, senza distogliere lo sguardo. «Sono molto sensibile al fascino canadese. Pure nella variante senza parole.» «Allora non mi lascero scoraggiare.» «Bene, altrimenti potrei prenderla a male.» Intorno a loro, persone servizievoli stavano scaricando montagne di valigie logore. Hanna intu che si trattava del bagaglio dei Nair. Robaccia con cuciture robuste in uso da epoche immemorabili. Lui aveva con se solo una piccola valigia e una borsa da viaggio.

«Da questa parte. Vi mostro le vostre stanze», fece Lynn in tono cordiale. Dal terrazzino, Tim osservo la sorella incamminarsi verso l’edificio che ospitava la reception in compagnia di una coppia presumibilmente indiana e un uomo dall’aria atletica. Lui e Amber alloggiavano al quinto piano, in una camera d’angolo da cui si godeva di una splendida vista panoramica. Il sole risplendeva sulla piattaforma sulla quale sarebbero stati portati il mattino seguente. Un nuovo rombo assordante annuncio l’arrivo sull’isola di un altro elicottero. Tim alzo lo sguardo. Era una giornata di rara limpidezza. Il cielo si stendeva sopra il mare come una cupola di colore azzurro intenso. Un’unica nuvola, piccola e sfilacciata, se ne stava sospesa in quel nulla, apparentemente immobile, come se fosse un elemento decorativo o un punto per l’orientamento. A Tim venne in mente un vecchio film, una tragicommedia che parlava di un uomo cresciuto in una cittadina di provincia da cui non si era mai allontanato. In quella cittadina era andato a scuola, si era sposato, lavorava, s’incontrava con gli amici che conosceva fin da bambino... Verso i trentacinque anni, pero, l’uomo scopriva di essere il protagonista di un reality show: la sua citta era finta, con telecamere in ogni angolo, pareti artificiali e riflettori. Eccetto lui, tutti gli abitanti erano attori con contratti a vita, la sua vita ovviamente, e il cielo non era nient’altro che una gigantesca cupola dipinta di blu. Tim Orley chiuse un occhio e sollevo l’indice destro fin quasi a toccare il bordo inferiore della nuvola che se ne stava l, sospesa, simile a un batuffolo di cotone. «Vuoi qualcosa da bere?» gli chiese Amber dall’interno. Invece di rispondere, lui afferro il polso alzato con la mano sinistra, cercando di tenere il dito immobile. All’inizio non accadde niente. Poi, lentissimamente, la minuscola nuvola si sposto verso est. «C’e un mare di gente giu al bar. Io prendo una limonata. Tu cosa vuoi?» Si stava muovendo. E avrebbe continuato a farlo. Per motivi inspiegabili, il fatto che quella nuvola non fosse stata fissata con un chiodo o dipinta sulla volta del cielo faceva sentire Tim piu tranquillo. «Cosa?» chiese lui. «Ti ho chiesto cosa vuoi bere.» «Ah.» «Allora?» «Non saprei.» «Santo cielo. Vedro se ce l’hanno.» Torno a osservare Lynn. Amber lo raggiunse sul terrazzino, facendo dondolare tra pollice e indice una bottiglietta aperta di Coca-Cola. Tim l’afferro meccanicamente, la porto alla

bocca e se la scolo senza nemmeno rendersi conto di cosa stesse bevendo. La moglie lo osservo e poi guardo verso il basso, proprio nel momento in cui la sorella di Tim spariva nella reception col suo piccolo seguito. «Ah, adesso capisco.» Lui rimase in silenzio. «Sei ancora preoccupato?» «Lo sai come sono fatto.» Amber si appoggio alla ringhiera e sorseggio la sua limonata. «Ma per cosa? A me sembra che Lynn stia bene. Anzi benissimo, se proprio vuoi saperlo.» «È proprio questo che mi preoccupa.» «Che stia bene?» «Sai cosa intendo. Sta nuovamente cercando di essere piu che perfetta.» «Oh, Tim...» «L’hai vista prima, no?» «Soprattutto ho visto che sembrava avere tutto sotto controllo. » «È questo posto ad avere il controllo su Lynn!» «Fantastico, e secondo te cosa dovrebbe fare? Julian ha invitato una sfilza di eccentrici ricconi e lei se ne deve occupare. Ha promesso loro due settimane nell’hotel piu esclusivo in assoluto, e Lynn ne e la responsabile. Dovrebbe iniziare a combinare pasticci o andarsene in giro trasandata e spettinata e trascurare gli ospiti solo per dare prova della sua umanita?» «Naturalmente no.» «Questo e un circo, Tim, e lei ne e la direttrice. Lei deve essere perfetta, altrimenti i leoni la sbranano.» «Lo so», replico lui, infastidito. «Non e questo il punto. Tuttavia mi e sembrato di notare che e di nuovo sotto pressione.» «A me non e sembrata particolarmente sotto pressione.» «Perche lo dissimula. È una maestra in questo. Sai quanto e brava a gestire le persone.» «Scusa, ma non la stai facendo un po’ drammatica?» «Niente affatto. Non so se sia stata una buona idea partecipare a questa messinscena, ma comunque ormai siamo qui e non si torna indietro. Tu e Julian avete...» «Cosa?» Amber gli lancio uno sguardo di fuoco. «Non iniziare di nuovo a dire che siamo stati noi a tirarti dentro.» «Perche, non e andata cos?» «Nessuno ti ha costretto.» «Ma per favore... Avete insistito fino allo sfinimento.» «Ah, davvero? E tu quanti anni hai? Cinque? Se davvero non avessi voluto...»

«Infatti non volevo. Sono qui per Lynn.» Tim sospiro e si passo una mano sugli occhi. «Okay, okay! vero, apparentemente ha un aspetto fantastico! Sembra star bene. Eppure...» «Tim. È lei che ha costruito questo hotel!» Tim annu. «Certo. Questo si sa. Ed e fantastico! Dico davvero. » «Ti credo. Ma non voglio che tiri in mezzo Lynn solo perche non riesci a risolvere i problemi con tuo padre.» Quell’osservazione colp Tim come uno schiaffo. La guardo e scosse la testa. «Questio e un colpo basso», mormoro. Amber fece roteare la bottiglietta di limonata tra le dita. Per un attimo regno il silenzio. Poi lei gli mise le braccia intorno al collo e gli diede un bacio. «Scusami.» «Ma certo.» «Non ne hai piu parlato con Julian?» «S, l’ho fatto, e lui si ostina a dire che Lynn sta divinamente. Tu sostieni che ha un aspetto meraviglioso. Quindi l’idiota sono io.» «Ma sei l’idiota piu delizioso che io abbia mai incontrato.» Tim accenno un mezzo sorriso. Abbraccio Amber, ma il suo sguardo era rivolto oltre il parapetto. L’elicottero che aveva trasportato il tipo atletico e la coppia indiana aveva ripreso il volo, mentre un altro stava sorvolando l’eliporto, preparandosi per l’atterraggio. Qualche piano piu in basso, Lynn stava uscendo dalla reception per accogliere i nuovi ospiti. Lo sguardo di Tim vago lungo il pendio che separava l’albergo dalla scogliera, indugio sul campo da golf deserto e segu il sentiero fino alla strada costiera. Faglie e gole avevano reso necessaria la costruzione di ponticelli, col risultato che era possibile percorrere comodamente a piedi tutto il versante orientale dell’isola. Vide qualcuno camminare lentamente lungo il sentiero. Dalla direzione opposta, stava sopraggiungendo una figura magra e scattante che sembrava brillare nel sole. Un corpo bianco come l’avorio. Finn O’Keefe la vide e si fermo. La donna correva a ritmo spedito. Era un’apparizione singolare: le braccia e le gambe erano esili come giunchi, quasi al limite dell’anoressia, eppure nell’insieme era ben proporzionata. La pelle era candida, ma anche i lunghi capelli scompigliati dal vento erano bianchi come il latte. La donna indossava un costume da bagno color madreperla particolarmente sgambato, scarpe da ginnastica dello stesso colore e si muoveva con la flessuosita di una gazzella. Una donna da copertina. «Buongiorno», disse lui. La donna si avvicino con passo disinvolto. «Ciao! E tu chi sei?» «Finn.»

«Ah, e vero. Finn O’Keefe. Sembri diverso da come appari sullo schermo.» «In qualche modo sembro sempre diverso.» Le tese la mano. Non si aspettava una stretta cos forte da quelle dita lunghe e sottili. Solo ora, cos da vicino, noto che pure le sopracciglia e le ciglia erano dello stesso bianco scintillante dei capelli, mentre l’iride tendeva al violetto. Sotto il naso sottile e dritto, le labbra erano incolori. A Finn O’Keefe sembrava di avere davanti un’attraente aliena la cui pelle tonica cominciava a raggrinzirsi. Doveva avere poco piu di quarant’anni. «E lei chi e? Tu, voglio dire. » «Sono Heidrun. Sei anche tu dei nostri?» Parlava un inglese piuttosto duro. Finn cerco d’intuirne la provenienza dall’accento. I tedeschi parlavano un inglese «a zigzag», mentre l’accento scandinavo era piu dolce e melodioso. Decise che Heidrun non poteva essere ne tedesca, ne danese, ne tantomeno svedese. «S, ci sono anch’io», rispose. «Un po’ di strizza?» Lui rise. Heidrun non sembrava affatto impressionata di averlo incontrato in quel luogo. Esposto alla logorante ammirazione d’innumerevoli donne - e anche a quella di molti uomini che avrebbero volentieri mandato i rispettivi partner a occuparsi del giardino o in viaggio di lavoro per trastullarsi con lui sotto le lenzuola la sua vita era una continua fuga. «Se devo essere sincero, s, un po’ s.» «Ma s. Anch’io.» Heidrun scosto i capelli madidi di sudore dalla fronte, si volto, allargo pollice e indice di entrambe le mani ad angolo retto, un le punte e osservo la piattaforma nel mare attraverso la cornice che aveva appena creato. Solo prestando la massima attenzione si riusciva a distinguere la lunga linea nera che tagliava il cielo. «E cosa vuole da te?» chiese all’improvviso. «Chi, scusa?» «Julian Orley.» Heidrun abbasso le mani e gli punto addosso i suoi occhi viola. «Vuole qualcosa da ognuno di noi.» «Ah, s?» «Dai, altrimenti non saremmo qui, no?» «Hmm.» «Sei ricco?» «Piu o meno.» «Che domanda stupida, devi essere ricco! Sei il re del box office, no? Se non hai sperperato tutto, probabilmente hai alcune centinaia di milioni di dollari. Allora, lo sei o no?» Inclino la testa, curiosa. «E tu?»

«Io?» Heidrun rise. «Figurati. Sono una fotografa. Il mio patrimonio basterebbe a malapena per far riverniciare la piattaforma. Diciamo che deve accettare la mia presenza. A lui interessa Walo.» «E chi sarebbe?» Heidrun indico l’hotel. «E mio marito. Walo gi.» «Non lo conosco.» Lei sorrise. «Non mi sorprende. Gli artisti non sono capaci di riflettere sul denaro, lui invece non sa fare altro. Comunque ha un sacco di buone idee su come spenderlo. Ti piacera. Sai chi altro c’e?» «Chi?» «Evelyn Chambers.» Il sorriso di Heidrun si fece malizioso. «Immagina come ti mettera sotto torchio. Qui puoi ancora sfuggirle, ma la sopra...» «Non ho nessun problema a parlare con lei.» «Vuoi scommettere?» Heidrun gli volto le spalle e inizio a risalire il sentiero che portava all’hotel. Finn la segu. In realta, l’idea di parlare con Evelyn Chambers, la regina incontrastata dei talk show americani, lo metteva in grandissima difficolta. Detestava i talk show come poche altre cose al mondo. Per almeno dieci volte l’avevano invitato a Chambers, quella specie di strip-tease dell’anima che il venerd sera incollava al teleschermo milioni di depravati, ma lui aveva sempre declinato. Adesso, in quel posto, Evelyn Chambers si sarebbe gettata su di lui come un leone sulla preda. Una prospettiva inquietante. Passarono accanto al campo da golf. «Sei albina», osservo lui. «Uh, sei davvero perspicace, Finn.» «Non hai paura di ustionarti? Per via del... come si chiama... » «Del mio evidente disturbo legato alla produzione di melanina e ai miei occhi sensibilissimi alla luce», completo lei meccanicamente. «No, non e un problema. Porto lenti a contatto ad alto potere filtrante.» «E la tua pelle?» «Sono lusingata. Finn O’Keefe si preoccupa per la mia pelle », lo canzono lei. «Guarda che m’interessa davvero.» «Ovviamente e ipopigmentata. Senza protezione solare prenderei fuoco. Quindi uso Moving Mirrors.» «E sarebbe?»

«È un gel contenente nanospecchi che si attivano in base all’intensita della luce. Mi permette di stare all’aria aperta un paio d’ore, anche se ovviamente non deve diventare un’abitudine... Allora, mi fai compagnia per una nuotata?» Dopo aver trascorso quasi tutta la giornata ad accogliere gli ospiti all’eliporto, accompagnarli all’albergo e tornare indietro per attendere l’arrivo dell’elicottero seguente, avanti e indietro, avanti e indietro, Lynn Orley si stup di non avere ancora scavato un solco nel terreno. Naturalmente, in quel lasso di tempo, aveva sistemato anche altre cose. Andrew Norrington, vicecapo della sicurezza dell’Orley Enterprises, aveva trasformato l’Isla de las Estrellas in una zona di massima sicurezza, al punto che ci si sentiva come all’Hotel California dell’omonima canzone: You can check out any time you like, but you can never leave... Per Lynn, il concetto di sicurezza coincideva con quello di protezione, ma non voleva che le misure adottate dessero troppo nell’occhio. Norrington invece sosteneva che i membri della sicurezza non dovevano nascondersi come gnomi nei cespugli. Lei gli aveva fatto notare quanto fosse difficile giustificare l’onnipresenza della sua scorta personale agli ospiti, aggiungendo che, per esempio, Oleg Rogacev aveva dovuto lasciare a casa, controvoglia, la mezza dozzina di scagnozzi che lo seguivano ovunque, e che meta del personale di servizio era formata da tiratori scelti. Nessuno aveva voglia d’imbattersi a ogni passo - magari mentre faceva jogging o giocava a golf - in individui sinistri che sembravano aver scritto in fronte SIETE IN PERICOLO. E aveva aggiunto che provava una particolare simpatia per gli gnomi armati che proteggevano le persone senza stare continuamente tra i piedi. Dopo una lunga discussione, alla fine Norrington era riuscito a trovare il modo di schierare i suoi uomini mimetizzandoli con l’ambiente. Lynn sapeva di averlo messo in difficolta, ma non c’era altra soluzione. Norrington svolgeva il suo lavoro in modo eccellente, era organizzato e affidabile, ma purtroppo era anche vittima di quella paranoia che prima o poi colpiva tutte le guardie del corpo. «Interessante», disse Lynn. Accanto a lei, Locatelli sbuffava come un cavallo. «S, ma volevano trattare sul prezzo, si rende conto! Dio mio, l ho perso la calma. Ho detto: ’Un attimo! Un attimoooo! Ma lo sapete con chi avete a che fare? Dannate checche! Cervelli di gallina! Non sono il primo scemo che passa, intesi? Non mi faccio fregare, io. O si gioca con le mie regole, oppure...’» Eccetera, eccetera. Lynn annuiva con aria comprensiva mentre accompagnava i nuovi arrivati alla reception. Warren Locatelli era un tale coglione! E Momoka Omura, quella stupida sciacquetta al suo fianco, non era certo meglio. Tuttavia, se qualcuno era importante per Julian, fosse anche uno scarabeo stercorario parlante, lei avrebbe dovuto riservargli la dovuta attenzione. Non

che fosse indispensabile capire cosa stava dicendo quell’individuo per conversare con lui. Era sufficiente reagire con prontezza ai suoi cambi d’intonazione, al ritmo delle sue parole e ai grugniti, ai ringhi e alle risate che punteggiavano i suoi discorsi. Se il fiume di parole prendeva una piega allegra, si scoppiava in una risata. Se il tono era indignato, si andava sul sicuro con un «Assurdo!» oppure «No, davvero?» Se invece il discorso richiedeva la comprensione del contesto, bisognava per forza ascoltare. Prendere per il culo era legittimo; l’importante era non farsi beccare. Nel caso di Locatelli, il pilota automatico si rivelo piu che sufficiente. Tolti gli argomenti tecnici, il tema era sempre lo stesso: quanto lui fosse in gamba e tutti gli altri fossero delle mezze seghe. Oppure dannate checche e cervelli di gallina. A seconda. Chi erano i prossimi? Chuck e Aileen Donoghue. Chucky, il magnate del settore alberghiero. Un tipo per bene, anche se non risparmiava a nessuno le sue penose barzellette. Sua moglie Aileen invece, con ogni probabilita, si sarebbe subito precipitata in cucina per verificare che la carne per Chucky venisse tagliata bene. Aileen: «A Chucky piacciono le bistecche alte! Mi raccomando! » Chucky: «S, alte! Quelle che gli europei chiamano bistecche non sono vere bistecche. Ehi, lo sa come chiamo la bistecca europea? Lo vuole sapere, vero? Carpaccio!» Nonostante quello, Chuck era passabile. Con grande rammarico di Lynn, Locatelli era la pedina principale sulla scacchiera di Julian, o almeno una delle piu importanti. Era riuscito a compiere un’impresa che aveva fatto impazzire generazioni di fisici: creare cellule fotovoltaiche in grado di convertire oltre il sessanta per cento della luce solare in elettricita. Per quel motivo, e dato che era un brillante uomo d’affari, la sua azienda, la Lightyears, aveva conquistato la leadership nel mercato dell’energia solare e aveva reso lui smodatamente ricco, tanto che Forbes lo aveva inserito al quinto posto nella classifica degli uomini piu ricchi del mondo. Col petto in fuori e a testa alta, Momoka Omura camminava accanto a loro, un po’ annoiata. Fece vagare lo sguardo sulla struttura che aveva di fronte, e poi decreto un benevolo: «Carino». Immaginando di tirarle un pugno in faccia, Lynn la prese sottobraccio e le fece un complimento sui suoi capelli. «Sapevo che ti sarebbero piaciuti», rispose Momoka, con un sorriso appena accennato. No, stai da cane, penso Lynn. Fai davvero schifo. «È bello avervi qui», disse. In quello stesso momento, Evelyn Chambers stava prendendo il sole sul terrazzino della sua stanza al sesto piano e, tendendo l’orecchio, metteva alla prova le sue conoscenze di russo. Lei era il sismografo dell’alta societa. Ogni minimo tremito avvertito sulla sua personale scala Richter diventava una notizia. E in quel momento la terra stava sussultando con viol-

enza. Nella camera a fianco, alloggiavano i Rogacev. I terrazzi erano separati da paraventi fonoassorbenti, ma cio non le impediva di udire i singhiozzi trafelati di Olympiada Rogaceva, a volte piu vicini, a volte piu lontani. Con ogni probabilita stava camminando avanti e indietro, con un drink in mano, come d’abitudine. «Perche?» grido a un tratto, piangendo. «Perche un’altra volta?» Dall’interno, cupa e incomprensibile, risuono la voce di Oleg Rogacev. Qualunque cosa avesse detto, aveva scatenato nella moglie un’eruzione piroclastica. «Brutto stronzo!» strillo lei. «Davanti ai miei occhi!» Suoni soffocati, respiro corto. «Non ti sei nemmeno preoccupato di farlo di nascosto!» Rogacev la raggiunse sul terrazzo. «Vuoi che faccia tutto in gran segreto? Va bene.» Il suo tono era tranquillo e distaccato, quasi glaciale. Evelyn Chambers riusciva a figurarsi quell’uomo di statura media, dall’aspetto piuttosto anonimo, con radi capelli biondi che incorniciavano una faccia da volpe, nella quale spiccavano due occhi azzurri come due laghi ghiacciati. Aveva intervistato Oleg Alekseevic Rogacev l’anno prima, quando lui aveva acquistato il pacchetto azionario del Gruppo Daimler, e aveva conosciuto un imprenditore cortese, controllato, che rispondeva prontamente a tutte le domande con l’impenetrabilita di una piastra metallica. Provo a ricapitolare quello che sapeva di Rogacev. Suo padre era stato a capo di un gruppo industriale sovietico attivo nel settore dell’acciaio, privatizzato dopo la Perestrojka. Il sistema allora piu diffuso prevedeva l’emissione di azioni sotto forma di voucher per i lavoratori. In via provvisoria, l’organismo pluricellulare del proletariato aveva assunto il comando, ma i titoli dell’acciaieria non avevano consentito a nessuna famiglia di superare l’inverno. La maggior parte dei lavoratori si era quindi decisa a convertire in denaro i propri titoli, cedendoli alle societa finanziarie o ai propri superiori e ottenendo in cambio, com’era prevedibile, solo una piccolissima frazione del loro valore reale. A poco a poco, le ex imprese statali dell’Unione Sovietica erano cadute nelle mani delle societa d’investimento e degli speculatori. Anche il vecchio Rogacev si era dato da fare, accaparrandosi un numero sufficiente di azioni per prendere il controllo del gruppo industriale. In seguito, un clan mafioso concorrente lo aveva messo sotto tiro... in senso letterale: due pallottole al petto e una terza nel cranio. La quarta era destinata al figlio, ma con lui avevano mancato il bersaglio. Fino a quel momento Oleg aveva avuto come unico interesse le feste studentesche ma, alla morte del padre, aveva lasciato gli studi e, per vendicarsi, si era alleato con un clan vicino al governo, un’esperienza che era culminata in una sparatoria avvenuta in circostanze rimaste oscure. Le indagini avevano accertato che, in quel periodo, Oleg si trovava all’estero; di fatto, pero, al suo rientro, lui era improvvisamente diventato presidente del consiglio d’amministrazione e ospite gradito

del Cremlino. Aveva semplicemente puntato sulle persone giuste. Negli anni successivi, Rogacev si era dedicato alla modernizzazione dell’azienda. Aveva guadagnato parecchio e aveva assorbito prima un gigante dell’acciaio tedesco e poi uno inglese. Aveva investito nell’alluminio, firmato contratti col governo per l’ampliamento delle ferrovie e acquisito partecipazioni in gruppi industriali automobilistici europei e asiatici. Inoltre aveva fatto una montagna di soldi nella Cina affamata di materie prime. Nel frattempo continuava a preoccuparsi in modo imbarazzante degli interessi dei potenti di Mosca. Ma aveva la fortuna dalla sua. Era entrato nelle grazie di Vladimir Putin, e il suo successore Dmitrij Medvedev lo aveva addirittura scelto come consigliere. Nel 2018, quando il colosso mondiale dell’acciaio ArcelorMittal era andato in crisi, Rogacev lo aveva rilevato, conquistando poi la leadership del settore con la sua RogaMittal. All’incirca nello stesso periodo, Maxim Ginsburg, il successore di Medvedev, aveva definitivamente cancellato i gia vacillanti confini tra pubblico e privato, tanto che la stampa lo aveva soprannominato «Amministratore delegato della Russia Spa». Rogacev aveva sostenuto Ginsburg a modo suo. Durante una serata in cui aveva alzato un po’ il gomito, era venuto a sapere che Ginsburg avrebbe desiderato che sua figlia, Olympiada, una ragazza introversa e dal fascino modesto, si sposasse al piu presto, meglio se con qualcuno dotato di un ragguardevole patrimonio. Olympiada era riuscita a laurearsi in Scienze politiche ed economiche, sedeva come deputato in parlamento, dove esprimeva l’amore per il padre a suon di voti, e stava sfiorendo senza nemmeno essere sbocciata. Cos Rogacev aveva realizzato il desiderio di Ginsburg. L’unione tra i due ingenti patrimoni era stata festeggiata in pompa magna... pero, la prima notte di nozze, Rogacev aveva disertato il letto coniugale, perche si trovava altrove. Da quel momento, di fatto, lui era sempre stato altrove, anche quando Olympiada aveva dato alla luce il loro unico erede, che era stato poi messo in collegio e quindi vedeva i genitori assai di rado. Con l’andar del tempo, Olympiada si era ritrovata sempre piu sola. Non condivideva la passione del marito per gli sport da combattimento, le armi e il calcio, e mal sopportava i suoi continui tradimenti. Una volta si era persino lamentata col padre di quella situazione, ma Ginsburg aveva pensato ai cinquantasei miliardi di dollari portati in dote dal genero e aveva consigliato alla figlia di cercarsi un amante. E lei lo aveva trovato. Si chiamava Jack Daniel’s, e aveva il vantaggio di essere sempre a disposizione quando c’era bisogno di lui. Come sarebbe sopravvissuta quella povera donna alle due settimane seguenti? Evelyn Chambers si stiracchio. Non sono niente male per una quarantacinquenne, penso. Aveva ancora un fisico sodo, anche se qualche rotolino di grasso iniziava a fare capolino e glutei e cosce cominciavano a incresparsi di cellulite. Socchiuse le palpebre, guardando il

sole. Le grida degli uccelli marini riempivano l’aria. Solo in quel momento noto che nel cielo campeggiava un’unica nuvola: dava l’impressione di essersi persa, di essere una nuvoletta smarrita. Sembrava molto in alto, ma cos’era in fondo l’altitudine? Ben presto lei sarebbe andata molto piu in alto delle nuvole. Alto, basso. Era solo questione di prospettiva. Riconsidero mentalmente l’appeal mediatico degli ospiti che avrebbero partecipato al viaggio. Otto coppie e cinque single, lei esclusa. Alcuni di loro non vedevano di buon occhio la sua presenza. Finn O’Keefe, per esempio, era allergico ai talk show. E i Donoghue, ultraconservatori com’erano, di certo non erano lieti di sapere che la potente regina dei talk show americani sosteneva apertamente lo schieramento democratico. La sua unica breve esperienza in politica risaliva al 2018, quando si era candidata a governatore per la citta di New York, una campagna elettorale partita in modo trionfale e conclusasi in una catastrofe. Eppure la sua influenza sull’opinione pubblica era rimasta immutata. Mukesh Nair? Un altro che aborriva i talk show. Warren Locatelli e la moglie giapponese invece conoscevano benissimo il valore dell’intrattenimento. Locatelli era vanitoso e sfacciato, ma anche geniale. La sua biografia era intitolata: E se scoprissimo che Locatelli ha creato il mondo? sintetizzando alla perfezione l’alta opinione che quell’uomo aveva di se. Era un appassionato di vela e, l’anno precedente, aveva vinto la Coppa America; tuttavia la sua passione principale erano le corse automobilistiche. Momoka Omura, invece, aveva per molto tempo recitato in ostici film d’avanguardia, poi si era guadagnata la stima dei critici con un elegante film drammatico, Il loto nero. Aveva la puzza sotto il naso e, secondo Evelyn, non sapeva dove stesse di casa l’empatia. Chi altro? Walo gi, investitore svizzero, collezionista. Possedeva quote azionarie in qualsiasi settore: immobili, assicurazioni, compagnie aeree e automobilistiche, fino al legno tropicale e ai cibi precotti, passando per la Pepsi Cola. Correva voce che stesse progettando una seconda Monaco per conto dei principi monegaschi. Eppure, per Evelyn Chambers, era ancora piu interessante Heidrun gi, la sua terza moglie, della quale si diceva che si fosse finanziata gli studi di fotografia lavorando come spogliarellista e attrice di film porno. Del gruppo facevano parte anche Marc Edwards, il quale doveva la propria popolarita all’invenzione dei chip quantistici, talmente minuscoli da funzionare con un singolo atomo, e Mimi Parker, creatrice di capi di abbigliamento intelligenti, nei quali erano integrati i chip di Edwards. Persone simpatiche, sportive e impegnate nel sociale, abbastanza interessanti. Forse i Tautou avevano qualcosa in piu. Bernard Tautou nutriva ambizioni politiche e guadagnava miliardi con la commercializzazione dell’acqua, un argomento molto caro alle organizzazioni per la difesa dei diritti umani.

L’ottava coppia veniva dalla Germania. Eva Borelius, regina mancata della ricerca sulle cellule staminali, e la sua compagna, Karla Kramp, una chirurga. Lesbiche dichiarate. E poi c’erano Miranda Winter, ex modella e appariscente vedova di un industriale, e Rebecca Hsu, la Coco Chanel dell’isola di Taiwan. Tutte e quattro si erano gia ampiamente confidate con Evelyn Chambers. Di Carl Hanna, invece, lei non sapeva assolutamente nulla. Pensierosa, si spalmo l’olio solare sulla pancia. Hanna era un tipo strano. Investitore privato canadese, nato a Nuova Delhi nel 1981 da un facoltoso diplomatico inglese, all’eta di dieci anni si era trasferito con la famiglia nel British Columbia, dove in seguito aveva frequentato la facolta di Economia. Anni di studio in India, morte dei genitori in un incidente, ritorno a Vancouver. A quanto pareva, aveva investito l’eredita in modo intelligente con l’obiettivo di non dover piu lavorare neanche per sbaglio e, secondo alcune voci, aveva in programma d’investire nell’astronautica indiana. Tutto qui. La vita di uno speculatore. Ovviamente non erano tutti spacconi come Locatelli. Donoghue, per esempio, praticava il pugilato. Rogacev se la cavava in qualsiasi sport da combattimento e pochi anni prima si era comprato il Bayern Monaco. Edwards e Mimi facevano immersioni, Eva Borelius faceva equitazione, Karla Kramp giocava a scacchi, O’Keefe aveva alle spalle una lunga esperienza di droga costellata di scandali e aveva vissuto con un gruppo di zingari irlandesi. Ognuno di loro aveva qualcosa che li rendeva «umani». Hanna possedeva yacht. Al suo posto avrebbe dovuto esserci Gerald Palstein, amministratore delegato dell’EMCO, il terzo gruppo petrolifero del mondo. Un libero pensatore, che gia anni addietro aveva profetizzato il tramonto dell’era dei combustibili fossili. Evelyn Chambers lo avrebbe incontrato volentieri, ma un mese prima Palstein era stato ferito in un attentato, il che lo aveva costretto a disdire la sua partecipazione. Cos era subentrato Hanna. Ma chi era quel tipo? Evelyn decise che lo avrebbe scoperto, scese dal lettino e si avvicino al parapetto del terrazzo. Diversi piani sotto di lei l’enorme piscina dello Stellar Island Hotel brillava sotto il sole. Qualcuno stava gia sguazzando nelle acque turchesi e proprio in quel momento stavano entrando in piscina anche Heidrun gi e Finn O’Keefe. Evelyn decise di scendere, ma all’improvviso il semplice pensiero di dover fare conversazione le fece venire la nausea. Quindi resto dov’era. Le succedeva sempre piu spesso. La regina dei talk show stava diventando allergica alle chiacchiere. Ando a prendersi un drink e aspetto che il disagio passasse. O’Keefe segu Heidrun al bar della piscina dove un uomo distinto, sulla sessantina, stava spiegando qualcosa, gesticolando. Il suo pubblico era formato da una coppia dall’aspetto sportivo che ascoltava rapita, rideva all’unisono ed esclamava simultaneamente: «Ma no!»

dando l’impressione di essere i clienti ideali per l’acquisto di un tandem. «Davvero drammatico», stava dicendo l’uomo, ridendo. «Esagerato. Ma grande proprio per questo!» Le rughe conferivano solennita ai tratti del suo viso, il naso era lungo e imponente, il mento era scolpito. I capelli scuri leggermente brizzolati e ispidi erano pettinati all’indietro col gel e i folti baffi si accordavano alla perfezione con le sopracciglia spesse un dito. «Cos’e ’esagerato’?» chiese Heidrun, dandogli un bacio. «Un musical», rispose l’uomo, osservando O’Keefe. «E questo chi e, mein Schatz?» A differenza di Heidrun, parlava un inglese quasi perfetto. L’unica particolarita era che aveva detto mein Schatz, cioe «tesoro », in tedesco. Heidrun gli appoggio la testa sulla spalla. «Non vai mai al cinema? È Finn O’Keefe», spiego. «Finn... O’Keefe...» Sulla fronte dell’uomo spuntarono parecchie rughe. «Mi dispiace, ma...» «Ha interpretato Kurt Cobain.» «Oh! Ah! Grandioso! È fantastico poterla conoscere. Io sono Walo. Heidrun ha visto tutti i suoi film. Io no, ma di Hyperactive mi ricordo bene. Una performance eccezionale!» «Mi fa piacere.» O’Keefe sorrise. Non aveva problemi a incontrare persone nuove, pero trovava i convenevoli tremendamente stancanti. Stringere mani, dire a persone mai viste prima quanto sia fantastico incontrarle... gi presento la biondina accanto a lui come Mimi Parker. Una All American Girl scottata dal sole, sopracciglia scure e denti perfetti. Californiana, penso O’Keefe. La California sembrava possedere un brevetto esclusivo per quel tipo di ragazze che profumavano di sole. «Mimi e una creatrice di moda del tutto fuori dall’ordinario», spiego Ögi, pieno di entusiasmo. «Se indossera uno dei suoi pullover potra dire addio ai medici.» «Oh. In che senso?» «Semplice.» Mimi stava per dire qualcosa, ma Ögi la anticipo. «Monitorano le funzioni fisiologiche! Supponiamo che le venga un infarto... Ecco: il pullover invia la sua documentazione clinica all’ospedale piu vicino e fa accorrere un’ambulanza.» «È anche in grado di operare?» «Ci sono intessuti alcuni transistor», spiego Mimi. «Il capo d’abbigliamento in pratica e un computer con milioni di sensori che creano interfacce col corpo di chi lo indossa, ma possono anche essere collegati in rete con sistemi esterni.» «Sembrerebbe un tantino ruvido.» «Nella stoffa vengono integrati i chip quantistici di Marc. Non c’e proprio niente di ruvido.» «A proposito», intervenne il biondo accanto a lei, allungando la mano. «Piacere, Marc Edwards.»

«Piacere mio.» «Guardi.» Mimi indico il suo costume da bagno. «Solo qui dentro ci sono due milioni di sensori. Tra le altre cose, assorbono il calore dal mio corpo e lo trasformano in elettricita. Ovviamente la quantita di energia sfruttabile a partire da una ’centrale elettrica umana’ e minima, pero sufficiente per riscaldare il costume in caso di necessita. I sensori reagiscono alla temperatura dell’aria e dell’acqua.» «Interessante.» «Tra l’altro, ho visto Hyperactive», intervenne Edwards. «È vero che ha dovuto imparare a suonare la chitarra?» «Uh, un classico caso di disinformazione», commento Heidrun in tono annoiato. «Finn e cresciuto con chitarra e pianoforte. Ha anche una band.» O’Keefe alzo le mani. «Avevo una band. Adesso ci ritroviamo solo di rado.» «Il film comunque l’ho trovato fantastico», riprese Edwards. «Lei e uno dei miei attori preferiti.» «Grazie.» «Ha cantato in modo grandioso. Aspetti, come si chiamava la band?» «The Black Sheep.» Edwards parve riflettere, come se ricordasse i Black Sheep ma in quel momento gli sfuggissero i loro successi. O’Keefe sorrise. «Si fidi. Non ha mai sentito parlare di noi.» «Infatti.» Ögi gli mise un braccio intorno alle spalle e abbasso la voce. «Detto fra noi, ragazzo mio, questi sono tutti sbarbatelli. Scommetto che quei due non sanno nemmeno chi era Kurt Cobain.» Mimi guardo incerta prima l’uno e poi l’altro. «Ah, ma allora e realmente esistito?» Ögi estrasse un sigaro, lo taglio e lo accese. «È stato l’eroe tragico di una generazione innamorata del suicidio. Romantici travestiti da nichilisti, affetti da mal de vivre, intrigati da un inespresso amore per la morte... nulla che non fosse gia presente in Schubert e Schumann. E ha fatto un’uscita di scena fulminante. Come si e preparato per la parte, Finn?» «Be’, io...» «Ha cercato di essere lui?» «Per questo avrebbe dovuto imbottirsi di droga. Cobain era perennemente fatto», lo interruppe Edwards. «Magari e andata davvero cos, eh?» disse Ögi. O’Keefe rise e scosse la testa. Era impossibile spiegare in due parole come si recitava la parte di Kurt Cobain o di chiunque altro a un’allegra combriccola di vacanzieri al bordo di una piscina!

«Non si chiama ’Metodo’?» chiese Mimi. «L’attore rinuncia alla sua identita e s’identifica completamente col personaggio, settimane e mesi prima di girare il film. In pratica si sottopone a una sorta di lavaggio del cervello.» «No, non e proprio cos. Io lavoro diversamente.» «E in che modo?» «In modo piu normale. Dovete capire che, di fatto, si tratta soltanto di un lavoro.» Mimi sembro delusa. O’Keefe si sent addosso gli occhi violetti di Heidrun e provo un certo disagio. Lo stavano fissando tutti. «Stavate parlando di un musical, prima », disse a Ögi per cambiare discorso. «Quale?» «Nine Eleven», rispose Ögi. «L’abbiamo visto la settimana scorsa a New York. Lei l’ha visto?» «Non ancora.» «Pensiamo anche noi di andare a vederlo», intervenne Edwards. Ögi emise una nuvola di fumo. «Andateci! Come dicevo, e molto drammatico! Gli autori avrebbero potuto annegare il soggetto in fiumi di pathos, invece hanno optato per un allestimento di grande effetto.» «Dicono che la scenografia sia incredibile», intervenne Mimi, entusiasta. «Un’olografia. Sembra di essere in mezzo all’azione.» «A me piace la canzone del poliziotto e della ragazza. La passano continuamente alla radio. Fino alla morte, baby...» E inizio a canticchiare una melodia. O’Keefe spero di non doversi esprimere sull’argomento. Non aveva la minima intenzione di vedere Nine Eleven. «Le scene mielose non sono il motivo per cui vale la pena andare », sbuffo Ogi. «Certo, le interpretazioni di Jimeno e McLoughlin sono molto buone e lo sono pure quelle delle loro mogli, ma cio che lo rende fantastico sono gli effetti speciali. Quando arrivano gli aerei... ah, da non crederci. E anche il tipo che recita la parte di Osama bin Laden...» «Un basso?» chiese Edwards. «Un baritono.» «Vado a fare una nuotata», intervenne Heidrun. «Chi viene con me? Finn?» Grazie, penso lui. Ando in camera a cambiarsi. Dieci minuti dopo, erano entrambi in piscina a sfidarsi a stile libero. Heidrun stacco il suo avversario per ben due volte e solo alla terza vasca raggiunsero il bordo contemporaneamente. Poi lei si sedette con le gambe nell’acqua. Sempre reggendo il suo sigaro, Walo le mando un bacio e poi si concentro nuovamente nel suo racconto. In quell’istante, entrarono nel bar un uomo dall’aspetto atletico e una donna tutta curve, con una criniera di capelli rosso fuoco.

«Conosci quel tipo?» chiese O’Keefe. «No.» Heidrun incrocio le braccia sul petto. «Deve essere appena arrivato. Forse e quell’investitore canadese. Un nome con la H, Henna o Hanson. La rossa invece l’ho gia vista, pero non ricordo dove.» «Lei?» O’Keefe si scosto i capelli bagnati dalla fronte. «Si chiama Miranda Winter.» «Ah! È vero! Non era stata accusata di omicidio?» L’altro scrollò le spalle. «S, un po’ di tempo fa. È una persona gradevole, se si dimentica il fatto che chiama per nome i suoi seni e ha dilapidato un’eredita di tredici miliardi di dollari. Non so se le accuse di omicidio fossero fondate. Hanno scritto un mare di roba su quella faccenda. Alla fine e stata assolta.» «Dove s’incontra certa gente? Ai party?» «Non frequento i party.» Heidrun si lascio scivolare nell’acqua e si mise sul dorso. I capelli si schiusero come i petali di un fiore bianco. A O’Keefe vennero in mente i racconti sulle sirene, quegli esseri seducenti che uscivano dai flutti per attirare sott’acqua i marinai e rubargli il respiro coi loro baci. «È vero. Tu detesti stare al centro dell’attenzione, vero?» Lui riflette poi disse: «In realta, no». «Appunto. T’innervosisci solo se viene a mancare lo schermo, la barriera che ti separa dagli spettatori. Ti piace suscitare ammirazione, ma ti piace ancora di piu far credere che tutto cio ti sia indifferente.» Lui la fisso, allibito. «È questa l’idea che ti sei fatta di me?» «Quando People ti ha eletto l”uomo piu sexy del pianeta’, tu hai sostenuto di non avere la minima idea del perche le donne si strappino i capelli quando ti vedono.» «Non capisco, davvero», disse O’Keefe. Heidrun rise. «Nemmeno io.» S’immerse nell’acqua. Allontanandosi, la sua silhouette parve dissolversi in un quadro cubista. O’Keefe si chiese se avesse gradito la sua risposta, ma le sue riflessioni furono interrotte dal rombo di un elicottero che si avvicinava. Guardo il cielo e vide un’unica nuvola bianca. Una piccola nuvola solitaria. Piccola e solitaria come lui. Noi due ci capiamo, penso, divertito. Un elicottero entro nel suo campo visivo, oltrepasso la piscina e si preparo per l’atterraggio. «C’e gente in acqua», constato Karla Kramp. Lo disse con freddezza analitica, come se stesse commentando la comparsa di microbi in una capsula di Petri. Non sembrava contenta di dover fare quel viaggio.

Attraverso il finestrino dell’elicottero, Eva Borelius vide una donna dalla pelle chiara scivolare su un fondo turchese. «Mi sa che e ora che impari a nuotare.» «Per te ho gia imparato ad andare a cavallo», rispose Karla Kramp, impassibile. «Lo so.» Eva Borelius si appoggio allo schienale e allungo le membra ossute. «Non si finisce mai d’imparare, tesoro.» Di fronte a loro, Bernard Tautou stava sonnecchiando con la testa reclinata all’indietro e la bocca mezza aperta. Dopo avere trascorso la prima mezz’ora di volo a parlare delle sue stressanti attivita quotidiane, che apparentemente includevano la visita di remote oasi nel deserto e cene informali all’Eliseo, si era assopito, regalando alle compagne di viaggio la possibilita di scrutare l’interno delle sue narici. Tautou era un uomo magro e minuto. I capelli ondulati, visibilmente tinti, iniziavano a diradarsi sulle tempie. Sotto le palpebre pesanti, il suo sguardo aveva qualcosa di apatico che conferiva un’aria malinconica al viso ovale. Un’impressione che scompariva quando lui rideva, sollevando le folte sopracciglia da clown. E Tautou rideva parecchio. Faceva molti complimenti, ma solo per sfruttare le risposte dell’interlocutore come rampa di lancio per parlare di se stesso. Quando si rivolgeva alla moglie, una frase su due terminava con n’est-ce pas? e in effetti la funzione di Paulette sembrava esaurirsi nella conferma di cio che il marito aveva detto. Tuttavia, quando Tautou si era appisolato, la donna era diventata piu loquace: aveva parlato un po’ di tutto, dall’amicizia che legava lei e il marito alla presidentessa francese a quanto fosse cruciale per l’umanita creare un modo per accedere alle risorse piu preziose, ormai in esaurimento. Aveva aggiunto che Bernard, in qualita di amministratore delegato del colosso dell’acqua Suez Environnement, aveva condotto personalmente le trattative per la fusione con la Thames Water, e che la nuova societa nata da quell’unione si era fatta carico della gestione del rifornimento idrico globale, di fatto salvando il mondo; seppur in maniera indiretta, quindi, era stato suo marito a salvare il mondo. Stando al suo racconto, il prode Bernard era instancabilmente impegnato nella realizzazione di sistemi idrici nei quartieri piu poveri e miserabili, una specie di santo protettore nella lotta contro la sete. «Ma, scusi, l’acqua non e una risorsa che dovrebbe essere a disposizione di tutta l’umanita?» aveva chiesto Karla. «Certo.» «Eppure e lecito privatizzarla?» Paulette le aveva rivolto uno sguardo impenetrabile. Le palpebre cadenti e la sua acconciatura la facevano somigliare vagamente a Charlotte Rampling, anche se non poteva certo vantare la stessa classe. Inoltre quella era la domanda piu ricorrente nel settore ormai da decenni, percio Paulette aveva assunto un’aria annoiata che non le donava affatto. «Guardi, grazie a Dio la discussione ormai non e piu di moda. Senza privatizzazione non sarebbero

nate le reti di approvvigionamento ne gli impianti di depurazione. A cosa serve avere libero accesso a una risorsa che va oltre le proprie possibilita?» Karla aveva annuito, pensierosa. «Quindi si potrebbe privatizzare anche l’aria che respiriamo?» «Come, scusi? No, ovvio.» «Voglio solo capire. La Suez costruisce impianti di approvvigionamento, per esempio in...» «Namibia.» «Namibia, gia. E questo tipo di progetti viene finanziato con gli aiuti ai Paesi in via di sviluppo?» «S, certo.» «E l’impianto opera a scopo di lucro?» «Per forza, dev’essere cos.» «In altre parole, la Suez realizza profitti privati grazie ai finanziamenti destinati ai Paesi in via di sviluppo?» Ormai Paulette Tautou era chiaramente a disagio ed Eva Borelius aveva sussurrato a Karla: «Ti prego, basta». Il loro viaggio era soltanto all’inizio e lei non aveva nessuna voglia di finire in situazioni imbarazzanti, come capitava sempre quando Karla Kramp affilava il bisturi della sua curiosita. La conversazione si era allora spostata su argomenti piu leggeri e infine le tre donne si erano messe a osservare dal finestrino la piattaforma galleggiante. Per essere piu precisi, Eva e Karla fissavano incantate la linea nera che si protendeva verso il cielo, mentre Paulette la squadrava con diffidenza, senza manifestare la minima intenzione di destare il marito. «Non lo sveglia?» aveva chiesto Eva. «Di sicuro non vorra perdersi lo spettacolo.» «No, no, sono felice quando riesce a dormire. Non ha idea di quanto lavori.» «Ma siamo quasi arrivati, quindi comunque dovra svegliarlo o.» «Ogni secondo e prezioso per lui. Lo sveglierei solo per qualcosa di davvero importante.» Qualcosa di davvero importante, aveva pensato Eva. Okay. Solo quando l’elicottero inizio a scendere verso l’eliporto, Paulette inizio a sussurrare: «Bernard, Bernard...» finche l’uomo non apr gli occhi, confuso, sbattendo le palpebre. «Siamo gia arrivati?» «Stiamo atterrando.» «Cosa?» L’uomo ando su tutte le furie. «Dov’e la piattaforma? Pensavo che avremmo visto la piattaforma.» «Stavi dormendo.»

«Oh! Merde! Perche non mi hai svegliato, cherie? Volevo vedere la piattaforma!» Eva si astenne da ogni commento. Un attimo prima dell’atterraggio noto in lontananza un imponente yacht, bianco come la neve. Poi l’elicottero tocco terra e il portellone laterale si sollevo. Sullo yacht, Rebecca Hsu usc dallo studio, attraverso l’ampio salone rivestito di marmo e usc sul ponte parlando al telefono col suo ufficio di Taipei. «È assolutamente irrilevante che cosa pensa il direttore commerciale francese», disse bruscamente. «Stiamo parlando di un profumo per dodicenni. È a loro che deve piacere, non a lui. Se comincia a piacere a lui, abbiamo commesso un errore.» Dall’altra parte della linea giunse una voce concitata. Con passi rapidi, Rebecca si diresse a poppa dove l’attendevano il primo ufficiale, il comandante e un motoscafo. «Ho capito, non sono mica stupida: e ovvio che intendano gestire loro la campagna promozionale. Vogliono sempre fare da se. Questi francesi sono terribilmente complicati. Abbiamo lanciato il profumo sul mercato tedesco, italiano e spagnolo senza trattamenti speciali per nessuno ed e sempre andata bene. Non capisco perche ora proprio la Francia... Come, scusa? Cos’ha detto?» L’informazione fu ripetuta. «Cazzate, io amo la Francia», urlo Rebecca, indignata. «E anche i francesi! È solo che sono stufa di questa continua ribellione. Ho acquistato il loro amato marchio, prima o poi dovranno farsene una ragione. Finche si tratta di Dior e compagnia, possono fare quello che vogliono ma, per le nostre creazioni, mi aspetto un’assoluta collaborazione.» Getto uno sguardo all’Isla de las Estrellas, che sorgeva dal Pacifico come un mostro marino. L’aria era immobile, nemmeno un filo di brezza. Il mare si stendeva come una pellicola scura da orizzonte a orizzonte. Chiuse la comunicazione e si rivolse ai due uomini in livrea. «Allora? Avete ripetuto la richiesta?» Il comandante scosse il capo. «Sono molto dispiaciuto, Madame. Non abbiamo ottenuto l’autorizzazione.» «Non riesco proprio a capire quale sia il problema.» «Le imbarcazioni private non possono avvicinarsi all’Isla del las Estrellas e alla piattaforma. Lo stesso vale per lo spazio aereo. L’intera zona e off-limits. Se non si fosse trattato di lei, avremmo dovuto aspettare il loro elicottero. In via del tutto eccezionale, ci hanno autorizzato a portarla a terra col nostro motoscafo. » Rebecca sospiro. Non era abituata a sottostare alle regole degli altri. D’altra parte, la prospettiva di un viaggio in motoscafo era sufficiente per farle tornare il buonumore, quindi non vide la necessita d’insistere. «I bagagli sono a bordo?» «Certo, Madame. Le auguro una buona vacanza.»

«Grazie. Che aspetto ho?» «Perfetto, come sempre.» Sì, magari, penso lei. Da quando aveva raggiunto i cinquanta, combatteva una lotta disperata contro i segni del tempo. Il campo di battaglia consisteva in diversi attrezzi ginnici, in piscine con impianti per il nuoto controcorrente, in percorsi privati per il jogging e nel suo yacht di centoquaranta metri, che lei aveva fatto costruire in modo tale da poter correre sul ponte senza ostacoli di nessun tipo. Dal momento in cui aveva lasciato Taiwan, aveva corso tutti i giorni. Con una disciplina ferrea aveva anche risolto il problema della sua fame nervosa, eppure il suo corpo continuava a lievitare. Se non altro, l’abito che indossava metteva in risalto quello che era rimasto del giro vita, oltre a essere adeguatamente stravagante. Il «nido d’uccello», come veniva chiamata la sua pettinatura negli ambienti della moda, mostrava il caratteristico disordine e il trucco era impeccabile, come sempre. Quando il motoscafo si stacco dallo yacht, lei era di nuovo al telefono. «Arriva Rebecca Hsu», disse Norrington nella ricetrasmittente. Lynn lascio la cucina dello Stellar Island Hotel, controllo brevemente la hall, diede alcune istruzioni ai suoi assistenti e usc nella luce del sole. «Ha portato guardie del corpo?» volle sapere. «No. In compenso ha chiesto piu volte se fossimo davvero decisi a non concederle l’autorizzazione ad attraccare.» «Scusa? Rebecca vuole parcheggiare il suo dannato yacht qui da noi?» «Si calmi. Abbiamo tenuto duro. Sta arrivando col motoscafo. » «Ah, bene. Tra quanto sara qui?» «Tra circa dieci minuti. Sempre che non finisca in mare strada facendo.» L’idea sembrava divertire Norrington. «In zona ci sono sicuramente un paio di squali affamati, no? L’ultima volta che ho visto la nostra amica, sembrava perfetta per sfamare un intero branco.» «Se Rebecca venisse sbranata, lei sarebbe il dessert.» «Spiritosa e rilassata come sempre», disse Norrington sospirando, e chiuse la conversazione. Con passo veloce, Lynn s’incammino lungo il sentiero, mentre il suo spirito si frammentava in una decina di Lynn preoccupate che ispezionavano le diverse aree dell’hotel. Le era sfuggito qualcosa? Tutte le suite degli ospiti erano pulite e pronte ad accoglierli. Preparando le camere, aveva cercato di soddisfare le predilezioni di ciascuno di essi. Gigli, montagne di litchi e di frutti della passione per Rebecca Hsu; lo champagne preferito di Momoka Omura; un volume di lusso sulla storia delle corse automobilistiche sul guanciale di Warren Locatelli; riproduzioni di arte asiatica e russa sulle pareti degli Ögi; vecchi giocattoli di latta per Marc Edwards; la biografia di Mohammed Ali con alcune foto inedite per il buon vec-

chio Chucky; essenze da bagno al cioccolato per Miranda Winter. I gusti degli ospiti venivano accontentati anche nel menu del ristorante. I fantasmi delle preoccupazioni di Lynn sospirarono nelle saune e nelle Jacuzzi del centro benessere, strisciarono gelidi attraverso il campo da golf, si sparsero, freddi e umidi, nello Stellar Island Dome, il centro multimediale sotterraneo. E non trovarono niente fuori posto. Cio che doveva funzionare stava funzionando. Inoltre nessuno si sarebbe accorto che non erano riusciti a ultimare i preparativi. A meno che agli ospiti non venisse in mente di curiosare in giro per l’hotel. Nella maggior parte delle camere erano ancora ammucchiati attrezzi da lavoro e sacchi di cemento, e l’imbiancatura era stata eseguita solo a meta. Sapendo che non sarebbero stati pronti per l’inaugurazione, Lynn si era concentrata sui lavori nelle suite assegnate agli ospiti. La cucina, per esempio, funzionava solo in parte: sarebbe stata piu che sufficiente per viziare gli ospiti, ma non per sfamare i trecento visitatori per cui l’hotel era stato concepito. Lynn si fermo a osservare il transatlantico luccicante che sembrava fondersi col basalto. Come se la sua immobilita fosse un segnale, da uno scoglio vicino si alzo uno stormo di uccelli che, lanciando acuti richiami, formarono una nuvola svolazzante, diretta verso l’interno. La donna rabbrivid. Immagino gli uccelli scagliarsi contro la struttura, ricoprirla coi loro escrementi, smantellarla, graffiarla e cacciare verso il mare le persone che si trovavano all’interno. Vide i cadaveri galleggiare nella piscina, il sangue tingere l’acqua e i sopravvissuti correre verso di lei, accusandola di non aver impedito quell’assalto. Piu di tutti, sentiva gridare Julian... Non si rese conto che pure il personale dell’albergo si era fermato e scrutava ansiosamente prima lei e poi l’hotel, avanti e indietro. Tutti apparivano smarriti ed esitanti: pareva che Lynn stesse assistendo al Giudizio Universale. Dopo un minuto di totale irrigidimento, la donna torno in se e riprese a percorrere il sentiero verso il porto. Dall’altura sopra la piscina dove si era sistemato, Andrew Norrington la osservo mentre s’incamminava, e poi giro lo sguardo all’intorno. Da l, poteva scorgere gran parte della riva orientale. Nel porto - un’insenatura naturale ampliata con gli esplosivi -, erano ancorate numerose piccole imbarcazioni, soprattutto motovedette e alcuni Zodiac riconoscibili dalla caratteristica O dell’Orley Enterprises. Ci sarebbe stato spazio a sufficienza per lo yacht di Rebecca Hsu, ma Norrington non aveva intenzione di concederle un trattamento speciale. Tutti gli altri avevano raggiunto l’isola con gli elicotteri della societa di Orley, come stabilito. Perche non doveva farlo anche lei? Poteva ritenersi gia fortunata ad avere ottenuto il permesso di raggiungere l’isola via mare. Mentre si dirigeva verso la piscina, Norrington penso alla figlia di Julian. Anche se non gli piaceva particolarmente, rispettava la sua autorita e la sua competenza. Fin da giovanissima,

aveva dovuto accollarsi un enorme carico di responsabilita e, a dispetto degli invidiosi e degli scettici, era riuscita a portare l’Orley Travel ai primi posti del settore turistico. Lo Stellar Island Hotel era senza dubbio uno dei suoi capolavori, anche se restava molto lavoro da fare. Tuttavia il suo splendore impallidiva di fronte all’Orley Space Station Grand e al Gaia Hotel. Nessuno era mai riuscito a realizzare niente di simile. A meno di quarant’anni, Lynn era gia una leggenda all’interno del gruppo, e quei due hotel erano finiti. Norrington alzo il capo e socchiuse le palpebre, guardando il sole. Poi, con aria distratta, si diede un colpetto su una spalla, facendo cadere un ragno grande come il palmo di una mano, entro nella zona della piscina da una stradina laterale, bordata da felci e conifere, e inizio la perlustrazione. Nel frattempo, quasi tutta la comitiva si era radunata l. Tra drink e stuzzichini, gli ospiti iniziavano a conoscersi. Julian aveva selezionato i partecipanti in modo molto intelligente. Nel complesso, quel gruppetto eterogeneo valeva qualche centinaio di miliardi di dollari: c’erano filantropi come Mukesh Nair, imprenditori dello stampo dei Rogacev e addirittura personaggi come Miranda Winter, che finalmente avrebbe avuto la possibilita di spremere le sue piccole meningi per capire come spendere in modo piu assennato il proprio denaro. Orley aveva intenzione di alleggerire notevolmente il portafoglio di tutti i presenti. Proprio in quel momento, Evelyn Chambers si un al gruppo, guardandosi intorno con un sorriso raggiante. Col passare degli anni era un po’ ingrassata, ma non era nulla in confronto allo spropositato aumento di volume di Rebecca Hsu. Norrington prosegu, pronto a tutto. «Mimi, Marc! Che piacere vedervi.» Evelyn era riuscita a superare la nausea ed era nuovamente in grado di comunicare. Con Mimi Parker nacque subito una certa intesa e anche Marc alla fine si rivelo una persona piacevole. Fece un cenno a Momoka Omura e bacio sulle guance Miranda Winter, che accoglieva tutti con un «Uauuuuuuuuu!» che sarebbe stato perfetto per un impianto di allarme e concludeva ogni discorso con un «Oh, yeah!» pieno di entusiasmo. L’ultima volta che aveva visto Miranda, quest’ultima aveva i capelli blu acciaio e ora la ritrovava con una tinta rosso fuoco che la faceva somigliare a un estintore. Un’applicazione in filigrana abbelliva la fronte dell’ex modella. I seni erano strizzati in un abito che copriva a malapena la curva del fondoschiena, cos stretto in vita da suggerire l’impressione che potesse spezzarsi in due da un momento all’altro. Coi suoi ventotto anni, Miranda era la piu giovane degli ospiti, ma si era sottoposta a una tale quantita d’interventi di chirurgia plastica che il semplice elenco delle sue operazioni dava da vivere a centinaia di riviste di gossip; per non parlare poi delle sue sregolatezze, dei suoi eccessi e degli strascichi del processo. Evelyn indico l’applicazione sulla fronte. «Bella», disse, cercando di non fissare i due prorompenti pianeti che spuntavano dalla scollatura della donna e che attiravano il suo sguardo

verso il basso come una calamita. Tutti sapevano che Evelyn era bisessuale. La divulgazione del suo menage à trois col marito e con l’amante lesbica le era costata la candidatura a New York. «È indiana», spiegò Miranda, compiaciuta. «È il momento astrale dell’India, lo sapevi?» «Ah, s?» «Gia, pensa! Le stelle dicono che stiamo andando verso un’era indiana. È meraviglioso. La trasformazione comincera in India. L’umanità cambiera. Prima l’India e poi il mondo intero. Non ci saranno piu guerre.» «Chi te l’ha detto, tesoro?» «Olinda.» Olinda Brannigan era un’attrice che viveva a Beverly Hills, secca come uno stoccafisso. Miranda la consultava per farsi leggere le carte e predire il futuro. «E cos’altro dice Olinda?» «Che bisogna boicottare i prodotti cinesi. La Cina colera a picco.» «Per colpa del deficit commerciale?» «Per colpa di Giove.» «E quest’abito che indossi?» «Bello, vero? Dolce & Gabbana.» «Dovresti togliertelo.» «Ma cosa stai dicendo? Qui?» Miranda lancio uno sguardo furtivo all’intorno. «Adesso?» «Ècinese.» «Ma smettila! È italiano!» «È cinese, cara», ribadì Evelyn, senza nascondere una punta di soddisfazione. «Rebecca Hsu ha comprato Dolce & Gabbana l’anno scorso.» «Ma deve proprio comprare tutto, quella donna?» Per un attimo, Miranda sembro davvero turbata dalla notizia. Poi la sua indole solare ebbe il sopravvento. «Mah, fa lo stesso. Magari Olinda si e sbagliata.» Scrollo le spalle. «In ogni caso non sto piiiiiiu nella pelle per questo viaggio. Strillero tutto il tempo!» Evelyn non dubito nemmeno per un istante della serieta di quella minaccia. Lascio vagare lo sguardo e vide i Nair, i Tautou e i Locatelli parlare tra loro. Poi Olympiada si un al gruppo. D’un tratto, si rese conto che Oleg Rogacev la stava fissando. Lui le fece un cenno col capo, si diresse verso il bar e subito dopo la raggiunse con un bicchiere di champagne. Glielo porse col suo solito sorriso enigmatico. «A quanto pare saremo sottoposti al suo giudizio anche nello spazio», disse in un inglese con forte cadenza slava. «Dovremo stare molto attenti a quello che diciamo. »

«Sono qui in veste privata. Ma, ovviamente, se qualcuno sentisse la necessita di confidarmi qualcosa...» ammicco lei. Rogacev ridacchio senza perdere l’espressione glaciale. «Lo faro di certo, anche solo per il piacere della sua compagnia.» Guardo verso la piattaforma. Il sole ormai era basso dietro il vulcano e illuminava l’isola artificiale di colori caldi. «Ha frequentato anche lei un corso di preparazione? L’assenza di gravita non e cosa da tutti.» Evelyn sorseggio lo champagne. «Presso l’Orley Space Center. Voli parabolici, simulazione in piscine da immersione, tutto il programma insomma. E lei?» «Un paio di voli suborbitali.» «È emozionato?» «Sono teso.» «Di certo sa a cosa mira Julian, con questo evento.» L’osservazione fluttuo nell’aria, in attesa di essere afferrata. «E lei vorrebbe sapere qual e la mia opinione in proposito», disse infine Rogacev. «Be’, non sarebbe qui se non avesse gia riflettuto sulla questione. » «E lei?» Evelyn rise. «Lasci stare. In questo gruppo, io sono una specie di mascotte. Non credo che Julian stia mirando ai miei risparmi. » «Se tutte le mascotte potessero vantare la sua situazione patrimoniale, cara Evelyn, potrebbero governare il mondo.» «La ricchezza e relativa, Oleg, come lei sa bene. Julian e io siamo vecchi amici. Mi piacerebbe pensare che sia questo che l’ha spinto a invitarmi, ma so benissimo che l’ha fatto perche io gestisco un capitale piu importante del denaro.» Rogacev annu. «L’opinione pubblica. Anch’io l’avrei invitata, al posto suo.» «Lei invece e ricco! Quasi tutti i presenti sono ricchi, molto ricchi. Se ognuno di voi mettesse sul tavolo solo un decimo del proprio patrimonio, Julian potrebbe costruire senza problemi un secondo ascensore spaziale e una seconda Orley Space Station.» «Orley non permettera a nessuno dei suoi azionisti d’influenzare in modo determinante le sorti dell’azienda. Io sono russo. Noi abbiamo i nostri programmi. Perche dovrei sovvenzionare l’astronautica americana?» «Me lo sta chiedendo sul serio?» «Gia.» «Perche lei e un uomo d’affari. Gli Stati possono pure avere vari interessi, ma che se ne fanno se mancano i fondi e il know-how? Julian Orley ha salvato dal baratro l’astronautica americana, pero, cos facendo, ne ha segnato la fine. Adesso il capo e lui. I programmi spaziali, almeno quelli degni di nota, sono quasi tutti in mano di privati, e il vantaggio di Julian in

questo settore e incolmabile. Ormai pure a Mosca dovrebbero sapere che lui se ne infischia degli interessi nazionali. È semplicemente alla ricerca di gente che la pensi come lui.» «Si potrebbe pure dire che se ne infischia della lealta.» «Julian e leale verso i propri ideali, che lei ci creda o no. Di fatto, lui puo cavarsela senza la NASA; senza di lui, la NASA non va da nessuna parte. L’anno scorso ha presentato alla Casa Bianca una richiesta di finanziamento per un secondo ascensore, mettendosi in una posizione di forte dipendenza dallo Stato in quanto fornitore del know-how. Ma, invece di sfruttare l’occasione per legare Julian a se, il Congresso ha accolto il progetto con perplessita. L’America non ha ancora capito che Julian considera gli USA un investitore come chiunque altro.» «E, dato che attualmente la potenza di quest’ultimo investitore sembra ridotta, Julian sta cercando di allargare la cerchia dei partner.» «Esatto. Non gliene importa un accidente se lei e russo o marziano.» «D’accordo. Ma perche io non dovrei investire nel programma spaziale del mio Paese?» «Dovrebbe chiedersi se vuole davvero affidare il suo denaro a una nazione che sara anche la sua patria ma che, a livello tecnologico, e terribilmente arretrata.» «L’astronautica russa e tanto privatizzata ed efficiente quanto quella americana.» «Ma voi non avete un Julian Orley. E, al momento, non vedo figure del genere all’orizzonte. Ne in Russia, ne in India, ne tantomeno in Cina. Neanche i francesi o i tedeschi ne hanno uno. Il Giappone sta girando in tondo. L’idea d’investire denaro nel tentativo d’inventare qualcosa che altri hanno gia inventato da tempo solo per patriottismo piu che leale mi sembra sentimentale. » Lo guardo negli occhi. «Lei non mi sembra un tipo incline al sentimentalismo. In Russia si attiene alle regole del gioco, tutto qui. Ed e poco legato alla sua patria, proprio come lo e Julian nei confronti di ognuno di noi.» «A quanto pare e convinta di sapere molte cose sul mio conto.» Evelyn scrollo le spalle. «So solo che Julian non pagherebbe a nessuno il viaggio piu dispendioso del mondo solo per amore verso il prossimo.» «E lei?» chiese Rogacev a un uomo dalla corporatura atletica che si era unito a loro mentre parlavano. «Lei perche si trova qui?» «Per via di una disgrazia.» L’uomo si avvicino e porse la mano destra a Evelyn. «Carl Hanna.» «Evelyn Chambers. Si riferisce all’attentato a Palstein?» «Infatti. Avrebbe dovuto esserci lui al mio posto. So che non dovrei esserne felice, considerate le circostanze...» «Ma si è liberato un posto per lei e ne è felice. È comprensibile. »

«In ogni caso, e un piacere conoscerla. Guardo Chambers ogni volta che posso.» Getto uno sguardo verso l’alto. «Ha intenzione di fare una trasmissione lassu?» «Non si preoccupi, il mio e un viaggio privato. Julian ha in mente di farmi girare uno spot pubblicitario in cui celebro le bellezze dell’universo. Per promuovere il turismo spaziale. Conosce Oleg Alekseevic Rogacev?» «RogaMittal», sorrise Hanna. «Ma certo. Abbiamo persino una passione in comune.» «Che sarebbe?» «Il calcio.» «È appassionato di calcio?» La faccia da volpe dell’impenetrabile russo sembro ravvivarsi. Ah-ah, penso Evelyn. Ecco un primo indizio su Hanna. Guardo con interesse il fisico muscoloso del canadese, privo della goffaggine tipica dei body-builder. Capelli e barba rasati, sopracciglia folte e fossetta sul mento: sarebbe stato perfetto in qualsiasi film di guerra. Parlando di calcio, Rogacev, in genere molto diffidente verso gli sconosciuti, inizio a gesticolare in modo euforico. Tuttavia stavano parlando di un argomento di cui Evelyn non capiva niente, quindi lei decise che era meglio andarsene e si congedo. Al bar, s’imbatte in Lynn Orley che le presento i Nair, i Tautou e Walo Ögi. Il gioviale svizzero le piacque subito. Narcisista e con una bizzarra propensione al pathos, si rivelo esperto del mondo, ma con modi all’antica. In generale non si parlava d’altro che dell’imminente viaggio. Evelyn constato con piacere che non c’era bisogno di sforzarsi per attirare l’attenzione di Heidrun Ögi. La donna la saluto subito con entusiasmo e non perse l’occasione di presentarle Finn O’Keefe, che le regalo uno sguardo tormentato. Evelyn riusc a non porgli nemmeno una domanda per cinque minuti e arrivo addirittura a promettergli di non farlo neanche in seguito. «Per sempre?» chiese O’Keefe, scettico. «Per tutte le prossime due settimane», gli assicuro lei. «Poi ci riprovero.» Non fissare Heidrun si rivelo ancora piu difficile che sfuggire al campo gravitazionale dei seni di Miranda Winter, ondeggianti colline di piacere che promettevano delizie, ma non facevano perdere troppo la testa. Nell’insieme, Miranda non era niente di speciale. Fare sesso con lei, penso Evelyn, sarebbe stato come leccare un vasetto di miele: dolce e allettante all’inizio, quindi un po’ insapore, alla lunga noioso e per di piu col rischio, alla fine, di sentirsi male. Invece il fisico anoressico e senza pigmenti di Heidrun, i suoi capelli bianchi e la sua pelle candida come la neve promettevano un’esperienza erotica sconvolgente. Evelyn sospiro. In quell’ambiente non poteva permettersi scappatelle; oltretutto era palese che Heidrun non aveva il minimo interesse per le donne. Almeno in quel senso.

Poco piu in la intravide la sagoma di Chuck Donoghue. Il mento si protendeva, imperioso, e i capelli rossicci, che cominciavano a diradarsi, erano freschi di messa in piega. Stava discutendo animatamente con due donne. Una era alta e ossuta, coi capelli rossicci; l’altra, mora e dall’aspetto delicato, sembrava uscita da un quadro di Modigliani. Eva Borelius e Karla Kramp. A intervalli, il comizio di Chuck veniva interrotto dai materni commenti in falsetto di Aileen Donoghue. Ci si sarebbe aspettati di vedere quella donna dalle gote rosate e dai ciuffi cotonati color argento correre a servire agli ospiti una torta di mele fatta con le sue mani. Secondo alcune voci, se non era impegnata ad aiutare il marito nell’amministrazione del loro impero alberghiero, si dilettava davvero a sfornare torte. In ogni caso, per riuscire a parlare con Eva Borelius, Evelyn Chambers avrebbe dovuto sorbirsi anche le spiritosaggini di Chuck, quindi si mise alla ricerca di Lynn. La vide parlare con un uomo che le somigliava incredibilmente. Gli stessi capelli biondo cenere, gli stessi occhi blu... il DNA degli Orley. Avvicinandosi, ud Lynn dire all’uomo: «Non preoccuparti, Tim, non mi sono mai sentita meglio ». Ma l’uomo la scrutava con aria di rimprovero. «Scusate, temo di disturbare», disse Evelyn, e fece per andarsene. «Nient’affatto.» Lynn la trattenne per il braccio. «Anzi... conosci mio fratello?» «Non ho avuto il piacere.» «Non faccio parte dell’azienda», disse Tim freddamente. A Evelyn sembrava di ricordare che il figlio di Julian avesse voltato le spalle all’azienda di famiglia alcuni anni addietro. Si vociferava che avesse un rapporto molto stretto con la sorella, ma che la relazione col padre si fosse deteriorata dopo la morte della madre, scomparsa dopo una grave malattia mentale. Lynn non le aveva mai rivelato altro, se non che Amber, la moglie di Tim, non condivideva il risentimento del marito nei confronti di Julian. «Sai per caso dov’e Rebecca?» chiese Evelyn. «Rebecca?» Lynn aggrotto le sopracciglia. «Dovrebbe arrivare da un momento all’altro. L’ho appena accompagnata nella sua suite.» In realta, a Evelyn non importava sapere dove fosse Rebecca Hsu e con chi stesse sbraitando al telefono. Aveva semplicemente avuto la sensazione che la sua presenza in quel momento fosse del tutto inopportuna e voleva trovare una scusa per svignarsela con eleganza. «Allora? Ti piace?» le domando Lynn. «È fantastico... Ho sentito che Julian non arrivera prima di dopodomani.» «S, e bloccato a Houston. I nostri partner americani lo stanno stressando.» «Ne ho sentito parlare.» «Ma allo show sara presente.» Lynn ridacchio. «Sai com’e fatto. Adora i coups de theâtre.»

«Be’, in questo caso, e anzitutto il tuo show», replico Evelyn. «Hai fatto un lavoro magnifico, Lynn. Congratulazioni! Tim, deve essere fiero di sua sorella.» «Grazie, Evy! Grazie davvero», esclamo Lynn. Tim Orley annu. Evelyn si sent decisamente di troppo. Strano, in realtà non sembra affatto un giovanotto antipatico, penso. Che problema ha? Ce l’ha con me? Sono arrivata nel momento sbagliato? «Verra lassu anche lei?» gli chiese. «Io, eh... s, certo, e il grande momento di Lynn.» Si sforzo di sorridere e attiro a se la sorella, mettendole un braccio intorno alle spalle. «Mi creda, sono terribilmente fiero di mia sorella.» Quelle parole esprimevano un tale calore che Evelyn fu sul punto di commuoversi. Ma il tono di Tim diceva anche: «Vattene, Evelyn». Torno al party un po’ perplessa. Il crepuscolo fu breve ma incantevole. Il sole si era dissolto in mille raggi rossi e rosa prima di scomparire nel Pacifico. Nel giro di pochi minuti, calo l’oscurita. Data la posizione dello Stellar Island Hotel, sul versante orientale dell’isola, per la maggior parte degli ospiti il sole non era tramontato nel mare, ma scivolato lentamente dietro la dorsale vulcanica. Solo O’Keefe e gli Ögi erano riusciti a godersi quello spettacolo. Avevano lasciato il party e avevano raggiunto la cupola di cristallo che consentiva di dominare con lo sguardo tutta l’isola e il suo versante occidentale, inaccessibile e ricoperto da una fitta vegetazione tropicale. «Dio mio. Nient’altro che acqua, ovunque si guardi», mormoro Heidrun, fissando l’orizzonte. «Bella scoperta, tesoro.» La voce di Ögi usc dalla nuvola di fumo del suo sigaro. Aveva sfruttato l’occasione per cambiarsi d’abito e ora indossava una camicia blu e un foulard un po’ demode. Heidrun si giro verso di lui. «Quanto sei sciocco. Ci troviamo su una dannata roccia in mezzo al Pacifico. Capisci cosa significa? » Dalla bocca di Ögi usc una galassia a spirale. «Finche non finiscono gli Havana, a me va benissimo stare qui.» Mentre i due parlavano, O’Keefe inizio a gironzolare. Meta della terrazza era coperta dall’imponente cupola di vetro dalla quale prendeva il nome. Erano stati apparecchiati solo pochi tavoli per la cena, ma lui aveva saputo da Lynn che il ristorante poteva ospitare fino a trecento persone. Guardo verso est. La piattaforma galleggiava luminosa in mezzo al mare. La vista era meravigliosa; solo la fune dell’ascensore era avvolta dall’oscurita. «Forse presto avrai nostalgia di questa dannata roccia», disse. Heidrun sorrise. «Ah, s? Magari ti terro anche la mano... ’Perry’.» A O’Keefe sfugg una risatina nervosa. Per anni, con l’ostinazione di un mulo, si era dedicato al cinema non commerciale, scegliendo esclusivamente ruoli da disadattato; di con-

seguenza era rimasto sorpreso piu di chiunque altro quando aveva vinto l’Oscar per l’interpretazione di Kurt Cobain in Hyperactive. Quel film era diventato la prova provata delle sue capacita. Nessuno poteva negare che il timoroso irlandese dallo sguardo ambrato, dai tratti regolari e dalle labbra sensuali avesse dato il meglio di se in produzioni low o no-budget, in oscuri film d’autore e in drammi d’avanguardia. Saggiamente, in seguito, aveva evitato i film di cassetta, continuando ad accettare solo i ruoli che lo convincevano. Ma d’un tratto cio sembrava andare a genio a tutti. Se gli piaceva un soggetto, poteva lavorare con registi dell’Azerbaigian per cifre ridicole, come se nulla fosse cambiato. Rendeva onore alle proprie origini interpretando James Joyce. S’impegnava per i senzatetto e per le vittime della droga. Le sue attivita meritorie dietro le quinte e davanti alle telecamere erano cos numerose che il suo passato era sprofondato in una specie di nebbia: nato a Galway, nella provincia irlandese del Connacht, madre giornalista e padre tenore, impara presto a suonare il pianoforte e la chitarra, recita in teatro per vincere la timidezza, fa la comparsa in film per la TV e gira spot pubblicitari. All’Abbey Theatre di Dublino, il grande salto: passa dai ruoli secondari a quelli principali. Si esibisce al Black Sheep Bar di Croydon, a Londra, e nell’O’Donoghues Pub a Dublino, scrive poesie e racconti brevi. Vive anche per quasi due anni presso i Pavee, gli zingari d’Irlanda, per un puro e romantico senso di comunione con la gloriosa Éire. E infine interpreta in modo cos convincente il ruolo di figlio ribelle di un contadino nella serie televisiva Mo ghra thu che Hollywood lo chiama. Quella era la sua storia. Non era neppure male. E, in un certo senso, era la verita. Raramente si parlava del fatto che, gia da bambino, il timido Finn fosse propenso a dare in escandescenze e a spaccare i denti ai compagni di scuola, che non avesse voglia di studiare e che, quando si era trattato di prendere una decisione sul proprio futuro, inizialmente fosse sprofondato nell’apatia. Non venivano citati la rottura coi genitori ne il consumo smodato di alcol e di droga. Del primo anno trascorso coi Pavee, lui non ricordava praticamente nulla, dato che per la maggior parte del tempo era stato ubriaco o fatto, o entrambe le cose. Dopo la statalizzazione dell’Abbey Theatre, un produttore tedesco gli aveva offerto la possibilita di essere protagonista nell’adattamento cinematografico del romanzo di Patrick Suskind Il profumo, ma lui non si era presentato al provino - stava dormendo, completamente sbronzo, addosso a una prostituta dublinese - e Ben Whishaw aveva ottenuto la parte. Per non parlare dei molti ingaggi persi per motivi simili e di quand’era stato sbattuto fuori dalla serie televisiva; il tutto seguito da altri due anni di vita depravata in compagnia dei nomadi fino al riavvicinamento coi genitori e alla disintossicazione. Il mito era nato piu tardi. Partiva da Hyperactive e arrivava a quel memorabile giorno del gennaio 2017 in cui uno sceneggiatore disoccupato di origini tedesche si era ritrovato fra le mani un piccolo quaderno vecchio di cinquant’anni, e la cosa aveva segnato l’inizio di un

fenomeno letterario senza precedenti. Una soap opera galattica mai data alle stampe in America, ma che aveva le potenzialita per trasformarsi nella serie di fantascienza di maggior successo di tutti i tempi. Il protagonista era un astronauta di nome Perry Rhodan, interpretato da O’Keefe con la sua abituale leggerezza, come se non gliene importasse molto del successo. O’Keefe aveva trasformato l’inappuntabile Perry in un tontolone temerario che, quasi per sbaglio, aveva edificato Terrania, la capitale dell’umanita, nel deserto del Gobi, e poi si era perso nell’immensita della Via Lattea. Era bastata la prima del film per inghiottire il suo passato. Da allora, O’Keefe aveva interpretato Perry in altri due film. Aveva completato un training presso l’Orley Space Center e lottato contro la nausea a bordo di un Boeing 727 modificato per il volo parabolico. In quell’occasione, aveva conosciuto e imparato ad apprezzare Julian Orley, col quale aveva stretto amicizia, fondata sul comune amore per il cinema. Magari ti terro anche la mano... Perche no? penso O’Keefe, ma si trattenne dall’esprimere qualsiasi commento per non urtare Walo, anche perche aveva il forte sospetto che Heidrun lo amasse davvero. Non c’era bisogno di essere un genio per capirlo: bastava ascoltare quello che si dicevano e osservare il modo in cui si guardavano e si toccavano. Meglio non impegolarsi in un flirt. Almeno per il momento. Nello spazio, comunque, tutto poteva anche cambiare. Limit 20 MAGGIO 2025 IL PARADISO SHENZHÈN SHÌ , PROVINCIA DI GUNGDNG, CINA MERIDIONALE Owen Jericho aveva buone possibilita di entrare in Paradiso entro sera, e l’idea non gli piaceva affatto. C’era gente che avrebbe dato qualunque cosa per entrarci. Per raggiungere il Paradiso, bisognava essere spinti da una libidine smodata, dalla dolcezza corrotta che nasceva da un perverso amore per i bambini, da inclinazioni sadiche e da un ego tanto perverso da giustificare, in chiave sentimentale, ogni atto ripugnante. Molti di quelli che desideravano ardentemente accedervi si consideravano alfieri della liberazione sessuale di coloro che cadevano nelle loro grinfie. Per quegli individui, la cosa piu importante era il controllo. La maggior parte di loro si considerava del tutto normale ed era convinta che i veri pervertiti fossero coloro che li ostacolavano. Alcuni addirittura rivendicavano il legittimo diritto alla perversione; altri si ritenevano semplici uomini d’affari. Nessuno di loro avrebbe mai tollerato l’umiliazione di essere considerato malato o debole; in tribunale, pero, tutti si sforzavano di convincere i periti della loro infermita mentale, della loro incapacita di resistere al richiamo della natura. Si

descrivevano come individui bisognosi di comprensione e cure. Poi, una volta fuori, in incognito e in pieno possesso delle proprie facolta mentali, ritornavano di slancio nel parco giochi della loro morbosa fantasia, nel Paradiso dei Piccoli Imperatori. Per loro, era un luogo paradisiaco, senza dubbio. Per i Piccoli Imperatori, non lo era affatto. Per i bambini era un inferno. Owen Jericho indugio. Sapeva che non avrebbe potuto seguire Animal Ma oltre quel punto. Lo osservo, notando per l’ennesima volta le sue lenti spesse un dito, che ingrandivano gli occhi in modo spropositato e gli conferivano un’espressione di costante stupore. Animal Ma stava attraversando il piazzale, facendo ondeggiare il sedere. La sua andatura era determinata da una coxalgia e induceva a credere che sarebbe stato facile avere ragione di lui. Tuttavia il soprannome di Ma Lpng - quello era il suo vero nome - non era casuale. Benche lui desse a intendere che il soprannome «Animal» gli fosse stato imposto e che la cosa lo mettesse a disagio, era davvero un individuo aggressivo e pericoloso. Ma anche molto astuto. Altrimenti non sarebbe riuscito a ingannare le autorita, raccontando per anni la balla che aveva chiuso con la pedofilia. Sosteneva di essere la prova vivente della riuscita degli esperimenti di reintegrazione, collaborava con la polizia nella lotta alla pedopornografia un’epidemia dilagante in Cina - e forniva indizi per la cattura dei pesci piccoli. Insomma faceva il possibile per sottrarsi alla giustizia. Cinque anni di reclusione per pedofilia - ripeteva spesso - erano come cinquecento anni in una camera di tortura. Il sobborgo si trovava ai margini di quell’esteso e marcio tessuto urbano che era la citta di Shenzhen Sh, nella Cina meridionale, e aveva permesso a Ma, originario di Pechino, di ricominciare da zero. L, nessuno, nemmeno le autorita locali, era a conoscenza dei suoi trascorsi. Ovviamente la polizia del capoluogo conosceva il suo indirizzo di residenza, ma i controlli si erano allentati: era opinione diffusa che la scena pedofila fosse in costante evoluzione e Ma era riuscito a dimostrare di aver tagliato ogni legame con quell’ambiente. Nessuno gli prestava piu attenzione; c’era altro da fare. Si erano aperti nuovi baratri, svelando universi di perversione cos raccapriccianti da far vomitare. Universi come quello del Paradiso dei Piccoli Imperatori. Una volta ammessa l’impossibilita di proteggere, controllare e vessare nel contempo quasi un miliardo e mezzo di persone, con gli enormi problemi di conflittualita sociale che ne derivavano, le autorita cinesi avevano fatto ricorso a soggetti privati. Il progresso tecnologico e informatico aveva permesso loro d’ingaggiare detective informatici specializzati in ogni tipo di crimine e pratiche illegali in rete, e Owen Jericho era considerato uno dei migliori. Il suo curriculum era ineccepibile: spionaggio sul web, attivita di phishing, terrorismo informatico e cos via. Era riuscito a entrare in comunita illegali, si era infiltrato in blog, chat e mondi virtuali, aveva rintracciato persone scomparse servendosi della loro impronta digitale informatica e

spiegava alle aziende come difendersi da attacchi, trojan e rootkit. In Inghilterra, Jericho si era occupato piu volte di casi legati alla pedopornografia; di conseguenza, quando a un gruppo di poliziotti cinesi si erano aperte le porte dell’inferno dei Piccoli Imperatori, Patrice Ho, un funzionario di alto rango della polizia di Shanghai, legato a Jericho da un rapporto di amicizia, aveva chiesto il suo aiuto. Era a causa di quella richiesta che ora Jericho si trovava l a guardare Animal Ma attraversare il piazzale, diretto a una fabbrica di biciclette ormai in disuso. Nonostante il caldo, Jericho rabbrivid. «Piccoli Imperatori»: i cinesi chiamavano cos i loro bambini, con uno slancio che si sarebbe detto piu italiano che orientale. Aver accettato l’incarico lo obbligava a fare una visita al Paradiso dei Piccoli Imperatori, un’esperienza che si sarebbe impressa in modo indelebile nella sua mente, anche se sapeva gia benissimo a cosa sarebbe andato incontro. Entrare nel Paradiso era fondamentale per capire esattamente chi stesse cercando. Quindi si era registrato nel sito e aveva indossato gli occhiali olografici, pronto a tutto. Animal Ma varco la soglia della fabbrica. Di solito, l’amministrazione cittadina appoggiava con convinzione ed entusiasmo il rinnovamento urbanistico. Ma quello non era stato il caso della fabbrica di biciclette. Cos il complesso di edifici era stato colonizzato da artigiani e da artisti piu o meno improvvisati, tra cui una coppia gay che riparava vecchi elettrodomestici e una band etno-metal che faceva a gara con un gruppo mando-prog a chi riusciva a fare piu chiasso. Tutte le sere, i due gruppi scuotevano fin dalle fondamenta quella che era stata la palestra del complesso. In quell’edificio, Ma Lpng aveva un negozio di compravendita in cui si poteva trovare ogni tipo di merce: da economiche imitazioni di vasi Ming a canarini spennacchiati rinchiusi in maneggevoli gabbiette di bambu. Sembrava pero che i suoi clienti - sempre ammesso che ce ne fossero - avessero tutti deciso di partire contemporaneamente. L’investigatore di Shenzhen Sh che collaborava con Jericho aveva iniziato a pedinare Ma il 20 maggio e, per due giorni, non lo aveva mai perso di vista, seguendolo quando usciva dalla sua abitazione per andare al lavoro nella vecchia fabbrica e quando tornava a casa la sera, scattando fotografie e sorvegliando ogni passo claudicante. Alla fine, aveva tirato le somme sul suo giro di clienti: in due giorni solo quattro persone erano entrate nel negozio e una di esse era la moglie di Ma, una cinese del Sud dall’aspetto anonimo e dall’eta indefinibile. La scarsa frequentazione del negozio era parecchio sospetta, considerando che la coppia viveva in un’elegante palazzina di sei appartamenti piuttosto ampi per gli standard locali, una casa che Ma difficilmente avrebbe potuto permettersi coi semplici guadagni della sua attivita di commerciante. La moglie, poi, non aveva neanche un lavoro regolare; di tanto in tanto andava in negozio e vi restava a lungo, presumibilmente per sbrigare la contabilita o per servire clienti inesistenti.

A parte quei due uomini. Per tutta una serie di motivi, Jericho si era convinto che Ma fosse uno dei motori che alimentavano l’attivita del Paradiso dei Piccoli Imperatori, se non addirittura l’unico. Dopo aver circoscritto la rosa degli indiziati a una manciata di pedofili che imperversavano in rete al momento o che si erano fatti notare in passato, la sua attenzione si era concentrata su Animal Ma. Tuttavia, su quel punto, le sue convinzioni e quelle delle autorita divergevano. Mentre Jericho vedeva una nera nuvola d’indizi addensarsi sopra Shenzhen Sh, la polizia era dell’opinione che tutti gli indizi portassero a un uomo proveniente da quell’inferno di smog che era la citta di Lanzhou; di conseguenza, in quelle stesse ore, a Lanzhou era stata lanciata un’operazione che prevedeva perquisizioni a tappeto. Jericho non aveva dubbi: i poliziotti avrebbero trovato qualcosa d’interessante, ma non quello che cercavano. Nel Paradiso regnava la Belva, il Serpente, Animal Ma, ne era certo, ma per il momento gli avevano intimato di non prendere iniziative. Una direttiva che aveva tutta l’intenzione d’ignorare. Indipendentemente dal fatto che la cosa portasse o no la firma di Ma, c’erano troppi misteri, su di lui e su quel posto. Animal Ma poteva anche avere cambiato vita e avere una moglie, pero era un omosessuale e un pedofilo dichiarato. Poi c’era il negozio: non aveva orari regolari e gli uomini che lo frequentavano ne uscivano solo dopo alcune ore. Per non parlare del fatto che quella fabbrica abbandonata era un luogo ideale per occuparsi di affari loschi. Tutti quelli che frequentavano il complesso utilizzavano gli edifici laterali, quelli con accesso diretto dalla strada. Animal Ma e i suoi pochi clienti erano gli unici a entrare nel cortile interno. Prima di partire da Shanghai, Jericho aveva incaricato un poliziotto di presentarsi al negozio, dare un’occhiata in giro e comprare qualcosa, possibilmente un oggetto di cui Ma avesse in magazzino diversi pezzi. Dunque quella mattina, quando aveva deciso di seguire Ma fino al piazzale, Jericho aveva gia un’idea di come muoversi. Attese alcuni minuti nascosto dietro il muro della vecchia fabbrica, poi supero il portone, attraverso il cortile polveroso, s’inerpico per una breve rampa ed entro nello sgangherato negozio ingombro di scaffali e tavoli. Dietro il bancone, il proprietario stava trafficando con alcuni gioielli. Una tenda di perline divideva il negozio da una stanza adiacente, su cui vigilava l’occhio di una telecamera. «Buongiorno.» Animal Ma alzo lo sguardo. Dietro la montatura in corno d’osso, gli occhi ingranditi squadrarono il nuovo cliente con un misto di sospetto e d’interesse. «Ho sentito dire che avete qualcosa per ogni occasione», spiego Jericho.

L’altro esito. Poso il gioiello - una cianfrusaglia opaca e di nessun valore - e sorrise freddamente. «Chi lo dice, se posso chiederlo?» «Un mio conoscente. È stato qui ieri, credo. Cercava un regalo di compleanno.» «Ieri...» ripete Animal Ma. «Ha comprato una trousse per il trucco. In stile Art Deco. Verde, oro e nero. Uno specchio, un portacipria.» «Ah, s!» La diffidenza svan e lascio il posto a un sorriso untuoso. «Un bellissimo oggetto, ora ricordo. Alla signora e piaciuto? » «Il regalo era per mia moglie», rispose Jericho. «E, s, le e piaciuto molto.» «Benissimo. Cosa posso fare per lei?» «Si ricorda il modello?» «Certamente.» «Mia moglie vorrebbe avere anche altri pezzi della stessa serie. Ammesso che ce ne siano.» Il sorriso di Animal Ma si allargo. Dal poliziotto, Jericho aveva saputo che erano in vendita anche una spazzola e un pettine coordinati con la trousse. Con la sua caratteristica andatura zoppicante, Animal Ma usc dal bancone, spinse una piccola scala davanti a uno scaffale e sal. Pettine e spazzola si trovavano su un ripiano piuttosto alto, quindi lui impiego qualche istante per prenderli, dando modo a Jericho di guardarsi intorno. Il negozio era esattamente quello che sembrava. Dietro il bancone - un’imitazione kitsch dello Jugendstil -, c’era una tenda di perline che lasciava intravedere una terza stanza. Sopra di esso, in mezzo al ciarpame, troneggiava un computer apparentemente molto costoso. Animal Ma si tese verso gli oggetti esposti e li tolse goffamente dal ripiano. Jericho evito di avvicinarsi al bancone. Il rischio che l’uomo si girasse proprio in quel momento era troppo grande. Decise invece di spostarsi lateralmente fino a scorgere il riflesso del monitor in una vetrinetta. La superficie luminosa era divisa in tre parti: la prima era fitta di scritte, mentre le altre due mostravano le immagini dalle telecamere di sorveglianza. Benche non potesse distinguere i particolari, Jericho sapeva che una delle videocamere era posta a controllo del negozio, perche in uno dei riquadri vide se stesso. L’altra stanza invece sembrava avvolta dalla penombra e appariva molto piu spoglia. Era forse il retro? «Due pezzi davvero molto belli», disse Animal Ma scendendo dalla scala e porgendo a Jericho pettine e spazzola. Jericho li prese entrambi per esaminarli, accarezzando le setole della spazzola e ispezionando accuratamente i denti del pettine. Perche Animal Ma aveva bisogno di una telecamera per sorvegliare il retro del negozio? Controllare il cortile sarebbe stato logico, ma che senso aveva guardare se stesso mentre lavorava? No, era improbabile. C’era un altro accesso a

quella stanza? «Uno dei denti e rotto», constato. «Sono pezzi antichi», ment Animal Ma. «È il fascino dell’imperfezione. » «Quanto vuole per entrambi?» Animal Ma sparo una cifra esorbitante. Jericho fece una controfferta non meno sfacciata, come si faceva di solito. Alla fine si accordarono su una somma che permetteva a entrambi di salvare la faccia. «A proposito... Mi e venuta in mente un’altra cosa», aggiunse Jericho. Animal Ma drizzo le antenne. «Mia moglie ha una collana...» continuo Jericho. «Ah, se solo fossi un po’ piu pratico di gioielli! Mi piacerebbe regalarle un paio di orecchini coordinati e, be’, stavo pensando...» Fece un cenno imbarazzato verso la vetrina. Animal Ma si rilasso. «Posso mostrarle qualcosa», disse. «Purtroppo temo che senza la collana sia inutile.» Jericho finse di riflettere. «Il fatto e che ora ho diversi appuntamenti, ma stasera sarebbe il momento ideale per farle una sorpresa.» «Se mi portasse la collana...» «Impossibile, non c’e tempo. Pero... aspetti un momento. Lei ha un indirizzo e-mail?» «Certo.» Jericho si finse sollevato. «Allora e tutto risolto! Le mando una fotografia, cos lei sceglie con calma degli orecchini adatti, e io passo a ritirarli. Mi farebbe un enorme favore.» «Hmm.» Animal Ma si morse il labbro. «Verso che ora pensava di ripassare?» «Se lo sapessi! Tardo pomeriggio? Verso sera?» «Be’, anch’io nel pomeriggio dovro assentarmi. Facciamo dopo le sei? Potrei rimanere ad aspettarla per un’ora abbondante. » Proclamando la sua gratitudine, Jericho usc dal negozio, riprese l’automobile a noleggio parcheggiata due strade piu in la e si diresse verso un quartiere meno malfamato alla ricerca di una gioielleria. La trovo quasi subito, chiese di vedere le collane piu economiche e di poterne fotografare una col cellulare, sostenendo di volerla mostrare alla moglie. Tornato in macchina, scrisse ad Animal Ma una breve e-mail e allego l’immagine, non prima di aver inserito nel file un trojan. Non appena l’altro avesse aperto l’allegato, il programma si sarebbe autoinstallato, trasmettendo il contenuto del computer di Animal Ma a quello di Jericho. Ovviamente non si aspettava che Animal Ma fosse tanto stupido da salvare file pericolosi su un computer cos esposto, ma cio non aveva molta importanza. Si porto nuovamente nelle vicinanze della fabbrica e aspetto. Animal Ma apr l’allegato poco dopo l’una e il trojan inizio diligentemente a inviare dati. Jericho collego il cellulare con un monitor ultrasottile e comincio a ricevere immagini nitide di entrambe le telecamere di sorveglianza che riprendevano l’ambiente in modalita grandan-

golare, purtroppo senza audio. Jericho constato che la telecamera numero due effettivamente sorvegliava la stanza sul retro, un locale pieno di cavi, e ne ebbe la definitiva conferma quando Animal Ma scomparve da un riquadro e riapparve subito nell’altro, ciabatto verso un mobiletto e prese a trafficare con una teiera. Jericho esamino l’arredamento. Una massiccia scrivania con una poltroncina girevole e sedie dall’aspetto logoro, che costringevano chiunque vi sedesse ad assumere una posizione alquanto scomoda, quasi implorante; alcuni scaffali storti; pile di vecchi fogli appoggiate su cartoni sovraccarichi; raccoglitori; piccole sculture e mostruosita di ogni tipo, come fiori di seta e statuette di Buddha prodotte in serie. Niente faceva pensare che Animal Ma volesse dare all’ambiente un tocco personale. Nessun quadro a interrompere la monotonia dell’intonaco alle pareti, nessun indizio di quell’intesa matrimoniale che spinge le persone a tenere la cornice con la fotografia del coniuge sulla scrivania per guardarla di tanto in tanto durante il lavoro. Quell’individuo felicemente sposato? Ridicolo. Lo sguardo di Jericho cadde su una porticina chiusa di fronte alla scrivania. Interessante. Tuttavia quando Animal Ma ebbe finito di preparare il te e la apr, Jericho riusc a vedere solo alcune piastrelle, un lavabo e un pezzo di specchio. In meno di trenta secondi, l’uomo usc di nuovo, le mani sulla cerniera dei pantaloni. Non era un’entrata secondaria, ma una toilette. Perche allora Animal Ma sorvegliava quella maledetta stanza? Chi sperava o temeva di vedere? Jericho sospiro. Attese pazientemente un’altra ora, vide Animal Ma, con la fotografia della collana in mano, raggruppare una serie di orecchini e poi rifilare a un’inattesa cliente un set di stoviglie di particolare bruttezza. Lo osservo lucidare una caraffa di vetro e mangiare chili essiccato sino a fondersi la lingua. Verso le tre, arrivo al negozio la cosiddetta «moglie». Dato che credevano di essere soli, ci si poteva aspettare un bacio o un qualsiasi gesto di affetto; invece si comportarono come due estranei. Parlarono per qualche minuto, poi Animal Ma chiuse a chiave la porta d’ingresso, espose il cartello CHIUSO e, insieme con la donna, ando nella stanza sul retro. Quello che segu non aveva bisogno di audio. Animal Ma apr la porta della toilette, fece entrare la donna, si guardo intorno con aria circospetta e richiuse la porta dietro di se. Jericho aspetto con ansia, ma la coppia non usc ne dopo due minuti, ne dopo cinque e nemmeno dopo dieci. Solo una buona mezz’ora piu tardi, Animal Ma si precipito improvvisamente fuori. Al di la della porta d’ingresso a vetri s’intravedeva la figura di un uomo. Jericho fissava la porta della toilette lasciata mezza aperta come ipnotizzato, cercando di scorgere qualche riflesso nello specchio, ma la stanza del mistero non rivelo il suo segreto. Nel frattempo, Animal Ma aveva fatto entrare il nuovo arrivato,

un tipo rapato a zero e dal collo taurino, aveva richiuso di nuovo la porta col catenaccio e aveva accompagnato l’uomo fino alla stanza sul retro, dove i due si erano salutati prima di entrare entrambi nella toilette. Sorprendente. O a quel trio infernale piaceva intrattenersi in uno spazio molto ristretto, oppure la toilette era piu grande di quanto lui avesse immaginato. Cosa stavano combinando quei tre? Trascorse piu di un’ora e mezzo. Alle cinque meno dieci, l’uomo con la giacca di pelle e la donna si materializzarono nuovamente nell’ufficio e raggiunsero l’ingresso. Stavolta fu lei a togliere il catenaccio e ad accompagnare fuori il tizio pelato; lo segu, ma non prima di aver nuovamente chiuso bene a chiave la porta. Animal Ma era sparito. Jericho ipotizzo che dalle sei in poi si sarebbe concentrato su clienti e guadagni, in modo particolare sugli orecchini che gli aveva ordinato ma, fino a quell’ora, avrebbe dedicato il suo tempo a chissa quali mostruosita. Pensava anche di aver capito quale fosse lo scopo della seconda telecamera che sorvegliava l’ufficio: Animal Ma l’aveva installata per fare in modo che nessuno lo vedesse quando s’immergeva nello «strano mondo» della latrina e, nel contempo, per evitare di trovare qualcuno ad aspettarlo al suo ritorno. Probabilmente la telecamera trasmetteva le immagini anche all’interno della toilette. Jericho aveva visto abbastanza. Voleva cogliere quel pezzo di merda di sorpresa, ma ci sarebbe riuscito? Era davvero possibile cogliere Animal Ma di sorpresa? Mentre escogitava un piano, fece scivolare il cellulare nella tasca della giacca, scese dall’auto e percorse il breve tratto che lo separava dalla fabbrica. Forse avrebbe fatto meglio a chiedere rinforzi alle autorita locali, ma avrebbero di sicuro fatto storie. Certo, se avessero interrotto le sue ricerche, lui sarebbe potuto tranquillamente tornare a Shanghai... ma era fermamente deciso ad andare sino in fondo, a scoprire il mistero di quella stanza sul retro. La sua arma, una Glock ultraleggera, era appoggiata sul petto, all’altezza del cuore. Sperava di non doverla usare. Aveva alle spalle troppi anni grondanti sudore e sangue, troppo tempo passato in prima linea, troppe volte in cui aveva visto la propria vita e quella del suo nemico appese a un filo. Lo zigomo rotto sul selciato, il sapore di fango e sangue in bocca... ormai quelle cose appartenevano al passato. Jericho non voleva piu lottare. Non gli importava piu nulla di quel se stesso ossuto che aveva partecipato a ogni sparatoria, aveva assaltato ogni casa, si era spinto nella fossa dei leoni senza mai stare dalla parte di nessuno, ma raccogliendo soltanto i frutti del successo. Nel Paradiso dei Piccoli Imperatori avrebbe avuto per l’ultima volta a che fare con scheletri viventi nella speranza di poterne fare degli alleati, a dispetto della sua inaffidabilita. Entro nel cortile della fabbrica, lo attraverso con passo deciso e sal la rampa. Come si aspettava, il cartello appeso alla porta segnalava che il negozio era chiuso. Jericho suono il

campanello a lungo e con insistenza, chiedendosi se Animal Ma sarebbe uscito dalla toilette oppure avrebbe fatto finta di niente. Alla terza volta, nella tenda di perline si apr un varco. Animal Ma giro goffamente intorno all’orrendo bancone, apr la porta e, con gli occhi deformati dalle lenti spesse, fisso l’uomo che lo aveva interrotto. «È stato sicuramente un mio errore», esord, con una smorfia. «Credevo di averle detto per le sei, ma evidentemente...» «No, ha ragione», confermo Jericho. «Mi dispiace, pero ho bisogno degli orecchini prima del previsto. Perdoni la mia insistenza. Le donne!» Apr le braccia in un gesto d’impotenza. «Sa cosa intendo.» Animal Ma sorrise con poca convinzione, si fece da parte e lo lascio entrare. «Le mostro quello che sono riuscito a trovare. Mi scuso di averla fatta aspettare tanto, pero...» «Sono io che devo scusarmi.» «Assolutamente no, e stata colpa mia. Ero alla toilette. Dunque, vediamo.» Toilette? Jericho si rese conto con stupore che Animal Ma gli aveva appena fornito un pretesto perfetto. «Mi sento un po’ a disagio a chiederglielo», balbetto. «Pero...» Animal Ma lo fisso. «Potrei usarla?» «Usare cosa?» «La toilette.» Con mani nervose, che improvvisamente sembravano animate di vita propria, Animal Ma appoggio gli orecchini sul logoro velluto del bancone. Dalla gola gli usc un colpetto di tosse strozzato, poi un altro, come piccoli animaletti spaventati. D’un tratto, nella mente di Jericho, prese forma un’immagine da film horror: forse quell’individuo non era altro che un sacco di forma umanoide pieno di vermi brulicanti e di altri animaletti che muovevano l’involucro di Ma Lpng simulando gestualita umane. Animal Ma. «Certo, mi segua.» Scosto la tenda di perline e Jericho entro nella stanza sul retro, seguito dall’occhio vigile della seconda telecamera. «Veramente dovrei...» disse Animal Ma, fermandosi. «Sa, non sono abituato a ricevere ospiti. Se potesse aspettare un istante, vedo di procurarle una salvietta pulita.» Accompagno Jericho alla scrivania e apr la porta del bagno quanto bastava per infilarsi all’interno. «Un momento solo, per favore.» Richiuse la porta dietro di se. Jericho afferro la maniglia e spalanco la porta. In un attimo, lo scenario gli fu perfettamente chiaro. Una toilette alta e stretta. Mucchi d’insetti morti intrappolati nel vetro opalino della plafoniera sul soffitto. Qualche piastrella era saltata via, le fughe erano ammuffite, lo specchio era macchiato e appannato, la vasca da

bagno era coperta di macchie color ruggine, il WC era poco piu di un buco nel pavimento. Sulla parete posteriore era appeso un armadietto, anche se in realta era difficile definirla una parete, dal momento che era aperta per meta e nascondeva un’altra porta che Animal Ma, nella fretta di andare da Jericho, aveva dimenticato di chiudere. E, in mezzo alla scena, c’era Animal Ma Lpng; Jericho riusc a vedere soltanto i suoi occhi enormi, e poi la suola della sua scarpa che si avvicinava e lo colpiva dolorosamente sullo sterno. Qualcosa si spezzo. L’aria gli venne spinta fuori dai polmoni. Il calcio lo fece cadere a terra. Vide il cinese riapparire sul montante della porta, digrignando i denti, estrasse la Glock dalla fondina e prese la mira. L’altro sussulto e fece dietrofront. Jericho balzo in piedi, ma non abbastanza velocemente da evitare che il suo avversario riuscisse a svignarsela nel passaggio oltre la parete posticcia, che stava oscillando. Si precipito a sua volta attraverso il varco e si ritrovo su un pianerottolo che terminava in una scala. Esito. Fu investito da uno strano odore, dolciastro e marcio allo stesso tempo. Ud l’eco dei passi di Animal Ma, piu in basso, poi tutto tacque. Jericho sapeva che non sarebbe dovuto scendere. Qualunque cosa ci fosse la sotto, il segreto della toilette era stato svelato. Animal Ma era in trappola. Di sicuro era meglio chiamare la polizia, lasciare a loro il lavoro sporco e farsi un drink. E se Animal Ma non fosse stato in trappola? Quanti altri ingressi aveva la cantina? Jericho penso al Paradiso. Le pagine dedicate alla pedofilia sparse per il web erano ferite purulente che la societa sopportava da troppo tempo senza riuscire a guarirle. La perfidia con cui «la merce» veniva messa in vendita non aveva confronti. Improvvisamente, dal basso, gli giunse l’eco di un gemito, che s’interruppe di colpo. Poi piu nulla. Jericho prese una decisione. Con l’arma in pugno, inizio a scendere le scale, con circospezione. Stranamente il silenzio sembrava diventare piu denso a ogni passo, trasformandosi in una sostanza putrida e marcia, un etere che assorbiva ogni suono. L’odore si faceva sempre piu pungente. A un certo punto, le scale curvavano, sfociando in un locale buio, col soffitto a volta puntellato da numerose colonne. Cercando di fare meno rumore possibile, Jericho fece un passo sul pavimento scuro, poi si fermo e socchiuse le palpebre. Una rete metallica si stendeva tra alcune colonne, mentre altre erano collegate da asticelle di legno fissate con chiodi, come piccole capanne improvvisate. Dalle scale non si riusciva a capire cosa contenessero. Pero, in fondo al locale, Jericho scorse qualcosa che attiro la sua attenzione.

Il set di un film. S, era proprio cos. Piu i suoi occhi si abituavano alla penombra e piu lui si convinceva che la dentro si girassero dei film. Davanti a lui, nell’oscurita, si stagliavano file di riflettori, spenti, appoggiati su sostegni o appesi al soffitto, sedie pieghevoli e una telecamera sistemata su un cavalletto. Il set sembrava suddiviso in diversi settori, alcuni equipaggiati con attrezzi di vario tipo, altri spogli, dove con ogni probabilita venivano allestiti gli ambienti virtuali. Jericho prosegu, guardandosi intorno con circospezione, superando lettini, mobili, giocattoli, un paesaggio artificiale con un asilo, prati e alberi, un tavolo da dissezione simile a quelli usati per le autopsie. Un oggetto sul pavimento somigliava in modo inquietante a una motosega. C’erano gabbie appese al soffitto circondate da diversi arnesi, qualcosa che poteva essere una piccola sedia elettrica e, agganciati alla parete, si scorgevano diversi attrezzi da lavoro, piu esattamente coltelli, tenaglie e ganci: una camera di tortura. Da qualche parte in quella follia si nascondeva Animal Ma Lpng. Jericho prosegu, il cuore in gola, come se stesse camminando su una sottile lastra di ghiaccio che poteva rompersi da un momento all’altro. Giunse all’altezza delle segrete. Volto la testa. Un bambino lo stava osservando. Era nudo e sporco, e doveva avere al massimo cinque anni. Le dita erano aggrappate alla rete metallica, ma i suoi occhi sembravano vuoti, quasi senza vita, come quelli di coloro che si sono rifugiati nel loro io piu profondo. Jericho sposto lo sguardo dalla parte opposta e scorse due bambine chiuse in gabbie poste l’una di fronte all’altra. Erano coperte pochissimo. La prima, molto piccola, giaceva sul pavimento, quasi certamente addormentata; l’altra, piu grande, era appoggiata alla parete e stringeva forte un peluche. Rivolse i suoi occhi neri e tristi verso di lui. Poi sembro rendersi conto che l’uomo davanti a se non era una delle persone che solitamente frequentavano quel posto. Apr la bocca. Jericho scosse la testa e si porto l’indice alle labbra. La bambina annu. Con l’arma puntata davanti a se, guardo in ogni direzione, si assicuro che la via fosse libera e oso addentrarsi nell’inferno dei Piccoli Imperatori. Altri bambini. In pochi si accorsero di lui. A quelli che incrociavano il suo sguardo, Jericho faceva segno di non parlare. Di gabbia in gabbia, era sempre peggio. Sporcizia, abbandono, apatia, paura. Su una coperta sudicia giaceva un neonato. Qualcosa di scuro cozzo contro la grata e gli abbaio rabbiosamente contro; lui indietreggio d’istinto, si giro e trattenne il fiato. La fonte di quell’odore dolciastro era proprio davanti a lui. Percep il ronzio delle mosche, vide qualcosa sfrecciare sul pavimento... Spalanco gli occhi e fu travolto da un conato di vomito.

Si distrasse per un istante. Sent risuonare alcuni passi strascicati, una corrente d’aria gli sfioro la nuca, poi qualcuno gli salto addosso, lo scaravento indietro e lo colp forte, urlando parole incomprensibili... Una donna! Jericho tese i muscoli, tirando gomitate all’indietro. La donna caccio un urlo. Pur nella confusione, lui la riconobbe: era la moglie di Animal Ma... o qualunque altro ruolo avesse in quell’incubo. La afferro, la spinse contro una delle colonne e le punto la canna della Glock alla tempia. Come era arrivata l? L’aveva vista andarsene, ma non tornare. C’era un altro accesso alla cantina? Animal Ma era riuscito a svignarsela? No, era tutta colpa sua. Era stato poco attento durante il tragitto dall’auto alla fabbrica, non aveva piu tenuto sott’occhio il computer e, in quel lasso di tempo, la moglie di Animal Ma probabilmente era tornata per... Dolore! La donna gli aveva conficcato il tacco nel piede. Jericho alzo il braccio e le diede uno schiaffo col dorso della mano. Ma lei continuava a dimenarsi come una pazza per liberarsi dalla sua presa, allora lui la afferro per il collo e la spinse contro la colonna, immobilizzandola. La donna comincio a tirare calci, poi smise inaspettatamente di fare resistenza e lo fisso, piena di odio. Dal suo sguardo, Jericho cap che stava succedendo qualcosa. Allarmato, la lascio andare, si giro di scatto e vide Animal Ma gettarsi su di lui, fendendo l’aria e brandendo un enorme coltello. Non c’era tempo per sparargli e scappare. A dire la verita, non c’era piu tempo per nulla. A meno che... Jericho si abbasso. Animal Ma sferro il colpo, il coltello sibilo nell’aria e si conficco nella gola della moglie. Il sangue comincio a sgorgare a fiotti. Il cinese barcollo, fisso la moglie agonizzante attraverso gli occhiali ricoperti di sangue e agito le braccia, cercando di recuperare l’equilibrio. Allora Jericho colp il polso di Animal Ma con la Glock, il coltello cadde a terra e lui lo spinse via con un calcio; poi sferro all’uomo un pugno nello stomaco e, quando lui si chino in avanti, lo colp nuovamente alla spalla. Con un gemito, l’altro cadde a terra, bocconi, mentre gli occhiali gli scivolavano via. Tasto intorno a se, quindi si rimise in piedi con entrambe le mani alzate. «Sono disarmato», borbotto. «Indifeso.» «Vedo diverse persone indifese qui», osservo Jericho ansimando, la Glock puntata contro il cinese. «E questo fatto e servito a qualcuno?» «Ho dei diritti.»

«Anche i bambini ne hanno.» «È un’altra cosa. Lei non puo capire.» «Non voglio capire!» Animal Ma scosse la testa. «Non puo farmi niente. Sono malato. Non puo sparare a un uomo malato.» Per un momento, Jericho fu troppo confuso per rispondere. Poi vide un sorriso sul volto dell’uomo. «Non mi sparera», ribad Animal Ma, con piu convinzione. Jericho non replico. «E sa perche?» Le labbra s’incurvarono in un ghigno. «Perche lo sente. Lo sente anche lei il fascino. Sente la bellezza. Se lei potesse provare quello che provo io, non mi minaccerebbe con un’arma.» «Voi uccidete i bambini», esclamo Jericho con voce roca. «La societa che lei rappresenta e cos ipocrita! Lei stesso lo e. Pietoso. Un povero, piccolo poliziotto nel suo misero, piccolo mondo. Si rende conto che in fondo lei invidia le persone come me? Abbiamo raggiunto un livello di liberta che voi potete solo sognare.» «Tu sei soltanto un porco.» «Noi siamo molto di piu!» Jericho alzo l’arma e la reazione di Animal Ma fu istantanea: sollevo ancora di piu le mani, spaventato, e scosse di nuovo la testa. «No, non puo farlo. Sono malato. Molto malato.» «Puo darsi, ma non saresti dovuto scappare.» «Quando?» «Poco fa.» Animal Ma sbatte le palpebre. «Ma io non scappo.» «S, invece. Stai cercando di svignartela proprio adesso. Percio mi vedo costretto a...» «No. No! Non puo farlo...» Jericho miro al ginocchio sinistro e fece fuoco. Animal Ma grido di dolore, si piego su se stesso e inizio a rotolarsi sul pavimento, urlando come un ossesso. Jericho fece cadere a terra la Glock e si accovaccio accanto a lui. Si sentiva malissimo e gli veniva da vomitare. Era sfinito, ma nel contempo aveva l’impressione che non sarebbe mai piu riuscito a dormire. «Lei non aveva il diritto di farlo!» ululo Animal Ma. «E tu non dovevi scappare», borbotto Jericho. «Stronzo.» La polizia ci mise ben venti minuti per raggiungere la fabbrica, per poi trattare Jericho come se fosse in combutta col pedofilo. Troppo stremato per protestare, Jericho si limito a suggerire agli agenti di chiamare un certo numero, nell’interesse della loro carriera. Il commissario di turno fece una smorfia e obbed. Al ritorno, sembrava un’altra persona; porse a

Jericho il telefono con una soggezione quasi infantile. «Vuole parlare con lei», disse soltanto. Era Patrice Ho, il suo amico nella polizia di Shanghai. Patrice gli comunico che, durante la retata a Lanzhou, la polizia aveva sgominato una banda di pedofili, ma nessuno dei criminali arrestati sembrava avere legami col Paradiso dei Piccoli Imperatori. Jericho allora gli spiego che era riuscito a trovare il Paradiso e aveva dato una bella lezione al serpente. «Quale serpente?» chiese l’amico, sbalordito. «Lascia perdere», rispose Jericho. «Roba da cristiani. Puoi fare in modo che io non sia costretto a mettere radici qui?» «Ti devo un favore.» «’Fanculo il favore. Fammi uscire di qui e basta.» Non desiderava altro che andarsene al piu presto da quella fabbrica e da Shenzhen Sh. Da quel momento, gli agenti gli tributarono il rispetto di solito riservato agli eroi nazionali o ai criminali molto popolari, eppure lo lasciarono andare solo verso le otto. Riconsegno l’auto a noleggio all’aeroporto, prese il primo volo per Shanghai, un aereo Mach-1 e, una volta in volo, controllo i messaggi. Tu Tian aveva tentato di contattarlo. Lo richiamo. «Niente di particolare», disse Tu Tian. «Volevo solo dirti che la tua indagine ha avuto successo. La concorrenza ha ammesso il furto dei dati. Abbiamo fatto un incontro.» «Magnifico», replico Jericho, senza particolare entusiasmo. «E cosa avete deciso?» «Hanno promesso di lasciar perdere tutto.» «Tutto qui?» «È gia molto. Anch’io ho dovuto promettere di lasciar cadere la cosa.» «Come?» Jericho credette di aver capito male. Quando Tu Tian aveva scoperto che la sua societa era vittima di attacchi informatici, la sua collera era stata incontenibile. Aveva detto che avrebbe sostenuto qualunque spesa pur di mettere le mani su quello che lui definiva un «ammasso di scarafaggi», che avevano osato penetrare nei segreti della sua societa. «Tu hai promesso... » «Dai, non sapevo chi fossero.» «E che differenza fa, scusa?» «Hai ragione, non fa differenza.» Tu Tian rise. Era di buonumore. «Dopodomani vieni a giocare a golf? Sei mio ospite.» Jericho si sfrego gli occhi. «Sei molto gentile, Tian, ma... Posso decidere piu tardi?» «Che ti succede? Sei di cattivo umore?» I cinesi di Shanghai erano diversi. Piu diretti, piu aperti, simili agli italiani, e Tu Tian era forse il cinese piu italiano in assoluto. Avrebbe potuto benissimo cantare Nessun dorma. «In

tutta franchezza, sono a pezzi», sospiro Jericho. «Si capisce dalla voce», constato Tu Tian. «Sembra che ti sia passato sopra un carro armato. Cos’e successo?» Dal momento che il grassoccio Tu Tian, pur con tutto il suo egocentrismo, era una delle poche persone di cui si fidava davvero, gli racconto tutto. «Per la miseria», disse Tu Tian, stupefatto, dopo qualche secondo di rispettoso silenzio. «Come ci sei riuscito?» «Te l’ho appena detto.» «No, voglio dire: come sei riuscito a smascherarlo? Come facevi a sapere che c’era lui dietro il Paradiso?» «Non lo sapevo. Semplicemente tutto portava in quella direzione. Vedi, Animal Ma e il classico tipo che adora mettersi in mostra. Il sito non era un semplice catalogo preconfezionato di schifezze, con uomini che saltano addosso a bambini ancora in fasce e donne che si fanno coccolare da ragazzini prima di scagliarsi su di loro brandendo un’accetta. Certo, c’erano i soliti film e le solite fotografie, ma si potevano anche inforcare gli occhiali olografici e vivere tutto in 3D. Alcuni video venivano addirittura trasmessi in diretta, e questo sembrava dare un brivido particolare a questi tizi.» «Disgustoso.» «Ma la cosa che mi ha aiutato di piu e stata una chatroom, un forum per appassionati dov’e normale fingere di essere qualcun altro, attribuirsi un’identita virtuale. Animal Ma si presentava come uno ’spirito delle acque’, e la maggior parte dei pedofili non ha dimestichezza con questo genere di cose. Sono piuttosto prevedibili e non amano parlare in un microfono, anche se hanno la possibilita di camuffare la voce. Preferiscono digitare le loro stronzate su una tastiera. E Animal Ma ha postato moltissimi contributi, mettendosi in mostra come si deve. Quindi mi e venuta l’idea di partecipare e postare contributi simili.» «Ti si sara rivoltato lo stomaco!» «Ho un interruttore in testa e uno nello stomaco. La maggior parte delle volte riesco a spegnerne almeno uno.» «E poco fa, nella cantina?» «Tian.» Jericho sospiro. «Se ci fossi riuscito, non ti starei raccontando tutte queste porcherie.» «D’accordo, continua.» «A un certo punto, tutti i possibili visitatori della pagina erano online e fra loro naturalmente c’era anche Animal Ma, quel porco vanitoso. Si camuffava da visitatore, ma si capiva subito che sapeva troppe cose e che aveva un enorme bisogno di comunicare. Cio mi ha fatto venire il sospetto che fosse uno degli ideatori del Paradiso. Nel giro di poco tempo, sono

arrivato alla conclusione che era addirittura l’unico ideatore. Dapprima ho sottoposto i suoi contributi a un’analisi semantica che mettesse in luce le particolarita della sintassi, le espressioni preferite e la grammatica, cos il computer ha ridotto la cerchia degli indiziati. Anche cos, pero, rimaneva comunque un centinaio di pedofili potenzialmente coinvolti. Quindi ho fatto analizzare il soggetto mentre era online e scriveva; la velocita con cui batteva sulla tastiera lo avrebbe tradito. E cos sono arrivato a individuare quattro indiziati.» «Uno dei quali era Animal Ma.» «Esatto.» «E ti sei convinto che fosse lui a muovere i fili.» «S, al contrario della polizia. Loro pensavano che, fra i quattro indiziati, Animal Ma fosse l’unico che non c’entrava niente.» «Questo spiega perche hai voluto agire da solo. Hmm.» Tu Tian fece una pausa, poi riprese. «Ammiro la tua dedizione, ma di recente mi hai detto che il vantaggio dell’Internet profiling e che non ci si deve sporcare le mani.» «Infatti non ne posso piu della violenza», disse Jericho con voce stanca. «Non voglio piu vedere persone uccise, mutilate e violentate, non voglio piu dover sparare a nessuno e non voglio nemmeno che qualcuno spari a me. La misura e colma, Tian.» «Sei sicuro?» «Sicurissimo. È stata l’ultima volta.» Al momento, la casa di Jericho si riduceva a una serie di scatoloni da trasloco appoggiati al muro, imballati nel corso delle settimane precedenti. Le scatole rendevano terribilmente banali gli oggetti che costituivano la sua vita, quasi si trattasse di materiale scenico da usare e poi restituire nell’imballo originale. Quando Jericho varco la soglia, improvvisamente s’insinuo in lui il timore di aver tirato troppo la corda. Il taxi lo aveva lasciato davanti al grattacielo da cui se ne sarebbe andato di l a poco per trasferirsi nell’appartamento dei suoi sogni. Ogni volta che chiudeva gli occhi, Jericho rivedeva quel povero corpicino in decomposizione sul pavimento della baracca, divorato da un esercito di vermi che bramavano la sua carne, oppure il coltello di Animal Ma scagliato contro di lui o anche l’istante in cui si era trovato faccia a faccia con la morte, come in un film che si ripete all’infinito, tanto che la sua nuova casa rischiava di diventare il suo peggiore incubo. L’esperienza pero gli diceva che pensieri di quel tipo erano come nuvole portate dal vento e le immagini prima o poi si sarebbero dissolte, anche se il processo poteva essere lungo e doloroso. Se solo non avesse accettato quel dannato incarico! No, si disse. Era la disperazione del momento che lo spingeva a creare un intricato groviglio di trame e scenari alternativi, ma in realta non si trattava di alternative vere, giacche

ognuno aveva una sola strada da percorrere. Non era nemmeno possibile determinare se era la persona a scegliere il suo cammino o se veniva scelta, se aveva la facolta di decidere o se subiva semplicemente una volonta superiore. E qui scaturiva la domanda: chi o che cosa muoveva le fila dietro le quinte? Santo cielo! Gli esseri umani erano davvero solo gli strumenti di un destino gia scritto? Quando gli avevano proposto l’incarico, aveva avuto scelta? Certo, avrebbe potuto rifiutare, pero non lo aveva fatto. E quello non rendeva qualunque obiezione totalmente superflua? Aveva avuto scelta quando si era trattato di seguire Joanna a Shanghai? Una volta imboccata una strada, restava un unico cammino da percorrere, quindi non esisteva possibilita di scelta. Considerazioni banali per un’amara verita. Forse avrebbe dovuto scrivere un manuale. Le librerie degli aeroporti ne erano piene; aveva visto perfino manuali che mettevano in guardia dai manuali. Come si poteva essere cos svegli e cos stanchi nel contempo? Non c’era piu niente da imballare? Accese il televisore a parete e lo sintonizzo su un documentario della BBC - a differenza della maggior parte della popolazione locale, riusciva a ricevere le principali emittenti straniere senza problemi, sia quelle legali sia quelle illegali - e si mise alla ricerca di una cassa in cui riporre gli oggetti rimasti. Inizialmente non riusc a capire di cosa stesse parlando il documentario, poi il tema comincio a interessarlo. Proprio al momento giusto. Piacevolmente lontano da tutto quello che aveva dovuto affrontare negli ultimi giorni. «Esattamente un anno fa», stava dicendo la giornalista, «il 22 maggio 2024, le Nazioni Unite si sono riunite in seduta plenaria per discutere del drammatico inasprimento dei rapporti tra Cina e America, che sarebbe diventato noto come...» LA CRISI LUNARE Jericho prese una birra dal frigorifero e si sedette sulla cassa. Il documentario parlava del conflitto che aveva tenuto il mondo col fiato sospeso l’estate precedente, ma che affondava le sue radici in cio che era avvenuto tre anni prima, nel 2022, pochi mesi dopo l’entrata in funzione della base americana al Polo Nord lunare. In quel periodo, gli Stati Uniti avevano cominciato a separare l’isotopo elio-3, mettendo in moto un processo che, fino ad allora, aveva suscitato unicamente l’interesse degli autori di fantascienza e degli economisti piu audaci. Indubbiamente la Luna aveva un ruolo centrale nella conquista del Sistema Solare: trampolino di lancio per Marte, luogo di ricerca, occhio telescopico capace di sbirciare anche negli angoli piu remoti dell’universo... Da un punto di vista puramente economico, era piu conveniente andare sulla Luna che su Marte. Per raggiungerla ci voleva meno carburante, ci si arrivava in fretta e altrettanto in fretta si poteva tornare indietro. I filosofi avevano sempre sottolineato le implicazioni spirituali dell’impresa, vista come un modo per ottenere prove

dell’esistenza - o dell’assenza - di Dio e per raggiungere una visione globale del ruolo dell’Homo sapiens all’interno del creato, come se per farlo ci fosse bisogno di una sfera rocciosa a circa trecentottantamila chilometri di distanza dalla Terra. La Luna rappresentava il punto di osservazione ideale per scrutare senza interferenze il nostro fragile pianeta, culla dell’evoluzione. Ma la possibilita che regalasse pure qualche vantaggio economico era alquanto dubbia. Lassu non c’erano miniere d’oro o di diamanti o giacimenti di petrolio. E, se anche ci fossero stati, i costi dello sfruttamento commerciale sarebbero stati insostenibili. «Scopriremo risorse sulla Luna o su Marte che superano la nostra capacita d’immaginazione e che vanno addirittura al di la dei nostri sogni», aveva solennemente annunciato George W. Bush nel 2004 con un tono da Padre Fondatore. Una prospettiva entusiasmante, avventurosa e un po’ ingenua, certo, ma ormai nessuno prendeva piu sul serio Bush. All’epoca, l’America era impegnata in varie guerre ed era sulla buona strada per distruggere la propria economia nonche per compromettere irrimediabilmente il proprio prestigio internazionale. Rianimare il miraggio di un nuovo Eldorado sembrava totalmente fuori luogo, per non parlare del fatto che la NASA era al verde. Eppure... A seguito dell’annuncio degli Stati Uniti di voler inviare sulla Luna nuove missioni con equipaggio entro il 2020, nel mondo si era improvvisamente scatenata un’attivita febbrile. Ammesso che ci fosse ancora qualcosa da scoprire lassu, nessuno voleva lasciare campo libero all’America per l’ennesima volta, tanto piu che gli americani non erano piu interessati a piantare bandiere o a lasciare orme sul suolo lunare, ma perseguivano una chiara politica di supremazia economica. L’ESA - cioe l’European Space Agency, l’Agenzia spaziale europea offr il proprio sostegno tecnologico. Il DRL - il Deutsches Zentrum fur Luftund Raumfahr, cioe il Centro aerospaziale tedesco - s’innamoro dell’idea di una propria base lunare. L’EADS cioe l’European Aeronautic Defence and Space Company, formata da due societa francesi e da una spagnola e motore trainante dell’ESA - avrebbe preferito una soluzione francese. La Cina aveva lasciato intendere che l’industria mineraria lunare, e in particolare l’estrazione dell’elio-3, nel giro di pochi decenni sarebbe diventata d’importanza decisiva per l’economia nazionale. Lo sfruttamento del gas faceva gola anche all’Agenzia spaziale russa Roscosmos e alla societa russa Energia Rocket and Space Corporation, che aveva annunciato la costruzione di una base lunare entro il 2015. La reazione dell’India non si era fatta attendere: il governo aveva lanciato nell’orbita polare lunare una sonda dal nome accattivante di Chandrayaan-1, allo scopo di verificare quali fossero le effettive risorse sfruttabili del satellite. L’annuncio di Bush alludeva chiaramente al fatto che gli americani avrebbero tentato il tutto per tutto da soli, e cio aveva indotto i rappresentanti degli enti per la ricerca spaziale russa e cinese a incontrarsi per discutere eventuali alleanze. La JAXA - cioe la Japan Aerospace Ex-

ploration Agency, l’Agenzia spaziale giapponese - era in piena attivita, e in generale tutti avevano improvvisamente avuto una gran fretta di mettersi al servizio di Madame Luna per assicurarsi i suoi tesori leggendari, come se per farlo bastasse arrivare l, dissotterrare qualcosa e scaricarlo sulla Terra. Le previsioni erano diventate sempre piu audaci, finche Julian Orley non era intervenuto a fare chiarezza. L’uomo piu ricco del mondo si era schierato con gli americani. L’effetto era stato a dir poco dirompente. La corsa dei vari Paesi alle materie prime extraterrestri era finita ancora prima di cominciare, dal momento che, in virtu della decisione di Orley, il vincitore era gia stato dichiarato. Non tanto per motivi di simpatia quanto per il fatto che la NASA, notoriamente a corto di fondi, ora aveva a disposizione piu denaro e infrastrutture migliori di tutti gli Stati del mondo messi insieme, eccetto forse la Cina, che aveva manifestato ambizioni espansionistiche nello spazio gia negli anni ’90. Benche disponesse di mezzi modesti e di un budget complessivo pari a un decimo di quello americano, infatti, era spinta da un profondo patriottismo e dall’incrollabile determinazione a volersi affermare come potenza mondiale. Nel frattempo, dopo che nel 2014 un certo Zheng Pang Wang aveva iniziato a finanziare l’astronautica cinese, budget e obiettivi dei due Paesi avevano raggiunto quasi lo stesso livello. L’unica pecca era il know-how... ma Pechino sperava di porvi rimedio. La piu grande ambizione di Zheng, sommo sacerdote di una multinazionale tecnologica, era portare la Cina sulla Luna e avviare l’estrazione dell’elio-3 prima che lo facessero gli Stati Uniti, tanto che i media lo definivano l’«Orley d’Oriente». In effetti, Zheng aveva in comune col magnate britannico la possibilita di disporre di un’immensa ricchezza, oltre al fatto di poter contare su un esercito di scienziati di prim’ordine. Il team di Zheng aveva lavorato freneticamente per realizzare un ascensore spaziale, ben sapendo che Orley stava facendo lo stesso. Pero, alla fine, soltanto Orley aveva raggiunto l’obiettivo. La squadra di Zheng era poi riuscita a costruire un reattore a fusione, ma anche stavolta aveva avuto la peggio, dal momento che il modello di Orley si era dimostrato piu sicuro ed efficiente. Il Partito allora aveva dato segnali di nervosismo e si era messo a far pressioni su Zheng perche raggiungesse qualche risultato, se necessario anche facendo a quel doppiogiochista di Orley un’offerta impossibile da rifiutare. Cos il vecchio Zheng era andato a cena con Orley e gli aveva fatto sapere che Pechino auspicava di poter avviare una collaborazione. Orley aveva risposto che Pechino poteva anche andare a quel paese ma, se voleva, Zheng poteva fermarsi a condividere con lui una bottiglia di ottimo Tignanello. Perche allora non condividere tutto? aveva chiesto Zheng. Tutto cosa? Be’, denaro, molto denaro. Potere, prestigio e influenza.

