«Laborintus» di Edoardo Sanguineti. Testo e commento
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Zitiervorschau

Erminio Risso LABORINTUS DI EDOARDO SANGUINETI Testo e commento

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Laborintus di Edoardo Sanguineti, nella sua veste integrale, carico della sua complessità e atipicità, arricchito da un solido commento critico. Che indaga le diverse componenti testuali per indicare Patteggiamento sanguinetiano verso la letteratura e, più globalmente, la realtà, evidenziando così il percorso di scrittura di un materialista storico: la sua Bildung e la sua enquête. Erminio Risso svolge attività di ricerca presso il Dipartimento di Italianisticay Romanistica^ Arti e Spettacolo delVUniversità di Genova dove ha conseguito il Dottorato. Si occupa di letteratura dell'Otto e Novecento. È consulente editoriale e insegnante in un liceo genovese.

ISBN: 88-8176-824-0

€ 18,00

ANTIFONE Collana diretta da Maria Antonietta Grignani Niva Lorenzini

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Erminio Risso

Laborintus di Edoardo Sanguineti Testo e commento

© 2006 Piero Manni s.r.l. Via Umberto I, 51 - San Cesario di Lecce

e-mail: [email protected] www.mannieditori.it

Copertina di Vittorio Contaldo

ANARCHIA E COMPLICAZIONE

1. La data di pubblicazione di Laborintus è il 1956, anno cruciale per diversi motivi; se pensiamo ai grandi eventi, è Tanno della rivolta ungherese, che innesca una serie di reazioni a catena delTintellettualità internazionale di sinistra, e in particolare di quella italiana, pronta a interrogarsi e a mettere in discussione l'intera attività politica (e culturale) del decennio '45-'55^ Su un piano più strettamente nazionale, siamo comunque in un momento di grande fermento della cultura itaUana che, dopo il fascismo e nella fase di ricostruzione del dopoguerra, si apre al confronto in una prospettiva di socializzazione e di diffusione dei saperi, non più riservati alle sole classi colte e dominanti, ma pronti a diventare patrimonio condiviso. Conflitti e mutamenti caratterizzano fortemente questa fase. Tuttavia, per non cadere nell'affresco epocale e riassuntivo, che non sarebbe neppure funzionale al nostro discorso, qui, all'inizio, ricorriamo piuttosto, quasi come ad un'epigrafe, ad una dichiarazione programmatica non di un singolo, non di una tendenza, ma di tutto un periodo letterario (e non solo) che, tirando un po' gli anni come una coperta corta, si potrebbe far iniziare nell'immediato dopoguerra e terminare tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta, per il suo darsi come metafora e sintesi, all'articolo di Elio Vittorini su «Il Politecnico» del 29 settembre 1945: La società non è cultura perché la cultura non è società. E la cultura non è società perché ha in sé l'eterna rinuncia del 'dare a Cesare' e perché i suoi principi sono soltanto consolatori, perché non sono tempestivamente rinnovatori e efficacemente attuali, viventi con la società stessa come la società stessa vive. Potremmo mai avere una cultura che sappia proteggere l'uomo dalla sofferenza invece di limitarsi a consolarlo? Una cultura che le impedisca, che le scongiuri, che aiuti a eliminare lo sfruttamento e la schiavitù, e a vincere il bisogno, questa è la cultura in cui occorre che si trasformi tutta la vecchia cultura. La cultura itahana è stata particolarmente provata nelle sue illusioni.^

Questo è sicuramente, nelle sue domande e nelle sue istanze generali, Vhumus che genera le esperienze di riviste altrimenti molto diverse nei progetti e negh obiettivi, quaU il «Il Politecnico» (1945-1947), «Officina» (1955-1959), «il verri» (1956-in corso), «Il menabò» (1959-1967), «Quindici» (1967-1969), e le aspre querelles su arte e politica, poesia e cultura, disimpegno e impegno, sperimentalismo e avanguardia, autonomia ed eteronomia dell'arte, arte e mercato, e così via, per indicare solo le più importanti 'battaghe culturaU' -secon-

do una terminologia dell'epoca-, che hanno caratterizzato e quasi del tutto monopolizzato il dibattito culturale di quegli anni. È in questo clima che Laborintus esce, inserendosi perfettamente nella 'ambiziosa e necessaria' linea vittoriniana di rifondazione, per mezzo di un attraversamento diacritico, di una cultura che sia davvero pensiero critico; se le parole di Sanguineti hanno un tono ormai lontano da quello speranzoso e persino un po' epico del '45, è perché esse sono più amare -ma non rassegnate- in quanto figlie di uno humour nero che tutto ingloba, anche la stessa voce che, nel parlare, dice 'io'. Nel concreto, decisivi per la pubblicazione sono l'appoggio ed il consenso di Luciano Anceschi, che inserisce Laborintus nella collana "Oggetto e simbolo", da lui diretta per l'editore Magenta di Varese, lasciando letteralmente sconcertata la maggior parte del mondo intellettuale, che fatica ad inquadrare il poema sulla base delle consolidate metodologie critiche; gh schemi critici tradizionali paiono in effetti vanificati e sembrano letteralmente girare a vuoto - ad esempio, nell'articolo uscito su «Il Punto» I, 30 il 22 dicembre 1956, Pasolini cerca di inserire il testo, valutandone alcune quahtà, nella tradizione consolidata delle avanguardie, con uno sguardo al passato, mentre, alcuni anni dopo, Zanzotto parla apertamente di testimonianza di un esaurimento nervoso: entrambi testimoniano di una fruizione attenta quanto spaesata^ Tuttavia è proprio questo uno degli effetti e degli esiti che si propone Sanguineti quando,.tra la fine del '50 e l'inizio del '51, in perfetta solitudine, si accinge ad iniziare la raccolta, originariamente con caratteristiche un po' diverse, come dichiarerà lo stesso autore in un'intervista a Fabio Gambaro, dove sottolinea la presenza di scritture eterogenee e soprattutto la natura di prosimetro dell'opera il cui titolo doveva essere, in un primo momento, Laszo Varga"^.

Possiamo rinvenire tracce significative del progetto primigenio gettando uno sguardo attento sulla prima edizione Magenta, dove, in copertina, compare il sottotitolo "Laszo Varga: XXVII poesie, 1951-1954", che, raccolto nel 1960 in Opus metricum, doveva poi trasformarsi in un più neutro "XXVII poesie, 1951-1954", eliminando così ogni preminenza di un personaggio sugli altri. Laborintus è il titolo dell'arie Poetica di Everardo Alemanno^ la quale è, però, anche manuale, per fini didattico-pedagogici, di grammatica, retorica e versificazione, con abbondanza di esempi, secondo canoni tipicamente medievali. L'esergo "Titulus est Laborintus quasi laborem habens intus" è estrapolato dallo scolio di un anonimo glossatore di Everardo, il quale scolio, nella sua completezza, recita così:

Causa efficiens [Laborinti] dicitur fuisse expertissimus clericus magister Everardus Alemannus, dictus Everardus, quasi egregius, versificator, excellens, rithmista, arduus rethor, dictator valde solemnis. Titulus est Laborintus quasi laborem habens intus.^

Se il titolo è la traccia, la novecentesca rubrica, che l'autore consegna al lettore, ovvero l'ottica privilegiata (in esaltazione o in depressione, come dato di ipersignificazione o come dato sviante, come trappola), la chiave di lettura ed interpretazione in quanto sogUa, la selezione, lo scegUere l'uno o l'altro dei titoli possibiU è, poi, già, questione di prospettiva ideologica: così Laborintus non è una semplice scelta denotativa di struttura, ma evidenzia, in anteprima, il modo di agire dell'autore. Ed anzi si inaugura già qui un gusto per il prestito e il travestimento che costituirà una costante sanguinetiana. Laborintus è il primo di una serie^: infatti Erotopaegnia (Scherzi amorosi) è il titolo di un'opera perduta di Laevius, uno dei neoterou Opus metricum è il titolo di un testo, composto nel 1297 e redatto definitivamente nel 1319, del cardinale Jacopo Gaetano Stefaneschi^. Purgatorio de Vinferno è il titolo di un'opera perduta di Giordano Bruno^. Triperuno deriva dal Caos del Triperuno di Teofilo Folengo. Wirrwarr è il titolo primigenio dell'opera teatrale di Klinger Sturm und Drang^^ e si può tradurre con "confusione" o "guazzabuglio" - Sanguineti, in un sol colpo, sceglie come insegna del suo operare l'amatissima 'caotica confusione' e, allo stesso tempo, getta un ponte verso una della sue magnifiche ossessioni, il protoromanticismo, da Goethe a Foscolo. Catamerone è un composto dotto, di formazione greca, sullo stile del Decamerone e del Pentamerone, ma Sanguineti si rifà anche al titolo prudenziano Cathameron Liber (un Ubro di canti ad uso liturgico). Reisebilder (Visioni di viaggio) è il titolo di un'opera di Heine. Bisbidis è una voce-titolo di una frottola di Immanuel Romano ("Del mondo cercato" o Bisbidis di Manuello Giudeo a magnificenza di Messer Cane de la Scala). Senzatitoloy oltre agli innumerevoli riferimenti alle arti e agli artisti contemporanei, contiene in sé sicuramente un'eco del latino sine titulo e del boccacciano "senza titolo" nell'introduzione alla Quarta Giornata, dove, secondo l'interpretazione di Branca, si allude "all'estrema varietà della materia che non consente un titolo unitario"^^ (questo è non a caso il libro più eterogeneo di Sanguineti). Corollario è una citazione doppia, un polivalente anello intertestuale: da un lato, il rimando è all'amatissimo Dante e precisamente al Purgatorio (XXVIII, 136), a quella Matelda paradisiaca che, interrogata, risponde con il sintagma "darotti un corollario ancor per grazia", dall'altro, Sanguineti preleva direttamente dal suo Laborintus (1.5, 1) "come aspra ahenazione c o r o l l a r i o " ^ ^ ^ Cose rimanda direttamente alle installazioni degli artisti contemporanei, ma fun-

ziona anche da travestimento del francesce objecto e sta ad indicare un'opera dove, in versi, si realizza uno dei progetti del nouveau roman, e cioè l'io non solo disgregato e assediato dagU oggetti, ma la focalizzazione trasferita sulle cose attraverso le (e dalle) quali guardare e indagare l'uomo (è l'inizio di una 'nuova' stagione sanguinetiana). Il gatto lupesco richiama il Detto del gatto lupesco, un viaggio (allegorico) costruito sulla citazione straniata e sulla manipolazione dei codici di riferimento, e Sanguineti si traveste, in maschera, con gU abiti di questo viaggiatore 'coatto'. Mikrokosmosy rimandando, da un lato, direttamente all'opera di Béla Bartók, e, dall'altro, a un lessico con chiare ascendenze matematico-scientifiche, propone e sovrappone, in perfetta contemporaneità, l'idea di un piccolo universo autonomo, e, in linea con l'amato (da Sanguineti) Bartók rivisto e ricorretto, quella di una lingua della poesia (là della musica) concretamente radicata nella realtà materiale. Soffermandoci ancora sul confronto, è opportuno ricordare che il Mikrokosmos bartókiano ha una finaUtà didattica, solidale, non a caso, con l'insegna di quel Laborintus che, come abbiamo appena evidenziato, riproponeva, en travesti, il titolo di un testo medievale nel quale, al tempo stesso, si teorizzava pedagogicamente e si esemplificava concretamente un progètto di poetica. Se la tipologia dei titoli poetici ci offre un quadro significativo dell'operare autoriale, una compiuta riflessione sui segni e sulle eventuali sopravvivenze, in forma di reperti, del progetto originario di composizione ci permette non solo di fissare filologicamente una fase, ma ci mette in condizione di vedere e di seguire nel suo farsi l'opera, e di avere così uno sguardo in fieri, una messa a fuoco interpretativa, sincronica e diacronica insieme, che si effettua anche grazie alla collazione delle versioni esistenti. Alcune sezioni infatti erano state pubblicate, tra il 1951 e il 1953, sulla rivista fiorentina «Numero»^^ per la precisione lo sezioni 4, 6, 8, 9 e 15, pubblicate rispettivamente come LV 8, LV 11, LV 14, LV 19 e LV 21 («Numero» n. 5-1/1951-1952), e le sezioni 10, 11, 12, 13 e 14, numerate progressivamente dall'I al 5 («Numero» n. 45/1953): ciò che balza subito agU occhi è, in entrambi i casi, l'insegna generale "da Laszo Varga' e, nella prima pubblicazione, la sigla "LV", chiari rimandi al progetto dell'originario prosimetro. In secondo luogo, le varianti presenti su «Numero» -delle quali daremo accurato resoconto nella nota al testo- non sono particolarmente significative; la numerazione dei componimenti risente, forse, nel primo caso, proprio dell'idea dantesca di presentare insieme versi e prosa, strettamente legati e connessi al punto da essere, reciprocamente, interpretazione e commento l'uno dell'altra e viceversa, nel secondo invece ci pare più plausibile che la numerazione progressiva dall'I al 5 sia una semplice convenzione redazionale. Rimanendo sempre sul terreno delle possibili congetture, potremmo avanzare l'ipotesi che l'autore, in un

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momento di lavoro piuttosto avanzato, abbia incominciato a sentire inadatto il titolo scelto, pur senza averne ancora elaborato uno sostitutivo e abbia, invece, abbandonato ogni idea di contenitore di scritture eterogenee per privilegiare esclusivamente le sezioni poetiche, che diventeranno l'opera tout court. A parte la soppressione nella sez. 6 (LV 11 in «Numero») degU "Androseleniti" al v. 6 e di un "scusatemi" al v. 19, e quella nella sez. 13 (4 su «Numero») di "padre bianco solennemente imprecisabile maturamente femminile" al V. 13, che ci segnalano un lavoro di affinamento e di allontanamento da ogni pericolo di banalizzazione di immagini e figure archetipiche, le varianti sono costituite soprattutto da qualche virgola, punto e parentesi, che pure in Sanguineti non sono mai da sottovalutare e che, a loro volta, ci parlano di una ricerca di profondità e di chiaroscuri. La metà degli interventi si concentra piuttosto su una operazione di risegmentazione del verso; in questi casi il verso lungo, così come appare su «Numero», viene ricompattato e riequilibrato, attraverso una trasposizione di intere porzioni di testo da un verso all'altro, risultando leggermente più breve^"^ - non è da escludere a priori neppure l'ipotesi che questi allungamenti siano il frutto di una manipolazione tipografica della redazione di "Numero". Comunque sia, questo aspetto particolare e predominante dell'eventuale attività di revisione di Sanguineti che, per il resto, riduce al minimo gU interventi e non intraprende mai riscritture (è un nemico delle varianti), ci introduce al cuore di uno degH elementi cardine dell'operazione sanguinetiana, quello del metro del verso laborintico. 2. L'anahsi delle scarse varianti, spia dell'attività di affinamento e di rielaborazione testuale, segnala inequivocabilmente, all'intern¡o di questo progetto creativo, la centralità dell'unità metrica del verso, elemento decisivo della composizione. Sulla scia delle dichiarazioni autoriali di atipicità, contenute in Poesia informale?^^, Niva Lorenzini ricorre opportunamente a paralleli con l'universo musicale, puntando sulla perfetta corrispondenza tra la scrittura sanguinetiana e la musica postweberniana^^ e, andando ancora oltre, afferma che [...] la totale assenza di punteggiatura (il primo punto interrogativo compare nella sezione sesta), abolendo la scansione a senso, produce una sensazione di continuità della durata temporale, di stanca successione ininterrotta, di magma continuo. L'andatura risulta di tipo giambico e anapéstico nei primi emistichi (caratteristica comune alla quasi totahtà delle sezioni di Laborintus), mentre i versi si chiudono spesso con cadenza dattilica o trocaica - "il livello mentale virtuale si abbassa questi paesi sono prosciugati" (sez. 5) - secondo un ritmo quantitativo

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che segue le spinte della sintassi irregolare, 'parlata', dando origine a una versificazione non più impostata sulla scansione sillabica o sul ritornare isocronico degh accenti, ma sulla successione dei 'cola' discorsivi, sulla durata delle varie unità. Il verso quantitativo scandisce la lentezza delle immagini interiori, ricondotte a una dimensione mitica, primordiale, che ne rende difficile l'affioramento in superficie e quindi la possibihtà stessa d i p r e d i c a b i H t à . ^ ^

Sicuramente, il ricorso alla metrica latina permette di dare un'idea compiuta al susseguirsi di lunghe e brevi, di un andamento quantitativo e non accentuativo, ma -anche se non è il caso della Lorenzini- rischia di annoverare Laborintus, per forza di tradizione nella letteratura itahana, tra i tanti esperimenti di metrica barbara. Per rendere conto di questa operazione estremamente innovativa, dominata più che da lunghe e brevi da momenti di dilatazione e da momenti di condensazione del discorso, è bene affidarsi completamente ai paralleli musicali, poiché il modello sostanziale di questa scrittura è in prevalenza di tipo musicale: è sicuramente presente una forte idea di dicibihtà, di eseguibihtà, una sorta di recitar cantando o, per meglio dire, in maniera più puntuale, di Sprechgesang, che permette anche di isolare la singola unità sintagmatica (che può essere anche la singola parola) trattata a sua volta come una nota. L'autore monta così i diversi materiali e presenta una 'sequenza verbale' sia chiaro, non in senso metaforico o traslato, bensì nell'accezione etimologica e semanticamente precisa e definita del termine. Siamo di fronte ad un processo quantico nel trattamento dei materiah verbaU, nella cui sequenza si può mettere l'accento sia sulla continuità sia sulla segmentazione: il principio che guida tale sequenza, come gli effetti che essa inevitabilmente produce sugli ascoltatori, è quello di una sorta di Klangfarbenmelodie^^, dove l'esecuzione stessa diventa decisiva per la funzione del tassello nella serie. E proprio per questo, se Berio sarà il compagno di tante avventure creative, Webern, con il suo puntinismo, nel portare alle estreme conseguenze alcuni aspetti di Schònberg, è l'altro punto di riferimento importante, è anzi colui che apre la via, senza considerare che proprio gli aspetti didattico-pedagogici contenuti nella scelta come soglia del termine Laborintus -nell'opera di Everardo Alemanno questi aspetti, come si è detto, erano centrali- invitano, anche per questo aspetto strutturale, a non escludere neppure influenze di Bartók e del suo già citato Mikrokosmos, nel quale la dimensione didattica era altrettanto decisiva. Sanguineti opera liberando totalmente la scrittura, lasciando che i moduli compositivi si muovano autonomamente e senza indicazioni, neppure di tipo canoro. Ogni verso viene costruito secondo un'idea di ritmo estrapolata, a sua volta, dal contesto testuale, che, in pratica, con un movimento quasi di partenogenesi, è il prodotto finale e, per certi versi, produce, passo dopo pas-

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so, l'opera. Per esempio, porzioni compatte di testo coincidono con metri tradizionali, occultati o esibiti, sui quali si fonda l'operazione ritmica: già il primo verso della sez. 1 è costruito su una serie di endecasillabi sfigurati o, per così dire, spezzati, sentiti dall'autore come elementi molto unitari, come quantità ben definita di una sequenza in uno spazio/tempo. Ecco come Sanguineti costruisce il suo verso lungo, accumulando metri tradizionali, in taluni casi con l'uso ¿tWenjembement o di altri artifici metrici, trasformati. Così l'unità metrica è la particella fondamentale della sequenza che determina una certa idea di ritmo in uno spazio/tempo determinato. Per questo, il movimento polifonico può essere paragonato alla melodia dei timbri, e cioè alla presa di coscienza che non esiste differenza solo tra note diverse ma anche nell'esecuzione con strumenti diversi della stessa nota (siamo lungo quella linea di ricerca che porterà a considerare la voce umana uno strumento e a trattarla compiutamente come tale). Per rimanere nell'ambito delle similitudini musicali, Laborintus si configura, a livello macrostrutturale, come un poema sinfonico-vocale in quattro parti, dove le sezioni 1-4 costituiscono Vintroibo (una sorta di antinferno), le sezioni 5-16 la discesa nella palude e il romanzo di Ellie, guida di questa parte del viaggio, le sezioni 17-23 lo sprofondamento completo al cuore palus e la sostituzione di Ellie con X e infine le sez. 24-27 segnano la conoscenza completa della palude e il suo attraversamento sotto la guida di X: su tutto, però, domina l'immagine labirintica, la sola che, in ultima istanza, rende conto perfettamente dell'insieme dei percorsi tortuosi di questo poema per sequenze. 3. La particolare costruzione fondata sull'accumulo di materiali apparentemente eterogenei è la chiave per capire, guardando alla struttura formale, la scelta del titolo Laborintus, poiché, come sottolinea l'autore, "nell'opera questo tema era venuto emergendo sempre più come il tema fondamentale"^^: lo schema labirintico è l'immagine che meglio fotografa e fissa l'impianto dell'opera, riuscendo a veicolare anche la complessità della realtà atomica di quegli anni, i cui esiti potevano davvero essere benjaminianamente catastrofici^o. Non si tratta cioè -e non poteva essere diversamente-, degli schemi possibili e praticabili, ma dell'unico che poteva dare conto della labirintica -e insieme infera- realtà della nuova situazione atomica. E, del resto, [...] ben al di là delle sue valenze puramente religiose [...] il mitologema labirintico disegnò fin dalle sue origini più lontane una traccia importante nella storia della cultura europea in quanto modello astratto

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della congetturalità, della forma stessa del pensiero dialettico: di quel pensiero, in altri termini, che supera gli ostacoli aggredendoh, non rimuovendoli o scavalcandoh [...]. A quel pensiero gh antichi diedero il nome di métis?^

Esso è una struttura archetipica, infatti [...] il problema del labirinto presenta una particolare peculiarità, la quale del resto è comune alla maggior parte dei problemi che sorgono dalla ricerca mitologica [...]: si tratta di problemi privi di soluzione. [...] il labirinto è il mondo degli inferi. Ma questa definizione non risolve assolutamente il problema del labirinto. Ovunque lo si ritrovi (in un racconto, in una immagine, in un movimento), il labirinto è più connesso con il mondo delle idee, più archetipico, più primordiale [urgestaltiger], che non il mondo infero (altrettanto misterioso, ma in sé del tutto amorfo).22

Nella sez. 19, Sanguineti utilizza, segmentandola e frammentandola, l'iscrizione del magnifico labirinto collocato in posizione verticale nell'esonartece del Duomo di Lucca: su di essa si era soffermato anche Karl Kerényi -nelle sue indagini sul labirinto, condotte a partire dai primissimi anni quaranta- che definisce il labirinto nei suoi significati essenziali e nelle sue linee di sviluppo evolutivo e afferma che esso "è il mundus, ovvero il mondo nell'accezione cristiano-medievale, concepito come una specie di regno infero"23. È più che probabile che proprio queste anaUsi di Kerényi, dalla filogenesi alle diverse utilizzazioni, siano state sedimentate nella scelta sanguinetiana e certo esse la illustrano perfettamente, sottolineandone la centralità: in Sanguineti però l'accento va messo sul mundus (vd. sez. 16), senza le connotazioni cristiano-medievali che esso aveva in Kerényi, come realtà effettuale, infernale perché dilaniata dagli scontri e sotto l'incubo atomico (e tutto ciò si riversa sull'io non più compatto e omogeneo), e questo è il nuovo inferno fuori e dentro l'uomo; anche il corpo diventa la fedele registrazione di questo processo, poiché tutto si trova impresso lì, come in un calco. Il labirinto, da un lato, diventa così una struttura privilegiata per interpretare la realtà effettuale e, di conseguenza, per rappresentare il mondo -per Eco, addirittura, "quella del labirinto è una struttura archetipica (qualunque senso si vogUa dare a questo termine), che riflette (o determina) il nostro modo umano di adattarci alla forma del mondo, o di imporghene una qualora esso non ne abbia - o sia disposto ad accettarle tutte"-^^, dall'altro significa recuperare davvero qualcosa di archetipico, al di là ed oltre la stessa cultura occidentale^s.

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Per Sanguineti, è comunque decisivo proporre l'immagine di qualcosa che parh al lettore della condizione umana storicamente determinata, di una situazione in cui sia facile, entrare ma arduo uscire (la Palus) e che inevitabilmente cambi profondamente chi eventualmente riesca ad attraversarla. Se adottiamo lo schema tripartito di Eco sulle tipologie labirintiche (il labirinto classico, unicursale; il labirinto manieristico; il rizoma o rete infinita)^^, notiamo che in Laborintus troviamo spirali spezzate, linee tronche, quantiche, in una perfetta orizzontahtà, una sorta di sintesi tra il labirinto classico e la rete infinita, la cui struttura difficilmente può essere stabilita in anticipo, ma anzi prende forma durante il processo di c o s t r u z i o n e ^ ^ . Il Laborintus di Sanguineti, così come il labirinto, non è una formazione esclusivamente spaziale, ma anche temporale, mettendo in moto una macchina a due motori, uno che permette l'azione di penetrazione e l'altro quello di uscita, in un circuito di nascita, morte e rinascita, all'interno di una concreta e dialettica vita materiale nel mondo post-atomico. E allora il Minotauro è, per noi, qui e ora, il pericolo della catastrofe atomica, e davvero non solo la vita è labirinto, ma il mondo stesso è un labirinto {Die Welt ah Labyrinthy^. 4. Le scelte operate da Sanguineti sia sul versante metrico-stilistico, sia su quello della macrostruttura laborintica, sono in stretto rapporto con l'io che prende la parola, un io che non solo è diviso (secondo le modalità descritte dalla psicanahsi e dagli artisti più avvertiti della prima metà del Novecento), ma è del tutto frantumato, gettato nella Palus della realtà. La prima conseguenza, ma anche l'elemento dove questo emerge compiutamente, è la scelta di come e di che cosa avvenga in ogni singola sequenza. Nelle diverse stazioni, Sanguineti non racconta, o megho in esse non è presente un narrato, in senso tradizionale, con una sua storia e un suo tempo, ma piuttosto un'esposizione di gesti, una presentazione di azioni e di situazioni. Se davvero un'idea di narrazione si può intrawedere è quella stessa di una "nuova declinazione del romanzo della Commedia, di un Dante riletto alla luce di Pound ed EUot"^^, e quindi la nascita di un orizzonte antinarrativo, di una struttura fondata su movimenti allusivi, che riprendono in perfetto rovesciamento la narrazione, e su una perfetta strategia di "descriptio loci"3o, strettamente interconnesse tra di loro. In questa maniera, sfruttando a pieno anche la lezione di Benvenuto da Imola, così presente e ben sedimentata in Interpretazione di Malebolge^^, la neutra topografia laborintica diventa, per i giochi allusivi, la struttura fondamentale di una dimensione paesistica decisamente alternativa e antagonista alla tradizione, al punto da uscire dalle linee di ogni categoria-funzione narra-

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tiva. Ma appunto il processo di neutralizzazione e fortissima oggettivazione avviene estremizzando la lezione d a n t e s c a ^ ^ ¿[ geografia infernale priva di una specifica attenzione paesistica, attraverso l'assunzione di una topografia lunare per la Palus laborintica, un paesaggio fortemente frantumato e putrescente. Contemporaneamente l'autore mette in piedi una architettura sohda, geometricamente delineata, a reggere l'impianto del poema. Già più di trent'anni fa si osservava in Laborintus la presenza del tema lunare e di una concreta geografia e cartografia del sateUite^^; Mare Humorum, Lacus Sorriniorum, Sinus Vaporum, Sinus Roris, così come Palus Putredinis, sono tutti luoghi precisi della Luna, appunto. Questa nomenclatura risale -come rileva Sabrina Stroppa^"^- al gesuita G.B. Riccioli; in questo caso, però, la fonte .scientifica diretta di Sanguineti si può individuare nel manuale di astronomia La Luna di Alfonso Fresa^^^ illustrato con le immagini fotografiche riprese dall'osservatorio del Monte Wilson, e nel quale, peraltro, le pagine 187-192 sono interamente riservate alla selenografía di RiccioU con relativa carta esemplificativa. Questa indicazione filologica delle fonti ci permette di focalizzare, immediatamente, un esempio della tecnica sanguinetiana della descrizione: la riproduzione fredda, oggettiva e puntuale (quasi scientificamente puntuale) di porzioni dell'astro da prospettive inusuah e decentrate è, appunto, l'elemento che permette a Sanguineti di formare sulla carta veri e propri crateri, facendo cioè un'operazione simile, su un piano strettamente tecnico, alle plastiche di Burri: le famosissime immagini della luna riprese dall'osservatorio del Monte Wilson -un gioco di crateri, di mari e paludi, di depressioni e di monti- vengono rese, qui, in forma di parole, vengono cioè trasformate e cambiano di stato, transitando dalla dimensione visiva a quella verbale, in un sistema linguistico dove l'asintassia, i salti di significato e persino di lingua (dall'italiano al latino al tedesco al francese al greco) creano veri e propri dislivelli, qui sulla pagina e là sulla tela e nella plastica combusta. E dove quel che conta è che in entrambi i casi nel fruitore si imprimano immagini molto simili nei loro effetti ottici. Nasce qui e così una nuova descrizione, sulla quale si fonda un modo alternativo di narrare. Questo elemento formale di capitale importanza è legato -ne è anzi il frutto terminale- all'uso di una tecnica curata con attenzione nei propri Lehrjahre dall'autore, che, in alcune conversazioni, ha dichiarato di essersi esercitato, durante il proprio apprendistato giovanile, a "descrivere minuziosamente", e in versi, serie di cartoline con immagini di pittura cubista e astratta. Proprio per questo, la presenza del linguaggio della geografia astronomica (precisi luoghi della luna, con alcune trasformazioni sanguinetiane) merita una riflessione in quanto a valenze e funzionamento: la luna, elemento cardine dell'universo alchemico, è anche l'immagine più appropriata per una superficie modellata da crateri e awalla-

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menti, così da diventare, in un gesto creativo pieno di rimandi allegorici, l'icona privilegiata di una terra post-guerra atomica, della desolazione di un mondo distrutto da mille Hiroshima, ormai privo totalmente della presenza dell'uomo, disumanizzato^ in questo modo, gli elementi junghiani, per esempio, stanno saldati insieme, nella stessa immagine, con i problemi di una cultura e di un mondo atomici^^, trasposti, appunto, in questa luna che contiene le lacerazioni del clima apocalittico dell'entrata nell'era dell'atomo. Contemporaneamente Sanguineti, con una 'scrittura astronomica', apre la via a nuove possibilità di espressione. La luna, però, viene utiUzzata da Sanguineti anche come possibile geografia interna e interiore dell'uomo alienato del neocapitalismo; adattare la mappa della luna all'uomo permette concretamente e materialmente l'identificazione dei luoghi corporali con le loro fenomenologiche manifestazioni e affezioni. Per secoh, d'altronde, la luna è stata antropomorfizzata e la sua geografia letta e rappresentata dagh scienziati in forme umane (durànte i diversi cich si potevano intuire le sembianze di una testa femminile, o due giovani teste nell'atto di baciarsi e altro ancora); ora, con un perfetto e totale rovesciamento, nel quale l'uomo viene visto e portato in scena come una luna, Sanguineti rappresenta, su un piano creativo, la riduzione dell'uomo a cosa, mostrandoci in filigrana, tutto intero, il processo di cosificazione. 5. Il processo di cosificazione umana va immediatamente messo in relazione con una forte presenza del linguaggio medico-scientifico (dal corpo alla produzione dell'intelletto), la qual cosa è rilevata da una accurata campionatura dell'opera^^^ H catalogo, non esaustivo, ma fortemente esemplificativo di quelle espressioni e di quei sintagmi che appartengono per specificità di materia e/o per tono all'ambito medico-scientifico e, più in generale, all'universo delle scienze mediche e naturah o che ad esso possono essere ricondotti (come il ricorrente "corpo" e le varie parti anatomiche), mostra perfettamente la strategia sanguinetiana. Non tutte le presenze sono naturalmente della stessa qualità. Si va, per esempio, dal clinico "cauterizzato" al più quotidiano "nelle tue braccia" al corpo grottesco "ventre della torpedine"; ma è proprio questo rapporto, questo mettere in contatto diverse dimensioni, del quotidiano banale, del sapere specialistico e delle rappresentazioni deformate, a conferire forma e funzione al testo: questi piani, intersecandosi, neutralizzano i reciproci rischi, che consistono, da un lato, nella riproduzione mimetica del quotidiano (e, vista l'epoca di composizione, anche in una eccessiva fiducia in un grezzo naturalismo) e, dall'altro, in uno specialismo tecnico che diventi la base di un gergo e di un codice chiusi e iperselezionati, all'interno dei quali

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proporre una deformazione del corpo dai tratti estetizzanti. Il biologico, il medico, Pastronomico-geografico, lo scientifico naturale, il quotidiano banale si mescolano e si intrecciano per descriverci il corpo umano, un corpo che si presenta principalmente in uno stato di fermentazione o di putrefazione. In un momento esso pare dare la vita e nascere, in un altro morire e decomporsi. Assistiamo alla nascita del "teatro anatomico" in poesia. Nascita/morte/decomposizione, in una perfetta rilettura della sequenza della vita lunare, sono gli stadi di un ciclo perfettamente naturale e storicobiologico della materia umana, che subisce, laicamente e materialisticamente, una trasformazione, dove dalla polvere si ritorna alla polvere. Ma, appunto, attraverso queste diverse strategie, il corpo non si presenta mai completo e armonioso, secondo i canoni consolidati, ma sempre frammentato, rotto, a pezzi, singolo organo per singolo organo, componente per componente, al punto da poter parlare in Sanguineti di un linguaggio degli organi senza corpo, di parte che però non vale più metonimicamente per il tutto, ma piuttosto spazio di carne dove si registrano le trasformazioni storico-sociaU. Da un punto di vista tecnico, siamo all'interno^della completa rifunzionalizzazione -come osserva Hocke- di una tipica "caratteristica dell'arte moderna"^^ rappresentata dair"isolamento di frammenti anatomici"^^, la quale permette a Sanguineti di uscire completamente dai binari soliti dell'io disgregato, tipico già di ogni decadentismo e soprattutto del Novecento, per portare alle estreme conseguenze un corpo a pezzi, già artaudiano (come rileveremo nelle diverse sezioni, sono presenti innumerevoli paralleli -ben oltre il prelievo àdlYEliogabalo- con il trattamento del corpo di Per farla finita con il giudizio di Dio)y e farlo diventare l'emblema della (auto)distruzione dell'uomo nell'era atomica, che è poi l'epoca di una prima fase completa della globalizzazione, cioè finanziarizzazione e cosmopolizzazione dei mercati e delle merci, e dove anche l'uomo è merce. Per certi versi, è proprio per questo che l'uomo non è più un tutt'uno organico, ma un montaggio di organi. In questo modo, il labirinto, in tutti i suoi aspetti, dal Duomo di Lucca fino al giardino prelevato dall'Abate di Villars^o, la Palude, il corpo fatto a pezzi, consentono concretamente di descrivere, tecnicamente, una palude labirintica, che è contemporaneamente, per quei rimandi non meccanicistici tra gli uomini e il proprio tempo, la realtà effettuale e la dimensione interna, psicologica, l'io dell'uomo del tardo capitalismo. Per creare questo quadro in versi, Sanguineti porta alla luce tutto ciò che è nascosto e/o che è stato programmaticamente rimosso. Ovvero, in Laborintus, Sanguineti tiene insieme, contemporaneamente e sullo stesso piano, un'infinità di materiali 'maledetti' e gettati ai margini della cultura egemonica degli anni cinquanta (psicologia e psicoanalisi, e persino la tradizione dei

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saperi in odore di massoneria e di eversione, dall'abate Villars a de Sade), e l'attenzione alla quotidianità, intesa come storia e come cronaca (ad esempio, come vedremo, nella costruzione di Laszo). Per essere chiari, da un lato, ogni contributo -e ne parleremo in relazione alla questione capitale della citazione- viene trattato nella stessa identica maniera, dall'altro la presenza inconsueta, gli elementi esclusi e le auctoritates conclamate servono a costruire questo nuovo mondo, dove i saperi maledetti vengono rifunzionalizzati e dove ciò che è noto e famoso viene ugualmente riletto alla luce del nuovo contesto, di un processo di scambio continuo. Sanguineti assume, quindi, tutti questi elementi, attraversandoli diacriticamente, con distanza e freddezza, senza empatia e adesione (l'ottica di un semplice avvicinamento o di una adesione vera e propria indurrebbe un grave errore, portando a parlare, per esempio, di un Sanguineti junghiano o, persino, alla luce del Gabalis, massone): il senso nuovo si trova nella nuova costruzione. In questo modo, per esempio. Dante è appunto quello anticrociano della lettura narrativa di Interpretazione di Malebolge, perché assume anche le prospettive critiche e gli inviti esegetici di Eliot e Pound, sui quali si era soffermato Sanguineti propriò nel suo saggio dantesco'^^ Oppure, passando da nnauctoritas riconosciuta a qualcosa che è trattato con sospetto e tenuto a latere, l'alchimia diventa, hic et nunc, una sorta di primigenia struttura laica di una laica ideologia; essa consente di interpretare la mitologia come storia e permette di recuperare a pieno la sua dimensione gnoseologica, fornendole un paradigma di anahsi scientifica, o perlomeno qualcosa di molto simile. Nel chiudere il cerchio, il contesto, la fotografia dell'opera nel suo insieme, la lettura attenta delle presenze linguistiche ci ha permesso quindi di parlare di uso insistito di un linguaggio che all'analisi ravvicinata si rivela clinico più che banalmente medico; si tratta, però, di un clinico-medico che si inserisce pienamente e compiutamente nel vasto campo del 'corporeo-anatomico' e si muove, quindi, all'interno di un linguaggio del corpo, o per megUo dire, degli organi senza corpo, evitando così di chiudersi nello spazio ristretto del patologico. Questo linguaggio 'corporeo-anatomico' è l'asse portante di Laborintus, che non si esaurisce così in un semplice documento di una antropologia della schizofrenia, ma assume le sembianze di una vera e propria nekuya, personale, psicologica, pratica e collettiva. Sono proprio il particolare modo di far reagire le diverse componenti testuali, la sequenza quantica e franta e il linguaggio di un corpo frammentato a declinare sanguinetianamente la descriptio loci di dantesca memoria per farla diventare, in quanto descrizione e descrittività autre, la struttura di questa antinarratività o, forse, unica narratività possibile nell'epoca atomica. In questa dimensione, comunque, nessun episodio e nessuna stazione stanno isola-

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ti, ma vanno collocati nello specifico luogo 'narrativo', all'interno del quale possono esprimere a pieno i loro significati, in quanto particolare momento di una sequenza che produce un tutto organico. 6. Non esiste dimensione narrativa, neppure nella chiave atipica e antinarrativa di Sanguineti, fondata sulla descrizione spaesante e rovesciata, senza personaggi (anche se non tradizionali), di conseguenza, nell'ottica appena espressa, diventa decisivo il modo di costruzione dei protagonisti e la maniera attraverso la quale passano da uno stato iniziale ad uno finale, cioè subiscono, a seconda dei casi, un'evoluzione o, comunque e sempre, una trasformazione. Nel progetto originario, Laszo Varga avrebbe dovuto dare il titolo all'intera opera. Il nome è prelevato, a memoria dell'autore, da un banale fatto di cronaca, forse nera, apparso su un giornale torinese («La Stampa sera»? «La Gazzetta»?) e presentava già, con tutta probabilità per un refuso tipografico, la deformazione Laszo (la forma corretta è Laszlo). Sanguineti si trova così bell'e pronto un nome che non esiste e non esita ad utilizzarlo a calco, poiché gli offre, per un verso, l'occasione di allontanarsi da ogni idea di mimetismo naturahstico, e, per l'altro, di rimanere, in virtù di un errore di stampa, assolutamente fedele alla fonte giornalistica, citandola puntualmente. Ciò conferisce peculiarità al protagonista, che è figho e incarnazione del Sole, elemento di una eventuale e possibile coniunaio, ma anche personaggio da "Eldorado Club" -ancora un richiamo al sole-, un tipo da night club. Proprio questa ambivalenza è la cifra essenziale dei personaggi e della scrittura di Sanguineti. Ruben è il vero nome di un compagno di liceo di Sanguineti; ma proprio nel momento in cui egli entra nel testo, la vera biografia viene azzerata e Ruben diventa il co-protagonista, l'aiutante del processo alchemico; egli è colui che possiede i tratti, un po' da sottosuolo, di una grande cultura cosmopolita errante e bohémienne, tradizionale dell'universo ebraico-europeo, che ha poi il suo alter ego, per un gioco di rimandi e di contrari, nel Moneybags prelevato da Marx. Anche qui si mette in moto il meccanismo di trasformazione, così che Moneybags perde ogni connotazione etnico-religiosa, per diventare il simbolo concreto del capitalista, industriale e finanziario: il simbolo dell'uomo d'affari dell'era atomica. È chiaro come l'elemento di partenza, qualunque esso sia, venga, per così dire, sempre annullato, lasciando spazio a ciò che serve al poema: a essere eventualmente evidenziate e talvolta esasperate sono piuttosto le caratteristiche più universali di un gruppo sociale e non semplicemente quelle di un singolo individuo.

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Lo stesso ragionamento e lo stesso trattamento dei materiali vale per Ellie, protagonista talmente importante da riempire di sé una parte consistente dell'opera, al punto da poter parlare, per una sua cospicua parte, di romanzo di Ellie, e anche EUie è una compagna di scuola. Nel testo, Ellie è una figura d'acqua, in quanto presenza sfuggente, che entra e esce di scena, vive per forza di una ragione di desiderio, di una razionalità du désir, il désir umanizza, surrealisticamente, la ragione, eliminando gli elementi strumentali tipici di una razionalità ridotta a puro mezzo. Perciò è lecito parlare di una Ellie/Nadja, proprio per la sua presenza d'amore, per essere corpo d'amore, forza del desiderio, e contemporaneamente per la capacità, quasi, di annullarsi, di autodistruggersi, di mettere in moto la macchina testuale per poi ritrarsi (e in questo rimanda alla Liza di Memorie del sottosuolo): [...] c'è, si fa voce della città, epifania del diverso, oracolo intermittente e somma di indizi. Se essa è "anima errante", così vicina a quella figura archetipica del femminino che è l'Anima junghiana, essa è anche, e soprattutto, "voce errante". La relazione, volutamente disadorna, ma non per questo meno rigorosa e tesa, è innanzi tutto resoconto d ' u n ' e s p l o r a z i o n e . ' ^ ^

Se sulla natura di Anima junghiana di Ellie ci soffermeremo nelle sezioni, qui ci interessa proprio la sua natura errante, la sua dimensione di guida di una esplorazione, di un viaggio, e di linguaggio in dissoluzione, di un errare della scrittura, che, appunto, metamorfizzate, ritroviamo in toto tra le sue pecuharità fondamentali. L'intermittenza è proprio la caratteristica fondante della sua presenza, quella che ci fa parlare di una strategia continua di presenza/assenza, o, per megho dire, proprio di un incessante entrare e uscire di scena. Del resto, il teatro del mondo presuppone il palcoscenico e la scena: ed Ellie è proprio intermittenza, ma non solo perché materialmente entra ed esce dalla scena, bensì perché in taluni casi è presente senza che la si veda, e viceversa. Durante l'intero percorso testuale, assistiamo ad una sorta di trasformazione, di metamorfosi di Ellie, che non riesce a portare a compimento la coniunctio 'alchemica' e 'fisico-corporale' con Laszo, fino alla sez. 21, che è un threnos, un planh per la sua morte, testualmente parlando - tutta fondata sulla morte reale della madre dell'autore. Ma, appunto, Ellie non si autodistrugge o semplicemente muore, bensì si trasforma, in quanto una parte di lei viene eliminata, ma un'altra, quella del desiderio e della forza di passione, viene ereditata da Questo processo è possibile proprio perché l'intermittenza frammenta già, in un primo momento, corpo e mente di Ellie, i quaU vengono sezionati nelle diverse componenti.

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X è Luciana, che diventerà mogUe di Sanguineti; anche per lei la sorte è quella della trasformazione: X non è solo una semphce sostituzione di Ellie perché il passaggio tra Ellie e X segna anche un cambiamento di toni ed accenti, in una strategia di continuità di funzione nel percorso testuale. Nell'ottica di un mutamento all'interno dell'archetipo femminile, X è una metamorfosi di Ellie, ne eredita sicuramente il lato di passione e di desiderio e il corpo dell'amore, ma se nella sez. 21 EUie possiede già la dolcezza e la tenerezza della madre, nella sez. 26, che è, tra l'altro, un commento finale, una sorta di ipercommento alla sez. 1, X aggiunge a queste qualità una capacità di generare e di dare la vita; ella è ormai scopertamente "lividissima mater" (sez. 26, v. 22)^^ X diventa così la guida dell'ultima fase, Nadja e Beatrice, con un occhio alla Venere generatrice di lucreziana memoria. È una Beatrice di carne e corpo, capace di dare vita, di procreare, ma proprio questa sua peculiarità generatrice rende X creatura che permette di conoscere la morte, creando una comprensione in grado di diventare, anche, elaborazione del lutto, suo superamento e interiorizzazione. contiene così in sé nascita e morte. Troviamo infine GMR, in posizione sicuramente defilata rispetto agU altri; si tratta di un altro compagno di scuola, che qui funziona da personaggio di secondo piano, possibile aiutante, ma anche possibile lettore-collaboratore, destinatario privilegiato - ritornerà anche in Purgatorio dell'Inferno. Abbiamo così incontrato, in questa nostra panoramica, alcuni amici ma soprattutto alcuni primi lettori di Sanguineti, tutti studenti e coetanei: "I miei primi destinatari furono amici di università, che poi sarebbero diventati rispettivamente farmacista, medico, filologo classico e insegnante"^. La persona reale, in carne ed ossa, non offre che l'occasione, è tuttavia decisivo capire come le persone reali divengano funzioni testuali, personaggi di Mm fiction un po' particolare, svuotati di sé per essere altro. I personaggi di Laborintus non hanno una psicologia e una forma fisicocorporale tradizionali, sono invece contenitori di elementi umani storicamente determinati e colti in particolari fasi del loro sviluppo; in questo modo, attraverso una attenta dialettica determinata anche dal labirinto-rizoma, non diventano tipi fissi e immutabih, ma veri soggetti individuah che dicono "io", poiché insiemi ben calibrati di tratti umani che nella loro peculiarità prevedono uno sviluppo, ed eventualmente anche la morte. Questo io, come sottolinea il verso "io sono una moltitudine" (sez. 2, v. 20) è completamente disgregato in diverse componenti; è, per dirla con Gramsci^^ il soggetto plurale, ma anche l'io psicanalitico, molteplice e dalla multiforme natura. Nel testo si riporta anche l'attenta fenomenologia di queste trasfigurazioni: Sanguineti crea così una sorta di focalizzazione in continuo movimento, come se si servisse di una macchina da presa, creando effetti tipici dello zoom, della carrellata.

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del primo piano, senza però privilegiare nessun personaggio, per consegnarci una visione completa del reale, che comprenda anche uno sguardo dell'intelletto su se stesso e del linguaggio su se stesso, una sorta di operazione metalinguistica e metaintellettuale. Questa peculiarità è un altro asse fondamentale di quell'aspetto narrativo o antinarrativo, o unica narrativa possibile nell'età atomica, cui accennavamo: cioè una struttura a rete fitta, che mette sempre in rapporto gli elementi e non permette mai il formarsi nel testo di una tradizionale sequenza logico-causale o temporale. Sono infatti presenti personaggi-ossessione in continuo movimento o trasformazione, tutto è metamorfosi; gÌi equilibri sono inevitabilmente surrettizi e transeunti, il continuo cambio di piani dello sguardo produce una focalizzazione, necessariamente, sempre dinamica e mai statica. I protagonisti, equilibrati impasti di pochi tratti individuali con molti elementi archetipici, sociali e storicamente determinati, diventano punti privilegiati di focalizzazione all'interno della rete testuale (il rizoma). Già il saltare dall'uno all'altro permette di proporre sguardi alternativi, percezioni diverse, consentendo di far variare il punto di vista. 7. Passati al vagHo il materiale verbale, la struttura del poema e i protagonisti, cioè i tasselli principali della costruzione, la verifica passa al linguaggio, inteso nella sua totalità di struttura espressiva"^^. Adottando la stessa ottica, ci troviamo davanti una scrittura stratificata e policentrica, con più punti di coagulo: questo è un modo di mettere, in concreto, il linguaggio al lavoro, considerandolo, cioè, una delle tante pratiche possibili e una delle tante realtà prodotte dalle trasformazioni storiche concrete e materiali; il linguaggio viene gettato, così, nel campo delle tensioni dei conflitti reali. Sanguineti esce fuori in questo modo da ogni prospettiva che possa porsi nell'ottica utopica del gergo dell'autenticità. Naturalmente questa scelta implica, immediatamente, l'assunzione della nuda e cruda realtà come campo di indagine, spazzando via ogni mito di una vita integra. Se questa è la prima conseguenza, la seconda, guardando sempre alle stratificazioni e alla plurivocità del linguaggio, è quella di una scrittura errante, vagabonda, di viaggio senza meta. Non a caso in Laborintus non troviamo più lo schema del viaggio (partenza-transito-arrivo/ritorno), bensì una rilettura, semmai, della Wanderun^'^: c'è la messa in crisi della struttura dell'andata e ritorno, del nostos, per presentare piuttosto un viaggio che se per i romantici è verso un irraggiungibile "mondo dietro al sole"^^ per Sanguineti è verso un possibile ed eventuale sogno di una cosa. L'esito del viaggio è incerto: l'uomo in cammino può imbattersi nella catastrofe.

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L'immagine del Labirinto sintetizza infine adeguatamente la condizione in cui viene a trovarsi l'eroe: Bin ich nicht plötzlich ohne mein zutun in ein recht seltsammes Labyrinth verwickelt P'^^

E, aggiungeremmo noi, esso sintetizza anche la condizione del linguaggio, cioè il dissolversi del discorso, e "la rottura di una coerenza che si serviva moltissimo dell'elemento sonoro"^o. È una frantumazione totale della continuità dell'io. Proprio all'interno di questa pratica della scrittura diventa possibile un'altra operazione -della quale daremo conto puntualmente nelle introduzioni e nei commenti alle singole sezioni-, e cioè quella di penetrare in profondità la dimensione onirica, di servirsene come modello comunicativo5\ proprio quando la distruzione dell'io rende gli altri modelli impraticabili, o fortemente compromessi. Ma appunto riducendo, attraverso la scelta di una focalizzazione sempre in movimento, la presenza dell'io: la dimensione onirica viene messa al vaglio della psicanahsi, della quale acquisisce il gergo. Questa scelta innesca un movimento a più fasi: infatti la psicanalisi viene, a sua volta, posta al vaglio del surreahsmo, proprio per evitare i pericoh di un mito medicoscientifico positivista; a sua volta il surrealismo, che corre i rischi di derive mistiche esoteriche e oniriche, viene messo al vagUo del materialismo storico. Non c'è una assunzione esterna di un punto di vista privilegiato che controlU e selezioni, ma questo aspetto della composizione avviene proprio nel concreto trattamento dei materiah verbaU, viene cioè delegato alla coscienza operativa contenuta nel linguaggio stesso, in quanto aspetto del reale, del quale propone, eventualmente, rappresentazioni e interpretazioni. Tutto è strettamente connesso e correlato. I tre momenti servono a noi per descrivere qualcosa che si realizza sulla pagina in modo quasi contemporaneo e in tempi ristrettissimi, tanto da dar vita ad un nocciolo duro, che pare difficile da penetrare e guardare nei suoi diversi aspetti, una sorta di cortocircuito. Per capire bene i tratti essenziah di questo modo di operare, ricorriamo ad un prelievo testuale dalla sez. 4, "les objets à reaction poétique"; "gU oggetti a reazione poetica" denunciano, effettivamente, un inconfondibile sapore surrealista, e provengono invece da una fonte, per così dire, a latere, e cioè da Le Corbusier (cfr. nota alla sez. 4). Qui però importa analizzare come il prelievo sia utilizzato dall'autore: Sanguineti si serve di questa frase di Le Corbusier per portare su un versante più materiale e concreto il concetto surrealista dell'oggetto, rovesciando completamente l'idea di Dalì di "objets à fonctionnement s y m b o U q u e " " , ma soprattutto facendo transitare la definizione dagh oggetti inanimati di Le Corbusier sul "noi" (il verso completo

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è, infatti, "noi les objets à reaction poétique"), che indica e definisce autore, lettore e forse i protagonisti, diventando così un'apposizione degU esseri umani. Abbiamo così un mutamento di piano del discorso e di stato. La multiformità e la complessità di questo concetto viene resa perfettamente dalle parole di Breton, che, in Situazione surrealista dell'oggetto, aveva scritto: Ricorderò che parlando meno di un anno fa a Bruxelles, avevo rapidamente segnalato che, sul passaggio del surrealismo, si stava producendo una crisi fondamentale dell'oggetto. È essenzialmente sull'oggetto, dicevo, che è rimasto aperto, in questi ultimi anni, l'occhio sempre più lucido del surrealismo. [...] Nell'oggeíío surrealista quale è stato definito da Salvador Dalì, "oggetto che si presta a un minimo di funzionamento meccanico e che è fondato sui fantasmi e le rappresentazioni che possono essere provocati dalla realizzazione d'atti inconsci" - dobbiamo ravvisare la sintesi concreta di quell'insieme di preoccupazioni. Mi hmito a ricordare che la costruzione di essi fu prospettata, come ha notato ancora Dalì, in seguito aWoggetto mobile e muto, la palla sospesa di Giacometti, oggetto che poneva già tutti i principi essenziali della definizione precedente ma si atteneva ai mezzi propri alla scultura. Gli oggetti a funzionamento simbolico non lasciano alcun adito a preoccupazioni formali. Corrispondendo a fantasie e desideri erotià nettamente caratterizzati dipendono soltanto dall'immaginazione amorosa di ciascuno, e sono extra-plastici. Si deve d'altro canto ricordare la parte rilevante che prese Marcel Duchamp all'elaborazione di tali oggetti. H o insistito sulla funzione capitale svolta in questo senso dal ready-made (oggetti manufatti promossi alla dignità d'oggetti d'arte dalla scelta dell'artista), con i quali Duchamp cominciò ad esprimersi quasi esclusivamente fin dal 1914. Nel settembre 1924, Introduction au discours sur le peu de réalité, proponevo già di fabbricare "alcuni di quegli oggetti cui non ci si avvicina altro che in sogno e che sembrano altrettanto poco giustificabih dal punto di vista dell'utilità quanto dal punto di vista del piacere"."

In questo modo Sanguineti, giocando con le citazioni e ricorrendo a Le Corbusier, innesca, attraverso un'inevitabile serie di rimandi, quasi automatici, il recupero di una zona capitale del surrealismo, ma, immediatamente, dichiara tra le righe, e in maniera inequivocabile, dettata dal nuovo contesto, la sua distanza dal "funzionamento simbolico", inteso come illimitato gioco onirico, che rischia, appunto, la deriva. È in quest'ottica operativa che prende corpo un ben preciso modo di costruire, secondo un metodo Artaud-Buñuel. Ad Artaud è sicuramente legato il modo di mettere in scena il corpo, frammentato e separato, ridotto ai sin-

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goli organi, al cervello e alle viscere, senza nessun compiacimento, in maniera davvero letterariamente spiazzante ed eversiva, tanto risulta freddo e quasi oggettivo. Il corpo è messo a nudo. Ma il rapporto con Artaud è ancora più stretto; nella sez. 3 il "sens de Tanarchie", infatti, non rimanda solo dlVEliogabalo, ma ad un atteggiamento programmatico, ribadito poi nella sez. 7 con il "noi stessi i santi anarchici", e in un articolo dallo stesso titolo (quarant'anni dopo)^^, nel quale l'autore puntuaHzza l'importanza della pulsione anarchica (centrale in Artaud), in senso etimologico, non solo nell'elaborazione di un testo creativo ma anche di un pensiero creativo e critico. È proprio quest'ultimo il nucleo significativo dell'atteggiamento eversivo sanguinetiano, che non si limita mai al momento della distruzione, ma è sempre costruzione di qualcosa di nuovo. Buñuel è il passaggio alle tecniche vere e proprie del montaggio, e la sequenza sanguinetiana delle sezioni come quella delle diverse unità testuali si muove secondo principi che non sono quelli logico-causali tradizionali, ma piuttosto di rimandi, per consegnarci e svelarci la realtà, per 'bucarla' e non limitarsi alla semplice e fissa fotografia superficiale. L'effetto sul lettore è simile a quello dell'^ge d'or, dove immagini e didascalie danno vita al film seguendo una linea alternativa al consolidato principio di causa ed effetto. Anche Sanguineti rompe così l'idea di un tempo storico lineare, per entrare nello spazio della discontinuità e del conflitto. Questa somma di atteggiamenti inquadrano l'uso della citazione in Sanguineti, una vera e propria strategia della citazione. La mia tesi di partenza è questa: che tutto è citazione. [...] La mia è una pretesa quasi di ordine antropologico: quando dico che tutto è citazione voglio dire che noi viviamo citando. [...] un testo non è che un insieme, più o meno ben strutturato naturalmente, di citazioni. Ma citazioni di cosa? [...] di tutto un insieme di segni (uso questo termine in mancanza di meglio ma si potrebbe studiare forse un vocabolo più opportuno) che sono a mia dispozione e che io collego.[...] Anche la più breve e banale proposizione -"buongiorno, come state"- è un'ovvia citazione, è un testo".

Queste parole, seppur pronunciate cinquant'anni dopo, ben si adattano alla logica della composizione di Laborintus, dove frasi fatte, sintagmi originali, microcitazioni di riminiscenze di discorsi personali o di lettere private, citazioni di aùctoritates vengono trattate allo stesso modo e quindi convivono sullo stesso piano in perfetto equilibrio, conferendo al testo una struttura orizzontale, poiché tutto vi si amalgama - e tra un ricordo, la boutade di una ragazza danese o Marx non c'è nessuna differenza. Questo ci mostra chiara-

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mente l'atteggiamento 'dantesco', estremamente aperto, dell'autore, che dà cittadinanza ad ogni elemento del reale, ponendo Spinoza o i Salmi, Brecht e la cronaca giornaUstica, Tommaso d'Aquino, Schickele e la ragazza straniera su un piano del tutto orizzontale, paritario. La scrittura sanguinetiana funziona da esecuzione, in virtù della quale i frammenti citazionaU vengono, per così dire, 'travestiti' per essere impastati e completamente assorbiti nel nuovo testo. Si potrebbe arrivare a dire che l'autore, citando, sanguinetizza, nel senso pieno di fare proprio un vocabolo come un'idea. Sanguineti guida cioè il processo di trasformazione, mantenendo verso il proprio materiale verbale l'atteggiamento del musicista jazz, pronto a dividere e frammentare per ricostituire e ricomporre, nell'esecuzione. In quest'ottica, l'intertestuahtà diventa quindi il momento in cui al messaggio poetico si affianca il catalogo dei riferimenti creativi, entrano in gioco l'arte e la sua storia: la citazione è quindi non un oggetto prezioso, ma, casomai, un vero e proprio reperto archeologico, capace, con freddezza, di creare interrelazioni spaziali e temporali, così da trasmettere esaustivamente un senso, producendo, con la possibilità di una ricezione programmaticamente a più livelli, un gioco continuo tra i desideri e le aspettative dell'autore e la libertà del lettore. I reperti però non rimangono stilemi morti o sopravvivenze ma acquistano nuova vita e, interrompendo il flusso della comunicazione, rappresentano un punto caldo del testo, poiché si coagulano lì i diversi e stratificati significati. Ecco applicati gli "oggetti a reazione poetica", sanguinetianamente raccolti e declinati. Questo modo di creare, questo metodo di costruzione ha, però, un'altra immediata conseguenza: il rapporto tra testo e lettore viene a configurarsi secondo una precisa dialettica, per la quale il testo contiene una plurivocità di sensi e di significati tale da lasciare libera scelta al lettore; ma questo spettro di sensi possibiU è poi finito e determinato (e, in talune circostanze, le citazioni più pregnanti rappresentano anzi i paletti concreti che delimitano la funzione dell'opera). Di conseguenza, Laborintus è un'opera aperta, con numerose interpretazioni possibiU, ma nello stesso tempo esse sono limitate e finite, poiché l'autore non prevede e anzi impedisce e combatte una deriva infinita dei sensi. Il lettore può muoversi Uberamente, sapendo però che le regole del gioco, fighe deUa struttura stessa del testo, rendono impossibUe il non senso o il nulla da riempire. Molti sono gU elementi da scoprire, da portare alla luce, ma appunto essi sono finiti e determinati, secondo modalità che vietano giochi decostruzionistici. 8. Abbiamo già visto come il concetto di travestimento, in una dimensio-

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ne originaria, consista nella capacità sanguinetiana di intervenire sul testo; prelevando e trasformando il contributo originario, attraverso l'esecuzione (nel nostro caso le strategie di inserimento dei diversi tasselli), esso viene rifunzionalizzato nel nuovo contesto e assume nuovi significati, poiché là tessitura verbale gli fa mutare campo semantico. Perciò individuare la fonte vuol dire scoprire nuove interconnessioni e armoniche sottese, in modo da penetrare più compiutamente e in profondità nel testo, al quale tuttavia non viene sottratta anche una fruizione al grado zero, cioè del tutto priva delle eventuali indicazioni e implicazioni filologiche. 'Travestimento' diventa quindi un concetto operativo e teorico piuttosto articolato, che Sanguineti inizia ad elaborare programmaticamente nell'intervista di Franco Vazzoler La scena, il corpo, il travestimento^^, dove riflette, con particolare attenzione all'ambito teatrale, sul problema dello straniamento brechtiano, del quale il concetto sanguinetiano vuole essere sviluppo ulteriore e, per certi versi, correzione e insieme presa di distanza. Ma proprio nell'andare oltre Brecht, Sanguineti punta sul corpo, sulle maschere, sul gesto e sulla situazione del sogno, chiamando in causa, anche se non scopertamente, la presenza di Artaud57. Per certi versi, questa capitale intervista è sia l'inizio di un percorso, che vedrà la parola "travestimento" caratterizzare già dal titolo alcune operazioni sanguinetiane {Faust un travestimento è il primo di una cospicua serie, e il termine verrà anche adottato per definire, a posteriori, l'uscita della nuova edizione àdVOrlando Furioso approntato per Ronconi nel 1969), sia il punto di approdo di una riflessione molto articolata e approfondita sul teatro -da quello brechtiano a quello sperimentale, da quello di regia a quello delle avanguardie-, indotta e quasi provocata, anche, da un'occasione esterna, da una committenza, rappresentata dall'attività di critico teatrale svolta da Sanguineti, con assiduità, nella seconda metà degli anni settanta, soprattutto per 1'"Unità". Se si vuole cercare di riassumere e sintetizzare la complessa analisi autoriale in rapporto con le nostre necessità, il discorso sanguinetiano può essere espresso attraverso alcuni nuclei così forti da creare, per dirla con Benjamin, una vera e propria costellazione: per prima cosa, Sanguineti riprende la famosa posizione brechtiana contro la "critica culinaria", attaccando aspramente una critica ridotta a mero indice di gradimento, utile solo a "pompare pubbUco", e, per contro, progetta accuratamente la figura di un nuovo critico che, come qualità essenziali, deve possedere un sguardo al contempo "miope e presbite", dove "presbite" rappresenta la capacità di guardare oltre, di traguardare il momento dello spettacolo, ovvero il momento finale di un lavoro molto lungo, per individuare il background, cioè tutte le diverse fasi che hanno portato alla messinscena terminale, tipiche, del resto, dell'industria teatrale dell'epoca del tardo capitalismo, e dove invece "miope" indica la ca-

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pacità di guardare con "gli occhi degU esclusi", cioè con lo sguardo di chi, per motivi di classe, non può essere a teatro. Il critico non culinario, che non condivide nulla con il vicino di poltrona, si pone come una sorta di inviato speciale dei socialmente esclusi. In quanto precursore e primo rappresentante di questa genia critica, Sanguineti rileva ed evidenzia come Brecht riesca a rendere il paradosso di Diderot il centro e la struttura portante di una drammaturgia dialettica, in grado di creare uno spazio teatrale dove si possa mostrare lo sviluppo critico e dialettico che l'ideologia vi può assumere (epicità e straniamento permettono di realizzare questo progetto, del quale sono, da un altro punto di vista, anche il frutto). La capacità dialettica diventa un elemento discriminante e dirimente nell'attività critica di Sanguineti che, passando al setaccio la realtà della scena itahana, vede forza dialettica demistificante ed innovativa nell'antiteatro di Carmelo Bene, Leo De Berardinis e Perla Peragallo, mentre è proprio la mancanza di dialettica ad inficiare, per esempio, gli esiti della Rosa Luxemburg di Faggi e Squarzina. Ma al di là del giudizio sui singoli spettacoli, il lavoro critico di Sanguineti risulta estremamente complesso e approfondito tanto che, se Gramsci e Gobetti avevano individuato nel teatro del grande attore e nel teatro ridotto a cinematografie i limiti della scena itahana, Sanguineti, attuaUzzando le cose, lo vede nel teatro di regia e nel teatro ridotto a spettacolo di televisionerie, esito mercantile e commerciale persino di alcune esperienze di avanguardia. Proprio perché il "pubblico possibile" possa trovare il suo teatro, per Sanguineti -e "il problema è tutto poUtico"- bisogna superare il regista per sostituirlo con la figura del drammaturgo, cioè dell'autore dello spettacolo, una specie di nuova declinazione del Dramaturg. Il teatro di regia si fonda, nelle sue linee essenziali, sull'"adattamento nazional-attualizzante" dei classici, cioè su una sorta di "classico rivisitato "^s. Il travestimento sanguinetiano si pone, quindi, anche come contraltare di questo processo di rivisitazione mercantile e attualizzante, riuscendo a renderci la distanza e l'essenza di un classico, mentre l'ápparente fedeltà filologica al testo da un lato -poiché non tiene in dovuta considerazione la pecuharità essenziale del testo teatrale di essere un testo per la scena-, e l'attualizzazione dall'altro -perché svuota l'opera per renderla commestibile- lo cancellano completamente. Infine, travestirsi vuol dire riuscire a guardarsi, con la consapevolezza che la citazione letteraria (l'esecuzione di un testo) va inserita e inquadrata nel problema antropologico della citazionalità, problema che mette in relazione sistema di citazioni, topoi, sistema di codici e pubblico, e, insieme, mostra come la citazione, in quanto montaggio, crei un'interferenza e dia così vita ad un sistema di interruzioni^^: un'esperienza di questo tipo implica di necessità il superamento totale dell'idea naturalistica di parola per arrivare al corpo.

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Partendo dallo specifico teatrale Sanguineti arriva così ad inglobare non solo l'arte ma l'antropologia umana tout court. Il connubio Artaud/Brecht non arriva solo con una riflessione, per così dire, a posteriori: infatti, Sanguineti, già nel '67, in Per una letteratura della crudeltà, scriveva che "non esiste giustificazione possibile, oggi, per una nozione di letteratura, se non l'idea di crudeltà''^^ e che "la letteratura, come luogo della crudeltà, è allora lo spazio sperimentale dove si decide la dialettica, come si ama dire oggi, delle parole e delle cose"^^ per arrivare a concludere che "la sesta difficoltà per chi scrive la verità, oggi, consiste ormai in questo"" - dove, appunto, sotterraneamente, l'autore completava così le Cinque difficoltà per chi scrive la verità di Brecht. Artaud, dunque, serve a riportare Brecht verso le avanguardie, verso il gusto per la demistificazione, liberando lo straniamento da ogni idea deterministica per costringerlo ad aprirsi alla ricerca laboratoriale, mentre Brecht, a sua volta, è un efficace vaccino contro ogni contagio mistico e magico, con una certa idea e un certo gusto del primitivo, dell'esotico e dell'onirico. Artaud apre al corpo, Brecht alla letteratura come pratica sociale, nella quale si trova traccia concreta del confronto tra i gruppi sociali. Nei testi si trovano le cicatrici dei conflitti reali. Il travestimento si potrebbe intendere, così, superando ormai l'area specificatamente teatrale per inglobare le scritture tout court, come la capacità sanguinetiana, su un versante operativo, di prelevare, inventare e trattare i materiah verbali, e, su un versante teorico, come l'unione dello straniamento e della crudeltà, qualcosa di più e di diverso da una semplice addizione, ma piuttosto una vera e propria sintesi, all'interno di una dialettica materialistica, dove la Verfremdung e il raffreddamento brechtiani vengono messi in stretto rapporto con la crudeltà, reagiscono insieme, si mescolano, trasformandosi a vicenda. 9. Definire il travestimento a partire dalla scrittura di Laborintus e passando per le prese di posizione teoriche dell'autore, ci obbliga ad un supplemento di indagine per capire se si tratti di un tratto stilistico, e non solo, essenziale o se sia un atteggiamento creativo che caratterizza esclusivamente l'opera d'esordio di Sanguineti. È sì necessario partire da Laborintus ma anche non limitarsi al suo ambito e gettare lo sguardo sull'intero corpus poetico sanguinetiano, procedendo naturalmente per campioni esemplificativi, in modo da poter comparare le diverse strategie linguistiche. Il primo campione proviene da Laborintus, sez. 23. Qui troviamo, tra le tante linee possibili, Metastasio e Goldoni in stretta connessione, con una presenza decisiva di Aristotele -via Metastasio, però-, che introduce e apre un di-

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scorso sul patetico. La-sezione, dopo aver attinto ad alcuni passi in francese dai Mémoires di Goldoni, in particolare dalle pagine relative alla riforma teatrale, dove si tratta di comico e patetico, ne utilizza Yincipit del capitolo XLII, «et j'avois satisfait le goût baroque de mes compatriotes», nella chiusa; i frammenti in greco compongono un sintagma unico «Kai KpCvoDOLV &|ui8ivov» che proviene da Aristotele e precisamente dalla Politica, lib. Ili, cap. XI, tomo III p. 467, C, ma attraverso la mediazione àoiVEstratto dell'Arte Poetica di Aristotile di Metastasio^^; e ancora dal Metastasio àtWEstratto -«Qui convien ricordarsi che Aristotile non si vale mai delle parole passioni, o patetico [...] per significar le perturbazioni dell'animo (come la maggior parte degli espositori, non so con qual ragione, traduce); essendosi egli, come di sopra abbiam veduto, limpidamente dichiarato, che con tali parole egli intende sempre di significare le fisiche affezioni del corpo: come sono i colpi, i tormenti, le ferite e le morti»- Sanguineti cita sempre in merito al patetico. Immerso nella tessitura del testo, sfuggendo a funzioni di arricchimento e impreziosimento, il preUevo entra completamente nell'organismo testuale, dove tutto viene fuso insieme, secondo la logica autoriale che tutto è citazione, e, di conseguenza, svuotando ogni presenza di qualsiasi idea di autorità o di preminenza rispetto alle altre componenti, anche se l'individuazione della provenienza dei sintagmi mette in moto un intero meccanismo; non solo il ettore-collaboratore individua in Goldoni-Metastasio-Aristotele una preziosa catena intertestuale, ma mette a fuoco, in virtù di un sistema di allusioni e di topoiy come e quanto Sanguineti, dando vita ad un gioco straniarne, si serva di una sorta di saggio in poesia, per chiarirci, in anteprima, e quasi per anteposta persona (con un gioco di maschere), uno dei punti cardine, e precisamente quello del patetico^^: dove il patetico -per Sanguineti- è qualcosa di concreto e materiale, sono "le fisiche affezioni del corpo, come sono i colpi, i tormenti, le ferite e le morti". Il secondo esempio, datato agli anni novanta, è Glosse 16, un testo metapoetico di riflessione sul fare versi del 1991; esso propone come explicit, al v. 8, "svendo (sterline 5) un copròlito fatto di p a r o l e : c h e conclude il discorso iniziato al V. 4 e che si sviluppa così: "manifesti così la tua natura, è probabile:/non sei, non sarai mai, però, il proverbiale baco della seta: (anche se, defecando/i tuoi versi, ti imbozzoli comunque, per progressivi aggiustamenti lenti, dentro/ la sarcofagica tua discarica verbale): Questo discorso in versi si sviluppa come ripresa e, almeno in parte, come risposta e completamento alle riflessioni delle Teorie del plusvalore di Marx, dove il filosofo tedesco afferma: La stessa specie di lavoro può essere produttiva o improduttiva. Per esempio il Milton, who did the «Paradise Lost» for five £ [la nota 1 in

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calce recita: che scrisse il «Paradiso Perduto» per cinque sterline], fu un lavoratore improduttivo. Invece lo scrittore che fornisce lavori dozzinah al suo editore è un lavoratore produttivo. Il Milton produsse il Paradise Lost per lo stesso motivo per cui un baco da seta produce seta. Era una manifestazione della sua natura. Egh vendette successivamente il prodotto per cinque sterline. Ma il proletario letterario di Lipsia, che fabbrica hbri (per esempio compendi di economia poHtica) sotto la direzione del suo editore, è un lavoratore produttivo-, poiché fin dal principio il suo prodotto è sussunto sotto il capitale, e viene alla luce soltanto per la valorizzazione di q u e s t o . ^ ^

Come si può vedere, Sanguineti non si hmita a prelevare la riflessione su Milton e le cinque sterline per il suo escremento fossile di parole, ma riprende il discorso integralmente, partendo dal baco da seta, simbolo di un'operazione gratuita e disinteressata, vista come ormai impossibile nel tardo capitaUsmo. In tutte le sue diverse gradazioni, opzioni e varianti, il concetto di travestimento rende chiaro un modo di operare che può prevedere diverse soluzioni, dall'utilizzo di un'idea come motore di un testo al prelievo rivisto e corretto fino alla riproposizione di un frammento nella sua integrità filologica, cioè la citazione in senso stretto. Alla fine, quindi, la sez. 23 di Laborintus, con la sua sovrabbondanza di citazioni, e la 16 di Glosse (febbraio 1991), apparentemente 'monolinguistica', ci presentano il medesimo atteggiamento operativo di Sanguineti, caratterizzato da una totale apertura verso il reale: le differenze sono semmai dovute alle diverse strategie dei due testi, ai mutati obiettivi, alla capacità di relazionarsi sempre in tempo reale e costantemente con il mondo esterno e con le condizioni materiali. L'escussione di altri due testimoni significativi ci fornisce prova di questa costanza operativa; il primo è Novissimum Testamentum (ottobre-novembre 1982)^^ dove Sanguineti, partendo dal genere quattrocentesco del testamento e del lascito alla Villon, lo rilegge e lo attraversa diacriticamente, però con l'ausiho di Brecht, e anzi fa reagire insieme, come in un composto chimico, i due autori, che diventano anche esempi di stile, per procedere nel sabotaggio della letterature, che è poi il progetto sanguinetiano degli anni ottanta. Il secondo è Cose 64 (marzo 2 0 0 ^ u t t a sapientemente costruita sulla Critica al Programma di Gotha di Marx. L'intero testo, che presenta come incipit un frammento della frase latina (e biblica) utilizzata da Marx per chiudere il suo testo e come explicit l'altro frammento latino (e biblico) di Marx, questa volta però tradotto, secondo il gusto autoriale dell'intervento e della manipolazione, prende forma come ripresa, risposta e attualizzazione del testo di Marx, al punto che si possono persino segnalare precisamente i rimandi tra i due testilo.

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II raffronto dei passi, messi sotto pressione critica, conferma, appunto, una volta di più, saltando dal 1953 al 1982, dal 1991 al 2001, la solidità e la continuità nel tempo deiratteggiamentó sanguinetiano, rivelando appunto una sorta di omologia tra la sez. 23 di Laborintus, Novissimum Testamentum, la sez. 16 di Glosse e la sez. 64 di Cose\ la sequenza ininterrotta di testi, agevole materia per un commento, nel momento in cui rende evidente, in corpore vili, la solidità dell'atteggiamento e il ricorso al processo di travestimento, chiarisce così, operativamente, i significati del travestimento, invitandoci anche a non limitarci ad un superficiale e semplice indice di presenze di lingue diverse, ma a scavare in profondità per mostrare le somighanze profonde nel trattamento e nell'uso, per esempio, di Marx e in quello di Metastasio e Goldoni. Non si tratta di un fatto di mescolanza o miscidazione, ma di atteggiamento, in termini gramsciani. Su questo nasce una nuova esperienza linguistica e -oseremmo dire- ideologica. 10. Il montaggio è l'operazione capitale dal momento che non si riduce ad una tecnica di taglio e incollatura ma è un modo di costruzione che permette di mettere al vaglio della critica ogni materiale, decidendo così le relazioni testuah nella (e della) composizione. Se per chiarire l'operazione metrica, costruita su una sequenza di porzioni definite di materiale verbale, di unità, era più appropriato ed efficace il paragone musicale, per rendere bene l'idea del montaggio e l'assemblaggio di tessere, altro aspetto decisivo della costruzione e sua faccia speculare, ci viene in soccorso il mondo artistico, pittorico e visivo. Sequenza metrica e montaggio di tessere costituiscono quindi dimensioni strettamente correlate -non a caso vengono fotografati attraverso paralleli con le tecniche artistiche-; nello specifico l'universo pittorico serve a fissare il metodo operativo, rimandando, soprattutto sul versante dell'informale, al dripping di Pollock, all'assemblaggio di Rauschenberg e al monocromo pluritonale di Klein. Su un altro versante, giocano un ruolo importante il neofigurativo di Baj e i ritratti di Bacon^^; il deformato è la forma vera che emerge sotto la superficie del trucco. Questa serie di autori, o megUo di pratiche di realizzazione del manufatto artistico, ci permette di cogliere altre dimensioni del testo; il dripping di Pollock -le ultime interpretazioni del quale hanno rilevato un caos ordinato dal principio dei frattali- può rappresentare bene a livello visivo la capacità verbale di Sanguineti di gettare parole il cui esito ultimo è un caos strutturato e non casuale. Rauschenberg rimanda alla disponibilità verso l'utiUzzo di qualsiasi tipo di oggetto, ad associazioni e a relazioni davvero pericolose, per arrivare al punto in cui non solo l'arte è finzione ma in cui un oggetto reale, cambiando

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la sua funzione, muta natura (ad esempio, Bed, un letto vero, trattato e messo verticalmente, diventa un'installazione, "si traveste"). In Rauschenberg e in Sanguineti vi sono sia l'atteggiamento di disponibihtà verso il reale sia l'estrema coscienza operativa del piano dell'arte, della sua dimensione sociale, della centrahtà dell'uso; questa identità, non solo formale, comporta una corrispondenza quasi perfetta nel trattare e nel combinare le immagini, dal particolare privato allo spazio urbano, trattamenti e combinazioni che producono un mondo sociale travestito e così svelato^^. Come Klein, anche Sanguineti riesce, all'interno di una sorta di linguaggio compatto, a esprimere chiaroscuri e pluritonalità. Del resto, quello che Sanguineti scriveva del blu di Klein -"s'intende, non è più un colore alla Balzac, ma è mediato, per forza, consapevolmente o no, da 'strideurs étranges' e da 'silences', come l"Omega' di Rimbaud"^^-, mettendo l'accento sul "consapevole", vale Der Sanguineti stesso e per il suo trattamento dei materiali, al di fuori di ogni ogica di plurihnguismo o monolinguismo, così efficace per gh autori dei secoli passati, quanto, talvolta, inefficace per il Novecento e le avanguardie (poiché questa logica rischia di dare conto solo dei dialettismi o degli esotismi). Bacon e Baj -con Baj ci fu anche un'intensa collaborazione, oltreché un'amicizia lunghissima- sono i maestri di una rappresentazione deformata dell'uomo, in grado di vedere e di rappresentare non solo ciò che appare, fisicamente, ma il suo vero stato di alienato e manipolato nella società contemporanea: anche in Sanguineti è presente, ugualmente, una sorta di corpo grottesco (che va da Bosch a Baj). E non è senza importanza neppure il tema comune dell'era atomica e l'attenzione e (per alcuni versi) anche l'adesione di Sanguineti al Nuclearismo^^. L'iperveloce, l'estremamente rallentato e l'asintassia radicale fanno di Laborintus, all'interno del gioco sociale di scrittura per cui ogni nuovo atto linguistico si ripercuote sui pregressi e sui futuri (diminuendone o moltiplicandone, chiarificandone o deturpandone i significati), un'opera che, da un lato, si ritrova a raccogliere l'eredità del discorso sintattico di Apolhnaire, sviluppando e sfruttando la distruzione del linguaggio inteso come discorso piano e logico (seguendo vie alternative ma parallele a quelle di Beckett), e, dall'altro, anticipa il cinema underground americano (il cinema iper rallentato di Warhol o di Morrisey). Se il montaggio (e quindi il cinema) è l'invenzione estetica del Novecento, l'estrema concentrazione delle immagini laborintiche e la loro velocità di sequenza sono due tecniche che, su un altro piano, verranno sfruttate all'estremo dall'odierno videoclip: e quindi ritroviamo in Laborintus la capacità di rileggere il passato per aprire al futuro, rendendo alcune tecniche più coscienti e chiare a se stesse e a chi le usa.

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Laborintus si può leggere quindi seguendo varie vie; tra le tante possibili, anche come storia di una poetica in nuce, come ragionamento storico intorno ad un'idea di poesia, un po' alla maniera del Dante della Vita Nuova, dove diversi livelli del discorso ed eterogenee dimensioni letterarie acquistano compattezza proprio nella prospettiva di una teoria della lirica, che si muove in una costellazione ricca e aperta, da Goldoni a Artaud, da Aristotele a Bretón, da Metastasio a Buñuel, da Dante a Foscolo. 11. AÌla luce delle ultime riflessioni, rileggiamo ancora una volta le funzioni del corpo straziato e dilaniato. Sanguineti affronta il 'clinico-medico' all'interno dell'orizzonte del 'corporeo-anatomico'^s e si pone di fronte ad un elemento decisivo del sapere nel quadro della cultura - poiché il sapere clinico "è centrale nel costituirsi della nostra idea di u o m o è il luogo "in cui si raccordano e si incrociano quelle che tradizionalmente indichiamo come scienze naturali e scienze umane, formando quella miscela felicemente esplosiva, che impegna, con il nostro immediato vissuto, le nostre idee di corpo e di mente, di vita e di morte, investendo tutte le nostre opzioni etiche, giuridiche, politiche''^^. Ma, come avevamo già avuto occasione di osservare^«, la domanda è: perché Sanguineti scrive il corpo, e perché lo fa in un linguaggio clinico, nel quale al di là di ogni trasfigurazione si salvaguardano, comunque, alcuni aspetti del paradigma scientifico ? In virtù della dimensione clinica delle espressioni, il poeta riesce a giocare con il hnguaggio medico a due livelli: da un lato, al grado zero, lo utilizza -per esempio- nella descrizione delle scene sessuali (dove eventualmente troviamo, in sua sostituzione, il gergo alchemico secolarizzato), e il 'clinico' si trasforma allora nel sistema più efficace di raffreddamento di una comunicazione che adotta così un'ottica straniata e straniante, in grado di fornirci un'immagine del coito e dei corpi in diverse coniunctiones, senza ricorrere al cliché surriscaldato e stereotipato della descrizione della passione e dell'erotismo. Dall'altro l'autore, nel momento stesso in cui usa questo linguaggio, lo attraversa e lo rovescia portandolo al paradosso; in questo modo produce, partendo da un piano squisitamente creativo e formale, una critica forte, violenta e decisiva alla scapigliatura e al decadentismo italiani (da Tarchetti a D'Annunzio), dove è presente un intenso processo di medicalizzazione (tra lo scientismo e il neopositivismo) del linguaggio - e naturalmente anche una presa di distanza da tutte le nuove utilizzazioni in area post-ermetica e neorealista. Laborintus cerca di esautorare così le possibilità contenute nel linguaggio medico, 'corporeo-anatomico', di creare e fornire, secondo le regole più elementari della mimesis, 'effetti speciali di realtà': quest'opera rappresenta in-

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somma il tentativo di evitare e superare, svelandone le insufficienze e le aporie, un principio di verità e di realtà, legato ad un'idea di scientificità e di razionalità, non solo nella sua declinazione esasperata e neopositivista, ma persino in quella rovesciata, anche se non del tutto, dell'irrazionalismo. Una certa idea di realismo, giocata interamente su alcune tecniche di realtà, un'idea, per dirla con Lukács, di realismo borghese, di riproduzione mimetica e naturalistica, si trova così sbarrata la strada, poiché il suo sostrato formale e il suo bagagho tecnico vengono riutilizzati da Sanguineti e nel momento stesso del loro rovesciamento diacritico subiscono uno spaesamento tanto radicale da risultare completamente svuotati della loro funzione originaria, per diventare, mutatis mutandis, i tasseUi di una nuova strategia del realismo; si trovano così inseriti, come mattoni, in una costruzione del-realismo, che verrà posta e edificata in uno spazio e in un orizzonte totalmente nuovi. Infatti, cosciente del carattere mitopoietico del prodotto artistico^^, l'autore, attraverso questa operazione, demistifica il processo di menzogna della tradizione e, nello stesso tempo, inaugura la possibilità di dar vita ad un nuovo sistema di imitazione, che presuppone naturalmente un'interpretazione alternativa sia della dimensione creativa sia del mondo. 12. Con Laborintus Sanguineti apre dunque le porte alla concreta materialità, svuotando, anche nel riutihzzarlo, ciò che è illusione retorica, artificio; è necessario vedere allora cosa questo comporti nella rappresentazione della Palude. Il movimento combinatorio dei singoh tasseUi compositivi, messi tutti autonomamente su uno stesso piano, conferisce orizzontalità alla struttura della Palude e la forza stessa che sprigiona da questo assemblaggio crea i tempi dell'andamento espressivo della scrittura; e questo è uno degli aspetti della musica laborintica. Questo piano continuo e unitario possiede chiari e scuri, ma è privo di prospettiva: al suo posto troviamo giochi di luci e ombre, rilievi, sporgenze e fossi, dislivelli tonali e lessicali, scarti ritmici e semantici, dovuti all'interferenza prodotta dagh incontri delle diverse componenti testuali. Sanguineti vuole e tenta effettivamente di mutare lo stesso paradigma del reahsmo, operando in modo che la prospettiva (come pratica e come forma simbolica), costruita anche in base a supporti metodologici meccanici e a principi razionali^o, venga così completamente esautorata, sfruttata, rovesciata e quindi abbandonata. Proprio per questo, mentre in Pound -autore sempre presente, e non sempre a proposito, tra i referenti indicati come prefiguratori di Sanguineti«^- esiste una struttura poetica, soprattutto in relazione ai Cantos, verticale, nel senso che la discesa agli inferi organizza il materiale secondo un

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canone e una logica ancora dantesche e medievaleggianti, in Sanguineti, invece, i materiali sono tutti accostati e incastrati appunto in uno stesso piano orizzontale: durante l'attraversamento della palude, all'alto e al basso (nozioni di una cultura medievale) si aggiunge l'idea di spostamento non uniforme (nozione del paradigma scientifico moderno). Sanguineti non si affida neppure ad una gerarchia esterna o ad un principio organizzatore a priori -cosa che potrebbe essere rintracciabile per esempio in un pittore gotico-, bensì nel suo testo ogni tassello materiale di linguaggio crea il suo spazio e invita il lettore a mettere in risalto o a deprimere (a seconda delle circostanze, dei casi, dei suoi interessi o del suo stato d'animo) i principali elementi testuali; il materialismo costituisce l'insieme delle regole del gioco. Tutto si muove secondo la luce benjaminiana dello Jetztzeit (dell'adesso, l'asse è tempo-ora-attuahtà). E se allora Joyce e Pound rappresentano (con Finnegan's Wake e i Canti pisani) gli approdi estremi di una cultura e quindi la fine di un mondo poetico e non solo, Sanguineti, con soluzione di continuità, operando un troncamento, riparte, mutati atteggiamento e prospettive, proprio dove gh altri due avevano concluso. Questo modo di rapportarsi e di trattare i materiah contraddistingue Sanguineti; quando -per comodità di comunicazione e di storiografia letteraria- facciamo riferimento a singoli autori, sarebbe invece più opportuno parlare di culture in senso antropologico (e storico), poiché Sanguineti si relaziona e utilizza codici culturah, topoi, sistemi di citazioni, tanto che, per esempio, potremmo trasferire il discorso critico appena fatto per Joyce e Pound e il Novecento sul Medioevo, dove accanto all'ipercitato Dante, come riferimento laborintico, possiamo ritrovare anche -per ammissione stessa dell'autore- il mai citato e più nascosto P e t r a r c a « ^ . ^ naturalmente i singoli autori contano e sono presenti in quanto nodi decisivi e significativi di una cultura ed eventualmente di una scrittura. Se cerchiamo di rintracciare, in questo quadro operativo e teorico del trattamento dei materiali verbali, la cifra stilistica essenziale, o, per meglio dire, se analizziamo, in una prospettiva più globale, l'elemento costitutivo, esso è rappresentato dall'interferenza, intesa sia come capacità del hnguaggio di denunciare la sua natura finzionale sia come base di una logica alternativa e adeguata alla nuova complessità sociale, tanto da diventare il tratto essenziale e fondante dello straniamento sanguinetiano. L'interferenza" è costituita ed è prodotta proprio dalla volontà di far reagire insieme piani diversi del discorso, codici diversi, creando legami pericolosi, dove in pratica interferiscono tra loro materiah verbah eterogenei, che però, come abbiamo visto, subiscono un trattamento peculiare in virtù del quale entrano a formare il nuovo spazio testuale. In breve, è il montaggio stesso che, ad un grado zero, crea l'interferenza, ma qui il mosaico di tessere

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non solo dà vita ad una comunicazione non pacificata, ma diventa il cardine, programmaticamente, la guida dell'operazione autoriale: 'montaggio dell'interferenza' può, da un lato, riassumere l'intera costellazione della metodologia di costruzione sanguinetiana, dall'altro, evidenziare gli effetti stilistici e tonali ricercati dall'autore, cioè rappresentare compiutamente sia la teoria compositiva e i principi formali sia alcuni aspetti degli effetti spaesanti prodotti sul lettore. Questo montaggio di corpi testuali ha luogo a partire dalle concrete necessità sociah, esterne, nelle quah il soggetto in principio viene gettato e delle quali prende, in un secondo tempo, coscienza. Alla luce di queste osservazioni, potremmo persino arrivare ad affermare che il travestimento si configura, per certi versi, proprio come uno straniamento dell'interferenza. Non a caso, la discesa agli inferi si trasforma in Palus Putredinis e la nekuya (come osserva Debenedetti, elemento "di ogni vero romanzo, di ogni romanzo risolto a fondo", e anche di ogni romanzo in versi aggiungeremmo noi) diventa un lungo e difficile viaggio errante, quasi senza meta, attraverso la palude nella falsa jungla, asfaltata e prefabbricata, della metropoli neocapitahstica: se la discesa agli inferi (in una logica anti illuministica, tipica di una dimensione di critica negativa) è lo stemma di un immaginario collettivo dove il mito viene vissuto come storia, la palude lo è di un'antropologia che vive e si sviluppa come storia, e soprattutto dentro la storia. Se "Laborintus quasi laborem habens intus" e "Palus Putredinis" hanno un senso e un significato privilegiato, esso sta proprio deposto e depositato qui, a cavallo tra il lavoro e il lavoro testuale: la grande palude è non solo una metafora del vivere e dell'esistere nell'era atomica, sotto la minaccia di un'eventuale apocahsse, ma è l'immagine stessa del testo e dell'opera creativa nel suo farsi, di un testo lavorativo e lavorato, fondato su un'anarchia strutturale di fondo. In tal modo si costruiscono incrociandosi le figure meccaniche dei due grandi spazi mitici che la fabulazione occidentale ha così spesso percorso: lo spazio rigido, sbarrato, avvolto della ricerca, del ritorno e del tesoro (è lo spazio degli Argonauti o del labirinto) e quello comunicativo, polimorfo, continuo, irreversibile della metamorfosi, cioè del cambiamento a vista, dei percorsi istantaneamente vahcati, delle affinità estranee, delle sostituzioni simboHche (è lo spazio della Bestia umana).«'^

Metamorfosi e labirinto, che Foucault rilevava in Roussel (e la parentela non è casuale, si potrebbero trovare, con piccole correzioni, anche in Vigo, Bunuel e in Breton), sono proprio i due poh della dialettica strutturale sanguinetiana. Sanguineti rende così operativo, nel momento creativo, il momento criti-

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co, facendo sì che la produzione preveda già le insidie della mercificazione e dello scambio. 13. Attraverso queste diverse fasi operative, analizzate nei loro elementi costitutivi, dal travestimento all'interferenza, dalla sequenza metrica al montaggio di tessere, prende forma l'allegoria sanguinetiana, "che non è una tecnica giocosa per produrre immagini, bensì espressione, così com'è espressione il linguaggio, e, anzi, la scrittura"8^ è quindi concretamente una scrittura, un qualcosa che è anche modo di produrre chiare immagini visive di parole, un procedimento poetico per dirla nei termini di Eliot, e che ha insieme a che fare con il geroglifico benjaminiano. L'allegoria contiene in sé una triplice dimensione, un intersecarsi di tre piani distinti ma contemporaneamente uniti: quello del linguaggio, quello del metalinguaggio (che svela la natura stessa del linguaggio, nella dimensione dell'autocritica) e quello che vede questi elementi convivere, con la loro contemporanea presenza, per dar vita ad un processo che porta allo svelamento di aspetti del reale. Sanguineti 'uccide' così anche la descrittività tradizionale, intesa come pratica e possibihtà di creazione di effetti naturalistici, proponendo frammenti di realtà, per fondare una nuova descrittività straniarne, in virtù della quale la luna può diventare una terra post atomica in quanto luogo di prefigurazione di crateri e morte. E questo naturalmente fa corpo unico con l'antinarratività così come l'abbiamo delineata. L'autore, anche su questo piano, vuole minare le basi di quel realismo fondato semphcemente sull'idea di riproduzione mimetica. Se guardiamo a tutte le fasi di costruzione del testo, possiamo rilevare che Sanguineti si è concentrato sulla distruzione della prospettiva, sull'uso, un po' insistito, del linguaggio clinico-medico, sulla strategia, per così dire, antropologica della citazione, sull'annullamento delle tecniche e degU espedienti formah che producono (a buon mercato) effetti di realtà; cioè attraverso questa operazione, perfettamente organizzata, vengono inibite e distrutte, con un attacco da più parti, le tecniche sulle quali si fonda l'idea borghese di realismo, intesa proprio come reahsmo e naturahsmo ottocentesco e poi come neonaturalismi e neorealismi novecenteschi. Al suo posto, in virtù delle possibilità aperte con l'allegoria, intesa come scrittura, l'autore ci presenta come opera un monocromo pluritonale in grado di rompere e bucare il velo che co pre la realtà: egli inaugura, così, fin dall'inizio, con un gioco tra l'informale e i neofigurativo, il suo personale (iper) realismo dell'allegoria«^. Nasce, in questo modo, un realismo strettamente connesso alla critica radicale della letterarietà, che introduce il problema della ragione pratica della letteratura. Sanguineti afferma così, pur indirettamente, che il linguaggio in

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tutte le sue forme viene privilegiato non in nome di una romantica preminenza dell'arte, ma in quanto nel mondo non ci sono che linguaggi e l'uomo conosce solo attraverso il linguaggio, e per certi versi l'uomo non può fare altro che conoscere e indagare il linguaggio: lo strumento è anche e contemporaneamente il campo di ricerca. Questa nuova scrittura parte, per forza di cose e di storia, dalla presa di coscienza di un linguaggio in putrefazione e di una putrefazione del linguaggio, per trasmettere, con uno humour nero, fondato su un fou rire ossessivo e ossessionante, il tragico del comico o il comico del tragico di un mondo sul baratro della catastrofe. Proprio questo è un carattere costante del modus tractandi sanguinetiano; su tutto un riso liberatorio. 14. Non c'è un nuovo sistema d'imitazione, al di fuori di una nuova organizzazione dei saperi: in un continuo rapporto tra aùctoritates riconosciute, ma rifunzionalizzate, e saperi maledetti, campi della conoscenza sempre tenuti ai margini e in sospetto, dall'alchimia^^ alla psicanalisi, Laborintus risistema la conoscenza; le citazioni non funzionano solo come spie del tavolo di lavoro sanguinetiano, ma, soprattutto, creano nel testo una sorta di costellazione, con punti di tensione strutturale forti. A questo punto del nostro discorso, la focalizzazione deve concentrarsi proprio sulla formazione di questo nuovo paradigma e sui suoi assi centrali. Ciò che sta dentro e fuori del testo, il pretesto che innesca la macchina testuale, è la paura atomica o, in altri termini, l'angoscia per la fine del mondo (da alcuni sentita allora come storicamente imminente), il senso e insieme l'orrore per il vuoto prodotto. Se Laborintus è il resoconto di una schizofrenia, questa schizofrenia è quella della realtà effettuale, è quella in re, nelle cose stesse: una situazione psicopatologica collettiva, prodotta dalla realtà materiale, dalle condizioni sensibili di vita. La distruzione del mondo e dell'umanità è un'opzione ormai tecnologicamente possibile, non una catastrofe esterna o naturale ma azione dell'uomo che agisce e non è agito. Seguendo quasi alla lettera l'invito di Vittorini, Sanguineti lavora, in un clima di possibile futura distruzione, per la ricostruzione culturale necessaria dopo l'ecatombe civile ed etica della seconda guerra mondiale. La linea Cusano-Bacone-Spinoza-Foscolo-Marx-Brecht tracciata da Sanguineti nel testo, al di là delle singole personalità, ci parla direttamente di questa necessità di dare vita a un nuovo paradigma, in grado di svelare e interpretare la complessità del mondo. Cusano, Bacone e Spinoza sottolineano -ben oltre le loro funzioni particolari, che evidenzieremo sezione per sezione- l'urgenza di un nuovo paradigma fondativo (del resto nel pensiero occi-

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dentale, essi sono, in questo senso, auctoritates riconosciute), ma è Marx, con la sua undicesima tesi su Feuerbach ("I filosofi hanno soltanto diversamente interpretato il mondo; si tratta di trasformarlo"««), a segnare la via. Ancora una volta, l'impasto, organizzato con molta attenzione, ci propone, nella nuova declinazione, una piccola ma decisiva rettifica; infatti, l'imperativo categorico diventa interpretare il mondo per trasformarlo. L'alchimia fa parte proprio di questo lungo viaggio, dove per interpretare e demistificare il mondo non si rinuncia a nessun contributo. Decisivo diventa, proprio sull'esempio di Cusano e Bacone, uno sguardo disincantato; insomma le scienze umane devono vivere la loro fase di ricostruzione su nuove basi, come la fisica newtoniana e gaUleiana, tenendo appunto in considerazione le condizioni materiah e concrete; quindi [...] dobbiamo cominciare col constatare il primo presupposto di ogni esistenza umana, e dunque di ogni storia, il presupposto cioè che per poter 'fare storia' gli uomini devono essere in grado di vivere. Ma il vivere implica prima di tutto il mangiare e bere, l'abitazione, il vestire e altro ancora. La prima azione storica è dunque la creazione dei mezzi per soddisfare questi bisogni, la produzione della vita materiale stessa, e questa è precisamente un'azione storica, una condizione fondamentale di qualsiasi storia, che ancora oggi, come millenni addietro, deve essere compiuta ogni giorno e ogni ora semphcemente per mantenere in vita gli uomini.8^

Questa prospettiva non implica nessuna marginalizzazione della dimensione interiore del soggetto, che, formandosi come essere sociale, vive concretamente. Ed infatti l'attenzione alla produzione onirica, alla dimensione del sogno, da Artemidoro e Petronio a Freud, da Apuleio e Luciano a Jung, passando per un rovesciamento di Calderón -non più la vita come sogno, ma il sogno come vita-, porta in gioco sia l'immaginario collettivo sia il profondo psicanalitico individuale e soggettivo, nel quale vediamo impresse, sul piano del vissuto, le tracce della storia. In scena è l'uomo contemporaneo con tutte le sue ossessioni, tangenti a situazioni patologiche (in quest'ottica, come abbiamo precedentemente annotato, si può parlare, per Laborintus, di resoconto di una schizofrenia), ma, come sempre in Sanguineti, ogni elemento è ambivalente e polifonico, e la dimensione del sogno fornisce anche un modello interpretativo, che, per quel suo andare per segni, privilegiando una sorta di struttura indiziaria, diventa un metodo efficace per muoversi in una realtà complessa e frammentaria, priva di unitarietà e omogeneità. Il notturno, il profondo, la coscienza libera, non imbrigliata, muovendosi e correggendo una Unea Baudelaire-Breton con-

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solidata, diventano, in Sanguineti, la possibilità di uno sguardo straniato sul quotidiano. Lo specchio deformato rivela aspetti che sfuggono o sono difficih da individuare; insomma, il quotidiano assume le sembianze di una sommatoria di elementi, con aberrazioni e anamorfosi. 15. Naturalmente, questo modo di percepire ed interpretare non è privo di conseguenze, tanto che con questo nuovo paradigma, che implica un diverso uso della tradizione, e non solo una sua correzione, nasce una storia strutturata sull'idea di discontinuità, capace di farne saltare, come osservava Benjamin, il continuum. Proprio le parole di Benjamin sulla storia, sull'Angelo della storia e sul progresso come tempesta, possono fotografare e fissare al meglio l'operazione sanguinetiana^o. Così, insieme con il naturahsmo mimetico e il reahsmo ottocentesco e diversi tardi neo-realismi, Sanguineti liquida anche ogni storicismo fondato su un destino inevitabile di progresso,^anzi fa saltare il continuum e coglie le contraddizioni. La storia diventa, qui ed ora, una bufera di barbarie, che si muove per 'quanti'^^ In quale maniera, in questa struttura quantica, per usare un termine della fisica, sia decisivo il contributo della dimensione onirica, lo illustrano ancora una volta, alla perfezione, le parole di Benjamin sulla "struttura dialettica del risveglio", poiché "il nuovo metodo dialettico della scienza storica insegna a penetrare mediante il pensiero, con la rapidità e l'intensità del sogno, ciò che è stato,.per poi esperire il presente come mondo della veglia, al quale in ultima analisi si riferisce ogni s o g n o L'allegoria è quindi, in un'altra dimensione, la capacità di estrarre dal continuum, di far saltare una esposizione omogenea e continua della storia, e quindi di condurre il passato a porre in una situazione critica il presente, come il sogno è uno sguardo straniato e critico sulla realtà della vegha. Muovendosi su questo piano del discorso, acquista un nuovo significato, o, per megho dire e per essere più precisi, completa questo suo significato (e ne delinea anche i contorni), l'idea di un linguaggio che è citazione, cioè rifunzionalizzazione, in quanto operazione, non priva di violenza, di espianto. È questo un modo cosciente di riappropriazione del passato in funzione del presente, privilegiando tessere e tasselli, reificando e vivificando. L'apparente babele linguistica che emerge, le continue metamorfosi dei personaggi, sono segni evidenti di un lavoro testuale che ha impressi gh elementi fondanti della realtà materiale: sono non il rispecchiamento ma l'allegoria di una fase di trasformazione sociale del tardo capitahsmo, che potremmo definire fase della manipolazione, per indicare sia il trattamento delle merci sia quello dell'uomo, con i diversi meccanismi che possono portare al controllo delle coscien-

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ze (il problema cioè dell'autonomia e della formazione della personalità e di una vita fornita di senso). In questo senso possiamo anche leggere Laborintus come il fedele resoconto, in termini danteschi, dei processi di manipolazione, della completa coscienza della riduzione dell'uomo a merce. Coscienza che, pur essendo anche paura e terrore, non impedisce però all'autore di presentare una completa fenomenologia dell'essere, davvero essere sociale, in quanto uomo concreto e determinato, che vive esperienze specifiche e materiali, lavorative come amorose. Questo uomo reale, in carne ed ossa, è il punto di arrivo di quella dialettica uomo-natura che, da Cusano e Bacone, attraverso Spinoza, arriva a Vico e a Marx, con un occhio anche a Fourier^^, per limitarci alla costellazione delle presenze sanguinetiane, dove vengono meno astrazioni e illusioni in favore di un uomo e di una natura storicamente determinati. Insomma, siamo di fronte all'uomo manipolato, qualcosa che supera e va oltre il concetto classico dell'alienazione, poiché questo processo investe, anche se a livelli e su piani diversi, con differenti conseguenze sui gruppi sociali, l'intero corpus sociale e quindi ogni individuo. Tuttavia, la presa di coscienza del processo globale della manipolazione può avvenire solo all'interno di una concezione della storia, i cui primi elementi vediamo già, nella sez. 1, nella citazione foscoliana, ritoccata, "noi che riceviamo la qualità dai tempi" e in quella staUniana "le condizioni esterne è evidente esistono realmente": la frase foscoliana viene svuotata di ogni idea di primato assoluto dell'individuo e il piano diventa quello del soggetto gettato nella dura realtà materiale, la quale, appunto, come sottolinea poi la citazione staliniana, esiste realmente; ed anzi queste due presenze, in stretto nesso dialettico, ci consegnano il rapporto tra l'uomo, nella sua dimensione concreta di soggetto, e la realtà effettuale. È così che si viene a creare la possibilità per l'uomo di agire e di fare esperienza. Il concetto viene completato dal verso della sez. 11, "la nostra sapienza tollera tutte le guerre", che ha il sapore e lo stile di una sentenza, di qualcosa che si è verificato con una tale costanza da diventare quasi un principio, e svolge la funzione primaria, da un lato, di evidenziare come il processo di trasformazione delle cose stesse non si riveU altro che una lunga strada di lacrime e sangue, ma dall'altro di elaborare compiutamente l'idea stessa di esperienza, poiché sembra rimandare direttamente alla riflessione benjaminiana sull'impossibilità, nell'epoca della fase matura del capitaUsmo, di fare e accumulare esperienza in grado di farsi cultura, utile, efficace e trasmissibile. Essa rappresenta la presa di coscienza diretta di come lo storicismo tradizionale e il sapere dell'uomo siano stati, in ultima anaHsi, cinico e tattico giustificazionismo, mentre qui viene invece posto l'accento sul primato del rapporto concreto uomo-realtà. Non più una sistemazione a posteriori di un processo, ma, in Sanguineti, l'analisi

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di come Tuomo agisca sulle condizioni materiali e di come a sua volta le subisca. La prospettiva diventa, anche da questo punto di vista, ancora una volta perfettamente orizzontale, dal momento che Sanguineti mette al bando sia ogni idea provvidenziale o trascendente sia ogni idea meccanicistica e ineluttabile del processo storico (il che è omologo, su un altro piano, alla rinuncia della prospettiva). Anzi possiamo riassumere questo atteggiamento, tutto teso a privilegiare la dimensione materiale, dove persino la natura è, per Sanguineti, storia, proprio con le parole del Vico citato dallo stesso Sanguineti^"^, e cioè con la Degnità XIV, che recita "natura di cose altro non è che nascimento di esse in certi tempi e con certe guise, le quali sempre che sono tali, indi tali e non altre nascon le cose"^^^ riunendo insieme, sotto lo stesso tetto, cose animate ed inanimate, cioè il mondo sensibile e quello delle idee. Tutti questi elementi servono in maniera decisa a fare i conti con il pensiero irrazionalistico europeo, superandolo ma facendone tesoro in una sorta di visione di realismo reazionario (per usare la felice formula che Sanguineti conia per Dante), ma soprattutto costituiscono la base dell'estrema consapevolezza sanguinetiana del primato delle condizioni materiali, e contemporaneamente della stessa temporalità della storia, tenendo conto che la dimensione storica è il prodotto di un processo, e in questa prospettiva la natura ha come tratto fondamentale, a sua volta, di essere storia, e null'altro che storia, non esistendo una natura immutabile in sé e per sé, una sostanza assoluta delle cose, ma anzi essendo i tempi e le circostanze a determinarle. L'uomo non può esistere in astratto, indipendente dalla società, come un atomo isolato: la storia prende così le forme non solo di una sorta di scienza unitaria o di registrazione puntuale dei processi fattuali, ma di tentativo di comprensione e di conoscenza della struttura eterogenea e multiforme della realtà. La storia permette infine di interpretare il mondo per modificarlo. Soprattutto se sono gli uomini, parafrasando Marx, a fare la loro storia, non in modo arbitrario, ma in base a circostanze determinate, a loro volta gh uomini sono il risultato, anche a livello ontologico dell'essere, dello svolgimento complesso di un processo storico. Allora questa storia diventa il primo asse di un materiahmo storico che si configura come studio della storia passata nella prospettiva della creazione di una nuova storia. Anzi, proprio in virtù di questo, il materialismo storico di Sanguineti (e prima quello di Gramsci) è figlio di uno storicismo assoluto, pienamente cosciente cioè -e si tratta dell'unico principio ortodosso- della sua dimensione transeunte, di dover sottostare al tempo e ai tempi. La filosofia àdhpraxis possiede infatti la consapevolezza che il mutamento radicale della realtà la renderebbe uno strumento inutile; la sua validità è spaziale e temporale, in quanto vale qui ed ora, e non ha nulla a che fare quindi con un dogma né con i vari marxismi dogmatici.