Di denaro lui ne aveva gia a sufficienza. S, ma la Cina era famelica ed estremamente motivata, molto piu della flaccida e pingue America, che soffriva ancora degli strascichi della crisi finanziaria del 2009, e infatti si muoveva con titubanza. Se avesse chiesto a qualunque americano cosa pensasse del futuro, il settanta per cento avrebbe dipinto uno scenario tutt’altro che roseo, mentre in Cina si guardava al domani con serenita. Buon per voi, aveva commentato Orley. Poi aveva chiesto al suo ospite se ora non volesse assaggiare un Ornellaia. Non c’era stato nulla da fare. Con ogni probabilita, la tecnologia missilistica convenzionale avrebbe reso economicamente infruttuoso ogni progetto di estrazione, condannando cos l’astronautica cinese al fallimento. Tuttavia, con l’ostinazione di un bambino capriccioso, il Partito aveva deciso di proseguire, nella speranza che Zheng e i cervelloni della China National Space Administration sarebbero venuti a capo del problema in un tempo ragionevole. E, dato che l’America non si era fatta scrupolo di spedire le proprie trivelle proprio nella regione lunare che, secondo i geologi, custodiva giacimenti di elio-3 superiori alla media, la Cina aveva fatto ogni sforzo per mandare nella stessa zona, ai margini del Mare Imbrium, i componenti per una base mobile e per pannelli solari mobili. I due avversari si erano ritrovati a lavorare fianco a fianco. Il 2 marzo 2023 aveva avuto inizio l’attivita di estrazione. L’America si era finta prima stupita, poi lieta, dando il benvenuto alla Cina sul suolo lunare. Dopo si erano fatti tanti bei discorsi di unione tra i popoli, ignorando l’ardente desiderio dei nuovi arrivati di estrarre dalla polvere lunare la piccola parte di elio-3 che ritenevano spettasse loro. Fino al 9 maggio 2024. Nel corso dei mesi precedenti, entrambi i Paesi avevano a poco a poco esteso la loro attivita estrattiva. Quel giorno, tra la base lunare americana e Houston c’era stata una conversazione piuttosto accesa. Subito dopo, l’allarmante notizia era stata comunicata alla Casa Bianca: gli astronauti cinesi avevano consapevolmente, intenzionalmente attraversato con le loro macchine il confine di estrazione, annettendo parte del territorio americano. L’America si era sentita provocata e minacciata. Era stato convocato l’ambasciatore cinese, Pechino era stata accusata di violazione dei confini ed esortata a ripristinare subito lo status quo. Il Partito comunista si era riservato di verificare le circostanze dell’accaduto e l’11 maggio aveva dichiarato di non ravvisare nessuna violazione: dato che i confini non erano stati ufficialmente concordati, nessun confine era stato violato. E aveva aggiunto: Washington sapeva cosa pensava l’opinione pubblica mondiale del fatto che avevano messo tutti davanti al fatto compiuto, in totale spregio delle clausole del Trattato spaziale in generale e del Trattato lunare in particolare? E come si era arrivati all’assurda idea di voler tracciare dei confini su un corpo celeste che, stando a quei trattati, non apparteneva a nessuno? L’America voleva dav-

vero intavolare per l’ennesima volta quella discussione incresciosa? Non poteva semplicemente accontentarsi del fatto di aver conquistato una supremazia mondiale? Gli Stati Uniti si erano offesi. La Luna era lontana, nessuno sulla Terra poteva dire con certezza chi stesse passeggiando sul territorio di chi, eppure il 13 maggio la base lunare aveva annunciato la cattura dell’astronauta cinese Hua Lwei. L’intruso era stato localizzato mentre curiosava nell’area della stazione estrattiva americana, un’istallazione automatizzata, per poi far intendere di essere arrivato l solo per scambiare quattro chiacchiere coi suoi colleghi americani. A Hua, allora comandante della base cinese e ufficiale pluridecorato, non era stato permesso di raccontare la sua versione dei fatti e cio non aveva certo contribuito a creare un clima disteso. Pechino era andata su tutte le furie e aveva protestato con veemenza per l’accaduto. All’interno del ministero per la Sicurezza Nazionale cinese si faceva a gara a chi usava i toni piu coloriti per descrivere il martirio che Hua avrebbe dovuto subire nell’isolata base lunare. Era stata pretesa la sua immediata scarcerazione, ma Washington aveva ignorato la richiesta; per tutta risposta, le unita cinesi si erano spinte, stavolta ufficialmente, in territorio americano, con veicoli con equipaggio e robot cingolati. Perlomeno cos era stata riferita la cosa. Di fatto, il colpevole dello sconfinamento era stato un unico, piccolo e sfortunato robot che aveva inavvertitamente tamponato un macchinario americano, riducendosi a un ammasso di rottami. Considerato che l’unico mezzo trovato a gironzolare nei dintorni era un solitario Rover cinese, non si poteva certo parlare di un’invasione in grande stile; a un’analisi piu attenta, poi, era venuto fuori che pure le temute unita militari erano composte solo dal resto dell’equipaggio, disorientato e privo di un piano preciso: due donne che, per un braccio di ferro politico, avevano simulato un’invasione, mentre gli astronauti statunitensi non capivano perche dovessero tenere prigioniero il povero Hua e si davano da fare per assicurargli almeno una reclusione piacevole. Ma tutto cio, sulla Terra, non interessava a nessuno. L i fantasmi del passato che tutti credevano ormai esorcizzati avevano ricominciato a spaventarsi a vicenda. Era il ritorno del conflitto tra l’imperialismo occidentale e l’«alba rossa». In un certo senso, tuttavia, l’agitazione poteva definirsi fondata, perche di fatto il problema non erano un paio di astronauti o qualche chilometro quadrato di terreno; si trattava piuttosto di stabilire chi dovesse comandare lassu e chi avrebbe detenuto la leadership nel caso in cui altri Paesi avessero voluto stabilirsi sul satellite. Washington aveva reagito tempestivamente: aveva congelato i conti cinesi, impedito alle navi orientali di lasciare i porti americani e cacciato l’ambasciatore cinese; a sua volta, se i conti, le navi e Hua non fossero stati immediatamente liberati, Pechino aveva minacciato massicci provvedimenti contro l’attivita estrattiva americana. Ma l’America si ostinava a pretendere delle scuse: in caso contrario, non avrebbe liberato proprio nessuno. Pechino allora aveva annunciato la sua inten-

zione di attaccare la stazione americana e, sorprendentemente, nessuno si era chiesto come due astronaute oberate di lavoro potessero conquistare una base enorme, parzialmente sotterranea, in un territorio impervio e montuoso. A ogni buon conto, dopo che Washington aveva minacciato di attaccare militarmente la stazione estrattiva lunare e gli impianti cinesi sulla Terra in caso d’invasione, a tutti era passata la voglia di provarci. Eppure il mondo aveva cominciato ad avere paura. Le due superpotenze erano profondamente offese e avevano continuato la loro guerra diplomatica, accusandosi a vicenda di essere responsabili del riarmo dello spazio e di aver portato armi sulla Luna. I notiziari erano pieni di simulazioni di conflitti atomici sul satellite, col pericolo che si estendessero anche alla Terra. Mentre la BBC mostrava immagini di fragorose esplosioni di stazioni spaziali, ignorando bellamente le leggi della fisica, agli equipaggi delle basi lunari era stato vietato di comunicare tra loro. Alla fine, nessuno sapeva piu cosa stesse facendo l’altro e cosa succedesse in generale. Cos ci si limitava a salvarsi la faccia, almeno finche l’ONU non aveva deciso che la situazione era diventata insostenibile e che era ora di smetterla. Il 22 maggio 2024 le Nazioni Unite si erano riunite in seduta plenaria. La Cina aveva dichiarato che, non disponendo di un proprio ascensore spaziale, non avrebbe potuto trasportare armi sulla Luna, cosa invece fattibile per gli americani. Quindi gli USA dovevano essere considerati aggressori; era chiaro che avevano portato armi sulla Luna, infrangendo ancora una volta il Trattato spaziale. Date le continue provocazioni, insomma, la Cina si vedeva costretta a prendere in considerazione l’ipotesi dell’autodifesa per il proprio modesto contingente. Gli americani vedevano le cose allo stesso modo, ma il punto di vista era ovviamente ribaltato. L’aggressione era partita dalla Cina e, come conseguenza di una violazione dei confini, si era reso necessario l’armamento americano sulla Luna. Ma non c’era stata nessuna violazione dei confini. Okay, perfetto. Allora non c’erano nemmeno armi sulla Luna. S, invece. No. S. Il segretario generale dell’ONU aveva reagito all’intervento cinese con stanca indignazione, lo stesso atteggiamento che aveva tenuto di fronte alla cattura dell’astronauta cinese da parte degli USA. Il mondo voleva la pace. Era normale. E fondamentalmente anche Pechino e Washington non desideravano altro, ma dovevano salvare la faccia. Come? Finalmente, il 4 giugno 2024, la Cina, digrignando i denti, aveva fatto marcia indietro, senza pero tirare in ballo le risoluzioni dell’ONU, la cui influenza ormai era puramente simbolica. La verita

era che nessuno dei due Paesi poteva permettersi una guerra aperta, ne voleva farlo. La Cina si era ritirata dal territorio americano e le astronaute cinesi, di conseguenza, erano state costrette a trascinarsi dietro i rottami della loro macchina estrattiva. Hua era stato liberato, i conti cinesi erano stati sbloccati, le navi erano state lasciate libere di partire e gli ambasciatori avevano ripreso possesso dei loro uffici. All’inizio, regnava un clima minaccioso, di diffidenza. E quel gelo a livello politico ovviamente aveva influenzato anche l’economia. Julian Orley avrebbe voluto aprire il suo hotel sulla Luna gia nel 2024, ma era stato obbligato a rimandarne la costruzione a data da destinarsi; su entrambi i fronti ci si concentrava solo sull’estrazione dell’elio-3. «Il 10 novembre 2024», disse la giornalista con espressione seria, «in occasione del vertice sull’economia mondiale tenutosi a Bangkok, per la prima volta gli Stati Uniti e la Cina hanno ripreso il dialogo e da quel momento i toni tra le due potenze si sono fatti piu concilianti.» La voce della donna assunse un tono piu drammatico. «Il mondo ha sfiorato un dramma: nessuno puo dire quanto siamo andati vicini a una nuova guerra mondiale. » Poi, tornando piu tranquilla: «Gli Stati Uniti hanno assicurato alla Cina migliori collegamenti con le infrastrutture della base lunare; verranno siglati nuovi accordi per l’aiuto reciproco nello spazio e quelli gia esistenti saranno perfezionati. Americani e cinesi hanno trovato un’intesa su accordi commerciali fino a oggi controversi». Infine aggiunse con un sorriso ottimista e tranquillizzante: «La tempesta si e calmata. Se prima dominava l’ambizione, ora ci si scambiano gesti di buona volonta. Il motivo e molto semplice: le economie mondiali non possono fare a meno le une delle altre. Le strette relazioni che intercorrono tra i due colossi commerciali USA e Cina non possono tollerare la guerra: attaccando un territorio nemico si danneggiano anche i propri interessi. S’inizia timidamente a parlare di collaborazioni ancora piu strette in futuro, mentre ora piu che mai le due superpotenze mondiali potrebbero aspirare alla conquista della Luna. Nel frattempo, il mondo intero cerca di accaparrarsi i brevetti di Julian Orley. Proprio in questi giorni, il magnate portera nello spazio una delegazione di ospiti illustri provenienti da diverse parti del mondo; forse e un segnale che Orley sta riconsiderando il proprio atteggiamento esclusivo nei confronti degli Stati Uniti, o forse vuole solo mostrare ai suoi ospiti il nostro piccolo e fragile pianeta dall’alto per ricordare loro che guerre e conflitti non servono a nessuno. E con questo vi auguriamo buonanotte». Jericho bevve la schiuma rimasta. Strana razza, quella umana. Capace di volare sulla Luna e violentare i bambini nel contempo. Spense il televisore, diede un calcio alla cassa e ando a letto nella speranza di riuscire a dormire.

Limit 21 MAGGIO 2025 L’ASCENSORE LA GROTTA, ISLA DE LAS ESTRELLAS, OCEANO PACIFICO «Originariamente, lo Stellar Dome avrebbe dovuto essere costruito nel punto piu alto, la dove ora si trova la cupola di cristallo col ristorante», spiego Lynn Orley mentre precedeva il gruppo attraverso la hall. «Ma, durante l’esplorazione dell’isola, ci siamo imbattuti in qualcosa che ha sovvertito tutti i nostri piani. La montagna ci ha offerto un’alternativa che non avremmo mai osato immaginare.» La sera del loro terzo e ultimo giorno di permanenza sull’Isla de las Estrellas, i membri della comitiva aspettavano il preludio alla grande avventura. Lynn li guido in un largo passaggio nascosto nella parete alle spalle della reception. «Suppongo non sia sfuggito a nessuno che lo Stellar Island Hotel ha l’aspetto di un transatlantico spiaggiato su un vulcano. E ufficialmente questo e un vulcano. Spento, ovviamente.» Percep un certo disagio. Era probabile che Momoka Omura stesse immaginando fiumi di lava che attraversavano la hall, rovinandole in modo irrimediabile la serata. «All’interno della cima e lungo il fianco, la temperatura e moderata. Un ambiente piacevolmente fresco, ideale per immagazzinare alimenti e bevande nonche per le pompe, i generatori e gli impianti di depurazione. Ci sono lavanderie, locali di servizio, eccetera. Proprio qui alle mie spalle erano previsti alcuni uffici», disse, voltandosi verso le porte scorrevoli. «Abbiamo iniziato a perforare la roccia ma, dopo pochi metri, ci siamo imbattuti in una faglia che si allargava in una grotta. E in fondo a questa grotta...» Lynn appoggio il palmo della mano su uno scanner e le porte scorrevoli scivolarono silenziosamente sulle loro guide. «... c’era lo Stellar Dome.» Al di la del passaggio si estendeva un corridoio le cui pareti erano irte di spuntoni; dopo un breve tratto, il passaggio curvava bruscamente, impedendo di vedere quello che si trovava al di la. La curiosita degli ospiti era quasi palpabile. Solo Momoka Omura sembrava aver perso ogni interesse dopo essere stata rassicurata sul fatto che non sarebbero bruciati nella roccia fusa e fissava con insistenza il soffitto. «Ci sono domande?» La bocca di Lynn s’increspo in un sorriso misterioso. «No? Allora andiamo.» Furono avvolti da un mix di suoni, apparentemente tutti di origine naturale: schiocchi, echi, sussurri e gocciolii. Quel concerto creava un’atmosfera senza tempo. L’idea di Lynn di toccare le corde piu sensibili degli ospiti senza scivolare nella stucchevolezza stile Disney si stava rivelando efficace: quei suoni al limite del percepibile creavano emozioni sottili ma intense. Era stata necessaria una complicata installazione tecnica, pero il risultato superava ogni aspettativa. Le paratie si richiusero dietro di loro, isolandoli dall’ariosita e dai comfort

della hall. «Questo tratto e artificiale. Subito dopo la curva inizia la parte naturale», spiego Lynn. «Il sistema di caverne attraversa l’intero fianco orientale del vulcano. Sarebbe possibile camminare per ore in questi cunicoli, ma abbiamo preferito chiudere i passaggi. Per scongiurare il pericolo di perdere qualcuno degli ospiti nel cuore dell’isola.» Oltre la curva, il corridoio si allargava sensibilmente. La luce diminu. Sul basalto frastagliato le ombre guizzavano come animali selvatici spaventati in fuga dall’orda di turisti. L’eco dei loro passi sembrava precederli e inseguirli nel contempo. Bernard Tautou alzo la testa. «Come si formano queste grotte? Ne ho gia viste diverse, ma ogni volta mi sono dimenticato di chiedere.» «Le cause possono essere diverse. Tensioni nella roccia, infiltrazioni d’acqua, smottamenti. I vulcani hanno una struttura porosa e spesso, quando si raffreddano, il salto termico da origine alle caverne. In questo caso si tratta con ogni probabilita dei canali di deflusso della lava.» «Grandioso», sbotto Donoghue. «Siamo finiti in un canale di scolo.» Il corridoio piegava di lato, si restringeva e poi si allargava in una sala quasi circolare. Sulle pareti erano visibili motivi che sembravano provenire dall’alba della civilta, in parte dipinti, in parte incisi nella pietra. Un pubblico bizzarro fissava i visitatori nella penombra, con enigmatici occhi scuri, corna, code e copricapi simili a caschi dai quali uscivano escrescenze a forma di antenna. Un enorme rilievo rettangolare mostrava una creatura antropomorfa in posizione fetale che azionava leve e pulsanti. I suoni si fecero piu sinistri. «Che paura», sospiro Miranda Winter, incantata. Lynn sorrise. «Lo spero bene. Abbiamo raccolto qui le testimonianze piu enigmatiche delle antiche civilta. Riproduzioni, s’intende. Le figure con quella specie di tuta a righe sono state scoperte in Australia e, secondo la tradizione, incarnano i fratelli Yagjagbula e Yabiringi. Alcuni ricercatori ritengono che si tratti di astronauti. Accanto, potete vedere il cosiddetto ’dio marziano’, originariamente un disegno alto sei metri rinvenuto su una roccia nel Sahara. Quelle creature a sinistra che sembrano alzare le mani in segno di saluto sono state trovate in Italia.» «E questo?» Eva Borelius si era fermata davanti a un rilievo e lo osservava con interesse. «Il nostro pezzo forte! Un manufatto maya. La lastra che copriva la tomba del re Pacal a Palenque, un’antichissima citta ricca di piramidi nel Chiapas messicano. Dovrebbe rappresentare la discesa del sovrano agli inferi, simbolizzati dalle fauci spalancate di un serpente gigantesco.» Lynn le si avvicino. «Lei cosa ci vede?» «Difficile dirlo. Sembra piuttosto un uomo seduto in un missile. »

«Proprio cos!» esclamo Ögi, andando verso di loro. «E sa una cosa? Questa interpretazione la dobbiamo a uno svizzero!» «Ah.» «Non conosce Erich von Daniken?» «Non era una specie di visionario? Uno che vedeva extraterrestri ovunque?» chiese Eva Borelius con un sorriso di sufficienza. «Era un visionario!» la corresse Ögi. «Uno dei piu grandi!» «Chiedo scusa.» Karla Kramp tossicchio. «Ma, per quanto ne so, tutte le ipotesi del suo ’visionario’ sono state confutate.» «E allora?» «Sto solo cercando di capire perche, secondo lei, e uno dei piu grandi.» «Sa quante volte e stata confutata la Bibbia?» si scaldo Ögi. «Senza sognatori, questo mondo sarebbe noioso, mediocre e anonimo. A chi importa se aveva ragione? Perche uno deve sempre avere ragione per essere considerato un grande?» «Mi dispiace, ma io sono un medico. Se ho torto, in genere i miei pazienti non mi considerano ’un grande’.» «Lynn, puoi venire qui un attimo?» disse Evelyn Chambers. «Da dove viene questa pittura? Le figure sembrano volare.» La conversazione si animo. I motivi venivano ammirati e discussi. Lynn forniva spiegazioni e ipotesi. Era la prima volta che un gruppo di visitatori ammirava la grotta e il suo piano di preparare le persone al mistero di quello che avrebbero visto in seguito con disegni e sculture antichi stava dando i suoi frutti. Infine chiamo a raccolta il gruppo e lo condusse dalla galleria in un altro corridoio, ancora piu ripido e, se possibile, ancora piu buio... E piu caldo. «Cos’e questo frastuono? È normale?» si meraviglio Miranda Winter. In effetti, un rombo cupo che sembrava salire dalle profondita della montagna era andato ad arricchire la colonna sonora udita fino a quel momento, creando un’atmosfera minacciosa. Nuvole rossastre sfioravano la roccia. «L c’e qualcosa», sussurro Aileen Donoghue. «Una specie di luce.» «Accidenti, Lynn! Dove ci sta portando?» rise Marc Edwards. «Ormai dovremmo essere un bel pezzo sottoterra, vero?» disse Rebecca Hsu, intervenendo per la prima volta nella conversazione. Dal suo arrivo, era stata costantemente attaccata al telefono e nessuno era riuscito a parlare con lei. «Un’ottantina di metri», rispose Lynn. Procedeva a passo spedito verso un’altra curva, immersa nel bagliore tremolante del fuoco.

«Emozionante», osservo O’Keefe. «Ma no, e tutta una messinscena», ribatte Warren Locatelli in tono saccente. «Volta a suggerire che stiamo entrando in un mondo alieno. L’interno della Terra, l’interno di un pianeta sconosciuto, cavolate del genere.» «Un po’ di pazienza», disse Lynn. «Cosa potra mai esserci laggiu? Una grotta, solo un’altra grotta. Fantastico», commento Momoka, ostentando indifferenza. Ma dal tono si capiva che nella sua testa avevano ripreso a scorrere fiumi di lava. Il frastuono aumento. «Insomma, io penso che...» inizio Evelyn Chambers, ma non riusc a finire la frase e aggiunse solo: «Oh, mio Dio!» Avevano superato la curva. Una vampata li invest. Il corridoio si allargava, rivestito di braci pulsanti. Alcuni degli ospiti si bloccarono, altri avanzarono con esitazione. Sulla destra, la roccia si apriva lasciando intravedere un gigantesco soffitto a volta, dal quale proveniva un frastuono che sovrastava ogni tentativo di conversazione. Un lago abbagliante riempiva la camera per meta, ribollendo, gorgogliando e facendo zampillare fontane rosse e gialle. Enormi colonne di basalto emergevano dal liquido denso, protendendosi verso la volta, che il riverbero faceva fiammeggiare in modo spettrale. Lynn osservo con malcelata soddisfazione i volti in sequenza spaventati, affascinati e meravigliati; poi vide Heidrun Ögi coprirsi con le mani per ripararsi dal calore. I suoi capelli bianchi e la sua pelle candida sembravano ardere. La donna si avvicino a Lynn con passo incerto, come un’anima che avesse appena messo piede all’inferno. «Per l’amor del cielo, cos’e questo posto?» chiese, incredula. «Una camera magmatica», spiego Lynn, impassibile. «Un deposito che serve per rifornire il vulcano di roccia fusa e gas. Queste camere si formano quando la roccia fusa sale da grandi profondita e penetra in zone piu deboli della crosta terrestre. Se la pressione nella camera diventa insostenibile, la roccia fusa cerca una via e cos avviene l’eruzione.» «Ma non aveva detto che il vulcano e spento?» si meraviglio Mukesh Nair. «In realta e spento, s.» All’improvviso, iniziarono a parlare tutti insieme. Fu O’Keefe il primo a nutrire qualche sospetto. Aveva percorso i corridoi con aria assorta, mantenendo prudentemente le distanze, ma adesso ando senza esitazioni verso il calderone. «Ehi, mon ami! Cerchi di non strinarsi i capelli!» esclamo Tautou. «Pas de probleme», replico O’Keefe, voltandosi con un ampio sorriso. «Non credo proprio di dover temere una cosa del genere. Non e cos, Lynn?» Allungo la mano destra e le sue dita toccarono una delle superfici. Calda, ma non bollente. Perfettamente liscia. Premette il palmo

sulla roccia e annu, soddisfatto. «Quand’e stata l’ultima volta che questa montagna ha avuto davvero un simile aspetto?» Lynn sorrise. «Secondo i geologi, qualcosa come centomila anni fa. Anche se non cos vicino alla superficie. Le camere magmatiche generalmente si trovano a una profondita di venticinque-trenta chilometri. Inoltre sono molto piu grandi di questa.» «In ogni caso, e di sicuro il miglior ologramma che abbia mai visto.» «Abbiamo fatto del nostro meglio.» «Un ologramma?» gli fece eco Sushma. «Per essere precisi, una combinazione di proiezioni olografiche, suoni, luci colorate e pannelli termici.» Sushma ando accanto a O’Keefe e tocco la superficie dello schermo, come se ci fosse ancora una possibilita che l’uomo si stesse sbagliando. «Sembra davvero reale!» esclamo. «Naturalmente. Non vogliamo certo annoiarvi», sorrise Lynn. Tutti si misero a toccare lo schermo, poi arretrarono per lasciarsi nuovamente rapire dall’illusione. Chuck Donoghue non fece nemmeno un commento sarcastico e Warren Locatelli non disse neanche una parola. Persino Momoka Omura fissava il lago di lava digitale e sembrava addirittura impressionata. «Siamo quasi arrivati alla meta. Tra pochi secondi, potrete accedere alla camera, solo che allora avra un aspetto completamente diverso. Viaggerete dal remoto passato nel futuro del nostro pianeta, nel futuro dell’umanita», spiego Lynn. Aziono un pulsante nascosto in una cavita della roccia. In fondo alla galleria si apr un’alta fenditura verticale da cui usciva una luce soffusa. La musica aumento d’intensita e l’apertura si allargo, lasciando intravedere il soffitto a volta. Il suo aspetto e le sue dimensioni corrispondevano in modo abbastanza preciso a quelli della rappresentazione olografica, pero la lava era sparita. Al suo posto c’era una sorta di galleria teatrale sospesa sopra l’abisso senza fine. Alcune passerelle metalliche conducevano a diverse file di poltrone dall’aspetto confortevole. Al centro, una superficie convessa di almeno mille metri quadrati. L’estremita inferiore si perdeva nell’oscurita dell’abisso, quella superiore arrivava quasi fino al soffitto a volta, i lati giungevano ben oltre le file di sedili. In cima alla scala c’era un uomo. Di media altezza, leggermente tarchiato e dall’aspetto giovane, anche se la barba e i lunghi capelli erano brizzolati e lasciavano solo immaginare il colore biondo cenere degli anni passati. Indossava una T-shirt e una giacca elegante, jeans e stivali da cowboy. Le dita erano coperte di anelli. Gli occhi scintillavano di arroganza, il suo sorriso era come la luce di un faro. «Siete arrivati finalmente! E adesso, rock’n’roll!» esclamo Julian Orley. Tim resto in disparte mentre osservava il padre dare il benvenuto agli ospiti con una stretta di mano o un abbraccio, a seconda del grado di confidenza. Julian Orley, il grande

comunicatore, era come una volpe in vena di gentilezze. Era sempre cos entusiasta di conoscere persone nuove da non nutrire mai il dubbio che l’interesse non fosse reciproco... ma era proprio quello ad affascinare la gente. La fisica degli incontri si basa su attrazione e repulsione; tuttavia sfuggire al campo di attrazione di Julian era praticamente impossibile. Non appena si presentava, si percepiva intorno a lui una calorosa confidenza. Bastavano due, tre incontri e gia ci si perdeva in ricordi di esperienze vissute insieme che magari non avevano neanche avuto luogo. Julian non faceva nulla affinche cio accadesse: non faceva battute di spirito ne preparava grandi discorsi, provandoli davanti allo specchio; semplicemente dava per scontato che, in un sistema newtoniano a due corpi, lui fosse il pianeta e non il satellite. «Carl, vecchio mio! È fantastico averti tra noi!» «Evelyn, sei in forma smagliante. Chi e l’idiota che ha detto che la forma perfetta e il cerchio?» «Momoka, Warren. Benvenuti. A proposito, grazie per l’ultima volta, e da un pezzo che voglio chiamarvi. Detto fra noi, ancora non so come ho fatto a tornare a casa quella sera.» «Olympiada Rogaceva! Oleg Rogacev! Non e meraviglioso? Adesso ci incontriamo per la prima volta e domani viaggeremo insieme verso la Luna.» «Chucky, amico mio, ho una barzelletta stupenda per te, ma per raccontartela dobbiamo appartarci un attimo.» «Ecco la mia regina degli elfi! Heidrun! Finalmente conosco tuo marito. Ha poi comprato quello Chagall? Certo che ne sono al corrente, conosco tutte le sue passioni. Sua moglie non fa altro che tessere le sue lodi.» «Finn, ragazzo mio, ora le cose si fanno serie. Adesso devi andare lassu. E questo, te lo assicuro, non e un film!» «Eva Borelius, Karla Kramp. Sono veramente onorato di conoscervi... » E cos via. Julian spese parole gentili per ognuno, poi si diresse verso Tim e Amber con un sorriso furtivo. «Allora? Come vi sembra? » «Fantastico. La camera magmatica e da urlo», disse Amber, posandogli un braccio intorno alle spalle. «Un’idea di Lynn.» Julian era raggiante. Non era quasi in grado di pronunciare il nome della figlia senza adottare un tono stucchevole. «E questo non e ancora niente! Aspettate di vedere lo show.» «Sara perfetto, come sempre», borbotto Tim con malcelato sarcasmo. «Lo abbiamo concepito insieme, Lynn e io.» Come al solito, Julian finse di non aver notato il tono ironico di Tim. «La grotta e un dono del cielo, ve lo dico io. Queste poltrone forse non sembrano granche, ma siamo gia in grado di offrire lo spettacolo a cinquecento ospiti paganti

e se gli spettatori aumentano...» «Credevo che l’albergo disponesse solo di trecento posti», commento Tim. «È vero, ma in pratica possiamo raddoppiare la capacita. È possibile aggiungere quattro, cinque piani al nostro transatlantico, oppure Lynn potrebbe costruire un altro hotel. Non e un problema. L’importante e raccogliere i quattrini per un ascensore aggiuntivo.» «L’importante e che tu non abbia problemi», mormoro Tim. Julian fisso Tim coi suoi occhi azzurri. «Infatti non ne ho. Mi scusate? Divertitevi, ci vediamo dopo... Oh, Madame Tautou!» Julian schizzava come una trottola da un ospite all’altro, regalando un sorriso qui, un complimento la. Di tanto in tanto, stringeva Lynn a se e la baciava sulla fronte. Lynn sorrideva. Sembrava orgogliosa e felice. Amber sorseggiava lo champagne. «Potresti essere un po’ piu gentile con lui», disse sottovoce. «Con Julian?» sbuffo Tim. «Con chi senno?» «Fa differenza se sono gentile con lui? Tanto lui vede solo se stesso.» «Forse fa differenza per me.» Tim la fisso, senza capire. Amber alzo le sopracciglia. «Cosa c’e? Sei diventato duro di comprendonio?» «No, pero...» «Evidentemente s. Allora mi spiego meglio. Non ho voglia di vedere il tuo muso lungo per le prossime due settimane, okay? Voglio godermi questo viaggio, e tu dovresti fare lo stesso.» «Amber...» «Lascia i tuoi pregiudizi qui sotto.» «Non si tratta di pregiudizi! Il fatto e che...» «C’e sempre qualcosa.» «Ma...» «Niente ’ma’. Fai il bravo. Voglio sentire solo un ’s’. Un semplice ’s’. Pensi di farcela?» Tim si mordicchio il labbro, poi scrollo le spalle. Lynn passo accanto a loro, seguita dai Tautou e dai Donoghue. Ammicco, abbasso la voce e, tenendo una mano davanti alla bocca, disse: «Attenzione, informazione riservata. Questa e un’informazione confidenziale solo per i membri della famiglia. Fila 8, posti 32 e 33. La vista migliore». «Ricevuto. Passo e chiudo.» Amber si accodo al gruppo e spar in direzione dell’auditorium. Tim la segu trotterellando.

D’un tratto, qualcuno lo affianco. «Lei e il figlio di Julian, vero? » «S.» «Piacere, sono Heidrun Ögi. La sua famiglia e proprio fuori di testa. Non mi fraintenda, niente di male, va benissimo», si affretto ad aggiungere, quando Tim non replico. «Mi piace la gente un po’ matta. È molto piu interessante.» Tim la fisso. Da quella donna eterea con gli occhi viola e i capelli color argento si sarebbe aspettato qualunque cosa - formule magiche celtiche, dialetti extraterrestri - ma non un’osservazione cos terribilmente fuori luogo. «Ah-ah», riusc a dire. «Lei che tipo di matto e? Dal momento che e figlio di Julian... » «Pensa che mio padre sia matto?» «Certo, e un genio. Percio deve essere un po’ matto.» Tim tacque. «Lei che tipo di matto e?» Bella domanda. Anzi, no, a pensarci bene e proprio una domanda idiota! Io sono davvero l’unico della famiglia che non e matto. «Be’, io...» «Ci vediamo.» Heidrun sorrise, si allontano da lui con un cenno della mano e segu lo svizzero gioviale che, con ogni evidenza, era suo marito. Ancora costernato, Tim si fece largo fino a meta dell’ottava fila e si lascio cadere nella poltrona accanto ad Amber. «Chi sono questi Ögi?» chiese. Lei getto uno sguardo oltre la sua spalla. «L’uomo con la moglie albina?» «Gia.» «Hmm... Una coppietta sfuggente. Lui dirige un’azienda che si chiama Swiss Performance. Detengono quote di partecipazione in innumerevoli settori, ma principalmente si occupano di edilizia. Credo che abbia progettato i primi insediamenti-ponte per le aree sommerse dell’Olanda. Attualmente sta trattando con Alberto per Monaco Due.» «Monaco Due?» «S, immagina! Una gigantesca isola in grado di navigare. L’ho sentito di recente in un reportage. Incrocera esclusivamente nei mari dei Paesi caldi.» «Questo Ogi deve essere tanto matto quanto Julian.» «Puo darsi. Si dice che sia un filantropo. Aiuta artisti e gente del circo in difficolta, ha fondato scuole per gli adolescenti piu sfortunati, sponsorizza musei, fa donazioni a destra e a manca. L’anno scorso ha devoluto una sostanziosa parte del suo patrimonio alla Bill & Melinda Gates Foundation.» «Come accidenti fai a sapere tutte queste cose?» «Dovresti leggere un po’ di riviste di gossip.» «Non e necessario finche ci sei tu... E Heidrun?» «Gia.» Amber sorrise con aria misteriosa. «Qui la cosa si fa piccante! La famiglia di Ögi non e esattamente entusiasta di questo legame.»

«Spiegati.» «Lei e una fotografa. Ha talento. Fotografa personaggi famosi e gente comune, ha pubblicato alcuni volumi sugli ambienti... a luci rosse. Nei suoi anni selvaggi ha tirato talmente la corda che la famiglia l’ha buttata fuori di casa, diseredandola. Percio ha iniziato a pagarsi gli studi prima con lo strip-tease, e poi come attrice in film porno d’alta classe. All’inizio del millennio si e fatta un nome come personaggio di culto dell’elite svizzera. Voglio dire, non si puo certo affermare che passi inosservata.» «No di certo.» «Fai il bravo e guarda in avanti, Timmy. Ha smesso coi film porno non appena terminati gli studi, ma ha continuato con lo strip-tease. Alle feste e ai vernissage, per puro divertimento. In una di queste occasioni si e imbattuta in Walo, che ha dato una svolta alla sua carriera di fotografa.» «Motivo per cui lo ha sposato.» «A quanto pare, non e un’opportunista.» «Commovente», disse Tim, e stava per aggiungere qualcos’altro, ma non lo fece perche le luci si spensero. All’improvviso si ritrovarono immersi in un buio nero come la pece. Nell’oscurita risuono un unico violino. Una musica delicata tesseva fili nell’oscurita, linee luccicanti che si univano a formare strutture artistiche. Nel contempo, lo spazio prese a tingersi di azzurro, un misterioso oceano crepuscolare. Da un punto in apparenza lontanissimo - l’impressionante risultato delle proiezioni olografiche sulla gigantesca parete concava di vetro - si avvicino una cosa pulsante e traslucida, simile a un’astronave organica con un nucleo diffuso e pieno di passeggeri alieni e oscuri. «La vita ha avuto inizio nell’oceano», disse una voce. Tim giro la testa. Il profilo del viso di Amber risplendeva come un fantasma nella luce azzurrognola. Lei osservava incantata come la cellula s’ingrandiva e iniziava a roteare. La voce racconto del brodo primordiale e di reazioni chimiche avvenute miliardi di anni prima. La solitaria cellula persa in quel blu senza fine inizio a dividersi in modo sempre piu rapido e improvvisamente apparve qualcosa di lungo, simile a un serpente. «Seicento milioni di anni fa inizio l’era degli organismi pluricellulari complessi!» annuncio la voce. Nei minuti successivi, il filmato ripercorse a ritmo accelerato tutta l’evoluzione. L’effetto di realta era cos coinvolgente che Tim si ritrasse di scatto quando un mostro lungo un metro, con fauci spaventose e artigli coperti di spine, si avvento su di lui, con un poderoso colpo dell’imponente coda cambio improvvisamente direzione e divoro un trilobita. Il Cambriano sorse e tramonto davanti ai suoi occhi, seguito dall’Ordoviciano, dal Siluriano e dal Devoni-

ano. Come se qualcuno avesse premuto il tasto di ricerca su un telecomando geologico, la vita pullulava nell’azzurro e attraversava, in un vortice, ogni possibile evoluzione. Sullo schermo si susseguirono meduse, vermi, granchi, scorpioni giganti, polipi, squali e rettili; un anfibio si trasformo in un sauro; le creature colonizzarono la terraferma e la profondita del mare lascio il posto a un cielo splendente, striato di nuvole. Il sole del Mesozoico splendette su adrosauri, brachiosauri e tirannosauri, finche all’orizzonte non comparve un gigantesco meteorite che si schianto sulla Terra, sollevando un’onda che spazzo via ogni forma di vita. L’inferno si riverso sulla platea in tutta la sua perfezione digitale, facendo trattenere il fiato agli spettatori; tuttavia, quando la polvere si fu depositata, lascio il posto alla marcia trionfale dei mammiferi... e tutti erano ancora seduti ai loro posti, incolumi. Una creatura simile a una scimmia prese a dondolare tra il verde degli alberi, si alzo sulle zampe posteriori, si trasformo in un ominide schiamazzante, inizio a vestirsi e a maneggiare armi, modifico altezza, postura e fisionomia, cavalco un cavallo, guido una macchina, piloto un aereo, fluttuo all’interno di una stazione spaziale e attraverso un’apertura... ma, anziche ritrovarsi nello spazio, spicco un salto e s’immerse nuovamente nei flutti dell’oceano. Di nuovo, si diffuse una luce blu. L’uomo che vi fluttuava sorrise in modo cos seducente che veniva voglia di sorridergli di rimando. «Si dice che siamo attirati dall’acqua perche proveniamo dall’acqua e siamo composti d’acqua al settanta per cento. E davvero torniamo sempre alle nostre origini. Ma le nostre origini si trovano unicamente nel mare?» Il blu si addenso in una sfera che rimpicciol fino a ridursi a una minuscola goccia d’acqua nell’oscurita. «Se andiamo alla ricerca delle nostre origini, dobbiamo volgere lo sguardo a un passato molto lontano. Perche l’acqua che copre due terzi del nostro pianeta e della quale siamo fatti...» - la voce fece una pausa piena di suspense - «... viene dallo spazio! » Silenzio. Accompagnata dall’assordante attacco dell’orchestra, la goccia esplose in milioni di frammenti, e improvvisamente lo schermo si riemp di galassie, sospese nel cielo come gocce di rugiada appese ai fili di una ragnatela. Come se fossero seduti su un’astronave, si avvicinarono a una galassia, entrarono al suo interno, passarono accanto a un Sole e si diressero verso il terzo pianeta del Sistema, una palla di fuoco ricoperta di un oceano di lava bollente. Con un enorme boato, gli asteroidi si schiantarono al suolo, mentre la voce raccontava che l’acqua era giunta sulla Terra dalle profondita dello spazio insieme coi meteoriti. Gli spettatori furono testimoni della formazione di un secondo oceano di vapore acqueo, che si deposito sopra il mare di lava. Poi sopraggiunse a grande velocita un enorme planetoide, poco piu piccolo della neonata Terra, chiamato Theia. La camera magmatica sussulto durante la collisione, i detriti furono scagliati in ogni direzione, ma la Terra sopravvisse anche a quello, ar-

ricchita di massa e di acqua e ora in possesso anche di una Luna, formatasi dai detriti, che inizio a roteare intorno al pianeta a ritmo sostenuto. La pioggia di proiettili cesso, si formarono oceani e continenti. Accanto a Tim, Julian mormoro: «Ovviamente e una scemenza che nello spazio senza atmosfera possano sentirsi certi boati. Lynn avrebbe preferito attenersi ai fatti, ma io ho pensato che dovevamo pensare ai bambini». «Quali bambini?» mormoro Tim di rimando. Si era accorto solo in quel momento che il padre era seduto accanto a lui. «Be’, questo viaggio lo faranno soprattutto le famiglie e noi dobbiamo mostrar loro le meraviglie dell’universo. Tutto lo show e stato concepito per i bambini e gli adolescenti. Immagina l’entusiasmo.» «Percio la ricerca delle origini non ci riporta solo al mare», disse la voce. «Un’eredita ancora piu antica ci spinge a volgere lo sguardo alle stelle. Ammiriamo il cielo notturno e percepiamo un’intima vicinanza, una specie di nostalgia di casa che non sappiamo spiegare.» L’astronave immaginaria aveva attraversato la nuova atmosfera del pianeta e adesso si avvicinava a New York. L’impressionante skyline di Manhattan, con la Freedom Tower illuminata, si stagliava, luccicante, sotto un fiabesco cielo notturno. «La risposta e evidente. Siamo come abitanti di un’isola. La nostra vera casa e l’universo. Gli esseri umani di tutte le epoche hanno sfidato l’ignoto per ampliare il proprio spazio vitale, quindi nei nostri geni e scritta la pulsione alla scoperta. Guardiamo le stelle e ci chiediamo perche la nostra civilta tecnologica non dovrebbe riuscire a fare quello che e riuscito ai nomadi preistorici con mezzi di fortuna, con imbarcazioni fatte di pelli di animali, in peregrinazioni di mesi, a dispetto del vento e delle condizioni meteorologiche. A quei nomadi spinti unicamente dalla curiosita, dall’inestinguibile sete di scoprire, dalla volonta di sapere, da un profondo bisogno di conoscenza.» «E a questo punto entro in gioco io!» gracchio un piccolo razzo che si fiondo in mezzo all’immagine. La bellissima vista panoramica della New York notturna e il cielo stellato sparirono. Alcuni degli spettatori risero. Il razzo aveva effettivamente un aspetto molto buffo. Era color argento, tozzo e con la testa a punta, una navicella spaziale simile a quelle dei libri illustrati per bambini, con quattro «pinne», che utilizzava per camminare, due braccia nervose e una faccia decisamente comica. «I bambini lo adoreranno», sussurro Julian, estasiato. «Rocky Rocket! Stiamo progettando fumetti, cartoni animati, peluche... tutto il programma insomma.» Tim avrebbe voluto ribattere, ma poi vide suo padre entrare nello schermo accanto al razzo. Anche il Julian Orley virtuale indossava jeans, una camicia bianca aperta e scarpe da

ginnastica argento. Agito le dita - ornate dagli immancabili anelli - nel tentativo di allontanare il piccolo razzo. «Per il momento non hai proprio niente da fare qui», disse, allargando le braccia. «Salve, signore e signori. Io sono Julian Orley. Benvenuti nello Stellar Dome. Stiamo per portarvi in un meraviglioso viaggio per...» «S, con me!» s’intromise il razzo, presentandosi come un vero showman con le braccia aperte e scivolando sulle ginocchia... o almeno su quelle che potevano essere le ginocchia per un razzo. «È con me che e iniziato tutto. Seguitemi verso...» Julian spinse nuovamente il razzo di lato e lui reag facendogli lo sgambetto. Segu una breve lotta per decidere chi dovesse accompagnare gli spettatori nel percorso attraverso la storia dei viaggi spaziali, finche i due non trovarono un accordo e decisero che lo avrebbero fatto insieme. La platea mostrava di apprezzare la squillante risata di Chucky, che risuonava nella sala a ogni capriola di Rocky Rocket. In seguito, furono mostrate nuove immagini, come una stazione spaziale, fatta di mattoni, situata nell’orbita terrestre e Julian spiego che cos era stata descritta nel XIX secolo dall’americano Edward Everett Hale, nel suo racconto di fantascienza La Luna di mattoni. Poi Rocky Rocket fece apparire un cagnolino dallo sguardo disorientato e spiego che si trattava del primo satellite. Lo scenario cambio di nuovo. Un gigantesco cannone, con la canna infilata in una montagna, sparava nello spazio alcune persone in sella a una specie di proiettile. «Siamo nel 1865, otto anni dopo la pubblicazione della Luna di mattoni. Nei suoi romanzi Dalla Terra alla Luna e Intorno alla Luna, Jules Verne ha descritto con sorprendente lungimiranza l’inizio dell’astronautica, anche se il cannone sarebbe stato impossibile da realizzare a causa della lunghezza richiesta. Tuttavia il proiettile nel suo racconto viene sparato da Tampa Town, in Florida... e voi sapete dove si trova oggi la sede della NASA. Purtroppo, nel racconto, a un certo punto viene issato fuori bordo questo povero cagnolino, che orbita con la nave spaziale per breve tempo: il primissimo satellite.» Rocky Rocket getto un osso all’animale costernato, che cerco di acchiapparlo: ma il solo risultato fu che l’osso prese a orbitare insieme col cane. «In letteratura, gli esseri umani hanno iniziato molto presto a chiedersi in quale modo si potesse viaggiare fino alle stelle. Ma furono i russi i primi a sparare in un’orbita vicina alla Terra un satellite artificiale. Il 4 ottobre 1957, alle ore 19, 28 minuti e 34 secondi, mandarono in orbita una sfera di alluminio pesante 84 chili, provvista di quattro antenne che inviavano al globo terrestre una serie di suoni, diventati leggendari sotto forma di segnali radio con una lunghezza d’onda di 15 metri e 7,5 metri: lo Sputnik 1 ha tenuto il mondo col fiato sospeso!» Nei minuti successivi, l’astronave immaginaria si trasformo nuovamente in una macchina del tempo, perche dalla Terra venivano continuamente sparati nel cosmo dei nuovi oggetti.

Ecco le cagnoline Strelka e Belka, che abbaiano vivaci a bordo dello Sputnik 5 e Alexej Leonov che osa uscire dalla sua capsula e fluttuare nello spazio come un neonato delle stelle, attaccato al suo cordone ombelicale. Poi la platea riconobbe Valentina Vladimirovna Tereskova, la prima donna nello spazio, mentre scrutava Neil Armstrong lasciare le sue impronte sul suolo lunare il 20 luglio 1969 e innumerevoli stazioni spaziali orbitare intorno al globo terrestre. Vide gli Space Shuttle e le capsule Sojuz portare materiali ed equipaggi all’ISS - l’International Space Station - e la Cina mandare in orbita la sua prima sonda lunare. Assistette all’inizio di una nuova corsa allo spazio: gli Space Shuttle che venivano mandati in pensione; la Russia che inaugurava una nuova generazione del suo programma Sojuz; quell’infinito cantiere che era l’ISS raggiunto da razzi Ares, la navicella spaziale Orion che portava di nuovo gli esseri umani sulla Luna; l’ESA che si precipitava a progettare un viaggio su Marte; la Cina che iniziava la costruzione di una nuova stazione spaziale... Praticamente chiunque aveva fantasticato sulla colonizzazione del cosmo, sugli allunaggi, sui viaggi su Marte e sull’esplorazione di nuove galassie, la «dove nessun uomo era mai arrivato prima», come diceva una famosa serie di fantascienza di alcuni anni addietro. «Ma tutti questi progetti si scontravano col problema che le navicelle e le stazioni spaziali non potevano essere costruite come avrebbero dovuto», spiego Julian. «Non a causa dell’incapacita dei costruttori, ma per via di due limiti fisici insormontabili: la resistenza dell’aria... e la gravita.» Era il momento del grande rientro in scena di Rocky Rocket, che cercava di rimanere in equilibrio su un globo terrestre stilizzato, sopra il quale stava sospesa una Luna dai tratti chiaramente femminili, con crateri che formavano piccoli brufoli sul suo viso, ma nel complesso molto carina. Il satellite faceva l’occhiolino a Rocky e flirtava con lui in modo cos sfacciato che il razzo inizio a sprizzare cuoricini dalla punta eretta. Tim scivolo piu in basso nella poltrona e si chino verso Julian. «Davvero adatto ai bambini», borbotto in tono ironico. «Qual e il problema?» «Un po’ troppo fallica tutta questa scenetta. Voglio dire, la Luna e femminile, e dunque Miss Luna vuole essere scopata. Non e cos?» «I razzi hanno un aspetto fallico, che ti piaccia o no», brontolo Julian. «Cosa avremmo dovuto fare secondo te? Disegnare una Luna con la faccia da maschio? Avresti preferito una Luna gay? Io no.» «Non dico questo.» «Io non voglio una Luna gay. Nessuno vuole una Luna gay. O una navicella spaziale gay col culo in fiamme. Lascia perdere. »

«Non ho detto che non mi piace. Volevo solo dire che...» «Sei e sarai sempre un guastafeste.» Come sempre, litigavano per il gusto di farlo. Tim si chiese come avrebbero potuto convivere con Julian per le successive due settimane. Nel frattempo, Rocky Rocket stava facendo i bagagli, mettendo in valigia tutto cio che serviva a un razzo in viaggio, senza dimenticare un paio di astronauti, accuratamente piegati. Poi stipo la valigia nella sua pancia, saluto, emise una minuscola fiammata mentre gettava baci in ogni direzione e salto verso l’alto. Ma dal suolo terrestre spunto all’istante una dozzina di braccia che lo riporto indietro. Allibito, Rocky tento di nuovo di ripartire, ma gli era impossibile sfuggire alla morsa del pianeta. La Luna vogliosa sembro intristirsi. «Se spiccate un salto verso l’alto, avete il cento per cento di probabilita di ricadere al suolo. La materia esercita una forza chiamata ’gravita’. Piu massa ha un corpo, piu e forte il suo campo gravitazionale che gli consente di trattenere gli oggetti piu piccoli», chiar Julian. Apparve Sir Isaac Newton che sonnecchiava sotto un albero, finche non gli cadeva in testa una mela che lo faceva saltare in piedi con l’aria di chi ha avuto un’illuminazione. «Funziona allo stesso modo anche la meccanica dei corpi celesti», disse Newton. «Poiche sono piu grande della mela, potrebbe sembrare che questo frutto sia stato attratto dalla mia persona. E in effetti anch’io esercito una certa forza gravitazionale. Ma, a confronto con la massa del pianeta, il mio ruolo nel determinare il comportamento dinamico di una mela matura e davvero irrilevante. In realta, e la gravitazione della Terra contro la quale questa piccola mela non ha speranze. Piu forza esercito per tentare di scagliarla in alto, piu riusciro a mandarla lontano, ma alla fine essa cadra inevitabilmente a terra.» A dimostrazione delle sue spiegazioni, Newton inizio a lanciare la mela verso l’alto, asciugandosi il sudore dalla fronte. «Come vedete, la Terra tiene la mela legata a se. Quanta energia servirebbe dunque per spararla nello spazio?» «Grazie, Sir Isaac», intervenne Julian in tono affabile. «Il problema e proprio questo. Considerando la Terra nel suo insieme, un razzo non e un oggetto molto piu imponente di una mela, anche se ovviamente i razzi sono assai piu grandi delle mele. In altre parole, ci vuole una mostruosa quantita di energia per eguagliare la seconda forza che frena la salita, ovvero quella esercitata dalla nostra atmosfera.» Stremato dagli sforzi profusi per raggiungere la sua amante celeste, Rocky si avvicino a un enorme cilindro con la scritta PROPELLENTE e lo vuoto in un solo sorso, sinche non fu gonfio come un pallone e gli occhi quasi gli uscirono dalle orbite. Tuttavia adesso era finalmente in grado di produrre una fiammata abbastanza potente per sollevarsi e spiccare il volo verso lo spazio. La sua sagoma rimpicciol fino a diventare un puntino e infine spar.

«Tralasciando il fatto che, a un certo punto, le dimensioni dei serbatoi per il propellente delle navicelle spaziali diventano un problema di per se, nel XX secolo ogni nuovo lancio aveva costi esorbitanti», riprese Julian. «L’energia e cara. Di fatto, il costo necessario per accelerare un solo chilogrammo alla velocita di fuga e strapparlo alla forza di gravita si aggirava mediamente intorno ai cinquantamila dollari. Per un solo chilogrammo! L’Apollo 11, completamente equipaggiato, coi serbatoi pieni e con Armstrong, Aldrin e Collins a bordo, pesava quasi tremila tonnellate! E tutto quello che veniva installato all’interno o portato a bordo contribuiva a far lievitare i costi in modo... astronomico. In piu, proteggere adeguatamente le navicelle contro meteoriti, Space debris e radiazioni cosmiche doveva sembrare pura utopia. Come sarebbe stato possibile portare lassu un pesante rivestimento, quando ogni singolo sorso di acqua potabile, ogni centimetro di spazio vitale erano gia troppo costosi? Condividere per un paio di giorni una scatola di latta e sopportabile, ma come si poteva pensare di volare fino a Marte? Inoltre sempre piu persone mettevano in dubbio l’utilita di una tale impresa, dato che la maggior parte della popolazione mondiale viveva con meno di un dollaro al giorno. Alla luce di queste considerazioni, i progetti come la colonizzazione e lo sfruttamento economico della Luna nonche i viaggi verso altri pianeti si scontravano con la dura realta e andavano in frantumi.» Julian fece una pausa, quindi riprese: «E pensare che la soluzione e sempre stata l, sotto i nostri occhi! E lo e stata nella forma di un saggio scritto da un fisico russo di nome Konstantin Ciolkovskij nel 1895, sessantadue anni prima del lancio dello Spuntnik 1». Un uomo anziano, coi capelli color ragnatela, con una barba lanosa e un paio di occhiali con la montatura in metallo, sal sul palco virtuale con la grazia di un cosacco in fin di vita. Mentre parlava, sulla superficie terrestre inizio a crescere una bizzarra struttura a griglia. «Avevo pensato a una torre», illustro Ciolkovskij agli spettatori, gesticolando nervosamente. «Simile alla Tour Eiffel, pero molto piu alta. Un colossale pozzo per un ascensore, alla cui estremita inferiore era agganciato un cavo che giungeva fino a terra. Con un dispositivo del genere, pensavo, sarebbe stato possibile portare gli oggetti in un’orbita stabile intorno alla Terra, evitando di ricorrere ai razzi, rumorosi, puzzolenti, poco accoglienti e costosi. Durante la salita, questi oggetti avrebbero subito un’accelerazione tangenziale a mano a mano che diminuiva la forza gravitazionale terrestre, finche la loro energia e la loro velocita non sarebbero state sufficienti per raggiungere la meta, a 35.786 chilometri di altezza.» «Ottima idea!» esclamo Rocky Rocket, rientrato dal suo viaggio di piacere lunare, volando intorno alla torre in costruzione, la quale tuttavia improvvisamente collasso su se stessa. Ciolkovskij fu percorso da un brivido, impallid e torno a fare compagnia ai suoi avi. «Gia.» Julian scrollo le spalle con aria dispiaciuta. «Questo era il punto debole del progetto di Ciolkovskij. Nessun materiale al mondo sembrava abbastanza robusto per una

costruzione del genere. La torre era destinata a crollare sotto il proprio peso e a disgregarsi a causa delle forze che agivano su di lei. Solo negli anni ’50 l’idea ridivenne popolare, ma ci si limito a considerare l’ipotesi di spedire un satellite nell’orbita geostazionaria e di calare da l una fune fino a terra...» «Ehm... scusa», tossicchio Rocky Rocket. «S? Cosa c’e?» «Mi vergogno, capo, ma... Cosa significa ’geostazionario’ esattamente?» Il piccolo razzo arross e inizio a scalpicciare con le pinne, in evidente imbarazzo. Julian rise. «Nessun problema, Rocky. Sir Isaac, una mela, per favore.» «Ho gia capito», rispose Newton, e lancio un’altra mela verso l’alto. Stavolta il frutto sal dritto nel cielo, senza ricadere a terra. «Se con l’immaginazione togliamo la Terra e altri corpi simili, sulla mela non agisce piu nessuna forza gravitazionale», disse Julian. «A seconda dell’impulso che accelera la sua massa in forza della muscolatura di Sir Isaac Newton, la mela volera e continuera a volare senza mai fermarsi. Questo effetto viene chiamato ’forza centrifuga’. Se ora rimettiamo la Terra al suo posto, ritorna in gioco la gia menzionata gravitazione o forza gravitazionale, la quale, in una certa misura, si oppone alla forza centrifuga. Se la mela si e allontanata abbastanza dalla Terra, il campo gravitazionale del pianeta e diventato troppo debole per riattirarla a se, e il frutto sparira nello spazio. Ora, l’orbita geostazionaria, in breve GEO, si trova nel punto esatto in cui la forza di attrazione della Terra e la forza centrifuga si annullano a vicenda, ovvero a 35.786 chilometri di altezza. L la mela non puo ne ricadere al suolo ne fuggire nello spazio. Essa rimarra imprigionata nella GEO finche continuera a ruotare intorno alla Terra in modo sincrono con la sua velocita di rotazione, motivo per cui un oggetto geostazionario sembra trovarsi sempre nello stesso punto.» La Terra girava davanti ai loro occhi. La mela di Newton sembrava immobile sopra l’equatore, fissa sopra un’isola del Pacifico. Ovviamente non stava davvero ferma, ma orbitava intorno al pianeta con una velocita di 11.070 chilometri orari, mentre sotto di lei la Terra ruotava a 1674 chilometri orari, misurati all’equatore. L’effetto era sorprendente. Come la valvola della camera d’aria della ruota di una bicicletta si trova sempre nello stesso punto sul cerchione, il satellite sembrava inchiodato sopra l’isola. «Pertanto, l’orbita geostazionaria e ideale per un ascensore spaziale», esclamo Julian. «In primo luogo per costruire una stazione orbitante in una posizione fissa; in secondo luogo, grazie alla posizione fissa di questa stazione. Dopo aver appurato che era necessario calare da l una fune lunga 35.786 chilometri e ancorarla al suolo, la domanda che si poneva era: quali sollecitazioni doveva sopportare una fune del genere? La tensione maggiore si sarebbe prodotta nel baricentro, quindi nella GEO stessa, il che richiedeva una fune piu larga o piu

resistente nel punto piu alto.» Immediatamente apparve una fune che collegava l’isola e il satellite nel quale la mela nel frattempo si era trasformata. Piccole cabine salivano e scendevano lungo la fune stessa. «In questo contesto e sorta un’ulteriore questione», prosegu Julian. «Perche non prolungare la fune oltre il baricentro superiore? Come ricorderete, nell’orbita geostazionaria la forza gravitazionale e la forza centrifuga si annullano. Oltre questo punto, il rapporto si modifica a favore della forza centrifuga. Una cabina che sale dalla Terra lungo una fune in questo modo dovrebbe utilizzare solo una minuscola frazione dell’energia necessaria per catapultarla verso l’alto con un razzo propulsore. A mano a mano che l’altezza aumenta, l’influsso della forza gravitazionale diminuisce a favore della forza centrifuga, motivo per cui e necessaria una quantita di energia sempre minore... finche, all’altezza dell’orbita geostazionaria, in pratica non richiede piu nessuna energia. Se ora immaginiamo un prolungamento della fune fino a un’altezza di 143.800 chilometri, la navicella supererebbe l’orbita geostazionaria a grande velocita, subirebbe un’accelerazione costante e addirittura guadagnerebbe energia. Una perfetta rampa di lancio per i viaggi interstellari, verso Marte o qualsiasi altro punto del cosmo!» Le cabine adesso trasportavano componenti nell’orbita, che si assemblavano a formare una stazione spaziale. Rocky Rocket caricava le cabine, sudando vistosamente. «Da qualunque punto di vista si considerasse la questione, i vantaggi di un ascensore spaziale erano evidenti», sorrise Julian. «Per portare un carico di un chilogrammo a un’altezza di quasi trentaseimila chilometri ora non bisognava piu spendere cinquantamila dollari: ne bastavano duecento. Inoltre l’ascensore avrebbe potuto funzionare giorno e notte per 365 giorni l’anno. All’improvviso non era piu un problema realizzare stazioni spaziali gigantesche e costruire navicelle spaziali con un rivestimento di protezione adeguato. La colonizzazione dello spazio apparve d’un tratto a portata di mano e ispiro allo scrittore inglese Arthur C. Clarke il suo romanzo Le fontane del paradiso, nel quale lui descrive appunto la costruzione di questi ascensori spaziali.» «Ma perche bisogna costruire questo impianto proprio sull’equatore? » ansimo Rocky Rocket, asciugandosi il sudore dalla punta. «Perche non al Polo Nord o al Polo Sud, dov’e piu fresco? E perche in mezzo al mare e non per esempio a... Las Vegas? » chiese con occhi scintillanti, mentre eseguiva un paio di passi di danza e schioccava le dita. «Non sono sicuro che tu voglia davvero partire per un viaggio stellare in mezzo ai pinguini», ribatte Julian, scettico. «In ogni caso, non sarebbe fattibile. Solo lungo l’equatore e possibile sfruttare la rotazione terrestre in modo da ottenere la forza centrifuga massima. Solo lungo l’equatore sono possibili le orbite geostazionarie.» Riflette per un attimo, poi aggiunse: «Attento, ti spiego come funziona. Immagina di essere un lanciatore di martello».

L’idea sembro divertire il piccolo razzo, che spinse il petto in fuori e mostro i muscoli. «Dov’e il martello? Dammelo!» gracchio. «Oh, i martelli non si usano piu da tempo, sciocchino. È rimasto solo il nome. Il martello oggi e una sfera di metallo attaccata a una fune di acciaio.» Julian fece apparire dal nulla la sfera e mise l’impugnatura in mano a Rocky. «Ora devi girare intorno al tuo asse tendendo le braccia.» «Perche?» «Per accelerare il martello. Devi tracciare dei cerchi.» «È pesante», si lamento Rocky, tirando la fune di acciaio. Inizio a girare su se stesso, sempre piu veloce. La fune si tese, la sfera si stacco dal suolo e si porto su una traiettoria orizzontale. «Adesso posso lanciare?» ansimo Rocky. «Tra un attimo. Ora devi immaginare di non essere Rocky, ma il pianeta Terra. La tua testa e il Polo Nord, i tuoi piedi sono il Polo Sud. Nel mezzo, si trova l’asse sul quale stai girando. Di conseguenza, qual e il centro del tuo corpo?» «Uh! Come, cosa? L’equatore, naturalmente.» «Bravo.» «Ora posso lanciare?» «Aspetta. Dal centro del tuo corpo, ovvero dall’equatore, il martello oscilla verso l’esterno e la forza centrifuga lo tende... proprio come la fune dell’ascensore spaziale, che deve essere ben tesa.» «Ho capito. Posso?» «Ancora un istante! In un certo senso, le tue mani sono la nostra isola nel Pacifico e la sfera di metallo e il satellite, ovvero la stazione spaziale, nell’orbita geostazionaria. Ti e chiaro?» «Chiaro.» «Bene. Allora adesso solleva le braccia.» «Eh?» «Avanti. Solleva le braccia. Continua a girare, pero, mentre lo fai, solleva le braccia sopra la testa.» Rocky obbed. La fune di acciaio si affloscio all’istante e la sfera cadde pesantemente sulla testa del piccolo razzo, che strabuzzo gli occhi, barcollo e cadde a terra. «Credi di aver afferrato il principio?» chiese Julian con aria comprensiva. Rocky agito una bandierina bianca. «Bene. Praticamente qualsiasi punto lungo la linea dell’equatore e adatto per la realizzazione di un ascensore spaziale, tuttavia bisogna tenere in considerazione alcuni fattori. La

stazione di ancoraggio, diciamo il pianterreno, dovrebbe trovarsi in una zona in cui il cielo e quasi sempre terso, protetta da tempeste, forti venti e scariche elettriche nonche lontana dalle rotte aeree. Posti del genere si trovano soprattutto nel Pacifico. Uno e collocato a cinquecentocinquanta chilometri a ovest della costa dell’Ecuador ed e il posto in cui ci troviamo ora... l’Isla de las Estrellas!» Improvvisamente Julian si ritrovo sulla terrazza panoramica dello Stellar Island Hotel. Al largo s’intravedeva la piattaforma galleggiante e le due funi che uscivano dall’interno della stazione di Terra e si estendevano verso l’azzurro infinito. «Come potete vedere, abbiamo costruito non uno, ma ben due ascensori», disse Julian con un ampio gesto delle braccia. «Due funi si tendono parallele verso l’orbita. Ma, ancora pochi anni fa, si nutrivano non pochi dubbi sul fatto che un giorno sarebbe stato davvero possibile ammirare tutto questo. Senza il lavoro di ricerca dell’Orley Enterprises probabilmente la soluzione si sarebbe fatta attendere altri decenni, e tutto quello che vedete qui non esisterebbe. » L’illusione scomparve. Julian adesso fluttuava in uno spazio nero. «Il problema era trovare un materiale che consentisse di realizzare una fune lunga 35.786 chilometri. Doveva essere ultraleggero e superresistente. L’acciaio non andava bene. Anche la fune di acciaio piu resistente si strapperebbe dopo trentaquaranta chilometri, unicamente a causa del proprio peso. Sono state prese in considerazione tutte le possibili fibre sintetiche e tutte si sono rivelate inadatte. Si fantasticava di fibre di ragnatela - in fondo si tratta di un materiale quattro volte piu resistente dell’acciaio -, ma anche questo non avrebbe conferito alla fune la resistenza alla trazione richiesta, per non parlare del fatto che per una fune di 35.786 chilometri ci sarebbe voluta una quantita inimmaginabile di ragni. Che situazione frustrante! La stazione di ancoraggio, la stazione spaziale, le cabine, tutto sembrava realizzabile. Solo la fune rischiava di far fallire l’intero progetto... finche, all’inizio del nuovo millennio, non e stata fatta una scoperta straordinaria: i nanotubi di carbonio. » Una luminosa struttura a griglia tridimensionale inizio a roteare nell’oscurita. La sua forma tubolare ricordava vagamente quella di una nassa per la pesca. «Questa struttura in realta e diecimila volte piu sottile di un capello umano. Un minuscolo tubo, costituito da atomi di carbonio assemblati con una disposizione a ragnatela. I piu piccoli di questi tubi misurano mediamente meno di un nanometro. Lo spessore e sei volte piu sottile dell’acciaio, il che li rende molto leggeri, ma nel contempo possono vantare una resistenza alla trazione pari a circa 45 gigapascal, al cui confronto i 2 gigapascal sopportati dall’acciaio fanno apparire quest’ultimo come un biscotto sbriciolato. Con gli anni, i ricercatori sono riusciti a legare tra loro questi tubicini e a creare dei filamenti. Nel 2004, i ricercatori di Cambridge hanno realizzato un filo lungo cento metri. Eppure riuscire a tessere strutture piu grandi con questi filamenti appariva una possibilita piuttosto remota, tanto piu che gli esperimenti

avevano dimostrato che la resistenza dei fili si riduceva drasticamente rispetto a quella dei singoli tubi. Si era verificato una specie di ’errore di tessitura’ causato dalla mancanza di alcuni atomi di carbonio, e inoltre il carbonio e soggetto all’ossidazione. Viene corroso, dunque i filamenti avrebbero avuto bisogno di un rivestimento.» Julian fece una pausa, quindi riprese: «L’Orley Enterprises ha investito molti anni nella ricerca di una soluzione a questo problema. Nel 2012 finalmente l’abbiamo trovata. Siamo stati in grado non solo di sostituire gli atomi mancanti, ma anche, grazie ad alcuni collegamenti trasversali, di aumentare la resistenza dei fili a 65 gigapascal! Abbiamo scoperto vari modi per rivestirli e proteggerli cos dai meteoriti, dagli Space debris, dall’oscillazione naturale e dall’effetto corrosivo dell’ossigeno atomico. Con una larghezza di circa un metro, sono piu sottili di un capello, e questo e il motivo per cui sembrano scomparire quando li si guarda di lato. A 143.000 chilometri di altezza, dove finiscono, li abbiamo ancorati a un piccolo asteroide che funge da contrappeso. In futuro, utilizzeremo questa parte delle funi per accelerare le navicelle spaziali in modo che possano raggiungere Marte, o anche un punto piu lontano, utilizzando una quantita infinitesimale di energia...» Sorrise. «Ma nell’orbita geostazionaria abbiamo costruito una stazione spaziale mai vista prima: l’OSS, l’Orley Space Station, raggiungibile in tre ore con l’ascensore. Stazione di ricerca, porto spaziale e hangar! Da l partono le varie navicelle, con o senza equipaggio, dirette alla Luna. Allo stesso modo, l’elio-3 compresso viene trasportato dai punti di approvvigionamento lunari all’OSS, dove viene caricato sull’ascensore e mandato sulla Terra. Il sogno di fornire a dieci miliardi di persone una fonte di energia pulita e illimitata e a un passo dal diventare realta. Possiamo dire che l’elio-3 ha decretato la fine dell’era dei combustibili fossili, poiche anche i necessari reattori a fusione sono stati sviluppati e lanciati sul mercato dall’Orley Enterprises. L’importanza di olio e gas sta diminuendo drasticamente. Il depauperamento del nostro pianeta sta per finire. Le guerre per il controllo del petrolio e del gas saranno un ricordo del passato. Nulla di questo sarebbe stato possibile senza lo sviluppo dell’ascensore spaziale, ma noi abbiamo sognato il sogno di Konstantin Ciolkovskij... e lo abbiamo trasformato in realta!» Un attimo dopo, tutto ricomparve: la terrazza panoramica, i pendii dell’Isla de las Estrellas, la piattaforma galleggiante. Julian Orley, coi capelli al vento e con gli occhi scintillanti, sollevo le braccia al cielo come se stesse per ricevere l’undicesimo comandamento. «Vent’anni fa, quando l’Orley Enterprises ha iniziato a investire nella costruzione di ascensori spaziali, ho promesso al mondo di costruire un ascensore per il futuro. Un futuro che i nostri genitori e i nostri nonni non avrebbero mai potuto nemmeno sognare. Il migliore futuro che abbiamo mai avuto. E noi lo abbiamo realizzato! Tra pochi giorni, raggiungerete l’OSS. Ammirerete la bellezza della Terra, la nostra meravigliosa casa... e volgerete stupiti lo sguardo alle stelle, la nostra casa di domani.»

Su un sottofondo di musica drammatica, tra colonne di luce rossa, due scintillanti cabine uscirono dall’edificio rotondo sulla piattaforma galleggiante e schizzarono verso il cielo. Julian sollevo la testa e le segu con lo sguardo. «Benvenuti nel futuro», esclamo. ANCHORAGE, ALASKA, STATI UNITI Non di nuovo, penso Gerald Palstein. Non per la quarta volta la stessa accusa, la stessa domanda. «Mr Palstein, forse sarebbe stato piu saggio impiegare in modo differente fin dall’inizio le persone che ora perderanno il posto di lavoro, invece di trivellare gli ultimi ecosistemi intatti del pianeta nella spasmodica ricerca di petrolio. Non e stato un grave errore da parte della sua divisione mettere in funzione questo impianto, come se forme alternative di energia quali l’elio-3 e l’energia solare non avessero importanza?» Diffidenza, incomprensione, furbizia. La conferenza stampa indetta dall’EMCO per annunciare la chiusura del Progetto Alaska era diventata un processo, e lui era il capro espiatorio. Palstein tento di dissimulare la propria stanchezza. «Per come stavano le cose allora, abbiamo agito in modo responsabile. Nel 2015, l’elio-3 era un’opzione lontana come le stelle, in senso letterale. Gli Stati Uniti d’America non potevano basare la propria politica energetica unicamente sulla possibilita di una trovata tecnologica geniale...» «Alla quale adesso pero volete partecipare», lo interruppe la giornalista. «Un po’ tardi, non crede?» «Sicuramente, ma forse posso rammentarle un paio di cose che credevo fossero chiare a entrambi. Anzitutto nel 2015 io non ero a capo del settore strategico dell’EMCO...» «Ma ne era il vicedirettore.» «La decisione finale su dove investire spettava al mio predecessore. Tuttavia lei ha ragione. Ho appoggiato il Progetto Alaska perche non era possibile prevedere se l’ascensore spaziale e la tecnologia di fusione avrebbero funzionato. Dunque quel progetto era nell’interesse dell’America.» «Piu che altro era nell’interesse di alcuni sfruttatori.» «Riconsideri tutta la situazione. All’inizio del millennio, la nostra politica energetica mirava a liberarci dalla dipendenza dal Medio Oriente, soprattutto perche avevamo scoperto che chi sceglie la guerra non conquista automaticamente la pace. Andare in Iraq e stato una follia. Il mercato americano non ne ha mai tratto i vantaggi sperati. Avevamo pianificato di mandare laggiu i nostri e di rilevare la produzione di petrolio, invece, settimana dopo settimana, abbiamo assistito soltanto al rientro delle salme dei soldati. Quindi abbiamo tentennato e alla fine altri si sono spartiti la torta. Alla fine, persino i repubblicani piu conservatori hanno capito che, con George W. Bush, ci eravamo messi nelle mani di un idiota irrecuperabile e pericoloso. Ma ormai la nostra economia e il nostro prestigio agli occhi del mondo erano rovinati. A

quel punto, nessuno voleva piu entrare in Iraq imbracciando le armi.» «Le dispiace che l’opzione di un’ulteriore guerra sia stata accantonata? » «Certo che no.» Incredibile! Quella donna semplicemente non ascoltava. «Sono sempre stato contrario alla guerra e lo sono ancora. Ma lei deve rendersi conto che gli Stati Uniti si trovavano in una posizione imbarazzante. La fame di materie prime dell’Asia, il ricatto della Russia per la cessione delle risorse, l’esito fallimentare del nostro intervento in Medio Oriente... Un unico, enorme disastro. Nel 2015, poi, e stato rovesciato il governo dell’Arabia Saudita ed e stato messo in scena l’intero repertorio della presa di potere dei fondamentalisti islamici, comprese le bandiere americane bruciate nelle strade di Riyad. Ma noi non potevamo semplicemente sbarazzarci di quei tizi, perche la Cina aveva fornito loro denaro e armi. Un intervento militare in Arabia Saudita sarebbe equivalso a una dichiarazione di guerra a Pechino. Lei sa bene qual e la situazione laggiu da allora. Oggi forse non interessa piu a nessuno, ma all’epoca sarebbe stato da incoscienti affidarci unicamente al petrolio saudita. Dovevamo considerare le alternative. Una di queste era il mare, l’altra lo sfruttamento di sabbie e scisti bituminosi, la terza le risorse dell’Alaska. » Un’altra giornalista chiese la parola. Loreena Keowa, attivista ambientale di origini native americane e caporedattrice di Greenwatch. I suoi reportage avevano una grande eco in rete. Era molto critica, ma Palstein sapeva che, in determinate condizioni, poteva trovare in lei un’alleata. «Io penso che nessuno possa biasimare un’impresa che vuole dichiarare morto un cadavere. Anche se cio implica la perdita di posti di lavoro. Mi chiedo solo cosa puo offrire l’EMCO alle persone che si ritroveranno in mezzo a una strada. Forse e inutile piangere sul latte versato, ma non e stato il rifiuto della ExxonMobil d’investire nelle energie alternative la causa che ha portato al disastro di oggi?» «È cos.» «Ricordo che la Shell gia vent’anni or sono ha sottolineato il fatto di essere un gruppo che si occupa di energia e non un produttore di petrolio, mentre la ExxonMobil dichiarava di non avere bisogno di una ’stampella’ nel settore delle energie alternative. La fine dell’epoca del petrolio che molti vedevano ormai prossima sarebbe, cito letteralmente, ’un diffuso malinteso’.» «Una valutazione senza dubbio errata.» «Le conseguenze sono percio ancora piu dolorose. Forse e vero che nessuno poteva prevedere una rivoluzione nel mercato dell’energia come quella cui stiamo assistendo. Di fatto, pero, l’EMCO non e in grado di ricollocare i propri dipendenti in settori alternativi, perche questi settori alternativi non esistono.» «È proprio questo stato di cose che vogliamo cambiare», replico Palstein in tono paziente.

«So che lei vorrebbe cambiarlo, Gerald. Ma i suoi critici considerano il piano di partecipazione all’Orley Enterprises solo fumo negli occhi», obietto Loreena con un mezzo sorriso. Palstein ricambio il sorriso. «Questo non e esatto. Vede, non sto cercando giustificazioni, ma nel 2005 ero responsabile dei progetti di trivellazione in Ecuador per la ConocoPhillips e solo nel 2009 sono passato al settore della gestione strategica. A quel tempo, il mercato del petrolio e del gas americano era dominato dalla ExxonMobil. Le energie alternative godevano di una reputazione assai diversa sulle due sponde dell’Atlantico. La ExxonMobil investiva nel golfo Persico, tentava di acquisire le aziende russe del settore, puntava su un aumento dei guadagni come risultato della lievitazione dei prezzi del petrolio e se ne infischiava dell’etica e della durata delle riserve. In Europa tirava un’aria diversa. La Royal Dutch Shell aveva creato una divisione commerciale per le energie rinnovabili gia alla fine degli anni ’90. La BP ha agito in modo ancora piu lungimirante, puntando l’attenzione sulla profondita del mare, assicurandosi quote delle risorse russe, lanciando slogan come ’Beyond Petroleum’ e diversificando le proprie attivita ovunque cio fosse possibile.» Palstein sapeva che specialmente i giornalisti piu giovani erano disinformati in modo preoccupante. Illustro a grandi linee come il processo di consolidamento aveva raggiunto l’apice appena prima della presa di potere dei fondamentalisti in Arabia Saudita, quando la Royal Dutch Shell era stata assorbita dalla BP, e dalla fusione era nata l’UK Energies, mentre in America la ExxonMobil si era fusa con la Chevron e la ConocoPhillips nell’EMCO. «Nel 2017 ho assunto il ruolo di vicedirettore della gestione strategica all’EMCO. Il primo giorno, sulla mia scrivania, e arrivato il comunicato stampa che annunciava il successo dell’Orley Enterprises nello sviluppo di un ascensore spaziale. Ho subito proposto di trattare l’acquisto di quote dell’Orley Energy con Julian Orley. Inoltre ho raccomandato di acquistare azioni della Lightyears di Warren Locatelli, o ancor meglio, di acquisire l’intera azienda. La leadership del mercato di Locatelli non e caduta dal cielo; nel 2015, lui sarebbe ancora stato aperto a qualsiasi trattativa.» Vide alcuni sguardi di approvazione. Loreena annu. «Lo so, Gerald. Lei ha tentato di guidare la macchina EMCO in direzione delle energie rinnovabili. Che lei abbia un atteggiamento critico verso il suo settore e cosa risaputa. Come lo e il fatto che nessuna delle sue proposte e stata accettata.» «Purtroppo no. La vecchia dirigenza EMCO, che teneva ancora saldamente le redini del gruppo, era interessata unicamente alla nostra attivita principale. Sono stato libero di agire solo quando il mercato del petrolio ha incominciato a collassare, quando anche gli ossi piu duri hanno dovuto cedere il passo e il nuovo consiglio d’amministrazione mi ha affidato la direzione strategica. Da allora, l’EMCO e cambiata. Dal 2020 abbiamo profuso ogni sforzo per recuperare il tempo perduto. Siamo entrati nel settore del fotovoltaico, in quello dell’energia eolica e idraulica. Forse non e una cosa molto nota, tuttavia ci sentiamo per-

fettamente in grado di ricollocare il nostro personale in altri rami dell’azienda che avranno un futuro. Ma non e possibile sistemare in una notte cio che e stato ignorato per decenni.» Tacque, ben sapendo quale sarebbe stata la domanda successiva. «Ma e davvero possibile sistemare le cose, a questo punto?» Palstein si appoggio allo schienale della sedia. In fondo, poteva anche non rispondere. L’elio-3 si stava trasformando nel carburante del futuro. I reattori a fusione di Orley lavoravano ventiquattr’ore al giorno e i bilanci erano positivi. In piu, il trasporto dell’elio-3 dalla Luna alla Terra non rappresentava piu un problema. Il settore di Palstein invece era come traumatizzato. I grandi gruppi petroliferi si sarebbero aspettati di tutto... tranne la fine dell’epoca del petrolio prima che quello iniziasse a scarseggiare! Nemmeno i visionari piu arditi della Royal Dutch Shell e della BP avrebbero immaginato un carburante alternativo in grado di far fallire il loro settore tanto rapidamente. Solo dieci anni prima, l’UK Energies aveva stimato per le tecnologie alternative - compresa l’energia atomica - una fetta di mercato del trenta per cento per il 2050. Inoltre era chiaro a tutti che la maggior parte di quelle tecnologie poteva essere offerta a prezzi concorrenziali solo dalle multinazionali. Il settore fotovoltaico aveva buone possibilita di conquistarsi ampie fette di mercato nei Paesi ricchi di sole, tuttavia richiedeva la realizzazione di una complessa serie d’infrastrutture logistiche. Chi poteva assumersi tale ruolo se non le grandi multinazionali del petrolio, che in fondo dovevano solo crearsi una via d’uscita per essere pronte a cambiare attivita una volta che fosse giunto il momento fatale? Il fatto che i grandi gruppi petroliferi non fossero disposti a comportarsi cos dipendeva dalle previsioni sull’effettivo esaurimento del petrolio e del gas. Proprio come i testimoni di Geova, che spostano continuamente la data della fine del mondo, i profeti di sventura avevano spesso cambiato la data di chiusura dell’epoca del petrolio: negli anni ’80 era il 2010; negli anni ’90 era il 2030; all’inizio del nuovo millennio era il 2050 e tutto cio nonostante l’aumento dei consumi. Nel frattempo, era diventato chiaro che le riserve sarebbero bastate fino al 2080, anche se il livello di sfruttamento massimo era considerato superato, mentre le risorse disponibili promettevano una durata ancora piu lunga. Solo su un punto erano tutti d’accordo: il petrolio a buon mercato non sarebbe piu esistito. Mai piu. Invece era diventato molto a buon mercato. I prezzi erano crollati in modo cos drammatico che il settore aveva iniziato a sentirsi come il protagonista di quel classico del cinema di fantascienza che era Radiazioni BX: distruzione uomo: un uomo che diventava sempre piu piccolo e per il quale un banale ragno domestico improvvisamente si trasformava in una minaccia mortale. Se la cavava meglio chi aveva investito per tempo nelle energie rinnovabili. L’UK Energies era riuscita a invertire la rotta e il gruppo francese Total aveva diversificato le proprie attivita in modo da poter sopravvivere,

anche se ovunque imperversava il mortale virus dei tagli del personale. Perlomeno l’energia solare ad alta efficienza - com’era stata sviluppata dalla Lightyears di Locatelli - era considerata l’energia piu affidabile accanto all’elio-3, e anche l’energia eolica permetteva di realizzare qualche guadagno. Il gruppo norvegese Statoil Norsk Hydro invece agonizzava, la cinese CNPC e la russa Lukoil fissavano disperate un futuro senza petrolio. Non avevano compreso la portata della dichiarazione, diventata emblematica, di Ahmed al Yamani, l’ex ministro arabo delle Risorse Petrolifere: «L’eta della Pietra non e finita per mancanza di pietre». Il problema non era tanto che il petrolio non servisse piu; ce n’era bisogno nella produzione di plastica, concimi e cosmetici, nell’industria tessile, in quella alimentare e nella ricerca farmaceutica. Gli innovativi reattori a fusione di Orley erano ancora pochi; la maggior parte delle automobili funzionava con motori a combustione; gli aerei volavano ancora grazie al cherosene. Della nuova risorsa approfittavano soprattutto gli Stati Uniti. A livello mondiale, il passaggio a un’economia energetica basata sull’elio-3 avrebbe richiesto ancora qualche anno, quello era chiaro. Ma era per l’appunto questione di anni, non piu di decenni. Il semplice fatto che la cosiddetta «fusione aneutronica» dell’elio-3 col deuterio nei reattori funzionasse aveva fatto precipitare il gia sofferente prezzo del greggio in un abisso senza fine. Alla fine del primo decennio, era apparso evidente che le persone non erano disposte a spendere qualsiasi cifra per il petrolio; se diventava troppo caro, si risvegliava la loro coscienza ecologica, risparmiavano sulla corrente e chiedevano a gran voce lo sviluppo delle energie alternative. L’idea degli speculatori di far lievitare il prezzo al barile mediante acquisti di massa non aveva funzionato. Inoltre la maggior parte dei Paesi aveva costituito delle riserve e non era costretta ad acquistare altro greggio; inoltre le automobili di nuova generazione disponevano di batterie con enormi capacita di accumulo e venivano alimentate con l’ecologica corrente elettrica direttamente dalla presa... e ben presto, grazie all’elio-3, la corrente elettrica sarebbe stata disponibile in grande quantita in tutto il mondo. Proprio gli Stati Uniti d’America, che dopo l’elezione di Barack Obama avevano riscoperto un’anima verde, premevano per stipulare accordi internazionali per la riduzione delle emissioni e avevano scoperto il diavolo nella CO2. Pochi anni dopo l’inaugurazione del primo reattore di fusione per l’elio-3, era diventato ovvio che «pensare all’ambiente» avrebbe permesso di ottenere guadagni astronomici. Nel corso di quei mutamenti, nel ranking dei colossi mondiali del petrolio, l’EMCO era scivolata dalla prima alla terza posizione, mentre l’intero settore minacciava di contrarsi fino a essere ridotto a un microverso. Atrofizzata dall’ignoranza, l’EMCO aveva iniziato a incespicare, come King Kong prima della caduta e, oscuramente consapevole del proprio fallimento, si era messa a cercare qualche appiglio, senza tuttavia riuscire ad afferrare

altro che l’aria. E ora avevano perso anche l’Alaska. I progetti di trivellazione, imposti a costo di annose battaglie con le lobby ambientaliste, dovevano essere abbandonati, perche gli enormi depositi di gas naturale non interessavano piu a nessuno. La conferenza stampa che Palstein stava tenendo non era in fondo molto diversa da quella che aveva avuto luogo poche settimane prima nella provincia canadese dell’Alberta, dove lo sfruttamento delle sabbie bituminose era ormai un’attivita prossima alla fine. Quel procedimento complesso e inquinante aveva procurato piu di un incubo agli ambientalisti, ma era stato realizzabile finche il mondo aveva avuto fame di petrolio, neanche fosse un neonato che cercava il latte. E non era una consolazione il fatto che parecchi esponenti del governo canadese condividessero le preoccupazioni dell’EMCO, dal momento che due terzi delle risorse petrolifere del globo erano nascosti in quelle sabbie: centottanta milioni di barili solo sul suolo canadese. La stragrande maggioranza dei canadesi, pero, era felice che ben presto sarebbe finito tutto. Nell’Alberta, lo sfruttamento aveva distrutto per sempre fiumi e paludi, la foresta boreale, l’intero ecosistema. E, alla luce di quei fatti, il Canada non era stato in grado di rispettare i suoi obblighi internazionali. Dato che l’emissione di gas serra era aumentata, i protocolli firmati erano carta straccia. «Noi vogliamo aggiustare le cose», disse Gerald Palstein con voce ferma. «Alle trattative con l’Orley Enterprises manca solo la firma. Vi posso assicurare che parteciperemo come primo gruppo petrolifero all’affare elio-3. Inoltre stiamo discutendo possibili alleanze con gli strateghi di altri gruppi industriali.» «In concreto, cosa puo offrire la sua azienda all’Orley Enterprises? » volle sapere un giornalista. «Diverse cose.» L’uomo non mollo la presa. «Se non sbaglio, il problema delle multinazionali e non avere la benche minima conoscenza nel settore della fusione nucleare. Voglio dire, alcuni gruppi si sono buttati sul fotovoltaico, sull’energia eolica e idrica, sul bioetanolo, eccetera, ma la tecnologia di fusione e i viaggi spaziali... Mi perdonera se dico che questo va ben al di la della vostra sfera di competenze.» Palstein sorrise. «Posso comunicarle che attualmente Julian Orley sta cercando investitori per un secondo ascensore spaziale, tra l’altro per ampliare le infrastrutture destinate al trasporto dell’elio-3. Stiamo parlando di enormi quantita di denaro. E noi ce l’abbiamo. Bisogna vedere come decideremo d’impiegarlo. Il mio settore in questo momento e sotto shock. Qualcuno potrebbe obiettare che era prevedibile, ma cosa dovremmo fare, secondo lei? Andare a picco, crogiolandoci nelle nostre sofferenze? Per quanti sforzi possiamo fare, l’EMCO non conquistera mai una posizione leader nel mercato dell’energia solare, dato che altri hanno

agito con maggiore tempestivita. La scelta e tra rimanere a guardare mentre ci viene sottratto un mercato dopo l’altro, finche le nostre risorse non verranno dissipate dai programmi sociali, oppure investire i soldi in un secondo ascensore e occuparci della logistica qui, sulla Terra. Come ho gia detto, le trattative sono quasi concluse, la firma degli accordi e imminente.» «Quando avverra?» «Al momento, Orley si trova con un gruppo di potenziali investitori sull’Isla de las Estrellas. Da l il viaggio proseguira per l’OSS e per l’inaugurazione del Gaia Hotel. Gia.» Palstein scrollo le spalle, con un’aria a meta fra il triste e il rassegnato. «Avrei dovuto esserci anch’io. Julian Orley e non solo un futuro partner commerciale, ma anche un caro amico. Sono profondamente dispiaciuto di non poter fare questo viaggio con lui, ma sapete bene cos’e successo in Canada.» L’ultima frase ebbe l’effetto del gong che preannuncia il secondo round. Iniziarono a parlare tutti insieme. «Hanno scoperto chi le ha sparato?» «Viste le sue condizioni di salute, come fara a superare le prossime settimane? La ferita...» «Cosa pensa delle ipotesi secondo le quali l’attentato potrebbe essere collegato con la sua decisione di legare l’EMCO all’Orley Enterprises...» «È vero che e stato un impiegato, furioso per la perdita del lavoro...» «Con le sue critiche sulle disfunzioni del suo settore, lei si e fatto molti nemici. Chi di loro potrebbe...» «Ma lei come si sente, Gerald?» chiese Loreena Keowa. «Grazie, Loreena, sto bene, date le circostanze.» Palstein alzo la mano sinistra per far tornare il silenzio. Da circa un mese, il braccio destro era avvolto in una fascia. «Una cosa alla volta. Rispondero a tutte le domande, ma non intendo fare supposizioni. Al momento, non posso dire nulla, tranne che pure io vorrei capire chi e stato. L’unica cosa che so e che ho avuto una fortuna sfacciata. Se non fossi inciampato sugli scalini mentre raggiungevo il palco, il proiettile mi avrebbe colpito in testa. Non e stato un avvertimento, come ha detto qualcuno, ma un’esecuzione andata male. L’obiettivo dell’attentato era senza dubbio quello di uccidermi...» «Adesso come si protegge?» Palstein sorrise. «Con l’ottimismo. E con un giubbotto antiproiettile, per dirla tutta. Ma anche questo e inutile contro gli spari alla testa. Dovrei forse nascondermi? No! ajkovskij ha detto: ’Non si puo attraversare la vita in punta di piedi per paura della morte’.» «A chi gioverebbe se lei scomparisse dalla scena?» intervenne Loreena.

«Non lo so. Se qualcuno volesse impedire la nostra alleanza con l’Orley Enterprises, in questo modo vanificherebbe la piu grande e forse unica occasione dell’EMCO di guarire in fretta.» «Forse e proprio cos. Forse qualcuno vuole distruggere l’EMCO», disse una voce. «Il mercato e diventato troppo piccolo per i gruppi petroliferi », intervenne un altro. «In fondo, la caduta di questi gruppi sarebbe un’evoluzione economica naturale. Qualcuno vuole togliere di torno i concorrenti, per...» «O forse qualcuno vuole colpire Orley attraverso di lei. Se l’EMCO...» «Qual e l’atmosfera all’interno dell’azienda? A chi ha pestato i piedi, Gerald?» «A nessuno!» Palstein scosse deciso la testa. «Il consiglio d’amministrazione ha approvato il mio progetto di risanamento in ogni singolo punto, e la chiave di tale progetto e l’alleanza con Orley. Queste ipotesi non vi porteranno da nessuna parte. Parlate con le autorita. Stanno indagando in ogni direzione.» «Quali sono le sue sensazioni?» «Per quanto riguarda l’autore del reato?» «S. Non ha nessun sospetto?» Palstein tacque per alcuni istanti, poi disse: «Personalmente, riesco a immaginare solo una vendetta. Qualcuno che e disperato per aver perso il proprio lavoro, che forse ha perso tutto, e ora proietta il suo odio su di me. Una cosa del genere riuscirei a capirla. Sono consapevole della posizione in cui ci troviamo. Molte persone ora lottano per sopravvivere, dopo aver affidato a noi la loro vita in anni migliori». Fece una pausa. «Ma siamo onesti: i tempi migliori devono ancora arrivare. Forse non sono la persona giusta per dire cos, ma un mondo in grado di coprire il proprio fabbisogno energetico con risorse pulite e rinnovabili fa apparire l’economia petrolifera come un sistema arcaico. Posso solo ribadire che faremo qualunque cosa per garantire un futuro all’EMCO. E anche ai nostri collaboratori!» Un’ora piu tardi, Gerald Palstein riposava nella sua suite, il braccio destro ripiegato sotto la nuca, le gambe stese come se gli costasse troppa fatica persino accavallarle. Stanco morto, stava sdraiato sul copriletto e fissava le travi del baldacchino. La sua delegazione alloggiava allo Sheraton Anchorage, uno degli alberghi piu chic di una citta non proprio bellissima. I pochi edifici storici erano stati distrutti dal sisma del 1964 - il cosiddetto «terremoto del Venerd Santo» -, il sussulto piu forte mai registrato sul suolo americano. Ora rimaneva in piedi un unico palazzo veramente bello, ma si trattava dell’ospedale. Dopo un po’, Palstein si alzo e ando in bagno, con la mano libera si passo dell’acqua sulla faccia e osservo il proprio viso nello specchio. Una goccia era rimasta sospesa sulla punta del naso e lui la asciugo. Sua moglie Paris raccontava spesso di essersi innamorata dei suoi occhi marroni, scuri, grandi come quelli di un cerbiatto e incorniciati da ciglia folte e lunghe

come quelle di una donna. Nel suo sguardo aleggiava una perenne malinconia. Uno sguardo troppo bello e intenso per un viso gentile ma anonimo. La fronte era alta e ampia, la nuca era coperta dai capelli tagliati corti. Da un po’ di tempo, poi, il suo fisico aveva acquisito un che di ascetico. Una conseguenza della mancanza di sonno, dell’alimentazione irregolare e del soggiorno in clinica dove, un mese prima, gli avevano estratto la pallottola dalla spalla. Palstein sapeva che avrebbe dovuto mangiare di piu, ma non aveva appetito. Lasciava nel piatto quasi tutto quello che gli servivano. Una preoccupante forma di esaurimento lo paralizzava, come se fosse posseduto da un virus che non era piu possibile tenere a bada con qualche occasionale pisolino in aereo. Si asciugo la faccia, usc dal bagno e ando alla finestra. Un pallido, freddo sole estivo illuminava il mare coi suoi raggi abbaglianti. A nord si stagliavano le cime innevate dell’Alaska Range. Non lontano dall’albergo s’intravedeva la vecchia sede della ConocoPhillips. Ora sul tetto brillava il logo dell’EMCO, una sorta di cocciuta autoaffermazione nonostante il mutamento ormai in atto. Nell’edificio della Peak Oilfield Service Company si affittavano uffici. L’UK Energies aveva installato nell’ex sede principale della BP una filiale della sua divisione solare e aveva affittato il resto a un’impresa turistica; tuttavia anche l c’erano molti spazi vuoti. Tutto si stava sciogliendo come neve al sole. Alcuni cartelloni erano definitivamente scomparsi, come quelli dell’Anadarko Oil, della Doyon Drilling e della Marathon Oil Company. La regione rischiava di perdere il suo primato di Stato piu produttivo degli USA. A partire dagli anni ’70, piu dell’ottanta per cento di tutte le entrate statali provenienti dal commercio dei combustibili fossili era confluito nell’Alaska Permanent Fund, che sosteneva economicamente molti degli abitanti. Un sostegno cui ben presto avrebbero dovuto rinunciare. A breve, alla regione sarebbero rimasti solo i metalli, la pesca, il legno e, in minima parte, l’allevamento degli animali da pelliccia. Naturalmente anche l’estrazione di petrolio e gas, ma in misura molto limitata e a prezzi talmente bassi che sarebbe stato meglio lasciare quella roba sottoterra. I giornalisti e gli attivisti che festeggiavano la fine dell’economia petrolifera - e che a lui rinfacciavano di essersi impegnato a favore delle operazioni di estrazione - non rappresentavano affatto l’opinione pubblica. L’elio-3 aveva un’eco molto limitata in Alaska, e anche nel golfo Persico l’entusiasmo era piuttosto tiepido. Ora che gli unici a nutrire interesse per il loro territorio erano gli scorpioni e i serpenti, gli sceicchi gia s’immaginavano condannati a tornare nel deserto. Lo spettro dell’impoverimento toglieva il sonno ai potenti del Kuwait, del Bahrain e del Qatar. Quasi nessuno prendeva piu in considerazione l’idea di andare a Dubai. Pechino aveva chiuso i rubinetti ai fondamentalisti arabi; gli Stati Uniti sembravano ignorare il Nordafrica; in Iraq, sciiti e sunniti si massacravano come al solito e, sempre come al solito, l’Iran metteva in agitazione gli altri Stati col suo programma nucleare, digrignava i denti e cercava di avvicinarsi alla Cina, l’unica nazione, a parte gli Stati Uniti, che estraeva l’elio-3 lun-

are, sebbene in quantita infinitesimali. I cinesi non avevano un ascensore spaziale e non sapevano come costruirne uno. Nessuno, a eccezione dell’America, disponeva di un veicolo simile; Julian Orley stava seduto sui brevetti come una gallina che covava le sua uova. Pertanto la Cina era costretta a impiegare la tecnologia convenzionale, con costi pesantissimi. Palstein guardo l’ora. Doveva andare nella sede dell’EMCO per una riunione. Come sempre, avrebbero fatto tardi. Chiamo il business center e diede istruzioni di metterlo in collegamento con lo Stellar Island Hotel sull’Isla de las Estrellas. La c’erano tre ore di differenza e 20 °C in piu. Un posto migliore di Anchorage. Palstein avrebbe preferito essere ovunque piuttosto che ad Anchorage. Voleva almeno augurare buon viaggio a Julian. ISLA DE LAS ESTRELLAS, OCEANO PACIFICO Se entrare nel vulcano era stato spettacolare, uscirne non fu per nulla eccitante. Quando si accesero le luci, gli spettatori sbucarono dalla grotta percorrendo un corridoio dritto e ben illuminato, che faceva sorgere il sospetto che l’intera montagna non fosse che un insieme di cartongesso e strutture di sostegno. Il corridoio era abbastanza largo per far defluire, in caso di emergenza, un centinaio di persone che corrono e sgomitano in preda al panico. Dopo circa centocinquanta metri, poi, il corridoio si ricollegava con un settore laterale dello Stellar Island Hotel. Chucky Donoghue si fece largo per raggiungere Julian. «Massimo rispetto! Niente male», esclamo. «Grazie.» «E avete trovato la grotta cos? Andiamo! Nemmeno un aiutino? Un po’ di dinamite?» «Solo per le vie di fuga.» «Un incredibile colpo di fortuna. Amico mio, ti e chiaro che ti dovro copiare, vero? No, niente paura, ho ancora qualche buona idea per le mani. Mio Dio, quanti alberghi ho costruito nella mia vita! Quanti alberghi!» «Trentadue.» «Ah, davvero?» borbotto Donoghue, sbalordito. «S, e forse un giorno ti verra voglia di costruire qualcosa sulla Luna. È per questo che sei qui, vecchio mio», ridacchio Julian. Donoghue rise ancora piu forte. «Ah, e cos! E io che pensavo che mi avessi invitato perche ti sono simpatico!» Coi suoi sessantacinque anni, era il piu anziano della comitiva e piu vecchio di Julian di cinque anni, ma quest’ultimo ne dimostrava dieci di meno. L’insignificante differenza di eta tra i due non impediva a Donoghue di chiamare l’uomo piu ricco del mondo «ragazzo mio», con la giovialita di un allevatore di bestiame.

«Certo che mi sei simpatico», replico Julian allegramente, mentre seguivano Lynn verso gli ascensori. «Ma voglio mostrarti soprattutto i miei alberghi per far s che tu ci metta i tuoi soldi... A proposito, la sai quella dell’uomo che viene intervistato per un sondaggio?» «No! Racconta!» «In un sondaggio chiedono a un tizio: ’Adesso le diamo due opzioni e lei ci dira quale sceglierebbe. A: Fare sesso tutta la notte con sua moglie. B:...’ ’B!’ esclama il tizio. ’B!’» Una barzelletta abbastanza scontata, quindi perfetta per Chucky, che si piego in due dal ridere e si fermo per raccontarla ad Aileen. Julian non aveva bisogno di voltarsi per vedere la faccia della donna, contratta in una smorfia di biasimo come se avesse inghiottito un limone. I Donoghue possedevano la Xanadu: quasi tre dozzine degli alberghi piu imponenti, costosi e kitsch di tutti i tempi e relativi casino; inoltre dirigevano un’agenzia artistica di levatura internazionale alla quale facevano capo star del varieta, cantanti, ballerini e domatori e che naturalmente organizzava anche spettacoli in cui cadeva ogni velo. Tuttavia Aileen ostentava l’atteggiamento un po’ bigotto tipico delle donne del Sud, come se ogni sera sui palcoscenici di Las Vegas non si dimenassero decine di showgirl sui cui contratti c’era la sua firma. Si considerava una persona timorata di Dio, credeva che fosse giusto possedere un numero adeguato di armi e che talvolta la pena di morte fosse l’unica scelta possibile; apprezzava il buon cibo, le buone azioni e, soprattutto, le buone maniere. Eppure a cena sarebbe apparsa fasciata in un abito cos attillato da risultare imbarazzante, nella speranza che gli uomini piu giovani ammirassero il suo decollete, rassodato col laser. Poi, dopo aver raccontato quella stupida barzelletta, sarebbe andata a prendere da bere per tutti, mostrando cos l’altro lato di se, quello che si preoccupava sinceramente del benessere di ogni creatura. Ed era proprio quello l’aspetto del suo carattere che faceva s che la gente non solo sopportasse Aileen Donoghue, ma in qualche modo la apprezzasse. Le cabine di vetro degli ascensori si riempirono di gente e di chiacchiere. Dopo una breve salita, il gruppo usc sulla terrazza panoramica, sopra la quale nel frattempo si era steso un cielo stellato degno di un film hollywoodiano. Una donna in abito da sera - non giovane ma ancora bella - coordinava con grazia regale una dozzina di camerieri per accogliere gli ospiti. Furono serviti champagne e cocktail e vennero distribuiti dei binocoli. Un quartetto jazz attacco Fly Me to the Moon. «Da questa parte! Qui da me! Guardate verso ovest», chiamo Lynn allegramente. Gli ospiti la seguirono, divertiti. Al largo, sulla piattaforma galleggiante, si erano accese miriadi di luci che sembravano toccare il cielo notturno come dita luminose. Sagome umane, piccole come formiche, correvano fra le strutture. Una grande nave - dall’aspetto una nave da carico - beccheggiava dolcemente sull’acqua calma.

Julian fece un passo in avanti e sollevo un bicchiere. «Cari amici! Poco fa non vi ho mostrato tutto lo spettacolo. In un’altra versione, avreste visto l’OSS e il Gaia Hotel, ma questa e la versione destinata a coloro che non avranno il privilegio di fare l’esperienza che vi aspetta, perche si fermeranno qui per un paio di giorni e poi torneranno a casa. A voi invece voglio mostrare l’ascensore dal vivo. Per tutto il resto non avete bisogno di film, perche lo potrete vedere coi vostri occhi! Le prossime due settimane non le dimenticherete mai, ve lo posso assicurare!» Julian sorrise, mettendo in mostra i suoi denti perfetti. Ci fu un applauso, all’inizio un po’ timido e poi sempre piu convinto, finche tutti non batterono le mani con entusiasmo. Miranda Winter esclamo: «Oh, yeah!» Lynn si mise al fianco del padre, traboccante di orgoglio. «Prima di andare a cena, vorremmo darvi un assaggio del viaggio di domani», disse la donna, guardando l’orologio. «Tra pochi minuti entrambe le cabine rientreranno dall’orbita con a bordo l’elio-3 compresso caricato sull’OSS. Credo che, a partire da questo momento, dovreste alzare la testa per guardare il cielo e non solo per brindare...» «Anche se io ovviamente lo consiglio vivamente...» aggiunse Julian, alzando il bicchiere. Lynn rise. «Ma certo. Quello che non vi ho ancora detto e che sull’OSS dovremo limitare drasticamente il consumo di alcolici. » «Che brutta notizia», disse Bernard Tautou, facendo una smorfia e scolando il suo bicchiere in un sorso. «Allora dobbiamo assolutamente approfittarne ora.» «Credevo che la sua passione fosse l’acqua!» lo canzono Mukesh Nair. «Mais oui! Specialmente se e addizionata con un po’ d’alcol!» «’Se il bicchiere si svuotera, nessuna gioia piu portera’», declamo Eva Borelius, sfoggiando il suo sorriso teutonico. «Pardon?» «Lo ha detto Wilhelm Busch, un umorista tedesco. Non credo che lei lo conosca.» «Ma, in assenza di gravita, si puo avere la testa pesante?» chiese Olympiada Rogaceva con aria timida, il che indusse il marito a voltarsi dall’altra parte e fissare con insistenza il cielo stellato. Miranda Winter schiocco le dita come una scolaretta: «E cosa succede se si vomita in assenza di gravita?» «Il tuo vomito ti trova e ritorna da te, ovunque tu sia», ribatte Evelyn Chambers. «Una palla. Il vomito forma una palla», intervenne Walo Ögi. «Io credo piuttosto che si distribuisca nell’ambiente», borbotto Karla Kamp. Eva Borelius annu. «S, in modo che tutti ne possano avere un po’. Bell’argomento di discussione, eh? Forse dovremmo...»

«Guardate la! Lassu!» esclamo Rebecca Hsu. Tutti gli sguardi seguirono il suo dito puntato. Nel cielo erano comparsi due puntini luminosi in movimento. Per un po’ sembrarono spostarsi verso sud-est, seguendo una traiettoria orbitale... pero, contrariamente a quanto ci si poteva logicamente aspettare, diventavano sempre piu grandi. No, qualcosa non quadrava dal punto di vista dimensionale... Poi, d’un tratto, tutti compresero: gli oggetti stavano scendendo dal cielo ad angolo retto, perfettamente in verticale. Era come se due stelle stessero scendendo verso di loro. «Arrivano», sussurro Sushma Nair con una punta di soggezione. Tutti sollevarono i binocoli. Pochi minuti dopo, era possibile distinguere anche senza strumenti due oggetti rettangolari che ricordavano gli shuttle, ma entrambi erano rovesciati e i lati inferiori terminavano in pannelli circolari sporgenti. Le punte coniche erano illuminate, le luci di posizione pulsavano sui fianchi dei corpi cilindrici col ritmo di un battito cardiaco. Le cabine si avvicinavano alla piattaforma ad alta velocita e, piu si avvicinavano, piu l’aria vibrava come sotto l’effetto di una gigantesca dinamo. Julian noto soddisfatto che nemmeno suo figlio si sottraeva al fascino di quello spettacolo. Pure Amber aveva gli occhi spalancati come una bambina in attesa dei regali di Natale. «Meraviglioso », sussurro. Julian annu. «S. È soltanto tecnica eppure, nonostante questo, e un miracolo. ’Ogni tecnologia sufficientemente avanzata e indistinguibile dalla magia.’ L’ha detto Arthur C. Clarke. Un grande uomo!» Tim rimase in silenzio. Julian sent in gola il sapore aspro della rabbia repressa. Non riusciva a capire cosa passasse per la testa di quel ragazzo. Se Tim non aveva voglia di occupare il posto che gli spettava all’Orley Enterprises, be’, erano fatti suoi. Ognuno doveva trovare la propria strada, anche se Julian proprio non riusciva a concepire un futuro al di fuori dell’azienda... Ma la domanda era: cosa diavolo aveva fatto lui a Tim? Poi tutto accelero. I sospiri dei presenti furono la colonna sonora della fase finale. Per un po’, si ebbe l’impressione che le cabine stessero precipitando nel terminale circolare, trascinando sott’acqua l’intera piattaforma; poi improvvisamente rallentarono, prima l’una e poi l’altra, e s’immersero dolcemente nel cono di luce dei fari della piattaforma per scomparire infine nel cerchio della stazione di Terra. Altri applausi, intervallati da esclamazioni. Heidrun si porto accanto a Finn O’Keefe e fischio. «Sei sempre sicura di volerci salire?» chiese lui. «E tu?» ribatte lei, sarcastica.

«Certo.» «Che spaccone!» «Qualcuno dovra pure star vicino a tuo marito quando inizierai a staccare il rivestimento delle pareti con le unghie.» «Staremo a vedere chi se la fara sotto.» «Se saro io, ricorda la tua promessa», sghignazzo O’Keefe. «E quando mai ti avrei promesso qualcosa?» «Prima. Volevi tenermi la mano.» «Ah, gia.» Heidrun sorrise, divertita e sembro riflettere sull’eventualita. «Mi dispiace, Finn. Sai, sono noiosa e all’antica. Nel mio film, e la donna che cade da cavallo e si fa salvare dagli indiani. E naturalmente strilla per tutto il tempo.» «Peccato. Non ho mai recitato in quel tipo di film.» «Parlane col tuo agente.» Sollevo la mano con un gesto grazioso, gli sfioro la guancia con l’indice e se ne ando. O’Keefe la segu con lo sguardo mentre lei raggiungeva Walo. Dietro di lui, una voce disse: «Sei patetico, Finn. Abbordaggio fallito». Si erano conosciuti a uno di quei party ai quali si deve partecipare, quelli che O’Keefe normalmente amava come una lunga permanenza nella sala d’attesa del dentista. Tuttavia, quando ci andava, s’imbatteva con snervante regolarita in Momoka Omura. Era accaduto anche di recente, in occasione dell’ottantottesimo compleanno di Jack Nicholson. «Non dovresti essere impegnata su qualche set?» chiese. «Non sono ancora stata risucchiata dal cinema commerciale come te, se e questo che intendi.» Si guardo le unghie. Un sorriso malizioso si dipinse sul suo volto. «Ma potrei darti qualche ripetizione in materia di corteggiamento.» Lui rispose al sorriso. «Grazie. Ma non si dovrebbe entrare troppo in confidenza con le insegnanti.» «Lezioni teoriche, idiota. Credi sul serio che ti lascerei avvicinare? » «No? Questo mi tranquillizza», ribatte lui, voltandosi dall’altra parte. Momoka sollevo la testa e sbuffo. O’Keefe si giro a guardare la seconda donna che lo aveva piantato in asso nel giro di pochi minuti: la vide dirigersi con aria fiera verso Locatelli, il quale stava discutendo dei reattori a fusione con Marc Edwards e Mimi Parker, e prenderlo sottobraccio. Allora scrollo le spalle e raggiunse Julian, che stava conversando con Hanna, Rebecca Hsu, sua figlia e i Rogacev. «Come fate a portare le cabine lassu? Non fluttueranno mica verso l’alto, lungo la fune, no?» stava chiedendo Rebecca. Sembrava su di giri, poco concentrata. «Non ha visto la presentazione?» domando Rogacev, in tono ironico.

«Stiamo lanciando sul mercato una nuova fragranza», esclamo Rebecca, come se quello spiegasse ogni cosa. In effetti, per meta dello spettacolo, aveva fissato il monitor del suo netbook, sistemando piani marketing, quindi non aveva sentito la spiegazione del principio di funzionamento degli ascensori. All’accensione, sembrava che i pannelli circolari sulla parte posteriore delle cabine emettessero luminosi raggi rossi, ma in realta avveniva esattamente il contrario. Il lato inferiore dei pannelli era rivestito di cellule fotovoltaiche e i raggi provenivano da enormi laser installati all’interno della stazione. L’energia prodotta durante l’accensione metteva in funzione il sistema di azionamento : sei paia di ruote dentate per ogni cabina, tra le quali si tendeva la fune. Quando una ruota veniva messa in movimento, la ruota sul lato opposto iniziava a girare nella direzione contraria e l’ascensore risaliva la fune. «La velocita continua ad aumentare», spiego Julian. «Gia dopo alcune centinaia di metri si raggiungono...» Qualcosa all’interno della sua giacca inizio a suonare. Corrugo la fronte ed estrasse il cellulare. «Cosa c’e?» «Scusi se la disturbo», disse qualcuno del centralino. «C’e una chiamata per lei». «Non puo aspettare?» «È Gerald Palstein.» «Oh, ma certo!» Julian sorrise agli astanti. «Posso lasciarvi per qualche minuto? Rebecca, non scappi. Le spieghero il principio di funzionamento in ogni particolare, anche piu volte, se questo puo farla felice.» Con passi veloci si diresse verso una piccola stanza dietro il bar, mise il cellulare in un alloggiamento e proietto l’immagine su uno schermo piu grande. «Ciao, Julian», disse Palstein. «Gerald! Dove diavolo sei?» «Ad Anchorage. Abbiamo chiuso il Progetto Alaska. Non te ne avevo parlato?» Julian penso che, rispetto all’ultima volta in cui si erano visti - poche settimane prima dell’attentato -, il manager dell’EMCO aveva un’aria davvero abbattuta. Lo stava chiamando da una camera d’albergo. Dalla finestra dietro di lui s’intravedevano montagne innevate sotto un cielo pallido e freddo. «Certo. Ma prima che ti sparassero. Devi proprio darti da fare cos intensamente? » «Non e la fine del mondo», ribatte Palstein. «Ho un buco nel braccio, non nella testa. Una ferita del genere ti permette di viaggiare, anche se non fino alla Luna. Purtroppo.» «E com’e andata?» «Diciamo che l’Alaska si sta preparando con una certa dignita al rinascimento dei cacciatori di pelli. Alcuni dei sindacalisti presenti alla conferenza stampa avrebbero volentieri portato a termine quello che non e riuscito al cecchino qualche settimana fa.» «Non hai nulla da rimproverarti. Nessuno e stato piu critico di te nei confronti del settore, e d’ora in poi dovranno ascoltarti. Hai parlato anche della nostra probabile alleanza?»

«Il comunicato stampa e gia stato diffuso. Percio sara uno degli argomenti del giorno.» «E come l’hanno presa?» «Come uno sforzo per rimetterci in carreggiata. In ogni caso, quasi tutti sono favorevoli.» «Bene! Non appena torno firmiamo i contratti.» Palstein esito. «Altri pensano che sia solo fumo negli occhi. Non prendiamoci in giro, Julian. Per noi, questa alleanza rappresenta un’ancora di salvezza...» «Ma e molto vantaggiosa anche per noi!» «Tuttavia non fara miracoli. Abbiamo passato davvero troppo tempo concentrati solo su quel maledetto petrolio. Comunque l’importante e evitare il fallimento. Le conseguenze sarebbero spaventose. Non posso fare nulla per evitare la caduta, pero forse posso prevenire l’impatto. O almeno attutirlo.» «Se qualcuno puo riuscirci, quello sei tu... Per la miseria, Gerald ! È davvero un peccato che tu non sia qui.» «Sara per la prossima volta. A proposito, chi ha preso il mio posto?» «Un investitore canadese di nome Carl Hanna. Ne hai mai sentito parlare?» Palstein aggrotto le sopracciglia. «Carl Hanna? Sinceramente no.» «Non fa niente. Nemmeno io lo conoscevo, fino a pochi mesi fa. È uno di quelli che sono diventati ricchi senza clamore.» «È interessato ai viaggi spaziali?» «Eccome! Non c’e bisogno d’indorargli la pillola. In ogni caso, lui ci investira. Sfortunatamente ha passato la sua giovinezza a Nuova Delhi e sente l’obbligo morale di sponsorizzare il programma spaziale indiano. Percio dovro darmi un po’ da fare per convincerlo.» Julian ridacchio. «E il resto del gruppo?» «Oh, sono abbastanza sicuro che Locatelli sborsera una somma a otto cifre. Anche a prescindere dalla sua megalomania, che lo induce a fantasticare di costruirsi un monumento nello spazio, le nostre infrastrutture sono equipaggiate coi suoi sistemi. È logico che partecipi, quindi. I Donoghue e Marc Edwards mi hanno promesso, in via ufficiosa, grosse cifre; si tratta solo di stabilire quanti zeri ci saranno. Poi c’e uno svizzero interessante, che si chiama Walo Ögi. Lynn e io abbiamo conosciuto sua moglie due anni fa, a Zermatt. Lei mi ha scattato diverse fotografie. E abbiamo a bordo anche Eva Borelius, che forse conosci. Sai, la ricercatrice tedesca di cellule staminali...» «Ho come la sensazione che tu abbia semplicemente copiato l’elenco di Forbes.» «Non proprio. La Borelius Pharma mi e stata raccomandata dal nostro management strategico, proprio come Bernard Tautou, lo zar dell’acqua di Suez. Un altro di quelli che riesci a conquistare facilmente se solletichi il suo ego. Oppure Mukesh Nair...»

«Ah, Mr Tomato.» Palstein annu. «S, un tipo simpatico. Ma non ha nessun interesse per l’astronautica. Abbiamo dovuto far leva su altri fattori, come il suo desiderio di voler preparare un futuro migliore per l’umanita. Un argomento cui tutti sono interessati, comunque: Nair nel settore dell’alimentazione, Tautou nel settore dell’acqua, la Borelius in quello farmaceutico e io in quello energetico. Una cosa che ci unisce, e spinge loro a partecipare. Infine ci sono alcuni facoltosi privati come Finn O’Keefe, Evelyn Chambers e Miranda Winter...» «Miranda Winter? Santo cielo!» «Perche no? Nella sua semplicita, non sa cosa farsene di tutto il suo denaro, e io le voglio dare qualche suggerimento. Credimi, e un mix perfetto. Persone come Finn O’Keefe, Evelyn Chambers e Miranda Winter alleggeriscono l’atmosfera, la rendono sexy... e alla fine riusciro ad averli tutti dalla mia parte! Rebecca Hsu coi suoi marchi di lusso ha poco a che fare con l’energia, ma e cos entusiasta dell’idea del turismo spaziale che sembra sia stata un’idea sua. È conquistata dalla prospettiva di bere Moet & Chandon anche sulla Luna. Hai presente il suo portafoglio? Kenzo, Dior, Louis Vuitton, L’Oreal, Dolce & Gabbana, Lacroix, Hennessy... per non parlare dei marchi creati da lei, come Boom Bang. E da noi trova un marchio unico e inimitabile. Solo i contratti pubblicitari che stipulero con lei ripagheranno le spese di meta dell’OSS Grand.» «Non hai invitato anche quel russo, Rogacev?» Julian ridacchio. «Per me rappresenta una piccola sfida personale. Se riesco a convincerlo a mettere i suoi miliardi nei miei progetti, faccio la ruota in assenza di gravita.» «Mosca non glielo permettera mai.» «E qui ti sbagli. Lo spingeranno a investire, perche, in questo modo, sono convinti di poter entrare in affari con me.» «Il che accadrebbe soltanto se tu costruissi un ascensore spaziale anche per loro. Ma, fino ad allora, a Rogacev sembrera di finanziare direttamente gli Stati Uniti attraverso i tuoi progetti.» «Sciocchezze. Gli sembrera di partecipare a un ottimo affare. Ed e proprio quello che accadra. Io non sono l’America, Gerald. » «Io questo lo so. Ma Rogacev...» «Lo sa anche lui. Non e uno stupido. Nessun Paese oggi e in grado di mettere in piedi un vero progetto spaziale soltanto coi propri mezzi. Credi sul serio che l’allegra combriccola di Stati che ha lavorato in armonia alla realizzazione dell’ISS fosse animata da uno spirito di fratellanza? Stronzate! Nessuno aveva i soldi per farlo da solo. Era l’unico modo per mandare nello spazio qualcosa che non fosse cos ridicolo da far sbellicare E.T. Percio sono stati costretti a collaborare e a scambiarsi i documenti, col risultato che non sono riusciti a combin-

are granche. Il progetto faceva acqua da tutte le parti e ogni sciocchezza veniva finanziata, tranne i viaggi spaziali. Solo l’intervento dei privati ha cambiato questa situazione. Nel 2004, quando Burt Rutan e riuscito a lanciare il primo volo suborbitale commerciale col suo SpaceShipOne, chi l’ha finanziato? Gli Stati Uniti d’America? La NASA?» Palstein sospiro. «Lo so. È stato Paul Allen.» «Appunto! Paul Allen, il cofondatore della Microsoft. I privati hanno dimostrato alla politica che e possibile fare le cose in modo piu rapido ed efficiente. Proprio come voi, quando il vostro settore contava ancora qualcosa. Avete creato presidenti e rovesciato governi. Adesso e la gente come noi a suonarle a bancarottieri di Stato, ai cattivi profeti e ai nazionalisti. Abbiamo piu denaro, piu know-how, la gente migliore, un clima piu creativo. Senza l’Orley Enterprises non ci sarebbe nessun ascensore spaziale e nessun turismo lunare, inoltre la ricerca scientifica sui reattori non sarebbe arrivata dov’e ora. La NASA, coi suoi quattro spiccioli, dovrebbe ancora far vagliare ogni sua scoreggia a qualche incompetente organismo di controllo. Noi invece non ci lasciamo controllare da nessuno, da nessun governo del mondo! E perche? Perche non abbiamo obblighi nei confronti di nessun governo. Credimi, questo lo capisce anche Rogacev.» «Ciononostante non dovresti mettergli subito in mano il manuale d’istruzioni dell’OSS. Potrebbe venirgli in mente di copiarti l’idea.» Julian rise divertito. Poi si fece serio. «Ci sono novita sull’attentato? » «Non proprio. Hanno individuato il punto da cui e partito il colpo, ma non e che questo sia di grande aiuto. Era una manifestazione pubblica. C’era un sacco di gente.» «Continuo a non capire chi potrebbe volere la tua morte. Il tuo settore e agonizzante. Nessuno puo cambiare questo fatto uccidendo un manager.» Palstein sorrise. «Gli esseri umani non pensano in modo razionale. Altrimenti avrebbero sparato a te. Tu hai reso possibile il trasporto dell’elio-3 in grande stile. Il tuo ascensore ha gettato il mio settore nel baratro.» «Potrebbero uccidermi anche mille volte; il mondo passerebbe comunque all’elio-3.» «Appunto. Azioni del genere non vengono compiute per calcolo, ma per disperazione. Per puro odio.» «Lo trovo incomprensibile. L’odio non ha mai contribuito a rendere le cose migliori.» «Ma ha mietuto piu vittime di qualsiasi altra cosa.» «Hmm... e vero.» Julian tacque e si gratto il mento. «Io non sono una persona animata dall’odio. È un sentimento che non mi appartiene. Posso essere furente, mandare qualcuno al diavolo, ma solo se la cosa ha senso. L’odio e una cosa del tutto insensata.» «Quindi, finche continueremo a cercare un senso a questo gesto, non troveremo il colpevole.» Palstein si sistemo la fascia che gli avvolgeva il braccio. «Che importa? In fondo ho

chiamato solo per augurarvi buon viaggio.» «La prossima volta verrai anche tu! Non appena starai meglio. » «Mi piacerebbe molto vedere quello che hai creato.» «Lo vedrai, amico mio! Andrai a passeggio sulla Luna!» esclamo Julian, ridendo. «Allora buona fortuna. Spillagli un po’ di quattrini, mi raccomando. » «Stammi bene, Gerald. Mi faro sentire. Da lassu.» Palstein sorrise. «Tu sei gia lassu.» Julian fisso pensieroso lo schermo nero. Piu di dieci anni prima, quando il settore petrolifero era ancora nel mirino delle autorita antitrust per via dei guadagni spropositati, Palstein si era presentato nel suo ufficio di Londra, curioso di sapere a cosa stessero lavorando. Il progetto dell’ascensore spaziale aveva appena subito un duro colpo: il nuovo materiale per la fune, un materiale in cui avevano riposto molte speranze, si era rivelato inadatto per via di alcuni irreparabili errori di assemblaggio dei cristalli. Gia si sapeva che la polvere lunare custodiva enormi quantita di un elemento che avrebbe potuto risolvere tutti i problemi energetici. Tuttavia, senza un modo per estrarre il materiale e portarlo sulla Terra, e in assenza di reattori adatti, l’elio-3 non era di nessuna utilita. Ciononostante Julian aveva continuato la ricerca in tutte le direzioni, nell’indifferenza dei grandi gruppi petroliferi, totalmente concentrati sulla lotta alle fonti alternative come l’energia eolica e fotovoltaica. Quasi nessuno prendeva sul serio gli sforzi di Julian. Sembrava assai improbabile che la sua ricerca avesse successo. Palstein invece aveva ascoltato le sue spiegazioni e aveva proposto al consiglio d’amministrazione della sua azienda, appena confluita nell’EMCO con la ExxonMobil, di acquistare alcune quote dell’Orley Energy e dell’Orley Space. Il consiglio d’amministrazione aveva rifiutato, ma Palstein aveva mantenuto i contatti con l’Orley Enterprises e aveva imparato a stimare quell’uomo melanconico con lo sguardo sempre rivolto al futuro. Anche se in tutti quegli anni avevano trascorso insieme s e no tre settimane, di solito incontrandosi per il pranzo, a volte durante una manifestazione pubblica e di rado in privato, li legava una specie di amicizia, che non era mai stata intaccata neppure dal fatto che la testardaggine dell’uno aveva in fondo condannato il settore dell’altro all’oblio. Negli ultimi tempi, poi, Palstein era spesso costretto a svolgere l’ingrato compito di annunciare la chiusura degli impianti, come aveva appena fatto in Alaska o un mese prima nell’Alberta, quand’era stato ferito. Julian sapeva che l’altro non aveva torto. Una partecipazione all’Orley Enterprises non avrebbe salvato l’EMCO, ma forse sarebbe tornata utile allo stesso Palstein. Usc dalla stanza e ritorno dai suoi ospiti. «... e fra tre quarti d’ora ci rivediamo qui per la cena», stava dicendo Lynn. «Potete restare e gustarvi i drink e il panorama oppure andare a rinfrescarvi e a cambiarvi. Se lo desiderate, potete pure lavorare: siamo attrezzati anche per quello.»

«E per questo dovete ringraziare la mia fantastica figlia», disse Julian, cingendole le spalle col braccio. «È semplicemente incredibile. È lei che ha creato tutto cio. Per me e la migliore.» Gli ospiti applaudirono. Lynn chino la testa, sorridendo. «Niente falsa modestia. Sono molto orgoglioso di te. Sei la migliore. Sei perfetta», le sussurro Julian all’orecchio. Poco dopo, Tim stava percorrendo il corridoio del quarto piano. Ovunque regnava una cura maniacale, che rendeva l’insieme un po’ asettico. Incontro due agenti della sicurezza e un robot addetto alle pulizie, che cercava con insistenza residui inesistenti di un mondo solo parzialmente abitato. La macchina perseguiva ronzando lo scopo della propria esistenza, ma al momento si trovava in una condizione assai demoralizzante: era come se Sisifo, dopo essere riuscito a portare il masso in cima alla montagna, avesse scoperto di non aver piu nulla da fare. Tim si fermo davanti alla stanza di Lynn e suono il campanello. Una telecamera invio la sua immagine all’interno, poi risuono la voce della donna: «Tim! Entra pure». La porta scivolo di lato e lui entro nella suite. Lynn andava avanti e indietro davanti alla finestra panoramica, fasciata in un lungo abito da sera. I capelli sciolti le ricadevano sulle spalle in morbide onde. Quando si giro e gli sorrise, i suoi occhi azzurri brillarono come acquamarine. Tim la ignoro e lei rimase a fissare il vuoto con un sorriso rigido che sconfinava nell’istupidimento. Il giovane allora si avvicino a una poltrona circolare, si chino e diede un bacio sulla guancia alla donna raggomitolata su di essa, vestita solo con un kimono di seta. «Sono impressionato. Davvero», disse. «Grazie.» La figura in abito da sera continuo a camminare per la stanza, facendo giravolte e crogiolandosi nel proprio ego trasfigurato, mentre la bocca della vera Lynn si apr in un sorriso. Tim si accomodo su uno sgabello e indico l’alter ego olografico. «Pensi d’indossarlo stasera?» Lynn corrugo la fronte. «Sono incerta. Non trovi che sia troppo elegante? Per un’isola del Pacifico, intendo.» «Che strana considerazione. Avete gia scardinato tutte le regole del romanticismo ai Tropici. Il vestito e splendido, mettilo. O ci sono alternative?» Lynn fece scivolare il pollice sul telecomando e l’aspetto dell’avatar si modifico: adesso indossava una catsuit senza maniche color albicocca e la sfoggiava con la stessa grazia vacua con cui prima aveva sfilato in abito lungo. Il suo sguardo era rivolto ad ammiratori immaginari. «Puoi programmarla in modo che ti guardi?»

«Per carita! Credi che voglia fissare me stessa tutto il tempo? » Tim rise. Il suo avatar era un personaggio di un film di animazione a due dimensioni, WallE, un robot piuttosto scalcinato, il cui aspetto dolce e fragile non aveva nulla in comune con quello reale di Tim. Tim aveva visto il film da bambino e si era subito innamorato di quella figura. Forse perche nel mondo di Julian, costantemente impegnato a spostare montagne e tirare giu le stelle dal firmamento, si era sentito anche lui come un rottame. «Guarda. Cos?» disse Lynn. I capelli dell’avatar si raccolsero sulla nuca. «Meglio», borbotto Tim. Lynn parve sconfortata. «Davvero? Accidenti, li ho portati raccolti per tutto il giorno. Pero hai ragione. A meno che...» L’avatar sfoggio una camicetta turchese attillata abbinata a un pantalone color champagne. «E cos?» «Dove hai preso questi vestiti?» chiese Tim. «Da Mimi Parker. È la sua nuova collezione. Li ha portati dopo avermi fatto promettere che ne avrei indossato qualcuno. Il suo catalogo e compatibile con la maggior parte dei programmi avatar.» «Allora anche il mio avatar potrebbe indossare questi abiti?» «Se fosse possibile adattarli a cingoli e pinze, s. Dai, Tim, funziona solo con avatar umani. Il programma e spietato comunque. Se sei troppo grasso o troppo basso per le creazioni di Mimi, si rifiuta di effettuare la conversione. Il problema e che la maggior parte delle persone abbellisce il proprio avatar; cos nel computer funziona tutto alla grande, ma poi, nel mondo reale, ha un aspetto orribile.» Tim socchiuse le palpebre. «Be’, e colpa loro. Ehi, il tuo avatar ha il sedere troppo piccolo! È la meta del tuo! Anzi no: un terzo. Dov’e la pancetta? E la cellulite?» «Idiota», rise Lynn. «A proposito, perche sei qui?» «Oh, niente.» «Niente? Gran bel motivo per venirmi a trovare.» Tim esito. «Be’... Amber sostiene che mi preoccupo per te in modo esagerato.» «Ma no.» «Non volevo irritarti, prima.» «Sei molto carino a preoccuparti per me. Davvero.» Tim si contorceva le mani. «Tuttavia... Lo sai, rimprovero sempre a Julian di essere totalmente cieco nei confronti di tutto quello che sta al di fuori del suo piccolo mondo. Sara anche capace di scovare atomi minuscoli nella dimensione dello spaziotempo ma, se crollassi morto

davanti a lui, al massimo mi rimprovererebbe di non starlo ad ascoltare.» «Stai esagerando.» «Sara, ma del tuo esaurimento non si e quasi accorto.» «È stato cinque anni fa, e lui non aveva esperienza con quel genere di cose», mormoro Lynn. «No, si e semplicemente rifiutato di vederlo. Che tipo di esperienza ci vuole per riconoscere un esaurimento accompagnato da depressione e da attacchi d’ansia? Nel suo mondo l’esaurimento non esiste, questa e la verita. C’e spazio solo per i supereroi.» «Forse gli manca qualcuno che lo guidi. Da quand’e morta la mamma...» «La mamma e morta dieci anni fa, Lynn! E, da quando si e accorto che a un certo punto lei ha smesso di respirare, parlare, mangiare e pensare, si e scopato chiunque gli sia capitato a tiro e...» «Questi sono affari suoi. Sul serio, Tim.» «D’accordo, chiudo il becco.» Fisso il soffitto come se l potesse trovare un indizio sul vero motivo della sua visita. «In realta, sono venuto qui solo per dirti che il tuo albergo e fantastico. E che sono felice di partecipare a questo viaggio.» «Grazie, che gentile.» «Dico sul serio. Hai tutto sotto controllo. Ogni cosa e organizzata alla perfezione. Persino gli ospiti sono quasi sopportabili », esclamo Tim, ridendo. «Se qualcuno non ti piace, lo spediamo nel vuoto.» Lynn strabuzzo gli occhi e disse con voce cavernosa: «Nello spazio nessuno puo sentirti urlare!» «Uh! Che paura!» rise Tim. «Sono felice che ci sia anche tu», aggiunse lei sottovoce. «Lynn, ho promesso di prendermi cura di te, ed e quello che intendo fare.» Si alzo, si chino su di lei e la bacio sulla guancia. «A piu tardi. Ah, metti i pantaloni con la camicetta. Metteranno in risalto i capelli sciolti...» «Ecco quello che volevo sentirti dire, fratellino.» Tim se ne ando. Lynn continuo a far sfilare il proprio avatar per scegliere i gioielli. Di solito, gli avatar erano assistenti virtuali, programmi con forma umana, che aiutavano le persone collegate in rete a organizzare la propria vita quotidiana e regalavano l’illusione di avere un compagno, un cameriere personale o un compagno di giochi. Gestivano dati, ricordavano appuntamenti, reperivano informazioni, navigavano nel web e facevano proposte adatte al profilo caratteriale dell’utente. Non c’erano limiti alla loro configurazione, il che consentiva anche di creare un proprio clone virtuale, per puro narcisismo o semplicemente per risparmiarsi la fatica di sprecare tempo nelle boutique. Dopo cinque minuti, Lynn chiamo Mimi Parker. L’avatar rimpicciol e si cristallizzo; al suo posto, sullo schermo olografico, apparve l’immagine

della stilista californiana. Era completamente bagnata, con un asciugamano intorno ai fianchi. «Sono appena uscita dalla doccia», si scuso. «Hai trovato qualcosa che ti piace?» «Ecco qui», rispose Lynn, e le invio un JPEG dell’avatar che apparve subito sul display di Mimi. «Oh, ottima scelta. Ti sta una favola.» «Bene. Avviso il servizio in camera. Tra poco verra qualcuno a prendere i vestiti.» «D’accordo. Allora a dopo.» «S, a dopo. E grazie!» disse Lynn con un sorriso. La proiezione scomparve e, nello stesso istante, scomparve anche il sorriso di Lynn. Il suo sguardo si spense. Con gli occhi vacui fisso il vuoto davanti a se, ricordando l’ultimo commento di Julian prima di lasciare la terrazza panoramica: «Sono molto orgoglioso di te. Sei la migliore. Sei perfetta». Perfetta. Perche allora non si sentiva tale? L’ammirazione del padre gravava sulle sue spalle come l’ipoteca su una casa con una facciata splendente e le tubature arrugginite. Da quand’era tornata nella suite, si sentiva come se camminasse su una lastra di vetro e il pavimento potesse rompersi da un momento all’altro. Si alzo, corse in bagno e prese due piccole pillole verdi che deglut freneticamente. Poi ci ripenso e ne prese una terza. Respira, ascolta il tuo corpo. Respira con la pancia. Dopo aver fissato per un po’ la propria immagine nello specchio, il suo sguardo si poso sulle dita, aggrappate al bordo del lavandino: sul dorso delle mani si vedevano i tendini. Per un istante prese in considerazione l’idea di sradicare il lavandino dal muro, cosa che ovviamente non sarebbe mai riuscita a fare, ma che le avrebbe impedito di mettersi a urlare. «Sei la migliore. Sei perfetta.» ’Fanculo, Julian, penso. Venne percorsa da un brivido di vergogna. Col cuore in tumulto, si lascio cadere sul pavimento ed esegu trenta flessioni. Quindi prese dal frigobar una bottiglia di champagne e ne scolo un bicchiere, sebbene di solito toccasse appena l’alcol. Il buco nero che si era aperto proprio sotto di lei inizio a richiudersi. Chiamo il servizio in camera, diede disposizioni per andare a prendere i vestiti nella suite di Mimi Parker e poi s’infilo sotto la doccia. Un quarto d’ora piu tardi, quando entro nell’ascensore, indossando la camicetta e i pantaloni e coi capelli sciolti, vi trovo Aileen Donoghue. L’americana era tutta in ghingheri: gli orecchini parevano due palle di Natale e il pesante collier sembrava precipitare nell’ampia vallata della sua scollatura. «Oh, Lynn, sei semplicemente...» Aileen annaspo alla ricerca delle parole giuste. «Santo cielo, cosa posso dire? Sei bellissima! Sei una ragazza cos bella! Fatti abbracciare. Julian fa bene a essere orgoglioso di te.»

«Grazie, Aileen», disse Lynn, stritolata nell’abbraccio. «E questi capelli! Sciolti ti stanno benissimo. Non voglio dire che dovresti portarli sempre cos, ma in questo modo sottolineano la tua femminilita. Se solo tu non fossi...» «Cosa?» «Niente.» «Su, dimmi.» «Be’, voi ragazze siete tutte cos magre!» «Aileen, io peso cinquantotto chili.» «Ah, davvero?» Evidentemente non era la risposta che Aileen si aspettava di sentire. «Comunque, non appena arriviamo di sopra ti preparo un bel piatto. Devi mangiare, bambina! Gli essere umani non possono vivere senza cibo.» Lynn la fisso e immagino di strapparle le palle di Natale dalle orecchie. Zip-zap, cos rapidamente da lacerare i lobi e ricoprire il vetro a specchio dell’ascensore di schizzi di sangue. Poi prese un bel respiro e si rilasso. Le pillole verdi iniziavano a fare effetto. «Sono cos eccitata per domani! Quando partiremo, sara fantastico! » esclamo Aileen, tutta allegra. Limit 23 MAGGIO 2025 LA STAZIONE ORLEY SPACE STATION (OSS), ORBITA GEOSTAZIONARIA Evelyn Chambers stava sognando. Si trovava in una strana stanza alta circa quattro metri, profonda quasi cinque e larga sei. L’unica superficie diritta era quella della parete posteriore; il soffitto e il pavimento erano curvi e confluivano l’uno nell’altro, conferendo all’ambiente l’aspetto di un tubo ellittico. Alle due estremita, i costruttori avevano inserito portelli circolari stagni di circa due metri di diametro. Entrambi i portelli erano chiusi, ma cio non la faceva sentire in trappola; al contrario, le dava la sensazione di essere al sicuro. Osservando l’arredamento della stanza, si sarebbe detto che, ogni tanto, gli architetti avessero lavorato coi progetti capovolti. Un ampio letto era sospeso sopra il pavimento con la naturalezza di un tappeto volante; inoltre c’erano una scrivania, una sedia, una postazione per computer, un gigantesco display. Luci discrete illuminavano l’ambiente, una porta di vetro opaca nascondeva la doccia, il lavabo e il WC. L’insieme faceva pensare alla cabina di una nave arredata in modo futuristico, solo che le confortevoli chaise-longue rosse erano appese al soffitto... a testa in giu. La cosa piu sorprendente era che Evelyn registrava tutte quelle impressioni sensoriali senza che una sola cellula del suo corpo fosse a contatto con la stanza o coi mobili che la

arredavano. Il corpo nudo - una selezione di geni spagnoli, indiani e nordamericani - era accarezzato unicamente dall’aria fresca, regolata alla piacevole temperatura di 21 , e fluttuava sopra la finestra panoramica bombata lunga tre metri incastonata nella parete anteriore. Attraverso di essa, Evelyn poteva ammirare un cielo stellato cos bello e limpido da togliere il fiato. Non poteva che essere un sogno. Poco meno di trentaseimila chilometri sotto di lei, la Terra scintillava come un quadro impressionista. Doveva essere un sogno. Ma Evelyn non stava sognando affatto. Da quando aveva messo piede nella stazione spaziale, il giorno precedente, non riusciva a saziarsi della visione della sua patria lontana. Nulla ostacolava la vista, nessun pilone, nessuna antenna, nessun modulo, nemmeno le funi dell’ascensore spaziale. Mormoro: «Spegnere le luci», e l’illuminazione si spense. Aveva a disposizione un telecomando manuale per il controllo dei sistemi di servizio, ma per nulla al mondo voleva correre il rischio di modificare la posizione cos faticosamente conquistata armeggiando con quell’arnese. Dopo quindici ore a bordo dell’OSS, si stava abituando all’assenza di gravita, anche se la confusione tra sopra e sotto continuava a irritarla. A maggior ragione si sorprendeva di non essere caduta vittima del famigerato «mal di spazio», un malessere simile al mal di mare, come la povera Olympiada Rogaceva, che se ne stava allacciata al proprio letto, lamentandosi e desiderando non essere mai nata. Evelyn invece provava una sensazione d’incredibile beatitudine, un’emozione travolgente paragonabile soltanto a quella provata da bambina quando aspettava l’arrivo del Natale: pura gioia distillata in una droga potente. Non osava quasi respirare. Constato che stare fermi in un punto non era affatto semplice. In assenza di gravita si tendeva ad assumere una posizione fetale. Ma Evelyn aveva steso le gambe e teneva le braccia incrociate sul petto come un sommozzatore in procinto di buttarsi in acqua. Qualunque movimento brusco l’avrebbe fatta girare come una trottola o portata lontano dalla finestra. Ora che le luci erano spente e l’intero ambiente, mobilio compreso, era come scomparso, voleva assaporare con ogni cellula del suo essere l’illusione di non avere nessun vetro di protezione davanti a se e di fluttuare sola e nuda sopra quel meraviglioso pianeta, come il feto di Kubrick. D’un tratto, scorse minuscole sfere luccicanti fluttuare nell’aria davanti al viso e comprese che le erano salite le lacrime agli occhi. Non avrebbe mai potuto immaginare una cosa del genere solo ventiquattr’ore prima, quando l’elicottero era atterrato sulla piattaforma in mezzo al mare e i viaggiatori erano scesi... ... coi cappotti che svolazzavano nella notte, indifferenti all’alba imminente. Da lontano, la piattaforma aveva un aspetto imponente e misterioso e metteva anche un po’ soggezione;

adesso invece esercitava un fascino diverso, molto piu profondo. Per la prima volta, gli ospiti avevano avuto la netta consapevolezza di non trovarsi a Disneyland e che ben presto avrebbero lasciato quel mondo per un altro, estraneo e lontano. Evelyn aveva notato che alcuni membri del gruppo continuavano a voltarsi verso l’Isla de las Estrellas: Olympiada Rogaceva, Paulette Tautou... persino Momoka gettava sguardi furtivi alle rocce frastagliate, la dove le luci dello Stellar Island Hotel emanavano un inaspettato senso di familiarita, come se ammonissero il gruppo a lasciar perdere quella follia e a tornare a casa, a gustare spremute fresche, a spalmarsi di crema abbronzante e ad ascoltare le strida dei gabbiani. Perche proprio noi? si era chiesta Evelyn con una punta d’irritazione. Perche siamo sempre noi donne quelle che cadono preda dell’inquietudine all’idea di salire su questo ascensore? Siamo davvero coscodarde? Costrette dall’evoluzione a ricoprire il ruolo di chi si preoccupa, perche nulla deve minacciare la sopravvivenza della prole, mentre i maschi - sacrificabili, una volta che hanno donato il loro sperma - possono affrontare l’ignoto senza rimorsi e persino morirci? Subito dopo, pero, aveva visto che Chuck Donoghue stava sudando copiosamente , che Walo Ögi dava chiari segni di nervosismo, che sul volto di Heidrun Ögi si rifletteva un’aspettativa piena di tensione, che Miranda Winter era impaziente come una bambina, che negli occhi di Eva Borelius si leggeva un interesse puramente razionale... e si era messa l’anima in pace. Tutti si erano avviati verso l’enorme cilindro a piu piani della stazione e all’improvviso a Evelyn era stato chiaro perche prima si era agitata tanto. Era imbarazzante... pero anche lei se la stava facendo sotto. «In tutta franchezza, devo confessare che non mi sento del tutto a mio agio a fare questa cosa», aveva detto Marc Edwards, accanto a lei. Evelyn aveva sorriso. «Ah, no? Credevo che lei fosse un avventuriero. » «Cos dicono.» «Nel mio show, lei ha parlato d’immersioni alla ricerca di relitti, di grotte...» «Credo che questa sia una cosa ben diversa dalle immersioni. Completamente diversa», aveva borbottato Edwards, osservando il proprio indice destro, privo della prima falange. «Tra l’altro non mi ha mai detto com’e successo.» «Davvero? Tutta colpa di un pesce palla in un banco di coralli, nello Yucatan. L’ho fatto arrabbiare. Se li si tocca sulla punta del naso s’infuriano, fanno uno scatto indietro e si gonfiano. Io ho continuato a stuzzicarlo... solo che c’erano coralli ovunque e il pesce non poteva arretrare oltre percio, quando ha capito di essere in trappola, ha semplicemente aperto la bocca. In un attimo, il mio dito era scomparso. Gia. Non bisognerebbe mai estrarre le dita dalla bocca chiusa di un pesce, tantomeno con violenza. Quando sono riuscito a tirarlo fuori, era rimasto solo l’osso.»

«Be’, lassu non dovra temere niente del genere.» Edwards aveva riso. «No, e vero. Probabilmente sara la vacanza piu sicura della nostra vita.» Erano entrati nella stazione circolare. All’interno, sembrava ancora piu grande. Grossi proiettori illuminavano due strutture poste l’una di fronte all’altra, identiche in ogni dettaglio, speculari. Al centro, spiccava la fune che si protendeva verso l’alto e intorno a essa c’erano tre oggetti, una via di mezzo tra cannoni e fari, con le aperture rivolte verso il cielo. Ciascuna delle strutture era circondata da una rete di protezione alta come due uomini. Le maglie erano abbastanza larghe da consentire il passaggio di una persona, ma la presenza stessa di quei dissuasori indicava chiaramente che era meglio lasciar perdere e non avvicinarsi troppo. «E sapete perche?» aveva esclamato Julian, di ottimo umore. «Perche il contatto diretto con la fune puo costarvi una parte del corpo. Dovete tenere presente che, pur essendo larga piu di un metro, e piu sottile della lama di un rasoio, ma incredibilmente resistente. Se accostassi un cacciavite al bordo esterno, potrei ridurlo in briciole. Qualcuno intende provarci col proprio dito? O vorrebbe approfittare dell’occasione per liberarsi del coniuge? » A Evelyn era venuto in mente che un giornalista aveva detto: «Julian Orley non ha bisogno di salire su un palcoscenico. Il palcoscenico lo segue ovunque lui si trovi». Una definizione calzante, anche se un po’ riduttiva. In effetti quell’uomo ispirava fiducia; si era portati a credere a ogni singola parola che pronunciava, perche la sua autostima era sufficiente per dissolvere dubbi, ripensamenti, i «se», i «ma», e i «forse», come acido solforico. I due ascensori stavano immobili a venti metri dal suolo, attaccati alle funi, come insetti. Visti da vicino non somigliavano affatto agli shuttle, essendo privi di ali e impennaggio. Presentavano invece, sul lato inferiore, delle sporgenze equipaggiate con celle fotovoltaiche. Rispetto al giorno prima, quand’erano rientrati dall’orbita, il loro aspetto si era leggermente modificato. I serbatoi con l’elio-3 liquido erano stati sostituiti con moduli bombati e privi di oblo per il trasporto passeggeri. Una scala di metallo portava a una balaustra rialzata e, da l, alle aperture che conducevano nel ventre delle cabine. «È la sua tecnologia?» aveva chiesto Ögi a Locatelli, con lo sguardo rivolto ai pannelli solari degli ascensori. Locatelli si era gonfiato come un pavone. Osservandolo, Evelyn Chambers non aveva potuto fare a meno di pensare al defunto Mu’ammar Gheddafi. La somiglianza era incredibile, anche nella postura da dittatore. «E di chi altro? Con la tecnologia convenzionale queste scatole non si solleverebbero nemmeno di dieci metri», aveva risposto con sufficienza. «Ah, no?»

«No. Senza la Lightyears qui non si muoverebbe niente.» «Sta dicendo che l’ascensore non funzionerebbe senza i suoi sistemi?» aveva domandato Heidrun, sorridendo. Locatelli l’aveva squadrata come se avesse davanti un insetto raro. «Perche, cosa ne capisce lei di queste cose?» «Niente. È solo che, guardandola, mi sembra di vedere un musicista che, con una chitarra elettrica intorno al collo, e tutto impegnato a sostenere che con una chitarra acustica si puo suonare solo merda. E poi, lei chi e, scusi?» «Ma, mein Schatz, Warren Locatelli e il Captain America delle energie alternative», era intervenuto Ögi, sorridendo sotto i baffi. «Ha aumentato di tre volte il giro d’affari delle cellule fotovoltaiche. » «Lasci stare. Non si aspetti troppo da lei», aveva borbottato Momoka Omura, che li seguiva a breve distanza. Ögi aveva inarcato le sopracciglia. «Potra non crederci, mio piccolo fiore di loto, ma Heidrun supera sempre le mie aspettative. » «In che modo?» aveva ribattuto Momoka, le labbra contratte in un sorriso di scherno. «La sua immaginazione e troppo limitata per arrivarci. Pero grazie per avermelo chiesto.» «In ogni caso, con l’energia convenzionale, i gingilli attaccati a questa fune potrebbero al massimo strisciare verso l’alto», si era intromesso Locatelli, come se non avesse notato il tono di quel dialogo. «Ci vorrebbero giorni per giungere a destinazione. Se volete, posso spiegarvelo.» «Ma noi lo capiremmo?» aveva chiesto Heidrun al marito, con aria preoccupata. «Non ne sono sicuro, tesoro. Sai, noi svizzeri siamo un po’ lenti. È per questo che abbiamo costruito un acceleratore di particelle, diversi anni fa.» «Per produrre svizzeri piu veloci?» «Esattamente.» «Ma non si rompe di continuo?» «Sì, appunto.» Evelyn camminava dietro di loro e ascoltava quelle schermaglie con la stessa avidita di un’ape che succhia il nettare. Quelle cose le piacevano da morire. Era sempre cos: piu galli c’erano nel pollaio e piu penne volavano. Era poi arrivato il momento d’indossare le tute color arancio e argento. Quindi il gruppo aveva raggiunto la galleria da cui si accedeva agli ascensori. E l aveva fatto la conoscenza di un uomo di colore dalla corporatura massiccia, presentato da Julian come Peter Black. «Facile da ricordare, no? Ma voi chiamatemi semplicemente Peter», aveva detto Black tutto allegro, porgendo la mano.

«Peter e uno dei nostri due piloti e il capo della spedizione», aveva spiegato Julian. «Lui e Nina... Ah, eccola che arriva!» Una donna dai corti capelli biondi e con un naso all’insu ricoperto di lentiggini era uscita dal portello dell’ascensore e si era unita a loro. Julian le aveva cinto con un braccio le spalle muscolose. Scrutandola, Evelyn penso: Quella donna frequenta la camera da letto di Julian, ci scommetto. «Vi presento Nina Hedegaard. Viene dalla Danimarca.» «Ehi!» aveva esclamato Nina, agitando una mano. «Ha le stesse mansioni di Peter: pilota e capospedizione. Saranno al vostro fianco per le prossime due settimane ogni volta che ne avrete bisogno. Vi mostreranno i punti piu spettacolari del nostro satellite e vi proteggeranno dai mostri alieni che potreste incontrare nello spazio... i cinesi, per esempio. Mi scusi, Rebecca: ovviamente intendo i cinesi comunisti!» Sussultando, Rebecca Hsu aveva alzato lo sguardo dal display del suo cellulare. «Non c’e campo», aveva sospirato, angosciata. La cabina era piuttosto stretta. Bisognava arrampicarsi. Sei file da cinque posti erano disposte l’una sopra l’altra e collegate con una scaletta. I bagagli erano stati caricati nell’altro ascensore. Evelyn Chambers era seduta nella stessa fila di Miranda Winter, Finn O’Keefe e i Rogacev. Come comfort, i sedili non avevano nulla da invidiare alla business class delle piu prestigiose compagnie aeree. «Oh, che bello! Una danese», aveva detto Miranda con entusiasmo. «Le piace la Danimarca?» aveva chiesto Rogacev con tiepida cortesia, mentre Olympiada fissava il vuoto davanti a se. «Ovvio! Sono danese», aveva ribattuto Miranda, spalancando gli occhi. «Mi scusi, ma io mi occupo di acciaio. Lei e un’attrice?» La donna aveva riso sguaiatamente. «Be’, diciamo che a questo proposito ci sono pareri discordanti. Cosa sono, Evelyn?» «Un’intrattenitrice?» «Be’, in realta sono una modella. Anzi ho fatto un po’ di tutto, non solo la modella. Ho fatto la commessa in un negozio di formaggi e ho fritto patatine da McDonald’s, ma poi sono stata scoperta in un talent show, e Levi mi ha subito ingaggiato. Ci sono stati incidenti stradali a causa mia! Voglio dire, un metro e ottantatre, giovane, bella e due tette cos, tette vere, capisce, autentiche. Era inevitabile che Hollywood mi chiamasse.» Sprofondato nel sedile, O’Keefe aveva sollevato un sopracciglio.

Olympiada Rogaceva sembrava essere arrivata alla conclusione che non si poteva negare la realta semplicemente fingendo di non vederla. «Che film ha fatto?» aveva chiesto con voce atona. «Ho sfondato con Criminal Passion, un thriller erotico», aveva risposto Miranda con un sorriso. «Ho persino vinto un premio per quel ruolo, ma non voglio annoiarvi.» «Perché no? È una cosa... È grandioso.» «No che non lo e: mi hanno dato un Razzie Award per la peggiore interpretazione.» Miranda aveva riso, agitando le mani. «Ma che importa? Poi ho fatto alcune commedie, ma non ho mai avuto molta fortuna. E cos mi sono attaccata alla bottiglia. Che cosa terribile! Avevo l’aspetto di un bombolone con due uvette sultanine al posto degli occhi... finche, una notte, mentre guidavo completamente ubriaca su Mulholland Drive, non ho investito un senzatetto. Pover’uomo!» «Orribile.» «S, o forse no, perche, detto fra noi, lui se l’e cavata e ha fatto un sacco di soldi grazie a quella storia. Ma lo giuro, e andata cos, e io ho fatto riprendere il mio periodo in carcere dal primo all’ultimo secondo, persino sotto la doccia. Uno share incredibile, in prima serata! E cos sono tornata sulla cresta dell’onda. Quindi ho conosciuto Louis, Louis Burger. Ha presente?» Aveva tirato un sospiro. «No, io veramente... Mi dispiace, ma...» «Ah, gia, dimenticavo, lei e suo marito vi occupate di acciaio. Louis Burger e comunque un grande industriale, un investitore... » «Davvero non...» «Io credo di s, invece», era intervenuto Rogacev, pensieroso. «Mi sembra di ricordare un incidente in piscina...» «Esatto. La nostra felicita e durata solo due anni.» Miranda aveva fissato il vuoto davanti a se, sospirando di nuovo e sfregandosi gli occhi. «È accaduto alle porte di Miami. Un infarto durante una nuotata in piscina, e indovinate un po’ cosa hanno fatto i suoi figli, quei maledetti! Non i nostri, voglio dire, noi non abbiamo avuto figli insieme, quelli del primo matrimonio di Louis. Mi hanno fatto causa! Io avrei provocato la sua morte, da non crederci!» «E l’avevi fatto?» aveva chiesto O’Keefe, con aria innocente. Per un istante, Miranda era rimasta interdetta. «Che idiota! Lo sanno tutti che sono stata assolta. È forse colpa mia se mi ha lasciato tredici miliardi in eredita? Non potrei mai fare del male, neanche a una mosca! Sa una cosa?» Aveva fissato Olympiada dritto negli occhi. «Non so fare proprio niente, in effetti. Ma quello lo faccio davvero bene! Ah-ah-ah! E lei?» «Io?» Olympiada sembrava presa in contropiede.

«S. Lei cosa fa?» La donna si era voltata verso Oleg, in cerca di aiuto. «Io... Noi siamo...» «Mia moglie e deputata nel parlamento russo», aveva risposto Rogacev, senza guardarla. «È nipote di Maxim Ginsburg.» «Uau! Oh, uau! Uaaaau! Ginsburg, eh?» Miranda si era messa a battere le mani; poi aveva strizzato l’occhiolino a Olympiada con aria complice e, dopo averci brevemente riflettuto, aveva esclamato: «E chi sarebbe?» «Il presidente russo. Almeno lo e stato fino all’anno scorso. Quello nuovo si chiama Mikhail Manin», spiego Rogacev. «Ah, gia. Non aveva gia ricoperto quella carica, in passato?» Rogacev aveva sorriso. «Non credo. Forse si riferisce a Putin. » «No, no, e stato qualche tempo fa, aveva sempre un nome con la ’a’ e con una ’in’ alla fine. Accidenti, non mi viene in mente. » Tutti avevano avuto la sensazione che Miranda stesse passando al vaglio le nozioni apprese negli anni di scuola. «Forse intendi Stalin», era intervenuto O’Keefe, in tono sarcastico. L’altoparlante aveva messo fine alle speculazioni. Una profonda e calda voce femminile aveva illustrato le norme di sicurezza, non molto diverse da quelle che venivano date sugli aerei. Avevano allacciato le cinture, simili a finimenti per cavalli. Poi, davanti a ogni fila di sedili, si erano accesi dei monitor che trasmettevano ologrammi del mondo esterno e davano l’illusione di avere un finestrino davanti a se. Si vedeva l’interno del cilindro, rischiarato dalla luce del sole nascente. Il portello si era chiuso, i sistemi di sopravvivenza si erano accesi con un ronzio e i sedili si erano ribaltati all’indietro, facendoli sembrare tanti pazienti sulla poltrona del dentista. «Di’ un po’, Miranda, le chiami ancora per nome?» aveva sussurrato O’Keefe. «Chi?» «Le tue tette.» «Ah, gia. Ma certo.» Le sue mani si erano appoggiate sui seni. «Questa e Tick. E questa e Trick.» «E Track dov’e?» Lei gli aveva lanciato un’occhiataccia. «Non siamo abbastanza in confidenza per presentarti Track.» In quell’istante, avevano avvertito uno strattone e la cabina si era messa a tremare. O’Keefe era sprofondato ancora di piu nel sedile. Evelyn aveva trattenuto il fiato. Il volto di Rogacev era inespressivo. Olympiada aveva chiuso gli occhi. Da qualche parte, si era alzata una risatina nervosa.

Quello che era seguito non aveva nulla, ma proprio nulla a che vedere col decollo di un aereo. L’ascensore aveva accelerato con tale violenza che, per qualche minuto, a Evelyn Chambers era parso di essere diventata un tutt’uno col sedile. Una forza sconosciuta la schiacciava contro l’imbottitura, le braccia sembravano fuse coi braccioli. La cabina era uscita dal cilindro, proiettata verso l’alto. Sotto di loro, una seconda telecamera inviava le immagini dell’Isla de las Estrellas che rimpiccioliva sempre piu, fino a diventare una roccia scura e oblunga, col puntino turchese della piscina nel mezzo. Era stata davvero la solo il giorno prima, a osservare in modo critico la propria pancia, lamentandosi per qualche chilo di troppo che l’aveva costretta a passare dal bikini al costume intero, mentre i suoi conoscenti non si stancavano di ripeterle che le curve esaltavano la sua femminilita? Chi se ne frega di qualche chilo, aveva pensato. In quel momento, avrebbe giurato di pesare qualche tonnellata. Si sentiva cos pesante che temeva di sfondare il pavimento dell’ascensore e di precipitare in mare, provocando uno tsunami di media grandezza. Il Pacifico si era trasformato in una superficie uniforme e leggermente increspata e la luce del mattino aveva riversato su di essa i suoi raggi gioiosi. L’ascensore si arrampicava lungo la fune a una velocita inimmaginabile. Era sfrecciato attraverso gli strati piu alti delle nuvole, poi il cielo si era fatto sempre piu blu, sempre piu scuro. Un’indicazione sul monitor segnalava che stavano viaggiando a una velocita tre volte... anzi no, quattro, otto volte superiore a quella del suono! La Terra era diventata rotonda. Le nuvole si erano compattate in un’unica massa adagiata sull’acqua, simile a una meringa. La cabina aveva accelerato ancora fino a raggiungere i dodicimila chilometri orari. Poi, molto lentamente, la pressione era diminuita. Finalmente il sedile aveva liberato Evelyn, e lei era tornata a essere una donna per cui «qualche chilo» era un concetto di una certa rilevanza. «Ladies and gentlemen, benvenuti a bordo dell’OSS Spacelift One. Abbiamo raggiunto la velocita di crociera e attraversato l’orbita terrestre inferiore, nella quale si trova l’ISS, la quale ha ufficialmente cessato ogni attivita nel 2023 e, da allora, funge da museo degli albori dell’era spaziale. Il nostro viaggio richiedera poco meno di tre ore, le previsioni per lo Space debris sono ideali, quindi tutto depone a favore del fatto che raggiungeremo l’OSS, l’Orley Space Station, in perfetto orario. In questi minuti, stiamo entrando nella fascia di van Allen, una cintura di particelle cariche che circonda la Terra e che ha la propria origine nelle eruzioni solari e nella radiazione cosmica. Sul suolo terrestre siamo protetti da queste particelle ma, oltre i 1000 chilometri di quota, esse non vengono piu respinte dal campo magnetico terrestre e penetrano nell’atmosfera. Piu o meno qui, ovvero a 700 chilometri di altitudine, inizia la fascia interna, composta essenzialmente da protoni altamente carichi, la cui concentrazione massima si rileva tra i 3000 e i 6000 chilometri di altitudine. La fascia esterna si estende dai

15.000 ai 25.000 chilometri di quota ed e composta principalmente da elettroni.» Esterrefatta, Evelyn aveva notato che la pressione era scomparsa. No, molto di piu! Per un attimo, aveva avuto la sensazione di cadere, poi si era ricordata che aveva gia sperimentato quel senso di mancanza di legami durante i voli parabolici, tempo addietro. Stava fluttuando in assenza di gravita. Nel monitor principale si vedeva il cielo stellato, polvere di diamanti su un tessuto di seta nera. La voce dall’altoparlante aveva assunto un tono cospiratorio. «Come forse alcuni di voi sanno, chi contesta i viaggi spaziali con equipaggio umano vede nella fascia di van Allen un ostacolo insormontabile, a causa dell’elevata concentrazione di raggi nocivi. Alcuni la usano persino come prova del fatto che l’uomo non e mai stato sulla Luna. Secondo loro, sarebbe possibile attraversarla indenni solo protetti da pareti di acciaio spesse due metri. Ma state tranquilli: nulla di tutto cio e vero. L’intensita dei raggi varia notevolmente in base all’attivita solare, tuttavia persino in condizioni estreme, finche si e protetti da pareti di alluminio di tre millimetri di spessore, la concentrazione di radiazioni nocive e la meta della dose ammessa per un lavoratore che ha a che fare con materiale radioattivo. Spesso non supera neppure l’uno per cento! Per garantire la vostra salute, le cabine per i passeggeri sono adeguatamente rivestite, e questo e anche il motivo per cui non ci sono oblo o finestrini. Pertanto, finche non decidete di scendere, vi garantiamo che attraverserete la fascia di van Allen assolutamente incolumi... E ora godetevi il viaggio. Nei braccioli dei vostri sedili sono installate cuffie e monitor. Potete scegliere tra ottocento canali televisivi, film, libri, giochi...» Dopo un po’, Nina Hedegaard e Peter Black si erano avvicinati, fluttuando, per distribuire bibite in bottigliette di plastica, del tipo che bisognava succhiare per far uscire il liquido, snack e salviettine rinfrescanti. «Nulla che possa colare o sbriciolarsi», aveva esclamato Nina, con un forte accento. Miranda Winter le aveva detto qualcosa in danese, lei aveva risposto, ed entrambe si erano messe a ridere. Evelyn si era appoggiata allo schienale e aveva riso pure lei, benche non avesse capito neanche una parola. Ma aveva voglia di ridere. Stava volando nello spazio, verso la lontana citta di Julian, nella quale... ... ora si sentiva come se fosse sola al mondo. La Terra era cos lontana, cos piccola, tanto piccola da dare l’impressione che bastasse allungare un braccio per far scivolare il pianeta nel palmo della mano. L’oscurita si stava lentamente ritirando a ovest e il Pacifico risplendeva sotto i raggi del sole. La Cina gia dormiva, mentre la gente in America si stava precipitando in pausa pranzo, col telefono incollato all’orecchio, e in Europa era quasi ora di cena. Con una certa meraviglia, si rese conto che lo spazio che la separava da quel globo bianco e blu sarebbe stato sufficiente per ospitare altri tre pianeti, anche se un po’ compressi.

L’OSS orbitava nel cosmo quasi trentaseimila chilometri sopra quella che era la sua casa. Quel fatto bastava a stravolgere la sua capacita d’immaginazione... eppure bisognava percorrere una distanza dieci volte superiore per raggiungere la Luna. Dopo un po’, si scosto dalla finestra e nuoto nell’aria verso una chaise-longue montata al contrario. Riusc ad accomodarsi, anche se in maniera un po’ goffa. In effetti, in un posto come quello, i mobili non avevano senso. Sott’acqua, la forza ascensionale compensa la gravita, quindi si sperimenta una situazione simile all’assenza di gravita ma si e comunque sottoposti all’influsso della densita dell’acqua e alle correnti; in assenza di gravita, invece, non c’e nessuna forza che agisce sul corpo. Non si pesa nulla, non si tende in nessuna direzione, non servono sedie per evitare di cadere, il comfort di cuscini morbidi e di un letto in cui stiracchiarsi e superfluo. In fondo, basterebbe lasciarsi cullare dal nulla, con le gambe e le braccia ripiegate contro il corpo, se non che pure il minimo impulso, come il guizzo di un muscolo, e sufficiente per far andare il corpo alla deriva, per cui si corre sempre il rischio di sbattere la testa durante il sonno. Seicentocinquanta milioni di anni di adattamento genetico richiedono inoltre di sdraiarsi sopra qualcosa per dormire, anche se si e in posizione perpendicolare o appesi al soffitto. Nell’universo, concetti come verticale e orizzontale non hanno significato, ma gli esseri umani sono abituati ad avere riferimenti. Le ricerche avevano dimostrato che agli astronauti appariva piu naturale avere la Terra «sotto i piedi», piuttosto che vederla fluttuare sopra le loro teste, motivo per cui gli psicologi consigliavano di costruire le infrastrutture orbitali tenendo conto dei riferimenti della forza di gravita, cos da dare l’illusione di un pavimento. A letto bisognava legarsi con le cinghie, sulle sedie si faceva finta di stare seduti, ma alla fine ci si sentiva quasi a casa. Si stiracchio, fece una capriola e decise di andare - o, meglio, di fluttuare - a fare colazione. La parete concava dietro la quale dovevano essere nascosti i sistemi di sopravvivenza conteneva un armadio, dal quale Evelyn estrasse un paio di pantaloni a pinocchietto e una T-shirt coordinata, oltre a un paio di mocassini. Li indosso, si diresse verso la porta e disse: «Evelyn Chambers. Aprire». Il computer controllo pressione, atmosfera e tenuta stagna, poi il modulo si apr su un tubo del diametro di diversi metri. La stazione era percorsa da chilometri e chilometri di tubi simili, che univano i moduli e fungevano da vie di collegamento e vie di fuga. Tutto era costruito secondo il principio della ridondanza. I singoli moduli avevano sempre almeno due uscite e ogni sistema computerizzato aveva un corrispondente in sistemi speculari; i sistemi di sopravvivenza erano presenti in diverse implementazioni uguali. Mesi prima del viaggio, Evelyn aveva cercato di figurarsi quella gigantesca costruzione, studiando i modellini e la documentazione, ma la realta superava di gran lunga la fantasia. Nell’isolamento della cellula in cui soggiornava non riusciva quasi a immaginarsi quel colosso, le sue dimensioni, le sue

complesse ramificazioni. L’unica cosa certa era che, a confronto, la vecchia ISS sembrava un giocattolo. Si trovava a bordo della piu grande struttura mai costruita dall’uomo nello spazio. Riprendendo il principio costruttivo dell’ascensore spaziale, i progettisti avevano edificato l’OSS in verticale. Tre imponenti piloni di acciaio formavano un triangolo isoscele e costituivano la spina dorsale della struttura. Erano collegati tra loro alla base e all’estremita da una specie di tunnel, attraversato dalle funi dell’ascensore. I piloni erano circondati da elementi circolari sovrapposti chiamati «tori», per analogia con la figura geometrica a forma di ciambella. I tori formavano i cinque livelli della costruzione : quello piu basso ospitava l’OSS Grand, l’albergo orbitale. Nel Toro-1 si trovavano confortevoli locali comuni, uno snack bar e un caffe, una stanza con un camino olografico, una biblioteca e una pretenziosa stanza giochi per bambini, che Julian tuttavia progettava testardamente di ampliare: «Perche verranno molti bambini, e loro lo adoreranno!» In effetti, sin da quand’era stato inaugurato, due anni prima, l’OSS Grand aveva ricevuto molte prenotazioni, pero di famiglie non se n’erano ancora viste. Quasi nessuno avrebbe avuto il coraggio di trascinare la propria prole in assenza di gravita, una scelta che Julian liquidava con un atteggiamento stizzito: «Tutti pregiudizi! La gente e cos stupida. Quassu non e piu pericoloso che alle Bahamas, al contrario. Qui non ci sono insetti che possono pungerti, non puoi affogare o prenderti la malaria, il personale e gentile... Quindi perche starci tanto a pensare? Lo spazio e un vero e proprio paradiso per i bambini!» Forse il problema consisteva nel fatto che gli esseri umani avevano da sempre un rapporto piuttosto conflittuale col paradiso. Come un pesce predatore, Evelyn s’inoltro nel tunnel. In assenza di gravita, ci si spostava con un’incredibile velocita. Passo accanto a diversi tunnel laterali numerati, in fondo ai quali si trovavano altre suite come la sua. Cinque moduli formavano un’unita, suddivisa in due unita abitative disposte in modo che gli occupanti potessero godere di una splendida vista sulla Terra. Sulla destra, una diramazione del tunnel di collegamento portava verso il livello inferiore. Evelyn pero voleva fare colazione e continuo per la sua strada. Il tunnel sboccava nel Kirk, uno dei due moduli piu spettacolari dell’OSS. Costruiti a forma di disco, sporgevano leggermente dal settore degli alloggi, cosicche era possibile ammirare la Terra dal pavimento in vetro. Il Kirk fungeva da ristorante; la sua appendice sul lato nord, battezzata con l’evocativo nome di Picard, ospitava la hall, un nightclub e il centro multimediale. «Realizzare questo pavimento in vetro e stato una vera sfida », non si stancava di ripetere Julian. «Una guerra! Ho ancora nelle orecchie le obiezioni dei costruttori. Be’, sapete cos’ho detto io? ’Gli astronauti hanno sempre sognato di avere delle finestre, belle finestre panoramiche, solo che le scatole di sardine del passato non potevano montare vetri di uno spessore adeguato. Con l’ascensore, questo problema e stato risolto. Abbiamo bisogno di piu

massa? Tiriamola su! Vogliamo delle finestre? Installiamole!’» Poi, come tutte le volte, abbassava la voce e sussurrava in tono quasi reverenziale: «Farlo cos e stata un’idea di Lynn. Che ragazza fantastica. Quella donna e puro rock’n’roll, ve lo dico io!» Il portello di collegamento che permetteva di accedere al Kirk era aperto. Evelyn si rese conto troppo tardi dei tranelli della nuova liberta appena conquistata; cerco di afferrare il bordo del tunnel per frenare la sua corsa, lo manco e attraverso il portello come un proiettile. Nella sua folle corsa, sfioro un cameriere che pero non apparve particolarmente spaventato. Poi qualcuno la afferro per la caviglia. «Hai intenzione di volare sulla Luna per i fatti tuoi?» esclamo una voce conosciuta. Evelyn rimase interdetta. L’uomo la tiro verso il basso fino all’altezza degli occhi. I suoi occhi... Certo che lo conosceva. Tutti lo conoscevano. Lo aveva incontrato almeno una dozzina di volte nel suo show, eppure non era mai riuscita ad abituarsi a quegli occhi. «E tu cosa ci fai qui?» chiese, esterrefatta. Sorrise. «Io sono il programma serale. E tu?» «Quella che ravviva l’atmosfera di una manciata di musoni nello spazio. Julian e i media, sai com’e.» Scosse la testa e rise. «Incredibile. Ti ha gia visto qualcuno?» «Non ancora. Ho sentito che c’e anche Finn.» «S, ed era piuttosto seccato d’incontrarmi qui. Ma nel frattempo si e ammorbidito parecchio.» «Sta solo facendo il prezioso. A Finn piace interpretare il ruolo dell’outsider. Meno gli fai domande, piu risposte riceverai da lui. Vuoi fare colazione?» «Volentieri.» «Bene, anch’io. E dopo?» «Vado al centro multimediale. Lynn c’illustrera la stazione. Ci hanno diviso in gruppi. Alcuni visitano il settore scientifico, gli altri vanno fuori a giocare.» «Tu no?» «S, ma piu tardi. Possono portare fuori solo sei persone alla volta. Hai voglia di venire con noi?» «Mi piacerebbe, ma non ho tempo. Stiamo girando un video nel Toro-4.» «Oh, stai lavorando a qualcosa di nuovo? Sul serio?» «Non dirlo a nessuno», rispose lui, sorridendo e posando un dito sulle labbra. I suoi occhi la rapirono e la portarono in un’altra galassia. L’uomo caduto dal cielo. «Qualcuno deve pur tenere alto l’onore delle vecchie leve.» Lynn sorrideva, rispondeva alle domande, sorrideva.

Era fiera del centro multimediale, proprio come provava un orgoglio febbrile per tutto l’OSS Grand, lo Stellar Island Hotel e il lontano Gaia Hotel. Nel contempo, tutti e tre la terrorizzavano, come se avesse edificato una piccola Venezia su fondamenta di fiammiferi. Ogni sua minima azione era influenzata da quella consapevolezza. Si torturava, immaginando scenari apocalittici, senza speranza di una catarsi finche le sue peggiori paure non si fossero avverate. Si sentiva intrappolata in una tremenda lotta interiore, in cui inseguiva una se stessa in fuga, senza sosta. Piu argomentazioni contrapponeva ai suoi timori, piu questi ultimi s’ingrandivano, come se lei si stesse avvicinando a un buco nero. Prima o poi perdero la ragione, penso. Proprio come la mamma. Di sicuro diventero matta. Devo sorridere. Sorridere. «A parere di molti, l’OSS ha la forma di un fungo», disse. «O di un ombrello, di un albero piatto, di un tavolino. Altri pensano che ricordi una medusa.» «Cos’è una medusa, caro?» chiese Aileen come se parlasse di qualche gadget che faceva impazzire i giovani. «Un invertebrato. Una specie di ombrello di gelatina dal quale escono dei tentacoli», rispose Ed Haskin. Lynn si morse il labbro. Haskin, ex capo del porto spaziale e da pochi mesi responsabile dell’intero settore tecnico, era una persona gentile e competente, ma purtroppo dotata della sensibilita di un uomo di Neandertal. «Sono creature molto belle comunque», preciso Lynn. I due fluttuavano come satelliti intorno a un modello olografico dell’OSS, alto quattro metri e proiettato al centro del Picard. Nello spazio virtuale intorno a loro, nuotavano Walo Ögi, Aileen e Chuck Donoghue, Evelyn Chambers, Tim e alcuni scienziati francesi appena arrivati. Il Picard era allestito in modo molto diverso dal Kirk, vincolato all’estetica classica dei ristoranti. Isole relax fluttuavano a diverse altezze, immerse in una luce soffusa e sovrastate da un ampio bar che sembrava fatto apposta per ospitare donne formose e disponibili. La dislocazione dei mobili poteva essere modificata premendo semplicemente un pulsante: tavoli e sedie s’impilavano all’istante per lasciare libero l’atrio. «Che si tratti di una medusa, di un tavolino o di un ombrello, queste associazioni mentali sono dovute alla struttura verticale e alla simmetria della stazione», spiego Haskin. «Non dovete dimenticare che le stazioni spaziali non sono edifici dotati di fondamenta, ma sono sottoposte alla continua ridistribuzione della massa e a ogni possibile sollecitazione, dalle persone sui tapis roulant agli shuttle lunari che attraccano lungo l’anello esterno. Tutto questo espone la struttura a oscillazioni naturali, e una costruzione simmetrica e l’ideale per ridistribuire le energie. La disposizione verticale contribuisce invece a stabilizzare la struttura e riprende il principio costruttivo dell’ascensore spaziale. Come potete vedere, il momento d’inerzia piu piccolo e rivolto verso il globo terrestre.»

In basso era visibile il toro in cui c’era l’hotel, coi moduli che ospitavano le suite; poco piu in alto, sporgevano il Kirk e il Picard. Lungo i piloni, erano attaccati moduli con centri fitness, alloggi del personale di servizio, magazzini e uffici che arrivavano fino al Toro-2, al centro del quale si fermava l’ascensore spaziale. Alcune passerelle mobili collegavano il modulo a forma di baccello con le cabine. «Qui e dove siamo arrivati ieri», spiego Lynn. «Il Toro-2 funge da reception dell’OSS Grand, oltre che da terminal per i passeggeri e le merci. Come vedete, dal centro escono raggi che si ricollegano a un anello esterno piu grande. Sono dei corridoi. » La sua mano accarezzo una struttura a griglia che circondava il toro. «Il nostro porto spaziale. Questi oggetti, simili ad aeroplani, sono navette di evacuazione; queste scatolette, invece, sono shuttle lunari. Uno di essi, il Charon, ci portera sulla Luna domani.» «Avrei dovuto mettermi a dieta», esclamo Aileen, allarmata, rivolta a Chuck. «Come faccio a entrare l dentro? Ho un sedere grosso come la cometa di Halley.» Lynn rise. «Oh, no, queste navicelle sono molto spaziose. Ed estremamente confortevoli. Il Charon misura piu di trenta metri di lunghezza.» «E quelli cosa sono?» Ögi aveva notato alcune grosse strutture simili a gru sul lato superiore dell’anello e lungo i piloni. Si avvicino, fluttuando, entrando per un istante nel fascio di proiezione, che aveva l’aspetto di un mostro gigante in procinto di aggredire l’OSS. «Sono manipolatori», spiego Haskin. «Bracci robotizzati su binari. Scaricano i materiali dagli shuttle cargo in arrivo, rimuovono i serbatoi con l’elio-3 compresso, li portano all’interno del toro e li attaccano agli ascensori.» «Cosa succede quando uno di questi shuttle si aggancia alla stazione?» «Le da uno strattone», rispose Haskin. «E la stazione non si sbilancia da una parte? L’anello di attracco non sara sempre pieno di navicelle.» «Questo non e un problema. I vari punti di attracco possono essere spostati liberamente lungo l’anello, consentendoci di creare sempre un equilibrio. Ottima osservazione, comunque. Lei e architetto?» Haskin sembrava davvero colpito dal commento. «No, sono un imprenditore. Ma ho costruito diverse cose. I moduli abitativi per le grandi citta vengono semplicemente agganciati alle strutture esistenti o sistemati sui tetti dei palazzi; cos, in caso di trasloco, ci si porta dietro tutta la baracca. I cinesi li adorano. Poi ci sono i complessi residenziali a prova di acqua alta sul mare del Nord. Sa com’e, l’Olanda sta andando sott’acqua... e cosa dovrebbe fare tutta quella gente? Trasferirsi in massa in Belgio? Le case poggiano su passerelle e galleggiano se il livello dell’acqua sale.» «Sta anche costruendo una seconda Monaco», aggiunse Evelyn.

«Perche una seconda Monaco?» chiese Tim. «Perche la prima e piena fino a scoppiare», sospirò Ögi. «I monegaschi si stanno ammassando sulla montagna, percio io e Alberto abbiamo rispolverato Jules Verne. Mai sentito parlare della citta galleggiante?» «Non e la storia di quel capitano pazzo in quel bizzarro sottomarino ?» chiese Donoghue. «Ma no! Quello e il Nautilus del capitano Nemo», intervenne uno dei francesi. «Sciocchezze! Quello l’ho visto. È di Walt Disney.» «No, no! Non e di Walt Disney! Mon Dieu!» «La citta galleggiante e una citta-Stato mobile», spiego Ögi. «Un’isola viaggiante. Monaco non puo essere ampliata all’infinito, nemmeno con isole artificiali, percio abbiamo avuto l’idea di costruirne un’altra che potrebbe navigare nei mari del Sud.» Haskin si gratto la testa. «Una seconda Monaco? Una specie di nave?» «Non una nave, un’isola. Con montagne e spiagge, una minuscola capitale e una cantina di vini per il vecchio Ernst August. Solo che sara artificiale.» «Ed e una cosa fattibile?» «Proprio lei mi chiede una cosa del genere?» Ögi rise e allargo le braccia come se volesse abbracciare l’OSS. «Dov’e il problema? » «Non ce ne sono. Forse diamo l’impressione di avere problemi ?» rise Lynn. Poi il suo sguardo si poso su Tim. Si era accorto di quello che le stava succedendo? La sua apprensione la innervosiva, la commuoveva e la faceva vergognare nel contempo. Aveva ogni ragione a essere preoccupato da quel giorno, da quel terribile momento di cinque anni prima che aveva cambiato il corso della sua vita. Era stato poco prima delle sei di sera, mentre Lynn... ... era imbottigliata nel traffico, un serpente di dieci corsie di lamiere surriscaldate che sbuffavano e rombavano muovendosi con la lentezza di un ghiacciaio lungo la M25 verso Heathrow, sotto un freddo e desolante sole di febbraio che faceva capolino in un cielo giallognolo stile Chernobyl. Era accaduto all’improvviso. Doveva andare a un incontro a Parigi doveva sempre andare a qualche incontro -, ma senza preavviso qualcuno aveva spento la luce nella sua testa, e tutto era sprofondato in una palude di disperazione. Era stata investita da un’ondata di tristezza abissale, seguita da diecimila volt di puro panico. Piu tardi non sarebbe stata in grado di dire come aveva fatto a raggiungere l’aeroporto, ma non era salita sull’aereo ed era rimasta seduta nel terminal, inconsapevole di ogni cosa tranne che del fatto che non sarebbe riuscita a sopportare la sua vita per un secondo di piu, perche non voleva piu convivere con tutta quella tristezza e quella paura. Da quel momento non ricordava piu nulla. Il mattino seguente, si era svegliata sul pavimento del suo attico di Notting Hill, com-

pletamente vestita. Le e-mail e i messaggi sulla segreteria telefonica ribollivano della preoccupazione di chi l’aveva cercata. Era uscita sul terrazzo, sotto la pioggia gelida, e si era chiesta se dodici piani sarebbero stati sufficienti. Poi aveva cambiato idea e chiamato Tim, evitando cos ai passanti di essere testimoni di una tragedia. In seguito, ogni volta che si toccava l’argomento della sua malattia, Julian tirava in ballo qualche virus o un raffreddore trascurato, cos da rendere plausibile a se stesso e agli altri la malattia che stava devastando la figlia; Tim, invece, continuava a parlare di terapie e psichiatri. La condizione della sorella rimaneva un mistero, per lui; anche ammesso che dentro di se intuisse qualcosa, si affrettava a rimuoverlo, proprio come aveva rimosso la morte di Crystal. Erano passati dieci anni da quando la madre di Lynn e Tim - affetta da gravi turbamenti psichici - era morta, ma Julian aveva sviluppato una notevole capacita di negare l’evidenza. Non perche fosse traumatizzato, ma perche non era davvero in grado di mettere in relazione le due cose. Erano stati Tim e Amber a salvarla. Quando Lynn non provava altro che sgomento per la perdita di ogni percezione, Tim si metteva a correre con lei intorno all’isolato, sotto il sole e sotto la pioggia battente, per ore, costringendo il suo spirito a tornare alla realta, finche lei non ricominciava almeno a percepire il freddo e l’umidita e il sapore metallico della paura sulla lingua. Quando Lynn era ormai convinta che non sarebbe mai piu riuscita a dormire o ingoiare un boccone, quando i secondi si dilatavano fino a diventare eterni e tutto quello che la circondava - luci, colori, profumi, musica - si fondeva in un’onda irrefrenabile e terrorizzante, quando ogni tetto e ogni ponte diventavano un invito a sfracellarsi al suolo, quando lei temeva d’impazzire come Crystal, di cadere preda della follia omicida, lui le faceva capire che non era posseduta da nessun demone, che non c’erano mostri pronti a divorarla, che non avrebbe fatto del male a nessuno, nemmeno a se stessa. E lentamente Lynn aveva cominciato a credergli. Quando si era sentita un po’ meglio, Tim aveva cominciato a darle sui nervi. L’aveva spinta a cercare un aiuto qualificato, a stendersi su un lettino. Lynn si era rifiutata, affermando che l’incubo si stava dissolvendo. Ricercare le cause? A che scopo? Non intendeva dedicare piu attenzione del necessario a quella brutta fase della sua vita altrimenti perfetta. I suoi nervi erano andati in cortocircuito a causa del sovraccarico di lavoro, di alcune sinapsi impazzite, di un guazzabuglio biochimico, o di chissa che altro. Motivo in piu per vergognarsi e non scavare ulteriormente nella fossa dalla quale era uscita grazie all’aiuto del fratello. Perche avrebbe dovuto farlo? Per trovare cosa? Ora che aveva ripreso a sorridere e stringere mani, doveva solo essere grata all’azienda per aver coperto il suo crollo con una spiegazione ufficiale: un’influenza, una bruttissima influenza, una polmonite... La crisi era superata, la bambola rotta era stata riparata. Riusciva di nuovo a vedersi come la vedeva Julian, una prospettiva

che aveva perso per un breve periodo. Che importanza poteva avere se lei non si piaceva? Julian la amava! Vedersi con gli occhi del padre risolveva tutti i problemi. Il disprezzo per se stessa era una percezione familiare, una cosa con cui poteva convivere. «... qui si trovano le mense e le sale comuni del settore scientifico », spiego. Continuo a salire lungo l’ologramma, dal Toro-3 agli impianti sportivi nel Toro-4, alle dozzine di moduli abitativi e laboratori che Julian aveva affittato a organismi di ricerca privati e statali di tutto il mondo - la NASA, l’ESA e la Roscosmos - oltre che alle proprie aziende, l’Orley Space, l’Orley Travel e l’Orley Energy. Con le guance in fiamme, indico le serre dove venivano coltivati gli ortaggi e gli allevamenti alloggiati nelle biosfere a forma di globo sopra il Toro-4, illustro gli osservatori, le officine, le sale di controllo e le sale riunioni del Toro-5 l’ultimo -, dal centro del quale uscivano le funi dell’ascensore spaziale puntando verso l’infinito, o verso quello che gli attuali occupanti umani consideravano tale. Descrisse la copertura di vetro, del diametro di diverse centinaia di metri, del tetto coi suoi hangar in cui veniva eseguita la manutenzione degli shuttle lunari e dove aveva luogo la costruzione delle navi spaziali interplanetarie, dove i robot attraversavano il vuoto con solerte operosita e i pannelli fotovoltaici assorbivano la luce solare in modo che la stazione potesse autoalimentarsi anche durante le ore in cui era esposta all’ombra della Terra. Ridendo come se si trovasse sull’orlo di un abisso, termino la presentazione dell’OSS, l’Orley Space Station, che la NASA avrebbe tanto voluto costruire e possedere. Ma un tale proposito avrebbe richiesto una responsabilita politica, e i politici erano per loro natura esseri volubili e sfuggenti e si limitavano piu che altro a criticare le decisioni dei loro predecessori. Ecco perche, alla fine, era stato un investitore privato a realizzare il sogno della colonizzazione del cosmo, creando come effetto collaterale i presupposti per un cambiamento radicale nel settore dell’energia e sollevando cos la domanda... «... quali interessi sovvenzioniamo, aderendo al progetto dell’Orley Enterprises?» chiese Rogacev. «Be’, principalmente i nostri. O no?» disse Locatelli. «Certo. Vorrei solo sapere a chi altri faccio un favore in questo modo», ribatte Rogacev. «Finché questo garantisce alla Lightyears la leadership del mercato, degli interessi degli altri che ci guadagnano non me ne frega un fico secco, se mi concede il termine.» «Ryba išet samoe glubokoe mesto, ljudi iscut lucsee mesto.» Rogacev sorrise. «’Il pesce cerca il posto piu profondo, l’uomo cerca il posto migliore.’ Per quanto mi riguarda, preferirei avere una visione d’insieme un po’ piu ampia.» Locatelli sbuffo. «Non la otterra guardando le cose solo dall’esterno. La prospettiva dipende dalla posizione.»

«Che sarebbe?» «Per me, e quella della mia azienda. So che lei, dando dei soldi a Julian, teme di foraggiare indirettamente Washington e la NASA. E allora? L’importante e che a fine anno il bilancio sia in attivo.» «Non sono sicuro che le cose si possano vedere anche in questo modo», intervenne Marc Edwards, poi si rese conto dell’inconsistenza della sua asserzione e si dedico a osservare gli stivali che Nina Hedegaard stava distribuendo. «Io posso farlo, lui no.» Locatelli indico il russo col pollice alzato e rise. «Lui e sposato con la politica.» Finn O’Keefe incontro lo sguardo di Heidrun Ögi. Rogaev e Locatelli gli davano sui nervi. Facevano discorsi che a suo parere potevano avere un senso solo alla fine del viaggio. Forse non aveva gli strumenti per comprenderli a fondo, non sapendo nulla delle dinamiche che regolavano il loro settore... In ogni caso, lui aveva intenzione anzitutto di divertirsi e poi di girare lo spot che aveva promesso a Julian: Perry Rhodan sulla Luna, quella vera, che decanta le meraviglie di un’esperienza reale. Tutte quelle chiacchiere da uomini d’affari erano totalmente fuori luogo in quello che chiamavano «il guardaroba di EVA», nello spogliatoio in cui ci si preparava per uscire nello spazio. Locatelli lo fisso. «E lei? Hollywood cosa pensa di tutta questa faccenda?» O’Keefe scrollo le spalle. «Sono rilassati.» «Ma Julian vuole anche i suoi soldi.» «No, lui vuole la mia faccia, vuole che io convinca i ricchi come voi che devono assolutamente andare sulla Luna. Ma, in un certo senso, ha ragione», aggiunse, sfregando il pollice e l’indice. «Gli procuro denaro. Ma non il mio.» «Molto furbo», commentò Locatelli, rivolto a Rogaev. «È probabile che venga anche pagato per questo.» «Non prendo un centesimo.» «E lei cosa pensa veramente di questa faccenda? Turismo spaziale, viaggi privati sulla Luna...» O’Keefe si guardo intorno. Si era aspettato di vedere tute spaziali complete appese alle pareti, come astronauti immobili, invece quell’ambiente sterile aveva piu l’aria di una boutique. Tute intere accuratamente piegate di tutte le misure, caschi allineati l’uno accanto all’altro, guanti e stivali sulla spalliera, protezioni rigide. «Non ne ho idea. Mi rifaccia la domanda tra un paio di settimane», borbotto. Il gruppo - Oleg Rogacev, Warren Locatelli, Marc Edwards, Mimi Parker, Heidrun Ögi e Finn O’Keefe - si era disposto intorno a Nina Hedegaard, sforzandosi di non muoversi per evitare di mettersi a girare come trottole. In realta, O’Keefe si sentiva sempre piu a suo agio

in assenza di gravita e lo stesso valeva per Rogacev, il quale, la sera prima, si era lasciato coinvolgere in una conversazione sugli interessi personali: oltre alla sua passione per il calcio, ormai era quindi di dominio pubblico anche il suo interesse per gli sport di combattimento. In realta, il russo sembrava esercitare un controllo sul proprio corpo simile a quello di un rettile: le sue sensazioni, posto che ne avesse, restavano sepolte sotto il ghiaccio dei suoi occhi azzurri. Marc Edwards e Mimi Parker, entrambi sommozzatori entusiasti, si tenevano affettuosamente per mano; Heidrun sembrava un po’ in difficolta, mentre i movimenti goffi di Locatelli erano un potenziale pericolo per tutti. «Avvicinatevi, per favore», disse Nina. «Allora, detto fra noi...» Mimi Parker abbasso la voce. «Girano delle voci. Non so cosa ci sia di vero, ma alcuni sostengono che Julian sia un po’ in affanno.» «In che senso?» «Che sarebbe al verde.» «Cavolate», sussurro Heidrun. «Volete sapere chi si trovera davvero in affanno?» Mimi si sporse verso di lei. «Certo. Sputi il rospo.» «Voi, vecchie comari, la fuori, se non la piantate una volta per tutte di dire stupidaggini.» Rogacev la squadro col divertimento di un gatto attaccato da un topolino. «Lei e come una boccata d’aria fresca, Mrs Ögi.» La donna gli rivolse un sorriso radioso, neanche l’avesse appena incoronata Miss Mosca. Divertito, il russo sollevo le sopracciglia e si avvicino a Nina. Heidrun lo segu. In assenza di gravita, i suoi arti apparivano ancora piu lunghi e ingombranti. La danese attese finche i presenti non si fossero disposti in semicerchio intorno a lei, batte le mani e regalo al suo pubblico un sorriso a trentadue denti. «Bene!» esclamo col suo forte accento. «State per fare la vostra prima passeggiata nello spazio. Siete nervosi?» «Certo!» esclamarono Edwards e Mimi all’unisono. «Solo un po’. Dal momento che adesso siamo affidati alle sue cure...» disse Rogacev con un sorriso. Locatelli sbuffo di nuovo. L’agitazione era chiaramente una cosa non adeguata al suo rango. Sollevo la sua macchina fotografica resistente al vuoto, che aveva portato apposta, e scatto una fotografia. Nina registro le risposte e le reazioni con aria divertita. «Un pochino dovreste esserlo. Le attivita extraveicolari sono tra le operazioni piu complesse dell’astronautica. In fondo state per uscire nel vuoto, inoltre sarete esposti a variazioni di temperatura estreme.» «Davvero? Ho sempre creduto che nello spazio facesse soltanto molto freddo», si meraviglio Mimi.

«Da un punto di vista fisico, s. In realta nello spazio non c’e nessuna temperatura. Quello che definiamo ’temperatura’ e la velocita con la quale si muovono le molecole di un solido, di un liquido o di un gas. Un piccolo esempio: nell’acqua che bolle schizzano di qua e di la, nel ghiaccio sono praticamente immobili, e noi percepiamo questo fenomeno come calore o assenza di calore. Nel vuoto invece...» «S, s», borbotto Locatelli, impaziente. «... praticamente non esistono molecole. Quindi non c’e nulla da misurare. In teoria quindi ci troviamo a 0° della scala Kelvin, che corrispondono a -273° Celsius, lo zero assoluto. Tuttavia si registra la cosiddetta ’radiazione cosmica di fondo’, una specie di residuo dei tempi del Big Bang, quando l’universo era ancora incredibilmente denso e caldo. Questa radiazione e pari a circa 3° Kelvin. Non abbastanza per riscaldare l’ambiente, certo. Ciononostante, la fuori, potete bruciare o morire assiderati, a seconda delle condizioni.» «Sappiamo gia tutte queste cose», insistette Locatelli. «A me interessa di piu capire da dove...» Heidrun si volto verso di lui. «Be’, io non le so. Pero mi piacerebbe davvero saperle. Come avra notato, ho una certa predisposizione alle ustioni.» «Ma le cose che sta dicendo sono nozioni di cultura generale! » Heidrun lo fisso. Il suo sguardo diceva: «Vai a quel paese, maledetto spaccone!» Nina sorrise, cercando di calmare le acque. «Allora: nel vuoto, ogni corpo, nave spaziale, pianeta o astronauta che sia, assume la temperatura dell’ambiente che lo circonda. Essa deriva da fattori quali l’irraggiamento solare e la capacita dell’oggetto di riflettere i raggi che lo colpiscono. Per questo le tute spaziali sono bianche: per riflettere piu luce possibile, in modo da non surriscaldarsi. Eppure, sul lato esposto al sole delle tute, si misurano piu di 120 °C, sul lato in ombra invece -101 °C,» «Brrr», disse Mimi. «Non temete, non ve ne accorgerete nemmeno. Le tute spaziali sono climatizzate. All’interno si percepisce una confortevole temperatura di 22 °C, ma ovviamente solo se la tuta viene indossata in modo corretto. Ogni disattenzione puo portare alla morte. Sulla Luna ritroverete condizioni simili: nelle regioni polari ci sono dei crateri che con -230 °C sono tra i posti piu freddi dell’intero Sistema Solare! L la luce non arriva mai. In media, sulla superficie della Luna, la temperatura diurna si attesta sui 130 °C, ma di notte scende a -160 °C, motivo per cui gli allunaggi delle spedizioni Apollo avevano luogo durante la mattina lunare, quando il sole e basso e non fa ancora cos caldo. Pero, quando Armstrong e entrato nel cono d’ombra del modulo di allunaggio, la temperatura della sua tuta e scesa di colpo da 65 °C a -100 °C, con un solo passo! Altre domande su questo?»

«Una domanda sul vuoto», disse Rogacev. «Si dice che il corpo umano esplode se viene esposto al vuoto senza protezioni. » «Non e proprio cos drammatico. In ogni caso si muore, percio non fatevi venire la malsana idea di togliervi il casco. La maggior parte di voi ricordera le vecchie tute spaziali, nelle quali si aveva l’aspetto di uno spumone. Impacchettati in quegli scafandri, gli astronauti dovevano letteralmente saltellare, perche era impossibile piegare le gambe. Potevano andar bene per le missioni brevi e per qualche occasionale passeggiata nello spazio ma, nelle citta spaziali abitate in modo continuativo, sulla Luna o su Marte, mostri del genere sarebbero improponibili. » Indico la tuta aderente che stava indossando. Era fatta di un materiale simile al neoprene e rivestita con una ragnatela di linee scure. Gusci rigidi proteggevano i gomiti e le ginocchia. Anche se dava l’idea di aver indossato tre tute da sub l’una sopra l’altra, nell’insieme aveva un aspetto quasi sexy. «Da qualche tempo stiamo utilizzando questo tipo di tute: biosuit, ’biotute’, sviluppate da una bella donna, la professoressa Dava Newman del MIT. Carine, no?» Inizio a girare lentamente su se stessa. «Vi domanderete come si fa a creare la pressione necessaria. È molto semplice. Invece del gas, ci sono innumerevoli rinforzi metallici che non si dilatano, creando una contropressione meccanica. Solo nei punti in cui la pelle si muove molto il materiale e piu flessibile; in tutte le altre zone e cos rigido da formare un secondo scheletro.» Tolse dallo scaffale dietro le sue spalle un guscio a forma di torace. «Sulla tuta base e possibile applicare ogni tipo d’inserto e protezione... come questa protezione per il torace in fibra di carbonio. Uno zaino coi sistemi di sopravvivenza viene collegato alle prese sulla schiena. L’aria viene pompata nel casco e convogliata negli stivali e nei guanti attraverso dei tubi, gli unici settori in cui utilizziamo la pressione del gas come supporto. Il rumoroso raffreddamento convenzionale ha ceduto il posto a un nanostrato climatizzato. Esistono gusci aggiuntivi per le articolazioni, simili a quelli delle armature medievali, pero molto piu leggeri e resistenti. Nello spazio si e esposti alla radiazione cosmica, ovunque sfrecciano micrometeoriti; e, sulla Luna, farete la conoscenza della regolite, la polvere lunare. Mentre la mobilita dei vostri piedi non ha nessuna importanza nel vuoto, sulle superfici dei pianeti e decisiva. Per tutti questi motivi le nuove biosuit sono concepite come strutture modulari. Dozzine di elementi possono essere combinate a piacere, velocemente e con poche operazioni. Si respira l’abituale miscela di azoto e ossigeno che forma l’atmosfera terrestre ed e presente anche qui a bordo, percio le lunghe attese nelle camere di decompressione non sono piu necessarie.» Sotto gli occhi attenti del gruppo, Nina inizio a indossare stivali e guanti, aggancio lo zaino coi sistemi di sopravvivenza alla piastra posteriore della tuta e collego i connettori. «’Un gioco da ragazzi’, direbbe Dava Newman, ma attenzione, non provateci da soli. Non mettetemi nelle condizioni di dover raccogliere qualcuno di voi la fuori completamente deformato e

disidratato. Tutto chiaro? Bene! Le biosuit sono facili da usare, in questo contesto devo aggiungere ancora una cosa: se, durante la passeggiata, qualcuno dovesse sentire un certo bisogno... lasciatelo andare. La vostra preziosa pip viene raccolta in uno spesso sacchetto di poliacrilato, quindi nessuno deve temere che gli goccioli giu per le gambe. Questi...» - Nina indico due console sotto i polsi - «sono i comandi per i sedici propulsori nella zona delle spalle e delle anche. Gli astronauti non sono piu attaccati come feti a cordoni ombelicali, ma navigano utilizzando propulsori a reazione. Le accensioni sono brevi e possono essere azionate manualmente o tramite computer. Un’ultima cosa, una novita. Se l’elettronica arriva alla conclusione che avete perso il controllo, verrete stabilizzati automaticamente. I vostri computer di bordo sono collegati in rete col mio e comandati a distanza, quindi non potete perdervi nello spazio.» Tocco un’altra console sulla parte inferiore del braccio. «Qui potete vedere trenta piccoli pulsanti, ognuno con la dicitura PARLARE e RICEVERE. Quindi potete decidere con chi volete comunicare. Avete anche due pulsanti ’generali’: PARLA A TUTTI e ASCOLTA TUTTI. Per fare dichiarazioni d’amore, selezionate il collegamento privato, escludendo tutti gli altri.» Rise. «Qualcuno ha problemi a farsi vedere in biancheria intima? No? Allora via tutta quella roba! Prepariamoci per uscire.» «E le galline?» chiese Mukesh Nair. «Una pessima idea», rispose Julian. «Ne sono rimaste solo quattro. Due continuano persino a fare le uova: cosine rotonde col valore nutritivo di una pallina da golf. Nelle altre, la muscolatura addominale si e atrofizzata troppo per riuscire a espellere ancora qualcosa all’esterno.» «Nascite nello spazio. Spingere! Spingere! Ma con cosa, poi?» commento Eva Borelius. «E la cacca delle galline?» Karla Kramp sembrava affascinata dall’argomento. «Oh, cacano molto piu di quello che vorremmo», sospiro Julian. «Abbiamo cercato di aspirare quella roba, ma bisogna stare attenti a non aspirargli le penne dal culo. Una faccenda delicata. Detto sinceramente, non so proprio allevare galline in assenza di gravita. Non lo gradiscono. Continuano a scontrarsi e devono essere tenute al guinzaglio. Sembrano confuse. Per i pesci, invece... A loro non importa nulla, vivono gia in una sorta di elemento fluttuante. Se volete, possiamo andare a visitare l’allevamento ittico.» «Ma abbiamo ancora qualche freccia al nostro arco», assicuro Kay Woodthorpe, collaboratrice del gruppo di ricerca per i sistemi biorigenerativi, un donnone con la fisionomia di un chihuahua. «Se tutti i tentativi falliscono, proveremo con la gravita artificiale.» «E come pensate di fare? Mettendo l’OSS in rotazione?» chiese Carl Hanna. Julian scosse la testa. «No. Solo il modulo dell’allevamento, staccato e spostato dalla stazione di alcuni chilometri. L’OSS ha una struttura inadatta per una cosa del genere. Per questo servirebbe una ruota.»

«Ma quella ce l’avete gia. Non una ruota vera e propria, ma elementi asimmetrici che...» obietto Tautou. «Lei sta parlando di una sfera di Bernal, amico mio. Quella e un’altra cosa. Io penso a una ruota che giri con la stessa velocita di rotazione della Terra.» Julian corrugo la fronte. «Immagini uno pneumatico o un oggetto cilindrico. Quando ruota, sulla parete interna, quindi di fronte all’asse, si formano forze centrifughe. Si crea una cosa simile alla forza di gravita. Come in una ruota da criceto, potrebbe percorrere una superficie chiusa, perfetta per fare jogging, mentre la gravita diminuisce verso l’asse. Fattibile, in linea di principio. Il problema sono le dimensioni necessarie e la stabilita di una struttura del genere. Una ruota di - diciamo cento metri dovrebbe ruotare intorno al proprio asse una volta ogni quattordici secondi, e probabilmente la gravita sarebbe maggiore al livello dei piedi che al livello della testa, perche il corpo viene accelerato in modo differente. Inoltre, se si fa ruotare una cosa del genere... pensi alle automobili, quando uno pneumatico e fuori convergenza: la macchina sbanda come se fosse indemoniata. E adesso immagini che una cosa come questa capiti a una stazione rotante in cui ci sono persone che vanno avanti e indietro. Sarebbe impossibile che siano sempre distribuite in modo uniforme e le oscillazioni che si verrebbero a creare non sono nemmeno calcolabili: tutti si sentirebbero male, e a un certo momento la struttura potrebbe addirittura spezzarsi...» «Ma voi avete inaugurato l’era dei materiali leggeri. Con l’ascensore potete portare in orbita qualsiasi tipo di massa. Perche non costruirne semplicemente una piu grande e piu stabile?» volle sapere Hanna. «Sarebbe possibile? Come in 2001 - Odissea nello spazio?» si meraviglio Tautou. Julian annu. «Sicuramente. Ho conosciuto Kubrick. Aveva avuto una trovata geniale o, meglio, era stato consigliato bene. Ho sempre sognato di ricostruire la sua stazione nella realta. Quella gigantesca ruota che gira a ritmo di walzer e nella quale si puo camminare. Ma dovrebbe essere davvero enorme. Molti chilometri di diametro, orbita piu alta, schermo rinforzato. In modo che ci sia spazio per un’intera citta con quartieri residenziali, parchi e magari anche un fiume...» «Io trovo gia incredibile questa stazione», disse Sushma Nair al marito, stringendogli il braccio per trasmettergli il proprio entusiasmo. «Guarda che roba, Mukesh. Spinaci. Zucchine!» Stavano fluttuando lungo una parete di vetro alta diversi metri, dietro la quale era visibile una fitta vegetazione: crescevano germogli, penzolavano frutti. «Davvero un’impresa pionieristica, Julian», annu Mukesh. «È riuscito a impressionare profondamente un semplice contadino come me.»

«Proprio come lei ha impressionato il mondo intero», sorrise Julian. Quanta falsa modestia, Nair, penso Hanna. Mentre un piccolo gruppo di coraggiosi esplorava il vuoto, lui, Eva Borelius, Karla Kramp, Bernard Tautou e i Nair stavano visitando, sotto la guida di Julian e di Kay Woodthorpe, le due biosfere, i giganteschi moduli a forma di globo gestiti da coloro che si occupavano di sistemi vitali biorigenerativi e in cui erano in corso esperimenti di agraria e allevamento. Nei sei piani della biosfera A si coltivavano zucchine, cavoli cinesi, spinaci, pomodori, peperoni e broccoli, una piccola Italia di erbe aromatiche, oltre a kiwi e fragole, il tutto popolato da una fauna di zelanti robot che piantavano, concimavano, sfoltivano, tagliavano cime e raccoglievano frutti senza sosta. Hanna non si sarebbe stupito di vedere conigli rinforzati in fibra di carbonio e con le orecchie telescopiche radiocomandate brucare l’insalata e volare via all’avvicinarsi dei visitatori. Alzo la testa. Un livello sopra di lui, sporgevano i rami nodosi di piccoli meli ricoperti di frutti che sembravano duri come sassi. All’inizio, racconto Kay Woodthorpe, avevano avuto problemi enormi. I predecessori delle serre, chiamati «macchine dell’insalata », erano stati poco piu che moduli standard in cui crescevano pomodori e lattuga. Come in pratica ogni creatura vivente, pero, le piante si orientano con la forza di gravita e di conseguenza «sanno» in che direzione protendere le radici e i germogli. La perdita di punti di riferimento aveva quindi portato alla crescita di un groviglio informe e inquietante, a discapito dei frutti, che conducevano una penosa esistenza in mezzo a quelle mostruose radici. Completamente confusi, nel tentativo di aggrapparsi da qualche parte, anche gli spinaci producevano solo escrescenze legnose, finche a qualcuno non era venuta l’idea di sottoporre le coltivazioni a terremoti artificiali, a brevi scosse che inducevano i vegetali e gli ortaggi a cercare un appiglio la dove il terreno tremava, ovvero in basso. «Da allora abbiamo la crescita sotto controllo, e la qualita la potete vedere coi vostri occhi», continuo Kay. «Certo, si tratta di prodotti di serra. Le fragole sono un po’ acquose e i peperoni non sono propriamente da concorso, ma...» «Ma le zucchine sono squisite», intervenne Julian. «S, e anche i broccoli. Persino i pomodori, con nostra grande sorpresa. Non sappiamo ancora esattamente perche alcune specie si sono adattate meglio di altre. In ogni caso, queste serre fanno sperare che in futuro sara possibile chiudere i sistemi di sopravvivenza ancora aperti. Sulla Luna ci siamo quasi.» «Cosa intende con ’chiudere’?» chiese Karla Kramp. «Come sulla Terra. Nulla va perso. La Terra e un sistema chiuso, tutto viene riutilizzato. Immaginatevi la stazione spaziale come una copia in miniatura del nostro pianeta, con risorse limitate di acqua, aria respirabile e carburante. In passato non eravamo in grado di riutilizzare tutte queste risorse e dovevamo sempre fare rifornimento. L’anidride carbonica, per esempio,

si disperdeva all’esterno. Oggi possiamo accumularla nei reattori, riutilizzare l’ossigeno liberato per respirare o miscelarlo con l’idrogeno per produrre acqua, e il resto dell’anidride carbonica puo essere sintetizzato col metano per ottenere carburante. Allo stesso modo, siamo in grado di scomporre l’acqua nei suoi componenti chimici e ripulirla di ogni impurita. Si produce solo una quantita infinitesimale di acque reflue. Il problema piu che altro e realizzare reattori di dimensioni ragionevoli e con un rapporto convincente tra consumi ed efficienza. Ecco perche stiamo tentando i processi di rigenerazione naturali. Le piante servono anche a questo. La nostra piccola foresta tropicale, se volete. Sulla Luna, abbiamo serre piu grandi e siamo a un passo dal creare dei sistemi chiusi.» «Quindi non ci sarebbe mercato per un fornitore d’acqua», rise Tautou. «No, l’OSS e quasi completamente autonoma.» «Hmm, autonoma», ripete Karla. «Potrebbe quasi dichiarare la propria indipendenza. E anche la Luna. A proposito, a chi appartiene la Luna?» «A nessuno. Lo ha stabilito il Trattato lunare», rispose Julian. Le sopracciglia in stile Modigliani di Karla Kramp si sollevarono per la sorpresa. Il suo viso era un ovale pieno di altri ovali. «Per non essere di nessuno, ospita parecchia gente.» «È vero. Bisogna modificare subito il trattato.» «In modo da definirne la proprieta?» «Esatto.» «Quindi darla a quelli che sono arrivati per primi. A quelli che sono gia l. All’America e alla Cina.» «Assolutamente no. Tutti possono partecipare.» «Ma possono davvero partecipare tutti?» Julian sorrise. «Questo, cara Karla, e il nocciolo della questione. » Finn O’Keefe cercava rifugio nelle leggi della fisica. La procedura di vestizione era andata per le lunghe, ma ora finalmente si trovavano, impacchettati e coi caschi in testa, nell’ambiente ermetico della camera di decompressione, uno spazio vuoto illuminato e asettico dai bordi arrotondati. Lungo le pareti correvano delle maniglie e un display forniva informazioni su pressione, temperatura e composizione dell’atmosfera. Nina Hedegaard spiego che quell’accesso era leggermente piu grande degli altri distribuiti in tutta l’OSS. Dopo l’arrivo di Peter Black, il gruppo era adesso composto da otto persone. Un sibilo che si faceva sempre piu impercettibile fece capire che, dalla camera, veniva aspirata l’aria, poi le paratie esterne si aprirono senza far rumore. O’Keefe deglut.

Fisso il vuoto con l’istintiva e primordiale paura di precipitare nell’abisso. Davanti ai suoi occhi si estendeva una parte del tetto. Non sapeva cosa si fosse aspettato di vedere - forse una scaletta, un balcone, una passerella -, ma ovviamente lassu nulla di tutto cio avrebbe avuto senso. Il livello circolare non aveva pavimento: era una struttura aperta di quattrocento metri di diametro, circondata da un anello di acciaio abbastanza massiccio da ospitare dei binari, ed equipaggiato con strumenti e manipolatori. Una griglia a raggiera di strutture portanti congiungeva quel livello coi settori esterni. Al di la brillavano pannelli solari, circolavano radiatori e serbatoi sferici penzolavano dai bracci a forma di gru. Gli accumulatori delle luci di allineamento illuminavano enormi hangar, le incubatrici delle future navi spaziali. Alcuni minuscoli astronauti fluttuavano sotto il gigante d’acciaio e sorvegliavano l’installazione di sedili da parte di bracci robotizzati. Macchine bizzarre, meta uomo e meta insetto, attraversavano lo spazio trasportando componenti con le loro zampe da cavalletta, si aggrappavano alla griglia coi loro organi prensili, effettuavano lavori di saldatura e fissavano i componenti preassemblati. Indubbiamente i loro volti da androide erano ispirati a quello di Boba Fett, il cacciatore di taglie di Guerre stellari, il che induceva a pensare che Julian Orley avesse partecipato alla loro progettazione. Con la sua passione per i film di fantascienza, Julian riusciva sempre a trasformare le citazioni in innovazioni. Oltre la camera di decompressione, il baratro. La struttura verticale dell’OSS si trovava quasi trecento metri sotto O’Keefe e, ulteriormente sotto di essa, a una distanza impossibile da immaginare, c’era la Terra. L’uomo esito, ascoltando i battiti furiosi del suo cuore. Benche fosse consapevole dell’irrilevanza del proprio peso, lanciarsi oltre il bordo gli sembrava una follia, come se dovesse buttarsi da un grattacielo. Fisica, penso. Confida nelle leggi di Dio. Ma lui non credeva in Dio. Accanto a lui, Nina Hedegaard e Peter Black fluttuarono rilassati verso l’esterno e poi si voltarono verso di loro, mostrando le superfici a specchio delle loro visiere. «La prima volta e sempre molto difficile. Ma non potete cadere. Cercate di non pensarci», disse Nina. Colto sul fatto, penso O’Keefe. Un attimo dopo, una poderosa spinta lo fece schizzare oltre il bordo, verso le due guide. Preso alla sprovvista, annaspo in cerca di aria e cerco di opporsi al movimento, ma nulla poteva frenarlo. Sfrecciava nel vuoto, lanciato in un viaggio senza ritorno. Nella sua mente, si formo l’immagine di se stesso che andava alla deriva nel cosmo, scagliato verso il nulla. Inizio a dimenarsi, ma cio contribu solo a renderlo ancora piu ridicolo.

«Guarda un po’, il programma per le signore», disse Laura Lurkin con un sorriso. Il tono sarcastico del commento urto Amber Orley. Aveva saputo da Lynn che la personal trainer responsabile dell’area fitness, un minaccioso donnone con un aspetto da lottatore, le braccia da troll e la voce monotona, non amava particolarmente i turisti spaziali. Il suo atteggiamento si basava sulla convinzione che, al di sopra delle rotte di volo commerciali, i civili fossero solo d’impiccio. Laura Lurkin era un’ex Navy Seal, temprata dal fuoco dei conflitti geopolitici. Quando Olympiada Rogaceva, Miranda Winter, Rebecca Hsu, Omura Momoka e Amber Orley si erano presentate nell’area fitness come una delegazione di mogli di presidenti avide di divertimento, la prima reazione di Laura era stata quella di deriderle, anche se in un tono che poteva essere facilmente considerato affabile. In fondo, il suo compito era quello di tenere in forma i viaggiatori orbitali, non quello di deprimerli. «Devi andarci, Amber! Ti prego! Abbiamo la EVA, la visita del settore scientifico, la presentazione multimediale, e sarei stata piu che felice di distribuire quelle stupide donne in uno dei tre gruppi, ma loro volevano il programma di bellezza. È gia un sollievo esserci liberate di Paulette, ma...» «In realta, avrei preferito partecipare alla tua presentazione, Lynn.» «Lo so. Mi dispiace, credimi. Ma qualcuno deve dare a quelle quattro donne la sensazione di essere benvenute, qui. Proprio come sono benvenuti tutti quelli che, da un viaggio in orbita, si aspettano qualcosa di piu che una bella sudata, un peeling e una pulizia del viso. L’avrei fatto io, ma non posso.» «Accidenti, Lynn. Devo proprio? Io e Tim...» «Ti considerano un membro della famiglia. Uno dei padroni di casa.» «Non lo sono affatto.» «Ai loro occhi, s. Sei una Orley. Ti prego, Amber!» Quel tono implorante... «E va bene, d’accordo. Ma nel pomeriggio mi fai partecipare alla seconda passeggiata spaziale.» «Oh, Amber, fatti dare un bacio! Puoi passeggiare fino a Giove, ti preparo i panini con le mie mani. Grazie!» Quindi eccola l, nel programma per le signore. L’area fitness comprendeva due moduli di forma ellittica, simili ai moduli abitativi. La parte superiore ospitava una sauna, anche se priva di panche di legno, sostituite da maniglie e occhielli per le mani e i piedi e ampie finestre, nonche una sauna di vapore, dalle pareti della quale si potevano osservare le stelle che brillavano come centinaia di lampadine. Nella caverna di cristallo si poteva fluttuare in una pioggia di goccioline ghiacciate che venivano spruzzate nell’ambiente e poi aspirate; nell’area relax si poteva ascoltare musica celestiale,

leggere o sonnecchiare. Un piano piu in basso facevano bella mostra di se gli attrezzi per il fitness, i locali per i massaggi e mani vigorose pronte a intervenire sulle schiene stressate di quegli astronauti part time. «... inaccettabile nello spazio!» stava dicendo Laura Lurkin. «L’assenza di gravita e una bella cosa, ma nasconde tutta una serie di rischi non trascurabili, se ci si resta troppo a lungo in questa condizione. Avrete gia notato alcuni piccoli cambiamenti nel vostro fisico. Il riscaldamento della testa e del torace, per esempio. Subito dopo la scomparsa della gravita, piu di mezzo litro di sangue sale dalle regioni periferiche del corpo al torace e alla testa. Le guance si tingono di rosa e il viso si gonfia leggermente, un fenomeno che gli astronauti chiamano puffy face e che e piuttosto gradevole, dato che fa sparire le rughe e vi fa apparire piu giovani. Purtroppo e di breve durata. Al vostro ritorno sulla Terra, la gravita tirera i tessuti verso il basso, come sempre. Quindi godetevelo, finche potete.» «Ho le gambe gelate. È normale?» chiese Rebecca Hsu con aria diffidente, avvolta nel suo accappatoio come una palla di spugna. «Ma certo. In seguito alla ridistribuzione dei liquidi corporei le gambe sono un po’ fredde. Ci si abitua, proprio come agli accessi di sudore e alla temporanea perdita dell’orientamento. Ho sentito che una di voi la sta vivendo un po’ male...» Miranda annu. «Madame Tautou. Mamma mia! Quella poveretta deve continuamente...» Abbasso la voce. «Insomma, le esce da sopra e da sotto...» Laura annu. «Mal di spazio. Non c’e nulla di cui vergognarsi, anche gli astronauti piu esperti ne soffrono. Qualcun altro avverte dei sintomi?» Olympiada Rogaceva alzo timidamente una mano. Dopo qualche secondo, anche Momoka Omura alzo il dito indice per riabbassarlo subito dopo, dicendo: «Ma niente di che». «Allora, nel mio caso, e il senso dell’equilibrio a essere un pochino sottosopra», borbotto Rebecca. «Anche se in realta sono abituata al mare.» «Io sono contenta se resta tutto dentro», sospiro Olympiada. Laura sorrise. Ovviamente era stata messa al corrente del fatto che la russa aveva un grave problema con l’alcol. A dire il vero, Olympiada Rogaceva non avrebbe nemmeno dovuto essere l ma, durante i quattordici giorni del programma di addestramento, aveva bevuto solo te, mettendo a tacere tutti gli scettici. Evidentemente riusciva a sopravvivere anche senza vodka e champagne. «Al massimo entro dopodomani sarete immunizzate. Ma quello cui nessuno puo sottrarsi sono le modifiche fisiologiche a lungo termine. In assenza di gravita, la massa muscolare si riduce. Le vostre cosce si riducono, il cuore e la circolazione sanguigna sono sottoposti a sollecitazioni estreme. Per questo praticare sport tutti i giorni e un obbligo per gli astronauti: ergometro, ginnastica, sollevamento pesi... il tutto ben legati con le cinghie ovviamente. Nelle

missioni piu lunghe e stata inoltre riscontrata una sensibile riduzione della consistenza ossea, specialmente nell’area della colonna vertebrale e delle gambe. Il corpo perde fino al dieci per cento di calcio in sei mesi di permanenza nello spazio, si verificano disturbi del sistema immunitario, le ferite cicatrizzano piu lentamente... tutti effetti collaterali vergognosamente occultati da Perry Rhodan. Voi trascorrerete solo pochi giorni in assenza di gravita, eppure vi consiglio vivamente di non trascurare l’attivita fisica. Con cosa vogliamo cominciare? Canottaggio, cyclette, jogging?» Momoka fisso Laura come se avesse perso la ragione. «Niente di tutto questo. Voglio fare la sauna!» «Avra la sua sauna», replico Laura, come se stesse parlando con una bambina capricciosa. «Ma prima un po’ di fitness, okay? A bordo delle stazioni spaziali funziona cos. È l’istruttore ad avere l’ultima parola.» Amber si stiracchio. «Bene. Io scelgo l’ergometro.» «E io la cyclette!» esclamo Miranda, divertita. Momoka fece una smorfia, come se le fosse stato fatto un torto. «Un ergometro e una cyclette. Si puo almeno nuotare, in questo posto?» Laura allargo le braccia muscolose. «Certo, come no? Se trova un modo per trattenere l’acqua nella vasca con una gravita pari a zero, possiamo parlarne.» «E quello?» Rebecca indico una macchina appesa al soffitto sopra di lei. «Sembra uno stepper.» «Bingo! Allena glutei e cosce.» «Perfetto.» Momoka sfilo l’accappatoio. «Non bisogna lasciarsi sfuggire nessuna occasione per opporsi alla decadenza. La situazione e gia abbastanza drammatica. Ormai ho l’impressione che solo le calze contenitive impediscano un’espansione incontrollata del mio fisico.» Avendo visto Rebecca in TV e sui giornali, Amber sollevo un sopracciglio. Senza dubbio, negli anni passati, quella donna aveva messo su parecchi chili, ma la sua pelle era liscia e tesa come un palloncino. Cosa aveva detto Laura a proposito delle puffy faces? Perche l’effetto doveva limitarsi solo al viso? Ovviamente, in assenza di gravita, gli avambracci flosci non tremolavano, i seni si sollevavano e tutto si faceva piu rotondo e piu sodo. «Non si preoccupi. Ha un aspetto fantastico», disse. «Per la sua eta», aggiunse Momoka con sufficienza. Con l’aiuto di Laura Lurkin, Rebecca Hsu si aggancio allo stepper e sorrise ad Amber dall’alto. «Grazie ma, quando arrivi al punto che i paparazzi devono avvicinarsi in elicottero per riuscire a scattarti una fotografia a figura intera, devi guardare in faccia alla realta. Pubblicizzo preparati anticellulite miracolosi dei marchi cosmetici piu rinomati del mondo pero, se

uno mi da una sberla sul sedere, deve aspettare un quarto d’ora prima che smetta di ondeggiare.» Inizio a pestare sui pedali come un viticultore nella tinozza, mentre Miranda e Amber ridevano come pazze. La mimica facciale di Momoka attraverso un’ampia gamma di variazioni, pero, alla fine, anche lei si mise a ridere. Qualcosa - forse un’occulta, inconfessata paura - si sciolse e tutte iniziarono a roteare per la stanza, in preda a un attacco di ridarella. Laura Lurkin attese, indulgente, con le braccia incrociate sul petto, quindi disse: «Sono felice che siamo d’accordo». «Fuori di qui.» Le parole di Heidrun, seguite da una vivace risata. Quella era stata l’ultima cosa che O’Keefe aveva sentito prima di essere scagliato fuori dalla camera di decompressione. Heidrun, quella stronza! Frank Poole, lo sfortunato astronauta di 2001 - Odissea nello spazio, era stato vittima di un computer paranoico; lui invece di una pericolosa donna svizzera. Le sue dita afferrarono i comandi dei propulsori. Il primo impulso arresto il volo; il secondo, che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto riportarlo verso il portello, inizio a farlo roteare su se stesso. «Molto bene.» La voce di Nina risuono come se lei fosse seduta in un angolo all’interno del suo casco. «Riflessi notevoli per un principiante.» «Non mi prenda in giro», ringhio lui. «No, sul serio. Pensa di riuscire anche ad arrestare il movimento rotatorio?» «E perche mai? È cos divertente!» rise Heidrun. «Ehi, Finn, dovresti cercarti un satellite che ti giri intorno.» Stava girando in senso orario. Quindi doveva azionare il propulsore di destra. Funziono. All’improvviso, si ritrovo sospeso nel vuoto, immobile, e vide gli altri uscire dalla camera di decompressione uno alla volta, come relitti alla deriva. La nuova generazione di tute spaziali aveva il vantaggio di non uniformare l’aspetto di coloro che le indossavano. Lasciavano intuire chi si nascondeva all’interno, anche se i volti erano irriconoscibili a causa delle visiere a specchio. Con la sua armatura da guerriero stellare, Heidrun era riconoscibile per l’aspetto da elfo anoressico. Se avesse potuto, le avrebbe dato un calcio. «Te la faccio pagare », mormoro. Poi gli venne da ridere. «Ma Perry! Mio eroe!» Continuo a ridacchiare e fin per inclinarsi troppo su un lato, ritrovandosi a testa in giu. Qualcun altro - forse Locatelli, Edwards o Mimi - cercava di riguadagnare l’entrata della camera di decompressione. Una terza persona roteava le braccia nel vuoto. Nulla di tutto cio sembrava il frutto di una volonta precisa. A parte Nina e Black, solo un membro del gruppo pareva controllare i propri movimenti; infatti descrisse un semicerchio e si fermo accanto alle guide. O’Keefe non dubito nemmeno un secondo che si trattasse di Rogacev.

Poi tutti vennero riportati nello stesso punto, come se fossero stati guidati da una mano fantasma. Black rise. «Inquietante, vero? Navigare nel vuoto e un’esperienza che non ha paragoni. Non c’e attrito, non ci sono correnti, non c’e contropressione. Una volta in movimento, segui la tua traiettoria finche non interviene un impulso contrario abbastanza forte da fermare la corsa o finche non entri nell’area d’influenza di un corpo celeste che ti trasforma in una stella cadente o in un proiettile destinato a produrre un bel cratere. Maneggiare i propulsori richiede un’esperienza che voi non avete. Ecco perche, a partire da questo istante, non dovete piu preoccuparvi di niente. Passiamo al controllo remoto. Per i prossimi venti minuti, sarete come su un raggio traente, il che significa che potete rilassarvi e godervi il panorama.» Si diressero in modo spedito verso la piattaforma artificiale e la nave spaziale in costruzione, che fluttuava tra i piloni delle luci di allineamento. «Naturalmente cerchiamo di ridurre l’EVA al minimo indispensabile », spiego Nina. «Ormai le previsioni per le tempeste solari sono abbastanza affidabili, quindi ne teniamo conto durante la pianificazione delle uscite. Peraltro nessun astronauta esce senza dosimetro. Se dovessero verificarsi eruzioni inaspettate, ci sarebbe tempo sufficiente per rifugiarsi all’interno della stazione. Inoltre, lungo le pareti esterne dell’OSS, si trovano dozzine di storm shelters, di nicchie rifugio schermate. Tuttavia nemmeno la tuta spaziale piu sofisticata alla lunga protegge dai danni delle radiazioni, dunque, per l’attivita esterna, si utilizzano prevalentemente robot.» «Quelle cose volanti?» disse Locatelli con voce tremante, indicando due macchine prive di gambe che incrociavano la loro traiettoria a breve distanza. «Sembrano maledetti alieni.» «S, e davvero sorprendente. Dopo essersi emancipata dalla fantascienza, la realta ora torna a riconsiderarne le idee. Abbiamo per esempio capito che, in alcuni casi, le macchine antropomorfe sono piu adatte dei loro creatori.» «Creare a propria immagine. Come ci ha insegnato il Grande Capo seimila anni fa», disse Mimi Parker. Era stata una frase pronunciata con disinvoltura, ma O’Keefe ne rimase parecchio colpito e decise che ci avrebbe riflettuto in seguito. Il gruppo descrisse un’ampia curva e si diresse verso la nave spaziale. Aggrappato come una zecca al rivestimento esterno, c’era un automa. Le due estremita principali scomparivano dentro un portello aperto, dove evidentemente stavano installando qualcosa; due braccia piu piccole all’altezza del busto tenevano a portata di mano altri componenti. Due fessure di vetro nero che fungevano da organi visivi decoravano il lato anteriore della testa a forma di casco. «Quei cosi sono capaci di pensare?» chiese Heidrun.

«Sono capaci di fare calcoli», rispose Nina. «Sono robot della serie Huros-ED, acronimo di Humanoid Robotic System for Extravehicular Demands. Precisissimi, totalmente affidabili. Finora c’e stato un solo incidente che ha coinvolto un Huros-ED, ma non e stato lui a provocarlo. In seguito, nei loro circuiti elettronici, e stato inserito un programma per il salvataggio. Li utilizziamo per i compiti piu disparati, dalla manutenzione alla riparazione e alla costruzione. Se doveste essere scagliati nello spazio, avreste buone possibilita di essere raggiunti da un Huros e riportati alla stazione sani e salvi.» Salirono in verticale lungo uno dei piloni illuminati e proseguirono oltre, lasciandosi la nave spaziale alle spalle. «Gli shuttle impiegano dai due ai tre giorni per raggiungere la Luna», continuo Nina. «Come vedrete, sono veicoli confortevoli, ma vi sfido a immaginare come sarebbe raggiungere Marte su un affare del genere. Sei mesi chiusi in una scatola sarebbero un vero incubo. Gli esseri umani non sono macchine: hanno bisogno di contatti sociali, di privacy, di spazio, di musica, di cibo gustoso, di un design piacevole, di nutrimento per i sensi. Per questo, la nave spaziale che qui stiamo costruendo non e paragonabile a nessun altro tipo di veicolo. Una volta finita, avra dimensioni eccezionali... Ecco, quello e l’elemento che costituisce lo scafo, lungo quasi duecento metri. Per la precisione, si tratta di singoli moduli collegati tra loro, in parte nuovi, in parte ricavati dai serbatoi esausti dei vecchi Space Shuttle. Una volta assemblati, vanno a formare il settore di lavoro e di comando. Ci saranno laboratori e sale riunioni, serre e impianti di depurazione. I moduli dormitorio e i moduli per l’addestramento ruoteranno su bracci centrifughi intorno allo scafo per creare una debole gravita artificiale, simile a quella presente su Marte. Nella fase successiva, sulla sezione anteriore e posteriore della struttura principale verranno aggiunti piloni lunghi diverse centinaia di metri.» «Diverse centinaia di metri?» le fece eco Heidrun. «Accidenti! Quanto diventera lungo questo affare?» «Si parla di un chilometro, senza contare i pannelli solari estensibili e i generatori. Circa due terzi della lunghezza saranno occupati dal pilone sulla parte anteriore, nella punta del quale verra alloggiato un reattore nucleare per la propulsione. Ecco perche ha questa forma eccentrica. I moduli abitativi devono trovarsi ad almeno settecento metri dalla fonte delle radiazioni.» «E quando dovrebbe avvenire questo viaggio?» volle sapere Edwards. «Le stime piu realistiche parlano del 2030. A Washington piacerebbe un po’ prima. Non c’e solo una corsa alla Luna. Gli Stati Uniti faranno di tutto per...» «... prendere possesso anche del pianeta rosso», concluse Rogacev. «È ovvio. Orley ha affittato l’intero hangar agli americani? »

«Solo una parte. Altri settori della stazione sono affittati ad americani, a tedeschi, francesi, indiani e giapponesi. Anche a russi. Tutti hanno stazioni di ricerca quassu.» «I cinesi no?» «No. Loro no.» Rogacev non fece commenti. Il loro volo prosegu oltre l’hangar verso l’anello esterno con le sue officine e i manipolatori. Nina richiamo la loro attenzione sulle estremita di alcuni piloni, dalle quali fuoriuscivano sagome sferiche. «È il sistema di regolazione della posizione e della traiettoria. I serbatoi sferici alimentano i propulsori direzionali, che consentono di abbassare, alzare o spostare la stazione in caso di necessita.» «A che scopo? Pensavo che dovesse restare sempre esattamente a quest’altezza», disse O’Keefe. «In effetti e cos. D’altra parte, se un meteorite o un rottame particolarmente voluminoso entra in rotta di collisione con la stazione, dobbiamo essere in grado di correggere la traiettoria. In genere, lo sappiamo con settimane di anticipo. Di solito, basta un prolungamento in verticale; altre volte invece ha piu senso scostarsi di lato.» «Allora e per questo che la stazione di ancoraggio sulla Terra e un’isola galleggiante! Per potersi spostare in modo sincronizzato con l’OSS!» esclamo Mimi Parker. «Proprio cos», annu Nina. «Pazzesco! E succede spesso un bombardamento simile?» «Sono eventi piuttosto rari.» «E le traiettorie di tutti questi oggetti sono note?» s’intromise O’Keefe. Black esito. «A dire il vero, no. Solo quelle degli oggetti piu grandi. Di oggetti piccoli di cui non siamo a conoscenza ce ne sono milioni: nanoparticelle, micrometeoriti...» «E cosa succede se una cosa del genere centra la mia tuta?» Improvvisamente la voce di Edwards rivelo che lui avrebbe preferito tornare subito all’interno della stazione. «In quel caso, ci si ritrova con un buco in piu, in una posizione non imbarazzante», disse Heidrun. «No, la tuta spaziale e in grado di resistere all’urto», rispose Black. «Le protezioni fermano le nanoparticelle e, se proprio si formasse un buco grande come la capocchia di uno spillo nella tuta, non succederebbe niente. Il tessuto contiene uno strato di fibra sintetica, le cui catene di molecole si chiudono non appena il materiale raggiunge il punto di fusione, il che accade sempre in caso d’impatto di un micrometeorite, a causa del calore prodotto dall’attrito. Potreste riportare una piccola ferita, ma non piu grave di quella che vi procurereste pestando un riccio di mare o facendovi graffiare da un gatto. La possibilita d’imbattersi in un micrometeorite e molto piu bassa di quella di essere sbranati da uno squalo.»

«Molto tranquillizzante», commento Locatelli con voce roca. Il gruppo aveva oltrepassato il bordo esterno dell’anello e ora costeggiava il profilo di un’altra struttura a griglia. A O’Keefe sarebbe piaciuto voltarsi: da l la vista sul tetto doveva essere fantastica... Ma la sua tuta spaziale era come un cavallo che conosceva la strada e procedeva per conto suo. Davanti a lui si stagliava una schiera di oscuri uccelli luccicanti, con un’apertura alare di dimensioni mitiche, che facevano la guardia a quella macchia di civilizzazione nello spazio. Al di la dei pannelli solari che fornivano l’energia alla stazione, c’era solo lo spazio profondo. «Questa parte dovrebbe interessarla in modo particolare. È roba sua, Mr Locatelli!» disse Black. «Con la tecnologia solare convenzionale, avremmo dovuto installare un numero di pannelli dalle quattro alle cinque volte superiore.» Locatelli ammise che era proprio cos, poi aggiunse altro ma, per qualche motivo, la sua voce giungeva a O’Keefe come un groviglio di suoni gutturali. Gli parve di sentirlo pronunciare le parole «rivoluzione», «umanita» e «piera miare», che probabilmente era «pietra miliare». «Puo esserne davvero fiero», esclamo Black. «Mr Locatelli?» L’uomo sollevo entrambe le braccia, come se volesse dirigere un’orchestra. Dalla gola gli uscivano sillabe incomprensibili. «È tutto a posto?» Locatelli emise un gemito. Poi si ud il suono strozzato dei conati di vomito. «B-4, interruzione», disse Nina con tranquillita. «Warren Locatelli. Lo accompagno al portellone. Voi proseguite come previsto.» Mukesh Nair stava raccontando che, quand’era ancora studente, avevano trovato suo zio impiccato a una trave del tetto della sua capanna, nel villaggio di Loni Kalbhor. All’epoca, i suicidi dei contadini erano all’ordine del giorno: una delle drammatiche conseguenze della crisi agraria. Mukesh aveva vagato a lungo per i campi di canna da zucchero, chiedendosi come contrastare il flusso delle importazioni a basso costo dalle cosiddette nazioni sviluppate - dove l’agricoltura godeva di generose sovvenzioni -, che inondavano il mondo intero di frutta e verdura a prezzi stracciati, mentre gli agricoltori indiani spesso non trovavano vie d’uscita dalla spirale dei debiti se non togliersi la vita. Poi aveva riflettuto sulla globalizzazione, pensando che non dovesse essere intesa come un processo messo in moto e controllato arbitrariamente dai politici e dalle aziende, come un interruttore che si poteva accendere e spegnere a piacere. La globalizzazione non era la causa, ma la forma contemporanea di un’idea vecchia come il mondo, cioe quella dello scambio di conoscenze e di merci. Rifiutarla sarebbe stato tanto ingenuo quanto incolpare il maltempo per un raccolto perduto. Dal giorno in cui gli uomini si erano spinti nei territori di altri uomini per commerciare o fare la guerra, l’obiettivo era sempre stato quello di partecipare

all’«evento» per trarne il massimo vantaggio possibile. La miseria dei piccoli agricoltori non era quindi imputabile a un sinistro patto tra gli Stati del Primo Mondo, ma all’incapacita dei governanti di Nuova Delhi di valorizzare il proprio Paese. E uno dei punti di forza dell’India era proprio la sua possibilita di fornire cibo al mondo, benche storicamente fosse sempre stata considerata una nazione oppressa dalla fame. Insieme con un gruppo di persone, Nair aveva dunque lanciato la «Rivoluzione Verde». Era andato di villaggio in villaggio, aveva dato speranza ai contadini, sollecitandoli ad abbandonare la coltivazione della canna da zucchero per passare ai pomodori, alle melanzane e alle zucchine; li aveva riforniti di sementi e concimi; li aveva istruiti sulle nuove tecnologie; aveva procurato crediti vantaggiosi per liberarsi dai debiti; aveva assicurato quote di acquisto minime e aveva consentito di partecipare ai guadagni della catena di supermercati che aveva appena fondato e che aveva chiamato «Tomato», come il suo ortaggio preferito. Grazie alla moderna tecnica di refrigerazione e a una logistica impeccabile, i beni deperibili passavano dai campi ai supermercati Tomato con una tale velocita da far apparire ogni prodotto importato vecchio e ammuffito. Prima, i contadini potevano solo scegliere se lavorare come braccianti o appendersi al soffitto; adesso, si erano trasformati in imprenditori. La Tomato aveva avuto un autentico boom, le filiali erano spuntate come funghi e il numero dei contadini era cresciuto di giorno in giorno. E cos, pian piano, anche l’India aveva iniziato a risollevarsi. «Gli abitanti delle nostre metropoli oppresse dal caldo e infestate dai microbi hanno amato subito i nostri negozi, climatizzati e puliti», spiego Nair. «Ovviamente la concorrenza perseguiva obiettivi simili, in parte anche grazie agli aiuti di multinazionali straniere, pero io l’ho sempre considerata non alla stregua di un nemico ma di un alleato. Nei momenti decisivi eravamo sempre in netto vantaggio.» La Tomato si era diffusa ovunque, anche perche Nair aveva assorbito la maggior parte dei concorrenti. Poi, mentre i prodotti agricoli indiani venivano esportati negli angoli piu remoti del pianeta, Nair aveva scoperto un nuovo campo di attivita, ed era entrato nel settore della genetica, procurando alle regioni costiere del suo Paese - costantemente minacciate dalle inondazioni - una varieta di riso resistente all’acqua salata. «Ed e proprio questo che ci rende cos simili», disse Julian. Stavano osservando un piccolo robot addetto alla raccolta: coi suoi organi da presa, sottili come filigrana, staccava pomodori ciliegini dai rami e li aspirava al suo interno prima che rotolassero via. «Prenderemo possesso del cosmo, colonizzeremo la Luna e Marte. Forse non velocemente come avevamo sognato, tuttavia accadra, anche perche esistono moltissimi validi motivi per cui e bene che questo avvenga. Stiamo assistendo all’alba di una nuova era, nella quale la Terra sara solo uno dei molti luoghi in cui vivere e installare industrie.» Julian fece

una pausa, quindi riprese: «Tuttavia, caro Mukesh, ci vorra parecchio tempo prima che lei si possa arricchire con gli ortaggi coltivati al di fuori del globo terrestre. La strada per la filiale della Tomato su Marte e ancora lunga. Quanto a lei, Bernard, potra rifornirci di acqua sulla Luna - un elemento indispensabile per ogni progetto -, ma non guadagnera molto. E veniamo al suo lavoro, Eva: i lunghi soggiorni nello spazio, sulla Luna e sulla superficie di altri pianeti presentera alla medicina sfide completamente nuove, senza dubbio. Tuttavia inizialmente la ricerca restera un campo secondario, che avra bisogno di finanziamenti. Io ho finanziato il programma spaziale americano per implementare l’estrazione della piu importante risorsa per un approvvigionamento energetico pulito e duraturo e ho sovvenzionato lo sviluppo dei reattori necessari. Tutto cio che rivoluziona il mondo all’inizio richiede finanziamenti. Tu, Carl, hai guadagnato una fortuna con investimenti oculati nel settore dei combustibili fossili, per poi passare alla tecnica fotovoltaica, ma nello spazio con queste nuove tecnologie al momento non e ancora possibile raggiungere fatturati interessanti. Perche allora dovreste investire nell’Orley Enterprises?» Tutti lo fissarono, in attesa. «Ve lo spiego io. Perche ci unisce qualcosa che va oltre quello che produciamo, finanziamo e sviluppiamo: la preoccupazione per il benessere della collettivita. Eva e riuscita a coltivare in vitro pelle, nervi e muscoli cardiaci di origine artificiale. Da un punto di vista commerciale, e sicuramente un buon affare, ma questo e solo un aspetto della questione. In primo luogo, infatti, il suo lavoro ridona speranza alle persone a rischio d’infarto, ai malati di cancro e agli ustionati. Bernard ha regalato ai poveri di tutto il mondo l’accesso all’acqua potabile. Mukesh ha offerto una nuova prospettiva di vita ai contadini indiani e ha nutrito il mondo. Gli investimenti di Carl nelle energie rinnovabili hanno contribuito a rendere possibile il loro uso intensivo... E sapete qual e il mio sogno? S che lo sapete. Da quando gli esperti hanno iniziato a pensare a tecnologie di fusione pulite e prive di rischi, a come portare il combustibile del futuro, l’elio-3, dalla Luna alla Terra, coltivo il sogno di rifornire il nostro pianeta con questa nuova energia inesauribile. Ho dedicato molti anni a tale impresa, a sviluppare reattori adatti e costruire il primo ascensore spaziale funzionante, per dare all’umanita una rampa di lancio verso lo spazio. L’ho fatto investendo, apparentemente in perdita, molto denaro. E adesso...» Sorrise compiaciuto e tacque per alcuni secondi. «L’idealismo ha pagato. Adesso voglio guadagnarci, e lo faro. Tutti voi potete guadagnarci con me. Investendo nell’Orley Enterprises, la piu importante azienda tecnologica del mondo. Sono le persone come noi che fanno progredire o regredire quel meraviglioso pianeta che si trova trentaseimila chilometri sotto i nostri piedi. Sta a noi. Se uniamo le forze, forse non venderete piu ortaggi, acqua o medicine, ma parteciperete al gruppo industriale misto piu grande del pianeta. Gia domani l’Orley Energy conquistera la leadership del settore energetico, coi suoi reattori a fusione e con la sua

corrente ecologica. L’Orley Space accelerera la conquista del Sistema Solare a vantaggio dell’intera umanita con altri ascensori spaziali e stazioni orbitali; poi, insieme con l’Orley Travel, sviluppera il turismo spaziale. Credetemi: ne varra la pena! Tutti vogliono andare in orbita, tutti vogliono andare sulla Luna, su Marte e anche oltre, gli individui come le nazioni. All’inizio del millennio, pensavamo che il sogno fosse finito. Invece eravamo solo all’inizio, cari amici. Tuttavia solo pochissimi Paesi dispongono della tecnologia necessaria e, in questo campo, l’Orley e inarrivabile. Sono le nostre tecnologie di cui il mondo intero ha bisogno. E tutti, senza eccezioni, pagheranno il prezzo richiesto.» «S, s!» esclamo Nair conquistato. Hanna annu e sorrise. Tutti pagheranno il prezzo richiesto... Tutto cio che Julian aveva appena detto, con la sua abituale eloquenza e forza di persuasione, nelle sue orecchie si era ridotto a quell’ultima frase. Esprimeva alla perfezione le conseguenze della ritirata dei governi dal processo di globalizzazione, della conquista dell’autonomia da parte del settore economico, della privatizzazione della politica: si era creato un vuoto, che si era riempito di uomini d’affari. Julian aveva definito il futuro come una merce. I giorni successivi non avrebbero cambiato nulla da quel punto di vista, anzi. Il mondo stava per essere venduto un’altra volta. Ma in modo completamente diverso da come immaginava Julian Orley. «Eccomi di ritorno», cinguetto Heidrun. «Oh, mein Schatz, tesoro mio!» I baffi di Ögi si drizzarono per l’entusiasmo. «Sana e salva e tutta intera. Com’e stato?» «Fantastico! Quando ha visto i suoi pannelli solari, Locatelli ha vomitato.» Si avvicino per dargli un bacio. L’azione provoco subito la reazione, facendola allontanare lentamente. Afferro uno schienale e si protese di nuovo in avanti. «Vuoi dire che Warren soffre di mal di spazio?» chiese Lynn. «S, e stato magnifico! Nina lo ha riportato indietro e, dopo, il nostro giro e stato davvero piacevole.» Heidrun era raggiante. «Mah, non so.» Donoghue fece una smorfia. Troneggiava nel vuoto con sublimita falstaffiana, il viso gonfio e le guance arrossate, i capelli arruffati come se nel suo cuoio capelluto vivesse un animale domestico. «Se uno vomita nel casco, a me sembra una cosa pericolosa.» «Non devi uscire per forza, se non vuoi», lo punzecchio Aileen. «Sciocchezze. Non intendevo che...» «Hai sessantacinque anni, Chucky. Non devi partecipare proprio a tutto.» «Ho solo detto che sembra pericoloso!» brontolo lui. «Non che ho paura di farlo. Andrei la fuori anche a cent’anni! A proposito di eta, la sapete quella della coppia di vecchietti che van-

no in tribunale per divorziare?» «Divorziare! Avanti, racconti», esclamo Haskin, gia pregustando la battuta finale. «Allora, i due vanno dal giudice, che guarda in faccia la donna e dice: ’Santo cielo, ma lei quanti anni ha?’ ’Oh, novantacinque’, risponde lei. Poi il giudice si rivolge al marito: ’E lei?’ Quello risponde: ’Novantotto’. Allora il giudice esclama: ’Non ci posso credere. Perche mai volete divorziare a quest’eta?’ ’Sa, vostro onore...’» Tim digrigno i denti. Non ce la faceva piu. Erano piu di due ore che Chucky non faceva altro che raccontare barzellette. «’... volevamo aspettare che i nostri figli fossero morti.’» Haskin fece una capriola. Ovviamente tutti risero. In fondo, la barzelletta non era cos terribile, non abbastanza da fornire un pretesto a Tim per incolpare Chuck Donoghue per il suo umore apocalittico. In quel momento, si accorse che Lynn stava seduta in un angolo, come impietrita, come se non fosse veramente l. Il suo sguardo si spegneva a pochi centimetri dalla sua faccia. Era palese che non recepiva nulla di quello che accadeva intorno a lei. Poi, di colpo, la donna si mise a ridere. Posso sbagliarmi, penso Tim. Non significa per forza che sta ricominciando tutto da capo. Heidrun si guardo intorno con curiosita. «E voi cosa avete fatto, nel frattempo? Avete studiato il modello della stazione?» «S, e sarei in grado di ricostruirla seduta stante», si vanto Ögi. «Una costruzione imponente. Sono davvero impressionato dagli standard di sicurezza.» «Perche?» chiese Lynn. «Dopo la privatizzazione del programma spaziale, molti temevano che i lavori venissero fatti con una certa superficialita.» «Se questo fatto la preoccupasse davvero, lei non sarebbe qui.» Ögi rise. «Anche questo e vero. Comunque siete stati veloci. Incredibilmente veloci. Aileen e Chuck potrebbero cantarle una canzone con tutte le normative edilizie, le perizie e i documenti da produrre...» «Una canzone? Un’intera opera!» brontolo Chucky. Aileen gli diede man forte. «Quando abbiamo progettato il Red Planet, ci hanno detto che il progetto era irrealizzabile. Un esercito di vigliacchi. Ci sono voluti dieci anni dagli schizzi all’inizio dei lavori... e anche dopo non ci hanno lasciato in pace. » Il Red Planet era il fiore all’occhiello dei Donoghue, un resort di lusso a Hanoi in cui era stato riprodotto l’ambiente marziano. «Oggi e considerato un’opera d’arte», esclamo Aileen, trionfante. «Nei nostri alberghi non c’e mai stato il minimo incidente! Ma e cos che vanno le cose. Se progetti qualcosa di nuovo e d’innovativo, ti si avventano addosso come zombie e cercano di divorare te, il tuo entusiasmo, le tue idee e l’inventiva che ti ha concesso il Creatore. Sei convinto di esserti

conquistato una certa reputazione, ma non e cos. È come se tutta la tua vita non contasse nulla. I loro occhi sono morti, i loro crani sono pieni solo di leggi.» Accidenti, penso Tim. Ögi si massaggio il mento. «S, s. Capisco benissimo. Ma proprio per questo sono un tantino scettico. Avete costruito la stazione in tempo record. Una simile velocita e... sospetta, specialmente se pensiamo alla piu piccola ISS, per la quale ci e voluto molto piu tempo.» «Mi sta chiedendo una spiegazione?» «Forse la sto irritando...» «Lei non mi irrita affatto, caro Walo. La pressione della concorrenza e la madre di ogni sciatteria. Solo che l’Orley Space non ha concorrenti. Non abbiamo avuto bisogno di essere piu veloci di qualcun altro.» «Hmm...» «Siamo stati veloci grazie a una pianificazione perfetta. Alla fine, l’OSS si e costruita quasi da sola. Non avevamo l’obbligo di mettere d’accordo una dozzina di autorita spaziali, notoriamente di manica stretta, ne di attraversare le paludi della burocrazia. Avevamo un unico partner, gli Stati Uniti d’America, che avrebbero venduto anche il Lincoln Memorial pur di liberarsi dalla trappola dell’approvvigionamento energetico. Il nostro accordo era molto semplice: l’America avrebbe costruito la sua base lunare e fornito la tecnologia per l’estrazione dell’elio3; noi avremmo fornito reattori concorrenziali, un sistema di trasporto economico ed efficiente per raggiungere il satellite e, elemento non trascurabile, un sacco di soldi. Ottenere l’autorizzazione dal Congresso e stato una passeggiata. Prospettive grandiose per tutti! A noi il monopolio nel settore dei reattori, a loro la riconquista della leadership dei voli spaziali e la soluzione di tutti i problemi energetici. Mi creda, caro Walo, con prospettive del genere non si puo che essere veloci.» «Quando ha ragione, ha ragione», sbotto Donoghue con voce tonante. «Quando mai la questione e se si puo costruire qualcosa? Alla fine, e sempre e solo una questione di soldi.» Aileen annu, convinta. «E di zombie. Ci sono zombie ovunque. » Evelyn Chambers alzo una mano. «Scusa, Lynn. Probabilmente hai ragione, tuttavia non siamo qui per incensarci a vicenda. Si tratta d’investimenti. Il mio investimento e la mia credibilita, percio a mio avviso dovremmo giocare a carte scoperte, non pensi?» Tim osservo la sorella. Era evidente che non sapeva dove Evelyn volesse andare a parare, eppure manteneva un atteggiamento aperto e interessato. «Naturalmente. A cosa ti riferisci?» «Agli imprevisti.» «Quali imprevisti?»

«Vic Thorn.» Il viso di Lynn rimase impassibile. «Certo. Ce l’avevo in agenda. Ve ne avrei parlato piu tardi, ma possiamo farlo anche ora.» Donoghue aggrotto le sopracciglia. «Thorn? E chi sarebbe?» Ögi scrollo le spalle. «Non ne ho idea. Ma mi piacerebbe sentire qualcosa sugli imprevisti. Mi consola il fatto che ne abbiano anche loro.» «Non abbiamo segreti. L’anno scorso ne hanno parlato tutti i media. Thorn era un membro del primo equipaggio a lungo termine della base lunare americana», spiego Haskin. «Aveva svolto un lavoro eccellente, quindi gli era stato proposto di assumere la direzione della base per altri sei mesi. Lui aveva accettato e aveva raggiunto l’OSS per imbarcarsi su uno shuttle diretto alla Luna.» «È vero, mi sembra di ricordare qualcosa», disse Heidrun. Walo annu. «S, lo rammento anch’io. Se non sbaglio, ci sono stati problemi durante un intervento esterno.» «Con uno dei manipolatori, per essere precisi. Bloccava il portello di carico dello shuttle che doveva portare l’equipaggio di Thorn sulla Luna. Si era bloccato nel bel mezzo di un movimento dopo essere stato colpito da un detrito spaziale. Abbiamo mandato sul posto un Huros...» «Un cosa?» chiese Aileen. «Un robot dall’aspetto antropomorfo, che ha scoperto alcune schegge in una delle articolazioni, schegge che avevano indotto il manipolatore a disattivarsi.» «Sembrerebbe una saggia decisione.» «Alle macchine non interessano concetti come la saggezza», sbotto Haskin, neanche lei gli avesse detto di non mandare fuori i robot senza calzini. «Abbiamo ordinato all’Huros di pulire l’articolazione, ma il robot non era in grado di farlo. Cos abbiamo mandato fuori Thorn e un’altra astronauta. Ma in realta il manipolatore non si era affatto spento. Era caduto in una specie di coma elettronico. D’un tratto si e rianimato e ha scagliato Thorn nello spazio. Con ogni probabilita, il colpo ha danneggiato i suoi sistemi di sopravvivenza. Abbiamo perso il contatto con lui.» «Mio Dio, e terribile», sussurro Aileen, pallida come un cencio. «Gia.» Haskin tacque per qualche secondo. «Non credo abbia sofferto molto. Probabilmente la sua visiera era danneggiata.» «Non lo avete... recuperato?» chiese Aileen. «Purtroppo no.» «Ho sempre pensato che fosse possibile sfrecciare nello spazio a piacimento.» Aileen stese pollice e indice della mano destra a mimare le ali di un aereo che fendevano l’aria. «Un

po’ come al cinema.» «Appunto, al cinema», replico Haskin in tono sprezzante. «Probabilmente la nuova generazione di Huros sarebbe stata in grado di salvarlo, ci tengo a dirvelo», disse Lynn. «Inoltre abbiamo perfezionato i comandi remoti delle tute spaziali. Almeno saremmo riusciti a riportarlo indietro.» «Se non sbaglio c’e stata un’inchiesta», intervenne Evelyn. Lynn annu. «Infatti. Un’inchiesta che ha portato all’incriminazione della ditta giapponese costruttrice del manipolatore. Un classico caso di colpevolezza indiretta. La morte di Thorn e stata una tragedia, ma noi, in veste di gestori dell’OSS, siamo stati assolti da ogni accusa.» «Grazie, Lynn.» Evelyn si rivolse agli altri ospiti. «A me questa spiegazione basta. A voi no?» «Le opere pionieristiche richiedono sempre sacrifici. C’e comunque qualcuno che ci rimette le penne», borbotto Donoghue. «Io direi di dare ancora un’occhiata in giro», propose Ögi. «Non e convinto?» s’informo Lynn. Lui indugio, poi disse: «S, credo di s». Eccolo la! Un’impercettibile contrazione del sorriso, una punta di panico nello sguardo, e lei... ... sent qualcosa che la risucchiava verso l’abisso, come anni prima, quand’era precipitata nell’inferno, e si domando con orrore in cosa si era andata a cacciare. Era iniziato tutto alcune settimane prima, allorche aveva notato alcuni punti deboli nel suo lavoro, anche se in realta non ce n’era nessuno. Era pronta a giurare solennemente che la stazione spaziale di Julian sarebbe vissuta persino piu a lungo della razza umana, eppure nella sua mente continuava a immaginare che il settore inferiore della stazione esplodesse in mille pezzi. Perche? Perche quel settore era l’unico che aveva concepito personalmente e ricadeva sotto la sua responsabilita. Anche se ci avevano lavorato gli stessi progettisti, architetti, ingegneri, costruttori. La sua stazione non si differenziava in nulla dal resto: stessi sistemi di sopravvivenza, stesso principio costruttivo. Eppure Lynn era tormentata dal dubbio che avesse qualche difetto. Piu Julian lodava il suo lavoro, piu il tarlo del dubbio scavava in profondita nella sua mente. Era ossessionata dai peggiori scenari. La sua leggendaria cautela si trasformava in vera e propria paranoia; continuava a cercare indizi del suo fallimento e non trovarne la rendeva ancora piu nervosa. Nella sua immaginazione, l’OSS Grand si gonfiava, come una propaggine della sua superbia, e poi esplodeva come una bolla di sapone, rendendo lei, Lynn, responsabile della morte di decine di persone. Rivetti, montanti, isolamenti, ventilatori, strumenti per l’elettrolisi, pompe di ricircolo, camere di decompressione, corridoi... in ogni dettaglio non vedeva che

una rappresentazione raffazzonata di se stessa. Il suo ipotalamo sovraeccitato veniva investito da un’ondata di adrenalina e cortisolo non appena lei osava anche soltanto pensare all’albergo nello spazio o a quello sulla Luna. Se, da un punto di vista teologico, la paura era l’opposto della fede, la separazione dal divino, allora Lynn si era trasformata in un’atea. La paura della distruzione. La paura di essere distrutti. La stessa cosa, in fondo. A un certo punto, nell’abisso della sua disperazione, il diavolo si era travestito da pensiero e le aveva sussurrato all’orecchio che la paura dell’inferno poteva essere superata solo affrontandola di petto. Come liberarsi dal circolo vizioso del timore che possa accadere qualcosa di terribile? Esisteva una via d’uscita per non perdere completamente la ragione? Come spezzare la catena? Facendolo accadere. L’ovvia domanda era: cosa ne sarebbe stato di lei se la sua opera si fosse rivelata transitoria? Non era lei stessa soltanto un’invenzione di Julian, il personaggio di un film? Cosa sarebbe accaduto se Julian avesse smesso di pensarla perche lei si era dimostrata indegna di essere pensata? Avrebbe conosciuto un dolore senza fine? La dannazione eterna? Un banale oblio? Oppure doveva andare a fondo per rinascere dalle sue ceneri, piu splendente che mai? Se tutto quello che definiva il suo ruolo fosse scomparso, sarebbe venuta alla luce la sua vera natura? Sarebbe emersa la vera Lynn? Ma esisteva una vera Lynn? «Miss Orley? Non si sente bene?» «Bambina mia, che ti succede? Sei pallida come una morta.» Il falsetto materno di Aileen. «Lynn?» Tim al suo fianco. La dolce pressione delle sue dita sull’avambraccio. Si volto lentamente verso il fratello. Lynn... Oh, Lynn. In cosa ti sei cacciata? «Ehi, Lynn. Tutto okay? Cosa ti sei fumata?» Dita bianche e nodose le accarezzavano la fronte, occhi viola la fissavano. Sbatte le palpebre. «Mi dispiace. Mi avete colto sul fatto.» «In che senso, tesoro?» chiese Aileen. Un sorriso fece capolino sulle sue labbra. Tim continuava a fissarla. Di certo voleva dirle che aveva capito, pero non doveva dirle nulla, non doveva chiedere nulla. Lynn si stiracchio e si libero dal risucchio. Per il momento aveva vinto. «Un attacco di mal di spazio», si giustifico. «Ridicolo, vero? Credevo che non sarebbe mai successo, invece mi sbagliavo. Per un attimo non mi sono sentita bene.» «Allora posso ammetterlo. Anch’io mi sento un po’ fiacco», sorrise Ögi. Heidrun lo fisso. «Tu? Tu soffri di mal di spazio?» «Be’, s.» «Perche non mi hai detto niente?»

«Dovresti ringraziarmi. Un giorno, i miei acciacchi parleranno per me. Ora va meglio, Lynn?» «S, grazie.» Lynn scosto la mano di Tim. «Pensiamo a pianificare la giornata.» Il fratello non staccava gli occhi da lei. «Come no?» diceva il suo sguardo. «Se tu hai il mal di spazio, io sono il presidente degli Stati Uniti.» Tim si avvicino al padre mentre quest’ultimo usciva dalla suite, un’ora prima di cena. Julian indossava una camicia alla moda e una cravatta, gli immancabili jeans e mocassini eleganti col logo MIMI KRI. «Puoi chiederle dei vestiti, se vuoi», esclamo Julian, tutto allegro. «Mimi ha creato una collezione per i soggiorni in assenza di gravita. Forte, no?» Fece una piroetta. «Fibre rinforzate, non si muove niente. Neanche le mutande.» «Julian, ascolta...» «A proposito, prima che mi dimentichi. Ha portato qualcosa anche per Amber. Un abito da sera. Peccato, volevo farle una sorpresa, ma lo vedi anche tu quanto abbiamo da fare. Con tutta questa gente, non ho un attimo di pace. Per il resto tutto bene, figliolo?» «No. Devo parlarti di...» «Abiti da sera in assenza di gravita, riesci a crederci?» Julian rise. «Una cosa assurda. Totalmente folle. Senza i rinforzi, potresti sbirciare sotto tutte le gonne. A confronto, Marilyn Monroe, con la gonna al vento sopra la griglia di aerazione, sembra un’orfanella... Be’, mi hai capito.» «No.» Julian aggrotto la fronte. Finalmente sembro rendersi conto di Tim, della sua tuta sgualcita, della sua faccia arrossata e della sua espressione che non prometteva nulla di buono. «Mi sa che non lo conosci nemmeno, quel film, eh?» «Papa, non me ne frega niente se le gonne si sollevano oppure no. Per una volta, preoccupati di tua figlia, accidenti a te.» «È quello che faccio. Da quand’e nata, per la precisione.» «Lynn non sta bene.» Julian guardo l’orologio. «Ah, si tratta di questo. S, me l’ha raccontato. Viene al Kirk?» «Cosa ti ha raccontato?» chiese Tim, esterrefatto. L’altro rise. «Che ha il mal di spazio. Finora non era mai successo. Una cosa del genere farebbe girare le scatole anche a me!» Tim scosse la testa, impaziente. «No, aspetta un attimo. Non hai capito. Lynn non ha il mal di spazio.» «Ah, no? E allora cos’ha?»