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Questo elemento è quello che permette a Sanguineti di convogliare il suo anarchismo giovanile verso il marxismo, senza perderlo, anzi riuscendo a coniugare questi due momenti. In quest'ottica si deve leggere, per esempio, il famoso verso conclusivo di Postkarten 50 "non ho creduto in niente", che non costituisce un hapax o un ripensamento, ma sottolinea proprio il rifiuto di ogni credo e di ogni dogma, ed anzi rimanda alla conoscenza e alla consapevolezza della precarietà e della temporalità di ogni cosa, compresa quella dell'uomo. Se Foscolo e Vico sono la presa di coscienza, in nuce, di questa situazione di storicismo assoluto, con Marx, Gramsci e Benjamin il salto deciso è verso una percezione dialettica del rapporto uomo-natura, uomo-storia, uomo-ambiente (sociale ed urbano). E se Marx rappresenta la coscienza di dover partire dalla piena soddisfazione delle necessità materiah senza le quali non si hanno le 'spirituali', Gramsci e Benjamin sono, in stemma, la consapevolezza estrema delle contraddizioni della storia, poiché il progresso non è fecondo di magnifiche sorti e progressive ma i suoi esiti sono sempre incerti; la barbarie è una bufera che trasforma, è uno stadio al quale si può regredire e nel quale si può precipitare. Per Sanguineti, come per Gramsci, nello scontro tra gruppi sociali non si esclude aprioristicamente l'apocahttica distruzione totale delle classi in lotta, la catastrofe autodistruttiva. E questo spiega, da un altro punto di osservazione, il perché non si presenti più una storia e una sua percezione caratterizzati da un pacificato continuum, da una concatenazione infinita, ma si vengano a creare una visione e un'organizzazione discontinue, per salti e balzi, del processo storico. La sequenza nascita/morte o generazione/morte non assume semplicemente le forme di un vichiano ricorso o di un eterno ritorno, ma quella della proposizione di situazioni simih ma diverse in base alle condizioni materiali, che sono sempre in continuo movimento. Di conseguenza all'esposizione della storia come narrazione si sostituisce quella della storia come immagini dialettiche e come allegorie, secondo una declinazione benjaminiana ante litteram. Che questo non si limiti in Sanguineti ad un semplice canone interpretativo, ma sia il nocciolo duro di una Weltanschauung nella prassi, lo dimostra l'attenzione autoriale riservata al concetto di "storia", alla necessità del suo studio, e soprattutto alla sua conoscibihtà, nella totalità della sua opera, in versi e non. 16. L'aver anahzzato la struttura metrica e la strategia del montaggio di tessere (talvolta citazionali), i personaggi, l'antinarratività, fondata sulla rinuncia delle tecniche della "prospettiva" e degli effetti mimetici di realtà, e naturalmente sull'adozione di una descrittività autre, e l'aver rilevato i nessi tra una nuova organizzazione dei saperi e una concezione materialistica della

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storia (dove si forma un nuovo paradigma), capace, cioè, di cogliere la globalizzazione, ci permette, in questo preciso momento, di ritornare su Laborintus per focalizzare finalmente l'attenzione sul tempo che scandisce la vita nella Palude. Qual è il tempo nella Palus} In quale spazio temporale si muovono Laszo, Ellie, Ruben, X? Di certo in un tempo non omogeneo e vuoto, bensì pieno, determinato dai processi di trasformazione. Se il famoso ciclo nascita/morte ha il compito, con una presenza continua e costante, di conferire al testo una struttura in grado di ritmare i macrotempi dei diversi cich (una sorta di tempo epocale e storico), una serie di elementi e di spie temporali, inserite nel corpo testuale, quasi secondo le regole àtWars combinatoria, ci mostrano invece come i protagonisti non si muovano solo in uno spazio geografico (la luna come terra) ma anche in uno temporale; in breve i loro movimenti vengono scanditi dal tempo della Palus, Partiamo da un breve catalogo riassuntivo ed esemplificativo di queste indicazioni temporah: "che la luna non entra/nell'acquario" (sez. 4, w. 13-14), "datazione fino al 1953" (sez. 6, v. 4);-^ "circulus quadratus il sole più tardi/existit nell'acquario triangolazione carceraria" (sez. 6, w. 6-7); "nella luna rossa" (sez. 6, V. 15); la sez. 7 è interamente ritmata da "per mezzo del tempo", "il tempo di Laszo", "per mezzo di questo tempo", "tempo esatto", "per mezzo di questo tempo intestinale e convulso"; nella sez. 8 sono al centro i cicli della vita lunare, scanditi da "ritorna mia luna", "per le equazioni solari e lunari/per il calendario" (sez. 12, w. 12-13); l'orologio astronomico, con tutte le sue peculiarità, caratterizza la sez. 15; "in un vivo giro di sole si tratta di subire in molti giri/di luna" (sez. 17, w 17-18); "intorno all'orologio" (sez. 19, v 5); la sez. 22 insiste sul numero e le kalendae; "s.d. ma 1951" (sez. 23, v. 1). Come si può vedere, Sanguineti ricorre, su modello classico e dantesco, alla posizione del sole e della luna, e, più globalmente, all'indicazione astronomica^^ (e allo stesso orologio astronomico in quanto decodificatore privilegiato), per indicare il tempo nella palude, mentre la data precisa (per esempio le indicazioni "fino al 1953" della sez. 6 e "ma 1951" della sez. 23) viene utilizzata, per sviare e depistare, in riferimento alla composizione della sezione. È presente, proprio con questa funzione, un cambio di piano, infatti la data non si riferisce alla vita nella Palude ma a quella dell'opera. E l'indicazione astronomica serve a Sanguineti per parlarci del trascorrere del tempo, inteso come succedersi delle situazioni, come elemento che scandisce azioni ed eventi ntlh palus; la fine del tempo di questa preistoria, per dirla con una terminologia marxiana, può essere la catastrofe come la chance della trasformazione e del rinnovamento. In breve, il dato astronomico gioca, da un lato, come travestimento della tradizione, ma dall'altro rappresenta la necessità di un nuovo mo-

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do di computare il tempo, di segnalarlo e contarlo nell'epoca del tardo capitalismo e del rischio atomico: questo metodo, anzi, è indispensabile per muoversi nella palude (post)atomica, dove l'orologio tradizionale non funziona più. Si può dire che indicazione astronomica e cratere lunare come terra siano strettamente correlati, l'uno è necessario all'altro per permettere ai personaggi (e al lettore) di cercare di orientarsi e di muoversi. È questo, per certi versi, il tentativo, in parte frustrato in partenza e programmaticamente, di definire compiutamente uno spazio e un tempo, caratterizzati da un'estrema mobilità che disancora decisamente il lettore come i protagonisti dai punti di riferimento soliti, producendo spaesamento. Tempi, esseri e luoghi sono trascinati in una corsa, in un veloce processo di trasformazione, e del resto l'elemento astronomico e il calendario non misurano solitamente il tempo fisico dell'orologio, ma sono i segni di una coscienza storica. In quest'ottica lo stesso presenta viene a configurarsi non come semplice passaggio ma come tempo in equilibrio, precarietà in equilibrio, perfettamente funzionale alla descriptio loci su cui si fonda -come abbiamo rilevato- l'antinarrazione di Sanguineti. È l'ennesima dimostrazione di come tutto in questo testo si tenga, e sia strettamente connesso. 17. Cos'è quindi Laborintus} E di cosa, infine, ci parla? L'insieme di elementi presentati ed analizzati, dall'apparente babele linguistica alla manipolazione, in un continuo e incessante rapporto tra spazio e tempo, sottolineano come in Laborintus ci sia la percezione completa dell'era atomica intesa come maturazione perfetta della trasformazione di tutto in merce, quando il mondo diventa un grande supermercato, dominato dalla cosmopolizzazione di uomini e merci, in virtù dei primi effetti della finanziarizzazione del capitalismo. In Laborintus è presente quindi, in nuce, la percezione dei primi germi di quella che oggi chiamiamo globalizzazione, se con questo termine indichiamo questa fase specifica del capitalismo - se invece con globalizzazione indichiamo un processo che inizia già con la fase dei comuni, negli ultimi cinquant'anni del Novecento è solamente venuto a completamento il Weltmarket sulla spinta del capitale finanziario che ha sostituito l'immagine (e le pratiche) del vecchio capitalismo industriale. Ma questa consapevolezza non si trova solo in Laborintus, infatti, con l'avvertenza che siamo di fronte ad opere in versi e non a saggi di economia politica, questo tema, cioè la globalizzazione -se così la possiamo definire- è, a posteriori, il filo rosso di tutte le raccolte di Sanguineti, che, a seconda dei periodi e delle fasi, focalizza la sua attenzione su alcuni aspetti delle trasformazioni in corso, dalla riduzione dell'uomo a merce alla caduta dell'Urss (nelle poesie degU anni settan-

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ta, un particolare sguardo critico è riservato al lento disfacimento e alla lenta disgregazione delle società del socialismo reale, prendendo le mosse dalla situazione di Berlino est). Proprio questa trama persistente ci permette di dare una risposta ad una domanda posta frequentemente nelle pagine della critica: Sanguineti poteva continuare a scrivere in laborintico? Oppure, il laborintico poteva essere usato una sola volta, ed era destinato ad esaurirsi? Per prima cosa, nell'interpretare i testi di Sanguineti bisogna uscire da un'idea di continuità o di discontinuità tradizionali, poiché si rischia di innescare una serie di fraintendimenti: infatti chi vede in Laborintus un unicum e lo estrapola áúYopera omnia, segnando una svolta, dà l'idea errata di un momento di rottura a cui segue un ritorno all'ordine, che in Sanguineti non è mai presente, senza cadere nell'errore opposto di non coghere le pecuharità di ogni singola raccolta, in nome di una visione totalizzante e perfettamente omogenea àdVopera omnia. Per noi, Sanguineti, per ciò che riguarda il metodo, l'atteggiamento e l'ottica di azione creativa (un tempo si sarebbe parlato di poetica), non ha fatto altro che laborintizzare, ma, naturalmente, mutando, di volta in volta, il vocabolario e soprattutto diversificando le tecniche formah a seconda dell'oggetto indagato e rappresentato, e soprattutto dell'epoca e delle condizioni storiche: il laborintico' non è uno stile, ma appunto -come dicevamo- una scrittura (il concetto è stretto parente dell'allegoria benjaminiana e ¿tWécriturt barthesiana, ma non si hmita a questi), costruita da diversi linguaggi che contengono in sé contemporaneamentedestruens Qpars costruens dell'azione poetica sanguinetiana ed anzi possiedono la pecuharità che \2ipars destruens è gizpars costruens, è già t r a s f o r m a z i o n e ^ ^ . Siamo entrati nell'officina di Sanguineti, dentro il suo laboratorio e lo abbiamo visto ed osservato, sotto la luce della "lanterna magica" (sez. 13, v. 30: qui sanguinetiana, ma già topicamente proustiana)^®, mentre si fabbrica, montando le sue res, la sua poesia, sperando di arrivare, un po' utopicamente, al Dunto in cui le cose prendono la parola, saltando il medium del soggetto, del'io maschera, concretizzazione delle azioni di rifrazione della forza esterna e organizzatrice dell'opera (in Cose, molti anni dopo, proprio lungo questa linea, vedremo addirittura le cose, gh oggetti, che prendono la parola, occupando totalmente gh spazi, per aggredire e assediare il soggetto umano). Da un punto di vista dei personaggi, cioè da un orizzonte che potremmo definire antropologico, Laborintus è la storia fedele e minuziosa della formazione di un nuovo soggetto, dell'identità dell'io dell'uomo nuovo, che si costruisce in stretto rapporto, con un legame indissolubile, con l'Amore, inteso come necessità stessa dell'io; quest'uomo, gettato nella concreta realtà atomica, è un uomo in amore nell'era atomica.

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Se passiamo alla struttura formale, Laborintus è un poema in versi dove la narratività è data non da una trama secondo meccanismi tradizionali, ma è creata appunto dalla sequenza di materiali verbali, dalla costruzione e dal montaggio di diversi tasselli e delle diverse tessere precostituite. Gli elementi linguistici eterogenei sono veri e propri reperti che contengono un ricco deposito storico, cosicché questo trattamento sanguinetiano dei materiah segue i principi di una logica antiesotica e antiestetica. Laborintus, che è lo spazio dove Sanguineti si misura anche, una volta per tutte, con la sua formazione giovanile^^^ soprattutto -passando dal piano soggettivo a quello oggettivo in quanto intersoggettivo- con il pensiero irrazionale europeo, con gli autori della distruzione della ragione, si configura, in ultima istanza, come Tenciclopedia poetica dell'anarchismo, per la sua forza eversiva e per la natura dei materiah, ma di quell'anarchismo non volontarista che vede nel marxismo la razionalizzazione dell'aspirazione anarchica. Proprio per la sua capacità di attraversare e rifunzionalizzare paludi linguistiche e paludi ideologiche, Laborintus è un atto anarchico che non si esaurisce nell'eversione dada, ma il suo distruggere è immediatamente il gesto di fondazione di un novissimo stil novo. A questo punto, Laborintus, materiale verbale alla mano, ci dice anche cosa sia e come si diventi materiahsta storico. Per prima cosa, il materialista storico non è qualcuno che aderisce a una dottrina in maniera dogmatica, ma è colui che si confronta, senza pregiudizi e dogmi, con il mondo, che possiede uno sguardo disincantato sulla realtà. Si diventa materialisti storici assumendo questo atteggiamento aperto e critico, figlio di uno storicismo assoluto, e avendo la capacità di mettersi sempre in gioco e in discussione rispetto alla realtà. Non esiste mai una visione prefabbricata da gettare sul mondo, ma è l'anahsi delle condizioni reali a dettare le linee dell'interpretazione. Non esiste nessun a priori. Questa nostra interpretazione implica, ancora, un piccolo corollario, in merito alla prospettiva con la quale guardare a Sanguineti: per prima cosa, è necessario distinguerlo dai Novissimi, con i quali condivide certamente gli obiettivi polemici, ma senza che ci sia un completo accordo sui punti di arrivo; per l'altra, rendere più labile il rapporto con Pound, indotto sulla base della babele linguistica e forse suggerito da alcune annotazioni di Sanguineti stesso su come nei Cantos Pisani di Pound le glosse si facciano testo^o^, poiché, pur riconoscendo similitudini nelle tecniche, le strategie testuali dei due autori sono notevolmente diverse, come del resto gh obiettivi. In virtù dell'atteggiamento, ampiamente definito e analizzato, e del trattamento dei materiali verbali, in un'operazione tradizionale di storiografia letteraria, se volessimo individuare e tracciare una linea nella quale inserire Sanguineti, questa sarebbe, quasi immediatamente, per forza di cose, una linea che si apre con Baudelaire,

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per procedere con Lautréamont, Rimbaud, Majakovskij, Brecht, Beckett, fino appunto a Sanguineti, con aperture, naturalmente, in alcuni casi, verso Breton, Lorca e Apollinaire, o, certo, verso Eliot e Pound; non si tratta quindi di una linea quanto di una costellazione. Ad essere decisiva nella nostra sistemazione non è un'eventuale parentela formale, talvolta superficiale, ma, anche in prospettive diverse, quello che abbiamo definito, gramscianamente, l'atteggiamento, e non tanto le possibili somiglianze tecniche, poiché è l'atteggiamento a produrre, in prima istanza, le basi della forza di demistificazione e di sabotaggio della letterarietà, come universo chiuso e consolidato della consuetudine, dove si erge il poetese. Allora, in chiusura, possiamo affermare che l'atteggiamento è costante al punto da costituire il filo rosso dell'intera produzione sanguinetiana, ma rilevare questa costante non solo operativa ma di Weltanschauung non deve indurre nel fraintendimento e nell'errore di considerare omologabili e omogeneizzabili tutte le opere di Sanguineti; per contro è proprio questo atteggiamento che rende ogni testo sanguinetiano un unicum da analizzare nelle sue peculiarità, poiché, prima di essere il frutto di una catena intertestuale, è figlio àtWhic et nunc del momento, è cioè il prodotto delle particolari condizioni materiali di un determinato periodo storico-politico. Questa dimensione della sua produzione artistica è talmente essenziale per Sanguineti che l'autore stesso la fa entrare concretamente nel corpo dei testi, infatti tutte le sue poesie sono contrassegnate dalla data precisa di composizione (non a caso, l'ordine cronologico è uno degli elementi principali dell'architettura e dell'organizzazione delle raccolte) non per vezzo ma per comunicare, in maniera forte, l'idea strutturale del diario in versi della storia di un io disintegrato e talvolta mise en abîme, in modo che "la storia dell'io non è tanto la storia di una coscienza, quanto la storia di un corpo e delle sue pulsioni"ioS dove appunto è in evidenza la natura relativa di un momento dato, qualcosa che trova realizzazione in una certa situazione concreta e materiale, tanto che il materialismo di Sanguineti è, per certi versi, una filosofia situazionale: nasce un'"idea di storicità del corpo"^o^. La situazione domina proprio perché Sanguineti è l'interprete in versi, e non solo, dei processi di globalizzazione e manipolazione, portando alle estreme conseguenze la felice intuizione foscoliana che afferma come la natura crei gli uomini "essenzialmente sociali"; e allora una scrittura si struttura sempre in rapporto a una puntuale condizione umana.

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Note ^ Suir^indimenticabile 1956" vd. A A . W , Gli intelletmali di sinistra e la crisi del 1956, a cura di G. Vacca, Rinascita-Editori Riuniti, Roma 1978. 2 E. Vittorini, Una nuova cultura, in «Il Politecnico», n. 1,29 settembre 1945, p. 1. Si tratta dell'editoriale, dove si spiegavano la funzione e il progetto della pubblicazione nella prospettiva di elaborazione di una nuova cultura. 3 La centralità e le peculiarità di Laborintus verranno in seguito sancite, anche a livello di sistemazione storiografica, da Curi che, dopo una lunga fedeltà, intitola appunto "Laborintus" un capitolo del suo saggio sulla poesia italiana del Novecento: vd. "Laborintus" in R Curi, La poesia italiana nel Novecento, Laterza, Bari 1999, pp. 260284. ^ E Gambaro, Colloquio con Edoardo Sanguineti, Anabasi, Milano 1993, pp. 2425: "C'era un progetto di partenza definito che poi si modificò strada facendo, come capita quasi sempre ai progetti ben fatti, dato che nel farsi è bene che il progetto si corregga. Quando scrissi Laborintus sapevo che sarebbe stata la prima poesia di un ciclo veramente nuovo, tanto che scelsi una data molto simbohca: il 31 dicembre 1950. Poi, in verità, quella prima poesia la tolsi, lasciando all'inizio della raccolta una poesia scritta qualche giorno dopo. In ogni caso, a partire da quella data avevo la coscienza di un'idea di scrittura abbastanza definita che poteva accettare la prospettiva della pubbhcazione. [...] all'inizio era un progetto molto composito: non doveva essere un'opera esclusivamente di poesia, ma un hbro con sezioni diverse, in cui a poco a poco si costruiva il personaggio di Laszo Varga, un nome che avevo preso a prestito da un banahssimo fatto di cronaca letto sul giornale. Doveva essere un'opera concepita secondo modi di scrittura eterogenei, la cui scrittura doveva comprendere più generi: la poesia, il diario, il racconto, l'aforisma, ecc. Poi però abbandonai rapidamente questo progetto per concentrarmi esclusivamente sugli inserti poetici, che quindi diventarono la totalità dell'opera. All'inizio il titolo doveva essere "Laszo Varga", Laborintus fu scelto solo a composizione conclusa, al momento della pubblicazione del libro, perché nell'opera questo tema era venuto emergendo sempre più come il tema fondamentale e mi sembrava che riassumesse bene il senso dell'operazione". 5 Vd. E. Farai, Les artes poetiques du XIP et XIII" siede, Recherches et documents sur la tecnique literaire du moyen age, Champion, Paris 1924, e poi, in edizione anastatica (dalla quale citiamo), 1971, p. 336. ^ E. Farai, op. cit., p. 38. Le iniziali sottolineate formano il nome di Everardus. 7 Per i titoh, C. Vitiello, "Sanguineti: le presenze semantico-simbohche di Jung e una trama di S. Ambrogio nel 'Laborintus'", in Teoria e tecnica dell'avanguardia, Mursia, Milano 1984; q I Novissimi, a c. di A. Giuhani, Einaudi, Torino 1965. La breve rassegna che segue dimostra come Laborintus inauguri una serie non sicuramente marginale; infatti anche quando non è presente un rimando diretto all'universo letterario, l'autore opera sempre, giocando, con calchi e travestimenti. 8 E.R. Curtius, Letteratura europea e medioevo latino. La Nuova Itaha, Firenze 1 9 9 2 ,

p .

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9 "Teofilo: Non dubitate, Prudenzio, perché del bon vecchio non vi si guastarà nulla. A voi, Smitho, mandarò quel dialogo del Nolano, che si chiama Purgatorio de Vinferno'\ La cena de le Ceneri, in G. Bruno, Dialoghi Italiani, voi. I, Sansoni, Firenze 1985. Cfr. V. Spampanato, Vita di Giordano Bruno, Principato, Messina 1921, p. 375: per alcuni Purgatorio de l'inferno è stato compiuto prima del periodo londinese; per Spampanato è lecita la congettura che vede la materia di questo dialogo affine a quello dello Spaccio della Bestia Trionfante. Si noti come significativa l'espressione "questo purgatorio", vd. voi. II, Dialoghi Morali, p. 829, e cioè il testo doveva essere incentrato sul problema della "renovatio mundi'': non a caso Sanguineti si rivolge a quest'area dell'indagine bruniana, poiché anche per lui, mutati.completamente gli scenari storici e sociali, si pone il problema della (post)modermtà e della nuova epoca, quella della globalizzazione come internazionalizzazione delle merci e dominio della finanza. Kaufmann suggerì a Klinger di sostituire Wirrwarr con Sturm und Drang, binomio che divenne poi la bandiera di un intero movimento. " Si cita dalla nota 1 del curatore V. Branca a G. Boccaccio, "Introduzione alla IV giornata", in Decameron, Einaudi, Torino 1987, p. 460. Per un approfondimento dell'uso del termine corollario, si rinvia alle note al testo della sez. 15. La pubblicazione su «Numero» è, per certi versi, piuttosto casuale; la rivista, diretta da Fiamma Vigo (animatrice di gallerie e correnti artistiche, pittrice), si occupa anche di arti figurative e letteratura. Ad essa Sanguineti arriva grazie a Bertini, un pittore conosciuto nello studio di Albino Galvano, anch'egli pittore e insegnante di filosofia di Sanguineti nell'anno della maturità classica, con il quale nascerà un profondo rapporto di amicizia. Galvano lo presenta a Bertini come poeta, e Bertini si mostra subito interessato ai testi del giovane, facendo da tramite con la Vigo. Sanguineti verrà invitato dalla Vigo presso la galleria, per conferenze e presentazioni, e in una di queste occasioni conoscerà Bueno e Pomodoro. (Sfortunamente gli archivi della Vigo e di «Numero» furono in gran parte distrutti dall'alluvione del 1966; nel dicembre 2003 si è tenuta presso l'Archivio di Stato di Firenze l'esposizione "Fiamma Vigo e 'Numero', una vita per l'arte".) ^^ Vd. lo schema delle varianti nella Nota al testo. 1 Novissimi, a c. di A. Giuliani, Einaudi, Torino 2003, pp. 201-204. N. Lorenzini, "L'effettuale ragione pratica' della poesia nel 'Catamerone' di Sanguineti", in II laboratorio della poesia, Bulzoni, Roma 1978, p. 19, dove scrive: "alla distruzione dell'io in quanto distruzione di una 'durata' interiore nella poesia di Sanguineti corrisponda la distruzione del concatenarsi logico delle parti nella musica post-weberniana". Sul rapporto poesia/musica, si veda anche R. Dalmonte-N. Lorenzini, "Funzioni strutturanti nel rapporto musica/poesia", in II gesto della forma, a c. di R. Dalmonte, Quaderni di ricerche musicali, Università degli Studi di Bologna, Arcadia, Milano 1981, pp. 1-44. 17 N. Lorenzini, Il laboratorio della poesia, cit., p. 24. Anche Sabrina Stroppa parla di 'cola' nella presentazione della sezione riservata a Sanguineti ndVAntologia della poesia italiana (Ottocento-Novecento), diretta da C. Segre e C. Ossola, EinaudiGallimard, 1999.

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Ipotesi e teoria schònberghiana di melodia dei timbri; su questo concetto vd. A. Schònberg, Manuale di armonia. Il Saggiatore, Milano 1997, pp. 527-529 e L. Rognoni, Fenomenologia della musica radicale. Garzanti, Milano 1974, pp. 207-238. R Gambaro, Colloquio, cit., p. 25. Con 'realtà atomica' evidenziamo soprattutto l'aspetto della corsa agli armamenti nucleari tra Usa e Urss nella prima fase della guerra fredda e il pericolo di una distruzione del pianeta nell'eventualità di un conflitto tra le due superpotenze; siamo, d'altronde, negli anni dello scontro in Corea (1950), causa di una tensione fortissima tra i due blocchi. Introduzione di C. Bologna a K. Kerényi, Nel labirinto. Bollati Boringhieri, Torino 1990, pp. 8-9. La nostra citazione può essere completata da questa riflessione ulteriore presente nelle stesse pagine: " E proprio su questo piano il mitologema labirintico si apre a una più larga misura, ad un orizzonte anche filosofico ed ermeneutico, fin dalle origini intriso di sacrahtà e di pericolosa prossimità alla verità ed alla morte, giacché "morte" e "verità", coincidenti, attendono nel cuore del labirinto l'arrivo dell'eroe dotato di métis, sagace quanto aggressivo, enigmatico perché dialettico". 22 Idem, pp. 31-32. 23 Idem, pp. 50-51; l'osservazione completa è: "Il significato dei labirinti delle Chiese di Francia e d'Italia va ricercato però in tutt'altra direzione. Essi dimostrano che questa figura suscita non solo movimenti, ma anche pensieri: è creata in modo tale da non poter rimanere senza vita, e neppure priva di significato. Come primo, più antico esempio di labirinto situato entro una chiesa (sempre che la datazione della chiesa sia giusta e che il mosaico risalga alla stessa epoca) si cita quello sul pavimento della piccola basilica di San Reparato di Orléansville, presso Algeri. Il labirinto arcaico a quell'epoca era già morto, o al più sopravviveva solo nei giochi dei bambini. L'arte catacombale non conosce questa forma; l'epoca aurea delle rappresentazioni rehgiose del labirinto cade piuttosto nell'Alto Medioevo. D'altronde il fatto stesso che gli esemplari più imponenti venissero utihzzati per i percorsi penitenziali è indimostrabile: alcuni, come quello di Orléansville, sono troppo piccoli per questo scopo, oppure sono collocati in posizione verticale, come quello, magnifico, nell'esonartece del Duomo di Lucca. Iscrizioni e nomi come Maeander, Daedalium o Maison de Dalus (Dedalus), accanto al più popolare lieu ou chemin de Jérusalem, e le raffigurazioni del Minotauro nei cortih interni degh edifici, stanno a dimostrare che la narrazione antica era perfettamente nota. La figura del labirinto viene tramandata e commentata anche nei manoscritti. La forma più diffusa nel Medioevo -quella di Lucca, di Sens, di Chartres- va ricondotta a due semphci linee a meandro: l'importanza primaria di questo particolare sarà illustrata in seguito; per intanto, limitiamoci al piano concettuale. Di estremo rihevo è il fatto che questa figura venisse collocata all'interno delle cattedrali -generalmente come decorazione pavimentale- perché in questo modo si credeva di dare forma espressiva a un significato; e anche a questo proposito i commenti delle iscrizioni e dei manoscritti sono chiari: il labirinto è il mundus, ovvero il mondo nell'accezione cristiano-medievale, concepito come una specie di regno infero", vd. anche pp. 56, 68; 70, 91. Del labirinto del Duomo di San Martino di Lucca è contenuta una riproduzione fotografica

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in P. Santarcangeli, Il libro dei labirinti, Frassinelli, Milano 1984, fig. 22 tavola fuori testo (vd. anche p. 177). Prefazione di U. Eco a P. Santarcangeli, Il libro dei labirinti, cit., p. Vili. 25 K. Kerényi, Nel labirinto, cit.; P. Santarcangeh, Il libro dei labirinti, cit.; e soprattutto M. Bernal, Atena Nera, Pratiche, Parma 1994, voi. II, tomo I, p. 31, dove in virtù di un rapporto Egitto/Creta si propone anche una etimologia diversa del termine labirinto: "Secondo la tradizione greca, l'architetto di Minosse, Dedalo, costruì il labirinto cretese su un modello egizio e la prima menzione di un 'labirinto' superstite in greco non si riferisce all'edificio di Cnosso ma al colossale tempio funerario del faraone della X I I dinastia Amenemhe III, all'imboccatura del lago del Faiyum. Io credo che il nome Labyrinthos probabilmente venga da un altro nome del faraone, Nm3^t.R'^, che era reso in greco in molti modi, tra cui Labares e Laberis". 26 Prefazione di U. Eco a P. Santarcangeli, Il libro dei labirinti, cit., pp. I X - X e U. Eco, "Postille a 'Il nome della rosa' 1983" in U. Eco, Il nome della rosa, Bompiani, Milano 1988, pp. 524-525, già pubbhcate in «Alfabeta» n. 49, giugno 1983. 27 Proprio su questo aspetto vd. M. Graffi, Intervista a Paolo Fabbri su II giuoco dell'oca e L'orologio astronomico di Edoardo Sanguineti in «il verri», n. 29 ottobre 2005, Attenzione a Sanguineti, pp. 38-42: " E qui faccio una breve digressione sulla definizione di labirinto quale ce la suggerisce Michel Serres: il labirinto non è una costruzione preliminare ma un grafo costruito da un percorso [la nota nel testo recita: M. Serres, Les carrefours du labyrinthe. Seuil, Paris 1978. Id., Chemins de sagesse, traité du labyrinthe, Fayard, Paris 1996]. Quello che ci compete qui, è il labirinto che si costruisce come racconto, o, se si vuole, come testo che costruisce il labirinto nel suo farsi. Il testo fa labirinto". 28 Vd. in particolare G.R. Hocke, Il mondo come labirinto, Theoria, Roma-Napoh 1989, pp. 171-179. A p. 178, Hocke, in un'ottica di titoh e rimandi, ci segnala che "il Doeta spagnolo Juan Ramon Jiménez pubblicò nel 1910 una raccolta di poesie intitoata Labirinto. [...] Di Jorge Luis Borges sono apparsi (in traduzione francese) Labyrinthes, racconti che si sviluppano, dal punto di vista tecnico, in modo estremamente labirintico". Ed alcuni anni dopo Laborintus, A. Robbe-Grillet intitolerà un suo romanzo Dans le labyrinthe (1959). Del resto, lo stesso Sanguineti, proprio in relazione a queste problematiche, afferma che "In attesa di un testo che sollevasse in insegna, come poi accadde. Die Welt als Labyrinth, si poteva puntare sopra un 'laborintus', a partire dall'Inferno stesso, volendo", in E. Sanguineti, Testimonianza su Eliot, in «Nuova Corrente», n. 103, gennaio-giugno 1989, p. 25. 29 E. Sanguineti, Interpretazione di Malebolge, Olschki, Firenze 1961, pp. 264-265, nota 6. Si intende il termine nello stesso significato adottato da Sanguineti in Interpretazione di Malebolge, cit., dove, a p. 1, nota 1, invitava a leggere "per la descriptio loci come categoria rettorica [...] Farai, Les arts poétiques du XII et du XIII siècle (Paris 1923), p. 147 (Matteo di Vendôme) e p. 217 (Goffredo di Vinsauf)". Sia detto per inciso, e un po' frettolosam.ente, Interpretazione di Malebolge è il cosciente e programmatico completamento, in perfetto rovesciamento, inteso come vero e proprio attraversamento diacritico, del Comentum.

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32 E. Sanguineti, Interpretazione di Malebolge, cit., pp. 1-2. 33 Vd. A. Giuliani, "Laborintus 1957", in Immagini e maniere, Feltrinelli, Milano 1965, pp. 82-86. Un'analisi accurata di questo tema si trova in E. Baccarani, La poesia nel labirinto. Il Mulino, Bologna 2002, pp. 99-119. 3^^ Antologia della poesia italiana, voi III, Ottocento - Novecento, Einaudi-Gallimard, Torino 1999, p. 1660. 35 A. Fresa, La Luna, Hoepli, Milano 1933. 36 I rimandi e i rapporti precisi di Sanguineti con l'arte nucleare sono oggetto di analisi nel corso del commento al testo. Vd. anche E. Baccarani, La poesia nel labirinto, cit., pp. 107-110. A p. 107, la Baccarani, su indicazione di Niva Lorenzini, mette in rilievo il tema atomico anche in Amelia Rosselli e Antonio Porta. 37 Ecco il catalogo delle presenze medico-scientifiche e corporah: sez. 1: "mio spazioso corpo di flogisto", "costruzione in ferro filamentoso lamentoso", "cuore ritagliato/e incollato e illustrato con documentazioni viscerali", "cratere anatomico"; sez. 2: "il tempo dell'occhio", "quieto addome", "organico sepolcro", "triste cervelletto"; sez. 3: "naufragio mentale", "sacrificio dello sperma", "cancrenoso", "cavità di canah auricolari", "cranio di creta", "capillari generativi", "polsi vermicolari"; sez. 4: "in putrefazione"; sez. 5: "mentale virtuale", "erettiva eruzione", "decoro muscolare tattile abile"; sez. 6: "nel sangue", "nel tuo sangue", "i nervi", "l'intelletto", "folhcolo", "nelle tue braccia", "nel sangue", "vulva", "essenze radicah", "epidermica volatihtà"; sez. 7: "cauterizzato", "testicolare", "nella testa della donna", "del mio corpo", "tempo intestinale", "l'occhio è la nostra anima", "labbra/tagliate"; sez. 8: "lingua di Luna", "mammella malata e nausea", "scogli delle tue cigha", "fegato indemoniato nulla"; sez. 9: "tegumenti", "costale corteccia ", "tumore domestico", "epitehoma proporzionale", "globi carnosi tubulati", "crudi cubi", "dolce mucosa", "cancrena", "articolazioni pensose", "caotici pori", "circhi cistici", "tessuto mortificato", "cosa necrotica", "cavernosa interiorità", "libero carcinoma"; sez. 11: "utero"; sez. 12: "gengiva congelata", "coscia puhta", "sigillata testa", "vera testa", "cassa toracica", "microscopi bronchiah", "gola"; sez. 13: "oggetto mentale", "corporis tui"; sez. 14: "quattro tonsille in fermentazione", "nei tuoi denti", "ai testicoh dei cimiteri", "ingegno intestinale", "mie vesciche", "filamento patetico", "corpi ulcerati", "nervale", "nervo", "fibroma", "ventre della torpedine"; sez. 15: "oh mia carne e perimetro di carne"; sez. 16: "mio palato", "con le mani", "orizzonte cerebrale", "cerebrale", "palato permeabile", "scheletro maturo", "scheletro cerebrale"; sez. 17: "criptografico diaframma", "lucente intellectus", "le sexe", "e in un dente", "un volto", "orgasmo dei lobi vigent del cervello"; sez. 22: "fisiologica"; sez. 23: "fisiche affezioni del corpo"; sez. 25: "stomaco! stomaco!"; sez. 27: "fetus maximus fetus". Per ulteriori funzioni e significati di questa componente del linguaggio rimandiamo al paragrafo 11. 38 G.R. Hocke, op. cit., p. 144. 39 Ibidem. In questa pagina, alla nota 2, Hocke si riferisce ai principi elencati da Barr. ^^ Vd. sez. 22, con il prelievo dal Gabalis di Henry Montfaucon de Villars. Ci riferiamo sempre alla sopra citata nota 6 di pp. 264-265 di Interpretazione di Malebolge. Vd. nota 29.

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^^ A. Bretón, Nadja, Einaudi, Torino 1977, p. 151; il passo è tratto dalla nota terminale di L. GabellonL ^^ Molti anni dopo, in una intervista a Corrado Bologna, Sanguineti affermerà a proposito di Laborintus: "Poco fa si parlava di metamorfosi, e lei ricorre ora alla stessa idea, che Petrarca sia il luogo di "trasformazione" della cultura medioevale in altro da sé. Per restare a quelle mie poesie, credo che proprio il tema e la figura della metamorfosi mi occupasse la mente: cioè un tema evidentemente labirintico (o forse dovrei dire laborinticó). Ed è proprio la metamorfosi, il labirinto, il contenuto essenziale di gran parte del mio libro. Esso fu pensato non come raccolta di liriche, ma come un libro unitario, inteso alla predicazione molteplice di un'idea, di una figura. Questa infinita predicabilità costituisce l'essenza di ciò che a quell'epoca mi piaceva chiamare (anche se in maniera dottrinalmente non simpatizzante) un archetipo. L'archetipo femminile è veramente la predicabilità infinita. La donna era per me allora davvero la Grande Madre, proprio nel senso di un Utero inesauribile, da cui tutto esce e in cui tutto sprofonda. La palude, la putredine, ì^palus putredinis, è veramente il ventre generatore, nello stesso tempo informe caos originario e risoluzione terminale di tutti gli aspetti della realtà: insomma, il Tutto. Se vuole, pensavo alla secolarizzazione radicale di un'idea di divinità femminile, di Grande Dea, il cui nome è impronunciabile in via diretta, ma della quale è possibile una molteplice infinita predicabilità, che non ha termine, non ha confini. Sì, questo avevo in mente, e questo era per me «petrarchesco»: questa infinita labirintica/laborintica predicabilità, nella quale in qualche modo tutto è metamorfosi, trasformazione della forma. In questo senso è «petrarchesca» l'immagine femminile che è al centro di Laborintus, tema centrale da cui diramano tutte le altre tematiche che il Ubro intendeva affrontare." In Corrado Bologna a colloquio con Edoardo Sanguineti, «Critica del testo», VI/1, 2003, Lio lirico: Francesco Petrarca, p. 614. ^ Tutto è vinto, tutto è perso. Consuntivo aperto suWavanguadia, intervista a E. Sanguineti a cura di E Ciompi e S. Damiani in «Soglie», Anno III, n. 1, aprile 2001, p. 42. Vd. A. Gramsci, Quaderni dal carcere, 4 voli., ed. critica a c. di V. Gerratana, Einaudi, Torino 1977, voi. II, pp. 1334-1338,1343-1346; voi. Ili, p. 1833, pp. 1874-1879. Si tratta di un concetto capitale in Sanguineti, che scriveva: "è anche troppo evidente che per Hnguaggio non si ha da intendere, con una sorta di riduzione materica, la mera superficie stilistica dell'opera, ma la sua struttura espressiva, in generale. Il che non importa nemmeno, d'altra parte, che sia lecito sottovalutare il peso dello stesso elemento lessicale: dipende da condizioni storiche estremamente particolari, e da studiarsi in concreto di volta in volta, il fatto che tale elemento acquisti in un testo un giustificato rilievo, o non possegga che una tenue significazione. In ogni modo, comprendiamo qui nelle strutture linguistiche in generale tutta la gamma che, muovendo dal lessico, sale lungo l'intiera scala dei dati che spitzerianamente sappiamo essere un possibile oggetto scientifico di un'analisi linguistica", in AA. W . , Gruppo 63, critica e teoria, a c. di R. Barilli e A. Guglielmi, Feltrinelli, Milano 1976, p. 272 (si cita dall'intervento di Sanguineti nel dibattito in occasione del primo incontro del Gruppo a Palermo nel '63, già contenuto in Gruppo 63, a c. di N. Balestrini e A. Guglielmi). ^^P. Collini, Wanderung. Il viaggio dei romantici, Feltrinelli, Milano 1996 (ripre-

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so da Sanguineti stesso nella sua riflessione su Campana in E. Sanguineti, Atlante del Novecento italiano, Manni, Lecce 2001, p. 27). Idem, p. 8. Idem, p. 47. Nella nota 73 la traduzione dal tedesco: "Non son io improvvisamente invischiato, senza aver fatto niente in uno stranissimo labirinto?". E. Sanguineti, Atlante, cit., p. 27. Si tratta della rivisitazione e trasformazione di una situazione davvero archetipica, dal mondo classico alla visione in sogno medioevale, AAYHypnerotomachia al surrealismo: del resto il sogno è un cifrario (alogico e asintattico) di simboh o allegorie, poiché "è un luogo oscillante fra terra e cielo, tra le affezioni corporee e sensibili, che ne obnubilano la visione e le aspirazioni dell'anima dischiusa a conoscere e migrare, a vedere chiaramente Tintellegibile", in M. Gabriele, "Il viaggio dell'anima", in E Colonna, Hypnerotomachia Poliphili, introd., trad. e comm. di M. Ariani e M. Gabriele, t. II, Adelphi, Milano 1998, p. IX. 52 La definizione di Dalì appare, per la prima volta, in "Objets à fonctionnement symbolique" nell'articolo Objets surréalistes, "Le Surréalisme au service de la Révolution", n. 3, december 1931, p. 16. 53 A. Breton, Manifesti del surrealismo, cit., p. 187, pp. 209-211. In lingua originale vd. A. Breton, Oeuvres Completes, voi. II, Galhmard, Paris 1992, p. 474, pp. 494495. Per avere un'idea chiara del concetto si rimanda al Dictionnaire abrégé du surréalisme, non tradotto in itahano, dove è presente la voce Objets (Idem, pp. 826-827). Per il concetto e la trasformazione dell'objet in ambito surrealista si rimanda ad alcuni testi paradigmatici di Breton, "Crise de l'objet", "Exposition surréaliste d'objet" e " Du poème-objet" in A. Breton, Le surrealisme et lapeinture, Gallimard, Parigi 2002, pp. 353-367. Vd. anche sez. 4 e sez. 13 (introduzione e note). 54 E. Sanguineti, / santi anarchici, apparso su «L'Unità» del 30/12/1991, poi in E. Sanguineti, Opere e introduzione critica a c. di G. Guglielmino, Anterem, Verona 1993 e poi in E. Sanguineti, Cose, Pironti, Napoh 1999, p. 14, dal quale si cita. 55 E. Sanguineti, Per una teoria della citazione, intervento dattiloscritto al convegno fiorentino sulla citazione del 25 ottobre 2002, ancora inedito, pp. 11-12. Il concetto di citazione e "già scritto" viene analizzato compiutamente ed efficacemente da Fausto Curi nel suo intervento "Manipolazioni, mescidazioni, travestimenti, montaggi... Sanguineti e il già scritto", contenuto in F. Curi, Gli stati d'animo del corpo, Pendragon, Bologna 2005, pp. 221-315 (in particolare pp. 221-222 e 235-315). 56 E. Sanguineti, La scena, il corpo, il travestimento, in «L'immagine riflessa», XI, 1988 e poi in E. Sanguineti, Per musica, Ricordi-Mucchi, Modena 1993. Sul travestimento vd. anche C. Bregoli, Il travestimento teatrale. Intervista a Edoardo Sanguineti, in «Comunicare», 5, 2005, pp. 65-83; P. Schiavo, Edoardo Sanguineti. I travestimenti teatrali, in Idem, pp. 57-63; e "Larvatus prodeo: Edoardo Sanguineti e la parodia in maschera", in G. Policastro, In luoghi ulteriori. Giardini, Pisa 2005, pp. 87-100. 57 Avevamo già rilevato alcuni aspetti della strategia di far reagire Brecht con Artaud nel nostro "Edoardo Sanguineti, per un travestimento crudele e irriverente", in Album Sanguineti, a c. di N. Lorenzini e E. Risso, Manni, Lecce 2002, pp. 168-173. 58 La serie di testi, dai quah abbiamo estrapolato le nostre riflessioni e il virgolet-

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tato, può rappresentare le varie tappe di un viaggio nella critica teatrale sanguinetiana: Discorso sugli alberi, in Giornalino, Einaudi, Torino \97(ì, A partire dal pubblico. Una Rosa per tutti. L'antiteatro di Leo e Perla, Il paradosso dell'autore e II mestiere di morire, in Giornalino secondo, Einaudi, Torino 1979, Carrousel a Zagabria, Molière imbellettato, La critica in poltrona e Autore e pubblico, in Scribilli, Feltrinelli, Milano 1985 (tutti i testi sono stati scritti tra il 1974 e il 1978). Per questi concetti rimandiamo all'articolo già citato di E. Sanguineti, Per una teoria della citazione, ed anche ad alcuni testi sui quali Sanguineti riflette, considerandoli punti di partenza per le proprie analisi: G. Pasquali, Arte Allusiva (1942), in Stravaganze quarte e Supreme (1951), E. R. Curtius, Letteratura europea e medioevo latino (1948), e W. Benjamin, Che cos'è il teatro epicof (1939), in L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica. E. Sanguineti, Ideologia e linguaggio, Feltrinelli, Milano 2001, p. 108. Idem, p. 109. 62 Idem, p. 111. 63 Metastasio, Opere, Mondadori, Milano 1949, voi. V, p. 1091. 64 E. Sanguineti, Ideologia e linguaggio, cit., pp. 35-59. 65 E. Sanguineti, Il gatto lupesco, Feltrinelli, Milano 2002, p. 124. 66 Ibidem. 67 K. Marx-F Engels, Opere, voi. XXXIV, Teorie sul Plusvalore I, Editori Riuniti, Roma 1979, p. 432. 68 E. Sanguineti, Il gatto lupesco, cit., pp. 129-138. Per una lettura completa di Novissimum Testamentum vd. T Wlassics, Lectura del Novissimum Testamentum in A A . W Edoardo Sanguineti: Ideologia e Linguaggio, Metafora, Salerno 1991, pp. 95102, A. Pietropaoli, Sanguineti Angelus Novissimus, in «Lingua e stile», X X X , 2, giugno 1995, pp. 415-444, L. Weber, Usando gli utensili di utopia (soprattutto i capitoli "Novissimum Testamentum. Descrizioni del testo", "Intermezzo su alcuni testi paralleU al Novissimum Testamentum", "Il Novissimum Testamentum"), Gedit, Bologna 2004, pp. 227-256, e A. Cortellessa, Morire per Sanguineti (Novissimum Testamentum e dintorni), in «il verri». Attenzione a Sanguineti, n. 29, ottobre 2005, pp. 85-105. 69 Cose 64 è in E. Sanguineti, Il gatto lupesco, cit., p. 404. L'autore ha dichiarato che l'occasione di composizione del testo è legata ad una richiesta di intervento dei compagni della sinistra napoletana, ma la poesia ha preso poi una forma tale da costituire un tassello di Cose e non un Fuori Catalogo. 70 II testo di Marx proviene da K. Marx, Opere scelte, Editori Riuniti, Roma 1970, pp. 975, 961, 962, 964, 967, 974, 973, 975. (i corsivi marxiani e i nostri grassetti evidenziano le corrispondenze precise dei passi tra i due testi). V. 1 "dixi"è un prelievo dal sintagma marxiano "dixi et salvavi animam meam". w . 2-5 "richiamo la vostra attenzione, compagni, sopra il punto 3 (oltre la metà,/quasi verso la fine): qui si tocca la questione del diritto della (alla) disuguaglianza:/(perché il livello del diritto è uguale, piuttosto, alla condizione economica): (dunque,/ allo sviluppo culturale, che sta condizionato da quella condizione):" rimanda a ''L'uguale diritto è qui perciò ancora sempre, secondo il principio, il diritto borghese, benché principio e pratica non si azzuffino più, mentre lo scambio di equivalenti, nel-

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lo scambio di merci, esiste solo nella media, non per il caso singolo. Nonostante questo progresso, questo ugual diritto reca ancor sempre un limite borghese. Il diritto dei produttori è proporzionale alle loro prestazioni di lavoro, l'uguaglianza consiste nel fatto che esso viene misurato con una misura uguale, il lavoro. Ma Tuno è fisicamente o moralmente superiore all'altro, e fornisce quindi nello stesso tempo più lavoro, oppure può lavorare durante un tempo più lungo; e il lavoro, per servire come misura, dev'essere determinato secondo la durata o l'intensità, altrimenti cesserebbe di essere misura. Questo diritto uguale è un diritto disuguale per lavoro disuguale. Esso non riconosce nessuna distinzione di classe, perché ognuno è soltanto operaio come tutti gli altri, ma riconosce tacitamente la ineguale attitudine individuale, e quindi capacità di rendimento, come privilegi naturah. Esso è perciò, pel suo contenuto, un diritto alla diseguaglianza come ogni diritto. Il diritto può consistere soltanto, per sua natura, nell'apphcazione di una uguale misura; ma gh individui disuguah (e non sarebbero individui diversi se non fossero disuguali) sono misurabih con uguale misura solo in quanto vengono sottomessi a un uguale punto di vista, in quanto vengono considerati soltanto secondo un lato determinato: [...] Per evitare tutti questi inconvenienti, il diritto, invece di essere uguale, dovrebbe essere disuguale. Ma questi inconvenienti sono inevitabih nella prima fase della società comunista, quale è uscita, dopo i lunghi travagh del parto, dalla società capitahstica. Il diritto non può essere mai più elevato della configurazione economica e dello sviluppo culturale, da essa condizionato, delia società." V. 7 "quando il lavoro, come sapete, sarà il primo bisogno della vita:" rimanda a "In una fase più elevata della società comunista, dopo che è scomparsa la subordinazione asservitrice degli individui alla divisione del lavoro, e quindi anche il contrasto fra lavoro intellettuale e fisico: dopo che il lavoro non è divenuto soltanto mezzo di vita, ma anche il primo bisogno della vita;" w . 7-10 "(ma si devono spazzarle/via (spezzarle), adesso, ancora, quelle frottole giuridiche: e ci vuole, nel partito,/una concezione reahstica): (che sta tutta deformata, adesso, e che il partito, lo sapete,/aveva acquistato con tanto sforzo):" riprende "Mi sono occupato ampiamente del «reddito integrale del lavoro» da una parte e dall'altra parte dell'«ugual diritto», della «giusta ripartizione», per mostrare che dehtto si compie allorché, da un lato, si voghono nuovamente imporre come dogmi al nostro partito concetti, che in un certo momento avevano un senso, ma ora sono diventati rigatteria di frasi antiquate; e, dall'altro lato, quanto la concezione realistica, così faticosamente fatta acquisire al partito ma che ora si è radicata in esso, viene di nuovo deformata con fandonie ideologiche di carattere giuridico e simiH, così correnti tra i democratici, e fra i socialisti francesi." vv. 11-12 "quanto alla nazione, sta nell'economia mondiale, certo,/economicamente, ma politicamente, è chiaro, nel sistema delle nazioni):" prende le mosse da "S'intende da sé, che per poter avere, in genere, la possibilità di combattere, la classe operaia si deve organizzare nel proprio paese, in casa propria, come classe, e che l'interno di ogni paese è il campo immediato della sua lotta. Per questo la sua lotta di classe è nazionale, come dice il Manifesto comunista, non per il contenuto, ma «per la forma». Ma I'«ambito dell'odierno Stato nazionale», per esempio del Reich tedesco, si

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trova, a sua volta, economicamente «nell'ambito» del mercato mondiale, politicamente «nell'ambito» del sistema degli Stati." w. 13-15 "e tu, e tu, voi ci avete licenza di vivere (e vivere è in corsivo,/sottolineato: perché è un modo di dire: cioè, è vita, questa?) soltanto per il pluslavoro/(per il plusvalore): e sarà sempre peggio: (tutto questo sta nel punto 5):" richiama chiaramente "Con ciò tutta la vecchia concezione borghese del salario, come la critica finora diretta contro di essa, è stata una volta per sempre gettata a mare e si è messo in chiaro che l'operaio salariato ha il permesso di lavorare per la sua propria vita, cioè di vivere, solo in quanto lavora, per un certo tempo, gratuitamente, per il capitalista (e quindi anche per quelli che insieme col capitalista consumano il plusvalore);". w . 16-17 "i bambini, poi,/ devono lavorare" si modella su "Il divieto generale del lavoro dei fanciulh è incompatibile con l'esistenza della grande industria, ed è perciò un vano, pio desiderio." V. 17 "voi dovete hberarvi dallo spettro della rehgione" riprende, quasi fedelmente, "Ma il partito operaio doveva pure in questa occasione esprimere la sua consapevolezza che la «hbertà di coscienza» borghese non è altro che la tolleranza di ogni specie possibile di libertà di coscienza religiosa, e che il partito operaio si sforza, invece, di liberare le coscienze dallo spettro della religione." V. 17 "(io, salvarmi l'anima):" è la traduzione di un frammento dell'explicit marxiano "dixi et salvavi animam meam". "[...] in lui [Bacon] vi è uno scarto, una fagha nel quotidiano: si osservi la situazione precaria dei suoi personaggi nello spazio, la loro postura contorta, convulsa. È il suo segno. Nulla di morboso, in questo. Semphcemente, è un pittore che non vuole riprodurre. Ha spesso utilizzato, è noto, come punti di partenza per i suoi lavori documenti fotografici, oppure quadri reahsti come il ritratto di papa Innocenzo X dipinto da Velázquez o II Cristo che porta la croce di Griinewald. Molti suoi soggetti sono ispirati a fotografie di Muybridge, ai suoi studi sul movimento umano o animale. Ma il lavoro di Bacon è consistito nell'investire dall'interno queste testimonianze quasi banali, stereotipate, della realtà e nel metamorfosarle in un'opera personale, dotata di un'eccezionale intensità di vita. Insomma, approda ad un realismo superiore rifiutando la copia. Ma colui che innova nel suo modo di rappresentare è spesso accusato di alterare a suo arbitrio la realtà. Molti hanno attribuito a Picasso uno spirito demoniaco perché riduceva a brandeUi le sue figure. La stessa cosa accade a Bacon. Invece per entrambi gli artisti si tratta d'imporre con mezzi non naturalisti l'evidenza bruta di una presenza. Breton ha scritto: «La bellezza sarà convulsiva o non sarà». Così è per Bacon. Bacon ha capito che perché una figura esista in arte, la natura deve essere violentata. La verità profonda non si rivela che al di là del naturalismo." M. Leiris, Francis Bacon, Abscondita, Milano 2001, p. 112. 72 Dalla fine degli anni settanta, Rauschenberg utilizza le proprie fotografie per realizzare da un lato i Photem, cioè fotocollage, autonome opere d'arte, dall'altro, estrapolandone alcuni particolari poi impressionati su lastre di metallo, per creare nuove composizioni. 73 E. Sanguineti, "Klein", in Yves Klein. La vita, la vita stessa che è l'arte assoluta. Centro per l'arte contemporanea Pecci, Prato 2000, p. XVI (il testo era già stato pub-

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blicato in Yves Klein, Luciano Anselmino, Milano 1975, catalogo della mostra omonima). II Movimento Nucleare nacque a Milano nei primi anni cinquanta; tra i suoi fondatori si segnalano Baj e Dangelo. "Dopo la prima mostra nucleare tenuta alla Galleria San Fedele nel novembre del 1951, raggiunsi Dangelo a Bruxelles dove nel marzo esponevamo alla Galleria Apollo e lanciavamo il primo manifesto nucleare: «La verità non vi appartiene essa è nell'atomo. Basta con gli ismi di una pittura che ricade sem5re nell'accademismo. La bellezza può coincidere solo con la rappresentazione del'uomo nucleare e del suo spazio»". (E. Baj, Automitohiografia, Rizzoli, Milano 1983, p. 175). Per essere precisi, Sanguineti firma in calce il manifesto di Napoh del 1958, come ricorda Baj: "L'anno precedente il mio incontro con Giorgio Marconi, il 1959, era stato per me tra i più densi di invenzioni e anche di manifesti. Nel gennaio stendevo il Manifesto di Napoh con la partecipazione di Guido Biasi, Luca Castellano, Lucio Del Pezzo, Mario Persico, Bruno Di Bello e con l'adesione di Balestrini, Bajini, Sanguineti, Recalcati, Verga, Sordini e altri". (Idem, p. 141.) 75 Per avere un'idea compiuta della presenza di questa componente del hnguaggio vd. nota 37. 76 E. Sanguineti, Cultura e medicina, conferenza all'inaugurazione del X congresso nazionale A.I.G.O. (Associazione Itahana Gastroenterologi Ospedalieri), 11 gennaio 1991, p. 6. 77 Idem, p. 8. 78 Queste riflessioni sono la rielaborazione e l'approfondimento di un discorso iniziato nel nostro Un nuovo fabbro per nuove questioni di fabbricazione. Cinque bagattelle per Laborintus, pubbhcato su «Poetiche», 1, 2000. 79 Cfr. E. Sanguineti, "Poesia e mitologia", in Tra Liberty e Crepuscolarismo, Mursia, Milano 1990, pp. 7-16. Da Paolo Uccello e Piero della Francesca in poi la prospettiva è stata, per certi versi, la tecnica principale, trasformando lo spazio psico-fisiologico in quello matematico, per arrivare ad una sintesi armonica e verosimile del reale. 81 Questa presenza e alcuni fraintendimenti possono essere stati innescati anche dall'interpretazione dei Canti Pisani di Edoardo Sanguineti (E. Sanguineti, I Canti Pisani, in «Aut Aut», n. 22, luglio 1954), dove Sanguineti parla di "poetica della critica conversazione di Pound", di "trascrizione franta, registrazione di dialoghi che sono stati, mero accadimento sono stati" (p. 330), e soprattutto afferma che "le glosse esplicative entrano nel testo che facilmente le accoglie in inserzione parentetica, ma sul medesimo piano del racconto, in una tonahtà specialissima di integrazione culturale e storica, complementi ineliminabili della sintassi mentale (e ideologica), che è già il tono vero dello zibaldone culturale e storico (ancora zibaldone di conversazione) nei Cantos: una sintassi che, all'interno, si determina in questo solo elemento, ed esternamente offre, indicazione non indifferente, la pura insistenza dei diversi "he said" e "she said" e "I said" didascalici e narrativi, spie del resto intenzionali di questi dialoghi come di quelli che saranno più tardi ancora trascritti, e la didascalia è tutto, e in cui rigermineranno come indici scoperti, tipografici e tonah" (Idem, p. 331). La catabasi e queste osservazioni hanno indotto ad una sorta di automatismo eccessivo nel paralle-

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lo Pound/Sanguineti, gettando il Pound di Sanguineti su Sanguineti stesso, quando, invece, strumenti o funzioni apparentemente simili vengono utilizzate in maniera decisamente antitetica; diverso è l'atteggiamento dei due autori. E se, fatte sempre le debite distanze, la discesa agli inferi può essere in linea con Laborintus, le osservazioni sulle glosse narrative e sulle inserzioni (he, she, I said) discorsive possono trovare una relazione forse più solida -se parentela si vuole trovare- con Purgatorio de Vinferno. "Le risponderò con una confessione, che faccio forse per la prima volta pubbhcamente (e poi, non vorrei allontanare troppo il nostro discorso dal tema di base, Petrarca). Quando scrissi Laborintus avevo in mente, come dire, due direzioni di lavoro, per uso tutto mio interno. Per un verso pensavo certo a Dante come a un punto di riferimento capitalissimo; e questa riflessione sul piano creativo coincideva con la mia ricerca scientifica, che poi diede origine alla mia tesi di laurea, nn'Interpretazione di Malebolge, pubblicata più tardi. Ma per un altro verso andavo anche componendo, in quel periodo, delle poesie che, in maniera assolutamente arbitraria, fra me e me, a mio uso, denominavo petrarchesche. A quell'epoca io tendevo ad una forma di poesia assolutamente astratta: quella che cercavo di combattere era proprio la "visibihtà" del discorso poetico. E questo mi conduceva da un lato ad una sorta di iperdantismo, se così posso dire, e cioè verso un discorso estremamente intellettuale, astratto, che mi spingeva a evitare il mondo dei sensi, del visibile, del gustabile, del tangibile, dell'odorabile, del tattile, e perciò a prediligere nel [restauro dell'autore] mio vocabolario tutte le parole in -ione come impoetiche per eccellenza perché, appunto, di ordine assolutamente ed esclusivamente intellettuale; dall'altro lato, invece, scrivevo quelle poesie che direi iperpetrarchesche, dove le immagini si accumulavano in maniera caotica e distorta, quasi con violenza, e il discorso esplodeva attraverso una comunicazione troppo piena, potrei dire: emblemi, figure, insegne d'ordine assoluto, venivano a disperdersi, qualcuno potrebbe dire in maniera parasurrealista o ipersurrealista, così da cancellare l'immagine stessa per abbondanza di tracce, di suggestioni coerenti. [...] In questo senso, appunto, non mi sentivo lontano dalla prospettiva, dall'idea di un Petrarca che vuole costruire un personaggio che dice «io», il quale, a mio parere, è assolutamente distinto da qualsiasi maturazione di tipo biografico, autobiografico, confessionale, se non nel senso davvero elementare del 'soggetto-individuo', del 'soggettouomo' che sta alla base, ovviamente, di tutta l'opera di un autore. Ma sia chiaro, la stessa cosa vale anche per Dante. Per intenderci, tanto poco credo a Beatrice, quanto poco credo a Laura. Se vogliamo, esse sono veramente delle 'modelle' possibili, astratte, delle quali ignoriamo tutto: e questo forse non è male, perché in questo modo esse possono assumere un valore archetipale immenso. La preoccupazione di Petrarca è proprio di sondare tutte le opportunità, di sperimentare tutte le permutabilità, le predicabilità di un personaggio che dice «io» e che esaurisce, o almeno tende ad esaurire tutte le posizioni e le variazioni possibih." In Corrado Bologna a colloquio con Edoardo Sanguineti, cit., pp. 612-613; pp. 613-614. Tra le sezioni di Laborintus Sanguineti segnala come petrarchesca la sez. 14. Oltre agli esempi poetici prodotti, si può vedere la stessa pratica anche in prosa; tra le tante testimonianze possibili, segnaliamo due ekfrasis, ut pictura poesis: il capitolo L X X X I V del Giuoco dell'oca (E. Sanguineti, Il giuoco dell'oca, FeltrineUi, Mila-

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no 1991, pp. 178-179) è la descrizione de Uocchio degli occhi, 1967 di Carol Rama, il X C V (Idem, pp. 201-202) di C'è un altro metodo, per finire, 1967 sempre di Carol Rama. Vd. Edoardo Sanguineti Carol Rama, a cura di L. Tozzato e C. Zambianchi, Franco Masoero, Torino 2002, pp. 32-35 e 108-109. ( ^^ M. Foucault, Raymond Roussel, Cappelli, Bologna 1978, p. 88. W. Benjamin, Il dramma barocco tedesco, Einaudi, Torino 1971, p. 166. E. Sanguineti, 'Ter una poesia di 'realismo allegorico'", in Tesi di Lecce del 1987 (testo fornito direttamente dall'autore). Sanguineti anticipa -li coglie subito e, immediatamente, li mette in circolazionegli studi del secondo Novecento sull'alchimia, considerandola già non una protochimica, ma una "disciplina di dissoluzione del soggetto e dell'oggetto intesi come realtà separate e contrapposte e una scienza di reintegrazione di queste realtà nella loro origine indivisa che non ha mai cessato di essere. Il soggetto desiderante, Valchimista, e l'oggetto desiderato, l'oro, cessano di essere due realtà contrapposte per scoprirsi da sempre la stessa cosa. L'alchimista, allora, non raggiungerà mai la Pietra Filosofale a cui tanto ambisce; la potrà solo diventare." (Prefazione di G. Brivio a M. Eliade, limito dell'alchimia, cit., p. 121). Laszo, con il suo alchemico solve et coagula, cerca le nozze con Ellie. 88 K. Marx-F. Engels, Opere complete, voi. V, Editori Riuniti, Roma 1972, p. 5. 89 K. Marx, L'ideologia tedesca. Editori Riuniti, Roma 1991, pp. 18-19. 90 Si rimanda al discorso sviluppato da Benjamin nelle Tesi di filosofia della storia, vd. W. Benjamin, Angelus Novus, Einaudi, Torino 1962, Tesi n. 9 a p. 80, Tesi n. 7 a p. 79, Tesi nn. 13 e 14 a p. 83, Tesi n. 15 a p. 84, Tesi n. 16 a pp. 84-85. 91 Ci riferiamo alla teoria dei quanti di M. Planck (1858-1947), servendocene per sottolineare un andamento "discreto" e "discontinuo". 92 W. Benjamin, Sul concetto di storia, a cura di M. Ranchetti e G. Bonola, Einaudi, Torino 1997, p. 137. Si tratta di materiale estrapolato dai Passagen-Werk, che Ranchetti e Bonola presentano in connessione con le Tesi di filosofia della storia per le strette analogie tematiche. La nostra citazione viene introdotta da questa riflessione: "Struttura dialettica del risveglio: ricordo e risveglio sono affini al massimo grado. Il risveglio è infatti la svolta dialettica, copernicana della rammemorazione. È un ribaltamento eminentemente composito del mondo del sognatore nel mondo dei desti. Per lo schematismo dialettico che è alla base di questo processo fisiologico i cinesi, nella loro letteratura favolistica e novellistica, hanno trovato l'espressione più radicale". 93 Questo è un esempio della polifonia e della pregnanza (la capacità di centrare nessi capitali) delle presenze sotterranee di Laborintus: Fourier si inserisce nel dibattito sull'utopia e sul socialismo utopistico, ma trova cittadinanza anche nella linea occulta dell'alchimia (viene persino definito significativamente da Eugen Dühring, in maniera dispregiativa, "alchimista sociale"); Bretón, che gli dedica anche un'ode, con caratteristiche del diario di viaggio e di riflessione, pubblicata nel 1945, lo inserisce nella seconda edizione àtWAntologia dell'humour nero, trovandogli una giusta ascendenza, stihstica e temperamental, in Swift che, insieme a Sade e Lichtenberg, lo precede nella genealogia degli "umoristi neri". Se questa è in un certo senso la via per la quale Fourier arriva a Sanguineti, non esaurisce certo le interconnessioni: nel Nove-

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cento, poiché su Fourier hanno riflettuto, in tempi diversi, Benjamin e Queneau, Butor e Barthes, Pierre Klossowski e Blanchot. Ci troviamo quindi in quello spazio dell'anarchia e dell'eversione che informa di sé le avanguardie, proto e neo, del Novecento; alla riscoperta dei poeti, degli scrittori e degh psicanalisti, si affianca quella degli architetti, che individuano nel francese un precursore dell'urbanistica moderna, facendo solitamente riferimento alla Ville radieuse di Le Corbusier: un'altra linea, un'altra intersezione, nello spazio-tempo di Sanguineti. Per Fourier vd. anche i commenti e le note delle sezioni 5 e 22. Sanguineti in "Per una storia dell'intellettuale" scrive: "Da indegno nipotino di Vico, io credo nella immortale Degnità XIV, onde 'natura di cose', ivi comprese le animate, 'altro non è che nascimento di esse in certi tempi e con certe guise'" (in E. Sanguineti, Il chierico organico, a cura di E. Risso, FeltrineUi, Milano 2000, p. 16). 95 G.B. Vico, Opere, voi. I, a c. di A. Battistin, Mondadori, Milano 1991, p. 500. 96 Sull'uso delle perifrasi astronomiche, vd. E.R. Curtius, Letteratura, cit., p. 366. 97 II senso delle nostre parole e dell'intera operazione sanguinetiana è contenuto, riassunto e ben rappresentato dalle riflessioni di Gramsci estrapolate dal capitolo 30 dei Quaderni, Nozioni enciclopediche: "Non è vero che 'distrugga' chiunque voi distruggere. Distruggere è molto difficile, tanto difficile appunto quanto creare. Poiché non si tratta di distruggere cose materiali, si tratta di distruggere 'rapporti' invisibili, impalpabih, anche se si nascondono nelle cose materiah. È distruttore-creatore chi distrugge il vecchio per mettere alla luce, fare affiorare il nuovo che è divenuto 'necessario' e urge implacabilmente al limitare della storia. Perciò si può dire che si distrugge in quanto si crea", in A. Gramsci, Quaderni dal carcere, voi. II, Einaudi, Torino 1977, p. 708. 98 Naturalmente - c o m e abbiamo visto e come vedremo più specificamente e in maniera circostanziata nel commento- per la componente proustiana non si tratta di una semplice suggestione e di un richiamo di gusto, poiché Sanguineti nel rivedere e rovesciare ogni elemento di narratività prende le mosse proprio dalla Recherche, in quanto moderna enciclopedia di possibili narrabili e narrativi, una sorta di laica Commedia, 99 Non a caso è il luogo dove fa i conti definitivamente con la religione e con alcune caratteristiche dell'educazione dominante in Italia negli anni cinquanta. E. Sanguineti, I Cantos pisani, cit.: vd. nota 81 su Pound e più globalmente le osservazioni al paragrafo 12. 101 Sanguineti/Novecento, a c. di G. Galletta, Il Melangolo, Genova 2005, p. 104. 102 Idem, p. 105.

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Nota al Testo Si riproduce qui il testo apparso nella seconda edizione della raccolta Segnalibro (Feltrinelli, Milano 1989). Esso, per testimonianza diretta di Edoardo Sanguineti, è, al possibile, perfettamente conforme al manoscritto originario (scritto dall'autore su un quaderno, con inchiostro verde), con un solo errore di stampa ormai cinquantennale. Infatti, al v. 2 della sez. 9 "epiteliare" va sostituito con "epiteliale": si tratta di un refuso che potremmo definire storico, già presente nella versione su "Numero", il che forse sta all'origine della diffusione testuale dell'errore stesso, e poi in tutte le edizioni successive. Nella prima edizione Magenta 1956, in Opus metricum (1960) e in Triperuno (1964) il V. 15 della sez. 25 presentava il refuso: "y; X;". In Catamerone (1974) e in Segnalibro, prima edizione (1982), si correggeva il refuso introducendone un altro: "v: X:". In Segnalibro seconda edizione (1989), si trova finalmente la lezione corretta: "y: Per il resto, i testi sono perfettamente conformi; l'unica variante tra la prima e tutte le edizioni successive è costituita dal sottotitolo che da "Laszo Varga X X V I I poesie, 1951-1954" diventa " X X V I I poesie, 1951-1954" (si nm^nàz. 2i Anarchia e Complicazione per l'interpretazione di questo cambiamento). Si è data la preferenza all'edizione Segnalibro poiché la struttura editoriale (l'impaginazione ad album) ha permesso di contenere pienamente nella riga il verso lungo sanguinetiano, conferendo chiarezza e leggibilità al testo. Delle 27 sezioni, che compongono l'intera raccolta, dieci vennero pubblicate su rivista: le sez. 4, 6, 8, 9 e 15 erano apparse su «Numero», a. Ili n. 5-a. IV n. 1, die. 1951gen. 1952, rispettivamente con le numerazioni LV8, LVll, LV14, LV19, LV21; su «Numero», a. V n. 4-5, lug.-ott. 1953, erano invece uscite le sez. 1 0 , 1 1 , 1 2 , 1 3 e 14, rispettivamente con l'indicazione 1, 2, 3, 4 e 5. Le sezioni 8, 9 , 1 0 , 1 1 , 1 4 e 15 non presentano varianti tra l'edizione extravagante e quella in raccolta. Per i chiarimenti riguardo alla numerazione su rivista si rimanda sempre ad Anarchia e Complicazione. Si riportano qui le varianti fra il testo di Segnalibro (nella prima colonna) e quello pubblicato su «Numero» (nella seconda).

4. w . 6-7: tu Ruben/che sei V. 8: véKuia V. 11: lascia che la vita scorra sopra di te w. 23-24: intendevo illustrare/ (passerò oltrepasserò la mia vita) w. 25-26: intelletto pratico/ fatalmente abortivo

LV8 v. 6: tu Ruben che sei v. 7: Nekyia v. 10: lascia che la vita scorra su te v. 22: intendevo illustrare (passerò oltrepasserò la mia vita) v. 23: intelletto pratico fatalmente abortivo

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6. V. 8: rintelletto si guarda V. 9: e follicolo attualmente V. 1 9 : della t e r r a ! vulva V. 20: est porta Inferni w . 31-32: the exsudation/of a mild sexuality ratio seu causa w . 33-34: dialogo comphcazione/come descendant in Infernum viventes w . 40-41: scientificamente/sempre emergente ecco w . 41-42: in conversione perché/in frazionamento Ellie w . 42-43: finalmente parte del mio Sinus Vaporum/le nuvole sopra la tua zona temporale w . 49-50: e disinganno ma vie c'est moi e un'altra volta/(le donne stanno ad ascoltare) V. 51: Laszo Varga (egh scrisse) come complicazione 8.

9. 10. 11. 12. V. 12: per le equazioni lunari e solari 13. manca 14. 15.

LVll V. 8: l'intelletto queUi si guarda V. 9: gli Androseleniti e follicolo attualmente V. 19: della terra scusatemi vulva V. 20: est porta Inferi w . 31-32: the exsudation of a mild sexuahty/ratio seu causa V. 33: dialogo comphcazione come descendant in Infernum viventes w . 39-40: scientificamente sempre emergente/ecco w . 40-41: in conversione in quanto in frazionamento/Ellie V. 41: finalmente parte del mio Sinus Vaporum le nuvole sopra la tua zona temporale V. 46: e disinganno ma vie c'est moi e un'altra volta le donne stanno ad ascoltare V. 47: parlò di cadaveri di vecchie V. 48: Laszo Varga egh scrisse come complicazione LV14 LV19 1

2

3 V. 12: per le equazioni solari e lunari 4 V. 13: padre bianco solennemente imprecisabile maturamente femminile 5 LV21

Nel commento, per l'individuazione delle fonti, abbiamo privilegiato, quando possibile, l'edizione dei testi allora a disposizione di Sanguineti, sia per motivi di puntuahtà nei riscontri filologici e testuah sia per tentare di costruire lo scrittoio e il piano di lettura autoriaU (questo spiega così, per esempio, la preferenza per l'edizione Astrolabio di Psicologia e Alchimia rispetto all'edizione rivista e corretta di Bollati Boringhieri). Proprio in quest'ottica, e alla luce delle pecuhari difficoltà di Laborintus, abbiamo scelto di presentare, dopo l'introduzione generale (Anarchia e Complicazione), l'introduzione ad ogni singolo testo e le note, in modo che questi tre momenti possano dar conto compiutamente dell'opera e della sua multiforme complessità.

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SEZIONE 1

Introduzione Laborintus si apre significativamente, come ogni nekuya che si rispetti, come ogni discesa agii inferi, con l'addentrarsi nella Palus Putredinis; esso è un viaggio al termine della notte, dove fin dall'inizio si crea un perfetto parallelo tra Elhe, qui immagine dell'Anima e personificazione dell'inconscio in senso junghiano e, appunto, la Palus, Il primo quadro di questo poemetto erotico-demonologico, dai colori macabri e tragici, è quello dei rapporti tra realtà e irrealtà, logico e illogico, razionale e irrazionale, secondo le modalità messe in atto da un vero aspirante materiahsta dialettico, da un uomo in crisi e in rivolta intento a crearsi il suo percorso. Non a caso al centro della sez. 1 stanno la citazione foscoliana ("noi che riceviamo la qualità dai tempi") e quella staliniana ("le condizioni esterne è evidente esistono realmente"), che restituiscono subito concretezza e profondità a un paesaggio altrimenti di sogno, notturno. Questo mondo, già dal primo sguardo su una situazione reale e su un metodo di scrittura, viene definito dall'interazione tra "analizzatori", "analizzatrici" e gli eventuah analizzati, la quale permette ed evidenzia una perfetta dialettica tra le componenti consce e inconsce. Del resto. Il transfert filologia-psicanalisi è indicato fin dal titolo Laborintus, tratto dairomonima arte poetica di Everardus Alemannus (secolo XIII), e della susseguente epigrafe: 'quasi laborem habens intus', che è di un anonimo glossatore di Everardus.^

La primissima applicazione di questo "transfert" così come indicato da Giuhani, è "aliquot lineae desiderantur"; si tratta di una formula tipica dei filologi e indica propriamente la lacuna testuale intesa come mancanza di alcuni righi (linee di prosa o versi). Sanguineti gioca con il significato di "desiderantur", inteso sia come "si sente la mancanza" sia come "si desiderano", trasformandolo nel basso continuo del testo: "desiderantur" ripetuto due volte chiude la sez. 1, sfruttando i diversi campi semantici e gli slittamenti. Sempre nelle note a Laborintus della raccolta I Novissimi, Giuhani così fotografa la sezione d'apertura: Il poema si apre con la descrizione di un paesaggio mentale in disfacimento, una cartografia metafisica lunare al cui centro è la "Palus Putre-

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dinis". La palude è psicologicamente l'archetipo di una situazione; quando Renée, la giovane schizofrenica curata dalla signora Sechehaye, trova il primo contatto con la mamma (impersonata simbolicamente dalla psicanalista) sente di essere racchiusa nel corpo di lei come in un mondo di terra e di acqua che chiama palude?

Per organizzare queste note, Giuliani ha integrato il suo lavoro di analisi, apparso come recensione di Laborintus sul «Verri»^, con ulteriori annotazioni e soprattutto con le dichiarazioni dello stesso Sanguineti, riuscendo a completare in questo modo il quadro esegetico: L'accostamento immediato del personaggio femminile Ellie al nomen loci è molto significativo. Lo stesso A. spiega: Ellie è il mio corpo, è tutto il mondo, è il «totius orbis thensaurus», predicabile all'infinito. Ellie è VAnima nel senso di Jung, è la stessa Palus [...]. L'immagine della madre, con le sue implicazioni cosmologiche e antropologiche, è un simbolo polivalente dell'unità, e del desiderio di abolire gli opposti. La Palus-Ellie è il termine di riferimento di questa discesa agli inferi, al caos dell'anima storica ("Ellie tenue corpo di peccaminose escrescenze/che possiamo roteare/e rivolgere e odorare e adorare nel tempo"). La ierofania (e demonologia) sessuale h combinata con l'ideologia.^

Appaiono qui le prime trasformazioni delle immagini lunari, a cominciare proprio dalla Palus Putredinis: fotografie come quadri, dunque, dal vedere all'elaborazione del materiale verbale; la descrizione raggelata e straniata della parte conosciuta della luna, anche attraverso Tuso di un'esatta nomenclatura, è figura del paesaggio terrestre post guerra atomica - è l'icona privilegiata della desolazione di un mondo distrutto da mille Hiroshima e Nagasaki, di una terra ormai privata, in potenza, della presenza dell'uomo, totalmente disumanizzata, autodistrutta. Questa descrizione però esce subito da binari esclusivamente psicanaHtici per diventare un processo attraverso il quale la coscienza diventa chiara a se stessa, soggettivamente e socialmente. Questo universo nasce anche da un peculiare procedimento autoriale, già evidenziato, ma che è bene richiamare nel concreto del corpo testuale: Sanguineti porta il sogno, la dimensione onirica, al vaglio scientifico della psicanalisi, dell'analista junghiano, cosa che nessun buon surrealista avrebbe mai fatto, e l'alchimia al vaglio dell'ideologia. Se il processo dell'individuazione corrisponde, nello spazio dell'alchimia, al ciclo completo della ricerca della pietra filosofale, questa corrisponde, cambiando continuamente piani, nella prassi, alla dimensione della formazione della coscienza, anche di quella di classe: dal profondo all'essere sociale.

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Infatti, l'ambito alchemico viene introdotto, al v. 5, da "tu e tu mio spazioso corpo/di flogisto": il flogisto è la sostanza che, nel processo alchemico, si sarebbe dovuta liberare da composti per riscaldamento (dal greco phlogistòsy agg. verbale àìphlogizo, "infiammare"). Giuliani osserva: Con il richiamo al flogisto si apre il tema alchemico: l'immagine del corpo, vaso della combustione, suggerisce l'idea della matrice tellurica e della trasmutazione della natura mediante il fuoco. L'avventura faustiana si ripropone nel cUma dei rapporti tra psicologia e alchimia indagati da Jung. Come la psicologia del profondo, l'alchimia è un regresSHS ad Hterum: l'impresa volta all'unione dell'inunibile non è che l'opera di integrazione della coscienza con l'inconscio. Jung tratta i simboli alchemici quale materia psichica di impronta collettiva; così desunti dall'A. essi vengono posti in un altro circolo: la ricerca della pietra filosofale e dell'elixir vitae (trasmutazione della materia) diventa una formula mitologica del 'dibattimento' ideologico (trasmutazione della società e della natura umana)

Ma Sanguineti arriva alla pietra filosofale non solo per la via di Jung, bensì anche, grazie air"alchimia del verbo", per la via di Breton, che, nel Secondo Manifesto del Surrealismo, al proposito scrive: Terrei a fare osservare come le ricerche surrealiste presentano, quanto al loro obiettivo, una notevole analogia con le ricerche alchimistiche: la pietra filosofale è in sostanza ciò che doveva permettere all'immaginazione dell'uomo di prendere una rivalsa clamorosa sulle cose, e oggi di nuovo, dopo secoli di addomesticamento dello spirito e di folle rassegnazione, noi tentiamo di affrancare definitivamente quell'immaginazione attraverso il 'lungo, immenso, ragionato sregolamento di tutti i sensi' e tutto il resto.^

Il personaggio di EUie è il primo ad entrare in scena: EUiè è sicuramente l'immagine dell'anima, la personificazione deU'inconscio, in termini junghiani, gettata in un "processo di individuazione", però in lei si trovano anche sedimentati elementi di una persona reale e concreta -per affidarci aUe parole stesse di Sanguineti nei Santi Anarchici^- di quella "ragazza che ho amato, e che ho perduto di vista qualche anno più tardi". EUie è quindi l'eterno femminino, il femminile, e pure il femminUe nel maschile, la qual cosa potrebbe far pensare anche al Tiresia della Waste Land di Ehot, oppure, in relazione alla definizione presente nella sez. 22 ("EUael quod nuper EUie diximus"), a Eliogabalo di Antonin Artaud, che sappiamo, per ammissione stessa di Sanguineti», far parte deUe sue letture deU'epoca, e la cui presenza, nella sez. 3, è segnalata da una citazione suU'anarchia^; Eliogabalo è un giovinetto che "ha

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le carni rotonde di una donna, un viso di cera liscia, occhi d'oro s c u r o s u l le valenze del cui nome (Heliogabalus, Eliogabalus, El-Gabal, El-Gabalus, Hehah-Gabal) Artaud ci rende edotti^^ Queste armoniche, per quanto interessanti e intriganti, non colgono però pienamente nel segno; la chiave è contenuta nei versi finali della sez. 22, nei quah vediamo che EUie è "ELLE me remontre enfin qu'EUe mourra", cioè è Ella, Lei, appunto il femminile, una figura d'acqua, che scorre erratica, che entra e esce fluendo, inizio e termine. Questo dimostra, già al principio, nel testo, come in Sanguineti non ci si possa limitare ad un indice barometrico delle presenze e delle frequenze o ricorrenze, ma sia determinante l'uso e l'atteggiamento, in senso gramsciano; infatti Artaud, e non solo Eliogabalo, ma anche Van Gogh o il suicidato della società e soprattutto Per finirla con il giudizio di Dio, sono presenze determinanti per segnare una strada che porterà Sanguineti a una descrizione fredda e raggelata del corpo, descrizione che ci mostrerà, rovesciando Artaud, non tanto un "corpo senza o r g a n i ' ' ^ ^ organi senza corpo. EUie appare, proprio per quel suo tratto di figura d'acqua, di anima errante, di protagonista di un viaggio senza meta, come una sorta di Nadja, ripresa, nel suo vagabondare anche acqueo, da Vigo^^: EUie, come Nadja, arriva, erra, fluisce, sparisce, lascia traccia di sé come voce errante: provoca tangenzialmente la nascita di un testo. EUie, l'annunciatrice, dovrà però sparire nel momento di realizzazione del progetto di scrittura. A questo punto ritorniamo alle due citazioni di Foscolo e Stalin al centro della sezione. La manipolazione deUa frase del Foscolo (vd. nota v. 4) evidenzia qui il tipico modo sanguinetiano di citare, trasformando; l'autore crea una sorta di calco, poiché il "traggono" diventa "riceviamo", l'accento viene messo cioè non più esclusivamente sul soggetto quanto suUa realtà materiale, quasi a voler indicare la netta preminenza deU'essere sociale suU'essere. La frase foscohana viene svuotata da ogni idea di predominio deU'individuo e il piano diventa queUo orizzontale del soggetto proiettato neUa dura realtà materiale. Siamo di fronte ad un travestimento ante Utteram, ad un prototravestimento foscohano: Foscolo letto attraverso Vico e Marx. La citazione da Stalin e il travestimento foscoliano, in stretto nesso dialettico, consegnano il primato alla realtà materiale e indicano con precisione il rapporto tra l'uomo, neUa sua dimensione di soggetto, e la realtà concreta, esterna.

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11 Novissimi, Einaudi, Torino 2003 (prima ed. Einaudi 1965; prima ed. Rusconi e Paolazzi, Milano 1961, Biblioteca del Verri), nota alla p. 97. 2 / Novissimi, cit., p. 95. Il testo preciso del resoconto è: "Nella mia camera la semioscurità era verde e questo colore mi dava l'impressione di trovarmi rinchiusa in un vago mondo di terra di acqua, il che equivale per me a trovarmi nel corpo della Mamma [...]. Col tempo preferii rimanere Vicino a lei' piuttosto che 'racchiusa in lei'. Non temevo più nulla poiché, appena lo desideravo, ero immersa nel 'verde', o 'nella palude'". (M. Séchehaye, Diario di una schizofrenica, Firenze, Editrice Universitaria 1957, p. 84; da questo diario è stato tratto, nel 1968, un film di Nelo Risi con Margarita Lozano e Ghislaine d'Orsay). 3 Oggi Laborintus 1957 in Immagini e Maniere, Feltrinelli, Milano 1965, pp. 82-86. 4 7 Novissimi, cit., p. 95. 5 Idem, p. 96. 6 A. Breton, Manifesti del Surrealismo, Einaudi, Torino 1987, p. 106: per completezza vedere pp. 105-108, Secondo Manifesto del Surrealismo e pp. 124-125, Lettera alle veggenti, nella quale si parla dell'invenzione della pietra filosofale da parte di Nicolas Flamel. Cfr. A. Breton, Oeuvres Complètes, Galhmard, Paris 1988, voi. I, pp. 818821 e pp. 907-908. 7 E. Sanguineti, I santi anarchici, cit., p. 14. In "Tutto è vinto tutto è perso: consuntivo aperto sull'avanguardia" -intervista a E. Sanguineti a cura di F. Ciompi e S. Damiani- in «Soglie», aprile 2001, p. 42, Sanguineti dice: "I miei primi destinatari furono amici di gioventù che poi sarebbero diventati rispettivamente farmacista, medico, filologo classico e insegnante. Quest'ultima è la ragazza che ha ispirato la nascita di Laborintus'\ 8 Nell'intervista rilasciata a E.M. Crestana, Colori, odori, silenzi del mare di Sanguineti, in «Le pietre & il mare. Rivista delle province liguri», aprile-maggio-giugno 1995, p. 31, l'autore dice: "Vi conobbi Guido Hess, un romanziere torinese nato, però, a Seborga, il quale aveva pubblicato qualcosa con il proprio nome e, in seguito, con quello di Guido Seborga. [...] Era un personaggio singolare, una sorta di sperimentahsta 'ante htteram'. Passeggiavamo sul lungomare di Bordighera e chiacchieravamo. Fu uno dei miei primi punti di riferimento culturale e mi fece conoscere Antonin Artaud, di cui mi prestò 'Héliogabale'". 9Sez. 3 , v . 2 1 . A. Artaud, Eliogabalo, traduzione e cura di A. Galvano, Adelphi, Milano 1965, p .

7 3 .

Idem, pp. 91-94. 12 A. Artaud, Per finirla con il giudizio di Dio, Stampa Alternativa, Roma 2000, p. 53 e vd. C. Pasi, Artaud attore. Bollati Boringhieri, Torino 2000, p. 171 e M. De Marinis. La danza alla rovescia di Artaud. Il secondo Teatro della Crudeltà (1945-1948), Quaderni del Battello Ebbro, Porretta Terme 1999.

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" J e a n Vigo (Parigi 24/4/1905-5/10/1934, di orgini catalane) è il regista di Zèro de conduite, A propos de Nice e UAtalante. Per Vigo, al quale Sanguineti riserva una attenzione costante, vd. Anarchia e Complicazione e introduzione alla sez. 9, con attenzione alla nota 3.