«È al limite. È sull’orlo di un esaurimento nervoso.» «Posso capire che sei preoccupato, ma...» «Papa, non dovrebbe neanche essere qui. È fragile. Santo cielo, quante volte te lo devo dire? Lynn e sfinita. Non ce la fara a sopportare tutto questo. Non ha mai veramente elaborato quello che le e successo cinque anni fa e...» «Ehi!» lo interruppe Julian, fissandolo negli occhi. «Stai dando i numeri? Questo e il suo hotel.» «E allora?» «È la sua creatura. Lynn e l’amministratore delegato dell’Orley Travel. Deve essere presente.» «’Deve.’ Ma certo.» «Non attaccare con la tua solita tiritera. Ti ho mai obbligato a fare qualcosa, io? Ti ho forse impedito di diventare un insegnante e di buttarti nella tua fottuta politica comunale, anche se all’Orley avevi tutte le porte aperte?» «Non e questo il punto.» «Non e mai questo il punto, eh? E non lo e nemmeno il fatto che tua sorella ha piu successo di te e che tu, in fondo, sei invidioso. » «Ah, s?» «Altroche. Lynn non ha proprio nessun problema. Sei tu ad averne. Cerchi di farla apparire debole perche non riesci a combinare niente di buono.» «Questa e la piu grossa stupidaggine che abbia mai...» Tim si sforzo di ritrovare la calma e abbasso la voce. «Pensa quello che vuoi. Non m’interessa. Ma prenditi cura di lei. Hai gia dimenticato quello che e successo cinque anni fa?» «Certo che no. Allora era esausta. Se tu dovessi portare sulle spalle le responsabilita che lei...» «No, Julian. Non era esausta. Era completamente distrutta. Era malata. Lo vuoi capire, s o no? Era gravemente depressa. Incline al suicidio!» Julian si guardo intorno come se temesse che le pareti avessero le orecchie. «scoltami bene», sussurro. «Lynn ha lavorato molto per realizzare tutto cio. È ammirata e stimata da tutti. Questo e il suo momento. Non ti permettero di rovinarglielo solo perche vedi fantasmi ovunque.» «Dio mio, sei cos superbo. Cos ottuso!» «No, tu sei ottuso. Si puo sapere perche hai partecipato a questo viaggio se non te ne importa niente?» «Per verificare che Lynn stia bene.»

«Oh!» Julian si lascio sfuggire una risata beffarda. «E io che mi ero illuso che il motivo della tua presenza riguardasse me, almeno in minima parte. Perdona il mio sentimentalismo. Parlero con lei, d’accordo? La rassicurero sul fatto che ha svolto un lavoro straordinario, le diro che e tutto perfetto, che ha il mondo ai suoi piedi. Va bene cos?» Tim non rispose e Julian si allontano, fluttuando, visibilmente irritato. Dall’altra parte del tunnel stava sopraggiungendo Finn O’Keefe. «Ehi, Tim.» «Salve, Finn. Tutto bene?» «Benissimo, grazie. Viene con me al Picard a bere qualcosa?» Tim ci penso su. «No, ci vediamo a cena piu tardi. Devo cercare qualcosa con le fibre rinforzate, una cravatta o qualcosa del genere. Senza rinforzi qui non si resiste.» LA SERATA L’uomo con gli occhi di colore diverso era molto interessato all’arte di cucinare bistecche a trentaseimila chilometri dalla Terra in modo che apparissero ben cotte all’esterno e rosate all’interno, senza perdere nemmeno una goccia di sugo. Inoltre voleva sapere quale fosse l’attrattiva che Marte esercitava sugli esseri umani. «La possibilita della vita», spiego Julian. «Se trovassimo tracce di vita su Marte, la nostra visione del mondo cambierebbe in modo radicale. Avrei detto che tu saresti stato il primo a essere affascinato da questa prospettiva.» «Infatti e cos. E cosa dicono gli esperti? C’e vita su Marte?» «Certo. Ci sono i ragni», sorrise Julian. L’altro rispose al sorriso. «Ragni marziani. Interessante.» Dal canto loro, gli ospiti erano molto interessati all’uomo con gli occhi dal colore diverso. Purtroppo Walo Ögi, il suo piu grande ammiratore, era stato coinvolto da Bernard Tautou e Oleg Rogacev in un’estenuante conversazione sull’economia, mentre Miranda Winter e Rebecca Hsu venivano interrogate da Momoka Omura sull’effetto terapeutico del lusso sulla depressione autunnale. Warren Locatelli era assente, proprio come Paulette Tautou, vittima dell’azione combinata del nervo vago e di diversi neurotrasmettitori che, in una precisa regione del tronco cerebrale nota come «centro del vomito», perseguivano lo svuotamento regolare del suo stomaco. A parte quello, era una splendida cena. Le luci si erano abbassate e la Terra illuminava l’ambiente attraverso il pavimento di vetro, come un enorme lampione. Per la prima e ultima volta fu servito dell’alcol: champagne in piccole flûte con una chiusura a forma di succhiotto. Come la sera precedente, tutti rimasero stupiti dall’altissima qualita del cibo. Per l’occasione, Julian aveva ingaggiato un cuoco tedesco pluripremiato, uno svevo di nome Johannes King, che aveva rivoluzionato la cucina

aumentandone l’efficienza al trecento per cento. Come per magia, King aveva fatto apparire verdure tartufate alla panna, ovviamente preparate con autentico tartufo nero del Perigord, adattato - dopo numerosi tentativi - all’assenza di gravita. «Perche le salse, liquide o cremose che siano, in assenza di gravita si animano di vita propria», spiego King, mentre controllava che tutto fosse a posto. Aveva un carattere estremamente vivace e si muoveva di continuo: sembrava trovarsi a proprio agio in assenza di gravita come un pesce nell’acqua. «A meno che non si riesca a ottenere una consistenza che si attacca alla carne o alle verdure. Se e troppo densa, la salsa non e buona.» Tautou sugger che la Guida Michelin fosse ampliata col capitolo «Periferia terrestre», anche perche, in fondo, avrebbe avuto molto piu senso distribuire stelle lassu che sulla Terra. E, mentre ripeteva quella stupida analogia con entusiasmo indefesso nell’orecchio di ogni convitato, venivano serviti pâte di selvaggina ai mirtilli rossi, filetto, gratin di patate e un morbido tiramisu. «Ma niente cipolle e niente fagioli... nulla che provochi gonfiore intestinale, insomma», commento King. «In queste condizioni e in spazi cos ristretti i gas intestinali rappresentano un grosso problema. Gli esseri umani sono capaci di azzuffarsi per molto meno. Inoltre quello che mangiate qui, sulla Terra avrebbe un sapore troppo speziato: nello spazio, le papille gustative lavorano a rilento. Ah, gia, e continuate a mangiare lentamente. Raccogliete ogni boccone con cautela, fate attenzione quando lo portate alla bocca, infilatelo velocemente e con decisione, masticate con cura.» «In ogni caso, le bistecche erano semplicemente divine», si complimento Donoghue. «Grazie.» King s’inchino in modo un po’ troppo brusco, si ribalto in avanti e fece una capriola. «In realta, si tratta di prodotti sintetici della cucina molecolare. Ne siamo davvero molto orgogliosi, se posso dirlo.» Per i successivi dieci minuti, Donoghue non profer parola, assorto in una profonda riflessione. O’Keefe sorseggiava lo champagne. Si stava sforzando di mantenere un atteggiamento distaccato. Aveva ovviamente notato che Heidrun era seduta accanto a lui o, meglio, che si era aggrappata agli appositi sostegni con le gambe. Per quanto la cosa gli facesse piacere, cercava d’ignorarla e chiacchierava con l’ospite a sorpresa. Dal canto suo, Heidrun non fece nulla per intavolare una conversazione con O’Keefe. Solo quando tutti ebbero terminato di scambiarsi opinioni sulle esperienze della giornata e la conversazione inizio a languire, lui la degno di un’unica osservazione acida: «Cosa diavolo ti e passato per la testa, stamattina?» Lei lo fisso, interdetta. «Di cosa stai parlando?» «Mi hai spinto fuori dalla camera di decompressione.»

«Oh.» Heidrun tacque per qualche secondo. «Ho capito. Te la sei presa.» «No, ma ho dubitato della tua sanita mentale. Hai fatto una cosa molto pericolosa.» «Non dire stupidaggini. Saro infantile, ma non sono pazza. Nina mi aveva spiegato gia ieri che le tute spaziali sono telecomandate. Credevi sul serio che avrebbero abbandonato a se stessi dei semplici turisti la cui prestazione sportiva piu esaltante e qualche bracciata in piscina?» «Quindi non hai tentato di uccidermi? Questo mi tranquillizza. » Sul volto di Heidrun si dipinse un sorriso misterioso. «Probabilmente volevo vedere dove finisce Perry Rhodan e dove inizia Finn O’Keefe.» «E allora?» «Coerentemente con la tua persona, lo fai apparire come un idiota.» «Ehi, un momento. Un idiota eroico», protesto O’Keefe. «S, certo. E hai scoperto abbastanza in fretta che, se nei paraggi ci sono femmine disposte ad accoppiarsi, tu non resterai a bocca asciutta. Soddisfatto?» Lui sorrise. Ud Eva Borelius dire: «Non e una questione teologica, Mimi, ma il problema delle origini della nostra civilta. Perche gli esseri umani vogliono andare oltre i propri limiti? Cosa cercano nello spazio? Talvolta anch’io vorrei unirmi al coro dei disfattisti, dal momento che svariati milioni di persone muoiono di fame, non hanno accesso all’acqua...» «Adesso s», la interruppe Tautou, ma solo per essere subito rimesso al suo posto dalla reazione acida di Karla Kramp: «Non e affatto vero!» «... mentre tutto questo circo inghiotte somme indicibili. Pero noi dobbiamo portare avanti la ricerca. Tutta la nostra cultura si fonda sullo scambio e sull’espansione. Nell’ignoto cerchiamo noi stessi, il senso della nostra vita, il nostro futuro, proprio come Alexander von Humboldt, come Stephen Hawking...» «Non sarei qui se fossi contraria all’espansione del genere umano», obietto Mimi Parker. «A me era sembrato di s.» «Nient’affatto. Mi oppongo solo a questa visione limitata di voler esplorare qualcosa che e gia palese. Per quanto mi riguarda, sono qui per ammirare la meraviglia della Creazione.» «Che secondo lei e vecchia di seimila anni.» «Potrebbero essere anche diecimila. Fino a diecimila anni e accettabile, per noi. Non siamo mica fanatici integralisti.» «Non di piu? Non qualche milioncino?» «No. Cio che mi aspetto di trovare qui fuori...» Ah, ecco, penso O’Keefe. Lo sapevo. «Creare a propria immagine. Come ci ha insegnato il Grande Capo seimila anni fa». Tra gli ospiti, Mimi rappresentava i creazionisti. «E tu cosa ti aspetti di trovare quassu?» chiese a Heidrun, che stava ridendo per qualcosa che aveva

detto Carl Hanna. Lei si giro verso di lui e la treccia bianca ondeggio dolcemente. «Io? Io non sono venuta qui con delle aspettative.» «Perche sei qui, allora?» «Perche mio marito e stato invitato. In questi casi, io faccio parte del pacchetto, che lo si voglia o no.» «D’accordo, ma adesso sei qui.» «Hmm. Questo non cambia granche. Non ho mai molte aspettative. Le aspettative sono come i paraocchi. Preferisco lasciarmi sorprendere. Finora comunque e stato un viaggio fantastico. » Indugio e poi si fece piu vicina. «E tu?» «Niente. Io faccio il mio lavoro.» «Non capisco.» «Cosa c’e da capire? Sono qui per fare il mio lavoro.» «Il tuo... lavoro?» «S.» «Fare da testimonial all’impresa di Julian?» «Sono qui per questo.» «Per l’amor del cielo, Finn.» Heidrun scosse la testa, incredula, dandogli l’impressione di aver premuto il pulsante sbagliato. «Sei un tale stronzo. Ogni volta che inizi quasi a piacermi, tu...» «Come? Cos’ho fatto, stavolta?» «Quel tuo atteggiamento distaccato... Sei sempre insensibile a tutto quello che ti circonda, vero? Nascondi la faccia sotto un cappellino, rimani in disparte... È proprio questo che intendevo prima: chi e Finn O’Keefe?» «È seduto qui, davanti a te.» «Cazzate. Tu sei solo una persona che ha una vaga idea di come O’Keefe dovrebbe essere per essere apprezzato da tutti. Un ribelle il cui piu grande problema e che, in fondo, non c’e nulla contro cui ribellarsi, tranne forse la noia.» Si chino verso di lei. «Cosa diavolo ti fa pensare che io sia cos? » «Il tuo stupido atteggiamento.» «Hai detto tu stessa che...» «Ho detto che non ho aspettative, il che equivale a dire che sono aperta a tutto. È gia molto. Tu invece sostieni che per te questo non e altro che un lavoro. Secondo il principio: ’Julian e simpatico, la Luna e rotonda, teniamoci tutti per mano finche la telecamera non si spegne e posso finalmente andare a farmi un drink’. È una cosa meschina, Finn. Vuoi davvero farmi credere che non puoi fare a meno dei quattro soldi che Julian ti dara per questa

messinscena?» «Sciocchezze. Non lo faccio per soldi.» «Allora forza, ultima chance: cosa ti ha portato quassu? Cosa provi quando... diciamo, per esempio, quando guardi la Terra? » O’Keefe riflette. Fisso con intensita il pavimento di vetro sotto di lui. Il problema era che non gli veniva in mente nessuna risposta convincente. La Terra era la Terra. «Distanza», disse infine. «Distanza.» Lei sembro assaporare la parola. «E allora? È gradevole o sgradevole?» «Accidenti, Heidrun. Avro anche un atteggiamento stupido, ma voglio solo essere lasciato in pace, davvero. Tu pensi che io sia un tipo annoiato e spocchioso che ha perso il coraggio di mettersi in discussione. Forse hai ragione. Oggi sono affabile e disponibile, il Finn piacevole. Cosa ti aspetti?» «Non lo so. Tu cosa ti aspetti?» «Perche t’interessa tanto? Ci conosciamo appena.» «Perche m’interessi tu.» «Non lo so nemmeno io. So soltanto che certi registi realizzano film meravigliosi con budget miseri, superando ogni ostacolo. Altri fanno musica che nessuno vuole ascoltare, a parte forse un paio di pazzoidi, tuttavia nessuno riuscirebbe a distoglierli da quello che fanno, perche bruciano di passione. Altri ancora non possono quasi permettersi la grappa che li aiuta a scrivere, ma, se per caso trovi qualche loro opera in rete e la scarichi, ti commuovi per come l’umanita si fonde con l’invendibilita, e capisci che i sentimenti piu grandi germogliano sempre nel piccolo, nell’intimo, nel disperato. Non appena aggiungi un’orchestra, crei il pathos. Da questo punto di vista, la donna piu bella del mondo non puo competere con la piu miserevole puttana. Non esiste lusso che possa darti la sensazione di essere vivo come una sbornia presa coi tipi giusti, o come tastare un naso rotto se l’hai presa con quelli sbagliati. Soggiorno negli alberghi piu belli del mondo, eppure una stanza che puzza di muffa in un quartiere in cui nessuno metterebbe volontariamente piede, ma abitata da qualcuno che ha un grande sogno, mi commuove piu di un viaggio sulla Luna.» Heidrun riflette per qualche istante, poi commento: «Certo, e bello potersi permettere di stendere una patina romantica sulla miseria». «Capisco cosa intendi, ma non e cos. Non vengo da una famiglia povera. Non sono portatore di nessun messaggio, non covo nessun risentimento sociale, non seguo nessuna corrente politica. Posso apparire come una persona poco impegnata, pero non credo di esserlo. Quando giriamo Perry Rhodan, ci divertiamo, questo e chiaro. Quand’e giorno di paga, non mi tiro certo indietro. Col tempo, ho cominciato persino ad apprezzare il fatto di essere un tipo piacente e ricco, che ha la possibilita di volare sulla Luna gratis. Rifletto su tutto cio e mi dico:

’Ma guarda un po’ dov’e riuscito ad arrivare il piccolo Finn...’ Poi incontro donne che vogliono stare con me perche ritengono che io faccia parte della loro vita. Il che e vero, in un certo senso. Le accompagno nelle loro esistenze, che siano mediocri o fantastiche; sono sempre al loro fianco, al cinema, sulle riviste, in Internet, nelle fotografie. Di notte, sdraiate nei loro letti, mi confidano i loro segreti. Nei momenti di crisi, i miei film sono davvero importanti per loro. Leggono le mie interviste e a ogni frase pensano: Quest’uomo mi capisce. Sa esattamente come mi sento. Cos, quando m’incontrano, sono convinte di avere di fronte un amico, un conoscente, un’anima affine. Credono di conoscermi, ma non e cos. Io per loro significo moltissimo; loro per me non sono nulla. Non ero presente quando hanno avuto il primo orgasmo, anche se il mio poster era appeso alla parete sopra di loro e forse pensavano a me. Non fanno parte della mia vita. Non c’e nessun legame tra noi.» Sospiro. «Dimmi: come hai conosciuto Walo? Cosa ti e passato per la testa? Hai pensato: Accidenti, interessante, una persona nuova. Chi sarà questo tipo, voglio proprio scoprirlo?» «S, una cosa del genere.» «E lui ha pensato la stessa cosa. Capisci? Questa e la magia della prima impressione. Io invece incontro sconosciute che vivono nell’illusione di essere mie conoscenti. Per liberarmi da questo circolo vizioso dovrei smettere di fare quello che faccio, ma il mio lavoro mi diverte troppo. Percio sto al gioco e mantengo le distanze.» «Il prezzo della fama», commento Heidrun, ma non in tono sarcastico. Piuttosto rivelava la sorpresa nata da quell’elenco di banalita. Eppure le cose erano proprio cos. Banali. Nel complesso, non esisteva nulla di piu banale della fama. «Gia», borbotto. «In sostanza, non ci viene in mente niente di piu originale di quello che ha appena detto la dottoressa. Nell’ignoto, ognuno cerca se stesso.» Indugio. Poi sfoggio il suo famoso sorriso. «E forse anche qualche persona spiritualmente affine.» Gli occhi viola di Heidrun si fissarono nei suoi, ma lei non disse nulla. Intorno a loro si era creata una strana atmosfera ovattata, che eccitava e nel contempo inquietava O’Keefe. Percep una punta d’imbarazzo. A quanto pareva, si stava prendendo una cotta colossale per quella donna priva di melanina. Poi Julian batte le mani e O’Keefe sussulto, quasi sollevato. «Cari amici, non avevo osato sperarci!» Calo il silenzio. «E giuro di non averglielo chiesto. Ho solo dato disposizioni di tenere a portata di mano una chitarra, in caso... E lui ha addirittura portato la sua chitarra!» Julian sorrise. Il suo sguardo si poso sull’uomo con gli occhi di colore diverso. «Nel 1969, quando io avevo tre anni, lui ha visto al cinema 2001 - Odissea nello spazio, quello che in seguito sarebbe diventato il mio film preferito, e ha subito omaggiato il suo autore con una canzone. Quasi un

quarto di secolo dopo, ho avuto a mia volta la possibilita di rendere onore a Kubrick, progettando il mio primo ristorante a imitazione della sua stazione spaziale. Ho chiamato il locale Oddity, prendendo in prestito il titolo di un pezzo dell’artista qui presente. All’epoca, Kubrick viveva a Childwickbury Manor, non molto lontano da Londra, e praticamente non lo lasciava mai. Inoltre odiava gli aerei. Credo che, dopo il suo trasferimento da New York alla Gran Bretagna, non abbia mai abbandonato il suolo inglese. Ed era considerato una persona estremamente schiva, quindi non mi sarei mai aspettato di vederlo in carne e ossa all’Oddity. Invece, con mia grande sorpresa, una sera si e presentato... e per combinazione c’era anche David, seduto al bancone del bar. Abbiamo chiacchierato e, a un certo punto, ho detto loro che li avrei portati entrambi sulla Luna, se lo avessero voluto, anche seduta stante. Kubrick ha riso, affermando che, per quanto lo riguardava, la mancanza di comfort era un motivo sufficiente per rinunciare. Ovviamente aveva preso la mia proposta per uno scherzo. Io mi sono spinto oltre e ho promesso loro che, entro la fine del millennio, avrei costruito un’astronave dotata di tutti i comfort, anche se naturalmente non avevo la piu pallida idea di come realizzare una tale impresa. Avevo appena compiuto ventisei anni, producevo film, facevo il regista, anche se con scarso successo, e avevo intrapreso la carriera di attore. Avevo appena portato nelle sale il remake di Una donna nella Luna, il film di Fritz Lang del 1929, con David nel ruolo principale, e avevo raccolto un buon successo di pubblico e di critica. Mi ero appena buttato nella gastronomia. L’Orley Enterprises era ancora lontana, persa in un nebuloso futuro. Pero ero un appassionato di volo e sognavo quei viaggi spaziali che affascinavano anche Kubrick. Cos, alla fine, sono riuscito a coinvolgere lui e David in una scommessa: se fossi riuscito a costruire l’astronave promessa entro il 2000, avrebbero dovuto salire a bordo entrambi. In caso contrario, avrei prodotto il successivo film di Kubrick e il successivo album di David totalmente a mie spese.» Si accarezzo la barba, perso nei ricordi. «Purtroppo Stanley e morto troppo presto, e la mia vita e cambiata radicalmente dalla sera del nostro incontro. I film sono ormai un’attivita secondaria. La piccola agenzia di viaggi che aveva sede a Soho e che io ho rilevato all’inizio degli anni ’90 si e trasformata nell’Orley Travel. All’epoca, possedevo gia due linee aeree e avevo comprato alcuni capannoni cinematografici dismessi per dedicarmi allo sviluppo di veicoli spaziali e stazioni orbitanti. Con la fondazione dell’Orley Space, siamo entrati nel mercato della tecnologia. Alcune delle migliori menti della NASA e dell’ESA sono venute a lavorare per noi, e lo stesso si puo dire di vari esperti russi, asiatici e indiani, nonche di numerosi ingegneri tedeschi. Questo perche pagavamo stipendi piu alti, creavamo condizioni di ricerca migliori, e avevamo un atteggiamento piu entusiasta, scattante ed efficiente dei loro vecchi datori di lavoro. Ormai era chiaro a tutti che i programmi spaziali statali avevano bisogno di un sostanzioso apporto privato, ma io mi ero messo in testa di sostituirli. Volevo mettere in moto il vero inizio dell’era spaziale, senza sottostare alla lentezza

dei burocrati, alla cronica mancanza di soldi e ai rivolgimenti politici. Abbiamo creato borse di studio per giovani ingegneri, abbiamo chiesto loro di sviluppare aerei con propulsione a razzo, abbiamo ampliato la nostra offerta turistica coi voli suborbitali. Io stesso ho volato piu volte su quegli aerei. Non erano ancora veri e propri viaggi spaziali, tuttavia rappresentavano un inizio, e hanno avuto un successo fulminante. Tutti volevano partecipare. Il turismo spaziale prometteva guadagni esorbitanti, a patto che fossimo riusciti a ridurre i costi iniziali.» Ridacchio. «Comunque, a parte questo, avevo perso la mia scommessa, perche nel 2000 non ero pronto. Quindi ho proposto a David di pagare il mio debito. Lui si e rifiutato, dicendo: ’Tieniti i soldi e regalami un biglietto quando sei pronto...’ Tutto quello che posso dire, oggi, e che la sua presenza e un grande onore per l’OSS e mi rende molto felice. E qualunque cosa possa dire sulla sua grandezza, sulla sua importanza nella nostra cultura, sulla sua influenza su intere generazioni... be’, le mie parole non potranno mai eguagliare la forza della sua musica. Percio adesso chiudo il becco e lascio la parola a... Major Tom.» Il silenzio aveva assunto una dimensione sacrale. Fu portata una chitarra. Le luci erano state abbassate durante il discorso di Julian. La superficie levigata del Pacifico brillava sotto di loro. Dai finestrini ovali s’intravedevano miriadi di stelle, sparse come zucchero a velo sullo sfondo nero. Piu tardi, O’Keefe penso che, nei secondi in cui David Bowie aveva suonato gli accordi iniziali di Space Oddity, dapprima sommessi, poi sempre piu potenti, come se ci si stesse avvicinando alla frenetica attivita sulla rampa di lancio provenendo dal silenzio immobile dello spazio profondo, fino al momento in cui la sala di controllo a Terra e Major Tom iniziavano a dialogare, aveva vissuto gli unici momenti davvero felici del loro viaggio. Nell’ingenuo incanto del momento, dimentico completamente il vero scopo dell’iniziativa di Orley: catapultare esseri umani in un ambiente ostile, su un satellite che avrebbe certamente reso i visitatori piu spirituali, ma senza invogliarli a tornarvi una seconda volta. Percepiva che la ricerca del motivo che lo aveva spinto a lasciare la Terra avrebbe avuto come unico risultato quello d’indurlo a cercarla con lo sguardo, e improvvisamente immagino di allontanarsi al punto da non vederla piu, una prospettiva sconsolante e paurosa. And the stars look very different today... Quando la canzone fin e lo sventurato Major Tom si perse nel nulla delle sue aspettative estreme, O’Keefe, invece di essere stregato dalla musica, si sent in preda a una strana disillusione. Era una specie di nostalgia di casa, anche se in fondo la sua «casa » era lontana solo trentaseimila chilometri. Il bordo destro del globo terracqueo aveva iniziato a piombare nell’oscurita: sulla Cina stava calando la sera. O’Keefe osservo Heidrun: stava assaporando la musica con le labbra socchiuse, guardando alternativamente Bowie e il mare di stelle, mentre i suoi occhi, come per magia, venivano attirati verso il pianeta sotto di loro. Comprese

che quella donna avrebbe viaggiato con entusiasmo sino ai confini dell’universo, perche la sua casa era il suo cuore, e aveva raggiunto un grado di liberta che lui poteva soltanto sognare. E, in quel momento, O’Keefe desidero essere al piano superiore di un pub di Dublino, steso su un materasso logoro, con qualcuno che lo stringeva tra le braccia. Quella notte, molti ospiti ebbero la medesima idea. Forse era stato il modo in cui Amber aveva cercato di consolarlo dopo lo sfogo su Julian: le sue parole di conforto, i suoi baci, la forza del suo abbraccio, il suo fisico sodo ed elastico avevano risvegliato anche il corpo di Tim... O forse perche, dopo tanti anni di matrimonio, le sue fantasie sessuali ruotavano ancora intorno alla moglie, cosicche non avrebbe voluto accarezzare nessun’altra natica ne esplorare nessun altro Monte di Venere, e perche nei momenti di solitudine in cui cedeva all’autoerotismo non immaginava nessun’altra donna che non fosse Amber... O forse perche il corpo della moglie sembrava indifferente al trascorrere del tempo e, in assenza di gravita, i suoi seni avevano ritrovato quella consistenza che, all’inizio della loro relazione, gli aveva dato la sensazione di stringere due meloni maturi... O forse perche, dopo un frenetico tentativo di toglierle l’accappatoio - un tentativo che aveva scagliato Tim nell’angolo opposto del modulo -, la visione della moglie che fluttuava nell’accappatoio aperto come un angelo pronto a cedere al peccato lo aveva eccitato ancora di piu... Insomma, quale che fosse il motivo, il sesso di Tim si era sollevato, quasi fosse un razzo pronto a essere sparato nello spazio, e a dispetto di tutti i limiti imposti dall’assenza di gravita, della carenza di sangue nella zona lombare, del disorientamento e di una leggera nausea. Nuoto verso di lei e la afferro per gli avambracci. Liberarla dell’accappatoio era gia un’impresa, ma tutti i tentativi di Amber di togliergli i pantaloni e la T-shirt fallirono miseramente per l’ormai ben noto effetto di repulsione. Continuarono ad avvicinarsi e allontanarsi, finche Tim, nudo, non si ritrovo a fluttuare sopra il letto, tentando disperatamente di afferrare la coperta. Lei osservo la sua erezione con palese interesse, divertita e un po’ sconcertata. «E adesso cosa facciamo?» chiese ridendo. «Deve pur esserci un modo. Qualcuno deve averci pensato», rispose lui. «Speriamo. Sarebbe un vero peccato non approfittarne.» Tim si mise a testa in giu e scese verso di lei. Stavolta riusc ad afferrare i fianchi e affondo la faccia tra le sue gambe, che lei apr leggermente e richiuse subito nel tentativo di trattenere la testa dell’uomo. Tim sentiva il sangue ribollire nelle orecchie. Ruotando la lingua, raggiunse la collinetta sotto la peluria, premendo con forza il naso contro di essa nel timore di finire di nuovo dall’altra parte della stanza, e si lascio inebriare dal profumo del suo piacere. Le sue orecchie schiacciate tra i muscoli delle cosce registrarono suoni che gli sembravano gemiti di

piacere, cui rispose con rochi sospiri di assenso. La cabina sembrava invasa da una dose supplementare di ossigeno... o forse era la carenza di ossigeno che lo faceva sentire improvvisamente su di giri come un adolescente? Che importava? Felicemente stordito, scese piu in basso, ansimando ed emettendo grugniti, totalmente rapito dall’ebbrezza del momento. Nell’attimo esatto in cui davanti a lui si schiuse l’umidita tropicale di territori proibiti, gli sembro di udire una dichiarazione d’amore, e sped verso l’alto un «Anch’io», senza fermarsi, ottenendo una risposta incomprensibile. «Ahi! Ahi!» Qualcosa era andato storto. Tim guardo verso l’alto. Nel farlo, commise l’errore di allentare la presa. Amber scalcio come un naufrago sul punto di annegare e lo spinse via. Mentre veniva portato lontano, vide la moglie massaggiarsi il cranio, che evidentemente era andato a cozzare contro lo spigolo della scrivania. Avrebbe dovuto sapere che, nella concitazione dell’acrobazia amorosa, potevano andare alla deriva. Lezione numero uno: non era sufficiente aggrapparsi l’uno all’altra, bisognava anche ancorarsi da qualche parte nella stanza. Non riusc a trattenere una risata. Amber fece una smorfia e aggrotto le sopracciglia. D’un tratto, Tim noto un oggetto. «Guarda la!» strillo. «Cosa?» La donna afferro i capelli del marito e tento di mordergli il naso, ritrovandosi a testa in giu. Tim nuoto come una rana verso il letto, portandosi dietro Amber, ancora capovolta. «Vuoi legarti con le cinghie?» sbuffo lei, diffidente. «Decisamente poco erotico. Come stare in macchina. Non riusciremo quasi a muove...» «No, sciocchina, non con le cinghie del letto. Non capisci?» Il volto di Amber s’illumino. Sopra il letto erano montate alcune maniglie. «Aspetta un attimo. Credo di aver visto qualcosa... » Si diresse all’armadio e inizio a rovistare, poi tiro fuori diversi nastri di un materiale gommoso con un motivo rosso, giallo e verde e una scritta. «LOVE BELT», lesse Amber. Tim sorrise. «Lo vedi? Qualcuno ci ha pensato. Lo sapevo.» Per la prima volta da quando avevano iniziato il viaggio, si sentiva sereno e rilassato, una condizione che, meno di un’ora prima, credeva non sarebbe mai piu riuscito a raggiungere. Non che si fosse completamente dimenticato di Lynn, ma l’aveva confinata in una regione remota del suo cervello, una regione che non partecipava al suo desiderio pulsante di fare l’amore con Amber. «A quanto sembra, dovro legarti i polsi, tesoro. Anzi no, mani e piedi. Come nelle camere di tortura della Santa Inquisizione. » Inizio a infilare i nastri nelle maniglie. «Credo che tu abbia frainteso. Sei tu quello che deve essere legato», gli fece notare lei. «Un momento... Penso che dovremmo discuterne.»

«Credi davvero che lui abbia voglia di discutere?» chiese Amber indicando con un cenno il membro eretto. «Secondo me, ha voglia di qualcosa di ben diverso, e in fretta.» Cinse i polsi di Tim coi nastri di gomma e, ridacchiando, si diede da fare anche coi piedi. Alla fine, lui si ritrovo sospeso in mezzo alla stanza, con le membra distese. Incuriosito, cerco di muovere ginocchia e gomiti e si rese conto che i nastri erano molto elastici. Poteva muoversi senza andare alla deriva. «Pensi che sia stata un’idea di Julian?» chiese Tim. «Scommetto di s.» Amber fluttuo verso il marito e si mise a cavalcioni sulle sue anche. Per un breve momento il sesso della donna resto in equilibrio sopra di lui come sul naso di una foca. «Sono sicura che gli amplessi sono tra le manovre piu complesse nello spazio», sussurro, poi si abbasso su di lui e lo fece entrare dentro di se. Diverse persone avevano avuto la stessa idea, ma solo pochi ebbero la fortuna di metterla in pratica. Anche Eva Borelius e Karla Kramp avevano trovato le cinghie e un modo per usarle, proprio come Mimi Parker e Marc Edwards. Tuttavia, a quest’ultimo, la ridistribuzione di piu di mezzo litro di sangue dalle regioni inferiori a quelle superiori del corpo aveva creato qualche problema in piu che a Tim. Se Bernard Tautou avesse osato avvicinarsi con intenzioni maliziose a Paulette, con ogni probabilita la donna avrebbe infilato la testa del marito nella ormai familiare tazza del WC. Saggiamente Tautou non aveva fatto nulla del genere. Quella notte aveva invece preso la decisione d’interrompere il viaggio, date le pessime condizioni di Paulette. Nella suite 12 si vivevano sofferenze simili, solo che Warren Locatelli non avrebbe mai capitolato davanti a una cosa cos profana come il mal di spazio. Nella suite 38 regnava un pacifico silenzio: gli Ögi stavano sdraiati sul letto, avvinghiati come topi di campagna d’inverno. Un piano piu in alto, Sushma e Mukesh Nair si godevano serenamente il sopraggiungere della notte sull’Isla de las Estrellas. Aileen Donoghue, nella suite 17, aveva messo i tappi per le orecchie, il che dava a Chuck la possibilita di strapazzare le sue vie respiratorie, russando ad altissimo volume. Sul lato opposto del livello, Oleg Rogacev guardava fuori dalla finestra e Olympiada fissava il vuoto davanti a se. «Sai cosa mi piacerebbe sapere?» mormoro lei dopo un po’. Lui scosse la testa. «Come si fa a diventare come Miranda Winter.» «Non si puo diventare come lei. Bisogna esserci nati, cos», replico il marito senza voltarsi. Olympiada sbuffo. «Non sto parlando del suo aspetto. Non sono mica stupida. Vorrei sapere come si fa a diventare cos inattaccabile. Cos insensibile. Mi sembra un sistema im-

munitario ambulante, non c’e nulla che la tocchi, e la spensieratezza in persona... voglio dire, chiama per nome le sue tette, capisci?» Rogacev giro lentamente la testa. «Nessuno t’impedisce d’imitarla. » «Forse ci vuole una buona dose di stupidita per farlo», borbotto Olympiada, come se non lo avesse sentito. «Sai, penso davvero che Miranda sia un po’ stupida. Anzi che sia molto stupida. Di sicuro le manca una qualsiasi forma di istruzione, ma forse questo per lei e un vantaggio. Forse e un bene essere stupidi, e una condizione invidiabile. Stupidi, ingenui e un po’ calcolatori. Si soffre di meno. Miranda ama solo se stessa, mentre io ho ogni giorno la sensazione di versare tutti i miei sentimenti e tutta la mia forza in un vaso bucato. Con una persona come Miranda, le tue cattiverie sarebbero sprecate, Oleg. Come pungere una balena con un ago.» «Io non sono cattivo con te.» «Ah, no?» «No. Sono indifferente. Non offendi qualcuno di cui non t’importa nulla.» «E questa non e una cattiveria, secondo te?» «È la verita.» Rogacev le lancio uno sguardo fugace. Olympiada si era raggomitolata nel suo sacco, legata con le cinghie. Per un breve momento, si chiese come sarebbe stato se il mattino seguente il sacco fosse scoppiato, liberando una farfalla... un’immaginazione audace per la sua fantasia atrofizzata. Ma Olympiada non era un bruco, e lui non aveva la minima intenzione di penetrare nel suo bozzolo. «Sposarti e stato una mossa strategica. Io lo sapevo, tuo padre lo sapeva e anche tu lo sapevi. Percio smettila di compatirti, una buona volta.» «Un giorno cadrai, Oleg. Finirai come un ratto. Come un maledetto ratto», sibilo lei in risposta. Rogacev torno a guardare fuori, totalmente insensibile allo spettacolo del pianeta che si oscurava sotto di loro, e disse in tono piatto: «Trovati un amante». Con grande gioia di Rebecca Hsu, Miranda Winter non aveva pianificato di andare a letto presto. Rebecca, infatti, aborriva la solitudine, benche, a tutti gli effetti, fosse una persona sola. Amava definirsi «una povera donna ricca»: era divorziata due volte, e aveva tre figlie che vedeva pochissimo. Rimaneva alle feste fin quando anche all’ultimo ospite non si chiudevano le palpebre e poi, sfruttando la rete mondiale della sua azienda, attaccava a telefonare in tutti gli angoli del pianeta finche lei stessa non perdeva la guerra contro il sonno. Per tutto il giorno, non appena c’era stata qualche pausa nella fitta agenda d’impegni, aveva discusso al telefono piani marketing, campagne promozionali, acquisti, vendite e partecipazioni e scandagliato il suo impero, ossessionata dal controllo, spaventata dall’idea che fosse stata proprio la sua ossessione per il lavoro ad aver fatto fuggire due mariti e le figlie.

Con Miranda, Rebecca poteva almeno chiacchierare della mancanza di un marito senza cadere in depressione. Inoltre nella cabina di Miranda erano comparsi come per magia alcuni calici di Moet & Chandon, con grande gioia di Rebecca, dal momento che si trattava di un suo marchio. Finn O’Keefe non sapeva cosa pensare o provare. Quindi ascolto un po’ di musica e poi si addormento. Evelyn Chambers era a letto, sveglia. Non aveva la minima voglia di legarsi con le cinghie come se fosse una pazza in manicomio. Per caso aveva trovato i nastri di gomma e si era ancorata alle maniglie vicino alla finestra cos da assaporare la sensazione della caduta libera anche durante il sonno. Ma, quando chiuse gli occhi, il suo corpo parve mettersi a girare vorticosamente e a lei venne la nausea. Non senza fatica, si chino per liberare i piedi dalle cinghie elastiche e solo in quel momento noto la scritta LOVE BELT. Di colpo cap a cosa servivano e si sent invadere da una potente ondata di tristezza, giacche non avrebbe potuto coronare l’entusiasmante esperienza dell’assenza di gravita in modo adeguato. Si domando se qualcuno lo avesse fatto, poi si chiese se lei stessa avrebbe potuto farlo. Il suo pensiero vago da Miranda Winter a Heidrun Ögi... ma Heidrun non era disponibile e Miranda non le piaceva abbastanza. Rebecca Hsu? Per l’amor del cielo! Il suo ardore si spense con la stessa velocita con cui era nato. Tuttavia, da quando la sua bisessualita le era costata la carica di governatore, era piu che mai decisa a divertirsi. Era ancora il personaggio televisivo piu amato e influente d’America. Dopo la sua Waterloo politica, non si sentiva piu vincolata a nessun codice etico. Il suo matrimonio - o, meglio, quello che ne era rimasto - non giustificava una conversione alla monogamia; d’altro canto, il marito sperperava i suoi soldi per intrattenere amichette sempre nuove. Non che cio la disturbasse, comunque, dato che l’amore era finito da tempo. Pero lei non aveva voglia di andare a letto con chiunque. In circostanze particolari, tuttavia... Finn O’Keefe? Forse valeva la pena fare un tentativo. Certo, sarebbe stato divertente sedurre proprio lui... ma il pensiero si perse in fondo alla sua mente. Julian? Di sicuro gli piaceva flirtare con lei. Ma Julian flirtava con chiunque per motivi professionali. A ogni buon conto, lui non aveva legami, a parte la relazione con Nina Hedegaard, ammesso che tale relazione esistesse. Se doveva credere alle parole di Julian, non c’era rischio di ferire qualcuno e di sicuro loro due si sarebbero divertiti. Magari la cosa avrebbe avuto addirittura un seguito. E, se non fosse accaduto, pazienza.

Compose il numero della suite di Julian Orley. Nessuno rispose e il monitor resto nero. Evelyn si sent un’idiota, come se stesse elemosinando un tozzo di pane dal tavolo di qualcun altro, e s’infilo velocemente nel suo sacco. «Sei proprio sicuro?» «S.» «Tautou mi ha appena detto che Madame vorrebbe tornare a casa. Percio abbiamo dei posti liberi.» Julian succhio il drink. «Ah, sciocchezze, dimentica i Tautou. Avremmo un posto anche se decidessero di venire con noi. Per te c’e sempre un posto. » Erano soli nel Picard, illuminato con luci soffuse, e bevevano cocktail analcolici. Pensieroso, Bowie rigiro la bottiglia tra le dita. «Grazie, Julian. Ma preferisco di no, davvero.» «Perche no, accidenti? È la tua occasione per andare sulla Luna. Tu sei l’uomo delle stelle, sei l’uomo caduto dal cielo, Ziggy Stardust. Chi, se non tu? Devi andare sulla Luna!» «Ho settantotto anni.» «E allora? Chi se ne accorge? Una volta, hai detto che vorresti vivere trecento anni. Da questo punto di vista sei ancora un bambino.» Bowie rise. Poi cambio argomento. «Pensi di riuscire a trovare i soldi per un secondo ascensore?» «Ma certo. Vuoi scommettere?» brontolo Julian. «Basta scommesse. Cos’e questa storia dei cinesi? Si dice che ti stiano inondando di offerte.» «Ufficialmente non fanno niente del genere, ma sottobanco mi tartassano senza sosta. Il nome Zheng Pang Wang ti dice qualcosa?» «Forse...» «Mai sentito parlare dello Zheng Group?» Bowie aggrotto le sopracciglia. «S, credo di s. Non e una multinazionale che si occupa di tecnologia?» «Zheng e la forza trainante dei programmi spaziali di Pechino. Un imprenditore privato, leale verso il Partito, anche se questo non conta. Non perde occasione d’infiltrarsi nella mia rete, pero i sistemi di sicurezza reggono, quindi ci sta provando in altri modi. Ovviamente per i cinesi l’ideale sarebbe avere l’esclusiva dei miei sistemi. I soldi li hanno, ne hanno piu degli americani; pero non hanno ne i brevetti per l’ascensore spaziale ne il know-how per costruire i reattori a fusione. Poche settimane fa, a Parigi, ho incontrato il vecchio Pang Wang. È un tipo simpatico. Ha di nuovo cercato di allettarmi coi soldi cinesi e si e appellato alla mia natura cosmopolita, perche in fondo un approvvigionamento energetico ecologico e nell’interesse di tutto il pianeta. Mi ha chiesto se non trovavo indecente veder passare l’elio-3 solo nelle mani

degli americani. Io gli ho domandato cosa avrebbero detto i cinesi se, in seguito, avessi venduto i brevetti anche ai russi, agli indiani, ai tedeschi, ai francesi, ai giapponesi e agli arabi.» «Mi chiedo piuttosto cosa ne penserebbero gli americani», obietto Bowie. «La domanda che mi faccio e un po’ diversa: chi ha il coltello dalla parte del manico? Secondo me, ce l’ho io, ma questa cosa rischia di modificare in modo drastico gli equilibri geopolitici», replico Julian. «È davvero cio che voglio? Per la maggior parte del tempo, ho vissuto praticamente in simbiosi con l’America, a vantaggio di entrambi. Di recente, dopo la crisi lunare, a Washington sono ricomparsi i fantasmi della piccola depressione del 2008-2010. Il timore dei politici e ovvio: concedendo un simile potere a un singolo gruppo imprenditoriale, hanno paura di perdere il controllo della situazione. Ma e un’idiozia, dal momento che sono stato io a dare potere a loro. Li ho messi in condizione di lanciare i loro slogan dalla Luna, impiegando le mie risorse, il mio know-how. Pero loro hanno la fissa di controllare i privati.» Sbuffo. «I governi dovrebbero occuparsi delle infrastrutture, dell’assistenza sanitaria e dell’istruzione. In altre parole, dovrebbero costruire strade, asili, alloggi, ospizi... ma persino in questi casi devono intervenire i privati. Cosa si aspettano, allora? Senza parlare del fatto che si sono dimostrati incapaci di gestire processi globali, impegolandosi in litigi, ritardi e compromessi poco puliti. Nei loro ridicoli trattati, non sono riusciti a regolamentare la tutela dell’ambiente; chiedono a gran voce sanzioni contro gli Stati corrotti e guerrafondai, ma nessuno li ascolta; potenziano gli armamenti e bloccano i rispettivi mercati. I russi non hanno piu soldi per i progetti spaziali da quando la Gazprom e alle corde, pero ne avrebbero ancora abbastanza per acquisire da me e dagli americani i diritti d’uso del prossimo ascensore spaziale. Avremmo un altro concorrente sulla Luna. Non sarebbe neanche cos male, secondo me.» «Tuttavia gli americani non sono d’accordo con te.» «No, infatti. Pero loro hanno me. È vero, insieme non abbiamo bisogno di nessun altro e, in una situazione del genere, Washington cerca di mettermi sotto e chiede piu trasparenza.» «Come intendi muoverti? Cercherai di portare i russi dalla tua parte senza la benedizione degli Stati Uniti?» «Se gli americani non vogliono partecipare al gioco e continueranno a bloccare le mie idee... Be’, hai visto, ho invitato ospiti illustri. Zheng ha ragione, ma non nel senso che crede lui. In effetti mi disturba il fatto che il progetto non avanzi. La concorrenza ravviva il mercato. Certo, troverei sgradevole passare dagli americani ai cinesi perche non cambierebbe nulla: gli stessi idioti da entrambe le parti. Ma offrire l’ascensore a tutte le nazioni... confesso che l’idea mi tenta.» «E l’hai detto a Zheng?»

«S, e lui mi ha guardato prima come se avesse capito male e poi come se fosse stato lui a scatenare la mia fantasia in quella direzione. Si sopravvaluta. È un’idea che covo da tempo.» «Lo sai che stai giocando col fuoco, vero?» disse Bowie, dopo averci riflettuto un po’. «Col fuoco del sole. Col fuoco dei reattori. Sono abituato al fuoco», rispose Julian, imperturbabile. «I tuoi amici americani lo sanno?» «Forse immaginano qualcosa. I nomi di chi ho invitato sulla Luna non sono un segreto.» «Di certo sai come farti dei nemici.» «Io viaggio con chi mi pare: parliamo del mio ascensore, della mia stazione spaziale, del mio hotel sulla Luna. Ovviamente non ne sono affatto felici, ma chi se ne importa? Che mi facciano offerte migliori e la smettano coi loro giochetti.» Julian aspiro la bibita dalla sua bottiglia e si passo la lingua sulle labbra. «Buono, non trovi? Sulla Luna avremo vino leggermente alcolico. Una cosa assurda, 1,8 gradi, pero buono come un vino ad alta gradazione. Sei proprio sicuro di volertelo perdere?» «Non ti arrendi mai, eh?» Bowie rise di nuovo. «Mai», rise Julian di rimando. «Arrivi tardi. Non mi fraintendere, amo la vita, e indubbiamente troppo breve, su questo hai ragione. Arrivare a trecento anni sarebbe fantastico, soprattutto di questi tempi. Pero... insomma... » «... alla fine l’alieno si e trasformato in un terrestre», concluse Julian con un sorriso. «Non sono mai stato nient’altro che questo.» «Tu eri l’uomo caduto dal cielo.» Bowie passo una mano tra i capelli. «No. Ero solo un ragazzo che mascherava i suoi problemi con un travestimento, come a dire: ’Scusate se non sono bravo a comunicare, ma io vengo da Marte...’ Sai, per tutta la vita ho assorbito con entusiasmo tutto quello che infiammava ed elettrizzava il mondo, ho collezionato mode e tendenze come altri collezionano opere d’arte o francobolli. Puoi chiamarlo ’atteggiamento eclettico’, se vuoi, e forse e stato il mio talento piu grande. Non sono mai stato un vero innovatore; piuttosto un amministratore del presente, un costruttore in grado di abbinare sentimenti e tendenze in modo che formassero qualcosa di nuovo. Guardandomi indietro, direi che probabilmente era questo il mio modo di comunicare: ’Ehi, gente, so cosa state provando, sentite qua, ci ho scritto una canzone!’ Ma, per molto tempo, non sono stato in grado di parlare con qualcuno. Non sapevo come fare, non sapevo nemmeno come gestire una semplice conversazione. Avevo paura delle relazioni, ero incapace di ascoltare. Per una persona cos, il palcoscenico o, meglio, il mondo dell’arte e la piattaforma perfetta, perche e ideale per i monologhi. Tu raggiungi chiunque, ma nessuno puo arrivare a te. Sei un messia, un idolo. E anche per questo non puoi

far avvicinare nessuno, altrimenti si scoprirebbe che sei soltanto timido e insicuro. Cos, col tempo, ti trasformi davvero in un alieno. Non devi nemmeno indossare un costume, anche se aiuta. Quando ti senti a disagio con gli altri, come mi accadeva all’epoca, fai dello spazio la tua patria d’elezione, cerchi risposte in esseri superiori e fingi di essere tu stesso una creatura soprannaturale.» Julian diede un colpetto alla bottiglia, la fece volare in alto e poi la riprese. «Suona terribilmente adulto», commento. «Sono terribilmente adulto», rise Bowie. «Ed e grandioso. Credimi, questa infinita caccia al tesoro per scoprire cosa lega gli esseri umani e l’universo, perche veniamo al mondo e dove andiamo quando moriamo, cosa da senso alla nostra vita, se esiste un senso... Voglio dire, adoro i film di fantascienza, Julian, e adoro quello che hai creato qui. Pero tutta la storia dello spazio e sempre stata solo una metafora, per me. Mi e sempre importato di piu della ricerca spirituale. Le religioni erano troppo rozze per i miei gusti, piene di limiti e divieti. Non volevo farmi dire da qualcun altro cosa dovessi cercare e come farlo. Puoi chiudere Dio in un rituale oppure interpretarlo. Quest’ultima via non e tracciata, devi cercarla da solo. Io l’ho fatto, e mi sono procurato sempre nuove tute spaziali per esplorare questo cosmo vuoto e infinito, nel quale speravo d’incontrare me stesso, come uomo delle stelle, Ziggy Stardust, Aladdin Sane, Major Tom... E poi, un bel giorno, sposi una donna stupenda, ti trasferisci a New York e improvvisamente capisci: la fuori non c’e proprio nulla, e tutto qui, sulla Terra. Incontri gente, chiacchieri, comunichi, e quello che ti costava tanta fatica diventa improvvisamente facile. Le tue paure si sgonfiano fino a diventare banali preoccupazioni. Il flirt con la morte, il pathos di canzoni come Rock’n’Roll Suicide si rivelano per quello che sono: il capriccio di un adolescente senza esperienza e senza prospettive. Non ti svegli piu col terrore di diventare matto, non rimugini piu sulla miseria dell’esistenza umana, ma ti ritrovi a pensare al futuro dei tuoi figli. E inizi a chiederti cosa diavolo andavi cercando nello spazio. Capisci? Sono atterrato. Non mi ero mai divertito tanto a vivere sulla Terra, tra gli esseri umani. Se la salute mi assiste, potro godermi tutto questo ancora per qualche anno. D’accordo, saranno ancora dieci o dodici e non trecento, ragione di piu per assaporare ogni singolo istante. Dammi una sola buona ragione per cui, adesso che finalmente sono arrivato a casa, dovrei lasciarla per andare sulla Luna.» Julian riflette. Gli venivano in mente mille ragioni per cui lui voleva andare sulla Luna, ma nemmeno una che avrebbe potuto convincere l’uomo anziano seduto di fronte a lui. Peraltro Bowie non aveva affatto l’aspetto di un vecchio. Al contrario, sembrava rinato. I suoi occhi erano pieni di curiosita, come sempre; ma il suo non era lo sguardo di un osservatore extraterrestre. Era quello di un abitante della Terra. È questa la differenza tra noi, penso Julian. Io sono sempre stato un individuo concreto e in prima linea. Sono sempre stato un grande

comunicatore, immune a paure e dubbi. Poi si chiese cosa sarebbe successo se un giorno avesse capito che l’impresa spaziale di cui lui era protagonista era servita unicamente ad avvicinarlo di piu alla Terra, e se ne sarebbe stato felice. O forse era solo un alieno egocentrico, incapace addirittura di comprendere cosa succedeva ai propri figli. Come l’aveva definito Tim? Ah, gia: «superbo». Julian fece una smorfia. Poi rise anche lui, in modo un po’ forzato, alzo la bottiglia e brindo a Bowie. «Salute, amico mio», disse. Poco tempo dopo, Amber apr gli occhi e vide che la Terra era scomparsa. Fu pervasa dall’angoscia. La notte precedente non si era mai svegliata e, la mattina, il pianeta era la dove doveva essere... o almeno una meta di esso lo era. Adesso invece non se ne intravedeva nemmeno uno spicchio. Certo che no. Sull’emisfero del Pacifico era notte, e le luci della civilizzazione non erano visibili da quell’altezza. Non c’era motivo di allarmarsi. Giro la testa. Accanto a lei, Tim fissava l’oscurita. «Che succede, mio eroe? Non riesci a dormire?» sussurro. «Ti ho svegliato?» «No, mi sono svegliata da sola.» Si accoccolo contro di lui e appoggio la testa sulla sua spalla. «È stato bello», sussurro lui. «Oh, e stato bello con te. Qualcosa ti preoccupa?» «Non lo so. Forse Julian ha ragione. Forse vedo fantasmi ovunque.» Lei tacque per qualche istante, poi disse: «No, non credo. È un bene che tu tenga gli occhi aperti. Solo che, se continuerai a trattarlo come un nemico, lui si comportera come tale». «Non lo tratto come un nemico.» «Pero non sei neanche il campione mondiale di diplomazia. » Lui rise. «È vero. Non lo so, Amber. Ho un brutto presentimento. » «È l’assenza di gravita», mormoro lei, quasi addormentata. «Cosa potra mai accadere?» Tim non rispose. Amber sbatte le palpebre, alzo la testa e si rese conto di essersi sbagliata. Sul bordo destro del globo era visibile una sottile falce azzurrognola. Andava tutto bene. La Terra era ancora al suo posto. «Dormi, amore mio», avrebbe voluto dire, ma la stanchezza la travolse, impedendole quasi di pensare. Prima di cadere in un sonno profondo, nella sua mente si formo l’immagine di un telo nero che ricopriva entrambi. Poi piu nulla. Carl Hanna non riusciva a dormire, ma non ne aveva bisogno. Accarezzo gli oggetti a uno a uno, li osservo con sguardo critico da ogni angolazione, poi li prese e li ripose con cura

al loro posto: il piccolo flacone di dopobarba, il bagnoschiuma, lo shampoo, i tubetti delle creme per il viso, la schiuma da barba, le confezioni di medicinali contro il mal di testa, la nausea e i problemi intestinali, i bastoncini di cotone, i tappi modellabili per le orecchie, lo spazzolino da denti e il dentifricio. Aveva messo in valigia persino il filo interdentale, la forbicina per le unghie, una lima, uno specchietto, il suo tagliacapelli elettrico e tre palline da golf. Le Orley Towers disponevano di un campo da golf, gli aveva detto Lynn, lo Shepard’s Green, e lui giocava bene a golf. Inoltre ci teneva a fare buona impressione. Tuttavia, a parte quello, niente di cio che aveva tra le mani era davvero quello che sembrava. Nemmeno la chitarra era davvero una chitarra. E Carl Hanna non era affatto chi sosteneva di essere. Quello non era nemmeno il suo nome. E il suo curriculum era pura finzione. Penso a Vic Thorn. Si sarebbero aspettati di tutto, ma non che Thorn avesse un incidente. La sua missione era stata pianificata nei minimi dettagli da moltissimo tempo. Non doveva neppure esserci la possibilita che qualcosa andasse storto. Poi un minuscolo frammento di Space debris aveva cambiato tutto nel giro di pochi secondi. Hanna guardo dalla finestra. Thorn era la fuori, da qualche parte. Era entrato a far parte del cosmo, si era trasformato in un asteroide dalla traiettoria sconosciuta. Molti ipotizzavano che fosse rimasto intrappolato nel campo gravitazionale terrestre ma, in tal caso, la salma avrebbe ciclicamente incrociato l’orbita della stazione. Invece Thorn era scomparso. Forse un giorno lontano sarebbe precipitato nel Sole. O, piu probabilmente, sarebbe stato catturato dall’orbita di un altro pianeta abitato da intelligenze aliene, di l a qualche milione di anni, suscitando un’enorme sorpresa. Hanna prese un deodorante roll-on, tolse il cappuccio, lo rimise e poi ripose l’oggetto al suo posto. Stavolta avrebbe funzionato. Limit 25 MAGGIO 2025 L’INCARICO XNTINDÌ, SHANGHAI, CINA Chén Hongbng attraverso l’ingresso piegando la schiena, com’e tipico delle persone la cui statura sembra in costante conflitto con gli stipiti delle porte e i lampadari che penzolano dal soffitto. Era un uomo straordinariamente alto per essere un cinese. D’altro canto, non si poteva certo rimproverare all’architetto di quella shkumen di non essersi preoccupato delle misure. L’architrave della porta misurava ben tre metri, pertanto non era necessario curvare le spalle, né abbassare la testa avvicinando il mento allo sterno. Nel complesso, Chén aveva un aspetto smunto e ossequioso. Gli occhi sembravano costantemente all’erta, come se lui si as-

pettasse di prendersi una randellata da un momento all’altro. Jericho aveva l’impressione che quell’uomo avesse passato la vita a parlare da seduto con persone in piedi. Sempre che quello fosse Chén Hongbng. Il visitatore sfioro lo stipite della porta con la punta delle dita - quasi volesse assicurarsi una solida presa nell’eventualita di un crollo improvviso -, guardo confuso il mucchio di scatoloni che ingombravano la stanza e varco la soglia con la cautela di un funambulo. L’ambiente era rischiarato da un luminosissimo sole di mezzogiorno, una scultura di luce in cui vorticavano miliardi di granelli di polvere. Chén socchiuse le palpebre. In quel cono di luce, sembrava un fantasma. Appariva piu giovane di come glielo aveva descritto Tu Tian. La pelle sugli zigomi, sulla fronte e sul mento era tesa, come se quel volto fosse inattaccabile ai segni del tempo. Solo intorno agli occhi si diramava un raffinato macrame di piccole rughe. Jericho le immagino testimoni di una vita faticosa. «Ta wei wo ch-le hen duo ku», aveva detto Tu Tian. «Hong-bng ha ingoiato amarezza per un sacco di anni, Owen. Ogni mattina gli risale l’esofago e lui la ricaccia giu. Un giorno lo soffochera. Aiutalo, xiongdì.» Aveva «ingoiato amarezza». In Cina, persino la disperazione poteva essere mangiata. Jericho guardo indeciso il cartone che aveva tra le mani e si chiese se fosse meglio appoggiarlo sulla scrivania come stava per fare o se riporlo di nuovo sul mucchio. Chén non era arrivato in un buon momento. Non lo aspettava cos presto. Tu Tian aveva parlato di una visita pomeridiana, e non era neanche mezzogiorno. Lo stomaco di Jericho brontolava, la fronte e il labbro superiore brillavano di sudore. Ogni volta che si passava la mano sul viso e sui capelli, la polvere si mischiava al sudore, conferendogli un aspetto tutt’altro che dignitoso per una persona che stava per trasferirsi nel lussuoso ed esclusivo quartiere di Xntiand. La barba di tre giorni non migliorava certo la situazione. Con addosso una T-shirt di cui ormai si poteva solo intuire il colore originario, uno straccio reso appiccicoso dalla temperatura che sfiorava i 37 °C e un’umidita percepita pari al 99,9 per cento, praticamente a digiuno da ventiquattr’ore, Jericho non desiderava altro che terminare il trasloco al piu presto. Ancora una scatola, uno spuntino al Taikang Lu, poi le casse rimanenti, una doccia, la barba... Quello era stato il suo programma. Ma, quando vide Chén entrare nella luce polverosa della sua casa, cap di non poter chiedere al visitatore di tornare piu tardi. Chén era una di quelle persone che, se le mandi via, ti perseguitano nei sogni. Inoltre una simile eventualita era fuori discussione anche per una sorta di riguardo verso Tu Tian. Jericho ripose lo scatolone sul mucchio e sfoggio un sorriso della categoria B: cordiale ma distaccato. «Chén Hongbng, suppongo.» Il suo interlocutore lancio un’occhiata sgomenta agli scatoloni e ai mobili stipati in un angolo. Tossicchio. Poi indietreggio di un passo. «Sono arrivato in un momento inopportuno.»

«Assolutamente no.» «Mi trovavo in zona... Ma se disturbo posso tornare...» «Lei non disturba affatto.» Jericho si guardo intorno, prese una sedia e la sistemo davanti alla scrivania. «Si accomodi, onorevole Chén, faccia come se fosse a casa sua. Ho appena traslocato, ecco perché questo caos. Posso offrirle qualcosa?» No, non puoi, penso subito dopo. Per farlo, avresti dovuto fare la spesa. Ma tu sei un uomo. Quando traslocano le donne, si preoccupano di riempire il frigorifero prima ancora che l’ultimo scatolone venga scaricato; se non c’e un frigorifero, ne comprano uno e lo mettono in funzione. Poi gli venne in mente la bottiglia di succo d’arancia mezza piena. Pero si trovava sul davanzale della finestra del soggiorno dal mattino precedente, il che significava che era stata esposta al sole per due giorni interni e che al suo interno, con ogni probabilita, si erano gia sviluppate forme di vita intelligenti. «Caffe? Te?» «Grazie, molte grazie.» Chén si accomodo sul bordo della sedia e si dedico all’osservazione delle proprie ginocchia. L’effettivo contatto tra il suo corpo e la sedia sarebbe stato a malapena misurabile. «Qualche minuto del suo tempo e piu di quanto io possa aspettarmi, date le circostanze.» Un orgoglio impacciato accompagnava le sue parole. Jericho ando a prendere una seconda sedia, la piazzo accanto a quella di Chén e indugio. In realta, lo spazio davanti alla scrivania spettava a due comode poltrone, entrambe a portata di mano, ma ancora imballate nella plastica chiusa col nastro adesivo. «È un piacere per me poterla aiutare», disse, accentuando il sorriso. «Ci prenderemo tutto il tempo necessario.» Chén scivolo lentamente all’indietro sulla sedia e si appoggio con cautela allo schienale. «È molto gentile da parte sua.» «E lei non e comodo. Mi scusi infinitamente. Mi permetta di farla accomodare su qualcosa di piu confortevole. È tutto ancora imballato, ma...» Chén sollevo il capo e lo guardo con gli occhi socchiusi. C’era qualcosa in lui che irritava Jericho. All’improvviso comprese: tutto sommato, Chén era un bell’uomo. In passato, doveva essere stato uno di quegli uomini che le donne consideravano affascinanti. Fino al giorno in cui qualcosa non aveva affilato i suoi tratti proporzionati, trasformando il suo viso in una maschera grottesca del tutto priva di mimica facciale. Si capiva dal modo nervoso con cui di tanto in tanto socchiudeva le palpebre. «Non permettero assolutamente che a causa mia lei debba...» «Sarebbe un grande onore per me.» «Assolutamente no.» «Devo comunque toglierle dall’imballaggio.»

«Certo che deve farlo, ma nel momento che scegliera lei.» Chén scosse il capo e si alzo. Le sue articolazioni scricchiolarono. «La prego. Sono arrivato molto in anticipo, l’ho interrotta nel bel mezzo dei lavori e di certo lei non e affatto entusiasta di vedermi.» «Ma certo che s. Sono contento della sua visita.» «No, farei meglio a tornare piu tardi.» «Non potrebbe esserci momento piu opportuno. La prego, resti.» «Non posso pretendere che lei mi riceva. Se solo avessi saputo... » Eccetera, eccetera. In teoria, il gioco poteva continuare all’infinito. Non che uno dei due nutrisse dubbi sulla reale posizione dell’altro. Chén sapeva benissimo che aveva sorpreso Jericho in un momento inopportuno, e le dimostrazioni del contrario non servivano certo a cambiare la situazione. Jericho, da parte sua, era altrettanto consapevole che Chén sarebbe stato piu comodo su un letto di chiodi che su una qualsiasi delle sue sedie da cucina. La colpa era delle circostanze. La presenza di Chén era la conseguenza di un complesso sistema di favori che si rincorrevano all’infinito, e lui provava una profonda vergogna perché sapeva di aver commesso un errore. Si trovava in quel posto per via di uno di quei favori, era stupidamente arrivato troppo presto e nel bel mezzo di un trasloco, creando imbarazzo alla persona che lo aveva mandato e mettendo l’uomo che doveva riceverlo nella sgradevole situazione di dover interrompere il suo lavoro. Sapeva che Jericho non avrebbe mai rimandato il loro colloquio, ora che era l. Il rituale delle gentilezze prevedeva una sequenza illimitata di: «No», «Ma s», «Assolutamente no», «Certo che s, sarebbe un onore», «Non se ne parla», «Ma s», «No», «Invece s!» Padroneggiare quel gioco richiedeva anni e anni di allenamento. Se eri un pengyou, un «conoscente» utile da un punto di vista sociale, giocavi in un modo. Se eri uno xiongdì, un «amico del cuore», le regole del gioco cambiavano. Status sociale, eta e sesso, oggetto della conversazione, ogni dettaglio sottostava alle rigide regole del codice delle buone maniere. Tu Tian, per esempio, aveva chiesto quel favore a Jericho senza troppi fronzoli e aveva tagliato corto chiamandolo xiongdì. Con uno spirito affine ci si poteva tranquillamente risparmiare il balletto diplomatico. Forse lo aveva fatto perché a Chén ci teneva davvero, o forse solo perché non voleva interrompere troppo a lungo la partita a golf, il cui esito peraltro era piu che scontato. Quando aveva accennato alla cosa, i cumulonembi nel cielo lasciavano filtrare un caldo sole pomeridiano, che tingeva l’ambiente con colori degni della pittura paesaggistica del Rinascimento italiano. Dopo due giorni di pioggia incessante, finalmente era uscito il sole. «Owen, so che ne hai fin sopra i capelli del trasloco e in condizioni normali non oserei importunarti...» aveva detto Tu Tian. Poi aveva guardato il cielo, estratto il Big Bertha e concluso: «... ma forse potresti farmi un favore, xiongd».

Tu Tian, campo da golf Tomson Shanghai Pudong, due giorni prima, massima concentrazione. Di qualunque cosa si trattasse, Jericho sapeva di dover aspettare. In quel momento, Tu Tian era su un altro pianeta e si stava preparando per un potente drive. Uno slancio ritmico era partito dalla schiena; muscoli e articolazioni vibravano in armonia. Jericho era bravo e, da due anni, aveva l’onore di giocare sui campi migliori di Shanghai, quando persone come Tu Tian lo invitavano. Altrimenti giocava al Lu Chao Harbour City Club, un green rinomato, ma dai costi abbordabili. Tuttavia Jericho sapeva che non sarebbe mai riuscito a raggiungere nemmeno lontanamente il livello di Tu Tian, il quale sembrava possedere una predisposizione naturale per quello sport. Entrambi avevano iniziato piuttosto tardi a lanciare palline bianche alla velocita di duecento chilometri orari mirando a piccole buche nel terreno. Tuttavia, la prima volta che aveva messo piede su un campo da golf, Tu Tian aveva vissuto una specie di ritorno alle origini. Il suo modo di giocare era impeccabile, abile ed elegante. Per Tu Tian, giocare a golf era stato sin dall’inizio naturale come lo e il nuoto per i neonati. Lui era il gioco del golf. Jericho aveva osservato l’amico mentre colpiva la palla, facendole disegnare una parabola perfetta. Tu Tian era poi rimasto immobile per qualche secondo nella posizione di tiro e infine aveva abbassato lentamente il Big Bertha con espressione soddisfatta. «Parlavi di un favore», aveva detto allora Jericho. «Come?» Tu Tian aveva corrugato la fronte. «Ah, s, niente di particolare, sai com’e.» Si era messo in marcia, seguendo con lo sguardo la traiettoria della pallina. Jericho gli si era affiancato. Ancora non sapeva di cosa si trattasse, ma aveva il presentimento che non sarebbe stata una passeggiata. «Che problema ha quest’uomo?» aveva chiesto, fissando il cielo blu. «O si tratta di una donna?» «È un uomo, un amico. Si chiama Chén Hongbng.» Tu Tian aveva sorriso. «Ma non e questo il problema che devi risolvere per lui.» Jericho aveva colto l’amaro doppio senso dell’osservazione. Quel nome era come una barzelletta di cattivo gusto. Era molto probabile che Chén fosse nato negli anni ’60 del secolo precedente, quando le Guardie Rosse seminavano il terrore nel Paese e i neonati venivano chiamati coi nomi piu astrusi in onore della Rivoluzione e del Grande Presidente Mao. All’epoca, non era raro imbattersi in bambini che portavano nomi altisonanti come «Abbasso l’America», «Onore al Presidente» o «Lunga Marcia ». In realta, era stata la paura a dettare quelle scelte. Prima del 1969, quando l’Esercito Popolare di Liberazione aveva messo fine alle prepotenze delle Guardie Rosse, nessuno poteva sapere chi avrebbe dominato la scena politica. Tre anni prima, Mao Zédong era sceso in piazza Tian’anmén insieme coi comuni

mortali e si era fatto mettere una fascia rossa intorno al braccio, ponendosi cos a capo delle Guardie Rosse, un mucchio selvaggio composto da un milione di fanatici, perlopiu adolescenti, fuggiti dalle scuole e dalle universita, che rapavano a zero i loro insegnanti, li picchiavano e li trascinavano in giro come asini, perché chiunque mostrasse di possedere un minimo di cultura e non fosse un contadino o un operaio veniva giudicato un intellettuale e quindi un sovversivo. L’incubo era finito solo nella primavera del 1969... o, meglio, era finito quell’incubo, visto che la cosiddetta Banda dei Quattro stava gia tramando nell’ombra. Come le loro vittime, le Guardie Rosse erano state rinchiuse nei campi di rieducazione e, a detta di molti cinesi, cio non aveva fatto che peggiorare la situazione. Jiang Qng, la moglie di Mao, in pieno delirio culturale, si stava preparando a compiere alcune tra le peggiori atrocita della storia della Cina. Ma almeno la gente aveva ripreso a dare nomi normali ai figli. Secondo Jericho, Chén doveva essere venuto al mondo tra il 1966 e il 1969: anni in cui il suo nome era tanto frequente quanto i vermi nell’insalata. Hongbng significava «Soldato Rosso». Tu Tian aveva rivolto lo sguardo al sole. «Hongbng ha una figlia.» Lo aveva detto come se quel semplice fatto fosse sufficiente a giustificare il racconto della storia. Gli si erano illuminati gli occhi, poi si era ricomposto. «È molto bella, ma purtroppo anche molto sconsiderata. Due giorni fa, e sparita senza lasciare traccia. In genere, lei si fida di me... Mi verrebbe da dire che si fida piu di me che di suo padre. Non e la prima volta che scompare, pero le altre volte almeno avvertiva. Lui, me o uno dei suoi amici.» «Cosa che stavolta ha tralasciato di fare.» «O non ne ha avuto l’occasione. Hongbng e assai preoccupato, e non ha torto. Yoyo ha la tendenza a dar fastidio alle persone sbagliate. O, se vuoi, a quelle giuste.» Con quelle parole, Tu Tian aveva sinteticamente delineato la situazione. Jericho aveva arricciato le labbra. Sapeva benissimo cosa doveva fare. Oltretutto il nome di Yoyo aveva smosso qualcosa dentro di lui. «E io dovrei cercare la ragazza?» «Mi faresti un grosso piacere se accettassi di ricevere Chén Hongbng.» Tu Tian aveva avvistato la sua pallina e accelerato il passo. «Ovviamente solo se ne hai la possibilita.» «Che cos’ha combinato, di preciso?» aveva chiesto Jericho. «Yoyo, intendo.» L’altro si era portato accanto al piccolo oggetto bianco intravisto fra l’erba, aveva guardato Jericho negli occhi e poi aveva sorriso. Il suo sguardo diceva: «Adesso la metto in buca». Jericho aveva ricambiato il sorriso. «Sara un onore per me. Dillo pure al tuo amico.» Tu Tian aveva annuito, come se non si fosse aspettato una risposta diversa. Poi, dopo aver chiamato Jericho xiongd una seconda volta, si era completamente dedicato al putter e alla pallina.

I cinesi della nuova generazione avevano in gran parte abbandonato il codice delle buone maniere. I loro modi si erano globalizzati. In caso di bisogno, in genere, si poteva arrivare al sodo senza troppi giri di parole. Con Chén Hongbng chiaramente non sarebbe stato cos. Il suo aspetto testimoniava l’appartenenza alla vecchia Cina, quel Paese in cui esistevano mille modi per perdere la faccia. Jericho indugio, poi gli venne un’idea su come risolvere l’intoppo e tirar fuori Chén dall’imbarazzo. Si chino, prese un taglierino dalla cassetta degli attrezzi accanto alla scrivania e inizio ad affondarlo con gesti rapidi nella plastica da imballaggio per liberare una delle poltrone. Chén sollevo le mani con orrore. «La prego. È alquanto imbarazzante per me...» «Non deve sentirsi in imbarazzo», esclamo Jericho in tono allegro. «A dirla tutta, vorrei approfittare del suo aiuto. Nella cassetta degli attrezzi c’e un altro taglierino. Cosa ne dice di unire le forze per rendere un po’ piu vivibile questa baracca?» Era una mossa a sorpresa. Stava offrendo a Chén una via d’uscita dal pasticcio in cui si era cacciato da solo. «Tu aiuti me, io aiuto te.» «Tu dai un contributo al mio trasloco che permettera a entrambi di stare seduti piu comodi e io aiuto te a salvare la faccia.» Un classico do ut des. Chén sembro titubante. Si gratto la testa, poi si alzo dalla sedia, pesco il taglierino dalla cassetta e inizio a disimballare l’altra poltrona. A mano a mano che tagliava, si rilasso. «Apprezzo davvero molto la sua disponibilita. Purtroppo Tian non ha avuto l’opportunita d’informarmi del suo trasloco.» Che, in parole povere, significava: «Quell’idiota non mi ha detto niente». Jericho scrollo le spalle e tolse il foglio protettivo dalla sua poltrona. «Non ne sapeva niente.» Anche quella era una bugia, ma cos entrambi avevano dimostrato il loro rispetto per Tu Tian e potevano finalmente dedicarsi a questioni piu importanti. Trascinarono le poltrone davanti alla scrivania. «Niente male.» Jericho ridacchio. «Adesso avremmo solo bisogno di recuperare un po’ di energie. Potrei andare a prendere del caffe. Qui sotto c’e una pasticceria dove fanno...» «Non si disturbi», lo interruppe Chén. «Vado io.» Eh, gia, il gioco. «Non se ne parla.» «Invece s.» «Ma no, e un piacere per me, lei e mio ospite.» «E lei mi ha ricevuto in anticipo. Come le ho gia detto...» «È proprio il minimo che posso fare per lei. Come gradisce il suo caffe?» «E lei come gradisce il suo?»

«Davvero gentile, ma...» «Le faccio mettere della noce moscata?» Era la nuova moda. L’inverno precedente, con l’idea della noce moscata nel caffe, Starbucks aveva evitato il fallimento. Adesso tutti bevevano caffe alla noce moscata giurando che avesse un sapore delizioso. A Jericho torno in mente la moda dell’«Espresso-Schuan», che aveva invaso l’intero Paese pochi anni prima e aveva trasformato il gusto del caffe italiano nella variante asiatica dell’inferno dantesco. Una volta, aveva osato assaggiarlo, appoggiando appena le labbra al bordo della tazza, e per due giorni aveva avuto la sensazione che gli si staccasse la pelle dalla bocca. Si rassegno. «Un normalissimo cappuccino sarebbe perfetto. La pasticceria e proprio qui in fondo a sinistra. » Chén annu. Poi, all’improvviso, sorrise. La pelle del viso si tese al punto da far temere a Jericho che potesse lacerarsi. Ma era un sorriso sincero, aperto e luminoso. «Yoyo non e il suo vero nome», spiego Chén mentre sorseggiavano il caffe. Nel frattempo, il condizionatore aveva iniziato a lavorare a pieno ritmo per portare l’ambiente a una temperatura quantomeno sopportabile. Chén stava seduto sul bordo della morbida poltrona in pelle come se si aspettasse che quella lo scagliasse lontano da un momento all’altro. Tuttavia, paragonato all’uomo che aveva varcato la soglia mezz’ora prima, adesso appariva quasi rilassato. «Quale sarebbe?» «Yuyun.» «’Nuvola di giada.’» Jericho sollevo le sopracciglia in segno di approvazione. «Bellissimo nome.» «Se sapesse quanto ci ho riflettuto! Doveva essere un nome semplice, fresco, pieno di poesia, pieno di...» Lo sguardo di Chén si velo e si perse nel vuoto. «Armonia», concluse Jericho. «S.» «E perché si fa chiamare Yoyo?» «Non lo so.» Chén sospiro. «So davvero troppo poco di lei, ecco qual e il problema. Non si puo affermare di conoscere una persona solo perché la si etichetta in qualche modo. La scritta non dice nulla del contenuto. Cosa sono i nomi, in fondo? Esortazioni alla resistenza per i dispersi, nel migliore dei casi. Eppure si spera sempre nelle eccezioni, chissa, magari il proprio figlio... Si e come frastornati. Come se i nomi avessero mai fatto la differenza. Come se un nome avesse mai rispecchiato la personalita di chi lo porta!» Sorseggio rumorosamente il caffe.

«E Yoyo-Yuyun e scomparsa.» «Continuiamo pure a chiamarla Yoyo. Solo io la chiamo Yuyun, e nessun altro. S, sono due giorni che non la vedo né la sento. Tu Tian non le ha raccontato niente?» «Mi ha solo accennato qualcosa.» Per motivi inspiegabili, quel fatto sembro rallegrare Chén. Poi Jericho comprese. Tu Tian gli aveva detto: «Mi verrebbe da dire che si fida piu di me che di suo padre». Quale che fosse il filo che legava Tu Tian e Chén, per quanto stretto fosse il legame tra i due, l’affetto di Yoyo per Tu Tian era un ostacolo tra loro. Chén aveva appena ottenuto la rasserenante certezza che nemmeno Tu Tian sapeva tutto, stavolta. «L’altro ieri avevamo un appuntamento a pranzo nella Liao-nng Lu. Ho aspettato piu di un’ora, ma lei non si e presentata. All’inizio ho pensato che fosse per via della nostra discussione, insomma che fosse ancora arrabbiata, ma poi...» «Avevate litigato?» «Una decina di giorni fa, mi ha messo davanti al fatto compiuto che se ne andava di casa. Non aveva ritenuto necessario chiedere il mio consiglio, né voleva aiuti da parte mia. Quindi ci siamo evitati, per un po’.» «Lei non era d’accordo?» «Il passo mi sembrava un po’ precipitoso e gliel’ho detto in modo molto chiaro. Non c’era nessun motivo perché se ne andasse. E ho aggiunto che a casa sarebbe stata sicuramente meglio che in quel covo di delinquenti che frequenta da anni. Che di certo non stava facendo un favore a se stessa, con quella gente... insomma che non mi sembrava una mossa saggia...» Chén fisso il bicchiere che aveva in mano. Per un attimo calo il silenzio. Galassie di polvere prendevano forma per poi disperdersi nella luce solare. A Jericho prudeva il naso, ma lui decise di trattenere lo starnuto. Continuava a chiedersi dove avesse gia sentito il nome di Yoyo Chén. «Yoyo e una ragazza piena di talento», continuo Chén a voce bassa. «Forse le ho davvero posto troppe limitazioni. Ma non avevo scelta. Provocava gente importante e la cosa stava diventando sempre piu pericolosa. Gia cinque anni fa l’hanno... perché aveva ignorato i miei consigli...» «Cosa aveva combinato?» «Aveva ignorato tutte le mie raccomandazioni.» «S, capisco. Ma non e un reato. O e per questo che l’hanno arrestata?» Chén socchiuse le palpebre, diffidente. «Io non mi sono espresso in modo cos esplicito.» Jericho corrugo la fronte. Si chino in avanti, un le mani e guardo Chén dritto negli occhi. «Ascolti, io non voglio metterla in imbarazzo. Ma cos non andiamo avanti. Lei non e certo venuto qui per raccontarmi che sua figlia ha ricevuto un’onorificenza dal Partito. Parliamoci

chiaro, allora. Cos’ha fatto?» «Lei ha...» Chén sembrava alla ricerca di una frase in cui non comparissero parole come «critica» e «regime». «Posso avanzare un’ipotesi?» Chén tentenno, poi annu. «Yoyo e una dissidente.» Jericho sapeva che le cose stavano cos. Dove cavolo aveva sentito il suo nome? «Critica il sistema, forse su Internet. E lo fa da anni. Ha gia attirato piu volte l’attenzione delle autorita, ma fino all’altro ieri se l’e cavata senza grossi problemi. Ora potrebbe essere successo qualcosa. E lei e preoccupato che Yoyo si trovi in stato d’arresto.» «Mi ha detto che io sono l’ultima persona che puo rimproverarla per questo», bisbiglio Chén. «Io cercavo solo di proteggerla. Ecco perché abbiamo litigato. Ne abbiamo discusso piu volte, ma lei si metteva sempre a urlare. Diceva che era tutto inutile, che non lascio avvicinare nessuno, nemmeno mia figlia, e che non ho nessun diritto di criticarla...» Jericho attese. I tratti del viso di Chén s’indurirono. «Ma non voglio seccarla con queste storie. Il fatto e che non ho sue notizie da due giorni. » «Forse e meno grave di quanto lei pensi. Non sarebbe la prima volta che una ragazza sparisce dopo una lite. Si rifugia da amici, si finge morta... e tutto cio solo per dare una lezione ai genitori. » Chén scosse il capo. «Non Yoyo. Non farebbe mai una cosa del genere.» «Lei stesso ha detto di conoscere poco sua figlia...» «Sotto questo aspetto la conosco benissimo. Ci somigliamo in molte cose. Yoyo non sopporta gli atteggiamenti infantili.» «Si e rivolto alle autorita per avere informazioni?» Chén strinse i pugni, ma il suo volto rimase inespressivo. Jericho sapeva che si stavano avvicinando al punto cruciale della questione, il vero motivo per cui Tu Tian aveva mandato quell’uomo a casa sua. «Lei ha chiesto informazioni... oppure no?» «No, non l’ho fatto!» Chén sembro masticare le parole prima di sputarle fuori. «Non posso farlo. Non posso chiedere alle autorita, rischierei di aizzarli contro Yoyo, di metterli sulle sue tracce.» «Quindi non e sicuro che Yoyo sia stata arrestata...» «L’ultima volta, sono passate settimane prima di riuscire a sapere in quale distretto la stavano trattenendo. Ma, che l’avessero arrestata, l’ho saputo poche ore dopo. Con gli anni, ho potuto costruire una rete di conoscenze importanti. Ci sono persone pronte a esercitare la loro influenza per me e per Yoyo.»

«Come Tu Tian.» «Lui e altri. Grazie a loro, ero venuto a sapere dell’arresto di Yoyo. Mi sono informato presso questi... amici, ma stavolta mi hanno detto di non sapere nulla. Non hanno idea di dove si trovi Yoyo. Non mi stupirebbe scoprire che ha di nuovo fornito un motivo alle autorita per darle la caccia, ma e anche possibile che le stesse autorita siano all’oscuro di tutto.» «Dunque Yoyo potrebbe semplicemente aver avuto paura, decidendo cos di cambiare aria?» Chén si torse le mani. A Jericho sembrava di avere davanti un arco teso. «Se andassi dalla polizia, potrei seminare diffidenza in un campo in cui gia prospera l’ignoranza», replico Chén. «Yoyo finirebbe di nuovo nel loro mirino, indipendentemente dal fatto che abbia combinato qualcosa. Ogni scusa sarebbe buona, per loro. Per un certo periodo, Yoyo ha evitato di provocarli, e io credevo che avesse imparato la lezione, che fosse venuta a patti col proprio passato, ma...» Guardo Jericho dai suoi occhi esausti e scuri. Stavolta non ammicco. «Capisce il mio dilemma?» L’altro lo osservo in silenzio, poi si appoggio allo schienale e rifletté. Se Chén continuava a girare intorno all’argomento come un lupo intorno al fuoco, di certo non avrebbero fatto passi avanti. Aveva cercato di farglielo capire, seppure in modo indiretto, ma forse Chén non se n’era accorto. Quell’andatura zigzagante era cos familiare, per lui... Probabilmente era convinto di procedere comunque dritto. «Non vorrei essere troppo invadente, ma devo chiederle una cosa. Puo essere che lei non sia la persona giusta per andare dalle autorita a parlare di attivita antigovernative?» «Cosa intende?» «Sono nel giusto a pensare che la polizia non stia dando la caccia a Yoyo soltanto per quello che fa?» «Capisco.» Chén lo fisso. «Lei ha ragione, non tutto il mio passato torna a vantaggio di Yoyo. In ogni caso, non le farei un favore, andando dalla polizia. Possiamo chiudere qui la faccenda? » Jericho annu. «Lei sa che mestiere faccio? Tian glielo ha spiegato?» «S.» «La mia riserva di caccia e la rete. Suppongo che le abbia consigliato di rivolgersi a me perché Yoyo e attiva proprio in questo campo.» «Tu Tian ha grande stima di lei. Dice che lei e il migliore.» «Questo mi onora. Ha una foto di Yoyo?» «Ho molto di piu. Ho dei filmati.» Infilo la mano nella giacca per estrarre un cellulare. Era un modello piuttosto vecchio, di quelli ancora privi della funzione di proiezione tridimensionale. Chén si mise ad armeggiare con l’apparecchio, provo a premere un po’ di tasti, ma

non accadde nulla. «Posso esserle d’aiuto?» si offr Jericho. «Me l’ha regalato Yoyo, ma non lo uso spesso.» Un velo d’imbarazzo calo sul suo viso. Passo il telefono a Jericho. «Lo so, e ridicolo. Se si parla di macchine d’epoca, conosco tutti i modelli. Ma questi affari...» Questi affari sono modelli d’epoca, se proprio vuoi saperlo, penso Jericho. «È appassionato di automobili?» chiese poi. «Sono un esperto. È mai stato da Historical Beauty, sulla Beijng Donglu? Sono il direttore dell’assistenza tecnica. Deve farmi il piacere di venire a trovarmi una volta. Il mese scorso avevamo in casa una Rolls-Royce Corniche color argento, con finiture in radica e sedili in pelle rossa, un autentico gioiello. Ce l’ha venduta un anziano tedesco. A lei piacciono le automobili?» «Sono utili.» «Posso chiederle che macchina guida?» «Una Toyota.» «Ibrida?» «Cella a combustione.» Jericho rigiro il cellulare tra le dita e diede un’occhiata agli attacchi. Con un adattatore, avrebbe potuto proiettare il contenuto sulla sua nuova parete olografica, ma non gliel’avrebbero consegnata prima di sera. Inizio a sfogliare i dati memorizzati. «Posso?» «Prego. Ci sono solo tre filmati, tutti di Yoyo.» Jericho rivolse l’apparecchio verso la parete di fronte e attivo il proiettore integrato. Mise a fuoco l’immagine alle dimensioni di un comune schermo piatto, in modo che la luce solare non disturbasse l’immagine, e fece partire il primo filmato. Tu Tian aveva ragione. Anzi aveva minimizzato la realta. Yoyo non era soltanto bella; era semplicemente incantevole. Nel periodo in cui aveva vissuto a Londra, Jericho aveva studiato le piu svariate teorie estetiche sull’essenza della bellezza: simmetria dei lineamenti del viso, evidenza di alcuni particolari tratti come occhi o labbra, proporzioni del cranio, percentuale di elementi infantili. La psicologia criminale attingeva a piene mani a quegli studi, anche per rintracciare gli individui nascosti dietro personalita virtuali. Secondo le ricerche piu recenti, la perfezione estetica femminile corrispondeva a un viso con occhi grandi e tondeggianti, fronte leggermente convessa, naso sottile e mento piccolo, ma entrambi ben pronunciati. Rielaborando visi femminili con un programma di morphing e inserendo una determinata percentuale di elementi infantili, saliva automaticamente l’indice di gradimento maschile. Le labbra carnose battevano le bocche sottili, gli occhi ravvicinati perdevano contro gli occhi distanziati. La Venere perfetta aveva

zigomi alti, sopracciglia sottili e scure, ciglia lunghe, capelli folti e luminosi e attaccatura regolare. Yoyo aveva tutte quelle caratteristiche e, nel contempo, non ne aveva nessuna. Chén l’aveva filmata durante un’esibizione in un locale poco illuminato, affiancata da alcuni musicisti, all’apparenza uomini. In quel periodo, i giovani maschi tendevano a adottare uno stile androgino e portavano i capelli lunghi fino alla vita. In alternativa, chi desiderava contare qualcosa nell’ambiente mando-prog poteva decidere di raparsi i capelli a zero e decorare la calotta cranica con applicazioni. I tagli corti erano considerati inaccettabili. Peraltro le figure che strimpellavano chitarra e basso avrebbero potuto benissimo essere avatar - simulazioni olografiche -, anche se il costo di una messinscena del genere sarebbe stato proibitivo. Solo i musicisti piu famosi potevano permettersi avatar; di recente, il rapper americano Eminem, a piu di cinquant’anni suonati, aveva deciso di sperimentarne l’effetto, facendo proiettare sul palco numerose versioni di sé che suonavano e ballavano... e purtroppo mostravano abilita motorie decisamente superiori rispetto al loro alter ego in carne e ossa. Ma tutte quelle cose - natura sessuale, carne e ossa, bit e byte - passavano in secondo piano osservando la cantante. Yoyo aveva pettinato i capelli all’indietro, raccogliendoli sulla nuca in quattro trecce che ondeggiavano. Cantava un vecchissimo brano di Shenggy, sottolineando la sua interpretazione con movimenti sinuosi ed efficaci. Per quel poco che la mediocre qualita di registrazione del cellulare lasciava intuire, si capiva che doveva anche avere una bella voce, sebbene non particolarmente degna di nota. E, anche se la pessima luce non la illuminava a dovere, a Jericho basto per rendersi conto di avere di fronte la piu bella donna che gli fosse mai capitato di vedere in trentotto anni di vita. Solo che il tipo di bellezza di Yoyo stravolgeva completamente qualsiasi teoria estetica. Per un attimo, le immagini divennero sfocate - Chén stava zoomando nel tentativo di fare un primo piano alla figlia - poi gli occhi di Yoyo riempirono lo schermo: uno sguardo di velluto, palpebre sottili, lunghe ciglia che si abbassavano e si alzavano. L’immagine si fece tremolante, Yoyo usc dall’inquadratura e il filmato fin. «Yoyo canta», disse Chén, come se fosse necessario ribadirlo. Jericho fece partire il secondo filmato. Mostrava Yoyo in un ristorante, seduta di fronte a Chén. Aveva i capelli sciolti e stava sfogliando un menu. D’un tratto, accorgendosi di essere ripresa, sorrideva. «Ma cosa stai facendo?» «Ti vedo cos poco...» rispondeva la voce di Chén. «Almeno cos ho un ricordo che posso conservare.» «Ah! Yoyo in barattolo.» La ragazza si era messa a ridere. Appena sotto gli occhi si erano formate due piccole rughe trasversali, un particolare mai contemplato tra i criteri di bellezza

dagli psicologi, ma che Jericho trovo assai eccitante. «E poi cos mi posso vantare un po’.» Per tutta risposta, Yoyo aveva fatto una smorfia e strabuzzato gli occhi. «Non cos, dai», protestava Chén. La ripresa termino. Il terzo filmato mostrava ancora lo stesso ristorante, evidentemente in un momento successivo. Musica mista a rumori. Sullo sfondo i camerieri avanzavano tra i tavoli affollati. Yoyo fumava una sigaretta e giocherellava con un drink. Poi socchiudeva le labbra, facendo uscire una sottile nuvola di fumo. Per tutta la durata della ripresa non diceva una parola. I suoi occhi erano fissi sul padre. Vi si leggevano amore e una sorta di strana tristezza. Jericho non si sarebbe meravigliato di vederla sciogliersi in lacrime. Ma non accadde nulla di simile. Di tanto in tanto, Yoyo abbassava le palpebre, come se volesse cancellare con le sue ciglia pesanti quello che vedeva, sorseggiava la sua bibita, portava la sigaretta alla bocca e poi buttava fuori il fumo. «Queste riprese mi serviranno», disse Jericho. Chén si alzo stancamente dalla poltrona, lo sguardo ancora rivolto alla parete ormai vuota, come se su di essa continuassero a scorrere le immagini della figlia. I suoi lineamenti erano piu tesi che mai. Benché non conoscesse i dettagli della vita di quell’uomo, Jericho sapeva leggere i segni del dolore sul viso di una persona. A Londra aveva visto volti simili. Vittime. Familiari di vittime. Colpevoli che erano diventati vittime di loro stessi. Qualunque cosa avesse pietrificato Chén, Jericho sperava con tutte le sue forze di essere molto lontano dal giorno in cui quella rigidita si fosse sciolta. Per nulla al mondo avrebbe voluto vedere cio che sarebbe apparso sul viso dell’uomo. «Ho altro materiale», disse Chén in tono piatto. «A Yoyo piace farsi fotografare. Ma i filmati sono molto meglio. Non questi, ovviamente. Yoyo ha girato alcuni video come guida turistica virtuale per Tian. In alta risoluzione, mi ha detto. In effetti, se visita il Museo della pianificazione urbanistica o ’l’occhio’ del World Financial Center, si ha davvero l’impressione di averla accanto in carne e ossa. Ho un paio di questi filmati a casa, ma Tian puo fornirle materiale migliore.» S’interruppe. «Sempre che lei accetti di cercare Yoyo per me.» Jericho prese il bicchiere, contemplando la fredda pozza di caffe sul fondo, poi lo riappoggio sulla scrivania. La luce del sole inondava la stanza. Guardo Chén e cap che non avrebbe chiesto il suo aiuto una seconda volta. «Mi servira molto piu di qualche filmato», disse allora. JN MÀO DÀSHÀ, SHANGHAI, CINA In quello stesso istante, una cameriera giapponese si stava avvicinando al tavolo di Kenny Xn con un vassoio di sushi e sashimi. Xn la vide arrivare con la coda dell’occhio, ma evito di girarsi verso di lei. Il suo sguardo indugiava sul nastro grigioazzurro del fiume Huangpu, tre-

cento metri piu in basso. Il traffico sull’acqua era piuttosto intenso. Chiatte simili a giunchi, unite a formare convogli, seguivano il corso del fiume come pigri serpenti acquatici, mentre imponenti navi mercantili si dirigevano verso gli attracchi oltre l’ansa a est. In mezzo, sgomitavano traghetti, taxi d’acqua e barconi turistici, diretti verso il ponte Yangpu e le gru delle stazioni di carico e scarico, costeggiando l’idilliaco parco Gongqng, sino alla foce, dove le acque oleose dello Huangpu, in un torbido gioco cromatico, si mischiavano a quelle melmose dello Changjiang - il Fiume Azzurro - per poi perdersi nel mar Cinese orientale. Il fiume descriveva una brusca curva verso destra, formando quella sorta di penisola che ospitava Pudong, il distretto finanziario ed economico di Shanghai. Da l si poteva quindi godere di una vista panoramica unica sulla strada che costeggiava la riva, la Zhongshan Lu, con le sue banche coloniali, i locali e gli hotel: relitti dell’epoca delle guerre dell’oppio, quando i giganti commerciali europei si erano spartiti il Paese e avevano iniziato a erigere monumenti autocelebrativi sulla riva occidentale del fiume. Piu di un secolo prima, tali costruzioni sicuramente sovrastavano tutti gli altri edifici con la loro magnificenza e le loro dimensioni; adesso invece sembravano giocattoli paragonati alle stalagmiti di vetro, acciaio e cemento che si ergevano alle loro spalle, tra le quali passavano autostrade, binari magnetici e linee dello skytrain e intorno alle quali ronzavano aeromobili e minielicotteri insettoidi. Sebbene il cielo quel giorno fosse eccezionalmente limpido, era impossibile scorgere l’orizzonte. Shanghai si dissolveva nella foschia, fondendosi col cielo. Nulla lasciava supporre che al di la di quelle costruzioni potesse esserci qualcosa di diverso da altre, infinite, costruzioni. Xn osservava quel panorama senza degnare di uno sguardo la cameriera che aveva appoggiato il sushi davanti a lui. Riusciva a concentrarsi su una cosa sola per volta e, in quel momento, l’oggetto della sua attenzione era una domanda: in quale punto di quella caotica megalopoli da venti milioni di abitanti si trovava la ragazza che lui stava cercando? A casa sua non c’era, aveva gia verificato. Se lo studente con quel nome idiota, Grand Cherokee Wang, non aveva mentito, forse sarebbe almeno riuscito a restringere il campo delle ricerche. Era costretto ad aggrapparsi a un’esile speranza, benché quel giovane non gli fosse sembrato molto affidabile: era uno dei due coinquilini di Yoyo, chiaramente affascinato dalla ragazza, ma ancora di piu dal denaro, il che lo aveva indotto a comportarsi come se potesse offrire chissa quali informazioni. Ma era chiaro che non sapeva niente di niente. «Non e da molto che Yoyo abita qui», aveva detto. «È una gallinella, le piace fare festa.» «E noi siamo i galli del pollaio», aveva aggiunto l’altro, ridendo sguaiatamente. Subito dopo, pero, si era scusato, ammettendo che era una battuta di pessimo gusto. «Gallinella» era la denominazione cinese per prostituta e i «galli del pollaio» erano i loro protettori. Evidentemente il tipo si era immaginato come avrebbe reagito Yoyo se Xn l’avesse messa al corrente della battuta infelice.

Dovevano riferire qualcosa a Yoyo? Xn aveva chiesto quando l’avevano vista l’ultima volta. La sera del 23 maggio. Avevano cucinato insieme, si erano scolati qualche birra, quindi Yoyo era andata nella sua stanza. Aveva lasciato l’appartamento la notte stessa. Quando? Sul tardi, pensava di ricordare Grand Cherokee. Verso le due, le tre del mattino. L’altro, di nome Zhang L, aveva scrollato le spalle. In ogni caso, da quel momento nessuno l’aveva piu vista. «È probabile che la vostra coinquilina sia nei guai», aveva detto allora Xn. «Per il momento vi dico solo questo, ma sappiate che la sua famiglia e molto preoccupata.» «Lei e un poliziotto?» aveva voluto sapere Zhang. «No. Sono stato mandato per aiutare Yoyo.» Aveva lanciato un’occhiata prima all’uno poi all’altro. «E sono anche autorizzato a dimostrarmi riconoscente per qualsiasi forma di collaborazione. Per favore, dite a Yoyo che mi puo trovare a questo numero, a qualsiasi ora.» Xn aveva porto un biglietto con un numero di cellulare a Grand Cherokee. «E nel caso vi venisse in mente qualche elemento in piu...» «Io non so nulla», aveva tagliato corto Zhang, del tutto indifferente, prima di sparire nella sua stanza. A disagio, Grand Cherokee lo aveva seguito con lo sguardo. Xn non si era mosso dalla soglia, per dare al ragazzo l’opportunita di passare all’offensiva. Cosa che inevitabilmente si era verificata non appena il coinquilino era scomparso dal suo campo visivo. «Potrei scoprire qualcosa per lei», aveva detto. «Ma non gratis, ovvio.» «Ovvio», gli aveva fatto eco Xn, con un tiepido sorriso. «Solo per coprire le spese, sa com’e. Be’, insomma, potrebbe esserci qualche indizio su dove si trova e, volendo, potrei...» Xn aveva fatto scivolare la mano destra nel taschino della giacca e ne aveva estratto un paio di banconote. «Posso dare un’occhiata alla sua stanza?» «Questo no», aveva balbettato Grand Cherokee, terrorizzato. «Yoyo non vorrebbe...» «Sarebbe per la sua sicurezza», aveva mormorato Xn. «Detto fra noi, potrebbe venire la polizia. E se trovasse qualcosa che mette Yoyo in difficolta...» «S, certo. Solo che...» «Capisco.» Xn aveva finto di rimettere le banconote nel taschino. «No, aspetti, forse...» «S?» Grand Cherokee aveva fissato il denaro, tentando di comunicare qualcosa a Xn con lo sguardo. La sua richiesta era chiarissima. Il linguaggio dell’avidita non necessita di parole. Xn

aveva infilato di nuovo la mano nel taschino e ne aveva estratto un numero maggiore di banconote. Il giovane si era mordicchiato il labbro, poi aveva afferrato il denaro e gli aveva fatto cenno di entrare. «Ultima porta a destra. Devo...» «Grazie. Me la cavo da solo. E, come ho detto, se dovesse venir fuori qualche indicazione su dove possa essere...» Gli occhi di Grand Cherokee si erano illuminati. «Devo solo fare qualche telefonata. Parlare con un paio di tizi. Ehi, la portero da Yoyo, non ne dubiti. Tuttavia...» «S?» «Forse dovro ungere qualcuno.» «Stiamo parlando di un anticipo?» «S, piu o meno.» Xn aveva letto la menzogna negli occhi di Grand Cherokee. Tu non sai niente di niente, aveva pensato. Pero magari la tua avidita ci portera da qualche parte. Comunque vada, ti farai vivo. Hai troppa voglia di guadagnarci qualcosa. Xn aveva messo in mano al suo interlocutore altre due banconote e poi si era avviato. Tutto cio era successo il giorno prima. Il ragazzo non si era ancora fatto sentire, ma Xn non era preoccupato. Contava di ricevere la sua chiamata nel pomeriggio. Guardo il suo sushi di tonno, salmone e sgombri, tutti ingredienti di ottima qualita. La cucina del ristorante giapponese al cinquantaseiesimo piano della Jn Mao Dasha era impeccabile, se non si teneva conto di qualche imprecisione nell’accostamento dei cibi. Il ristorante faceva parte del Jn Mao Grand Hyatt che occupava i cinquantatré piani superiori dell’ex edificio piu alto della Cina, dato che ormai la Jn Mao Dasha era stata superata in altezza gia una dozzina di volte solo a Shanghai, la prima nel 2008 dal vicino World Financial Center, che tra l’altro ospitava anch’esso uno Hyatt. Ma l’albergo della Jn Mao Dasha esercitava ancora il fascino dei tempi andati. Riportava alla memoria l’epoca in cui il Paese, stretto fra comunismo, confucianesimo e capitalismo, aveva iniziato a cercare una nuova identita, e l’aveva trovata sia nelle reminiscenze del passato imperiale sia nell’estetica coloniale o Art Déco. A Xn piaceva quell’atmosfera, anche se bisognava ammettere che nell’edificio di fronte si alloggiava con piu stile. Cio che lo aveva indotto a scegliere quell’albergo era l’idea di poter assoggettare la propria esistenza a qualcosa di completamente diverso dalle emozioni: una fredda aderenza ai principi dell’ordine, sino a raggiungere la formula segreta della perfezione. Kenny Xn era nato nel 1988 e, per la Jn Mao Dasha, il numero 8 si era rivelato tanto importante quanto il genoma per l’essere umano. Deng Xiaopng aveva approvato il progetto dell’edificio all’eta di 88 anni e il palazzo era stato inaugurato il 28-8-1998. Era formato da 88 piani, disposti in modo da formare una struttura in cui ogni segmento era di un ottavo piu stretto rispetto alla base coi suoi 16 piani. Le travi

d’acciaio su cui poggiava il grattacielo misuravano 80 metri. Fino al 2015, l’edificio disponeva di 79 ascensori: un neo al quale si era posto rimedio installando un ascensore di servizio... Tutto insomma era riconducibile al numero 8. Naturalmente quella creazione altrimenti esemplare presentava anche alcune imperfezioni. Per esempio, in caso di tempeste o terremoti, il grattacielo era in grado di oscillare al massimo di 75 centimetri. Xn si chiedeva come i progettisti avessero potuto lasciarsi sfuggire un simile errore. Lui non era un architetto e forse - aveva pensato - non si poteva fare altrimenti. Ma cos’erano 5 centimetri di fronte alla possibilita di raggiungere la perfezione? Dal punto di vista dell’ordine cosmico, la Jn Mao Dasha si presentava come una cameretta in disordine. Con un dito della mano curatissima, Xn allontano il vassoio del sushi verso sinistra e posiziono la bottiglia di birra Qngdao e il bicchiere alla stessa distanza dietro di esso. Cos va meglio. Tuttavia lui non era una di quelle persone ossessionate dall’ordine, che dovevano posizionare tutto ad angolo retto. Ogni tanto riusciva anche a vedere l’ordine piu puro in certe manifestazioni del caos. Ma cosa poteva esserci di piu perfetto della totale omogeneita senza traccia di grumi, come una mente del tutto vuota, l’ideale cosmico, in cui ogni singolo pensiero non era altro che un elemento inquinante, a meno che non lo si potesse richiamare consapevolmente e cancellare a piacere? Controllare lo spirito significava controllare il mondo. Xn sorrise mentre apportava altre correzioni. Sposto la ciotolina di salsa di soia, ruoto di pochi gradi il vaso contenente un’orchidea, divise le bacchette, spezzandole, e poi le appoggio parallele davanti a sé. La stessa citta di Shanghai non era forse una meravigliosa manifestazione del caos? Oppure la confusione occultava un disegno segreto che si sarebbe svelato solo all’osservatore piu attento? Xn allontano alcune palline di riso sul vassoio di legno sinché non fu soddisfatto della loro disposizione. Poi inizio a mangiare. XNTINDÌ, SHANGHAI, CINA Ripensando al suo passato, Jericho vedeva la sua vita in Cina come una confusa successione di azioni temerarie e fughe, accerchiata da muri a isolamento acustico e cantieri all’ombra dei quali lui, con l’operosita di una talpa, si era impegnato per migliorare la propria situazione finanziaria. E, alla fine, c’era riuscito. La banca ora lo trattava come un amico di famiglia: gli presentava dossier per l’acquisto di quote di navi da crociera, d’impianti di depurazione, di centri commerciali e di grattacieli. Il mondo, insomma, sembrava darsi un gran daffare per spiegargli come spendere il suo denaro. Adulato dall’alta societa, rispettato e oberato di lavoro, adesso Jericho sentiva tutto il peso di quello che aveva raggiunto, ed era troppo esausto per scrivere l’ultimo capitolo della storia della sua esistenza nomade e trasferirsi in

un quartiere in cui valesse la pena invecchiare. Un passo che avrebbe dovuto fare gia da tempo, ma il pensiero di mettersi un’altra volta a fare le valigie aveva su di lui un effetto narcotizzante, e la sera preferiva buttarsi spossato sul divano mentre le luci artificiali e i rumori dei cantieri filtravano attraverso le tende, guardare un film e addormentarsi mormorando il mantra «Devo-andarmene-da-qui». Era stato in quel periodo che Jericho aveva iniziato a dubitare seriamente del senso della propria esistenza. Non aveva avuto dubbi, invece, quando Joanna lo aveva attirato a Shanghai solo per piantarlo in asso tre mesi dopo. Non aveva esitato nemmeno quando si era reso conto di non avere i soldi per tornare a casa e rimettere in piedi la sua vita a Londra. Non era stato incerto nel suo primo alloggio a Shanghai, dove viveva miseramente su una moquette umida, tutte le mattine tentava di strappare alla doccia un paio di litri di acqua marrone, e le finestre tremavano a causa del traffico incessante della superstrada a due piani che passava proprio accanto al palazzo. Allora si era semplicemente detto che le cose potevano solo migliorare. Ed era andata proprio cos. All’inizio, Jericho aveva offerto i propri servigi alle aziende straniere che volevano fare affari a Shanghai, molte delle quali non trovavano appigli nella fragile cornice della legislazione cinese in materia di protezione dei diritti d’autore e si sentivano spiate e defraudate del loro know-how. Col tempo, tuttavia, anche il Paese del Drago aveva iniziato ad abbandonare la sua proverbiale mentalita da self-service. Se la Cina d’inizio secolo aveva plagiato allegramente qualsiasi cosa gli hacker riuscissero a pescare nella rete globale delle idee, in seguito anche le aziende cinesi avevano iniziato a protestare con forza per l’inettitudine del loro governo, incapace di proteggere le opere dell’ingegno. Anche le imprese locali avevano dovuto imparare a confrontarsi con dichiarazioni del tipo: «Il prodotto ci e sembrato degno di essere replicato», un modo edulcorato per dire: «È vero, ve lo abbiamo fregato, ma avete tutta la nostra stima per averlo inventato». Per anni, gli occidentali avevano accusato le aziende e le istituzioni cinesi di rubare le loro proprieta intellettuali, accuse sempre respinte con sdegno o semplicemente ignorate. Eppure Jericho aveva constatato che erano soprattutto le aziende cinesi ad aver bisogno di detective informatici. Gli imprenditori d’Oriente avevano reagito con sorprendente entusiasmo quando avevano scoperto che, durante il suo servizio presso Scotland Yard, Jericho aveva contribuito a creare la divisione per i crimini informatici ed era sceso in guerra proprio contro di loro. Avevano capito che sarebbe stato un vantaggio affidare la protezione dei loro brevetti a un uomo che era riuscito a respingere i loro attacchi con tanta efficacia.

Perché il problema - una specie di mostro gelatinoso, infinitamente vorace e assolutamente incontrollabile - consisteva nel fatto che il vuoto legislativo induceva l’élite creativa cinese a cannibalizzare se stessa, e sarebbe stato sempre cos finché non si fosse arrivati a una regolamentazione coerente per la protezione dei diritti d’autore, accettata e applicata a livello tanto nazionale quanto internazionale. Il capitalismo, che la Cina aveva in pratica reinventato, si fondava sul diritto di proprieta; inoltre un’economia il cui capitale piu grande era il know-how non poteva esistere senza la protezione di marchi, brevetti e diritti d’autore. Pero nessuno aveva dato grande importanza alla cosa, almeno fino al giorno in cui il sistema non era caduto vittima delle circostanze. Il Paese che aveva subito i danni economici maggiori a causa delle spie cinesi era stata la Cina stessa. Tutti scavavano nel giardino del vicino, preferibilmente con vanghe elettroniche. Il territorio di caccia era la rete, e Owen Jericho era uno dei cacciatori che assumevano incarichi da altri cacciatori, non appena quelli avevano la sensazione di essere braccati a loro volta. Dopo essere entrato nella ragnatela di favori e scambi senza la quale in Cina non si muoveva nulla, l’ascesa di Jericho era stata rapida come il lancio di un missile. In cinque anni, aveva affrontato cinque traslochi, due per scelta e gli altri tre perché la casa in cui abitava, per motivi che non riusciva a ricordare, doveva essere demolita. Ogni volta si trasferiva in quartieri migliori, con strade piu larghe e case piu belle, avvicinandosi sempre di piu alla realizzazione del suo sogno: traslocare in una shkumen, le bellissime case ricostruite coi portoni di pietra e con quieti cortili interni nel cuore pulsante di Shanghai. E, se per raggiungere l’obiettivo fosse stato necessario scendere a compromessi, lo avrebbe fatto, su quello non aveva dubbi. Un giorno, il direttore della sua banca gli aveva chiesto perché non si decidesse a fare quel passo una volta per tutte. Jericho aveva risposto che non era ancora il momento giusto... un giorno o l’altro, forse. Il banchiere allora gli aveva mostrato il saldo del suo conto e gli aveva detto che il giorno forse era arrivato. Assorbito com’era dal lavoro, Jericho non si era nemmeno accorto delle possibilita che si erano venute a creare nel frattempo. Era uscito dalla banca e si era diretto verso casa, stordito. Non si era reso conto che il momento giusto era gia arrivato. Ma la consapevolezza aveva risvegliato i dubbi, che gli bisbigliavano la verita: erano sempre stati l, solo che lui si era rifiutato di affrontarli. Che cavolo ci fai qui? Come hai fatto a finire in questo posto? Perché hai lasciato che accadesse? E non si fermavano: si erano spinti addirittura a insinuare che fosse stato tutto inutile e che la posizione peggiore in cui potesse trovarsi un uomo era proprio quella in cui lui aveva raggiunto i propri obiettivi. La speranza che ti dava la forza per andare avanti, talvolta per una vita intera, si trovava solo nella precarieta. E ora all’improvviso la scelta diventava vincolante.

Sarebbe diventato un cittadino di Shanghai a tutti gli effetti, ma era davvero cio che voleva? Vivere in una citta nella quale non si sarebbe mai trasferito se non fosse stato per Joanna? Strada facendo - gli dicevano i dubbi - non dovevi preoccuparti della tua meta. Adesso invece avrai dei vincoli. Benvenuto nella realta. Jericho viveva in un grattacielo dignitoso nell’hinterland del distretto finanziario di Pudong, il cui unico neo era la continua costruzione di altri grattacieli tutt’intorno, che aveva come risultato un’ininterrotta valanga di rumore e di pulviscolo marrone che s’infiltrava nelle fessure delle finestre e nei polmoni. Alla fine, era stato necessario un nuovo sfratto dell’amministrazione comunale per risvegliarlo dal suo letargo. Gli avevano fatto visita due uomini sorridenti. Si erano fatti servire il te e gli avevano spiegato che la casa in cui abitava doveva cedere il posto a una nuova, grandiosa struttura. Se l’avesse desiderato, gli avrebbero riservato un alloggio nel nuovo palazzo ma, in ogni caso, traslocare almeno per un anno sarebbe stato inevitabile. Percio l’amministrazione comunale sarebbe stata felicissima di mettergli a disposizione un appartamento nei pressi di Lu Chao Harbour City, a soli sessanta chilometri da Shanghai: per una metropoli che ormai era arrivata ad abbracciare amorevolmente altre citta, non poteva definirsi un luogo del tutto periferico. Ah, gia, i lavori di demolizione sarebbero iniziati di l a quattro settimane, pertanto, se per quella data avesse potuto... Insomma aveva capito. Sapevano che per lui non era la prima volta, ed erano davvero dispiaciuti, ma in fondo non lo erano neanche tanto. Jericho aveva fissato negli occhi i due uomini, pervaso dalla meravigliosa certezza di essersi appena risvegliato dal coma. Il mondo ricominciava ad avere un odore, un sapore, una consistenza. Con infinita gratitudine, aveva stretto la mano dei funzionari sbigottiti, assicurando loro che gli avevano fatto un enorme favore, e che potevano tenersi l’alloggio di Lu Chao Harbour City. Poi aveva chiamato Tu Tian e, con tutte le cortesie del caso, gli aveva chiesto se sapesse di una shkumen libera a breve in un angolino vivace di Shanghai. Tu Tian, che si vantava di essere il cliente piu soddisfatto di Jericho, oltre che un buon amico, era la prima persona cui rivolgersi per quel tipo di richieste. Dirigeva un’azienda tecnologica di medie dimensioni ed era in buoni rapporti coi potenti della citta. Tu Tian si era reso subito disponibile: «Provo a sentire in giro». Esattamente due settimane dopo, Jericho aveva firmato il contratto d’affitto per un intero piano di una delle shkumen piu belle nel quartiere di Xntiand, uno dei piu rinomati di Shanghai, con la possibilita di occuparla subito. Si trattava di un edificio di nuova costruzione, ovvio. Le shkumen autentiche erano scomparse gia da tempo: le ultime erano state abbattute poco prima dell’esposizione mondiale del 2010. Ciononostante Xntiand era la roccaforte dell’architettura shkumen e, come il centro storico di Shanghai, era tutto tranne che storico.

Jericho non aveva domandato chi avesse dovuto lasciare l’appartamento. Aveva firmato il documento, sperando che l’alloggio fosse stato vuoto da tempo, e non si era fatto troppe domande sul favore che Tu Tian gli avrebbe chiesto in cambio. Sapeva di essere in debito con Tu Tian. Quindi aveva iniziato il trasloco, restando in attesa di quello che sarebbe accaduto. E qualcosa era accaduto, prima del previsto. Aveva l’aspetto di Chén Hongbng e il sapore di un incarico sgradevole che Jericho non poteva rifiutare senza offendere Tu Tian. Poco dopo il congedo di Chén, Jericho installo il suo terminale. Si lavo la faccia, cerco di sistemarsi i capelli e s’infilo una T-shirt pulita. Poi si accomodo davanti al monitor e fece selezionare un numero al sistema. Sul video apparvero due T, l’una fusa dentro l’altra: il logo della Tu Technologies. Un attimo dopo, una donna attraente sui quarantacinque anni gli sorrise. Era seduta in una stanza arredata con gusto - un’elegante reception circondata da pareti vetrate dalle quali si poteva ammirare uno scorcio dello skyline di Pudong - e beveva qualcosa da una minuscola tazza di porcellana. Jericho sapeva che il liquido nella tazza era te alla fragola. Naomi Liu impazziva per il te alla fragola. «Buongiorno, Naomi.» «Buongiorno, Owen. Come sta andando il trasloco?» «A gonfie vele, grazie.» «Mi fa piacere. Tu Tian mi ha raccontato che ricevera uno dei nostri grandi terminali di ultima generazione.» «Stasera, spero.» «Che emozione.» Poso la tazza su una superficie tanto trasparente da sembrare invisibile e lo guardo, inclinando la testa. «Cos almeno potro vederla da testa a piedi.» «Non c’e paragone con l’emozione di vedere lei.» Jericho si chino in avanti e abbasso la voce. «Chiunque giurera di vederla seduta in carne e ossa in casa mia.» «E questo le basterebbe?» «Ovviamente no.» «Temo di s, invece. Le bastera, e non si preoccupera nemmeno di trovare una scusa per invitarmi di persona. Penso che cerchero di convincere il mio capo a non farle recapitare quell’aggeggio. » «Nessun programma olografico puo reggere il confronto con lei, Naomi.» «Lo racconti a lui.» Fece un cenno del capo verso la porta dell’ufficio di Tu Tian. «Prima che gli venga la malsana idea di sostituirmi con uno di quelli.» «Interromperei subito qualsiasi rapporto di lavoro con lui. A proposito...» «S, eccolo. Stia bene. Glielo passo.»

A Jericho piaceva il piccolo rito del flirt con Naomi Liu. Lei era la cruna dell’ago attraverso la quale passavano tutte le relazioni con Tu Tian. La sua benevolenza poteva essere di grande utilita. Oltretutto Jericho non avrebbe esitato nemmeno un secondo a invitarla a casa sua, ma lei non avrebbe accettato. Naomi era felicemente sposata e madre di due bambini. Per un attimo, la doppia T luccicante ruoto su se stessa e poi sullo schermo apparve il grosso cranio di Tu Tian. I pochi capelli rimasti - grigi, ispidi e radi - si concentravano nella zona sopra le orecchie. La montatura sottile degli occhiali stava in equilibrio sul naso. La stanghetta di sinistra sembrava tenuta insieme col nastro adesivo trasparente. Si era arrotolato le maniche e si stava strafogando con una pasta dall’aspetto colloso che pescava con bacchette ticchettanti da un contenitore di cartone. Il grande tavolo da lavoro era ingombro di monitor e proiettori olografici, pile di hard disk, telecomandi, brochure, bicchieri di carta e rimasugli di chissa quale pasto precedente. «No, non mi disturbi», farfuglio Tu Tian con la bocca piena, come se Jericho se ne fosse preoccupato. «Vedo. Sei mai stato nella tua mensa aziendale? La puoi trovare cibo fresco.» «E allora?» «Cibo vero.» «Questo e cibo vero. Gli ho versato sopra dell’acqua bollente ed e diventato cibo.» «Sai almeno cos’e? C’e scritto qualcosa sulla confezione?» «S, qualcosa c’e scritto.» Tu Tian continuo a masticare senza sosta. Le sue labbra gonfie sfregavano l’una contro l’altra come tubi di gomma. «Le persone con la tua pianificazione anarchica della giornata forse non lo capiscono, ma ci possono essere dei validi motivi per pranzare in ufficio.» Jericho rinuncio. Da quando conosceva Tu Tian, non l’aveva mai visto consumare un pasto decente. Sembrava che il manager si fosse prefissato l’obiettivo di rovinare il buon nome della cucina cinese, che godeva della fama di essere la migliore, la piu varia e la piu fresca del mondo. Poteva anche essere un inventore geniale e un giocatore di golf molto dotato ma, dal punto di vista culinario, al suo confronto Kublai Khan sarebbe stato un gourmet. «Che cosa avete festeggiato da quelle parti?» chiese, guardando il caos nell’ufficio di Tu Tian. «Abbiamo sperimentato una cosa.» Tu Tian afferro una bottiglia di acqua, risciacquo per bene i rimasugli di pasta in bocca ed emise un sonoro rutto. «Un ’Olo-Cop’, al servizio delle autorita per l’educazione stradale. Al buio funzionano alla perfezione, ma la luce del sole crea ancora qualche problema. Li dissolve. » Rise a singhiozzo. «Come i vampiri.» «E che se ne farebbe la citta di poliziotti olografici?»

Tu Tian lo guardo esterrefatto. «Per regolare il traffico, no? Non hai letto che, la settimana scorsa, hanno investito un altro poliziotto? Si trovava all’incrocio tra la Spng Lu e la Dalian Xlu, quando un furgone che trasportava mobili lo ha travolto e lo ha spiaccicato sul selciato. Brandelli di carne ovunque, bambini che urlavano, lettere di reclamo all’amministrazione. Nessuno se la sente piu di regolare il traffico volontariamente.» «Da quando la polizia si preoccupa di cosa si voglia fare volontariamente? » «Ma no, Owen, e una questione economica. Stanno perdendo troppi uomini. L’agente di polizia municipale ormai occupa i primi posti nella classifica delle professioni piu pericolose, e la maggior parte degli agenti preferirebbe occuparsi della cattura di serial killer psicotici. E poi, alla fine, siamo esseri umani e non vogliamo piu vedere poliziotti morti. E gli Olo-Cop non hanno nessun problema a farsi stirare da un’automobile, anzi se accade fanno partire una segnalazione. La proiezione invia un segnale al computer centrale, con tanto di marca dell’automobile e targa.» «Interessante», disse Jericho. «E cosa mi dici delle guide turistiche olografiche?» «Ah!» Tu Tian si pul gli angoli della bocca con un tovagliolo che aveva chiaramente prestato servizio in molti altri pasti. «Hai avuto visite.» «S, ho avuto visite.» «Allora?» «Il tuo amico e triste da far paura. Cosa gli e successo?» «Te l’avevo detto, no? Ha ingoiato amarezza.» «E tutto il resto non mi riguarda, okay. Allora parliamo di sua figlia.» «Yoyo!» Tu Tian si accarezzo la pancia. «Di’ la verita, non e spettacolare?» «Senza dubbio.» Jericho era curioso di scoprire se Tu Tian avrebbe parlato apertamente della ragazza al telefono. Le conversazioni telefoniche venivano registrate dalle autorita, ma l’apparato di sorveglianza faticava a tenere il passo con l’analisi delle registrazioni, benché queste ultime venissero preselezionate da programmi sofisticati. Gia alla fine del secolo precedente, i servizi segreti americani avevano impiegato, per il loro sistema Echelon, un software in grado di riconoscere le parole chiave, col risultato che si rischiava l’arresto anche organizzando la festa di compleanno della nonna se soltanto si diceva per tre volte consecutive la parola «bomb-oloni». I programmi moderni, invece, erano in grado, entro certi limiti, di capire il senso di una conversazione e di redigere una lista di priorita. Tuttavia non sapevano ancora cogliere l’ironia o i doppi sensi. E cio costringeva le spie ad ascoltare con le loro orecchie, come ai vecchi tempi, non appena venivano pronunciate parole come «dissidente» o «massacro di Tian’anmén». Com’era prevedibile, Tu Tian disse: «Quindi ora vuoi uscire con la bambolina, vero?»

Jericho sogghigno con amarezza. Se lo sentiva. Non sarebbe stato semplice. «Se si riesce a combinare.» «Be’, la ragazza ha anche certe pretese», replico Tu Tian con aria astuta. «Forse ti dovrei dare un paio di consigli, piccolo Owen. Sarai in zona, nelle prossime ore?» «Ho un sacco da fare, ma dovrei riuscire a liberarmi per mezzogiorno. » «Grandioso. Prendi il traghetto. Il tempo e bello, ci incontriamo al Lujiazu Green.» PDNG, SHANGHAI, CINA Il Lujiazu Green era un bel parco circondato da grattacieli, non lontano dalla Jn Mao Dasha e dal WFC. Tu Tian era seduto su una panchina sulla riva del piccolo lago e prendeva il sole. Come di consueto, portava gli occhiali scuri sopra gli occhiali da vista. La camicia stropicciata fuoriusciva dalla cintura dei pantaloni e si tendeva tra i bottoni, lasciando intravedere la pelle bianchiccia della pancia. Jericho si sedette accanto a lui e allungo le gambe. «Yoyo e una dissidente», disse. Tu Tian giro pigramente la testa nella sua direzione. La bizzarra impalcatura formata dal doppio occhiale impediva a Jericho di vedere i suoi occhi. «Pensavo l’avessi gia capito al campo da golf.» «Non e questo il punto. Intendo dire che e un caso un po’ diverso dal solito. Devo trovare una dissidente per proteggerla.» «Una ex dissidente.» «Suo padre la vede in modo un po’ diverso. Perché Yoyo avrebbe dovuto sparire, se non per paura? A meno che non sia stata arrestata. Tu stesso hai detto che la ragazza ha la tendenza a infastidire le persone sbagliate. Magari stavolta nella sua rete e finito un pesce un po’ troppo grosso.» «E cosa hai intenzione di fare?» «Lo sai benissimo. La cerchero, naturalmente», sbuffo Jericho. Tu Tian annu. «È molto generoso da parte tua.» «No, e scontato. Il problema e che stavolta dovro lavorare evitando qualsiasi contatto con le autorita. Percio ho bisogno di tutte le informazioni possibili su Yoyo e sull’ambiente in cui si muove, e per questo mi serve il tuo aiuto. Chén Hongbng mi e sembrato un uomo tanto rispettabile quanto riservato. Forse anche un po’ cieco da un occhio... In ogni caso, ho dovuto cavargli le parole di bocca a una a una.» «Cosa ti ha raccontato?» «Mi ha dato il nuovo indirizzo di Yoyo, qualche filmato e delle foto. E ha fatto un mare di allusioni.» Tu Tian armeggio con gli occhiali da sole nel tentativo di riportare quelli da vista in una posizione piu o meno orizzontale. Jericho constato che non si era sbagliato: la stanghetta sin-

istra era davvero avvolta con nastro adesivo. Ancora una volta si chiese perché mai Tu Tian non si facesse operare agli occhi o non passasse alle lenti a contatto fotocromatiche. Ormai quasi nessuno portava gli occhiali per correggere la vista. Sopravvivevano come accessori alla moda, ma Tu Tian era tanto distante dalla moda quanto un uomo di Neandertal lo era dal XXI secolo. Per un po’, i due rimasero in silenzio. Jericho fissava il cielo, socchiudendo le palpebre, e seguiva con lo sguardo la traiettoria di un aereo. «Va bene», disse improvvisamente Tu Tian. «Cosa vuoi sapere? » «Raccontami qualcosa di Yoyo che non so.» «Il suo vero nome e Yuyun...» «Questo me l’ha gia detto Chén.» «... e fa parte di un gruppo che si fa chiamare i Guardiani. Questo non te l’ha rivelato, vero?» «I Guardiani...» Jericho fischio. «Ne hai sentito parlare?» «Altroché. Guerriglieri del web. Difendono i diritti umani, rivangano vecchie storie come Tian’anmén, attaccano le reti del governo e dell’industria. Danno parecchi grattacapi al Partito. » «Il quale di conseguenza e piuttosto nervoso. I Guardiani sono fatti di una pasta completamente diversa dalla famigerata ’Topina di Titanio’.» Liu D, la donna che si faceva chiamare «Topina di Titanio», era stata una pioniera della resistenza sul web. All’inizio del millennio, aveva cominciato a pubblicare in rete articoli al vetriolo sull’élite politica con lo pseudonimo di «Topina d’Acciaio ». E il governo di Pechino si era reso conto con sgomento che arrestare persone virtuali era molto piu difficile che mettere le mani su individui in carne e ossa. Il capo della polizia di Pechino aveva dichiarato che la nuova minaccia era assai preoccupante, perché non c’era nemico peggiore di quello senza volto. Nel dire cio, tuttavia, aveva alquanto sopravvalutato la prima generazione di dissidenti informatici: la maggior parte di loro non cercava nemmeno di occultare la propria identita e quelli che lo facevano, prima o poi, commettevano errori. «Topina d’Acciaio» era finita in trappola quando aveva assicurato il suo sostegno al fondatore di un nuovo Partito democratico, senza sapere che si trattava di un infiltrato incaricato di scovarla. Era stata arrestata e sbattuta in carcere per un anno senza processo. Ma il Partito doveva imparare un’altra lezione: e possibile far sparire le persone nel mondo fisico, rinchiudendole tra quattro mura, ma non in rete. In Internet, il caso di Liu D aveva avuto un’ampia eco, finendo per attirare l’attenzione della stampa estera. Era stato cos che il mondo aveva conosciuto la storia di una timida ventunenne che aveva agito senza essere veramente cons-

apevole delle conseguenze. Era dunque quello il potente nemico senza volto che aveva messo sotto scacco la polizia? Dopo la scarcerazione, Liu D aveva abbandonato l’acciaio per un metallo piu resistente ed era diventata «Topina di Titanio ». Aveva dichiarato guerra a un sistema che Mao non avrebbe potuto immaginare nemmeno nei suoi sogni piu audaci: la Cypol, la polizia informatica cinese. Interveniva su forum ospitati su server che si trovavano all’estero e scriveva i suoi blog con l’aiuto di programmi in grado di filtrare le parole piu pericolose gia durante la digitazione. Altri avevano seguito il suo esempio, adottando tecniche sempre piu sofisticate. Col tempo, il Partito aveva iniziato ad avere davvero un motivo per preoccuparsi : mentre veterani come «Topina di Titanio» non facevano mistero della propria identita, i Guardiani si muovevavo in rete come fantasmi. Per seguirne le tracce servivano trappole ben congegnate, che Pechino continuava a tendere, ma con scarsissimi risultati. «A tutt’oggi, il Partito non ha idea di quante persone siano coinvolte. In certi casi, ha la sensazione di avere a che fare con diverse decine di persone; in altri, con un singolo individuo. In ogni caso, si tratta di un cancro che divora la nostra splendida e fiorente repubblica dall’interno.» Tu Tian sputo un abbondante grumo di catarro. «È risaputo che Pechino non ha in mano nulla di concreto, che rincorre solo le voci. Percio viene da chiedersi quanto sia davvero estesa questa organizzazione.» Jericho rifletté. Non ricordava di avere mai sentito dell’arresto di un Guardiano. «Oh, ogni tanto arrestano qualcuno sostenendo che fa parte del gruppo», esclamo Tu Tian come se gli avesse letto nel pensiero. «Ora, so con certezza che fino a questo momento non sono riusciti a catturare nessuno. Incredibile, no? Voglio dire, stanno dando la caccia a un esercito. Ci dovrebbe essere qualche prigioniero di guerra, non credi?» «Stanno dando la caccia a qualcosa che sembra un esercito», rispose Jericho. «Ci sei quasi.» «L’esercito non esiste. Si tratta di poche persone, abilissime a passare tra le maglie della rete tesa dagli inquirenti. Percio il gruppo e stato un po’ mitizzato. Lo si dipinge piu pericoloso e piu astuto di quanto non sia, in modo da distogliere l’attenzione dal fatto che il governo non e ancora riuscito a togliere dalla circolazione una manciata di hacker.» «E qual e la tua conclusione?» «Che tu, per essere un onorato e rispettabile servitore di Pechino, sai un po’ troppe cose sui dissidenti informatici.» Jericho guardo Tu Tian aggrottando le sopracciglia. «È solo una mia impressione o anche tu c’entri qualcosa in questa faccenda?» «Perché non mi chiedi esplicitamente se faccio parte dell’organizzazione? » «L’ho appena fatto.»