6. composte terre in strutturali complessioni sono Palus Putredinis riposa tenue Ellie e tu mio corpo tu infatti tenue Ellie eri il mio corpo immaginoso quasi conclusione di una estatica dialettica spirituale noi che riceviamo" la qualità dai tempi tu e tu mio spazioso corpo di flogisto che ti alzi e ti materializzi nell'idea del nuoto sistematica costruzjpne in ferro filamentoso lamentoso lacuna Hevitata in compagnia di una tenace tematica composta terra delle distensioni dialogiche insistenze intemperanti le condizioni esterne è evidente esistono realmente queste condizioni esistevano prima di noi ed esisteranno dopo di noi qui è il dibattimento liberazioni frequenza e forza e agitazione potenziata e altro aliquot lineae desiderantur dove dormi cuore ritagliato e incollato e illustrato con documentazioni viscerali dove soprattutto vedete igienicamente nell'acqua antifermentativa ma fissati adesso quelli i nani extratemporali i nani insomma o EUie nell'aria inquinata in un costante cratere anatomico ellittico perché ulteriormente diremo che non possono crescere tu sempre la mia natura e rasserenata tu canzone metodologica periferica introspezione dell'introversione forza centrifuga deUmitata Ellie tenue corpo di peccaminose escrescenze che possiamo roteare e rivolgere e odorare e adorare nel tempo desiderantur (essi) anaUzzatori e anaUzzatrici desiderantur (essi) personaggi anche ed erotici e sofisticati desiderantur desiderantur

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Note V. 1: Ciro Vitiello lega "composte terre" "[...] con la 'prima materia'; così va considerata l'acqua. Queste cose sono composte, cioè mescolate". Acqua Palus è nello stato di I, 3 dello schema harraniano, nella exaltatio animae, che si attua la separazione dell'anima dal suo corpo e per questo cfr. p. 288, nota 6: "L'anima viene separata dal suo corpo (separatio)" (C. Vitiello, Teoria e tecnica delVavanguardia, Mursia, Milano 1984, p. 151; per essere precisi Vitiello individua questa particolare situazione in una precisa serie dello schema harraniano - Jung, Psicologia e Alchimia, p. 189; per le spiegazioni puntuali dello schema harraniano rimandiamo alla sez. 7, dove la presenza di Jung è decisamente più massiccia), "strutturali complessioni" indica la costituzione strutturale, la struttura fisica. ~ "Palus Putredinis" è non solo un luogo della Luna (vd. A. Fresa, La luna, cit., p. 189), ma è anche, nell'universo alchemico, la nigredo, lo stato iniziale, come qualità della prima materia, del caos o della massa confusa. "Se, come si assumeva talvolta, è premesso lo stato diviso, si procede ad una unione dei contrari sotto la veste di unione del maschile e del femminile" (C. Vitiello, Teoria e tecnica dell'avanguardia, cit., p. 144). V. 2: Appunto unione del maschile e del femminile: "e tu mio corpo tu infatti tenue Ellie eri il mio corpo". Il "riposa tenue Ellie" conferisce al testo l'andamento di una sorta di requiem, di poesia in morte, per musica. Al v. 3, con "conclusione di una estatica dialettica spirituale", si conclude il processo di unione. w. 2-3: "corpo/immaginoso": vd. sez. 7, v. 17 (Vitiello, Teoria e tecnica dell'avanguardia, cit., pp. 145-146). V. 3: "conclusione di una estatica dialettica spirituale": insieme, appunto, coniunctio, unione dei contrari in un rapporto dialettico, di una estatica pratica. V. 4: "noi che riceviamo la qualità dai tempi". I diversi commentatori la indicano come "frase del Foscolo sui poeti"; ma il testo originale del Foscolo è: "Per questi esami confermasi la sentenza, che i poeti traggono qualità da' tempi" (La chioma di Berenice, Discorso quarto. Della ragione poetica di Callimaco, paragrafo VI, in U. Foscolo, Opere, a cura di F. Gavazzeni, tomo II, Ricciardi, Milano-Napoh 1981, p. 1274). Questa frase foscoliana è ipersignificativa per Sanguineti, che la utilizza come explicit della sua introduzione alle Lettere scritte dall'Inghilterra del Foscolo: "Non poteva sapere, dunque, che la «trasparenza» assoluta è un mito, che non si dà dialettica d'apertura senza «ostacolo». Ma poteva verificarlo, e verificare, al tempo stesso, che «i poeti traggono qualità da' tempi»." (U. Foscolo, Lettere scritte dall'Inghilterra (Gazzettino del bel mondo), a cura di E. Sanguineti, Mursia, Milano 1978, p. 8). Per il rapporto tra l'uomo e la "qualità de' tempi" si rileva qualche eco del Capitolo X X V del Principe di Machiavelli (vd. N. Machiavelh, Opere, a cura di C. Vivanti, Einaudi, Torino 1997, Tomo I, pp. 186-189), ma anche nel Prologo della Mandragola (dove troviamo al V. 50 "tristo tempo", vd. N. Machiavelh, Opere, Voi. IV, Scritti letterari, a cura di L. Blasucci, Utet, Torino 1989, p. 115). V. 6: "del nuoto": il nuoto in Sanguineti sarà un motivo ricorrente, giocato con l'idea del galleggiamento/sopravvivenza: cfr. Reisebilder 11, Postkarten 2, Stracciafo-

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glio 3 - c i sono legami anche con Laborintus 4 - e Stracciafoglio 14, dove "nuoto nel vuoto" pare prodotto direttamente dair"idea del nuoto". Per la centralità archetipica del nuoto vd. anche il film Taris ou le roi de Veau di Jean Vigo sul celebre nuotatore francese degli anni Trenta, citato in C. Sprawson, Uomhra del Massaggiatore Nero, Adelphi, Milano 1992, p. 262; sempre Sprawson ricorda la prima società di nuoto inglese (1828), che ebbe come motto il primo verso delle Olimpiche di Pindaro (lo stesso che Sanguineti rovescia al v. 19 della sez. 3, per ulteriori indicazioni vd. nota V. 19 sez. 3). V. 9: "composta terra": vd. v. 1. V. 10: "le condizioni esterne è evidente esistono realmente" è, per testimonianza diretta di Sanguineti a Giuliani, una citazione da Stalin. V. 12: "aliquot lineae desiderantur": formula del codice filologico, indica propriamente la lacuna testuale intesa come la mancanza di alcuni righi (linee di prosa o versi); la traduzione letterale è infatti "si sente la mancanza di alcune linee". w . 13-14: "cuore ritaghato/e incollato e illustrato con documentazioni viscerali": è un buon esempio di quegli organi senza corpi descritti in maniera fredda e straniata (vd. Anarchia e complicazione). V. 17: "i nani extratemporali". A parere di Giuliani, giustamente, "Gli homuncoli alchemici ('i nani extratemporali') sono i moti dell'inconscio, creature del nanismo mentale che non possono crescere nel cratere lunare (nel paese disfatto), sono anche mostruosamente i figli spirituali e fisiologici che si dibattono con le condizioni esterne" (A. Giuliani, I Novissimi, cit., p. 96). Vd. C. Jung, "Le visioni di Zosimo", in Studi sull'alchimia. Opere, voi. XIII, Bollati Boringhieri, Torino 1988, pp. 77-126. Sempre in Jung rileviamo: "Il bicchiere corrisponde air«unum vas» dell'alchimia (fig. 86), e il suo contenuto alla miscela viva, semi-organica, dalla quale sorgerà il corpo del Lapis vivo e dotato di spirito, oppure quella notevole figura del secondo Faust di Goethe, che per tre volte si dissolve, il «fanciullo che guida il carro», l'homunculus che si frantuma contro il trono di Galatea, e Euphorion (dissolversi del «centro» nell'inconscio)" (C. Jung, Psicologia e Alchimia, Astrolabio, Roma 1950, p. 198). V. 19: "cratere anatomico ellittico": esempio di raffreddamento descrittivo del corpo ("anatomico" termine della scienza medica, "ellittico" della geometria). Cratere rimanda, da un lato, al vaso (greco) e ad una parte del vulcano, e, dall'altro a Jung, Psicologia e Alchimia, cit., p. 326: "Zosimo è uno gnostico influenzato da Ermete. Nella sua esposizione a Theosebeia egli raccomanda il 'cratere' come mezzo di trasmutazione: le dice di recarsi urgentemente dal Poimandres per essere battezzata nel cratere. Questo cratere si riferisce al vaso divino del quale Ermete parla a Thòth nel trattato chiamato ó Kpatrip. Compiuta la creazione del mondo, questo vaso fu mandato da Dio sulla terra come una specie di fonte battesimale dopo averlo riempito di vovg (= jcveDua)". V. 21: "canzone metodologica" è una definizione della sezione stessa e, in parte, dell'intero poema. L'aggettivo rafforza e declina le peculiarità di spazio in versi riservato ai temi sublimi, alla riflessione filosofica e politica tipiche del componimento della canzone, da Dante e Petrarca fino a Leopardi. Sanguineti sottolinea così il suo viaggio alla ricerca di un nuovo metodo di conoscenza, di espressione e di interpretazione.

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V. 28: "analizzatori e analizzatrici desiderantur". Giuliani afferma: "Poiché l'opus è soprattutto una psicanahsi patita dal protagonista e condotta da personaggi ('analizzatori e analizzatrici') alquanto lacunosi, la glossa filologica 'desiderantur' indica la difficoltà metodologica del processo d'individuazione"(/ Novissimi, cit., pp. 96-97), e va messa in relazione alla formula "aliquot lineae desiderantur" del v. 12.

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SEZIONE 2

Introduzione Se nella prima sezione l'autore si rivolgeva ad Ellie proprio corpo, qui si rivolge ad una Ellie Mare Humorum (Mare degli umori) e Lacus Somniorum (Lago dei sogni), continuando un processo di sovrapposizione tra la protagonista e la selenografía, da un lato seguendo perfettamente e junghianamente l'idea che la figura femminile sia Vanima mundi lunare, in continuo scontro dialettico con il principio maschile solare (un tratto già caratteristico della religione egizia che permea poi ogni riscoperta alchemica rinascimentale), dall'altro introducendo un processo di cosificazione dell'umano che ci segnala il processo di alienazione, manipolazione e mercificazione. Se Jung poteva osservare che il "«Faust» è un dramma alchimistico dalla prima all'ultima riga"^ Sanguineti si avvicina a Jung proprio attraverso Goethe, considerandolo una enciclopedia, un serbatoio profondo di simboli: come osserva Giuhani, [...] il romanzetto erotico-demonologico va inteso come una trasposizione: la polluzione notturna [...] ha valore di 'rivolta' misurata sopra una 'ideale esigenza'. [...] Così Ellie in figura di polluzione provoca la 'rottura' della personahtà e la sua dilatazione in moltitudine. [...] La polluzione notturna è frutto dell'incubo; tutta la proiezione del sogno è confusa, maschile e femminile si scambiano le parti. La 'inevitabile invocazione' è il grido dell'estasi erotica, con il suo sfondo rituale, sacrale. (Nella sezione 3: 'l'accelerata evocazione delle anime procede mediante l'apparato/escretorio per eccellenza che suggella ritualmente il sacrificio/dello sperma con l'implorazione'). I morti, gh incubi e i demoni sono evocati nel delirio della nékuja. Lo 'stadio enunciatamente ricostruttivo' è quello della nuova strutturazione dell'io, della rinascita alchemico-magica. Dopo il coito sognato ('fluida intromissione', 'compasso scottante') avviene la geometrizzazione della realtà (cfr. 'simbohzzato in cifre'). La 'casa di fuoco' nel 'giardino dei succubi' indica il lusus erotico (e il lusus poetico, onde il titolo di Erotopaegnia della seconda parte dell'opus).^

Sanguineti si serve di Jung appunto come di un'enciclopedia, cosciente che le fasi deU'qp/is alchemico costituiscano un'iniziazione - e cioè una serie particolare di esperienze aventi come fine la trasformazione radicale della condizione umana, trasformazione che per Sanguineti può attuarsi solo, per forza

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di utopia, sul piano della prassi, in virtù di una "rivolta" che "non avrà fine" o che, per meglio dire, deve trovare compimento in una rivoluzione permanente. Questa seconda sezione è riservata da Sanguineti ad una sorta di riflessione sullo stato del sogno, sul suo essere un momento centrale per i continui processi di rottura e ricomposizione della personalità; per descrivere questo spazio dominato dall'inconscio, l'autore ricorre all'opera alchimistica, che del resto costituisce qualcosa di simile a processi psichici espressi in un linguaggio pseudochimico. Proprio per evidenziare come il potere abbia sempre cercato di controllare e dirigere il sogno, in quanto elemento centrale della formazione della coscienza e dell'immaginario collettivo^, come basso continuo dell'intero testo, Sanguineti si affida alla proposizione scolastica "Non omnis emissio humoris carnalis est proprie pollutio" (prelevata dalla Tabula Aurea di Pietro da Bergamo)^ spezzata e ricomposta in maniera da esserne l'elemento centrale: essa riprende, a livello formale, le funzioni del "desiderantur" della prima composizione, e, in quanto a funzione, sottolinea, in questo caso, l'ingerenza totale del potere della Chiesa su ogni azione umana (siamo nel campo della lussuria). Nella Summa Theologica San Tommaso^ affrontava proprio, all'interno del problema della lussuria, la questione "Utrum nocturna pollutio sit peccatum" ("Se la polluzione notturna sia peccato"), nella quale è trattata più globalmente la questione dell'attività umana nel sogno. Anche nel caso di questo sogno rivoluzionario, a farla da padrone sono le immagini e le figure d'acqua. Mare e Lacus, fino al coito rappresentato come "fluida/intromissione", dove ci sembra essere un riferimento chiaro alla culla di sperma àtWEliogabalo di Artaud come all'"oceano del rasa" (il termine "rasa" viene utilizzato in sanscrito per indicare qualsiasi liquido, in particolare linfa, succo, nettare, e sul piano dei liquidi del corpo, lo sperma, tra cui lo sperma di Siva, cioè il mercurio)^. Questo infernale paesaggio della mente è dominato dai demoni che operano sulla coscienza, proprio a partire dal sonno, per trasformare le situazioni. La renovatio radicale, che assillava il cristianesimo occidentale a partire da Gioacchino da Fiore, si gioca, per Sanguineti, sul piano della prassi e del materialismo storico, che serve a rileggere la speranza di riscattare l'uomo e la natura attraverso Vopus alchemico per inserirlo in un quadro di ideologia dell'anarchia. Del resto è in questo testo che entra in gioco prepotentemente il tema atomico -da un lato lo choc di una nuova guerra, dall'altro i rimandi inevitabili e biunivoci alla nascente (all'epoca) Arte Nucleare (Baj, Biasi), di cui "i lunghi funghi fumosi" (vd. nota v. 9) sono la precisa traccia testuale- in modo che Laborintus viene a configurarsi, a partire da qui, come un poema cosmologico dell'era atomica, un testo prodotto dalla minaccia atomica. E per

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certi aspetti "atomizzata" del v. 20 è certamente, da un lato, un chiaro riferimento alla fisica atomica, ma, per un altro verso, è una indicazione di poetica, volta a sottolineare come la sezione (e più generalmente Tintera opera) si costruisca quasi seguendo modalità tipiche delle fasi del processo nucleare ed atomico. Uno spiraglio di speranza, una via possibile d'uscita da questa catastrofe che appare come imminente è contenuta proprio nell'estrema necessità di rivolta permanente, concetto espresso nella chiusa dei versi 27-28, "l'ideale esigenza questa rivolta/non avrà fine".

1 C.G. Jung, Psicologia e Alchimia, cit., p. 83. 2 1 Novissimi, cit., pp. 98-99. ^ Vd., per esempio, C. Beradt, Il Terzo Reich dei sogni, Einaudi, Torino 1991, nel quale l'autrice mette in risalto il legame tra esperienza della vita quotidiana e il sogno, che talvolta sembra quasi profetico di una situazione imminente, rende chiaro il punto di approdo di un processo in atto. ^ Il titolo preciso dell'opera è: In Opera Sancii Thomae Aquinatis Index seu tabula aurea eximii Doctoris E Petri de Bergamo. In epoca moderna si segnala l'edizione Lodovicum Vivès, Parisiis 1880. Noi citiamo da una editio fototypica (una sorta di edizione anastatica, più accurata) apparsa per le Edizioni Paohne, Roma, nel 1960. L'autore, Pietro Almadura, nacque a Bergamo all'inizio del X V secolo e morì a Piacenza nel 1482. Teologo e professore a Bologna. LSL Tabula Aurea, suo lavoro più signficativo di 'critica' tomistica, fu pubblicato nel 1473 a Bologna e nel 1478 a Basilea. Tra le edizioni a stampa si segnalano quelle veneziane del 1539 e del 1593. 5 San Tommaso d'Aquino, La Somma Teologica, II-II, voi. XXI, q. 154, De Speciebus luxuriae, 250-254, Salani, Firenze 1949. "Videtur quod nocturna pollutio sit peccatum. Meritum enim et demeritum habent fieri circa idem. Sed dormiens potest mereri: sicut patet de Salomone, qui dormiens a Domine donum sapientiae impetravit, ut dicitur 'Ergo in dormiendo potest ahquis demereri'". Tommaso affronta questa spinosa questione della coscienza e della volontà, sulla scorta di una consolidata tradizione che ha soprattutto nel suo maestro Alberto Magno {De virtutibus) e in Alessandro d'Hales {Summa Theologica) due rilevanti precedenti, come fanno notare i curatori dell'opera di Tommaso nel primo volume di introduzione ai criteri dell'edizione moderna (nel paratesto si indica, in modo generico, "a cura dei domenicani italiani", sottolineando un lavoro collettivo). 6 Per una spiegazione completa del termine vd. M. Eliade, Il mito dell'alchimia seguito da L'alchimia asiatica. Bollati Boringhieri, Torino 2001, pp. 11-12.

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6. e una volta Mare Humorum guardami bene (la rottura di una personalità) e dilatami (tutto suscettibile di assentimento) e combinami in un'epoca indirizzando i sensi (il tempo dell'occhio che risuona nel quieto addome) e toccami perché io sono al più giusto confine organico sepolcro 5 complicato per godere e riuscirò dopo la fluida intromissione una moltitudine riuscirò nella grammatica speculativa e simbolizzato in cifre terribilmente armoniose di fronte all'eruzione di carbonizzanti passioni infatti e alle distorsioni relative di fronte a lunghi funghi fumosi che si gonfiano e indico l'ustione linguistica frammenti che costellano 10 il notturno giardino dei succubi sopra l'atollo delle labbra coralline si impone e oscilla lo spettro maschile con voce telefonica (sed non omnis emissio dice) dalla casa di giuoco il compasso scottante io che colloco in calde comunicazioni prenotabih gli opprimenti (humoris carnalis) ed enfiati fantocci continuatamente 15 Lacus Somniorum emuntori (al punto dell'inevitabile invocazione è carnahs) dell'orinazione dell'encefalo in tutta la sua massa precipitabile è finita è finita la perspicacia passiva primitiva è finita eppure in uno stadio enunciatamente ricostruttivo di responsabile ricomposizione è finita infine è atomizzata e io sono io sono una moltitudine 20 attraverso ritentate esperienze Mare Lacus accoglimi (est proprie pollutio) il tenero mattino conduce la mastite a visitare il triste cervelletto sensibile al vento per incantamento est duplex intellectus e tu ascoltami bene amore Mare Lacus non c'è più divertimento ridurremo forse la testa umana a secco luogo geometrico ma comparata con l'ideale esigenza questa rivolta non avrà fine

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Note V. 1: "Mare Humorum" (Mare degli Umori) e "Lacus Somniorum" (Lago dei Sogni) al V. 16 sono precisi luoghi lunari (A. Fresa, La luna, cit., p. 189): vd. sez. 10 per l'intertestualità interna e i rapporti tra Laborintus I e Laborintus / / : questo frammento si ritrova infatti in Laborintus IL V. 3: "il tempo dell'occhio che risuona nel quieto addome" è un'immagine tipicamente surrealista, dall'occhio tagliato di buñueliana memoria {Un chien andalou), al tempo (Dalì), al regressus ad uterum, quieto addome, punto centrale per ogni rivivificazione, per la quale ritornando all'origine si caccia la vecchiezza e si ritorna allo stato di feto. V. 5: "organico sepolcro", una definizione dell'uomo e del suo ciclo vitale, è il prodotto chiaro della declinazione sanguinetiana del linguaggio di Artaud (vd. A. Artaud, Per farla finita col giudizio di Dio, cit.). V. 6: "complicato per godere": la complicazione è l'inevitabile via verso la comprensione del reale e la pienezza delle attività pratiche dell'uomo. Il fine, in questo caso, è il godimento. Vd. v. 1 sez. 15. ~ "fluida intromissione": il coito viene visto quasi come necessaria penetrazione, rappresentata dall'incontro degli umori del corpo, dei liquidi seminali; il rimando sembra essere alla frase di Paracelso "Colui che vuole entrare nel regno di Dio deve anzitutto penetrare col proprio corpo all'interno della propria madre e là morire" per essere rigenerato (in M. Eliade, Il mito dell'alchimia, cit., p. 20). È chiaro che qui al regno di Dio si deve sostituire la 'realtà'. V. 7: "grammatica speculativa e simbolizzato in cifre": si sottolinea la geometrizzazione e scientificizzazione algebrica del reale, pronto per essere sfruttato dalla tecnologia. V. 8: "eruzione di carbonizzanti passioni": la metafora è tra l'uomo e il vulcano in attività. V. 9: "lunghi funghi fumosi": il rimando iconografico è al Baj prefigurativo del periodo nucleare. Il Movimento Nucleare organizza la prima mostra nel novembre '51, e Prefigurazione, che è l'esposizione centrale e decisiva per gli esiti del movimento, è del '53. Anche in Baj il centro è la forma che nasce dal caos, diventa putrefazione e morte, per ricominciare, poi, in una informe palude che a sua volta è generatrice (vd. E. Baj, I libri di Baj, Electa, Milano 1990, p. 13 e E. Baj, Automitobiografia, Rizzoli, Milano 1983, p. 173: "Nel '53 organizzai varie mostre del Movimento Nucleare a Milano, a Torino, a Bruxelles e tenni una mostra con Lucio Fontana a Como. Quella più importante fu «Prefigurazione»."). Nel testo di A. Schwarz (T. Sauvage, Nuclear Art, Erich Diefebronner, Stoccolma 1962, ma in realtà stampato a Milano), di cui Sanguineti cura una attenta revisione formale e stilistica per la stampa (vd. sez. 9 sia per il tema atomico sia per il rapporto con Schwarz), troviamo le parole ("Nei funghi atomici, nelle radiazioni e nelle onde magnetiche, il Nuclearismo aveva trovato la via di una nuova relazione con il reale, una nuova via per 'figurare un invisibile' che si dimostrava come terribilmente vero, come paurosamente certo: era la via, come si è bene ormai dimostrato, per spazzar via, con un gesto solo, tutti gli equivoci accademici legati alle

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nozioni correnti di astrattismo e di realismo") che Sanguineti cita opportunamente nel suo Per una nuova figurazione, apparso su «Il Verri», n. 12, 1963. Vd. anche nota 74 di Anarchia e Complicazione. V. 10: "ustione linguistica": il paesaggio onirico è giocato sull'acqua (fluido) e sul fuoco, calore (eruzione, carbonizzanti, ustione, scottante). Sta partendo dall'acqua e dal fuoco l'opera di trasformazione. V. 11: "il notturno giardino dei succubi": evidente il riferimento al gioco erotico lasciato volutamente nel vago. V. 12: "lo spettro maschile con voce telefonica": con questa figura onirica, la cui voce giunge da lontano e deformata dallo strumento tecnologico, si rinvia all'ambito demonologico. Per la spettrahtà della voce telefonica vd. anche M. Proust, Alla ricerca del tempo perduto, voi. II, Mondadori, Milano 1986, pp. 158-159. V. 13: "sed non omnis emissio": Sanguineti rimonta una frase àdìVIndex di Pietro da Bergamo (cfr. Introduzione, nota 4) dove troviamo alla voce "pollutio" (p. 753): "Non omnis emissio humoris carnahs est proprie pollutio, scilicet quando in vigilia ex infirmitate vel absque ulla commotione carnis, et absque cogitatione immunda, et sine delectatione, et quasi insensibiliter, humor carnalis egreditur", dove l'effetto è quello dello spezzettamento jazzistico, dell'esecuzione variata e frammentata. Al v. 15 troviamo il frammento "humoris carnahs", al v. 16 viene ripetuto "carnahs", e al v. 21 "est proprie pollutio "che completa così il sintagma "sed non omnis emissio humoris carnalis est proprie pollutio" (ma non ogni emissione di umore carnale è propriamente polluzione). ~ "dalla casa di giuoco": completa sul piano del divertimento erotico il "giardino". V. 14: "il compasso scottante": riferimento al sesso maschile. ~ "calde comunicazioni": allegoria del coito, rapporto su misura per il "compasso scottante". V. 15: "enfiati fantocci": simboleggiano anche il sesso maschile. V. 17: "orinazione dell'encefalo": il cervello ha un comportamento organico-materiale, produce un liquido, non nobile ma residuale. V. 18: Dal sogno distruttore dell'identità del soggetto siamo giunti alla sua cosciente ricomposizione. V. 20: "io sono una moltitudine": l'io ricomposto rimane comunque dilatato, pohcentrico e polifonico: è, da un lato, il soggetto distrutto di Kafka, l'io a più dimensioni della psicanalisi, e, dall'altro, il soggetto plurale in termini gramsciani, dove si evidenzia come le molteplici attività reali, dalla vita sociale a quella privata, costringano l'uomo ad avere mille facce. V. 21: "Mare Lacus accoglimi": ricerca della femminilità, madre, mare, acqua, fluido. Mare Lacus, autoriale e ripetuto al v. 24, si può leggere sia come sequenza Mare Lago sia come lago di acqua marina. V. 22: "la mastite": l'affezione infiammatoria della ghiandola mammaria indica l'esaurimento della fonte del nutrimento, ma, come osserva Giuhani, "è, ovviamente, metafora dell'emicrania del mattino dopo". V. 23: "per incantamento": il riferimento è anche al sonetto dantesco Guido io vorrei. ~ "duplex intellectus": è una proprietà dei demoni. Vd. San Tommaso d'Aquino, La Somma Teologica, I, voi. IV, pp. 414-423, "Utrum intellectus daemonis sit obter-

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nebratus per privationem cognitionis omnis veritatis" ("Se Tintelletto del demonio sia oscurato al punto da essere privato della conoscenza di qualsiasi verità") e "Utrum voluntas daemonum sit obstinata in malo" ("Se la volontà dei demoni sia ostinata al male"), p. 423 "Actus daemonis est duplex". Per avere una idea della complessità del concetto di intellectus si può vedere questa voce nel Dizionario Tomistico contenuto in San Tommaso d'Aquino, La Somma Teologica, cit., voi. I, Introduzione e fonti, pp. 368-370. Il sintagma "est duplex intellectus" si trova ancora in San Tommaso, Quaestiones disputatae de anima, quaestio ar IV: "Praeterea, actus intellectus est intelligere. si igitur est duplex intellectus, scilicet agens et possibilis, erit unius hominis duplex intelligere, quod videtur inconveniens" in S. Tommaso, Opera Omnia, Quaestiones disputatae de anima, voi. Ili, a cura di R. Busa, Fromman-Holzboog, Stuttgart Bad Canstatt 1980, p. 373. "duplex intellectus" si trova anche, per rimanere nell'orizzonte delle letture sanguinetiane, in Benvenutus de Rambaldiis de Imola, Comentum super Dantis Aldighierii Comoediam, a cura di F. Lacaita, Barbera, Firenze 1887, tomo I, p. 31. Se questa è la fonte principale e diretta, non fa meravigha che un discorso sul duplice intelletto, in un'ottica di mens universale, d'intelletto universale, all'interno di un rapporto vita-materia infinita, si ritrovi nelle teorie gnoseologiche di Giordano Bruno, per il giovane Sanguineti sicuramente esempio di pensiero critico, eretico maestro del sospetto. Nel Sigillo dei sigilli, ad esempio, troviamo: "Sopra l'atto della ragione collocano l'atto dell'intelletto, il quale dicono essere duplice" (G. Bruno, Le ombre delle idee. Il canto di Circe, Il sigillo dei sigilli, Rizzoli, Milano 1997, intr. M. Ciliberto, trad. N. Tirinnanzi, p. 376). V. 26: Entra nel testo, seppur non scopertamente, il tema dell'alienazione e della manipolazione, sviluppato poi nelle sezioni seguenti.

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SEZIONE 3

Introduzione A questo punto del poema e dopo una sorta di introduzione, inizia la vera e propria discesa. Alla topografia lunare, il Sinus Medii (Golfo del Centro)S si accompagnano le prime precise e puntuali indicazioni terrestri, in perfetto parallelismo con quelle cosmologiche: sulla luna la Valles Mortis (Valle della Morte), sulla terra la Death Valley. La Death Valley -luogo geografico preciso nel sud-est della Cahfornia, punto di maggior depressione dell'emisfero occidentale- sembra l'inevitabile frutto, con il suo cratere, dei "lunghi funghi fumosi" della sez. 2. Il parallelismo tra "pessima Bad Water", asse fondamentale del testo, e "xeiptorov 'Côcop"^ ci porta dalla storia collettiva alla psicologia individuale e alla situazione dell'uomo, in virtù di queste figure che rimandano direttamente al labor dell'alchimista, il cui centro è proprio Vouroboros che nel primo verso viene affiancato alla Death Valley. Per Jung, Il drago è probabilmente il più antico simbolo figurato dell'alchimia, autentificato da documenti. Esso appare come oijpopópog (mangiacoda) nel Codice Marciano, che appartiene al 10°-11° secolo, con la leggenda: Ev TÒ jtav (l'Uno, il Tutto). Gli alchimisti non fanno che ripetere che l'«opus» sorge da una cosa e riconduce nuovamente all'C/no, che dunque in un certo qual modo è un circuito, come un drago che morda la propria coda. Perciò l'opus si chiama spesso "circulare" oppure "rota". Il Mercurio sta all'inizio e alla fine deh'opera: è la «prima materia», il «caput corvi», la «nigredo»; come drago divora se stesso, e come drago muore per risorgere come Lapis.^

Nella seconda lassa (dal v. 11) troviamo i primi segni dell'arrivo agli inferi, l'evocazione delle anime, la-quale gira intorno al rituale "sacrificio dello sperma", rimando ai riti di prosperità e di fertilità. D'altro canto, questo sacrificio è un vero e proprio travestimento, nel senso di attraversamento diacritico e di interpretazione del linguaggio dell'Artaud di Eliogabalo, interamente giocato sul corpo, sugli organi, sugh umori corporah e soprattutto sull'incontro/scontro tra principio maschile e principio femminile. Sole contro Luna, ed Eliogabalo come unione di contrari^, e infine sull'anarchia, alla quale si riferisce appunto la citazione al v. 21. Questa parte del testo (dal v. 18) è totalmente strutturata su tre elementi:

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innanzitutto, la xeípiortov Còcop, la pessima acqua, appunto, l'umidità come stadio primordiale della palude, situata nelle vicinanze del Sinus Medii, la regressione all'utero, alla quiete prenatale (in una "vegetazione marina", e in "conche accoghenti", fra "capillari generativi" che "devono cadere tagUati" e in "insenature rugose"); poi il corpo ridotto al "cranio di creta", quasi un rovesciamento dei piedi d'argilla, e infine l'anarchia ("c'est avoir le sens de l'anarchie"), prelevata direttamente dalla conclusione della prima parte, "La culla e lo sperma", di Eliogabalo di Artaud^. A questo punto diventano più chiari sia il processo di composizione sia il circuito interpretativo di Sanguineti, riassumibili in un triphce movimento che si consolida in questa sezione: l'autore -come abbiamo già detto, ma come è opportuno sottolineare nel corpo testuale- porta l'universo onirico, i sogni, al vaglio della psicanalisi, la psicanalisi al vaglio del surreahsmo e il surreahsmo al vagho del materiaUsmo storico; l'esigenza della rivolta si concretizza in questa anarchia dal sapore artaudiano, che si delineerà con precisione lungo l'intera raccolta. La necessità è quella di una presa di coscienza, soggettiva e collettiva, dello stato delle cose, inteso come situazione individuale dell'uomo gettato nell'era atomica e come dinamiche del corpo sociale nella realtà determinata storicamente. Il testo si chiude con un richiamo alla situazione del dormire, allo stato del sonno che genera sogni, con il quale è connesso prepotentemente il tema dell'acqua, "acqua calda acqua fredda acqua/sempre cattiva (difficile est)", dell'umidità, con un rimando alla decomposizione dei morti ("i cadaveri con i polsi vermicolari") e alla coniunctio dell'amore ("sopra il carro di fieno dove i miei amori sognano e parlano"). L'immagine del carro di fieno è anche la descrizione di una porzione della sezione centrale de II carro di fieno di Hyeronymus Bosch, trittico che rappresenta la vanità degh intrighi del mondo, il folle accecamento umano, l'andare insensato dell'umanità verso la dannazione^. Nella tavola centrale, seduti sull'enorme mucchio di fieno (posto su un carro e trainato) due amanti parlano e cantano. Nella piccola descrizione sanguinetiana essi sognano e parlano. L'immagine di Bosch innesca un circuito di trasformazione, funziona come germe che produce una situazione, come sollecitazione alla riproposizione nella propria composizione di un momento, di un'azione, di alcuni protagonisti, tant'è vero che pur essendo decifrabile la fonte, essa è 'laborintizzata', e nel nuovo testo gli amanti si vengono a trovare in preda non più al demonio ultraterreno, quanto alle difficoltà della vita quotidiana (sotto le insegne della prassi). Alla tecnica del prelievo segue l'inserimento nel nuovo contesto, una ricontestualizzazione che implica un processo di nuova significazione. Il carro, alla luce dell'intero contesto della composizione, rimanda anche

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a livello sotterraneo, e in negativo, alla scena della morte di Eliogabalo, con il carro che trasporta i corpi dell'imperatore e di sua madre: "Gh escrementi si mescolano al sangue, scivolano a un tempo col sangue sulle spade che frugano nelle carni di Eliogabalo e di sua madre. Poi si traggono i loro corpi, h si trasporta su di un carro alla luce delle torce, h si trascina attraverso la città. Qui però l'immagine viene completamente rifunzionalizzata: il carro è quello della rinascita dove gh amori parlano e sognano. E il passo successivo non sarà la punizione infernale e eterna, ma l'attraversamento della Palus Putredinis, prova che renderà solidi gli amori, visioni di sogni, e la coscienza chiara a se stessa. Vita e morte, rinascita e distruzione vengono a trovarsi indissolubilmente legati in una pratica di ricerca di presa di coscienza del soggetto, che non può pili dire io, è stato distrutto e tenta una ricomposizione. "difficile est", posto tra parentesi, indica quasi la presa di parola diretta dell'autore, l'entrata in scena della voce autoriale, che sottolinea quanto ardua e malagevole sia la strada verso la piena coscienza, l'itinerario attraverso il quale l'io si (ri)costruisce, culturalmente, sul piano individuale-privato e su quello sociale-politico. Per un altro verso, sempre in linea con la multiforme polifonia dell'espressione di Sanguineti, il sintagma latino sembra quasi trovare neir"impossibile" seguente (vd. v. 40) la sua fedele traduzione. L'autore trova così il modo di rimarcare, su due piani diversi, la difficoltà dell'azione. È questo il sapore dell'anarchia, il progetto di una "esigenza" di "rivolta" che vuole finalmente diventare rivoluzione. È forte la necessità di cambiare sostanzialmente le cose: il soggetto non può trovare salvezza al di fuori e al di là della realtà concreta e del corpo sociale. L'"Essere" è indissolubilmente legato air"Essere sociale".

1 A. Fresa, La Luna, cit., p. 189, anche per Valles Mortis. 2 L'acqua -ijòcop 9EIOV- aqua permanens ritorna spesso in Jung, Psicologia e Alchimia: "acqua calda acqua fredda acqua/sempre cattiva": peggiore acqua, nel senso di acqua infima, materia prima, ma sostanzialmente, come vedremo nelle note, sul piano lessicale si tratta sia della traduzione in greco di Bad Water sia del rovesciamento di un famoso inno di Pindaro. 3 C.G. Jung, Psicologia e Alchimia, cit., p. 320. Per la figura dello ouroboros vd. C. G. Jung, Simboli della trasformazione, cit., e Psicologia e Alchimia, cit.; E. Neumann, Storia delle origini della coscienza. Astrolabio, Roma 1978 e La Grande Madre, Astrolabio, Roma 1981. Vd. anche nota al v. 1, dove si trova un catalogo. ^ Vd. A. Artaud, Eliogabalo, cit., pp. 13, 55, 61, 68-69, 74,100.

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5 II testo nella traduzione di Albino Galvano è "avere il senso dell'anarchia" (A. Artaud, Eliogabalo, cit., pp. 44-45; vd. anche p. 100 sulla figura di Eliogabalo-anarchico nato. Nel testo francese la citazione precisa si trova in A. Artaud, Oenvres Compietesi Gallimard, Paris, 1982, tomo VII, pp. 41-42 e sull'anarchico nato pp. 83-84). Per le citazioni complete si rimanda alle note. 6 R.H. Marijnissen-P. Ruyffelaere, Bosch, Rizzoli, Milano 1989, p. 53. U n commentatore di Bosch, il frate de Siguenza, precisa "che il pittore ha rappresentato al di sopra del carro di fieno i piaceri carnali, l'orgoglio e la vanità: «y encima assentados los deleytes de la carne, la fama y la ostentaciòn de su gloria y alteza, figurado en unas mugeres desnudas tan(cedilla)endo y cantando, y la fama en figura de demonio alli yunto, co sus alas y trompeta, que publica su gradeza y sus regalos»". Gli uomini, dimenticando Dio, aspirano alla sensualità, alla posizione sociale, all'onore e alla gloria, cose tutte passeggere ed effimere. Nel trittico aperto si può vedere il ciclo di nascita, splendore e castigo del male. 7 A. Artaud, Eliogabdo, cit., pp. 133-134 e 109-110.

3. insistenza sopra il medesimo o-ópopópog Death Valley comprensione della circoscrizione ma irredimibile sopra la medesima insistenza e trasposizione Valles Mortis ma organizzata turisticamente pessima Bad Water uh veramente pessima inferiore sottoelevata in confronto a qualsivoglia giudizio depressa nei riguardi delle relazioni che sono state proposte giudiziosamente delirando sollecitamente istituite dopo il prehminare naufragio mentale i miseri sali della strettezza per il rinvigorimento delle appendici desertiche qui ristagnano non innalzabili le ramificazioni pure redimibili in solitudini

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l'accelerata evocazione delle anime procede mediante l'apparato escretorio per eccellenza che suggella ritualmente il sacrificio dello sperma con l'implorazione e in conclusione con servih supplicazioni il divincolarsi fittizio e cancrenoso delle qualità profetiche nella cavità dei canah auricolari 15 un esaurimento geodetico e nulla piià più nulla prendimi cranio di creta nel tuo litorale orale senza percentuale di umidità ugualmente affogatolo ugualmente xetpioxov Còcop udibile per mormorio (un senso di mistero nel paesaggio) 20 impossibile parlare di due cose (di una c'est avoir le sens de l'anarchie) l'unità di tutte le pozze faticose ne farò cristalline temperature modulati temperamenti qui l'esauriente silenzio è medianico Sinus Medii 25 in una vegetazione marina capillari generativi che subito devono cadere taghati poi gli archetipi le insenature rugose gli insegnamenti delle conche accoghenti per tacere degli alberi che sanno alludere alla crescenza degli anelli terminali dove si introduce l'allacciamento delle nostre cosmografie illuminate che spianeremo in proiezioni rivedibili conformemente modificate cioè reciprocamente con alterna influenza (infine distinzioni separazioni)

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secondo la traccia viziosa del periplo schiumoso delle opinioni qui riposiamo importa dormire adesso giacere importa acqua calda acqua fredda acqua sempre cattiva (difficile est) impossibile costringere in ascensione 40 i cadaveri con i polsi vermicolari possiamo trapassare alla cieca sonnolenza sopra il carro di fieno dove i miei amori sognano e parlano

Note V. 1: oijpopópog. Presentiamo un breve catalogo significativo di queste citazioni, prelevate da C.G. Jung, Psicologia e Alchimia, cit.: - "Il «Drago che mangia la propria coda»" (Ouroboros) come materia di partenza del processo alchimistico, con la Rosa rosso-bianca, la «flos sapientum» (p. 70 fig. 13) - I sei pianeti, uniti nel settimo. Mercurio, rappresentato come Ouroboros e come aquila doppia rosso-bianca (ermafroditica) (p. 80 fig. 20) - Come drago divora se stesso, e come drago muore per risorgere come Lapis. È il gioco di colori della «cauda pavonis» (coda di pavone) e la divisione nei quattro elementi. È l'ermafrodito dell'essere iniziale, che poi si divide nella coppia classica di fratello e sorella, e che si riunisce nella «coniunctio», per poi ricomparire alla fine nella forma luminosa del «lumen novum», del Lapis. È metallo eppure liquido, materia eppure spirito, freddo eppure igneo (I), veleno eppure bevanda salubre, un simbolo unificatore dei contrari" (pp. 320-322) [Questo testo completa la citazione junghiana do)!'Introduzione] - "Si finì coll'interpretare questo spirito come Spirito Santo, in armonia con la vecchia tradizione del Nous che nell'abbraccio della Physis viene divorato dall'oscurità; con la differenza però che ciò che divora non è proprio il principio femminile per eccellenza, cioè la terra, ma invece il Nous sotto forma di Mercurio, oppure dell'Ouroboros, che con la testa divora la propria coda [vedi figg. 147 e altre]; si tratta cioè di uno spirito ctonio, per così dire materiale, di un ermafrodito che ha un aspetto maschile-spirituale e un altro femminile-corporeo" (p. 379) "Il parallelismo di questa contraddittorietà è la duplice natura di Mercurio, che nel processo alchimistico si manifesta nella maggioranza dei casi come Ouroboros, il drago che divora se stesso, si accoppia con se stesso, ingravida se stesso, uccide se stesso e fa risorgere se stesso. Essendo ermafrodito, è composto di contrasti, ed è allo stesso tempo il simbolo della loro unificazione [cfr. fig. 148]. Da un lato è un veleno mortale, un basihsco e un scorpione, dall'altro la panacea e un salvatore" (p. 405). Vd. anche alle pp. 59, 124,147 e segg., 238, 406, 446, 488. -- "Death Valley": luogo desertico della California. L'autore lo gioca in parallelo con la luna. Nella tradizione consolidata di

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paesaggi terrestri visti come simili alla luna, erano solitamente privilegiati i Campi Flegrei, nel napoletano, perché le loro colline e i loro avvallamenti potevano ben rappresentare la parte visibile della luna. La Death Valley è qui anche e soprattutto simbolo del cratere atomico. V. 3: "Valles Mortis" (Valle della Morte) e al v. 25 "Sinus Medii" (Golfo del Centro) sono luoghi lunari (A. Fresa, Ld Luna, cit., p. 189). V. 4: "Bad Water": luogo della Death Valley presso il quale la depressione terrestre raggiunge -86 metri sotto il livello del mare. V. 8: "naufragio mentale" indica la discesa agH inferi soggettiva, della coscienza individuale. w. 11-12: "l'accelerata evocazione delle anime procede mediante Tapparato/escretorio": l'incontro con i morti, i trapassati, i non-nati, avviene significativamente attraverso gli organi che servono per espellere dal corpo le materie superflue. w. 12-13: Il "sacrificio dello sperma" rimanda -come abbiamo già osservato nelVIntroduzione- ai riti della fertilità, ma soprattutto rappresenta un buon esempio di travestimento sanguinetiano, infatti è il risultato di una attenta funzionalizzazione del materiale verbale ddVEliogabalo di Artaud, dove appunto troviamo "culla di sperma", escrementi, mestruo, sperma ed altri liquidi corporali (A. Artaud, Eliogabaloy cit., p. 5 e segg.). V. 15: "cavità dei canali auricolari" e v. 18 "cranio di creta nel tuo litorale orale": il linguaggio si fonda su un lessico che evidenzia i singoli organi, privati del corpo che li dovrebbe contenere; è proprio per questo che abbiamo parlato in Sanguineti di un linguaggio degli organi senza corpo: il corpo umano sezionato è qui ridotto a dato paesaggistico inanimato. V. 19: " x e i p L O T O V i j ò c o p " : la traduzione è "pessima acqua", nel senso anche di infima; c'è sicuramente un rinvio alla prima materia di Psicologia e Alchimia di Jung, ma anche in questo caso -come in quello della citazione foscoliana della sez. 1 - l'autore crea una sorta di neo-formazione, frutto di un processo articolato di travestimento: da un lato è la traduzione letterale in greco di "pessima Bad Water", in modo da creare, per giochi allusivi, una serie di 'armoniche sottese' sull'acqua, che danno vita ad una delle strutture portanti dell'intero componimento; dall'altro è il perfetto rovesciamento ¿¿^inápit della prima Olimpica di Pindaro "Àpiorov \xìv Ijòcop" ("Ottima l'acqua"). Si tratta dell'epinicio per lerone di Siracusa, dove 1'"ottima acqua" esprime di per sé eccellenza assoluta piuttosto che relativa. Che l'acqua sia sorgente prima della vita è nozione molto antica, già rispecchiata in chiave mitica in Iliade XIV, v. 246, dove l'Oceano è definito 6ec5v YBveat^ (origine degli dei), ma anche l'implicita contrapposizione fra l'acqua e gli altri tre elementi canonici (quattro i grandi agoni sportivi, come quattro sono i costituenti basilari del cosmo: acqua/umido, aria, terra, fuoco) tiene forse conto, come già pensavano i commentatori antichi (cfr. lo scolio le in Pindaro, Olimpiche, Rizzoli, Milano 1998, p. 70), della speculazione ionica e del pensiero di Tálete (o almeno dei suoi presupposti). La presenza di Pindaro, anche se rovesciato, non è certamente casuale, infatti Pindaro in quanto figlio della terra tebana è discendente della ninfa acquorea di nome Tebe, nata dal fiume Asopo e dalla ninfa Metope. Dall'acqua alla terra: nella Pitica II si afferma che il poeta avrebbe eretto, a cau-

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sa di una visione della Grande Madre (tema laborintico), una statua in onore della Dea e di Pan davanti alla sua casa. Se si pensa che nella Pitica Vili è presente l'immagine dell'uomo come "sogno di un'ombra", si vede chiara la possibihtà di assimilare Pindaro ai temi tipici dell'alchimia. Attraverso Pindaro si può gettare un ulteriore ponte che ci fa arrivare persino al prediletto (da Sanguineti) Lucini: "Pindaro ha pur cantato l'epinicio, senza stancarsi - né si ebbe per i millenni la voce roca d'infreddatura e di corizza, se giunse tonante insino a noi / «Àpiorov [lïv tìòop...» / per Cerone atleta di Siracusa, vincitore nella Olimpiade settantasettesima. Io, al proposito, ripeterò, se non l'aggettivo di ottimo, l'altro di limpido, parlandovi del Melibeo". {La solita canzone del Melibeo, a cura di G.P. Lucini, Edizioni Futuriste di Poesia, Milano 1910, Notizia del Melibeo, p. 9). V. 21: Siamo giunti al centro del componimento, allo scontro tra principii che genera la vita stessa, e tra questi entra prepotentemente in scena l'anarchia. Il testo francese è prelevato direttamente dalla conclusione della prima parte di Eliogabalo di Artaud: "Ce monothéisme, ensuite, il l'introduit dans les oeuvres. Et c'est ce monothéisme, cette unité de tout qui gêne le caprice et la multiplicité des choses, que j'appelle moi, de l'anarchie. Avoir le sens de l'unité profonde des choses, c'est avoir le sens de l'anarchie, - et de l'effort à faire pur réduire les choses en les ramenant à l'unité. Qui a le sens de l'unité a les sens de la multiphcité des choses, de cette poussière d'aspects par lesquels il faut passer pour les réduire et les détruire. Et Héhogabale, en tant que roi, se trouve à la meilleure place possible pour réduire la multiplicité humaine, et la ramener par le sang, la cruauté, la guerre, jusq'au sentiment de l'unité" (A. Artaud, Oeuvres Complètes, cit., pp. 41-42; il grassetto è nostro. Trad.: "Questo monoteismo, in seguito, lo introduce nelle opere. Ed è questo monoteismo, questa unità di tutto che disturba il capriccio e la molteplicità delle cose, che io chiamo anarchia. Avere il senso dell'unità profonda delle cose, è aver il senso dell'anarchia, - e dello sforzo da compiere per ridurre le cose riconducendole alla unità. Chi ha il senso dell'unità ha il senso della molteplicità delle cose, di quella polvere d'aspetti attraverso cui occorre passare per ridurle e distruggerle. Ed Eliogabalo, in quanto re, si trova nel mighor posto possibile per ridurre la moltephcità umana, e ricondurla col sangue, la crudeltà, la guerra, fino al sentimento dell'unità". A. Artaud, Eliogabalo, cit., pp. 44-45, trad. di A. Galvano). Citiamo ancora Artaud: "Mais ce qui beaucoup plus que l'Androgyne apparaît dans cette image tournante, dans cette nature fascinante et double qui descend de Venus incarnée, et dans sa prodigieuse inconséquence sexuelle, image ellemême de la plus rigoreuse logique d'esprit, c'est l'idee de l'ANARCHIE. Héhogabale est un anarchiste-né, et qui supporte mal la couronne, et tout ses actes de roi sont des actes d'anarchiste-né, ennemi public de l'ordre, qui est un ennemi de l'ordre public; mais son anarchie, il la pratique d'abord en lui-même et contre lui-même, et l'anarchie qu'il apporte dans le gouvernment de Rome, on peut dire qu'il prêche d'exemple et qu'il l'a payée le prix qu'il fallait.". (A. Artaud, Oeuvres Complètes, cit., pp. 83-84, vd. anche p. 108. Trad.: "Ma ciò che ben più che l'Androgino appare in questa immagine rotante, in questa natura affascinante e doppia che discende da Venere incarnata, e nella sua prodigiosa inconseguenza sessuale, immagine essa stessa della più rigorosa logica dello spirito, è l'idea dell'ANARCHIA. Ehogabalo è un anarchico-na-

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to, che sopporta male la corona, e tutti i suoi atti di re seno gli atti di un anarchiconato, nemico pubblico dell'ordine, che è un nemico dell'ordine pubblico; ma la sua anarchia, egh la pratica prima di tutto in se stesso e contro se stesso, e l'anarchia che introduce nel governo di Roma, si può ben dire che la predica con l'esempio e che l'ha pagato il prezzo dovuto." A. Artaud, Eliogabalo, cit., pp. 99-100, vd. anche p. 131). Vd. anche P. Zublena, Uombra del santo anarchico Artaud nel Labirinto, in Album Sanguineti, a cura di N. Lorenzini e E. Risso, Manni, Lecce 2002, pp. 215-219. A questo punto, la lotta tra i contrari, iniziata con l'alchemico ouroboros, si risolve proprio in questa anarchia, e cioè nel piano concreto della prassi. w. 26-30: "vegetazione marina": la situazione post-atomica è quella di una flora desolatamente liquida, ridotta ad alga, "capillari generativi": parallelo tra il corpo umano e la flora sottomarina, v. 28 "gh archetipi": rimando diretto a Jung. v. 29 "insenature rugose" e v. 30 "conche accoghenti", "alberi che sanno alludere": sovrapposizione tra il corpo umano e la desolazione topografica, paesaggistica. V. 35: "(infine distinzioni separazioni)": la divisione è l'inizio generativo, è la nascita del caos, che mette in moto il meccanismo incessante di trasformazione. w . 37-38: "qui riposiamo/importa dormire adesso giacere importa": il tema è quello centrale del sonno, del vivere dormendo. Vd. sez. 4, v. 9 ("vivo quando dormo"). V. 39: "acqua calda acqua fredda acqua": anche il circuito della "pessima acqua" compie il suo movimento perfettamente circolare, cioè innesca un movimento di diversi stati e stadi: Bad Water-xeipicrtov ijòcop-acqua calda, acqua fredda, ecc. Su un altro versante, per così dire basso, il gioco rimanda, allusivamente e ironicamente, alle indicazioni sui rubinetti. V. 40: "(difficile est"): è arduo, è difficoltoso. Voce autoriale che mette in guardia il lettore sulla difficoltà del percorso che conduce ad una cosciente (e culturale) costruzione dell'io. La parentesi serve ad aprire una metalessi e il latino (terza persona singolare e impersonale) sottolinea la pregnanza semantica del messaggio. V. 41: "i cadaveri con i polsi vermicolari": polsi vermicolari è termine medico ed indica un polso dal battito debole e frequente; è caratteristica di questi cadaveri, di questa situazione vicina alla morte, di morte. Decomposizione del corpo morto e vita che nasce in forme infime proprio da questa materia organica in lenta disgregazione. Infatti il "vermicolari" rimanda, sul piano del significante, ai vermi e cioè all'idea della putrefazione della morte ma anche alla putrefazione come germe di una nuova vita. V. 42: "trapassare alla cieca sonnolenza": ritorniamo al sonno, allo stato tra il sonno e la veglia. V. 43: "sopra il carro di fieno dove i miei amori sognano e parlano": come già osservato nel quadro di introduzione al testo, il riferimento diretto è al trittico di Bosch Il carro di fieno, del quale Sanguineti ci descrive una ridotta porzione e ci propone un particolare, gli amori che sognano e parlano, ma la situazione testuale rende lecito anche il rinvio alla morte di Ehogabalo. In un rapporto di intertestualità interna all'opera di Sanguineti, ritroveremo questo tema, molti anni dopo, nella sez. 6 de Uultima passeggiata: "tirami tutti i sassi, o tu che pazza passi, sopra il fieno/del tuo carro che corre" (E. Sanguineti, Il gatto lupesco, Feltrinelh, Milano 2002, p. 76).

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SEZIONE 4

Introduzione La quarta sezione di Laborintus è caratterizzata da un dialogo, obliquo e imperfetto: infatti è presente un 'io' che parla e che si rivolge direttamente al nuovo protagonista, Laszo, con il quale interagisce anche un altro personaggio, Ruben. Abbiamo già rilevato come la forma 'Laszo' non esista, essendo una trasformazione di Laszlo; in questo modo, anche nell'ambito dell'onomastica, Sanguineti trancia decisamente e sul nascere ogni rapporto con un'idea naturalistica del realismo, visto come fedele riproduzione mimetica. Per un gioco dei piani della comunicazione, Laszo talvolta diventa un 'tu' che, da destinatario, si fa voce, focalizzazione privilegiata. Ruben viene esemplificato, come dato minimo e di partenza, su uno dei lettori-collaboratori di Sanguineti^ ma, gettando davvero un ponte nascosto e puntando su una armonica sottesa, in lui paiono risuonare anche echi del Giuseppe e i suoi fratelli di Thomas Mann^, dove Ruben sconta sostanzialmente la colpa di Edipo: egh è il maggiore dei fratelli di Giuseppe ed è il suo salvatore, ma per il suo temperamento impetuoso, per la sua incapacità a controllare i sensi, si unisce a Bilha, moghe prediletta di Giacobbe, dopo la morte di Rachele; è definito non a caso "Drago del caos", "spudorato ippopotamo", e ha, in Laborintus, il compito di portare Laszo verso il trattamento psicoterapeutico. Laszo e Ruben sono messi sullo stesso piano e impastati con figure mutuate direttamente da Psicologia e Alchimia; si mescolano in pratica con personaggi che vengono creati dal paziente stesso alle prese con la soluzione dei suoi conflitti; il tentativo di interpretare la realtà scatena un'infinita produzione simbohca dell'immaginario. In stretta connessione con il "re" del v. 1, in Psicologia e Alchimia è presente un capitolo intitolato "Re e figho di re": Come nella Hyle, il nocciolo di fuoco è celato, così nelle oscure profondità dell'acqua del mare giace il figlio del Re, come se fosse esanime; ciononpertanto egh vive e invoca dalla profondità: "Chi mi libererà dalle acque e mi porterà allo stato secco, sarà ricompensato con ricchezze sempiterne (perpetuis)". Il rapporto col "rex marinus" della Visio Arislei è trasparente. Arisleo racconta delle sue avventure presso il "rex marinus", nel cui regno nulla prospera e nulla si riproduce. Infatti nel suo regno non ci sono filosofi. Vengono mescolate soltanto cose

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della stessa specie e di conseguenza non ha luogo alcuna creazione. Ora, dietro consiglio filosofico, il Re deve accoppiare Thabritius con Beya, i suoi due figh che egh ha portato nel cervello.^

Il tema è quello deirincesto, e la sez. 4 è strettamente legata, in un gioco di forte intertestualità interna, alla sez. 16, dove l'iscrizione della figura 167 di Jung ritorna come basso continuo ad introdurre nuovamente, neWexplicit, il re. Jung prosegue: In quanto il Re è «exanimis» (senza anima) o la sua terra è sterile, ciò significa che lo stato celato, è uno stato di latenza e di potenzialità. L'oscurità e la profondità marine non significano altro che lo stato inconscio di un contenuto che viene proiettato in modo non visibile. In quanto un contenuto di questo genere appartiene alla totahtà della personahtà, e soltanto apparentemente è distaccato dall'insieme per proiezione, esiste sempre un'attrazione tra la coscienza e il contenuto proiettato. Quest'attrazione si presenta di sohto in forma di fascino. L'allegoria alchimistica esprime questo fatto col grido di soccorso del Re, che parte dalle profondità di questa condizione scissa e inconscia. La coscienza dovrebbe dar seguito a questo grido; si dovrebbe «operavi regi», rendere il servizio al Re; ciò infatti non sarebbe soltanto saggezza, ma anche la salvezza. Ma questo implica la necessità di discendere nel mondo oscuro dell'inconscio, l'azione rituale di una Kaxápaoig elg ^vrpov, l'avventura del viaggio notturno sul mare, il cui fine e la cui fine sono la ricostituzione della vita, la risurrezione e il superamento della morte. Arisleo e i suoi compagni rischiano l'impresa, che in un primo tempo finisce con una catastrofe, e precisamente con la morte di Thabritius. Questa morte è la punizione per l'incestuosa «coniunctio oppositorum». La coppia fratello-sorella è un'allegoria dell'idea dei contrari in genere. Quest'idea viene rappresentata con molte variazioni, come secco-umido, caldo-freddo, maschile-femminile, sole-luna, oro-argento, mercurio-zolfo, rotondo-quadrato, acqua-fuoco, volatile-pesante, corporeo-spirituale ecc. Il «regius filius» è una forma ringiovanita del Re-padre. Uadolescente viene rappresentato spesso con una spada, e significa lo spirito, il padre invece il corpo. In una variante della «Visio», la marte del figho avviene in modo che durante il coito egli sparisce completamente nel corpo di Beya. In un'altra rappresentazione è il padre che lo divora, o il sole affoga nel Mercurio o viene ingoiato dal leone. Thabritius è il principio maschile, spirituale, della luce e del Logos, che come lo gnostico voug, sprofonda nell'abbraccio della physis. Il caso di morte è dunque l'avvenuta discesa dello spirito nella materia. Quanto c'è di peccaminoso in quest'avvenimento è stato, è vero, rappresentato spesso dagli alchimisti, ma a quanto sembra

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senza essere stato completamente compreso (?); per questa ragione razionalizzano o bagatellizzano l'incesto, che in sé è riprovevole/

Se Laszo è una figura solare ("oscilla all'Eldorado Club"), Ruben è il Filius Hermaphroditus, cioè l'unione, nel vaso mistico, di due nature, l'Ermete Psicopompo, il Lapis, VOuroboros. Nei Novissimi, Giuliani integra così Jung, delineando la situazione della sez. 4: Il re è una figura archetipica dell'allegoria alchemica, simbolo dell'inconscio che si fa strada verso la coscienza (cfr. Edipo, Lear, Dhritaràshtra). Il suo regno è sterile e cela uno stato di potenzialità finché egli non genera dal proprio cervello un figlio e una figlia destinati alla coniunctio oppositorum. "Filius Hermaphroditus" simbolizza la totalità, l'androginia primitiva della divinità lunare (nasce alchemicamente dal matrimonio del sole e della luna): è l'oiLjpopôpoç, il figlio che diviene il proprio padre (o il re che genera il proprio figlio), cioè l'archetipo della ripetizione della nascita. L'intera sezione è intessuta di simboli alchemici (la gola d'oro, il vaso della ricostituzione, ecc.); Laszo, il protagonista, è una pallida incarnazione del sole (balla all'Eldorado Club); la "morte impropria" è la discesa agli inferi per trovare l'amore lunare, l'argento vivo "quod occidit et vivere facit", la pietra filosofale. "Le but de la véritable alchimie est d'éveiller ce qui dort, de faire ruisseler l'eau prionnière das la terre. En d'autre termes, le sens de l'alchimie est de réveiller la princesse endormie qui se trouve au plus secret de l'âme" (M.M. Davy, Essai sur la symbolique romain).^

Al verso 8 appare il termine veKiJia, che indica e sottolinea lo sprofondamento tipico della discesa agli inferi vera e propria; dopo l'antinferno, si scende nei gironi infernali e nella Palude Stigia: tutto il testo, che, in maniera significativamente circolare, si apre sul "re e lo scheletro del re" e si chiude sul "figlio insolubile/del re e lo scheletro enigmatico/sempre del re" —cioè sul tema della coniunctio oppositorum e sulla resurrezione, sul trionfo della morte, che rappresentano poi un processo di conoscenza-, è incentrato sul problema della trasformazione e della conoscenza, cioè sul rendere la coscienza chiara a se stessa; questo processo, attraverso Jung, viene affidato alla citazione dal Rosarium Philosophorum, il cui autore anonimo è un vero e proprio 'filosofo' che pare rendersi conto che non si tratta di una volgare fabbricazione dell'oro, ma di un segreto filosofico. Di una formazione che è trasformazione, dalla rivolta alla rivoluzione.

Al centro di questo primo tassello del processo di mutazione, di discesa

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agli inferi per conoscere e risalire (dalla catabasi nella grotta al sole della sapienza, dell'avventura, momento topico di ogni Bildung), sta un'autodefinizione autoriale della voce che parla, di chi, antinarrando, dice "io": "noi les objets à réaction poétique" (v. 16), ma anche un richiamo alla cerchia dei lettori dell'inizio degh anni cinquanta. Sanguineti autodefinisce, prima di tutto, la voce al plurale, con un noi veramente polifonico e immediatamente precisato dal sintagma "les objets à réaction poétique" (oggetti a reazione poetica). Questa frase, che parrebbe uscita dal poema di un surreahsta, o megho, di un dadaista, è invece -devo la prima traccia per individuare la citazione all'amico Massimo Pastorelli- di Le Corbusier^, che con questa formula designava gh oggetti naturah che amava raccogliere: "La loro forma naturale, o l'azione levigatrice, plasmatrice, di forze naturah che aveva modellato le loro forme erano suggerimenti per la sua opera artistica, per la forma di essa."^ Per trasposizione, in Sanguineti questi oggetti indicano, da un lato, la cosificazione incessante, per forza di alienazione, dell'umano, dall'altro la peculiarità della nostra voce (e forse del nostro autore?) di reagire immediatamente, come un composto chimico, a contatto con la scrittura. In questo componimento l'autore definisce le coordinate e la stessa griglia della ricerca semeiotica, della conoscenza; ci si chiede se incidere sulla scrittura e con la scrittura sia anche un modo di intervenire sul mondo attraverso una pratica di linguaggio, dove il corpo si manifesta come eros e l'eros come corpo frantumato, in un contesto materiale e reale sull'orlo -almeno così appare, per forza di storia- dei "funghi fumosi": si pongono le condizioni per dichiarare che la complicazione è una necessità in re. Nella sez. 4, quindi, sul piano della struttura, si crea un passaggio continuo tra la voce narrante (autoriale), quasi un autocommento, e i diversi protagonisti.

1 Per ulteriori informazioni su Laszo e Ruben si rimanda al paragrafo 6 di Anarchia e Complicazione, 2 Per questo legame e rapporto rimandiamo al capitolo di Elisabetta Baccarani "Ruben, il «Drago del Cat>s»", in E. Baccarani, La poesia nel labirinto. Il Mulino, Bologna 2002, pp. 157-159. ^ C.G. Jung, Psicologia e Alchimia, cit., pp. 358-360. ^ Idem, pp. 360-363. 5 1 Novissimi, cit., pp. 101-102. Per la complessa figura del re si rinvia anche a M. Bloch, I re taumaturghi, Einaudi, Torino 1973. ^ È molto probabile, anche se non contiene la nostra citazione, che Sanguineti abbia letto Le Corbusier, a cura di G. De Carlo, Rosa e Ballo, Milano 1945, visto che.

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per dichiarazione autoriale si tratta di una collana da lui molto frequentata in gioventù: "[...] un po' a profitto dei giovani dell'oggidì, vogho ricordare altre letture d'epoca, per esempio, la traduzione dei Canti di Maldoror di Fabrizio Onofri, Universale Einaudi n. 41, anno 1944, e il volume Lautréamont, a cura di Ferdinando GioUi, D o cumenti d'Arte Contemporanea di Rosa e Ballo Editori, Milano 1945" ("Le linee della ricerca avanguardistica", in E. Sanguineti, Ideologia e Linguaggio, a cura di E. Risso, Feltrinelh, Milano 2001, p. 195). 7 Cit. in F. Tentori, R. De Simone, Le Corbusier, Laterza, Bari 1987, p. 242.

6. e mentre ancora combattono il re e lo scheletro del re con storica ironia di costumi correlati mentre mi appresto alla prefazione improbativa nell'anno della grande monomania e Laszo oscilla all'Eldorado Club con la gola d'oro solitaria vaso della ricostituzione a scadenza itinerarium rapidamente ballabile tu Ruben che sei il garantito visionario Filius Hermaphroditus in putrefazione ma in questa véKDia senza risorse acqua senza coscienza dico (vivo quando dormo) lasciati vivere lascia che la vita scorra sopra di te (vivo quando dormo) con l'epidermide intiera tocchiamo terra che sarò nella pioggia e nel vento che la luna non entra nell'acquario ma asciutta occidit et vivere facit noi les objets à réaction poétique riportiamo un linguaggio a un senso morale che sarò nella lettura discreta del barometro nel dubbio della metalessi tenace ma in questa morte impropria dove l'amore non est aurum vulgi Laszo implicazione dell'indifferente equilibrio della tua anima erano appunto le propaggini propedeutiche della mia vita (aspettando la mia vita) che intendevo illustrare (passerò oltrepasserò la mia vita) terra dell'intelletto pratico fatalmente abortivo ottimamente daremo al mondo il giusto aspetto quando saranno in ingegnosa congiunzione il figlio insolubile del re e lo scheletro enigmatico sempre del re

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Note V. 1: "Il re e lo scheletro del re", che ritorna ai w. 29-31 ("il figho insolubile/del re e lo scheletro enigmatico/sempre del re") e nella sez. 16, è ripreso da un capitolo di Psicologia e Alchimia di Jung (C.G. Jung, Psiocologia e Alchimia, cit., p. 358). Come osserva Vitiello (C. Vitiello, Teoria e tecnica dell'avanguardia, cit., pp. 151-152): "nelle oscure profondità dell'acqua del mare giace il figlio del Re, come se fosse esanime... il rapporto col 'rex marinus' della 'Visio Arislei' è trasparente. Arisleo racconta delle sue avventure presso il 'rex marinus', nel cui regno non ci sono filosofi. Vengono mescolate solo cose della stessa specie e di conseguenza non ha luogo alcuna creazione. Il Re deve accoppiare Thabritius con Beye, i suoi due figli che egh ha partorito nel cervello"; e p. 362 "Il 'regius filius' è xanz forma ringiovanita del Re padre. L'adolescente viene rappresentato spesso con una spada e significa lo spirito, il padre invece il corpo". Per Cadioli questo verso va messo, giustamente, in relazione con il v. 9 della sez. 12, "il re di Danimarca era notoriamente incredibilmente alto", cioè con Amleto: "l'affinità tra Laszo e Amleto si spiega, tra l'altro, con l'immagine alchemica dell'assassinio (mortificatio) del re", in A. Cadioh, Citazione e Allusività in Laborintus di Edoardo Sanguineti, in «Contemporanea», 2, 2004, p. 28. "con storica ironia" è una dichiarazione completa di metodo: da un lato il riferimento è al materiahsmo storico e dialettico, dall'altro all'ironia che, da Pirandello a Breton, dà vita a un comico e a un grottesco da humour nero. Su un altro piano, è un riferimento al modo di dire "ironia della sorte". V. 2: "di costumi correlati": il re e lo scheletro si completano anche visivamente per l'abbighamento e la gestuahtà. ~ "improbativa": in retorica è il termine tecnico che indica il discorso che serve a disapprovare. È la traduzione di un termine presente anche in Dante che nella Lettera a Cangrande scrive: "Forma sive modus tractandi est poeticus, fictivus, descriptivus, digressivus, transumptivus, et cum hoc diffinitivus, divisivus, probativus, improbativus, et exemplorum positivus" (trad: "la forma o maniera del modo della trattazione è poetica, fittiva, descrittiva, digressiva, transuntiva e insieme definitiva, divisiva, probativa, improbativa ed esemplificativa"), in D. Ahghieri, Opere Minori, Tomo II, Ricciardi, Milano-Napoh 1979, pp. 614-617. Questa piccola traccia pare anche introdurre la presenza dantesca della Lettera a Cangrande che informerà di sé la sez. 5. V. 3: "nell'anno della grande monomania": è il 1951 e la monomania è la foga di scrittura, poiché nei primi sette mesi dell'anno Sanguineti compone le prime 15 sezioni di Laborintus, più della metà dell'opera. Si tratta di un esempio di quello che abbiamo definito una sorta di autocommento. "Laszo all'Eldorado Club": simbolo del sole. V. 4: "con la gola d'oro sohtaria vaso della ricostruzione": simboh alchemici della trasformazione, l'oro e il vaso, il prodotto finale e il luogo segreto, giardino filosofico in cui sorge e s'innalza il sole. Il vaso dei filosofi è il vaso mistico nel quale si uniscono le due nature (Sole e Luna). V. 5: "a scadenza itinerarium": il riferimento è al processo di formazione, alla quête. Per associazione, si pensa a quella zona di riscrittura ben rappresentata àdXVltine-

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rarium mentis in Deum di Bonaventura da Bagnoregio, che ci indica la strada per raggiungere Dio. Qui naturalmente la prospettiva è laica, si forma e si risolve nella prassi. ~ "rapidamente ballabile": completa la scena di Laszo all'Eldorado Club, di un uomo che balla nel sole. Conferisce il tono iroico a "itinerarium". V. 6: "tu Ruben": entra in gioco il nuovo personaggio. V. 7: "che sei il garantito visionario Filius Hermaphroditus in putrefazione": definizione di Ruben, colui che vede, sorta di Tiresia, ma anche prodotto, a sua volta, della coniunctio oppositorum con qualche reminiscenza deWHermafrodito di Savinio. "In putrefazione" sta a segnalare il suo stato chimico materiale di continuo movimento, di cambiamento di stato. ~ "ma in questa véKuia senza risorse": l'autore dichiara, a chiare lettere, che l'attraversamento della palude è una discesa agh inferi, una catabasi nella profondità: in Psicologia e Alchimia (p. 68), Jung scrive: "In modo analogo, all'inizio della Nekyia nel Poliphile, compaiono le vergini seduttrici. Una figura simile è la Melosina di Paracelso". E in nota: "Nekyia, véKuia da véKug (cadavere), titolo dell'I 1° canto deir«Odissea», è il sacrificio funebre per evocare dall'Ade i defunti. Nekya è dunque un termine adatto per il Viaggio nell'Ade', per la discesa nel mondo dei morti, ed è usato in questo senso anche da Dieterich (1913) nel suo Commento al Codice di Akhmim, che contiene un brano apocalittico del Vangelo di Pietro [...]. Tipiche sono la «Divina Commedia», la «Notte di Valpurga» 'classica' del «Faust», i viaggi all'inferno di Cristo". A p. 163: "Si può dunque dire che lo sviluppo regressivo si rifà fedelmente il cammino storico per giungere sul livello precristiano. Non si tratta quindi di una ricaduta, ma per così dire di una discesa sistematica «ad inferos» [...], di una Nekya psicologica". Il rimando diretto è al v. 11 della sez. 3: "l'accelerata evocazione delle anime" qui trova completamento e realizzazione. V. 9: "acqua senza coscienza": opportunamente Vitiello osserva (C. Vitiello, Teoria e tecnica dell'avanguardia, cit., p. 152): "In Psicologia e Alchimia p. 366: «Lo scopo della discesa (cioè la véKuta) è caratterizzato molto in generale dal fatto che in quella zona pericolosa (profondità dell'acqua, caverna, bosco, isola, castello) si trova il "gioiello difficilmente ottenibile" (tesoro, vergine, elixir di vita, superamento della vita, ecc.)»." Acqua-inconscio apre il discorso sul verso successivo. w. 10-11: "(vivo quando dormo) lasciati vivere/lascia che la vita scorra sopra di te (vivo quando dormo)": da un lato l'acqua rimanda al nuoto di Laborintus 1, dall'altro anticipa Stracciafoglio 3 con il suo "nuotare naturalmente dentro/la storia". Nel sonno, l'inconscio è sempre attivo, l'immaginazione produce il sogno rivelatore, per questo si vive di vera vita, quando la vita scorre sopra. In Vitiello, cfr. soprattutto p. 91, "l'acqua è un simbolo eccellente di ciò che è vivo nell'essenza dell'anima. Gli antichi alchimisti [...] la chiamavano 'l'acqua nostra', anche il 'mercurius vivus', l"argentum vivum', il 'vivum ardens', l"aqua vitae', il 'succus lunariae'". A questa citazione si può connettere, oltre all'acqua, anche la voce "luna" del v. 13. (vd. sez. 8). V. 12: "con l'epidermide intiera tocchiamo terra": con l'epidermide, l'autore indica il corpo, di modo che la frase indica i corpi distesi a terra; è, in quanto parte per il tutto, una sineddoche. w. 13-14: "che sarò nella pioggia e nel vento che la luna non entra/nell'acquario ma asciutta": l'indicazione è spaziale e temporale (nella pioggia e nel vento), nel mo-

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mento cioè in cui la luna entra astrológicamente in Acquario. l\ tema è quello dell'influsso rigeneratore della congiunzione sole/luna sul bagno. Vd. w. 10-11. Riprende anche un modello medioevale per cui le indicazioni astronomiche danno l'idea del tempo. V. 15: "occidit et vivere facit": in Psicologia e Alchimia, il Rosarium Philosophorum dice (alla p. 96): "Quia lapis noster scilicet argentum vivum occidentale, quod praetulit se auro et vicit illud, est illud quod occidit et vivere facit'' ("Perché la nostra pietra, cioè l'argento vivo occidentale, che si è posta sopra l'oro e lo ha vinto, è quella che uccide e fa vivere"). Il movimento e la mutazione sono le cose che contemporaneamente fanno morire e vivere, innescando un processo di continui passaggi di stato. Il morire non è un distruggersi, bensì arrivare a una fase che permetta una nuova nascita. V. 16: "noi les objets à réaction poétique" (noi gli oggetti a reazione poetica) È uno dei nuclei del testo (vd. Introduzione). È una frase di Le Corbusier; la fonte diretta di Sanguineti può essere qualunque rivista o saggio. In Le Corbusier lui-même, l'autore detta a Jean Petit la propria carta d'identità. "Val la pena di citarne l'ultima parte: 'PROFESSIONE: architetto o, a scelta, urbanista, pittore, poeta, filosofo [...]. SEGNI PARTICOLARI: incapace di compromessi, di astuzie o di intrighi, burbero, delicato, feroce all'occorrenza, disinteressato. Ama il nuoto, le 'gniole' (ossia l'acquavite, nel dialetto lionese), e le buone millanterie con gli amici. MEZZI DI L O C O M O Z I O N E : il métro, il taxi e l'aereo [...] C O L L E Z I O N I : pietre, ciottoU, radici, conchiglie, ossa, foglie, - che egli definisce 'oggetti della reazione poetica', quadri di un pittore naif [...] GUSTI PARTICOLARI: il lavoro" ( F Tentori, R. De Simone, cit., p. 29). E alle pp. 164-165 dello stesso libro: " A partire dal 1918 la ricerca pittorica di Le Corbusier si sviluppa attorno a pochi temi. Egli osserva e restituisce sulla tela, bicchieri, bottiglie, piatti, libri, pipe..., 'rivelando' nelle sue composizioni pittoriche le valenze plastiche degli oggetti comuni della vita quotidiana. Poi, a questo vocabolario purista, comincia ad aggiungersi, dalla seconda metà degli anni '20, un repertorio di 'oggetti' naturali, ciottoli, conchiglie, ossa animali, 'objets à réaction poétique' che per le loro forme, le loro dimensioni, le loro materie, e la loro possibilità di conservazione sono capaci di occupare il nostro spazio domestico, come un ciottolo deposto dall'oceano o un mattone spezzato, arrotondato dalle acque del lago o di un torrente"; {Le Corbusier lui-même, p. 178). Questo mondo di 'oggetti banali' circonda le riflessioni di Le Corbusier. Osservati, decostruiti, ricomposti nella sua ricerca estetica, questi oggetti rivelano 'qualità inattese'. In un Glossario, posto in fondo al volume, la voce Objets à réaction poétique ribadisce e puntualizza il concetto: "Oggetti naturali (conchiglie, radici, pietre) che Le Corbusier amava raccogliere. La loro forma naturale, o l'azione levigatrice, plasmatrice, di forze naturali che aveva modellato la loro forma erano suggerimenti per la sua opera artistica, per la forma di essa. Secondo alcuni critici, questa componente di Le Corbusier derivava dal movimento Dada, ma è un fatto che la trasposizione di oggetti d'uso comune in composizioni che significano altro, è tipica di grandi artisti contemporanei: Picasso in pittura e scultura, Pound e Eliot in poesia, ecc." (p. 242). Con 'objets à réaction poétique' viene anche comunemente indicata la fase 1928/1940 di Le Corbusier, con studi di nudi femminili, oggetti, disegni che rappresentano donne incontrate nei viaggi. Sanguineti ricorre a questo lacerto

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di Le Corbusier per portare su un versante materiale e concreto il concetto surrealista dell'oggetto (vd. Anarchia e Complicazione), staccandosi, in maniera inequivocabile, da ogni possibile funzionamento esclusivamente simbolico, in cui il gioco onirico pare infinito e destinato alla deriva incontrollata dei sensi e dei significati. Un esempio primitivo di travestimento per definire con chiarezza la linea. V. 17: "riportiamo un linguaggio a un senso morale": il rifiuto della deriva onirica in nome della ricerca di un'etica della prassi, elemento fondante di una ideologia che si reahzzi immediatamente e inevitabilmente in un linguaggio, appunto con "senso morale". V. 18: "lettura discreta del barometro": frase di ascendenza musiliana, quasi una ripresa trasformata àcWincipit àtWUomo senza qualità: "Sull'Atlantico un minimo barometrico avanzava in direzione orientale incontro a un massimo incombente sulla Russia, e non mostrava per il momento alcuna tendenza a schivarlo spostandosi verso Nord" (R. Musil, Uuomo senza qualità, Einaudi, Torino 1972, p. 5). w. 18-19: "nel dubbio/della metalessi tenace": continuo cambio di piani e di situazioni; il dubbio sottolinea la mancanza di certezza, le difficoltà. La metalessi indica sia la figura retorica dello scambio di un termine con un altro, attraverso una catena metaforica, sia lo scambio di piani, inteso come la presa di parola autoriale. ~ "morte impropria": indica non l'annullamento ma il cambio di stato. V. 20: "l'amore non est aurum vulgi": in Psicologia e Alchimia (p. 93-95) "il fulgore dorato del Sole dovette adattarsi a discendere, e trovò la sua analogia nel fulgore dell'oro terrestre, che, almeno per gh Spiriti più sottih, era lontano dalla grossolana materialità del metallo". La nota nella stessa pagina, riferendosi al Rosarium Philosophorum, dice: "Aurum nostrum non est aurum vulgi" (il nostro oro non è quello comune, del volgo). Attraverso la citazione, Sanguineti presenta quest'amore come una sorta di riedizione di Amor e cor gentile, secondo le teorie di un amore raffinato e selezionato, non per il volgo. Echi di questo passo si rintracciano anche nei w . 3-4 "Laszo oscilla all'Eldorado Club/con la gola d'oro", dove ritorna il tema dell'oro. V. 21: "Laszo imphcazione dell'indifferente equilibrio della tua anima": Laszo è così frutto del proprio inconscio, dei continui scontri che avvengono nel profondo, è un'inevitabile implicazione, in quanto propriamente sviluppo e conseguenza di questi processi. w. 22-23: "erano appunto le propaggini propedeutiche della mia vita/(aspettando la mia vita) che intendevo illustrare": il progetto di scrittura è chiaro: la voce intende non descrivere o narrare ma illustrare, in una antinarrazione per immagini, l'ultima fase dei suoi Lehrjahre, della sua formazione, in attesa della vita vera da passare al vaglio. w. 24-25: "(passerò oltrepasserò la mia vita)/terra dell'intelletto pratico": la dichiarazione di poetica autobiografica è immediatamente corretta qui dall'intenzione di superare la vita singola e personale: con "terra dell'intelletto pratico", Sanguineti supera le definizioni tradizionah di intelletto, che abbiamo preso in considerazione in particolare nella sez. 2, per parlarci di una capacità intellettiva poetica, cioè in grado di interpretare il dato concreto, reale. Intelletto della e nella prassi. w . 26-27: "fatalmente abortivo/ottimamente": con un termine medico quasi pro-

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vocatorio, "abortivo", l'autore ci informa che il suo progetto non si stava realizzando, T"ottimamente" però ci fa intuire che la mancata realizzazione del programma originale non è una riduzione ma permette un positivo allargamento delle prospettive. V. 28: "daremo al mondo il giusto aspetto": uno dei punti focali dell'intera composizione; il superamento del soggetto come essere singolo porta alla chiara prospettiva di una rivoluzione per cambiare il mondo. I vv. 27-28 della sez. 2 ("questa rivolta non avrà fine") trovano qui il loro completamento, il programma è quello di passare, con un necessario quanto difficile salto di qualità, dalla rivolta alla rivoluzione. Viene spazzata via anche la minima ombra di un ribellismo romantico e bohémien: "l'esigenza" è quella di dare "al mondo" (sez. 2, v. 27) "il giusto aspetto" (sez. 4, v. 28). w . 29-31: "quando saranno in ingegnosa congiunzione il figlio insolubile/del re e lo scheletro enigmatico/sempre del re": la renovatio mundi avverrà nel momento in cui ci sarà la congiunzione, nel senso di accoppiamento, degli opposti: il testo ritorna, in maniera perfettamente circolare, alla situazione iniziale (ai w. 1-3). La rivoluzione si realizza attraverso un incessante e permanente movimento di morte e di nascita, una sorta di continua rigenerazione (vd. l'intera sez. 16). ~ Il sintagma "figHo insolubile" rimanda immediatamente, secondo le logiche delle armoniche nascoste, al Poisson soluble (pesce solubile) di Bretón (A. Bretón, Manifeste du Surrealisme. Poisson Soluble, Editions du Sagittaire de Simon Kra, Paris 1924, ora in A. Bretón, Oeuvres completes, voi. I, cit.) Anche in questo caso il rimando è sapientemente rovesciato, secondo una pratica tutta sanguinetiana della trasformazione, del mutare per nascondere e soprattutto per rifunzionalizzare. Si tratta di proto-travestimenti.

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SEZIONE 5

Introduzione Con la sez. 4 si è concluso il primo momento di Laborintus (antinferno e prima fase della discesa), nel quale sono state definite le coordinate spaziotemporali e posati i binari sostanziali della fabula, con i diversi protagonisti dell'intreccio; con la sez. 5, che costituisce anche un momento di passaggio e di transizione, ci inoltriamo nella seconda fase (vd. paragrafo 2 di Anarchia e Complicazione). Del resto la possibilità di una segmentazione del "poemetto", laico e politico, era già stata rilevata, con acutezza, da Niva Lorenzini, che scrive: Le ventisette stazioni che costituiscono il poemetto si possono riunire in almeno 4 gruppi, ognuno dei quali possiede caratteristiche strutturali e linguistiche ben definite, pur rimanendo inseparabile dal contesto globale, pena la comprensione distorta di queste stesse caratteristiche che solo nella visione unitaria ottengono una collocazione e una significazione compiuta.^

La sospensione della narrazione non evenemenziale, caratterizzata dall'accumulo di elementi, è rappresentata felicemente da questa sez. 5, che è una sorta di riflessione sul fare poesia e contemporaneamente un manifesto programmatico di poetica, pronto a darci, a livello interno, le coordinate stesse di costruzione e di autoproduzione, come se il testo, collocati gh elementi fondamentah, per innescare il motore primo, vivesse di partenogenesi. Non a caso rintracciamo nel corpo del testo, sapientemente frantumato, un prelievo diretto dalla Epistola dantesca XIII -"quod istius operis [...] non est simplex sensus [...] subiectum est homo [...] totius operis"-, c^tWEpistola a Cangrande che (al di là dei noti problemi di attribuzione) costituisce uno dei documenti più articolati sulla scrittura, sui generi e sui fini, al punto da essere accompagnamento e esphcazione di alcune Cantiche del Paradiso. Con una capacità di comunicare attraverso tasselli, per porzioni e piccole quantità, fondando una sorta di comunicazione quantica, in virtù di piccoli nuclei autonomi di significazione, la parte finale della frase dantesca ci viene presentata ai w. 10-11: in questo modo Sanguineti afferma, in maniera ugualmente complessa e compiuta, la polifonia e la pohsemia della propria opera, affidandosi ad un calco, ad una traduzione, ad un sensum, che preveda non solo l'attualizzazione nel nuovo contesto dell'idea o del principio prelevato ma la sua

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completa funzionalizzazione; il prestito viene completamente assorbito nel nuovo tessuto verbale e Tuso, per così dire, lo laborintizza, caricandolo di nuove valenze semantiche. La sez. 5, testo di teoria letteraria (in altri tempi si sarebbe detto tranquillamente di poetica), è scandita da tre tempi, che corrispondono alle tre lasse. Nella prima (w. 1-11), il riferimento d'apertura è ancora geografico, alla Terra Pacis (Terra della Pace), ennesimo luogo della Luna, per passare poi alle "tabulae motuum"^, dove si sedimentano diverse sollecitazioni: il riferimento immediato è all'astronomia di derivazione greco-araba, corretta e integrata dalla visione cristiana del cosmo, nella versione più diffusa della cosmologia aristotelico-scolastica. Questa formula è passata, mutando completamente senso e significato, alla scienza, a Galilei, Copernico e Keplero, attraverso gh stessi canah in virtù dei quah il lessico del Riccioli si ritrova nella selenografía novecentesca. Se, da un lato, il richiamo è a questa linea filosofica, religiosa e scientifica, dall'altro, per la forza politica dell'opera, ci sembra di poter individuare, in forma di armonica sottesa e sotterranea, la presenza di Fourier, e precisamente della Teoria dei Quattro Movimenti e dei Destini Generali, dove troviamo un "Tableau di cours du Mouvement social. Succession et relation de ses 4 phases et 32 périodes" (Quadro del corso del Movimento Sociale e della successione delle creazioni è suddiviso in 4 fasi e 32 periodi); questa unione e sovrapposizione permette all'autore di trasmetterci un'idea organica della complessità del mondo, sia sul piano della natura e dei suoi moti, sia su quello delle dialettiche e delle trasformazioni dei gruppi che costituiscono il corpo sociale. Non fa meravigha naturalmente il nome di Fourier, e non solo per la sua morale antirepressiva che ne faceva un esempio di ribellione anche per gh stessi Marx ed Engels -non certamente teneri con alcune teorie del francese-, ma per la ricerca di una metamorfosi interiore come condizione necessaria e preliminare di ogni mutamento rivoluzionario. Per alcune teorie cosmologiche (teoria dei "corpi aromah"), Breton "ntWAnthologie de Vhumour noir e in Arcane 17 insiste sui rapporti di Fourier con l'occultismo (già Baudelaire l'aveva avvicinato a Swedenborg) e su una possibile sua influenza su Eliphas Levy (l'ex abate Constant)"^ e arriva persino a dedicargh un'ode^. Non solo Sanguineti riesce a presentarci così un quadro della complessità della realtà esterna, un tutto organico che va dal mondo fisico e naturale al corpo sociale, un continuo movimento, da un lato, di trasformazione fisica e chimica, e, dall'altro, di composizione e di rapporti tra le classi, ma innesca anche una serie di rapporti intertestuali più o meno occulti. Gettato così un ponte tra realtà fisica e sociale, Sanguineti definisce, con "quod istius operis [...] non est simplex sensus" e "non deve avere un

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senso/ma molti sensi", la necessaria polifonia e plurivocità del proprio lavoro poetico, nel quale si cerca di legare realtà e scrittura, ideologia e linguaggio. In questa prima fase, descritta la realtà, la forma e lo stile della scrittura, al V. 6 si ricorre nuovamente -come avevamo già segnalato- al Dante àtWEpistola a Cangrande. L'estrapolazione -siamo nell'ottavo paragrafo, quando Dante riflette sul soggetto principale di un'opera, in relazione all'interpretazione letterale e a quella allegorica- serve all'autore per dichiarare i suoi intenti inequivocabilmente legati, in maniera totalmente orizzontale, senza cedimenti mistici o religiosi, all'uomo e alle sue trasformazioni, interiori e sociali: non a caso, tutto il paesaggio è sempre visto in relazione all'azione e all'operosità umana. Nella seconda lassa (w. 12-19), l'autore indica scopertamente, con una serie di dichiarazioni, la struttura di Laborintus: "tagliata in sezioni" conferma, con indicazione interna, la struttura a stazioni, autonome ma raggruppabili, del poema, sulla quale ci siamo soffermati. Questo testo non nasce da una "modalità doverosa", che è "moralità", ma da un "atteggiamento" figho di una "apprensione discorsiva", di una necessità di prendere la parola non solo per bucare il silenzio. Questa "apprensione discorsiva" è appunto "alta", "erettiva", perché eruzione del tatto, dove è il corpo ad avere la necessità di esprimersi: la scrittura si manifesta anche come trascrizione degU effetti del viaggio sul corpo, ed esprime così fisicità, cosa che comporta un continuo mettersi in gioco del progetto artistico, che esce continuamente, corretto e rettificato; "la sfaldabilità" è qualità prima di questo "pietroso vigore". E la "linea" lungo la quale si muove il corpo è, opportunamente, "linea/di avventura", dove il termine va inteso propriamente nel significato medievale di enquête e processo di formazione. Questa scrittura al 'termine del corpo' si chiarifica nella terza lassa (w. 20-25), dove il "tu" della prima lassa diventa chiarissimamente il lettore esterno, e tra i possibili lettori-destinatari vanno tenute in particolare considerazione "le belle donne" del v. 9: la scrittura in versi si declina anche come volontà e mezzo di conoscenza, in relazione nuovamente alla pratica del sogno. Con "io voglio conoscere (non importa se non puoi sognarmi)" (v. 20) entriamo in un altro punto caldo della dichiarazione di poetica; da un lato, c'è la forte volontà (una sorta di volontarismo) di conoscenza, una spinta verso il sapere per leggere e decodificare, correttamente, il mondo, insieme libro della natura e libro dell'uomo; dall'altro, c'è una sorta di metalessi, un appello al lettore, che pare però inglobare anche Ellie, nel quale si dice che può anche essere superato l'impedimento della mancanza del sogno. La rêverie è una esperienza fondamentale di formazione della coscienza e di (auto)conoscen-

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za, non a caso è una costante del Sanguineti creativo e critico {Capriccio italiano costituisce forse l'esempio più macroscopico di come il sogno informi di sé un testo sanguinetiano nella sua totalità). Questa dichiarazione, un po' amara, di poetica, si concentra sulla necessità di formulare molte ipotesi per (soprav)vivere nella società -cioè è necessaria una certa adattabilità alle trasformazioni reali- e sulla volontà di conferire "decoro", cioè dignità, "al processo", nel senso di linguaggio e stile: in pratica il "processo" di composizione ricerca un decoro, nel senso di uno stile dignitoso, tutto giocato sulla concretezza del corpo, strumento principe di conoscenza e luogo dove si sedimenta l'esperienza. Questo "decoro" è un "decoro muscolare tattile abile di irritabilità/penso a troppe vibrazioni (penso)", ed esprime così una compostezza e un equilibrio corporale e materico, primo fondamento per una scrittura del corpo. "Penso" ripetuto e messo tra parentesi permette anche all'autore di guardare alle sue parole dal di fuori, dall'esterno, secondo le sane regole di uno straniamento efficace e ironico. L'ultima immagine (w. 24-25) "e parole/ancora taghano le labbra (io sono qui con un virtuoso discorso)" ha il sapore di Picasso gettato sulla griglia di Max Ernst: le parole, surrealisticamente, tagliano, materialmente, le labbra, perché questo sangue ideologico di teoria e prassi permette una comunicazione, brechtianamente, vera e corretta, dando vita ad un "discorso virtuoso", dove i termini, come ora vediamo, vanno intesi in maniera veramente stratificata, da Dante a Machiavelh (dalla virtù teologale, dalla grazia di Beatrice, attraverso quella mercantile di Boccaccio, a quella politica), e da Alfieri a Foscolo (il compiuto "monumento" ortisiano alla "virtù sconosciuta"). "Virtuoso" è un aggettivo cardine nella letteratura italiana, del quale si può proporre un breve catalogo storico: virtù è per Dante la qualità per essere "gentile" e poi per poter accogliere la grazia divina; in Boccaccio è qualcosa di strettamente connesso con la capacità di saper vivere negh ambienti della mercatura. Attraverso l'Umanesimo essa arriva al Machiavelh, dove la virtù è la dote necessaria, in stretto rapporto con la "buona fortuna", per cogliere l'occasione. Alfieri, nel dialogo La virtù sconosciuta, in memoria di Francesco Gori, definisce la possibilità di rintracciare la virtù -non mettendo più l'accento esclusivamente sull'eroismo manifesto e celebrato- anche in una vita ignota e nascosta, in privati e semplici costumi, perfino in tempi di servitù e di schiavitù. Ritroviamo questo concetto in Foscolo, dove nella nota "Al lettore", posta in apertura dell'Omo, Lorenzo Alderani dice chiaramente di tentare, attraverso la raccolta delle lettere di Jacopo, "di erigere un monumento alla virtù sconosciuta". Ma in Foscolo l'idea alfieriana della virtù sconosciuta subisce un'ulteriore rettifica nel momento in cui viene inserita in un contesto dove la disperazione e la frustrazione delle passioni e delle aspirazioni rove-

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sciano le "illusioni", storiche e personali, in "disillusione", universale e disincantata. E d è proprio su questa capacità di demistificare, distruggendo le false coscienze, che si inserisce Sanguineti, declinando alla sua maniera F o s c o l o , cioè caricandolo della complessità sociale e politica del N o v e c e n t o .

^ N. Lorenzini, Il laboratorio della poesia, Bulzoni, Roma, 1978, p. 23. 2 Si tratta del rimando alle tavole sui moti di rivoluzione del cosmo e sulla natura dei diversi moti, come ad esempio, le Tabulae motHum planetarum (1335-1393) della Biblioteca Universitaria di Bologna; nel Seicento, come vedremo, Tabulae motuum entra nel linguaggio scientifico comune, ad esempio nelle Tabulae motuum del 1647 ad opera di Vincenzo Ranieri, aUievo genovese di Galileo. 3 L Calvino, "Introduzione" a C. Fourier, Teoria dei Quattro Movimenti. Il Nuovo Mondo Amoroso, Einaudi, Torino 1971, p. X X L ^ Una statua di Fourier è presente proprio nell'^Ode à Charles Fourier" di Breton in Poesie, Einaudi, Torino 1977, pp. 204-237. In una nota al testo, a p. 205, e in una nota a p. 207, del curatore G. Neri e del traduttore G. Falzoni, troviamo: "Breton ha notato la statua di Fourier nel 1937, cioè a cento anni giusti dalla morte del pensatore. Nel 1945, durante il suo soggiorno negh Stati Uniti, Breton ha preso conoscenza in modo più approfondito delle opere di Fourier. [...] La statua di Fourier si trova alla confluenza della Rue Caulaincourt col Boulevard de Clichy, ai piedi di Montmartre (di cui è qui evocato il passato rivoluzionario) e in prossimità della Rue Fontaine, dove Breton abitava. Fourier, che esecrava le attività mercantili, doveva provare avversione per l'equivoca animazione («melme diamantifere») di questi quartieri parigini". E proprio questo nuovo interesse per Fourier porterà Breton ad inserirlo, insieme a Jean Ferry, Leonora Carrington, Gisèle Prassinos, Jean-Pierre Duprey, nella seconda edizione del 1950 d^ìVAntologia dell'humour nero.