«La risposta e no. Ma posso dirti che la squadra e formata da sei persone. Non sono mai stati di piu.» «E Yoyo e una di loro?» Tu Tian si massaggio la nuca. «Be’, non proprio.» «Cosa intendi?» «Lei e la mente. Yoyo ha dato vita ai Guardiani.» Jericho sogghigno. Nello specchio deformante di Internet tutto era possibile. La presenza diffusa dei Guardiani, le loro azioni studiate nei minimi dettagli inducevano a pensare che costituissero un’organizzazione estesa, ampiamente ramificata, forse persino in grado di scoprire segreti di Stato. In realta, quell’impressione era dovuta al sostegno dei numerosi simpatizzanti che pero non avevano connessioni dirette col gruppo né erano a conoscenza della sua struttura. A un’osservazione piu attenta, balzava agli occhi che l’intera opera dei Guardiani si riduceva a una piccola comunita di hacker. Tuttavia... «... devono essere sempre aggiornati», mormoro Jericho. Tu Tian gli diede una gomitata. «Stai parlando con me?» «Cosa? Ma no. S, invece. Quanti anni ha Yoyo?» «Venticinque.» «Nessuna ragazza di venticinque anni puo essere cos scaltra da sfuggire alla polizia informatica.» «Yoyo e dotata di un’intelligenza straordinaria.» «Non intendo dire questo. Lo Stato forse non riesce a tenere il passo con gli hacker, ma gli agenti non sono stupidi. I metodi convenzionali non permettono di eludere Diamond Shield e, prima o poi, ci si ritrova la polizia informatica alle calcagna. Yoyo deve avere accesso a programmi che le consentono di essere sempre un passo avanti rispetto a loro.» Tu Tian scrollo le spalle. «Questo mi fa pensare che se ne intenda parecchio», borbotto Jericho. «Chi sono gli altri membri?» «Studenti come Yoyo.» «E tu come fai ad avere tutte queste informazioni?» «Yoyo mi ha raccontato tutto.» «Yoyo ti ha raccontato tutto...» ripeté Jericho. «Ma a Chén non ha detto una parola.» «S, ha provato a parlare con lui. Pero Hongbng non ne vuole sapere. Non la ascolta. Ecco perché lei viene da me.» «Perché proprio da te?» «Owen, non e necessario che tu sappia ogni...»

«Devo capire.» Tu Tian sospiro e si passo la mano sul cranio glabro. «Diciamo che aiuto Yoyo a capire suo padre. Se non altro, questo e cio che lei spera di ottenere.» Alzo un dito. «E adesso non mi chiedere cosa ci sia da capire. Questi davvero non sono affari tuoi.» «Parli per enigmi proprio come Chén», sbotto Jericho, seccato. «Al contrario. Mi fido moltissimo di te.» «Allora continua a farlo. Per trovare Yoyo, devo conoscere anche i nomi degli altri Guardiani. Devo cercarli. Devo interrogare qualcuno.» «Parti semplicemente dal presupposto che siano spariti anche loro.» «Oppure che siano stati arrestati.» «Non credo. Anni fa, ho avuto occasione di vedere dall’interno come funzionano gli ingranaggi dell’assistenza statale, dove ti guardano dentro la testa e ti trovano affetto da ogni possibile forma di pazzia. Conosco quella gente. Se avessero davvero arrestato i Guardiani, avrebbero gia strillato la notizia ai quattro venti. Un conto e far sparire alcune persone ma, se qualcuno cerca di metterti sotto e ti fa passare per scemo, non appena ce l’hai tra le mani infili la sua testa in una picca e la esponi sulla pubblica piazza. Yoyo ha dato troppe noie al Partito. Non sarebbero tolleranti nei suoi confronti.» «Ma come ha fatto a finire nel giro?» volle sapere Jericho. «Come tutti i giovani che finiscono in questo tipo di cose. Si e lasciata corrompere dall’ideale della zyou, della ’liberta’.» Tu Tian armeggio coi bottoni della camicia per riuscire a grattarsi la pancia. «Ormai sono parecchi anni che vivi qui, Owen. Credo che tu sia in grado di comprendere abbastanza bene il mio popolo. Diciamo che capisci quello che vedi. Ma alcune cose ti sono ancora oscure. Tutto quello che accade oggi nella Terra di Mezzo e la logica conseguenza degli sviluppi e delle crisi nella nostra storia... Lo so che sembrano frasi fatte, da guida turistica. Gli europei sono convinti che la storia dello yn e dello yang, del nostro attaccamento alle tradizioni non sia altro che roba folcloristica, volta a occultare il fatto che siamo una banda di falsari assetati di denaro che vuole dominare il mondo, che viola i diritti umani e che, dai tempi di Mao, non sa piu cosa siano gli ideali... Ma, se ci pensi bene, per duemila anni l’Europa e stata un enorme calderone in cui venivano continuamente rovesciati elementi di novita. Un tessuto raffazzonato che anelava a diventare un tappeto. Vi siete aggrediti a vicenda, avete fatto vostri usi e costumi dei vostri vicini ancor prima di smettere di combatterli. Enormi imperi sono nati e si sono dissolti in un battito di ciglia. Prima dominavano i romani, poi sono venuti i francesi, i tedeschi e gli inglesi. Parlate di Europa unita, eppure parlate piu lingue diverse di quante siate in grado di capirne e, come se cio non bastasse, importate pure cose dall’Asia, dall’America e persino dai Balcani. Vi affannate a vendere al mondo il Vive la France, il God Save the Queen e il Deutschland, einig Vaterland come

genuino patriottismo e, nel contempo, svendete le vostre peculiarita, considerandone solo lo sfruttamento commerciale e non il contesto storico che le ha viste nascere. Non riuscite a comprendere come un popolo che per la maggior parte della sua storia e bastato a se stesso, nella convinzione che il centro non deve necessariamente essere consapevole dei suoi confini, fatichi ad accettare le novita, soprattutto se vengono dall’esterno.» «Se e cos, siete veri maestri nel dissimularlo», sbuffo Jericho. «Guidate automobili tedesche, francesi e coreane, indossate scarpe italiane, guardate film americani. Non mi viene in mente nessun popolo piu proiettato verso l’esterno di quello cinese, almeno negli ultimi anni.» «Proiettato verso l’esterno?» ripeté Tu Tian con una risata amara. «Una definizione azzeccata, Owen. E cosa appare se rovesci qualcosa verso l’esterno? Quello che c’e sotto. Dimmi, tu cosa vedi? In concreto: cosa vi abbiamo mostrato? Solo quello che voi siete in grado di riconoscere. Volevate che ci aprissimo al mondo e l’abbiamo fatto, negli anni ’80, sotto Deng Xiaopng. Volevate fare affari con noi? Adesso potete. Tutte le cose occidentali che gli imperatori cinesi non hanno voluto per millenni le abbiamo acquistate nel giro di pochi anni, e voi ce le avete vendute senza problemi. Adesso noi ve le rivendiamo di nuovo e voi le comprate. E oltre a tutto cio vorreste anche una porzione abbondante di Cina autentica. Che vi viene data, ma non vi piace. V’infervorate perché calpestiamo i diritti umani, ma in definitiva non capite come si possa venire arrestati per la propria opinione in un Paese in cui si beve Coca-Cola. Questo proprio non vi entra in testa. I vostri etnologi lamentano la scomparsa degli ultimi cannibali e si battono per la conservazione dei loro spazi vitali, ma guai se i cannibali iniziano a fare affari e indossare cravatte. Allora pretendete che passino a una dieta di pollo e verdure in un batter d’occhio.» «Tian, con tutta la buona volonta, non so...» «Ti rendi conto che il termine zyou e arrivato in Cina solo a meta del XIX secolo?» continuo Tu Tian, imperterrito. «Quindicimila anni di storia cinese non sono bastati per concepirlo, proprio come e successo con mnzhu, ’democrazia’ e con renquan, ’diritti umani’. Ma cosa significa zyou? ’Segui te stesso.’ Invece dei dogmi e del ’comune sentire’, usa il tuo punto di vista come punto di partenza per qualsiasi riflessione. Potresti ribattere che la demonizzazione dell’individuo sia stata un’invenzione di Mao, ma sbaglieresti. Mao Zédong non e stato che una spaventosa variante del nostro atavico timore di essere noi stessi. Forse e stato la giusta punizione per esserci crogiolati per millenni nella convinzione che, oltre ai cinesi, esistessero soltanto barbari. Quando la Cina, spinta dalla necessita, si e aperta alle potenze occidentali, lo ha fatto ignorando cio che qualsiasi altro popolo con un po’ di esperienza coloniale conosce d’intuito. Ci siamo convinti di essere i padroni di casa, quando gli ospiti in realta si erano gia da tempo trasformati in proprietari. Mao voleva cambiare le cose, ma non ha semplicemente cercato di girare in senso contrario la ruota della storia, come piu tardi

avrebbero fatto gli Ayatollah in Iran. Il suo obiettivo era annullare la storia e isolare la Cina al culmine della sua ignoranza. Una cosa impossibile se si ha a che fare con individui pensanti, dotati di emozioni e senso critico. Avrebbe funzionato solo con un popolo di automi. Il nostro ultimo imperatore non e stato Pu y, bens Mao, se capisci cosa intendo. È stato il piu terribile di tutti. Ci ha rubato la lingua, la cultura, l’identita. Ha tradito ogni ideale e ci ha lasciato in eredita un cumulo di macerie.» Tu Tian prese fiato. Le sue labbra carnose si contrassero. Il sudore brillava sulla sua testa calva. «Mi chiedi perché Yoyo e diventata una dissidente? Te lo diro, Owen. Perché non vuole convivere con un trauma che la mia generazione e quella dei miei genitori non hanno mai metabolizzato. Tuttavia, per aiutare il suo popolo a trovare la propria identita, non poteva evocare lo spirito della Rivoluzione francese, l’istituzione della democrazia spagnola, la fine di Mussolini e Hitler, la caduta di Napoleone o il crollo dell’impero romano. Mentre la storia ha dotato l’Europa di un’eloquenza inimmaginabile per formulare le sue rivendicazioni, a noi per molto tempo sono mancate persino le parole per esprimere i concetti piu semplici. Oh, s. La Cina fa scintille. La Cina e ricca e bella e Shanghai e il centro del mondo, dove tutto e permesso e niente e impossibile. Abbiamo raggiunto gli Stati Uniti e ormai stiamo per vincere la competizione economica. Eppure, nonostante tutto questo splendore, siamo poveri interiormente, e ne siamo consapevoli. Non siamo affatto proiettati verso l’esterno, e solo apparenza. Se lo facessimo, si vedrebbe il vuoto che abbiamo dentro, si capirebbe che siamo vuoti come seppie. Seguiamo modelli stranieri, perché l’ultimo modello cinese che abbiamo avuto ci ha traditi. Yoyo soffre per il fatto di essere figlia di quest’epoca priva di significato, piu di quanto possano immaginare i critici della globalizzazione e i sostenitori dei diritti umani in Europa o in America. Voi vedete solo le nostre mancanze e non i passi che intraprendiamo. Non quello che abbiamo gia realizzato. Non gli inimmaginabili sforzi che bisogna fare per combattere per gli ideali, o addirittura per concepirli, quando non si ha alle spalle un’eredita morale.» Jericho socchiuse le palpebre, abbagliato dal sole. Avrebbe voluto chiedere a Tu Tian di raccontargli quando avevano strappato il cuore a Chén Hongbng, ma si trattenne. Tu Tian sbuffo e si asciugo il sudore dalla fronte. «Ecco cosa esaspera le persone come Yoyo. In Inghilterra, se un uomo scende in strada a reclamare liberta, tutt’al piu gli viene chiesto per che cosa. In Cina, ci siamo illusi che la nostra folle corsa al progresso avrebbe automaticamente portato con sé la liberta... ma non avevamo nemmeno un’idea precisa di cosa fosse davvero la liberta. Da oltre vent’anni, nel nostro Paese, tutto ruota intorno a questo concetto, tutti magnificano le gioie dell’individualismo, ma in definitiva abbiamo solo la liberta di partecipare. Dell’altra liberta non si parla volentieri perché implica una domanda : ’Con quale diritto un Partito comunista, che comunista non e piu, si arroga il diritto del governo assoluto?’ Siamo passati da una tirannia di sinistra a una di destra, e anche stavolta e del tutto priva di

contenuti. Viviamo assoggettati al diktat del benessere, ma guai se arrivasse qualcuno a protestare per i contadini e i braccianti e le esecuzioni e le sovvenzioni economiche agli Stati canaglia e tutto il resto.» Jericho si sfrego il mento. «Sono onorato che tu mi abbia messo a parte di queste riflessioni. Ma lo sarei ancora di piu se tornassi a parlare di Yoyo.» Tu Tian lo fisso, corrucciato. «Perdona questo vecchio, Owen. Ma non ho fatto altro che parlare di Yoyo per tutto il tempo.» «Senza dirmi nulla del suo background personale.» «Come ti ho gia detto...» «Lo so», sospiro Jericho. Indugio con lo sguardo sulla facciata di vetro e acciaio della Jn Mao Dasha. «Non sono affari miei.» JN MÀO DÀSHÀ, SHANGHAI, CINA Xn era dietro quella facciata, con gli occhi fissi sul bagno di vapore in cui era immersa la Shanghai pomeridiana. Si era ritirato nella sua spaziosa suite in stile Art Déco al settantaduesimo piano. Attraverso i due lati completamente trasparenti della stanza non si scorgevano altro che costruzioni. Piu si saliva, piu era chiaro che gli edifici civili e commerciali si uniformavano, come se migliaia e migliaia di colonie di termiti avessero deciso di stanziarsi l’una accanto all’altra. Seleziono sul cellulare un numero a prova d’intercettazione. Qualcuno rispose, ma il display rimase nero. «Cosa ha scoperto sulla ragazza?» chiese Xn senza perdere tempo in convenevoli. «Poco.» La voce gli giungeva all’orecchio con un ritardo appena percettibile. «Abbiamo avuto la conferma di quello che gia temevamo. È un’attivista.» «Conosciuta?» «S e no. Certi dati nei suoi file farebbero pensare che appartenga a un gruppo di dissidenti informatici noti come i Guardiani. Un’organizzazione che infastidisce il Partito soprattutto con rivendicazioni di democrazia.» «Significa che Yoyo non stava cercando noi?» «Credo che lo si possa escludere. Semplice coincidenza. Abbiamo fatto lo scan del suo hard disk prima che lei potesse disconnettersi, e da cio si deduce che l’attacco l’ha colta di sorpresa. Tuttavia non siamo stati in grado di cancellare i file, quindi ha un sistema di protezione davvero efficiente, e questo non promette nulla di buono. In ogni caso, per il momento abbiamo la certezza che almeno alcune parti dei nostri dati di trasmissione si trovino ancora nel computer di Yuyun... cioe di Yoyo.» «Non se ne fara un granché di quei dati», disse Xn in tono sprezzante. «La codifica e stata sottoposta ai test piu severi.»

«In altre circostanze le darei ragione. Ma, considerando il sistema di protezione di Yoyo, potrebbe tranquillamente disporre anche di programmi di decodifica molto sofisticati. Non l’avremmo pregata di venire a Shanghai se non fossimo davvero preoccupati.» «Sono preoccupato anch’io. Soprattutto per la scarsita delle informazioni che mi ha fornito, se devo essere sincero.» «E lei? Ha scoperto qualcosa?» chiese la voce, ignorando l’osservazione di Xn. «Sono stato nell’appartamento che divide con due ragazzi. Il primo non sa niente; il secondo sostiene di potermi portare da lei. Ovviamente vuole dei soldi.» «Si fida di lui?» «Sta scherzando? Ma sono costretto a sfruttare qualsiasi occasione. Mi chiamera, pero non ho idea se saltera fuori qualcosa.» «Con nessuno dei due ha parlato di parenti?» «A quanto pare, Yoyo non e molto espansiva. Si sono scolati un paio di bottiglie insieme, poi lei e sparita, nella notte fra il 23 e il 24 di maggio, fra le due e le tre.» Segu una breve pausa, quindi la voce riprese in tono pensieroso : «Potrebbe corrispondere. Il contatto risale a poco prima delle due, ora locale». «E subito dopo lei ha tagliato la corda.» Xn accenno un sorriso. «Che ragazza intelligente.» «È stato altrove?» «Nella sua stanza non c’era niente. Ha pulito tutto per bene prima di sparire. Anche all’universita non c’e traccia di lei e non ho possibilita di visionare i documenti che la riguardano. Mi potrei arrangiare, ma preferirei che se ne occupasse lei. È in grado di penetrare nella banca dati di un’universita, immagino.» «Di quale universita si tratta?» «Della Shanghai University, sulla Shangda Lu, nel distretto di Baoshan.» «Kenny, non c’e bisogno che le ricordi quanto sia delicata questa faccenda. Quindi cerchi di accelerare un po’ i tempi. Ci serve il computer della ragazza. A qualunque costo.» «Avrete il computer e la ragazza», rispose Xn prima di chiudere la comunicazione. Rivolse nuovamente lo sguardo al deserto urbano fuori dalla finestra. Il computer. Senza dubbio Yoyo l’aveva portato con sé. Xn si chiese cosa potesse averla spinta a scappare in modo tanto precipitoso. Di certo si era accorta non solo che la sua irruzione era stata scoperta, ma pure che era stato lanciato un contrattacco, che i suoi dati erano stati scaricati e, di conseguenza, che la sua identita era stata svelata. Un buon motivo per preoccuparsi, certo, ma non per darsi alla fuga. I sistemi di protezione di alcune reti erano in grado di disattivare in un lampo i computer degli hacker che vi penetravano, appropriandosi anche di tutti i loro dati. Ma quello non era un motivo sufficiente. Qualcos’altro aveva fatto ca-

pire a Yoyo che, da quel preciso istante, lei non era piu al sicuro. C’era una sola spiegazione possibile. Yoyo aveva letto qualcosa che non avrebbe dovuto leggere. Cio voleva dire che la codifica era stata temporaneamente disattivata. Un errore nel sistema. Una crepa che si era aperta in modo inatteso, permettendole di dare un’occhiata. Se le cose stavano cos, le conseguenze sarebbero state davvero terribili. La domanda era: quanto velocemente si era richiusa quella crepa? Non abbastanza, quello era certo. Una breve occhiata era stata sufficiente a spingere la ragazza alla fuga. Ma quanto sapeva davvero? Recuperare il computer non era sufficiente. Doveva trovare Yoyo prima che lei avesse modo di comunicare ad altri quello che sapeva. L’unica speranza, al momento, era Grand Cherokee Wang. Una speranza piuttosto flebile. Ma in fondo la speranza era da sempre la sorella povera della certezza. Di sicuro quel tipo gli avrebbe venduto Yoyo e il computer senza battere ciglio non appena la ragazza avesse rimesso piede nell’appartamento. Xn corrugo la fronte. C’era qualcosa nella sua posizione che lo faceva sentire a disagio. Fece un passo a sinistra, portandosi al centro fra due montanti della finestra, le punte delle scarpe alla stessa distanza dalla base. Cos andava meglio. PDNG, SHANGHAI, CINA «Conosco Yoyo da quand’e nata», spiego Tu Tian. «Crescendo, e diventata un’adolescente normale, infarcita di fantasticherie romantiche. Poi ha vissuto un’esperienza decisiva. Niente di straordinario, ma io penso che sia stato uno di quegli eventi che ti segnano per sempre. Conosci Mian Mian?» «La scrittrice?» «S, proprio lei.» «È passata un’eternita da quando ho letto uno dei suoi libri», replico Jericho. «Era un personaggio importante della scena culturale, vero? Ed era anche piuttosto famosa in Europa. Ricordo che all’epoca mi chiedevo come avesse fatto ad aggirare la censura.» «I suoi libri sono stati proibiti a lungo, ma ormai puo fare quello che vuole. Quando Shanghai si e trasformata in una specie di ’capitale dei party’, lei e stata l’anello di congiunzione tra i bassifondi e l’alta societa, perché li conosce entrambi e ne parla in modo convincente. Oggi e una specie di santa protettrice degli artisti locali. Sui cinquantacinque anni, affermata, amata... persino il Partito ne tesse le lodi. Un giorno d’estate del 2016, si trovava nel parco Fuxng, al club Guand, che di l a poco sarebbe stato demolito, per leggere alcune pagine del suo nuovo romanzo. Yoyo era tra il pubblico. Successivamente aveva avuto modo di parlare con Mian Mian, e di trascorrere con lei diverse ore girovagando per locali e gallerie d’arte.

Yoyo ne era come inebriata. Devi capire il simbolismo di quella coincidenza: Mian Mian aveva cominciato a scrivere a sedici anni, dopo il suicidio della sua migliore amica, e Yoyo aveva appena compiuto sedici anni.» «E aveva deciso di diventare scrittrice.» «Aveva deciso di cambiare il mondo. Per motivazioni romantiche, certo, ma anche con una stupefacente lucidita. Piu o meno in quello stesso periodo, era iniziata la mia scalata al successo. Conoscevo Chén Hongbng dagli anni ’90, gli volevo molto bene, e lui mi aveva affidato sua figlia, convinto che potesse imparare qualcosa da me. Yoyo aveva sempre avuto un debole per la realta virtuale: praticamente viveva in Internet. Le interessava in particolare il confine tra il mondo reale e quello artificiale. Nel 2018, mentre io assumevo la direzione della Dao IT, Yoyo incominciava l’universita. Hongbng la aiutava come poteva, ma lei ci teneva a mantenersi da sola. Quand’era venuta a sapere che avevo rilevato la divisione Ambienti Virtuali, aveva cominciato ad assillarmi perché le trovassi un posto la.» «Cosa studiava, esattamente?» «Giornalismo, politica e psicologia. Il primo per imparare a scrivere, la seconda per avere argomenti su cui scrivere. E psicologia... » «Per capire il padre.» «Lei ti darebbe una spiegazione diversa. Dal suo punto di vista, la Cina e un paziente sempre sull’orlo della follia. Percio lei cercava la diagnosi per le malattie della nostra societa. E qui ovviamente entra in gioco Chén Hongbng.» «L’attrezzatura l’ha avuta da te», concluse Jericho. «L’attrezzatura?» «Certo. Quando hai fondato la Tu Technologies?» «Nel 2020.» «E Yoyo ne ha fatto parte fin dall’inizio?» «Naturalmente.» Il viso di Tu Tian s’illumino. «Ah, capisco. » «Vi ha osservato per anni mentre sviluppavate programmi per qualsiasi cosa.» «So bene che abbiamo avuto un ruolo fondamentale nell’organizzazione dei Guardiani, involontariamente s’intende. Inoltre ti posso assicurare che nessuno dei miei collaboratori si sognerebbe mai di fornire armi tecnologiche a una dissidente!» «Chén ha alluso al fatto che Yoyo e stata arrestata piu volte.» «Solo durante gli anni universitari aveva capito quanto fosse pesante la censura di Internet da parte delle autorita. Per chi considera la rete il suo spazio vitale naturale, deve essere molto frustrante trovare porte sbarrate.» «E cos aveva fatto la conoscenza di Diamond Shield.»

Chiunque si fosse azzardato a pigiare l’acceleratore sulle autostrade informatiche cinesi si sarebbe ritrovato davanti a barriere virtuali. All’inizio del millennio, temendo che il nuovo mezzo di comunicazione facesse emergere temi scottanti, il Partito aveva sviluppato Golden Shield, un programma altamente sofisticato per la censura in rete, sostituito nel 2020 dal piu evoluto Diamond Shield. Grazie a quel programma, oltre centocin-quantamila poliziotti informatici avevano modo di rovistare in chatroom, blog e forum. Se Golden Shield era paragonabile a un segugio che riusciva a fiutare anche negli angoli piu reconditi della rete parole o frasi come «massacro di Tian’anmén», «Tibet », «rivolta studentesca», «liberta» e «diritti umani», Diamond Shield era in grado, fino a un certo livello, di riconoscere i nessi logici tra le singole parole all’interno dei testi. Era la risposta del Partito ai cosiddetti «programmi bodyguard». Dopo essere uscita di prigione, «Topina di Titanio» aveva capito che i testi da pubblicare in rete non dovevano contenere nessuna delle parole che facevano scattare Golden Shield e, a tal fine, si serviva di un programma che in pratica la bacchettava sulle dita mentre scriveva. Se digitava parole pericolose, il programma le cancellava, proteggendola da se stessa. Ecco perché Diamond Shield era meno focalizzato sulle parole chiave e si dedicava soprattutto a eseguire analisi testuali, collegare locuzioni e osservazioni, esaminare i possibili doppi sensi e i messaggi in codice, dando l’allarme in caso di sospetta sovversione. Ironicamente era stato proprio quel cerbero a consentire agli hacker un progresso epocale per ridurre al minimo i rischi delle loro azioni e aumentare al massimo l’efficacia. Tuttavia Diamond Shield bloccava anche i motori di ricerca e le agenzie di stampa estere. Il mondo intero aveva assistito all’attentato di Kim Jong-un e al crollo del regime nordcoreano; solo nella rete cinese non era successo nulla. Le sanguinose rivolte contro la giunta militare in Birmania avevano avuto luogo sul pianeta Terra, ma non sul pianeta Cina. Chi cercava di accedere ai siti della Reuters o della CNN doveva aspettarsi rappresaglie. Il muro che Diamond Shield stava edificando intorno al Paese cresceva con la stessa rapidita con cui la Grande Muraglia si sgretolava. E diventava ogni giorno piu solido. Eppure l’ansia del governo cresceva di pari passo con quel muro. Tutti gli hacker del Paese sembravano essersi coalizzati per frantumare lo scudo di diamante, ma anche gli attivisti sparsi nel resto del globo ci stavano lavorando, persino quelli negli uffici dei gruppi industriali europei, indiani e americani, nei servizi segreti e negli ambienti governativi. Il mondo stava conducendo una guerra informatica, e la Cina rappresentava il nemico numero uno. «Considerando questa circostanza, i primi passi di Yoyo in rete facevano quasi tenerezza», spiego Tu Tian. «Sgranando i suoi occhioni indignati, scriveva articoli contro la censura e vi apponeva la propria firma. Reclamava la liberta di opinione ed esigeva l’accesso al patrimonio d’informazioni di Google, Al-taVista, eccetera. Poi era entrata in contatto con persone che coltivavano le stesse idee e credevano che fosse possibile proteggere le chat-

room dagli attacchi esterni semplicemente sprangando la porta, come se fossero degli sgabuzzini.» «Era davvero cos ingenua?» «All’inizio, s. Era chiaro che voleva impressionare Hong-bng. Pensava davvero che lui avrebbe approvato. Che sarebbe stato orgoglioso del suo piccolo atto di ribellione. Invece Hong-bng aveva reagito con sgomento.» «Cercando d’impedirle quelle attivita.» «Yoyo era perplessa. Non riusciva a capire. Hongbng s’intestardiva... e ti assicuro che puo essere testardo come un mulo. Piu Yoyo esigeva spiegazioni per il suo atteggiamento, piu lui s’induriva. Lei voleva discutere. Lui urlava. Lei frignava e lui non le parlava. Ovviamente Yoyo capiva che il padre aveva paura per lei, ma era convinta di non stare complottando per far cadere il governo. Aveva solo brontolato un po’.» «Allora si era confidata con te.» «Mi aveva detto che, secondo lei, probabilmente suo padre era solo un vigliacco. Le avevo subito tolto una simile idea dalla testa, spiegandole che ero in grado di capire meglio di lei le motivazioni di Hongbng. E la cosa l’aveva particolarmente amareggiata. Voleva sapere perché Hongbng non avesse fiducia nella propria figlia. Le avevo risposto che il suo silenzio non aveva nulla a che fare con la mancanza di fiducia, ma che era una questione di privacy. Hai figli, Owen?» «No.» «Eh, i Piccoli Imperatori...» A quell’espressione, Jericho s’irrigid. Maledizione! Era riuscito a scacciare i ricordi del sotterraneo di Shenzhén per un paio d’ore e adesso Tu Tian li aveva fatti riemergere. «Splendidi ed esigenti nel contempo», continuo Tu Tian. «Anche Yoyo. Le avevo spiegato che un padre aveva diritto ad avere una vita privata e che il fatto di essere stata generata da lui non la autorizzava a penetrare negli angoli segreti del suo animo. Ma i figli non capiscono. Sono convinti che i genitori siano una sorta di fornitori di servizi, che esistano solo per guardare loro le spalle; all’inizio utili, poi stupidi, alla fine imbarazzanti. Lei aveva ribattuto che le discussioni partivano sempre da Hongbng e che lui cercava di controllare la sua vita. Purtroppo aveva ragione. Hongbng avrebbe dovuto spiegarle cosa lo turbava tanto.» «Ma lui non l’ha fatto. E allora? L’hai fatto tu?» «Lui non mi avrebbe mai permesso di affrontare l’argomento con Yoyo. Con nessuno. Quindi avevo cercato di costruire qualche ponte, spiegandole che, in passato, suo padre aveva subito un’enorme ingiustizia e che nessuno al mondo soffriva del suo silenzio piu di lui. L’avevo pregata di avere pazienza. A poco a poco, Yoyo aveva imparato a rispettare il mio atteggiamento ed era diventata piu riflessiva. Da allora, aveva iniziato a confidarsi con me, e

questo mi onorava, dato che non avevo mai fatto nulla per conquistarmi la sua fiducia.» «E Chén si era ingelosito.» Tu Tian rise sommessamente, una strana risata triste. «Non lo ammetterebbe mai. Tra me e lui c’e un legame molto profondo. Di certo, pero, non gli faceva piacere. Era inevitabile che la situazione si esacerbasse. In rete, Yoyo si era messa a scrivere di argomenti banali: moda, musica, film e viaggi. Pubblicava poesie e racconti. Credo che non avesse ben chiaro cosa volesse diventare: se una giornalista, una dissidente o semplicemente un’altra ’Shanghai Baby’.» «Non e il titolo di un libro di...» «Mian Mian.» Tu Tian annu. «All’inizio del secolo, le giovani scrittrici di Shanghai venivano chiamate cos. Adesso questo termine e passato di moda. L’hai vista, no? Si e fatta un nome tra gli artisti, ha attirato l’attenzione degli intellettuali, ma e una scrittrice?» Scosse la testa. «Non sarebbe mai in grado di scrivere un buon romanzo. Pero la ritengo capace di risolvere da sola il mistero dell’assassinio di Kennedy. È un’investigatrice brillante, incline alla polemica. I censori lo hanno capito subito. Anche Hongbng lo sa. Per questo ha cos paura. Inoltre Yoyo e una persona affascinante. Ha carisma, trasmette fiducia. Caratteristiche pericolose dal punto di vista del Partito.» «Quando hanno iniziato a indagare su di lei?» «All’inizio non e successo nulla. Le autorita sono rimaste in attesa. Yoyo era in pratica una dipendente della mia azienda, mostrava uno spiccato interesse per le olografie e ci dava una mano con la realizzazione di programmi divertenti, e il divertimento e una cosa con cui il Partito non ha molta confidenza. Non sa come prenderlo. È stato destabilizzante scoprire che i cinesi iniziavano a considerare il divertimento un valore culturale. » «Aristotele aveva dedicato al riso il secondo libro della Poetica, che tuttavia e andato perduto», disse Jericho. «Lo sapevi?» «Conosco meglio Confucio.» «Nella Retorica, comunque, accosta il riso all’ingiuria.» «D’altra parte, chi si diverte si arrabbia meno e quindi s’interessa meno alla politica. In questo senso, il Partito apprezza il divertimento, e Yoyo senza dubbio sa come divertirsi. A un certo punto, si era data al canto e aveva fondato uno di quei gruppi mando-prog che stanno ancora spuntando come funghi. Non c’era festa in cui non ci fosse Yoyo. Se eri nel giro, era praticamente impossibile non imbatterti in lei. Forse pensavano che, lasciandola divertire, la minaccia si sarebbe disinnescata. E, se l’avessero lasciata in pace, probabilmente sarebbe andata proprio cos.» Tu Tian estrasse dagli abissi dei pantaloni un fazzoletto che doveva essere stato bianco e si asciugo il sudore dalla fronte. «Invece, una mattina di cinque anni fa, tutti i suoi blog sono stati chiusi e gli articoli a suo nome cancellati dalla rete. Quello stesso

giorno, Yoyo e stata arrestata e condotta in un distretto di polizia, con l’accusa di essere una minaccia per la sicurezza del Paese e di aver istigato alla sovversione. L’hanno trattenuta per un mese e, all’inizio, Hongbng non sapeva nemmeno dove fosse. Stava quasi impazzendo. Tutta la faccenda ricordava spaventosamente il caso di ’Topina di Titanio’. Nessuna accusa formale, nessuna udienza, nessuna condanna, niente di niente. Nemmeno Yoyo sapeva con esattezza quale crimine avesse commesso. Se ne stava rannicchiata nella sua cella, insieme con due tossici e con una donna che aveva accoltellato il marito. Gli agenti di custodia la trattavano con gentilezza e, alla fine, le hanno spiegato il motivo per cui si trovava l. Aveva preso le difese di un amico, un musicista rock, che era in carcere per chissa quale sfrontatezza. Era ridicolo. Secondo la legge, il pubblico ministero deve pronunciarsi entro sei settimane per l’istanza a procedere o l’assoluzione. Il caso e stato poi archiviato per insufficienza di prove, Yoyo se l’e cavata con un’ammonizione e ha potuto tornare a casa.» «Forse e superfluo dirlo, ma immagino che Chén le abbia proibito ogni ulteriore attivita in rete», ipotizzo Jericho. «Gia. Ottenendo l’effetto opposto. All’inizio, lei e stata docile come un agnellino, ha scritto qualche articolo per certe riviste online, persino per gli organi di Partito. Ma, poche settimane dopo, si e imbattuta in un caso di scarico illegale di rifiuti tossici nello X Hu, il Lago Occidentale. Un’azienda chimica nelle vicinanze di Hangzhou, all’epoca ancora di proprieta statale, gettava nel lago gli scarti di lavorazione e agli abitanti della zona erano iniziati a cadere i capelli o anche peggio. Il direttore dell’azienda... » «... era un cugino del ministro del Lavoro e della Sicurezza Sociale», lo interruppe Jericho. «Certo. Yoyo lo sapeva, ma ha comunque deciso di diffondere la notizia.» Tu Tian lo fisso, sbalordito. «Come fai a saperlo?» «Mi e venuto in mente dove avevo gia sentito il nome di Yoyo!» Si gusto l’attimo in cui il suo cervello forzava il blocco della memoria, liberando il ricordo. «Non ho mai visto una sua fotografia, pero ricordo bene lo scandalo dei rifiuti tossici. La storia dello smaltimento illegale ha fatto il giro della rete. Le hanno fatto capire che si era sbagliata. Allora Yoyo li ha mandati a quel paese, ed e stata subito arrestata.» «È stata solo questione di ore prima che tutti i suoi articoli in rete venissero cancellati per una seconda volta. La sera stessa, la polizia ha bussato alla sua porta e lei si e ritrovata di nuovo in cella. Anche stavolta, pero, non hanno potuto accusarla di nulla. Aveva commesso l’errore d’infilare le mani nella rete della corruzione. Il pubblico ministero si e infuriato, chiedendo che senso avesse quella pagliacciata, dato che gia l’anno prima avevano indagato su di lei senza trovare nulla, ma alla fine e stato messo sotto pressione e costretto a concedere l’istanza a procedere.»

«S, ricordo. Yoyo e finita in carcere...» «Ma poteva andare anche peggio. Hongbng conosce un po’ di gente. Io ne conosco di piu. Cos ho procurato a Yoyo un avvocato che e riuscito a ridurre la pena detentiva a sei mesi.» «E per cos’e stata condannata?» «Per diffusione non autorizzata di segreti di Stato, come sempre.» Tu Tian scrollo le spalle e sorrise amaramente. «L’industria chimica aveva stretto un’alleanza con un’azienda inglese e Yoyo si era recata sul posto per intervistare un rappresentante di quest’ultima e raccogliere informazioni sulle operazioni clandestine notturne. Era stato sufficiente. Ma i media hanno dato molto risalto al caso. Oggigiorno, i giornalisti cinesi non si fanno piu intimidire come avveniva nel 2005 o nel 2010. Se uno di loro viene messo alla berlina, partono le sirene e, nei casi di corruzione, anche il Partito si spacca. La faccenda si e diffusa all’estero, Reporter Senza Frontiere ha preso le difese di Yoyo e il premier inglese, in visita a Pechino, ha fatto un paio di osservazioni sull’argomento a margine di alcuni colloqui bilaterali. Tre mesi dopo, Yoyo era di nuovo fuori.» «Se non sbaglio, poi, il direttore dello stabilimento e stato trovato che galleggiava nelle acque del lago. Hanno parlato di suicidio.» «Diciamo che si e trattato di eutanasia», sogghigno Tu Tian. «Le autorita non avevano previsto una tale pressione da parte dell’opinione pubblica ed erano state costrette ad aprire un’inchiesta. Sarebbero potuti saltare fuori parecchi nomi ma, indovina un po’, il mascalzone galleggiava nelle acque che lui stesso aveva inquinato e pertanto non si poteva piu interrogare. Quindi, per andare sul sicuro, il vicedirettore e il responsabile di produzione sono stati rilasciati e l’inchiesta e stata archiviata. Nel 2022, Yoyo ha ripreso gli studi. Hai sentito il suo nome dopo questa faccenda?» Jericho rifletté. «Non mi pare.» «Appunto. Il suo comportamento e stato ineccepibile... quando sotto gli articoli compariva il suo vero nome. Ha scritto di viaggi, per esempio, diffondendo la nuova cultura d’intrattenimento cinese. Per testi... diversi, invece, ha usato una serie di pseudonimi, appoggiandosi a server esteri. Non appena ha potuto, ha preso il sistema a calci nel sedere. È diventata una specie di...» Tu Tian rise, allargo le braccia e imito il battito d’ali degli uccelli «... Batgirl. Alla luce del sole, una ragazza alla moda e dedita al divertimento, ma in segreto impegnata in crociate contro la tortura, la corruzione, la pena di morte, i crimini legalizzati, i disastri ambientali... Ha lottato per la democrazia, una democrazia cinese s’intende. Yoyo non vuole ripercorrere le orme dell’Occidente, desidera solo che il Paese si liberi di quel dente cariato e marcio che e il Partito, in modo da poter dare spazio ai valori autentici. Cosicché il resto del mondo non ci veda solo come giganti dell’economia, ma anche come rappresentanti

di una nuova umanita.» «Che Dio ci protegga dai missionari», mormoro Jericho. «Lei non e una missionaria», ribatté Tu Tian. «È una persona alla ricerca di un’identita.» «Che suo padre non e in grado di darle.» «Hongbng potrebbe anche essere la sua principale forza motrice. Forse abbiamo semplicemente a che fare con una bambina che cerca con tutte le sue forze di attirare l’attenzione del padre. Comunque non e un’ingenua. Non lo e piu, almeno. Quando ha fondato i Guardiani, sapeva perfettamente cosa stava creando. Un ’commando fantasma’. Voleva essere una potenza della rete in grado di terrorizzare il Partito e, a tal fine, doveva portare alla luce tutte le sue macchinazioni. Danneggiarne la reputazione, per salvare la reputazione della Cina. Ci ha messo un po’ piu di un anno per equipaggiare i Guardiani con la tecnologia necessaria.» Jericho si mordicchio l’interno della guancia. Sapeva che quella conversazione era giunta alla fine. Tu Tian non gli avrebbe rivelato altro. «Mi servono tutte le registrazioni di Yoyo che mi puoi mettere a disposizione», disse. «Qui ne ho qualcuna.» Tu Tian apr una valigetta di pelle consunta ed estrasse un paio di occhiali olografici e una chiavetta olografica. Gi occhiali avevano un design elegante e la chiavetta era piu piccola dei modelli comuni. «Sono prototipi. Qui sono memorizzati tutti i programmi in cui abbiamo utilizzato Yoyo come guida turistica virtuale. Se vuoi, puoi andartene in giro con lei per locali, visitare la Jn Mao Dasha o il World Financial Center, andare a zonzo tra le piante dello Yuyuan o farti un giro al MOCA Shanghai.» Ridacchio. «Ti divertirai. I testi li ha scritti lei stessa. Nella chiavetta troverai anche il suo fascicolo personale, le registrazioni di alcune conversazioni, fotografie e filmati. Non ho altro da darti.» «Bella», commento Jericho, rigirando la chiavetta tra le dita. Poi osservo gli occhiali. «Ma questi li ho anch’io.» «Ti sbagli. Eravamo certi che i ’soliti noti’ avrebbero tentato di spiare lo sviluppo per copiarci l’idea. Pero, a quanto pare, la tua ultima operazione li ha messi in fuga. La Dao IT si sta ancora leccando le ferite.» Jericho sorrise. La Dao IT, l’ex datore di lavoro di Tu Tian, non era stata entusiasta di vedere il suo responsabile della ricerca e dello sviluppo per gli ambienti virtuali trasformarsi in un diretto concorrente. Da quel momento, il gruppo aveva tentato piu volte di penetrare nel sistema informatico della Tu Technologies per impossessarsi dei suoi segreti aziendali. Ogni volta, gli hacker erano stati molto abili a cancellare le loro tracce, e Jericho aveva dovuto metterci tutto il suo impegno per risalire ai colpevoli. In seguito, Tu Tian si era presentato in tribunale con le prove del crimine e la Dao IT era stata condannata a un risarcimento milionario.

«Tra l’altro, mi hanno fatto un’offerta», disse Jericho, come se stesse parlando di una cosa secondaria. «Chi? La Dao IT?» Tu Tian si rizzo a sedere, neanche fosse stato percorso da una scarica elettrica. «Ma s, lo sai come vanno queste cose. Erano impressionati. Se ero stato in grado di arrivare a loro, non sarebbe stato cos male avermi dalla loro parte.» L’altro sollevo l’impalcatura di occhiali. Fece schioccare rumorosamente le labbra un paio di volte e poi si schiar la voce. «Non hanno proprio vergogna.» «Ovviamente ho rifiutato», replico Jericho con voce atona. La lealta era un bene prezioso. «Pensavo solo che la notizia ti potesse interessare.» «Certo che m’interessa.» Tu Tian sogghigno, poi rise e diede a Jericho una pacca sulla spalla. «Allora forza, al lavoro... xiong-dì. » WORLD FINANCIAL CENTER, SHANGHAI, CINA Grand Cherokee Wang si muoveva al ritmo di una musica impercettibile. A ogni passo, annuiva, come se volesse confermare di essere davvero in gamba. Percorse il corridoio di vetro molleggiando le ginocchia, suonando strumenti immaginari e schioccando la lingua; ogni tanto, poi, ondeggiava con le anche e digrignava i denti. Oh, quanto si piaceva. Grand Cherokee Wang, il signore del mondo. Amava quel luogo soprattutto di notte, quando poteva specchiarsi nelle vetrate da cui si vedeva il mare di luci di Shanghai. Aveva la sensazione di essere in cima al mondo, come un gigante. Non c’era vetrina della Nanjng Donglu nella quale non avesse ammirato il proprio volto dai lineamenti perfetti, le applicazioni dorate sulla fronte e sugli zigomi, i capelli neri e lunghi fino alle spalle, l’impermeabile bianco... che, a dire il vero, era un po’ troppo caldo per la stagione. Pazienza. Wang e le superfici riflettenti sembravano fatti l’uno per le altre. Era davvero in cima al mondo. O, almeno, lavorava in cima al mondo, al novantasettesimo piano del World Financial Center, dal momento che i suoi genitori avevano accettato di finanziare i suoi studi a condizione che contribuisse alle spese. E lui lo faceva. Con una tale dedizione da far sospettare al padre che al suo rampollo - altrimenti poco promettente - piacesse davvero lavorare. In realta, bisognava ringraziare le condizioni particolari in cui svolgeva il suo lavoro se, in quel periodo, Grand Cherokee Wang trascorreva piu tempo nel World Financial Center che nelle aule universitarie, dove peraltro la sua presenza sarebbe stata piu necessaria. D’altra parte, per un aspirante ingegnere elettrotecnico e meccanico, era difficile trovare un’aula migliore del novantasettesimo piano del World Financial Center. Wang aveva tentato di descrivere il grattacielo alla nonna, diventata cieca all’inizio del millennio, prima che l’edificio fosse ultimato. «Della Jn Mao Dasha ti ricordi, no?»

«Certo, non sono mica scema. Saro anche cieca, ma ricordo tutto perfettamente!» «Allora cerca d’immaginare un apribottiglie proprio alle sue spalle. Lo sai, no, che lo chiamano ’l’apribottiglie’ perché...» «So soltanto che lo chiamano cos.» «Sai anche perché?» «No. Ma ho come l’impressione che non riusciro a impedirti di spiegarmelo.» La nonna di Wang sosteneva che la perdita della vista le aveva portato una serie di vantaggi, il piu piacevole dei quali era il fatto di non dovere piu sopportare la vista dei suoi familiari. «Allora, stai attenta: e un edificio slanciato, con facciate completamente lisce, senza sporgenze, solo vetro. Giganteschi specchi in cui si riflettono il cielo, gli edifici intorno, anche la Jn Mao Dasha. Spettacolare. Quasi cinquecento metri di altezza, centoun piani. Come faccio a descriverti la forma? La pianta e quadrata, come quella di una normale torre pero, a mano a mano che si sale, la larghezza diminuisce gradualmente, fino a ridursi a un bordo sottile in cima.» «Non so se voglio ascoltare tutti questi dettagli.» «Nonna! Devi riuscire a immaginarlo per capire cos’hanno costruito la sopra. All’inizio, sotto il bordo, era prevista un’apertura circolare di cinquanta metri di diametro, ma poi il Partito ha deciso che non andava bene per via del simbolismo. Il cerchio avrebbe ricordato il Sol Levante del Giappone...» «I diavoli giapponesi!» «Appunto. Allora hanno realizzato un’apertura quadrata, cinquanta metri per cinquanta. Un buco nel cielo. Con quel foro rettangolare, il grattacielo ha davvero l’aspetto di un gigantesco apribottiglie. Quando hanno ultimato i lavori, nel 2008, tutti hanno iniziato a chiamarlo cos e non c’e stato niente da fare. La base dell’apertura e una piattaforma panoramica con un corridoio tutto di vetro. Anche il bordo superiore e di vetro e persino il pavimento e trasparente.» «Non ci salirei mai e poi mai!» «Aspetta, adesso arriva il bello: nel 2020 a qualcuno e venuta la folle idea di costruire nell’apertura l’ottovolante piu alto del mondo, il Silver Dragon. L’hai mai sentito nominare?» «No. O forse s? Non so.» «Ma il buco era troppo piccolo per un ottovolante. Voglio dire, e gigantesco, ma i progettisti avevano in mente qualcosa di piu spettacolare. Allora sai cos’hanno fatto? Hanno costruito la stazione dell’ottovolante all’interno dell’apertura e installato i binari tutt’intorno all’edificio. Si accede ai vagoni dal corridoio di vetro e via, si parte, dieci metri oltre il bordo, poi il percorso descrive un’ampia curva intorno al pilone laterale sinistro verso la parte posteriore del grattacielo. Sei sospeso sopra Pudong, a mezzo chilometro di altezza!»

«Che cosa assurda!» «È una cosa sensazionale! Sulla parte posteriore, i binari s’inerpicano verso il tetto, girano intorno al pilone laterale destro e poi sboccano in una linea orizzontale proprio sopra il bordo. Non e pazzesco? Vai a passeggio sul tetto del World Financial Center!» «Morirei di paura.» «È vero, la maggior parte della gente se la fa addosso gia dopo i primi metri, ma questo non e ancora niente. Alla fine del bordo superiore inizia una discesa spaventosa... una curva parabolica. I vagoni sfrecciano a una velocita vertiginosa. E sai una cosa? S’infilano dritti nel buco, in questo buco gigantesco, passano sotto il tetto e poi tornano su, su, su, in un dannato giro della morte, di nuovo verso l’alto, oltre il tetto, poi un’altra discesa mozzafiato, dentro il buco, intorno al pilone destro e quindi di nuovo in orizzontale per entrare in stazione, e tutto questo per tre giri. Oh, mamma!» Ogni volta che Grand Cherokee descriveva l’ottovolante, si entusiasmava al punto da sudare freddo. «Non dovresti studiare?» Doveva farlo davvero? Nel corridoio di vetro, osservando la coda di persone che si accalcavano contro la transenna e lo guardavano, alcuni combattuti fra la paura e il desiderio di provare una nuova esperienza, altri pietrificati dallo shock, altri ancora trasfigurati dall’eccitazione, Grand Cherokee si sentiva lontanissimo dalle bassezze dello studio. L’universita si trovava mezzo chilometro piu in basso. Sprecare la propria esistenza dentro quelle aule non faceva per lui. Meritava di meglio. Solo il pensiero che sgobbare sui libri alla fine gli avrebbe permesso di realizzare qualcosa di ancora piu grandioso del Silver Dragon lo riconciliava con la realta, ma solo in parte. Si fece largo tra le persone in attesa fino alla porta trasparente che separava il corridoio dalla banchina, la apr e rivolse alla fila un sorriso di scherno. «Dovevo fare pip.» Alcuni si spinsero in avanti. Altri indietreggiarono di un passo, come se Wang li stesse invitando sul patibolo. Richiuse la porta dietro di sé, entro nella sala di controllo e sveglio il drago. I monitor si accesero e miriadi di spie iniziarono a lampeggiare: il sistema si stava avviando. Sui vari monitor si vedevano i singoli tratti del percorso del treno. Il Silver Dragon era facile da manovrare, addirittura a prova d’idiota, ma le persone la fuori non potevano saperlo. Per loro, lui era un mago in una cabina di cristallo. Lui era il Silver Dragon. Niente Grand Cherokee, niente corsa. Fece indietreggiare il convoglio verso l’unico punto del percorso protetto da una grata. I vagoni brillavano, seducenti, sotto i raggi del sole, come tavole da surf color argento appoggiate sui binari. Il treno era stato progettato per essere il piu aperto possibile, pur tenendo saldamente ancorati i passeggeri ai sedili con barre di protezione. Non c’erano ringhiere che dessero l’illusione di potersi aggrappare a qualcosa durante il giro della morte. Nulla che

potesse distrarre lo sguardo dall’abisso. Il drago non aveva pieta. Apr la porta di vetro. Alcuni passarono sullo scanner il cellulare o il biglietto elettronico; altri avevano acquistato il biglietto nell’atrio. Grand Cherokee fece passare un gruppo di ventiquattro adrenalina-dipendenti e poi richiuse la porta. Una sbarra cromata si alzo per consentire l’accesso al drago. Aiuto i passeggeri a sedersi, controllo le barre di protezione e gli attacchi e lancio a ciascuno dei passeggeri occhiate tranquillizzanti. Una turista, forse scandinava, gli sorrise timidamente. «Paura?» chiese lui, in inglese. «Un po’ di agitazione», sussurro lei. Oh, hai paura. Fantastico. Grand Cherokee si chino verso di lei. «Alla fine del giro, ti mostro la cabina di controllo. Ti piacerebbe vederla?» «Oh, sarebbe... grandioso.» «Ma solo se sarai coraggiosa.» Le rivolse un sorriso da conquistatore. La ragazza bionda sospiro, poi sorrise di rimando. «Lo saro. Promesso.» Grand Cherokee Wang. Il signore del drago. Con passi rapidi raggiunse la cabina. Le sue dita si mossero abilmente sul pannello di controllo. Sblocco della protezione dei binari, partenza del treno. Bastava un gesto cos semplice per spedire un gruppo di esseri umani in un tour indimenticabile tra il paradiso e l’inferno. Il drago usc dalla gabbia e inizio a muoversi lungo la piattaforma, accelero, quindi spar dal campo visivo. Grand Cherokee si volto. Dal corridoio di vetro poteva vedere in lontananza gli imponenti piloni laterali, suddivisi in segmenti delle dimensioni di un attico. Sopra di lui, a un’altezza vertiginosa, c’era l’osservatorio col pavimento di vetro. All’interno, i visitatori si muovevano come se stessero camminando su una lastra di ghiaccio e guardavano in basso, cinquanta metri sotto di loro, verso il corridoio con la stazione dell’ottovolante dove si stavano gia radunando nuovi temerari. Tutti fissavano la torre di sinistra, dietro la quale il treno stava risalendo verso il tetto. Poi usc di nuovo dal campo visivo. Grand Cherokee getto un’occhiata ai monitor. Il convoglio si stava avvicinando alla fine del tetto. Oltre quel punto, il binario curvava bruscamente verso il basso. Attese. Quando aveva occasione di fare lui stesso un giro sull’ottovolante, quello era il momento che amava di piu. I posti davanti erano i migliori. Si aveva la sensazione che le rotaie finissero nel nulla, di precipitare nel vuoto oltre il bordo, di pensare l’impensabile... appena prima che il vagone s’inclinasse, lasciando intravedere la curva parabolica piu in basso, appena prima che l’adrenalina sciacquasse via ogni pensiero razionale dalle circonvoluzioni cerebrali e che i polmoni si dilatassero in un urlo. Si sfrecciava verso la stazione a testa in giu, quindi si veniva nuovamente catapultati verso l’alto, ci si ritrovava a fluttuare nel vuoto oltre il tetto, per poi affrontare subito un’altra discesa mozzafiato.

I vagoni rientrarono nel campo visivo. Affascinato, Grand Cherokee guardo in alto. Il tempo sembrava essersi fermato. Poi il drago si lancio nell’anello del giro della morte. Poteva udire le urla attraverso la vetrata. Che momento! Che dimostrazione di potere sul corpo e sullo spirito! E che trionfo poter cavalcare e controllare il drago! Fu investito da una sensazione di totale invulnerabilita. Almeno una volta al giorno tentava di accaparrarsi un posto nel convoglio, perché lui non aveva paura di nulla, non soffriva di vertigini, non aveva dubbi sulla propria grandezza, era privo di vergogna, privo di scrupoli e privo di coscienza. Privo di prudenza. Mentre, sopra di lui, ventiquattro coraggiosi vivevano il loro inferno neurochimico a cavallo del drago, Wang tiro fuori il cellulare e seleziono un numero. «Ho delle informazioni per lei», esord, sforzandosi di assumere un tono annoiato. «Sa dove si trova la ragazza?» «Credo di s.» «Grandioso!» L’uomo sembrava davvero riconoscente. Grand Cherokee contrasse le labbra. Quel tizio poteva recitare quanto voleva, pero di certo non stava cercando Yoyo per avvolgerla nella bambagia. Probabilmente era dei servizi segreti o della polizia. Ma non importava. Di fatto, aveva dei soldi ed era pronto a pagare. In cambio, avrebbe ottenuto informazioni che Grand Cherokee in realta non possedeva, visto che non aveva la piu pallida idea di dove si trovasse Yoyo. Non sapeva chi o che cosa avesse indotto la ragazza a fuggire, e nemmeno se fosse davvero fuggita o semplicemente partita per una vacanza senza avvisare nessuno. Il suo bagaglio d’informazioni era come il suo conto in banca: in entrambi non vi era niente da prelevare. D’altra parte, come sarebbe stato se avesse detto soltanto la verita? «Yoyo lavora nel World Financial Center, alla Tu Technologies, qualche piano piu in basso. Io sono il custode della stazione dell’ottovolante in cima all’edificio, per tutti quelli che vogliono farsela addosso in caduta libera. L’ho conosciuta cos. È venuta qui perché voleva cavalcare il drago. Allora gliel’ho fatto cavalcare e, dopo, le ho fatto vedere come si manovra. Lei lo ha trovato... come posso dire...» La verita, Grand Cherokee, la verita. «... molto piu eccitante di me, anche se di solito il trucco funziona, voglio dire, ti faccio fare un giro gratis, poi tu fai un giro con me, andiamo a bere qualcosa, capito? A lei piaceva il drago, e stava cercando un alloggio perché non andava d’accordo col suo vecchio. L e io avevamo una stanza libera. In realta, L non era entusiasta all’idea. Ritiene che le ragazze disturbino l’equilibrio chimico, soprattutto se sono belle come Yoyo, perché tutti i pensieri conflu-

iscono nell’uccello e alla fine si rovinano le amicizie. Ma io ho insistito e Yoyo si e trasferita da noi. Tutto questo e successo non piu di due settimane fa.» Fine della storia. Forse avrebbe potuto aggiungere: Pensavo che, una volta a casa nostra, sarei riuscito a portarmela a letto, ma mi sbagliavo. Le piace fare casino, le piace cantare, in definitiva le piace tutto quello che piace anche a me. Una cosa incomprensibile, in realta. E ancora: Mi e capitato di vederla girare con tizi dei quartieri bassi. Motociclisti. Una banda, forse. Sui giubbotti, hanno adesivi che dicono «City Demons», almeno mi pare. Sì, «City Demons». E quella era l’unica informazione degna di tal nome. Ma, con ogni probabilita, non gli avrebbe fruttato nulla. Era ora d’inventarsi qualcosa. «E adesso dove si trova?» volle sapere l’uomo. Cherokee esito. «Non dovremmo parlarne al telefono, capisce... » «Lei dov’e? Posso raggiungerla in un attimo.» «No, no, non ce la faccio. Non oggi. Facciamo domattina presto. Alle undici.» «Alle undici non e presto.» L’altro fece una pausa. «Se ho capito bene, lei vuole guadagnare un po’ di soldi. O sbaglio?» «Ha capito benissimo. E lei vuole qualcosa da me, giusto? Allora, chi stabilisce le regole del gioco?» «Lei, amico mio.» Era solo un’impressione o il suo interlocutore stava ridendo sommessamente? «Cosa ne dice di vederci alle dieci?» Grand Cherokee rifletté. Alle dieci doveva eseguire i lavori di manutenzione dell’ottovolante, alle dieci e mezzo apriva. D’altro canto, forse incontrare Mr «Big Money» da solo non era un’idea cos stupida. Dal momento che alcune banconote avrebbero cambiato proprietario, sarebbe stato meglio limitare il numero degli spettatori, e alle dieci sarebbero stati soli, lui, l’uomo e il drago. «Va bene.» Era certo che gli sarebbe venuto in mente qualcosa. «Le dico dove puo trovarmi.» «Bene.» «E si metta in tasca un portafoglio bello pieno.» «Non si preoccupi. Non avra modo di lamentarsi.» Suonava bene. Suonava bene... davvero? I vagoni entrarono in stazione e frenarono. Il viaggio era terminato. Grand Cherokee osservo ventiquattro paia di ginocchia tremolanti e si preparo a sorreggere i passeggeri piu malconci. Ma certo, suonava molto bene. JERICHO L’appartamento che Yoyo condivideva coi due ragazzi si trovava nella Tibet Lu, al centro di un quartiere di blocchi di cemento tutti perfettamente identici. Solo pochi anni prima, quel

luogo ospitava un mercato notturno. Le case dai tetti spioventi erano ammassate all’ombra dei grattacieli formando un’isola di miseria e decadenza distribuita su quasi quattro chilometri quadrati, in cui l’approvvigionamento idrico era cronicamente insufficiente e la corrente elettrica funzionava a intermittenza. I commercianti esponevano i loro prodotti sul marciapiede, con le finestre e le porte aperte, cosicché lo spazio abitativo assolveva la funzione di negozio e nel contempo di magazzino. Si trovava di tutto: articoli casalinghi, erbe curative, radici per stimolare la libido, estratti contro gli spiriti maligni, souvenir per i turisti che, essendosi persi, finivano per caso nel quartiere e non sapevano distinguere un Buddha di plastica da uno antico. A ogni angolo si vedevano paioli fumanti, e i vicoli erano invasi dall’odore di grasso e di brodo. Non era malaccio, ricordava Jericho, che aveva fatto un giro da quelle parti poco dopo il suo arrivo. Anzi, per pochi soldi, si poteva comprare cibo davvero squisito. D’altra parte, vivere l costringeva la gente a condividere con altre dieci persone un’unica toilette perennemente intasata, sempre che l’edificio potesse vantare il lusso di averne una. Di conseguenza, il giorno in cui erano apparsi i rappresentanti delle autorita preposte all’edilizia e delle agenzie immobiliari, ci si sarebbe aspettati una reazione entusiastica da parte della collettivita. Erano stati evocati appartamenti luminosi, fornelli elettrici e docce... eppure nessuno sguardo si era acceso di entusiasmo. Gli abitanti del quartiere non avevano mostrato né contentezza né resistenza. Avevano firmato i contratti, si erano guardati e avevano capito che era arrivato il momento. La vita che avevano condotto fino ad allora era giunta al termine. Ed era stata pur sempre una vita: quelle case semplici avevano visto tempi migliori, prima dell’impennata dell’economia cinese all’inizio degli anni ’90. Qualche mese piu tardi, Jericho era tornato laggiu. Inizialmente aveva pensato che la zona fosse stata bombardata. Un esercito di operai era impegnato a radere al suolo l’intero quartiere. La sorpresa iniziale si era trasformata in stupore incredulo quando si era reso conto che una buona meta degli abitanti viveva ancora l e si dedicava alle consuete occupazioni quotidiane mentre tutt’intorno ballonzolavano palle d’acciaio, crollavano muri e i camion rimuovevano tonnellate di macerie. Aveva chiesto cosa ne sarebbe stato della gente, una volta che il quartiere fosse scomparso. «Si trasferisce», aveva spiegato uno degli operai. «Dove?» L’uomo non aveva risposto e Jericho, sbigottito, aveva gironzolato per il quartiere, mentre calava il buio e veniva allestita la scenografia di un mercato notturno, i cui protagonisti sembravano impegnati a negare che fosse in atto un’opera di distruzione. Aveva interpellato alcune persone e tutte, indifferenti e cordiali, gli avevano detto che le cose stavano cos e basta. Dopo un po’, Jericho era arrivato alla conclusione che non poteva dipendere solo dallo stras-

cicato dialetto di Shanghai se lui capiva sempre un’unica parola. No, quella era la reazione standard a qualsiasi tipo di catastrofe e ingiustizia. Meiyoubanfa, cioe: «Non ci si puo far niente». Col sopraggiungere della notte, qualcuno era diventato piu loquace. Una donna rotondetta, in la con gli anni, che preparava squisite polpette in brodo, aveva spiegato a Jericho che l’indennizzo concesso dalle autorita non era neanche lontanamente sufficiente per acquistare un nuovo appartamento o per prenderne uno in affitto per un certo periodo. Una seconda donna gli aveva riferito che, sulle prime, avevano offerto a ognuno degli abitanti del quartiere una somma di gran lunga superiore, ma che nessuno aveva ricevuto l’importo promesso. Un giovane allora si era messo a protestare, minacciando di sporgere denuncia, ma la donna rotondetta aveva liquidato quella dichiarazione con un cenno. Suo figlio li aveva gia denunciati quattro volte e tre denunce erano state respinte. La quarta volta, poi, lo avevano sbattuto in cella per una settimana. Piu perplesso di quand’era arrivato, Jericho aveva lasciato il quartiere. Adesso ci tornava per la terza volta, e nulla di cio che vedeva lasciava intuire che l fosse mai esistito qualcosa di diverso da quelle torri con gli impianti dell’aria condizionata davanti alle finestre. Gli edifici erano numerati ma, nella luce del crepuscolo, i numeri risultavano illeggibili perché qualche idiota aveva avuto la brillante idea di dipingerli in colori pastello, tono su tono; enormi, certo, ma impossibili da individuare. Cos, nella luce dei lampioni, si mimetizzavano con lo sfondo come una lepre bianca nella neve. Jericho non aveva voglia di perlustrare le strade a una a una. Prese il cellulare, digito il numero civico e attese che il GPS rilevasse la sua posizione. Sul display apparve un’immagine satellitare di quella parte della citta e lui la proietto sulla parete della casa piu vicina. Il proiettore era abbastanza potente da generare un’immagine nitida di due metri per due: erano perfettamente visibili la strada che stava percorrendo e che sembrava tagliare in due la facciata dell’edificio, tutte le parallele e le traverse. Jericho allora zoomo sul tratto di strada compreso tra il segnale lampeggiante che indicava il punto in cui si trovava lui e un altro, che invece indicava l’indirizzo di Yoyo. «Procedere per trentadue metri, poi svoltare a destra», esclamo una voce dal cellulare. Disattivo la voce e s’incammino. Aveva visto che l’isolato in cui abitava Yoyo si trovava proprio dietro l’angolo. Due minuti dopo, suono il campanello. C’era la possibilita concreta di non trovare nessuno, ma il rischio era compensato dal vantaggio che gli avrebbe concesso l’effetto sorpresa. Chiunque gli avesse aperto la porta non avrebbe avuto il tempo di prepararsi, di far sparire qualcosa o di escogitare menzogne. Secondo gli accertamenti di Jericho, i coinquilini di Yoyo non avevano precedenti penali e non avevano mai dato nell’occhio. Il primo, Zhang L, studiava Economia aziendale e Inglese. Il

secondo era iscritto a Ingegneria meccanica ed elettrotecnica. Le autorita lo conoscevano come Wang Jntao, ma lui si faceva chiamare Grand Cherokee. Non era una cosa insolita: negli anni ’90, i giovani cinesi avevano iniziato a far precedere al loro cognome un nome occidentale, una pratica non sempre all’insegna del buongusto. Era accaduto che, ignorando il reale significato di molte parole, alcuni uomini avevano iniziato a farsi chiamare come una marca di assorbenti femminili o di cibo per cani, mentre non era raro incontrare donne che portavano nomi altisonanti e ridicoli come Pershing Song o White House Liang. Wang aveva scelto per sé il nome di un fuoristrada americano. Stando a quello che aveva detto Tu Tian, né lui né L erano esattamente dei pantofolai, quindi il rischio che Jericho avesse fatto tutta quella strada per niente era abbastanza elevato. Tuttavia, quando suono il campanello per la seconda volta, accadde una cosa che lo sorprese: qualcuno gli apr senza nemmeno rispondere al citofono. Entro in un corridoio spoglio, impregnato di odore di cavolo. Prese l’ascensore fino al settimo piano e si ritrovo in un corridoio imbiancato e rischiarato da una tremolante luce al neon. Poco piu avanti, si apr una porta e apparve un ragazzo, che squadro Jericho con indifferenza. Non c’erano dubbi. Applicazioni metalliche gli ornavano la fronte e gli zigomi, come dettava la moda. L’uso di quelle decorazioni aveva fatto tramontare l’era dei piercing e dei tatuaggi al punto che chiunque si concedesse ancora il vezzo di un anellino sul sopracciglio o sulla lingua era considerato un vecchio. Anche l’acconciatura - i capelli lisci e lunghi - era di tendenza. Uno stile indiano, ormai seguito dalla maggior parte dei giovani di tutto il globo, tranne che dagli indiani stessi, che ne disconoscevano la paternita. Una T-shirt usa e getta faceva risaltare i pettorali, i pantaloni neri lucidi e stropicciati davano l’idea di essere in servizio giorno e notte. Nel complesso, non era male, anche se non poteva definirsi bello; gli mancava una diecina di centimetri di statura e i tratti spigolosi del viso, che potevano pure risultare affascinanti, erano privi di eleganza. «Chi e lei?» chiese il ragazzo, trattenendo uno sbadiglio. Jericho gli mise il cellulare sotto il naso e proietto sul display un’immagine tridimensionale della sua testa corredata di numero identificativo della polizia. «Owen Jericho, detective informatico. » Wang socchiuse le palpebre. «Ma davvero?» replico in tono ironico. «Avrebbe un attimo di tempo?» «Per cosa?» «Questo e l’appartamento di Chén Yuyun, detta Yoyo. Giusto? » «Sbagliato.» L’uomo sembro masticare a lungo la parola prima di sputarla fuori. «Questo e l’appartamento di L e del sottoscritto, dove la piccola ha depositato libri e vestiti.»

«Pensavo abitasse qui.» «Mettiamo in chiaro una cosa, okay? Non e il suo appartamento. Io le ho procurato la stanza.» «Allora lei deve essere Grand Cherokee.» «Yeah!» L’uso del nome proprio cambio bruscamente l’atteggiamento del ragazzo, che divenne subito cordiale. «Ha sentito parlare di me?» «Solo cose positive», ment Jericho. «Sa dove posso trovare Yoyo?» «Dove puo...» Grand Cherokee s’interruppe. Per qualche strano motivo, la domanda sembrava averlo lasciato di sasso. «Ma tu guarda!» mormoro. «Ho bisogno di parlare con lei.» «Non e possibile.» «So che Yoyo e sparita... È per questo che sono qui. Suo padre la sta cercando ed e molto preoccupato. Percio, se sa qualcosa che mi permetta di trovarla...» Grand Cherokee lo fisso. C’era qualcosa in lui o, meglio, nel suo atteggiamento che irritava Jericho. «S, insomma, se sa qualcosa...» ripeté. «Un attimo.» Grand Cherokee alzo una mano. Per qualche secondo rimase immobile in quella posizione, poi i suoi tratti si distesero. «Yoyo. Ma certo. Non vuole entrare?» chiese, sorridendo in modo affabile. Ancora irritato, Jericho entro in uno stretto corridoio, sul quale si affacciavano diverse stanze. Grand Cherokee lo precedette, apr l’ultima porta e gli fece cenno di entrare. «Posso mostrarle la sua stanza.» Jericho comprese. Tanta cooperazione doveva essere calcolata. Entro nella stanza e si guardo intorno. Nulla di significativo. Niente che potesse far capire chi era la persona che ci viveva, se si escludevano alcuni poster di star della scena mando-prog. Una delle immagini ritraeva Yoyo sul palcoscenico. Su un pannello sopra una scrivania da quattro soldi vide un appunto. Si avvicino e ne studio le poche parole: «Olio di sesamo scuro... 300 g di petto di pollo...» Grand Cherokee tossicchio. «S?» Jericho si giro verso di lui. «Potrei darle delle indicazioni su dove si trova Yoyo.» «Benissimo.» Grand Cherokee fece un gesto eloquente. «Be’, mi ha raccontato un bel po’ di cose, sa? Voglio dire, io le piaccio. Negli ultimi giorni si e confidata parecchio.» «Anche lei si e confidato?»

«Diciamo che ne ho avuto la possibilita.» «E allora?» «Insomma, capisce, sono cose personali!» esclamo Grand Cherokee con aria indignata. «Possiamo parlare di tutto, ma...» «Non fa niente, non si preoccupi. Se sono cose personali...» Jericho si giro dall’altra parte. Era solo un idiota che si dava delle arie, come aveva temuto. Apr i cassetti della scrivania. Poi si diresse verso l’armadio a muro accanto alla porta e lo apr. Jeans, un maglione, un paio di scarpe da ginnastica che avevano visto giorni migliori. Due bombolette spray per abiti usa e getta. Jericho le agito. Mezze piene. Evidentemente Yoyo, nella fretta, aveva raccolto solo meta delle sue cose. «Quando ha visto la sua coinquilina l’ultima volta?» «L’ultima volta?» gli fece eco Grand Cherokee. «L’ultima volta», ripeté Jericho, fissandolo. «Intendo il momento a partire dal quale non ha piu visto Yoyo. Allora, quand’e stato?» «Dunque, vediamo...» Il ragazzo sembro riemergere da un mare in burrasca. «La sera del 23 maggio. Abbiamo fatto una festicciola, poi L e andato a letto e Yoyo e rimasta a farmi compagnia. Abbiamo chiacchierato e bevuto qualcosa, poi lei e tornata nella sua stanza. Dopo un po’, l’ho sentita correre di qua e di la e spalancare l’armadio. Poco dopo, ho sentito la porta di casa che si chiudeva.» «Quando, esattamente?» «Fra le due e le tre, mi pare.» «Le pare?» «Di certo prima delle tre.» Jericho continuo a ispezionare la stanza di Yoyo. Con la coda dell’occhio, vide che Grand Cherokee se ne stava fermo senza sapere cosa fare. Il disinteresse che Jericho aveva dimostrato nei suoi confronti pareva sconcertarlo. «Potrei raccontarle anche di piu, se le interessa...» disse dopo un po’. «Allora parli.» «Magari domani.» «Perché non ora?» «Perché dovrei fare un paio di telefonate per... Voglio dire, so dove si trova Yoyo, ma prima...» Distese le braccia e giro verso l’alto i palmi delle mani. «Diciamo che ogni cosa ha il suo prezzo.» Ma certo. Jericho termino l’ispezione e torno verso l’ingresso. «Ovvio, se ne vale la pena. A proposito, dov’e il suo coinquilino? » «L? Non ne ho idea. Lui comunque non sa niente.»

«È solo una mia impressione o nemmeno lei sa niente?», «S, invece. Io s.» «Ma...» «Nessun ’ma’. Pensavo solo che forse le sarebbe venuto in mente qualcosa per sciogliermi la lingua.» Grand Cherokee sorrise. Jericho ricambio il sorriso. «Capisco. Vuole trattare un anticipo. » «Chiamiamolo un contributo spese.» «E per cosa, Grand Cherokee, o come diavolo si chiama? Per farmi prendere per il culo con la sua fantasia sfrenata? Lei non sa proprio un bel niente.» Jericho si giro per andarsene. Il ragazzo aveva l’aria sconvolta. Evidentemente aveva pensato che la conversazione avrebbe preso una piega diversa. Trattenne Jericho per una spalla e scosse la testa. «Non sto cercando di spillarle dei soldi, amico!» «Allora non lo faccia.» «Cerchi di capirmi. I miei studi non sono gratuiti. Riusciro a scoprire quello che le interessa.» «Negativo. Lei non ha informazioni interessanti da vendermi. » «Io...» Annaspava alla ricerca delle parole. «Va bene, facciamo cos. Se io le rivelo qualcosa che le consentira di procedere nella sua indagine, lei si fidera di me? Sarebbe il mio anticipo, capito?» «La ascolto.» «Allora, c’e questa banda di motociclisti con cui Yoyo gira spesso. Anche lei guida una di quelle moto. Sono i City Demons. Cos c’e scritto sui loro giubbotti.» «E dove li trovo?» «Quello era il mio anticipo.» «Adesso mi ascolti lei», disse Jericho, appoggiando con forza l’indice sul petto del suo interlocutore. «Io non tiro fuori neanche un soldo, perché lei non ha niente da darmi. Niente di niente. Tuttavia, se lei, mosso dal suo buon cuore, dovesse riuscire a procurarmi informazioni utili - informazioni autentiche -, allora forse potremmo parlarne. Mi sono spiegato?» «Sissignore.» «Allora, quando mi chiamera?» «Domani pomeriggio.» Grand Cherokee si pizzico il mento. «Anzi no, prima. Forse.» Rivolse a Jericho uno sguardo penetrante. «Pero poi sara giorno di paga, amico!» «Sara giorno di paga.» Jericho gli diede una pacca sulla spalla. «Avra una ricompensa adeguata. Voleva dirmi qualcos’altro? » Grand Cherokee scosse la testa e resto in silenzio.

«Allora a domani.» Allora a domani. Per un po’, Grand Cherokee rimase immobile sulla porta, ascoltando l’ascensore che sferragliava. Una cosa da non credere. Ando in cucina, tiro fuori una birra dal frigorifero e la stappo. Cosa diavolo stava succedendo? Cosa aveva combinato Yoyo per spingere il mondo intero a interessarsi alla sua scomparsa? Prima quel tipo elegante e adesso il detective. Ma la domanda piu importante era: come trarre vantaggio dall’intera faccenda? Non sarebbe stato facile. Grand Cherokee sapeva bene che il valore delle informazioni di cui era in possesso era pari a zero e che le ore seguenti non lo avrebbero alzato di molto. D’altra parte, era sicuro che sarebbe riuscito a farsi venire in mente qualche frottola credibile entro la mattina seguente. Bugie difficili da smascherare: «Le mie informazioni sono di prima mano», oppure: «Non so, forse Yoyo ha mangiato la foglia» o anche: «Ci hanno raggirato», e cos via. Doveva far lievitare il prezzo. Doveva mettere quei due l’uno contro l’altro. Aveva fatto bene a non raccontare al detective della visita di Xn. Tutto si poteva dire di lui, ma non che fosse un cretino. Sono troppo furbo per voi, penso. Cominciate a contare i soldi. Limit 26 MAGGIO 2025 IL SATELLITE L’ARRIVO Anche se dal 2018 il suolo lunare era stato calpestato da diverse dozzine di stivali che avevano lasciato nuove impronte dell’eroismo umano, Eugene Cernan, comandante dell’Apollo 17, veniva comunque considerato l’ultimo uomo ad aver messo piede sul satellite. Gli anni dal ’69 al ’72 erano un monumento nel paesaggio della storia americana, segnati com’erano dal breve ma magico susseguirsi delle missioni con equipaggio. Poi i consiglieri di Nixon avevano mandato all’aria ogni cosa in modo piuttosto surreale, lasciando che fosse il presidente a spegnere la luce lassu. Cernan era quindi rimasto l’ultimo uomo del Primo millennio a lasciare il suolo lunare. In qualita di undicesimo astronauta del programma Apollo, Cernan aveva passeggiato nel Mare Serenitatis e compiuto centinaia di quei piccoli passi che Neil Armstrong aveva reputato tanto arditi per l’umanita. La sua squadra aveva raccolto piu rocce lunari e aveva eseguito attivita extraveicolari piu lunghe di tutte le missioni precedenti. Il comandante era persino riuscito a provocare il primo «tamponamento » su un corpo celeste, sfasciando il parafango posteriore sinistro del suo automezzo; tuttavia l’aveva poi riparato, di-

mostrando una capacita d’improvvisazione degna di Robinson Crusoe. Ma nulla di tutto cio era riuscito a risvegliare l’interesse dell’opinione pubblica. Era la fine di un’epoca. Di fronte alla storica occasione di rilasciare una dichiarazione immortale che avrebbe trovato posto nelle enciclopedie e nei libri di scuola, Cernan era riuscito soltanto a manifestare una sorprendente perplessita. «Abbiamo trascorso la maggior parte del viaggio di ritorno a discutere su quale fosse il vero colore della Luna», aveva dichiarato. Da non credere. Era dunque quello cio che restava di sei dispendiosissimi allunaggi su quel corpo roccioso situato a una distanza di 384.400 chilometri dalla Terra? Non sapere quale fosse esattamente il suo colore? «A me sembra giallastra», disse Rebecca Hsu, dopo avere fissato il satellite dal suo oblo. Ormai i finestrini sul lato opposto non attiravano piu l’attenzione dei passeggeri. Nei due giorni successivi alla partenza, avevano osservato attraverso quei finestrini il loro pianeta d’origine diventare sempre piu piccolo, un tetro e progressivo allontanamento da tutto cio che era familiare; poi, a meta strada, avevano diviso la loro benevolenza tra la Terra e la Luna. Ormai, pero, avevano definitivamente ceduto al fascino del satellite. A diecimila chilometri, era gia ben visibile, coi contorni nitidi stagliati sullo sfondo nero dello spazio circostante. Pero, a mano a mano che i passeggeri si avvicinavano, quell’oggetto di romantiche contemplazioni si trasformava in una sfera dall’aspetto minaccioso, in un campo di battaglia segnato da miliardi di anni di assidui bombardamenti. Stavano sfrecciando verso quel mondo sconosciuto col loro shuttle nel silenzio totale: solo il ronzio dei sistemi di sopravvivenza segnalava che a bordo era in corso una qualche attivita tecnica. Inoltre il silenzio faceva rimbombare i battiti del cuore come colpi di tamburo e gorgogliare il sangue nelle vene. In piu, il corpo faceva sentire nitidamente i suoi processi chimici, portando i pensieri al limite dell’immaginabile. Olympiada Rogaceva si avvicino fluttuando, una timida nuotatrice in assenza di gravita. Ormai erano a soli mille chilometri dal satellite, che adesso era visibile solo per tre quarti. «Io non ci vedo niente di giallo», mormoro. «Per me e grigio topo.» «Grigio metallizzato», la corresse freddamente Rogacev. «Mah, non saprei.» Evelyn Chambers lancio un’occhiata dal finestrino attiguo. «Metallizzato?» «S, certo. Guardi. Quel grande cerchio, in alto a destra. Scuro come il ferro.» «Lei e nel settore dell’acciaio da troppo tempo, Oleg. Riuscirebbe a trovare qualcosa di metallizzato anche in un budino al cioccolato.» «Ma certo, il cucchiaino. Uuiiiiii!» Miranda Winter fece una capriola accompagnata da esclamazioni di gioia. Col passare delle ore, quelle acrobazie avevano annoiato la maggior parte di loro, ma non Miranda, il cui atteggiamento suscitava negli altri un evidente nervosismo. Era impossibile scambiare qualche parola con lei senza che si mettesse a roteare

nell’aria, squittendo e schiamazzando, distribuendo colpi alle costole e pugni sotto il mento. Vittima di una tallonata nella schiena, Evelyn sbotto: «Non sei una giostra, Miranda. Smettila, una buona volta». «A me sembra di esserlo!» «Allora fatti revisionare o ritirare dal mercato. È troppo stretto, qui dentro.» «Ehi, Miranda!» O’Keefe la sbirciava da dietro un libro. «Perché non fai finta di essere una balenottera azzurra?» «Come? E perché, scusa?» «Le balenottere azzurre non fanno queste cose. Stanno nell’acqua piu o meno immobili, si nutrono di plancton e vivono felici e contente.» «E soffiano acqua», intervenne Heidrun. «Vuoi vedere Miranda che soffia come una balena?» «Perché no?» «Quanto siete stupidi», brontolo Miranda. «Peraltro a me sembra che tenda all’azzurro. La Luna, intendo. Ha un colore quasi spettrale.» «Che pauuura!» rabbrivid O’Keefe. «Che colore ha, allora? *» volle sapere Olympiada. «Tutti e nessuno», disse Julian Orley, entrando dal boccaporto che collegava il modulo abitativo del Charon col modulo di allunaggio. «Nessuno lo sa.» «Per quale motivo?» Rogacev corrugo la fronte. «Non c’e stato abbastanza tempo per scoprirlo?» «Certo. Il problema e che finora e stato possibile osservare la Luna solo attraverso vetri oscurati o finestrini rivestiti con filtri e visiere. Tra l’altro, non presenta nemmeno un’albedo particolarmente alta...» «Una cosa?» chiese Miranda, girando come un lattonzolo che sta cuocendo allo spiedo. «Si definisce cos il potere riflettente. La percentuale di luce che le superfici sono in grado di riflettere. L’albedo delle rocce lunari non e particolarmente elevata, soprattutto quella dei maria... » «Non capisco una parola.» «Dei mari», chiar pazientemente Julian. «L’insieme dei mari lunari puo essere chiamato anche maria. È il plurale latino di mare. Sono piu scuri delle catene montuose ai margini dei crateri. » «Perché allora, vista dalla Terra, la Luna sembra bianca?» «Perché e priva di atmosfera. La luce solare colpisce la sua superficie senza essere filtrata. E, se non fosse filtrata, colpirebbe anche la retina non protetta di un astronauta. Le radiazioni UV sono di gran lunga piu dannose per i nostri occhi di quanto non lo siano sulla

Terra. Ecco perché anche i finestrini della nostra navicella sono oscurati.» «Eppure abbiamo portato grandi quantita di rocce lunari sulla Terra», disse Rogacev. «Di che colore sono quei campioni? » «Grigio scuro. Ma cio non significa che tutta la Luna sia di quel colore. Forse ci sono anche sfumature marroni. O gialle.» «Esatto», disse O’Keefe dietro il suo libro. «Ognuno vede colori leggermente diversi. A ognuno la sua Luna.» Julian raggiunse Evelyn Chambers. Parecchi chilometri sotto di loro stava sfilando un cratere enorme. Una luce liquida sembrava fluire dalle pendici nella pianura circostante. «Visto che ci stiamo passando sopra... quello e Copernicus. A detta di tutti, e il piu spettacolare dei crateri lunari, formatosi oltre ottocento milioni di anni fa. Misura piu di novanta chilometri di diametro e i bordi sono cos alti che darebbero del filo da torcere a qualsiasi alpinista, anche se l’aspetto piu impressionante e la sua profondita. Vedete quell’imponente zona d’ombra all’interno? Quasi quattro chilometri separano il bordo dal fondo della depressione. » «Al centro ci sono delle montagne», noto Evelyn. «Com’e possibile?» si meraviglio Olympiada. «Voglio dire, nel bel mezzo di un punto d’impatto? Non dovrebbe essere tutto piatto?» Julian rimase per qualche istante in silenzio, poi spiego: «Provate a immaginare la superficie lunare come la vedete, ma senza Copernicus. Okay? Solo pace e quiete. Ma per poco. Perché, dalle profondita dello spazio, sta arrivando una roccia larga undici chilometri, che viaggia a una velocita di settanta chilometri al secondo, oltre duecento volte la velocita del suono, e non c’e nessuna atmosfera che puo rallentare la sua corsa, niente di niente. E ora immaginate questo oggetto che si schianta sulla pianura sotto di noi. L’impatto in sé dura pochi millesimi di secondo, il meteorite penetra nel suolo per un centinaio di metri... non molto, si direbbe, e in fondo un buco di undici chilometri si puo anche sopportare. Il fatto e che la cosa funziona in modo un po’ diverso. Il problema coi meteoriti e che, nel momento dell’impatto, trasformano in calore tutta la loro energia cinetica. In poche parole: quella roccia esplode. Non e tanto l’impatto stesso, quanto l’esplosione che forma depressioni piu grandi dell’oggetto che le ha generate. E intendo anche dieci, venti volte piu grandi. Milioni di tonnellate di roccia vengono scagliati in ogni direzione e, in un attimo, intorno al cratere, si forma un avvallamento. Ma tutto si e svolto in un tempo brevissimo, e l’enorme quantita di basalto lunare spostata dall’esplosione non puo depositarsi altrove in un batter d’occhio; quindi nel terreno si forma una specie di ammaccatura e il materiale viene compresso a una profondita di diversi chilometri. In piu, mentre gigantesche nubi di polvere si stanno ancora sollevando nel punto d’impatto, il materiale viene nuovamente scagliato verso l’esterno. L’energia cinetica del meteorite si e ormai quasi del tutto trasformata in calore e il meteorite fuso si protende

verso l’alto e si accumula al centro della depressione, sino a formare un massiccio montuoso. Nel contempo, le nubi di detriti rocciosi si propagano rapidamente all’intorno. Ancora una volta si fa sentire l’assenza di un’atmosfera che frenerebbe la loro corsa, limitandone il raggio di espansione. Invece i detriti vengono scaraventati verso l’esterno e a una grande altezza prima di ricadere al suolo, a una distanza di centinaia di chilometri, come miliardi e miliardi di proiettili. Questo materiale espulso e osservabile ancora oggi, per la sua forma a raggiera, soprattutto nelle notti di plenilunio, e presenta un’albedo differente rispetto al basalto circostante, di colore piu scuro. Sembra dotato di una luminosita propria. In realta, riflette soltanto una quantita maggiore di luce solare. Ecco: la formazione di Copernicus dovete immaginarvela piu o meno cos. A proposito, Victor Hugo ci vedeva un occhio che fissa l’osservatore». «Ah-ah», disse Olympiada, scoraggiata. Julian rise tra sé, gustando compiaciuto la quiete che segu le sue parole. Intorno a lui, le circonvoluzioni cerebrali dei passeggeri erano colpite da bombe cosmiche che trasformavano l’energia cinetica in interrogativi sulla soluzione migliore in caso di un impatto simile sulla Terra: se rifugiarsi in cantina o correre a bersi un ultimo bicchiere. «Mi viene da pensare che, in un caso del genere, la nostra atmosfera non servirebbe granché...» mormoro Rebecca Hsu. «Gia.» Julian arriccio le labbra. «La Terra viene continuamente colpita dai meteoriti: circa quaranta tonnellate al giorno. Di solito sono grandi come granelli di sabbia o sassolini che si disintegrano a contatto con l’atmosfera. Ogni tanto ci colpiscono frammenti delle dimensioni di un pugno, a volte anche qualcosa di piu grosso, che in genere finisce nella tundra o nel mare. Per esempio, nel 1908, sopra la Siberia, e esploso il frammento di una cometa di circa sessanta metri che ha devastato un’area grande come New York.» «Ricordo di averne sentito parlare», disse Rogacev in tono asciutto. «Abbiamo perso una foresta, un paio di pecore e un pastore.» «Avreste avuto perdite ben piu ingenti se fosse stata colpita Mosca. Comunque, tutto sommato, l’universo ha superato la fase peggiore della sua storia. Meteoriti come quelli che hanno dato vita a Copernicus sono ormai molto rari.» «Quanto rari?» chiese Heidrun con voce tesa. Julian finse di riflettere. «L’ultimo meteorite davvero degno di nota si e schiantato nella zona dell’odierno Yucatan sessantacinque milioni di anni fa. L’onda d’urto si e propagata per tutto il globo e, alla catastrofe, e seguito un inverno durato diversi anni, durante il quale si e estinto un numero considerevole di specie vegetali e animali, tra cui purtroppo anche quasi tutti i sauri. » «Questo pero non risponde alla mia domanda.»

«Vuoi davvero sapere quando cadra il prossimo?» «Sai... giusto per potermi organizzare.» «Allora, stando alle statistiche, ogni ventisei milioni di anni ha luogo una catastrofe globale. L’entita della catastrofe dipende dalle dimensioni dell’oggetto che colpisce la Terra. Un asteroide di settantacinque metri di diametro ha una forza esplosiva pari a mille bombe atomiche della stessa potenza di quelle cadute su Hiroshima. Tutto cio che supera i due chilometri e in grado di scatenare un ’inverno da impatto’ globale e impedire la sopravvivenza della specie umana.» «Quindi siamo in ritardo di quaranta milioni di anni rispetto alle previsioni», constato O’Keefe. «Quanto era grande il killer dei dinosauri?» «Dieci chilometri.» «Grazie, Julian. Meno male che ci hai portato via da laggiu.» «E cosa possiamo fare per impedirlo?» chiese Rebecca. «Ben poco. I Paesi impegnati in un programma spaziale hanno evitato per troppi anni di affrontare la questione; preferiscono farsi paura a vicenda con una dispendiosa falange di missili a media gittata, quando invece avremmo bisogno di un efficace sistema di difesa antimeteoriti. Allorché un meteorite entra in rotta di collisione col nostro pianeta, non conta se sei musulmano, ebreo, induista o cristiano, ateo o fondamentalista, e a chi stai facendo la guerra... nulla di tutto questo ha importanza. Bum! E non resta piu niente. Non abbiamo bisogno di armi per combatterci l’un l’altro, ma di un’arma che ci permetta di salvare l’umanita.» «Piu che giusto», commento Rogacev, rivolgendogli uno sguardo inespressivo. Poi si avvicino a Julian, lo prese per un braccio e lo trasse in disparte. «Ma lei non possiede gia da tempo un’arma del genere?» mormoro. «Non sta lavorando anche allo sviluppo di armi di difesa contro i meteoriti?» «Abbiamo creato un gruppo di lavoro», ammise Julian. «Sta sviluppando armi sull’OSS?» «Sistemi di difesa.» Rogacev sorrise. «Davvero tranquillizzante per tutti noi... E ovviamente sta lavorando al progetto da solo, come ha fatto per tutto il resto.» «Si tratta di un gruppo di ricerca, Oleg.» «Si dice che il Pentagono sia piuttosto interessato a questo gruppo di ricerca.» Julian ricambio il sorriso. «Si rilassi. Sono al corrente delle voci che girano. La Russia e la Cina ci accusano con una certa regolarita di costruire armi spaziali per gli americani. Sciocchezze. Le nostre ricerche sono volte unicamente a trovare soluzioni per la malaugurata eventualita che le statistiche si rivelino esatte. Se un oggetto del genere entra in rotta di colli-

sione con la Terra, voglio avere la possibilita di difendermi.» «Le armi possono essere utilizzate in molti modi, Julian. Lei ha assicurato all’America una posizione di supremazia nello spazio. Lei stesso aspira a ottenere il monopolio dell’approvvigionamento energetico mediante il controllo delle relative tecnologie. Ha un potere enorme, e vuole farmi credere che non sta perseguendo interessi personali?» «Dia un’occhiata fuori dal finestrino. Guardi quel gioiello azzurro », replico Julian con tranquillita. «Lo vedo.» «Cosa prova? Nostalgia?» Rogacev esito. «Concetti simili non mi sono familiari.» «Che ci creda o no, Oleg, alla fine di questo viaggio lei sara un altro uomo. Avra preso coscienza del fatto che il nostro pianeta e come una piccola, fragile pallina dell’albero di Natale, protetta solo da un sottilissimo strato di aria respirabile, ancora respirabile. Dimentichera i confini e le nazioni: vedra solo terra, acqua e qualche miliardo di persone che devono spartirsele, perché non ne hanno altre. Qualsiasi decisione che non sia orientata al benessere del pianeta, qualsiasi aggressione per accaparrarsene le risorse o per questioni religiose le dara la nausea. Forse si ritrovera in cima a un cratere a piangere, o forse si porra soltanto un paio di quesiti esistenziali... In un modo o nell’altro, lei cambiera. Vedere una volta la Terra dallo spazio, dalla Luna, e una strada senza ritorno. Non si puo fare a meno d’innamorarsene... Lei crede davvero che permetterei a chicchessia di fare un cattivo uso delle mie tecnologie?» «Io non credo che lei lo voglia permettere», rispose Rogacev, dopo averci riflettuto. «Mi chiedo piuttosto se avra la possibilita di scegliere.» «La avro, se riesco a farmi molti amici.» «Ma lei e un maestro nel farsi dei nemici. So che ha in mente una squadra formata da gentiluomini straordinari, una potenza mondiale formata da investitori indipendenti, ma in tal modo interferisce con gli interessi nazionali. Come pensa di conciliare le due cose? Lei vuole il mio denaro, quindi denaro russo, pero non vuole avere nulla a che fare con Mosca.» «Si tratta di denaro russo solo per il fatto che lei e russo?» «Di sicuro il mio governo preferirebbe che io investissi il mio capitale nel programma spaziale nazionale.» «Quand’e cos, le auguro buon divertimento. Mi faccia sapere quando riuscirete a costruire il vostro ascensore spaziale.» «Lei non crede che potremmo farcela, vero?» «Ma non ci crede nemmeno lei, suvvia. I brevetti sono nelle mie mani. Ciononostante devo riconoscere che, senza l’America, non sarei andato molto lontano. Da entrambe le parti

sono state investite somme astronomiche nel programma spaziale. Ma la Russia e al verde. Putin ha fondato il suo Stato mafioso sul petrolio e sul gas, due risorse che oggi non interessano piu a nessuno. Avete giocato d’azzardo e avete perso. Non dimentichi, Oleg, che l’Orley Enterprises e dieci volte piu grande della Rogamittal. Siamo la piu grande azienda tecnologica del mondo, eppure i miei investitori e io abbiamo bisogno l’uno dell’altro. Inoltre temo che Mosca non le dara proprio nessun aiuto. Sponsorizzare l’agonizzante industria astronautica russa sarebbe un gesto molto patriottico, ma lei vedrebbe evaporare il denaro sotto i suoi occhi. Non resisterebbe nemmeno abbastanza a lungo da tenere il mio passo; il suo governo la spremerebbe fino all’ultimo centesimo senza raggiungere nessun risultato utile.» Rogacev non replico subito. Poi sorrise. «Mosca le lascerebbe parecchia liberta, molto piu di Washington. Ha mai pensato di cambiare fronte?» «Suppongo che lei dovesse farmi questa domanda.» «Mi hanno pregato di sondare la sua disponibilita.» «Primo: la Guerra Fredda e finita da un pezzo. Secondo: la Russia non puo permettersi la mia cooperazione esclusiva. Terzo: io non sto dalla parte di nessuno. Le ho risposto?» «Allora formuliamo la questione in modo diverso. In determinate circostanze, lei sarebbe disposto a vendere le sue tecnologie anche alla Russia?» «E lei sarebbe disposto a finanziare il mio progetto? Di certo non si trova qui perché ha paura di Mosca.» Rogacev si massaggio il mento. «Sa cosa le dico? Per il momento, cerchiamo di andare d’accordo e godiamoci la vacanza. » Sostanzialmente il Charon era una struttura tubolare suddivisa in tre segmenti, di sette metri di diametro e ventotto metri di lunghezza, al quale era agganciato il modulo di allunaggio. Un autobus volante che ospitava una cabina di comando, alcuni alloggi, un bistrot e un salone, e al quale i progettisti avevano negato la grazia dell’estetica aerodinamica, perché comunque non si sarebbe mai trovato nell’imbarazzante situazione di dover attraversare un’atmosfera. Nemmeno il design dei moduli Apollo e quello dell’Orion - il previsto successore dello space shuttle - avevano fatto la felicita dei cinefili piu esigenti, ma almeno potevano vantare un elegante nasino arrotondato che, durante l’entrata nella termosfera, diventava incandescente. Il Charon invece aveva lo stesso charme di un elettrodomestico. Una tonnellata di metallo bianco e grigio, a tratti liscio, a tratti scanalato, in parte riempito di carburante, in parte di astronauti, e decorato con la O dell’Orley Enterprises. «Prepararsi per la manovra di frenata», invito la voce di Black attraverso gli altoparlanti. Due giorni e mezzo in uno shuttle spaziale, per quanto spazioso e arredato con colori studiati da psicologi, evocavano inevitabilmente l’idea di una prigione. Quell’esperienza straordinaria perdeva il suo incanto a causa degli spazi angusti e della monotonia, che sfo-

ciava in lunghi dibattiti sullo stato del pianeta, in inattesi slanci di cameratismo o in antipatie dichiarate. Sushma e Mukesh Nair, col loro carisma e con la loro umilta, avevano raccolto intorno a sé gli spiriti civili, tra cui Eva Borelius, Karla Kramp, Marc Edwards e Mimi Parker. Il gruppo aveva chiacchierato in modo tranquillo, almeno fino al momento in cui Mimi Parker non aveva avviato una discussione sul darwinismo, sostenendo che l’intero sistema di Darwin forse non era altro che un vicolo cieco in cui le scienze naturali si erano cacciate per arroganza ateista, un vicolo dal quale era possibile uscire solo adottando una visione creazionista del mondo. La vita - aveva concluso - era troppo complessa per essere nata casualmente in qualche brodo primordiale; di certo, poi, non era nata quattro miliardi di anni prima. Quando Karla Kramp aveva replicato che, in tal caso, sarebbe stato necessario mettere in discussione la complessita di alcuni degli individui presenti, Mimi si era alterata, guadagnandosi pero l’appoggio di Aileen Donoghue, la quale, pur non volendo discutere sulla differenza di un paio di migliaia di anni in piu o in meno, respingeva con fermezza l’idea di una qualsiasi parentela tra le specie. Anzi - aveva aggiunto - era sicura che tutti gli esseri viventi fossero stati creati da Dio nello stesso istante. Al che, Karla aveva ribattuto che la discendenza di Mimi Parker dalle scimmie era piu che evidente. E aveva citato il secondo e il terzo capitolo della Genesi, in cui la creazione dell’uomo veniva descritta in modo contraddittorio, precisando poi che nell’Antico Testamento non c’era accordo su come si fosse svolta la creazione, sempre ammesso che una seria conoscenza naturalistica potesse basarsi su un libro storicamente inattendibile. Nel frattempo, si era creata una certa intesa tra Rebecca Hsu, Momoka Omura, Olympiada Rogaceva e Miranda Winter. Evelyn Chambers andava d’accordo con tutti, a parte forse Chuck Donoghue, il quale aveva confidato a Mimi di ritenere Evelyn una persona empia, cosa che la donna era corsa a riferire a Olympiada e ad Amber Orley, le quali a loro volta l’avevano riferito alla stessa Evelyn. Locatelli, guarito dal mal di spazio, aveva ripreso a fare la ruota come un pavone e ciarlava di barche a vela e yacht, di come aveva vinto la Coppa America, della sua passione per le corse automobilistiche, di bolidi a energia solare e della possibilita di estrarre anche da una zecca una quantita di energia sufficiente per contribuire al fabbisogno mondiale. «Ogni corpo, anche quello umano, e una centrale elettrica», aveva spiegato. «E le centrali elettriche producono calore. Voi tutti non siete altro che centrali elettriche, semplici boiler. Ve lo dico in tutta franchezza, gente. Se si potessero collegare tutti gli esseri umani della Terra per formare un’unica, gigantesca centrale elettrica, potremmo rinunciare a questa cavolata dell’elio-3. » «E l’anima dove la mettiamo?» si era indignata Mimi.

«Bah, l’anima!» Locatelli aveva spalancato le braccia, fluttuando lontano e picchiando la testa. «L’anima non e altro che un software, mia cara. Carne che pensa. Ma, se esistesse, giuro che sarei il primo a costruire una centrale per estrarre energia dalle anime. Ah-ah-ah!» «Locatelli ha raccontato cose avvincenti», aveva detto Heidrun a Walo, piu tardi. «Sai cosa sei?» «Cosa sono, mein Schatz?» «Una stufa. Percio vieni qui e scaldami.» Dopo un po’, Mimi Parker e Karla Kramp avevano fatto pace. Hanna si era messo a suonare la chitarra, unendo i presenti sotto il profilo musicale, e si era conquistato l’ammirazione di Locatelli, che scattava fotografie a raffica, mentre O’Keefe leggeva sceneggiature. Tutti si comportavano come se non fossero minimamente disturbati da quel mix di sudore, odori intimi, peti e unto di capelli che penetrava nelle narici con un’intensita che aumentava di ora in ora e contro il quale il pur sofisticato sintetizzatore di odori di bordo era impotente. I viaggi spaziali erano affascinanti, ma non era possibile aprire le finestre per arieggiare. Evelyn si era chiesta come funzionassero le missioni a lungo termine, con tutti quegli odori e l’irritabilita crescente. Molto tempo prima, un cosmonauta aveva detto che, per creare i presupposti per un omicidio, bastava rinchiudere due uomini in una cabina e lasciarli soli per un paio di mesi. Tuttavia, per missioni come quelle, probabilmente avrebbero scelto un altro tipo di persone. Di certo non degli individualisti, né tantomeno un’accozzaglia di ricchi e famosi un po’ fuori di testa. Per esempio Peter Black, il loro pilota, sembrava un uomo molto equilibrato, quasi privo di fantasia. Una persona abituata a lavorare in squadra, calmissima e nient’affatto incline alle stravaganze. «Avviare la manovra di frenata.» Da duecentoventi chilometri di distanza, la Luna era ancora visibile per meta e rivelava dettagli spettacolari. A causa delle sue ridotte dimensioni, aveva un aspetto cos tondeggiante da dare l’impressione che non avrebbe offerto nessun appiglio durante l’allunaggio, facendo scivolare la navicella spaziale lungo il bordo. Nina Hedegaard li raggiunse fluttuando e li aiuto a indossare le tute pressurizzate, complete di sacchetti per l’urina. «Questi vi serviranno piu tardi, quando toccheremo il suolo lunare», spiego con un sorriso enigmatico. «E chi dice che dovremo per forza far pip?» protesto Momoka Omura con arroganza. «La fisica.» Le fossette di Nina diventarono piu profonde. «La vostra vescica potrebbe sfruttare l’occasione della presenza di una forza di gravita per svuotarsi senza preavviso. Volete forse bagnare le vostre tute pressurizzate?»

Momoka guardo verso il basso come se quel momento fosse gia arrivato. «In qualche modo, tutta questa impresa manca di eleganza», brontolo, e indosso tutto quello che c’era da indossare. Nina condusse i passeggeri attraverso un tunnel di collegamento per raggiungere il modulo di allunaggio, anch’esso progettato come una botte conica con quattro robusti piedi telescopici. Rispetto al modulo abitativo, offriva una liberta di movimento paragonabile a quella di una scatola di sardine. Con un’espressione che ricordava quella di una volpe imbalsamata, la maggior parte di loro si sottopose pazientemente alla procedura di allacciamento delle cinture di sicurezza. In fondo, solo due giorni e mezzo prima erano stati seduti l’uno accanto all’altro, allacciati in modo simile, in attesa che lo shuttle si catapultasse nello spazio dal porto di attracco dell’OSS con una potente emissione di gas infuocati. Contro ogni aspettativa, la navicella si era sganciata dolcemente, come se volesse svignarsela senza dare troppo nell’occhio. Solo a una certa distanza dalla stazione spaziale, Black aveva acceso gli ugelli, accelerato fino alla velocita massima, spento i propulsori... e si erano ritrovati a sfrecciare nello spazio nel silenzio piu assoluto, diretti verso la loro meta butterata. Ora la quiete era finita ed era un sollievo per tutti. Erano felici di essere arrivati. Di nuovo una forza invisibile li schiaccio contro i sedili, finché Black, a settanta chilometri dal suolo lunare, non freno la navicella a cinquemilaseicento chilometri orari, viro di centottanta gradi e la stabilizzo nell’orbita. Sotto di loro sfilavano crateri, formazioni montuose e grigie pianure polverose. Come durante il viaggio con l’ascensore spaziale, le telecamere trasmettevano tutte le immagini di quel paesaggio su monitor olografici. Percorsero un giro d’onore di due ore intorno al satellite, mentre Nina Hedegaard illustrava le particolarita e le attrattive di quel mondo alieno. «Come vi hanno gia spiegato durante il corso di addestramento, un giorno lunare ha una durata leggermente maggiore di quella del giorno terrestre», disse. «Quattordici giorni terrestri, diciotto ore, ventidue minuti e due secondi, per essere precisi, esattamente la stessa durata della notte lunare. Il confine che separa la zona in ombra da quella illuminata si chiama ’terminatore’. Tale linea si sposta con estrema lentezza, il che significa che non dovete temere di essere sorpresi dall’oscurita durante una passeggiata. Ma, quando viene buio, e buio pesto. Il confine e netto, luce od oscurita, non esiste la penombra. Nell’abbagliante luce di mezzogiorno, anche i siti piu interessanti perdono il loro fascino, pertanto li visiteremo durante il mattino lunare o la sera lunare, quando le ombre sono lunghe.» Sotto di loro, scorsero un altro imponente cratere, seguito da un bizzarro paesaggio costellato di crepacci. «Gli Appennini lunari», chiar Nina. «Tutta la zona e solcata dalle rimae, strutture simili a fenditure. I primi astronomi le hanno interpretate come reti di comunicazione degli abitanti

della Luna, i seleniti. Un paesaggio fantastico. Quell’ampia valle tortuosa e la Rima Hadley che attraversa la Palus Putredinis, la ’Palude della Putrefazione’, un nome curioso, dal momento che non c’e nessuna palude né nulla che possa putrefarsi. Ma e cos ovunque, sulla Luna: mari che non sono mari e cos via. Vedete quelle due montagne ai lati della rima? Sono il Mons Hadley e, poco piu in basso, il Mons Hadley Delta. Entrambi sono spesso visibili nelle fotografie e di frequente sono immortalati col rover lunare in primo piano. Il sito di allunaggio dell’Apollo 15 non e molto lontano. La carcassa del modulo di allunaggio si trova ancora l, insieme con tutto quello che gli astronauti hanno abbandonato. » «Che cosa hanno abbandonato?» chiese Nair, curioso. «Merda», borbotto Locatelli. «Perché e cos disfattista?» «Non lo sono affatto. Hanno lasciato l la loro merda. Lo sanno tutti. Lasciare qualsiasi altra cosa sarebbe stato stupido, no? Mi creda, ovunque ci sia un modulo lunare abbandonato c’e anche merda di astronauti nelle vicinanze.» Nair annu. Persino quel dettaglio sembrava affascinarlo. La navicella sorvolo altri crepacci, montagne e crateri e infine la riva del Mare della Tranquillita. Nina indico un piccolo cratere che aveva preso il nome dal generale prussiano Helmuth von Moltke. Il cratere Moltke era noto per l’esteso sistema di caverne, create dallo scorrere della lava in epoche primordiali. «Sono state scoperte formazioni simili in corrispondenza delle pareti e dei rilievi del cratere Peary al Polo Nord, dov’e stata costruita la stazione lunare americana. Il cratere Moltke lo visiteremo durante il crepuscolo lunare, quando il terminatore si trovera proprio al centro del cratere. Uno spettacolo unico. E poi, ovviamente, c’e anche il museo, un po’ desolato dal punto di vista paesaggistico, ma imperdibile, perché...» «Mi faccia indovinare: l’Apollo 11», esclamo Ögi. «Esatto», esclamo raggiante Nina. «Va sottolineato che le missioni del programma Apollo dovevano per forza svolgersi nelle zone in corrispondenza della sottile cintura equatoriale. Non c’era possibilita di scegliere punti di allunaggio spettacolari: era gia un successo riuscire a mettere piede sulla Luna. Naturalmente oggi il museo ha soprattutto un valore simbolico. Ormai le testimonianze delle visite precedenti si trovano un po’ ovunque, in zone di gran lunga piu interessanti, ma le impronte lasciate da Armstrong... quelle esistono solo la.» Il volo prosegu sotto il Mare Crisium, il piu scuro dei mari lunari, dove, come spiego Nina, si avvertiva la maggiore forza di gravita mai misurata sulla Luna. Per un certo tempo, non videro che paesaggi selvaggiamente frastagliati e ombre che diventavano sempre piu lunghe, si gettavano in spaventose valli e pianure, formavano estese pozze e riempivano le parti interne dei crateri finché la luce solare non illumino solo i bordi piu alti. Evelyn rabbrivid al pensiero di dover vagare in quelle tenebre prive di contorni. Poi anche le ultime isole di luce

scomparvero e un’enigmatica oscurita occupo i monitor, riemp le arterie, s’impossesso delle circonvoluzioni cerebrali e dissolse la loro pace interiore. «The Dark Side of the Moon», sospiro Walo Ögi. «Qualcuno se lo ricorda? Pink Floyd... Un album fantastico.» Lynn durante tutto il viaggio si era sentita piuttosto bene, ma adesso era affacciata sull’abisso che si era aperto dentro di lei. Ancora una volta, le parve che qualcosa stesse risucchiando tutta la sua gioia di vivere. Dalla faccia nascosta della Luna non si vedeva la Terra, e purtroppo nemmeno il Sole. Se esiste un inferno, non sara bollente e infuocato, bens freddo e nero come il nulla, penso. Non c’era bisogno di diavoli e di demoni, di tavoli da tortura, di roghi e di pentoloni roventi. L’assenza di fiducia, sia nel mondo interiore sia in quello esteriore, la fine di ogni percezione: ecco cos’era l’inferno. Uno stato simile alla cecita. La morte di ogni speranza, il trionfo della paura. Respira profondamente, percepisci il tuo corpo. Aveva bisogno di muoversi, doveva uscire da l e correre, perché in tal modo avrebbe potuto riaccendere il fuoco della stella spenta che aveva dentro di sé. Invece era inchiodata al suo sedile, legata con le cinture di sicurezza, mentre il Charon sfrecciava nel buio assoluto. Di cosa stava parlando Ögi? Di The Dark Side of the Moon. Chi era Pink Floyd? Perché Nina Hedegaard non smetteva di raccontare quelle stupide storielle? Non c’era nessuno che poteva tappare la bocca a quell’oca, torcerle il collo e strapparle la lingua? «La faccia nascosta della Luna non e necessariamente nera», sussurro. «È solo che la Luna rivolge alla Terra sempre la stessa faccia.» Tim, che le era seduto accanto, si giro verso di lei. «Hai detto qualcosa?» «Rivolge alla Terra sempre la stessa faccia. La faccia nascosta non si vede, ma viene tanto illuminata quanto la faccia visibile.» Butto fuori le parole, in affanno. «La faccia nascosta non e nera. Non necessariamente. È solo che la Luna rivolge alla Terra sempre la...» «Hai paura, Lynn?» La preoccupazione di Tim. Un salvagente lanciato in suo aiuto. «Ma figurati.» Inspiro. «Ho gia fatto tre volte questo viaggio. Non bisogna avere paura. Tra poco torniamo nella luce.» «... assicurarvi che non vi state perdendo nulla di sensazionale », stava dicendo Nina. «La faccia visibile e di gran lunga piu interessante. Curiosamente, sulla faccia nascosta, ci sono pochissimi maria. Ci sono crateri ovunque, pero: e un paesaggio piuttosto monotono, anche se e il posto ideale per costruire un telescopio spaziale.» «Perché proprio l?» chiese Hanna. «Perché la Terra rappresenta per la Luna quello che la Luna rappresenta per la Terra: un lampione che illumina periodicamente la sua superficie. Persino alla mezzanotte lunare il

suolo del satellite e rischiarato dalla pallida luce riflessa dalla Terra. La faccia nascosta, invece, come potete vedere, di notte e nera come lo spazio circostante. Non c’e nessuna fonte di luce solare o terrestre che impedisca di ammirare le stelle. Gli astronomi sarebbero entusiasti d’installare qui una postazione, ma per il momento devono ancora accontentarsi del telescopio al Polo Nord. Che e pur sempre un compromesso: il sole e basso ed e impossibile osservare il firmamento dall’altro lato.» Lynn prese la mano di Tim e la strinse. Pensieri di omicidio e distruzione le offuscavano la mente. «Non so come ti senti tu», mormoro lui. «Ma su di me tutta questa oscurita ha un effetto piuttosto snervante.» Oh, saggio Tim. È bello avere un alleato. «È cos anche per me», replico Lynn con gratitudine. «Suppongo che sia normale, giusto?» «Manca poco.» «E quando torniamo nella parte illuminata?» chiese Miranda nello stesso istante. «Tra poco meno di un’ora ci saremo», sibilo Nina Hedegaard. Ci ssssaremo, aveva detto, con la sua pronuncia affettata. Com’e ridicola! È solo lo stupido passatempo di Julian! Aggrappandosi alla mano di Tim, Lynn inizio a rilassarsi, e d’un tratto le venne in mente che, in realta, Nina le piaceva. Perché allora aveva reagito in modo cos aggressivo alle sue parole? Cosa mi sta succedendo? Cosa diavolo mi sta succedendo? Dato che, per il momento, la superficie lunare non aveva nulla da offrire, le telecamere esterne trasmettevano all’interno del Charon immagini del cielo stellato, e O’Keefe avvert un’inaspettata sensazione di familiarita. Quando si trovava sull’OSS, avrebbe voluto tornare subito sulla Terra. Ora invece provava una vaga nostalgia. Forse perché ammirare quella miriade di luci non era poi molto diverso dall’osservare da lontano case e strade illuminate, o perché quell’animale acquatico che era l’essere umano in realta era un figlio del cosmo, costituito dai suoi stessi elementi. La contraddittorieta delle sue emozioni lo irritava, come un bambino che vuole sempre andare in braccio a chi in quel momento non lo sta coccolando. Tento d’interrompere il flusso dei pensieri, ma alla fine non fece che pensare e pensare ininterrottamente per un’ora, chiedendosi cosa volesse davvero e quale fosse il suo posto nel mondo. Cerco Heidrun con lo sguardo. Seduta due file davanti a lui, stava ascoltando con attenzione il marito che le raccontava qualcosa sottovoce. O’Keefe arriccio il naso e fisso il monitor. L’immagine cambio. Inizialmente non cap cosa fossero quelle macchie chiare, poi com-

prese che si trattava di vette illuminate dal sole che emergevano dall’ombra. Un sospiro di sollievo attraverso il Charon. Stavano rientrando nella luce, diretti verso il Polo Nord. «Ora sganceremo il modulo di allunaggio», disse Black. «La nave madre restera in orbita fino al nostro ritorno, tra una settimana. Nina vi aiutera a indossare il casco. Forse non ve ne siete resi conto, ma stiamo ancora volando a una velocita cinque volte superiore a quella del suono, quindi preparatevi alla prossima brusca frenata.» «Ehi, Momoka...» sussurro O’Keefe. La donna giro pigramente la testa verso di lui. «Cosa c’e?» «Tutto a posto?» «Certo.» O’Keefe sogghigno. «Allora cerca di non fartela addosso.» Locatelli scoppio a ridere. Prima che Momoka avesse il tempo di reagire, apparve Nina Hedegaard, che le ficco il casco in testa. Pochi minuti dopo, sedevano tutti in fila, con un’identica testa sferica. Un sibilo annuncio la chiusura del boccaporto che collegava la nave madre all’unita di allunaggio, poi si ud un rumore cupo. Il modulo di allunaggio si stacco e si allontano lentamente. Dell’annunciata brusca frenata non si avvertiva ancora nulla. Il paesaggio cambio di nuovo. Le ombre si allungarono, segno che si stavano avvicinando alla regione polare. Pianure di lava si alternavano a crateri e a dorsali montuose. A O’Keefe sembro di scorgere in lontananza una nube di polvere che si stendeva sul paesaggio... poi ritorno l’ormai familiare pressione che maltrattava torace e polmoni, con l’unica differenza che stavolta il rombo dei propulsori era sensibilmente piu rumoroso rispetto a due ore prima. O’Keefe si preoccupo, temendo che ci fosse qualche problema, poi comprese che fino a quel momento si erano sempre accesi i propulsori del modulo abitativo, situati in fondo alla navicella spaziale. Per la prima volta, il modulo di allunaggio eseguiva una manovra servendosi dei propri propulsori, installati proprio sotto di loro. Black ci sta accendendo il fuoco sotto il culo, penso. Con una controspinta infernale, il modulo di allunaggio ridusse ancora la velocita mentre si avvicinava velocemente - troppo velocemente - al suolo lunare. Sul monitor scorreva il conto alla rovescia dei chilometri mancanti. Cosa stava succedendo? Se non avessero rallentato in fretta, avrebbero rischiato di generare un nuovo cratere. Penso alla spiegazione di Julian sulla conversione dell’energia cinetica in calore, sent restringersi la cassa toracica, provo a concentrarsi sul monitor. Era possibile che gli stessero tremando i bulbi oculari? Cosa avevano raccontato durante i corsi di addestramento? Una persona che non era in grado di controllare gli occhi non era adatta a fare l’astronauta, poiché il tremore delle pupille produceva visioni sfocate e immagini doppie. Gli occhi dovevano restare fissi sugli strumenti di bordo. Su quelli giusti, ovviamente. Era di vitale importanza. Come si poteva premere il puls-

ante giusto se lo si vedeva doppio? Stavano tremando anche i bulbi oculari di Black? Un attimo dopo, O’Keefe si arrabbio con se stesso. Che idiota sono. Nella centrifuga del campo da addestramento, alla partenza dell’ascensore spaziale, durante la manovra di frenata nell’orbita lunare, il suo corpo era stato sottoposto a sollecitazioni ben peggiori. Al confronto, l’allunaggio era una passeggiata. Avrebbe dovuto essere la tranquillita in persona, ma il nervosismo lo incatenava con maglie elettriche. Fu costretto ad ammettere che l’affanno non era dovuto alla pressione, ma soltanto alla paura di sfracellarsi sulla Luna. Ancora cinque chilometri... quattro... Il secondo monitor lo informo che stavano gradualmente rallentando e lui tiro il fiato. Tutta quell’ansia per niente. Mancavano tre chilometri all’arrivo. Nell’immagine sul monitor, adesso erano apparsi una dorsale montuosa, un altopiano e luci che dividevano in settori un’area di atterraggio circondata da barriere di protezione. Poi si videro tubi e cupole ammassati contro la roccia, come crostacei appostati per tendere un agguato alle loro prede ignare; pannelli solari, tralicci e antenne che luccicavano alla luce di un sole basso e una costruzione a forma di botte che si ergeva su una collinetta vicina. Ancora piu lontano erano riconoscibili strutture aperte simili a hangar e macchine gigantesche che si facevano strada in una sorta di cava a cielo aperto. Un sistema di rotaie collegava le infrastrutture con lo spazioporto e arrivava in una piattaforma dalla quale poi si diramava, per perdersi in lontananza in un’ampia curva. O’Keefe vide scale, piattaforme di sollevamento e manipolatori che facevano pensare a una stazione di carico, e qualcosa di bianco che si muoveva lungo una strada, diretto verso un ponte: un veicolo con ruote alte e grandi, pilotato forse da un robot. Il Charon tremo e si avvicino al suolo. Per un attimo, fu visibile uno skyline di torri imponenti: fra di esse, c’erano alcuni massicci aeromobili, serbatoi, container e qualcosa di misterioso. Una cosa simile a una mantide religiosa su ruote trotterellava per il porto spaziale, che aveva le dimensioni di almeno tre campi da calcio. Poi l’ambiente circostante e le costruzioni sparirono dietro le recinzioni. La navicella si poso con dolcezza, molleggio con eleganza, oscillo un poco e si fermo. O’Keefe si sent attrarre delicatamente da qualcosa. All’inizio, non riusc a spiegarselo, poi, sbalordito, si rese conto che la spiegazione era semplicissima. La forza di gravita. Per la prima volta dopo aver lasciato l’Isla de las Estrellas, ed escludendo le manovre di accelerazione e di frenata, non era piu privo di gravita. Aveva riacquistato un peso corporeo e, benché fosse soltanto un sesto del suo peso terrestre, era comunque meraviglioso pesare qualcosa, una liberazione dopo tutti quei giorni trascorsi a fluttuare in ogni direzione. Hasta la vista, penso Miranda. Fine delle acrobazie. Basta capriole, basta gomitate. Un rumore quasi impercettibile si stava lentamente dissolvendo all’interno dei suoi condotti uditivi, una sorta di eco sinaptica, visto che i propulsori erano gia spenti da tempo. Ma l’orecchio

non riusciva ancora a crederci. «Ladies and gentlemen», disse Black con un certo pathos. «Congratulazioni. Ce l’avete fatta. Ora Nina e io vi aiuteremo a indossare i vostri sistemi di sopravvivenza, a regolare l’ossigeno, la pressione, la climatizzazione e ad attivare le ricetrasmittenti. In seguito, effettueremo una serie di test per verificare la tenuta delle tute, gli stessi che avete avuto modo di eseguire durante l’attivita extraveicolare sull’OSS. Se non avete partecipato, comunque, niente panico. Veglieremo su ogni vostro passo. A controlli ultimati, aspirero l’aria dalla cabina e stabiliremo l’ordine di uscita. Non prendetela come una mancanza di educazione se esco per primo: lo faccio per immortalare il vostro eroismo. Vi filmero mentre uscite dal Charon. Inoltre conserveremo le vostre comunicazioni radio per i posteri. Tutto chiaro? Benvenuti sulla Luna!» Sulla Luna. Erano sulla Luna. Erano davvero atterrati su quella dannata grossa palla. Quel sesto di gravita presente sul satellite attiro O’Keefe a sé con la delicatezza di un’amante: gli arti, la testa, gli organi interni, gli umori corporei - ah, gia, gli umori - e tirava, tirava, tirava fuori qualcosa da lui e quel qualcosa fu fuori prima che lui riuscisse a stringere le natiche. Calda e gaia, scivolo nell’apposito sacchetto una fontana di gioia, un brindisi alla forza di gravita, un omaggio degli ospiti a quella dama grigia e butterata che avrebbero avuto l’onore di conoscere per un’intera settimana. O’Keefe getto un’occhiata furtiva a Momoka Omura, come se esistesse la possibilita che lei si girasse, lo guardasse negli occhi e capisse. Che sapesse. Poi scrollo le spalle. Quanti se l’erano gia fatta addosso fuori dalla Terra? C’era di peggio. BASE PEARY, POLO NORD, LUNA Lasciare le proprie impronte e un privilegio dei pionieri, ma le sue conseguenze tornano comode anche ai meno temerari tra gli esseri umani, giacché mettono questi ultimi in grado di comprendere i fenomeni naturali, gli appetiti e i meccanismi di difesa della flora e della fauna locali e la scarsa socievolezza degli indigeni. Tali conoscenze si devono alla febbrile - e potenzialmente suicida - curiosita degli esploratori, che non sanno e non vogliono far altro che trascorrere la propria vita a cavallo di quel labile confine tra l’eroismo e la morte. Gli antropologi ne sono certi: fin dal tempo lontanissimo in cui la Terra era dominata dall’Homo erectus, l’umanita ha mostrato la tendenza a suddividersi in due gruppi: da un lato il plotone dei conservatori, che tendono a gestire le cose; dall’altro la pattuglia degli esploratori, che sono incapaci di starsene tranquilli. Gli esploratori possiedono un gene particolare, noto come novelty seeking gene oppure «gene D4DR», responsabile della particolare predisposizione di questi soggetti a oltrepassare i limiti e a correre rischi. Questi temerari, per natura, sono poco adatti a coltivare i territori conquistati. Preferiscono andare alla scoperta di lande inesplorate, farsi

mordere da animali mai visti e, cos facendo, creano i presupposti affinché la parte conservatrice della popolazione possa progredire. Sono eterni scout, per i quali l’impronta del piede su una terra incognita significa tutto. Viceversa, e tipico della natura dei conservatori assoggettare al diktat dello spianamento terreni argillosi e paludosi, sabbia, ghiaia, limo e tutto cio che si puo trovare in un luogo incontaminato. Ecco perché, quando Evelyn Chambers, pervasa da un timore reverenziale, avanzo lungo la passerella del Charon e mise piede per la prima volta sul suolo lunare, non poté lasciare nessuna impronta, ritrovandosi a calpestare solido cemento. E per un attimo rimase delusa. Anche gli altri si guardarono i piedi, come se poggiarli sul suolo lunare significasse automaticamente lasciare un timbro sulla regolite. «Avrete modo di lasciare le vostre impronte nei prossimi giorni», disse la voce di Julian nei caschi di tutti. Alcuni risero. Quell’istante di delusione lascio subito il posto all’incredulita. Evelyn mosse un passo esitante, poi un altro, saltello... e la semplice forza della muscolatura dei suoi polpacci la sollevo a un metro di altezza. Straordinario. Assolutamente straordinario, penso. Dopo oltre cinque giorni in assenza di gravita, percepiva il familiare fardello del suo corpo... e nel contempo non lo percepiva. Si sentiva come un’eroina dei fumetti dotata di superpoteri. Intorno a lei, tutti si misero a saltellare, mentre Black si muoveva con la telecamera per immortalare quel momento. «Dov’e la bandiera a stelle e strisce? La voglio piantare nel terreno», rimbombo la voce di Donoghue. «È in ritardo di cinquantasei anni», rise Ögi. «La bandiera svizzera invece...» «Imperialisti», sospiro Heidrun. «Impossibile», disse Julian. «A meno che non usiate la dinamite. » «Ehi, guardate qui», esclamo Rebecca Hsu. La sua figura tondeggiante schizzo oltre le teste degli altri, vogando con le braccia come se fossero pale di un mulino a vento. Sempre ammesso che quella fosse Rebecca. Le visiere a specchio non consentivano di distinguere i volti: solo la targhetta sul petto svelava l’identita della persona nascosta all’interno della tuta. «Dai, provate!» ridacchio Julian. Evelyn prese la rincorsa, esegu una serie di salti sgraziati, schizzo di nuovo verso l’alto e, in un eccesso di esuberanza, prese a volteggiare finché non perse l’equilibrio e ricadde dolcemente al suolo. Quando atterro sul fondoschiena, non poté trattenere una risatina. Poi rimase seduta per godersi lo spettacolo surreale che aveva davanti a sé. D’un tratto, pero, si ritrovo in piedi.

«Bene, molto bene», si complimento Julian. «I ballerini del Bol’soj sono principianti, al confronto. Tuttavia per ora dobbiamo interrompere le esercitazioni. Proseguiamo verso l’hotel. Vi prego di prestare attenzione a quanto hanno da dirvi Nina e Peter. » Era come se avesse trasmesso il suo messaggio su una frequenza sbagliata. Come ragazzini ostinati e disobbedienti, i viaggiatori si fecero pregare, poi si radunarono alla spicciolata intorno alle loro guide. Alla fine, pero, il gruppo di bambini chiassosi si trasformo in una specie di confraternita segreta, alla ricerca del Graal davanti a un panorama di castelli sospesi in aria. Evelyn si guardo intorno. Della base non c’era traccia. Solo la piattaforma della stazione si ergeva, imponente, all’interno dell’area di atterraggio: era costruita su pilastri di quindici metri di altezza, stava spiegando Nina Hedegaard. Scale metalliche e un ascensore aperto conducevano ai binari; serbatoi sferici erano addensati tutt’intorno. Due manipolatori - simili ad animali alati preistorici - erano ripiegati sul bordo della piattaforma, rivolti verso macchine che sembravano enormi aragoste con bracci snodabili e ampie superfici di carico. Evelyn ipotizzo che il loro compito consistesse nel prelevare o consegnare il carico ai manipolatori, a seconda della destinazione delle merci. Tento di calmare la respirazione. La mancanza di spazio nel modulo di allunaggio alla fine era diventata insopportabile e, in piu, la notte precedente aveva avuto degli incubi. Forze oscure squarciavano il Charon con un gigantesco apriscatole, esponendo i suoi occupanti al vuoto. Alla fine, pero, il vuoto si era rivelato popolato da una moltitudine di creature antropomorfe che sbirciavano all’interno dello shuttle, e lei era nuda come un verme. Il tallone di Miranda Winter si stampo sul suo fianco, facendole vedere le stelle. Ne aveva davvero abbastanza. Poi si rese conto con stupore delle reali dimensioni della navicella spaziale su cui aveva viaggiato e che ora si stagliava sulla pista di atterraggio. Era un’imponente torre su robusti piedi telescopici, quasi un piccolo grattacielo. La pista ospitava anche altre navicelle spaziali, alcune coi portelli aperti e vuote all’interno, evidentemente destinate al trasporto merci. Alcune macchine piu piccole si muovevano su zampe da ragno e fissavano lo spazio con occhi vitrei. Evelyn non poté fare a meno di pensare a uno spray insetticida. «Non prendetela male se gli abitanti della base non vengono a stringervi la mano», disse Black. «Qui si esce solo se e necessario. Diversamente da voi, loro trascorrono sei mesi sulla Luna. Una settimana di radiazioni cosmiche non puo farvi nessun male, a meno che non finiate in una tempesta solare senza protezione. Le permanenze a lungo termine invece sono un’altra cosa. Dato che visiteremo la base solo il giorno della nostra partenza, per oggi non sono previsti comitati di accoglienza.» Come se fosse stato azionato da una mano fantasma, un robot-aragosta si mise in moto, si avvicino al Charon e inizio a scaricare grandi container bianchi dal vano di carico.

«I vostri bagagli sono esposti al vuoto per la prima volta», spiego Nina. «Ma non preoccupatevi: i container sono pressurizzati. In caso contrario, la vostra crema da notte si trasformerebbe in un mostro pronto ad aggredire i vostri abiti. Bene, seguitemi. » Era come camminare sott’acqua, solo che mancava la pressione tipica del mondo subacqueo. Evelyn comprese con eccitazione che non pesava piu sessantasei chili, ma solo undici, e che cio aumentava di sei volte la sua forza muscolare. Leggera come una bambina di tre anni, forte come un supereroe, trasportata da un’ondata di gioia infantile, segu Black verso l’ascensore e salto nella gabbia spaziosa. Poi, mentre oltrepassavano la barriera di protezione per raggiungere la piattaforma, vide riemergere le infrastrutture della base. Sulla piattaforma si snodavano diversi binari e, su uno di essi, era in attesa un treno vuoto e illuminato, non molto diverso da un treno a propulsione magnetica terrestre, solo di forma un po’ meno aerodinamica, il che lo faceva apparire curiosamente fuori moda. In fondo, che motivo c’era di renderlo piu aerodinamico? Sulla Luna non esisteva il vento. Mancava anche l’atmosfera. Evelyn guardo in lontananza. Fu investita da una raffica d’impressioni. Dall’alto si potevano cogliere ampi tratti dell’ambiente circostante. Un altopiano. Colline e creste, ombre lunghe e affilate. Crateri e bacini colmi d’inchiostro nero. Un sole basso, di un candore abbagliante, dissolveva i contorni dell’orizzonte. Il paesaggio si stagliava sullo sfondo del cielo stellato come una scenografia teatrale. Non c’era foschia, non c’era atmosfera a disperdere la luce: tutto sembrava a portata di mano anche se in realta era distante. Al di la della pista di atterraggio, i binari della ferrovia magnetica s’inoltravano in una valle nera. Grazie all’altezza dei piloni, per un breve tratto emergevano dall’oscurita, ma poco piu in la il buio li inghiottiva del tutto. «Ci troviamo a meno di quindici chilometri dal Polo Nord geografico della Luna», spiego Black. «E precisamente su un altopiano lungo il bordo nordoccidentale del cratere Peary, esattamente nel punto in cui questo confina col cratere Hermite. Quest’area e soprannominata ’I monti della luce eterna’. Qualcuno sa perché?» «Spiegalo tu, Peter», disse Julian con gentilezza. «All’inizio degli anni ’90, si e scoperto che, nelle regioni polari, alcuni bordi dei crateri e alcune vette sono perennemente illuminati dal sole. Forse sapete che il maggiore impedimento alla creazione di una base lunare abitata e sempre stato l’approvvigionamento di energia. C’erano i reattori nucleari, ovvio, ma questa soluzione aveva sempre suscitato infuocate proteste; si temeva infatti che una navicella spaziale con un simile reattore a bordo potesse precipitare sulla Terra, con conseguenze terribili. Cos, dato che, durante la fase di progettazione della stazione, l’elio-3 rappresentava ancora solo un’opzione vaga, ci si e concentrati sull’energia solare. I pannelli solari rappresentano una soluzione splendida, ma purtroppo sono completamente inutili di notte. Certo, per alcune ore e possibile sopperire con le batter-

ie, ma la notte lunare dura quattordici giorni. Ed ecco che entrano in gioco i poli. L la luminosita e inferiore rispetto all’equatore, per via dell’inclinazione estrema con cui i raggi solari colpiscono la superficie; in compenso, pero, la luce solare e sempre disponibile. Se osservate con attenzione quei rilievi, noterete interi campi di pannelli che regolano costantemente la propria posizione in funzione dell’altezza del sole.» Fece una pausa per dar loro il tempo di perlustrare le colline alla ricerca dei pannelli. «Ciononostante i poli non rappresentano un sito ideale per la costruzione di una base», riprese. «Anzitutto a causa dell’estrema inclinazione dei raggi solari, che ho gia menzionato. Inoltre molti avrebbero preferito installare il telescopio lunare sulla faccia nascosta del satellite. E poi c’e l’elio-3: la possibilita di sfruttarlo si era concretizzata poco prima che iniziassero i lavori, quindi per alcuni sarebbe stato meglio buttare all’aria i progetti e costruire la base la dove sarebbe stato piu sensato costruirla, alimentata ventiquattr’ore su ventiquattro da un reattore a fusione. In effetti, e paradossale che l’elio-3 non possa trovare impiego sulla Luna... In ogni caso, i lavori sono proseguiti secondo i progetti originari. Infatti i poli presentano anche un altro vantaggio, cioe la temperatura. Considerando le variazioni tipiche della temperatura lunare, bisogna dire che, ai poli, essa e decisamente moderata, dai 40 °C ai 60 °C al sole, mentre all’equatore, a mezzogiorno, supera di gran lunga i 100 °C. Di notte, invece, il termometro scende a -180 °C. Nessun materiale da costruzione potrebbe sopportare a lungo simili escursioni termiche: si espanderebbe e si restringerebbe oltre ogni limite fino a diventare fragile e friabile. Ah, e poi c’e un’altra considerazione a favore dei poli. La dove il sole resta basso sopra l’orizzonte, devono esserci zone che non vengono mai illuminate dai suoi raggi. Zone in cui forse c’e la possibilita di trovare qualcosa che, in teoria, qui non potrebbe esistere: l’acqua.» «Perché qui non puo esistere? Neanche un piccolo fiume o un laghetto?» chiese Miranda. «Perché al sole evaporerebbe subito, disperdendosi nello spazio. La forza gravitazionale della Luna non e sufficiente per trattenere i gas volatili, e questo e uno dei motivi per cui il satellite e privo di atmosfera. Solo dove regna l’oscurita perpetua si puo ipotizzare la presenza di acqua ghiacciata, legata a livello molecolare alla polvere lunare di origine meteoritica. La presenza di tali voragini perennemente in ombra e stata subito verificata: per esempio i buchi nei punti d’impatto sul fondo del vicino cratere Peary. E di fatto le misurazioni sembravano confermare la presenza di acqua, cosa che avrebbe enormemente facilitato la costruzione di un’infrastruttura complessa. L’alternativa era farla arrivare dalla Terra, ma si trattava di una vera follia, soprattutto economica, ma non solo.» «E avete trovato l’acqua?» chiese Rogacev. «Finora no. Una notevole quantita d’idrogeno s, ma niente acqua. Comunque la base e stata costruita qui perché il trasporto dalla Terra si e rivelato piu semplice ed economico del previsto, grazie all’ascensore spaziale. Ora l’acqua viene portata sul-l’OSS all’interno di ser-

batoi e, a partire da quel punto, la massa non ha piu molta importanza. Ovviamente si continuano a cercare tracce di H2O. Inoltre...» - Black indico una lontana struttura a forma di botte - «... sono iniziati i lavori di costruzione di un piccolo reattore per l’elio-3, come scorta per il fabbisogno energetico della base in continua crescita.» «Be’, in tutta franchezza immaginavo la base lunare un po’ piu imponente», brontolo Momoka Omura. «Io la trovo molto imponente», disse Hanna. «Anch’io», esclamo Miranda. «D’accordissimo», confermo Nair che, ridendo, aggiunse: «Io ancora non riesco a credere di essere sulla Luna... e che quassu possano vivere esseri umani. È davvero incredibile». «Aspettate di vedere il Gaia Hotel», intervenne Lynn con aria misteriosa. «Non escludo che non vogliate piu tornare sulla Terra.» «Se ha lo stesso aspetto di quel mucchio di ciarpame laggiu, me ne vorro andare immediatamente», sbuffo Momoka. «Tesoro, stai offendendo i padroni di casa», disse Locatelli in tono piu duro del solito. «Perché? Ho solo...» «A volte faresti meglio a chiudere il becco.» «Come? Ma chiudilo tu!» «L’hotel ti piacera, Momoka, e parecchio», s’intromise Lynn per mettere fine al battibecco. «E posso anticiparti che non ha lo stesso aspetto della base lunare.» Evelyn sogghigno. Dal punto di vista professionale, quelle piccole schermaglie erano il suo pane, tanto piu che di solito Locatelli e la sua musa giapponese andavano d’amore e d’accordo quando si trattava di offendere qualcuno. Tra l’altro aveva gia in mente d’invitare Locatelli a una delle future trasmissioni sul tema: «Guerra ai salvatori del mondo». L’avrebbe intitolata «Il declino del settore petrolifero e le lotte per il potere tra i fornitori di energie alternative». Magari sarebbe riuscita a infilare nella conversazione anche qualche domanda... privata. Di ottimo umore, segu Black. LUNAR EXPRESS Salirono a bordo del treno attraverso un portello pressurizzato e tolsero caschi e protezioni. L’aria era piacevolmente temperata e i sedili erano delle dimensioni giuste per accogliere anche le persone in sovrappeso, come aveva scoperto Rebecca Hsu che, sospirando, aveva riferito la cosa ad Amber Orley. Fino a quel momento, Evelyn Chambers non aveva quasi scambiato parola con Amber, pur notando che era stata gentile con tutti. Anche il figlio di Julian, dopo l’iniziale riserbo, si era rivelato piuttosto socievole, se si sorvolava sulla sua evidente preoccupazione per la

sorella, una preoccupazione che rovinava l’umore a lui e alla moglie, oltre a rendere conflittuale il rapporto col padre. Nulla di tutto cio era sfuggito a Evelyn, convinta che Lynn avesse simulato l’attacco di mal di spazio all’interno del Picard e che quindi avesse qualcosa da nascondere. Cos, dato che Mukesh Nair aveva praticamente sequestrato Tim per spiegargli quanto amasse la vita, Evelyn aveva approfittato dell’occasione per sedersi accanto ad Amber. «A meno che lei non preferisca sedersi vicino a suo marito... » «Ma no, si figuri!» Amber si avvicino. «Siamo sulla Luna... Non e incredibile?» «È sensazionale!» confermo Evelyn. «E non ha ancora visto l’hotel...» esclamo l’altra. «Lei lo ha visto? Finora e stato per tutti un enorme mistero. Nessuna fotografia, nessun filmato...» «In alcuni rari momenti la parentela ha anche qualche vantaggio. Lynn ci ha mostrato i progetti.» «Non sto piu nella pelle. Ehi, si parte.» Senza fare il minimo rumore, il treno aveva iniziato a muoversi. Venne diffusa una musica eterea e strascicata, come se l’orchestra stesse suonando sotto l’effetto di stupefacenti. «Meravigliosa. Che cos’e?» chiese Eva Borelius dietro Evelyn. «Gayane di Aram Chacaturjan. L’adagio della suite», rispose Rogacev. Julian si volto. «Bravo, Oleg. Saprebbe anche dire chi lo esegue? » «Se non sbaglio, dovrebbe essere la Filarmonica di Leningrado, diretta da Gennadij Rozdestvenskij.» «Dio mio, che cultura. Lei e un vero intenditore», esclamo Eva Borelius, assai colpita. «Soprattutto conosco la predilezione del nostro ospite per un certo film. Diciamo che mi sono preparato», replico Rogacev con insolita vivacita. «Non avevo idea che avesse una passione per la musica classica... » «No, non si direbbe davvero», commento acida Olympiada. Ehila, penso Evelyn. Sempre piu interessante. Lynn si porto al centro del corridoio. «Forse vi sarete accorti che tocca sempre a me illustrarvi le comodita della vostra sistemazione », disse in un piccolo microfono. «Anzitutto l’esperienza che state vivendo ha il carattere di un’anteprima. Siete stati i primi a soggiornare nello Stellar Island Hotel e sarete i primi a entrare nel Gaia Hotel. Quindi siete anche i primi a godervi un viaggio sul Lunar Express, che percorrera i circa milletrecento chilometri che ci separano dall’hotel in meno di due ore. La reale funzione della stazione che abbiamo appena lasciato e quella di un punto di carico e scarico. Nella parte nordoccidentale del Mare Imbrium si estrae l’elio-3. I serbatoi vengono portati qui sui binari, caricati all’interno di navicelle e invi-

ati all’OSS. Per un tratto, le rotaie su cui viaggiano i vagoni per il trasporto merci sono parallele al nostro binario, ma curvano verso ovest poco prima della nostra meta. Forse durante il viaggio incroceremo uno di questi treni.» Al di la dei finestrini, la pista di atterraggio, con le sue barriere di protezione, diventava sempre piu piccola. Il treno accelero e, dopo aver percorso un’ampia curva in discesa, si diresse verso il regno delle ombre. «L’arrivo all’hotel e previsto per le 19.15. Non dovete preoccuparvi dei bagagli. I robot provvederanno a portarli nelle vostre stanze, mentre noi ci incontreremo nella hall, faremo la conoscenza del personale e visiteremo la struttura. Dopo avrete la possibilita di rinfrescarvi. Stasera, in via del tutto eccezionale, la cena sara servita alle 20.30. Poi e consigliabile andare a dormire. Il viaggio e stato lungo e faticoso... Ci sono domande?» Donoghue alzo la mano. «Solo una: si puo avere un drink?» «Birra, vino, whisky. Tutto analcolico», rispose Lynn, raggiante. «Lo sapevo.» «Ti fara bene», disse Aileen, soddisfatta, dandogli un colpetto sulla coscia. Donoghue impreco. Come per punizione, furono inghiottiti dall’oscurita. Per un attimo, rimasero visibili i bordi piu alti del cratere, illuminati dal sole accecante, poi anch’essi scomparvero. Nina Hedegaard distribu alcuni snack. In perfetta sintonia con quelle tenebre infernali, in sottofondo risuonava il Requiem di Gyorgy Ligeti. D’un tratto, il Lunar Express si getto lungo una discesa e Black spiego che stavano attraversando un tratto compreso tra i crateri Peary e Hermite. Quando torno la luce solare, costeggiarono frastagliate formazioni rocciose e si diressero verso una depressione piena di crepacci; poi, di nuovo immersi nel buio, attraversarono l’interno di un cratere piu piccolo. Fino a poco prima, Evelyn aveva sperato di carpire qualche informazione su Amber, ma adesso non desiderava che ammirare quel paesaggio incontaminato, le sue pareti scoscese e le sue dorsali, la vellutata riservatezza delle valli e delle pianure impolverate, la totale assenza di colori. Il sole risplendeva freddo sui bordi dei crateri e, nel bagliore, il tempo si dilatava. Nessuno aveva piu voglia di parlare. Persino Chucky tronco una delle sue barzellette poco prima del penoso finale per ammirare incantato uno scintillante gioiello bianco e azzurro che stava sorgendo all’orizzonte e diventava piu alto chilometro dopo chilometro: la loro casa, infinitamente lontana e di una bellezza straziante. Nina Hedegaard e Black si diedero da fare per colmare le lacune culturali dei viaggiatori. Elencarono altri crateri, Byrd, Gioja e Main. Le cime si ridussero a colline, le gole cedettero il posto a pianure desolate. Dopo un’ora di viaggio, raggiunsero un esteso terrapieno, il cratere Goldschmidt, sul cui bordo occidentale si spalancava la bocca del cratere Anassagora, secondo Nina la testimonianza di un impatto «particolarmente recente», affermazione che in-

dusse molti a rivolgere gli occhi al cielo, tossicchiare e ridere nervosamente, perché «recente» suonava per loro come «poco fa», e di certo non come «cento milioni di anni fa». Dopo aver attraversato il cratere Goldschmidt, sfrecciarono sopra un paesaggio desertico dalle tinte scure e Julian si alzo e si congratulo con loro per l’attraversamento del primo mare lunare, il Mare Frigoris. «E perché chiamano ’mare’ un deserto cos brutto?» volle sapere Miranda, togliendo i compagni di viaggio ben piu colti di lei dall’imbarazzo di dover porre la stessa domanda. «Perché in passato si credeva che le scure pianure basaltiche fossero oceani. Si dava per scontato che la Luna avesse una conformazione simile a quella della Terra. Di conseguenza, si pensava di poter individuare mari, laghi, insenature e paludi. È interessante, a questo proposito, la nomenclatura scelta, per esempio perché a questo bacino sia stato dato il nome di ’Mare del Freddo’. C’e anche un ’Mare della Tranquillita’, il Mare Tranquillitatis, entrato nella storia grazie all’Apollo 11, motivo per cui, tra l’altro, tre minuscoli crateri vicini al punto di allunaggio sono stati doverosamente chiamati Armstrong, Aldrin e Collins. Inoltre abbiamo un Mare Serenitatis, il ’Mare della Serenita’, un Mare Nubium, il ’Mare delle Nubi’, un Oceanus Procellarum, l’Oceano delle Tempeste’, un Mare Spumans, il ’Mare Spumeggiante’, un Mare Undarum, il ’Mare delle Onde’ e cos via», disse Julian. «Sembra di sentire le previsioni del tempo», commento Hanna. «Esattamente!» Julian ridacchio. «La colpa e di un certo Giovanni Battista Riccioli, un astronomo del XVII secolo, contemporaneo di Galileo Galilei. Il suo intento era dare il nome di un grande astronomo o matematico a ogni cratere e a ogni catena montuosa, ma a un certo punto l’elenco degli scienziati si era esaurito. In seguito, i russi e gli americani hanno ripreso il suo sistema. Oggi sulla Luna sono immortalati anche scrittori, psicologi, esploratori polari. Esistono inoltre Alpi lunari, Pirenei e Ande. A ogni modo, Riccioli era assolutamente convinto che le macchie piu scure fossero mari. Gia Plutarco aveva creduto la stessa cosa e Galileo pensava che la Luna fosse una seconda Terra, che le zone piu chiare fossero continenti e quelle scure formazioni lacustri e corsi d’acqua. Naturalmente Riccioli voleva dare nomi eleganti anche ai suoi maria... e invece tutto il suo sistema era basato su un clamoroso errore. Riteneva infatti di aver scoperto che il tempo atmosferico sulla Terra dipende dalle fasi lunari. Ovvero, bel tempo con la luna crescente...» «Tempo di merda con la luna calante», borbotto Locatelli. «Proprio cos. Da allora, i mari della parte orientale della Luna portano nomi come ’tranquillita’ e ’armonia’, mentre a ovest imperversano piogge e tempeste; inoltre, un mare nelle vicinanze del Polo Nord deve per forza essere freddo, ecco perché ’Mare del Freddo’... Oh, guardate. Credo che ci stia venendo incontro qualcosa.»

Evelyn allungo il collo. Sulle prime non vide altro che una distesa senza fine e il tortuoso tracciato dei binari in lontananza, poi scorse un puntino che si avvicinava rapidamente, come se stesse volando, e si trasformava in qualcosa di allungato e provvisto di fari. Mentre stava ancora cercando di distinguere i dettagli, il treno merci era gia passato oltre. Si erano incrociati a quasi millecinquecento chilometri orari, senza che si fosse sentito il minimo rumore né avvertita la minima vibrazione. «Elio-3. Il futuro», disse Julian in tono solenne. E si sedette come se non ci fosse nient’altro da aggiungere. Il Lunar Express continuo la sua corsa. Poco dopo, all’orizzonte, comparve una massiccia dorsale montuosa, la cui altezza aumentava a una velocita vertiginosa, come se il Mare Frigoris fosse davvero un mare e quei monti emergessero dalle profondita delle sue acque. Evelyn ricordo di aver sentito dire che quel fenomeno era dovuto alla forte curvatura del satellite. Black li informo che si trattava del cratere Platone, una formazione spettacolare con un diametro di oltre cento chilometri e pareti alte duemilacinquecento metri, un’altra informazione che s’infilo nella corteccia cerebrale gia iperstimolata di Evelyn Chambers come uno shrapnel. Il Lunar Express s’inoltro sinuoso nel Mare Imbrium, la desolata pianura adiacente. Come preannunciato, quando costeggiarono Platone, i binari destinati ai vagoni dell’elio-3 curvarono verso ovest e sparirono in lontananza. All’orizzonte spuntarono nuovi monti, le Alpi lunari, superfici di un chiarore accecante con venature di ombra. I binari della ferrovia magnetica s’inerpicavano audaci in quel paesaggio montuoso, i piloni aggrappati alle rocce. Piu salivano verso l’alto piu il panorama diventava spettacolare: montagne di duemila metri, strapiombi cubistici, creste aguzze e frastagliate. Un’ultima occhiata al tappeto polveroso del Mare Imbrium, poi il convoglio curvo verso l’entroterra, facendosi strada fra vette e altopiani, diretto verso il bordo di un canyon lunare, dove... Evelyn non riusciva a credere ai propri occhi. Un sospiro colmo di meraviglia attraverso il treno. Il ronzio quasi impercettibile del motore si mescolo ai bassi carichi di mistero del tema di Also sprach Zarathustra. Mentre il Lunar Express rallentava, risuonarono le prime fanfare. Strauss doveva avere in mente il «sole della conoscenza» di Nietzsche; Kubrick forse pensava alla trasformazione del genio umano in qualcosa di nuovo, di piu elevato, ma Evelyn, in quell’istante, penso a Edgar Allan Poe, nei cui abissi narrativi aveva vagato da giovane. Le era rimasta in mente una sola frase della raccapricciante conclusione del suo Arthur Gordon Pym: Ma ecco levarsi sul nostro cammino una figura velata, di proporzioni ben piu vaste di qualsiasi essere umano. E il colore della pelle della figura era del bianco assoluto della neve...

Trattenne il fiato. A dieci, forse dodici chilometri di distanza, in cima a un altopiano, su una sporgenza al di la della quale si apriva il baratro del canyon, sedeva qualcosa, con lo sguardo rivolto verso l’alto, verso la Terra. Una persona. No, era la sagoma di una figura umana. Non di un uomo, ma di una donna dalle proporzioni perfette. Testa, membra e corpo risplendevano sullo sfondo di un mare di stelle. Priva di qualsiasi mimica, senza bocca, senza naso e senza occhi, la figura aveva comunque un aspetto trasognato, quasi nostalgico, per il modo in cui stava appoggiata sui gomiti, con le gambe a penzoloni oltre il precipizio, totalmente assorbita dalla visione del placido pianeta, sopra la sua testa, un pianeta su cui non avrebbe mai messo piede. Doveva essere alta almeno duecento metri. DALLAS, TEXAS, STATI UNITI Se Loreena Keowa non fosse gia stata un’esponente di spicco di Greenwatch, avrebbero dovuto inventarla. Le sue origini erano inequivocabili. Era una tlingit al cento per cento, membro di un popolo il cui spazio vitale dalla notte dei tempi si estendeva lungo la costa sudoccidentale dell’Alaska e includeva anche parti dello Yukon e del British Columbia. Al momento si contavano ancora ottomila tlingit, ma il loro numero era in costante diminuzione. La melodiosa lingua Na-Dene veniva ancora parlata dagli anziani, ma sempre piu spesso anche dai giovani come Loreena Keowa che, nell’America convertita all’ambientalismo, si consideravano portabandiera dell’autoaffermazione etnica. Loreena Keowa faceva parte di un clan che risiedeva a Hoona, il «villaggio sulla scogliera», un insediamento tlingit sulla Chichagof Island. Quando non si trovava a Vancouver, sede centrale di Greenwatch, risiedeva quaranta miglia a ovest di Hoona, a Juneau. I tratti del suo viso, tipici della sua gente, presentavano anche caratteri caucasici, anche se, per quanto ne sapesse lei, nessun bianco aveva mai sposato una donna del clan. Senza essere bella nel senso classico del termine, emanava un’aria selvaggia, eccitante e romantica. I capelli lunghi e neri erano lontani dall’idea che potevano avere delle capigliature indiane i broker newyorkesi e il suo modo di vestire si opponeva a tutti i cliché del selvaggio civilizzato. Era convinta che si potesse lottare per l’ambiente anche indossando Gucci e Armani. Molto preparata, era poco incline alla polemica. I suoi reportage erano documentati e spietati, ma nel contempo lei riusciva sempre a non condannare nessuno senza appello. I suoi oppositori la vedevano come un compromesso ambulante per gli attivisti ambientali di Wall Street; i suoi sostenitori apprezzavano il suo potenziale d’integrazione. Che cio corrispondesse alla realta o no, era fuori discussione che il successo di Greenwatch era in gran parte merito di Loreena

Keowa. Negli ultimi due anni, il canale Internet aveva conquistato la leadership tra le emittenti ambientaliste americane e aveva dovuto rettificare le informazioni trasmesse solo pochissime volte, cosa tutt’altro che scontata, dal momento che la gara per arrivare primi spesso faceva dimenticare l’accuratezza. Com’era tipico di Greenwatch, i suoi membri provavano una vaga simpatia per lo stratega dell’EMCO, Gerald Palstein. In realta, Palstein rappresentava il nemico, ma si era espresso a favore della difesa dell’ambiente, e a Calgary era diventato lui stesso una vittima, mettendo fine a qualcosa che irritava da sempre gli ambientalisti. All’inizio del millennio, i grandi gruppi petroliferi, come la ExxonMobil, incoraggiati dall’amministrazione Bush, poco incline all’ecologia, avevano rivitalizzato un’attivita ormai abbandonata: lo sfruttamento delle sabbie bituminose, un miscuglio di sabbia, acqua e idrocarburi, i cui giacimenti piu importanti si trovavano in Canada. Le riserve delle zone di Athabasca, Peace River e Cold Lake erano state stimate in ventiquattro miliardi di tonnellate, il che aveva catapultato il Paese al secondo posto, dopo l’Arabia Saudita, tra le nazioni piu ricche di petrolio. Tuttavia estrarre l’oro nero dalla sabbia aveva un costo tre volte superiore rispetto ai metodi tradizionali ed era stato quindi un’operazione economicamente svantaggiosa, almeno finché i prezzi al barile si erano mantenuti fra i venti e i trenta dollari. La repentina lievitazione dei prezzi aveva infine giustificato l’adozione di quel dispendioso procedimento, una circostanza favorita anche dalla vicinanza del Canada al principale consumatore di greggio - gli Stati Uniti -, sempre assetato di petrolio e grato per ogni fonte di approvvigionamento non araba. Inebriati dalle prospettive di guadagno, i gruppi petroliferi si erano gettati sulle riserve fino ad allora trascurate e cio, in breve tempo, aveva provocato la totale distruzione della foresta boreale, degli ambienti palustri e dei corsi d’acqua dell’Alberta. Inoltre, per ogni barile di greggio ottenuto in tal modo, venivano introdotti ottanta chilogrammi di gas serra nell’atmosfera terrestre e quattro barili di acqua inquinata nei laghi e nei fiumi. Poi il prezzo al barile era crollato. Per sempre. Nel volgere di una notte, l’attivita estrattiva si era fermata, e senza che le aziende sapessero come ripristinare l’ecosistema. Si erano lasciate alle spalle zone devastate, un aumento dell’incidenza di tumori tra la popolazione e altre aziende al collasso, come l’Imperial Oil, un’impresa con sede a Calgary e che, da centocinquant’anni, si era occupata prima dell’estrazione di greggio e gas naturale, poi di raffinazione delle materie prime e infine dello sfruttamento delle sabbie bituminose. In un attimo, l’azienda leader del settore era piombata nell’abisso e Palstein, nella sua funzione di direttore strategico dell’EMCO, che possedeva due terzi delle azioni dell’Imperial Oil, era stato costretto ad andare nell’Alberta per annunciare al consiglio direttivo e agli operai sconvolti che l’azienda non si sarebbe risollevata.

Forse perché era piu facile sfogare la rabbia su un singolo individuo che sulla Luna, le cui materie prime erano le reali artefici del disastro, qualcuno a Calgary aveva sparato a Palstein. L’atto di un disperato... o almeno cos lo avevano interpretato quasi tutti. Ma Loreena Keowa era scettica. Non che avesse un’altra versione. Pero si chiedeva quanto a lungo un semplice disoccupato potesse sottrarsi alla cattura. L’attentato risaliva a un mese prima. Diverse cose nella teoria dell’attentatore folle e solitario non avevano senso e, dal momento che lei stava lavorando a un reportage intitolato L’eredita del mostro, sulle devastazioni ambientali causate dai grandi gruppi petroliferi, le era sembrata una buona idea indagare sulla questione a modo suo. Gia prima della scoperta dell’elio-3 Palstein aveva fatto pressioni sul suo settore per cercare strade alternative. In un certo senso, non era mai stato favorevole allo sfruttamento delle sabbie bituminose e, secondo lei, nella conferenza stampa di Anchorage era stato attaccato ingiustamente. Percio gli aveva offerto la possibilita di un’intervista televisiva che lo mostrasse sotto una luce migliore. Come contropartita, sperava di ottenere informazioni di prima mano sulla caduta dell’EMCO. Ma soprattutto sognava di contribuire alla soluzione del mistero dell’attentato, nel solco della migliore tradizione del giornalismo investigativo americano. Forse sarebbe riuscita addirittura a risolvere il caso. Palstein aveva tentennato e infine l’aveva invitata a casa sua, sulle rive del Lavon Lake, nel Texas, dov’era in convalescenza, a condizione che lei si presentasse al primo appuntamento senza telecamere. «Ma ci serviranno delle immagini. Siamo un’emittente televisiva », aveva obiettato Loreena. «Se riuscira a convincermi che le sue intenzioni sono buone, le avra. Sono in grado di sopportare i pestaggi mediatici solo fino a un certo punto, Loreena. Ci studieremo per un’oretta, e poi potra chiamare la sua squadra. Oppure no.» Ora, seduta nel taxi che la stava portando dall’aeroporto al centro di Dallas, Loreena rilesse la documentazione che aveva raccolto. Il cameraman e il fonico sonnecchiavano sul sedile posteriore, stravolti dal caldo che quell’anno aveva investito il Texas con largo anticipo. La sede dell’EMCO era a Irving, vicino a Dallas, ma Palstein abitava dall’altra parte della citta. Avevano pranzato allo Sheraton Dallas, poi, come preannunciato, era arrivato l’autista di Palstein per prelevare Loreena. Entrarono nell’auto elettrica - ovviamente climatizzata, cosa che aveva rinfrancato non poco la donna -, e uscirono dalla citta, attraversando una periferia immersa nel verde, finché sul lato sinistro, fra gli alberi, non apparve la superficie luccicante del lago. A un certo punto, l’autista svolto in una strada secondaria e subito dopo in una strada privata che conduceva direttamente sulla riva e alla casa di Palstein. Loreena penso che, in

un certo qual modo, era proprio come se l’era immaginata. Non sarebbe stata in grado di figurarsi Palstein in un ranch con bufali e un patio a colonne. Quella costruzione ariosa, formata da elementi cubici con le superfici di vetro, intervallati da spazi verdi, con la struttura simile alla filigrana e le pareti quasi prive di peso, si adattava molto meglio all’idea che si era fatta di lui. L’autista la fece scendere. Un uomo massiccio che indossava pantaloni e T-shirt le venne incontro e le chiese con gentilezza un documento d’identita. La riva del lago era sorvegliata da altri due uomini. A quanto pareva, Palstein si era circondato di guardie del corpo. La donna porse all’uomo massiccio la carta d’identita e lui la passo sullo scanner del cellulare. Poi, evidentemente tranquillizzato da quello che aveva visto, le restitu il documento con un sorriso e le chiese di seguirlo. Attraversarono a passo rapido un giardino giapponese e, passando accanto a una grande piscina, raggiunsero un pontile. «Ha voglia di fare un giro?» Palstein, appoggiato a un paracarro, attendeva la giornalista davanti a un piccolo yacht bianco come la neve, con un grande albero e le vele raccolte. Indossava i jeans e una polo e sembrava stare meglio rispetto al loro ultimo incontro ad Anchorage. La fascia intorno al braccio era sparita. Loreena indico la sua spalla. «Va meglio?» Lui le strinse la mano. «Grazie. Fa ancora un po’ male. Ha fatto buon viaggio, Shax’saani Keek’?» Loreena ridacchio, irritata. «Conosce il mio nome tlingit? Quasi nessuno lo sa!» «Informarsi sui propri ospiti e una questione di educazione. Shax’saani Keek in lingua tlingit significa ’la sorella piu giovane delle ragazze’, giusto?» «Sono colpita.» «E io probabilmente sono solo un vecchio spaccone.» Palstein sorrise. «Allora, che ne dice? Non posso proporle di navigare a vela, la spalla ancora non me lo permette, ma il fuoribordo funziona, e a bordo ci sono bibite fresche.» In altre circostanze, Loreena si sarebbe insospettita. Ma quello che, con chiunque altro, avrebbe avuto il sapore di una manipolazione, nel caso di Palstein restava semplicemente cio che era: l’invito di un uomo cui piaceva andare in barca. «Bella casa», disse Loreena dopo che si furono allontanati dalla riva. Una cappa di calore incombeva sull’acqua e nemmeno un alito di vento increspava la superficie del lago, ma l’aria era comunque piu gradevole che a terra. Palstein si guardo indietro e rimase in silenzio per un po’, come se, per la prima volta in vita sua, stesse valutando la bellezza della sua residenza. «Il progetto e di Mies van der Rohe. Lo conosce? »

Lei scosse la testa. «A mio parere, e il piu grande architetto moderno. Il suo obiettivo era riunire gli impulsi caotici della civilizzazione tecnologica in strutture ordinate, ma il suo concetto di ordine non prevedeva di rinchiudere gli elementi in spazi delimitati. Voleva piuttosto creare il maggior numero possibile di spazi liberi, in un flusso apparentemente ininterrotto tra mondo interiore ed esteriore.» «Anche tra passato e futuro?» «Certo. Il suo lavoro e senza tempo, perché si adatta a ogni tempo. Van der Rohe non smettera mai d’influenzare gli architetti. » «Le piacciono le strutture essenziali.» «Mi piacciono le persone capaci di guardare oltre. Sono sicuro che conosce il suo motto piu famoso: Less is more, ’Il meno e piu’.» Loreena annu. «Oh, gia.» «Sa cosa penso? Se la nostra comprensione del mondo fosse lineare come l’opera di van der Rohe, riusciremmo a vedere connessioni superiori e arriveremmo a conclusioni differenti. Chiarezza mediante la riduzione. Conoscenza mediante l’eliminazione. Una matematica del pensiero.» Tacque per un istante, quindi riprese: «Ma lei non e qui per discutere con me della bellezza dei numeri. Cosa vuole sapere?» «Chi le ha sparato?» Palstein annu con aria delusa, come se si fosse aspettato qualcosa di piu originale. «La polizia cerca un uomo solo, frustrato e rabbioso.» «E lei condivide ancora questa supposizione?» «Ho solo detto che la condivido.» «Allora sarebbe disposto a rivelarmi cosa pensa davvero?» Palstein appoggio il mento sulle mani. «Mettiamola cos: per risolvere un’equazione bisogna conoscere le variabili. Ma il tentativo e condannato al fallimento se ci si fissa su una delle variabili, ascrivendole un significato che magari non ha. Ed e proprio questo che, a mio avviso, sta facendo la polizia. Peccato che io non abbia risposte da offrire. Lei che ne pensa?» «Be’, c’e un’industria sull’orlo del collasso, lei va a destra e a manca a fare il becchino, dice alla gente che perdera il lavoro, chiude aziende, abbandona imprese al fallimento... anche se in realta ovviamente non e un becchino, ma un medico del pronto intervento.» «È tutta una questione di percezione.» «Esatto. Quindi potrebbe benissimo trattarsi di un padre di famiglia disperato. Mi meraviglia solo che una persona del genere riesca a sfuggire alla cattura per quattro settimane. L’attentato e stato ripreso da diverse emittenti televisive e dovrebbe essere possibile vedere

qualcosa. Qualcuno che si comporta in modo sospetto, estrae un’arma, scappa...» «Sapeva che, di fronte alla tribuna, sull’altro lato della piazza, c’e un complesso di edifici...» «... e la polizia ritiene che da l siano partiti gli spari. Ma so pure che nessuno ricorda di aver visto qualcuno entrare nel complesso o uscirne dopo l’attentato. C’erano poliziotti nelle vicinanze, anzi c’erano poliziotti ovunque. Non lo trova strano? Sembra piuttosto un’azione pianificata, l’opera di un professionista. » «Anche Lee Harvey Oswald ha sparato da un edificio.» «Dal suo posto di lavoro, per essere precisi.» «Ma non spinto dall’emozione del momento. Deve aver preparato la sua azione; tuttavia pochi elementi fanno pensare che fosse un killer professionista, anche se migliaia di teorici del complotto sostengono il contrario.» «D’accordo. Nonostante questo, io continuo a chiedermi: chi era l’obiettivo dell’attentato?» «Intende dire se volevano colpirmi in quanto persona, in quanto rappresentante dell’EMCO o in quanto simbolo del sistema? » «Lei non e un simbolo del sistema, Gerald. Gli ambientalisti militanti non colpirebbero certo l’unico del quale si possono in qualche modo fidare. Ma forse il problema e esattamente l’opposto: lei e una spina nel fianco per alcuni rappresentanti del sistema. » Palstein scosse la testa. «Avrebbero avuto la possibilita di togliermi di mezzo quando all’EMCO si poteva ancora decidere qualcosa. Come ha detto lei, ho abbandonato l’Imperial Oil al fallimento e ho messo fine all’attivita estrattiva delle sabbie bituminose. Se lo avessi fatto prima dell’elio-3, forse avrebbe avuto un senso rendermi inoffensivo per poter continuare a scavare nel fango. Ma oggi? Ogni mia decisione impopolare e stata presa perché le circostanze non consentivano di fare altro.» «Bene, allora prendiamo in considerazione il Palstein privato. Una vendetta?» «Nei miei confronti?» «Ha pestato i piedi a qualcuno?» «Non che io sappia.» «Niente? Ha rubato la donna a qualcuno? Ha soffiato il posto a qualcuno?» «Il mio lavoro oggi non lo vuole piu nessuno, e non mi resta il tempo per rubare le donne agli altri. Ma, ammettendo che si tratti di motivi personali, perché una persona dovrebbe scegliere un luogo pubblico? L’attentatore avrebbe potuto uccidermi qui, sul lago. Indisturbato.» «Lei si circonda di guardie del corpo.» «Solo dall’attentato di Calgary.» «E se fosse qualcuno dei suoi? Forse lei sostiene qualcosa che i rappresentanti piu influenti dell’EMCO vogliono evitare a ogni costo, nonostante la situazione attuale.»

Palstein incrocio le dita. Aveva spento il fuoribordo e il piccolo yacht sonnecchiava sullo specchio d’acqua come se vi fosse incollato. In lontananza, si udiva il ronzio di un bombo. «Ovviamente, all’EMCO, ci sono persone convinte che dovremmo tenerci fuori dalla faccenda dell’elio-3. Credono che sia un’idiozia mettersi in affari con Julian Orley. Ma non e un atteggiamento realistico. Siamo sull’orlo della bancarotta. Non possiamo restarne fuori.» «La sua morte avrebbe cambiato qualcosa, in particolare per l’Imperial Oil?» «Non avrebbe cambiato niente per nessuno. Avrei mancato un paio di appuntamenti.» Palstein scrollo le spalle. «In effetti, anche cos ne ho mancato qualcuno.» «Sarebbe dovuto andare sulla Luna con Julian Orley. Era stato invitato.» «Per essere onesti, ero stato io a chiedergli di partecipare. Mi sarebbe piaciuto molto andare lassu.» Lo sguardo di Palstein si fece sognante. «Inoltre al viaggio partecipano alcune persone interessanti e forse sarei riuscito a stringere qualche alleanza. Oleg Rogacev, per esempio: un uomo con un patrimonio di cinquantasei miliardi di dollari, il piu grande fornitore di acciaio del mondo. Molti cercano di fare affari con lui. O Warren Locatelli, un personaggio non meno importante.» Loreena sorrise. «L’EMCO e il leader mondiale dei pannelli solari. Non le fa rabbia pensare che il suo settore, un tempo cos potente, ora deve elemosinare la benevolenza di questa gente?» «Mi fa rabbia che l’EMCO non mi abbia dato retta anni fa. Ho sempre voluto collaborare con Locatelli. Avremmo dovuto comprare la Lightyears quando ne avevamo la possibilita.» «Quando avevate ancora qualcosa da offrirgli, cioe?» «S.» «Non e paradossale il fatto che proprio i magnati del petrolio, che hanno determinato il destino del mondo per un secolo, non siano stati in grado di guidarne lo sviluppo nella direzione migliore per loro?» «La decadenza segna la fine di ogni regno. In ogni caso, mi dispiace di non esserle stato utile, svelandole i retroscena dell’attentato. Temo che dovra proseguire le sue ricerche altrove.» Loreena non replico. Forse era stata ingenua a sperare che, nella pace del Lavon Lake, Palstein le avrebbe confidato chissa quali mostruosita sull’attentato. Poi le venne un’idea. «L’EMCO ha ancora dei soldi, giusto?» «Altroché.» Lei sorrise, trionfante. «Vede? Quindi ha preso una decisione per cui esiste un’alternativa.» «A cosa si riferisce?»

«Quando parla d’investire nell’Orley Enterprises, lei pensa a somme ingenti, immagino.» «Certo. Ma anche in questo caso non esiste una vera alternativa. » «Direi che cio dipende dagli interessi in gioco. L’EMCO non deve essere salvata per forza.» «Cioe?» «Qualcuno potrebbe preferire chiudere bottega e utilizzare il denaro in modo diverso. Voglio dire, esiste qualcuno che potrebbe avere interesse ad accelerare la fine dell’EMCO? Qualcuno per cui i suoi piani di risanamento rappresenterebbero un ostacolo?» Palstein la fisso coi suoi occhi malinconici. «Domanda interessante. » «Ci rifletta. Per migliaia di disoccupati, sarebbe molto piu sensato se l’EMCO utilizzasse i soldi per garantire loro una copertura, almeno finché non avranno trovato un nuovo lavoro. Dopodiché la nave potrebbe tranquillamente affondare. Poi ci sono i creditori che non vogliono vedere i loro soldi sparati sulla Luna. Infine c’e un governo che vi ha lasciato cadere nel baratro senza battere ciglio. Perché poi? L’EMCO possiede il know-how. » «Non possediamo nessun know-how. Non sulla Luna.» «Non e l’estrazione di materie prime quello di cui si occupano lassu?» Palstein scosse la testa. «Anzitutto parliamo di astronautica. Inoltre le tecnologie terrestri non possono essere applicate sulla Luna. La forza di gravita ridotta, l’assenza di atmosfera, e un sacco di altri fattori richiedono metodologie particolari. S, un paio di persone del settore del carbone hanno contribuito al progetto, ma per la maggior parte sono stati sviluppati procedimenti del tutto nuovi. Secondo me, il motivo per cui siamo stati lasciati a noi stessi e un altro. Lo Stato ambisce a controllare completamente lo sfruttamento dell’elio-3. Quindi Washington ha colto al volo l’occasione per liberarsi non solo dalla morsa del Medio Oriente, ma anche dalla dipendenza dai gruppi petroliferi. » «A morte i creatori di sovrani», commento Loreena, sarcastica. «È proprio cos», disse Palstein in tono quasi allegro. «Il petrolio ha creato presidenti, ma nessun presidente si e mai prestato volentieri al ruolo di burattino dell’economia gestita dai privati. A meno che non ne fosse il maggiore esponente. nella natura delle cose che il sovrano si liberi di coloro che lo hanno incoronato non appena puo. Pensi alla situazione in Russia negli anni ’90, a Vladimir Putin... Ah, no, forse lei e troppo giovane.» «Ho studiato la situazione russa», disse Loreena con un sorriso. «Putin avrebbe dovuto essere il burattino dell’oligarchia, ma era stato sottovalutato. Tipi come quello col nome impronunciabile... » «Chodorkovskij.» «Proprio lui. Uno dei predoni dell’era Eltsin. Poco dopo la presa del potere da parte di Putin, Chodorkovskij si e ritrovato in un campo di lavoro siberiano. Molti hanno subito una

sorte simile. Nel nostro caso, il problema si risolve da solo», mormoro Palstein. «Ma, durante la grande crisi di sedici anni fa, i governi di tutto il mondo hanno speso miliardi per salvare le banche sull’orlo del fallimento», insistette Loreena. «Si parlava d’istituti bancari in sofferenza, come se a soffrire fossero gli istituti di credito e i loro dirigenti, e non le schiere di piccoli risparmiatori. Nessuno ha aiutato a coprire le perdite della gente comune con garanzie statali, mentre i governi hanno aiutato le banche. Adesso invece non fanno nulla. Lasciano le multinazionali del petrolio al loro destino. Posso capire gli sforzi per svincolarsi da una dipendenza, ma questo non puo essere nell’interesse di Washington.» Palstein le scocco un’occhiata strana, come se Loreena fosse un pesce che lui aveva appena pescato nel lago e che non riusciva a identificare. «Vuole una storia a ogni costo, eh?» «Se ce n’e una, s.» «E, per raggiungere questo obiettivo, butta un sacco di elementi in un unico calderone, confondendo parecchie cose. Prendiamo la questione delle banche, i pilastri del sistema chiamato ’capitalismo’. Crede davvero che si sia trattato di singoli istituti di credito? Di qualche manager antipatico e di qualche speculatore che intascavano una montagna di soldi per compiti che non avevano svolto? Si trattava di salvare il sistema sul quale poggia l’apparato politico, di mantenere l’equilibrio statico del tempio del capitalismo. Non prendiamoci in giro, Loreena: i gruppi petroliferi non hanno mai avuto un ruolo del genere. Sono sempre stati soltanto dei sintomi del sistema, mai le colonne portanti. Il mondo puo sopravvivere benissimo senza di noi. Quelli di noi che non sono riusciti a passare alle energie alternative quand’erano ancora in tempo ora agonizzano, in attesa della fine. Perché lo Stato dovrebbe salvarci? Non abbiamo nulla da offrirgli. Un tempo, eravamo noi a pagarlo e adesso dovrebbe sostenerci? Nessuno e interessato a una cosa del genere. Lo Stato estrae l’elio-3 perché in questo vede la possibilita di diventare imprenditore lui stesso. Per l’America, e un’occasione unica per gestire il proprio approvvigionamento energetico in modo centralizzato e impedire che nascano nuovi ’creatori di sovrani’.» «E questo spiega le lacrime da coccodrillo», disse Loreena in tono sprezzante. «Mi dica un solo sistema fondato sul capitalismo in cui chi gestisce il potere non e automaticamente il prodotto del capitale e quindi dell’economia privata. Gli Stati Uniti lasciano l’EMCO per l’Orley Enterprises, punto e basta. Orley li porta sulla Luna e costruisce reattori affinché la roba portata sulla Terra da lassu faccia quello che deve. Senza il sostegno dei privati, non sarebbe mai stata un’impresa possibile. E il nuovo creatore di sovrani sta comodamente seduto sul trono dei suoi brevetti e indica la strada ai partner. Senza di lui, non possono essere costruiti altri ascensori spaziali, altri reattori...» «Julian Orley non e un creatore di sovrani nel senso tradizionale del termine. un alieno, se vuole. Una potenza extraterrestre. Nella ExxonMobil, poi confluita nell’EMCO, c’erano americ-

ani che influivano pesantemente sulle elezioni del proprio Paese e, all’estero, fornivano armi e denaro ai nemici. Invece Orley vede se stesso come uno Stato indipendente, una potenza mondiale autonoma. Ecco una cosa che i grandi gruppi petroliferi hanno sempre sognato: dover rendere conto solo a se stessi. Julian Orley non cercherebbe mai di rovesciare un presidente americano poco amato, anche per motivi etici. Interromperebbe semplicemente le relazioni diplomatiche con Washington e richiamerebbe il suo ambasciatore.» «Si considera davvero uno... Stato?» «Questo la sorprende? Quando i vari Paesi erano ancora sotto shock e chiedevano di avere piu voce in capitolo nel settore bancario, Julian stava gia programmando la propria ascesa. Ricorda? Tutto stava finendo in mani private, una situazione che gli stessi governanti avevano contribuito a creare. Poi, all’improvviso, si erano resi conto che rischiavano di perdere il controllo dello Stato sociale. Avevano quindi iniziato a chiedere un maggior controllo statale... ma poi erano stati costretti ad ammettere che la statalizzazione del capitale paralizzava le attivita che alimentavano il capitale stesso ed erano tornati nei ranghi. Per comodita, la depressione dal 2008 al 2012 e stata descritta come un’esondazione di un sistema altrimenti privo di difetti. In realta, in quel periodo, e stata gettata alle ortiche l’occasione di reinventare il capitalismo e, con essa, si e persa l’opportunita di rafforzare lo Stato in modo duraturo.» Lo sguardo di Palstein si era perso lontano. La voce aveva assunto un tono cattedratico, analitico, privo di empatia. «È stato allora che i privati hanno definitivamente tolto lo scettro dalle mani ai governanti. Che gli esseri umani sono stati trasformati in risorse umane. Mentre i partiti dei Paesi democratici si pestavano i piedi a vicenda e i dittatori si atteggiavano come sempre a imprenditori, le multinazionali si sono infiltrate in tutti i settori della societa, costruendo il grande magazzino della civilta moderna. Si sono impadronite dell’approvvigionamento di acqua, medicinali e generi alimentari; hanno privatizzato l’istruzione; hanno costruirono universita, ospedali, residenze per anziani, cimiteri... tutti piu belli, piu grandi e piu efficienti di quelli statali. Si sono impegnate contro la guerra; hanno dato vita a programmi di aiuto per gli indigenti; hanno combattuto la battaglia contro la fame, la sete, la tortura, il riscaldamento globale, la pesca selvaggia, l’edilizia abusiva, il divario tra ricchi e poveri. E, nel contempo, erano proprio loro ad allargare tale divario, dal momento che erano loro a decidere chi potesse avere accesso ai servizi e chi no. Hanno sostenuto la ricerca scientifica per raccoglierne i frutti. Hanno raggiunto ogni angolo del pianeta, spremuto ogni risorsa. Ben presto, ogni cosa - dalle fonti di acqua potabile al genoma umano - e stata giudicata in base al valore economico. Il mondo liberamente accessibile e diventato un catalogo corredato di note sul copyright, diritti d’autore e diritti di accesso. Se mi consente una metafora, hanno messo un tornello all’entrata della creazione. Hanno diviso l’umanita in autorizzati e non autorizzati. Persino l’accesso gratuito all’acqua e all’istruzione ormai e di-

ventato un’offerta che, non appena viene accettata, sottomette le persone a un’ideologia commerciale, alla dittatura di un marchio.» «Non e sempre stato cos?» chiese Loreena. «Si viene ricompensati se si seguono le idee di pochi e, chi non lo fa, deve mettere in conto l’esclusione e la punizione.» «Lei sta parlando di dittatura: Tutankamon, Giulio Cesare, Napoleone, Hitler, Saddam Hussein...» «Esistono anche forme piu morbide di dittatura.» Palstein sorrise. «S, l’antica Roma, per esempio. I romani si consideravano gli uomini piu liberi del mondo. Io sto parlando di una cosa completamente diversa, Loreena. Parlo della presa del potere di regnanti i cui Stati non sono segnati su nessuna carta geografica. Il fatto che i gruppi petroliferi rischino di perdere la battaglia non significa che il loro influsso sulla sfera politica sia diminuito, al contrario. Sono soltanto cambiati gli equilibri. Nel grande magazzino della Terra hanno guadagnato importanza altri direttori di reparto, e in questo senso lei ha perfettamente ragione: l’Orley e non piu l’EMCO. Ma l’EMCO agiva per interessi americani, perché i nostri uomini facevano parte del governo, mentre Julian Orley non ne vuole sapere e cio lo rende imprevedibile. Ecco di cos’hanno paura i governi... E adesso, tenendo a mente la cronaca della disfatta dello Stato, si ponga una domanda: una simile forma di potere e davvero cos malvagia?» Loreena inclino la testa. «Come, scusi? Non sta dicendo sul serio, vero?» «Non sto cercando di venderle qualcosa. Voglio solo che lei consideri la situazione come un’equazione matematica, analizzando ciascuna delle sue variabili, senza pregiudizi e senza simpatie. È in grado di farlo?» Loreena rifletté. Palstein l’aveva coinvolta in una discussione davvero strana. Era arrivata fin l per intervistarlo e studiarlo, pero ora la situazione si era capovolta. «Credo di s», disse infine. «E allora?» «Non esiste uno Stato ideale. Ma ci si puo andare vicino. Molti hanno lottato duramente per crearlo. Con l’abolizione della schiavitu, l’ideale del cittadino libero si e affermato a tutti i livelli della societa. Come cittadini di uno Stato democratico, si e soggetti alla legge, ma in fondo si e liberi. Giusto?» «D’accord.» «Come membro di una comunita di multinazionali, invece, si e una proprieta. Questa e la trasformazione in atto.» «Giusto anche questo.» «Cercare di uscirne mi sembra tanto difficile quanto lo sarebbe annullare le leggi della natura. La liberta dell’individuo ormai non e altro che un’idea. Abitiamo su una sfera. Le sfere

sono sistemi chiusi, quindi non c’e possibilita di fuggire, e la sfera e suddivisa in spicchi. E, proprio mentre noi stiamo qui, su questo lago, a discutere di simili cose, qualcuno sta suddividendo in spicchi la prossima sfera, la Luna. Gli spazi non commerciali sono esauriti.» «Vero.» «Mi dispiace, Gerald, cerco di essere obiettiva... pero mi battero contro questo stato di cose, sino alla fine!» «È un suo diritto. La capisco, ma le chiedo comunque di riflettere. Si puo odiare il pensiero di essere una proprieta. O si puo venire a patti con una simile idea.» Palstein passo la mano su una gomena e sorrise. D’un tratto appariva molto rilassato, come un Buddha dormiente. «E forse quest’ultima e la scelta migliore.» GAIA HOTEL, VALLIS ALPINA, LUNA Il Sole perdeva massa. Ogni minuto, il suo mantello perdeva sessanta milioni di tonnellate di sostanza: protoni, elettroni, atomi di elio e alcuni elementi in tracce, gli ingredienti della misteriosa ricetta della nebbia primordiale che, a detta degli scienziati, aveva dato forma ai corpi celesti del Sistema Solare. Il vento solare si propagava ininterrottamente nello spazio, deviando le code delle comete, infuocando la luce polare nel firmamento terrestre, ripulendo gli spazi interplanetari dai gas, spingendosi fino alla Nube di Oort, ben oltre l’orbita di Plutone. A tale miscuglio di elementi chimici si aggiungeva la radiazione cosmica di fondo, debole ma sempre presente, un fiume di storie su supernove, stelle di neutroni, buchi neri e sui primi attimi di vita dell’universo. La Luna era esposta senza protezione a tali influssi sin da quand’era stata generata dall’unione tra la Terra e un piccolo pianeta chiamato Theia. Il respiro del Sole accarezzava senza sosta la sua superficie. Nessun campo magnetico deviava il flusso di particelle ad alta energia e, anche se penetravano nella crosta solo per pochi micron, la polvere lunare ne era totalmente impregnata, plasmata e riplasmata da quattro miliardi e mezzo di anni di bombardamento meteoritico, il quale aveva rivoltato il suolo a piu riprese, portando in superficie gli strati di roccia piu profondi. Da quand’era nato, il satellite aveva ingoiato una tale quantita di plasma solare da indurre l’umanita sempre affamata di materie prime a invaderlo con navicelle spaziali e trivelle per strappargli la sua eredita. A volte, sul Sole, si scatenavano delle tempeste. Quando accadeva, la superficie si ricopriva di macchie, enormi bolle di plasma emergevano dagli oceani, e la stella scagliava nello spazio un’immensa quantita di radiazioni; il vento solare si trasformava in un uragano che sfrecciava per il Sistema Solare a una velocita doppia del normale. Durante quelle tempeste, per gli astronauti era consigliabile restare all’interno delle basi, dotate di schermi protettivi e, se possibile, non trovarsi in viaggio a

bordo di una nave spaziale. Ogni particella ionizzata che colpiva una cellula umana poteva danneggiare il DNA in modo irreparabile. Gli uragani solari si verificavano ogni undici anni, con frustrante regolarita, e nel 2024 avevano addirittura paralizzato temporaneamente il traffico degli shuttle e costretto gli abitanti delle basi lunari a rifugiarsi sottoterra. Nemmeno le macchine amavano le tempeste di particelle, perché danneggiavano la loro superficie esterna, cancellavano i dati memorizzati sui microchip, causavano malfunzionamenti e mettevano in moto sgradevoli reazioni a catena. Tutti erano d’accordo: le tempeste solari rappresentavano il rischio piu grande per l’astronautica. Il 26 maggio 2025, il respiro del Sole era tranquillo e regolare. Come di consueto, si propagava nell’eliosfera, raggiungeva Mercurio, si mescolava con l’anidride carbonica venusiana e marziana e con l’aria terrestre, penetrava nell’involucro di gas che circonda Giove, Saturno, Urano e Nettuno, si depositava sulle superfici dei rispettivi satelliti e ovviamente colpiva anche la Luna, ogni singola particella a quattrocento chilometri orari. Le particelle si mescolavano con la regolite, si legavano alla polvere grigia, si distribuivano sulle pianure e nelle depressioni dei crateri, e alcuni miliardi di esse entravano in collisione con una donna di dimensioni colossali ai margini della Vallis Alpina nel Nord lunare, protetta da una massiccia corazza in calcestruzzo lunare. Indifferente alla grandine cosmica, il Gaia Hotel sedeva sulla sua sporgenza rocciosa col volto inespressivo rivolto verso la Terra. La donna di Julian sulla Luna... ... l’incubo di Lynn. Il transatlantico spiaggiato sui pendii vulcanici dell’Isla de las Estrellas e l’OSS Grand in orbita erano un parto della sua fantasia. Il Gaia invece era un’idea di Julian, che aveva visto in sogno sua figlia seduta sulla Luna, una creatura di luce sullo sfondo del broccato nero e tempestato di stelle del cosmo. Come al solito, aveva idealizzato la figlia, elevandola a metafora di un’umanita evoluta e purificata. Allora le aveva telefonato prima ancora di alzarsi dal letto, raccontandole la sua visione. E naturalmente Lynn aveva accolto l’idea di un albergo di forma antropomorfa con entusiasmo, si era complimentata col padre e gli aveva promesso che si sarebbe messa subito al lavoro per buttare giu i primi schizzi. In realta, non dormiva da una settimana, aveva portato i suoi disturbi alimentari a un nuovo livello - fino al rifiuto totale del cibo - e aveva iniziato a inghiottire pastigliette verdi per dominare la paura del fallimento. In qualche modo, pero, era comunque riuscita a piazzare quel colosso sul ciglio della Vallis Alpina, una gigantessa che portava il nome della mitica Madre Terra dell’antica Grecia. Gaia.

E le era riuscita bene. La frenesia della realizzazione di quel progetto aveva fatto evaporare anche l’ultima goccia di energia di Lynn, ma il risultato era un capolavoro. Se non altro, tutti pensavano che lo fosse. Lynn non ne era cos sicura. Secondo la logica di Julian, Gaia avrebbe dovuto essere un toccasana per lei: le aveva affidato quel compito come una misura terapeutica contro la terribile malattia dalla quale la figlia era appena uscita, una malattia che, per Julian, era plausibile come l’eventualita che Lynn venisse rapita dagli alieni e portata su un altro pianeta. Come sempre, infatti, Julian si era convinto che la causa della sua sofferenza fosse una mancanza di stimoli, una routine opprimente, che ispessiva il suo sangue altrimenti fluido e vitale. Per anni, Lynn aveva guidato l’Orley Travel, l’azienda turistica del gruppo, in modo esemplare. Forse ora anelava a qualcosa di piu eccitante, a qualcosa di nuovo. Forse era sprecata in quel ruolo. Amministrava il mondo intero, ma il mondo era abbastanza, per lei? Voli suborbitali privati, gite a pagamento sull’OSS, viaggi verso gli hotel piu piccoli sparsi nell’orbita... Tutto cio, alla fine del secondo decennio del nuovo millennio, era ancora nelle mani dell’Orley Space, ma in senso stretto si trattava comunque di turismo. Percio Julian aveva deciso di non affidare la piu grande avventura dell’intera storia del settore alberghiero all’Orley Space, bens alla figlia. La realizzazione di quel progetto titanico era stata semplificata dal fatto che, sulla Luna, tutto pesava sei volte di meno che sulla Terra. La difficolta maggiore era ovviamente stata la totale mancanza di esperienza nella costruzione di edifici a piu piani sulla Luna. Ampie parti della base lunare americana si trovavano sottoterra; il resto era basso e piatto. La Cina aveva rinunciato a una base fissa, dotando i suoi astronauti di veicoli modulari, simili a serbatoi, che si spostavano, seguendo le macchine utensili nei vari punti di estrazione. Al Polo Sud lunare, lungo i bordi del bacino Aitken, una piccola stazione tedesca divideva un posticino con la sua equivalente francese, entrambe concepite per ospitare due persone; nell’Oceanus Procellarum, invece, un vivace robot, operoso e automatizzato, esplorava il suolo alla ricerca del terreno ideale per la costruzione di una base russa che non sarebbe mai stata realizzata. Il Mare della Serenita ospitava un robot indiano; il Giappone era proprietario di un’infrastruttura desolatamente vuota proprio dietro l’angolo. Oltre a cio, la Luna non aveva altro da offrire dal punto di vista edilizio. Tuttavia la ferrovia sopraelevata dimostrava che le costruzioni alte e sottili potevano vantare una certa stabilita nel campo gravitazionale lunare, mentre sulla Terra sarebbero crollate sotto il proprio peso. E il Gaia doveva essere alto. Non un bed and breakfast, bens un monumento alla gloria imperitura dell’umanita... e, ovviamente, una struttura in grado di ospitare duecento dei suoi rappresentanti piu facoltosi. Lynn aveva radunato esperti di design e di statica e aveva dato inizio alla progettazione nel piu stretto riserbo. Quasi subito era emerso il fatto che una figura in piedi sarebbe stata

troppo alta. In alternativa, Gaia era stata disegnata seduta, cosa che aveva suscitato l’approvazione di Julian, il quale si era immaginato il suo hotel proprio cos. Dato che era fuori discussione riprodurre il corpo umano nei dettagli, la squadra di progettisti aveva fuso le gambe della donna in un insieme massiccio, come se indossasse una lunga gonna aderente che terminava in una punta affusolata. Il sedere e le cosce formavano la parte orizzontale dell’edificio che, oltre le ginocchia, si piegava ad angolo retto, gettandosi nella gola senza toccare la roccia retrostante. Quel dettaglio audace era stato piu che sufficiente per spingere Lynn a cercare la compagnia della tazza del water, per vomitare quel poco che riusciva a ingurgitare prima ancora di averlo digerito. E il suo consumo di pastiglie aumentava in maniera proporzionale. Ma Julian era entusiasta e gli esperti sostenevano che era fattibile. Naturalmente «fattibile» era la parola preferita di Julian. La progettazione degli attributi femminili era proseguita col tronco, che in fondo era soltanto un grattacielo con pareti curve anziché lisce. Erano stati disegnati la vita e l’accenno di un seno, quest’ultimo oggetto di accese discussioni. I progettisti uomini lo disegnavano sempre troppo grande. Lynn aveva protestato, dichiarando di non aver intenzione d’impazzire con la statica di un paio di tette da pornostar solo per ottenere un paio di posti letto in piu e pensando - non per la prima volta - che l’idea di mettere una donna sulla Luna fosse terribilmente ottusa. Julian aveva obiettato che, senza seno, quella figura avrebbe ricordato un maschio, e che i tempi fossero ormai maturi perché una donna rappresentasse l’umanita. Un architetto aveva persino insinuato che Lynn fosse una moralista. Seccata, lei aveva dichiarato che non era né allergica al piacere né poco incline a goderne, ma cosa doveva rappresentare Gaia, secondo loro? Un monumento alle tette? La volonta di espansione del seno femminile? Allora facciamolo bombato, aveva detto Julian. Meglio se al limite del fanciullesco, era stata la replica di Lynn. Ma non androgino, aveva protestato il responsabile delle facciate. Pero non sporgente, aveva insistito Lynn. Allora facciamolo delicatamente bombato, era stata la proposta di Julian. A tutti era sembrata la soluzione migliore, ma cosa voleva dire «delicatamente »? Senza dire una parola, una stagista si era seduta davanti al computer e aveva disegnato una curva. Era piaciuta a tutti: fanciullesca senza essere androgina. Il problema era stato risolto. Poi avevano preso forma le spalle - femminili senza essere troppo magre - che confluivano in due torri leggermente arcuate, le quali poggiavano su due palmi appoggiati al suolo. Dal tronco usciva un collo sottile e, sopra di esso, era stata disegnata una testa dalle proporzioni perfette, senza capelli e senza volto: l’elegante profilo di un cranio un po’ sollevato, in modo che Gaia volgesse lo sguardo verso la Terra. A mano a mano che prendeva forma sul monitor, quel mostro provocava crampi di stomaco e faceva sudare profusamente Lynn, che tuttavia aveva accettato anche la sfida seguente: usare piu vetro possibile, pur sal-

vaguardando la protezione contro le radiazioni. Il «viso» di Gaia - aveva annunciato - doveva essere trasparente, perché nella testa bisognava sistemare i ristoranti e i bar. La nuca, invece, sarebbe stata il regno dei cuochi, realizzata con una massiccia corazza di cemento. Di vetro sarebbero state pure la laringe e la curvatura dei seni, dove avrebbero trovato posto le suite. Il pezzo forte, pero, era un’enorme finestra gotica all’altezza dell’addome: quattro piani con la reception, il casino, i campi da tennis e la sauna. Per non parlare del vetro negli stinchi e sul lato esterno delle braccia. D’un tratto, Julian aveva esclamato che quella vetrata gigantesca gli rievocava sgradevoli ricordi d’infanzia, quando lo costringevano ad andare in chiesa. Allora Lynn aveva semplicemente sostituito l’arco a sesto acuto con un arco a tutto sesto e la finestra era rimasta al suo posto. Il resto - la parte posteriore, le spalle, il collo, la parte interna delle braccia, la gabbia toracica, le cosce - sarebbe stato rivestito con corazze di calcestruzzo di regolite, rinforzato da pannelli di vetro con uno strato di acqua in mezzo, per assorbire le particelle e ridurre la dispersione di calore. Col consenso degli americani, il calcestruzzo sarebbe stato ottenuto negli impianti di produzione gia esistenti al Polo Nord lunare, mediante il semplice surriscaldamento, cioe senza aggiunta di acqua e poi colato nelle forme necessarie in un impianto di montaggio automatizzato. Il calcestruzzo lunare era ritenuto dieci volte piu robusto di quello comune, resistente all’erosione, alla radiazione cosmica e ai micrometeoriti; inoltre era poco costoso. Lo scheletro di Gaia aveva preso forma: un poderoso pilone portante centrale formava la spina dorsale e, attraverso di esso, passavano tutti i cavi e i condotti necessari nonché tre ascensori ad alta velocita; da l si dipartivano costole d’acciaio, che avrebbero sostenuto il rivestimento esterno e i pavimenti dei diversi piani, e ancoraggi che penetravano nella roccia sottostante. All’inizio, le controventature erano state considerate inutili finché qualcuno non si era accorto che la struttura sarebbe stata esposta a sollecitazioni di gran lunga maggiori di quanto originariamente ipotizzato, poiché il vuoto circostante non avrebbe opposto resistenza all’atmosfera artificiale all’interno. Diversi elementi erano quindi stati rivisti, tutti i parametri ricalcolati e, alla fine, gli esperti avevano dichiarato risolto il problema. In seguito a quell’episodio, il bagaglio di fantasie di distruzione di Lynn si amplio, includendo un hotel che esplodeva all’improvviso. Invece Gaia era l e risplendeva. Illuminata dall’interno ed esposta all’esterno alla morbida luce bianca di potenti fari che facevano risaltare il suo immacolato rivestimento bianco come la neve. Dopo anni di lavoro, Lynn ce l’aveva fatta. Aveva creato la donna dei sogni di Julian. Alcune stanze piu economiche erano ancora prive di acqua corrente e del sistema di smaltimento rifiuti; nella cappella multiconfessionale, che aveva trovato posto all’altezza delle

ginocchia di Gaia, mancavano ancora i sistemi di sopravvivenza ridondanti, cosa necessaria per soddisfare appieno gli standard di sicurezza; il porto spaziale non c’era, ma forse lo avrebbero costruito in seguito, per consentire il collegamento diretto tra Gaia e l’OSS. D’altro canto, il Lunar Express batteva qualsiasi volo diretto, quanto a divertimento. E una pista di atterraggio per il traffico interlunare esisteva gia. Andava tutto bene. Ma non nella testa di Lynn. Nei suoi incubi, Gaia era collassata su se stessa tante di quelle volte che ormai lei viveva nell’attesa della catastrofe. Tutte le perizie che ingombravano il suo interno erano concordi nel sostenere che non sarebbe mai accaduto, pero lei non riusciva a crederci. Il pensiero di essersi lasciata sfuggire qualcosa l’aveva portata quasi alla pazzia, e la pazzia era distruttiva. Nessuno di voi e al sicuro, penso mentre presentava la donna... «... che, insieme coi suoi collaboratori, si occupera della vostra sicurezza e del vostro benessere ventiquattr’ore su ventiquattro. Cari amici, ho l’onore di presentarvi la direttrice dell’albergo o, meglio, la manager responsabile del Gaia Hotel: Dana Lawrence.» Il Lunar Express aveva raggiunto la stazione in perfetto orario. Per un po’ avevano costeggiato il bordo della gola, il che aveva consentito agli ospiti di godere di una vista spettacolare sulla costruzione di fronte, poi avevano attraversato la sua propaggine piu esterna e si erano avvicinati al Gaia Hotel descrivendo un’ampia curva. A poca distanza dall’albergo c’era una salita, una circostanza che aveva indotto i progettisti a non posare i binari in superficie, ma a scavare un tunnel per raggiungere la stazione, che di conseguenza era sotterranea. I binari terminavano trecento metri prima di un padiglione spoglio. Stavolta non ci fu bisogno di attraversare il vuoto. Alcune passerelle li condussero in un ampio corridoio pressurizzato, provvisto di tappeti mobili, che conducevano nei sotterranei dell’hotel e agli ascensori, a bordo dei quali raggiunsero la hall, piena di divani e di scrivanie eleganti. Negli acquari integrati nelle pareti nuotavano piccoli pesci. Alcune piante ornamentali di un verde primaverile affiancavano un avveniristico bancone della reception, sopra il quale fluttuava un Sistema Solare olografico, con piccoli pianeti che volteggiavano intorno a un luminoso corpo celeste centrale, sulla cui superficie si formavano delle protuberanze. Alzando lo sguardo, si aveva l’impressione che l’ambiente si trasformasse in un caleidoscopio di passerelle di vetro. La reception si trovava nell’addome di vetro di Gaia, dove faceva bella mostra di sé la gigantesca finestra con l’arco a tutto sesto, e cio le conferiva un’aria da cattedrale. Dalla vetrata, si poteva osservare la soleggiata pianura al di la della gola e i piloni della sopraelevata che si perdevano in lontananza. Nel cielo, brillava la familiare sagoma della Terra. Dana Lawrence accenno un saluto. Aveva occhi grigioverdi, attenti e indagatori, e i capelli color rame lunghi fino alle spalle incorniciavano un viso ovale. Gli zigomi alti e le sopracciglia arcuate le conferivano una fred-

dezza inglese, dandole un’aria da donna irraggiungibile, che nemmeno la curva sinuosa delle labbra aveva il potere di smorzare. Se sorrideva, quell’impressione era destinata a dissolversi, ma purtroppo Dana era piuttosto parsimoniosa nel dispensare sorrisi. Sapeva benissimo qual era il suo ruolo, che doveva essere caratterizzato da competenza e serieta, valori cui le persone che volavano sulla Luna attribuivano grande importanza. Fece un passo in avanti. «Grazie, Lynn. Spero che il viaggio sia stato di vostro gradimento. Come forse saprete, in futuro questo albergo accogliera duecento ospiti e cento dipendenti. Dato che questa settimana avrete l’hotel tutto per voi, ci siamo presi la liberta di ridurre un po’ il personale, ma non vi faremo mancare nulla. I nostri collaboratori hanno una grande esperienza nell’esaudire i desideri ancora prima che vengano formulati. Sophie Thiel...» Si giro verso un gruppetto di giovani sorridenti, tutti vestiti coi colori del gruppo Orley. Si fece avanti una donna giovanile piena di lentiggini. «... e il mio braccio destro: si occupa della gestione dell’albergo e del funzionamento dei sistemi di sopravvivenza. Ashwini Anand...» - una donna graziosa di origine indiana e con lo sguardo fiero annuì «... e responsabile del servizio in camera e, insieme con Sophie, si occupa di tecnologia e logistica. Gli astronauti del passato hanno dovuto sopportare molte cose, specialmente sotto il profilo culinario. La strada dal cibo liofilizzato alla cucina stellare e stata lunga, ma in compenso ora potete scegliere tra i due ottimi ristoranti del nostro chef Axel Kokoschka.» Un uomo tarchiato, completamente calvo, con una faccia da bambino e l’aria timida alzo la mano destra, spostando il peso da una gamba all’altra. «Kokoschka e coadiuvato dal nostro sous chef Michio Funaki, il quale, tra l’altro, vi mostrera come si prepara un sushi appena pescato sulla Luna.» Funaki, magro e coi capelli rasati, accenno un inchino. «Tutti e quattro hanno servito negli alberghi e nelle cucine migliori del mondo, inoltre hanno alle spalle due anni di formazione presso l’Orley Space Center; pertanto sono tutti ottimi astronauti e conoscono alla perfezione i sistemi di Gaia e i mezzi di trasporto locali. In futuro, Sophie, Ashwini, Axel e Michio lavoreranno nel livello centrale del management di Gaia, ma per i prossimi giorni saranno a vostra completa disposizione. Lo stesso vale per me. Non esitate a interpellarmi per qualsiasi cosa. Per noi e un onore avervi come ospiti. Ne siamo molto felici.» Un sorriso, a dosaggio omeopatico. «Se per il momento non ci sono domande, vi mostro l’hotel. Tra un’ora, alle 20.30, serviremo la cena nel Selene.» Sotto la hall c’erano un casino, una sala da ballo completa di palco per le esibizioni, un cocktail-bar e tavoli da gioco. Al piano inferiore iniziava il basso ventre di Gaia e lo spazio si allargava all’altezza delle anche: con grande sorpresa degli ospiti, quel livello ospitava due campi da tennis.

«Fuori ce ne sono altri due. Per gli irriducibili. Giocare a tennis con le tute spaziali non e difficile; l’unico problema sono le palline. Sulla Luna possono volare per parecchie centinaia di metri, percio abbiamo recintato i campi», spiego Dana Lawrence. «E il golf?» chiese Edwards. «Golf sulla Luna?» ridacchio Mimi. «In questo caso, le palline te le puoi proprio scordare.» «Invece e possibile. Abbiamo provato via LPCS. Funziona», intervenne Lynn. «Via LP... cosa?» «LPCS e l’acronimo di Lunar Positioning and Communication System. Intorno alla Luna, orbitano dieci satelliti per consentirci di comunicare e di non ’perderci’. Il campo da golf, Shepard’s Green, si trova dall’altra parte della gola. Noi lo chiamiamo anche ’il campo delle lunghe passeggiate’.» «A chi e intitolato?» chiese Karla. «Al caro, vecchio Alan Shepard», sorrise Julian. «Un autentico pioniere. Atterro con l’Apollo 14 sull’altopiano a sud di Copernico. Quel buontempone aveva davvero portato con sé un paio di palline da golf e una mazza da sei. Ha colpito la pallina e poi ha esclamato: ’Eccola che vola per miglia e miglia e miglia... ’» «Io di sicuro non giochero a golf qui», disse Aileen Donoghue con decisione. «Non e come sembra. Lui non e mai andato a cercare le palline, ma non possono essere andate piu lontano di due-quattrocento metri. Il golf sulla Luna e divertente. Il segreto e non colpire la pallina troppo forte.» «Ma non affondano nella polvere?» «Sono troppo leggere», intervenne Dana Lawrence. «Provateci. Inoltre abbiamo anche un campo pratica olografico qui in albergo. Volete vedere l’area fitness?» Sotto i campi da tennis si estendeva la zona dedicata alla sauna, ma l’elemento piu spettacolare era la piscina; collocata nelle natiche di Gaia, le occupava quasi per intero. Le pareti e i soffitti simulavano il cielo stellato, una Terra olografica illuminava l’ambiente con una luce soffusa, mentre il pavimento e il resto dell’ambiente imitavano l’aspetto della regolite lunare, con catene montuose frastagliate all’orizzonte. Un doppio cratere formava il bacino della piscina, grande come un lago e circondata da lettini. L’illusione di fare il bagno sul suolo lunare era pressoché perfetta. Heidrun si volto verso O’Keefe e sorrise. «Allora, grande eroe? Che ne dici di una gara di nuoto?» «Quando vuoi.» «Attento. Lo sai che sono piu forte di te.» «Stiamo a vedere cosa succede con la forza di gravita ridotta. Magari riesco anche a seminarvi», intervenne gi.

«Dobbiamo assolutamente organizzare una gara di nuoto», dichiaro Miranda. «Io adoro stare nell’acqua!» «Capisco. Tick e Trick sono uccellini acquatici», commento O’Keefe, abbassando lo sguardo. In seguito, visitarono il piano che ospitava le sale riunioni, la cappella multiconfessionale, un centro di meditazione e una tranquillizzante infermeria, lustra come uno specchio. Poi risalirono fino alla gabbia toracica di Gaia. Il gruppo era alloggiato tra il quattordicesimo e il sedicesimo piano, nella bombatura del seno. La reception si trovava quasi cinquanta metri piu in basso. Gli ascensori erano collegati alle suite da passerelle di vetro. Altre passerelle percorrevano i piani inferiori, incrociandosi, come se la disposizione fosse casuale. Nessuna di esse era provvista di ringhiera. «Qualcuno soffre di vertigini?» chiese Dana Lawrence. Sushma Nair alzo timidamente una mano. Alcuni altri apparivano disorientati. Stavolta Dana regalo loro un sorriso un po’ piu caloroso. «Dovete sapere che, se saltate da un muro alto due metri sulla Terra, raggiungete il suolo dopo 0,6 secondi. In questo lasso di tempo, il vostro corpo accelera fino a raggiungere una velocita di circa ventidue chilometri orari. Sulla Luna, lo stesso salto dura tre volte tanto, ma la velocita finale e piu che dimezzata. Questo significa che dovreste saltare da un’altezza di dodici metri per ottenere l’effetto di un salto terrestre di due metri. In altre parole, sulla Luna potete saltare senza problemi dal quarto piano di un palazzo. Percio, quando volete scendere, non prendete sempre l’ascensore; saltate invece da una passerella all’altra. Sono distanziate di quattro metri, un’inezia. Qualcuno vuole provare?» «Io», disse Carl Hanna. Lei lo squadro. Alto, muscoloso, movimenti controllati. «I piu abili saltano anche verso l’alto», aggiunse in tono eloquente. Hanna sorrise e si porto sulla passerella piu vicina. «Se ha mentito, buttatela giu, okay?» disse rivolto agli altri. Donoghue rise. Hanna si diede una spinta, si lancio nel vuoto e atterro quattro metri piu in basso. «È come saltare da un marciapiede », grido verso l’alto. Fu subito imitato da O’Keefe e da Heidrun. «Santo cielo, santo cielo!» esclamo Aileen, guardando i suoi compagni di viaggio e dispensando un «Santo cielo!» a ognuno di loro. «Avanti, gente. Fateci vedere di cosa siete capaci. Tornate su!» li stuzzico Chucky. «Fateci spazio», grido Hanna, agitando la mano. Fecero tutti un passo indietro. Lui fisso il bordo. Sollevando le braccia sopra la testa, misurava quasi due metri e cinquanta, quindi gli restava da superare ancora un metro e mezzo.

«Quanto sei alto?» chiese O’Keefe. «Uno e novanta.» L’irlandese si gratto il mento. «Hmm. Io sono uno e settantacinque. » «Potrebbe non bastare. Heidrun?» «Uno e settantotto. Ma chi se ne importa? Chi non ce la fa offre da bere.» «Te lo puoi scordare. Qui e tutto gratis», ribatté O’Keefe. «Allora sulla Terra. Ehi, a Zurigo. Va bene? Un giro di spezzatino al Kronenhalle.» «S, ma per tutti!» esclamo Julian. «Va bene, saltiamo insieme», decise Hanna. «Spostatevi un po’, cos non ci urtiamo a vicenda... Voi lassu, indietro. Pronti?» «S, capo. Pronta!» Heidrun rise. «Pronti... via!» Hanna si diede una poderosa spinta. Fu incredibilmente facile. Fluttuo verso il bordo della passerella superiore con la rilassatezza di un supereroe, la afferro, si diede un nuovo slancio e atterro in piedi. Accanto a lui svolazzava Heidrun, alla ricerca di un equilibrio. Le mani di O’Keefe minacciavano di perdere contatto col bordo della passerella, poi anche lui riusc a salire con una certa eleganza. «Mi dispiace. Niente da fare per il Kronenhalle», disse. «Siete comunque tutti invitati», esclamo gi, come se volesse abbracciare il mondo intero. «Mai prima d’ora una svizzera aveva compiuto un salto di quattro metri da ferma. Ci rivediamo a Zurigo!» «Ottimista», disse Lynn cos sottovoce che solo Dana Lawrence ud il suo commento. La direttrice dell’albergo rimase interdetta. Si comporto come se non avesse udito quell’osservazione che nascondeva una sfumatura subdola. Cosa stava succedendo alla figlia di Orley? «Tenete a mente che la massa muscolare del vostro corpo si riduce anche in condizioni di gravita ridotta», disse agli ospiti. «Gaia dispone di due ascensori per gli ospiti, E1 ed E2, e di un ascensore riservato al personale, tuttavia vi consigliamo di fare esercizio e di utilizzare la scorciatoia delle passerelle ogni volta che potete. Ma adesso parliamo di comfort. Andiamo nelle vostre stanze.» Hanna si fece spiegare i segreti della sua suite da Sophie Thiel. I sistemi di sopravvivenza della stanza non differivano in nulla da quelli della stazione spaziale. «La temperatura e impostata su 20 oC, ma e regolabile», disse Sophie con un sorriso panoramico, indicando un piccolo pulsante accanto alla porta e avvicinandosi a Hanna in modo quasi spudorato. «La sua suite dispone di un proprio sistema di gestione dell’acqua, acqua meravigliosamente sterile...»

«Non dovrebbe spiegarlo alla gente in questo modo», disse Hanna, guardandosi intorno. Non c’erano dubbi: a Mrs Thiel piacevano i muscoli. «Detta cos, sembra che voglia avvelenare qualcuno.» «Va bene, allora diciamo semplicemente che e acqua fresca.» Sophie rise e lui la fisso. Le palpebre abbassate non permettevano d’indovinare il colore degli occhi; in compenso, quella donna sembrava possedere sessantaquattro denti bianchissimi e una scorta inesauribile di buonumore. Non era affatto bella, eppure emanava uno strano fascino. Era una specie di Pippi Calzelunghe un po’ cresciuta. Una domenica pomeriggio, in un albergo tedesco, mentre aspettava da ore qualcuno che invece ormai galleggiava nel Reno, morto stecchito, Hanna era incappato in quel film e non era riuscito a cambiare canale. Un film vecchio e infantile, ma l’infanzia che vi veniva descritta era cos diversa dalla sua da sembrargli un’opera di fantascienza. Non aveva mai visto un film per bambini, almeno non uno come quello. Da allora, non ne aveva visti altri. Sophie gli mostro la regolazione delle luci, poi apr un minibar e gli spiego quali numeri selezionare se aveva bisogno di qualcosa. Il suo sguardo diceva: «In altre circostanze... Ho lavorato nei migliori alberghi del mondo... Mai con gli ospiti...» Non la si poteva certo considerare invadente. Era professionale e gentile, solo che era un libro aperto. Ma Hanna non era l per divertirsi. «Se ha bisogno di altro...» «Al momento no, grazie.» «Ah, quasi dimenticavo. Nell’armadio, in basso, trova le pantofole lunari.» Fece una smorfia. «Non ci e ancora venuto in mente un nome migliore. Le suole sono di piombo, nel caso desiderasse sentirsi piu pesante.» «Perché dovrei?» «Alcune persone preferiscono muoversi sulla Luna come se fossero sulla Terra.» «Ah, capisco. Molto lungimirante.» Lo sguardo di Sophie diceva: «A meno che non ci metti tutto il tuo impegno...» «Allora... alle otto e mezzo al Selene.» «S. Grazie ancora.» Attese che la donna uscisse. La suite aveva il medesimo stile essenziale della hall. Lui non s’intendeva molto di design, anzi non se ne intendeva per niente, ma l avevano lavorato dei veri esperti, era chiaro anche a un occhio non allenato. Senza contare che, per essere convincente nel suo ruolo, aveva dovuto imparare almeno qualcosa in fatto di stile. Inoltre gli spazi essenziali e ariosi gli piacevano. Per quanto amasse l’India, il chiassoso, confusionario stile indiano lo aveva sempre infastidito.

Il suo sguardo si poso sulla finestra, che occupava un’intera parete. Non avrebbero potuto trovare un posto migliore per l’hotel, penso. La piattaforma sotto Gaia, raggiungibile con gli ascensori, coi suoi campi da tennis deserti, si estendeva per parecchi metri sopra la gola. Sicuramente da l si godeva una vista spettacolare della struttura illuminata dell’hotel. Sulla sinistra, dove le pareti rocciose si avvicinavano e la gola finiva, un sentiero dall’aspetto naturale descriveva un’ampia curva conducendo sull’altro lato. Cosa aveva detto Julian Orley? Il campo da golf si trovava al di la dei binari del Lunar Express. Un campo da golf sulla Luna. D’un tratto, Hanna avvert tutto il disagio che derivava dal fatto di non essere la persona che tutti credevano che lui fosse. Scaccio quella sensazione prima che diventasse opprimente, apr la valigia color argento, tiro fuori il computer - un apparecchio touchscreen di tipo tradizionale grande come una tavoletta di cioccolato - e il beauty-case, da cui estrasse il tagliacapelli elettrico. Con gesti esperti, lo apr e ne estrasse una minuscola scheda elettronica, che inser nel computer. Fischiettando una melodia stonata, avvio la macchina e attese che il programma si aprisse e si collegasse all’LPCS. Pochi secondi dopo, vide che aveva ricevuto un messaggio. Apr la sua casella di posta elettronica. Il messaggio era di un suo amico, che lo sollecitava a non dimenticare il matrimonio di Dexter e Stacey. Indifferente alle nozze di una coppia inesistente, dal file allegato alla missiva estrasse un testo di poche righe, che conteneva indirizzi di parecchie dozzine di siti, clicco su un’icona - un insieme di rettili attorcigliati che sembravano attaccati a un unico corpo - e attese. Qualcosa prese forma. In un batter d’occhio, si formarono sillabe e parole. Il vero messaggio prese forma davanti ai suoi occhi. Mentre la ricostruzione era ancora in corso, lui aveva gia capito che erano sorte alcune difficolta. Il pacco ha subito dei danni. Non risponde piu ai comandi e non e in grado di raggiungere il luogo dell’intervento in modo autonomo. Pertanto il suo piano d’azione e cambiato. Dovra ripararlo, oppure portare il contenuto sul posto. Se le circostanze lo consentono, puo procedere con l’implementazione. Agisca tempestivamente. Hanna fisso il monitor. Le conseguenze presero forma all’istante, come ospiti sgraditi giunti all’improvviso. «Tempestivamente »: agire subito e senza dare nell’occhio. Cio significava uscire e rientrare piu tardi, mentre tutti dormivano. Doveva tornare alla base Peary. CONVERSAZIONI A TAVOLA

Dalla sera della loro amorosa danza orbitale, Tim non aveva piu importunato Amber con le sue speculazioni sullo stato mentale di Lynn. Si ripeteva che quel silenzio era una forma di rispetto nei confronti della moglie, determinata a godersi la vacanza; in verita, altri dilemmi avevano occupato i suoi pensieri. All’inizio, l’idea del viaggio lo aveva irritato, sia per le circostanze che lo avevano favorito sia per la profonda impronta di Julian in tutta la faccenda. Adesso, invece, si stava divertendo, anche se con un retrogusto amaro; gli pareva di essere un traditore, di essere stato corrotto da un biglietto di viaggio. Cercava di convincersi che quegli inattesi slanci di simpatia per il vecchio pifferaio magico avevano origine dall’eccezionalita dell’esperienza che stava vivendo. Eppure si era ripromesso di disprezzare Julian, il megalomane che, nella sua marcia trionfale verso il futuro, calpestava ogni cosa, trascurava i suoi cari o li trasformava in feticci, rivelandosi incapace di cogliere il loro bisogno di un minimo di normalita... Era stato cos meravigliosamente semplice odiarlo. Ma il Julian che lui aveva conosciuto negli spazi angusti della navicella spaziale non era ignorante né egocentrico, almeno non abbastanza per giustificare il pessimo giudizio che Tim aveva di lui. Anzi riportava in superficie ricordi infantili soffusi di ammirazione. Ricordi della madre, Crystal, che, prima di perdere la ragione, aveva spesso affermato che Julian era un uomo gentile e amorevole, paragonandolo a un raggio di sole, portatore di gioia effimera. Un’ora prima della morte di Crystal, l’oggetto di tali lodi era fuggito nella termosfera con un aereo suborbitale di propria costruzione. Eppure sapeva benissimo che la moglie versava in condizioni critiche. Lo sapeva e lo aveva dimenticato per quel breve, decisivo istante che gli aveva consentito di battere un record, vincere un premio e inimicarsi il figlio per sempre. Lynn aveva perdonato Julian. Tim no. Si era dedicato anima e corpo alla demonizzazione del padre e persino in quel momento, mentre la pietra angolare del suo disprezzo si sgretolava, non riusciva a perdonarlo davvero. Quell’hotel non poteva essere nato unicamente dalla logica del profitto e da una spinta distruttiva all’autoaffermazione. Doveva esserci di piu: un sogno, forse, uno slancio troppo grande per essere condiviso solo coi familiari. Che gli piacesse o no, Tim cominciava a capire Julian; il suo impulso febbrile alla scoperta, la sua natura nomade, che gli consentiva di trovare strade la dove gli altri vedevano solo muri, la sua fede nel progresso e nell’innovazione, la sua passione verso la Terra, desiderata come un’amante. Insieme con quel cambiamento di rotta, poi, Tim aveva iniziato a pensare che la sua preoccupazione per la salute di Lynn fosse addirittura un pretesto - inconsapevole, certo - per attaccare Julian; forse in realta gli importava di piu accusare il padre di far soffrire Lynn che sapere se soffriva veramente. Alla fine si era convinto che in realta lei stava bene, proprio come affermava, e che lui non doveva

vergognarsi di aver adottato un atteggiamento piu conciliante. Cos, improvvisamente, durante la cena nel «naso» di Gaia, col panorama della gola davanti agli occhi, Tim ebbe voglia soltanto di divertirsi, senza lasciarsi opprimere dai fantasmi che, come cattive compagnie, lo accompagnavano ovunque. «Sembra che ti piaccia», constato Amber. Erano seduti a un lungo tavolo all’interno dell’ambiente nero, argento e blu del Selene e mangiavano barbo rosso con risotto allo zafferano. Il pesce era gustoso come se fosse stato appena pescato. «Allevamento ittico in acqua salata», spiego Axel Kokoschka, il cuoco. «Abbiamo grandi vasche nei sotterranei.» «Non e complicato ricreare quassu le condizioni di vita oceaniche? Voglio dire, non basta semplicemente versare del sale nell’acqua, vero?» volle sapere Karla Kramp. Kokoschka rifletté. «No, non e cos semplice», rispose infine. «Anche sulla Terra la salinita e differente da biotopo a biotopo, giusto? Non ci vuole una composizione speciale per ricreare un ambiente in cui i pesci possano sopravvivere? Cloruro, solfato, sodio, tracce di calcio, potassio, iodio, eccetera?» insistette Karla. «Giusto, un pesce deve sentirsi a casa.» «Sto solo cercando di capire. Non e forse vero che molti pesci sopravvivono grazie all’esposizione a correnti sottomarine, un apporto di ossigeno costante, una certa temperatura, cose del genere?» Kokoschka annu, pensieroso, si passo la mano sulla pelata con un sorriso timido, si gratto la barba incolta e disse: «Esatto ». Poi spar. Karla lo segu con lo sguardo, allibita. «Grazie per avermelo spiegato», grido nella sua direzione. «Un uomo di poche parole, eh?» sorrise Tim. Lei infilzo un pezzo di pesce e lo fece sparire tra le labbra alla Modigliani. «Se e capace di cucinare il pesce in questo modo sulla Luna, per me puo anche farsi tagliare la lingua.» I quattro piani del cranio di Gaia, completamente rivestito di vetro sul lato anteriore, ospitavano due ristoranti e due bar. Le vetrate s’inarcavano fino alle tempie, cosicché, in qualsiasi punto ci si trovasse, era possibile godere di una vista spettacolare. Selene e Chang’é, i due ristoranti, occupavano la meta inferiore; al piano superiore si trovava il Luna Bar e in cima c’era il Mama Quilla Club, dove si poteva ballare sotto le stelle. Da l, un passaggio pressurizzato conduceva al punto piu alto dell’albergo, una terrazza panoramica, alla quale si poteva accedere solo indossando le tute spaziali, e che offriva una spettacolare vista a trecentosessanta gradi. A parte il timido Kokoschka, Ashwini Anand, Michio Funaki e Sophie Thiel furono assai premurosi coi loro ospiti e Lynn ricevette i complimenti di tutti: distribu inform-

azioni, rispose a ogni domanda con brio e precisione, si dimostro di buonumore e piuttosto lusingata per quelle lodi. Per un po’, gli argomenti di conversazione spaziarono dalla Luna al Gaia Hotel e alla qualita del cibo. Poi l’attenzione si sposto su un altro tema. «Chang’é... non e un termine dell’astronautica cinese?» chiese Mukesh Nair, tagliando un filetto di capriolo trifolato e ricoperto di sottilissime fette di pane abbrustolito spalmate di foie gras. «S e no.» Rogacev sorseggio il suo Château Palmers a bassa gradazione alcolica. «Si chiamavano cos alcune sonde cinesi lanciate all’inizio del millennio per esplorare il suolo lunare. In realta si tratta di una figura mitologica.» «Chang’é, la ’donna della Luna’», annu Lynn. Nair sorrise. «Sembra che Gaia abbia la testa piena di mitologia. Selene era la dea della Luna per i greci, mentre gli antichi romani chiamavano appunto Luna quella stessa dea...» «Questo lo so persino io», si rallegro Miranda. «Luna e Sole, quello scocciatore. Gli dei dell’eternita, sapete, si alternavano di continuo senza sosta. Uno arrivava e l’altra gli lasciava il posto, come turnisti.» «Sole e Luna, due turnisti. È evidente.» Rogacev sorrise. «M’interesso di divinita e di astrologia. Le stelle ci predicono il futuro.» Miranda si sporse in avanti, facendo ombra coi seni - coperti da un luccicante nulla - ai resti di capriolo nel suo piatto. «E sapete una cosa? Volete sentire un’altra cosa?» La sua forchetta fendeva l’aria. «Alcuni eletti, ovvero quei pochi che se ne intendevano davvero nell’antica Roma, la chiamavano Luna noctiluca e, in suo onore, di notte veniva illuminato un tempio sul Palatino, uno dei colli della citta. Ci sono stata, tutta Roma e piena di colline, cioe, non e una citta in collina, e la citta a essere collinosa, ecco.» «Dovrebbe illustrarci un po’ piu spesso le meraviglie del mondo», disse Nair con gentilezza. «Cosa significa ’noctiluca’? » «’Che illumina la notte’», rispose Miranda, festosa, ricompensando se stessa con un sorso di vino rosso. «E Mama Quilla?» «Dev’essere una qualche mamma, credo... Julian, cosa vuol dire Mama Quilla?» «Be’, a un certo punto eravamo a corto di divinita lunari. Ma Lynn e riuscita a scovarne di nuove. Ningal, la consorte del dio lunare sumero Sin; l’araba Kusra, l’Iside egiziana...» spiego Julian, divertito. «Pero Mama Quilla e quella che ci e piaciuta di piu», intervenne Lynn. «Madre Luna, la dea degli inca. I discendenti di quella cultura la adorano ancora oggi come protettrice delle donne sposate...»

Olympiada Rogaceva drizzo le orecchie. «Ah, s? Credo che questo bar diventera il mio preferito.» Suo marito rimase impassibile. «È sorprendente che abbiate scelto una divinita lunare cinese », disse Nair per dissipare l’atmosfera d’imbarazzo. «E perché mai? Ha qualche pregiudizio?» chiese Julian in tono innocente. «Be’, lei e il maggiore concorrente della Cina!» «Non io, Mukesh. Gli Stati Uniti.» «S, certo. Tuttavia, al nostro tavolo, stasera vedo americani, canadesi, inglesi e irlandesi, tedeschi, svizzeri, russi e indiani. Inoltre, fino a pochi giorni fa, abbiamo avuto un compagno di viaggio francese. Ma non vedo nemmeno un cinese.» «Non si preoccupi, ci sono», rispose Julian, imperturbabile. «Se non vado errato, scavano la regolite a non piu di mille chilometri a sud-ovest da qui.» «Ma qui non ce ne sono.» «Nessun cinese investirebbe nei nostri progetti. Loro vogliono il proprio ascensore spaziale», disse Julian. «Non e quello che vogliamo tutti?» osservo Rogacev. «S, ma come ha notato lei stesso, Pechino sta gia estraendo l’elio-3, a differenza di Mosca.» «A proposito dell’ascensore spaziale.» gi ammucchiava fois gras sui pezzi di carne rosso scuro. «È vero che sono a un passo dal successo?» «I cinesi?» «Mhm.» Julian gli rivolse un sorriso eloquente. «Continuano a ribadirlo. Ma, se cos fosse, Zheng Pang Wang non sfrutterebbe ogni possibile occasione per prendere un te in mia compagnia.» Mukesh Nair si appoggio sui gomiti. «Temo che i suoi amici americani non sarebbero felici di vederla flirtare coi cinesi, soprattutto dopo la crisi lunare dell’anno scorso. Voglio dire, forse lei non e cos libero di decidere come vorrebbe far credere.» Julian arriccio le labbra. Il suo volto si oscuro, come succedeva sempre quando lui era in procinto di dichiarare la propria indipendenza da ogni forma di governo. Poi allargo le braccia con aria rassegnata. «Qual e il motivo della vostra presenza qui? Per quanto insistano sull’efficienza dei propri programmi spaziali, in pratica tutti gli Stati sarebbero pronti ad affidarsi alla guida degli americani, se dovessero ricevere un’offerta in tal senso. Diciamo che sarebbero disposti a una collaborazione alla pari; in altre parole, rimpinguerebbero le casse della NASA in cambio del diritto di estrazione delle materie prime. Ma quell’offerta non arriva, ovvio. Tuttavia esiste un’alternativa. È possibile sostenere me, aderire a un’offerta riservata

agli investitori privati. Non rendo pubblico il know-how, invito la gente a parteciparvi. Chi sara della partita potra guadagnare somme ingenti, ma non cedere formule e progetti a terzi. Questo e il motivo per cui i miei partner a Washington non sono felici della nostra piccola riunione. Sanno che, nell’immediato futuro, nessuno dei vostri Paesi sarebbe in grado di costruire un ascensore, per non parlare delle infrastrutture per l’estrazione dell’elio-3. Mancano le basi, mancano i mezzi... insomma manca tutto. Di conseguenza, per persone del vostro livello, investire nei programmi spaziali nazionali si risolverebbe in una perdita. Ecco perché Washington e disposta a credere che qui parleremo soltanto di partecipazioni... Ma il caso della Cina e diverso. Pechino ha gia costruito un’infrastruttura. Sta gia estraendo l’elio-3. I cinesi hanno preparato il terreno, tuttavia sono limitati dalle tecnologie obsolete. Questo e il loro dilemma. Sono gia troppo avanti per potersi agganciare a qualcun altro... in fondo a loro manca solo quel dannato ascensore. Mi creda, nessun cinese, che sia un politico o un imprenditore, metterebbe anche un solo yuan nelle mie mani, a meno che...» «... non riescano a comprarti. È questo il motivo per cui Zheng Pang Wang prende il te in tua compagnia», concluse Evelyn Chambers, che seguiva piu discorsi contemporaneamente. «Se stasera ci fosse un cinese seduto al nostro tavolo, di certo non sarebbe interessato a una partecipazione. Washington penserebbe che sto vagliando un’offerta di trasferimento di know-how. » «Non lo sospetta gia a causa della sua frequentazione con Zheng?» chiese Nair. «In questo settore ci s’incontra in continuazione. A congressi, simposi... E allora? Zheng e un uomo divertente, mi piace.» «Ciononostante i suoi amici sono nervosi, vero?» «Ne hanno tutte le ragioni. Chi arriva quassu inizia a scavare, e automatico.» Ögi si pul i baffi e lascio cadere il tovagliolo accanto al piatto. «Perché non lo fa, Julian?» «Cosa? Cambiare fronte?» «No, no. Nessuno pretende che lei cambi fronte. Ma perché non vende la tecnologia dell’ascensore a tutti i Paesi che la vogliono e si lascia ricoprire d’oro? Sulla Luna si creerebbe una prosperosa concorrenza, che darebbe nuovo impulso al settore dei reattori. Lei potrebbe ottenere partecipazioni mondiali per l’estrazione, contratti di esclusiva per la fornitura di corrente elettrica... proprio come il nostro amico Tautou, oggi purtroppo assente, controlla l’acqua potabile facendosi intestare intere sorgenti come contropartita per gli impianti di depurazione e le reti di approvvigionamento.» «In tal modo non passerebbe da una dipendenza a un’altra, ma tutti dipenderebbero da lei», concluse Rogacev, alzando il bicchiere in direzione di Julian con un sorriso ironico. «Un vero amico dell’umanita.»

«E credete che una cosa del genere funzionerebbe?» s’intromise Rebecca Hsu. «Perché no?» chiese Ögi. «Concedere l’accesso alla tecnologia dell’ascensore alla Cina, al Giappone, alla Russia, all’India, alla Germania, alla Francia e a chissa chi altro ancora?» esclamo Rebecca, perplessa. «Un accesso a pagamento», la corresse Rogacev. «Non e una buona idea, Oleg. In men che non si dica, si azzufferebbero tutti, quassu come sulla Terra», obietto Rebecca. «La Luna e grande», s’intromise Evelyn. «No, la Luna e piccola», sospiro Rogacev. «Cos piccola che i miei vicini comunisti e i suoi amici americani, Julian, non hanno trovato di meglio da fare che scegliersi la stessa area per l’attivita estrattiva. Sono bastate due nazioni» - alzo l’indice e il medio - «per innescare un conflitto eufemisticamente definito ’crisi lunare’. Il mondo si e ritrovato sull’orlo di uno scontro fra superpotenze. » «Perché hanno scelto la stessa zona? Per errore?» chiese innocentemente Miranda. Julian scosse la testa. «No. Perché le misurazioni facevano supporre che tra l’Oceanus Procellarum e il Mare Imbrium fossero presenti altissime concentrazioni di elio-3, in quantita normalmente rilevabili solo sulla faccia nascosta. Altrettanto ricca sembra la vicina baia Sinus Iridum, a est dei montes Jura. È normale che tutti vogliano scavare proprio l.» Rebecca inarco le sopracciglia. «E crede che questo cambierebbe se partecipassero ancora piu Paesi?» «S. Ammesso che ci si spartisca la Luna prima che l’esercito dei cercatori d’oro si metta in moto. Pero lei ha ragione, Rebecca. Avete tutti ragione. Devo ammettere che la prospettiva di trasformare l’astronautica in una risorsa per l’umanita intera mi tenta alquanto.» Nair sorrise. «È comprensibile. Sarebbe una buona azione e lei potrebbe solo guadagnarci.» «Gia, e ci guadagneremmo pure noi», annu Ögi. «S, sarebbe bello.» Rogacev appoggio le posate sul tavolo. «C’e solo un problema, Julian.» «Quale?» «È possibile sopravvivere a un tale cambiamento di rotta?» HANNA Per dessert furono servite tortine tiepide al cioccolato, il cui ripieno liquido e denso si mescolava con la salsa di frutta che guarniva il piatto. Verso le dieci, una coltre di sonnolenza si poso sui commensali. Julian annuncio che il mattino seguente avrebbero dormito per recuperare le forze e, successivamente, gli ospiti avrebbero potuto godersi i comfort dell’hotel op-

pure esplorare i dintorni. Dana Lawrence si assicuro che i convitait fossero soddisfatti della cena e tutti furono prodighi di complimenti. «Continuo a pensare che, se non avessimo girato questo film, Kurt Cobain non avrebbe nulla da dire ai ragazzi di oggi», disse O’Keefe a Hanna in ascensore. «Guarda che fine ha fatto il grunge. Nei cestoni di CD in superofferta. Ormai nessuno s’interessa piu ai tipi come Cobain. I giovani preferiscono quella roba artificiale tipo i The Week That Was, gli Ipanema Party, gli Overload...» «Ma anche tu hai suonato in una band grunge», obietto Hanna. «S, e ho smesso. Dio mio, avevo dieci anni quando Cobain e morto. Mi chiedo che ci trovassi in lui.» «Ma cosa dici? Tu l’hai portato sullo schermo.» «Gia, ma se interpreti Napoleone, mica vuol dire che vuoi conquistare l’Europa. La gente pensa sempre che gli eroi del proprio tempo siano importanti. Mah. Nel pop ci sono sempre album importanti, che vent’anni dopo non conosce piu nessuno.» «La grande musica resta.» «Stronzate. Chi si ricorda di Prince? Chi conosce Axl Rose? E Keith Richards, che la gente ricorda solo come il mediocre chitarrista di un gruppo rock sempre uguale a se stesso? Credimi, le pop star sono sopravvalutate. Tutte le star sono sopravvalutate. Per principio. Non entriamo nella storia, ci rimpiccioliamo progressivamente fino a scomparire. A meno che non ci suicidiamo o veniamo uccisi.» «Allora perché oggi tutti s’ispirano agli anni ’70 e ’80? Se quello che dici fosse vero...» «Okay, e la moda del momento.» «Dura da un po’.» «E allora? Tra dieci anni i modelli saranno altri. I Nucleosis, per esempio, adesso vanno per la maggiore. Due donne e un computer, e il computer compone quasi tutta la musica.» «I computer ci sono sempre stati.» «Ma non componevano la musica. Dammi retta, le star del futuro saranno le macchine.» «Sciocchezze. Questo si diceva anche venticinque anni fa. E cos’e successo? Sono tornati alla ribalta i cantautori. La musica fatta in casa non scomparira.» «Puo darsi. Forse siamo semplicemente troppo vecchi... Buonanotte. » «’Notte, Finn.» Hanna percorse la passerella che conduceva alla sua suite ed entro. Nel corso della serata aveva diligentemente seguito le conversazioni a tavola senza pero mai impelagarsi in discussioni complesse. Per un po’, aveva cercato di condividere la passione di Eva Borelius per l’equitazione, e poi l’aveva guidata sul terreno musicale, solo per ritrovarsi nella palude della musica romantica tedesca, di cui non capiva nulla. O’Keefe lo aveva salvato, con le sue

osservazioni sullo stato comatoso del britpop alla fine degli anni ’90, sul mando-prog e sullo psychobilly... proprio quello che ci voleva quando si aveva la testa da un’altra parte, come nel caso di Hanna. Ben presto sarebbero andati tutti a dormire. Sulla navicella spaziale erano stati preparati al fatto che i giorni passati in assenza di gravita, gli strapazzi dell’allunaggio, i cambiamenti cui era sottoposto il fisico e la marea di nuove impressioni avrebbero chiesto il loro tributo. All’altezza del letto, la stanza era protetta da uno strato di massiccio calcestruzzo lunare, cosicché al massimo entro un’ora nessuno avrebbe dato piu un’occhiata all’esterno. Il personale, invece, alloggiava nei sotterranei. Quindi bastava aspettare. Si sdraio sul materasso ridicolmente sottile, sufficiente comunque per accogliere i suoi sedici chilogrammi di peso corporeo, incrocio le mani dietro la nuca e chiuse gli occhi per un momento. Poi, rendendosi conto che, se fosse rimasto l, si sarebbe addormentato, e che aveva ancora parecchie cose da fare prima di uscire, torno nella zona giorno e, fischiettando, tolse la chitarra dalla custodia. Le sue dita accennarono un breve flamenco, poi lui appoggio lo strumento sulle ginocchia e lo giro, tasto i bordi premendo in alcuni punti, estrasse il bottone per agganciare la cinghia e sollevo il fondo. All’interno c’era un pannello che riprendeva la forma dello strumento, dello stesso colore del legno e ricoperto da un reticolo di linee sottilissime. Il servizio di sicurezza di Orley non aveva perquisito il suo bagaglio, come avrebbe fatto con un normale turista; si era limitato a porgli qualche semplice domanda. Nessuno poteva immaginare che quella chitarra non era una vera chitarra. Gli ospiti di Julian erano al di sopra di ogni sospetto... e comunque un’eventuale esposizione ai raggi X avrebbe soltanto evidenziato che lo strumento aveva un fondo piu spesso del normale. Anche quel fatto, poi, sarebbe stato colto unicamente da un esperto, il quale tuttavia non avrebbe avuto modo di capire che si trattava di due fondi sovrapposti e che quello interno era di una plastica speciale ed estremamente resistente. Hanna premette coi pollici sul pannello, staccando alcuni pezzi che caddero sul pavimento come tessere di un puzzle. Poi stacco il manico della chitarra e ne estrasse un tubo lungo quasi mezzo metro, che divise a meta, facendone uscire numerosi tubicini che caddero a terra. Hanna li ammucchio da una parte, apr la valigia e svuoto il beauty-case. Mise il bagnoschiuma, lo shampoo e i tappi per le orecchie modellabili a portata di mano, tolse il cappuccio da uno dei due tubetti di crema idratante, applico un po’ del contenuto trasparente su uno dei pezzi e ci premette sopra, ad angolo retto, un altro pezzo per farlo aderire. Tra la crema e la plastica ebbe luogo un’istantanea reazione chimica. Hanna sapeva che da l in poi non avrebbe potuto permettersi il minimo errore, dato che il montaggio non era reversibile. Lavoro con concentrazione, senza fretta. Svito una pallina da golf, estrasse alcuni minuscoli componenti elettronici, assemblo altri pezzi e li inser. Pochi minuti dopo, aveva tra le mani un

oggetto piatto da cui sporgeva un pezzo di tubo simile alla canna di una pistola... e in effetti l’oggetto aveva proprio quella funzione. L’aspetto era bizzarramente arcaico. Aveva un’impugnatura ma, al posto del grilletto, c’era un interruttore a leva. Con gli elementi restanti, Hanna costru un’altra pistola - identica alla prima -, sottopose entrambe le armi a un’accurata ispezione e poi passo alla fase due. Smonto altri oggetti del suo beauty-case e li riassemblo in un modo diverso, fino a ottenere venti proiettili, ognuno dei quali composto da camere riempibili separatamente. Con estrema cautela, distribu piccole quantita di bagnoschiuma nella camera sinistra e di shampoo nella camera destra, poi le sigillo. Inser nei tubicini prelevati dal manico della chitarra un pezzettino di tappo per le orecchie e alcune piccole capsule trasparenti prese da una confezione di medicinali contro il mal di stomaco. Quindi chiuse i tubicini coi proiettili, ne inser cinque nell’impugnatura della prima arma e cinque nella seconda. Infine rimise il fondo al suo posto nella cassa della chitarra, rimonto il manico, raccolse i resti del pannello di plastica e li sistemo in fondo alla valigia, e infilo tubetti e flaconi nel beauty-case. Ma si blocco davanti al dopobarba. Ah, gia. Osservo il flacone con aria assorta. Poi lo prese, tolse il cappuccio, lo alzo e premette piu volte sull’erogatore, spruzzandone il contenuto sul mento. Il dopobarba era un dopobarba. Quando usc dalla suite, non incontro nessuno. Indossava la tuta spaziale, l’attrezzatura e lo zaino coi sistemi di sopravvivenza, e teneva il casco sottobraccio. Una delle armi cariche premeva contro la sua coscia, nascosta in una tasca, impossibile da notare. Inoltre aveva con sé altri cinque proiettili. Era abbastanza sicuro che non ci sarebbe stato bisogno di usare la pistola, quella notte. Se tutto fosse andato come previsto, non sarebbe stato costretto a usarla mai, pero l’esperienza gli diceva che gli errori s’insinuavano anche nei piani piu perfetti con l’impertinenza d’insetti fastidiosi. Forse, in un dato momento, avrebbe avuto bisogno dei servigi dell’arma. Da quel momento in poi, lo avrebbe accompagnato ovunque. Il corpo vuoto di Gaia sembrava un monumento sopravvissuto ai suoi costruttori. In basso, la hall era deserta. Hanna attese che si aprissero le porte dell’ascensore E2, entro nella cabina e premette il pulsante del livello 01. L’ascensore sfreccio verso i sotterranei. Quando si fermo, lui scese e segu i cartelli fino a raggiungere l’ampio corridoio che gli ospiti avevano percorso solo poche ore prima. Anche quello era deserto, immerso in una fredda luce bianca e percorso da un ronzio monotono. Hanna sal su un tappeto mobile, che si avvio, passo accanto ai boccaporti che davano sull’esterno, attraverso il portone che dava accesso al garage - come veniva chiamata la pista di atterraggio sotterranea dell’hotel -, poi segu una

diramazione che conduceva a uno stretto tunnel lungo due metri, dal quale si raggiungeva un piccolo reattore per l’elio-3 che aveva il compito di rifornire Gaia di energia durante la notte lunare. Scese dal tappeto mobile e sbircio in una delle finestre che davano sul padiglione della stazione ferroviaria. Il Lunar Express sonnecchiava sui binari, collegato al corridoio mediante alcuni tunnel. Sal sul treno e passo tra i sedili fino a raggiungere il pannello di comando. Il computer di bordo era acceso, il display illuminato. Hanna inser un codice e attese l’autorizzazione. Poi si volto, prese posto nella prima fila di sedili e allungo le gambe. Nulla di tutto cio sarebbe stato possibile se lui fosse stato un semplice ospite. Ma Ebola aveva preparato la sua missione. Ebola faceva in modo che sulla Luna non ci fossero ostacoli per Carl Hanna: nessuna porta sbarrata, nessun settore inaccessibile. Il Lunar Express si avvio lentamente. Nel corso dei suoi quarantaquattro anni di vita, Hanna aveva imparato a tenere le cose ben distinte. In India, aveva partecipato a una serie di operazioni sotto copertura che, se fossero venute alla luce, difficilmente lo avrebbero fatto apparire come un amico del Paese. Nel contempo, aveva stretto amicizia con persone del luogo e convissuto con donne indiane. Danneggiava gli interessi dei suoi ospiti, affossava l’autonomia economica e militare di quella popolosa nazione tuttavia, a differenza di molti suoi colleghi, non frequentava squallidi bar, locali equivoci o costosi club provvisti di licenza per la vendita di alcolici, scolando whisky e liquori al cocco e facendo osservazioni razziste sugli indiani. Aveva invece cercato d’integrarsi: aveva affittato un piccolo ma dignitoso appartamento in un quartiere centrale di Nuova Delhi e aveva sviluppato una vera passione per il curry e i mercatini delle spezie. Pur non essendo un tipo particolarmente socievole, con gli anni si era affezionato a quella cultura e alla gente, e per un po’ aveva persino sognato di stabilirsi definitivamente sulle rive del fiume Yamuna. Quando non svolgeva il suo lavoro, che richiedeva un grande talento per l’imbroglio e una spiccata propensione per la menzogna, cercava insomma di condurre una vita normale, fedele al motto dell’India: Satyameva Jayate, cioe «Solo la verita vince». La sua esistenza schizofrenica non gli pesava, ma anzi lo aiutava a tenere distinti Hanna il cittadino e Hanna il bugiardo in modo che non si pestassero i piedi. Anche adesso, pur avendo ben presente il suo compito, si godette il viaggio, ammirando la sterminata pianura del Mare Imbrium, il gioco di luci e ombre intorno al cratere Platone, l’opprimente asprezza delle montagne polari, la ripida salita. Di nuovo fu avvolto dall’oscurita mentre il treno percorreva il passaggio tra il cratere Peary e il cratere Hermite, diretto verso la base lunare americana a settecento chilometri all’ora. Poi, improvvisamente, il convoglio prese a rallentare. E si fermo.

Il Lunar Express se ne stava a fianco di una montagna, nel bel mezzo della terra di nessuno della regione dei crateri polari, a nemmeno cinquanta chilometri dalla base. Hanna si alzo e si diresse verso la sezione centrale del treno, dove c’era una serie di armadietti chiusi con una copertura avvolgibile. Ne apr uno e localizzo il kit di montaggio all’interno. Studio le istruzioni sul lato posteriore, poi estrasse una piattaforma ovale con sostegni telescopici ripiegabili, otto piccoli serbatoi sferici, ugelli orientabili dotati di bracci, due batterie cariche e una barra massiccia provvista di maniglie, tra le quali brillava un display. L’assemblaggio fu semplice; in fondo, quel veicolo, chiamato «grasshopper », cioe «cavalletta», era stato progettato per le emergenze, quindi i viaggiatori dovevano cavarsela da soli, in caso le guide fossero fuori gioco. A montaggio completato, coi suoi arti flessibili, offriva posto per due astronauti: quello seduto davanti avrebbe manovrato i comandi. Hanna lo trascino verso il boccaporto pressurizzato, torno agli armadietti, tiro fuori una cassetta degli attrezzi e un apparecchio di misurazione e sistemo entrambi gli oggetti in un vano sul fondo del grasshopper. Poi indosso il casco e fece eseguire alla tuta i consueti test automatici prima di attivare l’aspirazione dell’aria. Pochi secondi dopo, si apr il portello esterno. La macchina inizio il rilevamento. Hanna inser le coordinate nel pannello di comando del grasshopper, sapendo che il sistema LPCS gli avrebbe permesso di localizzare il pacco. Noto con sollievo che comunicava ancora; in caso contrario, ogni speranza di ritrovarlo in quel deserto frastagliato sarebbe stata vana. Ma, se i sistemi elettronici funzionavano, allora doveva avere un problema meccanico. Aziono i propulsori, usando gli ugelli orientabili per modificare la direzione: il grasshopper si sollevo e accelero. Quel tipo di veicoli aveva per sua natura un raggio d’azione limitato; tuttavia la mancanza d’aria aveva anche i suoi lati positivi, dal momento che non c’era nessun attrito a frenare il moto, una volta innescato. Con una velocita massima di ottanta chilometri orari, i piccoli serbatoi sferici consentivano percio di coprire distanze considerevoli. Il segnale lo raggiunse da poco meno di sei chilometri di distanza. All’ombra della parete del cratere, Hanna non vedeva nulla e doveva affidarsi ai deboli coni di luce dei fari di bordo, che guizzavano davanti a lui come se volessero sfuggirgli. Solo i sistemi radar del grasshopper evitavano la collisione con spuntoni di roccia e sporgenze. Una pianura illuminata si stagliava in lontananza, in netto contrasto col contorno nero dell’ombra della montagna, e la luce del sole accarezzava il bordo del cratere. I binari del Lunar Express sembravano persi tra le pareti rocciose in direzione della valle piu vicina, verso quella pianura in leggera salita che portava direttamente alle spalle del cratere Peary, dove il pacco avrebbe dovuto recarsi in completa autonomia. Il suo segnale, invece, condusse Hanna nella direzione opposta, nell’occhio del cratere.

Regolo la spinta propulsiva. Il grasshopper perse quota, le sue dita di luce tastarono una roccia tagliente. Il suolo era coperto di sassi appuntiti, inquietanti testimoni del fatto che, non molto tempo prima, sulla valle silenziosa si era abbattuta una frana. Poi il paesaggio divenne pianeggiante e il rilevatore segnalo a Hanna che avevano quasi raggiunto la meta. Mancavano pochi metri. Hanna attivo i freni e scruto il suolo alla ricerca di un punto dove atterrare. Evidentemente non aveva ancora raggiunto il fondo del cratere; il suolo era troppo in pendenza e frastagliato. Quando infine scorse uno spiazzo adatto, si vide costretto a percorrere un chilometro e mezzo a piedi, scivolando e saltando, col costante rischio di perdere l’equilibrio e di squarciare la tuta contro una delle rocce circostanti, taglienti come coltelli. Il fascio di luce del suo casco vagava sperduto tra cumuli di detriti incolori. Barcollo piu volte, alzando nuvole di finissima polvere lunare carica di elettricita statica, che gli si attaccava alle gambe come uno sciame di zecche. Sassolini saltavano davanti a lui, improvvisamente animati... quindi il paesaggio scomparve e la luce si perse in un nero senza contorni. Si fermo, spense il faro del casco, spalanco gli occhi e attese. La vista era stupefacente. Lo scintillio di miliardi di stelle della Via Lattea sopra di lui. Nessun inquinamento luminoso, solo il grasshopper in lontananza con la luce di posizione accesa sul retro, un puntino. Hanna era solo. Sulla Luna. Niente di quello che aveva vissuto era paragonabile con quell’esperienza, cos travolgente da fargli dimenticare per un istante la sua missione. Ogni limite che separava l’uomo dall’esperibile si dissolse. Era senza corpo, una cosa sola col mondo non duale. Tutto era Hanna, tutto riposava in lui, e lui era dentro il Tutto. Gli venne in mente che un sadhu - un mistico indiano - gli aveva spiegato che, se lo avesse voluto, avrebbe potuto bere l’intero oceano Indiano in un unico sorso. E adesso eccolo la, sulla Luna, ad assorbire l’intero universo. Attese. Dopo un po’ - proprio come aveva sperato -, si rese conto che l’oscurita non era cos impenetrabile. Era attraversata da fotoni, deviati dalla parete opposta del cratere illuminata dal sole. Come una fotografia che prende forma, l’ambiente circostante inizio a mostrare i suoi contorni, piu intuibili che visibili, rivelando che il pendio sotto i suoi piedi era un imbuto superabile con pochi passi. Riaccese la luce. L’incanto si dissolse. Riscuotendosi dai suoi pensieri, Hanna si rimise in marcia, tenendo il display del computer davanti agli occhi, cos concentrato che vide l’oggetto solo un attimo prima di travolgerlo. Un’asta, enorme e lunghissima. Hanna barcollo, lasciando cadere la cassetta degli attrezzi e il misuratore. Cosa significava? Il segnale aveva origine almeno trecento metri piu in la. L’oggetto per poco non gli

aveva fracassato il casco. Imprecando, inizio a girargli intorno. Dopo una breve ispezione, concluse che il trasmettitore di segnale era a posto. Il mucchio di rottami non era di nessun interesse. Una struttura con quattro piedi e serbatoi vuoti, messa di lato, parzialmente coperta di terra. Aveva avuto il compito di portare al Polo quel contenitore che l’organizzazione chiamava «il pacco », e che inviava il segnale. Ma il pacco non c’era. Doveva trovarsi ancora piu in basso. Quando infine lo vide, incastrato fra le rocce, si rese conto che era parecchio malridotto. Parti del rivestimento laterale erano distrutte; i piedi e gli ugelli erano in parte piegati e in parte spezzati; i serbatoi del propellente penzolavano dal corpo come grosse uova d’insetto. Evidentemente il pacco aveva avviato le operazioni per raggiungere il luogo d’intervento, come da programma, poi era accaduto qualcosa. E all’improvviso Hanna seppe anche cosa. Il suo sguardo si alzo verso le cime chiare della montagna. L’unita di allunaggio si era posata troppo vicino al bordo del cratere, senza dubbio, ma la cosa in sé non era un problema. Gli ingegneri avevano calcolato delle tolleranze, tra cui anche l’eventualita che la struttura e il pacco precipitassero nel cratere. La meccanica doveva restare protetta fino al momento in cui i sensori avessero segnalato un fondo stabile o un allunaggio completato. Dopo, il pacco si sarebbe staccato dalla struttura, avrebbe fatto uscire le estremita e se la sarebbe svignata. A quanto pareva, il messaggio era stato inviato ma, nel momento in cui erano fuoriusciti i bracci, alcune parti erano scivolate lungo il pendio, trascinando con sé l’intera struttura. La pioggia di sassi aveva distrutto le estremita, privando il pacco della capacita di manovra. Un terremoto? Possibile. Contrariamente all’opinione comune, la Luna non era affatto un posto tranquillo. I terremoti erano frequenti. Le tensioni provocate dall’enorme escursione termica si scaricavano in fremiti violenti e le forze del Sole e della Terra strapazzavano la roccia lunare anche a grandi profondita. Era quello il motivo per cui Gaia era progettato per resistere a scosse superiori al quinto grado della scala Richter. Per non lasciare nulla d’intentato, Hanna si diede da fare con gli assi e gli ugelli. Dopo venti minuti, passati a piegare e saldare pezzi di metallo, dovette rassegnarsi al fatto che il danno era irreparabile. La perdita delle zampe da ragno sarebbe stata sopportabile, ma il fatto che uno degli ugelli fosse parzialmente staccato e che dell’altro non ci fosse traccia rappresentava un vero disastro. Che sfortuna, penso Hanna. Prima l’incidente di Thorn, e adesso questo. Il compito di prendere in consegna il pacco era stato infatti affidato a Thorn ormai un anno prima. E invece il cadavere dell’uomo vagava ancora per l’universo.

Aspettandosi altre brutte sorprese, Hanna sblocco i portelli retrostanti, apr il contenitore e illumino l’interno. Sembrava tutto a posto. Tiro un sospiro di sollievo. Perdere il carico avrebbe mandato a monte l’intera missione; il resto erano solo fastidiosi inconvenienti. Prese il misuratore e controllo le interfacce. Intatte. Nulla era stato danneggiato. Con estrema cautela, estrasse il contenuto. Doveva portare lui stesso il pacco sul luogo d’intervento. Pazienza. Sul grasshopper c’era posto a sufficienza. Per un attimo, prese in considerazione l’idea d’informare il committente di quel cambiamento, ma non c’era abbastanza tempo. E non c’erano alternative. Doveva agire. Doveva tornare in albergo prima che gli altri si svegliassero. Doveva fare in modo che nessuno si accorgesse che era stato fuori. Limit 27 MAGGIO 2025 GIOCHI XNTINDÌ, SHANGHAI, CINA Jericho si sveglio sul divano, in compagnia di due bottiglie, un bicchiere con un po’ di vino rosso e due sacchetti aperti di Mango Chips. Sul momento, non cap dove si trovava. Provo ad alzarsi, ma ci riusc solo al secondo tentativo e si accorse che il suo cervello imbevuto di alcol era alla ricerca di qualcosa, anche se non riusciva a capire cosa. Poi ricordo la fortuna che aveva avuto. Nel contempo, si fece strada in lui anche un vago senso di smarrimento: s, mancava qualcosa, qualcosa che nel corso degli anni era diventato parte integrante della sua vita, come lo erano i battiti del cuore. Il rumore. Non sarebbe mai piu stato svegliato dal rombo costante dei palazzi in costruzione. Né il traffico mattutino dell’autostrada a sei corsie gli avrebbe rintronato i timpani prima ancora che sorgesse il sole. Da quel giorno, Jericho viveva a Xntiand, dove l’unica cosa che imperversava erano le orde di turisti, una cosa tutto sommato piu che sopportabile. In generale, non li si vedeva in giro prima delle dieci del mattino e gia nel tardo pomeriggio si disperdevano per ritirarsi nei vari hotel, sudati e coi piedi doloranti, per recuperare le forze in vista della serata. La sera, invece, i bistrot, i caffe, i club, le boutique e i cinema del quartiere erano affollati soprattutto da gente del posto. La nuova abitazione di Jericho era comunque immune da entrambe le invasioni. Ecco il grande vantaggio di abitare in una shkumen: fuori potevano passare anche i carri armati, ma all’interno regnavano pace e silenzio. Jericho si stropiccio gli occhi. Non che quel luogo potesse ancora essere definito un appartamento. C’erano diversi scatoloni da aprire, sparsi per tutto il loft; pero almeno era riuscito a installare il nuovo Media-Terminal. Gli era stato consegnato la sera prima dall’assistenza clienti di Tu Tian; due cortesi fattorini lo avevano trascinato lungo le scale e integrato

nell’ambiente in modo cos abile da renderlo quasi invisibile. Subito dopo, Jericho aveva dovuto interrompere tutto e prepararsi per la visita a sorpresa ai coinquilini di Yoyo. Pero, di ritorno al loft, si era dedicato al nuovo giocattolo e, con quella scusa, aveva festeggiato la sua prima notte a Xntiand. E, considerando le due bottiglie vuote, aveva festeggiato alla grande, in compagnia di Animal Ma Lpng e dei bambini maltrattati nelle gabbie. Si chiese se Joanna si sarebbe sentita a suo agio in quel luogo, ma decise che non era il caso d’impelagarsi in simili congetture. Era bello poter bastare a se stessi. Si fece una doccia e configuro il sistema. Avrebbe preferito disfare al volo gli scatoloni rimasti ma, dal giorno prima, ai fantasmi della sua mente si erano aggiunti Tu Tian e Chén Hong-bng, che lo pressavano affinché facesse qualche passo avanti nella ricerca di Yoyo. Jericho aveva quindi deciso di dare la priorita all’indagine. Si fece la barba, scelse un paio di pantaloni leggeri e una camicia, carico nella stanghetta porta-dati dei suoi nuovi occhiali olografici uno dei programmi fornitigli da Tu Tian e usc di casa. Avrebbe trascorso l’ora successiva in compagnia di Yoyo. Una delle visite si snodava lungo le vie della zona francese, un relitto coloniale del XIX secolo che confinava con Xntiand, se non fosse stato per la tangenziale a tre piani che sfortunatamente passava in mezzo ai due quartieri. Dopo che Jericho ebbe attraversato il sottopassaggio, riemerse alla luce del sole, si avvio lungo la brulicante Fuxng Donglu e attivo il riconoscimento vocale del programma. L per l non accadde nulla. Attraverso le lenti degli occhiali il mondo continuava ad avere forme e colori familiari. Qualcuno passeggiava lentamente, altri gironzolavano, altri ancora correvano trafelati avanti e indietro; poi c’erano gli uomini d’affari, che attraversavano la strada senza staccarsi dal cellulare, riuscendo nell’ardua impresa di raggiungere l’altro lato tenendo un occhio incollato sul display e l’auricolare bluetooth nelle orecchie. Donne eleganti entravano e uscivano dalle boutique, chiacchierando o conversando al telefono, mentre altre vestite in modo meno ricercato si dirigevano verso i grandi magazzini giapponesi e americani. Gruppi di turisti fotografavano soggetti che, secondo loro, erano autentiche testimonianze dell’epoca coloniale. Decine d’identiche COD - Cars On Demand - dirette verso la tangenziale si accalcavano tra utilitarie, monovolume e limousine; miniscooter elettrici e cruiser a motore ibrido serpeggiavano attraverso piccoli spazi che si chiudevano ancora prima di essersi aperti del tutto. Biciclette sferraglianti gareggiavano con skateboard antigravitazionali; autobus urbani e furgoni si facevano largo nel trambusto, una pattuglia di skymobile della polizia avanzava lentamente lungo la Fuxng Donglu e, poco piu in la, un mezzo per il trasporto dei feriti decollo, viro in aria e si diresse verso ovest. Scintillanti aerei privati e sky-bike sfrecciavano in cielo grazie al sistema di guida automatico. Ovunque si sentivano rombi, stridore e colpi di

clacson, mentre gli onnipresenti monitor trasmettevano musica, slogan pubblicitari e notizie a tutto volume. Una giornata tranquilla in un quartiere tranquillo. La doppia T della Tu Technologies apparve davanti agli occhi di Jericho. La tecnologia di proiezione del sistema creava l’illusione che il simbolo tridimensionale fluttuasse a diversi metri di altezza. Poi scomparve e il computer posto nell’asticella degli occhiali proietto Yoyo nella Fuxng Donglu. Era strabiliante. Jericho aveva gia visto diverse proiezioni olografiche. Gli occhiali, una struttura convessa in fibra di vetro, funzionavano come un cinema in 3D da portare in giro, ben lontani dagli ingombranti dispositivi per la realta virtuale usati all’inizio del millennio. Il computer era in grado di riprodurre oggetti e persone inserendoli nell’ambiente circostante semplicemente proiettandoli sulla lente. Si potevano vedere persone che fisicamente non erano presenti: poteva trattarsi d’individui in carne e ossa oppure creati in modo artificiale, in base alla programmazione. Se inseriti in un contesto creato elettronicamente, era quasi impossibile distinguerli dalle persone vere. I problemi venivano dal mondo reale, cioe nel momento in cui il computer doveva sincronizzare i movimenti e le reazioni degli avatar con la realta circostante. Su sfondi complessi e in movimento, i soggetti diventavano semitrasparenti e l’illusione spariva del tutto se qualcosa di reale entrava nello spazio occupato dall’avatar: semplicemente ci passava attraverso. I personaggi virtuali continuavano a chiacchierare e non si accorgevano di nulla, nemmeno se venivano attraversati da un camion. Poi, se si muoveva di scatto la testa, le figure si materializzavano nella nuova posizione, tremolanti come fantasmi. Il sistema doveva costantemente ricalcolare l’ambiente circostante e sincronizzarlo col programma, in modo da far coincidere il mondo virtuale con quello reale, un tentativo che, fino a quel momento, sembrava destinato a fallire. Ma la simulazione di Yoyo comparve sul marciapiede, a qualche metro di distanza da Jericho, senza mostrare le caratteristiche spettrali tipiche di altri avatar. La giovane donna indossava una tutina aderente, color lampone, con applicazioni discrete, aveva i capelli raccolti in una doppia coda di cavallo ed era truccata con colori chiari. «Buongiorno, Mr Jericho», disse sorridendo. Alle sue spalle, i pedoni si affrettavano. Yoyo li copriva. Non c’era niente di lei che fosse trasparente: nessuna parte dell’immagine appariva sfocata. Avanzo verso di lui e lo guardo dritto negli occhi. «Vogliamo visitare il quartiere francese?» L’asticella degli occhiali trasmise il suono della sua voce direttamente nell’orecchio di Jericho, passando per l’osso temporale. «Un po’ piu forte», disse lui.