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6. il livello mentale virtuale si abbassa questi paesi sono prosciugati da prolungate speculazioni promuovono l'agitata soluzione isagogica

della tua congestione nella Terra Pacis con una orazione

in specifico ordine (tabulae motuum) in ragionevole bellezza quod istius operis volta al particolare non est simplex sensus in una parola subiectum est homo organicamente totius operis mediante l'invenzione di un corpo l'elasticità non più unilateralmente teoretica di una fenomenologia spaziale per rigida paralisi belle donne voi siete spazio la bellezza per cui si discorre velocemente non deve avere un senso ma molti sensi estesi tagliata in sezioni che non muovono dalla modalità doverosa (dunque morahtà) eventuale del nostro atteggiamento ma dalla sua apprensione discorsiva alta (dunque erettiva) eruzione del tatto perché la vita è così insufficiente ma perché oggettivamente qui potenzialmente collettivamente irresistibile della sfaldabilità di un pietroso vigore della linea sia fondamentale essa o complementare ma forte sia linea e linea di avventura io vogho conoscere (non importa se non puoi sognarmi) ho formulato molte ipotesi per vivere parlo di conferire decoro al mio processo penso a un decoro muscolare tattile abile di irritabihtà penso a troppe vibrazioni (penso) non mi ascoltano più e parole ancora taghano le labbra (io sono qui con un virtuoso discorso)

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Note v. 1: "il livello mentale virtuale si abbassa". Per Vitiello (C. Vitiello, Teoria e tecnica deWavanguardiay cit., p. 153) il riferimento è a ''Psicologia e Alchimia, p. 106: «La dissoluzione della coscienza, T'abaissement du niveau mental' -per usare il termine di P. Janet- siawicina a uno stadio mentale primitivo»; la citazione janetiana ricorre spesso nelle opere di Jung. Sanguineti, da parte sua, arricchisce l'enunciato con una semantizzazio-

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ne più violenta, più tragica in sez. 3, v. 8, "dopo il preliminare naufragio mentale"; siamo in presenza dello squilibrio coscienziale, della "rottura della personalità" (sez. 2, v. 1). Si noti che per Jung la personalità è omologa ad un cerchio diviso in quattro parti (cfr. Psicologia e Alchimia, p. 147, ma anche Psicologia Analitica, Mondadori, p. 14)". w. 1-2: "questi paesi sono prosciugati/da prolungate speculazioni": il senso è doppio, da un lato il paesaggio è totalmente mentale e lo stato di desertificazione è dovuto alle "speculazioni", cioè all'uso smodato della mente per organizzare il pensiero, dall'altro in questi anni cinquanta non si può non pensare al paesaggio urbano e alla speculazione edilizia. w. 2-3: "promuovono l'agitata soluzione isagogica/della tua congestione": questa situazione di congestione -anche una concentrazione mentale e psicologica acquista i connotati del dato patologico concreto, mettendo in contatto rabelaisianamente cervello e pancia- può essere risolta da una soluzione agitata (l'idea è anche quella propria dello sciroppo, del medicamento hquido che va sbattuto per essere amalgamato, in modo da sfruttarne i principi attivi), e introduttiva (isagogico, letteralmente introduttivo, dal greco eisagogikos). - "Terra Pacis": luogo lunare, Terra della Pace (A. Fresa, La Luna, cit., p. 181). "con una orazione": la soluzione è un discorso, ma non uno qualunque, è un'orazione, cioè qualcosa di rettoricamente codificato. V. 4: "in specifico ordine": si riferisce appunto all'ordine del discorso. - "(tabulae motuum)": il termine va riferito contemporaneamente alla cosmologia scolastica, di derivazione greco-araba, e al hnguaggio scientifico di impianto galileiano. Una sollecitazione può essere venuta sempre dal sohto Fresa, dove, a p. 182, troviamo citato Tobia Mayer (1723-1762), illustre astronomo tedesco e direttore dell'Osservatorio di Gottinga, autore di Tabulae motuum solis et lunae, testo con il quale vinse il premio promesso dal Parlamento inglese a chi avesse saputo trovare il modo di determinare le longitudini in mare (A. Fresa, La Luna, cit., p. 182). Abbiamo citato, come possibile armonica nascosta e sottesa, la "Tavola del corso del movimento sociale" presente nella Teoria dei Quattro Movimenti di Fourier. Al moto dei gravi e dei corpi celesti, e, più globalmente, della natura, corrisponde quello della società, un tutt'uno organico con le proprie leggi dialettiche. Questo lessico non è neppure estraneo al Dante della Questio de Aqua et Terra (D. Ahghieri, Opere minori, tomo II, Ricciardi, Milano-Napoh 1979, pp. 850-861, dove si parla di moti del cielo), e a quello della Commedia. Ci pare particolarmente significativo Par. XIII, 97-102, versi interamente incentrati sulla necessità di un primo moto indipendente dal quale dipendono tutti gh altri: "non per sapere il numero in che enno/li motor di qua su, o se necesse/con contingente mai necesse fenno://non, si est dare primum motum esse,/o se del mezzo cerchio far si puote/triangol si ch'un retto non avesse." ~ "in ragionevole bellezza": qualità necessaria della "orazione" del v. 3. V. 5: Come rilevato, l'interpretazione sanguinetiana serve a concentrare l'attenzione sulla struttura e sugh eventuah significati, già autorialmente previsti e progettati. Il rimando è AVEpistola a Cangrande: la frase completa di Dante è: "est quod istius operis non est simplex sensus, ymo dici potest polisemos, hoc est plurium sensuum" ("bisogna premettere che il significato di codesta opera non è uno solo, anzi può definir-

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si un significato polisemos, cioè di più significati") (D. Alighieri, Opere minori^ cit., pp. 610-611, paragrafo 7). V. 6: Dalla struttura formale, dallo stile e dai sensi si passa all'argomento vero e proprio; le parole dell'autore servono ad introdurci sbrigativamente, "in una parola", nel tema che per tutta l'opera è l'uomo "organicamente", cioè come tutto organico, nella sua totaUtà. Anche in questa circostanza, le citazioni in latino sono prelevate dalVEpistola a Cangrande (D. Alighieri, Opere minori, cit., pp. 612-613, paragrafo 8: "Est ergo subiectum totius operis", " È dunque il soggetto di tutta l'opera"; "subiectum est homo", "Il soggetto è l'uomo"; al paragrafo 11 (cit., pp. 622-625) ritroviamo tutte le componenti " E t si totius operis allegorice sumpti subiectum est homo"; " E se il soggetto di tutta l'opera interpretata allegoricamente è l'uomo"). Secondo un processo tipicamente sanguinetiano, i materiali vengono prelevati, nel senso di estratti con forza, e rimontati nel nuovo tessuto verbale. In un caso, l'autore si sarebbe persino divertito a frantumare per ricomporre, attraverso l'inversione, in una nuova sequenza i prestiti danteschi. w . 7-8: Tutto il processo di costruzione del testo e di conoscenza del mondo avviene attraverso e grazie al corpo, alla carne, che produce una "elasticità". Il termine contiene insieme le proprietà della mente di capire e di essere aperta e quelle di tensione dei muscoH e dei nervi. Tutto questo non è più "unilateralmente" legato a ciò che in filosofia è relativo alla teoria, anche della conoscenza o alla teoria generale della realtà, bensì ad una fenomenologia (studio e classificazione dei fenomeni quaH si manifestano all'esperienza nel tempo e nello spazio, in termini tecnici, attraverso Husserl e Paci, la novità filosofica, con l'esistenziaUsmo, dei primi anni cinquanta in ItaUa) che sappia includere e comprendere il mondo che la circonda nella sua interezza, che sia "spaziale". V. 9: Questo spazio è riempito dalla bellezza, che si concretizza per un verso dantescamente nel richiamo di "belle donne", oggetto e argomento e, dall'altro, destinatarie privilegiate. La "rigida paralisi" è l'impedimento che deve superare la "fenomenologia spaziale". w . 10-11: Per certi versi la bellezza sembra ancora il soggetto del "si discorre velocemente", ma è chiaro che siamo in presenza di una transizione, il soggetto è diventato l'intero tema del work in progress sanguinetiano, che già nel progetto autoriale non deve avere un senso, ma molti sensi ed estesi. Esso deve essere polifonico e polisemico, stratificato. "Non deve avere un senso/ma molti sensi estesi" è la traduzione a senso, quasi il calco del dantesco "ymo dici potest polisemos, hoc est plurium sensum" ("anzi può definirsi un s i g n i f i c a t o c i o è di più significati", D. Alighieri, Opere minori, cit., pp. 610-611, che segue il già citato "non est simplex sensus"). Grazie ad un lavoro di trasformazione e di travestimento, in cui il testo dantesco funziona da stimolo originario, il "plurium sensum" diventa, quasi a calco, "sensi estesi", per poi, per certi versi, sparire; Sanguineti mette in atto un meccanismo di continuo allontanamento e avvicinamento, a fisarmonica, una specie di obliquo produrre. V. 1 2 : " t a g l i a t a i n s e z i o n i " è u n r i f e r i m e n t o i n t e r n o a l l a s t r u t t u r a a s t a z i o n i d e l l ' i n tero poema.

w. 12-14: Il moto primo alla scrittura non è dovuto ad una istanza etica -sempre

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comunque importante, in un secondo tempo-, ma ad una spinta verso la comunicazione, ad una necessità di prendere la parola. V. 15: La presa di parola è alta, erettiva, sale su, è una esplosione vulcanica del "tatto", qui sorta di sineddoche del corpo, essendo un antidoto ad una vita "insufficiente" perché incompleta. w . 16-18: "ma perché [...] fondamentale/essa": questo prendere la parola comporta una precarietà della struttura del work in progress, che viene sempre messa in discussione: la "sfaldabilità" di questo "pietroso vigore" è non solo fondamentale, ma oggettiva e potenziale, ed è percepita in maniera "irresistibile" e collettiva. w . 18-19: "o complementare ma forte sia linea e linea/di avventura": questo processo è stabile e segue una linea precisa di formazione, quella deir"awentura", delfewquête e della formazione attraverso il superamento delle prove: un'inchiesta, medievalmente, a stazioni, alla maniera di Dante. w . 21-22: Si configura, in questi versi, un nuovo nesso forte tra realtà esterna e materiale e la scrittura: per vivere compiutamente servono "molte ipotesi". V. 23: "penso", già presente al v. 22, è il basso continuo di questa parte della terza lassa. Le "vibrazioni" sono da mettere in relazione con T"irritabihtà" del verso precedente, e cioè con la capacità dello stile e del hnguaggio di rapportarsi, in maniera materialistica e dialettica, con la realtà effettuale, "non mi ascoltano più": è un richiamo all'attenzione del lettore, al tentativo di tenerla desta, una captatio benevolentiae in grado di non interrompere la comunicazione, la trasmissione, ricorrendo alla htote. w . 24-25: "e parole/ancora taghano le labbra" rimanda visualmente all'occhio tagliato di Buñuel ò\ Un chien andalow, se era necessario sezionare l'occhio per fare in modo che la vista e lo sguardo producessero visioni in grado di bucare i veli che coprono il reale, così le "parole" capaci di dire, in termini brechtiani, la verità, "tagliano le labbra", poiché le incisioni e il sangue costituiscono la garanzia della verità del dicibile. "(io sono qui con un virtuoso discorso)": l'autore chiude con un'autopresentazione, sottolineando la sua presenza in stretta correlazione con il suo "discorso", che possiede significativamente la qualità di essere "virtuoso" (aggettivo, come abbiamo visto nella chiusa ¿c\YIntroduzione, talmente capitale da declinare non solo il termine "discorso" al quale viene associato, ma l'intera sezione).

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SEZIONE 6

Introduzione Dopo le prime quattro sezioni, che costituiscono una sorta di introibo, in quanto antinferno e prima fase della nekyia, e la sez. 5, soglia in quanto apertura del secondo momento di Laborintus, vero attraversamento e passaggio tra un momento e Taltro, ci addentriamo o per meglio dire sprofondiamo, con la sez. 6, nella palude vera e propria; essa è "complicazione" in re, nel senso di multiformità del reale alla quale corrisponde perfettamente la "complicazione" dell'anima e dell'animo umano, della dimensione conscia e inconscia, del corpo come centro di produzione delle idee, del pensiero e dell'immaginazione. Se la sez. 5 era una puntuale riflessione sulle tecniche di composizione del poemetto, questa è un'attenta descrizione e presentazione del contenuto, del tema e delle sue sfaccettature, che potremmo così riassumere in una formula: l'uomo e il mondo, l'uomo nel mondo, capire e agire. La sez. 6, appunto, ci parla della "complicazione come necessità", in quanto causa e motore primo della nascita dell'opera, poiché l'origine dell'uomo e quella delle cose sono strettamente legate: questa dichiarazione di contenuto può essere segmentata in cinque fasi, corrispondenti ai cinque blocchi. Il primo (w. 1-7) illustra la "comphcazione come necessità", appunto, in re, nelle cose esterne; nel secondo (w. 8-23), attraverso EUie e la luna, l'attenzione passa all'inconscio dell'uomo, 2i\Vanima mundi-, Schickele e Brecht ci fanno transitare nel terzo (w. 24-35), dove ci si focahzza sulla possibilità umana di decodificare e interpretare la "complicazione"; il quarto (w. 36-45) ci mostra come l'io prenda forma e si costruisca proprio in virtù di questa attività esegetica, di un'esegesi molto pratica; infine il quinto blocco (w. 46-50) si conclude sulle donne come destinatarie dantescamente ideah ("le donne stanno ad ascoltare"), riprendendo il "belle donne" del v. 9 della sez. 5, e su Laszo come comphcazione, e cioè come completamento di EUie, come totalità che si ricongiunge nel matrimonio tra il Sole e la Luna. La "tessitura delle idee" (v. 25) è proprio, per certi versi, una dichiarazione di poetica che completa, a spizzichi e bocconi, la sez. 5, il cui risultato operativo è Laborintus stesso, dove tutto trova cittadinanza allo stesso modo, sullo stesso piano; non ci sono gerarchie. L'esecuzione decide momenti e tempi, spazi e collocazioni. Proprio per la difficoltà di esprimere il reale, di dire l'indicibile, Sanguine-

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ti ricorre, anche in questo caso, ad una serie di citazioni, pronte a creare una rete sotterranea e una stratificazione tah da rendere, contemporaneamente, la complessità della realtà e dell'uomo. La complicazione viene a delinearsi proprio anphe attraverso l'attento accumulo di queste citazioni, spesso e volentieri un poco trasformate, secondo quei processi di travestimento che abbiamo evidenziato; nella prima lassa, già con "circulus quadratus" (circolo quadrato), troviamo traccia di un prehevo da Spinoza, di cui ritorneranno, sapientemente frantumati, altri lacerti (vd. nota ai w. 6-7), nei quah si riflette sull'origine e sulla sostanza delle cose, nonché sulla 'natura' di Dio, sui suoi attributi e affezioni: la geometrizzazione linguistica serve a dichiarare il distacco e la completa impassibilità dinanzi all'oggetto analizzato. Naturalmente per Spinoza questo processo conoscitivo serviva a cogliere il reale stesso e non già figure ideali costruite nello spazio. In pratica, mutatis mutandis, il problema di definire, nel senso di interpretare, è il medesimo che, qui, si pone Sanguineti, pronto a servirsi di una mediazione. Nel secondo blocco emerge nuovamente r"io", rivelato attraverso la continua ripetizione del pronome "tu" e del possessivo derivato, riferito ad Ellie che, come Anima junghiana, eterno femminino, femminile del maschile, "amore", "vulva essenze radicah", trova qui una nuova e puntuale definizione: Elhe come comphcazione. In questo secondo momento compaiono, sempre puntualmente segmentati, "the exudation of a mild sexuahty" (l'essudazione di una sessuahtà dolce), prelevato, forse -secondo un ricordo autoriale- da una pubblicazione medica, e il titolo dell'opera di Plutarco sulla luna, nella versione presente in Fresa. Jung, in Simboli di trasformazione, ci parla di un'antica leggenda per la quale sulla luna si raccoglievano le anime dei trapassati e, per contro, lì veniva preservato lo sperma. In questa maniera notiamo una tipica dicotomia lunare, da un lato la luna è il mondo dei morti, dall'altro è luogo di rinascita. Si creano nel testo tre parallelismi, quello tra corpo dell'uomo e luna, tra terra post-atomica e luna e, infine, quello tra luna e palude, il luogo da attraversare per essere rigenerati e ricostruiti. Proprio questa seconda grande lassa, nella quale si dispiega totalmente la comphcazione in re e in sé, si chiude significativamente, dopo un "odore di funghi" che rimanda ai "funghi fumosi" (sez. 2, v. 9), con una doppia citazione, "Wir wollen nicht sterben" (noi non vogliamo morire) e "der Mensch ist gut" (l'uomo è buono), ai quah viene anteposto, due volte, "il mio", quasi che alla voce narrante si sovrapponga l'autore, pronto a prendere direttamente la paróla, in un gioco di metalessi. Se Spinoza serviva a superare una descrizione dell'universo e degh affetti ancora tomistica e aristotelica, per portarla verso una dialettica in nuce, verso un processo di superamento delle contraddizioni, questi due lacerti (il primo di René Schickele^ -si tratta del titolo di una

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raccolta di saggi politici e letterari del 1922 - ; il secondo, estrapolato dai Dialoghi di profughi di Bertolt Brecht^, e anche significativo titolo di un dipinto di George Grosz), servono ad evitare una deriva esclusivamente teorica al testo, facendo velocemente precipitare la "complicazione" nella prassi, che, del resto, è Túnico luogo deputato per il suo scioghersi e risolversi. A livello formale, non a caso, la sez. 6 contiene la prima data precisa e il primo elemento di punteggiatura, anche se inserito nel lavoro di trasformazione di una citazione, essendo il momento nel quale Sanguineti dichiara il tema del poema, cioè la complicazione nella sua complessità. Il terzo blocco è incentrato sui diversi aspetti della complicazione, che trova esplicazione e rappresentazione solo attraverso la "mia tessitura delle idee" e diventa una "idea come ossessione": complicazione è "pensiero come limitazione/ordine come limitazione", "implicazione", "deduzione", "affermazione sperimentale nuova relazione", "dialogo tecnico come tecnica del dialogo". E per noi che "non vogliamo morire" non resta che scendere "vivi nell'Inferno" ("descendant in Infernum viventes", Vulg., Salmo 54), arrivare al fondo della palude, per vedere "finalmente anarchia come complicazione radicale". Il quarto momento è interamente giocato sul processo di formazione e organizzazione della "coscienza eterochta", cioè irregolare, anomala, anche nel senso di stravagante e bizzarra, nel momento del confronto, attraverso una "vita implicazione culturalmente" "sempre emergente" "in frazionamento", con la realtà esterna, che è anarchia radicale; la costruzione dell'io, soggetto, avviene, attraverso un processo culturale, nel confronto serrato con la realtà, in tutte le sue sfaccettature, dalla filosofia teoretica alle pratiche manuali, ed è così che in Sanguineti, come in Marx, Gramsci e Lukács, l'essere si configura essenzialmente come "essere sociale", dove l'accento non va posto sul determinismo del rapporto tra essere ed essere sociale, ma su come l'uomo si forma e si organizza manifestandosi e vivendo nel mondo. Non c'è altro che essere sociale nella sua totalità e globahtà, capace di trovare per sé uno spazio di relazione, ed è proprio su questo piano che si gioca il continuo organizzarsi e disgregarsi psichico. Questo blocco si conclude con "in questo tempo/noi che non dobbiamo crescere", che circolarmente completa il v. 1 del componimento, "complicazione quelh che non sanno crescere", il v. 3 "complicazione queUi che non possono crescere" e il v. 5 "quelli che non devono crescere", passando dalla terza persona plurale alla prima persona plurale: siamo di fronte a un climax (sanno, possono, debbono, dobbiamo). Nell'ultima lassa, dopo l'invito a non dover crescere, entra in gioco la pazzia, patologia della distruzione degh equilibri psichici, vista come metafora.

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scambio e disinganno, cioè nello spazio positivo del/oo/, ma, infine, entra in gioco Laszo Varga, che, come EUie, si configura come complicazione. La "complicazione" della sez. 6 troverà il completamento nella sez. 15, dove al V. 1 troviamo significativamente "ma complicazione come alienazione". Un'ultima osservazione va riservata alla dimensione temporale che in Laborintus è centrale: in questo testo, scritto nel '51 per testimonianza dello stesso autore, troviamo la data del 1953, a cui segue l'indicazione "il sole più tardi/existit nell'acquario triangolazione carceraria", dove forse è nascosto un riferimento astrologico al periodo dell'anno; tutto questo sembra volerci rimandare alla sez. 23, composta effettivamente nel '53, dove invece troviamo al V. 1 "s.d. ma 1951": la rete delle date precise crea non solo un gioco di rimandi e talvolta di depistaggi, ma la possibilità, attraverso una sorta di autocommento interno, di correzioni e rettifiche. Come afferma Sanguineti, una poesia si corregge con un'altra poesia.

^ 1883-1940, poeta e drammaturgo, pacifista e espressionista; è presente nella famosa antologia espressionista II tramonto dell'Umanità Menschheitsdämmerung, Symphonie jüngster Dichtung, Hrsg. von Kurt Pinthus, Ernst Rowohlt, Berlin 1920, letta da Sanguineti, che l'aveva ricevuta in prestito dall'illustre germanista G.V Amoretti. 2 "In Germania, dopo la prima guerra mondiale, uscì un libro col titolo sensazionale: 'L'uomo è buono', ed io mi sentii subito inquieto, e respirai di sollievo, solo quando un critico scrisse: 'L'uomo è buono, il vitello è saporito'", B. Brecht, Dialoghi

di profughi, Einaudi, Torino 1977, p. 72.

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6. complicazione quelli che non sanno crescere pressibili debolezze e nanismo ma complicazione portano congetture e complicazione nel sangue Sinus [Vaporum quelh che non possono crescere ma complicazione come impedimento

precisazione e datazione fino al 1953 sempre nel tuo sangue

quelh che non devono crescere ma comphcazione come necessità 5 finché i nervi Ellie resistono si circulus quadratus il sole più tardi existit nell'acquario triangolazione carceraria l'intelletto si guarda e follicolo attualmente vaporante the exudation in orbe lunae Ellie l'amore de facie of a mild sexuahty apparente 10 nelle tue braccia e la tua luna tenera serena voglio la soluzione di EUie tu sei l'amore nell'amore senza soluzione EUie sei l'amore tutto l'amore amore di attuale continuità sfumare in stendimento e io ti risolvo svaporante ratio seu causa de facie apparente neUa luna rossa et dari debet sapientia senza risoluzione senza scioghmento 15 ma spezzarsi nel sangue cur existit? questa sapienza e complicazione nel tuo sangue e attenzione rivolta e comphcazione EUie intendo l'amore una striscia e vilùppo e aggravamento tentabile peso e gravitazione neUe braccia della terra! vulva essenze radicali est porta Inferni peso gravitazione ma esistenza come comphcazione 20 tu EUie chiaro globo estensione chiara ed espansione sottile chiaro odore di funghi e di radici estensione ancora quindi tu il mio wir wollen nicht sterben il mio der Mensch ist gut la mia tessitura deUe idee 25 la mia impaginazione per mezzo deUa complicazione la mia complicazione e idea come ossessione pensiero come limitazione ordine come limitazione come negazione ordine come semplificazione pensiero come implicazione o deduzione o previsione complicazione 30 come affermazione sperimentale nuova relazione melmosa the exudation of a mild sexuality ratio seu causa dari debet cur existit dialogo tecnico come tecnica del dialogo comphcazione come descendant in Infernum viventes ma finalmente anarchia come complicazione radicale 35

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come lotta contro Timplicazione come organizzazione della coscienza eteroclita prestino attenzione gli amori per mezzo della complicazione intercomunicante e paradossalmente impaginata in una vita implicazione culturalmente sempre ammessa scientificamente sempre emergente ecco le zone contemplate in conversione perché 40 in frazionamento Elhe finalmente parte del mio Sinus Vaporum le nuvole sopra la tua zona temporale con il fiore d'acqua sopra l'epidermica volatilità prestazione non a Laszo ma alla vita attenzione presa in posizione in piedi di fronte a Ellie in questo tempo 45 noi che non dobbiamo crescere più tardi scrisse perché la pazzia è anche metafora ossia scambio e disinganno ma vie c'est moi e un'altra volta (le donne stanno ad ascoltare) Laszo Varga (egli scrisse) come complicazione 50

Note V. 1: "pressibih debolezza e nanismo": da mettere in relazione con la sez. 1, v. 17. V. 2: La "complicazione" produce, per partenogenesi, altra "comphcazione" e, nel tentativo di essere decodificata, nascono congetture. "nel sangue": questa comphcazione è dentro all'uomo, nella sua totahtà di psiche, di anima e di corpo. "Sinus Vaporum": Golfo dei Vapori, in A. Fresa, La luna, cit., pp. 188-189, nella carta con la nomenclatura del Riccioli, è presente un "Mare Vaporum" (Mare dei Vapori), trasformato da Sanguineti in "Sinus". V. 3: "quelli che non possono crescere": dall'incapacità e dal non sapere del v. 1 si passa, tranquillamente, alla impossibilità, al non potere per cause esterne. "ma complicazione come impedimento": e 1'"impedimento" è proprio costituito dalla comphcazione, che crea difficoltà e ostacoh. V. 4: " p r e c i s a z i o n e e d a t a z i o n e f i n o al 1953 s e m p r e n e l t u o s a n g u e " : v d . Introduzione. V. 5: "quelli che non devono crescere ma complicazione come necessità": dal sapere al potere e dal potere al dovere, sembra quasi che, per comprendere e svelare la sostanza della "complicazione come necessità" -alla complicazione nelle cose corrisponde quella nell'uomo e nelle sue "congetture" interpretative-, si debba "non crescere", rimanere non solo bambini ma "nani".

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V. 6: "finché i nervi Elhe resistono": entra in gioco nuovamente EUie, con il suo peso di femminile e di anima mundi; la capacità di rapportarsi con la realtà è strettamente connessa con questo ingresso. w . 6-7: "circulus quadratus" (circolo quadrato) e "existit" (esiste) sono prelevati direttamente da Spinoza, Ethica (l parte. De Deo), e inseriti secondo modahtà jazzistiche nel testo: "Cujuscunque rei assignari debet causa, seu ratio, tam cur existit, quam cur non existit. Ex. gr. si triangulus existit, ratio, seu causa dari debet, cur existit; si autem non existit, ratio etiam, seu causa dari debet, quae impedit, quominus existât, sive quae ejus existentiam tollat. Haec vero ratio, seu causa, vel in natura rei contineri debet, vel extra ipsam. Ex. gr. rationem, cur circulus quadratus non existât, ipsa ejus natura indicat; nimirum, quia contradictionem involvit", trad. "Di ogni cosa si deve assegnare la causa o la ragione per la quale essa esiste o per la quale non esiste. Per esempio, se esiste un triangolo, ci dev'essere una ragione o una causa per la quale esso esiste; e se non esiste, ci dev'essere pure una ragione o una causa che impedisce che esista o che toghe la sua esistenza. Questa ragione o causa, d'altra parte, deve o essere contenuta nella natura della cosa, o essere fuori di essa. Per esempio, la ragione per la quale un circolo quadrato non esiste è indicata dalla sua stessa natura; e cioè perché questa natura implica contraddizione" (B. Spinoza, Ethica, Sansoni, Firenze 1984, pp. 24-25). Frammenti di questo periodo di Spinoza sono disseminati lungo l'intera sezione: al v. 14 troviamo "ratio seu causa", al v. 15 "dari debet", al v. 16 "cur existit" e al V. 32 "ratio seu causa dari debet cur existit". ~ Qui, con tutta probabilità, il sole nell'acquario indica, astrológicamente, per il gioco dei moti celesti, un preciso periodo dell'anno (gennaio-febbraio). "Circulus quadratus" rimanda anche alla quadratura del cerchio in Jung, Psicologia e Alchimia, cit., pp. 145-149. Esiste anche un De àrculi quadratura (o Quadratura circuii) di Niccolò Cusano, per rimanere tra le presenze laborintiche. V. 7: "triangolazione carceraria": definisce con precisione il movimento del sole e la sua situazione nel cielo, l'aggettivo "carceraria" rimanda, sotterraneamente, al v. 4 della sez. 11 "oh fermo carcere". V. 8: "l'intelletto si guarda": attività di autoanahsi e di autocostruzione deU'io. Con questo sintagma inizia il secondo blocco. V. 9: "e folhcolo attualmente vaporante". L'inteUetto è un "foUicolo", cioè una piccola cavità anatomica a sacco, microscopica. L'emissione di vapore è l'indice del suo funzionamento: U vapore conferisce all'organo la dimensione materiale di macchina meccanica. V. 10: "the exudation in orbe lunae": l'essudazione sul globo deUa luna nasce da una frantumazione e ricostituzione; vengono messi insieme frammenti di "the exudation of a mild sexuality" (l'essudazione di una dolce sessuahtà), prelevato, per testimonianza deU'autore (che ne ha tuttavia solo un vago ricordo), da una rivista medica (il lessico è fortemente caratterizzato in questo senso), e De facie in orbe lunae apparente, opera di Plutarco citata in A. Fresa, La Luna, cit., p. 177: dialogo nel quale si dichiara che il corpo proviene dalla Terra, l'anima dalla Luna e l'intelletto dal Sole. Il titolo dell'opera, secondo le edizioni filologiche attuali, è De fade in orbe lunae apparet. La frase "essudazione sul globo della luna" ci dà l'idea della nascita e della forma-

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zione della vita. ~ "Ellie Tamore de facie of a mild sexuality apparente": questo verso nasce sostanzialmente dai frammenti del titolo di Plutarco, non utilizzati al verso precedente, e ci parla di Ellie anche come amore, come manifestazione ("apparente") degli aspetti e delle forme di una dolce sessualità. L'amore viene così concepito come unione e vera coniunctio di anima e corpo: si completa la dimensione erotica. V. 11: È l'amore dove si può sprofondare e che si trova "nelle tue braccia"; con il sintagma "la tua luna tenera serena", Ellie sembra acquisire alcuni connotati di Iside, la cui caratteristica iconografica (le corna di vacca) allude proprio ad un rapporto con il mondo lunare, dea del cielo e dell'amore, e contemporaneamente sorella, sposa e madre, per le relazioni d'interdipendenza con Osiride e Horos. Il regno dei morti e il potere incantatorio fanno parte degli "attributi" di questa dea. Volere "la soluzione di Ellie" è cercare di fare chiarezza in tutti questi strati. w . 12-13: L'amore, da un lato, nella sua totalità, quando si dispiega "sfumando in stendimento", è "senza soluzione". Esiste e si manifesta ma non può essere colto nella sua globaUtà razionalmente dall'intelletto umano, anche se "vaporante". Dall'altro, "senza soluzione" può essere inteso come senza interruzione. V. 14: L'unica soluzione è individuare la ragione o la causa dell'aspetto che si manifesta. Al lacerto rimontato del titolo plutarchiano viene affiancato lo spinoziano "ratio seu causa" (p. 24), -vd. nota w. 6 - 7 - e si tratta di due vocaboli molto significativi nella filosofia, e soprattutto in questa pagina à ^ E t h i c a dove si ragiona intorno alla causa o alla ragione che si deve assegnare all'esistenza di ogni cosa. V. 15: "nella luna rossa": si completa l'indicazione di tempo, che indica con precisione la data di nascita, intesa come processo di essudazione e formazione Anima Mundi) il colore rosso rimanda ala descrizione dell'eclissi di Plutarco, vd. Plutarco, Il volto della luna, Adelphi, Milano 1991, pp. 86-87. Vd. A. Fresa, La luna, cit., pp. 6768, 284, 290 (sulle ecHssi) e 291-294, intitolate, significativamente. Luna rossa. ~ "et dari debet sapientia" ("è necessario ricorrere alla sapienza"): anche questo lacerto proviene da Spinoza (cfr. nota ai w. 6-7), con due interventi autoriali, l'inserimento di "et" e quello più significativo di "sapientia", che introduce l'idea della sapienza, intesa come insieme di filosofia, scienza e intelUgenza. ~ "senza risoluzione senza sciogUmento": sono attributi delle difficoltà del processo di conoscenza. w. 16-17: La sapienza che non può essere sciolta o risolta con il solo intelletto si può però "spezzare" nel sangue, e cioè può essere colta con il corpo. Questa sapienza è "complicazione", "attenzione" e "rivolta", crea i germi per la rivoluzione. Il "cur existit?" è estrapolato dalla stessa pagina sulla sapienza di Spinoza (cfr. nota ai w . 67), ma in questo caso Sanguineti aggiunge il punto interrogativo, trasformando il tono in interrogazione: "perché esiste?". Si tratta del primo segno di interpunzione presente nel poemetto. w . 18-19: L'amore come elemento materiale, "striscia", "viluppo", dotato di "peso e gravitazione/nelle braccia della terra!", e poi come sostanza essenziale e radicale, come organo genitale femminile, alla Courbet (Uorigine del mondo). Il punto esclamativo è il secondo segno di interpunzione. V. 20: "est porta Inferni": da un lato ci indica l'entrata vera e propria nella Palus Putredinis, dall'altro è giocato in relazione alla vulva, creando il parallelo classico tra

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la vagina e l'inferno (Vittore Branca, in una nota alla Novella III, 10, parla di metafora sessuale corrente, cfr. G. Boccaccio, Decameron, Einaudi, Torino 1987, p. 447). Il sintagma di Sanguineti può essere una ricomposizione di una frase di S. Tommaso, "Ad tertium sustentatus", da S. Tommaso, Opera Omnia, In quattuor Libros Sententiarum, a cura di R. Busa, Fromman-Holzboog, Stuttgart Bad Canstatt 1980, p. 542 {Liber Super Sentetiae, IV, ds 18 qu 1 ar la ra3). Troviamo questa frase anche in Matteo, 16, 18 ("et ego dico tibi quia tu es Petrus et super hanc petram eadificabo ecclesiam meam et portae inferi non praevalebunt adversum eam"). Sempre su questa linea, la sollecitazione può anche essere la "porta Inferi" dantesca {Inf., III), che in Benvenuto diventa "porta Inferni" (come potrebbe dimostrare la variante, vd. Nota al Testo). ~ "esistenza come complicazione": a questo punto è la vita stessa a farsi, opportunamente, "complicazione", e la Palus Putredinis da attraversare è la pratica quotidiana di vita. V. 21: "tu Elhe chiaro globo estensione chiara ed espansione sottile": è completato il parallelo tra Ellie e il globo lunare, visto come disco, iniziato al v. 15. V. 22: "chiaro odore di funghi e di radici estensione ancora quindi tu": la luna anche come terra post-atomica, i funghi e le radici rimandano alla sez. 2, v. 9 "lunghi funghi fumosi". w . 23-24: "il mio wir wollen nicht sterben/il mio der Mensch ist gut": questi due versi, in clausola, concludono il secondo blocco: "il mio noi non vogliamo morire/il mio l'uomo è buono" costituiscono una accoppiata nella quale l'autore sembra prendere la parola in prima persona, per sottolineare, da un lato, la lotta per la vita, il non volersi rassegnare alla situazione, dall'altro, in maniera ironica, la bontà-umana. Il coté delle due citazioni è quello espressionista e post-espressionista, il titolo del saggio di René Schickele (Wir wollen nicht sterben) reagisce con il sintagma brechtiano (Der Mensch ist gut) "L'uomo è buono, il vitello saporito" (B. Brecht, Dialoghi di profughi, cit., p. 72). Tra l'altro, già in Brecht la frase "Der Mensch ist gut" era un prestito, essendo il titolo di un libro di Leonhard Frank del 1918. Questa frase diventa anche il titolo di un quadro di George Grosz {Grosz, a cura di Ferdinando Ballo, Rosa e Ballo, Milano 1946 -tavola non numerata, facente parte della serie Ecce Homo-, collana alla quale -come sappiamo- Sanguineti giovane aveva riservato una particolare attenzione). Il cerchio dei rapporti all'interno dell'espressionismo tedesco si stringe, in una moltephcità di intersezioni: "Conobbi Teodoro Däubler. Gli fui presentato una sera al Café des Westens dal mio amico Wieland Herzfelde. Däubler aveva scritto un articolo su di me sul Weisse Blätter, una rivista intellettuale diretta dallo scrittore tedesco-alsaziano René Schickele. Questa pubbhcazione era pacifista e conduceva una sottile campagna contro la guerra. Si batteva per una migliore comprensione tra i popoh e anche in piena guerra pubbhcava poesie e articoli di scrittori nemici. Ci fece conoscere Henri Barbusse e Romain Rolland, e mise in luce i racconti dello scrittore tedesco Leonhard Frank, fino allora sconosciuto, nonché quelli di Franz Kafka. L'articolo di Däubler su di me, con riproduzioni, mi fece conoscere". (G. Grosz, Un piccolo sì e un grande no, Longanesi, Milano 1948, p. 157). vv. 29-32: L'autore ci presenta il catalogo di come si sviluppa il pensiero alla base della "tessitura delle idee": è il catalogo puntuale dei processi di "ordine" e "limitazio-

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ne", "negazione" e "semplificazione", "implicazione" e "deduzione", "previsione" e "affermazione", attraverso i quali si giunge alla conoscenza del reale, cioè alla Palus Putredinis. Non a caso il precario stadio della conoscenza è costituito da una "sperimentale nuova relazione melmosa", "l'essudazione di una dolce sessualità ci deve essere una ragione o una causa per la quale esiste" (la traduzione del latino di Spinoza è quella di Gaetano Durante per l'edizione Sansoni, dalla quale citiamo) chiude il discorso sui processi della conoscenza,' che vengono incastrati con l'unione, questa volta precisa, della frase in inglese nella sua completezza e di un lacerto, non segmentato ma presentato tale e quale, di Spinoza. w. 33-35: Per capire la comphcazione ci vuole una lingua tecnica, non a caso il latino per l'antichità e il passato prossimo, l'inglese per la contemporaneità, e cioè le hngue della scienza e della tecnica. La "complicazione radicale", che è r"anarchia", richiede competenza, "tecnica del dialogo", ma richiede soprattutto che "essi discendano viventi nell'Inferno", cioè di immergersi nella melma della Palude. Solo così si arriva alla radice della comphcazione. "discendant in Infernum viventes" è il versetto 16 del Salmo 54 (secondo la Vulgata - secondo l'edizione della Gei è il Salmo 55), "scendano vivi negh inferi", nella versione Gei il testo recita: "Metta loro la morte la mano addosso, scendano sotterra tutti vivi" (Salmo 55; 16). In Sanguineti si perde la dimensione della punizione divina, mentre acquista importanza la necessità del viaggio agh Inferi, come viaggio verso la conoscenza, alla maniera dell'Ulisse dantesco. L'attenzione ai Salmi di Sanguineti non è sporadica, ne curerà infatti una edizione nel 1966 ( / salmiy preghiera e canto della Chiesa, Elle Ci Di, Torino 1966). w . 36-40: La conoscenza dell'intelletto serve ad innescare i meccanismi e i processi di costruzione della coscienza, destinata altrimenti a rimanere "eteroclita", informe, irregolare, stravagante e bizzarra. w. 41-44: Questa trasformazione dei protagonisti nel Sinus Vaporum necessita di un processo di frazionamento e di coniunctio di Ellie e Laszo, la luna e il sole, il femminile e il maschile. Per "Sinus Vaporum" (Golfo dei Vapori) vd. v. 2. w . 45-46: "in questo tempo/noi non dobbiamo crescere": questi versi completano i w. 1, 3, 5, dove già era presente la serie "sanno", "possono", "devono"; la transizione alla prima persona plurale serve a coinvolgere voce narrante, autore e destinatari in questo rifiuto di completare un processo di "crescita" e formazione. w. 47-50: Laszo Varga è a sua volta complicazione, le donne sono le destinatarie ideali e lo stato della pazzia è una forma di non crescita. Il francese "ma vie c'est moi" (la mia vita sono io), che potrebbe essere un calco flaubertiano letto alla luce degh chansonniers francesi, è invece, per dichiarazione autoriale, la frase dettagh da una ragazza danese durante una vacanza in Val d'Aosta. Il francese di questa donna, come il latino dei Salmi, serve a sottolineare, semphcemente, l'importanza che la frase gioca nella "tessitura" dell'opera, mettendo sullo stesso piano un verso che suona come quello di una canzone 'esistenziahsta', e la solennità dei Salmi.

SEZIONE 7

Introduzione L'aver attentamente definito il senso della discesa nella Palus Putredinis, sia come ricerca del processo in grado di interpretare la complessa realtà, sia come viaggio al termine della "complicazione radicale", in quanto essenzialmente produttrice di anarchia, consente a Sanguineti di soffermarsi, nella sez. 7, sugh strumenti, sulle conoscenze e sulle competenze necessarie perché si riveli fruttuosa Venquête. Questa ricerca viene spiegata e segmentata attraverso i processi àùVopus alchemico, ciclo in quattro fasi corrispondenti ad altrettanti colori, dalla nigredo alla pietra filosofale (vd. C.G. Jung, Psicologia e Alchimia, cit., p. 253). Questo processo puramente chimico (o pseudo tale) corrisponde anche ad una serie di processi psichici (del resto, lo sforzo psichico è un elemento fondamentale nella costruzione àçWopus), il che è già caratteristica tradizionale dell'alchimia. Non a caso in questa sezione si ritrova la più alta percentuale di presenze junghiane; ne daremo conto nelle note, avvalendoci soprattutto del prezioso lavoro di Ciro Vitiello. Decisivo, per Sanguineti, è arrivare a completare la "visione", e per questo l'intelletto (definito al v. 25 deUa sez. 4 "intelletto pratico") deve avvalersi della forza dell'immaginazione, immaginazione vera e non fantastica, il che è un prelievo, travestito, direttamente dal Rosarium presente nel testo junghiano. E necessaria, cioè, una immaginazione attiva. Come osserva Vitiello, puntando l'attenzione su un parallelo Opus/Laborintus, La prima fase corrisponde, nella trasposizione di Laborintus, alla Palus Putredinis; infatti «"Nigredo" è lo stato iniziale, sia precisamente come qualità della "prima materia"» del caos o della «massa confusa», oppure provocato dalla divisione (solutio, separatio, divisio, putrefactio). Se, come si assumeva talvolta, è premesso lo stato divino, si procede ad un'unione dei contrari sotto la veste di unione del maschile e del femminile (cfr. «e tu mio corpo tu infatti Ellie eri il mio corpo / ... conclusione di una estatica dialettica spirituale», sez. 1).^

Al centro del componimento sta l'accurata descrizione delle figure 131 e 135^: r"arbor philosophica", generato dal sesso maschile e dalla testa della femmina, è l'albero alchemico, e, a livello di raffigurazione simbolica, rappresenta le diverse fasi alchimistiche della trasmutazione. Questo conferma una volta di più la centralità àtWopus. Se nell'ultimo verso della sez. 3 era presen-

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te un riferimento, con relativa breve descrizione, a un pannello del trittico di Bosch II Carro di fieno, con la descrizione di queste due figure, si può dire che Sanguineti inauguri, decisamente e programmaticamente, la pratica delVekfrasis, tecnica celeberrima, attraverso la quale l'autore presenta, talvolta scopertamente e persino dichiaratamente, altre volte, come in questo caso, nascostamente, la precisa descrizione di immagini - dalla classica descrizione dei quadri ai fotogrammi dei film (vd. Anarchia e complicazione). L'attenzione alla formazione àdVopus, attraverso le diverse fasi e i diversi processi, ci viene confermata dalla presenza, ai w. 6,19 e 21, di elementi tipici dello schema harraniano, che presenta e definisce con precisione le diverse fasi della costituzione à^ìVopus, e in questo caso preciso anche dell'opera letteraria {Laborintus), come sottolineano con puntuahtà le parole di Vitiello^ Il percorso di perfezione, che porta a rendere la coscienza chiara a se stessa, a vedere le trasformazioni, ad impossessarsi dell'amore, a viverlo, a tentare di realizzare il sógno di una cosa, caratterizza "la nostra anima", "noi i santi anarchici"^, una formula che ingloba autore, voci narranti, lettori simili e fratelli, compagni di strada e precursori, tra i quali spicca quell'Artaud che ha chiaro "le sens de l'anarchie" (sez. 3, v. 21). In un continuo gioco, estremamente serio, tripartito tra vita, morte e amore, spicca il progetto di "esaurimento del discorso", che unisce a sua volta l'io che parla, l'autore e i "santi anarchici"; del resto portare all'estremo il linguaggio, consumarlo, sottoporlo a processo di consunzione, come fosse una candela di cera, serve davvero a dire la verità, a trovare quella del proprio gruppo sociale, dichiafatameiite e volutamente parziale, perché programm'a. ticamente di parte. È così che Sanguineti seleziona, ad un grado zero, il pubblico dei propri possibili lettori collaboratori. La sez. 7 non si esaurisce certamente nella massiccia presenza junghiana, per quanto la costruzione àtWopus sia effettivamente il centro della riflessione (modello di conoscenza che si presta ad essere presentato e trasformato in versi). Ritorna infatti una parola-tema, il "tempo", agevolata proprio dalla struttura stessa del componimento, che si potrebbe definire, con termine musicale, seriale, cioè proprio per serie e linee: è "il tempo" (w. 11,12, 13, 22, 23 e 25) il basso continuo del componimento, l'elemento che guida e dirige la trasformazione, e con la sua azione leviga anche le rocce più dure. Sohtamente, nel parlare dello spazio-tempo in Laborintus, la critica si è concentrata sul concetto dell'abohzione di ogni orizzonte temporale; ma nella sez. 7, considerando anche che l'abbandono del soggetto alle forze disgregatrici dell'inconscio e la distruzione deU'orizzonte temporale sono stati intercorrelati culturalmente, se andiamo a guardare da vicino i sintagmi dove ritorna "il tempo", notiamo un particolare movimento, quasi schizofrenico, di distruzione e rico-

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struzione deirio, che parte, in questo caso preciso, dal piano sintattico e puramente grammaticale. Il tempo del quale si parla nel testo, tempo di chi dice "io", si intreccia con il tempo di Laszo: ne deriva che ciò che è distinto, in relazione alla struttura pronominale (chi dice "io", la voce narrante, parla di Laszo, non a caso, in terza persona), viene a mescolarsi, per l'azione dei deittici che riescono a creare uno spazio non solo di sovrapposizioni, ma di intersezioni, spazio dove rimane indefinito o indecidibile ciò che si deve riferire e attribuire al soggetto "io" e ciò che concerne Laszo (v. 11 e v. 12 "per mezzo del tempo"; w. 13-14 "il tempo di Laszo sopra questo orizzonte elastico"; v. 18 "sono gh anni di Laszo"; w. 22-23 "per mezzo di questo tempo/tempo esatto"; V. 25 "per mezzo di questo tempo intestinale e convulso"). Come per la sez. 5, anche in questa sez. 7, l'io, il soggetto, pare riuscire ad avere un processo di ricostituzione e formazione equilibrata, dal quale estrarre una insospettata forza (vera e propria energia) di linguaggio, che gh permetta di dar vita a versi lapidari e serrati, compatti e persino semplici, quasi da mandare a memoria e da eseguire, significativi, memorabili, come i w. 31-35. "noi stessi i santi anarchici", "ho promesso l'esaurimento del discorso" e "io sono sempre stato la mia vita" (traduzione autoriale di "ma vie c'est moi") si pongono come i cardini dell'ultima lassa, seguendo questo nuovo ordine del discorso e della riflessione. Anche attraverso questa via, rimangono centrali i punti dove il pensiero sanguinetiano (e la forma) si coagula, e cioè diventa forte il legame tra idea del mondo e scrittura, ideologia e linguaggio.

^ C. Vitiello, Teoria e tecnica delVavanguardia, cit., p. 144. 2 Idem, pp. 146-147: "[...] tratte dal Codex Ashburn 1166 del X V secolo. Uillustrazione 131 (p. 282) raffigura Adamo disteso sulla terra; la didascalia dice: «Adamo come 'prima materia', trafitto dal dardo di Mercurio, fa crescere dal suo corpo 'l'arbor philosophica'. La freccia è conficcata nella mammella destra, la mano sinistra è rivoltata verso di essa, mentre al posto del pene s'innalza, a simbolo della riproduzione vegetativa, un albero vigoroso, ricoperto di foglie. Il dardo significa «telum passionis» [...]. La figura 135 a p. 293 di Psicologia e Alchimia mostra il corpo di Eva nella stessa posizione, a terra, del corpo di Adamo; la destra copre la parte bassa, invece la sinistra indica un teschio su un'ara; dalla testa si innalza r«arbor». La didascalia è chiarissima: «Il teschio come simbolo della 'mortificatio' di Eva, la quale rappresenta l'aspetto femminile della 'prima materia'. In contrasto con Adamo, dove T'arbor' corrisponde al fallo, qui l'albero cresce dalla testa di Eva»". 3 C. Vitiello, Teoria e tecnica dell'avanguardia, cit., pp. 150-151: "Allora riporto il passo di Psicologia e alchimia, p. 288: «Dorneus formula un parallelismo esatto tra

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Topera alchimistica e il mutamento morale-intellettuale deh'uomo. I suoi svolgimenti di pensiero però sono in gran parte anticipati in una opera harraniana: Trattato delle tetralogie platoniche, il titolo latino del quale è: Liber Platonis Quartorum. "Per aiutare il ricercatore" Tautore stabilisce quattro serie di quattro "Libri" ciascuna, che si corrispondono reciprocamente: I 1) De opere naturalium 2) Exaltatio divisionis naturae 3) Exaltatio animae 4) Exaltatio intellectus

II Elementum aquae Elementum terrae Elementum aeris Elementum ignis

II Naturae compositae Naturae discretae Simplicia

IV Sensus Discretio intellectualis Ratio

Aetheris simplicioris Res

H o sottolineato «i membri espressivi» che nel testo poetico sono così disposti nel compatto flusso compositivo: v. 6 («naturae compositae»); v. 19 («exaltatio divisionis»), la cui continuazione è al verso seguente, «divionis naturae», risultandovi uno spezzettamento ad arte a guisa di atto sospensivo della referenza del frammento latino; v. 21 («exaltatio animae»), («exaltatio intellectus»). In realtà «naturae compositae» si trova al v. 15, mentre al v. 6 si trova «naturae discretae», n.d.A.]. Lo schema harraniano dà la struttura del componimento delTopera, che si realizza in quattro momenti; per questo confronta Psicologia e alchimia, pp. 289-290:1 serie verticale: dalla somma dei fenomeni naturah si fa avanti lo psichico, il quale culmina nella «exaltatio intellectus», nel fenomeno di chiara intelligenza e comprensione; II serie verticale: «Dal caos acquatico, originario, dalla "massa confusa" sorge la terra: su di essa si deposita Taria, soprattutto viene il fuoco, una sostanza "finissima"»; III serie verticale: «È di natura concettuale, ideale, per ciò essa contiene giudizi intellettuah». La composizione si dissolve in elementi distinti: questi vengono ridotti al semplice. IV serie verticale: «È esclusivamente I sensi trasmettono la percezione; la "discretio intellectualis" corrisponde alTappercezione. Questa attività sottostà alla "ratio", alT"anima rationahs" come facoltà suprema concessa da Dio agli uomini». Su questi sintagmi latini è modellato il segmento del v. 30 «naturae separatae», che va avvicinato al passo latino di Psicologia e alchimia, p. 288, n. 6 «cum sit separatio naturae»." Lo schema harraniano sopra proposto va tenuto in considerazione anche per il v. 1 della sez. 1. ^ Quanto questa frase sia cara e decisiva nel lessico sanguinetiano, lo si capisce dal fatto che anni dopo diventa il titolo di un capitale intervento, di poetica e di pohtica, apparso prima su UUnità del 30-12-91, poi in E. Sanguineti, Cose, Pironti, Napoh 1999.

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10. il dovere ancora mortificato di essere amato

tuttavia e per una vera immaginazione e non fantastica animale cauterizzato (era le cœur du monde tempo vagabondo) della mia visione intrapresa al modo ottativo restituiscimi subito i plastici articolati 5 (naturae discretae) della discriminazione tra l'albero (che ti alzi nel sesso dell'uomo discretio intellectualis testicolare) proponendo la sapienza della morte (non datur) degli amori ma ancora nella testa della donna tra le vegetazioni collezionate come pietre modellate in possibihtà di afferrare senza errore 10 vengono mutati albero che ti alzi per mezzo del tempo tu che ti alzi vengono mutati per mezzo del tempo dei miei modeUi morte che parli sei nella condizione di chi diviene il tempo di Laszo sopra questo orizzonte elastico planimetria come diciamo della morte quotidiana per questo tranquilla (naturae compositae) appunto perché 15 io sono il tuo mondo ma bestemmiatrice ma faUimentari parti distinte (et hoc imaginare ti prego) in notevole ampiezza nella loro stesura originale sono gli anni di Laszo in accrescimento in giustapposizione exaltatio divisionis compiutamente indiretta divisionis naturae tu bella sintassi del mio corpo 20 (exaltatio animae) tutte le cose vengono modificate (exaltatio intellectus) per mezzo di questo tempo tempo esatto così passeremo attraverso il misantropico El Flamingo per mezzo di questo tempo intestinale e convulso 25 flessione stupefazione dalla passione alla compassione sia il viaggio questo apre il commentario dimenticheremo ricorderemo comunicati per sempre gli affetti che redimono (mortificatio voluntaria) amore (naturae separatae) Laszo misura l'anima dei suoi animali quando l'occhio è la nostra anima noi stessi i santi anarchici vedere le anime quando l'amore è delle cose visibili modificate come si è detto anche ad una certa distanza ma ho promesso l'esaurimento del discorso io sono sempre la mia vita e tu la mia vita io la mia morte tu il giuoco della mia morte sempre questo breve intervallo discreto sempre questo breve intervallo

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di breve comunicazione ma sempre questa morte segreta attendendo la riduzione al verme lucido e nero e definitivamente lunare che si aggrappa come dicono alla pallida numerazione dei colpi alle labbra taghate possedute agh amori alle morti che si vedono etc

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Note V. 1: "il dovere ancora mortificato di essere amato": questo "dovere" di "essere amato" pare mantenere Teco di una libera traduzione dei celeberrimi versi danteschi "amor che nullo amato amar perdona" {Inf., V; v. 103), nel senso di sottolineatura della costrizione ad amare, subito rattristato, negato, umiliato e, per certi versi, privato di energia vitale e condotto in una situazione simile alla morte, "mortificato" rimanda anche al sostrato junghiano del v. 28 (mortificatio voluntaria). V. 3: "e per una vera immaginazione e non fantastica": "esso richiama Psicologia e alchimia (p. 283): «l'autore anonimo del Rosarium dice in un altro punto che l'opera deve essere fatta 'con la vera immaginazione e non con quella fantastica'» che è la traduzione pedissequa del testo latino «Et hoc imaginare per veram imaginationem et non phantasticam»: si vede bene che Sanguineti traduce in proprio, conservando integralmente la struttura originale" (C. Vitiello, Teoria e tecnica dell'avanguardia, cit., p. 145). Il testo latino completo è alla nota 6 di p. 283 di Psicologia e alchimia: " E t vide secundum naturam, de qua regenerantur corpora in visceribus terrae. Et hoc imaginare per veram imaginationem et non phantasticam". Questa dichiarazione rende chiaro, completandolo, "il mio corpo/immaginoso" di sez. 1, w. 2-3. ~ "animale cauterizzato": definizione significativa dell'essere umano, appunto animale, che, però, si differenzia per la scienza e il sapere, in questo caso preciso, medico: "cauterizzato" indica il bruciare, a scopo terapeutico, col cauterio o con caustico o con altra tecnica, qualche parte offesa del corpo, con il quale si ha un rapporto, in taluni casi, queUi richiesti da alcune patologie, invasivo, di perforazione e di entrata. È questa la peculiarità dell'uomo e ne determina il rapporto particolare con il corpo, del quale si ha una visione non solo esterna (ciò che si vede) ma anche interna (ciò che è nascosto e va svelato). Sull'animale, Vitiello osserva: "«animale» può essere stato dettato da questi lemmi in Psicologia e alchimia, p. 277: «Tu puoi vedere condensati nell'aria spiriti fuggenti o fuggiti in forma di diversi animali mostruosi» e le parole sono chiarite dalla figura 129 in cui sono visibili «'spiritus personificati, che fuggono dalla prima materia riscaldata'». La citazione deve ritenersi esatta per due ordini di motivi: la presenza nella figura e in verbo dell'idea del fuoco evoca facilmente 'cauterizzato', come lo svolgimento del verme nella stessa figura è richiamato al v. 38, «verme lucido»" (C. Vitiello, cit., p. 149). A parer nostro, non vi è una sola fonte, ma parecchi elementi e multiformi sollecitazioni vengono a conden-

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sarsi in questo "animale", senza dimenticare la pregnanza ideologica di una scelta del genere, che rifiuta, in un sol colpo e in una sola parola, tutti i sistemi antropocentrici, per dare all'uomo, a ragione, lo spazio che gli compete, quello di uno dei tanti elementi dell'universo, e neppure particolarmente significante. V. 4: "(era le coeur du monde tempo vagabondo)": "le coeur du monde", il "cuore del mondo", è un sintagma piuttosto usato nella lingua francese (dalla pubblicità o informazione geografico-turistica al linguaggio giornalistico e saggistico, dove si intende, in senso figurato, il nocciolo del problema, il cuore della questione): tra i moltephci e possibili rimandi, segnaliamo che Au cœur du monde è il titolo di una raccolta di quattro testi poetici, composti tra il 1917 e il 1919, di Blaise Cendrars, pubblicati nel 1919 sulla rivista «Littérature», n. 6, agosto 1919 (vd. B. Cendrars, Œuvres Complétés, Denoël, Paris 1965). In questo caso a declinare il sintagma francese è proprio il "tempo vagabondo", nel senso di mobile ed erratico, il quale, attraverso la sua azione incessante, provoca le trasformazioni ed è strettamente legato, non a caso, alla morte (w. 8,13,14, 35, 38 e 41). - "della mia visione intrapresa": Vopus, cioè, per Sanguineti il processo ermeneutico, è proprio costituito dalla possibihtà di portare a compimento la "visione intrapresa". "Ancora junghiana è la voce «visione», specie, come è in Laborintus, usata nell'accezione di immagine onirica: essa compare sovente in tutto Psicologia e alchimia, e cfr. pp. 278-280, dove è concentrata l'adozione ad alta frequenza: «il fatto che l'opera alchimistica fosse legata a visioni, può probabilmente spiegare la frequenza con la quale 'sogni' e 'visioni di sogno' vengono menzionate», ed ancora: «il sogno e la visione sono essenzialmente forma letteraria, visione di sogno in Zosimo ha un carattere più autentico: e «particolari visioni ecc.», ma soprattutto è famosissima la «visio Arislei»" (C. Vitiello, cit., p. 149). Anche in questo caso, senza voler contraddire la pertinente osservazione, ci pare che nell'usare il termine "visione" Sanguineti completi Jung perlomeno con Dante, autore della grande "visione" della Commedia, che porta dalla sapienza e dalla conoscenza alla beatitudine, alla grazia. Del resto, l'avere visioni e non semplici sogni è una peculiare connotazione della cultura medievale. V. 5: Secondo i modi e i modeUi del desiderio, si invoca, potenzialmente, un corpo che per permettere la conoscenza sia dotato di plastiche articolazioni, snodato, da ballerino. V. 6: "(naturae discretae) della discriminazione": inizia il processo di composizione àdVopus, secondo lo schema harraniano. III, 2. "naturae discretae indica lo stato di separazione degli elementi naturah, che sono distinti uno dall'altro, le nature composte sono dissolte o riconvertite nei loro elementi iniziah". (C. Vitiello, cit., p. 150). w . 6-7: Inizia, qui, la descrizione della figura 131 di Psicologia e alchimia, mettendo in gioco anche la didascalia. Per non creare dubbi sulla natura di questi versi e sul loro significato di processo di conoscenza e di ricerca l'autore ricorre, contemporaneamente, all'immagine dell'"arbor philosophica" e allo schema harraniano di creazione àe]['opus. La "discretio intellectualis" "corrisponde all'appercezione" IV, 2 (C.G. Jung, Psicologia e Alchimia, cit., p. 290), ma in Sanguineti indica anche il discernimento dell'intelletto. Per Vitiello, "'della discriminazione tra l'albero' (w. 6-7) è confluito da questo passo di Psicologia e alchimia, p. 289 «atto psicologico della discriminazione»" (C. Vitiello, cit., p. 146).

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V. 8: La "sapientia" del v. 15 e la "sapienza" del v. 16 della sez. 6 trovano qui una sorta di primi paralipomeni esplicativi: la sapienza è proprio quella che proviene dalla conoscenza del mondo e dell'uomo, della morte e dell'amore, "(non datur)", posto tra parentesi, sembra quasi un intervento d'autore, o comunque esterno, è una terza persona singolare e svolge una funzione impersonale simile al "(difficile est)" -ugualmente tra parentesi- al v. 40 della sez. 3. Il sintagma latino "(non datur)"sottolinea l'impossibilità di avere "sapienza della morte" in maniera diretta, essendo uno stato ed uno stadio non reversibih. "Infine, nel sintagma del v. 8 «sapienza della morte» il lessema «sapienza» è ricavato dal sintagma di p. 283 -sempre in Psicologia e alchimia'sal sapientiae' (cfr. sez. 11, v. 1: «la nostra sapienza tollera tutte le guerre»)" (C. Vitiello, cit., p. 149). L'osservazione di Vitiello è forse eccessivamente perentoria, in un testo multiforme e polifonico. w. 9-10: Sulla descrizione della fig. 131 di Adamo si inserisce quella della fig. 135 di Eva (vd. Introduzione). Anche in questo caso siamo nell'ambito della formazione àdVopus. V. 11: Nel bel mezzo àtWekfrasis entra in gioco l'altro tema -elemento cardine del componimento-, il tempo, vero e proprio demiurgo delle trasformazioni, il quale ritornerà ai w. 12, 13, 18, 22, 23 e 25. V. 12: Il concetto precedente dell'azione del tempo viene ribadito e sviluppato. V. 13: Viene creato il capitale collegamento tra tempo e morte, che abbiamo già incontrato al V. 8 e che ritornerà ai w. 14, 35, 38 e 41. Se nella prima parte è il tempo a ritmare questa antinarrazione di una formazione, nella seconda è la morte, come estremo amaro frutto dell'azione del tempo. V. 14: Il tempo diventa "il tempo/di Laszo", uno spazio non fisso e determinato ma un "orizzonte elastico", che può dilatarsi o restringersi, in relazione all'arrivo della morte, la cesura per antonomasia. V. 15: La morte è "quotidiana", nel senso che essa è presente ogni giorno nella vita umana, e questo favorisce un approccio, seppur sempre molto difficoltoso sul piano dell'accettazione, "tranquillo" perché fa parte dell'orizzonte culturale umano, anche se come choc, "naturae compositae" è riferito al III, 1 dello schema harraniano (vd. Introduzione) e sta ad indicare le nature composte, cioè miste, nello stadio precedente alla dissoluzione in cui gli elementi vengono distinti. Vd. v. 6 "(naturae discretae)". V. 16: L'io che parla prende la parola per ribadire lo stato àtìVopus e il processo, nonché le coordinate del mondo. V. 17: "parti distinte (et hoc imaginare ti prego) in notevole ampiezza": i due aggettivi precedenti si riferiscono anche a queste "parti distinte", elementi di una fase della produzione alchemica àtìVopus. Per Vitiello {Teoria e tecnica dell'avanguardia, cit., p. 149) questo sintagma è da riferirsi al lacerto junghiano "nature distinte", infatti scrive: " E in Psicologia e Alchimia, pag. 290, leggo questo brano: «per mezzo della volontà del quale l'intelligenza è condizionata; tanto per mezzo della volontà quanto per mezzo dell'intelligenza (che va compresa in questo caso come 'intellectus') esiste l'anima semplice; ma per mezzo dell'anima sono condizionate le nature distinte, dalle quali sono sorte le composite»". Questa frase junghiana rientrerà in gioco ai w . 22-25. "et hoc imaginare" è la prima parte della versione latina (quella originale) del passo

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" E t hoc imaginare per veram imaginationem et non phantasticam", che tradotto abbiamo già incontrato al v. 3. L'immaginazione è davvero la condizione necessaria per portare a termine Vopus. Si ribadisce quindi, partendo da Jung, che "T'imaginatio' o 'immaginare è anche una attività fisica, che può essere inserita nel circuito dei mutamenti materiali che essa determina, e dai quali a sua volta essa stessa viene determinata" (vd. C.G. Jung, Psicologia e Alchimia, cit., p. 304). Per l'importanza della imaginatio e la sua differenza àdXìdiphantasia, vd. anche C.G. Jung, Psicologia e Alchimia, cit., p. 188. È proprio qui che appare, per la prima volta, il passo 'incriminato' del Rosarium Philosophorum a cui fa riferimento, poi, Jung e caro a Sanguineti. Jung per distinguere r"imaginatio" dalla "phantasia" si rifà al Petronio del Satyricon, che afferma "Phantasia non homo" - siamo ancora, con Petronio, nell'orizzonte delle preferenze sanguinetiane. L'immaginazione è una vocazione attiva di immagini (interne) "secundum naturam", un'opera di pensiero e di rappresentazione, la quale non fantastica a caso, nel vuoto e senza fondamento, e neppure gioca banalmente con i suoi oggetti,. ma tenta invece di comprendere i fatti interni e di rappresentarli con immagini fedeh alla loro natura. Questa funzione "imaginatio", che costituisce il centro della riflessione, entra prepotentemente nel testo e nella sua genesi. ~ Il "ti prego" è l'incipit della frase precedente, riportata da Jung (questa porzione di testo junghiano ritornerà al v. 31); "(hoc imaginare ti prego)" è una invocazione appunto alla forza decisiva deir"immaginazione attiva", motore del processo per il quale le "parti distinte" iniziano a reagire in "notevole ampiezza". V. 18: In questo preciso momento, da generico il tempo ridiventa quello di Laszo, cioè quello della sua vita, preciso e "originale"; per Vitiello, forse un po' eccessivamente, la frase "stesura originale" è da avvicinare "al brano di Psicologia e alchimia, a p. 290: «testo originale»" (C. Vitiello, Teoria e tecnica dell'avanguardia, cit., p. 149). "stesura originale" e "testo originale" sono però parole distinte e termini comuni nella critica e nella filologia. Qui servono a qualificare gh anni di Laszo. V. 19: Siamo all'interno, nel cuore del mondo, della creazione dell'opus, del quale seguiamo i movimenti secondo lo schema harraniano (vd. Introduzione), "exaltatio divisionis" si riferisce alla exaltatio divisionis naturae, I, 2, e cioè alla decomposizione degh elementi della materia iniziale, fase della disgregazione (esaltazione, glorificazione, orgoglio della divisione). V. 20: "divisionis naturae" è la seconda parte dello stadio dello schema harraniano, stiamo seguendo la totale disgregazione della prima materia (separazione, soluzione degh elementi naturali). Questo processo avviene attraverso la "bella sintassi del mio corpo", che sottolinea inequivocabilmente come il corpo sia linguaggio, elemento fondamentale nei processi di conoscenza. w . 21-25: Il processo continua, si aggiungono altri due stadi dello schema harraniano (I, 3 e I, 4); siamo nella prima serie verticale, quella di natura fenomenologica. Dalla somma dei fenomeni naturali emerge chiaramente l'elemento psichico: nella "esaltazione o glorificazione dell'anima" l'anima viene separata dal corpo, del quale, come "ingenium", è elemento peculiare o "anima"; la sua natura materiale deve subire una trasformazione, per arrivare a culminare nella exaltatio intellectus (esaltazione dell'intelletto), cioè nel fenomeno della chiara inteUigenza e comprensione. AU'intel-

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letto viene riservato il compito capitale, cioè la sublimazione al suo massimo grado, con la trasformazione della natura nella cosa semplice che, in relazione al suo genere, è affine agli spiriti, agli angeh e alle idee esterne. Questo enorme processo, che avviene grazie al tempo, si completa qui, al v. 22 (il "per mezzo di", già presente ai w . 11 e 12); infatti si è passati dal "per mezzo del tempo" al "per mezzo di questo tempo", un "tempo esatto", preciso, la cui azione non conosce ostacoli, perché -sottolinea il v. 2 5 "questo tempo" proviene dal corpo, dal suo interno, dall'intestino, dallo stomaco, con un movimento spasmodico ("convulso"). Vitiello osserva: "Leggo i w . 21-22: «tutte le cose vengono modificate (exaltaltatio intellectus)/per mezzo di questo tempo»: questo modulo espressivo è riportato anche al v. 12, con cambiamento della voce verbale: «vengono mutati per mezzo del tempo» e ancora al verso precedente la stessa proposizione, spezzata ad arte, viene ripetuta: «vengono mutati albero che ti alzi per mezzo del tempo», dove il nuovo modello espressivo si carica di diversa significanza, per la immissione del sintagma «per mezzo del tempo». Queste espressioni, da Sanguineti trattate, come le altre riguardanti la denotazione di Adamo ed Eva, con un rigore mentale, che riecheggiano l'uso di strumenti poveri e oggettuah di certe aree dell'avanguardia storica, si rinvengono identiche nella struttura e nel lessico in Psicologia e alchimia, p. 294: «Le cose vengono mutate in intelletto per mezzo del tempo», con la variante che è a p. 306: «In questo elemento (aria) tutte le cose sono integrate per mezzo dell'immaginazione». Anche si evince il ricalco sulla linea sincategorematica «per mezzo del», veramente martellante e insistita, a mo' di colpo fisico, che compare nei w . 11, 12, 22, 25". (C. Vitiello, cit., pp. 148-149). L'ultima porzione di questa era già entrata in gioco al v. 17. ~ "il misantropico El Flamingo": E1 Flamingo è il nome di un locale da ballo (secondo le indicazioni autoriali); l'aggettivo misantropico, che sottolinea l'avversione per gh uomini e per la società, indica, con tutta probabihtà, un chma che è il perfetto contrario di quello dei locali notturni. Si crea così un ossimoro. Solitudine e difficoltà di comunicazione sono i tratti sahenti: e proprio questo ostacolo diventa una delle prove da superare, dichiarata al v. 24. w . 26-27: Le diverse fasi AtWopus, a livello psichico, costituiscono un parallelo con l'attraversamento della Palus Putredinis, e proprio qui, come dice il v. 27, inizia "il viaggio" del quale, alla maniera di Cesare, verrà redatto un "commentario", cioè uno scabro resoconto con le cose da dimenticare e quelle da tenere a mente. Questo viaggio inizia con un vasto spettro di stati d'animo e affezioni, in "flessione" e in "stupefazione", dalla "passione" alla "compassione": la "flessione" indica uno spegnimento delle passioni. È il quadro preciso di una situazione. w . 28-29: Diventa decisivo salvaguardare e riuscire a comunicare "gh affetti" che ci conducono, con un intervento eccezionale e sentito come provvidenziale, a uno stato di libertà in particolar modo morale, sociale e politica. Il verbo "redimere" ha un significato e un valore religioso, cristiano, ma si ritrova anche nel linguaggio giuridico, dove si riferisce alla pratica di liberare un bene da un vincolo gravante su di esso, e, seppur raramente, si può incontrare anche nel lessico economico-finanziario nel significato di ammortare, estinguere, rimborsare un debito o una passività. Su questi versi, Vitiello annota: "Intanto, nella didascalia alla figura di Eva era menzionato il morfema "mortificatio", che è trapassato con l'uso delle pinze dico allegoricamente, al

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V. 28 («mortificatio voluntaria»). Questa voce in Psicologia e alchimia anche altre volte compare, per esempio nella didascaha della fig. 223, a p. 443: «La "mortificatio" o "nigredo", e "putrefactio". Sole e Luna diventano preda della morte dopo la congiunzione»; ma il passo che ha sicuramente influenzato Sanguineti è a p. 367: «Il pericolo psicologico [...] sta in un dissolversi della personalità nelle sue componenti funzionai, in singole funzioni della coscienza, complessi, unità ereditaria ecc. La disgregazione -una schizofrenia funzionale, talvolta anche affettiva- è infatti ciò cui va incontro Gabricus: egli viene disciolto in atomi nel grembo di Beya; ciò corrisponde a una delle forme della «mortificatio» e qui, poi, c'è il rimando alla figura 173 della stessa pagina la quale illustra l'uccisione del Re come mortificatio.» (C. VitieUo, Teoria e tecnica dell'avanguardia, cit., p. 147). Che queste pagine junghiane siano state attentamente vaghate da Sanguineti è confermato dal fatto che ci troviamo nelle vicinanze del paragrafo quarto "Re e figlio di re", che avevamo già incontrato nella sez. 4, v. 16. ~ Il lacerto "mortificatio voluntaria" sembra rimandare al "career voluntarius" del v. 3 della sez. 15: il parallelo mortificatio-carcer è indotto anche dalla presenza, a livello strutturale, della misura spaziale del tempo come elemento che ritorna e dà forma all'intero testo, creando scansioni che ritmano l'anomalo fluire di questa (anti)narrazione. Gli "affetti che redimono" permettono di innescare il meccanismo àtWopus, il primo stadio della trasformazione della prima materia, della sua divisione in elementi distinti: la chiave del tutto è proprio l'amore nella sua totalità di corpo e anima, di attributi e affezioni, che ritroviamo isolato al v. 29. V. 30: "naturae separatae", cioè lo stato di divisione in elementi distinti di ciò che è misto e composto, per Vitiello "va avvicinato al passo latino di Psicologia e alchimia, p. 288, n. 6 «cum sit separatio naturae»" (C. Vitiello, cit., p. 151). Ci troviamo sempre all'interno dei processi di costruzione átW'opus, e vediamo Laszo, figura solare ("oscilla sull'Eldorado Club", sez. 4, v. 3), lavorare sull'anima, cercarne la misura: il fine è la coniunctio. Con questo verso termina la prima parte, scandita dal tempo in quattro blocchi (w. 1-2; w. 3-22; w . 23-27 e w . 28-30.1 w. 22-23, strettamente collegati, uniscono il secondo e il terzo blocco, che potrebbero anche essere visti come un unico blocco interrotto da una breve sospensione che permette di prendere fiato durante la lettura). vv. 31-34: Questa seconda parte del componimento -"quando l'occhio è la nostra anima", un calco, un travestimento, del "Ti prego, guarda con gli occhi dello spirito" (C.G. Jung, Psicologia e Alchimia, cit., p. 281)-, è più che altro la risposta sanguinetiana al tema junghiano. Nell'affrontare "l'atteggiamento spirituale verso l'opera", che qui diventa un come ci si deve porre di fronte alla realtà, per fare in modo che lo sguardo disincantato, l'occhio puntato sulla realtà effettuale, sia la nostra arma, è necessario correggere la prospettiva di Jung con il sintagma "noi stessi i santi anarchici", che, gettando Artaud (e con quell'occhio forse anche Buñuel) su Jung, ci parla delle pratiche del sogno come meccanismo di produzione di senso, per svelare il reale. D'altro canto, il rimando è immediatamente pohtico, ad un atteggiamento da vero e proprio "aspirante materiahsta storico". Non a caso, nel '91, quarant'anni dopo, I Santi Anarchici è diventato il titolo di un intervento giornalistico di Sanguineti, nel quale egh parla, appunto, della sua poesia, individuando nella pulsione anarchica il motore produt-

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tore non solo della sua ma di tutta la poesia moderna e contemporanea. Per cogliere, nascosta e protetta, questa verità, è necessario guardarsi e costruirsi nell'anima (intesa anche come mente) per arrivare all'amore presente nelle "cose visibili", che subiscono incessanti processi di trasformazione (l'azione può iniziare "anche ad una certa distanza" dal nucleo), ma tutto questo si può compiere solo attraverso "l'esaurimento del discorso", cioè lo sfruttamento fino alla consunzione del linguaggio, che va consumato in tutte le sue opzioni e possibihtà, in tutte le sue potenzialità, fino al silenzio, alla morte (presente nel verso successivo, e elemento che scandisce questa seconda parte). w . 34-35: Questa "estatica dialettica" tra io voce narrante e tu, che da destinatario del discorso e dell'azione agisce e diventa attivo, e nello stesso tempo, tra vita e morte, in un gioco sociale incessante, è esemplificata su "io sono sempre stato la mia vita", traduzione-travestimento della frase "ma vie c'est moi" della ragazza danese (sez. 6, v. 48). Vediamo, qui, un altro aspetto del travestimento, e cioè questa sorta di traduzione calco dal francese del v. 48: in questo modo l'autore getta un ponte tra queste due porzioni di testi. Del resto, come il "tempo" e il "non dobbiamo crescere" della sez. 6 si completa nella sez. 7, così la vita della sez. 6 trova il suo completamento in questa dialettica, "per mezzo di questo tempo/tempo esatto", tra vita e morte. vv. 36-37: La morte e la vita sono separate da "un breve intervallo", da un filo sottile e loro stesse sono un "breve intervallo discreto"; l'aggettivo "discreto" è termine tecnico nella lingua della fisica e sta ad indicare un andamento quantico, non continuo ma per piccole quantità indipendenti. E negh interstizi di queste piccole quantità di vita, è possibile una "breve comunicazione" degli "affetti che redimono". w. 38-40: Per Vitiello (C. Vitiello, cit., p. 149), il "verme lucido e nero", ultimo prodotto dell'azione della morte (prodotto a sua volta del tempo) è da ricondurre ala figura 129 a p. 277 di Psicologia e alchimia: «Tu puoi vedere condensati nell'aria spiriti fuggenti o fuggiti in forma di diversi animali mostruosi» e come recita la didascaHa della figura 129: «"Spiritus" personificati, che fuggono dalla "prima materia" riscaldata». Sicuramente questo "verme lucido/e nero", fase della lavorazione alchemica, rappresenta uno stadio di vita lunare come compresenza di luoghi dei morti e di luogo della rigenerazione, della (ri)nascita (il concetto troverà il suo completamento, secondo modalità compositive dominate da una rete di rimandi e ritorni, che possiamo ormai definire una pecuUarità di Laborintus, nella sez. 8). "paUida numerazione dei colpi" sono i segni di vita e di movimento del "verme". Per il verme come anima, vd. C.G. Jung, Psicologia e Alchimia, cit., p. 187. Il concetto riprende però, almeno in parte, "i polsi vermicolari" (sez. 3, v. 41). w. 40-42: Le "labbra tagliate" rimandano ai w . 24-25 "e parole/ancora taghano le labbra" della sez. 5 e ci parlano di labbra capaci di cogHere l'amore e la morte, di trovare le parole della vita. L'"etc", con il quale si chiude la poesia, è una tipica inserzione per abbassare il tono del discorso, che acquista dimensione prosastica: le prime sei sezioni si concludono di colpo senza riferimenti o segni di interpunzione, mentre qui l'idea della continuazione è data dalla forma abbreviata di et cetera. Si chiude così il componimento, ma non il discorso.

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SEZIONE 8

Introduzione Questo componimento, tra i più brevi di Laborintus, è incentrato su una sorta di invocazione alla luna, che con il Leopardi del Canto di un pastore errante dell'Asia e II tramonto della luna da topico diventa tipico di un rapporto uomo-natura, di uno stato d'animo^; il gioco di Sanguineti è qui legato al tempo e di conseguenza alle sue determinazioni, che ci vengono 'dantescamente' comunicate attraverso le fasi della luna, i suoi movimenti celesti, la sua posizione tra le stelle: "mese d'aprile" al v. 6 ci viene in soccorso in maniera chiara per indicarci la situazione di determinazione del tempo, decisivo nella vita umana e per questo presente nella formazione àtWopus. Del resto, come abbiamo già visto, il calare della luna e r"augmento lunae", l'essere visibile e lo sparire per ricomparire -movimenti che avevano indotto gli antichi a percepirla come eterno ciclo di vita e di morte, di nascita e di distruzione, disgregazione e rigenerazione-, la trasformarono in un mezzo naturale per la misurazione del tempo, scandendo anche Witmi della vita, con la sua presenza nei momenti decisivi (quello del parto, dove collaborava alla generazione, e quello della morte, dove aveva parte attiva nella decomposizione dei morti)2. Questa sez. 8, a livello astronomico e astrologico, viene a completare la sez. 6 -dove si parlava di quadratura, di presenza del sole nell'acquario, di eclissi e di luna rossa ("pasquale")-, con il "mese d'aprile" e il "ritorna mia luna", in alternanza di pienezza e di esiguità; l'autore, senza ombra di dubbio, focahzza così l'attenzione sulle fasi della luna. La riflessione si concentra sul tempo, che, già nella sez. 2, era presente come "il tempo dell'occhio che risuona nel quieto addome" (v. 3), possedeva già connotazioni corporali, apparteneneva ad un "occhio" che non si trova collocato nella sua sede naturale, la testa, ma significativamente, in maniera rabelaisiana, nella pancia; il tempo è quello del basso corporeo, non è un "tempo esatto" (sez. 7, v. 23), ma "intestinale e convulso" (sez. 7, v. 25). È un "breve intervallo discreto" (sez. 7, V. 36), cioè non un flusso continuo, ma a salti e blocchi, tecnicamente "discreto", cioè quasi indeterminato, che può essere misurato solo con il "cronometro sepolto", per il quale non è da escludere un rapporto, seppure vago, a livello di sedimentata impressione minima, con gli orologi deformati e deformanti di Dalì. Il tempo così può trasformarsi nei vari e diversi tempi personah (da quello di Laszo a quello di EUie) che moltiphcano, di conseguenza, anche i livelli temporali del testo. Il "cronometro sepolto" è l'unico

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strumento di misurazione in grado di funzionare con il tempo "discreto" e disgregato, deformato e moltiplicato della Palus Putredinis\ in poche parole, il "cronometro sepolto" è lo strumento tecnico che bisogna avere in dotazione per attraversare la Palus Putredinis, per orientarsi temporalmente e spazialmente in questa informe palude in putrefazione, piena di insidie, dove si nasce e si muore, e ci si rigenera. È con il disseppellimento del "cronometro sepolto" che si può riuscire ad entrare e ad uscire da questo luogo infero. E il riferimento a Dalì, inteso come contesto e situazione di scrittura surrealistica, o, per essere più precisi, alla maniera dei surrealisti, ci viene confermato dall'intero componimento, che è fondato proprio sugh accostamenti arditi, giocati su un apparente nonsense, o perfino sul paradosso (v. 5: "(vedo i miei pesci morire sopra gh scogh delle tue cigha)"), e anche sul calco e sulla ricostruzione travestita. Ad esempio, al v. 12, "vor der Mondbriicke vor den Mondbrüchen" ("di fronte al ponte della luna di fronte alle fasi della luna"): qui il gioco tra un indirizzo preciso ed il conio e il riferimento, chiaro ed inequivocabile, alle fasi della luna, serve proprio a concludere, incastrandoli, i w. 9-12, nei quah vediamo la luna in movimento, in accrescimento, con le sue macchie. Infatti questo blocco è aperto da "in augmento lunae", dove il termine tecnico "augmento" ci indica la luna crescente; questo frammento è prelevato direttamente da un capitolo del De Vitiorum Virtutumque conflictu {Il conflitto dei vizi e delle virtù) di S. Ambrogio, nel quale è presente un paragone con il mondo naturale e le sue manifestazioni. D'altronde, Ambrogio non è certo una presenza sporadica; tutta la sez. 24, come si vedrà, è costruita con lacerti dit\['Exameron, e qui il sintagma viene effettivamente assorbito e impastato, potremmo dire persino laborintizzato, proprio nel senso di mangiato, ingoiato e digerito, e quello che importa è non solo la provenienza ma il nuovo contesto nel quale è inserito: esso serve a comunicarci, senza nessuna ambiguità e possibilità di fraintendimento, la posizione della luna, il quadro astronomico del tempo. E così il travestimento viene a configurarsi non come un meccanismo di trasformazione fondato su slittamenti e scivolamenti semantici, ma quasi su un esproprio dei significati originari in nome di una risemantizzazione che, talvolta, ridisegna, a livello di significazione, il sintagma, creando nuovi equilibri, sviluppando germi che erano presenti solo in nuce. In questi versi Sanguineti fa i conti, superandola, con una concezione lunare della vita, e, proprio per superarla, nel senso di utilizzarla a livello di materiali, oggetti, concezioni e funzioni, trasformandone sostanzialmente i significati, utilizza, appropriatamente, una struttura sintattica e verbale surrealista, che gli permette di superare le barriere tra sogno e realtà, presentandoceh non solo mescolati ma veramente impastati.

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Qui il procedimento di costruzione si modella completamente, con qualche rettifica e correzione, sul progetto di Breton, alle cui parole ricorriamo: Dal momento in cui il sogno verrà sottoposto a un esame metodico, in cui, con mezzi da determinarsi, arriveremo a darne conto nella sua integrità (e ciò suppone una disciplina della memoria praticata per varie generazioni; cominciamo in ogni caso a registrare i fatti salienti), in cui la sua curva si svolgerà con una regolarità e un'ampiezza senza pari, si può sperare che i misteri che non sono tah lasceranno posto al grande Mistero. Credo alla futura soluzione di quei due stati, in apparenza così contraddittori, che sono il sogno e la realtà, in una specie di realtà assoluta, di sHrrealtày se così si può dire. [...] Noi diciamo che l'arte di imitazione (di luoghi, di scene, d'oggetti esterni) ha fatto il suo tempo e che il problema artistico, oggi, è di portare la rappresentazione mentale a una precisione sempre più oggettiva, con l'esercizio volontario dell'immaginazione e della memoria (essendo inteso che la sola percezione esterna ha permesso l'acquisizione involontaria dei materiah di cui la rappresentazione mentale è chiamata a servirsi). Il maggior beneficio che finora il surreahsmo abbia tratto da questo tipo d'operazione è di essere riuscito a concihare dialetticamente questi due termini violentemente contraddittori per l'uomo adulto: percezione, rappresentazione; d'aver gettato un ponte sull'abisso che li separava. La pittura e la costruzione surreahsta hanno permesso fin d'ora, intorno a certi elementi soggettivi, l'organizzazione di percezioni aventi tendenza oggettiva. Queste percezioni, per la loro stessa tendenza ad imporsi come oggettive, presentano un carattere sconvolgente, rivoluzionario nel senso che chiamano imperiosamente, nella realtà esterna, qualcosa che risponda loro. Si può prevedere che, in larga misura, questo qualche cosa sarà.^

Sanguineti dà così vita alla sua immaginazione creativa, fatta di forza di parole e di prassi, operando in virtù di un catalogo storico, quasi di una storia critica dell'immaginazione, che va ¿úVimaginatio tradizionale dell'alchimia a quella del surreahsmo, rivista e ricorretta, in un quadro dove a dominare non è più l'automatismo o la deriva della revèrie, ma il sogno come stato tra il sonno e la veglia nel quale nascono visioni per conoscere e come situazione di formazione dell'io. Questa situazione è resa produttiva dall'immaginazione, una pratica che unisce alla conoscenza la produzione di senso, un progetto concreto di trasformazione del reale. Negh ultimi due versi troviamo un caotico catalogo surreahsta di oggetti ritrovati, a reazione poetica, che ci porta ad una prima definizione globale del

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tempo, una posizione non definitiva e precaria, già in movimento nel momento stesso in cui pare stabilizzarsi il concetto: "il tempo deirocchio che risuona nel quieto addome" (sez. 2, v. 3), che alla sez. 7, v. 25 diventava già "tempo intestinale e convulso", qui è "fegato indemoniato nulla". L'aggettivo indemoniato può essere riferito sia a "fegato" sia a "nulla", ed anzi, forse, la soluzione migliore è quella di non scegliere e, sfruttando la sua completa equidistanza tra i due termini, riferirlo, contemporaneamente, ad entrambi. Il tempo è così "fegato indemoniato" e "indemoniato nulla", cioè, da un lato è corpo "intestino convulso", persino fegato, organo vitale, in una situazione di superlavoro, ai limiti delle sue possibihtà organiche ("indemoniato" pare parlarci di un'iperattività, di un organo veramente sotto pressione, del resto il fegato secerne la bile, influenzando il carattere saturnino e melanconico). Dall'altro è "indemoniato nulla", cioè qualcosa che va oltre il vuoto e il niente, un processo di nullificazione e annientamento delle cose e degli uomini, davvero "indemoniato", cioè in attività frenetica e demoniaco, capace di inglobare tutto per distruggerlo, lasciando una situazione di desertificazione postatomica, dove non esiste più né l'uomo né il tempo. Il Nulla leopardiano (più che nietzschiano) copre ogni cosa, rendendola un magma indistinto senza vita e, forse, senza possibihtà di rigenerazione. Anche la concezione lunare con le sue fasi di eterno ciclo di vita e di morte non sembra poter più diventare attiva in una situazione così disperata.

^ Non a caso Pietropaoli individua un parallelo tra \incipit sanguinetiano e alcuni versi di D'Annunzio «Nascente luna, in cielo esigua come il sopracciglio de la giovinetta...», vd. A. Pietropaoli, Unita e trinità di Edoardo Sanguineti, Esi, Napoh 1991, p. 28. Per D'Annunzio vd. in Lungo l'Affrico (Alcyone), in G. D'Annunzio, Versi d'amore e di gloria, II, a cura di A. Andreoh e N. Lorenzini, Mondadori, Milano 1987, p. 427. 2 A. Fresa, La luna, cit., p. 80: "Anzi la luna, col breve alternarsi delle fasi, richiamando per prima l'attenzione dell'osservatore, diede origine al mese lunare, che fu adottato da quasi tutti i popoli dell'antichità. «I Caldei da molti secoli a. Cr. usavano cominciare il mese all'apparire della falce della Luna nuova; i Libri Talmudici attestano che allorquando fiorivano Rabbi Johanan e Rabban Gamaliele II, nella seconda metà del primo secolo, lo stesso sistema era in uso presso le comunità religiose e civili degli Ebrei; e che occorrevano almeno due testimoni, che giurassero dinanzi agli anziani in Gerusalemme d'aver veduta la falce della nuova Luna, dopo il tramonto del Sole...». Difatti presso il popolo eletto il mese veniva chiamato jerach dal nome della Luna (Jarèach) ed il principio di esso veniva celebrato con solennità nel Tempio". ^ A. Breton, Manifesti, cit., pp. 20, 211.

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ritorna mia luna in alternative di pienezza e di esiguità mia luna al bivio e lingua di luna cronometro sepolto e Sinus Roris e salmodia litania ombra ferro di cavallo e margherita e mammella malata e nausea (vedo i miei pesci morire sopra gli scogU delle tue ciglia) 5 e disavventura e ostacolo passo doppio epidemia chorus e mese di aprile apposizione ventilata risucchio di inibizione e coda e strumento m^ostra di tutto o anche insetto o accostamento di giallo e di nero dunque fogha in campo tu pipistrello in pesce luna tu macchia in augmento lunae 10 (dunque in campo giallo e nero) pennello del sogno talvolta luogo comune vor der Mondbrucke vor den Mondbriichen in un orizzonte isterico di paglia maiale impagliato con ali di farfalla crittografia maschera polvere da sparo fegato indemoniato nulla

Note V. 1: "ritorna mia luna in alternative di pienezza e di esiguità": l'invocazione alla luna si apre proprio con un'osservazione sui suoi movimenti, sull'apparire e scomparire, sull'essere calante e crescente come indizio dell'eterno ciclo della vita, di una concezione lunare del mondo. Sabrina Stroppa, neUe note alla sez. 8, a commento di una piccola scelta di testi sanguinetiani ¿e\\ Antologia della poesia italiana, Einaudi-GaUimard {Ottocento-Novecento, cit., p. 1663), scrive: "cfr. la «Nascente luna, in cielo esigua...», àtWAlcyone dannunziano (Pietropaoli), ma anche le «rapide alternative della pioggia» del Piacere, libro III; il tutto sembra assumere le movenze antihriche della «letteratura definizionale»". Invece, per noi, si tratta semphcemente di un travestimento accurato del sintagma di Ambrogio "in augmento lunae atque defectu", di cui troveremo porzione al v. 10. V. 2: "mia luna al bivio e lingua di luna": al movimento della luna corrisponde un suo linguaggio, un codice di comunicazione e, quindi -in Sanguineti- la visione del mondo come eterno ciclo, dominato dall'indifferenza della natura, assume connotati vichiani. L'idea di svuotare un luogo topico come l'invocazione alla luna, di portare a compimento, sul versante materialista, il progetto marinettiano di uccidere "il chiaro di luna", ritornerà, per esempio, nella Ballata per un lunario nuovo (in E. Sanguineti, Senzatitolo, Feltrinelli, Milano 1992, p. 101). w. 3-4: "cronometro sepolto", nel quale abbiamo rilevato tracce di ascendenza dagli orologi di Dah, apre questo catalogo di oggetti eterogenei, dove si passa dal naturale all'umano, dal tempo al linguaggio, dalla luna al corpo, dal detrito alla manifestazio-

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ne patologica corporale (nausea), dal canto liturgico ("salmodia litania") alla "mammella malata": il riferimento chiaro è al modello surrealista del catalogo, quasi casuale, che, attraverso l'enumerazione caotica e la ricapitolazione nominale, ci dà una visione, volutamente in un breve fotogramma, del caos del cosmo. Che è giustappunto il progetto di Sanguineti. Come osserva Sabrina Stroppa, "cronometro sepolto" rimanda al "novum organon" della sez. 15, v. 25, ma anche "al «morto cronometro» descritto in Pieter CUesz {Senzatitolo, Mauritshuis 7,1)". (S. Stroppa, m Antologia, cit., pp. 1663-1664). - "Sinus Roris" (Golfo della rugiada) è uno dei luoghi topografici della Luna, sempre secondo la denominazione del Riccioli presente in A. Fresa, La luna, cit., fig. 69, p. 189. V. 5: "(vedo i miei pesci morire sopra gli scogli delle tue ciglia)". La Stroppa osserva: "versione surreale (o da «concetto» barocco, ove il termine correlato e generatore è pesci) dell'analogo ritmo montaliano, fra parentesi anch'esso. La Bufera e altro. La bufera, 7-9: «brucia ancora / una grana di zucchero nel guscio / delle tue palpebre», incrociato con l'explicit del contiguo Lungomare, 6: «sui lunghissimi cigU del tuo sguardo»" (S. Stroppa, in Antologia, cit., p. 1664). A parer nostro, seppure l'eventualità dei prestiti montaliani non sia da escludere totalmente, questo verso suggella il catalogo precedente: si tratta infatti di uno dei versi più surrealisti di Sanguineti, e la serie pesci-morte-cigUa pare un impasto di pesci solubili bretoniani e occhi tagliati buñueliani, strutturata sul nonsense e il paradosso, syj^'adunaton, dove le ciglia sono scogli. In più, se proprio si volesse individuare la fonte iconografica dell'immagine descritta da Sanguineti, con la precisa sequenza di pesci e ciglia, questa è costituita da Crime et expiation, illustrazione di Deux Rêves di J.J. Grandville, pubbHcata in «Magasin Pittoresque» 1847, pp. 210-214. Si tratta di una immagine proto-surrealista, dove gli occhi subiscono una progressiva metamorfosi in pesci. w. 6-9: Dopo l'interferenza del verso tra parentesi, che definisce stile e contenuto, si riprende il catalogo con l'enumerazione caotica ed eterogenea di oggetti, ridotti a segni di un mondo in decomposizione, "chorus" latino è un termine ricco e stratificato, indica generalmente la danza, la danza in cerchio, quindi più generalmente il gruppo di danzatori e cantanti (il coro nella tragedia, per scivolamento semantico persino la folla). Ma se "epidemia" che lo precede fa pensare alla folla, l'intero contesto ("mese di aprile", "coda") ci spinge a tenere in considerazione anche il significato di movimento armonioso dei corpi celesti, "epidemia" rafforza un'idea di patologia di massa, mortale. In questo catalogo caotico troviamo persino "passo doppio", da un lato fedele traduzione di "paso doble" (una allegra danza spagnola), e una posizione del tango, dall'altro, rimanendo sempre nelle tecniche del corpo, una particolare posizione calcistica nel dribbling, che si deve a Biavati, ala del Bologna. Può rimandare anche al pas de deux della danza classica (passo doppio), "e coda e strumento": posizione della luna, che è strumento di misurazione temporale, "mostra di tutto o anche insetto": insetto, in questo catalogo, vale per se stesso, ma potrebbe anche indicare la forma della luna in una particolare fase. "accostamento di giallo e di nero/dunque foglia in campo": si rifà nuovamente a una posizione della luna, potrebbe indicare il momento dell'eclissi solare, o il fenomeno dela luce cinerea. Non impossibile anche una suggestione araldica (il campo degli stemmi). V. 10: Altre forme della luna durante il suo movimento - pipistrello, pesce: sembianze che le macchie assumono via via che la luna cresce; il verso viene completato

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dalla citazione prelevata da Ambrogio, De vitiorum virtutumque confluctH, "m augmento lunae atque defectu" (luna crescente e calante; defectu^indica anche Techssi, il passo di Ambrogio è: "Caput XXV. Amor saecuh dicit: Quid pulchrus, quid honestus, quid venustus, quidve potest esse delectabiUus, quam quod in praesenti vita quotidie cernimus? O quam mirabihs coeh camera in aere jucundo, in lumine sohs, in augmento lunae atque defectu, in varietate stellarum et cursu" {Patrologie Cursus Compietus, Sanati Ambrosii, Opera Omnia, voi. 17, tomo II, a c. di J.P. Migne, Parigi, Garnier 1879). La citazione chiude il catalogo degh oggetti riaprendo la questione del moto e delle fasi, "in augmento lunae" potrebbe anche provenire dalla Tabula Aurea di Pietro da Bergamo, già citata: "Daemones plus vexant lunáticos in augmento lunae, ut eam infament, et quia tune cerebrum est sic dispositum per lunam" (p. 284). V. 11: La porzione testuale tra parentesi ribadisce la posizione lunare, ma ora la luna da animale diventa "luogo comune" letterario e "pennello del sogno", cioè strumento per investigare e rappresentare il mondo onirico, che pare acquistare colori e tratti tipici della forza espressiva di Munch. V. 12: "vor der Mondbriicke vor den Mondbriichen": la prima parte, "di fronte al ponte deUa luna", è l'indirizzo preciso di una via di una città svizzera (secondo la testimonianza diretta dell'autore), la seconda parte, "di fronte alle fasi della luna", coniata direttamente dall'autore, che con la ripetizione ribadisce il centro del testo, fa in modo che l'intero sintagma, giocando sulla posizione della Luna a ponte (vd. A. Fresa, La luna, cit., p. 322), vada riferito alle fasi lunari, al movimento dell'astro: la sez. 8 si fa, così, componimento astrologico e astronomico. w . 13-14: Riprende il catalogo, strutturato sull'enumerazione caotica ed eterogenea degli elementi: "l'orizzonte isterico" è riferito al tempo i cui movimenti non sono uniformi, tempo, che al v. 14 della sez. 7, era definito, appunto, "orizzonte elastico". -- "di pagha maiale impaghato con ali di farfalla" sembra, da un lato, un'immagine creata dai movimenti degli astri, dall'altro, pare una immagine dell'uomo ridotto a detrito, sepolto vivo, svuotato; del resto 1'"impaghato" ci parla di un processo di inerte conservazione dell'involucro a cui corrisponde un lavoro di svuotamento degh organi interni sostituiti dalla pagha, appunto. Svuotare per conservare. - Sia "crittografia", scrittura convenzionale segreta, che può essere decifrata solo da chi sia a conoscenza del codice o tipo particolare di rebus che si risolve solo se vengono considerati come un unico insieme tutti i segni tipografici presentati (ma vale, in generale, per testo oscuro, di non facile interpretazione), sia "maschera", rimandano ad una dimensione esoterica, a una difficoltà di scoprire e di cogliere l'umano. ~ Questo processo di cosificazione è dominato dal nulla; il tempo da "fegato indemoniato" si fa "indemoniato nulla", in grado di inglobare, distruggere, rendere tutto detrito per poterlo mangiare e assumere dentro di sé come nutrimento. Nulla sopra ogni cosa. Sabrina Stroppa osserva infatti: "enumerazione procedente su una gradatio di illusorietà e nuHificazione (non più r«angéhca farfalla», ma ali di farfalla impiantate sul maiale impagliato; e poi maschere e crittografie, figure del nascondimento: che diventeranno i rebus di Rebus), bloccata su assonanze che ne negano la progressione, riconducendo tutti i termini al mot-clé «paglia», facilmente e brevemente infiammabile (paglia/farfalla, impagliato/indemoniato), fino all'exitus: nulla" (S. Stroppa, m Antologia, cit., p. 1664).