«Volentieri», risuono la voce di Yoyo, con un volume impercettibilmente piu alto. «Vogliamo visitare il quartiere francese? Il tempo e perfetto: non c’e neanche una nuvola.» Era vero? Jericho alzo lo sguardo. Era proprio cos. «Sarebbe bello.» «È un piacere per me. Il mio nome e Yoyo.» Esito, poi, sbattendo le palpebre con un misto di civetteria e imbarazzo, chiese: «Posso chiamarla Owen?» «Nessun problema.» Affascinante. Il programma si era automaticamente connesso col suo codice d’identificazione: lo aveva riconosciuto. Inoltre aveva sincronizzato il saluto in base al momento della giornata e analizzato in un attimo le condizioni atmosferiche. Bastava quello per affermare che la Tu Technologies aveva battuto ogni concorrente di cui Jericho aveva avuto modo di sperimentare i prodotti. «Venga», esclamo Yoyo. Quasi con sollievo, Jericho noto che la ragazza non gli appariva piu ultraterrena come il giorno precedente. Era l in carne e ossa, sorrideva, parlava e gesticolava; il senso di estraniamento che gli aveva trasmesso il filmato di Chén era scomparso. Tuttavia, anche privata dell’alone soprannaturale, la bellezza di Yoyo avrebbe comunque mandato in tilt qualsiasi pacemaker. Un momento. Carne e ossa? Bit e byte, piuttosto. Era davvero stupefacente. Mentre Yoyo camminava davanti a lui, Jericho noto che il computer riusciva a calcolare perfino la corretta proiezione delle ombre. Smise di chiedersi in quale modo il programma ci riuscisse e si concentro invece sulla camminata di Yoyo e sulla sua gestualita. La ragazza svolto a sinistra, poi si mise al suo fianco spostando lo sguardo alternativamente da Jericho alla strada. «Il S Nan Lu combina stili architettonici molto diversi tra loro, tra cui alcuni d’ispirazione francese, tedesca e spagnola. Nel 2018 gli edifici storici sono stati abbattuti e poi ricostruiti, tranne qualche eccezione, il tutto secondo i piani originari, questo e ovvio. Ora e tutto molto piu bello e anche molto piu originale.» Yoyo sfoggio un sorriso enigmatico. «Qui risiedevano importanti funzionari del Partito nazionalista e comunista. Nessuno poteva resistere al generoso fascino di questo quartiere: tutti volevano abitare a S Nan Lu. Anche Zhou nlai ha vissuto qui per un po’; la bellissima villa a tre piani con giardino alla nostra sinistra e stata la sua dimora. Lo stile viene generalmente definito di stampo francese, ma in realta e un insieme di elementi dell’Art Déco e influenze cinesi. A oggi, la villa e uno dei pochi edifici sfuggiti alla mania di modernizzazione del Partito.» Jericho si fermo di colpo. Come aveva fatto quella frase a superare l’esame della censura? Poi ricordo che Tu Tian aveva parlato di un prototipo, quindi il testo sarebbe stato modificato. Si chiese di chi fosse stata l’idea: era stato Tu Tian a volersi divertire un po’ oppure la

cosa era stata un’idea di Yoyo? «Si puo visitare la villa?» chiese. «S», rispose Yoyo. «Dentro non e stato cambiato quasi nulla. Zhou nlai aveva uno stile di vita piuttosto spartano; dopotutto si adoperava a favore del proletariato. Forse non gli interessava nemmeno che il Grande Presidente gli sistemasse l’arredamento. » Jericho si lascio sfuggire un sogghigno. «Preferirei passare oltre.» «Perfetto. Lasciamo riposare il passato.» Yoyo riprese a commentare la zona senza fare ulteriori allusioni. Dopo aver cambiato strada un paio di volte, si ritrovarono in una viuzza piena di caffe, gallerie, atelier e pittoreschi negozi che vendevano oggetti d’arte. Jericho andava spesso in quel posto: amava quel quartiere con le sue panchine di legno, le palme e le shkumen graziosamente restaurate, coi fiori alle finestre. «Fino a vent’anni or sono, la Taikang Lu, la via degli artisti, era conosciuta solo da pochi eletti», spiego Yoyo. «Poi, nel 1998, una fabbrica di dolciumi e stata trasformata nell’International Artists Factory; agenzie pubblicitarie e designer vi si sono trasferiti e noti artisti vi hanno aperto i loro atelier, tra cui importanti esponenti quali Huang Yongzheng, Èr Dongxiang e Chén Yfei. Tuttavia il quartiere e rimasto per molto tempo all’ombra di Mogan Shan Lu, a nord del canale Suzhou, dove si riunivano gli artisti piu affermati del mondo dell’arte, dell’underground e delle avanguardie: erano loro a dominare il mercato di Shanghai. Solo nel 2015, con la costruzione della Taikang Art Foundation, l’equilibrio e cambiato. È il complesso che vede laggiu e che e stato soprannominato ’la Medusa’.» Indico un’imponente cupola di vetro dall’aspetto leggero e slanciato nonostante le dimensioni. L’edificio era stato costruito secondo i principi della bionica e s’ispirava alla struttura corporea delle grandi meduse. «Cosa c’era l, prima?» chiese Jericho. «In origine, la strada sfociava in un bel mercato del pesce.» «E dov’e finito, adesso?» «È stato demolito. Il Partito dispone di una grossa gomma da cancellare con la quale riesce a rimuovere la Storia senza lasciare tracce. Ora l c’e la Taikang Art Foundation.» «Si possono visitare gli atelier?» «S. Ne ha voglia?» Gli fece strada. La Taikang Lu si stava lentamente riempiendo di turisti e cominciava a esserci troppa gente, ma Yoyo rimaneva compatta e naturale mentre camminava a zigzag tra le persone. A voler essere precisi, penso Jericho, sembrava addirittura molto piu vera degli altri. Si fermo di colpo, interdetto. I suoi occhi gli stavano forse giocando un brutto scherzo? Si concentro su Yoyo. Un gruppo di giapponesi si stava avvicinando, spalla contro spalla, in rotta di collisione, ignor-

ando chiunque incrociasse il suo cammino. D’un tratto si rese conto che, fino a quel momento, il computer aveva fatto in modo che Yoyo schivasse le persone ogni volta che si era presentata l’occasione, ma adesso il gruppo ostruiva la strada su entrambi i lati. Non potevano far altro che indietreggiare oppure cercare di passare. I giapponesi, come i cinesi, non ci trovavano niente di male nell’aprirsi la strada a spintoni, quindi Jericho ipotizzo che Yoyo si sarebbe fatta largo a gomitate. Anche se, in realta, gli avatar non avevano gomiti o, meglio, non avevano gomiti che potessero assestare colpi nelle costole di persone reali. Incuriosito, osservo la scena. Un secondo dopo, Yoyo aveva superato il gruppo, senza dare l’impressione di essere effettivamente passata attraverso qualcuno. Per un istante, sembro quasi che uno dei giapponesi si fosse dissolto nell’aria per farla passare. Irritato, Jericho si tolse gli occhiali. Non era cambiato niente, a parte il fatto che Yoyo era sparita. Si rimise gli occhiali, si fece strada attraverso il gruppo e vide Yoyo poco piu avanti. Lei guardo nella sua direzione e gli fece un cenno. «Dov’era finito? Venga!» Aspetto finché lui non l’ebbe raggiunta e poi si mosse di nuovo. Incredibile. Come funzionava quella diavoleria? Gli sarebbe stato difficile capirlo senza una spiegazione, quindi si concentro per mettere il programma alle strette. I programmatori avevano fatto un ottimo lavoro, poco ma sicuro. La visita si fondava su ricerche accurate ed era articolata in modo chiaro; finora tutto quello che Yoyo gli aveva raccontato era vero. «Yoyo...» disse Jericho. «S?» Il suo sguardo sembrava amichevole e interessato. «Da quanto tempo fa questo lavoro?» «Questo percorso e del tutto nuovo», fu l’enigmatica risposta. «Quindi non da molto?» «No.» «E cosa fa stasera?» Yoyo gli rivolse un sorriso dolcissimo. «È una proposta?» «Vorrei invitarla a cena.» «Mi dispiace, ma devo rifiutare. Ho uno stomaco virtuale.» «Verrebbe a ballare con me?» «Accetterei volentieri l’invito.» «Perfetto. Dove andiamo?» «Ho detto che accetterei, non che accetto.» Lo guardo in modo ammiccante. «Purtroppo non posso.» «Posso chiederle un’altra cosa?» «Forza.»

«Verrebbe a letto con me?» Yoyo rimase immobile per un attimo. Il suo sorriso celava un’espressione canzonatoria. «Temo di doverla deludere.» «Perché?» «Perché io non esisto.» «Spogliati, Yoyo.» «Posso indossare qualcos’altro.» Il sorriso scomparve. «Vuole che indossi qualcos’altro?» «Voglio passare la notte con te.» «Temo di doverla deludere.» «Voglio fare sesso con te.» «Arrangiati, Owen.» Ah, ecco. Decisamente questa non e la versione ufficiale. «Si possono visitare gli atelier?» Jericho ripeté la domanda di poco prima. «S, si puo. Ne ha voglia?» «Chi ti ha programmato, Yoyo?» «Sono stata programmata dalla Tu Technologies.» «Sei una persona?» «Sono una persona.» «Ti odio, Yoyo.» «Questo mi dispiace molto.» Fece una pausa. «Vuole proseguire con la visita?» «Sei un’odiosa, stupida gallina.» «Sto facendo del mio meglio per soddisfarla. Il suo tono non e adeguato.» «Chiedo scusa.» «Nessun problema, e stata sicuramente colpa mia.» «Oca giuliva.» «Stronzo.» WORLD FINANCIAL CENTER, SHANGHAI, CINA «A quanto pare, Yoyo e piuttosto richiesta, eh?» Grand Cherokee fece l’occhiolino a Xn, mentre le sue dita scivolavano rapide sulla superficie liscia della console. Il computer fece una scansione completa dei sistemi del Silver Dragon. La giornata - limpida e piena di sole - si annunciava perfetta per cavalcare il dragone, tanto che, attraverso l’onnipresente cortina di smog, si potevano perfino scorgere edifici lontani come il Regent e il Portman Ritz Carlton. Le facciate dei grattacieli riflettevano la luce del mattino, piccoli soli sorgevano e tramontavano sulle skymobile in volo sopra il fiume Huangpu. Mentre, nell’hinterland, Shanghai sfumava in un’idea confusa di citta, sulla riva opposta i palazzi coloniali del governo, allineati lungo l’antico corso del fiume, apparivano

ancora piu nitidi. Grand Cherokee era andato a prendere Xn nella Sky Lobby e, durante il viaggio in ascensore, gli aveva ripetuto sino allo sfinimento che poter entrare nell’Impero del Dragone a quell’ora del mattino era da considerarsi un grande privilegio. L’ottovolante, aveva spiegato, non era particolarmente originale, almeno per quanto riguardava il percorso in sé: quasi nessuna inversione, un classico loop verticale, preceduto e seguito da un giro della morte, sufficienti per raggiungere il punto di gravita zero almeno tre volte e sperimentare un’apparente assenza totale di gravita. Tutto nella norma, insomma. Il fascino era dato dalla velocita e dal fatto che si sfrecciava a cinquecento metri di altezza. Mentre le porte dell’ascensore si aprivano e i due entravano nella sala di controllo, Grand Cherokee aveva proseguito il monologo, spiegando che quel miracolo adrenalinico era unico al mondo e manovrarlo non richiedeva meno coraggio che salirvi, motivo per cui serviva una persona coi nervi saldi. «Interessante», aveva commentato Xn. «Mi mostri esattamente cosa deve fare.» Abituato ad ammirare il suo ego nello specchio deformante della realta, Grand Cherokee si era sentito improvvisamente a disagio. In effetti, non c’era niente di piu facile che manovrare l’ottovolante; qualunque idiota capace di premere tre pulsanti su un touchscreen sarebbe stato in grado di farlo. Dopo aver farfugliato che, no, stava scherzando, aveva mostrato a Xn gli elementi di comando che in realta servivano solo a disattivare il blocco di sicurezza. Per farlo, logicamente, bisognava conoscere il codice. «A dire il vero i codici sono tre», aveva chiarito. «Li inserisco l’uno dopo l’altro: uno - vede, cos - due, tre... ecco, finito, il sistema e pronto. Se attivo il campo in alto a destra sblocco le rotaie, con quello sotto invece avvio la catapulta. Al resto pensa il programma. In basso c’e il pulsante di emergenza, ma finora non lo abbiamo mai usato.» «E questo a cosa serve?» aveva chiesto Xn, indicando un menu sul bordo superiore del monitor. «È il Check Assistant. Prima di dare l’autorizzazione alla partenza, faccio esaminare al computer una serie di parametri. Sistemi meccanici, programmi...» «Davvero molto semplice.» «Semplice e geniale.» «È quasi un peccato non poterci fare un giro, ma ho davvero poco tempo. Preferirei invece...» «In realta potrei farla salire», aveva detto Grand Cherokee, avviando il controllo. «Potrei farle girare la testa al punto che non riuscirebbe piu a distinguerla dal suo didietro. Ma ovviamente questa dovrebbe essere registrata come corsa straordinaria. » «Non fa niente. Parliamo di Yoyo.»

Per tutta risposta, Grand Cherokee aveva sogghignato, insinuando che Yoyo fosse molto richiesta. Stava per aggiungere altro, ma poi aveva deciso di tacere. L’espressione del suo interlocutore cambio: adesso la sua curiosita non era piu diretta soltanto a Yoyo, ma anche a Grand Cherokee. «Chi altro e interessato a lei?» chiese Xn. «Non ne ho idea», rispose il giovane, scrollando le spalle. Era forse arrivato il momento di tirar fuori il suo asso dalla manica? Aveva pensato di mettere sotto pressione Xn con la storia del detective, ma forse era meglio tenerlo ancora un po’ sulla corda. «Lo ha detto lei.» «Cosa avrei detto?» «Che Yoyo ha bisogno di protezione perché qualcuno le sta addosso.» «Questo e vero.» Xn si mise a contemplare le unghie della mano destra e Grand Cherokee noto che erano perfette. Erano limate con cura, tutte della stessa lunghezza, con la mezzaluna color madreperla. «E lei, Wang, intendeva fornirmi qualche informazione. Fare telefonate o cose del genere. Portarmi da Yoyo. Se non ricordo male, voleva guadagnarci qualcosa... Percio, mi dica, cos’ha per me?» Che viscido bastardo, penso Grand Cherokee. In effetti, durante la notte si era preparato una storia: si basava su una frase che aveva detto Yoyo tempo addietro, ovvero che ogni tanto la vita mondana le dava sui nervi e quindi si rifugiava per un weekend a Hangzhou o sullo X Hu. Non c’era anche quello stupido detto, che sua nonna ripeteva sempre? «In cielo c’e il paradiso, sulla Terra c’e Hangzhou.» Grand Cherokee aveva deciso che Yoyo si trovava la, da qualche parte in un piccolo romantico hotel sul lago e il nome dell’albergo poteva essere... Un momento: non doveva scendere troppo nei particolari. Le rive dello X Hu pullulavano di alberghi di ogni categoria. Per sicurezza, aveva fatto una ricerca in Internet e aveva trovato diversi alberghi che avevano nomi di alberi e piante. La cosa era piaciuta, evidentemente. Il luogo di contemplazione di Yoyo sarebbe stato un hotel con un nome floreale. Qualcosa che c’entrasse coi fiori... solo che purtroppo il suo inesistente informatore non ricordava il nome esatto. Non si poteva pretendere di scoprire di piu per quattro spicci, ma era comunque qualcosa, no? Grand Cherokee era scoppiato a ridere al pensiero di Xn che percorreva centosettanta chilometri per raggiungere il lago e fare il giro di tutti gli alberghi che avessero un nome legato ai fiori. Inoltre aveva pensato di fare lo stesso col detective. Senza neanche rendersene conto, i due idioti si sarebbero incontrati di continuo. Per un po’ di denaro in piu, avrebbe fornito il nome del gruppo di motociclisti, una traccia che portava da tutt’altra parte, anche perché era difficile collegare i City Demons col lago. Pero, chissa, una gita in campagna in sella a una moto? Perché no?

Xn era assorto nella contemplazione delle sue unghie. Grand Cherokee rifletté. S, avrebbe raccontato la stessa favoletta a Jericho, anche se forse il detective sarebbe stato meno generoso. Ma c’era ancora un margine di miglioramento. «Sa, ho riflettuto molto su tutta la questione», disse con noncuranza. Completo il controllo del Silver Dragon e guardo Xn. «E credo che la rivelazione del luogo in cui si trova Yoyo meriti uno sforzo in piu da parte sua.» Xn non sembro particolarmente stupito. Sul suo viso si dipinse un’espressione a meta tra la stanchezza e l’irritazione per quel comportamento scontato. «Quanto?» «Dieci volte tanto.» Spaventato dalla sua stessa sfacciataggine, Grand Cherokee sentiva il cuore battere piu forte. Se Xn avesse bevuto quella bugia... Un momento, pero. Forse poteva andare ancora meglio. «Dieci volte tanto e un nuovo incontro», disse. Il volto di Xn sembrava di pietra. «E a che scopo?» A che scopo? penso Grand Cherokee. Molto semplice. Con quella cifra correrei da Jericho e lo costringerei a una scelta: o mette sul piatto una somma piu alta e ottiene la storia in esclusiva, oppure rifiuta e io la do a te. Prima, pero, devo parlare con Jericho. E, in caso lui fosse disposto a sborsare venti volte tanto, allora cercherei di convincerti ad alzare la posta di trenta volte. «S o no?» chiese. Gli angoli della bocca di Xn si piegarono impercettibilmente verso l’alto. «In che film ha visto questa roba, Wang?» «Non ho bisogno di vedere dei film per capire come vanno le cose. Lei sta cercando Yoyo, ma non m’interessa perché. La cosa davvero interessante e che pure i poliziotti vogliono qualcosa da lei. Ma lei non e un poliziotto e di conseguenza non puo farmi niente. Deve prendere quello che c’e e...» Si piego in avanti con un ghigno. «... quando c’e.» Xn lo fisso dall’alto in basso con un sorriso gelido. Poi sposto lo sguardo sulla console di comando. «Sa cosa non sopporto?» disse. «Me?» replico Grand Cherokee, ridendo. «Lei e solo uno scarafaggio, Wang. Odiarla la renderebbe piu importante di quanto non sia. No, sono le macchie che non sopporto. Le sue dita unte hanno lasciato tracce disgustose sul display. » «E allora?» «Le pulisca.» «Come?» «Tiri via quelle macchie di unto.» «Ma senti un po’, pezzo di merda, con chi credi di...» Poi successe qualcosa di molto strano, una cosa che Grand Cherokee non aveva mai sperimentato. In un lampo, si ritrovo steso sul pavimento davanti alla console; si tocco il naso

dolorante, con la sensazione che all’interno fosse appena esplosa una granata. Bagliori colorati gli guizzavano davanti agli occhi. «Evidentemente il suo viso non e adatto per pulire la console », disse Xn, piegandosi e sollevando Grand Cherokee da terra come fosse un pupazzo. «Oh, si e sporcato tutto. Cos’e successo al suo naso? Vogliamo parlare, adesso?» Grand Cherokee non riusciva a stare in piedi: con una mano si appoggio alla console, con l’altra si tasto il viso. L’applicazione che aveva sulla fronte gli rimase in mano: era intrisa di sangue. Sbalordito, alzo lo sguardo verso Xn. Poi sollevo il braccio, pronto a colpire. Senza scomporsi, Xn gli conficco l’indice nello sterno. Fu come se gli avessero staccato la parte inferiore del corpo; Grand Cherokee cadde sulle ginocchia, mentre un bruciore infernale gli si diffondeva nel petto. La sua bocca si apr, lasciando uscire qualche suono soffocato. Xn si accovaccio accanto a lui, sostenendolo con la destra. «Il dolore passa subito», disse. «Lo so, pare che non si sara mai piu in grado di parlare, ma e una sensazione temporanea. Vediamo comunque di dare un senso al tutto. Cosa voleva dirmi?» Grand Cherokee ansimo. Le sue labbra formarono una parola. «Yoyo?» Xn annu. «Un buon inizio. Su, Wang, s’impegni. Anzitutto si metta in piedi.» Lo prese sotto le ascelle e lo fece alzare. «Yoyo e...» disse Grand Cherokee, ansimando. «Dove?» «A Hangzhou.» «A Hangzhou!» Xn inarco le sopracciglia. «Incredibile. C’e altro che devo sapere? Dove si trova, esattamente?» «In... un albergo.» «Voglio il nome.» «Non lo so.» Grand Cherokee inspirava avidamente per riempire i polmoni d’aria. Xn aveva ragione, il dolore stava scemando, ma lui non si sentiva meglio. «Qualcosa che riguarda i fiori.» «Non sia cos complicato», disse Xn in tono bonario. «’Qualcosa che riguarda i fiori’ e vago come dire: ’Da qualche parte in Cina’.» «Potrebbe essere anche un nome legato agli alberi», mormoro Grand Cherokee. «Il mio informatore ha parlato di qualcosa di floreale.» «A Hangzhou?» «Sullo X Hu.» «Dove? Dal lato della citta?»

«S, s!» «Quindi sulla sponda occidentale?» «Esatto.» «Ah. Magari vicino alla diga di Su?» «Nelle vicinanze... credo di s.» In Grand Cherokee si accese un barlume di speranza. «S, ha detto qualcosa del genere.» «Ma la citta e sulla sponda orientale.» «Forse non ho ascoltato con troppa attenzione.» Il barlume si spense. «Ma vicino alla diga di Su o a quella di Bai?» Diga di Su? Diga di Bai? Diventava sempre piu complicato. Dov’erano le dighe? Grand Cherokee non aveva studiato la cosa nei dettagli. Chi mai si sarebbe aspettato domande simili? «Non lo so», sospiro, esausto. «Be’, ma sicuramente il suo informatore...» «Ma io non lo so!» Xn lo guardo con aria di rimprovero, poi gli affondo le dita nelle reni. L’effetto fu indescrivibile. Grand Cherokee apr e chiuse piu volte la bocca, come un pesce strappato dal suo elemento, mentre le sue pupille si dilatavano. Xn continuo a sorreggerlo per evitare che crollasse sul pavimento. Dalla prospettiva della telecamera di sorveglianza sembrava un semplice incontro fra vecchi amici. «Quindi?» «Non lo so», piagnucolo Grand Cherokee, mentre una parte di lui lo stava abbandonando. D’un tratto si rese conto, con meraviglia, che il dolore era colorato di un tono tra l’arancio e il rosso. «Davvero.» «C’e qualcosa che sa?» Grand Cherokee alzo lo sguardo, tremando. Negli occhi di Xn lesse in modo inequivocabile cosa gli sarebbe accaduto se avesse dato anche solo un’altra risposta sbagliata. «No, niente.» Xn rise con disprezzo, scosse la testa e lo lascio andare. «Vuole riavere il suo denaro?» bisbiglio Grand Cherokee, rabbrividendo al ricordo del dolore. Xn serro le labbra e guardo la citta scintillante. «C’e una cosa che non riesco a togliermi dalla testa.» Grand Cherokee lo guardo, in attesa. Una parte di lui gli rammento che, di l a un quarto d’ora, sarebbero arrivati i primi visitatori e che probabilmente il dragone si sarebbe riempito, dato che il tempo era bellissimo.

«Prima ha detto che Yoyo e piuttosto richiesta. È proprio cos che si e espresso, giusto?» Ancora quindici minuti, penso Grand Cherokee. «Ora, Wang, e arrivato il momento buono per riacquistare punti. Ma stavolta dica la verita. Chi ha chiesto di lei?» «Un detective», borbotto Grand Cherokee. «Interessante. E quand’e stato?» «Ieri sera; gli ho mostrato la stanza di Yoyo. Mi ha rivolto le sue stesse domande.» «E lei gli avra dato le stesse risposte: avrebbe potuto scoprire qualcosa, ma c’era da sborsare del denaro.» Grand Cherokee annu con aria mesta. Se Xn fosse andato a raccontare quelle cose a Owen Jericho, avrebbe potuto scordarsi i soldi del detective. Obbediente, tiro fuori il biglietto da visita di Jericho e lo diede a Xn, che lo afferro con entrambe le mani, lo osservo con attenzione e lo mise in tasca. «C’e altro?» Certo, avrebbe potuto raccontare a Xn del gruppo di motociclisti, l’unica traccia che probabilmente conduceva davvero a Yoyo. Ma non avrebbe fatto un simile piacere a quel pezzo di merda. «’Fanculo», disse invece. «Nient’altro, quindi.» Xn assunse un’aria pensierosa. Usc dalla porta della sala di controllo, nello spazio tra la sbarra e la banchina. Non degno Grand Cherokee nemmeno di uno sguardo, come se improvvisamente il giovane avesse smesso di esistere. Cosa che, in quel momento, per Grand Cherokee sarebbe stata senza dubbio la soluzione migliore: non fare il minimo gesto, rimpicciolirsi alle dimensioni di un topolino, essere invisibile come una ditata su un monitor... almeno finché quel bastardo non avesse lasciato l’edificio. Tutto cio era chiaro come il sole per Grand Cherokee Wang, ma solo per la sua parte prudente, la quale diede alla parte annebbiata dall’odio un consiglio che venne ignorato. Strascicando i piedi, il ragazzo si porto alle spalle di Xn: voleva riacquistare la dignita del guardiano del drago, una dignita che era andata miseramente in frantumi. Magari gli avrebbe detto: «Lo sa che lei e uno stronzo senza pieta?» Sul fatto che fosse senza pieta, infatti, non c’erano dubbi, e Xn doveva esserne consapevole; chiamarlo «stronzo», pero, era assai riduttivo. E c’era pure il sospetto che a quell’uomo gli insulti scivolassero semplicemente addosso. Come poteva incastrare quel pezzo di merda? Cos, se la parte prudente di Grand Cherokee cercava con gli occhi un buco nel quale nascondersi, la parte spaccona voleva parlare. E disse: «Non credere di essere al sicuro, maledetto bastardo! »

Xn, che stava per oltrepassare la sbarra, si fermo. «Anzitutto chiamo Jericho», abbaio Grand Cherokee. «E subito dopo gli sbirri. Chi dei due sara piu interessato a te, eh? Ti conviene andartene da qui, e in fretta! Meglio se lasci Shanghai, se esci dalla Cina. Fatti un giretto sulla Luna, magari l hanno qualcosa per te, perché, se rimani qui sulla Terra, ti faccio fuori, te lo assicuro!» Xn si volto lentamente verso di lui. «Stupido idiota», mormoro in un tono che sembrava venato di compassione. «Io...» scatto Grand Cherokee. Poi si rese conto di aver appena commesso l’errore piu grande della sua vita. Xn si avvicino lentamente; non sembrava intenzionato a risolvere la questione a parole. Grand Cherokee indietreggio. «Il settore e videosorvegliato », disse, cercando di assumere un tono che non rivelasse il panico. «Ha ragione», annu Xn. «Devo sbrigarmi.» Lo stomaco di Grand Cherokee si contrasse. Il giovane fece un balzo all’indietro e cerco di valutare la situazione: il suo avversario si trovava fra lui e l’accesso al corridoio di vetro. Nella direzione di Xn, non c’era via d’uscita; subito dietro di sé si estendeva il bordo della piattaforma, al di la della quale c’erano le rotaie dell’ottovolante. La zona in cui i visitatori salivano e scendevano era protetta da una parete trasparente; a destra e a sinistra le rotaie si gettavano nel vuoto. Lo sguardo di Xn non lasciava dubbi. Con un balzo, Grand Cherokee salto sul vagone centrale. Il suo sguardo si poso sulla testa del drago. I singoli vagoni erano semplici piattaforme dotate di sedili, con braccioli e spalliere che ricordavano enormi squame o gigantesche ali, una cosa che, da lontano, conferiva all’insieme le sembianze di un rettile argentato. La struttura frontale era un abbozzo di una testa allungata; l era collocata un’unita di controllo separata che, in caso di necessita, permetteva di manovrare il treno per un breve tratto. Pero era possibile farlo solo nei tratti orizzontali e non durante il giro della morte. Nella parte in cui le rotaie costeggiavano i piloni laterali dell’edificio, subito prima di lanciarsi verso l’alto, si trovavano diversi accessi per l’interno della struttura. Dentro i piloni c’erano attrezzature tecniche e magazzini. I ponti di acciaio invece sfociavano nelle facciate di vetro dei piloni e servivano, in caso di emergenza, come vie di evacuazione, nell’eventualita in cui qualcosa impedisse al treno di raggiungere la stazione successiva. Da l si arrivava alle scale e a un ascensore; la zona non era raggiungibile dal corridoio in vetro. Ecco quali erano le considerazioni che stava facendo Grand Cherokee, fermo sul treno come un animale in agguato. Stava perdendo tempo invece di agire e, quando Xn salto tra lui e la testa del dragone, cap di aver commesso il secondo errore. Solo due file di sedili li di-

videvano e Grand Cherokee si rese conto di aver sprecato l’unica opportunita di raggiungere l’unita di controllo. Medito di saltare di nuovo sulla banchina, ma in quel caso Xn gli sarebbe stato subito addosso; probabilmente non sarebbe nemmeno riuscito ad arrivare alla sbarra. Xn si avvicino. Si faceva strada tra le file di sedili con tale rapidita che Grand Cherokee smise di riflettere e scappo verso il fondo del treno. Poco piu avanti, la vetrata della stazione s’interrompeva e le rotaie si allontanavano sempre di piu dalla facciata dell’edificio, protendendosi verso l’esterno; poi, dopo circa venticinque metri, descrivevano una curva passando accanto al pilone laterale. «Un’idea davvero stupida», disse Xn, continuando ad avvicinarsi. Grand Cherokee fisso prima la rotaia, poi di nuovo Xn. Ormai aveva capito di essersi spinto troppo oltre e che quel tizio aveva intenzione di ucciderlo. Maledetta Yoyo! Quella stupida carogna lo aveva messo in un bel guaio. La parte ragionevole di Grand Cherokee intervenne per sottolineare che era lui lo stupido, in quel momento. Perché non procedere semplicemente stando in equilibrio sulle rotaie? E, quando la parte sfrontata gli rispose a tono, aggiunse: «Hai un grande vantaggio, non soffri di vertigini». E se Xn ne soffre? Con la consapevolezza che le grandi altezze non erano un problema, Grand Cherokee sent la paralisi abbandonare improvvisamente il suo corpo. Pronto a tutto, mise un piede sulla rotaia. Fece un passo, poi un altro. Mezzo chilometro sotto di sé vide l’ingresso del World Financial Center, coperto di verde e attraversato da vialetti pedonali. Sulla Shj Dadao - la superstrada a due livelli che, dal fiume, conduceva all’hinterland di Pudong - le auto sembravano formiche frettolose. Il sole filtrava attraverso l’imponente apertura della torre e Grand Cherokee lo percepiva sempre piu forte, a mano a mano che si allontanava dalla vetrata protettiva della stazione, avanzando sulle rotaie, metro dopo metro. Folate di vento caldo lo facevano oscillare. A sinistra, la facciata di vetro della torre si allontanava a ogni passo... o, meglio, era lui che si allontanava dall’edificio. A destra, c’era il tetto della Jn Mao Dasha; sotto di lui e intorno a lui, si stagliavano gli edifici commerciali di Pudong e lo scintillante fiume Huangpu. Poi Shanghai si estendeva oltre i confini dell’immaginabile. Col cuore che batteva all’impazzata si fermo e giro la testa. Xn era in fondo al treno e lo osservava. Non lo stava seguendo. Quello stronzo non aveva il fegato per farlo. Grand Cherokee mosse un altro passo e scivolo fra due traverse. Il suo cuore si fermo. Come un gatto che sta per cadere, stese gambe e braccia davanti a sé, riuscendo ad afferrare le rotaie e penzolo sull’abisso per un lungo e terribile momento

prima di riuscire a tirarsi su. Respirando a fatica, cerco di rimettersi in piedi: si ritrovo a meta strada fra la stazione e la curva, nel punto in cui le rotaie cominciavano a inclinarsi. Il vento gli soffiava sotto l’impermeabile, del tutto inadatto per una passeggiata a cinquecento metri di altezza. Col respiro affannoso, si guardo di nuovo intorno. Xn era scomparso. Devo andare avanti, penso. Quanto manca al passaggio? Venticinque, trenta metri al massimo. Quindi avanti. Muoviti, raggiungi quella maledetta curva. Mettiti in salvo. Chi se ne importa di dov’e finito Xn? Con rinnovato coraggio, si tenne in equilibrio, di nuovo padrone dei propri sensi, mentre uno strano rumore gli rimbombava nelle orecchie. Quel rumore. Era a meta tra un ronzio e un crepitio, preceduto da un secco colpo metallico. Lo si sentiva svanire nella direzione opposta. Gli fece gelare il sangue nelle vene, anche se era un rumore familiare, dal momento che lo sentiva diverse volte al giorno, tutte le volte che prestava servizio lassu. Il drago. Xn aveva fatto partire il treno. Un urlo di terrore gli usc dalla gola, fu portato lontano dalle raffiche di vento caldo e ricadde su Pudong. Piagnucolando, Grand Cherokee continuo a muoversi appeso al binario, cercando di procedere il piu velocemente possibile. Il suo udito gli segnalo che il drago era sparito dietro il pilone nord, poi lo vide riapparire tra le fessure della rotaia: per ora procedeva lentamente ma, non appena avesse raggiunto il tetto, avrebbe preso velocita e allora... Il ragazzo striscio in avanti con frenesia, entrando nell’ombra del pilone sud. I binari s’inclinarono sensibilmente. Non gli rimase altra scelta che aggrapparsi con braccia e gambe e procedere in quella posizione. Troppo lento. Troppo lento. La paura mi fara scoppiare il cuore, penso Grand Cherokee. Forse dovrei provare con qualche imprecazione. La cosa funziono. Con voce stridula, urlo diversi insulti al cielo azzurro, afferro il metallo caldo delle rotaie e avanzo a scatti, come se stesse strisciando. Il tratto di rotaia comincio a tremare. Per due volte, lui rischio di perdere l’equilibrio, ma per due volte riusc a mantenerlo e a proseguire con ostinazione. Sopra di lui, un fischio acuto segnalo agli inesistenti passeggeri che il convoglio aveva raggiunto il punto piu alto e che adesso avrebbe seguito la linea del tetto.

Ma Grand Cherokee non era ancora arrivato a destinazione. Nel tentativo di gettare un’occhiata al drago, vide solo se stesso riflesso nella facciata del pilone: un vero spettacolo, in un certo senso. Il drago aveva appena superato la catapulta. Il binario comincio a vibrare con violenza. Grand Cherokee avanzo ancora un po’. «Ti prego, ti prego, ti prego...» mormoro, come fosse un mantra, al ritmo delle oscillazioni dei binari. «Ti prego...» Raddanng! «Ti prego...» Raddanng! Giro intorno al pilone. A meno di dieci metri, scorse i ponti di acciaio che collegavano le rotaie con l’edificio. Il dragone si piego, lanciandosi giu dal tetto. «Ti prego...» Con un fragore assordante, il treno si scaglio verso il basso, si avvito nell’anello del giro della morte e scatto di nuovo verso l’alto. L’intera costruzione si muoveva: davanti agli occhi di Grand Cherokee, le rotaie danzavano avanti e indietro. Si mise in piedi, riusc a saltare diverse traverse e a mantenere l’equilibrio nonostante l’inclinazione di quel tratto. Cinque metri. Quattro. Il dragone stava uscendo dall’anello... Tre metri. ... sfrecciava lungo la curva... Due. ... lo raggiunse. Nel momento in cui il treno supero il ponte di accesso, Grand Cherokee comp uno sforzo quasi sovrumano: con un urlo selvaggio, si diede lo slancio e salto nel vuoto. Sotto di lui, sibilava la prua appuntita del vagone frontale. Apr le braccia per trovare un appiglio in qualche sedile e riusc ad afferrare qualcosa, ma perse subito il contatto. Urto contro lo schienale di una fila di sedili, fu scaraventato in aria, piroetto nel vuoto e, per un attimo, sembro puntare verso l’azzurro del cielo, come se avesse deciso di decollare per lo spazio. Poi cadde. L’ultima cosa che Grand Cherokee Wang penso fu che almeno ci aveva provato. E che, in fondo, non era stato cos male. Xn alzo la testa e vide un gruppo di persone entrare nell’osservatorio di vetro. Anche il corridoio avrebbe aperto a breve. Aveva giusto il tempo di svignarsela. Conosceva il funzio-

namento delle centrali di vigilanza dei grattacieli e sapeva che, durante l’ultimo quarto d’ora, praticamente nessuno aveva dato un’occhiata ai monitor. In piu, anche se qualcuno lo avesse fatto, non avrebbe notato niente di strano. Escludendo il fatto che, per ben due volte, Wang era crollato sul pavimento della sala di controllo, per la maggior parte del tempo i due avevano dato l’impressione di essere soltanto due buoni amici impegnati in una conversazione. Ora pero aveva svegliato il drago, e prima del solito orario. Qualcuno lo avrebbe notato. Doveva andarsene. Xn si guardo intorno. Tolse rapidamente con la manica le sue impronte digitali dal display, poi si fermo e pul anche tutti i punti in cui avevano imperversato le dita unte di Grand Cherokee. Temeva che altrimenti le macchie lo avrebbero tormentato fino alla morte. Certe cose tendevano a fissarsi nella testa di Xn come sanguisughe. Alla fine, avanzo lungo il corridoio e ripercorse la strada fatta per arrivare alla sala di controllo. Nell’ascensore, si tolse parrucca e occhiali, si strappo via i baffi finti dal labbro superiore e rivolto la giacca. Era un modello realizzato apposta per lui, in modo che si potesse portare da entrambi i lati: nella giacca grigia - diventata color sabbia - ficco la parrucca, i baffi e gli occhiali. Decise di cambiare ascensore nella Sky Lobby del ventottesimo piano, raggiunse il seminterrato, attraverso il centro commerciale e usc nella luce del sole. Diverse persone stavano correndo verso il lato sud dell’edificio. Le grida si facevano sempre piu forti. Qualcuno urlava qualcosa a proposito di un suicida. Un suicidio? Tanto meglio. Poi, mentre percorreva il tratto alberato fino al parcheggio, Xn tiro fuori il biglietto da visita del detective privato. Limit 27 MAGGIO 2025 FANTASMI GAIA HOTEL, VALLIS ALPINA, LUNA La mente di Julian era un generatore d’idee straordinarie e lui si vantava di poterla accendere e spegnere a piacere. Quando i problemi irrisolti minacciavano di seguirlo sotto le coperte, lui decideva semplicemente di addormentarsi e scivolava in una specie di stato comatoso non appena appoggiava la testa sul cuscino. Il sonno era il pilastro portante della sua salute fisica e mentale, e sulla Luna finora aveva sempre dormito benissimo. Ma non quella notte. Continuavano a frullargli per la testa i discorsi fatti durante la cena, in particolare l’osservazione di Walo Ögi, che gli aveva chiesto perché non mettesse fine alla collaborazione esclusiva con Washington e aprisse a tutti il bazar delle sue tecnologie. In effetti,

era ben diverso accettare l’offerta migliore o accettare tutte le offerte. Faceva una notevole differenza persino sul piano etico. Favorire una sola parte, quand’era in gioco il benessere di dieci miliardi di persone - sebbene non tutte si sarebbero precipitate a costruire un ascensore spaziale nel giardino di casa -, rischiava di farlo apparire subdolo e avido... proprio lui, che aveva sempre difeso la propria indipendenza e, nei discorsi ufficiali, parlava sempre di responsabilita globale, stigmatizzando l’inutilita del braccio di ferro tra le nazioni. Cio che teneva sveglio Julian quella notte era il fatto che le sue aspirazioni segrete avevano trovato di nuovo conferma. Tanto piu che l’accesso universale ai suoi brevetti non avrebbe solo stimolato lo sfruttamento economico della Luna, ma anche migliorato gli affari... e la cosa non era affatto in contrasto con le sue considerazioni di tipo morale. Ögi aveva centrato il punto: se tre o quattro Paesi in piu avessero avuto a disposizione un ascensore spaziale e avviato l’estrazione dell’elio-3 lunare, la conversione mondiale alla fusione fredda sarebbe stata completa nel giro di pochi anni. L’Orley Enterprises - nello specifico l’Orley Space - avrebbe potuto cofinanziare la costruzione dell’ascensore delle nazioni meno ricche, dando all’Orley Energy la possibilita di accaparrarsi diritti esclusivi per l’approvvigionamento di energia elettrica. Cio avrebbe fatto prosperare il settore dei reattori e trasformato l’Orley Energy nel piu grande fornitore di energia elettrica del pianeta. Certo, Washington non avrebbe fatto i salti di gioia... Be’, pazienza, avrebbe dovuto farsene una ragione. Ma le cose non erano cos semplici. Piu volte Zheng Pang Wang aveva tentato di convincerlo a passare dalla parte di Pechino, ma Julian aveva sempre rifiutato senza esitazioni. Poi, un giorno, a Londra, mentre pranzava con lui nel lussuoso ristorante cinese Hakkasan, all’improvviso Julian aveva capito che avrebbe tradito il suo partner americano soltanto se fosse andato a letto con un unico altro partner. Mettere i suoi servigi a disposizione di tutti invece non era diverso dall’offrire a ogni essere umano di ogni Paese del mondo una Toyota o un Big Mac. Ovviamente Washington sarebbe stata di tutt’altro avviso. Avrebbe fatto appello all’accordo di reciprocita, nel quale sull’esempio del fast food - Julian metteva a disposizione la carne e lo Stato forniva i panini, dal momento che nessuno dei due avrebbe potuto andare avanti senza l’altro. In un attacco di espansivita, aveva confidato i suoi pensieri a Zheng. L’anziano cinese per poco non aveva fatto cadere le bacchette nel piatto. «No, no, mio rispettabile amico. Si possono avere una moglie e una concubina. Cosa puo farci la concubina se il suo amante e gia sposato? Niente. Si rallegrera del fatto di poter condividere la vita agiata della moglie. Ma il suo entusiasmo svanirebbe all’istante se, all’improvviso, arrivassero altre concubine a spartirsi la torta. La Cina ha investito troppo. Proviamo rammarico, ma anche grande rispetto, per il fatto che lei provi un simile attaccamento per sua ’moglie’. Pero, se improvvisamente spuntassero ascensori ovunque e chiunque potesse piantare la propria

bandiera sulla Luna, allora sorgerebbero enormi problemi. Tutto cio sarebbe fonte di grande preoccupazione per Pechino.» Di grande preoccupazione... «È possibile sopravvivere a un tale cambiamento di rotta?» L’osservazione di Rogacev lo aveva irritato, perché evidenziava una volta di piu l’arroganza dei governanti e degli organi statali. Un mucchio di gente inutile. Che razza di globalizzazione era quella in cui gli attori non erano minimamente disposti a condividere le proprie conoscenze con gli altri, e bisognava convivere con la prospettiva di finire assassinati per aver tentato di dividere la torta in modo equo? Piu ci pensava e piu gli allarmi chimici inondavano il suo ipotalamo. Alla fine, poco prima delle cinque, decise che era meglio smetterla di rigirarsi nel letto. Fece una doccia e penso di sfruttare l’occasione piu unica che rara della sua insonnia per fare una passeggiata intorno alla gola, benché si sentisse - almeno fisicamente - stanco morto. Ando in soggiorno, indosso una paio di pantaloncini e una T-shirt, sbadiglio e infilo un paio di mocassini leggeri. Quando sollevo la testa, gli sembro di scorgere un movimento all’altezza del bordo sinistro della finestra, un riflesso sfuggente. Fisso il paesaggio oltre la vetrata. Non c’era niente. Tergiverso senza sapere bene cosa fare, poi scrollo le spalle e lascio la suite. Nessuno in vista. Nulla di strano: i suoi compagni di viaggio erano tutti esausti. Raggiunse l’armadio con le tute spaziali e inizio a vestirsi. Infilo la stretta bardatura coi rinforzi in acciaio, applico la protezione pettorale e lo zaino, prese il casco sottobraccio e si diresse verso i sotterranei. Quando raggiunse il corridoio, per un attimo credette di avere le allucinazioni. Dalla stazione, gli stava venendo incontro un astronauta. Julian socchiuse le palpebre. L’altro si avvicinava rapidamente sul tapis roulant. La luce bianca rischiarava la sua silhouette. D’un tratto, ebbe la bizzarra sensazione di fissare un mondo speculare e vedere se stesso all’altra estremita del corridoio. Poi il cranio ovale, i capelli rasati, il mento pronunciato e gli occhi scuri si assemblarono sino a formare un volto familiare. «Carl!» esclamo, esterrefatto. Hanna non sembrava meno sorpreso di lui. «Cosa diavolo ci fai qui?» Scese dal tappeto mobile e si avvicino a Julian, che sollevo le sopracciglia, irritato, e si guardo intorno, come se dalle pareti potessero spuntare altri ospiti troppo mattinieri. «Potrei farti la stessa domanda.» «Be’, sinceramente...» Hanna aveva lo sguardo di chi era stato colto in fallo, e un sorriso ebete dipinto in volto. «Io...»

«Non dirmi che sei uscito!» Hanna sollevo entrambe le mani. «No. Lo giuro.» «Ma volevi farlo.» «Hmm...» «Avanti, parla.» «Be’, s, solo un salto dall’altra parte della gola, per osservare Gaia.» «Da solo?» «Certo, da solo!» L’aria da scolaretto spar dal viso di Hanna per lasciare il posto allo sguardo di un uomo adulto. «Mi conosci. Non sono il tipo che dorme otto ore e probabilmente non sono nemmeno tagliato per i viaggi di gruppo. Insomma, ero sdraiato nel letto e d’un tratto ho pensato: Chissa com’e sentirsi l’unico uomo sulla Luna. Chissa com’e passeggiare la fuori tutto solo, senza gli altri, immaginando che non ci sia nessuno oltre a me.» «Un’idea stupida.» «Un’idea che potrebbe essere tua.» Hanna alzo gli occhi al cielo. «Dai, non fare cos. Nei prossimi giorni, saremo sempre in giro con tutto il gruppo, giusto? E per me va bene, davvero. Gli altri mi piacciono, non me la svignero. Pero volevo sapere cosa si prova.» Julian si accarezzo la barba. Poi sorrise. «A quanto sembra, comunque, non ho nulla di cui preoccuparmi. Ti sei perso prima ancora di mettere un piede fuori.» Hanna rise. «Gia, che idiota, vero? Ho dimenticato dove si trovano quei maledetti boccaporti. So che ce li avete mostrati, ma...» «Qui. Proprio qui davanti.» Hanna giro la testa. «Oh, fantastico. E c’e pure scritto sopra bello grande», disse in tono contrito. «E bravo il nostro viaggiatore solitario», lo prese in giro Julian. «Peraltro io ho avuto la tua stessa idea.» «Quale? Uscire tutto solo?» «No, idiota. E tieni conto che io ho un sacco di esperienza pratica che tu non possiedi. Questa non e una delle tue piste da jogging. È pericoloso.» «Certo. Vivere e pericoloso in sé.» «Dico sul serio.» «Sciocchezze, Julian, conosco bene la tuta spaziale. Ho partecipato a un’EVA sull’OSS, a un’altra durante il viaggio per venire qui... tutte cose ben piu pericolose che calpestare un po’ di regolite.» «Vero, pero...» Pero volevo svignarmela esattamente come te, penso Julian. «Le norme prescrivono che nessuno esca senza essere accompagnato, perlomeno nessun turista.»

«Benissimo», esclamo Hanna, tutto allegro. «Adesso siamo in due. A meno che tu non preferisca restare da solo.» Julian rise. «Sciocchezze.» Si diresse verso il boccaporto e apr la paratia interna. «Dato che ti sei fatto scoprire, adesso devi farmi compagnia, che tu lo voglia o no.» Hanna lo segu. Il boccaporto poteva ospitare venti persone, cosicché i due gironzolarono all’interno, un po’ sperduti mentre le tute eseguivano i test automatici. Sbalordito, Hanna si chiese quanto fosse alta la probabilita matematica di quell’incontro. Se era vero che l’essere umano viveva in uno soltanto d’innumerevoli universi paralleli, nei quali si realizzava ogni possibile sviluppo della realta e in cui magari esistevano sauri intelligenti e Hitler aveva vinto la guerra, perché lui doveva trovarsi proprio in quello in cui Julian aveva imboccato il corridoio in quell’istante? Perché non dieci minuti piu tardi, dandogli la possibilita di raggiungere la suite senza essere visto? L’unica consolazione era che, in altre realta, le circostanze avrebbero potuto essere ancora piu sgradevoli: per esempio se Julian avesse assistito al suo arrivo col Lunar Express... Dovevano stare ancora piu attenti, essere ancora piu vigili. Lui ed Ebola. XINTIANDÌ, SHANGHAI, CINA «Interessante, il tuo programma», disse Jericho. «Ah!» esclamo Tu Tian, divertito. «Mi stavo giusto chiedendo quando mi avresti chiamato. Quale hai provato?» «Il quartiere francese. Non hai davvero intenzione di diffondere questa roba, vero?» Tu Tian sorrise. «Abbiamo tolto... il pepe, per cos dire. Come ti ho detto, si tratta di un prototipo. Per uso strettamente interno, quindi non ti azzardare a venderlo. Ho pensato che ti avrebbe fatto bene divertirti un po’. Inoltre volevi conoscere Yoyo.» «Sono state un’idea sua? Le frecciate contro il Partito, intendo. » «S, il testo e di Yoyo. Si tratta di registrazioni di prova, lei ha improvvisato. Ci hai provato?» «Certo. Ci ho provato e l’ho insultata.» Tu Tian ridacchio. «Impressionante, vero?» «Un po’ di varieta nelle risposte non guasterebbe. Ma, per il resto, un programma decisamente riuscito.» «La versione destinata al mercato funziona con l’intelligenza artificiale. Puo generare ogni tipo di reazione in tempo reale. A questo scopo, non abbiamo piu nemmeno dovuto filmare Yoyo, né registrare l’audio. Il sintetizzatore e in grado di simulare la sua voce, i movimenti delle sue labbra, la sua gestualita, tutto. La tua e una versione ancora molto semplificata. In compenso, hai avuto a disposizione l’autentica Yoyo.»

«Una cosa me la devi spiegare.» «Se non vai a vendere l’informazione alla Dao IT.» Idiota, penso Jericho, ma tenne il commento per sé. «Sai bene che non lo farei mai», disse invece. «Era solo una battuta.» Tu Tian si pul i denti, tiro fuori qualcosa di verde dalla bocca e lo getto via. Jericho cerco di non guardare, ma inevitabilmente il suo sguardo si sposto nella direzione in cui il frammento era atterrato. La cosa che lo irritava era che, sulla nuova parete multimediale, Tu Tian non veniva proiettato solo a grandezza naturale, ma anche a tre dimensioni: si aveva l’impressione che il loft di Jericho avesse temporaneamente guadagnato un locale. Non si sarebbe meravigliato di trovare il frammento di cibo sul parquet. Certo che la visione tridimensionale di Tu Tian non era neanche lontanamente piacevole come quella di Naomi Liu. Lei aveva davvero delle belle gambe... «Owen?» Jericho sbatté le palpebre. «Ho notato che la figura di Yoyo e molto stabile in mezzo alla folla. Come ci siete riusciti?» «Segreto aziendale», disse Tu Tian con voce flautata. «Spiegamelo. Altrimenti saro costretto a far visita al mio oculista. » «I tuoi occhi sono a posto.» «Evidentemente no. Le lenti degli occhiali sono trasparenti come il vetro di una finestra. Attraverso di esse vedo la realta. Il tuo programma puo proiettare qualcosa, ma non modificare la realta.» «Ah, e questo che fa?» sorrise Tu Tian. «Sai benissimo cosa fa. Fa temporaneamente scomparire le persone.» «Non hai mai pensato che pure la realta potrebbe essere solo una proiezione?» «Puoi essere un po’ meno criptico?» «Diciamo che potremmo anche fare a meno delle lenti.» «E Yoyo comparirebbe comunque?» «Bingo!» «Ma su quale supporto?» «Comparirebbe perché nulla di quello che vedi e la pura e semplice realta. Nelle stanghette e nella montatura degli occhiali sono nascoste minuscole telecamere che forniscono al computer un’immagine del mondo reale, in modo che sappia come e dove inserire Yoyo. Quello che forse non hai notato sono i proiettori sul bordo interno dell’occhiale.» «So che Yoyo viene proiettata sulla lente dell’occhiale.» «Invece no.» Tu Tian era scosso da una irrefrenabile risata. «Il vetro e superfluo. Le telecamere creano un’immagine completa, formata dall’ambiente e da Yoyo. E questa immagine

viene proiettata direttamente sulla tua retina.» Jericho fisso Tu Tian. «Vuoi dire che nulla di quello che ho visto...» «Oh, no, quello che hai visto e il mondo reale. Ma non di prima mano. Vedi quello che filmano le telecamere, e il filmato e manipolabile. In tempo reale, s’intende. Possiamo colorare il cielo di rosa, far scomparire le persone o far loro crescere le corna. Trasformiamo i tuoi occhi nello schermo di un cinema.» «Incredibile.» Tu Tian scrollo le spalle. «Sono applicazioni efficaci della realta virtuale. Sapevi che la maggior parte delle malattie che provocano la cecita e riconducibile a un offuscamento del cristallino? La retina sottostante e a posto, e noi proiettiamo il mondo visibile direttamente sulla retina. Ridiamo la vista ai ciechi. È questo il segreto.» Jericho si gratto il mento. «Capisco. E Yoyo ha collaborato al progetto.» «Gia.» «Ti fidi davvero molto di lei.» «È brava. Ha ottime intuizioni. È un’autentica fucina d’idee.» «Ma e una stagista!» «Il fatto e irrilevante.» «Non per me. Devo sapere con chi ho a che fare, Tian. Fino a che punto e scaltra, quella ragazza? È davvero solo una...» «Dissidente», avrebbe voluto dire, ma rimase in silenzio, evitando di commettere uno stupido sbaglio. Diamond Shield avrebbe subito estrapolato la parola dalla conversazione, registrandola nei suoi file. «Yoyo se ne intende», taglio corto Tu Tian. «Non ho mai sostenuto che sarebbe stato facile trovarla.» «No. Non l’hai mai fatto», mormoro Jericho, rivolto soprattutto a se stesso. «Forza e coraggio, su. In compenso, mi e venuta in mente un’altra cosa.» «Sono tutt’orecchi.» «A quanto pare, Yoyo e amica di alcuni membri di una banda di motociclisti. A me non ha mai presentato quei tizi, pero mi ricordo che sui loro giubbotti c’e scritto City Demons. Forse questo ti puo aiutare.» «Lo sapevo gia, grazie. Per caso Yoyo ti ha detto dove s’incontrano? » «Temo che questo dovrai scoprirlo da solo.» «D’accordo. Se ti venisse in mente altro...» «Te lo faccio sapere. Aspetta...» Al di la della proiezione risuono la voce di Naomi Liu. Tu Tian si alzo e spar. Jericho sent i due parlottare, poi Tu Tian torno alla scrivania. «Scusa, Jericho, ma a quanto sembra c’e stato un suicidio.» Esito. «O un incidente. »

«Cos’e successo?» «Una cosa terribile. Qualcuno e precipitato dal tetto. L’ottovolante era in funzione fuori orario. Evidentemente la vittima lavorava lassu. Ti richiamo, okay?» «Okay.» Jericho resto seduto davanti alla parete bianca, assorto nei suoi pensieri. Qualcosa che aveva detto Tu Tian lo aveva turbato. Si chiese quale ne fosse il motivo. Ovunque la gente si gettava dai grattacieli, e la Cina deteneva il record di suicidi, superando anche il Giappone. Inoltre i grattacieli offrivano la possibilita piu economica ed efficace per togliersi la vita. A turbarlo non era il suicidio in sé. Allora cos’era? Prese la chiavetta che gli aveva dato Tu Tian e la appoggio sulla superficie del piano di lavoro, poi scarico le visite guidate virtuali di Yoyo, la sua scheda personale, i protocolli delle conversazioni e gli altri documenti. La scheda personale conteneva anche il suo codice genetico, la scannerizzazione vocale e quella dell’iride, le impronte digitali e il gruppo sanguigno. Grazie alle visite guidate, poteva prendere confidenza con la sua gestualita, la mimica e il modo di parlare. Dai documenti e dalle conversazioni era possibile estrapolare espressioni e modi di dire, metafore e costruzioni sintattiche. Nel complesso, aveva un profilo personale utilizzabile. Un insieme di dati con cui poteva lavorare. Ma forse bisognava iniziare con quello che non aveva. Ando online e chiese al computer di cercare le parole «City» e «Demons». Apparvero una squadra di football del New South Wales e un’altra in Nuova Zelanda; una squadra di pallacanestro di Dodge City, nel Kansas, nonché una gothic band vietnamita. Sembrava che non ci fossero demoni a Shanghai. Dopo aver ampliato i criteri di ricerca, finalmente trovo una corrispondenza. Due membri del club motociclistico City Damons erano stati coinvolti in una rissa con una mezza dozzina di nordcoreani ubriachi che avevano osato intonare l’inno del loro defunto leader nel Club DKD sulla Huaihai Donglu. I motociclisti se l’erano comunque cavata con un’ammonizione: con un decreto retroattivo, infatti, il governo cinese aveva dichiarato Kim Jong-un «persona non grata» e cio per adeguarsi all’atmosfera instauratasi nella nuova Corea unita. Per tutta una serie di motivi, Pechino faceva ogni sforzo per soffocare sul nascere ogni espressione nostalgica nei confronti del totalitarismo nordcoreano. City Damons. Con la A. Subito dopo, scovo un blog che parlava della scena hip-hop di Shanghai e in cui veniva commentato l’episodio accaduto al Club DKD: il gesto dei due membri dei City Demons - con la E -, che avevano indicato l’uscita ai diavoli nordcoreani a calci nel sedere, era narrato in termini entusiasti. Jericho clicco sul link e arrivo in un forum di motociclisti che confermo il suo

sospetto: gli articoli erano stati messi in rete dagli stessi City Demons, e si rivelo come la piattaforma pubblicitaria di un’officina per motociclette elettroniche e ibride di nome Demon Point, il cui proprietario con ogni probabilita apparteneva lui stesso ai City Demons. Molto interessante. L’officina si trovava infatti ai margini di Quyu: un mondo parallelo, in cui quasi nessuno aveva un computer o un accesso a Internet, ma dove a ogni angolo c’era una sorta di buco nero chiamato Cyber Planet, che risucchiava gli adolescenti per non risputarli mai piu. Un mondo governato da diversi clan, dipendenti dalla Triade, che talvolta si aggregavano, ma di solito si scontravano, sempre uniti soltanto nel perpetrare ogni crimine possibile e immaginabile. Un mondo fatto di gerarchie complesse, al di fuori delle quali nessuno dei suoi abitanti valeva qualcosa. Un mondo che ogni giorno forniva ai quartieri piu dignitosi intere schiere di operai a buon mercato e forze lavoro non qualificate, per riassorbirle la sera; un mondo che aveva ben poco da offrire, ma che attirava magicamente i rappresentanti delle classi sociali piu agiate, perché aveva qualcosa che, nella rinnovata Shanghai, non era possibile trovare da nessun’altra parte: il riflesso affascinante e variopinto della putrefazione umana. Quyu, la zona, il mondo dimenticato. Il luogo perfetto, se si voleva sparire dalla circolazione. La piccola officina non si trovava a Quyu, ma era abbastanza vicina per fungere da porta di accesso. Jericho sospiro. Si vedeva costretto a compiere un passo che non avrebbe voluto fare. La sua collaborazione con la polizia di Shanghai dipendeva dal coinvolgimento degli agenti nei casi di spionaggio o di corruzione che lui aveva per le mani. Nel caso di mostri come Animal Ma Lpng, avevano combattuto a spalla a spalla ma, ancor prima di scovare quello stupratore pedofilo, Jericho si era guadagnato il rispetto delle autorita. E, pur con cautela, alcuni agenti gli avevano fatto capire di essere disposti a fornirgli informazioni in caso di necessita. Inoltre, dall’incubo di Shenzhen Sh, Patrice Ho, il suo amico delle alte sfere della polizia, gli doveva un favore. A Jericho non sarebbe dispiaciuto pretendere da Ho che saldasse il suo debito, chiedendogli di dare una sbirciatina ai database della polizia. Ma, se Yoyo aveva davvero le autorita alle calcagna, la cosa era fuori discussione. E cio significava che doveva entrare nel sistema con un’azione pirata. Ci aveva gia provato per due volte. Riuscendoci. Aveva giurato a se stesso di non provarci una terza volta. Se lo avessero scoperto, sapeva bene cosa lo aspettava. Da quando, nel 2007, Pechino era penetrata abusivamente nelle reti governative europee e americane, l’Occidente era passato al contrattacco, spalleggiato da hacker russi e arabi. Da allora, gli attacchi informatici erano un autentico spauracchio per la Cina. Di conseguenza, chi s’infiltrava nei sistemi cinesi non poteva aspettarsi nessuna pieta.

In preda a sentimenti contrastanti, si mise al lavoro. Poco tempo dopo, si trovava dentro diversi database. Quasi ogni settore del tessuto urbano era dotato di scanner, nascosti nelle facciate degli edifici, nei semafori, nei cartelli stradali, nelle maniglie dei portoni, nei campanelli, nei tabelloni pubblicitari, nelle etichette, negli specchi, nelle attrezzature e negli elettrodomestici. Leggevano la retina, rilevavano dati biometrici, analizzavano andatura e gestualita, registravano voci e rumori. Mentre il sistema di ascolto era stato perfezionato gia decenni prima, sul modello dell’NSA americana, l’analisi della retina era una tecnica relativamente recente. Gli scanner riconoscevano la struttura individuale dell’iride umana da molti metri di distanza e abbinavano i dati al suo proprietario. Microscopici microfoni direzionali filtravano le frequenze dai rumori di un incrocio trafficato, consentendo di ascoltare con estrema chiarezza le conversazioni. Ma la vera arte della sorveglianza risiedeva nell’analisi dei dati. Il sistema localizzava i ricercati grazie al loro modello comportamentale e ne riconosceva i volti, persino se portavano barbe posticce. Un unico sguardo di Yoyo in uno degli immancabili scanner sarebbe bastato per identificare la sua retina, rilevata per la prima volta alla nascita, una seconda volta all’inizio del ciclo scolastico, poi all’iscrizione all’universita e infine quand’era stata arrestata e poi rilasciata. Il computer di Jericho inizio ad analizzare ogni guizzo di Yoyo: s’immerse nella struttura dell’iride, misuro l’angolazione con la quale si sollevavano gli angoli della bocca quando lei sorrideva, creo grafici del modello comportamentale dei suoi capelli quando venivano accarezzati dal vento, determino la scala del movimento delle anche, la divaricazione delle dita quando ciondolava le braccia, la posizione del polso se indicava qualcosa, la lunghezza media dei suoi passi. Yoyo si trasformo in una creatura fatta di equazioni, un algoritmo che Jericho invio nel mondo di fantasmi dei database statali nella speranza di trovare qualche corrispondenza. Sebbene lui avesse circoscritto la ricerca all’arco di tempo immediatamente successivo alla sua scomparsa, il sistema segnalo piu di duemila corrispondenze. Carico i dati rubati sul proprio disco fisso, li memorizzo nella cartella Yoyofiles e si scollego il piu in fretta possibile. Il suo raid era passato inosservato. Era tempo di analizzare i dati. Un attimo, mancava ancora una tessera del puzzle. Per quanto sembrasse improbabile, forse quello studente dal nome avventuroso aveva davvero qualcosa da offrire. Come si chiama? Ah, sì, Grand Cherokee Wang. Grand Cherokee... La mente di Jericho fu scossa da un lampo di consapevolezza. Wang - lo aveva scoperto durante le sue ricerche - aveva un lavoro part time al World Financial Center, l’edificio in cui si trovava anche l’azienda di Tu Tian. Faceva funzionare il Silver Dragon...

E il Silver Dragon era un ottovolante. «L’ottovolante era in funzione fuori orario. Evidentemente la vittima lavorava lassu», aveva detto Tu Tian. Jericho fisso il vuoto, impietrito. Il suo istinto gli diceva che lo studente non si era buttato di sua spontanea volonta né era stato vittima di un incidente. Wang era morto perché sapeva qualcosa su Yoyo. No, non per quello. Perché aveva dato l’impressione di sapere qualcosa su Yoyo. Ora il caso gli appariva sotto una luce completamente nuova. Attraverso il loft, ando in cucina e disse: «Te. Lady Grey. Una tazza, doppio zucchero, latte normale». Mentre la macchina preparava la bevanda richiesta, ripasso le informazioni. Forse vedeva fantasmi ovunque, ma il suo dono di afferrare collegamenti la dove altri vedevano solo cose isolate non l’aveva mai ingannato. Era chiaro che, oltre a lui, qualcun altro stava cercando Yoyo. Non ne era sorpreso. Sia Chén sia Tu Tian avevano ipotizzato che Yoyo stesse fuggendo da qualcuno. Entrambi pero si erano dimostrati scettici all’idea che si trattasse della polizia, anche se forse Yoyo ne era convinta. Stavolta non erano venuti degli agenti a prelevarla, come le due volte precedenti; lei si era semplicemente volatilizzata durante la notte. Una mossa affrettata, almeno in apparenza. Qualcosa doveva aver risvegliato in Yoyo il timore di ricevere, entro pochi minuti o poche ore, la visita di persone non troppo ben disposte nei suoi confronti. Cosa aveva fatto prima di prendere il largo? Era stata avvertita? Da chi? E perché? Se Wang aveva detto la verita, nel momento cruciale la ragazza era sola, quindi forse aveva ricevuto una telefonata: «Vattene finché sei in tempo». Oppure un’email. Forse invece non era accaduto nulla di tutto questo. Forse Yoyo aveva semplicemente scoperto qualcosa in rete e si era spaventata. Dalla cucina giunse un timido fischio: il te era pronto. Jericho afferro la tazza, si scotto le dita, impreco e bevve un sorso. Decise che avrebbe chiesto al servizio clienti di riprogrammare la macchina. «Doppio zucchero» era troppo dolce; «zucchero semplice» era troppo amaro. Soprappensiero, torno alla sua postazione di lavoro. I poliziotti di Shanghai non erano schizzinosi, pero raramente buttavano giu dai tetti gli indiziati. Era molto piu probabile che Grand Cherokee Wang si fosse imbattuto in un criminale. Aveva voluto bluffare. Uno spaccone che non aveva niente da vendere, solo che aveva giocato con la persona sbagliata. A chi diavolo aveva pestato i piedi Yoyo? «Breaking News», disse. «Shanghai. World Financial Center. » Sulla parete comparvero titoli e immagini. Jericho soffio sul te e chiese al computer di leggergli l’ultima notizia.

«Stamattina verso le 10.50 un uomo e precipitato dal World Financial Center a Shanghai, nel quartiere di Pudong», disse una suadente voce femminile. «Secondo le prime ricostruzioni, si tratta di un addetto alla manutenzione e alla manovra del Silver Dragon, l’ottovolante piu alto del mondo. Al momento dell’incidente, l’ottovolante era in funzione fuori orario. La procura ha aperto un’inchiesta a carico del gestore. Finora non e stato possibile appurare se si e trattato di un incidente o di suicidio, ma tutto sembra indicare che...» «Mostrare solo le notizie video», ordino Jericho. Si apr una finestra video. Una giovane cinese si era piazzata con la telecamera davanti alla Jn Mao Dasha e alle sue spalle si vedeva la parte inferiore del World Financial Center. Sotto l’espressione abbattuta, ottenuta con un rapido trucco, si coglieva la sua gioia per il fatto che qualche idiota, con la sua dipartita, le avrebbe permesso di sbarcare il lunario. «Non e ancora chiaro perché l’ottovolante fosse in funzione, senza passeggeri e al di fuori dell’orario regolare», disse, caricando ogni parola di un’aura di mistero. «Forse il video amatoriale di alcuni testimoni oculari, che per caso stavano filmando l’ottovolante al momento della disgrazia, potra spiegare la dinamica dei fatti. Se si e trattato di una disgrazia. Sull’identita della vittima attualmente non si hanno ancora...» «Il filmato dei testimoni oculari», la interruppe Jericho. «Identita del morto.» «Il filmato purtroppo non e disponibile.» Nel tono del computer era percepibile il rincrescimento. Jericho aveva impostato il livello emozionale del sistema sul venti per cento. Percio la voce non aveva un suono meccanico, bens umano e amichevole. «Ci sono due notizie sull’identita del morto.» «Leggere, per favore.» «Lo Shanghai Satellite scrive: ’La vittima si chiamava Wang Jntao. Wang era uno studente della...’» «L’altra notizia.» «L’agenzia di stampa Xn Hua scrive: ’Il morto e stato identificato come Wang Jntao. Wang, che si faceva chiamare Grand Cherokee, studiava...’» «Notizie sulle esatte circostanze della morte.» C’erano moltissime notizie al riguardo, ma nessuna certa. Tuttavia il quadro che ne derivava era interessante. Qualcuno aveva messo in moto il Silver Dragon con dieci minuti di anticipo, ancor prima dell’arrivo dei passeggeri. Grand Cherokee si occupava della manutenzione del sistema e si prendeva cura dei visitatori, il che in concreto significava controllare i biglietti e avviare il treno. Al momento dell’incidente, lassu non avrebbe dovuto trovarsi nessuno oltre a lui, tuttavia alcuni indizi facevano supporre il contrario. Due collaboratori della Sky Lobby sostenevano di aver visto Wang accogliere un uomo e salire in ascensore con lui. Altre indicazioni venivano dal filmato amatoriale, nel quale si vedeva Wang camminare sulla

rotaia mentre il treno era gia in funzione. Cosa diavolo ci faceva Wang lassu? Forse aveva fatto inavvertitamente partire il treno, ipotizzava un breve articolo dello Shanghai Satellite. Il suicidio sembrava la spiegazione piu ovvia. Ma perché un aspirante suicida avrebbe dovuto camminare in equilibrio su una rotaia, quando avrebbe potuto saltare nel vuoto dalla stazione aperta? Per di piu - segnalava un altro articolo -, sembrava che Wang fosse stato travolto dal treno. Un incidente? In ogni caso, nessuno parlava di omicidio; si accennava solo all’ipotesi di una responsabilita di terzi. Due minuti dopo, Jericho ne sapeva di piu. L’agenzia Xn Hua comunico che erano finalmente disponibili i filmati delle telecamere di sorveglianza. A quanto pareva, Wang era in compagnia di un uomo alto, che aveva abbandonato l’edificio subito dopo la sua caduta. Evidentemente tra i due c’era stata una lite, ed era ormai appurato che Wang aveva percorso la rotaia senza la minima cautela ed era stato travolto dal treno all’altezza del pilone sud. Jericho fin il suo te e rifletté. Perché quel giovane era morto? Chi era il suo assassino? «Computer. Aprire Yoyofiles», disse. Piu di duemila corrispondenze. Da dove iniziare? Decise di partire dai risultati col novantacinque per cento di corrispondenza. L’elenco si ridusse a centodiciassette file, nei quali il sistema di sorveglianza aveva creduto di riconoscere Yoyo. Ordino al computer di selezionare i contatti visivi diretti. Ce n’era uno solo, nelle immediate vicinanze del condominio in cui abitava Yoyo, avvenuto alle 02.47. Jericho non era in grado di dire dove si trovasse lo scanner, ma sospettava che fosse nascosto in un cartello stradale. In un file separato erano registrate le coordinate esatte. La donna dall’altra parte della strada era Yoyo, su quello non c’erano dubbi. Era in sella a una moto senza targa e teneva la testa bassa, entrambe le mani appoggiate sul casco. Poco prima d’indossarlo, sollevo gli occhi e guardo direttamente nello scanner, poi abbasso la visiera a specchio e part a razzo. «Trovata», mormoro Jericho. «Computer, riavvolgere il filmato. » Yoyo si tolse di nuovo il casco. «Stop.» Lei lo guardava dritto negli occhi. «Ingrandire al duecentotrenta per cento.» La nuova parete olografica era in grado di proiettare l’immagine di Yoyo a grandezza naturale. A vederla seduta sulla motocicletta, in posa plastica e in un ambiente tridimensionale,

sembrava che nel loft di Jericho si fosse aperto un portale sulla notte. Aveva calcolato bene il fattore d’ingrandimento. Yoyo appariva al massimo tre o quattro centimetri piu alta di quello che era in realta, e l’immagine era sorprendentemente nitida. Il sistema era in grado di riconoscere la struttura di un’iride sull’altro lato della strada: non per nulla veniva chiamato «contapori ». Jericho sapeva che, per il momento, quello sguardo sarebbe stato l’ultima cosa che avrebbe potuto vedere di Yoyo, quindi cerco di analizzarlo. Hai paura, penso. Ma lo nascondi bene. E sei pronta a tutto. Fece un passo indietro. Yoyo indossava jeans chiari, stivali alti fino alle ginocchia, una Tshirt che le copriva i fianchi e una giacca corta e sporca di vernice; il colore delle macchie suggeriva che se le fosse fatte usando una delle bombolette spray che lui aveva visto nella stanza della ragazza. La maggior parte della scritta sulla T-shirt era in ombra o nascosta dalla giacca ma, dove quest’ultima si apriva, se ne scorgeva un frammento. Ci sarebbe tornato. «Cerca questa persona nella cartella Yoyofiles», disse. «Concordanza al novanta per cento.» La risposta non si fece attendere: settantasei corrispondenze. Si chiese se dovesse visionare tutti quei filmati della sorveglianza, ma poi chiese al computer di visualizzare le coordinate delle registrazioni su una piantina della citta di Shanghai. Un battito di ciglia piu tardi, la mappa comparve sulla parete, indicando il percorso seguito da Yoyo la notte della sua fuga. L’ultima registrazione era avvenuta poco distante dal Demon Point, la piccola officina per motociclette elettroniche e ibride. Di l, le sue tracce scomparivano nel nulla. Yoyo si trovava nel mondo dimenticato. Dato che i sistemi di sorveglianza a Quyu erano praticamente inesistenti, c’era la concreta possibilita che Yoyo avesse scelto proprio quel luogo per nascondersi. Ma Quyu non era un ghetto nel senso classico del termine; non era paragonabile alle baraccopoli brulicanti che circondavano Calcutta, Citta del Messico o Mumbai e si estendevano come virus nelle campagne circostanti. Essendo una metropoli come New York, Shanghai aveva bisogno di Quyu, proprio come la Grande Mela aveva bisogno del Bronx, e quello era il motivo per cui le autorita cittadine avevano sempre lasciato in pace il quartiere, senza mai invaderlo coi bulldozer né razziarlo. Nei primi anni del nuovo millennio, i vecchi centri storici e i quartieri degradati della cerchia piu interna di Shanghai erano stati sistematicamente rasi al suolo e, nel punto in cui il distretto di Baoshan confinava col nucleo della citta, era sorto il quartiere di Quyu. Le autorita lo avevano lasciato crescere, proprio come si lascia crescere l’erbaccia in giardino per non dover pagare un giardiniere. Situato a nord-ovest dello Huangpu, Quyu marcava il passaggio agli insediamenti provvisori, agli agglomerati di case fatiscenti, ai centri cittadini in rovina e ai complessi industriali abbandonati. Era un moloch che, negli anni, si era ul-

teriormente ampliato, inghiottendo anche gli ultimi tratti di una regione che un tempo era considerata agricola. Autarchica all’interno, sorvegliata come un carcere all’esterno, Quyu era uno dei piu sorprendenti esempi di urbanizzazione della poverta del XXI secolo. Vi abitavano persone che, dopo essere state costrette ad abbandonare il loro quartiere nel cuore di Shanghai, erano state trasferite l; abitanti dei vecchi comuni assorbiti da Quyu e immigrati delle province povere, allettati dalle promesse della metropoli e con un permesso di soggiorno a tempo, che nessuno controllava mai: intere schiere di lavoratori illegali, ufficialmente inesistenti. A Quyu tutti erano poveri, ma alcuni erano meno poveri di altri. I maggiori guadagni provenivano dallo spaccio di droga e dallo sfruttamento della prostituzione. La popolazione di Quyu era una societa informale sotto ogni punto di vista, senza assicurazione sanitaria, senza la prospettiva di una pensione, senza sussidi. Eppure la maggior parte di quegli uomini e di quelle donne aveva un lavoro. Gli abitanti di Quyu erano occupati ai nastri trasportatori e sui ponteggi, tenevano puliti parchi e strade, scaricavano merci e lustravano gli appartamenti dei piu fortunati. Come fantasmi, apparivano nel mondo ufficiale, svolgevano il proprio lavoro e poi, quando non servivano piu, si smaterializzavano. Erano poveri perché chiunque, a Quyu, poteva essere sostituito in ventiquattr’ore. Restavano poveri perché, come aveva detto il vecchio Bill Gates, facevano parte di una societa mondiale che si divideva in chi era connesso e chi non lo era, e a Quyu nessuno aveva accesso alla rete, nemmeno se possedeva un cellulare o un computer. Essere connessi significava partecipare al gioco globale ad alta velocita e non abbassare la soglia di attenzione nemmeno per un secondo. Voleva dire separare le informazioni rilevanti da quelle insignificanti e trarne vantaggi, vantaggi che si dissolvevano non appena si veniva tagliati fuori dalla rete. Era necessario essere piu bravi, piu veloci, piu economici, piu innovativi e piu flessibili della concorrenza, se necessario anche cambiando la propria residenza o addirittura il proprio lavoro. Voleva dire partecipare al gioco. Il futuro sara di coloro che avranno accesso alla rete, aveva affermato Gates. Di conseguenza, le societa non connesse non avevano futuro. Gli esseri umani non collegati in rete erano come ragni incapaci di produrre il filo della ragnatela. A loro non restava nulla. Erano condannati a morire di fame. Ufficialmente, a Quyu, ancora nessuno era morto di fame. Benché i governanti cinesi mal tollerassero l’esistenza di ghetti e di quartieri degradati, non lasciavano morire di fame la gente per le strade di Shanghai. Ma non per amore verso il prossimo; perché una cosa del genere sarebbe stata intollerabile per Shanghai, uno dei centri finanziari piu importanti del mondo. D’altro canto, le dichiarazioni ufficiali su Quyu non avevano il minimo fondamento.

Cosa si poteva dichiarare di un quartiere considerato incontrollabile, che si amministrava in modo autonomo, la cui popolazione era un mistero, dal quale la polizia stava lontana, e i cui confini si andavano letteralmente fortificando? Si sapeva che esistevano infrastrutture e palazzi; alcuni dignitosi, altri poco piu che ruderi. L’acqua potabile scarseggiava, la corrente elettrica funzionava a intermittenza, le condizioni igienico-sanitarie erano al limite dell’accettabile. A Quyu c’erano medici e ambulanze, ospedali, scuole e asili, snack bar, locali, cinema, chioschi e persino mercati, praticamente scomparsi nella Shanghai ufficiale. Ma nessuno sapeva come ci si vivesse. I crimini commessi non venivano quasi mai indagati, ennesimo segno della volonta di lasciare il quartiere a se stesso, separandolo dalle dinamiche della societa evoluta. Se non commettevano qualche infrazione al di fuori del loro spazio vitale, gli abitanti del quartiere non venivano né aiutati né perseguiti. Dove non esisteva un futuro non c’era nemmeno un passato, almeno nessun passato di cui si potesse andare fieri o sul quale si potesse costruire qualcosa. Senza l’accesso alla rete, si viveva al di fuori del tempo, nelle regioni piu buie di un universo i cui centri luminosi erano collegati da autostrade a piu piani e skytrain. I percorsi piu brevi dal centro di Shanghai alle lussuose periferie passavano per quartieri come Quyu, solo che non era necessario attraversarli e prendere nota della loro esistenza. Ci si passava sopra, come se si trattasse di una palude. Per un certo periodo, l’amministrazione del distretto di Shanghai aveva chiesto ai governanti di Pechino se temessero che, a Quyu, si stessero formando nuclei proletari sovversivi. Tuttavia, sebbene la presenza di terroristi e criminali fosse incontestabile, la richiesta di sottoporre la zona al rigido controllo statale era stata accolta con scetticismo: era mai possibile che una societa raffazzonata, composta da ex contadini, operai, fattorini e muratori, potesse trasformarsi in un esercito di proletari in rivolta? Il terrore sorgeva piuttosto nella fascia borghese della popolazione, che aveva accesso alle autostrade informatiche e alle tecnologie avanzate. Dai criminali che abitavano a Quyu c’era invece poco da temere. Quando mai la mafia si era trasformata in un’organizzazione di lotta di classe? Alla fine, insomma, aveva prevalso l’idea che ogni delinquente a Quyu fosse un delinquente in meno a Shanghai e l’indicazione di Pechino era stata: «Dimenticate Quyu». Il mondo in cui si era rifugiata Yoyo era quindi una delle nuove macchie bianche sulla piantina della citta. Jericho si chiese se qualche abitante di Quyu avesse mai pensato che pure non essere sorvegliati era una forma di discriminazione. Probabilmente no. Aveva passato l’intera serata a perlustrare la rete, alla ricerca di testi scritti da Yoyo dopo la sua scomparsa. Si era servito delle stesse tecnologie utilizzate da Diamond Shield nella sua febbrile ricerca di dissidenti o dai servizi segreti americani impegnati nella loro infinita lotta al terrorismo, e che lui stesso aveva usato contro Animal Ma Lpng. I ritmi di digitazione

sulle tastiere erano unici, come le impronte digitali. Si poteva identificare un indiziato non appena iniziava a scrivere e affidava il suo testo alla rete. Ancora piu interessanti erano i progressi nella Social Network Analysis: lessico, metafore preferite, segni d’interpunzione... tutto lasciava tracce, grammaticali e semantiche. Poche centinaia di parole erano sufficienti perché un computer identificasse l’autore con una sicurezza che rasentava il cento per cento. Inoltre - elemento fondamentale - il sistema non associava le parole a casaccio, ma era in grado di riconoscere i legami di senso. In un certo modo, comprendeva cosa voleva esprimere l’autore. Aveva sviluppato la capacita di esplorare le strutture criminali diffuse in tutto il pianeta, strutture in cui neonazisti, bombaroli, razzisti e delinquenti, che vivevano a migliaia di chilometri di distanza, si ritrovavano in un’armonia virtuale. Mentre, nella vita reale, si sarebbero spezzati le ossa a vicenda. Cio che serviva per impedire gli attacchi informatici, trovare pedofili e scovare i tentativi di spionaggio industriale si era trasformato in un vero incubo per i dissidenti e per i sostenitori dei diritti umani. Non c’era da stupirsi che fossero proprio i sistemi di governo piu repressivi a sviluppare uno spiccato interesse per i metodi della Social Network Analysis. Eppure Yoyo era riuscita a trarre in inganno i programmi di analisi della sicurezza statale fino al momento in cui non era stata identificata, pochi giorni prima. Sempre ammesso che le cose stessero davvero cos. Se non altro, Yoyo doveva averlo pensato, tanto che si era data precipitosamente alla fuga. Jericho sbadiglio. Era stanco morto. Per tutta la notte era stato seduto al computer alla ricerca di tracce e indizi. Sapeva benissimo che Yoyo non si sarebbe fatta trovare tanto facilmente. Per anni, la polizia informatica le aveva dato la caccia. Probabilmente lei conosceva gli algoritmi dei programmi di analisi come le sue tasche. Inoltre, alla Tu Technologies, aveva un posto in prima fila nel tempio della conoscenza. Perplesso, si chiese come sarebbe riuscito a fare una cosa in cui non era riuscito nemmeno lo Stato. Ma lui aveva un vantaggio incalcolabile. Sapeva dell’identita di Yoyo come Guardiano. Mentre il computer dava la caccia alla sua ombra virtuale, Jericho svuoto gli scatoloni rimanenti e trasformo il loft in un luogo abitabile. Quando ebbe finito di sistemare i mobili, appendere i quadri e riporre i vestiti nell’armadio, mise su le Trois Gymnopedies di Erik Satie e, per la prima volta dopo molti giorni, si sent libero dalle immagini di Shenzhen Sh. Per un attimo, si dimentico persino di Yoyo. Owen Jericho, cullato dalla musica e dalla serenita. «Concordanza», disse il computer.

Come sei fastidioso. Decise di aumentare del trenta per cento il livello di confidenzialita del programma. Almeno il computer avrebbe parlato in modo da invogliarlo a offrirgli un caffe o un bicchiere di vino. «C’e un post in un blog che sembra redatto da Yoyo», disse la calda voce femminile. «Ha pubblicato un breve testo su Brilliant Shit, un forum sulla musica mando-prog. Devo leggerlo?» «Sei sicura che si tratti di Yoyo?» «Quasi sicura. Cerca di occultare la propria identita. Credo che Yoyo lavori con dei distorsori.» Senza la regolazione del livello emozionale, il computer avrebbe seccamente dichiarato: «Corrispondenza: 84,7 per cento. Probabilita uso distorsori: 90,2 per cento». «Ritengo abbastanza probabile che lavori con distorsori», confermo Jericho. I distorsori erano programmi in grado di modificare in modo efficace lo stile personale dell’autore. Erano sempre piu richiesti. Alcuni trascrivevano i testi «ispirandosi» a grandi scrittori o poeti famosi, cosicché i testi apparivano redatti secondo lo stile di Thomas Mann, di Ernest Hemingway o di Jonathan Franzen. Altri programmi imitavano l’eloquio di alcuni politici. La situazione si faceva critica quando, nei loro attacchi, certi hacker manipolavano i profili di alcuni ignari utenti, sfruttandone lo stile. Tuttavia molti dissidenti lavoravano con distorsori che inserivano correzioni create da un generatore casuale e che utilizzavano molteplici stili di uso quotidiano. Ovviamente il fattore piu importante era salvaguardare il senso del testo. E proprio quello era il punto debole della maggior parte dei programmi. «Alcuni elementi del testo non sono omogenei. Questo conferma la tua teoria, Owen», disse il computer. Carino, l’uso del nome proprio. Gentile pure che presentasse la cosa come una sua teoria, come se non fosse stato il computer stesso a tirare in ballo i distorsori. Il cinquanta per cento di confidenzialita era piu che sufficiente. All’ottanta per cento, forse il computer avrebbe cercato d’insinuarsi tra le sue natiche. Jericho indugio. In realta non aveva piu voglia di chiamare la macchina semplicemente «computer». Come poteva chiamare quella ragazza? Forse... Programmo un nome di donna. «Diane?» «S, Owen?» Meraviglioso. Diane gli piaceva. Diane era la nuova donna al suo fianco. «Per favore, leggi il messaggio.» «Volentieri. Ciao a tutti. Da un paio di giorni sono di nuovo nella nostra galassia. Parecchio stress nei giorni scorsi... qualcuno e arrabbiato con me? Non potevo farci niente, dav-

vero. Tutto si e svolto cos rapidamente. Merda. Cosin fretta si viene dimenticati. Manca solo che mi cerchino di nuovo i vecchi demoni. Vabbe, continuo a impegnarmi per scrivere nuove canzoni. Se uno della band dovesse chiedere: torniamo a esibirci non appena ho pronto qualche nuovo testo interessante. Let’s Prog.» Per l’ennesima volta, Jericho si chiese come facesse il programma a individuare l’autore in quel caos di parole, ma l’esperienza gli aveva insegnato che bastava anche molto meno. In fondo, non doveva per forza capire. Era un utente, non un programmatore. «Fammi un’analisi», disse. «Volentieri, Owen.» Lavorare con una voce vellutata era tutt’altro che sgradevole. L’unica cosa che lo disturbava era quel «volentieri». Doveva assolutamente liberarsene. Gli ricordava il diabolico HAL 9000 di 2001 - Odissea nello spazio. Sin dall’invenzione dei sistemi di navigazione, ogni computer parlante imitava HAL. «Nelle intenzioni dell’autore, il testo deve suonare sfrontato », disse il computer. «Tuttavia si notano cambiamenti di stile nei vocaboli ’rapidamente’ e ’interessante’. ’Manca solo che mi cerchino di nuovo i vecchi demoni’ suona artificioso: non credo che il distorsore abbia avuto influenza su questo. Il resto sono piccolezze: ’Ho pronto qualche nuovo testo’, per esempio, non rispecchia lo stile delle frasi due e tre.» «Cosa mi dici del contenuto?» «Difficile. Avrei un paio di proposte per te. Primo: ’galassia’. Puo essere una metafora oppure un sinonimo di qualcosa.» «Per esempio?» «Di un luogo, probabilmente.» «Vai avanti.» «’Demoni.’ Hai gia cercato dei demoni. Ritengo che Yoyo si riferisca ai City Demons o City Damons.» «Lo credo anch’io. Penso che la forma ’Damons’ sia errata, quindi ignorala. C’e altro?» Il computer esito. «So troppo poco di Yoyo. Sulle altre formulazioni e sugli altri termini potrei fornirti circa trecentottantamila possibili significati.» «Lasciamo perdere», mormoro Jericho. «Temo di non aver capito.» «Non fa niente. Per favore, cerca il termine ’galassia’ in relazione a un luogo di Shanghai.» Stavolta il computer non indugio. «Nessun risultato.» «Va bene. Individua il luogo da cui il testo e stato spedito.»

«Volentieri.» Il computer elenco le coordinate. Jericho era allibito. Non si aspettava che l’origine del messaggio fosse rintracciabile cos facilmente. Pensava che Yoyo avrebbe confuso le proprie tracce, appoggiandosi a diversi server. «Sei assolutamente sicura che il browser che hai trovato non e solo un punto di passaggio?» «Al cento per cento, Owen. Il messaggio e stato postato l, alle 06.24 del 24 maggio, ora locale.» Jericho annu. Bene. Molto bene. La sua speranza si era trasformata in una certezza. IL MONDO DIMENTICATO Mentre percorreva la Huaihai Donglu in direzione della sopraelevata a bordo della sua COD, Jericho riepilogo le conclusioni cui era giunto la notte precedente. Ciao a tutti. Da un paio di giorni sono di nuovo nella nostra galassia. Il che poteva significare: «Da qualche giorno sono di nuovo a Quyu». Era evidente. Meno evidente era il motivo per cui Yoyo definisse Quyu una «galassia». Il termine faceva pensare piuttosto che si riferisse a un posto specifico a Quyu. Parecchio stress nei giorni scorsi... qualcuno e arrabbiato con me? Stress: chiaro. E perché qualcuno dovrebbe essere arrabbiato? Anche a quella domanda era relativamente facile rispondere. Yoyo non stava facendo una domanda, stava dando un’informazione. Stava comunicando che qualcuno l’aveva identificata, che quel qualcuno era pericoloso e che lei non sapeva chi fosse. Non potevo farci niente, davvero. Tutto si e svolto cosrapidamente. Merda. Difficile. Si era data alla fuga in modo precipitoso, certo. Ma che significava la prima parte? Per cosa non poteva farci niente? Cos in fretta si viene dimenticati. Facile. Quyu, il mondo dimenticato. Quasi banale. Yoyo doveva aver avuto molta fretta di spedire il messaggio. Manca solo che mi cerchino di nuovo i vecchi demoni. Ancora piu facile: City Demons, sapete dove sono. Vabbe, continuo a impegnarmi per scrivere nuove canzoni. Se uno della band dovesse chiedere: torniamo a esibirci non appena ho pronto qualche nuovo testo interessante. Let’s Prog. Il che voleva dire: cerco di risolvere il problema nel piu breve tempo possibile. Fino ad allora, spariamo dalla circolazione.

E a chi si riferiva quel noi? Ai Guardiani. Trasversalmente rispetto a Jericho, si estendeva l’autostrada cittadina. Una strada a otto corsie, congestionata da un traffico degno di un’arteria a sedici corsie, sovrastata da una sopraelevata a piu piani. Automobili, autobus, taxi e furgoni sgomitavano sotto il sole mattutino. Neppure i motociclisti riuscivano a farsi largo e, sebbene indossassero le mascherine, non ci si sarebbe stupiti di vederli diventare cianotici e cadere dalla sella da un momento all’altro, dato che sulla citta incombeva una cappa di smog. Eppure, al mondo, le metropoli cinesi erano quelle che avevano piu veicoli con celle a combustibile, motori all’idrogeno e motori elettrici. Sopra l’autostrada, si estendeva un altro tracciato, appoggiato su sottili gambe telescopiche. La struttura era in funzione solo da pochi anni ed era riservata alle COD. Ormai c’erano diversi tracciati per le COD - alcuni ad altezze vertiginose - che univano i punti principali di Shanghai e si spingevano fino alle citta satellite e al mare. Jericho imbocco la rampa di accesso, attese che il suo veicolo si agganciasse al binario e inser le coordinate della destinazione. Da quel momento, non aveva piu bisogno di guidare la COD e, d’altro canto, non poteva nemmeno farlo: quando le COD diventavano parti del sistema, il guidatore non aveva piu nessun controllo. La COD di Jericho s’inerpico sul piano inclinato, allineandosi a una fila di veicoli identici. In alto, sul tracciato, lui vide innumerevoli veicoli a forma di cabina sfrecciare sulla citta a trecento chilometri orari, brillando di riflessi argentei sotto il sole alto nel cielo. In basso, invece, ogni movimento sembrava generato da un miraggio. Si rilasso contro lo schienale. I veicoli che si avvicinavano alla corsia piu esterna rallentavano quel tanto che bastava per calcolare con precisione lo spazio necessario per immettersi. Jericho amava il momento in cui la COD accelerava dopo aver raggiunto il tracciato principale. Per un breve momento, l’accelerazione lo schiaccio contro lo schienale, ma poi il veicolo raggiunse la velocita di crociera. Il cellulare lo avvert che aveva un messaggio dal computer. Il display effettuo una scansione dell’iride. Un’ulteriore conferma vocale era superflua, ma a Jericho piaceva muoversi su un doppio binario. «Owen Jericho», disse. «Buongiorno, Owen.» «Ciao, Diane.» «Ho analizzato la scritta sulla T-shirt di Yoyo. Vuoi vedere il risultato?» Aveva assegnato quell’incarico al computer prima di uscire di casa.

Collego il cellulare con l’interfaccia integrata nel cruscotto del veicolo. «Cos’hai scoperto?» «Si tratta di un simbolo.» Sul monitor della COD comparve una grande A... o almeno qualcosa di simile, dato che mancava la barra centrale. In compenso l’angolo era sovrastato da un’ellissi sfilacciata. Sotto, erano leggibili quattro lettere: NDRO. «Hai cercato il simbolo in rete?» «S. Quello che vedi e il risultato dell’elaborazione dell’immagine. Un’approssimazione a elevata probabilita. Non ho trovato il simbolo in nessun archivio. Le lettere potrebbero essere un’abbreviazione o parte di una parola. Ho trovato NDRO usato come abbreviazione, ma non in Cina.» «Quale parola pensi che sia?» «Le mie preferite sono: ’androgino’, ’androide’, ’Andromeda’. » «Grazie, Diane.» Jericho rifletté, poi chiese: «Puoi controllare se ho lasciato aperta la finestra in camera da letto?» «È aperta.» «Chiudila, per favore.» «Sara fatto, Owen.» La COD gli segnalo che avrebbe lasciato la sopraelevata entro pochi secondi. Aveva impiegato solo quattro minuti per percorrere una ventina di chilometri. Rallento, usc dalla corsia e si accodo alla fila di veicoli che uscivano dalla rete nelle immediate vicinanze di Quyu. La bretella lo porto rapidamente verso il basso e sulla strada principale. Anche l, lontano dalla City, il traffico era lento, ma almeno si procedeva. Quyu era separata dal resto della citta da un’autostrada. Le sbarre situate accanto ai posti di polizia rendevano le strade laterali simili a crune di un ago. Inoltre c’erano caserme a est e a ovest. Tuttavia pochissime persone a Quyu potevano permettersi un’automobile o l’uso di una COD, dunque il quartiere era collegato con la citta mediante linee della metropolitana e autobus. L’officina dei City Demons si trovava a un paio di chilometri da l, appena fuori Zaxus, in uno degli ultimi quartieri davvero storici. Un tempo era stato un villaggio di campagna, ma presto o tardi avrebbe dovuto cedere il passo alle falangi di caseggiati moderni e anonimi. Dopo aver ridisegnato il centro, gli ingegneri stavano puntando sulla periferia. Solo Quyu sarebbe sempre rimasta intatta. Se aveva raggiunto velocemente la zona grazie al tracciato delle COD, gli ci volle un tempo lunghissimo per arrivare al quartiere. Si trattava di un tipico insediamento vecchio stampo: edifici in mattoni da uno a tre piani, con cuspidi rosse e nere, disposti lungo strade vivaci, sulle quali si affacciavano innumerevoli vicoli e cortili interni. I negozi aperti e le tavole calde spuntavano sotto insegne colorate, le corde per il bucato si estendevano da casa a

casa. L’officina Demon Point occupava il pianterreno di una casa color ruggine, al cui primo piano c’era una serie di sconnessi balconi di legno. Alle finestre, alcuni vetri mancavano, altri erano luridi e appannati. Jericho parcheggio la COD in una strada laterale e s’incammino verso l’officina. Alcune belle moto ibride ed elettriche erano esposte accanto ad altri esemplari meno vistosi. Non c’era nessuno in vista, poi da un minuscolo ufficio usc un ragazzo magro, in pantaloncini corti e con una T-shirt sporca di grasso, che prese a lucidare una moto elettrica con uno straccio. «Buongiorno», disse Jericho. Il ragazzo lo guardo per un istante e poi torno al suo lavoro. Jericho si accovaccio accanto a lui. «Bella moto.» «Mhm.» «Vedo che la stai lucidando. Tu sei uno di quelli che hanno tappato la bocca ai nordcoreani al Club DKD?» Il ragazzo sorrise e continuo a lucidare. «Quello e Daxiong.» «Ha fatto bene.» «Ha detto a quelle mezze seghe di chiudere il becco. Anche se erano molti di piu. Gli ha urlato che non voleva sentire la loro merda fascista.» «Spero che non abbia passato dei guai.» «Qualcuno s.» Solo in quel momento il ragazzo sembro rendersi conto che stava parlando con uno sconosciuto. Lascio cadere lo straccio e squadro Jericho con diffidenza. «Ma lei chi e, scusi?» «Ah, in realta sto andando a Quyu. Per puro caso ho visto la vostra officina. E dal momento che avevo letto il post sul blog... Be’, ho pensato, dal momento che sono qui...» «È interessato a una moto?» Jericho si alzo. Il suo sguardo segu la mano tesa del ragazzo. Sul retro dell’officina, un chopper elettrico - senza ruota posteriore - faceva bella mostra di sé. «Perché no?» Jericho si avvicino e ammiro il chopper da ogni angolazione. «Sono anni che vorrei comprarmene uno. Batterie al litio-alluminio?» «Certo. Fa i duecentottanta all’ora.» «Autonomia?» «Quattrocento chilometri. Come minimo. Viene dal centro?» «Mhm.» «Un inferno per le automobili, eh? Dovrebbe farci un pensierino. » «Sicuro.» Jericho estrasse di tasca il cellulare. «Purtroppo non sono molto pratico della zona. Devo incontrare qualcuno, ma sai come vanno le cose a Quyu con gli indirizzi. Forse mi puoi aiutare.»

Il ragazzo scrollo le spalle. Su un muro dell’officina, Jericho proietto la A con l’ellissi sfrangiata. Dallo sguardo del ragazzo cap che l’aveva riconosciuta. «Vuole andare la?» «È lontano?» «Non proprio. Deve solo...» «Chiudi il becco», disse qualcuno alle loro spalle. Jericho si volto e si ritrovo a fissare un torace che iniziava da qualche parte a sud-est e finiva da qualche parte a nord-ovest. In alto, sopra il torace, doveva esserci qualcosa che permetteva alla «cosa» di pensare. Alzo lo sguardo e vide una sfera rasata e due occhi cos sottili che persino un cinese avrebbe avuto qualche dubbio sul fatto di poter vedere con quelle fessure. Un’applicazione bluastra sul mento ricordava la barba di un faraone. Il giubbotto di pelle aperto lasciava intravedere la scritta CITY DEMONS. «Tutto a posto.» Il ragazzo lancio uno sguardo insicuro al gigante. «Voleva solo sapere dove...» «Cosa?» «Tutto okay», sorrise Jericho. «Volevo sapere se...» «Cosa? Cosa voleva sapere?» La montagna non dava segni di volersi chinare verso di lui, cosa che avrebbe parecchio facilitato la conversazione. Jericho fece un passo indietro e diresse nuovamente il proiettore verso la parete. «Mi dispiace disturbare. Sto cercando un indirizzo...» «Un indirizzo?» L’uomo giro il cranio massiccio e fisso la proiezione. «Voglio dire, e davvero un indirizzo?» chiese Jericho. «Ho soltanto...» «Chi gliel’ha dato?» «Qualcuno che aveva poco tempo per spiegarmi la strada. Qualcuno di Quyu. Devo aiutarlo.» «A fare cosa?» «Ha qualche problema... sociale.» «E chi non li ha, a Quyu?» «Appunto.» Jericho decise di non tollerare quel trattamento neanche un minuto di piu. «Allora? Non voglio farlo aspettare. » «E poi vuole comprare il chopper!» aggiunse il ragazzo in tono entusiastico, come se avesse gia venduto la moto a Jericho per una somma altissima. La montagna arriccio le labbra. Poi sorrise.

La diffidenza si sciolse sul suo viso come neve al sole, lasciando il posto alla piu calorosa gentilezza. Un’enorme zampa attraverso l’universo e atterro sulla spalla di Jericho. «Perché non l’ha detto subito?» Il ghiaccio era rotto. L’improvvisa cordialita tuttavia non si tradusse in informazioni, ma in una descrizione dettagliata dei numerosi vantaggi offerti dal chopper, per culminare nella richiesta di una somma esorbitante. Senza contare che la ruota posteriore mancante sarebbe stata fatturata a parte. Jericho annuiva e annuiva. Alla fine scosse la testa. «No?» si meraviglio il gigante. «Non a questo prezzo.» «D’accordo. Mi dica il suo.» «Le propongo un’altra cosa. Una A con una cintura di frange e quattro misteriose lettere sotto... Vado la e poi, quando torno, trattiamo per la moto.» Il gigante aggrotto la fronte. Stava pensando, ipotizzo Jericho. Poi gli descrisse un percorso che sembrava attraversare tutta Quyu. Come aveva risposto il ragazzo solo pochi minuti prima alla sua domanda se quel luogo fosse lontano? «Non proprio», aveva detto. «E cosa significano le lettere?» «Le lettere NDRO? Il suo conoscente aveva davvero fretta, eh?» Il gigante rise. «A-ndromeda.» «Ah!» «È un locale dove fanno concerti.» «Grazie.» «Il suo rapporto con Quyu mi sembra assai incerto, se posso permettermi.» Jericho inarco le sopracciglia. Da quando in qua una montagna sovrastata da una sfera pensante si esprimeva in modo cos raffinato? «In effetti ne so davvero molto poco.» «Allora stia attento.» «Grazie, lo faro. Ci vediamo piu tardi, per... A proposito, lei come si chiama?» Un sorriso illumino il cranio rasato. «Daxiong. Semplicemente Daxiong.» Ah. Sei coreani che le hanno prese da un cinese. Iniziava a capire perché. Jericho non era mai stato a Quyu e, quando passo sotto l’autostrada, non aveva la minima idea di cosa lo aspettasse. In realta non accadde proprio nulla. Quyu non aveva un confine ben definito, almeno non in quella zona. Cominciava e basta, con file di casette piatte assai simili a quelle che lui aveva appena lasciato dietro di sé. I negozi erano rari, sostituiti da parecchi venditori ambulanti, che lavoravano gomito a gomito, disponendo su teli e tappeti ogni cosa che avesse un valore e non potesse darsela a gambe. Su una sghemba sedia di rattan, all’ombra di un baldacchino di fortuna, una donna sonnecchiava, con una cesta di

melanzane davanti a sé. Un uomo ne prese due, le appoggio i soldi in grembo e se ne ando. C’erano capannelli di vecchi che chiacchieravano: alcuni erano in pigiama, altri a torso nudo. Sui marciapiedi malridotti si camminava a fatica. Sopra la strada sventolavano i panni stesi, gonne e camicie che parevano salutarsi ogni volta che il vento s’infilava tra le case. Mormorii, chiacchiere, grida, suoni melodiosi, sinistri, acuti e cupi erano intessuti in una cacofonia cui si aggiungevano l’onnipresente rombo di motociclette da quattro soldi, il cigolio di biciclette sferraglianti, l’eco di colpi di martello e di trapani. Alcuni venditori intravidero la chioma bionda di Jericho, saltarono in piedi e cercarono di richiamare la sua attenzione sventolando borsette, orologi e sculture e urlando: «Looka! Looka!» ma lui non li sentiva, concentrato com’era a cercare di non investire nessuno. Nei distretti centrali di Shanghai, il traffico era una specie di guerriglia. I camion cacciavano gli autobus, gli autobus attaccavano le automobili, quelle se la prendevano coi veicoli a due ruote, e tutti insieme si dedicavano allo sterminio dei pedoni. A Quyu c’era meno aggressivita, ma il risultato non era diverso. Non ci si aggrediva a vicenda: semplicemente ci s’ignorava. Le persone che un attimo prima contrattavano sul prezzo di una gallina o di un elettrodomestico saltavano in mezzo alla strada senza preavviso o sostavano sulla carreggiata in piccoli gruppi, discutendo del tempo, dei prezzi degli alimentari e dello stato di salute delle rispettive famiglie. A ogni incrocio, Jericho vedeva diradarsi i venditori che esponevano i souvenir per i turisti. Le merci esposte diventavano sempre piu povere. A mano a mano che si riduceva il numero di automobili, aumentava quello dei pedoni e dei ciclisti, e la confusione scemava. Sempre piu spesso incontrava edifici abbattuti solo per meta, con le pareti mancanti sostituite con cartone e lamiere ondulate. Molti erano abitati. In mezzo, si erano accumulati i rifiuti di anni. D’un tratto, sul bordo della strada, comparve un ammasso di costruzioni modulari grigie e blu, davanti alle quali si piegavano alberi artritici e sostavano automobili, relitti del tempo in cui Deng Xiaopng aveva cercato di fare un miracolo che pero, in quella parte della Cina, non si era mai compiuto. Di colpo, intorno a lui si fece buio. Piu Jericho s’inoltrava nel cuore di Quyu, piu il quartiere diventava caotico dal punto di vista architettonico. Palazzi lasciati a meta erano intervallati da anonime costruzioni piatte e silos la cui bruttezza veniva evidenziata dalla vernice scrostata. Jericho era assai colpito dal disperato tentativo di rendere abitabile quello che era palesemente inabitabile. In modo quasi folcloristico, le piante selvatiche prendevano possesso delle baracche, poco piu che pali conficcati nel terreno e coperti con dei teli. Se non altro, pero, l c’era vita; i silos invece davano l’impressione di ruderi postatomici. Si fermo in mezzo a un deserto di rifiuti e osservo donne e bambini che gettavano su alcuni carretti qualsiasi rifiuto che ritenevano riutilizzabile. D’un tratto, gli parve di essere in

mezzo a un quartiere polverizzato da un massiccio bombardamento. Cerco di ricordare cio che sapeva sulle zone come quella. Un numero, letto chissa dove, gli attraverso la mente. Nel 2025, nel mondo, un miliardo e mezzo di persone viveva nelle baraccopoli. Vent’anni prima, erano un miliardo. Ogni anno, la cifra cresceva di venti o trenta milioni. Chi finiva in uno di quei ghetti doveva farsi strada in gerarchie bizzarre e, al livello piu basso, era costretto a raccogliere rifiuti per costruire oggetti da rivendere o scambiare. Prosegu, ripensando al quartiere in cui aveva vissuto poco prima che fosse demolito per fare posto ai condomini in cui viveva Yoyo. Allora non era riuscito a capire perché gli abitanti fossero cos attaccati alle loro rovine. Ad alcuni era stato offerto un trasferimento al di fuori di Shanghai, in appartamenti che, al confronto, si potevano definire lussuosi, con acqua corrente, bagni, ascensori ed elettricita. «Qui almeno esistiamo. La fuori siamo fantasmi», era stata la sorridente risposta. Solo piu tardi si era reso conto che il grado della miseria umana non si misurava in base allo stato delle case in cui si abita. La mancanza di acqua potabile, le cloache traboccanti di liquami, le fognature intasate erano tutti elementi che trasformavano la vita in un inferno. Eppure, finché le persone vivevano sulla strada, avevano modo d’incontrarsi. La vendevano le loro merci. Cucinavano per i lavoratori che non avevano la possibilita di preparare da sé i propri pasti. La preparazione del cibo da sola dava lavoro e sfamava milioni di famiglie ed era un’attivita che poteva svolgersi solo per strada, proprio come la coesione sociale poteva cementarsi solo l. Le persone uscivano dalle loro case e parlavano. La vita di strada, la struttura aperta delle case... tutto trasmetteva un senso di consolazione e calore. Al decimo piano di un condominio nessuno passava per comprare qualcosa e, quando aprivi la porta, ti trovavi davanti un muro. Si riscosse dai suoi pensieri, cercando di rammentare le indicazioni di Daxiong. Se erano giuste, avrebbe impiegato almeno un’altra ora per raggiungere l’Andromeda. La strada conduceva verso una salita, dall’alto della quale si godeva di una vista a trecentosessanta gradi sul quartiere, almeno fin dove la cappa marrone dello smog lo permetteva. La COD era climatizzata, tuttavia a Jericho sembrava di sentire il sole bruciare sulla pelle. Intorno a lui, l’ormai familiare paesaggio fatto di baracche, case piu o meno diroccate, piloni della luce inclinati con linee elettriche penzolanti, detriti e rifiuti. Doveva proseguire? Indeciso, chiese al cellulare di rilevare la sua posizione e proietto il risultato in mezzo a quella terra di nessuno. Non c’erano mappe. Solo quando ingrand la sezione, l’immagine gli indico alcune strade principali che attraversavano Quyu, sempre ammettendo che i dati fossero aggiornati.

Yoyo si trovava dunque l, in mezzo a quella miseria? Inser la posizione geografica da cui era stato postato il messaggio sul forum Brilliant Shit. Il computer indico un punto non lontano dal Demon Point, vicino all’autostrada. Nella direzione opposta. Imprecando, Jericho fece inversione, evito per poco un carretto spinto da alcuni adolescenti in mezzo alla strada, conquistandosi una serie d’insulti, e torno sui suoi passi alla velocita della luce. Dopo un po’, il traffico aumento. Lascio la zona che aveva attraversato all’inizio sulla sua sinistra e s’inoltro in una selva di vicoli, in un quartiere in cui si confezionavano e si vendevano vestiti, intravide un passaggio tra alcuni banchetti e si ritrovo su una strada larga, costeggiata da muri e case sorprendentemente curati. La via brulicava di persone e mezzi di trasporto di tutti i tipi. Chioschi, catene di fast food, negozi e banchetti ovunque. Piu volte supero le filiali del Cyber Planet. L’insieme sembrava un calco della leggendaria Camden Town londinese, almeno di quella che, trent’anni prima, era considerata la culla della cultura alternativa. Davanti ai portoni delle case ciondolavano prostitute. Gruppi di uomini dall’aria circospetta stavano seduti davanti ai caffe o si aggiravano per la zona con sguardo indagatore. La COD di Jericho fu sottoposta a un’accurata ispezione visiva. Secondo il computer, la meta era molto vicina, ma era come se un sortilegio gli impedisse di raggiungerla. Jericho continuava a sbagliare strada e ogni tentativo di tornare sulla via principale lo faceva entrare ancor piu profondamente in quel mondo strampalato, di certo in mano alle Triadi e nel quale con ogni probabilita abitavano i capi del ghetto, i baroni della decadenza. Due volte fu fermato da alcuni uomini che - chissa per quale motivo - cercarono di tirarlo fuori dalla macchina. Infine trovo una scorciatoia e d’un tratto il quartiere fu alle sue spalle. In lontananza, si stagliava la massiccia silhouette di un’acciaieria. Percorrendo un’area pianeggiante, Jericho si diresse verso un gigantesco complesso color ruggine, punteggiato di camini. Un gruppo di motociclisti lo supero e spar oltre la recinzione. Lui li segu. La strada conduceva a un campo aperto, evidentemente una specie di punto di ritrovo. Ovunque erano parcheggiate moto e c’erano giovani seduti che bevevano e fumavano. La musica rimbombava sul piazzale. I padiglioni vuoti ospitavano locali e club, bordelli e sexy shop. L’immancabile Cyber Planet dominava un intero lato del cortile interno, circondato da bancarelle che vendevano applicazioni fatte a mano. Un altro negozio offriva strumenti musicali usati. Di fronte al Cyber Planet, si ergeva un complesso di mattoni a due piani. Un gruppetto di uomini ben messi stava scaricando qualcosa da un furgone parcheggiato davanti all’ingresso aperto. Jericho non riusciva a credere ai propri occhi. Sopra l’ingresso troneggiava una grande A, alta come due uomini. Sotto, c’era scritta a grosse lettere una sola parola: ANDROMEDA.

Facendo stridere i freni, Jericho inchiodo davanti al furgone, salto fuori dall’abitacolo e fece alcuni passi indietro. All’improvviso, cap cosa significava l’anello sfrangiato che sostituiva la barra trasversale della A. Diane aveva fatto del suo meglio per rendere utilizzabile il materiale che aveva a disposizione, ma solo osservando l’originale tutto acquistava un senso. L’anello era la rappresentazione di una galassia, e Andromeda o, meglio, la nebulosa di Andromeda era una galassia a spirale nella costellazione di Andromeda. Ciao a tutti. Da un paio di giorni sono di nuovo nella nostra galassia. Yoyo era l. Oppure no. Non piu. Daxiong lo aveva depistato in modo che lei avesse il tempo di sparire. Impreco e fisso il sole. Lo smog distorceva la luce in una lama abbagliante che feriva gli occhi. Di malumore, chiuse a chiave la COD ed entro nel mondo crepuscolare di Andromeda. Pazienza. Chén Hongbng aveva temuto che la figlia fosse in qualche stazione di polizia, arrestata senza incriminazione formale. Su quel punto, Jericho avrebbe potuto rassicurarlo. Inoltre Chén non gli aveva affidato nessun incarico, almeno non esplicitamente. Poteva andare a casa. Il suo lavoro era finito. O, perlomeno, tutto sembrava deporre a favore del fatto che lui avesse trovato Yoyo. Per perderne subito di nuovo le tracce. Era davvero irritante. Si guardo intorno. Un’ampia entrata in cui, piu tardi, quella sera, sarebbero stati venduti biglietti d’ingresso, bevande e sigarette. La parete di fronte alla cassa era coperta di manifesti, locandine, giornali. C’era anche una bacheca piena di biglietti. Jericho si avvicino, notando con sorpresa che la maggior parte degli annunci era scritta a mano: opportunita di lavoro, passaggi in macchina, possibilita di pernottamento, strumenti musicali, software, oggetti usati - e probabilmente rubati - di ogni tipo. Si cercavano anche partner: per una notte, per una relazione, con inclinazioni particolari. Entro nello spazio riservato ai concerti, un padiglione disadorno con alte finestre che davano sul piazzale. I vetri erano oscurati o colorati, cosicch, nonostante il sole, l’interno era scarsamente illuminato. Alcuni vetri mancanti erano stati sostituiti con cartoni. Lo spazio in fondo al padiglione era occupato da un palcoscenico che avrebbe tranquillamente potuto ospitare due orchestre sinfoniche. Su entrambi i lati erano ammassate casse acustiche. Due uomini arrampicati in cima a due scale orientavano i fari, altri trasportavano le attrezzature sotto il palco. Lungo la parete dietro il palco, una scala in acciaio conduceva a una balaustra. Jericho penso a Chén Hongbng e alla pena nei suoi occhi. Doveva a Tu Tian qualcosa di piu di una supposizione. Due uomini gli passarono accanto spingendo un’enorme valigia a rotelle. Uno apr il coperchio ed estrasse stativi per microfoni che passo a un altro uomo sul palco. L’altro ritorno in

direzione dell’ingresso, indugio, giro la testa e fisso Jericho. «Posso aiutarla?» chiese, in tono poco amichevole. «Chi suona stasera?» «I Pink Asses.» «Un amico mi ha consigliato l’Andromeda. Dice che qui si tengono i migliori concerti di Shanghai.» «Puo darsi.» «Non conosco i Pink Asses. Ne vale la pena?» L’uomo lo osservo in modo sprezzante. Era muscoloso e attraente, con tratti del viso regolari e quasi androgini e capelli lunghi fino alle spalle. La T-shirt arancione e i pantaloni stropicciati lo avvolgevano come una seconda pelle: evidentemente provenivano da una bomboletta spray. Non portava applicazioni né gioielli. «Dipende da quello che le piace.» «Tutta la bella musica.» «Mando-prog?» «Per esempio.» L’uomo rise. «Allora e nel posto sbagliato. La musica dei Pink Asses rispecchia il nome della band.» «Cioe suonano come dei culi rosa?» «Come dei culi sanguinanti, idiota. Di entrambi i sessi. Mai sentito parlare di ass-metal? Vuoi ancora venire stasera?» Jericho sorrise. «Vedremo.» L’altro alzo gli occhi al cielo e usc. Per un momento, Jericho si sent inerme. Avrebbe dovuto chiedere di Yoyo a quel tizio? In luoghi simili, era facile diventare paranoici. Ogni persona sembrava far parte di un esercito fantasma col compito di tenere i curiosi lontani da Yoyo. «Sciocchezze. È una dissidente, non la regina di Quyu», mormoro. Tu Tian aveva parlato di sei attivisti. Di sei, non di sessanta. Il messaggio di Yoyo induceva a pensare che tutti e sei facessero parte dei City Demons. Inoltre lei poteva avere qualche amico all’Andromeda. Quasi sicuramente la maggior parte della gente non sapeva chi fosse Yoyo né che si nascondeva l. Il vero problema era che gli abitanti di zone come Quyu non avevano la minima inclinazione a rispondere alle domande, quali che fossero. Mentre osservava come venivano posati i cavi e sistemati gli strumenti sul palcoscenico, valuto le possibilita. Daxiong aveva avvertito Yoyo che qualcuno aveva fatto domande sull’Andromeda e di certo adesso era convinto che lui, Jericho, in quel momento stesse vagando nel sottobosco di Quyu, e che quindi fosse inoffensivo almeno per alcune ore. Yoyo probabilmente era dello stesso avviso.

Il tempo giocava ancora a suo favore. Lascio correre lo sguardo sull’ambiente circostante. Lo spazio del palcoscenico era sovrastato da una specie di alcova con due finestre che un tempo si affacciavano sul padiglione, ma che poi erano state murate. Nessuno faceva caso a lui. Senza fretta, sal la scala di metallo e accedette alla balaustra. Terminava in una porta verniciata di grigio. Abbasso la maniglia. Si era quasi aspettato di trovarla chiusa a chiave, invece si apr su un corridoio semibuio. Jericho entro rapidamente, attraverso un passaggio sulla destra e si ritrovo in una stanza illuminata da neon, con un’unica finestra affacciata sul piazzale. Si trovava proprio sopra il palcoscenico. Anche se era quasi priva di mobili, poco accogliente e fredda, nella stanza si percepiva qualcosa d’indefinito, un odore tipico dei luoghi abbandonati da poco. Una specie di residuo energetico, un ricordo inconsapevole memorizzato nelle molecole, negli oggetti toccati, nell’aria respirata. Si avvicino a un tavolo circondato da sedie in formica e sotto il quale c’era un cestino dei rifiuti mezzo pieno. Vari materassi sul pavimento, ma uno solo utilizzato, a giudicare dalle coperte stropicciate e dal cuscino. Computer portatili sulle mensole, una stampante, pile di carta parzialmente stampata, un mucchio di fumetti, riviste e libri. Il pezzo forte era un preistorico impianto stereo, con radio e giradischi. I dischi in vinile erano allineati lungo la parete: risalivano ovviamente a un’epoca in cui i CD erano ancora poco diffusi, e anche questi ultimi ormai stavano sparendo dalla circolazione. In compenso, nell’era dei download, si potevano di nuovo acquistare dischi in vinile, dischi nuovi di nuovi gruppi musicali. Ma alcuni erano vecchi, noto Jericho, accovacciandosi. Lesse i nomi sulle copertine. Oltre a rappresentanti della musica pop e d’avanguardia cinese come i Top Floor Circus, gli Shengyn Supian, i Soundtoy e Dead J, c’erano dischi dei Genesis, dei Van der Graaf Generator, dei King Crimson, dei Magma e dei Jethro Tull. C’era quasi l’intera discografia degli anni ’60 e ’70, quand’era stato inventato il progressive rock. Uscito perdente dalla battaglia contro il punk e la new wave negli anni ’80, agonizzante negli anni ’90, praticamente morto nel primo decennio del nuovo millennio, il progressive rock doveva la sua rinascita non agli europei, bens ai DJ cinesi che, intorno al 2020, avevano iniziato a combinarlo con basi dance. Era stato il boom del mando-prog - cos veniva chiamata quella scintillante combinazione di rock, dance e opera pechinese - e ogni giorno spuntavano nuove band. Artisti popolari - Zhong Tongx, i Thirdparty, gli IN3 e i B6 - introducevano nei complessi concept-album dell’era prog esperienze sonore del tutto nuove, mentre le superstar locali come i Muma e Zuoxiao Zuzhou organizzavano progetti all star con personaggi decisamente attempati come Peter Hammill, Robert Fripp, Ian Anderson e Christian Vander. E i club e le sale da concerto si riempivano.

La musica di Yoyo. Un ronzio insistente solletico i timpani di Jericho. Alzo lo sguardo, vide un frigorifero in fondo alla stanza, lo raggiunse e lo apr. Riempito per meta di viveri, soprattutto cibi da fast food, bottiglie piene e semivuote, acqua, succhi di frutta, birre, una bottiglia di whisky cinese. Aspiro l’aria fredda che proveniva dall’interno. Il frigorifero scricchiolo. Un alito di vento sfioro la sua nuca. Jericho raggelo. Non era stato il frigorifero a scricchiolare. Il momento dopo, attraversava la stanza in volo per atterrare con un rumore sordo su uno dei materassi. L’impatto gli tolse il respiro. In un lampo, rotolo di lato e piego le ginocchia verso di sé. L’aggressore si getto su di lui. Jericho gli tiro un calcio a piedi uniti. L’uomo arretro, lo prese per le caviglie e lo scaglio lontano, facendolo atterrare sulla pancia. Cerco di rialzarsi e sent l’altro buttarsi su di lui. Allora cerco di vibrare un colpo alla cieca dietro di sé, nella speranza di far male a qualcosa. «Tranquillo», disse una voce che gli parve familiare. «O il materasso sara l’ultima cosa che vedrai nella tua vita.» Jericho si volto. Il suo viso affondo nell’imbottitura ammuffita del materasso. Non riusciva piu a prendere aria. Il panico si diffuse nella sua testa e nel suo addome. Agito le braccia in tutte le direzioni e scalcio con le gambe, ma l’uomo continuava a tenergli la testa premuta contro il materasso. «Ci siamo capiti?» «Mmmm», gemette Jericho. «È un s?» «Mmmm!» L’aggressore tolse la mano dalla nuca e il peso sulle spalle parve dissolversi. Annaspando in cerca di aria, Jericho si giro sulla schiena. Il giovane di bell’aspetto con cui aveva parlato poco prima nel padiglione era chino su di lui e gli sorrideva. «I Pink Asses non si esibiscono quassu, idiota.» «Io non glielo consiglierei, infatti.» «Cosa sta cercando?» Era gia qualcosa. L’uomo aveva ricominciato a dargli del «lei». Jericho si tiro su e indico i mobili malridotti intorno a sé. «Sa, amo il lusso. Volevo passare le mie vacanze...» «Attento, amico. Non voglio sentire nulla che mi potrebbe irritare. » «Posso mostrarle una cosa?» «Ci puo provare.»

«Sul mio computer.» Jericho fece una pausa. «Intendo dire che devo infilare la mano nella giacca ed estrarre un apparecchio elettronico. Lei potrebbe pensare che sto tirando fuori un’arma e agire in modo precipitoso.» L’uomo lo fisso. Poi sorrise. «Qualunque cosa io faccia, puo stare sicuro che mi divertiro un mondo.» Jericho carico la fotografia di Yoyo sul computer e la proietto sulla parete di fronte. «L’ha mai vista?» «Cosa vuole da lei?» «Glielo diro quando avra risposto alla mia domanda.» «Lo sa che lei e proprio impertinente?» «Il mio nome e Jericho», disse, paziente. «Owen Jericho, detective privato. Un metro e settantotto, quindi la pianti con le stronzate. E la smetta con questo teatrino; non riesco a concentrarmi se qualcuno tenta di uccidermi. Allora, conosce la ragazza, s o no?» L’uomo esito. «Cosa vuole da Yoyo?» «Grazie.» Jericho spense la proiezione. «Il padre di Yoyo, Chén Hongbng, mi ha incaricato di cercarla. È in ansia per lei. Per essere piu precisi, e divorato dall’ansia.» «E cosa le fa pensare che sua figlia sia qui?» «Tra le altre cose, il suo comportamento di poco fa. A proposito, con chi ho il piacere?» «Sono io che faccio le domande qui, amico.» Jericho alzo le mani. «Va bene. Le faccio una proposta. Io le dico la verita e, in cambio, lei la smette di annoiarmi con questi dialoghi da filmaccio poliziesco. Possiamo venirci incontro?» «Hmm.» «Lei si chiama Hmm?» «Il mio nome e Bdé. Zhao Bdé.» «Grazie. Yoyo abita qui, vero?» «’Abitare’ mi sembra eccessivo.» «D’accordo. Vede, Chén Hongbng ha paura. Yoyo non si fa sentire da giorni, ha mancato un appuntamento, e lui e fuori di sé. Io ho l’incarico di rintracciarla.» «Per fare cosa?» Jericho scrollo le spalle. «Niente. Insomma, le suggeriro di chiamare suo padre. Lei lavora qui?» «In un certo senso.» «Fa parte dei City Demons?» «Dei...» Negli occhi di Zhao guizzo un lampo d’irritazione. «No, come le viene in mente?»

«Sarebbe abbastanza ovvio, non crede?» «Le sembro uno di loro?» «Non ne ho idea.» «Appunto. Lei non ne ha idea.» «Credo che alcuni dei confidenti piu intimi di Yoyo siano membri dei City Demons.» Zhao lo squadro con diffidenza. «Controlli i miei dati», aggiunse Jericho. «In Internet trova tutto quello che c’e da sapere su di me. Non voglio far del male a Yoyo. Non sono un poliziotto, non faccio parte dei servizi segreti, non sono qualcuno di cui deve avere paura.» Zhao si gratto dietro l’orecchio. Sembrava perplesso. Poi afferro Jericho per il braccio e lo spinse verso la porta. «Andiamo a bere qualcosa, piccolo Jericho. Se dovessi scoprire che mi sta prendendo per il culo, la faccio seppellire qui a Quyu. Seppellire vivo, per essere chiari.» Si sedettero davanti a un caffe di fronte al padiglione dei concerti. Su richiesta di Zhao, una ragazza col cranio rasato ricoperto di applicazioni che la facevano sembrare un cyborg porto due bottiglie di birra gelata. Per un po’ sorseggiarono la birra senza parlare. «Trovare Yoyo non sara facile», disse infine Zhao. Bevve un lungo sorso e rutto. «Suo padre non e l’unico ad averla persa di vista. Anche noi non...» «’Noi’ chi?» Zhao lo guardo. «Noi. I suoi amici. Cosa sa della ragazza? Quanto le hanno raccontato?» «So che e in fuga.» «E sa anche perché?» Jericho inarco le sopracciglia. «Cos’e, sta iniziando a fidarsi di me?» «Non lo so.» «E io non so se posso fidarmi di lei, Zhao. Solo che cos non arriviamo da nessuna parte.» Zhao sembro riflettere sul problema. «Le sue informazioni in cambio delle mie», propose. «Inizi lei.» «D’accordo. Yoyo e una dissidente. Negli ultimi anni, ha procurato diversi grattacapi al Partito.» «Esatto.» «Fa parte di un gruppo che si fa chiamare i Guardiani. Critica del regime, sostegno dei diritti umani, terrorismo informatico. Tutta una serie di simpatiche opinioni. Fino a poco tempo fa, e riuscita a cavarsela.» «Giusto anche questo.» «Adesso tocca a lei.»

«Nella notte del 23 maggio ha lasciato precipitosamente il suo appartamento ed e fuggita a Quyu.» Jericho sorb un sorso di birra, appoggio la bottiglia sul tavolo e si pul la bocca. «Sui motivi che l’hanno spinta a questo posso solo fare delle ipotesi, ma suppongo che abbia scoperto qualcosa in rete che le ha fatto paura.» «Fin qui e tutto giusto.» «È stata identificata. O, almeno, questo e cio che crede. Dati i suoi precedenti, venire scoperta deve essere la sua maggiore preoccupazione. Forse si aspettava di ricevere una visita della polizia o dei servizi segreti quella notte stessa.» «Quyu e il suo rifugio», disse Zhao. «Nessuna sorveglianza, niente scanner, niente polizia. Una terra incognita.» «La sua prima meta e stata l’officina dei City Demons. Solo che, alla lunga, quello non e un nascondiglio abbastanza sicuro. Cos si e rifugiata all’Andromeda, come aveva gia fatto in passato. » «Da che cosa ha capito che si trovava all’Andromeda?» «Ha spedito un messaggio ai suoi amici da qui.» «Un messaggio che lei ha letto?» «Un messaggio che mi ha portato fin qui.» Zhao socchiuse gli occhi, diffidente. «E come ne e entrato in possesso? Una cosa del genere di solito riesce a farla solo la polizia. » Jericho sorrise. «Tranquillo, piccolo Zhao. La crittografia fa parte del mio lavoro. Sono un detective informatico, e mi occupo principalmente di spionaggio industriale e violazioni dei diritti d’autore.» «E il padre di Yoyo come ha fatto a trovarla?» Jericho prese un altro sorso di birra. «Questi non sono davvero affari suoi. Ha detto che Yoyo e sparita di nuovo.» «A quanto sembra. Dovrebbe essere qui.» «Ma non c’e.» «Non l’ho piu vista da stamattina. Magari sta solo facendo una passeggiata. Forse ci stiamo preoccupando inutilmente. Di solito, quando se ne va, ci avverte.» Jericho rigiro la bottiglia di birra tra l’indice e il pollice. Si chiese come procedere. Zhao Bdé confermava le sue supposizioni. Yoyo era stata l, ma cio non era sufficiente per rassicurare Chén Hongbng. Quell’uomo voleva delle certezze. «Forse ha ragione, non abbiamo motivo di preoccuparci», disse infine. «I City Demons le hanno preannunciato il mio arrivo. Stavolta la sparizione di Yoyo potrebbe dipendere da me.» «Capisco.» Zhao indico con la bottiglia la COD color argento di Jericho che brillava sotto i raggi del sole. «D’altra parte, lei viaggia con un mezzo piuttosto vistoso, date le circostanze.