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SEZIONE 9

Introduzione Con questa sezione entriamo nella Palus lunare come zona di morte e di rinascita, e quindi come spazio e luogo sia del continuo processo di deformazione e degenerazione, sia del momento della nascita, come frutto di una formazione per coniunctio, come unione se non sempre di opposti almeno di elementi distinti. La situazione ci viene immediatamente introdotta dal "post mortem stabis", che ci parla proprio dello stadio dopo la morte e, riferendosi al lettore, gh prefigura uno stato di immobihtà solo apparente, poiché essa genererà una serie di processi di ricostruzione e rigenerazione. I consigli sulla gestione del corpo e le regole salutari diventano Vintroibo di un momento riservato alle trasformazioni del corpo^ (peraltro, post mortem) e sono tutti contenuti nel primo blocco di 12 versi, che costituiscono, appunto, la parodia, un rovesciamento, di un noto precetto della scuola medica di Salerno. Il "Lacus Somniorum" (Lago dei Sogni), preciso elemento di topografia lunare, contribuisce a unire la dimensione immateriale del pensiero e della mente, dell'anima e dell'inconscio, del razionale e dell'irrazionale, a quella più materiale e immediatamente concreta e corporale: in questo modo l'autore riesce, passo dopo passo, stazione dopo stazione, a formulare un discorso completo sull'uomo, anahzzandone tutti i diversi aspetti. Troviamo, di conseguenza, una massiccia presenza di termini corporah, alcuni veri e propri prelievi dal linguaggio tecnico della medicina: "tegumenti" (v. 1), "epitehale propriamente epitehoma" (v. 2), "costale corteccia e tumore" (v. 3), "globi carnosi tubulati e crudi cubi" (v. 8), "dolce mucosa" (v. 9), "cancrena" (v. 10), "crescenza di articolazioni" (v. 15), "caotici pori (detti circhi cistici)" (v. 19), "tessuto mortificato e casa necrotica" (v. 20), "cavernosa interiorità" (v. 21), "libero carcinoma" (v. 27). I "tegumenti", la "costale corteccia", i "globi carnosi tubulati", "i crudi cubi", "la dolce mucosa", "la cavernosa interiorità" svolgono la funzione di introdurci nell'interno del corpo, dove avvengono continue trasformazioni, alcune sollecitate proprio dai passaggi interno/esterno; in particolare, alcuni termini ci mostrano questi luoghi di transito, queste soghe tra il corpo e l'ambiente dove esso vive, si muove e muore. "Epitehale propriamente epitehoma", "tumore domestico", "cancrena", "tessuto mortificato", "casa necrotica", "libero carcinoma" ci parlano invece

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di uno stato di degenerazione e di sfaldamento del corpo, di uno stato patologico: carcinoma indica, a livello di gergo medico specialistico, un tumore maligno di origine epiteliale, e rafforza l'"epiteliale [ . . . ] epitelioma" precedente, dove appunto al riferimento a un tessuto privo di vasi sanguigni, che costituisce il rivestimento della superficie esterna del c o r p o e delle cavità che comunicano c o n l'esterno, segue l'indicazione precisa del cancro che vi si sviluppa. Rimanendo in un universo patologico, cancrena indica una degenerazione di tessuti molh, le cui cellule m u o i o n o per mancata irrorazione sanguigna o per agenti microbici, mentre t u m o r e ribadisce, allargando il campo, la formazione di neoplasie, in questo c o r p o in veloce disfacimento. L a situazione è quella della degenerazione e della deformazione cellulare. Il m o m e n t o in cui il c o r p o si disgrega e si divide assume le forme e le sembianze di un'esplosione nucleare, della quale i singoli frammenti corporei sono i detriti (vd. sez. 2, v. 9, i "lunghi funghi fumosi"), in questo caso organici: ritorniamo così al côté della sez. 2; del resto il tema atomico trascina dietro di sé quello della regressione a u n o stadio di vita primordiale, intesa anche nel senso di prenatale. È qui che trova la sua più completa spiegazione e rappresentazione, attraverso tutti i suoi stadi, la formazione del " v e r m e lucid o / e nero e definitivamente lunare" (sez. 7, w . 3 8 - 3 9 ) . In questo caso il riferimento può essere a Guido Biasi e il suo Tumore domestico del '54, che potrebbe costituire l'immagine appropriata da avvicinare al nostro testo, anche eventualmente c o m e c o m m e n t o a posteriori^ A fare da contraltare all'esplosione del corpo, alla sua tumefazione, indotta da una degenerazione e produzione anomala di cellule che aggrediscono e sostituiscono quelle normah, inducendo nel c o r p o una serie di processi anomali e distruttivi, troviamo le "materne acque mature", il luogo privilegiato della generazione: l'unione con il "giardino Lacus S o m n i o r u m " ci dà l'idea di una sorta di hquido amniotico nel quale è immerso l'embrione. M a la nascita è legata indissolubilmente, nel suo ciclo, alla m o r t e (anche se la vita avrà la meglio): non a caso nel testo si parla di "chi partorirà in una bara", di "chi nascerà m o r t o semplice". Il tema dei morti/vivi, m a soprattutto dei non nati, ci porta, nel definire un campo di rapporti, a Paul Klee, che scrive: Denti ich wohne grad so gut bei den Toten, wie bei den Ungeborenen.^ Si completa così, c o n la presenza di un classico dell'avanguardia, il quadro dei rapporti tra linguaggi e codici diversi. L a sez. 9 è interamente costruita sulla generazione, anche nel suo aspetto di rigenerazione di detriti organici e, di conseguenza, è dominata dall'acqua.

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dal fluido: siamo in presenza di una stazione sugli stati liquidi che esprimono più appropriatamente il mistero della nascita. È tale la sua complessità che i rimandi figurativi non si esauriscono c o n un meccanico rapporto c o n i nuclearisti e il G r u p p o '58 (che servono per lo più a delineare il c h m a di u n ' e p o ca), tanto che l'acqua e il fluido, mettono in gioco VAtalante di Jean Vigo^ (per il tema del n u o t o vd. nota v. 6 sez. 1) e in particolare la sequenza nella quale il protagonista, dalla chiatta, vede l'amata prima dentro le acque del fiume ( c o m e attraverso u n o specchio), e poi persino in un secchio d'acqua (nelle scene seguenti i due amanti-sposi sono completamente immersi, e la visione si ripete subacquea - questa scena è la più compiuta rappresentazione in immagini àtWamour fou bretoniano e dei suoi molteplici effetti). M a anche questo n o n è ancora sufficiente ad esaurire il m o m e n t o dell'amore c o m e coniunctio, quale lo incontriamo nella sez. 9, e dobbiamo ricorrere al saggio La fine di una cultura di Caudwelh, nel quale è contenuto Üamore. Saggio sul mutamento dei valori, dove l'autore elabora una concezione contemporaneamente "biologica" e " e c o n o m i c a " dell'amore (i meccanismi di proliferazione, fusione e moltiplicazione delle cellule e quelli dei rapporti e delle trasformazioni economiche costituiscono modelli interpretativi che, a seconda del caso, vengono intersecati l'uno c o n l'altro) - molto cara a Sanguineti. Caudwell descrive c o m e nascano, dal caos originario e indistinto, sia l'individualità e la coscienza del soggetto sia la morte. Q u e s t o processo viene rappresentato dal modello di riproduzione cellulare, in virtù del quale le cellule si accoppiano e fighano. In questa maniera, l'eterno ciclo biologico (immortale) genera la personahtà singola e la morte, che costituiscono i due opposti pronti a respingersi, ma d'altro canto la morte, che sembra essere esclusivamente la negazione della vita, genera, a sua volta, la vita stessa. Viene così compiuto l'asse generazione-morte-rinascita; più precisamente i diversi stadi sono acqua, generazione, amore, morte, amore, rigenerazione, psiche rinnovata e c o r p o ricostituito. Proprio per dare un'idea più esaustiva possibile di questo processo inarrestabile, Sanguineti gioca Vigo c o n Caudwell, in m o d o che le possibih derive, mistiche e eccessivamente oniriche, àtìVamour fou ( m o t o r e di ogni azione) siano attentamente sorvegliate e bloccate dalla dimensione biologica, organica, fisiologica e infine economica della visione del saggista inglese. L'esperimento può considerarsi riuscito, poiché si ha, grazie ai diversi reagenti chimici, non un annullamento dei molteplici elementi - c o m e si potrebbe a ragione temere-, m a u n o sguardo totale, panoramico, sull'amore e sui suoi effetti. Per dirla in breve, far reagire Vigo c o n Caudwell è un m o d o artistico e creativo di portare a contatto qualcosa di talmente articolato da n o n potersi ridurre a un semplice F r e u d più M a r x , perché al piano dell'elaborazione ideologica si ag-

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giunge quello dell'elaborazione delle immagini e delle forme. All'ideologia si unisce il linguaggio, cioè la dimensione creativa, dove l'autore incastra i diversi elementi, apparentemente lontani e persino, per certi versi, contraddittori per creare un testo "polisemico" (vd. sez. 5). A questo punto, al v. 19 rientra in gioco, m o l t o significativamente, Ellie, che nelle sez. 7 e 8 n o n era presente, così da chiarire che ella è Palus ma anche

amour fou,

Ellie, in questo caso, è sicuramente un c o r p o in disfacimento, vittima di una produzione cellulare anomala, un "tessuto mortificato" e un "libero carc i n o m a " , m a è soprattutto "alfabeto vegetale", e cioè segno linguistico, linguaggio, possibilità di scrittura, interpretazione e conoscenza, motivi legati però al m o n d o delle piante, all'universo vegetale, in m o d o da indicarci, in senso figurato, l'assolversi delle sole funzioni biologiche (l'esaurimento e la carenza di vita propriamente intellettuale e spirituale: tutto è organico). EUie è, anche, "verifica tropico personale", cioè possibile verifica dello scorrere del tempo e soprattutto della sua percezione. Il V. 22 " m e n t r e asciuga l'esistenza lunare" è da connettere a questa dimensione complessa di Ellie, c o r p o in disfacimento, liquido, linguaggio erratico, tempo: in pratica, tra le proprietà di Ellie, è presente quella di asciugare, nel senso di consumare, e di esaurire, l'esistenza lunare, introdotta dalla sez. 7 ( " v e r m e lucido") e completata nella sez. 8, interamente costruita sui cicU di morte e rinascita. In questa sezione, il linguaggio si fa acqua, il materiale verbale diventa un fluido in grado di produrre catene quasi infinite di immagini.

^ Visto che la sez. 9 di Laborintus è del '51 non escluderemmo, alla luce dei rapporti che Sanguineti intratteneva con i pittori, che Biasi abbia operato artisticamente e scelto, conseguentemente, il titolo tenendo ben presente il testo di Sanguineti. Per questi rapporti rimandiamo a E. Baccarani, La poesia nel labirinto, cit., pp. 107-111. Oltre a questa coincidenza non fortuita, quasi una sovrapposizione, bisogna tener conto che le immagini embrionali e fetali, la dimensione uterina, la dimensione organica e fisiologica (persino patologica) come elemento centrale del mistero prenatale sono tratti costitutivi della pittura di Biasi, che afferma: "Partito alla scoperta del mistero prenatale, io ho incontrato quasi inconsciamente una regione illimitata di simboli e di altri misteri nella quale la nascita, nei suoi attributi magici, non è che un dettaglio. [...] Persino degli elementi facenti parte della superstizione religiosa popolare vengono a complicare la visione, mentre il mondo prenatale (che io associo volentieri all'immagine del 'limbo', ossia a quella di un mondo privo di responsabilità, di co-

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scienza e di morale) ritrova l'antica chiave dell'alchimia nordica. Un rullo di tamburo nelle viscere, un colpo di forbici e io sono nato, è a questo che io penso sovente" (T. Sauvage, pseud. di A. Schwartz, Nuclear Art, Erich Diefenbronner, Stoccolma 1962, ma in realtà stampato a Milano, pp. 168-172). Sanguineti è l'autore di una profonda revisione deU'edizione in hngua italiana. Persino una poesia, presente nel libro di Schwarz, e firmata da Biasi con lo pseudonimo di Marcello Andriani, denuncia inequivocabilmente l'esistenza di un rapporto, quasi di un dialogo, tra la scrittura di Sanguineti e la pittura di Biasi. 2 "Abito bene con i morti/come con i non nati". P. Klee, Poesie, a c. di G. Manacorda, Abscondita, Milano 2000, p. 17. Il titolo di questo componimento (si tratta del primo verso) è "Diesseitig bin ich gar nicht faßbar" (Nell'aldiqua sono inafferrabile). ^ L'attenzione di Sanguineti per Vigo è una sorta di costante; tra gli innumerevoh interventi ricordiamo una presentazione al Cineclub Lumière di Genova, nel dicembre 1991, in occasione della proiezione dei film del cineasta francese {UAtalante era appena uscito in versione restaurata); inoltre " E i miei consigh? Vigo, Dreyer e Buñuel", intervista di G. Bonino apparsa sul sito libraria.it nell'aprile '96. ^ C. Caudwell, La fine di una cultura, Einaudi, Torino 1949, pp. 145-170. Christopher Caudwell, comunista, è uno studioso dagh interessi multiformi, dalla saggistica e dal marxismo sino alla fisica, attivo nella guerra di Spagna, dove muore nel 1937 tra le fila del battaghone inglese delle Brigate Internazionah.

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post m o r t e m stabis senza tegumenti in materne acque mature mentre giardino Lacus Somniorum epiteliale propriamente epitelioma mia costale corteccia eventuale mia flora t u m o r e domestico proporzionale e regno parco subacqueo aut lente ruolo di ruota deambulabis triste ruota e stridente e grinzoso chi partorirà in una bara 5 e sibilante chi nascerà m o r t o semplice e conclusa (detta ironia tecnica) durante dondolanti globi carnosi tubulati crudi cubi dolce mucosa mentre consonante ortaggio delirio seriamente 10 che costa caro ragione di cancrena p r e z z o chiuso ah chiuso affinché Ucantropia mio acume in crudele o r t o botanico mangia tangenti di mela descrive monete gratuite c o n esigenza di cassazione di pigrizia effusiva in statura polemica crescenza di articolazioni pensose per convincere una materia ribellante di condizioni prolifiche di tutte le cronache m a in un tempo compiacente di quadri sinottici generoso vede la possibilità di tutto lo stupore

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o Ellie mio alfabeto vegetale dilatato di caotici pori (detti circhi cistici) tessuto mortificato mentre casa necrotica frutto concettuale 20 cavernosa interiorità (detto che mi lascerò amare) semplicemente detto mentre asciuga l'esistenza lunare delle determinazioni rifiutate dell'elemento stesso delle privazioni in ogni eleniento colloca speciale devozione 25 Ellie verifica tropico personale effervescente Ubero carcinoma per immanenti esclusioni umido nostalgico distratto ripetutamente umiUato appassionata Ellie ripetutamente

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Note V. 1: "post mortem stabis": si tratta del frammento parodiato e travestito nel noto precetto della Scuola di Salerno (secolo XI),/70Ji coemm stabis, autpassHS mille meabis [o anche aut lento pede ambulabis] (in itahano è diventato: "dopo cena riposa o fa appena un miglio [ovvero cammina di lento passo]") in Chi l'ha detto? Tesoro di citazioni italiane e straniere di origine letteraria e storica, ordinate e annotate da Giuseppe Fumagalh, Hoepli, Milano 1983, p. 472. La prima edizione, del 1894, od una successiva può essere stata - a parere dello stesso Sanguineti- la fonte autoriale. In Regimen Sanitatis. Flos medicinae Scholae Salerni, trad. e note di A. Sinno, Mursia, Milano 1987, troviamo a p. 74: "post coenam stabis aut passus mille meabis" (trad. "dopo il pranzo starai fermo o farai mille passi"). ~ "senza tegumenti": privo di rivestimento, della membrana che protegge un organo o il corpo interno. Dopo la morte e la decomposizione, c'è il momento della (ri)generazione. Stato embrionale, vita fetale. ~ "in materne acque mature": alla luce del contesto indica il liquido amniotico nel quale è immerso l'embrione. V. 2: "mentre giardino Lacus Somniorum": Lacus Somniorum è il lago dei sogni, preciso elemento della topografia lunare (vd. A. Fresa, La luna, cit., p. 189, fig. 65). L'indicazione va riferita alla produzione psichica che affianca e completa quella corporale, organica e materiale. -- "epiteliale propriamente epitelioma": il riferimento è al cancro che si sviluppa nell'epiteho, cioè nel tessuto privo di vasi sanguigni, formato da cellule pòste a contatto senza interposizione di sostanza intercellulare, che riveste la superficie esterna del corpo e le cavità che comunicano con l'esterno. V. 3: "mia costale corteccia": rivestimento della gabbia toracica. "mia flora": il cancro è una sorta di specie vegetale, di insieme di batteri presenti in un tessuto o in una cavità organica. ~ "tumore domestico": il cancro diventa qualcosa di intimo e familiare. V. 4: "proporzionale e regno parco subacqueo": dal corpo in(Uno stato patologico di disgregazione si passa al liquido generativo. ~ "aut lente ruolini ruota deambulabis": la rigenerazione avviene attraverso un movimento molto lento che possiede le rigide regole del giro della ruota, "aut lente deambulabis" è trasformazione sanguinetiana di aut lento pede ambulabis. V. 5: "triste ruota e stridente e grinzoso": caratteristica di questa ruota-rinascita è uno stato di desolazione e mahnconia, il movimento produce un rumore disarmonico e stridulo, grinzoso come lo sfregamento tra superfici rugose. w. 5-6: "chi partorirà in una bara/e sibilante chi nascerà morto semphce": l'immagine forte del partorire in una bara e del nascere morto sottohnea la figura dei vivimorti, dei non-nati, stadi del passaggio di rigenerazione (cfr. Introduzione, a proposito di Paul Klee). V. 7: "e conclusa (detta ironia tecnica)": la frase tra parentesi è un modo di rendere presente esplicitamente la voce dell'autore, che indica nell'ironia, a livello tecnicoformale, il metodo di procedimento di costruzione dell'opera, nonché la cifra stihstica essenziale di questa singola stazione testuale.

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w . 8-9: "durante dondolanti globi carnosi tubulati crudi cubi/dolce mucosa": questo breve catalogo organico fatto di carnosi corpi sferici, di crudi corpi cilindrici e cubici, di mucose dolci, rappresenta l'inizio della generazione, della coniunctio tra le cellule. vv. 10-11: La vita vegetale (l'ortaggio) si unisce alla vita umana e organica, in questo luogo lunare dove si compie il ciclo continuo di vita/morte/rigenerazione; il momento della nascita è strettamente legato a quello della disgregazione, indotto dalla "ragione di cancrena", da un processo, cioè, patologico, per cui le cellule muoiono perché non irrorate dal sangue o perché attaccate dai microbi, "Prezzo chiuso" rimanda al denaro, equivalente universale del sistema capitalistico, che è per il corpo sociale una sorta di cancrena, in quanto processo di corruzione per cui il corpo sociale si corrompe come la materia organica, si disgrega e si distrugge. V. 12: In questo paesaggio la flora ha talvolta aspetti selvaggi; qui però è un composto e ordinato orto botanico, crudele, quindi, con qualità del mondo umano e animale, pronto a compiere freddamente atti deUttuosi, dei quali si compiace. L'uomo può essere mal concepito e avere sembianze mostruose: "licantropia", la trasformazione dell'uomo in lupo, sottolinea proprio queste eventuali difficoltà di concepimento e nascita, sulle quali si chiude il primo blocco. w . 13-14: "tangenti" funziona in maniera duplice, da un lato emerge la sua dimensione geometrica (tangenti di mela vale quale quasi per porzione di mela), dall'altro ci conduce sul piano economico e tangente diventa la quota individuale di un guadagno o di una spesa, senza eccessive connotazioni truffaldine, oggi così automaticamente associate al termine. Inizia il quadro, con un linguaggio inusuale, dell'uomo e della sua pratica nutrizionale ("mela"), del suo essere un animale economico ("monete gratuite" - questa frase completa e precisa il "prezzo" del v. 11). Troviamo qui una prima acuta definizione: l'uomo è "pigrizia effusiva in statura polemica". w . 15-18: Continua il quadro dell'uomo: formazione di "articolazioni pensose", di materia grigia e cervello, di un po' di conoscenza e di coscienza che tenta di dirigere un magma di pulsioni incontrollate ("materia ribollente"), di condizioni multiformi. Tutto avviene sotto l'egida di un "tempo compiacente"; alla formazione del corpo segue in pratica quella della psiche e dell'anima: l'uomo è un insieme di materiale e di immateriale, di dimensione organica e di processi psichici, ai quàU si accompagnano gh stati e le reazioni della coscienza. In questo caso, lo stupore indica l'intenso turbamento e la meravigha di fronte a qualcosa di inatteso, piacevole o spiacevole che sia, l'increduhtà. Nel gergo medico, che qui non è certo fuori luogo, indica la condizione di forte indebolimento dell'attività psichica e l'arresto dei movimenti volontari, con distacco dalla realtà esterna. w . 19-21: Dopo aver rappresentato la Palus putredinis, luogo dove tutte le cose subiscono processi di putrefazione e generazione, e dopo aver definito l'uomo nel momento della sua formazione, la focalizzazione è su Ellie e sulle sue proprietà. Ellie è alfabeto, segno hnguistico, ideogramma, linguaggio, scrittura -mezzo di conoscenza e interpretazione-, però vegetale, un vegetale particolare, che possiede qualcosa di umano e carnale, costituito anche da caotici orifizi microscopici, con i quah comunica con l'esterno. ~ EUie è "tessuto mortificato", cioè tessuto che è stato alterato nella sua

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struttura anatomica a causa di un trauma, di una lesione - il rimando sotterraneo è alla mortificatio junghiana: è "casa necrotica", luogo dove è in atto un processo di necrosi, graduale e irreversibile, processo di decomposizione delle cellule. Qualcosa di simile alla "cancrena" del v. 11. Ma è anche prodotto dei meccanismi e dei movimenti psichici ("frutto concettuale", è come Minerva, partorita dalla mente). È profondità interiore, insieme di coscienza e inconscio ("cavernosa interiorità"), sta al fondo dell'animo umano. Tra parentesi l'autore sottolinea l'importanza deir"amore", atto della coniunctio fisica e spirituale. w. 21-25: Elhe si definisce proprio in relazione air"esistenza lunare", quella del "verme lucido" della sez. 6 e della sez. 8, cichco movimento di nascita e morte degh elementi, ed Ellie è appunto spazio dove le cose muoiono e si rigenerano. w . 26-28: Continua il tentativo di fare un quadro esaustivo di Ellie, che si propone come prodotta dall'azione del tempo -tropico è il parallelo della "effervescente" e "libero" tumore mahgno di origine epitehale, è luogo "umido", perché zona ricca di fluido utile ai processi di rigenerazione: è vita e morte, proprio perché è amore, è coniunctio, è "appassionata Elhe"- e quindi possibilità di controllo e verifica della sua percezione. Ellie è contemporaneamente sfera celeste che il Sole descrive nei giorni dei solstizi, cioè in ciascuna delle due declinazioni estreme: il tropico del Cancro e del Capricorno. In funzione di aggettivo "tropico" si trova solo nella locuzione anno tropico, intervallo di tempo su cui si regola il nostro calendario, compreso tra i due passaggi del Sole allo zenit dello stesso tropico, circolo di rivolgimento del Sole. Nel testo sono indicati così il processo e l'azione del tempo.

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SEZIONE 10

Introduzione Il momento della decomposizione e della disgregazione di Ellie innesca qui anche il tentativo di coniunctio, all'interno del continuo ciclo di nascita/morte/rinascita: Ellie è frutto di una prassi, di uno "sconvolgimento civile", che la fa diventare, significativamente, "questo hnguaggio che partorisce": si fa dunque parola, verbo di carne, secondo una visione dove non c'è che linguaggio, poiché la comunicazione è la pratica principale dell'essere sociale. Osserva opportunamente Giuhani: Qui Elhe rappresenta la fine di un ciclo storico (una vichiana età della ragione); da lei sprigiona il linguaggio "che partorisce", che rispecchia la realtà: Ellie è tale linguaggio, tale realtà. L'unghia, che è legata alla "mano dell'intolleranza", dà l'avvio a tutte le grazie che Ellie può concedere, a tutte le realtà che essa può generare. Il suo influsso è soprattutto psicologico (anzi psicopatico) e si manifesta nella "perdita di affettività", nello "stato crepuscolare", nell'angoscia dell'impossibile "unità mistica" tra i "due punti di coscienza".^

Non si tratta però tanto di hnguaggio che rispecchia quanto di linguaggio che interpreta e manipola creando una realtà. Ma soprattutto l'autore ci presenta la precisa sequenza di formazione di Ellie, che viene definita in tutte le sue qualità particolari, arrivando a fornirci un indizio sulla sua identità ("erre" e "ci" sono le iniziali del suo vero nome). Il testo è una sorta di chmax, di lento meccanismo ascendente, che segue nel dettagho la (ri)nascita di EUie come linguaggio, come "mysterium tremendum"; il mistero tremendo è prehevo diretto da II sacro di Rudolf Otto^, che dedica un capitolo proprio allo spaesamento dell'umano nei confronti deU'irrazionale e deU'inspiegabile. Sanguineti, secondo una prassi e un atteggiamento consohdati, rifunzionalizza, trasportandolo dal suo contesto originario, il concetto del mistero tremendo, che se in Otto indicava il rapporto con Dio, qui indica i passaggi subiti da EUie. Al filosofo e teologo tedesco fanno da contraltare San Tommaso e Sant'Agostino, attraverso i quali si transita, agevolmente, dalla prassi dello svolgimento civUe aUa formazione dell'anima junghiana, in un continuo rapporto con la realtà materiale, legando indissolubilmente l'"essere" aU'"essere sociale".

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E in questi passaggi R u b e n è la figura di mediazione, c o m e osserva Giuliani, Ruben è un personaggio intermediario della 'confessione vistosa', probabilmente un amico che partecipa intellettualmente alla relazione Ellie-Laszo; figura dell'alchemico Hermaphroditus invocata a sostituire l'influsso di Elhe.3 D o p o aver offerto un catalogo di possibili trasformazioni, facendo scopertamente riferimento all'unità mistica, della quale Ruben costituisce la mediazione necessaria, e alla fine di u n accurato processo alchemico, di " r a m e e polvere", Ellie diventa "perfectiones inteUigibiles" (da San T o m m a s o ) e cioè perfezione intellegibile, una qualità delle intelligenze angeliche che proviene direttamente da D i o e n o n si trova in natura. Proprio in virtià di questa p r o prietà di Ellie "vediamo il passato e il futuro", cioè conosciamo movimenti e trasformazioni storiche eisociali, naturalmente dopo aver conosciuto " e n i m tenebras aquas ventos ignem f u m u m " , cioè dopo un processo di discernimento e di conoscenza degli elementi naturali (tenebre, acqua, vento, fuoco e fum o ) ; questo lacerto viene prelevato dalla lettera di Sant'Agostino c o n t r o i m a nichei, dove Agostino discute delle proprietà della natura e dei processi di c o noscenza dell'uomo, passando al vaglio le teorie manichee. Il testo - d o v e Sanguineti, u n p o ' alla Guinizzelli e un p o ' alla F o s c o l o , rifunzionahzza l'intero codice religioso della tradizione, in un viaggio à rehouYS- può essere letto c o m e la stazione della fenomenologia dettaghata dei componenti della formazione di EUie, in cui si focalizza l'attenzione suUa sua natura di linguaggio"^, di mistero tremendo deU'altrove, di coniunctio, di perfezione inteUegibUe, che dona conoscenza, e getta materialmente luce. P e r ò esso non si chiude ancora, e anzi propone un'ulteriore definizione, dove una frase dal sapore bretoniano e surreahsta, "quoi qu'elle fasse elle est désir" (qualunque cosa faccia ella è desiderio), che rimanda a Nadja, sottolinea la forza grandissima del "desiderio"5, questo m o t o r e del sentimento e dell'agire, p r o n t o a c o r r o b o r a r e la perfezione intellegibile, che viene completata n u o vamente da San Tommaso. Proprio la frase "improportionabUiter excedens" (v. 3 3 ) sottohnea l'oltrepassare ogni limite di questo desiderio, dell'altro m o n do, che è EUie stessa. A questo punto è chiaro c o m e queUa di Sanguineti non sia per nulla una critica della conoscenza e della cultura, indistinte e imprecisate, secondo modeUi decadenti e irrazionahsti, bensì la critica di una c o n o scenza priva della necessaria dialettica tra osservatore e osservato, tipica di una precisa cultura, quella deU'alba del tardo capitahsmo. Si tratta in definitiva di un'indagine, portata all'estremo limite, di c o m e i

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processi cognitivi prendano f o r m a nella realtà, in u n incessante rapporto di reciproca manipolazione. L o spostamento c o n t i n u o del p u n t o di vista implica una continua rottura dei vincoli del patto, storicamente determinato, che lega autore e lettore. U n desiderio incommensurabile e perfettamente inteUigente e intellegibile n o n solo è u n o dei m o t o r i del m o n d o , è EUie stessa, ed è il concetto sul quale si chiude questo testo sulla palingenesi, mortem, di EUie, che si può perfettamente ritmare e suddividere, c o m e una composizione musicale, in tre tempi: w . 1-8 EUie linguaggio, w . 9 - 2 4 EUie désir tremendum unità mistica, w . 2 5 - 3 3 EUie désir improportionabUiter excedens, perché perfectiones intelligibiles. L a natura ritmica, una sorta di musicalità naturale, ci viene confermata dalla quantità di materiali che transitano dalla sez. 10 a Laborintus IL Infine, le citazioni O t t o - T o m m a s o - A g o s t i n o - s u r r e a l i s m o - T o m m a s o serv o n o sia a fornirci una sorta di riassunto, nel senso di p u n t o nodale dove si c o n c e n t r a n o e si condensano i diversi elementi e le diverse proprietà di EUie, sia a segmentare, a liveUo di r i t m o e, per certi versi, in senso quasi d r a m m a turgico, la sequenza deUa rinascita c o m e inteUigenza del desiderio, c o m e razionale e sentimentale, d e i r ' e t e r n o f e m m i n i n o ' .

1 A. Givi\Ì2im, I Novissimi, cit., pp. 103-104. 2 R. Otto, Il sacro. L'irrazionale nella idea del divino e la sua relazione al razionale (ed. itahana: Feltrinelli, Milano 1976; edizione originale: Das Heilige, 1917). ^ A. Giuhani, I Novissimi, cit., p. 104. ^ Non è certamente una qualità marginale, se consideriamo, mettendola in relazione con Tosservazione sanguinetiana di alcuni anni dopo, "[...] che non si dà operazione ideologica che non sia, contemporaneamente e immediatamente, verificabile nel hnguaggio. Ed è anche troppo evidente che per hnguaggio non si ha da intendere, con una sorta di riduzione materica, la mera superficie stihstica deU'opera, ma la sua struttura espressiva, in generale. [...] Non esiste dunque originalità di visione ideologica, e di prospettiva realistica, che possa essere garantita da altro che dal linguaggio, giacché la realtà di un'opera, evidentemente, e immediatamente, è una realtà linguistica." {Gruppo '63. Critica e teoria, a cura di R. BariUi e A. Guglielmi, Feltrinelh, Milano 1976, p. 272). Queste parole, prelevate dall'intervento di Sanguineti alla riunione palermitana del Gruppo, il 4 ottobre 1963, ci forniscono, in filigrana, la complessità stessa di Ellie, linguaggio e, appunto, inevitabilmente, ideologia. 5 II tema deUa forza del desiderio, che si trova già in Baudelaire, è tema caro ad Apolhnaire (che intitola una poesia di Calligrammi proprio Désir; un verso delle Colline, sempre della raccolta Calligrammi, dice significativamente: "La grande force est le désir", e cioè "Il desiderio è la grande forza", in G. Apolhnaire, Alcool. Calligram-

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mi, Mondadori, Milano 1996, p. 244 - il traduttore italiano, significativamente, inverte le posizioni di "forza" e "desiderio") e, poi, sempre lungo questa linea, a Breton, che lo rende elemento costitutivo di Nadja. Tra i suoi scritti troviamo un Réponse à Venquête sur le désir (in A. Breton, Oeuvres complètes, cit., vol. II, Gallimard, Parigi, 1992, pp. 504-506. L'inchiesta sul desiderio, succedutasi a un'inchiesta sullo humour, viene lanciata dal secondo numero, nel gennaio del 1932, della rivista di Belgrado Nadrealizam dana i ovde - Le surréalisme aujourd'hui et id, in A. Breton, Oeuvres completes, cit. vol. II, pp. 1612-1616) - , e vi parteciparono Breton, Eluard, Dalí, Crevel e altri. Una prova ulteriore di quanto "le désir" sia centrale nell'universo surreaUsta e in quello dei suoi precursori.

10.

Ellie mia Ellie mia tesi sei la fine di uno svolgimento civile la soffocazione di tante leggi esplorate la preghiera della meditazione della mano dell'intolleranza e in prima sede sei questo hnguaggio che partorisce portami dunque l'unghia e la sua filigrana le lacune di un bacio o di mille anni un mysterium tremendum il tiro alla fune le metamorfosi degh insetti il volume della sfera voglio dire perdita di affettività e stato crepuscolare e incidenza di giudizio e confessione vistosa glutinosa glutinante il flessibile amalgama di due punti di coscienza voglio l'unità mistica che insinua pali nella sabbia della volontà impiccatrice e il dente del gigante portami la povertà e la figura etimologica che si porta per m a n o portami per mano Ruben tu stesso Ruben portami per mano alle miniere degli animali al palco del trattamento psicoterapico all'esperienza terrificante dei conflitti ah per te ho inventato il rame e la polvere ho liberato la lettera erre e la lettera ci da un penitenziario di tabacco ho trascinato lepri e chiodi in Paradise Valley di te ho anche detto perfectiones inteUigibiles h o detto novimus enim tenebras aquas ventos ignem f u m u m vediamo insieme il passato il futuro ho detto quoi qu'elle fasse elle est désir improportionabiliter excedens

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Note w. 1-3: Ellie si configura come il prodotto terminale di un processo storico, per dirla con Giuliani, già citato per esteso ndVIntroduzione, di una "vichiana età della ragione". Il vichiano "fine di uno svolgimento civile" ci introduce immediatamente, senza possibilità di slittamenti o di fraintendimenti, al piano della prassi materiale e materialistica. w. 4-6: La mano è legata all'unghia, che innesca i processi attraverso i quah EUie, intelligenza angelica, può concedere grazia e produrre realtà. E l'unghia è l'ennesimo tasseUo deUa scrittura del corpo che informa di sé l'intera opera. Questa operazione viene eseguita e messa in moto proprio daU'essere EUie "linguaggio che partorisce", cioè linguaggio che interpreta, crea e produce realtà. w . 8-11: Inizia il catalogo delle operazioni aUe quaU presiede EUie, la cui definizione si concentra intorno al lacerto "mysterium tremendum", che è una espressione centrale, alla quale, nel libro II sacro di Rudolf Otto, viene riservato il capitolo 4, intitolato proprio Mysterium tremendum. Momenti delnuminoso (R. Otto, Il sacro, cit., pp. 22-40), e sta ad indicare il rapporto con il sacro e il numinoso in tutte le sue fasi, sottolineando il lato irrazionale della percezione del divino, come una esperienza di meraviglia, di stupore e di attonimento ("mysterium") e, contemporaneamente, di paura, di terrore che provoca tremore fisico, la soggezione del toccare il completamente altro. Che è appunto l'effetto che EUie produce, un po' dantescamente, su chi la vede, dagh "insetti" aUa "sfera", dal regno animale agh oggetti. w . 12-15: Giuliani sottolinea che "U suo influsso è soprattutto psicologico (anzi psicopatico) e si manifesta nella 'perdita di affettività', nello 'stato crepuscolare', nell'angoscia deU'impossibile 'unità mistica' tra i 'due punti di coscienza'" ( / Novissimi, cit., pp. 103-104). ~ Ma se c'è una possibihtà di trovare questo "amalgama" tra i "due punti di coscienza", essa è solo in virtù deUo stato glutinoso "glutinante" deUa sostanza come massa gelatinosa, neUa ricerca dell'unità mistica. ~ Il contesto di questi versi è queUo junghiano deU'unione degU inconcihabiU (fig. 72, "L'«unione deU'inunibUe»: matrimonio di acqua e fuoco. Le due figure hanno ciascuna quattro mani, come segno delle loro molteplici capacità", C.G. Jung, Psicologia e Alchimia, cit., p. 168); e "Se da un lato si tratta di non offendere la ragione, e se dall'altro non si voglia sopprimere grossolanamente e violentemente il giuoco creativo delle immagini, si rende necessario un processo sintetico, cauto e avveduto, che sia atto a effettuare la paradossia dell'unione deU'inunibile (fig. 72)" (Idem, cit., p. 166, fig. 72 a p. 168.) ~ "Il sogno mostra che la difficile operazione, che può essere fatta soltanto da un inteUetto superiore -cioè di pensare in paradossi-, è riuscita. I serpenti non fuggono più, anzi si dispongono nei quattro lati, e il processo di trasmutazione, e di integrazione, riesce. L'«iUuminazione», cioè l'acquistare coscienza del centro, è, almeno nell'anticipazione del sogno, riuscita. Questa conquista potenziale significa -se può essere mantenuta, cioè se la coscienza non perderà nuovamente il suo rapporto con essa- il rinnovamento della personahtà. Poiché questo è uno stato soggettivo la cui esistenza reale non può venir attestata da alcun criterio esterno, anche qualsiasi altro tentativo di descrizione e di

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spiegazione non porterebbe ad un risultato, e soltanto chi abbia fatto quest'esperienza è in grado di comprendere e di attestare la sua effettività" (C.G. Jung, Psicologia e Alchimia, cit., pp. 169-170; vd. anche Mysterium coniunctionis, 1955-56, p. 300, nota 120). È proprio quella del rinnovamento l'esperienza che Ellie compie sotto i nostri occhi; naturalmente l'eventuale pericolo di una deriva onirica e erotico-mistica viene evitato da Sanguineti fino à ^ i n d p i t . vv. 18-24: Entra in gioco Ruben, "un personaggio intermediario" (A. Giuhani, / Novissimi, cit., p. 104). La funzione di Ruben, che entra in scena per la prima volta nella sez. 4, durante il processo di rinnovamento, è quella dell'aiutante (magico) che collabora alle operazioni. ~ Ancora due immagini: i "pali nella sabbia della volontà", riferita alla precedente unità mistica, e il "dente del gigante", che non è solo il riferimento a qualche elemento mitico e magico, ma, secondo una strategia autoriale, si riferisce ad un luogo geografico concreto e reale, e precisamente alla vetta omonima sul Monte Bianco. ~ Proprio a questa opera di trasformazione sopraintende Ruben, che accompagna, "porta per mano", mettendo in relazione e in contatto "povertà" e "miniere degli animali", "trattamento psicoterapico" (qui Ellie come cura, come trattamento di una psicologia), e "figura etimologica" (cioè ripetizione di parole lessicalmente uguali, variate però nella forma e nella flessione, per esempio: vivere la vita), in modo da creare un continuo intreccio tra tutti i piani dei diversi reali. w . 25-28:1 w . 25-32 passano dalla sez. 10 a Laborintus IL Abbiamo sotto gli occhi il processo alchemico di formazione e rinnovamento, secondo il perfetto parallelismo di processo pratico-materiale e psichico. ~ "ah per te ho inventato il rame e la polvere" non rimanda solamente al solito Jung di Psicologia e Alchimia, ma fa rientrare anche in gioco Antonin Artaud. In Eliogabalo o Vanarchico incoronato si legge: "Non si pensano il fuoco, l'acqua, la terra, il cielo, h si riconosce e si nomina, poiché sono e sotto l'acqua, il fuoco, la terra o il cielo, sotto il mercurio, lo zolfo e il sale, vi sono delle materie ancor più sottih che lo spirito non può nominare [...] ho separato il sole dalla luna, il fuoco dall'acqua, l'aria dalla terra, l'argento dal rame e il cielo dagh inferi" (A. Artaud, Eliogabalo, cit., pp. 61, 66). ~ "Le lettere 'erre' e 'ci' sono le iniziali del vero nome di Ellie e vengono liberate, surreahsticamente, da un penitenziario di tabacco, luogo di detenzione di foglie e fumo, 'ho trascinato lepri e chiodi' completa l'immagine onirica, mentre 'Paradise Valley' è un luogo geografico preciso degh USA." (A. Giuhani, 7 Novissimi, cit., p. 104). - E poi, "L'idea del nuoto si riferisce alla Palus" (Ibidem), per il nuoto vd. Introduzione e nota v. 6 sez. 1. Preso nella sua interezza, questo processo, articolato e preciso, rende Elhe una inteUigenza angehca, una perfezione intelleggibile ("perfectiones inteUigibiles" - trad: "perfezioni intellegibih"). La definizione proviene da più luoghi di San Tommaso d'Aquino, per esempio, in Quaestio 7 ("Unde in sui natura non habet perfectiones inteUigibUes, et est in potenzia ad intelligibilia, sicut materia prima...", in Quaestio 18 ("Licet enim substantia anime creatur a Deo immediate, tamen perfectiones inteUigibiles proveniunt a Deo in animam mediantibus angehs...") e anché neUa Summa Theologica, dove indica una proprietà dell'intelhgenza angelica, in quanto quahtà non presente in natura ma proveniente direttamente da Dio. w . 29-31: "novimus enim tenebras aquas ventos fumum". "Tenebre, acque, venti.

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fuoco e fumo sono gli elementi su cui hanno dominio i demoni" (A. Giuliani, I Novissimi, cit., p. 104). Ma soprattutto, in virtù delle proprietà dell'inteUigenza perfetta, deiroltremondo, "conosciamo infatti tenebre, acque, venti, fuoco, fumo", che è la traduzione del lacerto latino, presente nel testo e proveniente dal cap. 31 della Contra epistolam Manichaei quam vocant fundamenti liber unus di Sant'Agostino (il cap. 31, "De eodem argumento", prosegue l'analisi iniziata nel capitolo 30, "Quam multa bona in iis naturis, quas ponit Manichaeus in terra tenebrarum"; il testo latino dal quale proviene il prelievo recita: "Novimus enim tenebras, aquas, ventos, ignem, fumum; novimus etiam animaha serpentia, natantia, volantia, quadrupedia, bipedia:", e la trad: "Conosciamo infatti le tenebre, le acque, i venti, il fuoco, il fumo; conosciamo anche gh animah che strisciano, queUi che nuotano, i quadrupedi, i bipedi:", cap. 31,34 Contro la lettera di Mani detta del Fondamento, si cita dall'edizione telematica AtW Opera Omnia di Sant'Agostino, Polemica contro i manichei, voi. 13/2, Città Nuova Editrice, Roma 1982, edizione elettronica 2003.). In questo passo il padre della Chiesa, mettendo al vagho l'intero impianto degh eretici, si sofferma sulle proprietà della natura, che i manichei consideravano creazione infernale e Agostino, ortodossamente, creazione divina. Grazie a questa particolare intelligenza, conosciamo il passato e il futuro, e qui (con una suggestione dantesca non esplicitata) la condizione dell'abitante del mondo come Palus è simile a quella del condannato infernale, di Farinata e Cavalcante, ai quah è vietata la percezione del presente. w . 32-33: L'ultimo verso, che chiude questo percorso di palingenesi di Ellie, tradotto suonerebbe così: "Qualunque cosa faccia ella è desiderio, che eccede, oltrepassa in maniera esorbitante", ed è costituito da due unità frastiche, la prima costruita, con tutta probabihtà, da Sanguineti stesso, che prende le mosse da una solida tradizione; ma Sanguineti, per parlarci di questo desiderio che eccede in maniera esorbitante, senza limiti, oltremisura, incommensurabilmente, non si accontenta di sé e ricorre nuovamente a San Tommaso, dove troviamo: "Sed divina bonitas est finis improportionabiliter excedens res creatas" {Summa Theologica, Pars Prima, Quaestio XXV: il grassetto è nostro). Su queste parole termina una sezione caratterizzata da un'operazione che vede trasportati su un piano laico e di prassi storica, od eventualmente di descrizione onirica, i codici rehgiosi della teologia patristica e scolastica.

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SEZIONE 11

Introduzione Nella sez. 11 si precisa ulteriormente il processo di rinnovamento di Ellie, secondo il ciclo di nascita/morte continuo ed incessante, che le conferisce qualità e proprietà in virtù di un movimento alchemico, chimico e di prassi: si sviluppano i temi della sez. 10. L'incipit "la nostra sapienza tollera tutte le guerre" non è solo un verso "autocritico", ma apre la sezione su un concetto significativo e capitale che, da un lato, rimanda alla riflessione benjaminiana sull'impossibihtà, nella fase del capitahsmo immediatamente seguente alla prima guerra mondiale (e, a maggior ragione, dopo la seconda), di accumulare e sedimentare 'esperienza' in grado di farsi cultura e quindi 'sapienza', e cioè sapere utile, efficace e trasmissibile, e, dall'altro, rinvia alle riflessioni di Eho Vittorini apparse sul Politecnico n. 1, 29 settembre 1945 (e sulle quali ci siamo già soffermati in Anarchia e complicazione), nel quale si delincava il progetto di una cultura motore dell'affrancamento umano dalla violenza e dai bisogni. Nel testo sanguinetiano manca il tono un po' epico ma pieno di speranza del '45, l'orizzonte è quello amaro, ma ancora pronto a lottare, di uno humour nero che qui vediamo mettere tutto lo scibile al vagho della critica e infine inglobarlo. Il "tollera tutte le guerre" è legato, essendone per certi versi l'amaro frutto, al "tollera la peste mansueta delle discipline", cioè un sapere funzionalmente diviso in branche, segmentate secondo le necessità mercantili del nuovo capitalismo, che sottopone ogni cosa ad un processo di ahenazione e disumanizzazione. A questo si oppone come modi e finahtà proprio la composizione di Ellie: "Si predica ancora di Ellie ('fermo carcere', 'tempo indicativo', 'fontana che rode', 'silenzio'), materia prima che 'mescola' in sé ogni realtà. Così gh amori sono amati 'per mezzo di' ogni cosa: anche per mezzo dell'austero Kant, come si addice a un 'amore intellettuale' È proprio l'amore la chiave principale della sequenza della sez. 11, che viene ritmata e scandita da tre 'citazioni': "os clausit digito" (la bocca chiuse con il dito), "Kritik der reinen Vernunft" {La critica della ragion pura) e "ergo vacuas fac sedes tuarum aurium" (quindi rendi libere le tue orecchie). È presente un intreccio sapiente di scrittura pedagogico-didattica, prosimetro, scrittura religiosa, scrittura poetica, che insieme concorrono a costruire il sostrato (e anche lo stimolo) per questo tipo di trattamento del materiale verbale: il travestimento. Nel primo caso si tratta di un'operazione autoriale, dove si lavo-

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ra, giocando sull'allusività, su diverse possibili sollecitazioni, partendo da un latino tardo e naturalmente trasformando e riassestando in funzione testuale il materiale verbale; il secondo è il titolo originale della Critica della ragion pura di Kant, e serve a spostare l'attenzione all'interno del catalogo (di gusto surrealista, dominato dall'accumulazione) dal piano del desiderio e dell'amore-passione a quello della ragione, che non è mai una razionalità fredda, meccanica e automatica; il terzo è prelevato direttamente dalla Virgiliana Continentia di Fabio Fulgenzio, ed è una formula che invita a tenere bene aperte le orecchie per apprendere (e pare un invito rivolto, contemporaneamente, ad EUie, perché segua con precisione i passi deUa ricostruzione, e al lettore, perché tenga alta la soglia deU'attenzione). L'appello al lettore e queUo alla protagonista da parte della voce narrante conferiscono al testo tridimensionalità ed anzi, per dirla con la critica teatrale, mettono in scena la quarta parete. Pietre, pollici, bruchi, fermo carcere, utero, fontana sono gli elementi di EUie, che "per mezzo deUe ossa", "per mezzo deUa calce viva", "per mezzo dei concerti per violino e orchestra", "per mezzo delle tue lenzuola", "per mezzo della Kritik der reinen Vernunft" (la critica kantiana completa l'elenco degli agenti e dei reagenti chimici, funzionando un po' da pozione alchemica) diventa "mio folto estuario coltivatrice di cicatrici inchiodate". Le "pietre" (v. 3), "le pietre disperate", sono un riferimento chiaro al lapis del processo alchemico e in particolare al lapis philosophorum (qui ricorretto alla luce di Kant), cioè a ciò che ha la massima dignità filosofica, poiché [...] più in alto del trasformato stava l'elemento trasformante, che costituisce una delle quahtà magiche deUa miracolosa pietra. Il «Rosarium» di^e (p. 223): 'Perché la nostra pietra, cioè l'argento vivo occidentale, ¿he si è posta sopra l'oro e lo ha vinto, è quella che uccide e fa vivere' ('Quia lapis noster scilicet argentum vivum occidentale, quod praetuht se auro et vicit illud, est illud quod occidit et vivere facit').

Si tratta di un rimando intertestuale, vera armonica sottesa, poiché le pietre in questo caso rimandano appunto a "occidit ed vivere facit" (v. 15) della sez. 4. Anche qui non a caso, durante il processo alchemico entra in gioco il "distratto Laszo", necessario per ogni trasformazione (per certi versi "filosofico Lapis")3. Jung rappresenta qui un contesto operativo; del resto, volendo aUargare il campo, come annota Giuliani, "sul simbolismo litico ('pietre disperate') si può vedere in M. Eliade, Trattato di storia delle religioni, Einaudi, Torino, 1954."'^ Ma l'elemento decisivo è l'individuazione del compito di alcuni elementi nelle "fatiche chimiche", di queUe che presiedono alla trasformazione;

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essa è indotta dalla forza d'amore, accidente in sustanzia, in grado di rapportarsi però con la ragione, mai meccanica e meccanicistica, cioè una ragione dove l'illuminismo (di Kant) è messo al vaglio e sottoposto a revisione. La coniunctio tra amore e ragione -come quella cercata, ma quasi impossibile, tra Ellie e Laszo- evita al primo la deriva romantica e alla seconda l'involuzione illuminista. In pratica, la presenza di Kant è la spia che avverte come Sanguineti individui proprio in un concetto della ragione strumentale di un certo illuminismo i germi di un processo regressivo, secondo alcune modalità che richiamano, anche in maniera indiretta, le riflessioni di Adorno. Proprio per questo possiamo anche vedere in Laborintus il progetto cosciente ed esplicito di una articolata operazione di critica della cultura. La ragione d'amore e l'amore di ragione non si possono associare né alla regressione né all'irrazionalità del sentimento. "In questa predicazione onirica di Ellie il linguaggio si disgrega e abortisce"5, ma più che abortire, in verità, si disgrega e si divide in molecole alla ricerca di una nuova composizione che sappia darci conto della complessità del reale. Per portare a compimento questo processo è necessario ricorrere a qualsiasi contributo, e infatti l'atteggiamento di estrema apertura dell'autore ci viene confermato da una similarità di tono -dove tono indica gli effetti di uno stile nella sua riconoscibilità- tra la sezione di Laborintus e la tesi di laurea di Sanguineti, il che ci dimostra come l'organizzazione del pensiero e della riflessione vengano inglobate nel testo, in nome di una narratività autre. Federico Sanguineti individua anche i punti focali di questa operazione: "conservando altresì sulla pagina interpretativa stilemi e lessico della propria poesia (si prenda, per fare un esempio, p. 322 di Interpretazione di Malebolge: 'per la collocazione medesima in apertura [...] per il luogo presente [...] per irrimediabile smarrimento, per diffuse cadenze di morbida corruzione' ecc. da confrontare con Laborintus n. 11 e 12)."^

^ A. Giuhani, I Novissimi, cit., p. 105. 2 C.G. Jung, Psicologia e Alchimia, cit., p. 96. ^ Un breve catalogo ci offre gli assi di questa operazione e i diversi significati del termine: "Per ciò che riguarda il significato «filosofico» del «Lapis», il seguente brano d'un trattato attribuito a Ermete è particolarmente illuminante: 'Intelligite, filii sapientum, quod hic lapis preciosissimus clamat; ... et lumen meum omne lumen superat ac mea bona omnibus bonis sunt subhmiora... Ego gigno lumen, tenebrae autem naturae meae sunt..." («Rosarium», p. 239). A p. 264 della stessa opera leggiamo: "Per mezzo dello studio dei filosofi l'uomo acquista la capacità di conquistarsi questa pie-

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tra. E la pietra è a sua volta l'uomo. [...] Sir George Ripley, l'alchimista inglese (1415?1490) scrive: 'I filosofi dicono a colui che cerca, che gh uccelli e i pesci ci portano il Lapis, ogni uomo lo ha, esso è in ogni luogo, in te, in me, in ogni oggetto, nel tempo e nello spazio. Esso si offre in forma vile (vili figura). Da esso sorge la nostra acqua eterna (aqua permanens)'. Infatti, secondo Ripley, la «prima materia» è l'acqua; è il principio materiale di tutti i corpi, anche del Mercurio. Essa è la hyle che in virtù del'atto creativo di Dio, è sorta dal caos come sfera oscura (sphaericum opus: fig. 34). Il caos è una «massa confusa» dalla quale sorge la pietra (figg. 125, 164 e altre) [...]. Secondo Hortulanus, la pietra nasce da una «massa confusa» che contiene in sé tutti gli elementi (fig. 162). [...] Come il mondo è sorto da un «caos confusum», così da questo sorge anche la pietra. Idem, pp. 96, 295, 353-355. ^ I Novissimi, cit., p. 105. 5 Ibidem. 6 R Sanguineti, "Edoardo Sanguineti dantista", in Sanguineti. Ideologia e linguaggio. Atti del Convegno Internazionale, a cura di L. Giordano, Metafora, Salerno 1991, p .

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1 2 4 .

10.

la nostra sapienza tollera tutte le guerre tollera la peste mansueta delle discipline la tua statura mescola pietre sirene pollici bruchi oh fermo carcere dei disegni e dell'utero tempo indicativo fontana che rode e silenzio 5 e propriamente et os clausit digito distratto L a s z o p i e t o s a m e n t è ^ per amori per m e z z o delle ossa amati per m e z z o della calce viva per m e z z o dei concerti per violino e orchestra 10 per m e z z o delle tue lenzuola per m e z z o della Kritik der reinen Vernunft amori da ogni cornice e da ogni tradimento protestati amori del tutto principali 15 amori ecco essenziah promossi da ogni fiore ergo vacuas fac sedes tuarum aurium devi assumere le pietre disperate oh tridente delle mie fatiche chimiche ancora e sempre Ellie mio folto estuario coltivatrice di cicatrici inchiodate 20 chiedere la notizia delle tue monete infiammabili dei tuoi vuoti porticati per un regolamento stabilirete il suo gusto esigere il fallimento dietro la tua età i fiammiferi c o n secchezza sotto i tuoi conigli sottrarre 25

Note w . 1-2: Giuliani annota che questo verso, a detta dell'autore, è "molto autocritico" (A. G'mYizm, I Novissimiy cit., p. 105). Aggiungeremmo che è anche molto critico, nel sottolineare, in apertura, l'inefficacia e l'inconsistenza del sapere, che è ridotto a tecnica funzionale al sistema o, dall'industria culturale, a divertimento e passatempo, così da perdere la forza critica (vd. Introduzione). w . 3-4: Si procede nel processo chimico e alchemico di trasformazione di Elhe. Per

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le pietre, vd. Introduzione, "oh fermo carcere" indica una situazione claustrofobica di chiusura e detenzione, rimandando al v. 3 della sez. 15 "career voluntarius". w . 5-7: Continua il catalogo delle componenti della trasformazione: r"utero" è un altro contributo al hnguaggio del corpo, il legame con "tempo indicativo" sviluppa, approfondendolo, il v. 5 "sei questo linguaggio che partorisce" della sez. 10. La nascita resa in forma di parola o verbo, e il verbo reso come carne, segue le regole di una laicizzazione e secolarizzazione del codice rehgioso. ~ "et os clausit digito" (e la bocca chiuse con un dito) è frutto di un lavoro di intervento, intersezione e correzione, come richiede il travestimento. Tra le innumerevoh presenze di "os clausit" segnahamo in Agostino, Narrationes in Psalmos, Sermo 63 (5) "os clausit, atteratur in petra [...] magnum cubum; sed rostro clauso, non est idonea. [...] os clausit, propterea petra data est, ubi vetustate contrita, renovatus juventus"; si cita dall'edizione informatica della Patrologia Latina. Anche Corrado Bologna parla del "dito che sigilla", in relazione ad Angerona, dea del silenzio: "Di quell'urlo e di quel gesto sacro (di cui era traccia nel dito che sigilla l'os di Angerona, dea del silenzio, nelle raffigurazioni e nei testi romani, come le labbra del domenicano Pietro Martire nell'affresco del Beato Angelico al convento di S. Marco in Firenze) forse si rammenterà sulla sogha del Paradiso anche Dante, quando invocherà per il proprio testo l'inspiratio: «Entra nel petto mio, e spira tue/sì come quando Marsia traesti/de la vagina de le membra sue»" (in C. Bologna, Flatus Vocis, Il Muhno, Bologna 2000, p. 68, Dante è Par., 119-21). ~ "distratto Laszo pietosamente" mette in gioco il percorso di trasformazione. Laszo, figura solare, anche se un po' dimidiata, da Eldorado Club. w . 8-11: L'amore è la forma di coniunctio'. "ossa", un altro elemento del codice del corpo, "calce viva" (l'ossido di calcio, terroso, ricavato dal calcare per decomposizione termica, privo di acqua, caustico), "concerti per violino e orchestra", sono i diversi componenti di un catalogo apparentemente caotico e disordinato, estrapolato a viva forza dal reale, della reazione. ~ Molteplici sono i rimandi e le sollecitazioni; per esempio, per "calce viva", Ciro Vitiello rimandava alla "calx viva" di Jung {Psicologia e Alchimia, p. 375 ove troviamo: "In questo fuoco (1) Dio stesso arde in amore divino" e nota: "Chiamato anche 'calx viva' (calce viva)". Per quanto pertinente, questo rimando va preso con cautela, alla luce della non eccezionalità della citazione e dell'atteggiamento dell'autore, pronto ad accogliere in toto materiali dal reale concreto, a servirsene come stimolo e come materiale da costruzione. Proprio su questa "calce viva" esiste un botta e risposta tra Vitiello e Sanguineti, al quale rimandiamo (cfr. Album Sanguineti, a cura di N. Lorenzini e E. Risso, cit, pp. 210-213). w . 12-16: Entra in gioco, con il titolo originale, la Critica della Ragion Pura di Kant, per bloccare, in questo segmento, ogni deriva irrazionale, dove gli "amori" sono "principah" ed "essenziah", a sottohneare la centrahtà di questo elemento nelle dinamiche umane, ma anche "protestati", come le cambiah (A. Giuhani, / Novissimi, cit., p. 105). È presente naturalmente anche ironia in questa assunzione kantiana. "promossi da ogni fiore" indica uno degh inneschi dell'amore e chiude questo terzo segmento del componimento (I: w. 1-4; II: w. 5-11; III: w. 12-16; IV: w . 17-25). w. 17-22: "ergo vacuas fac sedes/tuarum aurium" (quindi cerca di liberare completamente le cavità delle tue orecchie) è una formula di contatto prelevata dalla Vir-

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giliana continentia di Fabio Fulgenzio. In Fabii Planciadis Fulgentii V.L. Opera, a cura di Rudolfus Helm, Teubner, Lipsia 1898, p. 87, infatti, troviamo: "Ergo vaciuas fac sedes tuarum aurium, quo mea commigrare possint eloquia" (quindi cerca di liberare le cavità delle tue orecchie affinché possano accogliere le mie parole). Sanguineti accoglie la variante "vacuas" al posto di "vacius", presente nelle tradizioni manoscritte UDp. È lecito pensare, molto semphcemente, ad un testo nelle mani dell'autore che presentasse la lezione "vacuas". "Tuarum aurium sedes" si trova anche, sempre in Fulgenzio, Mitologiarum Libri, Liber I, " U t feriatas affatim tuarum aurium sedes lepido quolibet sussurro permulceam". Con questa formula di contatto si entra completamente nel cuore delle "fatiche chimiche" dei reagenti. (Per le "pietre dispe|;ate", vd. v. 3 e Introduzione) - Ellie diventa "folto estuario", bocca di passaggio, che immette, e a suo modo partorisce, ma anche "coltivatrice di cicatrici inchiodate", le quah, attraverso questo codice corporeo, ci parlano di un corpo segnato e martoriato, vissuto, con impresse le tracce del tempo e delle esperienze. "folto estuario" conferisce nuovamente ad Ellie una configurazione paesaggistica che, con quel "folto", è anche una metafora sessuale, la vagina come sbocco dell'utero. ~ La "notizia delle tue monete infiammabili" indica, per un gioco metaforico, la mutazione in oro, ma anche le trasformazioni reali indotte dal mercato, che tutto macina e brucia, fa rendere e distrugge, "vuoti porticati" ci consegna ora una Ellie paesaggio urbano, città inabitata, costruzione perfetta ma senza vita. ~ "per un regolamento" indica le leggi che presiedono le trasformazioni, da quelle naturah, biologiche a quelle sociah. Tutto è regolato. w . 23-24: Il riferimento al gusto è anfibologico: da un lato, c'è quello di Ellie, dall'altro quello del mercato che dirige i consumi, "esigere il fallimento" vale anche come indicazione di una pratica mercantile e gioca con il "protestati" del v. 14. ~ "dietro la tua età" è una annotazione che vale sia per Ellie sia per i tempi dei processi di nascita/morte. V. 25: Giuliani annota: "L'ultimo verso è un nonsense, che celebra VAnima (nel senso di Jung) oltre ogni effabilità; cfr. la sezione 23: 'et j'y mis du raisonnement e non basta et du pathétique e non basta/ancora Kal Tòt TCÒV JTOLTÌXWV and CAPITAL LETT E R S . . . ' " (A. Giuliani, I Novissimi, cit., p. 106). Ma questo "fiammiferi" rimanda piuttosto agli "infiammabih" e alla forza del fuoco, "calce viva", purificatrice e trasformatrice all'interno di questa stessa sezione.

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SEZIONE 12

Introduzione Parallelamente all'entrata nella Palus Putredinis, le malebolge sanguinetiane, continua la tessitura del romanzo di Ellie; l'opera, infatti, proprio per le sue stesse necessità di presentarci un attraversamento che sia trasformazione e formazione, secondo le regole àdVenquête, rivista e corretta alla luce della prassi, si fa anche, e particolarmente -come abbiamo già rilevato-, storia di nascita, morte e rinascita. È l'allegoria dei cicli della vita, ma anche, appunto, dei cich storici, dei popoli e delle civiltà, delle trasformazioni sociah. In questa sez. 12 continua il processo -iniziato alla sez. 9 con il disfacimento- delle sezioni 10 e 11 di composizione come rinascita e palingenesi delle componenti Elhe, ed infatti ritroviamo la formula "per mezzo di", che scandisce e ritma la sequenza delle reazioni, attraverso le quali si sviluppa il processo chimico ed alchemico; si intensificano le presenze di un decisivo linguaggio del corpo, che se, alla sez. 9, erano lessemi di malattie e di distruzione, qui sono lessemi di rinascita e di ricomposizione (v. 1 "gengiva congelata"; V. 3 "coscia pulita"; v. 21 "sigillata testa" e "vera testa"; v. 22 "cassa toracica"; V. 26 "microscopi bronchiali"; v. 30 "gola"), o almeno risultano più neutrah, e sembrano indicare una via, comunque, di superamento del "tumore domestico", dell'"epitelioma proporzionale" e del "libero carcinoma" della sez. 9. Il "per" scandisce le fasi dell'esperimento; Federico Sanguineti, nel segnalare un parallelo di toni e modi espressivi tra Interpretazione di Malebolge^ e Laborintus, accoppiava la sez. 11 e la sez. 12 (vd. Introduzione alla sez, 11), rilevando quasi una sorta di unitarietà e consequenzialità forte di questi due segmenti espressivi; è come se si leggessero le fedeh trascrizioni di un esperimento fisico-chimico avvenuto all'interno di un laboratorio scientifico. Per certi versi, questa fase del romanzo di Ellie è caratterizzata soprattutto dalla presentazione in forma di parole dell'esperimento laboratoriale, che dovrebbe dare vita alla renovatio. L'autore ci mostra, con precisione e in tutte le sue articolazioni, le fasi sperimentali, mettendoci sotto gli occhi gli effetti prodotti dagh incontri tra oggetti diversi e disparati: queste "visioni esplosive" sono il risultato estremo della confusione causata dal clinamen di questi oggetti, la cui caoticità (che non permette un ordinamento secondo le leggi tradizionali della logica) è quella stessa del reale. I movimenti della dinamica seguono un andamento a spirale.

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Ellie è "gengiva congelata" (corpo) e "concetto di concetto" (intelletto): questo inàpit, che si collega alla sezione precedente, riprendendone gli esiti laboratoriali, è segnato da due citazioni, "actus tragicus" e "totius orbis thensaurus", che appunto servono a darci la misura delle proprietà che Ellie va acquistando. "actus tragicus" (atto tragico, nel senso di azione tragica) è la Cantata BWV 106 di Johann Sebastian Bach, cantata funebre, con morte e ascensione, mentre "totius orbis thensaurus" ("accolta dei tesori del mondo intero") proviene dalle Metamorfosi di Apuleio. In questo gioco di assemblaggio e accoppiamento, il codice rehgioso cristiano (dell'ascensione attraverso il passaggio della morte, dove l'ascensione è una sorta di resurrezióne come cambiamento di stato; ma è anche un assaggio del rinnovamento/?05i mortem, vissuto già in vita) viene associato alla favola di Psiche e Cupido, raccontata da Apuleio, e che allude ai misteri di Iside e ai suoi riti: già il nome della protagonista (Anima) lascia trasparire la natura mistica dell'episodio, il significato allegorico della narrazione. L'amante di Psiche è Cupido (Eros), il cui nome egiziano è Arpocrate, il figlio di Iside. Venere-Iside manda sulla terra Cupido, da Psiche, affinché la colpisca con una delle sue frecce, ma Cupido, contravvenendo agli ordini della madre-dea, si innamora della bellissima fanciulla. Abbiamo così una immagine della caduta del divino nella materia, e contemporaneamente la prova che la divinità aiuta l'anima a riprendere la via del ritorno verso la patria ultraterrena. Le tappe di questo ritorno sono rappresentate dalle cerimonie di iniziazione al culto di Iside, che caratterizzeranno anche il libro XI dove il protagonista sarà Lucio^. In questo modo Sanguineti, rifunzionalizzando completamente i prestiti hnguistici, ci parla di un atto tragico e di un enorme tesoro raccolto da tutto il mondo, così da definire fin ¿AVinápit lo sviluppo della sezione: la linea di trazione dell'intero testo è appunto la renovatio, sotto le insegne della Luna (Iside, ancora) che scandisce i tempi della storia e della vita, come sottohnea il V. 12 "per le equazioni lunari e solari". L'atto tragico è la trasmutazione, ed essere "concetto di concetto" imphca diventare una sorta di vaso di Pandora di tutte le migliori proprietà intellettuah, atte a fondare un nuovo modo di conoscere. Nella prima parte, secondo le auree regole della comunicazione scientifica, l'autore ci presenta le modahtà di composizione, le proprietà già acquisite da Elhe, i tempi e i reagenti, "sei la cimice delle botti/e la scheggia di sapone", detto di Ellie, segna l'ambivalenza e la plurivocità dell'Anima: anima che, ingrandita, è "questo paradiso", "per le equazioni", "pér il calendario", "le per tue città", "per i tuoi ospizi" ritmano la trasformazione. Alla fine del complesso movimento attraverso la natura del hnguaggio che partorisce ("vocabolo prescelto/che porta in grembo"), EUie diventa "sigiUa-

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ta testa, vera testa"; cioè come già indicava, in anteprima, funzionando da insegna, da titolo dell'intero conmponimento, il v. 2 "Ellie concetto di concetto", Ellie è anche un prodotto della mente. Sono qui narrati modi e tempi in cui Elhe diventa, appunto, concetto di concetto. E il concetto, se non è vuoto, è la "chiarezza dell'intelletto" (v. 23). Ma nel momento in cui pare essere arrivato il termine dell'equiUbrio, il movimento della scrittura ci presenta il catalogo caotico degU elementi che lo mettono in crisi e in gioco: i "microscopi bronchiah", "il tempo [...] che azzanna la pagina" e non concede alla scrittura di sedimentare "le sue pietre corah", che, come sappiamo, sono "calce viva" (vd. Introduzione alla sez. 11). Il testo è in continuo movimento, del resto Ellie è l'errare della scrittura. I w. 30-31 "ogni fondazione ha in gola/la propria teodicea" sono capitali nell'economia del testo, poiché enunciano, in maniera secca e precisa, che ogni fondazione, intesa come metodo, come visione del mondo, come ideologia e perfino religione, produce, nascondendola, la propria teologia naturale, riguardante la giustificazione della divinità in relazione alla presenza del male nel mondo. Ogni realtà ha più facce, a ogni "ricetta" corrisponde una "spada". È una dichiarazione che definisce il reale non univoco, ma ambivalente e anfibologico. Dopo aver sottolineato l'ineluttabilità della morte, la sua costante presenza ("ogni comportamento trascina la sua morte sulla schiena"), viene nuovamente alla ribalta EUie, che "trascina le instantiae crucis". La citazione, posta in posizione centrale, è prelevata dal Nuovo Organo di Bacone, e rimanda alle istanze decisive, quelle che mostrano, in un processo di conoscenza, quando l'intelletto è incerto sulle cause da assegnare alla natura indagata, in pratica la soluzione, facendo risultare i legami indissolubih e non provvisori. In questo modo la focalizzazione è nuovamente sui modi e metodi di conoscenza. Infatti "instantiae crucis" viene rafforzato da "tropi trascendentah", al verso seguente, dove "tropi" rimanda allo stesso tempo, come vedremo, all'ambito retorico e a quello filosofico. Naturalmente "trascendentale" è da intendersi sia nel significato di eccezionale, che varca i limiti, sia in quello della filosofia scolastica di proprietà che va oltre, trascende le categorie aristotehche ed è comune a tutti gli enti, sia in quello della filosofia kantiana -come ci suggerisce anche "Kritik der reinen Vernunft" al v. 12 della sez. 11- nonché moderna, di strutture del pensiero soggettivo che esistono anteriormente all'esperienza, e pertanto sono in contrapposizione con i dati empirici per cui condizionano e permettono la conoscenza (logica trascendentale). Questo nuovo "concetto di concetto", "chiarezza dell'intelletto", metodo

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di conoscenza e interpretazione, fondato sulle "instantiae crucis" e sui "tropi trascendentali", serve a "distruggere la nostra evidenza/in maniera proclamata" (come recita significativamente l'ultimo verso), cioè a svelare la realtà, bucando le difese dei luoghi comuni e della tradizione, andando oltre verso la fondazione di un nuovo sapere, di un nuovo metodo di conoscenza, di una nuova ideologia. In una scrittura che procede per grumi e nodi problematici e per montaggio di tessere, secondo un gusto già rilevato, si può segnalare una attenzione privilegiata di Sanguineti per opere ed autori impegnati in un'azione fondativa e alternativa di interpretazione del reale, da San Tommaso a Vico, da Jung a Foscolo, da Sant'Agostino a Artaud. In questa sezione è là^volta del Nuovo Organo di Bacone, che articola un progetto di rifondazione sulla elaborazione di un metodo, e nel quale, a proposito, troviamo: "Restabat illud unum utres de integro tentetur melioribus praesidiis, utque fiat scientiarum et artium atque omnis humanae doctrinae in universum Instauratio, a debitis excitata fundamentis"^ E ancora: "Aedificium autem hujus universi structura sua, intellectu humano contemplanti, instar labyrinthi est; ubi tot ambigua viarum, tam fallaces rerum et signorum similitudines, tam obhquae et implexae naturam spirae et nodi, undequaque se ostendunt. Iter autem sub incerto sensus lumine, interdum affulgente interdum se condente, per experientiae et rerum particularium sylvas perpetuo faciendum est"®. E così, seguendo solo due delle tante citazioni possibili, ci ritroviamo in cammino nel labirinto della conoscenza e dell'esperienza. Per Bacone, si tratta di fatti raccolti con l'intento di guidare il procedere dell'induzione vera. In Sanguineti questo concetto viene subito rifunzionalizzato, secondo teoria e prassi materialisticamente orientati; infatti, alla luce dei particolari rapporti che intercorrono tra ideologia e hnguaggio, in questa sezione, "tropi trascendentali" indica contemporaneamente un traslato, cioè una forma figurata del linguaggio (metafore e metonimie sono i due principah tropi) e una argomentazione articolata utihzzata per demohre le affermazioni dogmatiche (questa accezione si deve, in origine, alla filosofia scettica antica), di conseguenza in questo nuovo contesto tradizioni e luoghi comuni. In poche parole rileviamo la stessa plurisemanticità che esiste per "trascendentah", appena anahzzato.

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^ F. Sanguineti, "Edoardo Sanguineti dantista", in Sanguineti. Ideologia e linguaggio, cit., p. 322. 2 Qui, a questa Anima (Ellie) non sembrano estranee -almeno come armoniche nascoste- sollecitazioni da La mia anima di Savinio. ^ "Non resta allora che una sola cosa da fare: affrontare tutta l'impresa daccapo, con strumenti più efficaci, e mettere mano ad una totale Ricostruzione, sostenuta dalle dovute fondamenta, delle scienze, delle arti e di tutta la conoscenza umana" (F. Bacone, "La grande instaurazione. Preambolo" in Nuovo Organo, Bompiani, Milano 2002, pp. 4-5). ^ "Per l'intelletto umano che lo contempla, l'edificio di questo universo, nella sua struttura, è simile a un labirinto, dove da ogni parte si mostrano molte vie ambigue, fallaci somighanze di cose e di segni, spirali contorte e intrecciate, e nodi di nature. Il cammino si deve sempre percorrere all'incerta luce del senso, ora accecante ora opaca, attraverso le selve dell'esperienza e dei casi particolari" (Idem, pp. 20-21).

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gengiva congelata dalle visioni esplosive Ellie concetto di concetto coscia pulita actus tragicus mnemonico totius orbis thensaurus giocare ai birilli e alla morte ogni notte attiva perché in grandezza naturale sei la cimice delle botti e la scheggia di sapone dunque fu indispensabile ingrandirti diecimila volte (il re di Danimarca era notoriamente incredibilmente alto) questo paradiso o h io devo riassumere per le tue città e per i tuoi ospizi per le equazioni lunari e solari per il calendario perpetuo della tua bocca e dei tuoi vapori meravigliosi confortare il cuscino dominante dell'enfasi la caldaia o la sibilla del tuo c o n o e dei tuoi cammelli dei tuoi papaveri delle tue tenaghe dei tuoi guinzagh del vetro o della collina del vocabolo prescelto che porta in grembo le tue fotografie negative o h sigillata testa vera testa del prodigio distendere costui (proprio nella sua cassa toracica) leccare la chiarezza dell'intelletto confortare i tasti della tua partecipazione c o n istinto parallelo la mia cintura confortare di microscopi bronchiali perché il tempo azzanna la pagina di fronte al complice subhme la medesima cosa estesa e le sue pietre corah perché ogni freno è ormai digerito ogni fondazione ha in gola la propria teodicea quante ricette hanno la loro spada e quanti castelli il loro telegramma medio di terrori alcune arie sono dotate di un margine pastoso

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e ogni comportamento trascina la sua morte sulla schiena Ellie (poiché è straordinariamente prossima) trascina le instantiae crucis questi fatti segnati trascinano tropi trascendentah per distruggere la nostra evidenza in misura proclamata

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Note V. 1: "gengiva congelata delle visioni esplosive": è ancora il linguaggio del corpo. Le mutazioni corporali avvengono anche attraverso l'immaginazione che produce "visioni esplosive". V. 2: "Ellie concetto di concetto": in anteprima, è una sorta di prolessi che va legata ai w. 21-23: EUie è "perfectiones inteUigibiles", come sottolinea la sez. 11. V. 3: "coscia puhta actus tragicus": EUie è mente e corpo. Questo processo di palingenesi non è solo "mysterium tremendum", è anche "actus tragicus". Come già anticipato, Actus Tragicus è la Cantata B106 (BWV106), per alcuni composta da J.S. Bach nel Ì674, per altri tra il 1707 e T l l . È una cantata sacra, precisamente funebre. Il titolo è "Gottes Zeit ist die allerbeste Zeit", ed il testo è estrapolato, tramite espunzioni e collegamenti, dalla Bibbia e dagli Inni: è un insieme di frammenti funebri ritaghati e montati in libertà (i compositori luterani potevano creare e intervenire liberamente sul testo, mentre quelli cattolici dovevano adottare il testo fisso della messa). Per alcuni il testo è opera di Georg Christian Eilmar, che invece, per altri, ha solo coadiuvato Bach neUa composizione. L'opera è comunque caratterizzata, essendo una sorta di requiem, da morte e ascensione, che Sanguineti fa giocare con la mistica di Iside. Vd. J.S. Bach, Cantate e Oratori, Ariele, Milano 1995, 4 voU. V. 4: Questo verso completa la prolessi di Ellie, che diventa contenitore mnemonico di tutti i tesori del mondo. Il prestito linguistico appartiene, come si è anticipato, ad Apuleio e precisamente al libro V, 2, delle Metamorfosi, nella favola di Amore e Psiche (vd. Apuleio, Le metamorfosi o l'asino d'oro, Rizzoh, Milano 1981, p. 282). ~ "totius orbis thensaurus" ("accolta dei tesori del mondo intero") proviene da questo contesto: "Sed praeter ceteram tantarum divitiarum admirationem hoc erat praecipue mirificum, quod nullo vinculo nullo claustro nullo custode totius orbis thensaurus ille muniebatur" ("Ma, dopo l'ammirazione destata da queste immense ricchezze, causa di ancor maggiore stupore era il fatto che queU'accolta dei tesori del mondo intero non era difesa né da catene né da porte né da custodi") (Idem, pp. 282-283). Nel contesto sanguinetiano, i tesori indicano chiaramente più che gli ori e i monili il piano della profondità dell'anima e dell'intelletto, dove avvengono le trasformazioni: l'autore gioca così, in maniera allusiva, sfruttando segni e segnali propri del testo stesso, con i riti di Iside e i misteri attraverso i quah c'è la purificazione dell'anima degli iniziandi. Cich deUa luna e rinnovamento. w . 5-7: Siamo dentro al procedimento: l'autore sottolinea la casualità della morte

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e gli influssi della notte. Ellie ora è un insetto parassita, ora un pezzo di sapone: il tono della metamorfosi, attraverso Ovidio e Apuleio, sembra diventare quello di Kafka e di Gregor Samsa. w . 8-9: Nelle metamorfosi si passa attraverso un indispensabile processo di ingrandimento ottico, un ingigantimento. Il riferimento è al padre di Amleto, alla dimensione di spettro di un re taumaturgo e sciamano. Per il parallelo Laszo/Amleto vd. Cadioli alla nota v. 1 della sez. 4. w . 10-14: Ellie è il "paradiso". Ellie è essenza ineffabile. Per il poeta diventa, dantescamente, arduo e complesso parlare dell'ineffabile; ma deve farlo e lo fa proponendoci un catalogo di città e ospizi, di misuratori e meccanismi del tempo ("equazioni lunari e solari" e "calendario perpetuo") che per certi versi, sgorgano e nascono da Ellie stessa, "della tua bocca/e dei tuoi vapori meravigliosi". I versi sono dominati dall'accumulazione. w . 15-18: Continua il catalogo di oggetti secondo leggi e gusti surreahsti, fattociaccoppiamenti pericolosi e caotici. w . 19-20: Elhe è di nuovo "linguaggio che partorisce" (sez. 10, v. 5), che propone le sue "fotografie negative", ci dà cioè l'immagine inversa da sviluppare, come una sorta di feto, di nascituro, portato in grembo. w . 21-25: Entriamo nel centro della trasmutazione: Elhe è "sigillata testa, vera testa del prodigio", "cassa toracica", "chiarezza dell'intelletto", cioè insieme di corpo e di anima, di carne e di perfezione intellettuale. È proprio in questi versi che si completa la prolessi del w . 2-4. w . 26-29: Il catalogo ci propone gli elementi della reazione, che sono poi anche quelli che rendono precario ogni stato di equilibrio. ~ Tutto avviene sotto i denti del tempo, che azzanna la pàgina, "le sue pietre corali", una sorta di insieme di pietre, oggetti che presiedono alla trasformazione, rimandano alla sez. 11 (vd. Introduzione alla sezione i i , v. 3 e v. 18). w . 30-31: Questi versi secchi e precisi, duri, dichiarano il legame che intercorre tra la nascita di una teologia riguardante la giustificazione della divinità in relazione alla presenza del male nel mondo e la fondazione di un sistema di conoscenza, di una visione del mondo. Senza voler creare o evidenziare nessun rapporto o riferimento diretto, ci paiono comunque appropriate per questi versi alcune osservazioni di Ernst Cassirer, contenute in Individuo e cosmo nella filosofia del Rinascimento, hbro che ritornerà alla sez. 15: "Un simile modo di intendere la teoria dell'Eros mette in una nuova luce pure il problema della teodicea, intorno al quale si è sempre affaticato anche il neoplatonismo. Solo ora diventa possibile una teodicea in senso stretto, perché la materia non è più solo un contrapposto della forma e, con ciò, il 'male' assoluto; ma viene intesa, come ciò a cui si appiglia ogni attività della forma e ciò in cui essa si invera" (E. Cassirer, Individuo e cosmo nella filosofia del Rinascimento, La Nuova Italia, Firenze 1935, p. 212). E ancora: "L'atto di conoscenza e quello d'amore hanno uno SCODO unico, perché entrambi tendono a sopprimere la separazione fra gH elementi del'essere ed a risaUre alla loro unità originaria. [...]. Ma l'atto di conoscenza, che pone questa duplicazione, questo abbandono all'unità originaria per la moltephcità, è quello che può anche tornare a superarla. [...] La teodicea del mondo, che il Ficino aveva

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dato nella sua dottrina dell'Eros, era diventata pure la vera teodicea dell'arte. Infatti è il modo di procedere tanto dell'artista, quanto dell'Eros: dover ricongiungere strettamente le une alle altre le cose separate ed opposte, cercare nel 'visibile' T'invisibile', nel 'sensibile' T'intellegibile'" (Ibidem, pp. 214-215). Anche qui, in altra declinazione, emerge il legame tra amore e conoscenza, che informa di sé Laborintus. Sempre in quest'ottica, si può segnalare che Sull'insuccesso di tutti i tentativi filosofici di teodicea è il titolo di un testo della maturità di Kant (del quale Cassirer curò, in dieci volumi, un'edizione delle opere e al quale dedicò Kants Leben und Lehre e parecchie pagine àtìYErkenntnisproblem in der Philosophie und in der Wissenschaft der neueren Zeit tradotto in itahano, per Einaudi, con il titolo Storia della filosofia moderna). Coniunctio, teodicea, attività dell'artista, pratica della scrittura (inventio ed imitatio), Eros, costituiscono così i poli di una costellazione. w . 32-35: La natura di una nuova fondazione non corre solo il rischio della teodicea, ma dichiara la sua essenza ambivalente, polifonica, a più facce: alle ricette corrisponde la spada, al telegramma il castello; in questi versi l'autore sottohnea come la prassi nella realtà materiale proceda per conflitti duri e sanguinosi. Persino l'aria si solidifica, diventando qualcosa di "pastoso", a metà strada tra uno stato hquido e uno gassoso. w. 36-38: La morte è ineluttabile, è una presenza costante, e proprio in relazione a questa si configura EUie come metodo di conoscenza. La formula "instantiae crucis" (le istanze cruciali) si rintraccia nel Nuovo Organo di Bacone, II, 36 in questo contesto: "Itaque instantiae crucis circa hoc subjectum eae esse poterunt (si modo aliquae sint) quae demonstrent reflexionem a corpore tenui, qualis est flemma, modo sit crassitiei sufficientis" (perciò le istanze cruciah relative a questo soggetto (ammesso che ne siano) potrebbero essere quelle che dimostrano le possibilità della riflessione da un corpo tenue, come la fiamma, purché di sufficiente spessore) (Idem, pp. 396-397). Più oltre: "Poterant autem esse instantiae crucis circa hoc subjectum duorum generum alterum eorum corporum quae maxime sunt inflammabiha, qualia sunt sulphur, caphura, naphtha et hujusmodi, cum eorum misturis" (Le istanze cruciah relative a questo soggetto potrebbero essere di due generi: l'una, di quei corpi che sono i più infiammabih, come lo zolfo, la canfora, la nafta, e simih con i loro composti", (Idem, pp. 400-401). L'intero capitolo 36 del Nuovo Organo è riservato da Bacone alle istanze cruciali, che vengono definite in base aUa loro funzione, poiché servono aU'intelletto per portare a compimento le indagini sulla natura {istanze dedsive e giudiziali e istanze dell'oracolo e del mandato): in questo capitolo capitale vd. Idem, pp. 382-383, e anche pp. 404-405. Anche se le ricorrenze sono molteplici, Sanguineti rimanda, nella definizione scientifica e operativa, a questo capitolo, e ci propone, appunto, la nascita di un nuovo metodo di conoscenza e interpretazione, per cui l'istanza baconiana, appunto, dall'originario significato giudiziario si trasforma in un fatto che orienta un giudizio o un'indagine. Istanze cruciah e tropi si trovano in questo nuovo metodo, frutto della trasmutazione di Ellie. w. 39-40: Il verso chiude il componimento, evidenziando l'obiettivo del nuovo impianto gnoseologico che, come si poteva già intuire, deve "distruggere", chiaramente e senza tentennamenti, "la nostra evidenza", cioè far crollare tutto il castello di false coscienze e conoscenze del sapere tradizionale, portando l'uomo ad un suo rinnovamento, hberandolo.

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SEZIONE 13

Introduzione La sez. 13 è una sorta di completamento del processo che abbiamo seguito, passo dopo passo, dalla sez. 9 alla sez. 12, dove EUie si fa mondo, realtà materiale: continua così il romanzo di EUie, con nuove appendici estreme sulla sua esplosiva dissoluzione. EUie è "occulta", nascosta, è quasi un sapere esoterico, ma contemporaneamente è un flusso della realtà, è prodotto e a sua volta produce realtà^ È polisemica. È "localizzazione dell'irrazionale" (v. 2), in quanto anima, pròfondo, inconscio junghiano, ma è anche concreto "disastroso oggetto mentale": questo V. 2 richiama immediatamente "les objets a réaction poetique" del V. 16 deUa sez. 4. L'autore tesse, così, una trama intertestuale tra sezioni, in modo che un verso trovi contatti e chiarificazioni nei seguenti; così, EUie si fa "disastroso oggetto mentale", tenendo insieme materialità del cerveUo e virtualità deU'intelhgenza. Il "disastroso oggetto mentale" rimanda, tra le tante e possibih presenze surrealiste, più o meno sotterranee, aUa definizione di readymade e di objet onirique presente nel Dictionnaire abrégé du surréalisme, dove si parla di ciò che per Breton è oggetto del quale non ci si accorge che in sogno: è sogno, si comprende in sogno e produce sogni (vd. Anarchia e Complicazione). Questo è appunto lo stato richiesto per percepire, in visione, EUie, perché eUa possa diventare motore d'azione. La sezione 13 si apre così sul mondo, dominato daU'"incanto universale del valore", dal mercato e dal suo equivalente universale, la moneta. La storia viene definita, vichianamente -ma non solo-, come successione di generazioni, come qualcosa che non è ancora appunto la Storia marxisticamente intesa, poiché è ancora "preistoria" - per rimanere aU'interno della terminologia marxiana. Essa non rimanda ad una cronologia, ma ad una generazione; per questo ci sembrano appropriate le riflessioni di J.-P. Vernant: Questa genesi del mondo di cui le Muse raccontano il corso, contiene un prima e un poi, ma non si svolge in una durata omogenea, in un tempo unico. Non c'è, per ritmare questo passato, una cronologia, ci sono invece deUe genealogie. Il Tempo è per così dire incluso nei rapporti di fihazione, ogni generazione, ogni 'razza', génos, ha il suo tempo pecuhare, la sua 'età', la cui durata, il cui flusso e perfino l'orientamento possono differire tptalmente.^

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Questa preistoria diventa di conseguenza il regno della memoria: In un numero del 'Jo^irnal de Psychologie' dedicato alla costruzione del tempo umano, 1. Meyerson sottolineava che la memoria, nella misura in cui si distingue dall'abitudine, rappresenta una difficile invenzione, la progressiva conquista, da parte dell'uomo, del suo passato individuale, così come la storia costituisce per il gruppo sociale la conquista del suo passato collettivo.^

Che proprio per i w. 5-8 sia lecito fare riferimento all'attività di interpretazione e organizzazione del passato che ogni generazione compie in funzione della creazione di un 'repertorio' inteso come storia della cultura e delle sue discipline, deposito di strumenti al quale si ricorre poi, e principalmente, per svelare e interpretare la contemporaneità, il reale, ce lo conferma Eugenio Battisti che pone questi versi in esergo al suo Antirinasàmento ("oh incanto universale del valore/ogni storia è una generazione equivoca dell'ispezione")^. Questo è il punto di partenza di tutta la sezione. In questa piena preistoria, EUie è "anima delirante", è visione, è sogno del "quadruphce mondo", la cui polifonia va colta direttamente in sogno. Transitiamo così da una situazione nella quale EUie è in stato di formazione ad una dominata invece dalla percezione attiva di EUie che si fa motore di conoscenza: lo stato più favorevole è queUo tra U sogno e la vegUa in cui è possibile ricevere visioni. Se prima seguivamo, con precisione, le reazioni fisiche, chimiche ed alchemiche delle diverse componenti, ora la focalizzazione dell'autore si sofferma suUa trascrizione accurata deUa percezione di EUie. In altra epoca e in altro contesto, si sarebbe parlato di fenomenologia degh effetti deUa donna su chi la guarda: per certi versi, con mutazioni e trasformazioni, la situazione della sezione è precisamente questa. EUie si muove, occulta, ma viene percepita e innesca, come le intelligenze angeliche, processi conoscitivi; essi prelevano conoscenza e sapere telepaticamente da quest'"anfora". In questa situazione, quando l'attenzione è riservata, per così dire, al fruitore, EUie viene colta e si manifesta come linguaggio, come "parola incrociata e comparativa", cioè come parola complessa, a più strati, come soluzione di gioco enigmistico di parole, e anche come "pausa di latte", a sottolineare che l'andamento deUa comunicazione si fa armonico. Il messaggio diviene fulminante, strepitoso, colpisce poiché è prodotto da una "lettera fulminata", elettrica. A colui che guarda e vede, EUie appare neUe più disparate sembianze, è "abietto piroscafo", "amido umido", ma la si può intrawedere anche nell'acqua riflessa "nei pozzi", con effetti simiU alla donna nel fiume e poi nel secchio d'acqua àtWAtalante di Vigo, già più volte citata.

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Uimmagine significativa è quella di Ellie vista "come la luna dormire": in questa maniera, l'autore ricrea, come armonica, un legame diretto tra Ellie e la luna, antropomorfizzando o oggettualizzando, di volta in volta, uno dei due poli. La "luna dormire" costituisce anche una indicazione, seppur ambigua, di tempo, che, come sappiamo, è l'agente di tutti i movimenti; infatti, per inverso, il dormire può rimandare alla quasi immobilità della luna piena nel cielo, dall'altro dormire può valere come sparire, come eclissarsi, passando attraverso uno spettro di colori percepiti dallo spettatore di questo fenomeno fisico, op- . pure come effetto di semplice luna calante. All'autore non interessa tanto la precisione tecnica e astronomica, ma piuttosto gh preme di comunicarci la centralità del tempo come movimento che induce e aiuta i cambiamenti di stato. Ancora una volta, tra le tante manifestazioni, esce la "pietra focaia", che rimanda alla sez. 11, introducendo il tema del fuoco, centrale in moltissime culture e riti, in quanto rappresenta ciò che trasforma e rinnova. La pietra focaia genera la fiammella della "candela più misericordiosa". Il tratto stilistico essenziale dell'intero processo di formazione di Ellie e, invitabilmente, della sua percezione, è quello della capacità di inglobare elementi che sul piano della razionahtà tradizionale apparirebbero come contraddittori, mentre l'autore riesce a tenerli insieme nel tentativo appunto di fondare e di organizzare una nuova idea di ragione, lontanissima da quella weberiana del capitahsmo. A questo punto, il testo si apre a fisarmonica, presentandoci un catalogo caotico di oggetti-proprietà. Infatti, attraverso il "giornale della sera", carta e parola, ritroviamo la "metafora", tropo principe, figura di linguaggio, lo stato essenziale di Ellie, che, appunto, si fa "cambio di vocale", in quanto propriamente operazione di comunicazione, dovuta alla sua natura di linguaggio, e ci mostra un aspetto, per così dire, tecnologico, di "amplificatore/ad alta frequenza", che permette in definitiva alla voce e alle parole di propagarsi. Per paradosso è una Ellie pre-cyber, fatta di carne e di circuiti, che sembra muoversi in un labirinto di deserto e di detriti. Se quello che viene trasmesso, o che si cerca almeno di comunicare, è un nuovo sapere, EUie diviene "enciclopedia scientifica", e quindi "parametro" di conoscenza del mondo e di se stessi, del reale e della propria interiorità. I vv. 26-30, un sapiente e abile montaggio di lacerti estrapolati con altri del tutto inventati, chiudono il testo, ribadendo alcuni concetti: su tutti il "totius orbis thensaurus" (insieme di tutti i tesori del mondo), che è appunto un prelievo significativo dalla favola di Amore e Psiche dalle Metamorfosi di Apuleio - come abbiamo visto in sez. 12, v. 4: la sua presenza è il modo più efficace di segnalare che il processo iniziato là trova qui il suo completamento. Se nella sez. 12 avevamo conosciuto il catalogo delle proprietà acquisite da EUie

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(l'inventario, insomma, di questo tesoro, una sorta di dote, nel senso di dotazione di strumenti gnoseologici), nella sez. 13 possiamo osservare ciò che Ellie viene in terra a mostrare, ciò che si percepisce e ciò che rimane impresso e il tesoro diventa quindi il catalogo degli effetti provocati da una "intelligenza angelica": se la sez. 12 è una d e s c r i z i o n e s u b j e c t i f la sez. 13 h parte objecti. Infatti, secondo le premesse dell'intero testo -una sequenza in 5 tempi-, la parte capitale, la più preziosa dell'intero tesoro, è costituita proprio da tutto ciò che permette di discernere. Così EUie sarà per l'autore "la mia lanterna magica", dal sapore fortemente proustiano, in quanto capace di ingrandire immagini, una sorta di telescopio e insieme di microscopio, strumento di conoscenza. Questa conoscenza è comunque complessa e difficoltosa perché "nomina nuda tenemus" (possediamo solo nomi vuoti senza sostanza). Il frammento di un verso del De contemptu mundi di Bernardo Morhacense^ si inserisce pienamente nel problema medievale del rapporto tra parole e cose, cioè, per dirla con termine tecnico, all'interno della questione del nominaUsmo medievale. La prospettiva di precarietà del mondo, sottesa all'opera di Bernardo, e soprattutto di odio verso la donna e l'amore, viene da Sanguineti immediatamente rovesciata in una frase, dove un lessico noto e consolidato, direttamente prelevato dalla tradizione del codice rehgioso medioevale, viene rielaborato dall'autore: "in nudum carnalem amorem et in nudam constructionem corporis tui" (per il nudo, anche come semplice, amore carnale del corpo e per la nuda struttura del tuo corpo). Così "nudus", da vuoto o senza consistenza, diventa pieno di carne e di corpo, e questo sUttamento trascina pure con sé il "nomina nuda tenemus", che ábbandona, così, immediatamente il suo contesto originario e, se così vogliamo dire, le secche medievali della morale e del disprezzo, per parlarci della difficoltà della conoscenza e dell'interpretazione, del metodo. In breve, questi termini, rifunzionalizzati, fanno subito mutare prospettiva al lacerto di Bernardo, non più disprezzo delle cose terrene, ma difficoltà dei processi di conoscenza, che girano a vuoto e non riescono ad interpretare il reale. L'unica possibilità è proprio nel disprezzato amore carnale, del corpo, nella conoscenza anatomica della coniunctio. Attraverso un'operazione di travestimento che muove da un lessico consolidato, il frammento esce dall'essere semplice 'fonte' per inserirsi, in tutto e per tutto, nel nuovo testo.

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^ J.P. Vernant, Mito e pensiero presso i Greci, Einaudi, Torino 1989, p. 100. 2 Idem, p. 93. ^ E. Battisti, UAntirinascimento, Garzanti, Milano 1989, voi. I, p. 19, nella prima edizione, in volume unico, Feltrinelli, Milano 1962, p. 17. ^ Di Bernardo Morliacense scrive Curtius: "Intorno al 1140 il cluniacense Bernardo di Morlas compone il poema De contemptu mundi, aspra critica del costume. L'autore è pervaso da devozione profonda ed anela estaticamente alla Gerusalemme celeste. La sua sensibilità monastica, volta al mondo ultraterreno, rivela con grande tristezza la corruzione dilagante nel suo tempo. Egli non solo condanna l'assenza di fede, la sodomia e gli altri vizi, ma maledice persino l'amore e la donna stessa" (E.R. Curtius, Letteratura europea e Medio Evo latino. La Nuova Italia, Firenze 1992, p. 139). Esistono molti De contemptu mundi medievali, il più famoso dei quali è quello di Innocenzo X (Lotario di Segni).

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13.

oh torrenti subordinati della realtà oh EUie occulta disastroso oggetto mentale localizzazione dell'irrazionale quaderno oh incanto universale del valore ogni storia è una generazione equivoca dell'ispezione 5 e tu sei l'anima delirante del quadruplice mondo tutta la montagna sei dell'ideazione montagna in sogno affatto polifonica anfora sommariamente telepatica oh proseguimento 10 oh parola incrociata comparativa oh troppo breve pausa di latte attivo armonico lettera fulminata e abietto piroscafo e amido umido nei pozzi vederti come la luna dormire 15 come la muffa dei ragni e i ladri di cavaUi e la pietra focaia dentro la candela più misericordiosa delle dita come il giornale della sera come la metafora tu sei il cambio di vocale e l'amplificatore 20 ad alta frequenza e l'enciclopedia scientifica sei tutta in ogni elemento sei questo parametro facihssimò della estrazione della mia disgrazia aperta 25 oh totius orbis thensaurus mnemonico thensaurus sempre sempre sarai la mia lanterna magica et nomina nuda tenemus in nudum carnalem amorem et in nudam constructionem corporis tui

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Note w . 1-2: Il testo si apre sulla natura di Ellie, a metà tra realtà e profondo, conscio e inconscio. - "disastroso oggetto mentale" è un abbinamento tra il concetto di disastro, processo autodistruttivo e "oggetto mentale", prodotto deirintelligenza, ma non solo (vd. Introduzione). Sanguineti aggiunge al ricco catalogo áúVobject quello dell'"oggetto mentale", che non è un semphce objet onirique, ma qualcosa che si muove nel profondo, appartiene ai momenti tra il sonno e la veglia, con una forte ricaduta sul reale, completando anche gh objects surreahsti della sez. 4, v. 16. w . 3-4: In questi versi Ellie si configura come contenitore dell'irrazionale, ma merce in quanto prodotto del "valore". w . 5-8: Al cospetto di una storia equivoca, Ellie è anima che delira, figlia di un mondo moltiplicato, è sogno e ideazione, polifonicamente. vv. 9-13: Elhe come conoscenza, anfora, vaso di Pandora, in contatto telepatico. Elhe diventa, di nuovo, linguaggio; la "parola incrociata" rimanda sia alla pohsemia o alla stratificazione semantica sia al gioco enigmistico (un po' di anni dopo, non a caso, troveremo i Rebus tra la produzione di Sanguineti). "la pausa di latte attivo armonico" richiama tono, ritmo ed espressioni, pastose, liquide ma dense, parole sonore. - "lettera fulminata" ci dà l'immagine di un linguaggio che fulmina, di una parola elettrica, quasi futuristicamente, ma anche di hnguaggio come prodotto del processo elettrico. V. 14: Il catalogo di Elhe prosegue con riferimento al piroscafo e all'amido: l'oggetto mentale come insieme di oggetti caotici, "amido umido" è una tipica allitterazione a vocale variabile, sul modello lucreziano "muta metu". ~ L'umido è l'origine della vita, l'elemento che feconda, come troviamo in Plutarco: "I sacerdoti più sapienti non solo chiamano il Nilo Osiride e il mare Tifone, ma sono anche convinti che Osiride rappresenti senz'altro il principio e la natura dell'elemento umido in sé, origine della vita e sostanza fecondante" (Plutarco, Iside e Osiride, Adelphi, Milano 1998, p. 91). w . 15-18: Il catalogo-rassegna prosegue. La luna sembra vivere appunto nell'umido; per la "pietra focaia" vd. Introduzione alla sez. 11, v. 3 e v. 18. Il "giornale della sera" segna il passaggio al linguaggio dei versi seguenti. w. 19-22: Elhe è un tropo per eccellenza, è metafora, cioè hnguaggio che vediamo farsi comunicazione. Questi versi sviluppano e completano i w. 11-13. La comunicazione ci è mostrata come parola detta, come insieme di testo e voce, che si diffonde con il supporto tecnologico (r"amplificatore/ad alta frequenza"). Tutto questo 'impianto' serve a diffondere Ellie come sapere, in questo caso come "enciclopedia scientifica", come organizzazione delle conoscenze che paiono avere qui una connotazione tecnica. Si segna così un nesso tra la ricerca e il sapere e lo strumento (in questo caso l'amplificatore). La denominazione "cambio di vocale" è un gioco enigmistico, che produce di fatto una allitterazione a vocale variabile. w . 23-25: È presente una sorta di panteismo oggettuale di Elhe, che è contenuta in ogni cosa. Il termine "parametro", legato al "comparativa" del v. 11, sottolinea anche la dimensione di unità di misura di Elhe rispetto a tutti gh accadimenti del mondo.

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Questa dimensione è sottolineata, formalmente, dall'anafora "sei" (v. 23, ripetuto al v. 24), fino a "estrazione" del v. 25. w . 25-26: "totius orbis thensaurus" -già ne abbiamo detto diffusamente- è, appunto, l'insieme dei tesori che compongono EUie e che manifestandosi possono essere percepiti (vd. sez. 12, Introduzione e nota v. 4). Si chiarisce qui anche il "mnemonico", poiché è la memoria che ci aiuta a fare chiarezza in questa preistoria, neUa storia che si muove per generazioni. ~ "lanterna magica", dal sapore proustiano, è un antico strumento ottico da proiezione, a forma di scatola, che ingrandisce le immagini dipinte su vetro; estensivamente è passato a designare U cinema o la televisione. Ellie si fa strumento sonoro e strumento visivo-ottico, amplificatore e proiettore: è anche questa una via attraverso la quale entra nel testo la deformazione di voce e sguardo, secondo modeUi espressionistici. w . 28-30: Il V. 28 "nomina nuda tenemus" è un lacerto del verso "stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus" (la rosa del giorno prima sopravvive solo nel nome, possediamo solo nomi vuoti senza sostanza), ricorretto dall'"et" congiunzione, del De contemptu mundi, che poi sarà anche explicit del Nome della rosa di Eco, il quale, in relazione a questo verso, scrive: "[...] un verso da De contemptu mundi di Bernardo Morliacense, un benedettino del X I I secolo, il quale varia sul tema dell'ubi sunt (da cui il mais où sont les neiges d'antan di ViUon), salvo che Bernardo aggiunge al topos corrente (i grandi di un tempo, le città famose, le beUe principesse, tutto svanisce nel nulla) l'idea che di tutte queste cose scomparse ci rimangono puri nomi. Ricordo che Abelardo usava l'esempio deU'enunciato nulla rosa est per mostrare come il linguaggio potesse parlare sia deUe cose scomparse che di quelle inesistenti" (U. Eco, Postille a "Il nome della rosa" 1983, in II nome della rosa, Bompiani, Milano 1988, p. 507; Postille a 'Il nome della rosa' 1983 è comparso precedentemente su «Alfabeta» n. 49, giugno 1983). ~ I due versi seguenti "in nudum carnalem amorem et in nudam constructionem corporis tui" (per il nudo amore carnale e per la nuda struttura del tuo corpo, "in" ha qui il significato di per, verso in traduzione), sono di invenzione autoriale, a partire da un lessico presente neUa teologia e nel codice rehgioso medievale, secondo una modalità talmente consoUdata da diventare metodo, "nudum [...] nudam" è un cambio di vocale, un'allitterazione a vocale variabile.

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SEZIONE 14

Introduzione Il lento processo di dissolvimento di Ellie acquista qui sostanza e visibilità; le premesse di questo processo erano già state poste nella sez. 13, dove, non a caso, a livello di impianto sintattico era iniziata [...] una costruzione più decisamente 'seriale', che produce continui shttamenti della parola ("piangere la pietra e la pietra e la pietra" sez. 14), invano bloccati, nella medesima sezione, dalla ripetizione del verbo "devo", come bisogno di richiamarsi ad un inventario non più aleatorio ma necessitato. Si crea infatti una grottesca frattura fra la durezza deUa forma verbale e l'inconsistenza dell'azione autoimposta: l'azione che si 'deve' compiere è onirica, incomprensibile, fluida, e l'impegno morale diventa assurdo e incongruo, fino a dissolversi nella ripetizione vuota del suono.^

Nella sez. 14, questo dissolvimento viene a rappresentare Tinsufficienza di Ellie, la sua inadeguatezza: così si esaurisce la funzione-Virgiho di Ellie, la sua capacità di accompagnare nel labirinto ora si fa solo parziale. Al V. 2 troviamo "devo sostituirti" che esprime la necessità, anche nelle forme etico-morali e nella prassi, dell'imperativo categorico: viene segnalato così il passaggio da un'idea di inconscio surreahsta bretoniano, inteso come tesoro poetico collettivo, in quanto anche deposito di valori mistici e primitivi, cioè di un sapere arcaico quasi intoccato dai meccanismi della storia, ad un inconscio sanguinetiano, inteso come deposito di ciò che viene rimosso e represso proprio in virtù della storia e dei processi di alienazione. Proprio in relazione a questo, Niva Lorenzini osserva ancora: Qui per la prima volta si avverte, proiettato sul linguaggio, il senso di una sconfitta storica ed esistenziale, mentre l'abbandono ironico scalfisce la capacità di resistenza della parola, distorcendola in sfumature ambigue e disperdendola in iterazioni che ne sviliscono l'intensità.^

Questo senso è appunto l'inadeguatezza di EUie, neUa sua dimensione non tanto di oggetto occulto del desiderio, quanto di meccanismo della conoscenza, di metodo gnoseologico.

Per certi versi, sfruttando appieno le osservazioni precedenti, si può affermare che, in perfetta simbiosi tra ideologia e linguaggio, sentiamo qui il peso

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del fallimento del tentativo di Ellie, che non basta per la fondazione di un nuovo organo. In questo e per questo è lecito parlare dell'esaurirsi di una funzione-Virgiho (in cui è già tutto inscritto) fin dalla seconda riga ("devo sostituirti"): la sorte di Elhe non poteva essere che questa. Il romanzo di Ellie sta giungendo al termine e, non a caso, proprio all'ultimo verso troviamo un punto interrogativo, il secondo segno diacritico di interpunzione (dopo il "cur existit?" della sez. 6), quasi a segnare un primo principio di organizzazione del caos e contemporaneamente, forse, a sottolineare una richiesta. L'autore, in questo modo, prende quasi la parola, segnalando di avere portato a compimento l'operazione, attraverso la quale tutti gli elementi per lo sviluppo della narratio, di questo viaggio ultramondano alle radici dell'uomo e del suo stato, sono stati posti. Se Elhe è insufficiente e va sostituita, è inevitabile che inizi l'inventario della realtà, la cui sequenza e il cui assemblaggio sembrano avvenire secondo un principio caotico e per associazioni pericolose, in modo che tutto si accumuli e ci trasmetta il senso della molteplicità del reale, del suo essere inesauribile. Ogni serie non potrà mai essere esaustiva. ^incipit è dominato dal linguaggio del corpo; "quattro tonsille in fermentazione" ci comunica uno stato patologico della gola, e alle "tonsille" seguono le "trombe" che nella loro caoticità, in questo contesto, mantengono coloriture belhane da giudizio universale, e infine i "cadaveri", stazione terminale della vita comunemente intesa e inizio di un'altra trasformazione. Si passa così alle "sinagoghe" (la rehgione), alle "stazioni termah" (il luogo di svago e di cura del corpo), ai "logaritmi", e qui rientriamo nel campo del sapere scientifico, della possibilità di rappresentare, con formule matematiche, il reale: siamo in presenza di un tratto dell'intero Laborintus dove è presente l'ossessione del rapporto tra le formule e gU ipotetici modeUi di rappresentabilità e il reale vero e proprio, dominato dalla molteplicità. Questo catalogo, "parasurreahsta" o "ipersurreahsta" e insieme petrarchesco^, continua, apparentemente senza nessuna logica di ordine e di organizzazione, eppure creando un legame, mai completamente arbitrario, tra oggetti e parole; stati affettivi o affezioni deU'animo e dell'anima, che dir si voglia: in questo modo, dopo i circhi equestri, luogo della spettacolarizzazione clamorosa, troviamo "monosillabi che esprimano dolore" e "dieci numeri brevi che esprimano perturbazioni". EUie, in quanto modo di leggere e rappresentare U mondo, deve saltare in aria, esplodere ("la polvere dei tuoi denti", "le pastiglie nei tuoi tappeti"): è necessario muoversi, con una certa dimestichezza, nei suoi meandri, per giungere aUo schema fondamentale ("U tuo antichissimo atlante"). Osserva opportunamente Curi, riferendosi a questi versi:

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Ueffetto di choc che il testo comunica non deriva, evidentemente, per limitarsi a un esempio, dall'uso di un lessema come 'cimiteri', e neppure dall'uso del lessema 'testicoh', bensì dall'attrito che provoca l'associazione dei due lessemi nel sintagma 'ai testicoh dei cimiteri'. Se si sceghe un sintagma più ampio, come queUo che è costituito dai primi tre versi, le cose non cambiano: le unità lessicah appartengono alla langue più frequentata, e comunque normalmente frequentata, singolarissimo è invece l'atto di parole che le congiunge. Sembra così lecito sviluppare il principio di Lucien Tesnière riproposto da Stefano Agosti. Se, come questi dice, l'intensità semantica di certi testi 'è tanto più accentuata in quanto è posta in tensione con il rigore ferreo della sintassi' [in nota: S. Agosti, Il pensiero della poesia, in "Il piccolo Hans", luglio-settembre 1979, p. 76], il testo sanguinetiano che abbiamo trascritto funziona sia per tale 'tensione' (anche se la frase 'rigore ferreo della sintassi' andrebbe, nel caso, assunta con qualche cautela, o cautamente modificata, la sostanza della questione non muta), sia per la 'tensione' che si determina tra il valore semantico neutro o meramente referenziale delle singole unità lessicah astrattamente considerate e il valore semantico straordinariamente inteso dei sintagmi in cui esse si associano. L'effetto di choc, insomma, è provocato principalmente dalla 'tensione' che si produce inserendo scelte paradigmatiche usitate in contesti sintagmatici inusitati.'^

Ma se questo avviene, se in realtà si producono questi effetti, la motivazione è da ricercarsi nel tipo di manipolazione materica sanguinetiana che mette in atto fedelmente il progetto benjaminiano: "Questo è il senso dell'estetizzazione della politica che il fascismo persegue. Il comunismo gh risponde con la politicizzazione dell'arte^^. Tutta questa parte del componimento è dominata dalle associazioni pericolose e dal non sense, che devono spiazzare il lettore e calamitarne Tattenzione. Proprio in questo preciso momento, si ferma la discesa/ascesa (alto/basso) per essere sostituita dagli effetti dell'esplosione in una perfetta orizzontahtà. I versi "i tuoi fiori sospenderò finalmente/ai testicoli dei cimiteri ai divani del tuo ingegno/intestinale" potrebbero essere sia il simbolo di questo gusto per un surrealismo corretto dal materiahsmo e dalla matericità, sia di questo corpo in disfacimento, fatto di cadaveri, testicoli e intestini: il linguaggio diventa più aspro, si fa petroso per esprimere l'inventario di materia corporea, dove il corpo è decomposto e verminoso. Ora l'attività, infatti, consiste nel secernere ed eliminare i detriti, per poter andare avanti: e così l'"argento" (vivo) va libero dagli "almanacchi" (mutano la concezione e i ritmi del tempo), e "le mie vesciche", intese come escrescenze del corpo, dai "tuoi tamburi"; svolto il suo compito, EUie, come stato della psiche, si deve dileguare. Que-

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sto processo di attenta divisione ci consegna una immagine frammentata, degradata e fortemente espressionistica di un mondo esploso, di una carne a brandelli, di un corpo frantumato, dove ogni elemento è ormai deformato. È esplosa una bomba atomica nel soggetto, nel centro dell'io. E i "miei giornali/pitagorici" ci introducono la pietra, già presente nella sez. 11, costante costruttiva di questa parte del viaggio sanguinetiano: l'attenzione è su ciò che trasforma, che possiede la proprietà di innescare un meccanismo di mutamento (quindi, al centro è appunto il lapis, l'argento del v. 12 che deve diventare argento vivo). I versi 16-22 costituiscono il cuore del componimento: la pietra è ciò che fa trasformare, mette in atto, contemporaneamente, cambiamenti di stato materiali e trasformazioni psichiche. È in relazione con l'immaginazione e il sogno, in un continuo gioco dove la visione come momento tra il sonno e la veglia è rivelatrice, spiega il mondo. Tutto il processo di disfacimento, al quale assistiamo, avviene sotto l'influsso della pietra. Se nella sez. 11 la focalizzazione era riservata alle proprietà della "pietra", qui si sposta sugli effetti di essa, che ci portano nel profondo della lingua, intesa come gola corporea e come linguaggio, parola. Ma anche questa trasformazione è "irrimediabilmente morale", e va legata indissolubilmente con 1'"ideale esigenza [di] questa rivolta" (sez. 2, v. 27), con "sei la fine di uno svolgimento civile" (sez. 10, v. 1), ma soprattutto è il completamento, almeno parziale, del progetto enunciato al v. 17 della sez. 4 ("riportiamo un linguaggio a un senso morale"): questa caotica rivoluzione, in senso politico-sociale, individuale-soggettivo e scientifico, si propone un fine, un obiettivo, appropriato all'uomo, all'uomo nuovo dell'età della storia, e non il caos per il caos. Non si riduce mai a una ribeUione senza organizzazione. Se nelle prime fasi, rappresentate dalle sezioni precedenti, Ellie era la realtà e si scioglieva panteisticamente nel reale, ora il reale la esautora, la sostituisce, tanto che se prima il catalogo era l'inventario della sua moltephce presenza ora è quello delle sostituzioni. Ma è proprio in questo preciso momento che non si possono perdere le qualità, le proprietà ermeneutiche: così dopo l'immagine forte, espressionistica, di "corpi lacerati vicini al disfacimento", che ci mette sotto gli occhi un corpo decomposto, pieno di piaghe e di ulcere sull'orlo della completa frammentazione, ritorniamo, con le sapienti ripetizioni di "devo", al processo non di sostituzione, ma di inglobamento ("devo trattare", "devo mangiare" ritmano questo manducare non solo materiale). L'albero del pane, la pianta tropicale dai frutti pieni di amido, viene associata al fuoco, uno dei quattro elementi naturah fondamentah e alla teosofia, con la quale è possibile arrivare alla conoscenza di Dio e della natura con un'indagine capace di tenere insieme misticismo e scienza. Questa globalità è

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sottolineata dall^'ospedale psichiatrico", che rimanda alia necessità di trattamenti della psiche. Nel momento della divisione, del recidere, dello staccarsi, Tautore si sofferma sulla natura nervosa e fibrosa di EUie, escrescenza tumorale, in quanto ormai deformazione cellulare patologica, che presenta ulcere dure e aghi. Tutto avviene "sub specie mortis" ("sotto l'aspetto della morte"), sotto il suo dominio ed influsso, sotto le sue forme che imprimono una direzione alla trasformazione. Mangiare Elhe per crescere potrebbe essere la rubrica riassuntiva di questa sezione. L'aspetto della morte, il suo tremendo simulacro ci fanno transitare in un luogo di parole mute, dove si grida il silenzio, "il non parlare il non pensare il non piangere/disperatamente parlano pensano piangono": e infatti quello che si sta compiendo è un nuovo tentativo di coniunctio. Dopo la decomposizione, è possibile la coniunctio, o almeno il tentativo di questa, con la parte sana e valida di EUie. Il tono rimane caratterizzato daU'ironia e dallo humour nero, di un surrealismo con l'accento posto sul sarcasmo e sull'acidità, sulla disillusione: il punto interrogativo sottolinea la precarietà del processo, i cui obiettivi possono essere frustrati. L'anima vomitata daUe tuniche (v. 38) nasconde forse una metonimia, cioè il vestito che sta per il corpo ¿ per gli uomini, i quali sollecitano l'estate ad essere un periodo di fecondità e di nascita. Sale e pioggia costituiscono il binomio dell'unione creatrice deUa natura; "con la coda stimolano" ci fornisce un'immagine tradizionale del rito propiziatorio e apotropaico, tipico delle culture primitive: l'immagine è infernale, alla Bosch, la coda animalesca deUa tunica domina il quadro. La pioggia è l'acqua come fenomeno naturale, come spazio deUa vita, la forza della perfezione inteUegibile, ma è anche, con l'argento vivo e lo zolfo, una delle materie più usuali deU'alchimia, quelle il cui significato alchimistico fa parte dell'arte. Johannes Graseus ricorda una concezione secondo la quale la «materia prima» è il piombo (dei filosofi), che viene chiamato anche il piombo dell'aria (e con ciò si allude proprio al contrasto). Dentro a questo piombo sta la colomba bianca, lucente (fig. 178), che viene chiamata il "sale dei metalh". Essa è queUa Regina di Saba, casta, saggia e ricca, celata dal velo bianco, che voleva concedersi soltanto al Re Salomone.^

Il momento è quello del mutamento, ma la coniunctio può avvenire, è fecondante, su questo però permane il dubbio, in ragione dei molti ostacoli. In questa sezione si fa ormai evidente un'altra delle linee operative di Sanguineti che, partendo da una piena coscienza del presente, per conoscerlo an-

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Cora meglio, cerca di far deflagrare il continuum della storia, per arrivare ad un uso politico, neiraccezione etimologica del termine, dell'inconscio, inteso come qualcosa che è lontanissimo da ogni irrazionalismo, romantico e surreahsta.

^ N. Lorenzini, Il laboratorio della poesia, Bulzoni, Roma 1978, p. 29. 2 Ibidem. ^ A proposito della sez. 14 Sanguineti afferma: "[...] invece, scrivevo quelle poesie che direi iperpetrarchesche, dove le immagini si accumulavano in maniera caotica e distorta, quasi con violenza, e il discorso esplodeva attraverso una comunicazione troppo piena, potrei dire: emblemi, figure, insegne d'ordine assoluto, venivano a disperdersi, qualcuno potrebbe dire in maniera parasurreahsta o ipersurreahsta, così da cancellare l'immagine stessa per abbondanza di tracce, di suggestioni coerenti." In Corrado Bologna a colloquio con Edoardo Sanguineti, cit., p. 613. La cosa può valere anche per alcune sezioni precedenti. ^ E Curi, Struttura del risveglio. Sade, Sanguineti, la modernità letteraria. Il Mulino, Bologna 1991, pp. 188^189. 5 W. Benjamin, Lopera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, Torino 1966, p. 48. 6 C.G. Jung, Psicologia e Alchimia, cit., p. 371.

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14. con le quattro tonsille in fermentazione con le trombe con i cadaveri con le sinagoghe devo sostituirti con le stazioni termali con i logaritmi con i circhi equestri con dieci monosillabi che esprimano dolore con dieci numeri brevi che esprimano perturbazioni 5 mettere la polvere nei tuoi denti le pastiglie nei tuoi tappeti aprire le mie sorgenti dentro il tuo antichissimo atlante i tuoi fiori sospenderò finalmente ai testicoh dei cimiteri ai divani del tuo ingegno 10 intestinale devo con opportunità i tuoi almanacchi dal mio argento escludere i tuoi tamburi dalle mie vesciche il tuo arcipelago dai miei giornali pitagorici 15 piangere la pietra e la pietra e la pietra la pietra ininterrottamente con il ghetto delle immaginazioni in supplicazioni sognate di pietra ma pietra che non porta distrazione esplorare i colori della tua lingua come morti vermi mistici 20 di lacrime di pietra ma pietra irrimediabilmente morale il tuo filamento patetico rifiuta le scodelle truccate i corpi ulcerati così vicini al disfacimento con la lima ispida 25 devo trattare i tuoi alberi del pane devo mangiare il fuoco e la teosofia trattare anche l'ospedale psichiatrico dei tuoi deserti rocciosi oh più tollerante di qualche foresta più nervale di qualsiasi nervo e pertanto scopertamente fibrosa 30 tratto la tua recisione e quando batte le immagini il tuo sputo spasmodico oh esultanza per gli aghi sub specie mortis e adesso il nonparlare il nonpensare il nonpiangere disperatamente parlano pensano piangono durante il ventre della torpedine 35 in ipso nudo amore carnah

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in ipso animae et corporis matrimonio per quale causa vomitano le tuniche intima anima e bastonano Testate e con la coda stimolano il sale e la pioggia?

Note w. 1-3: L'inventario di oggetti si apre sul corpo in disfacimento e sulla necessità di sostituzione di Ellie: il catalogo è caotico e punta a rompere gli orizzonti d'attesa del fruitore. I "circhi equestri" sono il luogo della scena e dello spettacolo, lo spazio dell'artista-saltimbanco, di una spettacolarizzazione portata agli estremi. w . 4-5: L'attenzione si focalizza sulle manifestazioni degh stati affettivi. La ricerca è quella di una parola capace di rendere conto del "dolore" e di una serie di numeri che sappiano comunicare "perturbazione". Il problema, per certi versi semiologico, è quello di un modello teorico in grado di fotografare, se non esaustivamente, almeno compiutamente, il reale, dall'umano all'oggetto. La focalizzazione è qui sulla possibihtà di comunicare. w. 6-8: Abbiamo l'esplosione di Ellie, la polvere rimanda ai processi alchemici (vd. sez. 10, V. 25), viene aperta e penetrata; r"antichissimo atlante" sottolinea una sua dimensione naturale e vegetale. w. 9-11 : Si sedimenta e si solidifica una scrittura surrealista messa al vaglio del materiahsmo (vd. sez. 8, v. 5 "(vedo i miei pesci morire sopra gli scogh delle tue cigha)"). Anche qui l'associazione è tra liiorte e organi di riproduzione. Ogni caratteristica è legata all'interno del corpo, alle sue capacità di selezionare e di eliminare (intestino). C'è una ripresa di toni e di forme, di ricerca di effetti, che però vengono inseriti in un contesto espressivo nel quale il surrealismo viene imbrigliato nelle realtà e gli viene negata ogni possibile deriva nell'irrazionalismo del sogno. w . 12-15: Quello che 1'"intestinale" del v. 11 anticipava ora si sviluppa e possiamo seguirlo in presa diretta. La formazione dell'o/7i/5, e non solo in senso alchemico, presuppone la necessità di selezionare i materiali; solo così si arriva all'argento vivo. ~ "giornali pitagorici" rimanda ad una sorta di formula matematica o di schema scientifico che sembra dirigere la stazione di questa trasformazione. ~ La trasformazione ha valore di interpretazione, è una possibilità di penetrare il reale per conoscerlo. w . 16-18: Per i diversi significati della pietra vd. Anarchia e complicazione e Introduzione alla sez. Ile sez. 11 note ai vv. 3 e 18. L'anafora, cioè la continua ripetizione, rende la possibilità di mettere in scena il potere dell'inconscio, evidenziando ciò che lo lega al linguaggio e all'arte. Contemporaneamente dichiara la crisi della rappresentazione, che qui possiamo identificare con il realismo romantico borghese e con tutte le sue declinazioni 'neo' del Novecento. w. 19-22: Il riferimento chiaro è al processo di trasformazione, a ciò che trasforma.

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al lapis, ma su tutto questo processo domina la "pietra irrimediabilmente morale", la presenza di un imperativo categorico che ci rimanda al progetto della sez. 4 v. 17 "riportiamo un linguaggio a un senso morale". Il linguaggio del corpo continua ad avere una parte preponderante -"tonsille in fermentazione", "cadaveri", "denti", "testicoh", "intestinale", "vesciche", "hngua", "morti vermi" (come prodotto della decomposizione del corpo) - e segna il dissolvimento di Elhe come frantumazione e decomposizione del corpo in tutte le sue parti. Il processo psichico coinvolge la carne, la materia, "i colori" sono propriamente i toni e i modi di espressione. Le similitudini non perdono l'occasione per sottohneare lo stato di disfacimento del corpo, i "morti vermi cistici", persino le lacrime sono di pietra, il liquido è denso e si solidifica: l'immagine ci riporta alle lacrime di vetro, invetriate e ghiacciate, di frate Alberigo e di Branca Doria. Per la precisione, "lacrime di pietra" è una risposta sanguinetiana, en travesti, ai versi danteschi "Lo pianto stesso lì pianger non lascia/e il duol che truova in su li occhi rintoppo,/si volge in entro a far crescer rambascia;/ché le lagrime prime fanno groppo,/e sì come visiere di cristallo,/riempion sotto '1 ciglio tutto il coppo" {Inf., X X X I I I , w. 94-99). " O anime crudeh, tanto che data v'è l'ultima posta,/levatemi dal viso i duri veh,/sì ch'io sfoghi '1 duol che '1 cor m'impregna,/un poco, prima che '1 pianto si raggeh" {Inf., XXXIII, w. IIOIH). E infine: " E perché tu più volentier mi rade/le 'nvetriate lagrime del volto,/sappie che, tosto che l'anima trade" {Inf, X X X I I I , w. 127-129). w . 23-24: Il filamento ci conduce dalle parti del corpo alla sua interezza, ma come corpo patologicamente affetto da processi degenerativi ("ulcerati così vicini al disfacimento"). w . 25-28: Selezionare Elhe, nel momento del suo dissolversi e decomporsi in frammenti, assomiglia, per certi versi, alla separazione del grano dal loglio, ed è il cuore del componimento. La "hma ispida" permette di operare su Ellie come "albero del pane" e "mangiare il fuoco e la teosofia". Attraverso l'assunzione di questi elementi (alcuni alchemici), abbiamo il passaggio attraverso diversi stadi: mangiare Ellie è come partecipare ad un rito di iniziazione. ~ Il termine "teosofia" possiede alcuni significati principah: qui indica il complesso di dottrine filosofico-religiose che sostengono la possibihtà di raggiungere la conoscenza di Dio e dell'essenza della natura, attraverso un'indagine che unisce misticismo e scienza. ~ "trattare anche l'ospedale psichiatrico" serve a sottohneare, attraverso una istituzione in potenza repressiva, figlia, come osserva Foucault, di una società il cui obiettivo è quello di sorveghare e punire, la necessità di operare a livello psichico e anche come ogni elemento sia un prodotto sociale. w. 29-32: La focalizzazione è ora sul momento tragico del recidere; nonostante la tolleranza estrema, vicina alla passività, Ellie rivela la sua natura "fibrosa", di fascio di nervi, duro da tagliare. Il passaggio da "devo trattare" dei versi precedenti al "tratto" del V. 31 segna la visione in tempo reale dell'azione, di frantumazione, residui di spuntoni. ~ "sub specie mortis" viene esemplificato dall'autore sul tradizionale "sub specie aeternitatis", indicando il modo in cui una cosa si manifesta ed è percepita, nel senso dell'immagine che essa dà, una sorta di simulacro. Tutto avviene, quindi, "sotto l'aspetto della morte": "sub specie" è una frase idiomatica latina e qui indica che è il processo di disfacimento a dominare, innescando recupero delle proprietà e eliminazione dei detriti.

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w. 34-35: In virtù del processo di metamorfosi, il silenzio come mancanza di parola e di espressioni degli stati affettivi o persino come vuoto della mente, come latenza di processi psichici, parla "disperatamente", è un gridare muto. ~ Il "ventre della torpedine" indica il cuore dell'esplosione, la pancia del siluro, se con torpedine intendiamo la mina subacquea, il siluro, appunto, ma, contemporaneamente, è un essere capace di trasmettere scosse elettriche, un soggetto in corso di mutazione, se riferiamo torpedine alla specie di pesci caratterizzati da una bocca ventrale e da organi laterali capaci di emettere forti scariche elettriche. In questo caso "il ventre della torpedine" è la bocca, luogo di emissione dei suoni, comunicazione con l'esterno. Il piano è però quello della rappresentazione, della messa in scena del corpo grottesco. Far parlare il silenzio, in senso beckettiano, è il problema di questi versi. w. 36-37:1 versi sono in stretta correlazione con i w. 29-30 della sez. 13, dei quah sviluppano, puntuahzzandoli, temi e concetti. La traduzione possibile è: "nello stesso amore carnale (l'amore senza veli frutto dell'incontro dei corpi) e nello stesso matrimonio (la coniunctio forte e rehgiosamente e civilmente istituzionalizzata), del corpo e dell'anima", un tema tradizionale dell'unione alchemica di maschio e femmina, l'unione di anima e corpo come correlazione e principio motore dell'azione. Il lacerto è un conio autoriale, a partire da un patrimonio lessicale e semantico codificato dalla tradizione (in Agostino, Isidoro di Siviglia, Tommaso d'Aquino), che però nel nuovo contesto muta significato, ne acquista uno nuovo, sottolineando il matrimonio di anima e corpo, in stretta relazione con il nudo amore carnale. w . 38-39: Il centro è sempre la coniunctio fecondatrice. Le "tuniche" è metonimia (precisamente sineddoche) per indicare gli uomini, i quah vomitano l'anima e sollecitano i processi di generazione; indica anche il corpo. La conoscenza, i metodi gnoseologici si configurano come difficoltà di definire il rapporto vero/falso, secondo vincoli scientifici e sociah condivisi, essendo l'errore l'elemento capace di far saltare ogni modello logico-interpretativo. Per i significati di "sale" e "pioggia", vd. Introduzione. L'intera immagine pare, con coda e tunica, un inferno alla Bosch.

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SEZIONE 15

Introduzione La sez. 15 introduce la parte davvero conclusiva della storia di Ellie, poiché siamo entrati nella fase in cui il corpo va verso la putrefazione e Tanima verso la perfezione: il dissolvimento si manifesta come ricerca e tentativo di coniunctio. Naturalmente questa azione si inserisce nella più vasta ricerca di interpretazione e comprensione del reale, le cui proprietà sono la "complicazione" e r"alienazione" sulla possibile equivalenza delle quah il testo si apre e si focalizza; è significativo che Ellie non appaia, ma che la scena venga occupata da Laszo, che, in veste o in sembianza di Nicolas Flamel, dirige le fasi àdVopus, ponendo le condizioni per inglobarla nella coniunctio. Questo apparente vuoto di protagonisti (in realtà l'universo è quello di Laszo alla ricerca fisica e psichica di Ellie) viene evidenziato dalla Baccarani, che scrive: Finché -sezione 15- il soggetto (come 'io') non si manifesta più da nessuna parte, e i verbi -che non trovano le persone in relazione alle quali potersi coniugare- spariscono o, se rimangono, stanno come sospesi sulla pagina (oppure, essendo parte di discorsi riportati, rimandano a 'persone' per lo più assenti). Laszo non è più 'io', né 'tu', né 'egh' (non è lui che parla, nessuno gli parla, e non c'è nemmeno chi parh di lui): Laszo è nelle parole, tra le parole.^

Ma, appunto perché si fa Flamel e Faust insieme, Laszo sa che per ottenere l'oggetto del desiderio, un poco oscuro, deve a sua volta dissolversi come ^oggetto. Per ottenere EUie deve disgregarsi, mescolarsi e reintegrarsi. In proposito, per chiarire ulteriormente il concetto, ci soccorrono le parole deUo stesso Sanguineti, che in Poesia informale? afferma: Perché quando nel Laborintus si parla, con preciso rigore, di 'ahenazione', si sommano insieme l'ovvio significato clinico (che è T'esaurimento' appunto, ad arte esasperato e provocatamente sottolineato), e quello, diversamente tecnico, di 'Verfremdung', comprendente a sua volta sia il valore sociologicamente diagnostico del concetto marxista ('Veräusserung'), sia queUo derivatamente estetico ('straniamento') di marca brechtiana (mirabilmente poi ripreso, a non dire di altri, da Adorno).2

E in relazione alla 15, completando il concetto. Giuliani osserva, puntualmente:

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Sviluppa il tema della sezione 6 citata nell'introduzione. Qui la complicazione ('tessitura delle idee' della sezione 6) è posta come 'alienazione', nel senso clinico e della Verfremdung.^

Air Adorno ricordato da Sanguineti aggiungeremmo il nome di Benjamin; in pratica l'essenza di Ellie si libera dal superfluo e dall'inerte, così che rimanga ciò che davvero è sostanza per la coniunctio, come mescolanza di elementi generativi, ma tutto questo viene messo al vagho della prassi, della realtà storica e delle sue interpretazioni. Questo preciso momento di dissolvimento di Elhe nella coniunctio è la parte centrale della serie particolare di esperienze aventi come fine la trasformazione radicale della condizione umana. Questa si reahzza solo attraverso la liberazione dall'alienazione, storicamente determinata, con l'aiuto dello straniamento. Se Vopus alchemicum, come pratica attraverso la quale era presente la speranza di riscattare l'uomo e la natura, si configura come estremo prolungamento della nostalgia di renovatio radicale che assillava il cristianesimo occidentale e di cui ad esempio Gioacchino da Fiore fornisce una declinazione attentamente strutturata, anche da un punto di vista temporale, la sezione 15 costituisce il tentativo di riorganizzazione laica dell'uomo, e di definizione del progetto di un uomo nuovo. La disgregazione dell'io e la distruzione del soggetto non comportano un annegamento nel mare del nulla e del niente, ma vengono indirizzate verso la ricerca di una nuova riunificazione. Tutto il latino della parte iniziale della sezione, e non solo, è ricomposizione sanguinetiana di un lessico comune nel latino medievale e rinascimentale, da Alberto Magno a Tommaso, per arrivare a Cusano e a Jung: il travestimento si configura, qui, come operazione di mutazione e di vera trasformazione del linguaggio. Questo modo di operare, però, diventa non solo allegoria dell'operazione creativa, ma parte iniziale di un metodo di interpretazione del reale che permetta di trasformarlo. La conoscenza diventa un fare attivo ed operativo (proprio qui è da ricercare l'attenzione di Sanguineti per l'alchimia). Se gli impasti da Jung (gli alchimisti medievah e rinascimentah) servono a sottolineare lo stato dell'opera alchemica, Cusano ci introduce nel tentativo sanguinetiano di inserire le riflessioni sull'atto del pensare e del pensiero in un quadro completo di rifondazione del sapere nel quale si inserisce il discorso dell'implicazione del tempo nello spazio: la teoria e la pratica dell'amore diventano il luogo dove privilegiatamente psicologia e ideologia si saldano insieme, sfruttando il doppio statuto dell'Amore, come veicolo verso la divinità e come Eros, essenza demoniaca. Il problema della scomposizione negli opposti e del ritorno all'unità (la cusaniana "coincidentia oppositorum") non è posto arbitrariamente e secondo il gusto di un magico esotico (che non toc-

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ca mai Sanguineti), ma esprime la caratteristica fondamentale del processo logico che sta alla base di questo tentativo di riforma del sapere. Cusano, Bacone, Spinoza costituiscono una costellazione che possiamo considerare Tantirinascimento di Sanguineti, che, attraverso segni e reperti, valuta Tintero percorso della cultura occidentale alla ricerca di quegli elementi che gli possano permettere la fondazione di un nuovo metodo per un nuovo sapere. E proprio per questo, qui, dove i prestiti si moltiplicano, Timpasto linguistico diventa ancora più compatto e omogeno; T"intellectuahs seminis seu spermatis punctum" rimanda non solo, lessicalmente, a Tommaso e al Medioevo, ma richiama ancora Artaud e il suo Eliogabalo^. Diventano sempre più chiare le modalità secondo le quali Sanguineti preleva e trasforma, e in taluni casi le presenze che derivano da queste operazioni costituiscono sollecitazioni a comporre in quanto domande storico-gnoseologiche condivise. È in quest'ottica che bisogna osservare la sezione.

Infatti, in riferimento al nostro testo, Giuliani sottolinea:

'Ut duo unum fiant' si riferisce alTimpossibile "unio" mistica e alla complicazione-alienazione culturale; nella sezione 3: 'impossibile parlare di due cose (di una c'est avoir le sens de l'anarchie)'.^

Alla notazione si dovrà aggiungere, appunto, come abbiamo rilevato, VEliogabalo di Artaud, presenza continua quanto sotterranea. I frammenti della sez. 15 sono quindi frutto di un lavoro estremo di elaborazione autoriale che, partendo da un lessico e da un codice consolidati^, h attraversa diacriticamente per accorparh in un impasto che risulta sì labirintico ma estremamente rigoroso, secondo uno schema costruttivo prefissato e preciso, privo di casualità e di estemporaneità. Qui la questione aperta è relativa alle parti di Ellie che sopravvivono, una Ellie che da causa efficiente delle cose, da precondizione degli eventi, da presenza nel tutto e del tutto in sé, arriva invece al dissolvimento. Di modo che questa fase si rende indispensabile perché possa procedere la costruzione di un nuovo metodo. Nel nucleo della renovatio (vv. 12-17) incontriamo la definizione di Dio "cuius centrum est ubique [...] circumferentia vero nusquam inveniri potest": la citazione non è propriamente di Cusano, ma proviene da una linea (per maggiori indicazioni vd. nota ai w. 11-13) dove troviamo Meister Eckart, il Liber XXIVphilosophorum (una sorta di De Deo di anonimo del XII secolo, attribuito però, fino a non molti anni fa, in virtù di elementi testuah, a Hermes Trismegistus), San Bonaventura e appunto Cusano, che nel De docta ignorantia, II, 12, scrive: "Unde erit machina mundi quasi habens undique centrum et nullibi circumferentiam, quoniam circumferentia et centrum deus

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est, qui est undique et nullibi". Questa definizione di Dio ("Deus est phaera infinita cuius centrum est ubique circumferentia vero nusquam" trad. "Questa è l'infinitezza di Dio, sfera il cui centro è ovunque e la cui circonferenza in nessun luogo") non serve qui a inquadrare nelle sue qualità un essere o un momento trascendente, ma semplicemente a focalizzare l'attenzione sullo stato non assoluto di ogni risultato gnoseologico. La sfera è anche il legame sotterraneo tra questo Dio e il "piscis rotundus"(v. 7), sul quale si è soffermato lo stesso Jung7. Tutta la prima parte, dunque, riassume e puntualizza la fase ¿tWopus fino al momento centrale della coniunctio: e la presenza, discreta ma importante, di Cusano, con i termini della explicatio e della complicatio, viene per certi versi giocata contro l'alchimia stessa; infatti ciò che per questa pseudoscienza è rivelazione, per Niccolò Cusano è congettura, e anzi egU è uno dei primi a sottolineare come ogni processo umano di conoscenza non sia altro che una congettura. In breve, il filosofo di Treviri, nell'impasto sanguinetiano, serve a neutralizzare, con una buona dose di scetticismo, ogni eventuale deriva irrazionale e a a definire la conoscenza come consapevolezza di non sapere, la docta ignorantia come punto di partenza di ogni indagine gnoseologica fruttuosa: questa prima parte del componimento ci propone il dissolvimento di Elhe, il tentativo di coniunctio con Laszo (mai completa e piena), ma soprattutto ci mostra come la fondazione di un nuovo sistema di saperi e di un nuovo metodo passi attraverso la presa di coscienza della relatività di ogni conoscenza e del suo stato precario e provvisorio. Cusano elabora, da un lato, la celeberrima definizione della "coincidentia oppositorum", che permette a Sanguineti di farlo entrare perfettamente nel discorso aperto della coniunctio, dall'altro non perde occasione di evidenziare lo stato di provvisorietà e di congettura di ogni sapere e di ogni modello gnoseologico, mutando completamente il vincolo vero/falso dei processi conoscitivi. E questo perché Laszo® sa, da buon alchimista, che Dio è in tutte le cose, "tutto è 'theos', il quale è principio del flusso, mezzo nel quale ci muoviamo e fine del riflusso"^ Quindi se Laborintus è il novum organon (come abbiamo detto in Anarchia e Complicazione) -e la hnea di rifondazione è Aristotele-Platone-Cusano-Spinoza-Bacone-, cioè una nuova organizzazione del sapere, capace di leggere la contemporaneità, Laszo deve farsi Flamel, nel cui nome pare contenuto un gioco tra Fiamme e Femme, cioè ermafrodito che brucia, per coghere gh elementi in grado di innescare la trasmutazione. Il quadro si completa con Flamel, immagine dell'uomo faustiano alla ricerca della conoscenza e dell'artista che manipola i suoi diversi materiah, seguendo persino una sollecitazione surreahsta, indotta dair"Alchimia del verbo", che aveva portato

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Breton a creare un perfetto parallelismo tra la ricerca del celebre alchimista e quella dei surreahsti. Proprio perché siamo (o possiamo essere) ingannati dall'immagine e da questa indotti in errore, è necessario superarla, conoscere in profondità sia la "corruttibile natura" {a parte objecti) e la "dettaghata identità" {a parte subjeai), perché figha di un io disgregato e distrutto, dove il ritorno all'unità è legato all'impossibihtà della unio mistica, mentre la via della "coincidentia oppositorum" e dell'uno-molti pare ormai impraticabile. Ma questa sezione riservata alla fondazione di Laborintus come Nuovo Organo ci consegna ancora un ulteriore elemento decisivo, cioè l'equivalenza, hic et nunc, nella prassi, tra "anarchia" e "ahenazione", che sembra coghere e fissare, nel verso secco ed efficace, l'incapacità dell'anarchia di capire totalmente la complicazione dei procedimenti, dipendenti gh uni dagh altri, secondo azioni combinate, che nel capitalismo sostituiscono l'azione indipendente degh individui, come più volte sottolinea Marx, il contributo del quale, in questa sezione, diventa decisivo per muoversi e rapportarsi con la contemporaneità di un tardo capitalismo in continua evoluzione. Secondo le modahtà del moto della sfera, la sfera tanto agognata, il testo segue un andamento perfettamente circolare, e infatti si chiude con la costruzione sanguinetiana "rotundae mortis undas necessarias", nella quale si sottolinea, come estrema ratio, la perfetta rotondità, intesa anche come circolarità, della morte, pronta ad innescare il continuo processo di nascita/morte/rigenerazione. Questo momento è inevitabile, quasi naturale, anche se di una naturalità storica, che lo rende "onda necessaria" in quanto movimento del mare indispensabile e inevitabile. Al dissolvimento di Ellie si accompagna l'elaborazione, sempre più articolata, di un nuovo modo di affrontare il reale, di un nuovo atteggiamento, che è pronto a ricevere tutti i contributi possibih dalla tradizione culturale, inserendoli però in un nuovo contesto che ne determina funzioni e scopi. Questi nuovi esiti sono gli stessi che vengono riservati ai componenti linguistici, che perdono i significati originari per assemblarsi e fare corpo nel nuovo impasto, il cui contesto ha il potere di correggerli e rifunzionalizzarU. Il sacrificio di Ellie permette di gettare questo nuovo sguardo sul reale.

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^ E. Baccarani, La poesia nel labirinto, cit., p. 61. 2 / Novissimi, cit., pp. 202-203. 3 Idem, p. 107. ^ La prima parte di Eliogabalo si intitola, significativamente, " L a culla di sperma" ed è dedicata alla nascita di Eliogabalo e dei suoi antenati; si parla appunto di "tiro di sperma" e di "sangue, di pelle, d'ossa e di materia livida", A. Artaud, Eliogabalo, cit., p . 9 .

^ I Novissimi, cit., p. 108. 6 Per esempio, il latino, come il francese, quando è ben identificata la fonte, forma lacerti comuni e usuali, la cui funzione principale è quella di creare campi di attrazione nel testo, di costruire non solo una unità semantica ma una unità ritmica, capace di dirigere la sequenza e l'andamento del testo. 7 "Importante è anche la 'Cosmogonia' di Empedocle, nella quale nasce il a(t)aLpog (l'essere sferico) dall'unione del dissimile (in seguito alla influenza della (t)L>.La). La sua denominazione come e'óòaL^iovéoraxog òeóg, come Dio beatissimo, getta una luce particolare sull'essenza perfetta, rotonda, del Lapis, il quale sorge dalla sfera iniziale, ed è già esso stesso tale; per questa ragione la 'prima materia' si chiama spesso anche lapis (fig. 164 e 165)" (C.G. Jung, Psicologia e Alchimia, cit., pp. 353-358). Nella nota 10 a p. 355 troviamo, riferito al Lapis e alla sua perfetta rotondità: "Anche come 'piscis rotundus' nel mare: 'Allegoriae sup. Turb.' (Art. Aurif. I, p. 14)". ® "Tutta la parte seconda (da 'non altrimenti...'), che descrive l'implicazione del tempo nello spazio e tratta della supremazia del tempo, è ispirata al celebre alchimista Nicolas Flamel. Il discorso si proietta ora in una teologia cronica e procede su piani intrecciati; il tema è la trasformazione 'du temps solaire en temps vrai': si cerca un meccanismo che trasformi il tempo in realtà assoluta. Il Laborintus è il novum O r g a non de l'artiste-horloger, dell'alchimista Laszo-Flamel. È una ricerca condotta in delirio, in alienazione, con 'la corteccia congestionata'. Laszo cerca l'astrazione perché l'immagine inganna; cerca Dio nella geometria, negh orologi, in mezzo all'anatomia, in un labirinto", in I Novissimi, cit., pp. 108-109. Le parole sono tratte dal commento di Giuhani. 9 N. Cusano, Il Dio nascosto, Rizzoh, Milano 2002, pp. 84-85. "Dio è in tutte le cose in quanto è la causa di tutto ciò che esiste, e viceversa tutte le cose rivelano l'opera e la presenza del Creatore, anzi ogni singola realtà manifesta a modo proprio Dio, in quanto contrae in sé, a suo modo, l'universo intero e la potenza creatrice di Dio.", Idem, p. 18, in questo caso si cita dall'introduzione di Franco Buzzi.

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15, ma complicazione come alienazione come aspra alienazione corollario alienazione epigrammatico epilogo Laszo drammatico addendo compendiario entro la proporzione erotica limitativo (carcer voluntarius) lineare (optimae mortis itinerarium) intellectualis est figura intellectualis seminis seu spermatis punctum 5 ut duo unum fiant character amoris est autem in mari piscis rotundus risolvere Laszo qui in puncto requiescit nel suo procedimento quasi la periodica proiezione in figuris et habet in se humidum radicale dove si scioglie la spiaggia alveolare in indivisibili puncto 10 in permutazione la permanente alienazione e l'elevazione la cattura della potente estensione cuius centrum est ubique et habet in se pinguedinem oh mia carne e perimetro di carne corticibus carentem e forma equazioni e sistemi di equazioni 15 organi significanti in situazioni quorum circumferentia vero nusquam inveniri potest non altrimenti descrive et chante en imitant il numero del tempo (à la perfection la nature) Laszo in una tragedia teologica metamorfica in livido segmento sofferente 20 il tempo è numero e numero astratto per una descrizione del numero negativo descrive la serie del tempo per una notizia del tempo il tempo immaginario è spazio in condizione il tempo giusto arbitraria il solo discorso giusto allora le portrait questo novum organon espressione 25 de l'artiste-horloger in questi termini espressione di alienazione espressione del tempo il tuo tempo era la misura di ogni tempo l'horloge a disposizione astronomique cerca ancora una disposizione vitale in condizione nome astratto arbitraria 30 significa per una descrizione incompleta della posizione incompleto negativa per la mia presenza sur le sol espressione est placée nozione di ahenazione l'orologio la sphère celeste era altissimo senza dignità e oscuro logica o fantastica la proposta di proposizione di periodo aggiungere cercare o volere o tubercolo 35 nous apercevons o labirinto un mécanisme impossibile cosa transformateur

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du temps solaire en temps vrai ahi Lacus Moriae

ahi spirale puncto temporis data

forzosamente toccare la corteccia congestionata et imagine decipimur et fallimur imagine ahi additando la sua corruttibile natura sciogliere la dettaghata identità siquidem de intellectuali puncto habet in se dolcemente anarchia come ahenazione rotundae mortis undas necessarias

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Note V. 1: L'apertura è sull'equivalenza tra la "comphcazione" (multiformità e complessità del reale) e 1'"alienazione": "Sul concetto di comphcazione vedi la citazione dal Cusano (da "De ludo globi" in Cassirer, Individuo e cosmo nella filosofia del Rinascimento): 'Anima rationalis est vis complicativa omnium notionalium complicationum'", I Novissimi, cit., pp. 107-108. Vd. anche E. Cassirer, Individuo e cosmo, cit., pp. 70-73 e 282-283 e N. Cusano, De docta ignorantia, Laterza, Bari 1913, pp. 74-75. ~ "corollario", termine caro a Sanguineti, indica, a livello filosofico-scientifico, una proposizione che deriva, per consequenziahtà logica, da un'altra proposizione già dimostrata e, quindi, per estensione, è un'ulteriore deduzione, un'aggiunta: ed è proprio questo il significato che assume qui. Si tratta di una citazione e il rimando è a Dante e precisamente al Purgatorio (canto XXVIII, 136), e a Matelda, che, interrogata, risponde con il sintagma 'darotti un corollario ancor per grazia'"; parecchi anni dopo, nel 1997, diventerà titolo di una raccolta e di una sezione eponima della silloge. Per questo ultimo aspetto legato ai titoli vd. Anarchia e Complicazione. V. 2: U"ahenazione" è l'esito finale di questa prassi, un esito che è "epilogo", risolto in "epigramma", anzi, in una sola parola ipersignificativa, e Laszo, qui simbolo dell'uomo, è una particella insignificante a cui è riservata un'esistenza drammatica, ma marginale. Viene distrutta ogni prospettiva antropocentrica. Ci paiono presenti echi del Leopardi della Ginestra e dello Zibaldone, poiché l'autore non perde occasione per sottohneare la pochezza umana nel rapporto uomo/natura, i cui meccanismi stritolano tutto. A Laszo il compito di salvare almeno parte di Ellie. V. 3: La possibihtà della coniunctio avviene attraverso la dimensione erotica, il corpo finito e limitato. "career voluntarius" rimanda alla "triangolazione carceraria", sez. 6 v. 7, e soprattutto a "oh fermo carcere", sez. 11, v. 4. ~ "career voluntarius" è un prelievo da Adamus Scotus {Sermones, voi. 198, Opera omnia Adami Scoti, Adamipraemonstratensis

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Sermones, Sermo XVIII, Item Dominica II in Adventu Domini. De triplici ordine coenobitarum; si cita dairedizione elettronica della Patrologiae cursus completus (series latina) di J.P. Migne), "carcer voluntarius, quaenam spirituales compedes". Alla luce dell'atteggiamento autoriale, non si può neppure escludere che Sanguineti abbia coniato di suo pugno, a partire da termini che si ritrovano, ad esempio in Lotario di Segni, De miseria condicionis humane. Il riferimento è comunque al corpo come segregazione finita. w . 4-5: "trad: (itinerario dell'ottima morte) è immagine dell'intelletto/del seme dell'intelletto o piuttosto punto dello sperma", oppure: "(itinerario dell'ottima morte) è capace di intendere l'immagine/del seme dell'intelletto o piuttosto punto dello sperma". ~ "optimae mortis itinerarium" è coniato, con un passaggio, che è quasi un rovesciamento da mentis a mortis, suVUitinerarium mentis di Bonaventura da Bagnoregio, e indica la buona morte come stato di trapasso e coito (in irincese petite mori), mentre la parte rimanente della frase è costruita a partire dal consolidato lessico medievale. Ne troviamo tracce in Boezio di Dacia, S. Tommaso, Alberto Magno, fino a Giordano Bruno. Sanguineti evidenzia e sottolinea così l'equivalenza tra processo psichico e opus alchemicum. Laszo dirige questa trasformazione (è l'attante sul piano delle funzioni formah e l'aiutante sul piano della gestione dei personaggi). Questa nascita dallo sperma, questa presenza di liquido seminale, intellettuale o meno, richiama Artaud, precisamente VEliogabalo (la sezione intitolata "La culla dello sperma", già messa in relazione con altre sezioni laborintiche) e Per farla finita col giudizio di Dio, cit., pp. 18-23. w . 6-7: La situazione è quella della coniunctio, la fase "affinché di due siano uno" è quella della nigredo. Entra chiaramente il tema della sfericità come perfezione. - A parte "character amoris", si tratta di prelievi trasformati da Jung; Ciro Vitiello osserva: "Sez. 15 V. 6 'ut duo unum fiant' Psicologia e Alchimia p. 368, già citato 'ut duo qui fuerant, unum quasi corpore fiant' " (C. Vitiello, Teoria e tecnica dell'avanguardia, cit., p. 153). Si tratta della nota 1 che inizia a p. 367, ed è un prelievo dal Rosarium philosophorum. È proprio in relazione al dissolversi della personahtà nelle sue componenti funzionali, in singole funzioni della coscienza: il momento della disgregazione, che è poi quanto accade ad Elhe. ~ "v. 7 'est autem in mari piscis rotundus' cfr. Psicologia e Alchimia p. 355, n. 10. Anche come 'piscis rotundus' nel mare: il piscis rotundus è Lapis" (C. Vitiello, Teoria e tecnica dell'avanguardia, cit., p. 153). La nota è completata da: "Allegoriae Sup. Turb. (Art. Aurif. I, p. 14)" (C. G. Jung, Psicologia e Alchimia, cit., p. 355). Vd. Introduzione. Siamo al livello della prima materia. Inizia l'opus. w . 8-10: La focalizzazione è sull'operare di Laszo, alle prese con l'opus da portare a termine. "in puncto requiescit" (in un punto -spazio-temporale- trova quiete, nel senso di si arresta), "nel suo procedimento", fissa la dinamica, fatta di moto e di momenti di quiete, dell'opus. Sul piano del materiale verbale, si tratta, con tutta probabihtà, di un composto autoriale, a partire da un lessico medievale presente, tra gli altri, in Lotario di Segni e in Tommaso d'Aquino. Nella prima fase deU'o;7^5, si vede la "proiezione", cioè il "simulacro", "periodico" perché sottomesso alle leggi del tempo. ~ "in figuris",

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"et habet in se humidum" (il primo si traduce in "figure", il secondo "e contiene in sé Tumore radicale"): T"humidum" è relativo allo stato iniziale della trasformazione, ai meccanismi indotti a partire dalla nigredo. E infatti in virtù di questo il materiale si scioghe per cercare la mescolanza, in punti indivisibili, cioè in particelle atomiche e in un determinato momento spazio-temporale, "in puncto indivisibili" (nel punto indivisibile) può indicare sia la natura di ogni particella della dissoluzione e della mescolanza, sia lo spazio-tempo dell'azione. w. 11-13: Il momento della permutazione e della trasformazione che vorrebbe incidere su una "permanente ahenazione", che può essere curata solo da una rivoluzione permanente, viene rappresentata attraverso le immagini tradizionali delle proprietà e delle definizioni di Dio. ~ "cuius centrum est ubique" viene completato da "quorum circumferentia vero nusquam inveniri potest" del v. 17; spezzando la citazione, Sanguineti fissa i confini all'interno dei quali la descrizione della trasmutazione si affida alla definizione di Dio, che, come vedremo, parte da Ermete Trismegisto ed arriva a Tabucchi: la traduzione è "il cui centro è dappertutto, dei quah la circonferenza non può in verità essere individuata in nessun luogo". La frase completa di cui Tautore -secondo un atteggiamento ormai consolidato- preleva una parte che a sua volta fraziona per incastonare, a livello di ritmo e di significato, nel testo, è: "Deus est sphaera infinita, cuius centrum est ubique, circumferentia vero nusquam" (Dio è una sfera infinita, il cui centro è dappertutto, la circonferenza in verità in nessun luogo). Si trova nel Liber XXIVphilosophorum di anonimo, definizione II (vd. Il libro dei ventiquattro filosofi, a cura di P. Lucentini, Adelphi, Milano 1999, pp. 56-57; questo testo è la fonte primaria della citazione); e in Meister Eckart, che si è servito di questo libro per le sue prediche. Nella letteratura francese rinveniamo anche una testimonianza, per così dire, ironica e maccheronica, in Rabelais: "Andate, amici, con la protezione di quella intellettiva sfera, il cui centro è ovunque e la circonferenza in nessun luogo, che noi chiamiamo Dio." ( E Rabelais, Gargantua e Pantagruele, Einaudi, Torino 1983, voi. II, p. 856). In Bonaventura da Bagnoregio, Itinerario della mente verso Dio (Rizzoh, Milano 1994, pp. 152-153): "Quia simphcissimum et maximum, ideo totum intra onmia et totum extra, ac per hoc 'est sphaera intellegibihs, cuius centrum est ubique et circumferentia nusquam'". (In quanto sommamente semphce e assolutamente grande, è completamente interno a tutte le cose e completamente esterno a esse, quindi 'è la sfera intellegibile il cui centro è ovunque e la circonferenza in nessun luogo'). In nota, si ritrova anche il riferimento ad un lacerto che rimanda ad Alano di Lilla come fonte: "Cfr. Alano di Lilla, Regulae coelestis iuris, VII, ed. N.M. Haring, in "Archives d'histoire doctrinal et Httéraire du Moyen Age", 48 (1981), pp. 131-132: '(3) In spera corporali centrum propter sui parvitatem vix alicubi esse perpenditur. Circumferentia vero in pluribus locis esse comprehenditur. Intellegibili vero spera centrum ubique, circumferentia nusquam. (4) Centrum dicitur creatura quia sicut tempus collatum eternitati reputatur momentum sic creatura immensitati dei comparata punctum vel centrum. Immensitas vero dei circumferentia dicitur quia onmia disponendo quodammodo omnibus circumfertur et omnia infra suam immensitatem complectitur'" (Idem, p. 197, nota 78). In Cusano, al quale si riferisce con precisione Giuhani -"'Cuius centrum est ubique ... circumferentia vero nusquam inveniri potest' è la definizione di

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Dio dei Cusano; qui definisce il 'piscis rotundus', archetipo deU'eroe Laszo (con evidente richiamo cristologico)" {I Novissimi, cit., p. 108)-, non abbiamo invece trovato la frase precisa, ma qualcosa di simile, una sua trasformazione: "Unde erit machina mundi quasi habens ubique centrum et nullibi circumferentia et centrum Deus est, qui est ubique et nuUibi" (N. Cusano, De docta ignorantia, cit., p. 110, Liber II, cap. XII). Per alcuni studiosi, però, questa frase è il diretto sviluppo di quella attribuita a Ermete Trismegisto. In Cusano è persistente una sorta di geometrizzazione di Dio, come dimostrano le seguenti attestazioni: nel hbro I, cap. XII: "Alii, qui unitatem infinitam figurare nisi sunt, Deum circulum dixerunt infinitum. Uh vero, qui actualissimam Dei existentiam considerarunt, Deum quasi sphaeram infinitam affirmarunt" (Idem, p. 27); I, cap. X X I : "Circulus est figura perfecta unitatis et simphcitatis. [...] Et quoniam ex prioribus manifestum est Deum esse omnium complicationem, etiam contracditorium, tunc nihil potest eius effugere providentiam". (Idem, p. 47, 50). 5, cap. XXIII: "Transumptio sphaere infinitae ad actualem existentiam Dei" "et est finis omnium illorum, atque medium, quoniam in sphaera infinita centrum, crassitudo et circumferentia edem sunt"; "Deus igitur est unica simphcissima ratio totius universi, et sicut post infinitas circulationes exoritur sphaera, ita Deus omnium circulationum, uti sphaera maxima, est simphcissima mensura" (Idem, p. 53). II, cap. XI: "Cum igitur non sit possibile mundum Claudi intra centrum corporale et circumferentiam, non intelligitur mundus, cuius centrum et circumferentia sunt Deus"; "Quoniam apparebit quasi rota in rota, et sphaera in sphaera, nullibi habens centrum vel circumferentiam, ut praefertur" (Idem, p. 107, 109). II, cap. XII: "Nam, et si Deus sit centrum et circumferentia omnium regionum stellarum"; "Per inferiores formas in Deo per illam, et quomodo illa ad circumferentiam, quae Deus est, ascendat, corpore descendente versus centrum, ubi etiam Deus est, ut omnium motus sit ad Deum, in quo aliquando sicut centrum et circumferentia sunt unum in Deo" (Idem, p. 110, 115). Da Cusano a Giordano Bruno, che nel De causa, principio et uno, scrive: "Se il punto non differisce dal corpo, il centro da la circonferenza, il finito da l'infinito, il massimo dal minimo: sicuramente possiamo affirmare che l'universo è tutto centro, o che il centro dell'universo è per tutto: e che la circunferenza non è in parte alcuna, per quanto è differente dal centro; o che la circonferenza è per tutto, ma il centro non si trova in quanto che è differente da quella." (G. Bruno, De la causa, principio et uno, a cura di G. Aquilecchia, Einaudi, Torino 1973, p. 145). Nel Novecento troviamo le belle pagine de La sfera di Pascal di J. L. Borges (vd. J. L. Borges, Altre inquisizioni in Tutte le opere, voi. I, a cura di D. Porzio, Mondadori, Milano 1984, pp. 911-914), e, entrando nella contemporaneità, Tabucchi utilizza questo concetto rimandando proprio a Pascal: "Però di Pascal mi è sempre piaciuta quella sua definizione, una sfera il cui centro è dappertutto e la circonferenza in nessun luogo, mi fa pensare agh elefanti" (A. Tabucchi, Tristano muore, Feltrinelh, Milano 2004, p. 11). Lo studio di questa II definizione del Liber XXIVphilosophorum sta alla base di tutte le discussioni sulle controverse attribuzioni; proprio per arricchire il catalogo delle presenze, e per un quadro puntuale dei significati e della fortuna di questa definizione, rimandiamo a Necchi e Lucentini, curatori e traduttori di una delle edizioni italiane più aggiornate. Vd. Il libro dei XXIVfilosofi, a cura di P. Necchi, Il melangolo, Genova 1996, pp. 9-22 e in particolare la no-

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ta 4 pp. 28-29, dalla quale riportiamo le opinioni di Borges sul manoscritto di Pascal: "B. Pascal Pensées, 84: la natura 'È una sfera infinita il cui centro è ovunque e la circonferenza in nessun luogo'(nel già citato saggio La sfera di Pascal, J. L. Borges riferisce che, secondo l'edizione critica di Tourneur [Parigi 1941] che riproduce le cancellature e le esitazioni del manoscritto. Pascal cominciò con lo scrivere effroyable: «Una sfera spaventosa, il cui centro sta dappertutto e la cui circonferenza in nessun luogo», ivi, p. 914)" in II libro dei XXIV filosofi, a cura di R Necchi, cit., p. 29. E vd. Il libro dei ventiquattro filosofi, a cura di P. Lucentini, cit., pp. 11-46 e pp. 105-150 (in particolare per la definizione II pp. 124-150). Per un ulteriore contributo alla storia di questa definizione vd. B. Pascal, Pensieri, a cura di C. Carena, Einaudi, Torino 2004, pp. 158-159 (pensiero 230) e p. 834 nota 4, dove il curatore segnala tra le fonti di Pascal, oltre a Rabelais, i saggi di Montaigne, che attribuisce proprio a Trismegisto la paternità dell'assioma. Come si può vedere l'eventuale imprecisione su Cusano è gravida di fertili conseguenze, infatti le citazioni servono a fissare e puntalizzare - n e sono un commento indiretto- la trasformazione, che in questi versi è una situazione in cui il centro è in ogni luogo e la circonferenza da nessuna parte: essa cioè si sta dilatando talmente a dismisura che risulta impossibile identificare un centro come un confine di delimitazione esterna, perché la circonferenza si sta addirittura ingrassando; e infatti "habet in se pinguetudinem" (possiede in sé la grassezza), di mano autoriale, non solo sottohnea questo processo di ingrassamento, ma pare uno scoho sanguinetiano alla "crassitudo" di Cusano, presente nel catalogo presentato (liber I, cap. XXIII, p. 53): dalla trasformazione al commento collaterale, a lato, il modus operandi di Sanguineti è vasto e diversificato. w . 14-17: Continua l'immagine deUa dilatazione, come ingrassamento e quasi esplosione: la carne occupa lo spazio e pare non avere perimetro cioè confine. ~ "corticibus carentem" (priva di involucro, di membrana superficiale, di pelle), sottolinea l'allargamento come disgregazione della carne. Questa mancanza di perimetro ci consegna anche, indirettamente, l'immagine degli organi interni sparsi nello spazio. Questa componente testuale è, con tutta probabihtà, di mano deU'autore; associando due termini piuttosto usuali e non strettamente tecnici o appartenenti a un gergo specifico. L'autore cerca di descrivere questa dilatazione attraverso un modello matematico ("equazioni"), che permetta di dare conto degh "organi significanti", "quorum circumferentia vero nusquam inveniri potest": conclude la citazione e chiude questa prima fase testuale. w . 18-20: Entra in gioco Laszo che dirige un'operazione dai connotati metamorfici e tragici, nonché, come ricerca deU'essere, teologici. E la geometrizzazione permette di descrivere questa trasformazione dominata dal tempo: "et chante en imitant" (e canta imitando) fissa l'operazione alchemica deUe sue fasi, "à la perfection la nature" (aUa perfezione la natura). ~ Per i frammenti in francese, l'autore dichiara di essersi servito di un manuale di storia deU'alchimia e della scienza, dove una parte corposa era dedicata a Flamel. vv. 21-24: L'equivalenza numero-tempo del v. 18 viene sviluppata e specificata: il tempo/spazio dirige la trasformazione e questa coscienza appartiene sia alla fisica atomica (Bohr-Heisenberg-Einstein), che all'alchimia, dove diventa decisiva la possibih-

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tà di abolire il tempo, controllandone il flusso: "L'uomo moderno assume su di sé la funzione della durata temporale - ovvero il ruolo del tempo" (M. Eliade, Il mito dell'alchimia, cit., p. 39). " È possibile distinguere, nell'ambito naturale, tre ritmi temporali fondamentali: il tempo geologico, il tempo vegetale e animale, e il tempo umano. Detto altrimenti, la natura costituisce un immenso organismo vivente, all'interno del quale tutto ciò che ne fa parte - i minerah, la pietra, le piante, gli animali e gh esseri umani- è il frutto di una inseminazione, di una germinazione e di una nascita. Eppure, per ogni forma di vita, i ritmi temporaU risultano differenti" (Idem, pp. 25-26). Queste parole di Eliade ci paiono fissare ed esplicare al meglio questi versi, evidenziando la funzione del tempo: ne sono quasi una glossa. Per il problema della geometrizzazione del reale, vedi anche N. Cusano, Il Dio nascosto, cit., p. 51 e De docta ignorantia, cit., p. 7 (liber I, III) e pp. 10-12 (liber I, V). "Il 'De docta ignorantia' era partito dal proposito di determinare ogni conoscere come un misurare, ed aveva fissato, conseguentemente, nel concetto òì proporzione, che contiene in sé la condizione della possibilità del misurare, il mezzo del conoscere in generale. 'Comparativa est omnis inquisitio, medio proportionis intens'" (E. Cassirer, Individuo e cosmo, cit., pp. 86-87; vd. in generale pp. 86-92). Così vediamo l'azione delTA/c et nunc nella formazione delVopus, mentre Laszo è alla ricerca della coniunctio con Ellie. w . 25-28: Come evidenzia Giuhani, i riferimenti sono a Nicolas Flamel, celeberrimo alchimista del X I V secolo: artista-orologiaio è proprio l'alchimista che domina il tempo attraverso il quale gestisce le diverse fasi dell'opus. Per questa immagine particolare e per Flamel in generale, si veda il già citato Breton (vd. Anarchia e Complicazione). Laszo-Flamel ci porta fuori dall'alienazione, sospendendo e bloccando il tempo. ~ "le portrait", il ritratto, è riferito a Laborintus, che è appunto novum organon, cioè rifondazione del sapere, "novum organon" rimanda all'opera omonima di Bacone, del quale abbiamo già trovato traccia, e l'associazione tra termine greco e termine latino ci mette sotto gU occhi, in figura, il lungo cammino del sapere, dall'antichità greca (Aristotele e Platone) fino alla contemporaneità. In questi versi, l'autore esplica completamente le funzioni del tempo nella formazione-rigenerazione, "l'horloge astronomique" (orologio astronomico - e per la precisione l'autore si riferisce a quello della cattedrale di Strasburgo) è il simbolo di questo dominio, attraverso il numero e la misurazione, sul tempo. L'orologio astronomico è un meccanismo usato per la misurazione del tempo siderale, caratterizzato da compensazioni che hmitano gli scarti a millesimi di secondo. Si tratta di un tema e di un oggetto cari a Sanguineti, fino ad oggi; proprio nel 2002 è uscito un suo racconto, intitolato Uorologio astronomico - e si tratta sempre di quello di Strasburgo (E. Sanguineti, Uorologio astronomico. Le Verger, Illkirch 2002), che "ha sempre suscitato esegesi alchemiche e Sanguineti in fondo si inserisce in una tradizione interpretativa di questo genere. A lui sembra un modello per il mondo, uno schema cosmologico."(M. Graffi, Intervista a Paolo Fabbri su II giuoco dell'Oca e Uorologio astronomico di Edoardo Sanguineti in «il verri», n. 29, ottobre 2005, Attenzione a Sanguineti, p. 42: a p. 43 troviamo un'immagine dell'orologio astronomico della Cattedrale di Strasburgo. La riflessione di Fabbri si riferisce in particolare a questa porzione del testo sanguinetiano: " È che il modello di base, per Arecibo e Chibolton, è l'orologio di Strasburgo. Il suo schema, anzi, è esattamente la

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fonte di Chibolton, che corregge Arecibo" (E. Sanguineti, L'orologio astronomico, cit., p. 55; suh'argomento vd. anche pp. 30, 34-36, 54-55.). L'orologio astronomico si ritrova anche nell'Esquisse L X X del Temps retrouvé di Proust, cioè in una di quelle aggiunte per la stesura finale che l'autore ci ha lasciato senza inserirle però nel testo destinato alla pubblicazione. La curatrice dell'edizione italiana, Assia Thermes, sottolinea che "l'orologio astronomico dell'Esquisse L X X e il barometro interiore della Prisonnière sono quindi due immagini di una dimensione della temporalità tutta proustiana, una sfasatura fra tempo soggettivo e tempo cronologico." ("Due Esquisses di Marcel Proust con una nota di Assia Thermes" in «Nuovi Argomenti», N. 33, Quinta Serie, gennaio-marzo 2006, p. 32). w . 29-30: Da un lato si pone l'accento suU'obiettivo deUa "vitale" rigenerazione, dall'altro sulla congettura un po' "arbitraria" di ogni sapere. w . 31-33: Mancano le parole per descrivere la trasformazione, che appartiene al regno dell'ineffabile. Laszo-autore "est placée", "sur le sol", il primo si traduce "è collocata", il secondo "a terra", sul suolo, da dove può gestire il tentativo di metamorfosi in grado di neutralizzare 1'"ahenazione". ~ "la sphère celeste" indica propriamente, anche in senso tecnico-scientifico, il campo di studio deU'astronomia. Tra gh innumerevoli rimandi, si noti che esiste persino un arazzo gotico del X V secolo, conservato nella cattedrale di Toledo, dal titolo Sfera celeste (vd. A. Breton, L'arte magica, Adelphi, Milano 1991, p. 39). w. 34-37: Penetriamo nell'azione di Laszo, nei suoi diversi tentativi e fasi operative. I w . 36-37 riassumono questa azione, che viene descritta dalla porzione testuale francese e commentata da quella in italiano. Riunendo i frammenti -ciò confermerebbe forse la provenienza unitaria dal manuale di storia dell'alchimia non meglio specificato o da un hbro sugh orologi astronomici, dei quah fa parola Sanguineti- si ha una frase completa: "nous apercevons un mécanisme transformateur du temps solaire en temps vrai" (noi percepiamo un meccanismo trasformatore del tempo solare in tempo reale), la quale completa tutti i versi precedenti sul tempo/spazio. Ma Sanguineti ci consegna anche la metacomunicazione, commentando autorialmente il messaggio: questo congegno è un labirinto e l'operazione pare, talvolta, "cosa impossibile". w . 38-40: Il labirinto, per centrare l'obiettivo, si fa spirale che si sedimenta nel punto del tempo, cioè dove il tempo si blocca e si sospende in una sorta di epoché. Si vede una sorta di regno dell'oltre, di situazione ai hmiti, di Lago della FoUia. "Lacus Moriae" è di invenzione autoriale, esemplificato sul Moriae Encomium {Elogio della Follia) di Erasmo da Rotterdam, sebbene ben occultato neha toponomastica del Langrenus e del Riccioli, via Fresa. Proprio in questo preciso momento si può vedere, per un istante, il limite dell'infinito (il tendere a infinito della matematica), una corteccia congestionata, perché limite non hmite, coincidentia oppositorum, confine superato, membrana dalla quale escono gli organi. ~ "puncto temporis" (punto del tempo), proprio per la sua dimensione di segmento frastico usuale e non caratterizzante, si ritrova in moltissimi testi, dalla Vulgata a Origene, a Agostino (per rimandare solo all'ambito cristiano e dei padri della chiesa); il suo valore sta nella sintesi spazio-temporale che riesce a contenere. ~ "corteccia congestionata" rimanda al "corticibus carentem" delv. 15.

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w . 41-42: Dopo averci consegnato questa allegoria, costruita sull'immagine di una estensione sferica della carne come stato del rinnovamento della condizione umana, l'autore prende la parola e ribadisce la dimensione di congettura, che ha in sé qualcosa di falso, di ogni sapere, e dice: "dall'immagine siamo tratti in inganno/e siamo ingannati dall'immagine". Il chiasmo focalizza l'attenzione sul concetto dell'essere indotti quasi in errore. Sia per "decipimur" che per "fallimur" possiamo ipotizzare, tra le tante possibih, una provenienza da Cusano {De docta ignorantia, cit., p. 127): "Subsisteret igitur contractum in absoluto taliter, quod si ipsum Deum conciperemus, falleremur, cum contractum natura non mutet, si ipsam esse imaginaremur, deciperemur, cum maximitas absoluta, quae Deus est naturam non desideret", o da Spinoza. Se nella prospettiva tragica, l'uomo e l'azione si configurano non come una realtà che può essere definita, descritta e circoscritta, ma come problema e enigma, che non possono mai essere fissati, sviluppati ed esauriti una volta per tutte, allora Laszo è davvero Faust alle prese con la trasformazione impossibile, quella del sogno di una cosa. w . 43-44: La focalizzazione è sulla fase finale del "solve et coagula", della dissoluzione del soggetto (scioghere la dettaghata identità) multiforme, in attesa della reintegrazione. "corruttibile" possiede sia un connotato morale (la natura umana può essere portata al peccato dal demonio) che uno scientifico (possibile divisione in unità atomiche). ~ "siquidem de intellectuali puncto habet in se": poiché possiede in sé ciò che concerne il punto dell'intelletto. Il significato è che la reintegrazione è possibile, poiché questa materia ha in sé, per natura, le proprietà per raggiungere il punto di coagulazione deUa generazione dell'intelletto. Anche questo sintagma latino è conio sanguinetiano con lessico tomistico. w . 45-46: Come nei componimenti medievah, explicit sta il succo: anarchia come ahenazione. Anche l'anarchia corre questo rischio, poiché è insufficiente per opporsi ad un sistema al quale diventa sempre più funzionale, in quanto momento utopico e catartico-ribellistico. ~ "rotundae mortis undas necessarias". È invenzione del'autore, che opera però su un latino classico-medievale, "deUa rotonda (deUa perfetta) morte onde necessarie". Si evidenzia la rotondità, la sfericità della morte come sua perfezione, in quanto cardine del meccanismo circolare di generazione-morte, che è appunto 'naturale', inteso come necessario e indispensabile, come l'onda marina nel moto del mare, nella dinamica di movimento e staticità dei hquidi. Questa porzione di materiale verbale possiede, come effetti, da un lato, una forte connotazione lucreziana per il tono (Sanguineti sembra fare il verso, pa;rodiare forse, in senso tecnico, proprio l'amato De rerum natura) dall'altro, per il lessico, richiama anche il latino medioevale.

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SEZIONE 16

Introduzione In questa sezione troviamo ormai sparse e atomizzate le componenti di Ellie, che giunge alla fine del processo di decomposizione (iniziato nella sez. 15). Una parte va verso la definitiva eliminazione, l'altra è autrice di una nuova rinascita e ricomposizione; in pratica attraverso la coniunctio si salvano gli elementi capitali, come sottolineano i lacerti junghiani "in cerebro meo" e "coniunctio sive coitus" (ai w. 6, 8, 9, 19, 27, 28, 30, 38), che fanno da basso continuo dell'intera composizione, fornendole, in una sezione ricca di ripetizioni, tempi e ritmo. La sez. 16 segna, dunque, la morte e la fine di Elhe, della quale sopravvive, in nuova forma, solo la parte necessaria per continuare questa polifonica discesa agh inferi del profondo umano soggettivo e sociale, "coniunctio sive coitus" è il titolo della fig. 167 di Psicologia e Alchimia, che rappresenta r"Allegoria dell'unione psichica dei contrarii nell'arte alchimistica"^ Questa unione avviene nello spazio della mente, per forza di intelligenza. Nei Novissimi, Giuhani osserva: Il canto celebra la morte mistica (o alchimistica) di Ellie, ritrovata 'in cerebro' e respinta, 'trascinata fuori' dal sogno. La mente sostituisce lo spazio sensibile e si afferma come il 'cerchio' dove il sogno è soltanto sogno e le cose soltanto res cogitatae (ma intanto, idee: ARCHETYPAL IDEAS). Il cerchio è un'immagine archetipica, è la sfera del reale, il nulla che divora se stesso. Il 'ma ormai' che regge strutturalmente la poesia indica la ricerca del nuovo tempo, la pressione del tempo contro il cerchio dello spazio. Nel finale assistiamo alla traduzione in termini femminili del mito rappresentato nella sezione 4: il figlio del re è ora la 'figlia del re marino', lo scheletro enigmatico è 'lo scheletro cerebrale' metafisico, maturato nella trasformazione. Il tema ermafroditico (omoeterosessuale) riporta labirinticamente al simbolo di Tiresia (in cui si fondono il polo maschile e il femminile) in The Waste Land di Eliot. Lo scambio delle parti sessuali, sofferto nelle scene oniriche, è 'ricuperato' nella coscienza e respinto nel tempo.^

La coniunctio si configura proprio come unione di maschile e femminile, della quale la sezione è la fedele trascrizione, chiudendo tutto il processo di decomposizione e ricomposizione che abbiamo potuto seguire, in ogni sua fase, nelle sezioni precedenti. EUie, nuova Nadja, non sparisce e non si dissolve.

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bensì si trasforma, entra a far parte del soggetto (Laszo? Ruben? l'autore?) con il quale interagisce, esercitando un potere di manipolazione sugli oggetti che la circondano. Per certi versi, da un ato, la riduzione di Elhe a semphce corpo permette all'autore la scomposizione, intesa come decomposizione degh organi e come lento consumarsi del corpo, dall'altro qualcosa persiste e permette una ricomposizione, quasi una sorta di metempsicosi, di reincarnazione. L'importanza, nell'economia dell'intero poema, di questa sezione che chiude, almeno in parte, l'avventura vitale di EUie, è stata opportunamente evidenziata da Niva Lorenzini, che scrive: La 'complicazione' attraverso cui si credeva possibile il ritrovamento dell'unità, l'arrischiato percorso a ritroso nei meandri dell'individuo e della storia alla ricerca di un'interpretazione, naufraga nell'alienazione di un linguaggio sempre più deconcentrato, sino alla babele linguistica e alla banahzzazione strutturale delle sezioni 18-23, che precedono la finale ridiscesa verso la palude melmosa. Ma prima si raggiunge un punto di piena consapevolezza, di sofferta presa di coscienza, ed è nella sezione 16, retta da quell"ormai' anaforico che le conferisce il carattere di un"ermetica, ambigua palinodia', [nota 13] Ci soffermeremo dunque su questa sezione, che si presenta rigidamente strutturata, al punto che vi si possono riconoscere tre partizioni di cui la prima e la terza comprese rispettivamente nello spazio racchiuso tra 'e ormai' -'e ormai', 'e ormai'- 'ma ormai'. Si tratta perciò di strutture chiuse, all'interno delle quali compaiono espressioni ritornanti con frequenza altissima (si veda, nella prima parte, la locuzione 'sopra questo', unita in misura prevalente a 'orizzonte' e a 'nulla', che si ripete ben dodici volte, per poi scomparire nelle parti successive; o il polisindeto determinato dalla ripresa della congiunzione copulativa per trentatré volte). È evidente la caparbia determinazione di resistere allo sfaldamento (strettissimo il rapporto che si instaura tra contenuto e struttura, parallelo al timore di uscire dalla dimensione chiusa, dal 'sensibile cerchio', dal 'cerchio di nulla', che costituisce motivo centrale dell'intera sezione, isolato come momento di interiore meditazione tra due blocchi sintatticamente e linguisticamente rispondenti). Ma la consapevolezza dell'ineluttabilità dello sfaldamento percorre tutta la composizione, sollecitando il ritmo a impennate faticose, ansimanti, accompagnando, con forti rilevanze timbriche, il tramonto del 'sogno respinto' che 'era una vita', mentre il parossismo ripetitivo traduce in atto il disperato bisogno di contatto, di uscire dal 'cerchio', 'fuori e fuori', fino a un impatto liberatorio con la realtà. La 'demonstratio' faUisce per mancanza di argomentazioni: l'unica possibile predicazione di realtà è la scarna ripetizione del 'nome' degli oggetti e dei processi mentali, evocato all'interno di una astratta dimensione interiore:

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"soltanto in cerebro meo dove l'orizzonte è seriamente orizzonte/il paesaggio è paesaggio il mundus sensibilis è mundus sensibilis/la coniunctio è coniunctio il coitus coitus" (ed è interessante notare come la figura tautologica finisce per imporsi ^ in una sezione in cui compaiono complessivamente 51 congiunzioni copulative 'e' e 17 disgiuntive 'ma').^

Quasi come contrappunto musicale a queste congiunzioni troviamo il locativo "in cerebro meo" e gli altri lacerti junghiani, il rapporto tra i quali dà vita alla tessitura formale dell'intero componimento, nel quale la polifonia si fa portatrice del tentativo di superamento -anche a livello testuale di voce che dice io- del soggetto borghese. Proprio la coniunctio alla quale assistiamo va in questa direzione di costruzione di un uomo nuovo. Seguendo una fehce indicazione critica di Fausto Curi^, che invita a giovarsi del De Martino della Fine del Mondo per l'interpretazione apocalittica di Laborintus, Elisabetta Baccarani individua nella sezione 16 la presenza, trasformata e variamente rimontata, di un lacerto del Mondo magico dello stesso De Martino^, i cui echi si ritroverebbero nei w. 1-16 e 28-33, e precisamente nelle parti del discorso "e ormai", "ricuperare", "produzione", "sopra questo orizzonte", "sopra questa negazione di orizzonte", "sopra questo nulla di nulla", "sopra questo nulla di orizzonte", "sopra questa negazione di negazione", "sopra questo orizzonte di nulla e sopra questo paesaggio sensibile di nulla (di negazione e di orizzonte)", "dove l'orizzonte è seriamente orizzonte", "in un orizzonte orizzontale". Queste annotazioni della Baccarani sono inserite nel discorso sulla formazione di Sanguineti e sulla dialettica tra esistenzialismo e marxismo, breviter, sulla presenza di "Heidegger nella prospettiva di Lukács": Che questa sia la strada da percorrere, già stanno a indicarlo i propositi che, nella sezione 16 di Laborintus, emergono faticosamente, e tuttavia precisi, dalle spirali del hnguaggio. In quei versi sono ben riconoscibih, poiché ripetute in un movimento ossessivamente circolare, le parole emblema dell'esistenziahsmo: da un lato il 'nulla', già 'oggetto adeguato della soggettività Kierkergaardiana', secondo Lukács, e ora 'ambiente dell'uomo', se con Heidegger 'Esistenza significa: permanenza nel nulla...'. Dall'altro lato la 'negazione', intorno alla quale tanto si era speculato per stabilire se fosse o non fosse anteriore al nulla; al punto da scatenare una sorta di 'feticismo della negazione'. Nulla e negazione rappresentano, all'altezza di Laborintus, l'orizzonte da respingere e oltrepassare, per recuperare finalmente l'orizzonte in cui il 'mundus sensibilis è mundus sensibilis'; ovvero per ripristinare, come direbbe De Martino, 'l'oggettività del mondo', giacché 'quando un certo orizzonte en-

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tra in crisi, il rischio è costituito dal franamento di ogni hmite: tutto può diventare tutto, che è quanto dire, il nulla avanza'.^

A parer nostro, la questione però non è solo quella di accogliere, respingere o oltrepassare, ma quella di fornire una interpretazione articolata della complessità del reale: i 'filosofi della crisi' (Sartre, Heidegger) rappresentano compiutamente, appunto, la crisi e la distruzione del soggetto borghese storicamente determinato, in poche parole fotografano, per Sanguineti, la malattia, ma non risultano convincenti né la loro diagnosi né la loro individuazione delle cause. Ed è proprio qui che si inserisce il progetto di trasformazione e di modifica del mondo, che possiamo, per comodità, indicare come avvicinamento al marxismo; c'è in pratica una datità di fatto condivisa sullo stato dell'uomo borghese, ma una diversa ed alternativa anahsi, materiahstica e storica: il mondo sensibile è qui la realtà come prodotto dell'azione dell'uomo, delle sue attività e delle condizioni sociah. È un prodotto storico, il risultato di tutta una serie di generazioni, è il frutto, come già l'autore sottolinea nei w. 4-5 della sez. 13, dell'attività sensibile e vivente dell'umanità che lo forma, proprio nella successione delle diverse generazioni. La dialettica è quindi tra mondo dato e stato di ahenazione dell'uomo, ma, proprio qui, per Sanguineti, già in Laborintus, non c'è via d'uscita per l'essere se non come essere sociale: l'ottica sanguinetiana e, naturalmente, il suo modo di operare, possono essere ben riassunti e rappresentati dalle riflessioni di Marx ed Engels sul soddisfacimento dei bisogni primari come "presupposto di ogni esistenza umana, e dunque di ogni storia"^. È a questo mondo sensibile che l'essere si rapporta. La 'fine' di Elhe, intesa come metamorfosi, costituisce anche l'occasione per puntualizzare come il sogno non sia una fuga dalla realtà, ma un momento e un piano della realtà, intercorrelato con gli altri. Il momento onirico così acquista anche la specificità di momento di produzione e di manipolazione del reale. Questo rapporto, non tanto sotterraneo, tra linguaggio e dimensione onirica -e, comunque, in Laborintus in sicuro anticipo sui tempi- trova la mighore spiegazione nelle parole stesse di Sanguineti: Chi accetta di leggere Joyce, nel senso (e con quehe riserve e a quelle condizioni) che Butor indicava nel suo Esquisse del '77, non accetta soltanto di sottoporsi a un'iniziazione particolare di percezione di un testo, ma a quel tipo di iniziazione che, ormai, è da esigere per ogni testo, e per cui si giustificano le nostre bibhoteche. Voglio dire che, per usare le categorie di Butor, sia il 'linguaggio del sogno' che T'organizzazione del sogno' sono grighe interpretative che oggi, in qualche modo, siamo costretti a impiegare di fronte a qualunque opera. Oggi sap-

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piamo che esiste, accanto a una fruizione diurna e razionale del linguaggio, una fruizione notturna e onirica, in un inesauribile supplemento di significati. [...] Il 'dopo-Joyce' è questa coscienza di plurahtà di parole e di discorsi che si occultano e si intrecciano, senza fine, alTinterno di ogni parola e di ogni discorso. Il linguaggio, se vogliamo esprimerci così, è interminabile. [...] Uintento paradossale dell'operazione, per impiegare i termini stessi di Joyce, è che nel linguaggio e nell'organizzazione del sogno noi ci destiamo dall'incubo della storia. Che è la forma specifica in cui Joyce ha potuto esprimere, a suo modo, il suo 'sogno di una cosa'. [...] Aprendo a noi le dimensioni del linguaggio contemporaneo, e le dimensioni contemporanee del linguaggio, Joyce, finalmente, esauriva le possibihtà ultime del hnguaggio borghese.®

L'ottica di Laborintus e della sez. 16, dopo Joyce, è quella di presentare, in perfetta simultaneità, tre momenti e movimenti: la nascita corporale dell'uomo nuovo dalla disgregazione degh organi, uomo nuovo che necessita appunto di una nuova forma mentis; il costruirsi di questa nuova struttura psichico-mentale; e, infine, la modificazione del mondo. Questi tre movimenti sono intercorrelati e ognuno entra nel processo degh altri, indirizzandolo. Proprio in ossequio a questa operazione di definizione del sogno, come unione psichica dei contrari, come spazio della mente e dell'intelhgenza, il taglio formale è particolare, poiché si tratta di un taglio filmico e la mancanza di un io fa sì che la macchina da presa sia esterna e non rappresenti il narratore onniscente che tutto vede e sa, ma semplicemente riprenda piccole porzioni che poi il montaggio ci presenta in sequenza. Il narratore sembra sapere meno degh stessi protagonisti, se l'io è disgregato il mondo è frammentato, e la focalizzazione non può essere altro che simile a quella -scheggiata- del Vertov àcWUomo con la macchina da presa, È proprio così, attraverso immagini rovesciate e figure deformate, che vediamo sia il disgregarsi e ricompattarsi del corpo, sia i diversi movimenti delle forze e delle energie della mente, le quali cose poi concorrono a plasmare 'naturalmente' il mondo.

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^ C.G. Jung, Psicologia e Alchimia, cit., p. 359. ^ ¡Novissimi, cit., pp. 110-112. ^ N. Lorenzini, Il laboratorio della poesia, cit., pp. 29-30. Nota 13: Luciano De Maria, "Ricognizione sui testi", in AA.VV., Avanguardia e neo-avanguardia, Milano 1966, p. 144. ^ F. Curi, Struttura del risveglio, Il Mulino, Bologna 1991, p. 203. 5 E. Baccarani, La poesia nel labirinto, cit., pp. 41-43. ("Quando un certo orizzonte entra in crisi, il rischio è infatti costituito dal franamento di ogni limite: tutto può diventare tutto, che è quanto dire: il nulla avanza." E. De Martino, Il mondo magico, Einaudi, Torino 1948, p. 149). 6 Eadem, p. 42. 7 K. Marx-F. Engels, L'ideologia tedesca. Editori Riuniti, Roma 1958, p. 24. Il contesto completo è: "Il primo presupposto di ogni esistenza umana, e dunque di ogni storia, è che per poter 'fare storia' gli uomini devono essere in grado di vivere. Ma il vivere implica prima di tutto il mangiare e il bere, l'abitazione, il vestire e altro ancora. La prima azione storica è dunque la creazione dei mezzi per soddisfare questi bisogni, la produzione della vita materiale stessa, e questa è precisamente un'azione storica, una condizione fondamentale di qualsiasi storia, che ancora oggi, come millenni addietro, deve essere compiuta ogni giorno e ogni ora semplicemente per mantenere in vita gli uomini [...]. In ogni concezione della storia dunque il primo punto è che si osservi questo dato di fatto fondamentale in tutta la sua importanza e in tutta la sua estensione e che gli si assegni il posto che gli spetta." ^ Dopo Joyce in «L'Unità», 2 febbraio 1982, ora in E. Sanguineti, Gazzettini, Editori Riuniti, Roma 1993, pp. 241-242, dal quale si cita.

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16. e ormai per forza di serietà ricuperare ma per produzione potremo ma contro il mio palato sopra questo orizzonte ma distesa e un sogno respinto e ormai distesa e sopra questo orizzonte respinto e per forza di vita e con le mani respinto e produttive percorsa masticata e sopra questa negazione di orizzonte toccata 5 e adesso espulsa e sopra questo nulla sive coitus et filiam et mundum gestavi et sensibilem sopra questo orizzonte e produttivo et in cerebro meo e ormai sopra questo nulla di nulla e ormai coniunctio e distesa (coniunctio sive coitus) e permeabile permeata e sopra questo nulla di orizzonte in incastro 10 come i giorni permeata e trascinata ormai in me e trascinata sopra questa negazione di negazione e orizzonte cerebrale e toccare inghiottire e trascinata fuori e per riprendere (fuori e fuori) i paesaggi dell'amore e sopra questo composti sopra questo orizzonte di nulla e sopra questo paesaggio sensibile di nulla 15 (di negazione e di orizzonte) e sopra e fuori e adesso e ormai ma dentro un sensibile cerchio Ellie dentro un cerchio di nulla in cerebro meo composta e maturata dentro un cerchio di incastro tanto cerebrale tanto sensibile e ormai trascinata fuori 20 tanto fuori e distesa e dentro un cerchio di contatto e di giorni e di maturazione ma espulsa ma per forza di nulla ma toccata in sensibile contatto ma ormai per produzione ma ormai sopra un palato permeabile un serio sogno ma sogno per forza di vita e ormai un sogno respinto ma in masticazione ma il sogno ma il sogno stesso era una vita e masticazione e vita e produzione e sogno in cerebro meo soltanto in cerebro meo dove l'orizzonte è seriamente orizzonte il paesaggio è paesaggio il mundus sensibihs è mundus sensibilis la coniunctio è coniunctio il coitus coitus ma ormai in un orizzonte orizzontale per forza di serietà ricuperare ma ormai ricuperare in me per forza di sogno ma ormai i paesaggi del mare e il re marino tutti i paesaggi sensibih del mare tutti i paesaggi ricuperare in me e lo scheletro maturo

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del re marino e lo scheletro cerebrale della figha del re marino et in cerebro meo ricuperare in me e respingere nei giorni e in comprensione e comprensione e comprensione ma ormai

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Note w . 1-3: Il testo si apre con una sorta di imperativo categorico "per forza di serietà", che ci parla di due processi da portare a compimento, Tuno è la trasformazione di Ellie attraverso l'unione psichica dei contrari, l'altro è la modificazione della realtà, intesa anche come creazione di realtà, come progetto e costruzione. Proprio da qui secondo la Baccarani iniziano le presenze del Mondo magico di De Martino (vedi Introduzione), nella necessità di "ripristinare, come direbbe De Martino, 'l'oggettività del mondo'" (E. Baccarani, La poesia nel labirinto, cit., p. 42). L'"orizzonte" si configura così sia come spazio mentale sia come realtà materiale dominata dal nulla. Ellie vive a livello di sogno, che non è qualcosa di effimero e di evanescente, ma piuttosto qualcosa che incide nella realtà, è "alfabeto vegetale" (sez. 9, v. 19), "hnguaggio che partorisce" (sez. 10, V. 5), "totius orbis thensaurus" (sez. 12, v. 4 e sez. 13, v. 26). w . 4-5: Vediamo dispiegarsi i tre movimenti, il sogno è "vita", "con le mani" "produttive" si trasforma il mondo, si incide "sopra questa negazione di orizzonte". w . 6-9: Secondo una strategia consolidata in Sanguineti, il verso viene forzato e [...] toccata" del v. 5 va messo in relazione con questi versi. Entriamo finalmente nella trasformazione di Ellie, "toccata/e adesso espulsa": proprio qui entra in gioco la citazione junghiana, a livello di movimento dello spazio psichico, di tentativo di coniunctio oppositorum. Ciro Vitiello, opportunamente, osserva: "Sez. 16, w. 6-7 'sive coitus et filiam et mundum/gestavi et sensibilem', cfr. Psicologia e Alchimia, p. 360 'il Re deve accoppiare il Thabritius con Beya, i suoi due figh che egli ha portato nel cervello'; e nella nota si riferisce il passo latino originale, 'ego tamen filium et fiham meo in cerebro gestavi'. Questo frammento viene abilmente manipolato e spezzettato, tanto che il sintagma locativo 'in cerebro meo' è in parallelo di contrappunto musicale a 'e ormai', l'asse insistito, musicalmente, dello sviluppo tematico, ed è disseminato in frantumi ai w. 8 , 1 8 , 2 7 , 37, poi 'sive coitus' è spezzone linguistico desunto dal titolo della fig. 167 a p. 361 [sic] (dal Rosarium, che è anche in Psicologia del transfert, a p. 121) 'coniunctio sive coitus' ripristinato al v. 9 e spezzato di nuovo al v. 29." (C. Vitiello, Teoria e tecnica dell'avanguardia, cit., p. 153). Per Calvesi, la fig. 167 intitolata coniunctio sive coitus e prelevata dal Rosarium Philosophorum viene ripresa, in altra guisa, da "una silografia del Polifilo raffigurante l'abbraccio del protagonista con Polia" (M. Calvesi, Il sogno di Polifilo prenestino. Officina edizioni, Roma 1980, didascalia fig. 143 e fig. 144 nelle tavole non numerate). Il Polifilo non è solo un testo a cui fa riferimento Jung ma è pre-

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sente in Sanguineti (vd. E. Baccarani, La poesia nel labirinto, cit., pp. 228-231 e 233267). A p. 359 (e non 361) di Psicologia e Alchimia troviamo l'illustrazione 167 dove appunto la coniunctio -come dice il titolo- è rappresentata come coito tra ragazzo e ragazza, fratello e sorella, maschile e femminile, sole e luna, ed è, appunto l'^Allegoria dell'unione psichica dei contrari nell'arte alchimistica". Il frammento non viene solamente "abilmente manipolato e spezzettato" -come indica Vitiello-, ma, secondo una modahtà operativa che contraddistingue a tal punto Sanguineti da costituire una sua cifra stilistica, viene integrato dai termini "et mundum" "et sensibilem", una integrazione che rettifica e corregge il lacerto junghiano; infatti, alla luce del v. 29 ("il mundus sensibilis è mundus sensibihs"), nome e aggettivo vanno collegati e sottolineano, appunto, la compresenza dei tre movimenti, da noi rilevati, mostrando come il piano della realtà effettuale entri nella dialettica psichica e viceversa, e quindi come le formazioni della mente guidino le manipolazioni del reale, producendo, per forza di immaginazione (vd. sez. 7, nota v. 3), il progetto di trasformazione e modificazione, "mundum sensibilem" è marxianamente il prodotto dell'azione dell'uomo (vd. Introduzione, poi nota al v. 29), e la sua presenza non solo fornisce una fotografia-interpretazione esaustiva del reale, ma evita ogni rischio di deriva irrazionaUstica. È attraverso queste operazioni altamente sofisticate sul materiale verbale che Sanguineti dirige, corregge e rifunzionalizza ogni reperto culturale: è questa, propriamente, la pratica di laborintizzazione. Un'altra sollecitazione in questo senso, viene da un'opera del 1770 di Kant (già citato): Dissertation über die Form und die Prinzipien der sinnlichen und intelligiblen Welt (Su forma e principi del mondo sensibile e intelhgibile), dove troviamo appunto i concetti di "mundus sensibihs" e di "mundus intelhgibiUs". w . 10-12: Stiamo entrando nel cuore della multiforme trasformazione e dei suoi mille piani; il "trascinata" e "permeata" rimandano a Ellie, T"orizzonte cerebrale" all'unione psichica dei contrari, "negazione di negazione" alla realtà effettuale e, infine, "i giorni" all'azione del tempo che domina e quasi plasma la trasformazione. w . 13-16: L'espulsione di Elhe, l'essere "trascinata fuori", si accompagna alla neoformazione, figha della forza dell'amore, i cui "composti" si oppongono al nulla, sono l'unico elemento di resistenza a questa forza distruttrice: "l'amore" e il suo prodotto rientrano in gioco, configurandosi come polo positivo della dialettica con la negazione e il nulla. Del resto Ellie è legata indissolubilmente all'amore e agh amori (vd. sez. 11, w . 13-16). w. 17-21: La focahzzazione è sulla trasformazione di EUie "in cerebro meo", nell'intelletto, dove una parte per "incastro" -il termine richiama e completa "in incastro" del V. 1 0 - sopravvive e si unisce in "coniunctio sive coitus". "v. 17 'dentro un cerchio': Psicologia e Alchimia, p. 355 'per Archytas l'anima del mondo è un cerchio o una sfera'; e a p. 105 la chiarificazione: 'la prima forma sferica è il teschio. Secondo la concezione antica, la testa, o il cerveUo, sono la sede deU"anima intellectualis'." (C. VitieUo, Teoria e tecnica dell'avanguardia, cit., pp. 153-154.) Come nelle pagine junghiane, tutti i diversi componenti sono stati partoriti dal cerveUo, dove sono stati composti e maturati, cioè hanno avuto l'intera gestazione, un po' aUa maniera di Atena che nasce dal cerveUo di Zeus. ~ "trascinata fuori" ritorna così ai w . 11, 13; "distesa" ritorna ai w . 2, 3, 9; "giorni" completa U v. 11.