Le COD entrano raramente a Quyu.» «L’ho notato.» «Ma forse Yoyo e fuggita da quell’altro.» Jericho aggrotto la fronte. «Da quale altro?» La mano di Zhao si sposto verso destra. Jericho segu il movimento e vide una seconda COD, parcheggiata alla fine del padiglione. Sbalordito, si chiese se fosse stata la prima del suo arrivo. La sorpresa di aver fortunosamente trovato l’Andromeda e la consapevolezza di essere caduto nella trappola di Daxiong lo avevano distratto. Si alzo e si fece schermo agli occhi con le mani. Per quello che riusciva a vedere, l’abitacolo della COD era vuoto. Una coincidenza? «Qualcuno l’ha seguita?» chiese Zhao. Jericho scosse la testa. «Ho vagato per mezza Quyu prima di arrivare qui. Non c’era nessuna COD dietro di me.» «Ne e sicuro?» Jericho tacque. Sapeva fin troppo bene come si faceva a seguire una persona senza essere notati. Chiunque avesse parcheggiato l quel mezzo poteva essergli stato alle calcagna fin da Xntiand. Anche Zhao si alzo. «Il mio istinto mi dice che lei e pulito, pero voglio metterla alla prova, Jericho. Dato che condividiamo la preoccupazione per Yoyo, le propongo una collaborazione a termine.» Tiro fuori una penna, scarabocchio qualcosa su un pezzo di carta e lo porse a Jericho. «Il mio numero di cellulare. Lei mi dara il suo. Cerchiamo di trovarla insieme.» Jericho annu. Memorizzo il numero sul cellulare e diede al suo interlocutore un biglietto da visita. Zhao era ancora un enigma, per lui, ma al momento la sua proposta era la cosa migliore che aveva. «Dovremmo pensare a un piano», disse. «Il piano e il nostro impegno reciproco alla franchezza. Non appena uno dei due sente o vede qualcosa, informa l’altro.» Jericho esito. «Posso farle una domanda personale?» «Se non si aspetta una risposta.» «In che rapporti e con Yoyo?» «Lei ha molti amici qui. Io sono uno di loro.» «So perfettamente che ha degli amici. Voglio sapere qual e il suo rapporto con Yoyo. Lei non fa parte dei City Demons. Sa che appartiene ai Guardiani, il che pero non significa che sia uno di loro.» Zhao vuoto la bottiglia e rutto di nuovo. «A Quyu siamo una grande famiglia», replico, imperturbabile.

Jericho scosse la testa. «Per la miseria, Zhao. Risponda alla domanda oppure taccia, ma non mi propini la storiella del romanticismo dei sobborghi.» Zhao lo fisso. «Conosce Yoyo di persona?» «No. L’ho vista in alcuni filmati.» «Chi la conosce ha due possibilita. S’innamora di lei oppure reprime i propri sentimenti. Dal momento che Yoyo non vuole innamorarsi di me, sto lavorando alla seconda possibilita. Di sicuro, comunque, non la piantero mai in asso.» Jericho annu e non fece altre domande. Il suo sguardo si soffermo di nuovo sulla seconda COD. «Voglio dare un’altra occhiata all’Andromeda», disse. «A che scopo?» «Forse trovo qualcosa che ci puo essere utile.» «Faccia come crede. Se si mette nei guai, non se la prenda con me.» Gli diede una pacca sulla spalla e attraverso il piazzale per raggiungere il furgone arrugginito. Jericho lo vide parlare con uno degli addetti. Sembrava che stessero discutendo della disposizione delle luci di scena. Poi estrassero un’altra valigia dal veicolo. Jericho attese un minuto e li segu all’interno. Quando raggiunse la platea, stavano allestendo la postazione del fonico. Sulla balaustra non c’era nessuno. Sal la scala di acciaio, s’infilo nella porta grigia, indosso un paio di guanti sterili usa e getta ed entro per la seconda volta nello squallido regno di Yoyo. Per prima cosa, piazzo una cimice sotto uno scaffale. Poi ispeziono rapidamente le pile di pagine stampate, riviste e libri. La maggior parte parlava di musica, moda, design e della scena musicale di Shanghai: politica, ambienti virtuali e robotica. Riviste specializzate che forse Yoyo leggeva per tenersi aggiornata, per il suo lavoro alla Tu Technologies. Si avvicino alla scrivania e rovisto nel cestino dei rifiuti: confezioni strappate e accartocciate con ancora attaccati rimasugli di cibo. Jericho cerco di ricomporle. Molte portavano la scritta WONGS WORLD accompagnata da un rozzo logo. Un globo terrestre galleggiava in una scodella piena di salsa e di qualcosa che doveva ricordare degli ortaggi. La Terra aveva un volto con un’espressione visibilmente depressa. Jericho scatto alcune fotografie e poi usc dalla stanza. Quando ridiscese la scala di acciaio, Zhao alzo lo sguardo nella sua direzione e poi si giro verso il mixer. Jericho gli passo accanto senza dire una parola e usc. Nelll’ingresso, il suo sguardo cadde per caso su un manifesto dei Pink Asses. Roba da non credere. Sostenevano davvero di suonare ass-metal e promettevano che il loro sound sarebbe «salito direttamente su per il culo». Era sicuro che non voleva sentire quella roba. Mentre apriva la COD, si guardo intorno. Il secondo veicolo era ancora l. Qualcuno lo stava seguendo. Sarebbe stato ingenuo pensare il contrario. E probabilmente lo stava osser-

vando. Uno studente che, dopo aver promesso di fornire informazioni sul rifugio di Yoyo, veniva investito dall’ottovolante che manovrava. Una COD apparsa come per incanto dopo il suo arrivo all’Andromeda. La nuova sparizione di Yoyo. Quante coincidenze ci volevano prima che la paura si depositasse come un velo di polvere? Yoyo non era incappata in un folle. Aveva ottime ragioni per nascondersi e ancora non era affatto chiaro chi le stesse dando la caccia. Se le circostanze lo richiedevano, il governo - sotto forma di polizia o di servizi segreti - non esitava a uccidere. Ma quali circostanze potevano spingere il Partito cos in la? Yoyo poteva anche essersi guadagnata la fama di nemica dello Stato, ma ucciderla non era nello stile del regime, che preferiva mettere i dissidenti sotto chiave, invece di metterli a morte come succedeva ai tempi di Mao. O forse Yoyo aveva risvegliato un mostro completamente diverso, che mandava all’aria qualsiasi regola? Di certo, chi le dava la caccia adesso aveva nel mirino anche Jericho. Ed era troppo tardi per rinunciare al caso. Avvio la COD e seleziono un numero. Dopo tre squilli rispose la voce di Zhao. «Me la squaglio», lo informo Jericho. «Nel frattempo, lei puo gia iniziare a rendere operativa la nostra cooperazione.» «Cosa vuole che faccia?» chiese Zhao. «Tenga d’occhio la seconda COD.» «D’accordo. Mi faro vivo.» Kenny Xn lo osservo partire. Il destino era un’amante infedele. Dall’alto del World Financial Center, lo aveva portato l, nella piaga purulenta della piu grande potenza economica mondiale. Gli accadeva in continuazione. Non appena credeva di essere sfuggito alle grinfie di quella puttana sifilitica che era l’umanita, e si convinceva di non doverle piu nulla, di essersi finalmente liberato del suo fetido alito, lei lo faceva ricadere sul suo giaciglio lercio. Gia in Africa aveva dovuto sopportare il suo aspetto ripugnante, aveva dovuto lasciarsi toccare, fino a temere di essere stato infettato in modo irrimediabile, e di essere prossimo a trasformarsi in un bubbone purulento. E adesso era finito a Quyu e si era trovato di fronte quella stessa faccia disgustosa, senza poter neanche distogliere lo sguardo. Fu colto dalle vertigini, come ogni volta che la repulsione lo sommergeva. Il mondo sembro rovesciarsi e Xn quasi si meraviglio di non vedere le case scivolare di lato e le persone rotolare giu. Premette il pollice e l’indice sulla radice del naso sinché non fu di nuovo in grado di pensare con chiarezza.

Il detective era scomparso. Riempire la sua COD di cimici sarebbe stato un gioco da ragazzi, ma Xn non nutriva nessun dubbio sul fatto che, dopo essere uscito da Quyu, Jericho avrebbe riconsegnato il veicolo. Non aveva bisogno di seguirlo: non poteva sfuggirgli. Il suo sguardo vago per il piazzale, e lui si libero del disgusto che provava riversandolo su tutto cio che vedeva. Odiava la gente di Quyu proprio come aveva odiato le creature miserabili, denutrite, malate e disperate in Africa. Non perché avesse qualcosa contro di loro. Erano sconosciuti, numeri in una statistica. Li odiava perché erano poveri. Xn odiava la loro poverta al punto da non sopportare il fatto che fossero vivi. Era tempo di andarsene da l. JERICHO Mentre si stava immettendo nella strada a scorrimento veloce, Jericho ricevette una chiamata. Il display rimase nero. «Il suo inseguitore ha lasciato il piazzale», gli fece sapere Zhao. D’istinto, Jericho lancio uno sguardo nello specchietto retrovisore. Che idea stupida, si disse. Su quel tracciato viaggiavano soltanto COD, identiche nel colore e nella forma. «Finora non ho visto nessuno», replico. «Se non altro, non dovrei averlo alle calcagna.» «No, ha aspettato un po’.» «Me lo puo descrivere?» «È un cinese.» «Ma davvero?» «All’incirca della mia altezza, dall’aspetto elegante. Chiaramente non c’entra nulla con Quyu.» Zhao fece una pausa. «Lei era molto piu credibile.» A Jericho sembro di vederlo sorridere. La COD accelero. «Ho esaminato il cestino dei rifiuti di Yoyo», disse, senza prestare attenzione all’osservazione di Zhao. «Sembra che compri il cibo in un negozio che si chiama Wongs World. Mai sentito?» «Puo darsi. Una tavola calda?» «È possibile. Ma potrebbe essere anche un supermercato.» «Lo scopriro. È raggiungibile stasera?» «Sono sempre raggiungibile.» «Lo immaginavo. Non ha l’aspetto di un uomo che ha qualcuno che lo aspetta a casa la sera.» «Ehi, aspetti un attimo!» si scaldo Jericho. «Cosa ne sa lei...» «A dopo.» Idiota! penso Jericho con rabbia, ma ben presto quel sentimento lascio il posto a una sensazione d’impotenza. Zhao aveva ragione. Ormai da anni nessuno lo aspettava a casa. Non che non fosse attraente. Sportivo, biondo e con luminosi occhi azzurri, veniva sempre

scambiato per uno scandinavo, e i nordici erano tenuti in alta considerazione dalle donne cinesi. Nel contempo, pero, era consapevole del fatto che non degnava mai di uno sguardo l’uomo che lo fissava dallo specchio. Il suo abbigliamento era funzionale. Si curava quel tanto che bastava per non apparire trascurato. Ogni tre giorni si faceva la barba, ogni tre mesi faceva visita al suo parrucchiere per «potare le erbacce », come era solito dire, comprava dozzine di T-shirt senza chiedersi se gli stessero bene. In fondo, il calvo e grasso Tu Tian, che si dedicava con impegno a coltivare la propria trascuratezza, era piu interessante. Quando lascio l’autostrada, nei pressi di Xntiand, la rabbia aveva lasciato il posto a un profondo abbattimento. Ripenso alla sua nuova casa, ma cio non gli diede nessuna consolazione. Xntiand sembrava piu lontana che mai, un quartiere dei divertimenti cui lui non apparteneva, perché il divertimento sembrava fuggire non appena arrivava lui. Ecco, ci stava ricadendo. Prima di Joanna, era rimasto a lungo il Jericho diciottenne, che aveva l’aspetto di uno di quindici anni e che non aveva mai avuto una ragazza perché le compagne di scuola impazzivano per tipi completamente diversi. Anzi, a dirla tutta, era rimasto il diciottenne che le ragazze apprezzavano moltissimo, ma soltanto come amico comprensivo. Una specie di bidone della spazzatura, secondo lui. Con le guance rigate di lacrime, gli avevano rovesciato addosso i particolari delle loro relazioni e le loro pene d’amore. E, dopo una serie di sedute terapeutiche, avevano proclamato di amarlo come un fratello, perché, grazie al cielo, era l’unico ragazzo al mondo che non voleva niente da loro. Cos, soffrendo, Jericho aveva rammendato anime e cuori. Si era spinto oltre soltanto una volta, con una mora dal nasino all’insu, appena piantata in asso dal suo ragazzo, un noto dongiovanni. Per essere precisi, aveva invitato la ragazza a cena e tentato di flirtare con lei. Per due ore, la cosa aveva funzionato alla grande, ma solo perché Nasino-All’-Insu non aveva capito che Jericho stava flirtando. Persino quando lui aveva posato una mano sulla sua, lei aveva semplicemente pensato che fosse un gesto un po’ strano. Una volta comprese le intenzioni di Jericho, pero, si era alzata e aveva lasciato il ristorante. Non aveva mai piu scambiato con lui neppure una parola. Owen Jericho aveva dovuto aspettare di avere vent’anni prima che la figlia di un oste gallese s’impietosisse di lui e lo privasse della verginita. La ragazza non era bella, ma aveva attraversato un inferno simile al suo e la cosa, insieme con un paio di pinte di birra alla spina, aveva creato i giusti presupposti. In seguito era andata meglio... anzi persino decisamente bene. Cos lui si era vendicato di quel disprezzabile invertebrato che sosteneva di essere Owen Jericho. E, con l’aiuto di Joanna, era riuscito a metterlo da parte, ma non l’aveva ucciso. Mai avrebbe pensato che sarebbe stata proprio lei a tirarlo di nuovo fuori. Era il ragazzino riflesso nei suoi occhi che

faceva scappare le donne. Faceva paura alle donne. Faceva paura a se stesso. Condusse il veicolo al COD-Point piu vicino e collego il mezzo alla rete elettrica. Il computer calcolo l’importo da pagare e incasso la somma quando Jericho appoggio il cellulare sull’interfaccia; infine lui scese dalla macchina e chiamo Tu Tian. Con Naomi Liu scambio solo poche parole. Evidentemente lei aveva percepito il suo malumore, percio gli aveva regalato un sorriso radioso e aveva passato la telefonata al capo. «Ho trovato la ragazza», disse Jericho, saltando i convenevoli. Tu Tian sollevo le sopracciglia. «Hai fatto in fretta.» Il tono rivelava una profonda ammirazione. Poi si accorse dell’espressione corrucciata di Jericho. «E qual e il problema? Perché c’e un problema, vero?» «Mi e scappata di nuovo.» «Ah.» Tu Tian schiocco la lingua. «Va bene. Sono sicuro che hai fatto del tuo meglio, piccolo Owen.» «Non voglio spiegarti i dettagli al telefono. Fissiamo un incontro con Chén Hongbeng o preferisci essere messo al corrente degli sviluppi prima di parlare con lui?» «Yoyo e sua figlia», disse Tu Tian, diplomatico. «Lo so. Voglio essere franco. Preferirei parlare prima con te.» Tu Tian sembro sollevato, come se avesse sperato proprio quello. «Penso che dovremmo fare entrambe le cose», ribatté in tono magnanimo. «Ma sarebbe saggio da parte tua mettermi a parte delle tue riflessioni. Quando puoi raggiungermi?» «In un quarto d’ora, se l’accesso alla sopraelevata non e intasato. Un’altra cosa, Tian. Il giovane che e caduto dal vostro tetto stamattina...» «Gia, una cosa terribile.» «Cosa ne sai?» «Le circostanze della morte sono a dir poco strane.» Gli occhi di Tu Tian scintillavano. Sembrava piu affascinato che colpito dall’evento. «Quel tipo e andato a spasso sulla rotaia a quasi cinquecento metri di altezza. Ti sembra una cosa normale per uno studente che cerca di guadagnare qualche yuan per pagarsi gli studi? Cosa ci faceva la fuori?» «Ho sentito che esiste un filmato.» «Il video di un testimone oculare, s. L’ho sentito anch’io al notiziario.» «Lo hanno reso pubblico?» «S, ma non si vede granché. Solo che questo tizio... come si chiamava... Grand Chevrolet o qualcosa del genere si arrampica sulle rotaie come una scimmia e poi cerca di saltare oltre i vagoni.» Jericho si massaggio la fronte. «Grand Cherokee. Si chiamava Grand Cherokee Wang. Devo chiederti un favore, Tian. Il notiziario ha detto che le telecamere di sorveglianza del

World Financial Center mostrano Wang in compagnia di un uomo. E che sembra che i due abbiano litigato. Devo dare un’occhiata a quei filmati e...» Jericho si blocco per un attimo, poi concluse: «... possibilmente anche a Wang». Tu Tian lo fisso. «Come, scusa?» «Voglio dire...» «Come te la figuri una cosa del genere? Sei impazzito? Dovrei chiamare l’obitorio e dire: ’Ehi, come va la vita? Potete srotolare un attimo quel Grand Cherokee Wang perché un mio amico ha una predilezione per i corpi maciullati?’» «Voglio vedere le sue cose, Tian. Quello che aveva in tasca. Il suo cellulare, per esempio.» «Come pensi che potrei arrivare al suo cellulare?» «Conosci mezza Shanghai.» «Ma nessuno all’obitorio!» Tu Tian sbuffo e spinse verso l’alto gli occhiali mezzi rotti, che continuavano a cadergli sul naso durante la conversazione. Le sue guance paffute tremavano. «E, per quanto riguarda i filmati delle telecamere di sorveglianza, non farti troppe illusioni.» «Perché? Le registrazioni sono memorizzate sul disco fisso del sistema, no?» «Ma io non sono autorizzato a visionarle. Sono un semplice locatore, qui, non il proprietario. Inoltre, se la polizia ha aperto un’inchiesta, i filmati saranno stati requisiti come prove. Hai dei contatti in polizia anche tu.» «In questo caso, non sarebbe una mossa intelligente andare a stuzzicarli.» «Perché?» «Te lo spiego dopo.» «Non so se posso aiutarti.» «S o no?» «Incredibile!» sbotto Tu Tian. «Da quando in qua ci si rivolge in questo modo a un cinese? Noi non concepiamo il ’s o no’. I cinesi odiano i vincoli, ormai dovresti averlo capito, naso lungo.» «Lo so. Voi preferite un ’forse’ definitivo.» Tu Tian cerco di apparire seccato. Poi sorrise e scosse la testa. «Devo essere impazzito anch’io. D’accordo, faro quello che posso. Sono davvero curioso di sapere perché t’interessa tanto questo artista della caduta libera.» Durante i pochi minuti della telefonata, il traffico nella vicina Yan’an Donglu era drammaticamente aumentato. Anche la parallela Huaihai Donglu era intasata. Due volte al giorno, il centro cittadino tra Huangpu e Luwanqu era un inferno. Prendere la propria macchina era un’utopia ma, quando Jericho torno al COD-Point, gli dissero che la persona prima di lui

aveva noleggiato l’ultimo veicolo rimasto. Era quello il problema con le COD: ce n’erano troppo poche. Jericho s’incup ulteriormente. Quando abitava a Pudong, era piu facile andare da Tu Tian. Raggiunse la stazione della metropolitana di Huangp Nan Lu e scese nei sotterranei illuminati dove centinaia di persone si lasciavano sospingere dai passeggeri piu aggressivi verso la sovraffollata linea 1. Non appena le porte del vagone si chiusero, rimpianse amaramente di non aver percorso a piedi il chilometro e mezzo che lo separava dalla riva del fiume. Aveva ancora molto da imparare riguardo al suo nuovo quartiere. Non aveva mai abitato in una zona cos centrale e non riusciva nemmeno a ricordare di aver preso la metropolitana a quell’ora. Né l’avrebbe rifatto. Il treno accelero, ma i passeggeri non si mossero neppure. Quasi tutti gli uomini a bordo tenevano le braccia in alto, cos da evitare di essere accusati di molestie sessuali, all’ordine del giorno nei treni stracolmi: spesso la vittima non aveva nemmeno la possibilita di girarsi. Da qualche tempo, pero, anche gli uomini avevano iniziato a essere importunati, quindi pure alcune donne tenevano le mani alzate. Una corsa in metropolitana era una sofferenza muta, e le persone che soffrivano di piu erano i bambini, in quell’insieme di muffe tessili, sudore e odori genitali che aleggiava intorno alle loro teste. Jericho era rimasto incastrato proprio davanti alle porte. Di conseguenza, alla fermata successiva la massa lo spinse sulla banchina per primo. Per un attimo valuto la possibilita di andare alla stazione di Longyang Lu, dove passava la teleferica magnetica Maglev che collegava il Pudong Airport, vicino alla costa, con la citta di Suzhou a ovest, passando proprio accanto al World Financial Center e offrendo tutti i comfort a un prezzo esorbitante, motivo per cui era sempre mezza vuota. Sarebbe giunto a destinazione nel giro di un minuto, solo che il viaggio fino alla stazione Maglev avrebbe richiesto lo stesso tempo che ci voleva per raggiungere Pudong in metropolitana. Nello stesso istante, la massa umana lo sospinse sul tapis roulant della linea 2, e lui si rassegno, consolandosi col pensiero che il tizio che gli aveva fregato la COD sotto il naso di sicuro non era ancora riuscito a fare cento metri. Quando emerse dal sottosuolo climatizzato a Pudong fu investito da un’aria calda e umida. Il sole era una macchia in mezzo a un ammasso di nuvole caliginose. Lentamente, le nuvole si chiusero su di lui. Il suo sguardo si poso sul World Financial Center, che si stagliava dietro la Jn Mao Dasha. Lassu era andato a spasso Grand Cherokee Wang? Inconcepibile. O era impazzito, oppure le circostanze non gli avevano lasciato scelta. Ando su Internet e carico il filmato amatoriale sul cellulare. La ripresa era mossa, ma nitida e ravvicinata. Mostrava una minuscola figura sulla rotaia. «Diane», disse Jericho.

«Ciao, Owen. Cosa posso fare per te?» «Occupati del video che ho aperto. Cerca di renderlo piu nitido e brillante che puoi. Fermi immagine ogni tre secondi.» «D’accordo, Owen.» Si diresse verso «l’apribottiglie», attraverso il centro commerciale e sal verso la Sky Lobby. T TECHNOLOGIES L’azienda di Tu Tian occupava quattro piani del palazzo, dal settantaquattresimo al settantasettesimo, proprio sotto l’hotel, l’osservatorio e l’ottovolante. Una donna diede il benvenuto a Owen Jericho con un caloroso sorriso: era Gong Qng, la superstar cinese che l’anno precedente aveva vinto un Oscar e di certo aveva ben altro da fare che controllare chi entrava e usciva dalla Tu Technologies. I collaboratori di Tu Tian erano soliti ricambiare il saluto e passare oltre; ai visitatori invece la donna chiedeva nome e cognome e li pregava di appoggiare la mano sul suo palmo destro. Owen non faceva eccezione. Per un attimo, percep il gelo della superficie di proiezione trasparente della simulazione 3D dell’attrice. Il sistema rilevo le impronte digitali e le linee del palmo della mano, esegu la scansione dell’iride e della voce. Lei constato che si trattava di una persona gia registrata ed evito di chiedergli il nome. A conferma dell’avvenuto riconoscimento, sul suo volto si dipinse un sorriso. «Grazie, Owen Jericho. È un piacere rivederla. Chi desidera incontrare?» «Ho un appuntamento con Tu Tian.» «Salga al settantasettesimo piano. Naomi la aspetta.» In ascensore, Jericho penso con ammirazione a Tu Tian, che era riuscito nell’impresa di avere a disposizione ogni tre mesi una nuova celebrita per quella procedura. Mentre si chiedeva quanto fosse stata pagata l’attrice, usc dall’ascensore ed entro in un locale che occupava l’intero piano. Tutti i quattro piani che ospitavano la Tu Technologies erano allestiti nello stesso modo. Non c’erano postazioni di lavoro definite né corridoi spogli. I collaboratori erano sparpagliati come nomadi in un ambiente polifunzionale, assistiti dai lavo-bot, robot a forma di container che si spostavano senza il minimo rumore e custodivano al loro interno computer con interfacce e vani per il materiale necessario per il lavoro di ogni dipendente. Ogni collaboratore disponeva di un proprio lavo-bot, che prendeva in consegna la mattina alla reception e col quale, a seconda del compito, si spostava da postazione a postazione, all’occorrenza collegandolo alla rete. C’erano postazioni aperte e schermate, postazioni multiple per il brainstorming e uffici insonorizzati con pareti di vetro oscurabili in caso di necessita. Al centro di ogni piano, c’era un’isola per il tempo libero con divani, bar e cucina, una reminiscenza dei focolari intorno ai quali gli uomini primitivi si erano riuniti per migliaia di anni.

«Non diamo semplicemente un lavoro ai nostri collaboratori; diamo loro una casa», diceva spesso Tu Tian. Naomi Liu era seduta alla sua scrivania. Vicino, aveva un monitor alto due metri e leggermente bombato. Il monitor e il piano di lavoro erano trasparenti. I documenti, i diagrammi e i filmati fluttuavano sopra di esso come fantasmi. Lei li apriva e li chiudeva, sfiorandoli con la punta delle dita, o li spostava mediante comandi vocali. Quando vide Jericho, la sua bocca si schiuse in un sorriso, lasciando intravedere una fila di denti bianchissimi. «Allora? È soddisfatto della sua parete olografica?» «Purtroppo no, Naomi. L’olografia non e in grado di riprodurre il suo profumo.» «Lei esagera sempre, ma con stile.» «Non esagero affatto. I miei sensi sono piu acuti di quelli della maggior parte delle persone. Non dimentichi che sono un detective. » «Allora e in grado d’indovinare che profumo indosso oggi, vero?» Gli rivolse uno sguardo canzonatorio e pieno di aspettativa. Jericho non provo nemmeno a citare una marca. Per lui tutti i profumi odoravano di fiori polverizzati nell’alcol. «Il migliore », disse. «Con questa risposta si e guadagnato l’accesso all’ufficio del capo. È in montagna.» La «montagna» era una zona relax in fondo al locale, i cui elementi accatastati l’uno sull’altro si adattavano alla struttura del corpo e sembravano vivere di vita propria. Ci si poteva buttare dentro, arrampicarsi o stravaccarsi sopra. Nel contempo, l’imbottitura di nanorobot modificava continuamente la forma del corpo e quindi la postura di coloro che si sedevano. Gli esperti ritenevano che, cambiando spesso posizione, si facessero pensieri piu creativi e la pratica aveva dato loro ragione. La maggior parte delle idee piu rivoluzionarie partorite alla Tu Technologies aveva visto la luce nel dinamico ondeggiare della montagna. Tu Tian troneggiava in cima alla montagna come un bambino grasso e presuntuoso. Quando si accorse della presenza del visitatore, interruppe la conversazione con due responsabili di progetto, scivolo verso il basso e si rimise in piedi con un gemito, tentando inutilmente di lisciare i pantaloni stropicciati. Con pazienza, Jericho attese che l’asssurda operazione avesse termine. Era sicuro che quei pantaloni avevano avuto quell’aspetto gia al mattino. «Un ferro da stiro farebbe miracoli», disse. Tu Tian scrollo le spalle. «Perché? Sono a posto.» «Non sei un po’ troppo vecchio per le arrampicate?» «Tu dici?» «Sei scivolato a valle con l’eleganza di una slavina. Le tue vertebre...»

«Le mie vertebre non sono affari tuoi. Vieni con me.» Tu Tian condusse l’amico in uno degli uffici con le pareti di vetro e chiuse la porta. Poi premette un pulsante. I vetri si oscurarono e il soffitto s’illumino. Dopo pochi secondi, le pareti erano diventate impenetrabili. Si sistemarono a un tavolo ovale, e Tu Tian lo fisso con aria impaziente. «Allora, cos’hai in mano?» «Non credo che siano le autorita a dare la caccia a Yoyo. Perlomeno, non gli organi di sicurezza ufficiali.» «Mi stai dicendo che e libera?» «Credo di s. Si e rifugiata a Quyu.» Con sua grande sorpresa, Tu Tian annu, come se non si fosse aspettato nulla di diverso. Jericho gli racconto quello che era accaduto dal loro ultimo colloquio. Tu Tian rimase in silenzio per un po’, quindi chiese: «E cosa pensi dello studente morto?» «Il mio istinto mi dice che e stato ucciso.» «Massimo rispetto per il tuo istinto.» «Era il coinquilino di Yoyo. Voleva spillarmi dei soldi per informazioni che probabilmente nemmeno possedeva. Forse ha tentato la stessa carta anche con qualcun altro, che lo ha trattato con meno riguardo. Oppure sapeva davvero qualcosa ed e stato tolto di mezzo prima che potesse raccontarlo ad altri.» «A te, per esempio.» «A me, per esempio.» Jericho si mordicchio il labbro. «D’accordo, e solo una mia teoria, pero mi sembra molto plausibile. Yoyo si da alla fuga, il suo coinquilino dice di sapere dove si trova, vuole dei soldi e cade nel vuoto. È lecito domandarsi chi lo abbia spinto a farlo. La polizia? Non credo proprio. Lo avrebbero messo sotto torchio, non indotto al suicidio. A parte il fatto che un solo motivo potrebbe spingere la polizia a far visita a Yoyo, ovvero la scoperta della sua identita. Ma scommetto che tu non hai visto nemmeno un agente di polizia in questi giorni.» Tu Tian scosse la testa. «Sarebbero venuti a trovarti, puoi starne certo. Yoyo lavora con te. Sarebbero andati a bussare alla porta di Chén e avrebbero spremuto i suoi coinquilini come limoni. Invece non e accaduto nulla di tutto questo. Deve aver pestato i piedi a qualcun altro. A qualcuno che non va troppo per il sottile.» Tu Tian arriccio le labbra. «Hongbng e io potremmo pubblicare un messaggio in quel bizzarro forum in cui Yoyo ha lasciato il suo. Per comunicarle che...» «Lascia perdere. Yoyo non ha bisogno che cerchiate di mettervi in contatto con lei.» «Non capisco. Perché non ha cercato di contattare almeno Hongbng?»

«Perché ha paura di coinvolgerlo. Al momento, vuole capire quali rischi puo correre senza mettere in pericolo se stessa e gli altri. Come fa a sapere se tu o Chén siete sorvegliati? Quindi resta nascosta e cerca di raccogliere informazioni. A Quyu era al sicuro, ma poi l’hanno avvertita che io ero sulle sue tracce. Adesso sa che sono stato nel suo nascondiglio. E pure che qualcuno mi ha seguito. Quindi l’Andromeda, come nascondiglio, e saltato. Lo ha abbandonato precipitosamente proprio come aveva fatto col suo appartamento. Ed e scomparsa di nuovo.» «Quello Zhao Bdé...» disse Tu Tian, pensieroso. «Che ruolo ha, secondo te?» «Non ne ho idea. Stava dando una mano durante l’allestimento di un concerto. Suppongo che abbia a che fare con l’Andromeda. » «Un City Demon?» «Lui dice di no.» «Pero e al corrente del fatto che Yoyo e un Guardiano.» «S, ma ho avuto l’impressione che non fosse a conoscenza del messaggio postato da Yoyo su Brilliant Shit. Non riesco a inquadrarlo. Di sicuro alcuni Guardiani sono anche City Demons. Ma non tutti i City Demons sono Guardiani. Inoltre ci sono persone che aiutano Yoyo senza fare parte dell’uno o dell’altro gruppo. Zhao e una di queste.» «E credi che lei si fidi di lui?» «A quanto dice, sta facendo il possibile per conquistare la sua fiducia. Tuttavia, quand’e fuggita di nuovo, lei non gli ha detto dove andava.» «Non ha informato nemmeno me e Chén, se e per questo.» «Vero. Ma cos non arriviamo da nessuna parte. E tu questo lo sai bene.» Jericho rivolse a Tu Tian uno sguardo pieno di rimprovero. L’altro lo fisso, imperturbabile. «Dove vuoi arrivare?» «A ogni fuga, si riduce la cerchia delle persone che sono al corrente delle mosse di Yoyo. Ma ci deve pur essere qualcuno che e sempre informato.» «E allora?» «E allora mi chiedo, con tutto il dovuto rispetto, se mi stai nascondendo qualcosa.» Tu Tian inizio a studiare con interesse la punta delle sue dita. «Credi che io conosca gli altri Guardiani?» «Credo che tu stia cercando di proteggere Yoyo e te stesso. Supponiamo che in realta tu non avessi avuto affatto bisogno del mio aiuto per trovarla. Ma le mie ricerche ti servivano per evitare di doverti esporre in prima persona. Nessuno deve sospettare che Tu Tian s’interessa piu del dovuto alla scomparsa di una dissidente. Chén Hongbng invece e il padre di Yoyo e puo ingaggiare un detective senza destare sospetti.» Jericho scruto la reazione di Tu Tian, che si mise a pulire gli occhiali con un lembo della camicia. «Supponiamo pure che tu sappia

con certezza dove si nasconde Yoyo se ci sono guai in vista», prosegu. «Ed ecco che si presenta Chén, ignaro di tutto, e ti chiede aiuto. Cosa puoi fare? Raccontargli quello che combina la figlia in rete, e il fatto che tu ne sei al corrente? Di piu, che approvi la sua attivita e sai dove si nasconde? Darebbe i numeri. Quindi gli suggerisci di rivolgersi a me e, nel contempo, mi fornisci l’indizio decisivo. I City Demons. Tra l’altro, anche Grand Cherokee Wang mi aveva parlato di loro. In effetti mi hai detto dove dovevo cercare. Il tuo piano era semplice: io trovo la ragazza, tu non dai nell’occhio, non sei costretto a calare le brache davanti a Chén, il padre viene rassicurato sulla sorte della figlia, e l’amico paterno puo dormire sonni tranquilli.» Tu Tian alzo per un istante lo sguardo e poi si dedico di nuovo alla pulizia degli occhiali. «Tuttavia non sapevi e non sai chi sono i nemici di Yoyo e perché le danno la caccia. E questo t’inquieta. Ora che Yoyo ha lasciato l’Andromeda, anche tu brancoli nel buio. Le cose si sono complicate. Ormai anche tu sei tanto perplesso e preoccupato quanto Chén. Inoltre c’e scappato il morto.» Tu Tian alito su una lente e ricomincio a pulirla sulla camicia. «Cio significa che, da questo momento, io ti servo davvero...» Jericho si protese verso l’impassibile cinese e bisbiglio: «... per una vera indagine». Alitare, pulire. «Ma, per arrivare a un risultato, devo poterla fare, un’indagine! » La stanghetta avvolta col nastro adesivo si spezzo con un rumore secco. Tu Tian si lascio scappare un’imprecazione, si schiar la gola e cerco di risistemare gli occhiali sul naso. Ondeggiavano in precario equilibrio come un’automobile fuori controllo appena prima di precipitare da una scogliera. «Potrei addirittura consigliarti un ottico», aggiunse Jericho in tono asciutto. «Ma prima mi devi dire tutto quello che mi hai nascosto finora. Altrimenti non vi posso aiutare.» Altrimenti il prossimo a cadere dal tetto potrei essere io, penso. Tu Tian scaglio la stanghetta spezzata sul tavolo. «So benissimo perché ti ho ingaggiato. Ma non ti servira a nulla conoscere il nome degli altri cinque Guardiani. Probabilmente si sono nascosti anche loro.» «Primo: avrei una pista da seguire. Secondo: adesso ho un alleato. » «Zhao Bdé?» «Anche se non fa parte dei City Demons, e assai plausibile che conosca le loro facce. Mi servono nomi e fotografie.» Tu Tian si gratto l’orecchio. «Per le fotografie ci vorra tempo. I nomi li avrai. Tra l’altro, uno lo hai gia conosciuto.» «Davvero? Chi?» chiese Jericho, alzando le sopracciglia.

«Il suo soprannome e Daxiong, cioe ’grande orso’.» «La montagna con la sfera pensante?» Cerco d’immaginarsi Daxiong con una coscienza politica e con un intelletto abbastanza sviluppato da consentirgli di mettere in agitazione il Partito. «Fatico a crederci. Ero convinto che la sua motocicletta avesse un quoziente d’intelligenza maggiore del suo.» «Molti la pensano come te», ribatté Tu Tian. «Da molti, anch’io vengo considerato un vecchio fannullone sovrappeso che non va mai dall’ottico e mangia solo merda in scatola. Credi sul serio che Yoyo ti sarebbe sfuggita se il grande orso fosse cos stupido? Lui ti ha mandato dritto all’inferno, e tu ci sei andato.» Aveva ragione. «Comunque sia, ora sai perché non voglio stuzzicare i miei contatti», disse. «La polizia avrebbe di che meravigliarsi. Ormai probabilmente sa che Wang era il coinquilino di Yoyo. Faranno indagini e scopriranno che sto cercando la ragazza. Poi tireranno le ovvie conclusioni: uno studente morto, forse assassinato, un’oppositrice del regime con precedenti penali, un detective che chiede informazioni sul primo e cerca la seconda. Non voglio che scoprano il legame. Voglio passare inosservato. Altrimenti va a finire che li invoglio a occuparsi di Yoyo piu da vicino.» «Capisco.» Le dita di Tu Tian accarezzarono il piano del tavolo e la parete di fronte a loro si trasformo in uno schermo. «Guarda questo. » L’immagine mostrava il corridoio di vetro e l’accesso alla stazione dell’ottovolante dalla prospettiva di due telecamere di sorveglianza. «Come hai fatto ad avere le registrazioni cos in fretta?» si stup Jericho. L’altro ridacchio. «Ogni tuo desiderio e un ordine. La polizia ha apposto un sigillo elettronico, ma non e un problema per noi, anche perché la nostra rete di sorveglianza interna e collegata con quella dell’edificio. Inoltre ci siamo infiltrati in sistemi ben piu complessi. Ci sarebbero state difficolta solo se avessero inserito un blocco ad alta sicurezza.» Jericho rifletté. I blocchi ad alta sicurezza erano frequenti. Il fatto che le autorita incaricate dell’indagine ci rinunciassero la diceva lunga sull’importanza che attribuivano al caso. Un’altra conferma all’ipotesi che la polizia non si stava occupando di Yoyo. Nel corridoio di vetro comparvero due uomini. Il piu basso dei due, che camminava davanti, portava i capelli lunghi, vestiti alla moda e applicazioni sulla fronte e sugli zigomi: era Grand Cherokee Wang. Lo seguiva un uomo alto e magro, che indossava un completo di buona fattura. I capelli pettinati all’indietro, i baffi sottili e gli occhiali scuri gli conferivano un aspetto elegante. Dai movimenti della sua testa il detective intu che stava esaminando con attenzione l’intero corridoio. Di tanto in tanto, il suo sguardo si posava di sfuggita sulle tele-

camere. «Un tipo furbo», mormoro. I due raggiunsero il centro del corridoio e scomparvero dal campo della telecamera. L’altra li inquadro mentre entravano insieme nella sala di controllo dell’ottovolante. Tu Tian aumento la velocita di riproduzione. «Qui chiacchierano. Non succede nulla d’interessante.» Grand Cherokee si mise a gesticolare in modo accelerato. Stava chiaramente spiegando all’altro il funzionamento del pannello di comando. Poi la conversazione si animo. «Adesso stai attento», disse Tu Tian. Il filmato riprese a scorrere a velocita normale. I due uomini erano vicini come prima. Grand Cherokee fece un passo verso l’altro, che allungo un braccio. Lo studente si ripiego su se stesso, colp il bordo della console con la faccia e crollo a terra. Il suo interlocutore lo afferro sotto le ascelle e lo rimise in piedi. Grand Cherokee barcollava, ma l’estraneo lo teneva saldamente. A uno sguardo poco attento, sarebbe sembrato che sorreggesse l’amico colto da un improvviso malore. Passarono alcuni secondi, poi l’uomo cadde di nuovo sulle ginocchia. L’altro si accovaccio accanto a lui e gli sussurro qualcosa. Grand Cherokee si piego in avanti e cerco di rialzarsi. Dopo un po’, l’uomo alto usc dalla sala di controllo, ma un attimo dopo si fermo e torno sui suoi passi. Per la prima volta da quando aveva messo piede nel corridoio, rivolse di nuovo lo sguardo alla telecamera. «Stop. Puoi ingrandirlo?» chiese Jericho. «Certo.» Tu Tian ingrand la parte superiore del corpo e il viso fino a riempire lo schermo. Il detective socchiuse le palpebre. Quell’uomo sembrava Ryuichi Sakamoto travestito da occupante giapponese nell’Ultimo imperatore di Bertolucci. «Ti ricorda qualcuno?» chiese Tu Tian. L’altro esito. La somiglianza con l’attore e compositore giapponese era sorprendente. Nel contempo pero aveva la sensazione di essere completamente fuori strada. Quel film era vecchissimo e Sakamoto aveva piu di settant’anni. «Non proprio. Mandami la fotografia sul computer, per favore.» Il filmato ripart. Grand Cherokee Wang lascio la sala di controllo e arretro davanti all’estraneo. Per un po’, entrambi uscirono di campo, poi l’uomo alto riapparve. Entro nella sala di controllo e aziono qualcosa sul pannello di comando. «Mi domando se il servizio di sorveglianza non avrebbe dovuto reagire...» mormoro Tu Tian. «A cosa?» domando Jericho. L’altro lo fisso. «Come ’a cosa’? A quello che stai vedendo!»

«A te cosa sembra?» «È chiaro che tra quei due e successo qualcosa, non credi?» Jericho si appoggio allo schienale. «Davvero? A parte il fatto che Wang cade a terra due volte, non accade nulla. Forse e drogato o ubriaco, oppure non si sente bene. Il nostro sollecito amico lo aiuta a rialzarsi e basta. Inoltre il servizio di sorveglianza deve controllare cento piani, e tu sai bene come vanno queste cose. Le guardie non fissano i monitor per tutto il tempo... Ci sono telecamere esterne?» «S, ma trasmettono le immagini solo alla sala di controllo del Silver Dragon.» «Cio significa che non possiamo...» «Loro non possono. Noi s», lo corresse Tu Tian. Nel video, l’estraneo usc dalla sala di controllo, attraverso il corridoio e spar nella parte adiacente dell’edificio. Tu Tian avvio un nuovo filmato. Lo schermo si suddivise in otto settori, che mostravano il tracciato della rotaia del Silver Dragon. Una delle telecamere aveva registrato Grand Cherokee: era in fondo all’ultimo vagone e continuava a guardarsi alle spalle. Poi scese sulla rotaia. «Fermalo», esclamo Jericho. «Voglio vedere la sua faccia.» Non c’erano dubbi: i tratti di Grand Cherokee erano deformati dal panico e lui provo un misto di fascino e orrore. «Dove vuole andare?» «La sua e un’azione ponderata», mormoro Tu Tian, come se parlando ad alta voce potesse far cadere il disperato dall’ottovolante. Nel frattempo, il Silver Dragon lascio la stazione e inizio a sfilare da un’immagine all’altra. «Intorno al palazzo esiste un collegamento fra il tracciato e l’edificio. Con un po’ di fortuna, sarebbe potuto arrivare fin l.» «Ma non ce l’ha fatta.» Tu Tian scosse la testa. Sconvolti, i due assistettero alla morte di Grand Cherokee. Per un po’ nessuno dei due parlo, poi Jericho si schiar la gola e disse: «I codici orari. Confrontandoli, emerge senza ombra di dubbio che e stato l’estraneo a mettere in funzione il Silver Dragon. Ed e evidente anche un’altra cosa. Vediamo il suo volto in due occasioni e sempre in modo indistinto. Per tutto il resto del tempo, e stato ben attento a voltare le spalle alla telecamera». «E cosa ne deduci?» chiese Tu Tian con voce roca. Lo fisso. «Mi dispiace molto. Ma tu e Chén... dovrete abituarvi all’idea che Yoyo abbia alle calcagna un killer professionista. » No, sbagliato, penso. Non ce l’ha solo Yoyo. Ce l’ho anch’io. La Tu Technologies era una delle poche aziende di Shanghai che disponeva di una flotta privata di skymobile. Nel 2016, il World Financial Center era stato ampliato con un hangar per i velivoli privati, situato sopra gli uffici al settantottesimo piano. C’era spazio sufficiente per

una dozzina di mezzi, la meta dei quali apparteneva alla societa proprietaria del palazzo, prevalentemente velivoli a decollo verticale per le operazioni di evacuazione. Da quando i terroristi islamici avevano dirottato due aerei ed erano andati a schiantarsi contro le torri gemelle del World Trade Center di New York, poco meno di un quarto di secolo prima, l’interesse per le automobili volanti era progressivamente cresciuto ed era culminato nello sviluppo di diversi modelli. Quasi tutti i grattacieli cinesi di nuova costruzione erano dotati di un ponte di volo. Sette macchine erano dello Hyatt, quattro eleganti shuttle con turbine orientabili, due sky-bike e un giroplano, un velivolo simile a un elicottero. La flotta di Tu Tian comprendeva due giroplani e il Silver Surfer, un velivolo a decollo verticale ultrapiatto e luccicante. L’anno precedente, Jericho aveva avuto il piacere di godersi qualche ora di volo, come contropartita per un lavoro che aveva svolto senza chiedere compenso. Cos aveva avuto la possibilita di pilotare quella macchina costosissima. Ora, al posto di comando, c’era seduto Tu Tian. Voleva andare a trovare Chén Hongbng e successivamente recarsi ad alcuni appuntamenti di lavoro a Dongtan - una citta-satellite di Shanghai sull’isola Chongmng, nel delta del fiume Changjiang -, che era al primo posto nella classifica delle citta piu ecologiche del mondo. La Tu Technologies aveva progettato una via d’acqua virtuale per la metropoli attraversata da canali, un tunnel di vetro che dava l’illusione di viaggiare nell’epoca dei Tre Regni, un’era che si estendeva dalla dinastia Han alla dinastia Jn, molto amata perché ricca di storie affascinanti. «Siamo i piu grandi inquinatori del pianeta», spiegava Tu Tian quando parlava di Dongtan. «Nessuno corrompe la Terra in modo cos sistematico come la Cina, nemmeno gli Stati Uniti d’America. D’altro canto, pero, in nessun altro luogo le energie alternative trovano applicazione tanto estesa come qui da noi. Tutto cio che facciamo e radicale, in positivo e in negativo. Questo e cio che intendiamo per yn e yang, oggi: scandagliare gli estremi.» Il gigantesco hangar era illuminato a giorno. I velivoli a decollo verticale erano allineati come balene spiaggiate. Mentre Tu Tian conduceva il suo uccellino verso la pista di decollo, i pannelli di vetro che chiudevano l’hangar scivolarono di lato. L’uomo porto le quattro turbine del velivolo in posizione orizzontale e accelero. Il rombo riemp l’hangar, poi il Silver Surfer schizzo oltre il bordo dell’edificio e si slancio in direzione di Huangpu. A duecento metri dal suolo, Tu Tian riprese il controllo della macchina e la guido in un’ampia virata sopra il fiume. «Raccontero a Hongbng una versione edulcorata della faccenda », disse. «Gli spieghero che Yoyo non e ricercata dalla polizia, ma che probabilmente e convinta di esserlo. E che si trova ancora a Quyu.» «Se si trova ancora a Quyu.» «Comunque sia. Cosa pensi di fare?» «Rovistero in rete nella speranza che Yoyo abbia pubblicato un nuovo messaggio. E daro un’occhiata a una catena di fast food chiamata Wongs World.»

«Mai sentita.» «Probabilmente esiste solo a Quyu. Il cestino dei rifiuti di Yoyo era pieno di confezioni di Wongs World. Ah, ho bisogno d’informazioni sugli attuali progetti dei Guardiani. Senza omissioni », sottolineo, lanciando all’amico un’occhiataccia. «Niente abbellimenti, niente carte coperte.» Tu Tian sembrava un palloncino sgonfio. Per la prima volta, da quando Jericho lo conosceva, pareva davvero incerto sul da farsi. Gli occhiali mutilati penzolavano dal naso. «Ti diro tutto quello che so», gli assicuro con aria contrita. «Molto bene. Di’ un po’, ma riesci a vedere qualcosa con quelli?» gli chiese poi, indicando il suo naso. Senza una parola, il cinese apr uno sportello nel pannello centrale, tiro fuori un paio di occhiali identici a quelli che portava, li indosso e si getto il paio vecchio dietro le spalle. Jericho lo squadro, interdetto. C’era davvero una dozzina di occhiali in quel cassetto? «Perché ripari gli occhiali usa e getta col nastro adesivo?» «Perché no? Quelli erano ancora a posto.» «Non erano affatto... Be’, lasciamo perdere. Quanto a Hong-bng, credo che prima o poi dovra sapere la verita. In fondo e il padre di Yoyo. Ne ha il diritto.» «S, ma non ora.» Tu Tian fece scendere ulteriormente di quota il Silver Surfer e si diresse verso sud. «Hongbng va trattato coi guanti. Bisogna stare molto attenti a non spingersi troppo in la con lui. Un’altra cosa: la faccenda dei poveri resti di Grand Rococo o come diavolo si chiama... insomma, credo che sara impossibile arrivare ai suoi effetti personali, ma ci pensero su. Tu sei interessato soprattutto al suo cellulare, vero?» «Voglio sapere con chi ha parlato al telefono dopo la scomparsa di Yoyo.» «Va bene, faro quello che posso. Dove ti faccio scendere?» «A casa.» Tu Tian ridusse la velocita e si diresse verso lo skyport di Lu-wanqu, che distava solo pochi minuti a piedi da Xntiand. A perdita d’occhio, il traffico sulle strade di Shanghai era congestionato ovunque; solo sulle sopraelevate dedicate alle COD le cabine sfrecciavano ad alta velocita. Le dita di Tu Tian sfiorarono il campo olografico con gli strumenti di navigazione e le turbine si ribaltarono in posizione verticale. Il velivolo scese verso terra, come fosse un ascensore. Jericho guardo dal finestrino laterale. Ai margini della pista di decollo erano parcheggiati due giroplani cittadini, entrambi destinati al trasporto dei feriti. Un altro stava decollando e passo accanto a loro a distanza ravvicinata prima di virare a tutta velocita verso Huangpu. Jericho avvert una leggera vibrazione nella zona inguinale e tiro fuori il cellulare. Poi premette il pulsante di accettazione della chiamata.

«Come va, piccolo Jericho?» Lui fece schioccare la lingua. «Zhao Bdé. Il mio nuovo e fidato amico. Cosa posso fare per lei?» «Ha nostalgia di Quyu?» «Me la faccia venire.» «I baozi alla polpa di granchio di Wongs World sono eccezionali. » «Ah. Ha trovato il posto.» «Lo conoscevo, pensi. Avevo solo dimenticato come si chiama. Si trova nella parte, diciamo cos, ’civilizzata’ di Xaxus. Dovrebbe esserci passato davanti anche lei. Una specie di mercato a cielo aperto, pero con un tetto. Gigantesco.» «Bene. Andro a dare un’occhiata.» «Piano, detective. I mercati sono due. La filiale si trova a un isolato di distanza.» «Non ce n’e anche una terza?» «No, solo queste due.» Il Silver Surfer si fermo, ondeggiando leggermente. Tu Tian spense i motori. «Fino alle sette hanno bisogno di me all’Andromeda», disse Zhao. «Almeno finché i Pink Asses non riescono a raggiungere il palco, il che potrebbe non essere un’impresa facile. Dopo sono libero.» Jericho rifletté. «D’accordo. Dividiamoci i compiti. Ognuno di noi tiene d’occhio una filiale. Magari Yoyo e i suoi amici si faranno vedere.» «E io cosa ci guadagno?» «Ma come, piccolo Zhao!» finse d’indignarsi Jericho. «Sarebbero queste le parole di un innamorato in ansia?» «Sono le parole di un innamorato di Quyu, misero idealista. Allora? Vuole il mio aiuto oppure no?» «Quanto?» Zhao disse una cifra. Jericho propose la meta di quanto richiesto, come prevedeva la prassi. «Dove c’incontriamo?» chiese. «All’Andromeda. Alle sette e mezzo.» «Spero che le sia chiaro che si tratta del lavoro piu noioso del mondo. Stare seduti per ore a fissare un punto senza addormentarsi. » «Non si preoccupi.» «Non lo faro, puo starne certo. A dopo.» Tu Tian gli lancio un’occhiata. «Sei sicuro di poterti fidare di questo tizio? Magari si sta solo dando delle arie. Magari vuole solo dei soldi.»

Jericho scrollo le spalle. «E forse il papa e ateo. Con Zhao Bdé c’e ben poco che possa andare storto. Deve tenere gli occhi aperti, tutto qui.» «Se lo dici tu. Fai in modo di essere rintracciabile, in caso io riesca a recuperare il cellulare del nostro defunto Grand Sheraton. Da qualche parte tra la milza e il fegato.» QYÙ, SHANGHAI, CINA Quando Jericho si diresse nuovamente verso il mondo dimenticato, il traffico scorreva con la consistenza del miele. Piuttosto fluido quindi, per la sensibilita di un abitante di Shanghai. Prometteva un puntuale ritorno a casa, una cena calda e bambini assonnati ma ancora svegli, in modo che mamma e papa potessero metterli a letto insieme. Per un mitteleuropeo invece, abituato a viaggi piu accelerati, ogni minuto trascorso sulle strade di Shanghai entrava a buon diritto nel novero delle esperienze piu sconvolgenti. Gli studiosi di statistica sostenevano che un automobilista medio trascorreva sei mesi della sua vita urbana davanti ai semafori rossi, ma quel numero, a Shanghai, doveva essere elevato all’ennesima potenza. Dal momento che le COD si erano rivelate inadatte per una visita a Quyu - erano vistose come rane con le ali e avrebbero suscitato la diffidenza di Yoyo - a Jericho non rimase altra scelta che andare a prendere la sua macchina nel garage sotterraneo. Nel pomeriggio, aveva sguinzagliato Diane alla ricerca di Zhao Bdé in Internet, ma invano. Nessuno era registrato con quel nome. Quyu non esisteva, e lo stesso valeva per i suoi abitanti. In compenso, gli altri cinque Guardiani comparivano negli elenchi delle universita. Invece Yoyo, dopo il messaggio postato su Brilliant Shit, aveva fatto perdere le sue tracce. Una volta di piu, Jericho si chiese chi avesse messo un killer professionista alle calcagna di quella ragazza. D’accordo, era una dissidente e dava fastidio, pero non era davvero pericolosa. Escludendo la polizia, potevano essere coinvolti altri uffici governativi. I servizi segreti permeavano ogni cellula del Partito come la muffa il gorgonzola. Nessuno, probabilmente nemmeno i dirigenti di piu alto livello, conosceva la vera estensione di quella rete. Stava prendendo forma un’operazione segreta per impedire che Yoyo diffondesse chissa quale informazione. Un’informazione che non avrebbe mai dovuto acquisire. Il che implicava qualcosa di piu della «semplice» uccisione della ragazza. Infatti, ammesso che quell’informazione venisse dalla rete, c’era un’altissima probabilita che fosse memorizzata sul suo computer. Una circostanza che non contribuiva ad aumentare le speranze di sopravvivenza di Yoyo, ma rendeva piu difficile toglierla di mezzo. Finché non sapevano dove si trovasse il suo computer, non potevano semplicemente spararle in mezzo a una strada. Il killer doveva entrare in possesso del computer, e non solo, doveva anche scoprire con chi Yoyo aveva condiviso l’informazione. Il suo compito era simile a quello di un epidemiologo: circoscrivere il virus, radunare gli infetti, eliminarli, rendere innocuo il paziente

A responsabile della diffusione. Si chiese dove fosse l’epidemiologo in quel momento. Jericho si aspettava di essere seguito. Quella mattina, il killer si era messo sulle sue tracce a bordo di una COD. Nel frattempo, poteva aver cambiato mezzo di trasporto, proprio come aveva fatto lui. La descrizione di Zhao era compatibile con l’aspetto dell’uomo nelle riprese video del World Financial Center, ma Jericho dubitava che l’estraneo sarebbe uscito allo scoperto. D’altra parte, quel tipo non sapeva che lui conosceva la sua faccia, pensava di essere al sicuro e forse avrebbe commesso qualche leggerezza. Quale che fosse la verita, doveva stare attento a non condurlo dritto da Yoyo, offrendogliela su un piatto d’argento. A due chilometri da Quyu, gli arrivarono le fotografie che Tu Tian gli aveva promesso. Oltre a «Daxiong» Guangao, c’erano due ragazze - «Maggie» Xiao Meiq e Yn Zy - e i Guardiani maschi Tony Song e Jn Jia Wei. Insieme con le riprese dell’assassino di Grand Cherokee, quelle immagini rappresentavano la base della sua ricerca. Gli occhiali olografici e gli scanner che portava con sé avrebbero potuto accedere in ogni momento ai dati per segnalargli subito un’eventuale corrispondenza. Purtroppo le riprese erano di bassa qualita e Jericho dubitava che il computer riuscisse a localizzare il killer in mezzo alla folla. Ma era fortemente determinato ad andare sino in fondo. Grazie agli scanner lui e Zhao disponevano di una mezza dozzina di cani da caccia che avrebbe dato l’allarme non appena Yoyo o uno dei suoi amici avesse messo piede al Wongs World. Imbocco l’uscita per Quyu e si accosto al bordo della strada per cambiare il colore del veicolo. I campi magnetici modificarono in pochi secondi la nanostruttura delle particelle di vernice. Un optional che gli era costato qualche yuan, ma ora la sua Toyota poteva mimetizzarsi come un camaleonte. Mentre telefonava a un cliente, l’elegante colore blu argento divento piu scuro sino a trasformarsi in un marrone grigiastro opaco. Il cofano anteriore dava l’impressione di essere stato riverniciato in fretta e furia e macchie scure deturpavano la portiera del conducente, creando l’illusione di ammaccature ai cui margini la vernice si stava scrostando. Sopra il parafango posteriore sinistro comparve un profondo graffio. Quando il detective varco il confine che separava il regno delle ombre dal mondo dei vivi, la sua automobile aveva un aspetto pietoso... proprio quello che ci voleva per non dare nell’occhio nelle strade di Xaxus. Zhao gli aveva indicato la strada per raggiungere il piu grande dei mercati Wongs. Quando Jericho arrivo, il luogo pulsava di attivita. Ormai lui vedeva quella parte di Xaxus con altri occhi. L’impressione d’integrita e operosita nascondeva il fatto che l correva una frattura della societa, al di la della quale coloro che non avevano accesso alla rete erano sottomessi alla dittatura delle Triadi rivali che controllavano il territorio. All’ombra dell’acciaieria abbandonata, alla quale il quartiere doveva la propria esistenza, prosperavano lo spaccio di droga,

il riciclaggio di denaro sporco, la prostituzione, l’obnubilamento cerebrale con le miracolose droghe virtuali dei Cyber Planet. Per contro, le Triadi non dimostravano il minimo interesse per le estese steppe di miseria che Jericho aveva attraversato quella mattina. Di conseguenza, la parte piu onesta di Quyu era anche la piu povera, e chi cercava di vivere in modo onesto restava povero per sempre. Il Wongs World occupava un’area grande quanto un isolato e si presentava come un patchwork di cucine inondate di vapore, pareti ricoperte di scaffali giganteschi pieni di conserve, gabbie accatastate con animali che starnazzavano, sibilavano e guaivano, chioschi sgangherati in cui si facevano scommesse e botteghe appartate in cui ci si potevano procurare droghe chimiche, malattie veneree o debiti di gioco. Jericho non aveva dubbi sul fatto che si vendessero pure armi. C’era una ressa incredibile. Brandelli di chiacchiere e risate sfrecciavano per il mercato come uno sciame di calabroni, intervallati dal rumore distorto di musica popolare cinese diffusa da altoparlanti sfruttati oltre le loro capacita. Mentre si stava ancora guardando intorno alla ricerca di Zhao, questi emerse dalla folla e si fece largo nella sua direzione. Jericho abbasso il finestrino e ne richiamo l’attenzione con un cenno. L’uomo indossava jeans che avevano visto tempi migliori e una giacca a vento leggera, ma nel complesso non dava un’impressione di trasandatezza. Mentre sollevava la testa per sorseggiare una birra da una lattina imperlata di gocce di condensa, i capelli gli ricaddero morbidamente sulle spalle. In spalla portava uno zaino consunto. Si avvicino al veicolo senza fretta e si chino verso Jericho. «Non e proprio il suo mondo, vero?» «Ho visto inferni peggiori. Avanti, salga. Le voglio mostrare una cosa.» Zhao giro intorno all’automobile, apr la portiera dalla parte del passeggero e si lascio cadere sul sedile. Per un attimo, il suo profilo fu investito da un raggio di sole che era riuscito a penetrare la cortina di nuvole. Jericho lo osservo, chiedendosi perché un tipo come quello non fosse nell’ambiente della moda o dei film. O forse lo aveva davvero gia visto da qualche parte? In televisione? Su una rivista? All’improvviso gli sembro di s. Un ex modello, non piu richiesto e naufragato a Quyu. Le prime gocce di pioggia esplosero sul parabrezza. «Tutto okay?» chiese Zhao. «E lei?» «I ragazzi sono sul palco. A proposito, questa carretta e orribile. Vernice cangiante?» Jericho lo guardo, sorpreso. «Se ne intende.» «Un po’. Niente paura. L’illusione e perfetta.» Si chino e pul una macchia sul cruscotto col pugno chiuso. «Impossibile accorgersene, finché non si sale in questo abitacolo immacolato.» «Mi descriva l’altro mercato.»

«Grande poco meno la meta di questo. Niente galline e niente teste di gallina mozzate.» Jericho si sporse verso il lato posteriore e allungo a Zhao un paio di occhiali olografici. «Mai indossati, questi?» «Certo.» L’altro indico il Cyber Planet. «La dentro tutti hanno cose del genere. Lo sa come li chiamano, questi posti?» «I Cyber Planet? No.» «Obitori. Chi entra, ne esce praticamente morto. Respira ancora, ma la sua esistenza si riduce alle funzioni vitali elementari. A un certo punto, ti portano fuori perché sei morto davvero. Nei Cyber Planet succede spesso.» «Quante volte ci e stato, lei?» «Qualcuna.» «A me non sembra affatto morto.» Zhao socchiuse le palpebre e lo fisso. «Io sono immune a qualsiasi tipo di droga, piccolo Jericho. Mi spieghi il funzionamento di questi stupidi occhiali.» «Eseguono un confronto biometrico. Scansione panoramica a centottanta gradi. Ho caricato le fotografie di Yoyo e degli altri cinque Guardiani. Se uno di loro entra nel campo di rilevamento, gli occhiali lo colorano di rosso e inviano un segnale acustico. Abbastanza forte da svegliarla, qualora si fosse addormentato sotto il peso di tanta responsabilita. Inoltre il dispositivo di regolazione sulla stanghetta sinistra trasforma l’esterno delle lenti in una superficie a specchio, se lo si desidera.» Jericho mise uno scanner sotto il naso di Zhao. «Ho sincronizzato tre di questi aggeggi coi suoi occhiali. Puo piazzarli dove vuole, ma cerchi di metterli dove la sua vista non puo arrivare. Questo pulsante serve per regolare la messa a fuoco; con questo attiva il meccanismo di fissaggio. Trasmettono direttamente agli occhiali. Le immagini riprese dagli scanner vengono visualizzate sul bordo inferiore delle lenti.» «Notevole», disse Zhao, e la sua espressione rivelava che era davvero colpito. «E noi come comunichiamo?» «Via cellulare. Sa gia dove andra ad appostarsi?» «Anche di fronte alla mia filiale c’e un Cyber Planet. Finestre belle grandi per guardare fuori.» Lo sguardo di Jericho si poso sul Cyber Planet all’angolo. «Buona idea», mormoro. «Ci si registra e si paga per ventiquattr’ore. Molto piu comodo che stare seduti in macchina. Se si siede davanti alla finestra con gli occhiali sul naso, tutti penseranno che si sta scopando una puttana marziana con quattro tette. Ci sono snack e bevande, non tutte consigliabili. Dovrebbe davvero provare quei baozi alla polpa di granchio. Il cibo di Wongs World e buono ed economico. »

«Ha dei parenti l?» chiese Jericho in tono beffardo. «No, ma ho papille gustative che funzionano. Le dispiacerebbe darmi un passaggio fino al luogo del mio appostamento?» Jericho avvio la macchina e, seguendo le indicazioni di Zhao, si diresse verso l’altra filiale di Wongs. Durante il viaggio passarono accanto a sale da te e a una tavola calda giapponese, davanti alla quale alcuni uomini giocavano a carte e a scacchi cinesi o discutevano gesticolando. Molti erano a torso nudo e coi capelli rasati a zero. «I signori di Xaxus», disse Zhao con disprezzo. «Si dividono il territorio.» «E lei non vuole accaparrarsi una fetta di torta?» «Come le viene in mente?» «Cosa resta a quelli come lei una volta che loro se la sono spartita?» Zhao scrollo le spalle. «Chi se ne importa? Aiuto idioti drogati a salire sul palco e poi a scendere. Un lavoro come un altro.» «Non capisco.» «Cosa c’e da capire?» «Non riesco a capire cosa ci fa una persona come lei a Quyu. Potrebbe vivere da un’altra parte.» Zhao scosse la testa. «Lei dice? Nessuno qui puo vivere da un’altra parte. Nessuno vuole che viviamo da un’altra parte.» «Quyu non e una prigione.» «Quyu e un concetto. Due terzi dell’umanita oggi vivono nelle citta, le campagne sono spopolate. Arrivera il momento in cui tutte le citta confluiranno l’una nell’altra. Sono come tumori, un tessuto malato e distruttivo; solo singole cellule sono sane, immerse nei deserti della depravazione. Queste cellule sono come santuari, templi di uno sviluppo superiore. L vivono persone, persone vere. Tipi come lei. Il resto e un branco di animali, bestiame col dono della parola, che si crogiola nell’idea ridicola di un dio che li ama. Si guardi intorno. La gente qui vegeta, o vive come scimmie sugli alberi, moltiplicandosi, dissipando le risorse del pianeta, uccidendosi a vicenda o morendo di qualche malattia. Queste persone sono lo scarto della creazione. La parte malriuscita dell’esperimento.» «Di cui fa parte anche lei, giusto? O mi e sfuggito qualcosa?» Zhao sorrise con un’espressione compiaciuta. «Ah, Jericho. L’universo ha i suoi centri luminosi... e lo sa perché? Perché in mezzo regna l’oscurita. Ha mai sentito dire che bisognerebbe illuminare le parti buie dell’universo? È impossibile. Ogni tentativo di fornire benessere all’umanita intera e destinato al fallimento, e ha come unico risultato che tutti stanno peggio. Cio che e superiore non puo conformarsi a cio che e inferiore; deve darsi un limite per poter risplendere. Non esiste l’umanita, non nel senso di una specie omogenea. Esistono vincitori e

perdenti, coloro che hanno accesso alla rete e coloro che non ce l’hanno, quelli che hanno un posto al sole e la maggioranza che non ce l’ha. La frattura e insanabile. Nessuno vuole davvero integrare i Xaxus di questo mondo, abbattere i confini... Ah, la in fondo deve girare a sinistra.» Jericho obbed. La Toyota percorse una strada larga e sconnessa, costeggiata da capannoni e da case di mattoni. Nel punto in cui si fronteggiavano il Wongs World e la filiale del Cyber Planet, si apriva uno spiazzo polveroso che permetteva d’intravedere il profilo dell’acciaieria in fondo alla strada. Il gigantesco altoforno troneggiava sul paesaggio come un monumento commemorativo. «Non riesco a inquadrarla, Zhao. Chi e lei, veramente?» «Lei cosa pensa?» Lo fisso. «Non lo so. Sembra avere una cotta per Yoyo ma, quando bisogna trovarla, vuole essere pagato come un qualsiasi scagnozzo. Vive qui, ma disprezza la sua stessa gente. In qualche modo, lei non c’entra nulla con Quyu.» «Che bella consolazione», disse l’altro in tono sprezzante. «È come se volesse convincere un’emorroide che in fondo e un toccasana per il buco del culo su cui e cresciuta.» «È nato a Quyu o e finito qui per caso?» «Per caso.» «Allora, se vuole, puo anche andarsene di nuovo.» «Dove?» Jericho ci penso su. «Be’, c’e una possibilita. Vediamo un po’ come si sviluppa la nostra collaborazione.» Zhao inclino la testa e sollevo un sopracciglio. «Ho capito bene? Mi sta offrendo un lavoro?» «Non ho collaboratori fissi; metto insieme le squadre di lavoro a seconda delle indagini. Di sicuro lei e intelligente, Zhao. Ed e in forma: il suo attacco a sorpresa all’Andromeda mi ha impressionato. Non posso sostenere che mi e simpatico, ma non dobbiamo mica sposarci. Potrebbe anche darsi che, di tanto in tanto, io abbia bisogno di lei.» Gli occhi di Zhao si ridussero a due fessure. Poi lui sorrise. Nello stesso istante, Jericho ebbe un déja-vu. In quell’estraneo intravide una figura familiare. Come una goccia di colore scuro in un liquido chiaro, l’immagine si diffondeva rapidamente, ma un attimo dopo era sparita. Tutto, intorno a lui, sembrava volergli rivelare una soluzione nota da tempo, come un film di cui non riusciva a ricordare il finale. No, non un film, piuttosto un sogno, un’illusione. Un’immagine riflessa nell’acqua, distrutta nel tentativo di trattenerla.

Quyu. Il mercato. Zhao al suo fianco. «Tutto a posto?» «S.» Jericho si sfrego gli occhi. «Non dovremmo perdere tempo. Mettiamoci al lavoro.» «Perché non ha affidato questo incarico a una delle sue squadre? » «Perché l’incarico consiste nel proteggere una dissidente la cui identita e sconosciuta a tutti tranne che a una manciata di fedelissimi. Meno gente si occupa di Yoyo, meglio e.» «Sta dicendo che non ha parlato della ragazza con nessuno a parte me?» «S. Sono stato dai suoi coinquilini.» «E allora?» «Una visita praticamente inutile. Li conosce?» «Di vista. Yoyo dice che non sanno nulla della sua doppia vita. Uno non ha il minimo interesse per lei, l’altro si tormenta perché lei non ha il minimo interesse per lui. E tende a darsi delle arie.» «Sta parlando di Grand Cherokee Wang?» «S, credo che si chiami cos. Nome ridicolo. Un pallone gonfiato. Cosa le hanno raccontato, quei due?» «Niente.» Jericho fece una pausa. «Per quanto riguarda Wang, non puo piu raccontare nulla. È morto.» Zhao aggrotto la fronte. «Davvero? Quando l’ho visto l’ultima volta, sembrava piuttosto in forma. Si vantava di un certo ottovolante che, a quanto pareva, possedeva.» «Non era suo.» Jericho fisso la massa umana che affollava il mercato. «Parliamoci chiaro, Zhao. Quello che facciamo qui puo diventare pericoloso per tutte le persone coinvolte. Yoyo ha pestato i piedi a gente che non si fa scrupoli a seminare cadaveri. Wang e morto per questo. Ho pensato che dovesse saperlo.» «Hmm. Okay.» «È ancora disposto ad aiutarmi?» All’improvviso, Zhao sembro in imbarazzo. «Ascolti, per quanto riguarda i soldi...» «Non si preoccupi.» «No, non voglio che si faccia un’idea sbagliata. La aiuterei anche se non ne ricavassi nulla. È solo che... ne ho bisogno, ecco. Ha visto quei tizi lungo la strada, no?» «Quelli che si spartiscono la torta?» «Sarebbe facile entrare nel loro giro. Qualcosa salta sempre fuori. La maggior parte della gente qui sopravvive leccando gli stivali di quei tipi. Capisce?» «Credo di s.» «Nemmeno lei ha accettato questa indagine solo per la gloria, immagino.»

«Ascolti, lei non si deve giustificare...» «Non mi sto giustificando. Sto puntualizzando.» Zhao infilo gli occhiali e gli scanner nel suo zaino. «Quanto dobbiamo restare? » «Per tutto il tempo necessario. Una volta ho trascorso tre settimane davanti a un portone.» «Come? E la signora non l’ha invitata a entrare?» Apr la portiera. «Be’, in fondo, un senso c’e.» «E quale sarebbe?» L’altro scrollo le spalle. «Non gliel’ha mai detto nessuno che sembra l’uomo piu solo del mondo? No? In bocca al lupo, piccolo idiota!» Sulla punta della lingua di Jericho si affollarono migliaia di risposte, ma nemmeno una sufficientemente arguta. Osservo Zhao attraversare la strada in direzione del Wongs World, fece inversione e ritorno verso la sua filiale, dove parcheggio la Toyota in modo che lo scanner sotto lo specchietto retrovisore interno inquadrasse una parte del mercato. Poi scese, fece un giro e scelse due edifici per sistemare gli altri scanner: fisso il primo sotto un vecchio davanzale e il secondo in una crepa. Gli apparecchi - due sfere nere e lucide, grandi come piselli si ancorarono ai mattoni con sostegni telescopici e iniziarono a sondare l’ambiente circostante. Il Wongs World era circondato. Una folata di vento attraverso i canyon della citta delle Triadi, strapazzando gli abiti e i nervi. Nel frattempo, l’aria si era fatta insopportabilmente pesante e il cielo aveva l’aspetto di un lenzuolo funebre. Alcune grosse gocce continuavano a cadere, messaggere di un diluvio preannunciato anche da tuoni in lontananza. Jericho inforco i suoi occhiali ed entro nel foyer del Cyber Planet. In linea di massima, quei luoghi erano tutti uguali. Si veniva accolti da una serie di distributori automatici provvisti di fessure per i contanti e di interfacce per la fatturazione remota. Dopo il pagamento, ci si registrava e solo allora si era ammessi all’interno. Due guardie chiacchieravano dietro un bancone, senza regalare neppure uno sguardo ai monitor. Molti sembravano clienti fissi. Non si trattenevano a lungo davanti ai distributori, guardavano nello scanner oculare, aspettavano che si aprissero le porte di vetro blindato ed entravano nell’area retrostante col passo incerto di un cieco. Dentro, erano allineati console da gioco e lettini trasparenti, equipaggiati con occhiali olografici. Una galleria ospitava due dozzine di tute full-motion, anelli di tre metri di diametro collocati l’uno nell’altro, nei quali ci si poteva far appendere dopo aver indossato una tuta dotata di sensori per godere di una totale liberta di movimento. Piu in la c’erano le cabine singole, le toilette, le docce e le celle per il riposo. La parete in fondo dello stanzone era occupata da

una specie di supermercato e da un bar. Le vetrate andavano dal soffitto a terra e offrivano una visuale perfetta sulla strada e sul mercato. Oltre alle guardie, nell’ingresso non c’era altro personale. Tutto era automatizzato. In teoria, non c’era nessun bisogno di uscire dal Cyber Planet, ammesso che si fosse disposti ad alimentarsi con fast food e bibite analcoliche per il resto della vita. La catena attirava i clienti con offerte tutto compreso che duravano anche un anno, durante il quale non si doveva fare nulla se non indossare un paio di occhiali e vagare per mondi virtuali, come osservatori passivi o attivi. Si sognava, si avevano incubi, si viveva e si moriva. Jericho pago per ventiquattr’ore. Quando entro nella stanza, vide che i lettini erano quasi tutti davanti alle finestre. Per motivi insondabili, i visitatori cercavano la vicinanza con la strada, anche se gli occhiali e le cuffie li isolavano completamente dal mondo esterno. Vide un posto libero da dove avrebbe potuto tenere sotto controllo il Wongs World e l’incrocio presso cui aveva parcheggiato l’automobile, si stese sul lettino e premette sulla stanghetta degli occhiali. Il vetro delle lenti si trasformo in una superficie a specchio. Infilo l’auricolare del cellulare nell’orecchio e si preparo a una lunga notte. O a piu di una. Forse Yoyo ormai aveva preso il largo, e lui e Zhao se ne stavano sdraiati come idioti in un distributore di incubi. Sbadiglio. D’un tratto, sulla strada calo l’oscurita. Il fronte del temporale si avvento su Quyu, scaricando cascate di acqua nera. In pochi secondi, le strade furono invase da spazzatura galleggiante; la gente correva in tutte le direzioni, con la testa incassata tra le spalle come se cio potesse evitare d’inzupparsi. Il bombardamento di tuoni che si susseguivano a intervalli di pochi secondi si stava avvicinando. Jericho guardo il cielo carico di elettricita. Un assaggio della fine. Nel giro di un’ora era tutto finito, ma nel frattempo la strada si era trasformata in una versione in miniatura del Fiume Azzurro e i rifiuti accumulati riproducevano la diga delle Tre Gole. Il temporale cesso con la stessa rapidita con cui era arrivato. L’acqua deflu, lasciandosi alle spalle ratti annegati, sullo sfondo teatrale del vapore acqueo che saliva dal suolo. Un’altra ora piu tardi, un’ardente sfera rossa aveva vinto la battaglia contro le nuvole e inondava le strade senza turisti col suo calore. Al Wongs World iniziarono ad affluire figure pallide. Alcune donne si affacciarono dalle tende e dalle baracche, gridando svagate promesse per la notte; altre si sistemarono all’incrocio in abiti succinti. Verso le undici, un giovane sdraiato accanto a Jericho emise un gemito, si strappo gli occhiali, si tiro a sedere e vomito un fiotto di liquido acquoso tra le gambe. I sistemi di autopulizia del lettino si attivarono con un ronzio, aspirarono il liquido e sciacquarono la superficie col

disinfettante. Jericho si chiese se dovesse fare qualcosa. Il giovane, che dimostrava poco piu di sedici anni, farfuglio una maledizione e barcollo verso il bar. Era emaciato e aveva lo sguardo assente. Dopo un po’, torno masticando qualcosa, probabilmente senza nemmeno sapere cosa fosse. Jericho fu tentato di offrirgli una bottiglia d’acqua, ma c’era da scommettere che il ragazzo gliel’avrebbe tirata in faccia. Nei suoi occhi era rimasta soltanto l’aggressivita ardente di chi teme di perdere anche le sue ultime illusioni. Gli scanner tacevano. MONTES ALPES, LUNA A sud-est del bacino che delimitava l’inizio della Vallis Alpina si estendeva una catena di cime aguzze che si protendeva fino al promontorio di Agassiz, un capo montuoso ai margini del Mare Imbrium. Nel complesso, la formazione ricordava piu i bordi sollevati delle zone di subduzione terrestri che le catene montuose anulari tipiche della Luna. Solo da una certa altezza si afferrava l’inquietante verita, ossia che il Mare Imbrium, come tutti i maria, era un cratere di enormi dimensioni, formatosi poco dopo la nascita del satellite, piu di tre miliardi di anni prima, quando il mantello, sotto la crosta appena solidificata, era ancora liquido. Impatti devastanti avevano fratturato la crosta, permettendo alla lava di fuoriuscire e di riversarsi nei bacini, creando quelle scure pianure basaltiche che avevano indotto gli astronomi come Riccioli a ritenere che si trattasse di oceani lunari. In realta, l’intera catena delle Alpi, lunga duecentocinquanta chilometri, rappresentava appena un decimo di una catena montuosa anulare cos imponente da far sembrare crateri giganteschi come Clavius, Copernico o Tolomeo poco piu che brufoli. La piu imponente delle montagne alpine era il Monte Bianco. Coi suoi tremilacinquecento metri, non raggiungeva l’altezza del suo omonimo terrestre, ma cio non sminuiva il suo aspetto titanico. Dalla sua dorsale si poteva vedere la sconfinata vastita della parte sudoccidentale del Mare Imbrium; sulle sue pendici, invece, ci si sentiva ancora piu vicini alle stelle, come se soltanto l loro potessero accorgersi della presenza umana e fare un cenno di saluto. E in effetti, quel giorno, le stelle risposero. Quando Julian, spinto da un improvviso e inspiegabile impulso, alzo lo sguardo verso Cassiopea, nella speranza di scorgere la coda di una stella cadente, miliardi di occhi indifferenti cambiarono per qualche istante di posto per riunirsi in un rimprovero cosmico, formando un’unica parola: IDIOTA. Ovvero: in assenza di atmosfera non ci sono stelle cadenti, al massimo asteroidi brevemente illuminati dal sole nella loro corsa, quindi, per favore, cerchiamo di essere un po’ piu precisi. Julian tergiverso. Ovviamente il cielo aveva formato la parola solo per un istante, percio Mimi Parker, Marc Edwards, Eva Borelius e Karla Kramp non se ne accorsero affatto, e non

se ne accorse neppure Nina Hedegaard, che guidava la piccola spedizione nella «scalata», ammesso che cos si potesse definire una camminata per alcune centinaia di metri su un terreno in pendenza. A poca distanza, sotto la cima della montagna, riposava il Kallisto, il mezzo che li aveva portati fin l, a quaranta chilometri dall’hotel; un tozzo shuttle a propulsione con l’aspetto simile a un bombo che poteva trasportare tre dozzine di passeggeri. Julian sapeva che le future generazioni di turisti lunari sarebbero state deluse dal design di quei veicoli. Ma non c’era motivo per applicare i principi dell’aerodinamica nel vuoto, a meno che... A meno che non si decidesse comunque di costruire veicoli aerodinamici, per ragioni puramente estetiche. L’idea era ricca di fascino, ma Julian non si lascio sedurre. Le stelle cadenti bloccavano i suoi pensieri, anche se lui non provava un interesse particolare per quegli stupidi oggetti. Allora perché gli erano venute in mente? Aveva davvero pensato alle comete o piuttosto a sfuggenti apparizioni di luce in generale? A luci che vagavano per il suo cervello, nate dal costante flusso di particelle dei suoi pensieri, espressioni di un insieme piu complesso? Cerco di trattenere l’immagine, ripercorse la giornata fin dalla mattina, cerco di metterla a fuoco, di costringerla entro coordinate precise, d’iscriverla in uno spazio e in un tempo ben definiti: mattino presto, poco prima di uscire dalla suite, un’occhiata, un lampo... E di colpo ricordo. Un riflesso di luce all’altezza del bordo sinistro della finestra, accanto alla parete della stanza affacciata sulla gola. Un bagliore che si era spostato da destra verso sinistra, simile a una stella cometa... ma forse bisognava essere solo molto stanchi per non riconoscerne la vera natura. E Dio sapeva quanto lui fosse stanco. Ma lo spirito di Julian era come un archivio cinematografico in cui nemmeno un singolo fotogramma andava perduto. Guardandosi indietro, si rese conto che l’apparizione non era virtuale né era un parto della sua fantasia. Si trattava di qualcosa di reale. Lui aveva davvero visto qualcosa dall’altra parte della valle, all’altezza dei binari della ferrovia magnetica, anzi esattamente sui binari, la dove la ferrovia curvava verso nord... Aveva visto il Lunar Express. Si fermo, esterrefatto. «... molte forme decisamente piu bizzarre di quelle che siamo abituati a vedere sulla Terra», stava spiegando Nina Hedegaard, avvicinandosi a una formazione di roccia basaltica. «Perché qui non ci sono venti che possono erodere la roccia. Ed ecco che si formano...» Aveva visto il treno. Solo con la coda dell’occhio, certo, ma non poteva trattarsi di nient’altro. E il treno si stava dirigendo verso Gaia. Verso l’hotel.

«La varieta di significati che i diversi popoli hanno attribuito alla Luna e affascinante», stava dicendo Eva. «Sapevate che molte culture del Pacifico considerano ancora oggi questo grosso sasso un dispensatore di fecondita?» Nina rise. «Un dispensatore di fecondita? Qui non sopravvivrebbe neanche il piu piccolo organismo unicellulare.» «Avrei scommesso sul Sole», commento Mimi. Il suo tono rivelava un certo disprezzo per quelle culture, giacché i loro membri non erano venuti al mondo come bravi cristiani. «Il Sole come dispensatore di vita, intendo.» «Nelle regioni tropicali e difficile considerare il Sole in questo modo», spiego Eva. «E anche nel deserto. Brucia senza pieta per dodici mesi l’anno senza interruzioni, facendo seccare i raccolti, prosciugando i fiumi, uccidendo gli esseri umani e il bestiame, mentre gli scorpioni, le zanzare e gli insetti piu velenosi del mondo prosperano. La Luna invece e portatrice di sollievo e di frescura. Quel poco di umidita volatile del giorno si condensa e forma la rugiada, e possibile riposare e dormire...» «Dormire insieme», puntualizzo Karla. «Esatto. Presso i maori, per esempio, l’uomo aveva il compito di tenere aperta la vagina della donna col suo pene in modo che potessero penetrarvi i raggi di luna. Non era l’uomo a ingravidare la donna, era la Luna.» «Guarda un po’. Che vecchia baldracca.» «Mio Dio, Karla, com’e spietata. Credo che tutto cio non sia troppo lontano dall’idea dell’immacolata concezione», rise Marc. «Ma per favore!» si scaldo Mimi. «Al massimo si tratta di una sua versione primitiva.» «Perché primitiva?» chiese Karla, in tono indagatore. «Non lo trova primitivo?» «Che la Luna ingravidi le donne? S. Tanto primitivo quanto l’idea che uno spirito perverso vada in giro a fornicare, cercando poi di spacciare il risultato per un’immacolata concezione.» «Ma non si possono confrontare le due cose!» «Perché no?» «Perché... be’, perché non si puo, ecco. Da una parte una superstizione primitiva, dall’altra...» «Sto solo cercando di capire.» «Insomma, con tutta la buona volonta, vuole davvero mettere in dubbio...» Un attimo, penso Julian. Il Lunar Express? Era quello con cui erano arrivati? Ce n’era anche un secondo, parcheggiato al Polo in attesa di essere impiegato nei momenti in cui l’afflusso di turisti avrebbe superato la capacita del primo convoglio. Qualcuno aveva raggiunto l’albergo col treno di riserva, quella mattina alle cinque e un quarto? E perché non ne

sapeva niente? Forse Carl Hanna aveva visto qualcosa? «La dietro da qualche parte dovrebbe esserci Platone. La curvatura e troppo accentuata?» stava dicendo Marc, cercando di evitare un litigio. «No. Sarebbe possibile riconoscere il bordo superiore del cratere da qui, ma attualmente il fianco rivolto verso di noi e in ombra. Nero su nero. Pero, se vi girate di la, potete ammirare la Vallis Alpina in direzione nord-est», spiego Nina. «Ah, gia. Fantastico.» «Davvero lunga», disse Mimi. «Centotrentaquattro chilometri. Un piccolo Grand Canyon. Fate un paio di passi in avanti. Quassu. Guardate la.» «Dove?» «Seguite la direzione del mio dito. Quel puntino luminoso, laggiu.» «Ehi. Non sara mica...» «È vero. È il nostro albergo!» esclamo Marc. «Come? Dove?» «La.» «Se non lo sai, non lo noti...» «A dire la verita, io vedo solo luci e ombre.» «No, la c’e qualcosa!» Chiacchiere confuse, confusione nella testa. Poteva essere stato solo il secondo treno, riflett Julian. Pensandoci bene, non era nemmeno tanto strano. Lynn e Dana Lawrence si occupavano di tutto. L’hotel era il loro territorio, cosa ne poteva sapere lui? Forse nella notte avevano portato provviste, ossigeno e carburante. Era un ospite come tutti gli altri, e poteva dirsi fortunato che stesse funzionando tutto a meraviglia. Doveva esserne orgoglioso. Orgoglioso di Lynn, e a dispetto di tutte le sventure profetizzate con ostinazione da Tim. Era semplicemente ridicolo. Qualcuno sotto stress avrebbe costruito un hotel come Gaia? O Lynn era solo un altro riflesso sulla sua retina, e la sua vera natura gli sfuggiva? Incredibile. Stava iniziando a vaneggiare anche lui. «Julian?» «S?» «Ho proposto di tornare in albergo.» Ogni parola di Nina tradiva il dolce sorriso complice nascosto dietro la visiera del casco. «Prima di cena, Marc e Mimi vogliono fare una partita a tennis. In piu, avremo tutti la possibilita di darci una rinfrescata. » Una rinfrescata. Un elegante messaggio in codice. La sua mano destra si sollevo per grattare la barba, ma si ritrovo a lucidare il bordo inferiore della visiera. «S, certo. Andiamo.»

«Forse mi avete gia visto in scene ben piu spettacolari. E le avete considerate vere, anche quando la vostra mente vi diceva che non potevano esserlo. È proprio questo il mestiere degli illusionisti : ingannare la mente. E, credetemi, le tecniche moderne possono creare qualsiasi illusione.» Continuando a camminare, Finn O’Keefe allargo le braccia. «Ma le illusioni non possono creare le sensazioni che sto provando io in questo momento. Perché quello che vedete qui non e un trucco. È il posto piu eccitante che io abbia mai visitato, incomparabilmente piu spettacolare di qualunque film.» Si fermo e si rivolse alla telecamera. Sullo sfondo, c’era il Gaia Hotel, tutto illuminato. «Una volta, se volevate raggiungere la Luna, dovevate recarvi in un cinema. Oggi avete la possibilita di sperimentare quello che sto sperimentando io. Vedere la Terra incastonata in un cielo stellato cos meraviglioso che vi convincerete di raggiungere con lo sguardo i confini dell’universo. Potrei descrivervi le mie sensazioni per ore intere, ma io...» Sorrise. «Io sono solo Perry Rhodan. Percio permettetemi di affidarmi alle parole di Edgar D. Mitchell, il sesto uomo a mettere piede sulla Luna, nel febbraio 1971: ’E improvvisamente, in un momento infinitamente maestoso, come se scorresse al rallentatore, ecco apparire oltre l’orizzonte lunare uno scintillante gioiello bianco e blu, una luminosa sfera azzurra, circondata da veli bianchi che si muovono sulla sua superficie. Sorge come una piccola perla da un mare profondo, imperscrutabile e misteriosa. Ci vuole un bel po’ per comprendere che si tratta della Terra, della nostra casa. Un istante che ha cambiato la mia vita per sempre’.» «Grazie. È stato fantastico!» esclamo Lynn. O’Keefe scosse la testa. «Mah. Non lo so.» Soltanto dopo qualche istante si fece strada in lui la banale consapevolezza che scuotere la testa nelle tute spaziali non sortiva nessun effetto, perché il casco non si muoveva. Peter Black controllo il risultato sul display della telecamera. Il volto di O’Keefe era chiaramente riconoscibile attraverso la visiera chiusa. Aveva sollevato il filtro UV color oro, altrimenti si sarebbe visto solo il riflesso dell’ambiente circostante. Nonostante le lenti a contatto ad alta protezione, non avrebbe potuto gironzolare all’aperto ancora per molto. Inoltre, in quelle condizioni, era sconsigliato fissare il sole. «Era perfetto», confermo. «Credo che la citazione sia troppo lunga», disse O’Keefe. «Una vera predica... mancava poco che mi addormentassi.» «È solenne.» «No, e troppo lunga e basta.» «Ci mettiamo sopra delle immagini della Terra», spiego Lynn. «Ma, se vuoi, possiamo girare un’alternativa. C’e una bella citazione di Jim Lovell: ’Gli esseri umani che vivono sulla Terra non comprendono quanto sia prezioso quello che hanno. Forse perché ben pochi di

loro hanno l’opportunita di lasciarla e poi farvi ritorno’.» «Lovell non va bene», decise Peter. «Non e mai stato sulla Luna.» «È cos importante?» chiese Finn. «S, e lo e anche per un altro motivo. Era il comandante dell’Apollo 13. Ricordate? ’Houston, abbiamo un problema...’ Per poco, Lovell e i suoi non sono morti.» «Cernan non ha detto niente d’intelligente?» indago Lynn. «Era uno che faceva dei gran discorsi.» «Al momento non ricordo nulla.» «Armstrong?» «’Un piccolo passo per...’» «Lascia perdere. Aldrin?» Peter rifletté. «S. ’Per chi e stato sulla Luna, non esistono piu obiettivi sulla Terra.’ È abbastanza breve?» «È un po’ fatalistica», commento O’Keefe. «E le scimmie?» grido Heidrun Ögi mentre scendeva lungo il pendio dietro lo Shepard’s Green. Persino con le protezioni e col casco, la sua sagoma era inconfondibile. «Quali scimmie?» rise Lynn con voce stridula. «Una volta non hanno mandato in orbita delle scimmie?» «Temo che parlassero russo», replico Peter. O’Keefe sorrise. «Tu cosa ci fai qui? Ti e gia passata la voglia di giocare a golf?» «Non ce l’ho mai avuta. Non volevo perdermi Walo che cade nella polvere mentre tenta uno swing.» «Questa gliela dico.» «Lo sa benissimo. Ma non sei tu quello che voleva battermi a nuoto? Ecco, adesso ne avresti la possibilita.» «Come, adesso?» Per tutta risposta lei lo saluto e si allontano saltellando. «Dobbiamo girare», le urlo dietro O’Keefe, una cosa tanto inutile quanto scuotere la testa, dal momento che il contatto radio restava attivo solo finché c’era un contatto visivo. «Se vinci, t’invito a cena», bisbiglio lei, come un piccolo serpente bianco, nel suo orecchio. «Spezzatino e patate arrosto.» «Ehi, Finn?» La voce di Lynn. «Hmm?» «Penso che dovremmo chiuderla qui.» Era una sua impressione oppure Lynn era nervosa? «Secondo me, la citazione di Mitchell e la piu adatta.»

O’Keefe vide Heidrun imboccare il sentiero che portava dall’altra parte della valle. «S», replico, pensieroso. «In fondo sono d’accordo con te.» Nina Hedegaard si diede una rinfrescata e, gia che c’era, la diede anche a Julian. Stava sdraiato sulla schiena, mentre lei lo manovrava come avrebbe fatto con un joystick. Non doveva fare altro che circondare le sue natiche e di tanto in tanto contrarre le proprie per creare una contropressione... almeno, normalmente funzionava cos, ma al momento il corpo morbido e abbronzato della donna pesava solo nove chili e mezzo e rischiava di allontanarsi a ogni spinta troppo decisa. Sulla Luna, prendere possesso dei millimetri strategici richiedeva conoscenze approfondite di meccanica applicata: cosa afferrare, quanta forza ogni muscolo dovesse apportare - bicipiti, tricipiti, pettorali -, circondare le ossa delle anche come una cerniera, attirarle a sé, allontanarle con un angolo accuratamente calcolato, poi riavvicinarle... Tutto era cos complicato da risultare frustrante. Riuscirono a sbrogliare la matassa, ma Julian non si sentiva del tutto a proprio agio. Mentre lei si avvicinava lentamente a un tornado di piacere di grado F4 della scala Fujita, lui pensava a quali conseguenze potesse avere il sesso sulla Luna. Se, in Nuova Zelanda, erano bastati alcuni raggi impertinenti per generare i maori, doveva forse aspettarsi dieci gemelli? Nina sarebbe rimasta isolata come una regina delle termiti, nel Gaia Hotel, con un addome mostruosamente gonfio, per mettere poi al mondo un essere umano ogni quattro secondi, oppure sarebbe scoppiata? Sbircio il luccicante boschetto di peluria e vi vide passare minuscoli trenini scintillanti di riflessi dorati, mentre il suo Lunar Express scaldava valorosamente i motori. Nina inizio a gemere in danese. In genere, Julian lo considerava un buon segno, ma quel giorno le parole della donna suonavano criptiche, come se lui dovesse essere sacrificato sull’altare del suo desiderio di mettere al mondo un piccolo Julian o una piccola Juliane e farli diventare Mr o Miss Orley. Inizio a sentirsi a disagio. Quella donna aveva ventotto anni meno di lui. Fino ad allora non le aveva mai chiesto cosa si aspettasse dalla loro relazione, anche perché, nei pochi momenti privati che trascorrevano insieme, si liberavano subito dei vestiti e non restava tempo per le domande. Tuttavia sapeva che, prima o poi, avrebbe dovuto chiederglielo. E, soprattutto, avrebbe dovuto chiederlo a se stesso. Il che era molto peggio, perché conosceva la risposta, e non era quella di un sessantenne. Smise di tergiversare e raggiunse l’orgasmo. L’apice del piacere spense per qualche istante il flusso dei pensieri, libero le sue circonvoluzioni cerebrali e rafforzo la certezza che aveva ancora vent’anni di tempo per diventare vecchio. Per un momento, Julian resto immerso nel puro godimento del presente. Poi Nina si rannicchio contro di lui, e il suo sospetto torno subito a galla. Come se il sesso fosse soltanto un piacevole preambolo per tonnellate di partecipazioni di nozze, un maestoso portale per entrare nella stanza dei bambini, una perfida manovra di circonvenzione. Perplesso, osservo la

criniera bionda appoggiata contro il suo petto. Non che volesse allontanarla. In realta, non voleva che lei se ne andasse. Sarebbe stato sufficiente che si ritrasformasse nell’astronauta che aveva il compito d’intrattenere gli ospiti, senza quell’umida promessa nello sguardo che diceva che non lo avrebbe lasciato mai piu, che sarebbe stata sempre al suo fianco, per tutta la vita. Accarezzo la nuca della donna, imbarazzato. «Devo andare un attimo alla centrale», mormoro. Confusi suoni di protesta. «D’accordo, tra dieci minuti», concesse. «Facciamo la doccia? » L’onnipresente lusso regnava anche nel bagno. Una generosa doccia a corona dispensava una calda pioggia tropicale, con gocce d’acqua cos leggere che sembravano fluttuare piu che cadere. Nina insistette per insaponarlo, e invest una smodata quantita di bagnoschiuma su una superficie piuttosto piccola, anche se capace di espandersi. La sua preoccupazione di essere sfruttato lascio di nuovo il posto all’eccitazione. La cabina doccia era molto spaziosa e dotata di ogni tipo di maniglia. Nina premette il suo corpo contro di lui, lui entro in lei e... zac! in un attimo era passata un’altra mezz’ora. «Adesso pero devo proprio andare», disse Julian con la faccia affondata nell’asciugamano. «Ci vediamo piu tardi? Dopo cena?» chiese lei. Lui aveva schiuma negli occhi e schiuma nelle orecchie. Non ud la sua richiesta, o almeno non la comprese e, quando cerco di chiederle cosa avesse detto, lei stava parlando al telefono con Peter Black di questioni tecniche. Infilo rapidamente un paio di jeans e una T-shirt, le diede un bacio e se la svigno prima che lei potesse chiudere la telefonata. Pochi secondi dopo, entro nella sala di controllo e trovo Lynn che stava chiacchierando con Dana Lawrence. Ashwini Anand stava programmando le escursioni per il giorno seguente su una mappa tridimensionale. Meta della stanza era occupata da una parete olografica, le cui finestre riproducevano le aree pubbliche dell’hotel viste dalla prospettiva delle telecamere di sorveglianza. Solo le suite non erano sorvegliate. In piscina, nuotavano Heidrun, Finn e Miranda, osservati da Olympiada Rogaceva. Oleg stava facendo una gara di sollevamento pesi con Evelyn in palestra. Le telecamere esterne mostravano Marc Edwards e Mimi Parker che giocavano a tennis - o almeno Julian ipotizzo che si trattasse di loro -, mentre i golfisti sull’altro lato della gola si stavano accingendo a tornare in albergo. «Tutto a posto, qui?» chiese in tono allegro. «Certo.» Lynn sorrise. Julian noto che era pallida, come se fosse l’unica nella stanza a essere illuminata da un’altra fonte luminosa. «Com’e andata l’escursione?» «Mimi e Karla hanno dibattuto sulle abitudini di accoppiamento degli esseri superiori. Abbiamo bisogno di un telescopio sul Monte Bianco.»

«Per spiarli?» chiese Dana con aria seria. «Certo che no, per vedere meglio l’hotel. Per la miseria, ero convinto che quassu tutti si sarebbero abbracciati in preda alla commozione, invece s’insultano, discutendo dello Spirito Santo. » Il suo sguardo si sposto sulla finestra nella quale si vedeva la stazione. «Il treno e gia ripartito?» chiese in tono indifferente. «Quale treno?» «Il Lunar Express. Il treno LE-2, intendo, quello che e arrivato la notte scorsa. È gia ripartito?» Dana lo fisso come se le avesse sputato addosso un mucchio di sillabe, ordinandole poi di formare una frase di senso compiuto. «Il LE-2 non e mai arrivato.» «Ah, no?» Ashwini si volto verso di loro e sorrise. «No. Era il convoglio LE-1 quello con cui siete arrivati ieri.» «Questo lo so. E quello dov’e stato, nel frattempo?» «Nel frattempo?» «Ma di cosa stai parlando?» chiese Lynn. «Be’, del...» Julian si blocco. Nell’immagine c’era davvero un solo treno. Forse era proprio il Lunar Express che li aveva portati l. E allora... «Stamattina e arrivato un treno», insistette. Lynn e Dana si scambiarono un’occhiata. «Quale?» chiese Dana, cauta come se stesse camminando sulle uova. «Be’, quello l.» Julian indico impaziente l’immagine sullo schermo. Silenzio. «No», ribad Ashwini. «Dal suo arrivo, il LE-1 non ha mai lasciato la stazione.» «Io pero l’ho visto...» «Julian...» mormoro Lynn. «... quando ho guardato fuori dalla finestra!» «Papa, non puoi averlo visto!» Julian sarebbe stato meno inquieto se la figlia gli avesse detto di aver prestato il treno a una dozzina di alieni. Soltanto poche ore prima, era convinto che i suoi sensi gli avessero giocato un brutto scherzo. Ora non piu. «Una cosa alla volta», sospiro. «Stamattina ho incontrato Carl Hanna, okay? Alle cinque e mezzo, nel corridoio sotterraneo, e...» «Cosa diavolo ci facevi alle cinque e mezzo nel corridoio sotterraneo? » «Che importanza ha? In ogni caso, poco prima...» Hanna? Giusto, Hanna. Devo chiedere a Hanna. Forse anche lui ha visto il misterioso treno. In fondo, e entrato nel corridoio prima di me, esattamente quando... No, un momento... Hanna mi e venuto incontro dalla stazione. «No», disse, piu a se stesso che agli altri. «No, no.»

Lynn inclino la testa. «No? Cosa ’no’?» Era una follia. Una cosa totalmente assurda. Carl Hanna che se ne andava in giro col Lunar Express? Di nascosto? «Puo essere che tu lo abbia solo sognato?» lo incalzo la figlia. «O che abbia avuto un’allucinazione?» «Ero sveglio.» «D’accordo, eri sveglio. Ma adesso mi dici cosa ci facevi alle cinque e mezzo...» «Insonnia senile. Santo cielo, volevo fare una passeggiata.» Il suo sguardo indugio sul gigantesco monitor. Dov’era quel canadese? Eccolo l, nel Mama Quilla Club. Era spaparanzato su un divano, sorseggiando un cocktail, in compagnia dei Donoghue, dei Nair e di Locatelli. «Forse Julian ha ragione», mormoro Dana, pensierosa. «Forse ci e davvero sfuggito qualcosa.» Lynn scosse la testa. «Sciocchezze. È impossibile. Sappiamo entrambe che non e arrivato nessun treno. Anche Ashwini lo sa.» «Lo sappiamo davvero?» «Non e stato consegnato niente, e nessuno e andato da qualche parte.» «Ci vuole un attimo per verificarlo.» Dana si avvicino al monitor e apr un menu. «Dobbiamo soltanto controllare le registrazioni. » «Questo e ridicolo! Non spetta a noi vedere le registrazioni», ribatté Lynn. «Non riesco proprio a capire perché ti opponi», si meraviglio Julian. «Lasciaci dare un’occhiata. Avremmo dovuto farlo subito.» «Papa, abbiamo tutto sotto controllo.» «O almeno cos sembra», intervenne Dana. «In effetti e una mia responsabilita avere tutto sotto controllo, non e cos? È per questo che mi avete assunto. Io sono la principale responsabile della sicurezza del vostro albergo e del benessere dei vostri ospiti, e una ferrovia magnetica che fa di testa sua di sicuro non rientra in un simile quadro.» Lynn scrollo le spalle. Dana digito velocemente qualcosa. Si apr un’ulteriore finestra che mostrava l’interno della stazione. Il codice temporale indicava il 27 maggio 2025 alle 05.00. «Dobbiamo andare ancora piu indietro?» chiese. Julian scosse la testa. «No. È stato tra le cinque e un quarto e le cinque e mezzo.» Non accadde nulla. Il convoglio LE-1 non lascio la stazione e il convoglio LE-2 non si fece vedere. Per l’amor del cielo, penso Julian. Lynn ha ragione. Ho le allucinazioni. Cerco il suo sguardo, ma lei teneva la testa bassa, palesemente turbata dal fatto che lui non le aveva creduto. «Gia. Be’... mi dispiace», mormoro.

«Non si preoccupi. Meglio essere sicuri», replico Dana. «Invece no», ringhio Lynn. Quando infine guardo il padre, le sue pupille ardevano di rabbia. «Sei davvero sicuro di non aver sognato anche la tua stupida passeggiata? Forse non eri nemmeno nel corridoio. Forse eri semplicemente a letto.» «Mi dispiace, l’ho gia detto.» Allibito, si chiese cosa la facesse infuriare in quel modo. In fondo, era una semplice verifica. «Dimentichiamo l’accaduto, mi sono sbagliato.» Invece di rispondergli, Lynn si avvicino alla parete olografica, inser una serie di comandi e apr un’altra registrazione. Dana la osservava a braccia incrociate, mentre Ashwini si era fatta piccola piccola. Julian riconobbe il corridoio sotterraneo. Il codice temporale segnava le 05.20. «Questo davvero non e necessario», sibilo. Lynn alzo le sopracciglia. «Ah, no? E perché? Volevi andare sul sicuro, no?» Avvio la registrazione prima che lui potesse protestare. Dopo pochi secondi, comparve Carl Hanna, che sal su uno dei tappeti mobili. Si avvicino alla fine del corridoio, guardo in una delle finestre che davano sulla stazione e spar in una delle gallerie che davano accesso al treno, solo per ricomparire pochi secondi dopo e rifare il percorso al contrario. Quasi nello stesso istante, Julian usc dall’ascensore. «Congratulazioni», disse Lynn gelida. «Hai detto la verita.» «Lynn...» Lei scosto i capelli biondo cenere dalla fronte e si volto verso di lui. Dietro la rabbia nel suo sguardo, Julian credette d’intravedere qualcos’altro. Paura, penso. Santo cielo, ha paura. Poi, di colpo, la giovane donna sorrise, spazzando via la rabbia, come se quel sentimento non fosse mai stato presente. Gli si avvicino di slancio, gli stampo un bacio sulla guancia e gli diede un pugno nelle costole. «Se atterra un UFO, fammelo sapere, eh?» disse, ridendo, poi usc dalla centrale. Julian la fisso. «Va bene», mormoro, perplesso. Poi fu travolto dall’inquietante pensiero che sua figlia stesse fingendo. Eppure... Con ostinazione infantile, Julian raggiunse il Mama Quilla Club, la cui pista da ballo era misteriosamente illuminata dall’eterno gioco di luci del cielo stellato. Michio Funaki preparava cocktail dietro il bancone. Quando lo vide, Warren Locatelli si alzo e fece un brindisi nella sua direzione. «Julian! Questo e stato il piu bel giorno di vacanza che io abbia mai fatto!» «Impressionante, davvero.» Aileen Donoghue rideva, con la sua flautata voce da soprano. «Anche se bisogna ricominciare da zero col golf.»

«Il golf, cazzate!» Warren strinse Julian in un abbraccio e lo spinse verso il gruppo di ospiti. «Carl e io siamo andati in giro con quei buggy lunari, una cosa incredibile. Bisogna assolutamente costruire una pista quassu, una fottuta Le Mans de la Lune! » «E non ha nemmeno vinto. Il suo buggy e quasi un rottame», ridacchio Momoka Omura. «Ha quasi ridotto me a un rottame», disse Rebecca Hsu, infilandosi un’arachide in bocca. «La compagnia di Warren e una vera ispirazione, soprattutto se si vuole riflettere sulla possibilita di essere sepolti sulla Luna.» «Abbiamo trascorso una bellissima giornata. Perché non si siede qui con noi?» sorrise Sushma Nair. Julian sorrise. «Tra un attimo. Datemi solo un minuto. Carl, hai un momento?» «Certo.» Carl si sollevo dal divano. «Mi raccomando, non sparite», rise Warren. Di recente, lui e Carl erano sempre insieme. Un chiacchierone e un introverso, una strana combinazione, ma tra i due stava di certo nascendo un’amicizia. Andarono al bar, dove Julian ordino il cocktail piu complicato sulla lista, un Alpha Centauri. «Ascolta, sono un po’ in imbarazzo.» Attese che Funaki si allontanasse e abbasso la voce. «Ma devo chiederti una cosa. Quando stamattina ci siamo incontrati nel corridoio sotterraneo, stavi tornando dalla stazione.» Carl annu. «E allora?» chiese Julian. «E allora cosa?» «Hai dato un’occhiata all’interno?» «Nella stazione? Una volta. Dalla finestra.» Carl rifletté. «Come sai, mi sono confuso nel cercare l’uscita.» «E hai... visto qualcosa di strano all’interno della stazione?» «Dove vuoi arrivare?» «Voglio dire, il treno era l? Era partito, stava rientrando?» «Cosa, il Lunar Express? No.» «Quindi era semplicemente parcheggiato.» «S.» «Ne sei sicuro al cento per cento?» «Non ho visto nient’altro. Ma perché sei in imbarazzo?» «Perché... Ah, non fa niente.» Ma subito dopo, pressato dal bisogno di sfogarsi, racconto a Carl l’intera storia. «Forse e stato uno di quei fulmini che qui vediamo tutti di tanto in tanto», disse Carl.

Julian sapeva a cosa si riferiva. Particelle ad alta energia, protoni e nuclei atomici pesanti che ogni tanto penetravano nelle protezioni delle navicelle spaziali e delle stazioni orbitali, reagivano con gli atomi della retina e provocavano brevi lampi di luce che venivano registrati dalla retina, ma solo a occhi chiusi. Col tempo ci si abituava, finché quasi non ci si faceva piu caso. Dietro la corazza di regolite delle camere da letto erano praticamente inesistenti. Funaki gli poso davanti il cocktail. Julian fisso il bicchiere senza vederlo. «S, forse.» «Vorra dire che ti sei sbagliato», disse Carl. «Se vuoi un consiglio, dovresti dar retta a Lynn e dimenticare questa storia.» Ma Julian non poteva dimenticare. Qualcosa non quadrava. Sapeva con certezza che aveva visto qualcosa, non solo il treno. Qualcosa di piu sottile occupava la sua mente, un’inezia d’importanza fondamentale che avrebbe dimostrato che lui non stava vaneggiando. Esisteva un secondo film interno, un film che avrebbe spiegato tutto... se solo lui fosse riuscito a estrarlo dal suo inconscio e a rivederlo, guardando con molta attenzione, per scoprire cosa aveva visto, che la spiegazione gli piacesse oppure no. Doveva ricordare. Ricorda! JUNEAU, ALASKA, STATI UNITI Loreena Keowa era irritata. Il giorno stesso della gita in barca, Gerald Palstein le aveva permesso di chiamare la sua troupe, e aveva offerto una performance carismatica, senza che in lei si fosse sviluppato quel senso di familiarita che di solito s’instaurava con le persone intervistate. Aveva scoperto che Gerald amava l’estetica cristallina dei numeri, con l’aiuto dei quali classificava tutto e tutti, compreso se stesso, secondo le regole della pura razionalita. Amava l’armonia matematica di Johann Sebastian Bach, il minimalismo frattale di Steve Reich, ed era affascinato dalla destrutturazione e dagli archi narrativi della musica di Gyorgy Ligeti. Aveva un pianoforte Steinway, e suonava bene, anche se in modo un po’ meccanico, ma non musica classica come Loreena si sarebbe aspettata, bens i Beatles, Burt Bacharach, Billy Joel ed Elvis Costello. Possedeva stampe di Mondrian e un selvaggio e disperato originale di Pollock, cos intenso da dare l’impressione che il pittore avesse urlato il colore sulla tela. Curiosa di conoscere la moglie di Gerald, alla fine aveva incontrato una sorta di apparizione piena di benevolenza, che l’aveva trascinata per un quarto d’ora attraverso i giardini giapponesi dai lei stessa creati, punteggiando i suoi discorsi con una risata tanto squillante quanto immotivata. Mrs Palstein era architetto e aveva progettato gran parte della residenza. Nel tentativo di fare bella figura con le nozioni appena acquisite, Loreena le aveva chiesto di Mies van der Rohe, ricevendo in cambio un sorriso enigmatico. D’un tratto, Mrs Palstein aveva iniziato a trattarla come una congiurata. Van der Rohe, oh, certo. Voleva restare a

cena? Stava per acconsentire, quando il cellulare della donna si era messo a trillare, e lei si era persa in una conversazione sull’emicrania, dimenticandosi completamente dell’ospite e imboccando la strada di casa. Poi, dato che la moglie di Gerald non aveva rinnovato l’invito, Loreena era ripartita. Rientrata a Juneau, aveva dovuto ammettere con se stessa che Gerald Palstein le piaceva. Aveva apprezzato non soltanto la sua gentilezza e la sua cultura, ma anche il suo sguardo malinconico, che l’aveva fatta sentire stranamente vulnerabile. Di conseguenza, per certi versi, lo trovava anche inquietante. E continuava a sentirlo un estraneo. Invece di dedicarsi ai suoi reportage, si era buttata nell’indagine: dal Texas era volata a Calgary, nell’Alberta, presentandosi al comando di polizia. Grazie al suo charme era riuscita a farsi ricevere dal tenente, che le aveva promesso di riferirle qualsiasi sviluppo. Leggendo tra le righe, pero, Loreena aveva intuito che, con ogni probabilita, di sviluppi non ce ne sarebbero stati. Allora aveva ringraziato ed era salita sul primo volo per Juneau, avvisando la redazione di raccogliere tutto il materiale video disponibile sull’incidente di Calgary. All’arrivo, aveva chiamato nel suo ufficio uno stagista e gli aveva detto: «So benissimo che la polizia ha visionato e analizzato tutte le registrazioni centinaia di volte. Ma noi le guarderemo altre cento volte. Anche duecento, se serve». Dispose sulla scrivania alcuni fogli stampati che riproducevano la piazza antistante la sede centrale dell’Imperial Oil. Al momento dell’attentato, il complesso di fronte era vuoto ormai da mesi, a causa del fallimento dell’azienda. «Per tutta una serie di motivi, la polizia ritiene che l’attentatore si trovasse nell’edificio centrale del complesso. I tre edifici che lo compongono sono tutti collegati. Probabilmente l’attentatore si trovava a uno dei piani superiori. Il complesso dispone d’ingressi anteriori, laterali e posteriori, di conseguenza offre molte entrate e uscite.» «Credi sul serio di poter scoprire qualcosa che e sfuggito agli sbirri?» «Sei un vero ottimista», esclamo Loreena. «Be’, stiamo a vedere. » «Ho gia dato un’occhiata al materiale. Quasi tutte le telecamere erano puntate sulla folla e sulla tribuna. Solo dopo l’attentato qualche cameraman e stato cos furbo da girare la telecamera verso il complesso, ma non si vede uscire nessuno.» «E chi dice che dobbiamo concentrarci sul complesso? Questo lo ha gia fatto la polizia. Io voglio dare un’occhiata alla gente nella piazza.» «Pensi che il killer sia entrato nell’edificio passando da l?» «Penso che tu sia uno sciovinista. Non potrebbe essere stata una donna?» «Una killer bella e spietata?» ridacchio lo stagista. «Continua cos e ben presto ne conoscerai una. Controlla ogni singola persona nella piazza. Voglio sapere se qualcuno ha filmato l’edificio prima, durante o dopo l’attentato.»

«Oh, cavoli. Ma e un lavoro immane!» «Non piagnucolare e lavora. Io mi occupo di Youtube, My-space, Smallworld e cos via.» Mentre lo stagista iniziava il suo lavoro, lei tento di stilare un elenco di tutte le decisioni significative prese da Palstein negli ultimi sei mesi. Si segno anche tutte le volte in cui si era opposto agli interessi di altri. Visito forum e blog, esamino le discussioni in rete sulle chiusure delle fabbriche: soddisfazione da una parte, rabbia disperata dall’altra, collegata col desiderio di farla pagare a quei maledetti magnati del petrolio, possibilmente mettendoli subito al muro. Ma nessuno di quegli interventi faceva nascere il sospetto che il loro autore fosse in qualche modo collegato con l’attentato. Le persone che lavoravano nel settore erano afflitte, ma anche sollevate che la cosa si fosse conclusa e quest’ultimo sentimento era diffuso soprattutto nella comunita locale. Noto che, nei due decenni precedenti, i cinesi avevano dimostrato un vivo interesse per le sabbie bituminose canadesi e investito un sacco di soldi nell’affare, soldi che ormai erano andati persi. Dunque, nonostante la rivoluzione dell’elio-3, i cinesi dipendevano ancora dal petrolio e dal gas, anche se in misura minore rispetto al passato. D’altro canto, il petrolio era diventato cos economico che accanirsi a utilizzare il procedimento estrattivo meno conveniente in assoluto non aveva senso. Infine, alle prime ore del mattino, esauriti i comunicati stampa e i post, creo una cartella sull’Orley Enterprises o, piu precisamente, sull’intenzione di Palstein di acquistare quote dell’Orley Energy e dell’Orley Space. E improvvisamente ebbe un’intuizione. Stanca morta, si mise a cercare qualche argomentazione che confermasse la sua nuova teoria. In realta, non era nemmeno cos nuova: qualcuno cercava d’impedire l’alleanza tra Palstein e Orley. Solo che, d’un tratto, Loreena aveva avuto l’assoluta certezza che l’obiettivo dell’attentato fosse proprio quello d’impedire a Palstein di partecipare al viaggio sulla Luna. Se fosse andata proprio cos... Gia, ma per quale motivo? Di cosa avrebbero discusso Gerald Palstein e Julian Orley sulla Luna? E, soprattutto, non avrebbero potuto parlarne anche sulla Terra? Oppure si trattava di qualcun altro, di un altro invitato a quel viaggio? Aveva bisogno della lista dei partecipanti. Gli occhi le bruciavano. Impedire a Palstein di andare sulla Luna: era convinta che quello fosse lo scopo dell’attentato. Il pensiero la segu nei sogni confusi che il sonno sulle poltrone da ufficio porta sempre con sé, creando nella sua mente immagini di persone in tute spaziali che, appostate in edifici di grande valore architettonico, si sparavano addosso. E lei si trovava sulla linea del fuoco. «Ehi, Loreena.» «Sulla Luna, Mies van der Rohe e molto popolare», mormoro.

«E chi sarebbe questo Mies?» rise qualcuno. Tutta rattrappita, Loreena si sveglio e sbatté le palpebre. Lo stagista era appoggiato al bordo della scrivania e aveva l’aria soddisfatta di Gatto Silvestro che ha appena catturato Titti. «Merda, mi sono addormentata», borbotto Loreena. «S, dai l’impressione di una bestia appesa a un gancio. Manca solo il manico del coltello che spunta dal petto. Ritorna in te, Pocahontas, e fatti un caffe. Abbiamo trovato qualcosa. Abbiamo davvero trovato qualcosa.» Limit 28 MAGGIO 2025 CONTATTO COL NEMICO QUYÙ, SHANGHAI, CINA Verso l’una, Owen Jericho era gia alla quarta telefonata con Zhao, il quale, in quel preciso istante, stava assistendo a una rissa, divertendosi un sacco. Internet-dipendenti andavano e venivano. Il Cyber Planet era frequentato quasi esclusivamente da uomini e le poche donne presenti erano piuttosto in la con gli anni. Gli unici che a Jericho sembravano ancora abbastanza sani erano gli utilizzatori delle tute full-motion e dei tapis roulant, dato che almeno si servivano del loro corpo per l’esplorazione degli universi virtuali. Molti di loro trascorrevano il proprio tempo immersi in mondi paralleli quali Second Life e Future Earth oppure nell’Evolutionarium, dove potevano assumere le sembianze di qualunque forma vivente, dal batterio al dinosauro. Alcuni di quelli sdraiati sui lettini agitavano le mani coperte di sensori, disegnando motivi criptici nell’aria, segno che erano impegnati in un ruolo attivo. Ma la stragrande maggioranza non muoveva neppure un dito. Tali viaggiatori avevano raggiunto lo stadio terminale e interpretavano il ruolo degradante di meri osservatori della propria miserevole fine. L’atmosfera del luogo ebbe uno strano effetto catartico su Jericho e le offese di Zhao si dissolsero senza lasciare traccia. Sembrava che gli zombie della rete si fossero coalizzati nel dirgli che sarebbe bastato un po’ di forza di volonta per interrompere il suo isolamento e, puntando le dita avvizzite contro di lui, lo accusassero di crogiolarsi nella tristezza, di cercare rifugio nel passato e di essere l’unico responsabile della propria infelicita. Alla fine, pero, lo avevano riportato in vita... una vita tutto sommato niente male, riflette Jericho. In un attimo prese migliaia di decisioni, bolle di sapone sulla cui superficie si disegnavano le linee iridescenti del futuro. In qualche modo, il Cyber Planet gli dava conforto. Ricevette pure una chiamata di Zhao che voleva semplicemente sapere come stava. Jericho gli rispose che stava bene e si rimise in attesa. Benche fosse abbastanza allenato a fissare stoicamente lo sguardo in un’unica direzione, il viavai del mercato comincio ad an-

noiarlo. Gente che mangiava e beveva, contrattava sui prezzi, gironzolava, si accoppiava, rideva o litigava. La notte apparteneva ai gangster, che reincanalavano il bottino del giorno nel ciclo dell’avidita, anche in modo pacifico, a quanto sembrava. Inizio a invidiare Zhao, che almeno aveva assistito a una rissa, e decise di affidarsi completamente agli scanner. Collego gli occhiali olografici al cellulare ed entro in Second Life. Il mercato scomparve e lascio il posto a un boulevard con bistrot, negozi e un cinema. Mediante il touchscreen del cellulare, Jericho fece uscire in strada il suo avatar. In quel mondo, aveva la pelle scura, i capelli neri e lunghi e si chiamava Juan Narciso Ucanan, un nome che aveva letto anni prima in un thriller catastrofico. A un tavolino sotto il sole erano sedute tre giovani donne di aspetto assai gradevole, tutte con ali trasparenti e antenne di filigrana sopra gli occhi. «Ciao», disse a una delle ragazze. Lei lo guardo e gli rivolse un sorriso raggiante. L’avatar di Jericho era un capolavoro di programmazione e appariva particolarmente affascinante persino per gli elevati standard di Second Life. «Mi chiamo Juan. Sono nuovo, qui», disse lui. «Sono Inara. Inara Gold», replico lei. «Sei molto carina, Inara. Ti va di fare qualcosa d’interessante? » L’avatar Inara esito. Una reazione tipica per la donna che si nascondeva dietro quel nome. «Sono qui con le mie amiche», fu la sua risposta sfuggente. «Be’, io avrei proprio voglia di fare qualcosa», disse una di loro. «Anch’io», aggiunse l’altra ridendo. «Bene, allora propongo una cosa a quattro.» Jericho sorrise a trentadue denti. «Prima pero devo parlare un attimo con la piu bella di voi. Con Inara.» «Perche con me?» «Perche ho una sorpresa per te.» Indico una sedia libera. «Posso sedermi?» Lei acconsent. I suoi grandi occhi dorati continuavano a fissarlo. Lui si chino verso di lei e abbasso la voce. «Possiamo parlare un attimo da soli, meravigliosa Inara? Solo noi due?» «Non dipende da me, dolcezza.» «S, ce ne stiamo andando», esclamo una delle amiche, alzandosi. L’altra fece spuntare tra i denti una lingua biforcuta, catturo un insetto che volava nell’aria, lo ingoio e sibilo, offesa. Poi le due figure spiegarono le ali e scomparvero dietro una nuvola rosa. Inara si sistemo sulla sedia e gonfio il petto. La stoffa del ridottissimo top divento quasi trasparente. «Adoro le sorprese », sussurro. «Infatti, e una vera sorpresa... Emma.» Emma Deng fu colta cos alla sprovvista che, per un attimo, perse il controllo dei suoi abiti. Il top scomparve, rivelando due seni perfetti. Subito dopo, il busto si coloro di nero.

«Non scappare, Emma. Commetteresti un errore», si affretto a dire Jericho. «Chi sei?» chiese la donna che si faceva chiamare Inara con voce stridula. «Non ha importanza.» L’avatar Juan Narciso accavallo le gambe. «Ti sei indebitamente intascata due milioni di yuan e hai passato segreti aziendali alla Microsoft. Non riesco a immaginare piu problemi in una volta sola.» «Come... mi hai trovato?» «Non e stato difficile. Le tue preferenze, la tua semantica...» «La mia... cosa?» «Lascia perdere. La mia specializzazione e stanare le persone in Internet, tutto qui. Comunque sei in rete da abbastanza tempo per consentirmi di localizzarti.» Era una bugia, ma Jericho sapeva che Emma non aveva conoscenze sufficienti per saperlo. Era soltanto una giovane donna raffinata che aveva sfruttato per anni la sua relazione intima col senior partner dell’azienda in cui lavorava per truffarla. «Se voglio, tra dieci minuti la polizia bussera alla tua porta. Puoi cercare di svignartela, ma ti troveranno, proprio come ti ho trovato io. Prima o poi ti prenderanno, quindi ti consiglio di aprire bene le orecchie.» La donna s’irrigid. L’aspetto del suo avatar non aveva praticamente nulla in comune con la vera Emma Deng, proprio come Juan Narciso Ucanan non somigliava affatto a Owen Jericho. Basandosi sul suo profilo psicologico, le probabilita che Emma scegliesse un avatar come Inara Gold rasentavano il cento per cento. Jericho era soddisfatto di se stesso. «Ti ascolto», sibilo la ragazza. «L’onorevole L Shlng ha deciso di perdonarti. Questo e il messaggio.» Emma scoppio in una risata. «Mi stai prendendo per il culo? » «No.» «Accidenti, saro anche stupida, ma non fino a questo punto. Shlng vuole vedermi bruciare all’inferno.» «Non potrei dargli torto.» «Fantastico.» «D’altro canto, pero, l’onorevole L sente la mancanza della tua compagnia. Da quando sei sparita, prova una certa noia soprattutto in corrispondenza della zona lombare...» L’odio trapelava chiaramente dal bel viso di Inara. Jericho ipotizzo che Emma sedesse di fronte a un body scanner che trasferiva all’avatar la sua mimica facciale e i suoi gesti in tempo reale. «Cos’altro ha detto, quel vecchio porco?» sbuffo. «Non ti piacera.» «Invece voglio sapere in cosa mi sono cacciata.» «Un bagno rinfrescante nelle acque dello Huangpu con un paio di stivaletti di cemento? Sai, e molto arrabbiato. Oppure potrebbe consegnarti alle autorita. Ma lui preferirebbe - cito le

sue testuali parole - che tu continuassi a fargli un pompino di tanto in tanto.» «Che uomo schifoso.» «In passato non ti faceva cos schifo, pero.» «Mi ha costretto!» «A fare cosa? Ad alleggerirlo di due milioni di yuan? A vendere alla concorrenza i progetti di costruzione? A sedurlo per guadagnarti la sua fiducia?» Emma distolse lo sguardo. «E cosa vuole?» «Niente di particolare. Dovresti sposarlo.» «Merda.» «Eh, anche lo Huangpu e pieno di merda», commento Jericho, pacato. «La qualita dell’acqua e assai peggiorata negli ultimi tempi. Comunque lui aspetta che tu lo chiami al numero che sai e vuole sentire un ’s’ chiaro e distinto. Che ne dici? Credi di potercela fare? Cosa devo dirgli?» «Merda! Merda!» «Non e questo che vuole sentire.» Nel frattempo, Diane aveva localizzato la posizione di Emma tramite il server su cui si appoggiava. Era in un appartamento di Hong Kong. Lontano, ma non abbastanza. Non sarebbe stata abbastanza lontana in nessun luogo, a meno che non avesse abbandonato il Sistema Solare. «Dai, magari ti compra un appartamento a Hong Kong», aggiunse Jericho, conciliante. Emma si arrese. «Okay», grido con voce stridula. «L e disponibile a parlare con te in qualsiasi momento. Entro un’ora al massimo spero di ricevere una sua chiamata di conferma, altrimenti mi vedro costretto a darti la caccia.» Fece una pausa. «Nulla di personale, Emma. Io vivo di queste cose.» «S, siamo tutte puttane», sussurro lei. «L’hai detto.» Chiuse il collegamento e usc da Second Life. La mascherina degli occhiali si schiar. Nel mercato, gironzolavano gli ultimi clienti delle prostitute. La maggior parte dei banchetti aveva chiuso. Diede un’occhiata all’orologio. Le quattro del mattino. «Diane», disse al suo cellulare. «Ciao, Jericho. Sei ancora sveglio?» Lui sorrise. L’interessamento di un computer poteva essere addirittura piacevole, se quel computer parlava con la voce di Diane. Si guardo intorno. Quasi tutti i lettini erano vuoti. I sistemi di pulizia erano in funzione. Persino gli Internet-dipendenti sembravano distinguere il giorno dalla notte. «Svegliami alle sette, Diane.» «Certo. Ah, Jericho?»

«S?» «Ho appena ricevuto un messaggio per te.» «Puoi leggermelo?» «Zhao Bde scrive: ’Non vorrei svegliarla... in caso le si fossero chiusi gli occhi sotto il peso della responsabilita. Le auguro una buonanotte. Quando tutto sara finito, andiamo a farci un bicchierino?’» Jericho ridacchio. «Rispondigli che... anzi no, non rispondere. Voglio dormire e basta.» «C’e ancora qualcosa che posso fare per te?» «No, grazie, Diane.» «A piu tardi, Jericho. Sogni d’oro.» A piu tardi, Jericho. Piu tardi, Jericho. Jericho... È tardi, piu tardi e ancora piu tardi, ma lei non ritorna. Lui e sdraiato sul letto, in attesa. Sul letto di quella stanza sudicia che spera ardentemente di poter lasciare con lei. Ma Joanna non ritorna. Al suo posto, creature viscide, simili a insetti, cominciano a strisciare verso di lui, arrampicandosi sul copriletto... gli artigli conficcati nelle fibre di cotone... lo scricchiolio delle zampette segmentate... i campanelli d’allarme... le antenne gli sfiorano la pianta dei piedi... allarme... allarme... Sveglia, Jericho. Sveglia. «Jericho?» Si sveglio di soprassalto, col cuore che batteva all’impazzata. «Jericho?» La luce del mattino lo acceco. «Che ore sono?» mormoro. «Sono le sei e venticinque», disse Diane. «Scusami se ti sveglio prima del dovuto, ma ho una chiamata per te con priorita A.» L’immagine di Yoyo attraverso la sua mente. No, gli scanner lavoravano in modo indipendente da Diane. Lo avrebbero torturato con un segnale snervante, impossibile da ignorare. Inoltre avrebbe dovuto vedere delle sagome colorate di rosso. Invece, tra le persone che stavano lentamente ripopolando il mercato, non c’era traccia dei Guardiani. «Passamela», disse in tono piatto.

«Cosa c’e? Stai ancora dormendo?» Apparve il cranio di Tu Tian. Dietro di lui, sembrava avere preso vita il parco del Serengeti, o comunque qualcosa di simile, visto che sullo sfondo si aggiravano giraffe ed elefanti. Al di sopra di montagne dai colori pastello era appesa una palla di un arancio luminoso. Jericho si sollevo a fatica. Udiva il russare penetrante dei pochi irriducibili del Cyber Planet. Solo una ragazza sedeva sul lettino a gambe incrociate con una tazza di caffe nella mano destra. Di sicuro non era una Internet-dipendente. Lui ipotizzo che fo