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Queste presenze insistite dimostrano come i movimenti vengano seguiti con puntualità dalla macchina da presa dell'autore, che ce ne illustra tutte le fasi e le diverse dinamiche, con precisione e dovizia di particolari, riservando un'attenzione ai diversi equihbri dell'azione tale da mostrare la simultaneità dei movimenti, dei quah nessuno domina gli altri. Il "cerchio" e i "giorni", intesi proprio come azione levigante del tempo, sono quelh che permettono il contatto e, di conseguenza, la sintesi tra i diversi elementi. Sanguineti sfrutta appieno l'idea di una equivalenza tra le fasi àeWopHs e i processi psichici per creare la struttura della sezione. w . 22-24: Il processo di maturazione e quindi la ricerca di sintesi implicano, sul piano materiale-sensibile, l'espulsione di una parte di Elhe, ormai consumata e non più utilizzabile, "il palato" indica che è attraverso il gusto che si può sentire e seguire la trasformazione nelle sue diverse fasi. Viene evidenziato il legame tra vita e momento onirico, che era stato già posto ai vv. 3-4 e troveremo sviluppato e completato al v. 26, anzi, il "sogno" si innesca proprio per "forza di vita", producendo visioni. vv. 25-27: Il rapporto tra pianp onirico e piano della vita trova qui il suo completamento, e arriva ad un punto definitivo, per quanto in Sanguineti sempre precario e transeunte, dove, alla maniera di un Calderón rovesciato, "il sogno stesso era una vita", perché, appunto, la vita è sogno. ~ "in cerebro meo" produce una serie di azioni che sono "masticazione", "produzione", "vita" e "sogno": i piani sono continuamente intrecciati e intercorrelati. w . 28-30: Questo movimento fa sì che l'intelletto possa percepire la realtà effettuale in tutta la sua oggettività, dove appunto "l'orizzonte è orizzonte", "la coniunctio è coniunctio il coitus coitus", "il paesaggio è paesaggio" e "il mundus sensibilis è mundus sensibihs". Per questa ultima formula (di invenzione sanguinetiana, anche se non si escludono antecedenti, e ai w. 6-7 spezzata e presente all'accusativo), la Baccarani propone: "Ovvero l'orizzonte in cui -come vorrà la formula assai cara al Sanguineti degli anni ' 7 0 - 'il mondo è il mondo'" (E. Baccarani, La poesia nel labirinto, cit., p. 42, nota 49). Ma il "mondo sensibile" ha una forte connotazione marxiana. Ricorrendo ancora a De Martino: "Il mondo sensibile -il mondo come diremmo noi oggi, della percezione quotidiana- è inteso da Marx come l'insieme dell'attività sensibile vivente degli uomini che lo formano, nella successione delle generazioni il mondo dato, il mondo nel quale veniamo a trovarci, è l'appaesamento risultante dall'attività sensibile nella sua storia, l'indice di comportamenti possibih che rimanda a concreti capitah operativi, e, al tempo stesso, lo sfondo domestico su cui si staglia con vario risalto il particolarissimo capitolo operativo che richiede, qui ed ora, di essere continuato con la nostra iniziativa. Ma è anche un mondo di 'limiti', di percorsi nell'esteriorità e di corpi resistenti, che dettano le condizioni al potere o al non-potere utihzzare, anche qui secondo un nesso che, attraverso la nostra biografia personale, la educazione ricevuta, e le abilità acquisite ci ricollega alla società vivente, alla catena delle generazioni, infine alla intera storia dell'uomo e dell'universo. [...] Quest'attività sensibile, sedimentata negh 'oggetti' utihzzabih, questa odologia vivente della utihzzazione racchiusa nel mondo dei corpi esterni e delle loro proprietà non concerne soltanto gli oggetti fabbricati dall'uomo, i prodotti della industria umana, poiché anche la cosiddetta 'natura vergine' e anche gli astri del cielo, e in genere tutto il percepibile 'naturale'

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o 'artificiale' che sia vive per entro un legame sociale, sedimentandosi nella catena delle generazioni; un legame intessuto di sforzi di vario adattamento utihzzante, di memorie di ciò che se ne può temere o ottenere, e di comportamenti conformi." (E. De Martino, La fine del mondo, cit., pp. 425-426.) Queste parole di De Martino fotografano la dimensione storica e sociale della natura in Sanguineti: il mundus sensibile dimostra come tutto faccia parte della vita sociale, dell'attività umana che produce la natura stessa. w . 31-33: Il v. 32 riprende il v. 1, in modo da sottolineare la circolarità dei movimenti di trasformazione, che sono quasi un ouroboros, e puntualizzare, contemporaneamente, come il movimento circolare stia giungendo a compimento, a chiudere cerchio e sfera, a seconda che si guardi a due o a tre dimensioni. Segnate le condizioni del rapporto di equivalenza tra vita e sogno, ora tutto si muove "per forza di sogno". w. 34-35: Siamo ai versi che riprendono 'al femminile', la sez. 4, alla quale rimandiamo; vd. anche Introduzione e C.G. Jung, Psicologia e Alchimia, cit., pp. 358-363.1 ritorni servono a segnalare, anche a livello formale, le circolarità, mentre il mutamento sessuale -come evidenzia Giuhani (vd. Introduzione)- serve a sottolineare la maturazione delle fasi della trasformazione. E appunto questa unione di maschile e femminile crea una sorta di ermafrodito e, quindi, opportuna e pertinente è l'osservazione dello stesso Giuliani di un Tiresia mediato da Eliot {I Novissimi, cit., p. 112), che può essere integrato con le parole di Eliot stesso: "Tiresia benché semphce spettatore e non un 'personaggio', è tuttavia la figura più importante del poema, che unisce tutti gh altri. Proprio come il mercante con un occhio solo, venditore d'uva passa, si confonde con il Marinaio Fenicio, e quest'ultimo non è del tutto distinto da Ferdinando Principe di Napoh, così tutte le donne sono una sola donna, e i due sessi si incontrano in Tiresia. Ciò che Tiresia vede costituisce, di fatto, la sostanza del poema. L'intero passo da Ovidio {Le metamorfosi. III, 320-38) è di grande interesse antropologico" (T.S. Ehot, La terra desolata, Rizzoh, Milano 1982, p. 102). Questo è un po' il nostro uomo nuovo, uomo e donna, veggente e cieco, misto di modernità e antichità, di futuro e di passato, poiché non si tratta dell'individuo astratto e particolare, ma dell'uomo concreto, storico, prodotto dalla serie di rapporti sociah in continuo movimento e quindi l'insieme di uomo e donna diventa lo stemma di una nuova umanità, della quale la necessità è nelle cose stesse. w. 38-40: La chiusa è proprio sul locativo "in cerebro" e, come osserva Giuliani: " L o scambio delle parti sessuah, sofferto neUe scene oniriche, è 'ricuperato' nella coscienza e respinto nel tempo." (A. Giuhani, I Novissimi, cit., p. 112.) L'avversativa chiude il componimento, ma la ripetizione di "comprensione" focalizza l'attenzione sulla coniunctio come sintesi e sull'interpretazione del mondo sensibile.

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SEZIONE 17

Introduzione Se osserviamo il romanzo di Ellie dal punto di vista narratologico, concentrando la nostra attenzione sulle funzioni narrative, esso giunge qui al suo termine ultimo, estremo, mentre, se prendiamo come punto di osservazione privilegiato lo stato di trasformazione, ci troviamo ormai nella situazione post-dissolvimento di Ellie (in quest'ottica romanzo ed esperienza di trasformazione si concludono alle sezioni 15 e 16), nella quale alcuni elementi rientrano in gioco nella fase di ricomposizione e rinascita, mentre altri vengono completamente liquidati, espulsi e smaltiti. Dissolta per ricomporsi in altre forme, Ellie non sparisce, bensì lentamente permea di sé tutto ciò che la circonda. Il sintagma "in tiepido immettere", posto come incipit, introduce subito la situazione di trasformazione in atto; l'acqua (il mare, Veau) e l'ambiente surriscaldato (l'incandescenza) sono l'elemento e il luogo deputati alla nascita/rinascita, e creano l'ambiente fisico appropriato alle reazioni chimiche, fisiche e alchemiche della rinnovazione vitale, secondo le precise regole e le leggi di continui passaggi tra la vita e la morte. A livello strutturale, guardando all'intero impianto di Laborintus, la sez. 17, come già la sez. 5, è un momento, per così dire, di passaggio e di transizione, in quanto apre decisamente la terza fase^ o terzo momento della raccolta: stiamo arrivando al cuore del viaggio, nel "punto cieco", "estremo" e "tortuoso", quello in cui EUie-Virgilio ormai non è più sufficiente come guida e accompagnatrice e deve cedere il passo. Proprio per questa sua natura formale, la sez. 17 vive in virtù di forti e solidi rapporti intertestuah, in modo particolare con la sez. 6: si tratta, per certi versi, di un momento che, posto un poco oltre la metà dell'intero poemetto, ne tira le fila, facendo il punto della situazione e fissando, "en representant", lo stato della trasformazione; essa svolge compiutamente il compito di fornire al lettore tutti gli elementi sui quali concentrare l'attenzione per procedere nel labirintico Laborintus. La mole delle informazioni è strettamente necessaria e costituisce l'enciclopedia del sapere per decodificare e muoversi nel testo, evitando trappole e eventuah depistaggi. La trasformazione avviene sotto la direzione e il controllo di Laszo, figura del sole, ma il filo rosso dell'intero processo ci viene fornito dalle citazioni latine, che ruotano intorno alla doppia natura dei demoni, al "duplex intel-

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lectus", già presente al v. 23 della sez. 2, alla quale rimanda pure il concetto di polluzione, qui in francese ("pollution", polluzione, ma anche contaminazione), là in forma di proposizione scolastica estratta e prelevata dalla Tabula Aurea di Pietro da Bergamo^, che ci fornisce qui la serie di citazioni latine sui demoni. Troviamo, infatti, sapientemente segmentate e ritmate secondo modahtà di costruzione che abbiamo già incontrato, alla maniera di chi si serve di materiali già preparati sui quah intervenire con l'esecuzione: "Daemones secundum Porphyrium sunt natura fallaces et sensitivi", "Daemones vigent acumine scientiae et lumen intellectuale in eis est perspicuum", "Omnis motus liberi arbitrii daemonum, est inordinatus, nec possunt se praeparare ad gratiam"^. Le citazioni latine ripresentano, mutato, uno spazio dove si muovono i demoni, e, nello stesso tempo, i lacerti in francese sottolineano, tramite il sesso della femmina e la polluzione, il momento del coito come momento di passaggio necessario per la rinascita. E anche qui la polluzione provoca il sogno, popolato di demoni, e non solo, dove la rottura e la dilatazione della personalità è all'immediata ricerca di una sorta di ricomposizione. Se nella sez. 2 la rottura, indotta dal sogno, non trovava una soluzione, qui possiamo invece osservare che gh stessi elementi (il sogno, l'io, il coito, i demoni), già selezionati, trovano un'armonia, un equihbrio, per quanto precari, una "ultima perfectio" (ancora San Tommaso), in virtù di un'operazione adeguata ("secundum optimam operazione"), che porta a compimento il processo; se nella sez. 2, l'attenzione era riservata alla rottura e alla dilatazione, qui si parte da questo stato per mostrare il tentativo, talvolta frustrato, di rinnovazione. Proprio questo privilegiare una descrizione fredda dei diversi meccanismi, una rappresentazione rigorosa, da quelli organico-corporah (sesso e coito), fino a queUi intellettuaU ("intellectus", "intellectuale", "perspicuum"), ribadisce, ancora una volta -se fosse necessario-, come in Sanguineti tutto si giochi nell'ambito del concreto materialismo, il che vuol dire che Tessere umano è un tutto organico, fatto di cuore e di mente, di intestino e intelletto, ma senza trascendenza. Sognare, come mangiare, è una tra le manifestazioni reali, "integrazioni funzionali", dell'essere umano. L'operazione "archimagica" verso T"ultima perfectio" avviene sotto le insegne "dell'anarchia", un'anarchia sempre rivista e ricorretta in versione materialistica e dialettica. Sanguineti crea non un'opposizione ma un nesso tra anarchia e marxismo, che può essere illustrato compiutamente dalle sue stesse parole: Il comunismo, il marxismo hanno agito potentemente in quanto sono

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stati vissuti (quando sono stati vissuti), come vera espressione del sogno dell'anarchia, quale sviluppo completo delle capacità umane presso ogni uomo. Questo obiettivo è ed è stato l'obiettivo comune di anarchici e di materialisti, o se volete di anarchisti e di marxisti: l'anarchismo è la forma utopica di questa reahzzazione, e al marxismo tocca di offrire una risposta realistica. Le forze intellettuali hanno giocato un ruolo importante di contestazione, in quanto hanno pensato che il loro ruolo era fondamentalmente legato, in infinite forme concrete, ad una risposta di tipo anarchico. La non autonomia dei gruppi intellettuah ha fondamentalmente rispecchiamento nell'atteggiamento anarchico."^

Proprio questa è la prospettiva con la quale guardare, in Laborintus e in Sanguineti in generale, al rapporto tra anarchia e materialismo storico, nella ricerca, un po' utopica, di "ultima perfectio" come uscita dalla nostra preistoria; all'interno di questa dialettica va inserito anche il problema dello statuto del sogno. E proprio in questa prospettiva Sanguineti si fa erede di un surrealismo, che le parole di Benjamin fotografano a dovere: Ma allora, quando irruppe sui suoi fondatori nella forma di un'ispiratrice ondata di sogni, esso apparve come sommamente integrale, definitivo, assoluto. Tutto ciò con cui veniva a contatto si integrava. La vita pareva degna di essere vissuta solo quando la soglia che c'è tra la veglia e il sonno era come concellata, in ciascuno, dai passi di immagini che fluttuavano continuamente, in gran numero, attraverso di essa; il linguaggio pareva veramente tale solo là dove il suono e l'immagine, l'immagine e il suono erano ingranati l'uno nell'altra con tale automatica esattezza, così fehcemente che non restava più alcuna fessura dove infilare il gettone "senso". Immagine e hnguaggio hanno la precedenza. [...] Non soltanto sul senso. Anche sull'io. Nella compagine dell'universo il sogno allenta l'individuahtà come un dente cariato. Proprio questo allentamento deU'io nell'ebbrezza è nello stesso tempo 'esperienza viva e feconda che ha consentito a queste persone di sottrarsi al dominio dell'ebbrezza.®

Dall'altro, egli è cosciente pienamente di una linea Freud-Jung, psicoanalitico-medica, ed anzi la sua operazione consiste nel mettere il surreahsmo al vaglio della psicoanalisi e viceversa. In questo modo il sogno non rimane qualcosa di sospeso e di autre, ma uno degh aspetti fondamentah della realtà: i demoni ci mostrano, un po' alla maniera di Cavalcanti, come sia concreta la formazione dell'io e come sia stretto il rapporto che intercorre tra soggetto e

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realtà materiale, tutto giocato sulla manipolazione reciproca. È proprio per questa sua natura di prassi che, nella speranza utopica di una renovatio, si può arrivare dallo spazio del sogno alla trasformazione della realtà, dove l'"ultima perfectio" è "informazione" e "esplicazione", elementi solidi, con "gusci" e "cortices", che servono a proteggere l'eventuale nuova formazione, e dotati di "ambivalence", cioè di ambivalenza e polifonia, come è richiesto dal molteplice del reale. In questo guscio di corpo e intelletto, di organi e conoscenza, è contenuta appunto la parte salvata di Elhe, che si sedimenta e si lega con altri elementi. Perché questo processo abbia successo, cioè venga portato a compimento, è decisiva la presenza e l'azione del tempo nello spazio, non a caso "omnis motus" e "motus daemonum" ritmano il componimento, ma soprattutto ai w. 17-18 troviamo "in un vivo giro di sole si tratta di subire molti giri/di luna", che rimanda ai w. 6-7 della sez. 6: i movimenti del sole (unico) e della luna (molteplici) sembrano indicarci l'anno con i suoi mesi e, contemporaneamente, l'idea del tempo come sequenza che agisce e modella, con la sua azione, la realtà.

Il sogno è lo spazio dove l'azione di rinascita ha inizio, essendo il luogo, per eccellenza, dove è possibile attuare una sorta di interruzione del linguaggio, che è la forma della contestazione del linguaggio medio della comunicazione e dell'arte, ormai consolidato. Ma questa interruzione ha il compito di permettere la formazione di un linguaggio nuovo, autre, in grado di dar vita ad una comunicazione autentica. I frammenti in francese sono talmente ridotti da non poter pensare ad una provenienza univoca, ma potrebbero appartenere, ad esempio, ad un codice letterario-critico e, in parte, a quello quotidiano; essi svolgono alla perfezione il compito di attrarre l'attenzione del lettore e di indirizzarne l'interpretazione, "en representant" e "il y a done ambivalence" aprono e chiudono, rispettivamente, il componimento, sottolineando il piano della rappresentazione e della finzione, nella quale entra il lettore, e soprattutto la proprietà dell'ambivalenza, dal sapore bachtiniano, come elemento costitutivo di questa cosa nuova che vediamo nascere.

1 Prima fase: 1-4; seconda fase: 5-16; terza fase: 17-23; quarta fase: 24-27: vd. Anarchia e Complicazione. 2 In opera Sancii Thomae Aquinatis Index seu tabula aurea eximii Doctoris E Petri de Bergamo, Lodovicum Vivès, Parisi, 1880.

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3 Pietro da Bergamo, cit., p. 281; la traduzione è: "I demoni, secondo Porfirio, sono per natura fallaci e sensitivi", "I demoni sono pieni di acutezza della conoscenza e la luce intellettuale in loro è evidente", "Ogni moto del libero arbitrio dei demoni è senz'ordine, e non possono prepararsi alla grazia". ^ E. Sanguineti nel dibattito in «L'Immaginazione», n. 115 (1994), numero interamente dedicato agli atti del Convegno Gli Antipodi. Troppo lontani. Troppo vicini (Genova, 3-4 giugno 1994). ^ W. Benjamin, Avanguardia e rivoluzione, Einaudi, Torino 1973, pp. 12-13.

14.

in tiepido immettere in criptografico diaframma en représentant Laszo

delia bestia il lucente intellectus o le sexe complicando d'une femme o il puntuale carattere (est duplex intellectus) della bestia che sale dal mare che riposa è ghiaccio oh questo rigore in rugosa sete filosofica e dietro la fronte in filosofica tomba e in un dente e in duro sequestro e nel numero et quatre di un volto est le nombre dal vigore mortificato de l'expansion spatiale dell'orgasmo dei lobi vigent del cervello daemones ad una formulazione acumine scientiae formatrice et lumen nel punto cieco di qui provocazione intellectuale in eis estremo appello e tale pulsazione est perspicuum e compiutezza e reattiva protesta e incandescenza et on empêche di un tracciamento in tortuosità la pollution di piani traboccanti anche integrità démoniaque anche comunque integrità etica de l'eau dietro certezza di una intiera approvazione omnis motus appunto nel punto cieco in un vivo giro di sole si tratta di subire in molti giri di luna motus daemonum anche certamente inordinatus anche sicuramente anche ancora integrazioni funzionali perché soprattutto è ed esclusivamente è daemones tamen la mia cifra sunt natura fallaces daemones femminili et sensitivi un taglio di considerazioni disciplinari in combinazione anidride arguta nella pazzia interhneare ultima perfectio effervescente archimagica per una totahtà costruzione di visione sempre quasi relativamente secundum optimam operationem divaricata dell'anarchia daemones nel golfo dove (duplices daemones) si attaccano e staccano secundum optimum obiectum i gradi di informazione all'esistenza ma esplicazione ma gusci (il y a donc ambivalence) ovvero cortices sono definiti

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Note V. 1: "en representant" (nel rappresentare) si può riferire a Laszo/Sole che sovrintende alla trasformazione, "in tiepido immettere" ci dà l'idea dell'entrare in un luogo caldo, ed è simbolo anche del coito. "criptografico" sottolinea la scrittura in codice, cifrata, e quindi la difficile interpretazione, l'ambivalenza, appunto, di diaframma, che indica chiaramente un elemento di separazione. Su un altro piano, criptografico pare anche il segno latente del futuro gioco enigmistico di Sanguineti (i Rebus). Sul piano anatomico, nel quale ci muoviamo, "diaframma" indica sia appropriatamente la parete muscolo-tendinea leggermente convessa che separa la cavità toracica da quella addominale (è il principale muscolo respiratorio), sia qualcosa che divide due spazi del corpo. Questo termine serve anche a sottolineare l'entrata, il passaggio da un luogo ad un altro. Ha pure connessioni con la vista e la pratica del guardare, infatti è lo schermo opaco con un foro centrale presente negli strumenti ottici, con la funzione di circoscrivere il fascio di raggi luminosi che lo attraversa (ad es., il diaframma è montato sulle macchine fotografiche oer aumentare o diminuire l'incidenza della luce, così detto perché funziona come 'iride dell'occhio umano). È connesso al "lucente" al v. 2. Si crea un parallelo tra la meccanica e il corpo umano. w . 2-4: "sexe d'une femme" sottolinea e puntuahzza l'aspetto del coito. Per ''est duplex intellectus" rimandiamo alla nota al v. 23 della sez. 2. La bestia rappresenta il primo stadio dell'uomo nuovo, "sale dal mare" in quanto è il prodotto dell'acqua purificatrice e rinnovatrice. Quindi la bestia come parte essenziale dell'uomo. L'immagine pare ricordare, a livello figurativo, il serpente sorto dal mare per punire Laocoonte, dove vediamo sorgere la bestia dal mare calmo, fermo come ghiaccio, solido. w . 5-7: Entriamo nel momento della ricomposizione: "sete filosofica" indica la sete di sapere, "fronte", "dente" e "volto", sono, e stanno per, il corpo. Il numero, in quanto unità di misura, è il metro privilegiato per descrivere la trasformazione, "et quatre" scandisce il processo di trasformazione, "est le nombre" sottolinea la centrahtà di questo elemento, e si può legare con "de l'expansion spatiale", così che suonerebbe: è la precisa numerazione (il numero che indica) dell'espansione spaziale, cioè della dilatazione ancora in corso. ~ "vigore mortificato" indica la mortificazione della carne e delle forze. w . 8-11: "orgasmo" si lega al coito dei versi precedenti, ma la costruzione "dell'orgasmo dei lobi del cervello" puntuahzza il fenomeno di nascita della produzione dell'intelletto, sulla quale si soffermano in modo particolare questi versi ritmati da una proposizione latina, efficacemente segmentata. Si tratta della frase "daemones vigent acumine scientiae et lumen intelUctuale in eis est perspicuum" (i demoni sono pieni di acutezza della conoscenza e la luce intehettuale è in loro evidente), prelevata dalla Tabula Aurea (cit., p. 281). Sanguineti, attraverso questa presenza, sottohnea come il sapere e l'intelligenza permeino tutta la realtà terrestre e subterrestre (i demoni sono qui abitanti del sogno e della terra). Per la questione alla quale si riferisce in senso proprio Pietro da Bergamo, rimandiamo a S. Tommaso, La Somma Teologica, voi. IV, I q 64,

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Salani, Firenze 1949, pp. 412-429 e, naturalmente, per completamento, alTintroduzione della sez. 2 e alle relative note. Questi versi creano un corrispettivo preciso tra coito, orgasmo e nascita del corpo e della mente. w . 12-15: Si conclude la prima parte del componimento: continua la fedele descrizione del multiforme processo di rinnovazione. ~ "protesta e incandescenza" sono nomi del processo qui descritto, ma indicano anche, più globalmente, l'atteggiamento di accesa rivolta verso la società costituita. "on empêche" (si impedisce) fissa l'attenzione sulla difficoltà del tortuoso tracciato del processo di neo-formazione, dove "integrità démoniaque" (demoniaca) si mescola con l'"integrità etica" neir"eau", che è qui anche una sorta di liquido amniotico. ~ "pollution" (polluzione, contaminazione) indica sia il momento dell'eiaculazione nel coito (ma anche solitaria o involontaria), sia la contaminazione dei diversi elementi, indotta dal processo stesso, il cui esito è proprio correlato alle possibilità di legame degli elementi materiali. w . 16-20: Con la la seconda parte della sezione, la focahzzazione è sulle reazioni dovute ai diversi elementi nell'atto della composizione: lo sguardo è appunto quello freddo e obiettivo della trascrizione di un esperimento scientifico, nel quale lo scienziato appronta una fedele registrazione che renda conto compiutamente di tutte le diverse fasi e di tutti i mutamenti. Troviamo, nuovamente frammentata, secondo una modahtà sanguinetiana ormai consohdata, parte della proposizione dell'indice tomistico di Pietro da Bergamo "Omnis motus liberi arbitrii daemonum, est inordinatus, nec possunt se paeparare ad gratiam" (ogni moto del hbero arbitrio dei demoni è senz'ordine, e non possono prepararsi alla grazia: sull'argomento rimandiamo alla Somma Teologica, vd. nota ai w. 8-11). Sanguineti si serve di alcuni lacerti di questa proposizione per evidenziare la caoticità dei movimenti delle particelle; il quadro sembra quello di una reazione atomica, con le diverse microesplosizioni. ~ "un vivo giro di sole", "in molti giri di luna" introducono, attraverso una notazione astronomica (come ai w . 6-7 della sez. 6), il tempo con la sua azione incessante. Le diverse reazioni chimico-alchemiche devono condurre, come fine ultimo, alle "integrazioni funzionali", cioè a nuove forme di vita che siano flessibili, adattabih e funzionanti. w . 21-23: Dair"anidride" all'ossigeno tutto si sta combinando e la "cifra" della trasformazione è data dai "daemones", abitanti della terra e del sogno, e, in Sanguineti, spiritelh dell'inconscio, con qualcosa del daimon greco. La frase latina, in questo caso non solo segmentata e ricomposta, ma ricorretta e integrata con "femminili" è la proposizione "Daemones secundum Porphyrium sunt natura fallaces et sensitivi" (I demoni secondo Porfirio sono per natura fallaci e sensitivi. Tabula aurea, cit., p. 281; si veda nota w . 8-11 e 16-20). Le "integrazioni funzionali" sono quindi il frutto di una "combinazione" "arguta", che provoca intelhgenti unioni di elementi. w. 24-26:1 lacerti latini, frammentati e integrati con "optimam", provengono dalla frase "in angehs autem beatis est ultima perfectio secundum aliquam operationem, qua coniunguntur bono increato, et haec operatio in eis est unica et sempiterna. In hominibus autem, secundum statum praesentis vitae, est ultima perfectio secundum operationem qua homo coniungitur Deo, sed haec operatio nec continua potest esse, et perconsequens nec unica est, quia operatio intercisione multiphcatur" (S. Tommaso,

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opera omnia, Summa Theologiae, voi. II (qu 3 ar 2j, a cura di R. Busa, cit., p. 359). Nel nostro segmento testuale servono ad introdurci nel cuore della trasformazione; r^ultima perfectio" (l'ultima, l'estrema perfezione) è, "secundum optimam operationem", che innesca una trasformazione "effervescente" e "archimagica", una "costruzione di visione", cioè un prodotto totale ben costruito e sohdo, figho della forza dell'immaginazione, come perfezione intelligibile di un pensiero che sa andare oltre e pensare l'altro. w . 27-29: Entriamo negh aspetti del prodotto del processo di neo-formazione: r"anarchia" ne è una proprietà fondamentale e strutturale, "secundum optimum obiectum" (secondo ottima opposizione) è una creazione autoriale, partendo dal modello di San Tommaso, sul quale Sanguineti era già intervenuto, e serve a fissare i movimenti dei componimenti che si combinano. ~ Viene ribadito con "duplices daemones" il "duplex intellectus" dei demoni (vd. v. 3 e v. 23 della sez. 2), e, in particolare, la loro doppia natura, ben evidenziata da queste proposizioni dell'indice tomistico di Pietro da Bergamo: "Daemones possunt cogi duphciter: scilicet virtute superiori, id est, a Deo et ab angehs, et hominibus sanctis, et illictione" (cit., p. 284). "Potestas duplex daemonis: scilicet quae sufficiter impellit actum peccati, se non in peccatam, et qua trahit ad supphcium" (Ibidem). "Daemon potest duphciter facere aliquid apparere, aliud quam sit: scihcet immutando alicujus phantasiam interius at alios corporeos sensus, vel exterius ahquod corpus formando" (Idem, p. 285). Questa neo-formazione post-Ellie è figha dell'"informazione" e dell'"esphcazione", dell'" anarchia"; possiede un'"esistenza" propria ed è protetta con gusci. V. 30: "(il y a donc ambivalence)" (c'è dunque ambivalenza) sottolinea l'ambivalenza e la polifonia del nuovo essere, e i "gusci" sono, per precisione, definiti "cortices", cioè corteccia, buccia, involucro, ciò che contiene il nuovo. L'ambivalenza è anche compresa proprio fra "esphcazione" (v. 29) e "gusci" (v. 29) (messi, non a caso, in opposizione da due "ma"), cioè fra il chiarito e il misterioso nel senso di difficile da interpretare e forse, persino, inesplicabile (la dualità è chiaro/chiuso e segreto). La situazione complessiva può essere paragonata alla nascita di quegh insetti che escono da un bozzolo accuratamente preparato.

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SEZIONE 18

Introduzione La sez. 18 si apre sui termini "conoscerlo" e "mangiano", che sottolineano i due processi chiave della sez. 17, dove abbiamo assistito alla finale 'spartizione' del corpo di Ellie, alla divisione tra quello che deve essere conservato e quello che deve essere smaltito; di conseguenza, si tratta di mangiare, materialmente, la conoscenza, come sottohnea il legame tra l'imperativo "devi mangiarlo" e r"allora mangiano" del primo verso. In questo modo si apre una terza fase, che va dalla sez. 18 alla sez. 23; naturalmente è ormai evidente come in Laborintus nessun argomento o tema si concluda decisamente in una sezione, di colpo, ma sopravviva, magari anche precariamente, nel prosieguo, in modo da far nascere qualcosa di nuovo e poi solo in quel preciso momento sparisca. Questo movimento peculiare è favorito e sorretto dalla costruzione per tessere, a mosaico, dell'intero componimento, tanto che l'autore gioca a creare tensione tra i fili principah della trama e le porzioni-sezioni. A ragione Niva Lorenzini, in relazione a questa terza fase del poemetto sanguinetiano, scrive: Le composizioni successive rappresentano il riflusso, la rinuncia, collocandosi su di un piano inclinato da cui non si risale, e che ha come stadio terminale il riassorbimento nella Palus Putredinis, la Livida Palus avvertita ora come conclusione di un processo, non più come fase germinale di esistenza. Tra le sezioni 18 e 23 si affacciano banah particolari biografici, che provocano una rottura della tensione stilistica e compositiva, mentre il linguaggio si sottopone a una disarticolazione progressiva causata dalla frenetica comparsa di punti esclamativi ed interrogativi, quasi totalmente assenti nelle sezioni precedenti, e dall'uso di interruzioni che assumono la funzione di scansioni da opera buffa: sez. 18 "devi conoscerlo e allora mangiano e vieni dunque (oh melodramma!) coraggio!" "e oh perché non mi hai cercato ieri sera? gridava ah ero in compagnia oh come vedi e del resto".^

E sono proprio le interiezioni, i deittici e, in modo particolare, i segni d'interpunzione -qui presenti per la prima volta in maniera significativa- che segnalano, inequivocabilmente, il tentativo di Sanguineti di mettere ordine in questo caos generatore, a trasformare l'andamento della sezione non solo in un'"opera buffa", ma in un vero e proprio "melodramma" (v. 1), dove le par-

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ti dei discorso segmentate con precisione danno vita ad un andamento quasi contrappuntistico, fatto di voce e controvoce: il melodramma -significativa dichiarazione autoriale di poetica, che vedremo completamente illustrata e dispiegata nella sez. 23, che completa quello che qui è in nuce e alla quale rimandiamo- si fa in Sanguineti da azione e rappresentazione patetico-drammatica, secondo i canoni della tradizione, azione e rappresentazione cinico-patetica, dove in questa epoché di una contemporaneità atomica il dramma acquista i modi e i toni di una tragica farsa, di un misto di comico e di tragico sotto le insegne dell'ironia amara e del sarcasmo. Attraverso questi elementi stihstici, e non solo, fondamentali, la macchina melodrammatica, rivista e corretta, sanguinetianamente dechnata, entra, consapevolmente, nell'opera come centro di controllo e gestione delle passioni. E "gh amori incatramati malati" del V. 4, rimandando e richiamando "i miei amori sognano e parlano", explicit, alla Bosch, della sez. 3, e il "per amori" (sez. 11, v. 8), crea una dialettica intertestuale tra le sezioni in grado di trasmetterci una linea di mutazioni dell'amore, qui malato e incatramato perché invischiato nel profondo. Il personaggio centrale di questa sezione è Ruben, Tebreo; nello sfondo sua proiezione e suo negativo, è Moneybags (= mucchio di monete), il capitalista tipo satireggiato da Marx. Gh "amori", soggetto-oggetto della prima parte, si prestano a una lettura polivalente: indefiniti personaggi mangiano e digeriscono gli amori, oppure (anche) sono amori che mangiano, amori che digeriscono. Del 1781, spiega TA., è il testo nella cui tavola di errata-corrige si nomina il "Leggitor cortese". Il senso è che al lettore (all'amico) si offre l'occasione di esercitare sul testo la propria sofferenza e pazienza; il lettore è Ruben, lo storpio è Moneybags. L'attacco "ah tu sei" riprende per Ruben il tema della predicazione universale di Ellie. Come ogni altra realtà, Ruben è "vapeur de rivière", ma è figura determinata trascritta in una forma riconoscibile (è la predicazione che permette di riconoscerlo). L'incontro con Ruben "al cader del sole" è nello stile tragico-epico dell'esperienza morale. Ruben è il "repertorio ontologico" di Laszo, e "questa esperienza sarà di giovamento a un'altra paziente", cioè ad Elhe (o a chi per lei nel tempo).^

Le parole di Giuliani, appropriate ed efficaci, danno un'idea precisa e completa della sezione, ma meritano alcune puntualizzazioni in relazione all'appello al lettore e alla figura di Moneybags. Anzi, va sottolineato, qui in apertura, come il sintagma conclusivo indichi la possibile universahzzazione di "questa esperienza", insieme di processo di formazione e percorso di trattamento psicoterapico.

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La punteggiatura e la segmentazione del discorso frastico sottolineano anche "l'impossibilità di giungere ad una comunicazione verbale, di cui Sanguineti è consapevole"^ o, per megho dire, non solo verbale, poiché la coscienza autoriale è quella di una comunicazione franta e discontinua, che fa i conti con la nuova realtà effettuale proprio nel momento in cui apre il canale attraverso il quale deve passare il messaggio. "LEGGITOR cortese, hai qui una bella occasione (1781)/di esercitar la tua sofferenza e vieni dunque! e ascolta" non è solo un appello al lettore, una sorta di captatio benevolentiae, ma serve a fissare, delineandone con precisione i tratti essenziali, un nuovo, o, almeno per il tempo, inedito patto con il lettore, davvero qui collaboratore. Sanguineti costruisce questo sintagma a partire da una citazione sulla quale opera secondo le regole del travestimento: la frase è un prehevo da una sorta di errata corrige di un libro stampato nel 1781 (per la precisione, una raccolta di poesie di Francesco Redi) - l'indicazione temporale viene inserita dall'autore stesso nel testo. Non è sufficiente per l'autore intercalare con una parentesi, andando in profondità, l'anno di stampa del volume, perché al "LEGGITOR cortese" è richiesta non solo la sofferenza ma la capacità di entrare nel testo e di 'ascoltarlo', di lasciarlo parlare per poterlo comprendere, in un rapporto di fruizione attenta, sorveghata e critica, ma anche empatica, appunto, da vero "Hypocrite lecteur, - mon semblable, - mon frère!". È necessario che il lettore si faccia parte attiva nell'atto della lettura e sia disposto a partire da una condizione di frantumazione della hngua perfettamente omologa a quella in re. Sono queste le nuove regole dell'opera aperta. Questo appello al lettore consiste così, anche alla maniera del Dante purgatoriale, in una sorta di interpretazione del testo da parte dell'autore stesso, che svela apertamente le sue intenzioni, evidenziando le doti necessarie a muoversi nel testo: diventa condizione sine qua non quella di accettare le regole e i presupposti del testo. In questo modo non solo l'opera si svela e si rende chiara al destinatario ideale, al lettore collaboratore, ma si protegge da occhi indiscreti. Quanto a "Moneybags" (il mucchio di monete, il sacco di monete), egli non è solamente o vagamente "il capitalista satireggiato da Marx", ma "il possessore di denaro", è una sorta di "bruco di capitalista""^, di formazione iniziale che deve ancora evolversi; in questo modo, Sanguineti ci fornisce, da un lato, una rappresentazione ironica e satirica, espressionista alla maniera di Grosz, dall'altro, fa entrare prepotentemente nel testo l'origine e l'inizio di questa preistoria, che è rappresentata dalla circolazione del denaro, equivalente universale, come lo descrive Marx nel primo libro del Capitale^. Sanguineti, con la-figura di Moneybags, crea una sorta di allegoria, una vera e propria figura, per dirla con Auerbach, nella quale convergono come so-

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strato concettuale le idee demandate alle citazioni marxiane e, a livello di fisiognomica, rimmagine è espressionista, alla maniera di Grosz, di un uomo storpio e deforme per il peso delle monete sonanti; sul piano dei significanti, la presenza del termine inglese "Moneybags" può rimandare direttamente, anche se in maniera sotterranea, al Brecht AeWOpera da tre soldi. Merita infine attenzione il "tout est dans le commencement" (tutto è nell'inizio), sintagma che indica il problema dell'inizio nel senso dell'origine, su un piano religioso e, contemporaneamente, appartiene al lessico retorico, poiché, appunto, si potrebbe tradurre con "l'incipit è tutto" o "tutto è nell'incipit". Sanguineti gioca coscientemente con questa polisemia in modo da completare la riflessione di poetica iniziata con il "melodramma" del primo verso e sottolinea il principio, l'inizio come elementi pregnanti e determinanti di "questa esperienza" (v. 22) di formazione dell'io che aspira a diventare paradigmatica e universale.

^ N. Lorenzini, Il laboratorio, cit., pp. 30-31. 2 1 Novissimi, cit., pp. 113-114. ^ N. Lorenzini, Il laboratorio, cit., p. 31. ^ K. Marx, Il Capitale, I, Einaudi, Torino 1975, p. 201. 5 Idem, pp. 44-45, 86-88, 177-178.

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14. devi conoscerlo e allora mangiano e vieni dunque (oh melodramma!) coraggio! più facilmente chi mi conduce e allora rinunciano a vedere al loro incongruo atteggiamento in iterazione i cortili e più ragionevoli digeriscono diventano in correzione gli amori incatramati malati? e vieni dunque e con buoni effetti ma anni occorrono ma rimase poi tranquilla per comprenderlo 5 e fra i tappeti veramente e così entrambi sedemmo e finalmente al cader del sole ritrovammo il nostro uomo e ah perché non mi hai cercato ieri sera? gridava ah ero in compagnia ah come vedi e del resto non ci scriviamo quasi più e potrei aggiungere e Moneybags e vieni! 10 ricordi? lo storpio! e LEGGITOR cortese, hai qui una bella occasione (1781) di esercitar la tua sofferenza e vieni dunque! e ascolta ah era il tentativo di imporre una determinata educazione morale! e molto rapidamente... ah Moneybags! ora ricordo e ah tu sei 15 il mio repertorio ontologico ho gridato tu sei oh mio vapeur colonial (altra espressione equivalente) il mio Ruben! in trascrizione ora soltanto ti riconosco vapeur de rivière! la mia eresia verissima la mia necessità e tutta la serietà della vita! e vogho incontrarti! adesso! 20 tout est dans le commencement come sempre e vieni dunque! questa esperienza sarà di giovamento a un'altra paziente

Note w. 1-2: Come osserva Giuhani, il testo si apre su personaggi non definiti che mangiano e digeriscono gli amori, oppure vediamo amori che mangiano e amori che digeriscono. L'immagine creata è quella del corpo grottesco, come del resto per "il ventre della torpedine" (v. 34) della sez. 14. Per l'autodichiarazione di poetica "oh melodramma!", attraverso la quale l'autore prende la parola, si veda la sez. 23, aristotehco-metastasiana, come si vedrà. w. 3-4: In questi versi esce allo scoperto il soggetto-oggetto dell'azione, e cioè "gh amori incatramati malati", "malati" perché sofferenti e precari, "incatramati" perché sporchi e scuriti dal viaggio al termine della Palus. L'alhtterazione, che crea quasi una

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rima interna (mczxramati malati), quasi un gioco anagrammatico, sottolinea la centralità del sintagma. ~ "atteggiamento in iterazione" sottolinea la ripetizione incessante dell'azione di mangiare e digerire: l'immagine è quella di una attività ciclica e meccanicistica della natura. In virtù di questo processo "gli amori incatramati e malati" si trasformano ("in correzione"). w . 5-7: Per prima cosa si sottolinea la dimensione temporale ("anni") della trasformazione; e poi il testo ci presenta un quadro onirico-visionario dove Ellie e Laszo, o eventuali loro doppi od ombre, si incontrano e ritrovano Ruben ("il nostro uomo", una sorta di aiutante magico), qui indicato con un'espressione da romanzo o film poliziesco. La famiglia del Ruben reale, amico di gioventù di Sanguineti, possedeva a Torino un negozio di tappeti, luogo di appuntamento fra amici, "fra i tappeti" sottolinea proprio la trasformazione in finzione di un eventuale, piccolo fatto vero. In Postkarten 14 del marzo 1972, nel rappresentare Ruben, Sanguineti ricorre proprio a un'immagine simile: "ti porto notizie di Ruben (con i suoi saluti per te, non c'è bisogno di dirlo),/ripescato alla Rinascente, perpetuamente fra i tappeti, prima dell'anteprima/del grande quadro di Baj:" (E. Sanguineti, Segnalibro, cit., p. 174). ~ "al cader del sole" costituisce, da un lato, un'indicazione temporale precisa, che per le sue valenze astronomiche e alchemiche è presente come indicatore temporale lungo l'intero percorso del poema, dall'altro, il riferimento al sole si inserisce in una topica precisa e consolidata, per la quale si rimanda a R. Caillois, / demoni meridiani. Bollati Boringhieri, Torino 1988. w . 8-10: Il testo si sofferma sul dialogo, interamente incentrato sulle domande poste a Ruben sulla sua irreperibilità -ritmata dall'interiezione esclamativa "ah", che conferisce un tono amichevole e parlato-, così che entra nel testo una sorta di doppio sociale di Ruben, non di aiutante magico, ma di attante della storia, il marxiano "Moneybags". Moneybags, nel Capitale, indica non solo generalmente e genericamente il capitalista, ma il suo embrione, il primo nucleo, colui che possiede denaro e inizia a muoversi sul mercato. Due citazioni possono essere esemplificative dei contesti in cui è rintracciabile la figura di Moneybags nel Capitale: "Per estrarre valore dal consumo di una merce, il nostro possessore di denaro dovrebbe essere tanto fortunato da scoprire, alVinterno della sfera della drcolazione, cioè sul mercato, una merce il cui valore d'uso stesso possedesse la pecuhare quahtà d'essere fonte di valore; tale dunque che il suo consumo reale fosse, esso stesso, oggettivazione di lavoro, e quindi creazione di valore. E il possessore di denaro trova sul mercato tale merce spedfica: è la capadtà di lavoro, ossia ìz forza lavoro. [...] Tale quantità di lavoro richiesta per la sua produzione giornaliera costituisce il valore giornaliero della forza-lavoro, ossia il valore della forza-lavoro giornalmente riprodotta. E così, se una mezza giornata di lavoro sociale medio si rappresenta in una massa aurea di tre scellini o di un tallero, il prezzo corrispondente al valore giornaliero della forza-lavoro è di un tallero. Se il possessore della forza-lavoro l'offre in vendita per un tallero al giorno, il suo prezzo di vendita è uguale al suo valore, e il possessore del denaro, smanioso di trasformare in capitale il suo tdìlero, paga, secondo il nostro presupposto, questo valore", da K. Marx, Il Capitale, cit., pp. 201 e 208). Come si può vedere, il traduttore adotta, a livello uniforme, "possessore di denaro", indicando il germe del futuro capitalista. Si tratta, in Marx, di

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uno humour nero, di un amaro sarcasmo, poiché è proprio questo embrione a costituire l'asse della nuova società. w . 11-12: L'essere storpio è, a livello fisiognomico, il tratto distintivo di Moneybags, piegato dal peso dehe monete. Quanto a "LEGGITOR cortese", essa è - p e r indicazione dell'autore stesso- formula dell'errata-corrige di una raccolta di poesie di Francesco Redi {Poesie, Tomo IV della Raccolta di celebri poeti italiani del secolo XVIII in XI volumi, che contiene le poesie di E. Manfredi, G. e F. Zoppi e di F. Redi, Società Tipografica, Nizza 1781, p. 173: la fonte recita precisamente così: "Benedetti i correttori di stampa, ecco un piccolo saggio delle vostre attenzioni: LEGGITOR cortese, hai qui una bella occasione di esercitar la tua sofferenza"), e serve ad aprire l'appello al lettore collaboratore, simile e fratello, in termini baudelariani, il quale, per mettersi in "ascolto", cioè per entrare in rapporto con il testo, è necessario eserciti la sua "sofferenza", nel senso di stato di afflizione e dolore, di pena e tormento, ma anche, etimologicamente, di tolleranza, pazienza e sopportazione. In poche parole, al lettore di Laborintus, per arrivare fruttuosamente alla fine, è richiesta una sapiente gestione delle passioni e delle affezioni del corpo (vd. sez. 23). Di Francesco Redi (Arezzo 1626-Pisa 1698), scienziato e letterato, è rimasto celebre il ditirambo Bacco in Toscana (1685), per un'edizione del quale Sanguineti - a dimostrazione di una attenzione non sporadica- ha approntato un'introduzione dal titolo Bacco Barocco (F. Redi, Bacco in Toscana, con un saggio di E. Sanguineti, immagini di E. Tadini, a cura di G. Binni. Cassa di Risparmio della Provincia di Macerata, Macerata 1990). w . 13-15: Il capitale non è solo pratica circolazione di merci e trasformazione D M - D , ma è una forza che plasma la società, che impartisce una "determinata educazione morale", veicolando valori storicamente determinati e molto precisi. Moneybags è tutto questo. Il termine può anche far pensare ad una citazione in inglese dal Capitale come fonte (o, eventualmente, a una versione italiana dove si ricorre a questa formula), oppure, a liveUo stilistico-formale, essere - e d è questa, a parer nostro, la supposizione più probabile- il segno di un gusto sanguinetiano aUa Brecht. w . 16-18: Si apre, con un gioco di specchi, una serie di intersezioni di doppi; Ruben è "repertorio ontologico" di Laszo e Moneybags lo è di Ruben; "repertorio" inteso come insieme e bagagho di tutto ciò che si riferisce ed è necessario all'essere in generale, alle sue strutture immutabili, oggettive e reah, a prescindere da concrete e individuali manifestazioni, "in trascrizione" sottolinea questo continuo passaggio di forme, di persone e di scritture e il lavoro di tenerne registrazione. In questo modo si forma l'interiorità, anima junghiana e profondo freudiano, che è "vapeur colonial" e "vapeur de rivière", cioè battello coloniale e battello fluviale - queste due formule sono, per indicazione stessa dell'autore, le didascahe che identificano due imbarcazioni particolari, rappresentate su un libro francese del quale però non ricorda né autore né titolo. Il parlare della propria anima come di un battello rimanda, per forza di cose, al Bateau ivre di Rimbaud (prototipo moderno di questa metafora). Ma il viaggio per gli oceani delle colonie e per i fiumi porta quest'anima a diventare "eresia verissima", in quanto dottrina contraria alla verità consolidata, in contrasto con l'opinione prevalente, ma "verissima" perché capace di mettere a nudo le strutture sociah e i suoi meccanismi di coazione. Siamo di fronte a un io nutrito di pensiero critico. In francese, "va-

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peur" significa anche vapore o fumo, così che, a hvello di significante, potremmo anche avere un'anima che è vapore o fumo coloniale e vapore o fumo fluviale, cioè essenza di una natura manipolata dall'uomo stesso. w . 19-20: Questo processo di formazione deU'io è una "necessità", poiché la vita va spesa per dire, brechtianamente, la verità, "e voglio incontrarti!/adesso!" costituisce l'imperativo categorico del tendere verso questa nuova interpretazione e verità, ancora percepita da molti come eresia. La formula "incontrarti" dà l'idea deU'io come costruzione attraverso l'unione di contrari, l'incontro/scontro di atomi diversi, di singolarità umane diverse. w . 21-22: Il V. 21 chiude la dichiarazione di poetica, apertasi con l'apostrofe al "LEGGITOR cortese" del v. 11; in quest'ottica "tout est dans le commencement", che vuol dire "tutto è nel principio" e "tutto è neU'origine", viene a significare, qui e ora, "tutto è contenuto nell'incipit", che indica anche come un testo si sviluppi, quasi meccanicamente e autonomamente in partenogenesi, dando l'impressione di scriversi da solo, a partire da precise (pre)condizioni che lo determinano. ~ "e vieni dunque!" va riferito al "e vogho incontrarti!/adesso!" dei w . 19-20 e quindi aU'incontro-unione. La chiusa è riferita alla possibilità di universalizzare "questa esperienza" di formulazione e di trattamento psicoterapico che potrà essere "di giovamento" ad Ellie, ormai scomposta, e a chiunque percorra queste vie. Questa situazione diventa così paradigmatica del processo di formazione della coscienza dell'uomo contemporaneo, in epoca atomica, dove l'io, imperfetto e frammentario, acquista equilibri precari, in virtù di scontri di atomi e di particelle. QueUo che avviene, a liveUo di microstruttura, nel singolo uomo, inteso a livello generale, accade, mutatis mutandis, sul piano macrostrutturale, neU'umanità, intesa come insieme di individui, di esseri sociah.

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SEZIONE 19

Introduzione Mangiata, ingoiata, trasformata la parte di Ellie che deve essere conservata e preziosamente preservata, messo al vaglio della critica Moneybags, ci muoviamo per stazioni verso il cuore della Palus Putredinis, seguendo un itinerario di paesaggi sovrapposti e intersecati. Questo effetto di continui passaggi, di immagini in dissolvimento è provocato dal catalogo caotico, interamente giocato sul non sense e sugli accostamenti pericolosi, struttura che informa di sé l'intera sezione, vero e proprio tratto stilistico essenziale. In questo viaggio tra città estratte ed estrapolate da cartoline siamo guidati da Laszo, uomo del Sole e dell'Eldorado Club. Dal fiume Lys passiamo al mercato del pesce di Dieppe a Chateaudun a Sainte-Apolline e a St. Rémy, in un percorso che dal macro ci porta al micro e al particolare. Proprio questo gioco di focalizzazione con lo zoom ci consegna, sapientemente nascosta e frammentata, parte dell'iscrizione del Simbohco Labirinto del Duomo di San Martino a Lucca (vd. nota ai w. 11-13), che serve a sottohneare come questa Palus Putredinis, dove affondano fiumi e paesi, chiese e mercati, sia un labirinto, o per megho dire un laberinthus. Se tale è la Palus, il parallelo, a livello metahnguistico, è anche con l'intera opera, con quel sottotitolo prelevato dallo scolio dell'anonimo glossatore di Everardus Alemannus: in questa maniera labirinto è la Palus e labirinto è l'opera linguistica che stiamo attraversando. Labirinto è quindi il mondo, e, proprio per questo, labirintico è il modo e il modello di decifrazione della realtà. Il Simbohco Labirinto del Duomo di Lucca diventa l'allegoria privilegiata con la quale riassumere libro e mondo, dove il modello formale di disordine artificiale e ordine precario è perfettamente omologo ad un metodo di decifrazione dominato proprio dalla dialettica tra ordine e disordine, soggetto e prassi. In questo testo, Sanguineti accumula e accatasta, in forma di parole, cartohne di diverso genere, specialmente dalla Francia, di paesaggi deformati alla Van Gogh, dando vita ad una tecnica di descriptio loci che risulta rovesciata rispetto a quella dantesca, poiché qui l'estrema puntualizzazione, il gusto per il particolare vengono ta mente esasperati e caricati da costituire la via verso un'ordinata caoticità. In questo modo tanti paesaggi inseriti uno nell'altro, tanti disparati particolari, creano una sorta di non-luogo, di forma spaziale e temporale del mondo e dell'uomo, dove oggetti e natura si intreccia-

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no. In un'ottica di questo tipo è inevitabile che l'inventario caotico diventi la forma più appropriata per descrivere e soprattutto rappresentare la realtà. La presenza di Van Gogh nelle nostre riflessioni, per questa natura non solo descritta, ma deformata e animata, è tutt'altro che casuale, poiché i sintagmi "(1889) les Vergers en fleurs" (v. 8) e "de St. Rémy" (v 9) costituiscono un riferimento nascosto, e quasi sotterrato nel testo, proprio a Van Gogh: il 1888 e soprattutto il 1889 sono gli anni in cui egli dipinge una serie di tele dal titolo "Les Vergers en fleurs", e proprio tra Arles e St. Rémy, dove il pittore venne internato, su sua richiesta, in manicomio^ In questi versi troviamo un'operazione linguistica che è il prodotto di una sorveghatissima tecnica di travestimento, fondata proprio sul collage di descrizioni, sul loro ardito montaggio filmico, nel quale possiamo vedere anche il frutto di un apprendistato poiché, per testimonianza diretta dell'autore, sappiamo che Sanguineti si esercitava a descrivere quadri, acquistando serie di cartoline che riproducevano opere di artisti celebri, soprattutto moderni e contemporanei. Il Van Gogh citato potrebbe essere proprio uno della serie. In questa strategia comunicativa, il gusto per la descrizione e per l'attenzione al particolare viene frustrato e rovesciato, poiché molti particolari insieme creano caos organizzato, spaesamento, e non precisione, ma, per contro, si costruisce puntualmente il non-luogo, che, stazione dopo stazione, acquista quahtà e caratteristiche. Esso è uno spazio profondo, quasi un cratere di melma e fango, pronto a risucchiare e inglobare ogni cosa, con fiumi e laghi, mari e valli, e ha un qualcosa di lunare nella sua deserticità e di terrestre nella sua umanità; di conseguenza lo spazio viene computato in maniere diverse, secondo una misurazione alchemica, dove il numero acquista una nuova magicità, esprimendo la scienza dell'uomo rinnovata, così come il tempo (l'"orologio del v. 5 rimanda al "tempo esatto" della sez. 7 v. 23, all'orologio e agh almanacchi della sez, 14 V. 12 e all'orologio astronomico della sez. 15), diventa quello dell'esperienza e della vita dell'uomo, e non più qualcosa di meccanico e meccanicistico, segnando appunto la trasformazione e la formazione dell'io. Non a caso a questo laberinthus latino e lucchese fa da controcanto, da vera e propria controvoce di una polifonia della prassi e dell'io, il sintagma "personae nomen" di tradizione classica. Proprio per evidenziare il processo in atto, con tutti i suoi meccanismi, di costruzione dell'io, come individuo e come coscienza, Sanguineti inserisce quella 'celeberrima coppia', attraverso la quale, da un lato, evidenzia la coscienza morale, psicologica, diversamente articolata, dall'altro ci parla di una nozione giuridica, legata al diritto, alla dimensione sociale:

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[...] la "persona" è più che un fatto di organizzazione, più che un nome o un diritto a un personaggio e una maschera rituale; è un fatto fondamentale del diritto. Nel diritto, dicono i giuristi, non ci sono che le personae, le res e le actiones, e tale principio regge ancora le suddivisioni dei nostri codici. Ma questo risultato è il prodotto di una evoluzione particolare del diritto romano.^

L'autore ci mostra così come sia nella palude della realtà e nel labirinto della storia che nasce e si forma il soggetto, che, appunto, esiste come essere sociale: "personae nomen" è il primo nucleo di una patente, anche legalmente riconosciuta, dell'io, che porterà, molti secoh dopo, a dotare ogni individuo di carta d'identità. Questo io (e, naturalmente, questo uomo) ha una "lingua", una "rehgione", ma soprattutto si manifesta attraverso "un amore/dottrinale", un amore che diventa, in maniera neomedievale, strumento per leggere il mondo. Il "mia" del v. 12 sottolinea l'appartenenza di "lingua" e "religione" al personaggio, ma l'aggettivo possessivo iterato funziona quasi da presa di parola dell'autore, che pare assumere anche su di sé, con un gioco obhquo, questi due elementi, innescando un passaggio dal protagonista alla voce narrante all'autore stesso in carne e ossa. Ma l'amore è appunto, nel suo aspetto di forza di passione, qualcosa di precario, che brucia, tanto che al centro ritroviamo "il tempo della mia vita", cioè lo scorrere del tempo come sequenza che permette di accumulare esperienza. Non più una vuota e meccanica esistenza, ma "la mia vita". La logica catena di pensieri e di riflessioni si muove lungo una precisa e articolata direttrice, infatti la vita dell'uomo per essere vera vita deve avere un fine e un senso, anche se "insensato". Questo termine sottolinea non un semplice non-senso, ma l'eterogenesi dei fini che talvolta l'azione umana provoca: è presente una disparità tra il progetto elaborato, tra l'obiettivo da conseguire e quello raggiunto. Questo "fine" e "senso" non è più, ora e qui, in Sanguineti, qualcosa di metafisico e oltremondano, ma, più semplicemente e concretamente, la costruzione pratica, giorno dopo giorno, nel duro quotidiano, della vita. Questa sezione diventa così una riflessione globale sull'uomo, su "che cosa è l'uomo?", e proprio per questo si crea un legame particolare con le parole di Gramsci, che aveva, non a caso, intitolato così una sua celeberrima noterella (Q. 10,11)3. Una risposta -anche alla domanda gramsciana-, per quanto ambivalente, aperta e precaria, ci viene data dagli ultimi due versi. La parte in francese è prelevata, direttamente e di peso, dai Nouveaux Entretiens sur le Sciences Se-

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creteSy ou Le Comte de Gabalis: renouvellé et augmenté d'une lettre sur ce sujet (1691, Cologney -Sanguineti lo aveva acquistato casualmente su una bancarella- e precisamente, in questo caso dalla "Quinta Conversazione". Questo testo, anonimo e con qualche variante, propone Le Comte de Gabalis ou Entretiens sur les sciences secretes (Claude Barbin, Paris 1671). Siamo di fronte all'ennesima operazione di estrapolazione e svuotamento di materiah per così dire maledetti della cultura, poiché in questa sezione e nelle successive (sezioni 20-22), l'autore ricorre all'opera magico-esoterica, forse per iniziati rosacroce, di Nicolas Henry Montfaucon, abate di Villars^ il cui omicidio in situazioni oscure e non risolte venne legato proprio al libretto, best-seller dei salotti dell'epoca, e nel quale, secondo gh appartenenti alla setta (considerati, in seguito, autori materiah del delitto), veniva rivelato, al di fuori della cerchia degli adepti, questo sapere esoterico. Ma in Sanguineti la frase "et/croyez vous q'un chien puisse avoir des enfans d'une femme?/non (répondis-je)"^ -che esce dal suo contesto originale e serve a sottolineare come l'uomo faccia parte della natura, a sua volta dotata di precise regole sulla sua riproduzione- gioca con il bibhco "in umbra mortis" e con il "noi viviamo languendo", che ci consegnano una sorta di essere sociale per la morte, tutto sanguinetiano, dove il tempo della vita è brevissimo. Su questo uomo nella cui vita è già presente la morte, un po' alla maniera di Leopardi, si chiude questa sezione, scandita anche visivamente in perfetti cinque tempi (w. 1-3; 4-17; 18-22; 23-28 e 29-31), come diverse fasi di un'opera, una suite sulla vita e sulla morte, sull'uomo e la sua essenza.

^ Questa attenzione di Sanguineti per Van Gogh può essere stata favorita anche dal saggio di Antonin Artaud Van Gogh il suicidato della società, pubblicato dalle edizioni K nel 1947 - l'occasione che spinse Artaud a scrivere il saggio fu la mostra di Van Gogh all'Orangerie; il testo vinse nel 1948 il premio Sainte-Beuve per la saggistica ed era illustrato da riproduzioni di quadri di Van Gogh. Sanguineti, indirizzato da Seborga, fu un precocissimo lettore di Artaud - e dichiara di aver letto l'edizione originale del saggio. 2 M. Mauss, Teoria generale della magia, Einaudi, Torino 1965, p. 369. 3 A. Gramsci, Il materialismo storico. Editori Riuniti, Roma 1977, pp. 32-35. ^ La citazione è a p. 183. 5 Le traduzioni italiane proposte qui e nelle sezioni seguenti provengono da N. Montfaucon de Villars, Il conte di Gabalis ovvero conversazioni sulle scienze segrete (1670), Phoenix, Genova 1985 e da N. Montfaucon de Villars, G.R Borri, Il conte di Cabali, ragionamenti sulle sdenze segrete, ECIG, Genova 1986, condotte però en-

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trambe su Le Comte de Gabalis our Entretiens sur le sciences secretes, Claude Barbin, Paris 1671 e non sull'edizione dei Nouveaux Entretiens, che in alcune bibliografie delle opere dell'abate di Villars non appaiono neppure. Si rimanda anche alle note dei w . 29-31. 6 Montfaucon de Villars, Il conte di Gabalis, cit., p. 75: '"Credete che un cane possa aver figli da una donna?' 'No' risposi". Nei Nouveaux Entretiens, Colonia 1691, utilizzata da Sanguineti, p. 161.

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e vomiterà consapevole orizzonte Laszo e come puoi de Lys così priva di nome deque Lillaz et cum animalibus omnibus ahimè allontanarti? come puoi il mercato dei pesci a Dieppe rifiutare con i gabbiani bianchi una distesa congiura serpente! intorno all'orologio e pregiudiziale in questa geografia 5 scoiattolo! con GMR incertissima quod gi emme erre pipistrello chiuso in chiesa! legitur sopra una motocicletta; personae nomen? et du Chateau non potrà de Chateaudun scarafaggio! la Sainte-Apolline concludere senza decidere (1889) les Vergers en fleurs vomiterà la vivacità la guerra delle due rose de St. Rémy di una ferita l'infinita moltitudine 10 e mortale di fiori e senza il soccorso e di uccelli di una spettacolare intransigenza sintetica; di questo e la mia lingua eri! Laberinthus la mia rehgione! una lebbra pomeridiana una nebbia e la storia di un amore dottrinale e con un movimento di correnti e sopra un ponte de quo nullus e pornografico vadere quivit e nulla resisterà dunque cavallo! 15 et nullus homo dico il tuo scadimento insistendo qui fuit intus immortale e per il tempo della mia vita dico? ah bruciano questi amori! la possibihtà allora dico di una continua discontinua dichiarazione e la mia vita soltanto dico e l'evidenza di una sicura malsicura 20 contraddizione e per il tempo della mia vita dico ancora io dico resisterà e tu non puoi respirare sempre quoniam hic est una nobis finis se vuoi huius intentionis finis se tu desideri un insensato senso almeno proporzionalmente almeno quasi 25 ininterrottamente ma con tranquiUità ma tanto ostinatamente ma come volevi tu e intessuta di segni e di gigh sporca e la vertigine pungendo cihndrica di ogni libro sopra la tua fronte spezzato et croyez-vous qu'un chien puisse avoir des enfans d'une femme? 30 non (répondis-je) non masticabili noi viviamo languendo in umbra mortis

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Note w . 1-3: Dalla bocca di Laszo esce la direttrice da seguire per entrare e muoversi nella palude, fatta di paesaggi alla Van Gogh. ~ Lys è un fiume delle Fiandre (nasce in Francia e sfocia nella Schelda a Gand), un valico delle Alpi Graie e un torrente della Val d'Aosta; Lillaz è una paesino della Val d'Aosta, frazione di Cogne a 1617 metri. La Val d'Aosta ha, in questo caso preciso, le nostre preferenze, poiché si tratta di una zona frequentata, durante le vacanze, dall'autore. Si tratta quindi di paesaggi visti e visitati. - "cum animalibus omnibus" (con tutti gli animali, con ogni specie vivente) rende animato questo quadro di paesaggi dentro la palude. L'autore può avere avuto stimoh molteplici, tra i quah persino il S. Tommaso del De somno et vigilia, dove troviamo "omnibus animalibus", vd. S. Tommaso, De somno et vigilia in Opera Omnia, voi. VII, a cura di R. Busa, Fromman-Holzboog, Stuttgart Bad Canstatt 1980, p. 15. w . 4-5: Continua l'inventario di paesaggi e animali e oggetti. Il mercato dei pesci a Dieppe (città del nord della Francia, sulla Manica), i gabbiani, il serpente che, da un lato, è una demoniaca figura di terra, dall'altro, come ouroboros, è l'eterno ritorno. L'orologio va messo in connessione proprio con il serpente, e nell'economia testuale indica la circolarità del tempo, la quale è l'elemento cardine di questa geografia della Palus. w . 6-7: Ai gabbiani segue lo scoiattolo e l'immagine del "pipistrello chiuso/in chiesa!", "quod" (poiché) funziona da connettore, "legitur" (si legge) mette in relazione GMR con "sopra una motocicletta" che chiude la frase. GMR è la sigla del nome di un privilegiato lettore (come R C lo è di EUie, vd. sez. 10), in carne ed ossa, reale, di un vero lettore coUaboratore. Si tratta di un giovane amico dell'autore. ~ La descrizione di questi paesaggi, alla Van Gogh, del nord della Francia continua con il castello ("du Chateau") - potrebbe essere appunto l'immagine di un castello o la prima parte del nome di una cittadina, sul tipo di Chateau du Loire o Chateau Thierry o con tutta probabilità, alla luce deUe vacanze reah dell'autore, il paesino omonimo deUa Val d'Aosta a 1427 metri, vicino a Champorcher (vd. w. 1-3). ~ Per il binomio "personae nomen" vd. Introduzione e soprattutto M. Mauss, Teoria generale, cit., pp. 351-381, dove l'autore si sofferma approfonditamente sulla persona civile, suUe personae religiose e sul 'nomen numen\ nome sacro della gens, come nucleo primario di una costruzione dell'io. Ved anche S. Tommaso, Summa Theologiae, I pars, quaestio XXXIII in Opera Omnia, Voi. II, a cura di R. Busa, cit., pp. 235-237. vv. 8-10: Continua il catalogo: Chateaudun è una città deUa Beauce, su un rialzo aUa destra del fiume Loir. Si tratta di un luogo presente neUa Recherche di Proust (vd. M. Proust, Alla ricerca del tempo perduto, Mondadori, MUano 1983-1993, 4 voU.: voi. I pp. 70 e 123; voi. II p. 539 e voi. Ili p. 122). Sainte Apolline è la protettrice di coloro che soffrono di mal di denti (si tratta di una giovane vergine martirizzata e uccisa nel 249 ad Alessandria), una capella a lei dedicata si trova a Ferrières en Gàtinais, a 130 km da Chateaudun. Partendo da un possibile itinerario nei luoghi proustiani, tra IIliers e Chateaudun, l'autore crea suUa pagina una sorta di calco trasformato della Normandia stessa di Proust. Sempre per questo gioco polifonico a strati. St. Rémy potreb-

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be essere la chiesa e l'abbazia di Reims, di epoca medievale (XI sec.), anche se, in relazione al contesto. St. Rémy è qui la cittadina della Provenza dove nel 1889 Van Gogh chiese di essere internato e dove dipinse una serie di quadri. St. Rémy è anche -il gioco degli strati e delle scatole cinesi continua- la città natale di Nostradamus. ~ Allo "scarafaggio" segue "la guerra delle due rose" (il conflitto che ebbe inizio come dissidio dinastico tra i due rami rivali della famigha inglese dei Plantageneti, rami costituiti dalle due case di Lancaster e di York, e durò, con intermittenze, dal 1455 al 1485. La parola fine alla contesa si ebbe con la vittoria di Enrico Tudor, rappresentante dei Lancaster, che sah al trono con il nome di Enrico VII, inaugurando la dinastia Tudor). ~ "les Vergers en fleur" (i frutteti in fiore, i verzieri in fiore) è il titolo di una serie di dipinti di Van Gogh e costituisce un ulteriore elemento di questi paesaggi francesi, dove il tratto alla Van Gogh viene corretto e completato da un gusto proustiano (le fanciulle in fiore). Il sintagma potrebbe essere la didascalia di una cartohna raffigurante una delle tele "Verger en fleur" di Van Gogh. Infatti, nel testo, la serie "(1889) les Vergers en fleur de St. Rémy" costituisce la chiara spia autoriale della presenza di Van Gogh nella costruzione di questo paesaggio pohsemico. Colore e linee spesse, deformate, sono alla Van Gogh, ma il movimento dell'espressione possiede un tono che conferisce levità, delicatezza al quadro paesaggistico, secondo una efficacia e una capacità di descrivere a pieno con pochi tratti che sono tutte proustiane, e non solo del Proust della Recherche, ma anche di quello de Les plasirs et les jours. Francia e Val d'Aosta vengono viste attraverso questo cannocchiale deformato. vv. 11-13: "l'infinita moltitudine e mortale" è caratteristica dei "fiori". La serie continua con gh uccelh e attraverso una "intransigenza sintetica", cioè artificiale, si giunge all'uomo, all'io. Troviamo così "la mia lingua", che rimanda immediatamente al "hnguaggio che partorisce" (sez. 10, v. 5), "la mia rehgione", quasi una malattia, "una lebbra". E da questa "nebbia" "pomeridiana" emerge "la storia di un amore/dottrinale", cioè di un amore stilnovisticamente dottrina, strumento e metodo per la decifrazione e l'interpretazione del mondo. Ma al centro dei versi troviamo l'io come "Laberinthus", e qui la definizione ha un valore polivalente, poiché è valida per l'io dell'uomo, per la realtà effettuale, e per l'opera {opus di mano umana) che stiamo leggendo. Infine è anche una indicazione, per così dire, di poetica, in quanto rispecchia il progetto creativo autoriale, già dichiarato nel titolo. ~ "Laberinthus" e i lacerti latini dei w. 14-16 sono prelevati dall'iscrizione del Simbolico Labirinto del Duomo di San Martino di Lucca: HIC QUEM CRETICOS EDIT/DEDAUL EST LABERINTHUS/DE QUO NULLUS VADERE/QUIVIT QUI FUIT INTUS/NI THESEUS GRATIS ADRIANAE/STAMINE JUTUS (in grassetto le parti presenti nella sezione; "Il cretese Dedalo edificò questo che è un labirinto dal quale nessuno di quelli che ci finirono dentro riuscì ad uscire se non Teseo aiutato con il filo di Arianna disinteressatamente"). Per il labirinto rimandiamo anche alle riflessioni di Kerényi, che si sofferma proprio su quello di Lucca (vd. Anarchia e Complicazione). Labirinto e vita lunare sono immagini solidali di un andamento ciclico della vita, come mette in risalto Giovanni Semerano che scrive: " - truies: cfr. truia 'labirinto', con valore originario di 'ciclo', 'giro'. Il labirinto, simbolicamente rappresentato dai mesopotamici come anse intestinah, indica i cich cosmici e stagionah, e perciò gh eterni ritorni." (G. Semerano, La favo-

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la dell'indoeuropeo. Bruno Mondadori, Milano 2005, p. 77). Ma anche la "rappresentazione che definisce la maternità è caratterizzata dal disegno del labirinto, simbolo dell'utero. Il gomitolo, raccolto nell'addome, per i mesopotamici è il luogo sacro del concepimento, centro della vita." (G. Semerano, L'infinito: un equivoco millenario. Bruno Mondadori, Milano 2004, p. 69). w . 14-15: L'"amore dottrinale" è una passione, in quanto "movimenti di correnti", l'incontro è "sopra un ponte"; "de quod nullus" "vadere quivit" (dal quale nessuno riuscì a fuggire, prelievi dall'iscrizione citata). Questo amore è un incontro di cor?i, è "pornografico", abbatte e travolge ogni ostacolo (nulla resisterà), è potente e vecce come un cavallo. w . 16-17: A questo amore non può sfuggire "nullus homo" (nessun uomo) "qui fuit intus" (che ci finì dentro) (altri prelievi dalla iscrizione del Duomo di Lucca). Qui l'autore sottohnea il lato di "scadimento" inteso come disgregazione e abbassamento della folha d'amore e anche il consumarsi della vita. Il centro, terminato il catalogo di oggetti usati e desueti, diventa alla fine di questa lassa "il tempo della mia vita", cioè la possibilità di esperienza dell'uomo, "et nullus homo" può avere diverse provenienze, dal latino classico a S. Tommaso fino alla versione latina del Cantico di Frate Sole di S. Francesco. V. 18: "il tempo della mia vita" è scandito dall'amore che però è precario e fugace. Si tratta di un tema che attraverso l'intera opera (vd. sez. 3 v. 43; sez. 6 vv. 10-13; sez. 6 w . 17-18; sez. 7 w . 1, 8, 19, 41-42; sez. 11 w . 8 e 13-16). w . 19-22: La catena aUitterante e ossimorica "dico continua discontinua dichiarazione dico sicura malsicura contraddizione dico dico" concentra l'attenzione sull'equivalenza tra tempo e hnguaggio, inteso, qui, come possibilità di prendere la parola, di dire "una dichiarazione". Ma questo atto comunicativo è dominato dalla contraddizione, dall'ossimoro che solo può contenere la polifonia del reale. Niva Lorenzini per questi versi parla di impossibilità di comunicare, di "canagliesco avvertimento" che "diviene esphcita ammissione nell'iterazione del verbo 'dico', usato per una 'esplicatio' che rimane spazio bianco", in II laboratorio della poesia, cit., p. 31. ~ Questa contraddizione "resisterà" lasciando traccia della presenza umana. La parola è l'unico tratto pecuhare esclusivo deh'uomo. w . 23-25: Il "tu non puoi respirare sempre" sottolinea, partendo dalla funzione che megho di tutte rappresenta il vivere (cioè il soffio vitale, il respiro con i suoi tempi, il battito), la natura mortale dell'uomo, secondo un modello letterario consolidato, dai classici a Leopardi. Questi versi, con le traduzioni in itahano dei vocaboli latini, suonano così: "e tu uomo sei mortale, e poiché questa fine (la morte) è certa per noi tutti, se vuoi, ed è questa la fine di questi sforzi e propositi, tu, allora, desideri almeno un insensato senso". Quindi proprio la mortahtà dell'uomo lo induce e lo costringe a cercare un senso in questa breve vita, un "insensato senso"; con questo ossimoro, l'autore sottolinea non solo un senso senza senso, cioè artificiale, creato dall'uomo stesso come antidoto alle paure della morte, ma anche l'eterogenesi dei fini dell'azione umana, e cioè come l'uomo perseguendo alcuni obiettivi ne raggiunga in realtà altri, diversi da quelli progettati, talvolta persino contrastanti o opposti, "quoniam hic est una nobis finis" e "huis intentionis finis" paiono essere di pugno dell'autore, a par-

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tire da un lessico che si trova frequentemente in S. Tommaso, dalla Summa Theologiae alle Quaestiones disputatae de ventate. w . 26-29: L'effetto del senso (pratica ininterrotta -cioè continua, spezzata solo dalla morte- tranquilla e ostinata) è uno spaesamento, una vertigine, "intessuta di segni", cioè creata sui hnguaggi, sui codici, nella loro totahtà, della parola, all'immagine al corpo, e "sporca" "di gigli", cioè di elementi della natura. Questa "vertigine" è "cihndrica", ha una forma geometrica, poiché è diventata qualcosa di solido e di concreto: l'effetto sull'uomo è quello di un colpo che stordisce, di un "libro" "spezzato" "sopra la tua fronte", come dice, ricomposto, il v. 28. w . 29-31: Questi due ultimi versi, vero explicit della sezione, ultimo tempo di questa suite, sottolineano l'impossibilità, secondo le ferree leggi della natura, di un'unione tra gh uomini e gli animah; la caratteristica dell'uomo è di uscire da questa dimensione per andare verso la virtù e il sapere, ma, comunque, noi esseri umani viviamo sotto l'egida cosciente della morte, all'ombra della morte, in sua attesa, in uno stato di precarietà e sofferenza, languendo. ~ "et/croyez-vous qu'un chien piusse avoir des enfans d'une femme?/non (répondis-je)" è estrapolato dalla "Quinta conversazione" dei Nouveaux Entretiens sur le Sciences Secretes, ou le Comte de Gabalis, dove troviamo a p. 161: "Que me dites-vous là, Monsieur? [m'écriai-je] Je vous dis vrai [pursuivit-il]. Croyez-vous qu'un chien puisse avoir des enfans d'une femme? Non [répondis-je] Et un Singe [ajouta-t-il]". Il testo del Gabalis ha una storia un po' particolare, poiché le indicazioni paratestuah sono false: Cologne 1691 Marteau nasconde, con tutta probabihtà per superare la censura, un Marteho Napoh 1691. La scheda deha Palatina, che ci ha fornito la copia in consultazione, indica, con certezza, l'abate Montfaucon de Villars come autore dell'opera, mentre la nota manoscritta sulla controguardia anteriore: "Le fonde de ce livre de Mr. Villars est tire de 'La Chiave del Gabinetto del Borri'" (studioso milanese), ci parla di una circolazione del sapere e una via di fruizione che porterà il testo tra le mani del Principe di Sansevero. La traduzione è " 'Che mi dite, signore?' esclamai 'Vi dico la verità -proseguì- Credete che un cane possa avere figh da una donna?'; 'No' risposi. ' E da una scimmia?'". Il Conte di Gabalis, cit., p. 75, dove alla fine si chiede appunto se almeno sia possibile l'unione con una scimmia. Per un quadro articolato su questo testo, sul suo autore, sull'alchimista milanese Giuseppe Francesco Borri, autore de La Chiave del Gabinetto, opera simile al Conte di Gabalis e su Raimondo de Sangro, Principe di Sansevero, autore di una traduzione settecentesca del Conte di Gabalis -nel cui frontespizio viene falsamente indicata Londra come luogo di stampa, strategia utihzzata in parecchie occasioni dagh autori o dai traduttori di testi esoterici, in odore di censura o di inquisizione, per evitare l'intervento di istituzioni statali o ecclesiastiche- si veda Nicolas H. Montfaucon de Villars, G.F. Borri, Il Conte di Gabalì, Ragionamenti sulle scienze segrete, comm. e note di C. Miccinelh e C. Ammirato, ECIG, Genova 1986 (persino in questo studio accurato non è segnalato il testo usato da Sanguineti, di difficile reperimento, ma si fa riferimento ad un seguito apocrifo del 1715). - "non masticabih" sottolinea anche, in maniera cronica, la non commestibilità dell'uomo. ~ "in umbra mortis" (nell'ombra, nell'oscurità della morte o nella vanità, nel nulla della morte) è sintagma bibhco: si vedano i Salmi 43:20 "Quoniam humiliasti nos in loco adflictionis et cooperuit nos umbra mor-

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tis"; 106:10 "sedentes in tenebris et umbra mortis vinctos in mendicitate et ferro"; 106:14 " et eduxit eos de tenebris et umbra mortis et vincula eorum disrupit"; Giobbe 3:5 "obscurent eum tenebrae et umbra mortis occupet eum caligo et involvatur amaritudine"; ancora Giobbe 10:22 "terram miseriae et tenebrarum ubi umbra mortis et nullus ordo et sempiternus horror inhabitans" e 34:22 "non sunt tenebrae et non est umbra mortis ut abscondantur ibi qui operantur iniquitatem"; i Vangeli di Matteo (4:16) "populus qui sedebat in tenebris lucem vidit magnam et sedentibus in regione et umbra mortis lux orta est eis" e Luca (1:79) "inluminare his qui in tenebris et in umbra mortis sedent ad dirigendos pedes nostros in viam pacis". Troviamo una traccia di questo sintagma anche in Lucano (Bellum civile o Pharsalia, Lib. IX, v. 215): "vocibus his maior, quam si Romana sonarent rostra duces laudes, generosam venit ad umbram mortis hones" ("Da queste parole venne al nobile spirito di Pompeo un onore funebre maggiore che se le lodi del condottiero fossero risuonate sui rostri di Roma", Lucano, La guerra civile, Utet, Torino 1988, pp. 464-465).

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SEZIONE 2 0

Introduzione Questa nuova sezione sviluppa, puntualizza e precisa, nei suoi contorni e nei suoi effetti, quello che la sez. 18 e la sez. 19 avevano dehneato e portato alla luce; il testo si apre sul grande, grosso ebreo (in tedesco "das grosse Jot", in spagnolo "el marrano"), che, per certi versi, è legato a Ruben (vd. sez. 3, v. 10 e soprattutto v. 18), per altri è un personaggio di intermediazione sia del triangolo Ruben, Ellie, Laszo, se si guarda alla storia sotterranea di Laborintus, sia delle funzioni narrative, sul piano, in questo caso, della struttura formale e della gestione narratologica dei personaggi. Stazione dopo stazione, l'ebreo si configura come una figura multiforme e polifonica, lo spettro di maschere, di personae che incarna, o dalle quah, molto più semplicemente, estrapola alcune caratteristiche e quahtà da riassemblare in nuova figura, è variegato e molteplice: dal Moneybags della sez. 18, capitahsta ritratto da Karl Marx, all'ebreo errante. Questa sezione, dove Laszo non è solamente il protagonista, ma è anche una sorta di destinatario interno, di narratario, al quale viene rivolto il discorso (e dietro l'io che parla sono presenti l'autore, ciò che rimane di Elhe e soprattutto Ruben), è il sequel dell'incontro con Ruben 'al cader del sole'; Ruben non è solo il 'repertorio ontologico' (v. 16, sez. 18) di Laszo, ma è qualcosa che nel particolare opus laborintico deve unirsi a Laszo. Pare che l'esplosione/implosione di EUie, il suo scioghmento, sia non solo il meccanismo di innesto della trasformazione, ma che ella stessa sia il solvente, nella prima fase, e ciò che permette una ricostruzione nell'ultima. Laszo, uomo del Sole, ha bisogno per esprimere le sue potenziahtà delle proprietà materiah di Ruben, di ciò che Ruben è e contiene. Quasi senza che ce ne accorgiamo, il discorso ci porta dentro al tema capitale della riproduzione, sul quale l'autore si era già soffermato negli ultimi versi della sez. 19 con la citazione dai Nouveaux Entretiens, che ritroviamo, in maniera ancora più consistente, presente in questa sezione: a farla da padrone anche in questo caso è la "Conversazione Quinta" del libello e la parte, appunto, sulla riproduzione, sull'unione sconosciuta tra i Silfi, le Ninfe, gh Gnomi, le Salamandre e gh uomini. C'è quindi una coerenza tra vecchio e nuovo contesto, sebbene, rispetto ai Nouveaux Entretiens, l'attenzione sanguinetiana sia veramente rivolta a un deposito di materiali 'maledetti', nuovamente disponibili per l'uso. "riproduttrice [...] femminile [...] des enfans", prodotto di una ricostru-

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zione sintattica, attraverso inversioni del v. 4, è il centro dell'intera sezione, dove la nascita, proprio quasi come mistero della creazione, al di fuori di una logica ciclica, di eterno ritorno, di nascita/morte/rinascita, diventa l'elemento sul quale si focalizza il discorso. Laszo è colui che soprintende, partecipando, a questa creazione: l'attenzione è, hic et nunc, alla pratica della riproduzione. Si evidenzia bene la meccanicità e l'indifferenza della Natura, in un discorso che pare una sorta di lettura, straniata e un poco rovesciata, della Ginestra leopardiana (del resto, r"infeconda cahgine" sanguinetiana del v. 10 rimanda alle leopardiane "ceneri infeconde"^: l'infecondità è proprio la caratteristica fondamentale sia del paesaggio leopardiano sia di quello sanguinetiano, entrambi deserti dove nessuna procreazione è possibile), poiché Sanguineti declina, in maniera fredda e distaccata, questa riflessione. La tragedia perde i contorni ottocenteschi per diventare una semplice constatazione, un dato di fatto dal quale elaborare un sapere in linea con il nuovo "orizzonte del mondo". Proprio questo nuovo mondo, che nei lontani anni cinquanta si stava anche materialmente formando, dopo la choccante e distruttiva esperienza della guerra, ha bisogno, per essere compreso e decifrato, di un nuovo "methode ordinaire", cioè di un sistema ordinario, nel senso di adatto, efficace, al passo con i tempi, in grado di funzionare in tutte le nuove circostanze. Le Comte de Gabalis diventa così -dopo e con le stesse modalità di Jungun'altra enciclopedia di materiah verbah e di oggetti di un sapere maledetto e tenuto comunque ai margini della cultura ufficiale, disponibile quindi, per la sua stessa extraterritorialità, ad entrare nell'opera sanguinetiana, naturalmente perdendo, come del resto tutti i contributi inseriti nell'opera, secondo una strategia chiara, efficace e consolidata (perseguita con decisione fin dalla prima sezione, tanto da essere un tratto stilistico essenziale di Laborintus), i suoi connotati originari per acquisire forza e significato dal nuovo contesto. Il nuovo mondo è un mondo "che si apre senza fine nello spazio", al punto che da "des enfans" e "de grande espérance", che, in quando figh (bambini) della grande speranza, caratterizzavano la prima fase del discorso sulla riproduzione, si passa alla "forme du monde spaziale", cioè alla conformazione propria del mondo con tutti i suoi aspetti e con tutti i suoi oggetti, che poi, in ultima istanza, si rivela perfettamente omologo alla Palude testuale, di modo che la Palude è il mondo. In essa, su una "infeconda cahgine", dal forte sapore baudelairiano, galleggia "ogni oggetto", "oscuro indeterminato", ma anche "oggetti reali". Proprio gh oggetti sono una delle ossessioni dell'opera, ad iniziare da quel "les objets à réaction poetique" (v. 16, sez. 4), prelevato da Le Corbusier, pronto ad aprirci un varco sull'oggetto surreahsta (vd. sez. 4), per arrivare a "Elhe occulta/disastroso oggetto mentale" (w. 1-2, sez. 13), in uno spettro

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che ci porta dal modello surreahsta di Dah e Breton, di apertura del e sul sogno, di protagonisti del **rêve'\ a materiahzzazioni concrete, a elementi che popolano la realtà, con i quah è necessario confrontarsi, poiché mettono in atto alcune dinamiche fisiche e psichiche che non si riducono più al sogno e al ricordo, come esperienza transitoria e limitata, ma h rendono momenti che caratterizzano la vita nella sua quotidianità. Sanguineti eredita dal surrealismo, e più precisamente dalla triade BretonBuñuel-Vigo, un oggetto con un determinato statuto, sul quale egh poi lavora attivamente hberandolo da ogni idea mistica ed esoterica, di un gusto per il magico, attentamente e diacriticamente attraversato (gettando Jung su Gabalis e viceversa), e di ogni meccanicità, rendendolo elemento materiale, naturalmente multistratificato, pronto a reagire, e non solo poeticamente, ma anche praticamente, nel sogno e nella prassi, per riconsegnarlo, infine, proprio a Buñuel, che nel suo Cet obscur objet du désir sfrutta a pieno queste potenzialità, tanto che davvero kborinticamente "quoi qu'elle fasse elle est désir" (v. 33, sez. 10). Questo è l'oscuro oggetto, reale, partorito -anch'essodalle femmes della sezione, pronto alla vita in un paludoso mondo, in talune circostanze veicolo del sogno e del ricordo, della memoria involontaria, in altre concreto appigho a cui tentare di agganciarsi per non sprofondare, in un continuo scambio tra realtà effettuale e dimensione onirica. ^ Ma questo rapporto buñuehano non si esaurisce in un tema privilegiato, bensì, in questa sezione particolare, anche in una costruzione sintattica dove - come osserva Niva Lorenzini: [...] il ritmo si spezza tra continui dislivelli e scarti semantici, sino a calcolatissimi intarsi di suoni impronunciabili in un contesto estremamente accidentato e ad abbreviazioni incomprensibih ("anche der J. d. Gr. se. das grosse Jot d.h. quod tantum hélas scire licet" sez. 20), mentre i vocaboh lunghi rimangono solo come eco sonora, perdendo a causa delle continue interruzioni la capacità di delineare andature metriche di tipo quantitativo.2

L'intreccio di hngue e di codici diversi e quasi disparati crea, appunto fin dal primo verso -anche rispetto alle sezioni precedenti-, un senso di ulteriore spaesamento che, in questa sorta di apostrofe a Laszo, ci accompagna fino all'ultima riga, 2ÍVexplicit, in un continuo gioco di montaggio di tessere, dove citazioni, travestimenti, pezzi originali, si intersecano, si amalgamano in un nuovo impasto. Proprio Vexplicit (i w. 15-17 "et je l'aime/mais au milieau de ma félicité (M.DC.XCI!) je suis troublé quelquefois/par le ressouvenir que l'Eglise Romaine n'approuve peut-être pas tout cela!") è prelevato di peso dalla solita "Quinta Conversazione" dei Nouveaux Entretiens,

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Guardando al testo del Gabalis nella sua completezza (nella nota ai w. 1517), questo contesto ha fornito, al di là della chiusa, anche altri elementi hnguistici disseminati nell'intera sezione, in modo da conferirle quasi, attraverso queste spie, vere tracce nascoste, l'andamento di un crescendo, di cui la fine è, quasi melodrammaticamente, il culmine, l'apice. In pratica, questa serie di materiah verbah, lentamente e sapientemente dosati, prepara proprio Vexplicit che, per certi versi, funziona nell'economia della sezione anche come rubrica, come insegna e quindi, forzando un po' il testo in una direzione, però ampiamente lecita perché indicata e quasi indotta dal testo stesso, come le didascahe de L'age d'or, che paiono fuoriuscire dall'opera per sovrapporsi, in un gioco di piani e di dislivelli. Con una certa omologia, anche qui c'è traccia del problema religioso, dell'approvazione della Chiesa Cattolica, ma se in Gabalis il problema era proprio quello dei rapporti tra sapere esoterico e Chiesa istituzionale, qui diventa l'allegoria di un nuovo contrasto, quello tra un nuovo sapere, nuovi progetti sociali, e la società con tutte le sue istituzioni pronte a difendere lo status quo, e a mobilitarsi contro ogni trasformazione e contro ogni cambiamento che possa insidiare la sua posizione egemonica. Gabalis viene privato della sua carica misterico-esoterica, per diventare uno dei tanti mattoni di questo Laborintus, opus di una nuova società, di un nuovo uomo, se possibile, capace di evitare l'autodistruzione del pericolo atomico. Questo progetto di nuovo sapere per una nuova società è uno dei fih conduttori dell'intero poemetto, nel quale la sez. 20 costituisce, tra le altre cose, il momento di individuazione della Chiesa come rappresentante dell'universo della conservazione. Le vecchie istituzioni e le loro ideologie, del resto, hanno portato l'uomo alla seconda guerra mondiale e ai lager, ci vuole un salto di qualità -per Sanguineti- se si vuole evitare lo scontro atomico (è ancora fresca la guerra di Corea, nel momento di composizione del poema) e la Chiesa Romana è un cardine della vecchia società, del vecchio mondo, da superare. Questo scontro si consuma sul piano sociale come su quello strettamente individuale e privato, infatti la Chiesa che non approva si riferisce, attraverso l'allusione erotica, alla gestione del corpo e dei rapporti sessuah.

1 La ginestra, v. 18 in G. Leopardi, Canti, a cura di N. Gallo e C. Garboh, Einaudi, Torino 1972, p. 275. 2 N. Lorenzini, Il laboratorio, cit., p. 31.

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20.

anche der J. d. Gr. se. das grosse Jot d.h. quod tantum hélas scire licet 'el marrano' caso mai anche dice (mi dice) non riuscirai (sic) a capire Laszo quanto (io) ti sia legato la sorpresa oggi anche di una insospettabile equivalenza et il faut faire Laszo e riproduttrice des enfans femminile in anticipazione (elle s'étend) immensa (sans limite) come l'orizzonte 5 del mondo e veracemente egli è un mondo mais autrement che si apre senza fine nello spazio qu'à la méthode che senza fine ha sviluppo ordinaire nel tempo un mondo où seule est tracée et je l'aime! con una qualunque disposizione la forme du monde spaziale et j'en ai per un esempio des enfans! et de grande espérance dapprima una infeconda caligine 10 dove ogni oggetto e per me anche oggetti reali oscuro indeterminato sono là! in questo nebuloso orizzonte e sono portatori assolutamente incapace di una determinazione totale di determinazioni et ces souvenirs forment une chaîne! spaziale et je l'aime 15 mais au miheu de ma félicité (M.DC.XCI!) je suis troublé quelquefois par le ressouvenir que l'Eghse Romaine n'approuve peut-être pas tout cela!

Note V. 1: "sc." sta per scilicet, che ha il significato di cioè, vale a dire, s'intende, "d.h." significa "das heißt" che in tedesco vuol dire ancora cioè, è un sinonimo di scilicet, in un continuo gioco di babele linguistica che porta l'autore ad inserire nel frammento latino, costruito come queho tedesco, il francese "hélas" (ohimè), che è tipico del linguaggio tragico-melodrammatico. Questo verso plurilinguistico può essere reso così: "anche il grande ebreo, cioè il grande Jot, cioè quel che solo ohimè è lecito sapere". ~ La lettera J è Jot, simbolo di "Juden", ebreo, giudeo. w . 2-3: "el marrano" è l'ebreo in spagnolo; in questo modo l'autore ribadisce, ancora una volta, la centrahtà di questa figura, allargando lo spettro lessicale anche allo spagnolo, "dice (mi dice)" sottolinea, con effetti allitteranti, l'apostrofe a Laszo. "quanto ti sia legato" esprime la necessità dell'unione. ~ "non riuscirai (sic) a capire" gioca con lo "scire licet" del v. 1. "sic" (così) messo tra parentesi pare l'intervento ironico e diretto dell'autore, che entra nel testo. ~ "la sorpresa" è per "una insospettabile equivalenza", che ci porta dentro il v. 4.

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vv. 4-5: La sorpresa per l'equivalenza è quella per il rapporto di riproduzione, con la "riproduttrice femminile". ~ Il "faut faire" significa "è necessario fare", "bisogna fare"; "elle s'etend" (ella si estende); "sans limite" (senza limite). Queste inserzioni sono, con tutta probabilità, inserzioni autoriali, anche se non si può escludere una serie di rapporti, per così dire, di secondo grado, che valgono anche per i versi seguenti. Possiamo cioè pensare ad un gioco di interpolazione testuale delle citazioni trasportate dai Nouveaux Entretiens, tra pp. 186-187 (testo nella nota seguente), p. 194 ("Il faut faire parler un Cabahste comme un Saint"), e p. 210 ("qu'Eve & toute autre femme auroit pû faire des enfans sans les hommes les eussent touchées"). ~ Senza limiti sarà proprio r"orizzonte del mondo", "des enfans" proviene dalla "Quinta Conversazione"; il contesto è il medesimo dei w . 6-7. - Le parentesi conferiscono profondità al testo, dando l'impressione di una presa diretta di parola da parte dell'autore. w. 6-7: L'orizzonte si apre su un mondo senza hmiti e infinito nello spazio per il quale è necessario un nuovo sistema di decifrazione e di interpretazione. Il francese di questi due versi, sapientemente frantumato e un po' rielaborato, è estratto dalla "Quinta Conversazione" dei Nouveaux Entretiens: "Vôtre Cabale Monsieur (continuai-) e) donne donc quelque invention à l'Homme & à la Femme de faire des Enfans autrement qu'à la méthode ordinaire?" (pp. 186-187). ("La vostra cabbala, signore, dà dunque all'uomo ed alla donna qualche espediente per generare figh in modo diverso dal metodo ordinario?", p. 85). Per il modo e il metodo della riproduzione, i versi richiamano e rimandano ai w . 30-31 della sez. 19, sempre di sapore e di provenienza gabalisiana. ~ Naturalmente "méthode ordinaire" diventa, per un gioco sul significante, metodo, e non semplice strumento, per interpretare il mondo e affrontare la vita. Il "mais" (ma) è il connettore autoriale. I versi 'in prosa' suonano così: "del mondo e veracemente egli è un mondo ma diverso (oltre) che si apre senza/fine nello spazio del metodo che senza fine ha sviluppo ordinario". w . 8-10: Siamo entrati totalmente dentro al mondo e ai suoi meccanismi naturali di riproduzione. Frammentato, troviamo, sempre dalla "Quinta Conversazione" dei Nouveaux Entretiens: "je l'aime, j'en ai des enfans de grande espérance" (p. 152; trad.: "Io l'amo e ne ho figh di belle speranze", p. 72). Il contesto è il medesimo della chiusa, "où seule est tracée" (dove sola è tracciata) e "la forme du monde" (la forma del mondo) sono costruzioni autoriali (per eventuali altre provenienze, vd. nota ai w . 4-5 e nota ai w. 6-7). ~ "una infeconda caligine" rimanda non solo a Leopardi, alle "ceneri infeconde" della Ginestra (v. 18), ma è anche un sintagma dove Montale sembra letto attraverso Baudelaire: caligine in senso morale si trova già in Dante ("purgando la cahgine del mondo"), ma qui il tono è quello di "una notte balugina", di "ah di bitume semi/mozze dalla fatica" (E. Montale, Piccolo testamento, in Uopera in versi, a cura di G. Contini e R. Bettarini, Einaudi, Torino 1980, p. 267), dove ¡'"ombroso Lucifero" montaliano (a p. 267), attraverso l'aggettivo "infeconda" (impossibihtata a produrre la vita - la caligine è anche, qui e ora, il fumo nero delle ciminiere delle industrie, qualcosa che va oltre la cenere leopardiana), viene, per così dire, visitato dal Satana Trismegisto di "Al lettore" di Baudelaire, perché "Aux objets répugnants nous trouvons des appas" {Dai più schifosi oggetti siamo attratti, in C. Baudelaire, I fiori del male, in

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opere, Mondadori, Milano 1996, pp. 20-21). Quindi rovesciato per essere completato. Il triangolo linguistico, attraverso il lessico, è quindi Leopardi gettato su Montale, a sua volta attraversato e interpretato con l'ausilio di Baudelaire. w . 11-12: "in questo nebuloso orizzonte" di un universo caliginoso e fumante escono alla luce gli oggetti, non solo ripugnanti, segni del reale e chiavi dell'onirico (vd. anche Introduzione alla sez. 4 e nota al v. 16 della sez. 4). Oggetti ritrovati e ripugnanti, utili ed inutili, animati ed inanimati, popolano tanto l'universo onirico quanto la realtà effettuale, assediano ed assiUano l'uomo. w . 13-14: Oggetti, però, incapaci di una "determinazione totale", cioè di umanità, di "scambi di amorosi sensi". ~ "et ces souvenirs forment une chaîne" (e questi ricordi formano una catena) possiede il doppio statuto di frammento, ma diventa qui decisivo perché la catena è spaziale, cioè concreta e materiale, tanto che la memoria non è più solo qualcosa di virtuale, ma agisce neUa prassi. w . 15-17: Si tratta sempre della "Quinta Conversazione" dei Nouveaux Entretiens, con minime varianti; l'inserimento di "(M.DM.XCI!)", cioè 1691, che potrebbe essere la traccia data dall'autore al lettore per individuare la fonte - 1691 è la data di pubblicazione dei Nouveaux Entretiens. Il contesto è "Les raisonnemens de ces Sçavans hommes ont convaincu mon esprit, & les attraits de la Nimphe m'ont gagné le coeur; je l'aime, j'en ai des enfans de grande espérance: mais au miheu de ma félicité je suis troublé quelquefois par le ressouvenir que l'Eglise Romaine n'approuve peut-etre pas tout cela" (p. 152). Trad.: "I ragionamenti di quei sapienti hanno convinto il mio spirito, e le attrattive della Ninfa mi hanno preso il cuore; io l'amo e ne ho figh di belle speranze; però, in mezzo alla mia fedeltà, talvolta sono scosso dal pensiero che la Chiesa Romana forse non approva molto tutto questo", p. 72. Ma qui l'autore, parlando per aUegorie -come si addice ai poeti-, evidenzia con forza come ogni novità di pensiero, ogni tentativo di andare oltre la situazione data, di superarla in una unione di nuova teoria e di una nuova prassi, venga sistematicamente combattuta dalle millenarie istituzioni, di cui la Chiesa è il miglior simbolo.

SEZIONE 21

Introduzione Dopo aver creato un rapporto tra parole, cose e oggetti, inseriti insieme in questa Palus, dove Tuomo cerca, "languendo", di vivere al meglio la propria vita, riproducendosi, quasi animale in cattività, Sanguineti si sofferma, ancora, sulla natura labirintica di questa palude, piena di paesaggi, alberi e laghi, montagne e mari, variamente dislocati secondo una dialettica di presenza umana e nulla, che la sequenza delle stazioni evidenzia e segna puntualmente. Laborintus è -come è ormai chiaro- un universo onirico estremamente reale, concreto e materiale, e veramente -come dice Curi- siamo in presenza di "una attivazione critica della produzione onirica"^ Questa sezione contribuisce a mettere megho a fuoco alcuni aspetti già gettati nella mischia babehca delle scritture, attraverso un processo di oggettivazione che è anche, appunto, straniamento, in quanto vera presa di distanza critica dai materiali trattati. Secondo Curi, Sanguineti [...] affrontava con Laborintus la questione mostrando nella concretezza della pratica verbale che non era possibile assumere il problema della comunicazione letteraria se non a partire da quella che la nostra indagine ha mostrato essere una vera e propria tradizione della non-comunicazione. Questo spiega perché Laborintus, più ancora che intessuto di citazioni, è saturo del già detto. Era appunto il già detto e non il dicibile, il suo orizzonte espressivo. O meglio: il dicibile, nel suo orizzonte, non poteva che essere, al primo costituirsi del linguaggio, il già detto.^

Le parole di Curi -non esiste tuttavia in Sanguineti contraddizione o opposizione tra citazioni e già detto, ma anzi le citazioni di qualunque tipo o genere, dal testo dell'autore consohdato e centrale nella cultura sino ai frammenti di un dialogo privato, vengono trattate allo stesso modo, poiché non è avvertita alcuna differenza, in quanto la citazione è proprio il deposito del già detto; e in quest'ottica tutto diventa citazione- descrivono bene questa sezione, la più breve, ma sicuramente ugualmente molto densa, poiché qui l'autore ci mostra l'omologia tra realtà effettuale, come universo mondo, la Palude e il linguaggio che li deve esprimere, e tutte e tre queste componenti assumono, nelle loro manifestazioni, la forma del labirinto, rimandando l'una all'altra come in un gioco di specchi.

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In questa parte del poemetto (dalla sez. 17 alla sez. 23), in corrispondenza con il totale scioglimento dei residui di Ellie, ci viene svelata la forma geometrica del reale nella sua totalità, in tutti i suoi aspetti, quasi che le componenti di Elhe abbiano la proprietà di funzionare da veri reagenti, innescando un processo di demistificazione del reale, svelandone la natura e le forme occulte. Proprio l'idea di una strategia del già detto (o della citazione, che dir si voglia), trova in questa sez. 21 (e poi anche nella sez. 22), una delle sue più febei realizzazioni con l'uso tipico delle virgolette della citazione o del dialogo: "parla e vive senza sgomenti" (v. 5) è la trasposizione di frammenti prelevati da una lettera privata e non d'autore, anche se, a livello di costruzione frastica, sembra esemplificata sul dantesco "dirò come colui che piange e dice" (/^/.V,126). La funzione delle virgolette, nell'economia testuale, è proprio quella di rendere visibile una citazione, una presenza altra, una inserzione, qualcosa che ha a che fare, fatte le debite proporzioni, con la parentesi, anche se non conferisce all'opera la profondità di quest'ultima, ma molto più semplicemente dichiara la diversa matrice discorsiva dell'inserto. Questa strategia del discorso riportato non implica, solo ed esclusivamente, un complicarsi di scrittura e quindi di lettura, ma crea una sorta di oratio obliqua, nel senso di narrazione obhqua, in virtù della quale si compie [...] la scissione di autore e testo, o se si preferisce il deferimento al testo di un senso non immediatamente rappresentativo deU'autore, o, insomma, la distruzione della scrittura lirica.^

La sez. 21 evidenzia che [...] il compito è riconoscere la palude e decidere che non giova aggirarla né continuare a nutrirsi dei suoi veleni, ma che occorre attraversarla."^

Ma per poterla, appunto, attraversare è necessario sapere come essa sia fatta, e possedere gli strumenti per potersi orientare. Proprio in quest'ottica si inserisce il Gabalis, del quale troviamo lacerti deUa "Terza Conversazione" (w. 1 e 6) e deUa solita "Quinta Conversazione" (ai w. 7-8) e precisamente deU'"Orazione deUe Salamandre": nella "Terza Conversazione", i protagonisti raggiungono, "per poter conversare serenamente"5, il labirinto di Rueil. I coi^imentatori della traduzione itahana ECIG glossano, evidenziando gli intenti ironici deU'abate de ViUars verso la chiesa e r"aUusione aUa strada deUa Conoscenza"^.

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A questo labirinto concreto, a cui si rimanda direttamente, si sovrappone, nella mente del lettore, quello di Lucca introdotto in contemporanea nella sez. 19, secondo le precise regole dell'ironia che, del resto, caratterizza sia la fonte Gabalis sia Laborintus, ma nel poema non è presente nessuna trascendenza e nessuna verità assoluta, tutto si risolve in una omologia tra i diversi piani che sono poi aspetti della multiforme realtà effettuale. L'allegoria si gioca sul piano della prassi. "prendeva le cose di religione con freddezza di cuore" (v. 3) può ben simboleggiare l'ironia autoriale, la sua capacità di trattare con distacco i materiah (è quasi, a livello di tono, un calco dal Gabalis) e, negh anni cinquanta, "le cose di rehgione" modellavano il mondo certo più di quanto facciano oggi: il tono è caratterizzato da uno humour nero e da un sarcasmo che fa assumere una frase tipica del lessico rehgioso per attraversarla e inserirla in un contesto nel quale sono evidenti l'ironia come il rovesciamento. L'ironia assume d'altronde le sembianze della continua presa di distanza dai materiali che dà vita ad un movimento a fisarmonica, dove ad avvicinamenti seguono repentini distacchi, cioè, la capacità appunto di avere un atteggiamento critico, di trattare attivamente i tasselli con i quah costruire il testo. Le presenze del Gabalis aiutano proprio questo processo, rendendo manifesti i meccanismi del testo, estremizzandoli. Al secondo verso, subito dopo l'introduzione gabalisiana, troviamo due lacerti in tedesco, "Krebs" e "Unheilbar", "cancro", nel senso di malattia e di segno zodiacale, e "inguaribile". Il tratto astrologico serve a comunicarci anche una indicazione, a suo modo temporale, sul tipo del v. 7 della sez. 6 "nell'acquario triangolazione carceraria", come se sole e stelle, per quanto ambiguamente, potessero guidarci e darci qualche indicazione durante questa immersione nella palude. Il legame forte tra i due termini è, però, tra il cancro nell'accezione medica e l'inguaribilità come conseguenza della patologia: la palude si fa malattia, diventa una epoché, uno stato di sospensione dove l'uomo è un corpo in disfacimento, un insieme di organi che una forza centripeta divide e spaia, consegnandoci, appunto, in piena definizione, l'immagine di organi sparsi qua e là e di corpi dilaniati. Questa è l'ennesima valenza di una serie, quasi interminabile, di trasformazioni. Se la "Terza Conversazione" (o terzo ragionamento) del Gabalis apre la sezione e la ritma, la "Quinta Conversazione", la cui presenza è ricorrente, la chiude. In questo caso, per la precisione, i lacerti provengono -come sopra indicato- dair"Orazione delle Salamandre", un punto centrale del testo alchemico-esoterico, nel quale si ragiona di Madri e di Albero della Vita, di Numero Uno e di Monade di Pitagora, di forza del Fuoco, di Alchimia e di Kabbalah7. Nella sezione, dove tutto viene passato al vagho da Sanguineti, non ri-

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mangono che Talbero della vita, il maschio e la femmina e, soprattutto, "la tenerezza delle Madri", di una madre natura e nutrice, che è, però, anche un poco matrigna, secondo una tradizione talmente consolidata, da Lucrezio a Leopardi, al punto da costituire un topos, Tennesimo che Sanguineti diacriticamente attraversa e rovescia. Ma ciò che importa primariamente è proprio la presenza di questo femminile ambivalente che è ciò che resta di Ellie, soprattutto nella dimensione di tenerezza di madre. L'occasione di scrittura dell'intera sezione 21 è -per testimonianza diretta di Sanguineti- la morte, a causa di una malattia tumorale, della madre, occasione che viene rivelata, del resto, dal legame tra "Krebs" e la citazione gabalisiana àtWexplidt, tutta sulla madre. Non solo le parole tra virgolette, ma gh interi w. 3-5 "prendeva le cose di rehgione con freddezza di cuore/sbalordimento mi viene dalla conferma di un presentimento: 'parla e vive/senza sgomenti'" provengono, forse -su indicazione di Sanguineti stesso- da una lettera che l'amico Ruben gh scrisse in quell'occasione. Non una provenienza letteraria, dunque, bensì privata, tracce di un cuore messo a nudo - e per la profonda amicizia che legava Ruben e Edoardo non si trattava di una lettera di circostanza o di semphci condoglianze. Proprio questo ci mostra come Sanguineti amalgami alla perfezione ogni materiale, da quello più privato e nascosto alla citazione autoriale e autorevole, tanto che a dominare è -come abbiamo già avuto occasione di sottolineare- il nuovo contesto, e diventa difficile riuscire a distinguere prestiti e provenienze. Ed è questo l'obiettivo stesso dell'autore, tanto che persino un elemento capitale come la morte della madre rimane opportunamente nascosto, poiché in realtà non è decisivo per la funzione e la fruizione della sezione. Questa sezione però non è solo un planh e, sebbene l'occasione esterna possa essere a ragione considerata centrale nella vita di qualunque persona, ciò che è veramente importante, nell'economia del testo, è una "tenerezza di Madre", un femminile che si oppone alla malattia e alla distruzione organica; tutto questo si comprende anche senza conoscere i dati biografici^. Il cardine è in verità il progetto di scrittura. L'autore vuole evitare insomma che qualsiasi situazione precisa e particolare possa sviare dal percorso che invita a fare come lettori. Ciò che è lecito leggere, nel testo, è la tenerezza di madre (perduta), che connota l'eterno femminino e in particolare Ellie, proprio dopo il suo disfacimento. La connessione strutturale precisa e diretta, nell'economia del poema, è con la morte di Ellie, specchio deformato della dolorosa esperienza esistenziale.

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1 F. Curi, Struttura del risveglio, cit., p. 31. 2 Idem, p. 186. n d e m , p. 186. 4 Idem, p. 197. 5 Montfaucon de Villars, G.F. Borri, Il conte di Gabalis, cit., p. 183. 6Vd. idem, pp. 183 e 183-184. 71 commentatori annotano i rapporti con le diverse tradizioni dei saperi esoterici; vd. idem, pp. 209-211. 8 Per capire come Sanguineti persegua coscientemente questa struttura formale, è sufficiente pensare proprio all'importanza di questo avvenimento, tanto che, negli anni novanta, durante una trasmissione radiofonica, invitato a definire il silenzio, l'autore lo legherà immediatamente al decorso della malattia e alla morte sofferta della madre. Nonostante tutto, lo sforzo riuscito è quello di riprodurre gh effetti di una perdita, di parlare deUa madre senza lasciar minimamente trasparire la precisa occasione autobiografica. Volendo guardare alla produzione sanguinetiana nella sua globahtà, si può notare come la morte del padre, molti anni dopo, sia invece una presenza testualmente scoperta.

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et avant de s'engager dans le labyrinthe, il se tourna vers le jardin Krebs? urlando oh unheilbar unheilbar! era legata con naturalezza all'ai di là.>.. prendeva le cose di religione con freddezza di cuore sbalordimento mi viene dalla conferma di un presentimento: "parla e vive senza sgomenti" 5 et après avoir dîné, nous retournâmes au labyrinthe, j'étois rêveur ô Mere la plus tendre des Meres! ô l'Exemplaire admirable des sentiments & de la tendresse des Meres! oh la mia stanza! oh sono chiuso! sono chiuso!...

Note V. 1: La fonte sono i sohti Nouveaux Entretiens e, in questo caso, il prehevo proviene dalla "Terza Conversazione"; il contesto è: "Il me donna heu de le mettre en matiére, lors qu'avant de s'engager dans le labyrinthe, il se tourna vers le jardin" {Nouveaux Entretiens, cit., pp. 66-67). La traduzione è: "Mi dette l'opportunità di farlo entrare in argomento quando, prima di inoltrarci nel labirinto, si voltò verso il giardino" {Il Conte a Gabalis, cit., p. 38). Le varianti minime sono —come abbiamo già osservat o - di mano dell'autore in relazione al nuovo contesto ("e prima di entrare nel labirinto, si voltò verso il giardino"). Siamo quindi sul punto di entrare nel labirinto, quando ci voltiamo ancora un attimo verso il giardino: il sintagma gabalisiano ci introduce verso lo svelamento di uno degli aspetti della labirintica Palus. V. 2: Gh inserti in tedesco ci forniscono alcune caratteristiche deha Palude: "Krebs" vuol dire "cancro", indicando sia la patologia medica sia il segno zodiacale (l'indicazione astrale apre uno squarcio suho scorrere del tempo); "unheilbar", reiterato, vuol dire "inguaribile". Il linkage tra i due termini ci consegna una Palude come malattia inguaribile che distrugge il corpo deh'uomo, in virtù di un meccanismo di produzione di cellule anomale. E un modo diverso per proporci il tema della distruzione organica deh'uomo. V. 3: Inserzione ironica: il soggetto di "prendeva" potrebbe essere chiunque (Laszo, Ruben, Moneybags, GMR, ciò che resta di EUie, e persino l'autore), ma ciò che importa è proprio questa "freddezza di cuore" verso le "cose di rehgione", il cui lessico pare, per certi versi, un calco del Gabalis, una riproposizione dell'ironia del libro del Villars, dove aUa distanza si unisce proprio il rovesciamento. E se questo è ciò che

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il testo stesso ci induce a leggere, il sintagma proviene, come già detto, da una lettera di Ruben all'autore in occasione della morte della madre. w. 4-5: Questa freddezza di cuore viene sviscerata e spiegata; infatti essa caratterizza qualcuno che "parla e vive senza sgomenti". Sanguineti si serve delle virgolette per segnalare che si tratta di una citazione, ma non d'autore, bensì da un colloquio o con più probabihtà -secondo la testimonianza dell'autore stesso- del frammento della citata lettera di Ruben. Su questa "freddezza", che è, però, anche capacità di controllare emozioni e sentimenti, di comandare al cuore, si chiude la prima lassa di cinque versi della sez. 21, che ci consegna così una ambivalente "freddezza". V. 6: La seconda lassa si apre nuovamente con Gabalis, e precisamente con Yincipit della "Terza Conversazione" - l'autore gioca anche ad intrecciare, rompendone la sequenza originaria, e a rimontare le diverse tessere citazionali, per essere sicuro di portare a compimento il processo di sanguinetizzazione, quello che potremmo definire la vittoria del contesto sulla fonte, dalla quale dipende l'esito creativo dell'intera opera. Nei Nouveaux Entretiens troviamo: "Après avoir dîné, nous retournâmes au labyrinthe. J'etois rêveur" {Nouveaux Entretiens, cit., p. 65). Trad.: "Dopo aver desinato, tornammo al labirinto. Io ero pensieroso" {Il Conte di Gabalis, cit., p. 37). Dopo la 'pausa pranzo', si ritorna al labirinto, che ci svelerà altri aspetti della Palude, oltre a quello della malattia inguaribile, appena preso in considerazione nella prima lassa di cinque versi. w . 7-8: "j'etois rêveur" (io ero pensieroso: fuori da questo contesto gabalisiano può anche valere "io ero un sognatore": in Sanguineti ha anche questo significato) arriva ancora dal sintagma di apertura della "Terza Conversazione" e sottolinea l'immersione nelle attività della mente, di pensiero e di sogno, poiché gioca anche un po' come "io ero (o megho, io sono) sognatore", nel senso di produttore di immaginazione. Siamo tra il sogno e la veglia, nel momento delle visioni. Autore e protagonista condividono uno stato. Il resto del sintagma in francese proviene dalla "Quinta Conversazione" dei Nouveaux Entretiens e precisamente dair"Orazione delle Salamandre". "Nôtre continuel exercice est de te louer, & d'adorer tes désirs. Nous brûlons du désir de te posséder O Pere! ô Mere la plus tendre des Meres! ô l'Exemplaire admirable des sentiments & de la tendresse des Meres! ô Fils la fleur de tous le Fils! ô forme de toutes les formes! Ame, Esprit, Harmonie, & Nombre de toutes choses. " {Nouveaux Entretiens, cit., pp. 157-158). Il grassetto evidenzia il prelievo sanguinetiano. Trad.: "Noi bruciamo dal desiderio di possederti, o Padre, o Madre, la più tenera delle Madri! O Modello ammirevole dei sentimenti e della tenerezza delle Madri! O figlio, fiore di tutti i figh! O Forma di tutte le Forme! Anima, Spirito, Armonia e Numero di tutte le cose!" {Il Conte di Gabalis, cit., p. 74). Anche in questo sintagma c'è la mano autoriale con la rifunzionalizzazione del "j'etois rêveur"; e i versi tradotti diventano: "Io sono un sognatore, o Madre la più tenera delle Madri! O modello ammirevole dei sentimenti e della tenerezza delle Madri! oh la mia stanza". I versi diventano quasi un'invocazione di uno dei protagonisti -Ruben?, Laszo?- o, forse, in nome del deittico "io" ("je"), dell'autore stesso, alla madre, la più tenera delle madri, modello di sentimento, una madre veramente natura, perché nutrice. Ma "io sono un sognatore", autoritratto onirico dell'autore stesso, si lega con "oh mia stanza", per fornirci un'im-

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magine, sanguinetianamente declinata, di una situazione topica, da Petrarca a Leopardi, dell'autore chiuso nella sua stanza. V. 9: Il V. 9 completa proprio questo quadro: Tessere chiuso non si limita però alla situazione della "cameretta", ma diventa proprio anche l'urlo - e per questo è isolato, a liveho formale, in un unico verso-, di chi non riesce a trovare il filo di Arianna per uscire dal labirinto-palude, nel quale è entrato, lungo tutto il percorso della sezione, proprio per arrivare in questo punto, cioè verso il cuore stesso del viaggio. Questo grido segnala la discesa continua ed inevitabile. Per parlare di un dolore inesplicabile e indicibile come quello della morte deUa madre è necessario ricorrere alla mediazione della citazione, cioè parlare per interposta persona, attraverso una maschera.

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Introduzione È qui il limite estremo della presenza di Ellie, dove finisce il suo lento ma inesorabile disgregarsi, il suo sciogliersi per diventare componente di nuove aggregazioni. In virtù dei processi ai quali abbiamo assistito, ritroviamo ora la presenza quasi ossessiva del numero e dei numeri, presenza che crea un legame particolare e privilegiato con la sez. 15: anche qui il numero serve ad introdurre il tema, ricorrente in tutta la composizione, del tempo e quindi dell'orologio astronomico (delle fasi della luna e dei suoi calendari). Il tempo dirige e plasma le trasformazioni, in un continuo rapporto con lo spazio; Sanguineti crea una sorta di asse tempo-spazio figlio di una fisica relativistica e quantistica, all'interno del quale vengono rappresentate le trasformazioni, ma il tempo è percezione e misurazione -e qui entra in gioco il numero- di una durata, di uno spazio temporale. Esso non solo produce un'azione e ritma, in generale, le vite, ma diventa il cardine sul quale si misura lo stesso spazio, che esiste come prodotto del tempo. Ma, a sua volta, nel momento in cui gh stati di coscienza dei protagonisti vengono posti l'uno accanto all'altro, nell'atto della loro rappresentazione e interpretazione, il tempo viene proiettato nello spazio. È quindi presente una metamorfosi del tempo in spazio. È qualcosa che avviene simultaneamente ed è quindi difficile segmentarlo per spiegarlo: in Sanguineti è un tutt'uno, un nocciolo duro del fare artistico. Questo processo di spazio che si fa tempo e di tempo che si fa spazio gioca soprattutto nella gestione del sogno, della dimensione onirica, e, di conseguenza, anche del ricordo e della memoria, in tutti quegli elementi che danno vita ad una costellazione del risveglio. Una specie di energia mnemonica occupa spazio, produce spazio. Uorologio astronomico diventa lo strumento di misurazione per eccellenza: l'esperienza del viaggio, erratica, è simile nei suoi effetti proprio a quella del ricordo. Laborintus è principalmente un viaggio del quale il corpo e la mente sono i vettori. Il numero è quindi l'essenza di questo processo di trasformazione, che abbiamo potuto vedere in Ellie e su Ellie, attraverso Ellie, nel senso che il corpo vivo deUa protagonista è, nel suo incessante mutamento, il registratore fedele delle trasformazioni. Pur mantenendo su un piano del significante e delle libere associazioni ancora qualcosa di magico e di mistico, di un sapere esoterico, il numero è, hic et nunc, la più razionale, asettica e neutrale unità di misura.

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Al numero va collegata la questione centrale del nome {nomina sunt consequentia rerum)-. "Cabalistiquement" e "NEHMAHMIHAH" provengono dai ^oXvìiNouveaux Entretiens, dalla "Quinta Conversazione" (vd. nota w. 35): come spiega dettagliatamente la nota dei curatori del Gabalis, "NEHMAHMIHAH" è da mettere in relazione con il problema del nome di Dio^ Sanguineti sfrutta Tincomprensibilità del codice, per intervenire subito e far diventare Eliael, nelle sue mani, una più concreta e materiale Ellie. E qui r i non è più Tessere trascendente, il Dio, ma Tessere sociale, Tuomo determinato, il soggetto. Se il numero rimanda ad una sorta di catalogo del mondo, di ironico De rerum natura, dove in un comico gioco di elementi cosmici e di processi di numerazione si evidenzia l'impossibile esaustività di ogni furia classificatoria e, di conseguenza, attraverso un ironico e straniato rifacimento lucreziano, si dà vita ad un testo al quale non sono estranei richiami ad una numerologia alla maniera del Queneau della Piccola cosmogonia portatile^, queUo che è decisivo è il trattamento di tutti i diversi materiali, e questo, dalla scoperta presenza di Gabalis al sotterraneo Queneau, avviene secondo le modalità artaudiane di una letteratura deUa crudeltà. Questo 'metodo-Artaud' si configura molto concretamente come atteggiamento verso i materiali: i diversi lacerti gabahsiani subiscono un trattamento tale da dar vita ad un gioco sul nome che rimanda chiaramente a El-gabal, Heliogabalus, Elagabalus, El-Gabal, Gabal àdVEliogabalo di Artaud^ In questo modo, Sanguineti svuota Gabalis e oltrepassa Artaud, hberandosi di un rischio mistico ed esoterico e di un anarchismo distruttivo, per arrivare invece sul piano reale e materiale di Ellie, soggetto e individuo ben preciso, non più Dio, aspirante tale o essere eccezionale (neppure eventualmente vittima sacrificale). Il nome e il numero, in un esasperato ed esasperante gioco artaudiano, ci consegnano ciò che resta di EUie, quello che rimane per una futura ricomposizione, cioè la sua tenerezza di madre, la sua umanità, un tratto estremamente preciso e concreto, quasi organico, fatto di membra e di visione del mondo: l'umanità non è più un impreciso elemento deUo spirito, ma un corpo e una mente determinati. La distruzione di Ellie è una sorta di divisione in atomi, a cui segue un'ulteriore separazione tra scorie e materiali utili, tra i quali troviamo questa 'umanità' delTinteUigenza e del corpo. L'autore cerca, con il nome e il numero, di creare un abbinamento che sia una sorta di insegna, di stemma, capace di contare l'esistenza di Elhe. Da qui l'interesse e la focalizzazione su nomi e numeri, in particolare sull'I. Questo gioco di ironica schedatura, una alleanza tra immaginazione e aritmetica, la divertita dimensione cosmologica (quasi la ricerca di un oroscopo) e "Cabalistiquement" in apertura di verso e di sezione rimandano, a livello di armonica sottesa, a Fourier, alla sua passione cabalistica, o decima passione,

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alle sue combinazioni, alle serie di Passioni. Per avere un'idea di come Sanguineti, sulla scia di Marx ed Engels, tratti Fourier, sfruttandone a pieno le pulsioni anarchiche, è qui sufficiente ricorrere a Italo Calvino, che, ntWIntroduzione per l'antologia dell'Einaudi, riesce a ribaltare in positivo la definizione ottocentesca e dispregiativa di "alchimista sociale" dell'utopista, inserendolo in un côté delimitato ai suoi estremi da Sade e Breton, poiché, con il suo metodo, Fourier "stabihsce un rapporto d'affinità col lavoro degh artisti e dei poeti, con le loro manipolazioni della materia linguistica e mitica nella speranza di riuscire attraverso ad esse a 'cambiare la vita'"^. Sanguineti però non lascia mai l'essere in sospeso, in un'aura spirituale, in un vuoto della storia, ma lo inserisce sempre in un contesto reale, "nel nostro regno", materiale e orizzontale. Questo piano universale dell'umanità e della storia, dominata dai processi materiali, nei quali vive il soggetto, viene qui sottolineato e puntualizzato da una presenza vichiana, ai w. 12-13, "le nazioni vanno a riposare sotto le monarchie", ancora una volta frammentata e ricomposta. Si tratta di una parte del titolo del capitolo secondo della sezione decimo terza del libro quarto della Scienza Nuova 1744^, dove l'autore discorre appunto delle trasformazioni statuali attraverso i secoh. Sanguineti si serve del sintagma vichiano per puntualizzare, brevemente ma efficacemente, la dimensione totale della trasformazione descritta, a cui nulla sfugge. Siamo sul piano di un'azione mondiale della prassi: e Vico svolge alla perfezione il compito di segnalare la totahtà e l'universahtà deUa storia, mettendo l'accento sulÌ'agire umano. Tutto si compie e avviene nella realtà effettuale. Questa estrema riflessione sulla trasformazione di Elhe si conclude nuovamente con un lacerto della "Quinta Conversazione" dei Nouveaux Entretiens ("ed infine mi avverte che morirà se io non la vogho amare") a sottohneare, contemporaneamente, la fine della storia di Ellie e l'amore come forza principale di ogni azione di composizione o (ri)composizione. Il componimento evidenzia così un ulteriore aspetto del ciclo nascita-morte-rinascita. Nel Gabalis, il lacerto fa parte di una storia d'amore tra la Ninfa Regina e Gabalis; sono le righe che precedono gli inserti utilizzati ai w. 16-17 della sez. 20: anche in questo caso preciso, il sintagma perde ogni connotazione originaria per diventare un manifesto della forza vitale dell'amore e dell'amore in sé, quasi un fuoco che nutre e vivifica ogni cosa, e attraverso il quale la natura agisce nell'universo. Solo l'amore è antidoto alla morte. I frammenti in itahano, che interrompono il testo francese, privati delle parentesi, suonano così: "coloro i quali si apprestano a compiere un'opera del tipo ora indicato". Questa frase è un modo di evidenziare la centralità dell'amore in Laborintus, apphcata a qualunque attività umana, essendo l'amore la forza, l'inizio, il punto centrale e anche il completamento delTopera alchemica. Si crea così un

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parallelo tra il significato originale e quello laborintico, ed è presente una sorta di slittamento dal piano alchemico, spirituale e trascendente, a quello sanguinetiano della prassi. L'amore fa sì che Ellie sopravviva nel mondo, ma in quanto movimento di passioni ne segna anche la fase di ultima liquidazione come personaggio. Sul piano della struttura formale, questa riflessione in quattro tempi (w. 1-5, w. 6-13, w. 14-17 e w. 18-19) su ciò che resta di Ellie (un nome che è cosa e un numero che è essenza) e, di conseguenza, la rappresentazione della decomposizione per futura ricomposizione atomica, mette in scena anche le ultime fasi della funzione-Virgilio che Elhe ha svolto: Ellie, che non a caso muore senza riuscire a generare se non con la morte stessa, è una perfetta guida e compagna nelle fasi di discesa nella palude, ma, appunto, proprio come il Virgiho dantesco, deve abbandonare il nostro viaggiatore sull'orlo della risahta, lasciandogh un'eredità di affetti. Le sue capacità e qualità non le permettono di proseguire oltre nel percorso laborintico. Tra le tante caratteristiche che abbiamo rilevato, parlando persino, per porzioni consistenti del poema, di romanzo di Ellie, sicuramente quella che -per comodità di identificazione- abbiamo appena definito funzione-Virgilio, è centrale in relazione alla macchina narrativa, o, per megho dire, antinarrativa dell'opera. I versi conclusivi costituiscono la vera e propria clausola finale del romanzo di Elhe, di questa Nadja impregnata di sguardi furtivi, di una heve e attiva presenza e di amour fou. Con la sez. 22 si chiude, sul piano della narrazione di eventi, sul piano evenemenziale, la storia di Ellie.

1 Montfaucon de Villars, G.F. Borri, Il Conte di Gabalis, cit., pp. 214-215, dove C. Miccinelli e C. Ammirato propongono un articolato ragionamento sul nome di Dio. 2 R. Queneau, Piccola cosmogonia portatile, Einaudi, Torino 1972, pp. 12-17. 3 A. Artaud, Eliogabalo, cit., pp. 90-91. ^ Per il ragionamento completo di Calvino vd. C. Fourier, Teoria dei quattro movimenti, cit., pp. XVII-XVIII, X X V I I I - X X I X , 17-20, 25-37, 43-50, 141-144. 5 G. Vico, Opere, tomo I, a cura di A. Battistini, Mondadori, Milano 1990, p. 910.

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nella natura il faut prononcer de' numeri in intatta siccome in serietà Cabalistiquement fisiologica consistono al dir d'Aristotile i numeri le nom puissant in indivisibili NEHMAHMIHAH et le combiner Laszo oltrepassando i tutti dans les formes e ricominciar Laszo avec le nom délicieux dall'I 5 ELIAEL quod nuper ELLIE diximus della tua delicatezza in integre affinché dimenticanze acque le palpebre e coltivate non la mentale arsura si aprono o in donazioni un monde arithmétique corrompa in filologica et je puis di significazioni incredibile m'occuper per esempio insistenza des nombres purs ingiustificabile 10 oh attributiva oh ideale des lois esposizione des nombres narrativa e vanno finalmente equivalenza le nazioni emotiva a riposare le matin sotto le monarchie de l'espérance! ah nostro regno percorso da onde marine ah les poules d'eau si dondolarono piano piano e "ah non posso concepire 15 (a.d. X) la vita (Kal. Aug.) senza di te" (Neptunaha sunt) scripsit! ELLE me remontre enfin qu'ELLE mourra (coloro i quali si apprestano) (a compiere un'opera) si je ne veux (del tipo ora indicato) l'aimer!

Note V. 1: Il testo si apre sui numeri e suUa loro essenza, "in serietà" richiama anche Tidea seriale (nel senso della serie) della progressione aritmetica e geometrica. Si segnala anche un legame con la fisica di Aristotele, "al dir d'Aristotile" è la formula che rimanda immediatamente alla miriade di trattati, da quelli scientifici a quelli filosofici ed estetici, nei quali le teorie del filosofo greco sono al centro dell'argomentare (ad esempio, in Metastasio, Estratto dell'arte poetica di Aristotile, che ritroviamo nella successiva sez. 23). ~ "il faut prononcer" (bisogna pronunciare), con variante -il "faut" forse viene aggiunto per intervento autoriale- e "Cabahstiquement" (cabahsticamente) sono frammenti, nuovamente, della "Quinta Conversazione" dei Nouveaux Entretiens la cui presenza continua nei versi seguenti, ai quali rimandiamo. w. 3-5: Rivolgendosi a Laszo, il discorso si sofferma sul potere del nome come essenza oltre e dentro le forme e sul continuo gioco di decomposizione e ricomposizio-

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ne, e sul significato simbolico delTl (vd. Introduzione). ~ Tutta questa porzione di testo è costruita a partire dalla frammentazione e segmentazione di una parte della "Quinta Conversazione" dei Nouveaux Entretiens, dove troviamo: "mais aussi quand un Sylphe a appris de nous à prononcer cabalistiquement le nom puissant N E H MAHMIHAH, & à le combiner dans les formes avec le nom déhcieux ELIAEL; toute Puissances des ténébres prenent la fuite, et & Sylphe jouît paisiblement de ce qu'il aime" (p. 165). "Ma così, quando un Silfo impara da noi a pronunciare cabahsticamente il potente nome N E H M A H M I H A H , ed a combinarlo giustamente con il dolcissimo E L I A E L , tutte le potenze delle tenebre prendono la fuga, ed il Silfo può godere tranquillamente di chi lo ama" {Il Conte di Gabalis, cit., p. 77). Il centro del discorso è appunto ciò che rimane di Elhe; la sua essenza nel nome e nel numero viene espressa delegando il concetto aUe parole gabalisiane. ~ Nehmahmihah (in forma di Vehmamiah, che come recita la nota va inteso come Nehmamiah) ed Eliael del Gabalis si ritrovano anche nel Viaggio in Oriente di Gerard de Nerval, che dedica particolare attenzione al mito fondativo della frammassoneria (G. de Nerval, Voyage en Orient, in Œuvres, vol. II, La Pleiade, Parigi 1956, p. 551, e p. 1372 nota 2). Come è evidente, le sollecitazioni verso Gabalis possono essere state le più diverse, dal casuale ritrovamento del libro da parte di Sanguineti alla sua sistematica ricerca delle culture maledette. V. 6: " E L I A E L queUo che fino ad ora abbiamo chiamato E L L I E " è la fedele traduzione dell'inserto latino di mano autoriale, che serve a mantenere il discorso nei binari estremamente concreti della presenza e dell'essenza di Ellie. Non esistono derive trascendenti. Focahzzando ancora su Elhe, viene ulteriormente segnalata la "dehcatezza" tra le doti caratterizzanti la protagonista femminile. w . 7-8: Il quadro è di gusto surreahsta, ritorna una integra dehcatezza; "dimenticanze", "acque" rimandano alla dimensione onirica e a quella della memoria; le "palpebre" al corpo e, soprattutto, aU'attività della vista, dello sguardo. L'alternanza degh occhi aperti e chiusi, in relazione al movimento delle palpebre, ci consegna una apertura o una chiusura verso l'esterno. Da un lato ricerca e disponibihtà verso il reale, dall'altro ripiegamento su se stessi, che viene sottolineato da "in donazioni", "mentale arsura" riprende il concetto e l'idea deir"oggetto mentale" (sez. 13, v. 2), evidenziando l'arsura mentale, che è una sorta di ardore dell'intelligenza e di sete di sapere, in grado di conoscere "un monde arithmétique". Questo lacerto francese ripropone l'idea del mondo come perfetta macchina della natura, dove ogni funzione trova nel numero la sua possibile espressione. w . 9-10: Questo mondo aritmetico, puro, si corrompe però con la presenza di un'"incredibile" stratificazione di "significazioni", cioè di significati, accezione e senso di una frase e di una parola. Richiama il "signifiance" della Canzone d'Orlando e il "significatione" di S. Francesco, "in filologica" sottolinea la centralità della presenza di più significati, di una sorta di multisenso. "je puis" ("io posso") sottohnea la capacità di identificare i molti sensi, sbroghando la matassa: proprio per portare a termine questo progetto, "m'occuper" (occuparmi) "con insistenza", quasi "ingiustificabile", "des nombres purs" (dei numeri puri), chiave per penetrare il mondo aritmetico. In questo lacerto vediamo quasi, come ar-

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monica sottesa, un dialogo immaginario con "les nombres [che] bagarrient" (R. Queneau. Piccola cosmogonia portatile, cit., p. 14). w. 11-13: Questa "esposizione" "des lois", "des nombres" (delle leggi, dei numeri) è "ideale" ("ideale delle leggi e dei numeri") e, soprattutto, "narrativa". Tunica in grado di rendere conto delle equivalenze numeriche e delle reazioni emotive. Tutto avviene nella concreta prassi, "le nazioni" "sotto le monarchie", in attesa de "le matin" "de Tespérance" ("il mattino della speranza"), cioè del giorno del riscatto nel senso di piena realizzazione dell'umano, in generale, "oh attributiva" indica le qualità espressive dell'esposizione. ~ "vanno le nazioni a riposare sotto le monarchie" è la ricomposizione di una frammento del titolo del secondo capitolo della sezione decimoterza del Libro Quarto della Scienza Nuova 1744 di Vico, che così recita: "D'un'eterna naturai legge regia, per la quale le nazioni vanno a riposare sotto le monarchie" (G. Vico, Opere, tomo I, cit., p. 910). Ci troviamo, appunto, nel Libro Quarto, intitolato significativamente "Del corso che fanno le Nazioni". ~ I lacerti francesi sono frammenti comuni del gergo scientifico-matematico. w . 14-16: Il "nostro regno percorso da onde marine" rimanda all'acqua, spazio della nascita e, alla maniera di Vigo, del ricordo e della memoria, àdVamour fou; "les poules d'eau" (le galhnelle d'acqua) "si dondolarono piano piano" rompe la sequenza del discorso, inserendo una immagine apparentemente arbitraria, secondo modelh comunicativi surrealistici. ~ "ah non posso concepire la vita senza di te" è il nucleo centrale di questi versi. Si tratta ancora della citazione da uno scambio epistolare con Ruben in relazione alla morte della madre. Questa dichiarazione secca dell'impossibilità di vivere senza qualcuno viene giocata interamente, nel percorso di Laborintus, su Ellie, e sulla sua sparizione, alla quale è riservato anche Vexplicit della sezione. ~ Le inserzioni latine sono autoriali e oltre ad interrompere il flusso del discorso ci forniscono alcune indicazioni temporali, "a.d. X " sta per "ante diem decimum" "Kal. Aug." per "Kalendae Augustae", "Neptunaha sunt" significa "ci sono i giochi in onore di Nettuno": la frase, ricomposta, suona così: "prima del decimo giorno delle calende di agosto ci sono i giochi in onore di Nettuno, scrissi". Potrebbe essere la data della lettera dalla quale -operando come nella sez. 2 1 - si è estrapolato il lacerto. Il gioco è quello dell'intersezione, che dà profondità. V. 17: " ( . . . ) " indica una sospensione e uno stacco rispetto al discorso, isolando così la chiusa del componimento. w . 18-19: Questa chiusa risponde ad una moltephcità di sollecitazioni, il che la rende particolarmente significativa. Per prima cosa, il francese, segmentato ed interrotto, proviene dai sohti Nouveaux Entretiens, dalla "Quinta Conversazione": "[...] elle me conte son martyre, n'oublie rien pour toucher mon coeur, & me remontre enfin qu'elle mourra si je ne veux Taimer, &: que si je Taime elle me sera redevable de son immortalità." (Op. cit., p. 152; "Ella mi parla della sua sofferenza, e non tralascia nulla per toccarmi il cuore, ed infine mi avverte che morirà se io non la voglio amare, e che, se l'amerò, mi sarà debitrice della sua immortalità". Il Conte di Gabalis, cit., p. 72). - Con l'inserimento del maiuscolo " E L L E " nel corpo del testo estrapolato, l'autore crea un gioco tra quella E L L E finale, E L I A E L e la nostra E L L I E , sottolineando, ancora una volta, come la forza dell'amore sia l'unico antidoto nei confronti della

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morte, ma anche Tamore talvoha, quando il destino è già segnato, viene a mancare, e la morte ha temporaneamente il sopravvento. Le intersezioni autoriah, poste tra parentesi, a conferire profondità aU'opera, puntualizzano che il destino di morte e rinascita di Ellie viene condiviso anche da "coloro i quali si apprestano a compiere un'opera del tipo ora indicato", cioè a coloro che attraversano la palude e a quelli che ne narrano l'esperienza. In un certo senso siamo un po' tutti Ellie, poiché ad ogni momento della vita qualcosa di noi muore e qualcosa nasce.

SEZIONE 23

Introduzione Questo componimento, che è una composizione quadripartita sulla scrittura e suha vita (i w. 1-14 sono il primo tempo, i w. 15-27 il secondo, i vv. 2832 il terzo e i w. 33-35 il quarto) non chiude solamente il terzo momento di Laborintus, ma, in perfetta omologia strutturale con la sez. 5 -con la quale condivide anche la natura di dichiarazione di poetica, di articolato manifesto in versi delle intenzioni autoriali di scrittura-, funziona da elemento di passaggio, da soglia, da luogo di transizione tra la terza e la quarta parte, che costituisce la chiusa del poema. Giuhani scrive: Ars poetica. Appare qui il nuovo personaggio cifrato che sostituisce Elhe: L (o lambda) che ancora impersona Tarchetipo femminile. I frammenti in hngua greca sono tratti dalla Retorica e dalla Poetica di Aristotele, quelh in inglese dai neoplatonici di Cambridge (cfr. Cassirer, La rinascenza platonica in Inghilterra e la scuola di Cambridge). La fonte francese indicata dah'A. è: Nouveaux Entretiens sur les sciences secretes ou le Comte de Gabahs (Cologne 1691). La trama dei frammenti consente (qui come altrove) una doppia lettura: riallacciando i piani linguistici e conservandoli frantumati. "Unruhig"= inquieto (con rifer. aUa prima parte del Faust di Goethe).^

Il quadro di Giuliani va però puntualizzato e corretto. Il riferimento al Faust di Goethe è, per precisione, sia aUa didascaha della scena "Nacht" deUa I parte sia al I atto deUa II parte; quanto ai frammenti in lingua inglese, essi provengono sì dai neoplatonici di Cambridge ma non tutti si trovano nel saggio di Cassirer. Quanto alla fonte francese, essa non è, come per le precedenti sezioni, i Nouveaux Entretiens, bensì, significativamente, i Mémoires di Goldoni, in particolare le pagine relative alla riforma teatrale, al comico e al patetico. Per quanto riguarda il patetico, è esatto il rimando alla Retorica e alla Poetica, anche se il mediatore è -come vedremo- Metastasio, mentre gh altri frammenti in greco compongono un sintagma unico e di senso compiuto "Kai KpivouOLV S^ieivov" che proviene sì da Aristotele ma dalla Politica, lib. Ili, cap. XI, tomo III, p. 467, C, e soprattutto, anche in questo caso, sempre attraverso la mediazione àdVEstratto dell'Arte Poetica di Aristotile di Metastasio (p. 1091). In aggiunta, anche le citazioni latine, che arrivano da un Vitruvio mediato da Metastasio, indicano la natura di dichiarazione di poetica di questo com-

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ponimento. E la correzione di Giuliani, con Goldoni al posto di Gabalis, non costituisce, in quest'ottica, focalizzando sul manifesto di poetica, una pura e semplice sostituzione didascalica, poiché l'insospettata presenza della celebre coppia, Goldoni e Metastasio, sarà -come vedremo- gravida di conseguenze. Il corpo fatto a pezzi, i sentimenti in quanto 'affezioni del corpo' sono i cardini di un novello melodramma^, che è poi la tragedia, la scena tragica, l'unica possibile e praticabile di questo universo neocapitalistico: Goldoni e Metastasio giocano insieme per fornire alcuni strumenti che, rivisti e ricorretti, sono utili nel delineare il nuovo teatro del mondo. Naturalmente non è più proponibile l'equivalenza totale, che si trova in Giuhani, tra Ellie e Lambda, al .di là della stessa possibihtà di individuare in "L (o lambda)" la moghe Luciana, e del fatto che non muti la loro funzione narrativa, poiché in X viene accentuata la dimensione della carne, in quanto X possiede concretezza e materialità del corpo, che le permette di contenere e di trattenere, riassorbendole, le quahtà principah di Elhe; X è una Nadja non sfuggente ma presente, non gioca più su una assenza/presenza ma sulla forza deUa carne, suUa fisicità. Non esiste quindi una pura intercambiabihtà tra Ellie e X, come semplici simboli dell'archetipo femminile, poiché sono talmente tante le variazioni e, per così dire, quasi infinita la predicabilità di questo archetipo, da presentare un passaggio che, in rovesciamento perfetto, ricorda quello tra Virgilio e Beatrice, cioè una transizione che denuncia l'insufficienza di Ellie: solo 'K può portare il viaggiatore fuori dzWz palus. Sul piano formale, proprio in virtù dell'antinarrativa sanguinetiana, non si tratta di un mutamento che nel percorso di una storia potrebbe subire qualunque personaggio, non di un cambio di stato, ma di prospettiva. Non è un caso che "k entri in gioco proprio qui, in questo manifesto poetico in versi, accompagnata anche da un uso un poco più articolato della punteggiatura (due punti, punti e virgola). Sembra quasi che Tautore voglia farci intuire, in filigrana e tra le righe, che è la solidità del discorso, l'argine di ogni eventuale deriva del non-senso o dell'arte per l'arte. È la garanzia della socialità del gioco della scrittura. È una presenza meno angelica e più concreta, è energia di carne, perché la tenerezza di madre diventa realmente possibilità di generare. È Tunica che può guidarci attraverso la melma profonda della palude e farci raggiungere la terraferma. Tra tutti i componimenti dell'intero poema, la sez. 23 è fra quelh a più alta densità citazionale, o sicuramente quello dove si può notare, per così dire a occhio nudo, la presenza di fonti; si presta quindi particolarmente bene per evidenziare, in corpore vili, l'uso e la strategia della citazione, che ci parla della struttura orizzontale dell'intera opera, dove frasi fatte, sintagmi originah e microcitazioni convivono.

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E poiché il sangue di un corpo testuale è lo stesso in tutto Torganismo e in tutti i suoi elementi costitutivi, un piccolo e significativo frammento-campione può diventare particolarmente esemplificativo di un modo di operare. Tra le tante linee che si possono individuare, da Aristotele ai neoplatonici di Cambridge a Goldoni, usufruendo di una prospettiva a posteriori, che tiene conto dell'intero percorso autoriale, è bene focahzzare l'attenzione su una linea che parte con Faust-Goethe, procede con Mozart (K 467) e Metastasio, per concludersi ancora su Goldoni, creando una sorta di primigenio nucleo di teoria del cinico e del patetico. L'"unruhig" goethiano^ ("inquieto, irrequieto") viene subito rafforzato àzWAndante K467 di Mozart, cioè il secondo tempo di un concerto per pianoforte ed orchestra, in tre tempi (aUegro, andante, allegro vivace), in cui le tonahtà di un controllato patetico emergono decisamente. Il nesso tra musica e poesia, sfruttando a pieno la dicibilità dei versi, la loro tradizionale forza di oralità, è sottohneato dal greco dei w. 3 e 6 e daUa struttura deUa sezione, una suite in quattro tempi (I: w. 1-14; II: w. 15-27; III: w. 28-32; IV: w. 33-35), con una chiusa veloce ma densa, ipersignificativa. Il quadro si chiarisce completamente ai w. 15-25, dove a farla da padrone, tra Vitruvio (estratto e citato sempre dal cap. IV del trattato di Metastasio) e Ralph Cudworth ("SEMINAL PRINCIPLES"), è il Metastasio ¿áVEstratto dell'Arte Poetica di Aristotele, e precisamente: Qui eonvien ricordarsi che Aristotile non si vale mai delle parole passioni, o patetico (b) per significar le perturbazioni deU'animo (come la maggior parte degh espositori, non so con qual ragione, traduce); essendosi egh, come di sopra abbiam veduto, hmpidamente dichiarato, che con tali parole egli intende sempre di significare le fisiche affezioni del corpo: come sono i colpi, i tormenti, le ferite e le morti.^

Frammentato e manipolato, questo corpo metastasiano costituisce U centro del componimento: Sanguineti cita e ricompone frasi estrapolate dal cap. XXIV, dove l'autore va discorrendo del poema epico e segnatamente di Omero, legando corpo e anima, aU'interno di una teoria del verisimUe. Metastasio viene corretto e completato da Goldoni, che rappresenta, qui, non tanto U polo della riforma borghese, quanto della rinuncia alle maschere per creare sulla scena l'eroe problematico, in un misto, appunto, di comico e di patetico. Sanguineti fa reagire i due autori insieme per creare, attraverso legami pericolosi, qualcosa di nuovissimo e diverso. Vediamo prendere forma in Sanguineti una sorta di patetico-drammatico, di officina del melodramma, che si configura come inquieta ricerca di uno

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sguardo disincantato sul reale, attraverso la gestione dei sentimenti e delle passioni, dall'animo e della carne, con una sorta di sintesi tra ragione e sentimento, di poesia e di musica, e che diventa il primo asse della teoria del patetico e del cinico. La macchina melodrammatica, con il suo sistema delle passioni, con la sua teoria del piacere e con l'idea di passione governata dall'intelletto (vd. la citazione di Goldoni al v. 5), lascia traccia anche nelle, parole di Sanguineti: Tale prostituzione [dell'arte] illustra chiaramente il doppio movimento interno all'avanguardia. Questa esprime infatti, insieme e proprio con i medesimi gesti, anche ove ne abbia imperfetta coscienza, o nessuna coscienza affatto, l'aspirazione eroica e patetica a un prodotto artistico incontaminato, che possa sfuggire al giuoco immediato della domanda e dell'offerta, che sia insomma commercialmente impraticabile, e il virtuosismo cinico del persuasore occulto che immette nella circolazione del consumo artistico una merce capace di vincere, con un gesto sorprendente e audace, la concorrenza indebolita e stagnante dei produttori meno avvertiti e meno spregiudicati. [...] Il momento eroico-patetico e il momento cinico, spesso perfettamente distinguibili cronologicamente, psicologicamente e persino, talvolta, esteticamente, stanno, nella verità storica, dentro un solo e medesimo istante, perché sono, strutturalmente e oggettivamente, una sola e medesima cosa: scaricare la parte del cinico sopra un mercante futuro, piuttosto che sopra un mercante prossimo, è operazione che non modifica l'essenza della cosa, e non rende per nulla più innocente e leale il sistema complessivo che garantisce l'esistenza del prodotto, la sua stessa possibihtà di configurarsi nella sua forma specifica, di comunicazione estetica. [...] Il momento eroico-patetico è eroicamente e pateticamente cieco: si tratta di chiudere gh occhi sopra il momento in cui, per esistere davvero in misura davvero riconoscibile, il prodotto estetico inizierà la propria naturale ed effettiva esistenza di merce. [...] E qui converrà almeno ripetere che i due momenti costitutivi dell'avanguardia, il momento eroico-patetico e il momento cinico, stanno, nella verità storica, dentro un solo e medesimo istante, perché sono, strutturalmente e oggettivamente, una sola e medesima cosa.^

L'ottica non è solo quella di una gestione di ragione e passioni, bensì quella del rapporto con la realtà neocapitahstica: la rivolta contro la mercificazione estetica risulta, in ultima istanza, eroica e patetica, poiché essa è sconfitta in partenza e necessita di un adattamento tattico e cinico alla realtà effettuale, per poterla aggredire e svuotare criticamente in previsione di un'azione di rovesciamento. Proprio per questo una letteratura eroico-patetica e cinica non può essere altro che una letteratura (un teatro, una critica, una scrittura) della cru-

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deità, capace di svelare il reale, evidenziando, in questo caso, le aporie dell'idea di autonomia dell'arte, uno dei tanti volti dell'eteronomia mercantile. Siamo ormai su un piano che coinvolge non solo l'autore e la merce estetica, con tutti i suoi assi costitutivi, bensì anche il lettore e i diversi modi di fruizione, non a caso la sez. 23 si conclude con il goldoniano "et j'avois satisfait le goût baroque de mes compatriotes"^, incipit del capitolo XLII dei Mémoires di Goldoni^. Ormai il gioco è in tutto e per tutto gioco sociale e globale, tutto avviene foscoUanamente nel teatro del mondo®, e Goldoni serve proprio a puntuahzzare i diversi rapporti tra produttori e consumatori. Il teatro e la necessità di una trasformazione radicale diventano l'immagine allegorica della ricerca di un rapporto con il lettore al di fuori della logica mercantile, diretto, faccia a faccia, come tra il palco e la sala, e di un nuovo trattamento del materiale verbale, come sottolinea il v. 34 "this immensely varied subject-matter is expressed" (estrapolato dal saggio di Herbert Read su Paul Klee) che appunto evidenzia una disponibilità totale verso il reale e il tentativo di esprimerlo. Il "gusto barocco" diventa, hic et nunc, il simbolo della capacità non tanto di andare verso il pubblico (in Goldoni la frase indica proprio un á^ndare verso il gusto dei fruitori, ma da parte di un autore che considera negativamente il barocco), quanto di formare un nuovo gusto e un nuovo pubblico, che è l'obiettivo tradizionale di ogni operazione di avanguardia: di conseguenza il termine "barocco" non indica, nel nuovo contesto, uno stile specifico o una consuetudine a caricare eccessivamente un'opera secondo un modello nel Settecento percepito come deteriore, poco pulito, pieno di dettagh, ma la possibilità di unire insieme cose sentite come distanti e di aprire al reale. È appunto qui l'unione di razionale e di patetico, di comico e di affezioni del corpo, di corpo e anima, passioni e intelletto, secondo una modalità adatta alla nuova realtà. Un tale trattamento del materiale verbale apre nuove vie di ricerca, strutturate su una estrema disponibilità, su legami pericolosi, al di là di ogni idea di selezione e di scontro tra poetico ed impoetico. Per consegnarci una immagine esaustiva di questa manipolazione creativa, Sanguineti si affida ad una autobiografia straniata, fredda: "il gusto barocco dei miei compatrioti" indica anche, mutando punto di osservazione, la disponibilità del lettore-collaboratore per l'asintassia e ì\ pastiche deUa scrittura laborintica e pivi globalmente avanguardistica. A livello di armonica nascosta, si crea, nel testo, tasseUo dopo tassello, un paraUelo tra la necessaria riforma goldoniana del comico, incentrata sul professionismo del drammaturgo, del poeta di compagnia, e l'attualissima necessità di una nuova scrittura in grado di demistificare la realtà. In tutta questa sezione, da Metastasio a Goldoni, Sanguineti gioca con la metafora del teatro come mondo, ed anzi, spesso e volentieri, siamo messi, fo-

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scolianamente, uscendo dalla finzionalità con una metalessi, dentro e di fronte al "teatro del mondo", lo spazio dove si giocano gli esiti vitali dell'umanità. Con questo testo, l'autore ci consegna una delle prime testimonianze di una poetica del patetico-eroico e del cinico, lungo una linea che non si rassegna al silenzio ma cerca un contatto con il lettore, per quanto il contatto possa essere mercificato e pieno di interferenze. Questa che abbiamo presentato è -seppur la principale- una delle moltissime linee che avremmo potuto seguire nel rintracciare un filo all'interno di questo manifesto in versi, dove si crea, sotto l'egida del patetico, una sorta di equivalenza tra "perturbazioni dell'animo" e "affezioni del corpo". Il patetico viene a configurarsi attraverso Aristotele, Metastasio e Goldoni; e queste presenze sono il segno della scelta di far interagire tra di loro diverse declinazioni del patetico e del comico, del corpo e deha ragione, per creare, laboratorialmente, nel testo, un nuovo comico e un nuovo patetico, in grado di parlarci della realtà contemporanea: è il modo di dar vita ad una reazione chimica completa per quanto è possibile, nella quale ci siano tutti i materiah. L'ottica non è quella dell'adesione al contributo di un autore più che a quello di un altro, quanto quella di far nascere, con l'impasto, un nuovo materiale di lingua e di pensiero, attentamente articolato. Ormai è chiaro che la citazione non si discosta per nulla dagli altri sintagmi e dalle altre unità discorsive, essa si trova completamente immersa nel testo e sfugge completamente alle funzioni di arricchimento e impreziosimento del testo. Il prehevo entra completamente nell'organismo testuale, dove tutto viene fuso, anche se, naturalmente, l'individuazione della provenienza del sintagma mette in moto un intero meccanismo; hic et nunc, non solo il lettore-collaboratore individua in Metastasio-Aristotele una preziosa catena intertestuale, ma -come abbiamo già rilevato- individua come Sanguineti, attraverso questo gioco straniarne, si serva del 'saggio in poesia' proprio per chiarirci, in anteprima, per anteposta persona (con un gioco di maschere), uno dei punti cardine, quello del patetico: per Sanguineti, il patetico è, quindi, già all'inizio, qualcosa di estremamente concreto e materiale, si trova, come per Metastasio (su Aristotele) nelle "fisiche affezioni del corpo, come sono i colpi, i tormenti, le ferite e le morti". Un patetico del corpo umano, della sua precarietà e delle sue trasformazioni temporali. Ora risulta chiara, in perSfetta circolarità, anche l'espressione "(oh melodramma!)" del primo verso della sez. 18, poiché questa azione drammatica di musica e versi, questa gestione dei sentimenti si fa primo nucleo di una poetica delTeroico-patetico e del cinico che, in unione con il corpo dilaniato e fatto a pezzi, nella sua dimensione di registratore fedele del reale (la realtà rimane impressa sul corpo, lo incide), dà vita ad una poetica deUa crudeltà, ad una

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scrittura della crudeltà, rendendo inscindibile il materiale corporale e il virtuale intellettuale ed intellettivo, in ossequio al modello artaudiano, che arriva poi, via G o l d o n i e Metastasio, alla gestione e formazione del paradosso. A l t e m p o , ad u n a strategia delle date precise, è riservata un'osservazione finale, sulla scorta di P i e t r o p a o h : Questi sono gh unici casi in cui compaiono delle date precise e meritano perciò un'attenzione un po' particolare (in realtà Lahorintm ne ospita altre due 'ml8 t 'ml9, ma si tratta di date storiche, insignificanti ai nostri fini). In assoluto esse valgono da ottimi testimoni dell'impronta formale di cui si discute, anche se, dissolte come sono dalla incongruenza semantica dei contrasti, connotano la loro natura strutturale di pure larve della futura fissazione per le date precise. Al dettagUo, però, di date veramente precise si tratta. I due brani sono infatti collegati tra loro a livello metapoetico e in modo speculare, giacché si rimandano e scambiano le date di stesura delle sezioni in cui si trovano. Laborintus 6, che contiene la data 1953, risale al 1951, l'hanno della grande monomania" {4, SG: 17)y anno nel quale l'autore compone quasi d'un fiato, in soh sei mesi, i primi quindici pezzi dell'opera, tutti puntati sull'idea della "comphcazione come necessità" e sulla necessità dell'"anarchia come complicazione radicale" (nella stessa Laborintus 6, e poi in 15, che è a sua volta l'ultima composizione del '51). E dunque la "precisazione e datazione fino al 1953" di 6 rinvia direttamente (come ovvia aggiunta a posteriori) a Laborintus 23, che è appunto l'ultima sezione scritta in quell'anno, per la precisione nel novembre '53, e che segna il momento del bilancio da parte dell'autore sulla precedente ricerca laborintica prima dell'affondo finale nella "lividissima terra" e "mater" della sezione conclusiva. Laborintus 23 è così anch'esso un testo di autoriflessione poetica, e proprio sulla matta e disperata produzione dell'"anno della grande monomania" (di qui la data emersa del 1951). Ma soprattutto si direbbe che "citi" il caratteristico doppio gioco, di palese assenza e di occulta pressione, che il tempo, insieme allo spazio, esercita nel poema. E lo cita proprio nella brevissima sequenza iniziale, in quel senza data, ma, 1951, in quel rapido passaggio e capovolgimento di fronte, dal non-tempo alla puntualità temporale, che travahca lo stesso valore dell'avversativa. Anche se per il momento deve accontentarsi di operare sull'unica dimensione certa di cui dispone, appunto quella dell'attività poetica.^ M a l'attività poetica è quella che ci m o s t r a c o m e la storia, nella sua d i m e n sione di azione spazio-temporale, sia presente anche nella Palus Putredinis, e r o m p a quasi l'involucro di u n a possibile epoché. Tutti i materiah c o n c o r r o n o così alla costruzione di una sorta di m a c c h i na melodrammatica, nel senso che l'autore rappresenta e analizza i gesti, i

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comportamenti, e, più globalmente, le relazioni interpersonali nel quadro della prassi storica: non si tratta quindi di caricare i sentimenti e le passioni, quanto di metterli in scena, puntualmente, nel loro contesto storico-sociale, interpretandoli. In quest'ottica, se strategia dello stupore o estetica dello stupore sono presenti, lo sono nel senso della reazione del fruitore di fronte ala realtà messa a nudo, in maniera crudele. Ueffetto è quindi inevitabilmente quello dello spaesamento. Desiderio, potere e denaro fanno muovere gli uomini; si vive e si muore per passioni amorose e politiche, davvero foscohanamente, con una piccola e decisiva correzione: non è più infatti il dramma esclusivo di una interiorità individuale, ma quello più globale dell'uomo nel tardo capitalismo. Se Foscolo ha il merito di aver colto nel suo momento aurorale una esperienza sociale decisiva e di averci dato il testo "deUa disperazione di vivere dopo la rivoluzione"^^, su un piano individualizzato, Sanguineti ci consegna la presa di coscienza della crisi dell'uomo globahzzato e manipolato, tra utopie e riflussi. Siamo di fronte ad una sorta di dramma del quotidiano, che può farsi rapidamente tragedia (autodistruzione latente) e di rappresentazione dei conflitti in tutti i loro aspetti, veri punti di tensione della scrittura. Questo permette all'autore una 'pressione' sulla superficie del reale che, in virtù anche di uno sguardo obliquo, ne svela la natura, storicamente determinata, perché siamo per natura essenzialmente sociah. Esplode così l'esperienza di una percezione pacificata del reale visto come naturale, infatti i conflitti e la loro interpretazione contribuiscono, su due piani diversi ma conn^si del dire e del fare, a far esplodere il continuum permettendo di entrare in ^profondità, neUa carne deUa realtà nella sua complessità. Allora questo melodramma in perfetta decostruzione è quanto di meglio ci possa essere per rendere conto deU'io distrutto, del decentramento deUa coscienza. Laborintus è del resto il resoconto fedele di un nuovo viaggio, se non agli inferi, nel cuore del mondo, dove le strutture appaiono precarie e transeunti, e Tuomo un graneUo di sabbia in balia degh eventi: U testo prende le forme del diario di questa esperienza di sprofondamento nell'interno deU'uomo, inteso come essere, e al cuore della storia, sotto il pericolo dello scontro atomico. In questa maniera, nella sezione che più di ogni altra, essendo un manifesto di poetica, una dichiarazione diretta di intenti di scrittura, sviluppa l'aspetto metapoetico e metalinguistico, Tautore, attraverso la mediazione 'al cubo' deUe citazioni, coglie l'occasione per dirci, in modo inequivocabile, che il poema erotico-demonologico è -quasi sul modello di Cesare- un commentario puntuale di una esperienza di mente e di corpo, di intelletto e di membra, costringendoci a riflettere su questo aspetto di fedele registrazione del confronto dell'uomo con le condizioni storiche in cui vive, e di come le dimensioni materiah ed apparentemente esterne condizionino l'interiorità, l'inconscio.

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1 1 Novissimiy cit., p. 115. 2 Sanguineti ha dedicato a Metastasio un intervento ai Convegno internazionale di studi in occasione del terzo centenario deUa nascita (Roma, 2-5 dicembre 1998), ora pubblicato con il titolo "In margine aUe lettere di Pietro Metastasio" in II melodramma di Pietro Metastasio, a cura di E. Sala Di Fehce e R. M. Caira Lumetti, Aracne, Roma 2001, pp. 441-453, dal quale estrapoliamo alcune parti che confermano, a distanza di anni, gh interessi sanguinetiani per la natura del melodramma: " L'eroe metastasiano è, per eccellenza, l'eroe del dubbio. È l'eroe che non sa decidere, (p. 447) [...] Insomma il nodo della costruzione drammatica metastasiana è qui; naturalmente non è un'invenzione, è però una sorta di ossessione, che Metastasio sentiva intanto come costitutiva della propria condizione esistenziale, (p. 448) [...] addita nel nucleo del dubbio dell'eroe metastasiano una situazione che noi oggi chiameremmo di 'io-diviso', e che per Metastasio si spiega presso a poco in termini che rozzamente, ma non infedelmente al modo metastasiano potremmo definire come rapporto anima-corpo, (p. 449)". 3 J.W. Goethe, Faust, Mondadori, Milano 1990, p. 32 e p. 430. ^ Metastasio, Opere, Mondadori, Milano 1949, voi. V, p. 1107; con tutta probabilità, è lo stesso testo utilizzato anche da Sanguineti. 5 E. Sanguineti, Ideologia e linguaggio (nuova ed. amphata), Feltrinelli, Milano 2 0 0 1 ,

p p .

5 5 ,

5 6 ,

5 9 .

^ C. Goldoni, Mémoires, in Tutte le opere, voi. I, Mondadori, Milano 1935, p. 192. 7 C. Goldoni, Memorie, Mondadori, Milano 1993, p. 243: "Avevo soddisfatto il gusto barocco dei miei compatrioti, da cui ricevevo i complimenti ridendo, e morivo dalla voglia di spingere la mia riforma fino in fondo e subito". 8 La metafora ha una forte presenza nell'universo barocco, vd. in M. Costanzo, Il "gran teatro del mondo", Scheiwiller, Milano 1964, pp. 7-46; optiamo per la declinazione ortisiana in quanto sta h sul limitare a segnare e a segnalarci l'inizio della modernità; "No; né umana forza, né prepotenza divina mi faranno recitare mai nel teatro del mondo la parte del piccolo briccone", in U. Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis, Bompiani, Milano 1990, p. 25. Essa fa parte delle cosiddette "metafore teatrah" la cui origine va cercata nel mondo classico; per un quadro completo vd. E.R. Curtius, Letteratura europea e medioevo latino, cit., pp. 158-164. 9 A. Pietropaoh, Unità e trinità di Edoardo Sanguineti, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoh 1991, p. 29. E. Sanguineti II chierico organico, cit., p. 72. Si tratta del saggio "Ultime lettere di Jacopo Ortis", apparso originariamente come introduzione aU'opera foscohana curata da Sanguineti stesso e apparsa per Bompiani nel 1990. L'attenzione di Sanguineti a Foscolo è testimoniata dai vari saggi dedicati aU'autore, presenti nd Chierico organico e non solo, dalla curatela delle Lettere scritte dall'Inghilterra e da continui riferimenti, evidenti e allusivi, più o meno nascosti, neha poesia, da Laborintus in poi: si tratta di una presenza forte.

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23. s.d. ma 1951 (unruhig) Kai Kpivouaiv e socchiudo gh occhi ot KoXkoi e mi domanda (L): fai il giuoco delle luci? Kal TCt xf\ç (jiouGLKfiç è'pya ah quale continuità! andante K. 467 qui è beUa la regione (lago di Sompunt) e tu sei l'inverno Laszo veramente et j'y mis du raisonnement e non basta et du pathétique e non basta 5 ancora Kal x a -rœv JtoiriTcov and CAPITAL LETTERS et ce mélange de comique ah sono avvilito adesso et de pathétique una tristezza ah in me contengo qui devoit plaire sono dimesso et devoit même sono dimesso, non umile surprendre! ma distratto da futilità ma immerso in qualche cosa 10 and CREATURES gh amori O F T H E MIND di spiacevole realmente très-intéressant mi è accaduto dans le pathétique un incidente che dans le comique mi autorizza très-agréable a soffrire! e qui eonvien-ricordarsi che Aristotile 15 sì c'è la tristezza mi dice c'è anche questo ma non questo soltanto, io ho capito and REPRESENTATIONS non si vale mai O F T H E THINGS delle parole passioni o patetico per significar le perturbazioni and SEMINAL PRINCIPLES dell'animo; et nàQr] tragicam scaenam fecit Jtd0ri|jia e L ma leggi lambda: in quel momento 20 jta0riTiKÓv

ho capito Kal Kpivouaiv iifxetvov egh intende sempre di significar le fisiche and A L P H A B E T I C A L NOTIONS affezioni del corpo: come sono i colpi i tormenti è come se io mi spoghassi le ferite le morti 25 di fronte a te et de ea commentarium reliquit (de X) ecc. de morte ho capito che non avevo (coloro che non sono trascurati!) mai RADICAL IRRADIATIONS ecco: avuto niente 30 e ho trovato (in quel momento); che cosa può trovare chi non ha mai avuto niente? TUTTO; and A R C H E T Y P A L IDEAS! this immensely varied subject-matter is expressed! et j'avois satisfait le goût baroque de mes compatriotes! 35

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Note w . 1-2: Il testo si apre con il gioco contraddittorio tra "s.d." (senza data) e il "ma 1951", che è una falsa puntualizzazione, poiché il testo è del 1953 (come indica Tau tore, secondo una abitudine poi consolidata, nell'indice). L'elemento paratestuale serve così a negare e a far girare a vuoto la strategia della data, creando un gioco non solo tra le sezioni ma tra testo e paratesto. Niente è sicuro. La precisione è un falso che non è ancora stato scoperto. (L) o X è il nuovo personaggio femminile che entra in scena con una domanda, creando un colloquio con gh altri protagonisti e con il lettore in un gioco di piani e di intersezioni, "fai il giuoco delle luci?:" sembra quasi una domanda retorica che serve a sottolineare la strategia di chiaroscuri e di pieni/vuoti, dei volumi, presente in questa palude piena di coUine e di depressioni, mari e monti, ma anche appunto sul palcoscenico e nel teatro del mondo. I frammenti in lingua greca provengono sì da Aristotele, ma non dalla Retorica o dalla Poetica, bensì dalla Politica, attraverso la mediazione di Metastasio, e costituiscono un sintagma di senso compiuto, che l'autore spezza e utihzza per ritmare l'intero andamento narrativo. Il testo è prelevato di peso dal Capitolo XVII àdVEstratto dell'Arte Poetica d'Aristotile e considerazioni su la medesima di Metastasio, dove troviamo: "ed avea detto innanzi assai più precisamente al nostro caso: Perciò la moltitudine giudica meglio delle opere della musica, e de' poeti" (P. Metastasio, Opere, Mondadori, Milano 1949, voi. V, p. 1091. Come abbiamo già osservato è la stessa edizione usata dall'autore). In nota, lo stesso Metastasio scrive: "Alò Kal Kpivouaiv (x^eivov oi jtoXXot, Kal xh Tfjg |LiouaLKY)$ è^pya, Kal xct xcóv jtoirjTcbv. Arist. Politic., lib. III, cap. XI, tom. III, p. 467, C " (Idem). La frase viene prelevata e ricomposta da Sanguineti. Se osserviamo l'intera sezione, mettendo insieme i frammenti presenti ai w . 1, 2, 3, 6 e 22, rispettandone la sequenza, la frase, nella versione sanguinetiana, diventa: "e giudicano i più e le opere della musica e quelle dei poeti e giudicano megho". In questo modo, delegando la parola, l'autore ci propone una versione possibile del rapporto con il lettore e il pubblico, sottolineando il momento della produzione e quello della fruizione. ~ "unruhig", che Giuliani traduce "inquieto", proviene dalla prima e dalla seconda parte del Faust Atto I, in entrambi i casi, dove troviamo: "NACHT, In einem hochgewölhten, engen gotischen Zimmer Faust unruhig auf seinem Sessel am Pulte". La traduzione di Fortini è: " N O T T E . In una stanza gotica a volta, stretta e alta, Faust, inquieto, nella poltrona davanti al suo scrittoio". " A N MUTIGE G E G E N D , Faust, auf blumigen Rasen gebettet, ermüdet, unruhig, schlaf suchend Dämmerung Geisterkreis, schwebend bewegt, anmutige kleine Gestalten". Fortini traduce: " L U O G O A M E N O . Faust disteso su di un prato fiorito, stanco, inquieto, cercando sonno. Crepuscolo. Una cerchia di spiriti, piccole figure, ridenti, plana e volteggia" Q.W. Goethe, Faust, Mondadori, Milano 1970, pp. 32-33 e pp. 430-431: il prelievo proviene, in perfetta circolarità, dalla didascalia di apertura del I atto della prima e della seconda parte). "Inquieto", che definiva Faust in un suo stato, indica una irrequietezza di fondo del poema laborintico e dell'autore, come dei suoi personaggi, ma, anche, alTinterno di un testo-manifesto di poetica, un obiettivo e un nodo della poetica autoriale e un consigUo, un segno per aiutare il fruitore a muoversi. Inquieto deve

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essere anche il lettore per potersi muovere all'interno del poema, per bucarlo e attraversarlo. Ma la citazione goethiana è un segno, una spia della predilezione sanguinetiana in particolare per Goethe e per questo testo, che nel 1985 diventerà un travestimento teatrale (E. Sanguineti, Faust. Un travestimento. Costa & Nolan, Genova 1985) e in generale per il pre-romanticismo, confermata dall'attenzione critica riservata a Foscolo e da un titolo (poi) come Wirrwarr, prelevato da Klinger (vd. Anarchia e Complicazione). Questo termine ci indica, infine, una organizzazione e una gestione razionale dei sentimenti, completando così Metastasio. w . 3-4: Continuiamo con Aristotele -via Metastasio-, ma si introduce, per chiarire "inquieto" e dare la prima indicazione sulla costruzione dell'opera, la musica, che in un gioco di tonahtà tipicamente pre-romantico e poi romantico, si trova legato al paesaggio e alle stagioni (qui l'inverno). - "Kal xcc Tf]^ [j,ouaLKng è^pya" ("e le opere della musica") trova completamento in "K. 467"; il riferimento è al Concerto in do maggiore per pianoforte e orchestra di W.A. Mozart. Il concerto, diviso nei consueti tre tempi (Allegro maestoso. Andante, Allegro vivace assai), è stato composto nel 1785 e appartiene al ciclo dei concerti "Viennesi" (pagine molto brillanti dal punto di vista della scrittura musicale, orchestrale e pianistica). L'Andante, divenuto molto celebre, viene definito da Giacomo Manzoni un brano privo di "svolgimenti drammatici, mantenuto su un livello di intensa ma anche carezzevole cantabilità" (G. Manzoni, Guida all'ascolto della musica sinfonica, Feltrinelh, Milano 1978, p. 306). La cantabilità, qui, diventa il recupero dell'originaria oralità della poesia, della sua tradizione greca, una sorta di Sprechgesang, di recitar cantando, un misto di controllata contaminazione di ragione e sentimento, dove il nuovo tragico è il dramma della storia sul piano della prassi. Questo quadro, daUe tonahtà di una tragedia, epurato dalle forti passioni romantiche e dichiarato secondo le modalità di una sorta di neo-romanticismo, è completato dall'indicazione geografica precisa: "Il lago di Sompunt è per la cronaca (e la geografia) in Val Badia" (7 Novissimi, cit., p. 115). ~ Laszo entra in gioco, e pare quasi il destinatario privilegiato della domanda di X, ma Laszo ora è inverno, è cupo, è un cielo in tempesta. w . 5-6: Il francese è prelevato dai Mémoires di Goldoni, e precisamente dal cap. X L I X della prima parte, dove troviamo: "Oubhez, mon Dieu, les fautes de ma jeunesse, et celles de mon ignorance; j'étayai le plaidoyer par des autorités classiques, des décision de la Rote Romaine, de celles de la Chambre Criminelle de Florence, que l'on appelle il Magistrato degli Otto, le Tribunal des Vili; j'y mis du raisonnement et du pathetique;" (C. Goldoni, Mémoires, in Tutte le Opere di Carlo Goldoni, voi. I, a c. di G. Ortolani, Mondadori, Milano 1935, p. 222; "Dimentica, Signore, gh errori della mia gioventù e quelli della mia ignoranza; rafforzai la mia arringa con autorità classiche, sentenze della Rota Romana e della Camera Criminale di Firenze, che si chiama il Magistrato degli Otto', vi ci misi del ragionevole e del patetico", nella traduzione di R Bosisio, in C. Goldoni, Memorie, cit., p. 277). Goldoni sta descrivendo una delle poche cause giudiziarie nelle quali si era trovato in veste di avvocato, ma il "j'y mis du raisonnement et du pathetique;", frantumato e ricomposto con perizia, viene giocato da Sanguineti tutto nel senso della costruzione dell'opera, del miscugho di ragione e di patetico come ricerca di un equilibrio tra razionahtà e passioni. Sanguineti preleva

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e traspone un sintagma che non ci saremmo meravighati se avesse fatto parte -come gh altri- di un ragionamento sulla riforma teatrale di Goldoni. - Il greco dei versi in esame ("Kal ra rœv jcoiriTcov") è l'ennesimo frammento aristotelico, mediato da Metastasio. "CAPITAL L E T T E R S " è sì espressione originale e ricostruita dei neo-platonici di Cambridge, ma non si trova in Cassirer, La rinascenza platonica in Inghilterra e la scuola di Cambridge -come indicato da Giuliani- anche se si tratta di una formula tipica e ricorrente. " C A P I T A L LETTERS", che significa "lettere maiuscole", può anche avere il senso di lettere capitah, importanti e decisive, mantenendo, nel suo sostrato, per Sanguineti, anche un gioco con il Capitale, cioè comunicazione nell'epoca del capitahsmo. w . 7-10: Continuano le citazioni da Goldoni; esse sottolineano la miscela di comico e di patetico sulla quale si struttura l'opera e il suo dover risultare gradita al lettore, a cui fanno da contraltare i sintagmi in italiano "sono avvilito", "una tristezza", "sono dimesso", "sono umile", che indicano uno stato di male di vivere, di egritudine e di mahnconia, secondo le regole del contrasto tra natura indifferente e uomo sofferente, tipiche del Werther e dell'Ortis. - Il protagonista sanguinetiano, e l'uomo in generale, non è "distratto da futilità", ma "immerso in qualche cosa", che non è l'infinito mare dell'essere ma la quotidianità. ~ "surprendre!" (stupire, sorprendere, dare meraviglia) indica uno stato dell'uomo e dei protagonisti, ma anche in una nuova declinazione, completamente slegata dall'idea romantica di originahtà, l'effetto che deve creare sul lettore questa poesia n(u)ovissima. Siamo di fronte ad una nuova poetica della meravigha. Per quanto riguarda la citazione, siamo nel capitolo L della prima parte dei Mémoires, dove troviamo la frase completa, che Sanguineti spezza e rimonta, impastandola con altri materiali: "L'Italie n'avoi fait que goûter les premiers essais de la reforme que j'avois projettée. Il y avoit encore assez de partisans de l'ancienne Comédie, et j'étois sûr que la mienne, sans s'eloigner beaucoup de la marche ordinaire et triviale, devoit plaire, et devoit même surprendre par ce mélange de comique et de pathétique, que j'avois artistement ménagés" (C. Goldoni, Mémoires, cit., p. 225; trad.: "L'Itaha non aveva fatto che gustare le prime prove della riforma da me progettata. C'erano ancora abbastanza partigiani dell'antica Commedia e io ero sicuro che la mia, dal momento che non si allontanava troppo dal registro ordinario e triviale, doveva piacere, ma essa doveva anche sorprendere per via della mescolanza di comico e patetico che avevo maneggiato con arte", C. Goldoni, Memorie, cit., p. 281). Sanguineti preleva e ricompone la frase "devoit plaire, et devoit même surprendre par ce mélange de comique et de pathétique", in modo da mettere in evidenza gh obiettivi e gli effetti che sul pubbhco provoca questo patetico ironico e straniato, figlio di una ragione che gestisce anche le passioni. Il concetto della mescolanza di comico e patetico è caro a Goldoni, che, già nel capitolo I della prima parte, scrive: "Cet Auteur Florentin, très-peu connu dans la République des Lettres, avoit fait plusieurs Comédies d'intrigue, melées de pathetique larmoyant et de comique trivial" (C. Goldoni, Mémoires, cit., p. 13, dove si parla di Cicognini, autore prediletto da Goldoni in gioventù; trad.: "Tale autore fiorentino, poco conosciuto nella repubblica della lettere, aveva scritto molte commedie d'intreccio, miste di patetico lagrimoso e di comico triviale", C. Goldoni, Memorie, cit., p. 29). Questi ingredienti sono considerati da Goldoni elementi

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talmente decisivi e capitali che nel cap. X I della seconda parte troviamo: "Il faut, me dis-je a moi-même, beaucoup d'intrigue, du surprenant, du merveilleux, et de l'intérêt en même tems, du comique et du pathétique" (C. Goldoni, Mémoires, cit., p. 289; "Ci vorrebbe, dico a me stesso, un intreccio comphcato, del sorprendente, del meravighoso e, insieme, dell'interesse, del comico e del patetico", C. Goldoni, Memorie, cit., p. 357). I due concetti ritornano spesso nelle riflessioni goldoniane (ne abbiamo presentato le più significative): da Goldoni a Sanguineti, tutto subisce una trasformazione, uno slittamento, e il "sorprendente" diventa ciò che per il lettore è inconsueto e non fa parte della tradizione dominante e consohdata. w. 11-14: " C R E A T U R E S " " O F T H E M I N D " (creature della mente, produzioni della mente) proviene dai neo-platonici di Cambridge, per esempio, per un lessico simile, si può vedere R. Cudworth, The True Intellectual System ofthe Universe, Fromann Verlag, Stuttgart-Bad Cannstatt 1964, pp. 720-721: "And it seems to be no Derogation from Almighty God to suppose, that Created Minds by a participation of the Divine Mind, thould be able to know". Nel nostro contesto, introduce l'universo della vita psicologica della produzione tra il sonno e la vegha, che rimanda air"inquieto" del primo verso, del Faust che va cercando il sonno. - Ritroviamo qui gh amori, in particolare quelh della sez. 11, naturalmente post-trasformazione, senza Elhe e sotto X. Il francese deriva da Goldoni e ci introduce in un'esperienza che un protagonista/autore pare cercare di trasmettere al lettore: qualcosa che è spaventevole e molto interessante "mi è accaduto", dentro, nel cuore del patetico, una sorta di "incidente", di elemento di rottura, che nel comico, dentro il comico, mi autorizza molto piacevolmente a soffrire. E il comico contiene così il tragico e viceversa: "soffrire" introduce il nuovo tema sviluppato nei versi seguenti, dove vedremo come questo stato sia quasi una patologia del corpo e si riversi materialmente sulle membra. ~ È formula goldoniana che ricorre in diverse occasioni, quando Goldoni, per esempio, cerca di definire le caratteristiche di due attori: in questo caso, Sanguineti estrapola e ricostruisce dal II capitolo della terza parte: "M. Clerval, Acteur excellent, très-agréable dans le comique, très-interessant dans le pathétique" (C. Goldoni, Mémoires, cit., p. 446; "Il signor Clairval, attore eccellente, molto piacevole nel comico, interessante nel patetico", C. Goldoni, Memorie, cit., p. 541). Con la tecnica della variazione e della reiterazione, Sanguineti ribadisce la centralità del comico e del patetico ("très-agréable dans le comique, très-interessant dans le pathétique" viene spezzato e ricomposto nei w . 12-13, con una nuova sequenza). Troviamo "très-agréable dans le comique" anche nel cap. X L della prima parte, dove, parlando di due attrici, Goldoni scrive: "On avoit changé la Bastona mere contre la Bastona sa fille, excellente Actrice, pleine d'intelligence, noble dans le sérieux, très-agréable dans le comique" (C. Goldoni, Mémoires, cit., p. 184; "La Bastona madre era stata sostituita dalla Bastona figha, ottima attrice, intelhgente e nobile nel genere serio, molto divertente nel comico", C. Goldoni, Memorie, cit., p. 233). w . 15-27: Siamo al nucleo della gestione e della utilizzazione di Metastasio: "e qui convien ricordarsi che Aristotile" è prelevato dal Cap. X X I V ádVEstratto dell'Arte Poetica d'Aristotile e considerazioni su la medesima, fonte predominante della sezione. Fa parte di un significante corpo frastico che Sanguineti appunto preleva, frantu-

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ma e rimonta. Nella sua versione metastasiana suona così: "Qui eonvien ricordarsi che Aristotile non si vale mai delle parole passioni, o patetico (b), per significar le perturbazioni dell'animo (come la maggior parte degli espositori, non so con quale ragione, traduce); essendosi egli, come di sopra abbiam veduto, limpidamente dichiarato che con tali parole egli intende sempre di significare le fisiche affezioni del corpo: come sono i colpi, i tormenti, le ferite e le morti, (b) jiá9Yi, Jtá0Ti|Aa, Jta6r|TiKÓv. Vedi cap. X X I V ' (P. Metastasio, Opere, cit., voi. V, p. 1107). Dopo Aristotele che introduce Metastasio, occupa il centro la tristezza, uno stato mahnconico, deU'uomo, qualcosa tra l'egritudine e lo spleen, che -come vedremo- si fa patologia corporale. C'è la tristezza e non solo. "REPRESENTATIONS O F T H E THINGS" (rappresentazione delle cose) fa sempre parte del lessico dei neo-platonici di Cambridge e potrebbe riferirsi alla maniera neUa quale la mente, l'intelletto costruiscono una rappresentazione del mondo. ~ "non si vale mai [...] delle parole passioni o patetico per significar/le perturbazioni [...] deU'animo" proviene dal Metastasio sopra riprodotto. Spezzato e frammentato, continua il discorso: passioni e patetico escono da un'ottica romantica e di animo perturbato per diventare qualcosa di più complesso, che comprende anima e corpo nella loro totalità. Sanguineti pone le prime basi materiali e corporah deUa sua concezione eroico-patetica (vd. Introduzione). ~ "and SEMINAL PRINCIPLES" (e principi fondamentali) si trova in R. Cudworth, The True Intellectual System, cit., p. 153, dove leggiamo: "Nature is a Habit moved from it self according to Spermatick Reasons or Seminal Principles, perfecting and according those several things, which indeterminate times are produced from it, and acting agreably to that from which it was secreted". ~ "et Jiá0Yi" proviene daUa nota (b) di Metastasio, citata; per questo termine e i seguenti dello stesso campo semantico vd. anche la Retorica di Aristotele (Rhetorique, Les BeUes Lettres, Paris 1932, p. 109, libro I, e p. 91, hbro III). Per i concetti trattati, come già notava e annotava Metastasio in calce, è utile leggere il capitolo 24 déVArte Poetica (Aristotele, Dell'Arte Poetica, Mondadori, Milano 1982, pp. 9199). ~ "tragicam scaenam fecit Jcá0T]^a". Si tratta dell'unione di due testi mediati da Metastasio: per "3tà0Yì|j,a" ìì riferimento è sempre alla nota (b) di p. 1107, mentre "tragicam scaenam fecit" è Vitruvio sempre mediato da Metastasio. La fonte è la nota (a) del cap. IV del sohto Estratto, dove troviamo: "Namque primum Agatharcus Athenis, Aeschylo docente, tragicam scaenam fecit, et de ea commentarium reliquit. Vitruv. in praefatione lib. VII de Architect, p. 124, Amstelod 1649 in fol." (P. Metastasio, Estratto, cit., p. 990). Nel corpo del testo è presente la traduzione: "Agatarco ì\ primo, dando Eschilo al pubblico uno dei drammi suoi, fece in Atene la scena tragica, e ne lasciò un commentario (a)" (Ibidem). ~ La seconda parte del sintagma viene significativamente utilizzata da Sanguineti per chiudere la porzione centrale aperta al v. 15, da "eonvien ricordarsi che Aristotile". Questa versione con "tragicam scaenam" è con tutta probabihtà un errore di Metastasio, poiché, nel capitolo successivo, il V, nella nota (a) (p. 1019), Metastasio ripropone, in maniera più articolata, lo stesso testo, e scrive: "Namque primum Agatharcus Athenis, Aeschylo docente tragoediam, scaenam fecit, et de ea commentarium reliquit. Vitruv in praefatione lib. VII de Architect, p. 124, edit. Amstelod 1649 in fol." (Idem, p. 1099), creando subito un contrasto tra tragicam e tragoediam. Anche la traduzione di Metastasio nel corpo testuale è diversa nella for-

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ma: "Poiché esponendo Eschilo alla pubblica rappresentazione una sua tragedia in Atene, ne fece primariamente Agatarco la scena, e scrisse un trattato sopra di essa". Questa seconda versione del testo, cprrisponde, in maniera più puntuale, del resto, a queUa di Vitruvio stesso: "Namque primum Agatharcus Athenis Aeschylo docente tragoediam [ad] scaenam fecit, et de ea commentarium reliquit" (M. Vitruvio PoUione. De Architectura Libri 10, Studio Tesi, Pordenone 1993, p. 304). A confermare la possibilità di una svista di Metastasio -si tratta forse di una citazione a memoria-, arriva l'edizione deìVEstratto a cura della Selmi, che così propone la nota del cap. IV: "Namque primum Agatharcus Athenis, Aeschylo docente, tragicam [tragoediam] scaenam fecit, et de ea commentarium reliquit". Vitruv., in Praefatione lib. VII De architect., p. 124, Amstelod. 1649, in fol. (P. Metastasio, Estratto dell'Arte Poetica di Aristotile, a cura di E. Selmi, Novecento, Palermo 1998, p. 38). La parentesi quadra con l'integrazione della curatrice sottohnea la variante creata da Metastasio e trapassata a Sanguineti, dove appunto la scena non è quella della tragedia ma è tragica, ed è la reale situazione del mondo sotto la minaccia atomica. Lo scontro fa (rende) tragica la scena, intesa come scenario internazionale. ~ "e leggi X" (precisazione dovuta all'identità di scrittura delle lettere maiuscole lambda ed elle) sottolinea l'equivalenza tra L e X, mettendo in evidenza la funzione un poco salvifica di questa nuova protagonista femminile. ~ "jcaeriTLKÓv" è il terzo elemento della nota (b) di p. 1107 e completa il trittico, sottolineando la nascita di un patetico dell'era atomica, che è un patetico del corpo e non solo deU'animo e della psiche, come puntuahzza Sanguineti, proseguendo neU'uso di Metastasio (per il patetico vd. anche cap. XVIII deìVEstratto, pp. 10941097). "in quel momento" "ho capito" sembra un intervento autoriale, atto a focahzzare l'attenzione su come l'autore stesso abbia compreso, ad un certo punto, la dialettica tra corpo e passioni. ~ "KOL KPTVO'UALV IIFXELVOV" (e giudicano megho) è, come al V. 1, Aristotele, Politica, mediata da Metastasio (vd. Estratto, p. 1091). Sottolinea il giudizio di coloro che assistono allo spettacolo, da quello nudo e crudo della prassi storica a quello finzionale. ~ "and A L P H A B E T I C A L N O T I O N S " (idee alfabetiche) appartiene al lessico dei neo-platonici di Cambridge e frammenta un altro sintagma compiuto del testo metastasiano che abbiamo presentato al v. 1 neUa sua interezza. ~ "egh intende sempre significar le fisiche affezioni del corpo" è sempre Aristotele via Metastasio (Cap. XXIV): le passioni diventano qualcosa di materiale e concreto, non solo uno stato dell'animo ma anche una affezione del corpo, quasi una malattia che crea squilibri. Oggi diremmo che si è portati a somatizzare le situazioni. - "è come se io mi spogliassi [...] di fronte a te" serve a rompere Metastasio, ma soprattutto a consegnarci un'idea deUa sezione come cuore messo a nudo deU'autore. Infatti questa dichiarazione consiste in un'eliminazione di veli. ~ "come sono i colpi, i tormenti, le ferite e le morti" sono le parole che Metastasio usa per rendere chiaro il concetto di affezioni, che sono colpi veri e duri tormenti concreti che possono diventare ferite mortali. Non esiste un male dell'anima che non sia male del corpo. NeUa sequenza Sanguineti frammenta la frase in nuclei più piccoli e gestibili in un ritmo incalzante. ~ "et de ea commentarium reliquit" (e su quella lasciò un commentario) va legato, per il gioco sotterraneo deUe citazioni, al v. 20, essendo la parte che completa l'osservazione di Vitruvio, ma, d'altro canto, serve a sottolineare la natura di questa rinnovata dichiara-

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zione poetica, e a farci pensare all'intero poema come ad un commentario nel quale sono riportate, nude e crude, le diverse esperienze. w. 28-32: "ho capito" del v. 28 ed "in quel momento" del v. 31 vanno messi in relazione con i loro omologhi ai w . 22 e 20: la ripetizione ci permette di capire che siamo di fronte ad uno sviluppo tematico. Il processo di comprensione e di conoscenza avviene grazie all'intervento di "X." (o "L"), che porta l'autore e quindi il lettore-collaboratore a capire la morte, almeno nell'aspetto dell'elaborazione del lutto; c'è qualche traccia forse ancora autobiografica della morte della madre, che qui nel poema è però la morte di Elhe - k non solo sostituisce Elhe, ereditandone le quahtà positive, ciò che deve rimanere, ma permette un rapporto più profondo con il reale, ci accompagna verso la comprensione persino della morte, qualcosa che l'uomo non solo non riesce a capire, a far entrare nel suo orizzonte, ma neppure accetta, "in quel momento" segna proprio l'attimo in cui la coscienza diventa chiara a se stessa e la conoscenza si fa esperienza. L'atto del conoscere ci viene presentato come un momento in cui finalmente tutto ritorna, quasi in virtù di una laica illuminazione. - " R A D I C A L IRRADIATIONS" (irradiazione radicale, estrema, anche nel senso di "illuminazione sostanziale") fa sempre parte del lessico dei neo-platonici di Cambridge, ma, qui, nel contesto rinnovato, serve a focalizzare l'attenzione su una irradiazione radicale che pare colpire l'uomo, quasi essa stessa frutto di materiale radiattivo -utilizzato per scopi umanitari e non belhci, di distruzione totale-, e aprirgh la via alla conoscenza. Si crea un rapporto diverso con il mondo. In questi versi è presente il passaggio dalla dimensione individuale e soggettiva a quella più globale dell'umanità gettata nella storia - siamo sul piano della prassi: questo processo di conoscenza, partendo, infatti, anche da un nuovo modo di rapportarsi con il reale, induce il singolo a capire "che non avevo [...] mai [...] non avevo mai avuto niente" (w. 29 e 32), cioè a rendersi conto dei processi e dei meccanismi di ahenazione e di espropriazione dell'umano all'interno della società del capitale. E la prima, immediata conseguenza -quasi una reazione a quello che si subisce- è il cercare una nuova via; X rappresenta già un risultato importante della ricerca ("e ho trovato" del v. 31 si riferisce proprio a X), è l'aver trovato qualcosa: questo terzo tempo termina proprio sulla domanda retorica "che cosa può mai trovare/chi non ha mai avuto niente?", che ci porta di peso nel quarto tempo, pronto a fornirci una risposta, sempre, però, aperta e parziale, sulla linea della dialettica e della logica sanguinetiana, che non chiude mai assolutamente il discorso ma sviscera la complessità del reale. w. 33-35: Uno che non ha mai avuto niente può, appunto, liberato da ogni catena, trovare tutto, cioè il mondo e il reale nella sua plurivocità. La prima caratterizzazione di questo " T U T T O " è il sintagma " A R C H E T Y P A L IDEAS", a cui l'autore aggiunge la coordinazione "and". Idee archetipiche sono da intendersi come idee principah e sostanziah: questi termini appartengono al lessico dei neo-platonici, e precisamente sono prelevati da John Smith, ma si rintracciano, con qualche variante (finalmente) in Cassirer, dove, in nota, a p. 62 troviamo: "Such are the Archetypall Idea's of Justice, Wisdome, Goodness, Truth, Eternity, Onnipotency, and ali these either Morali, Physicall or Metaphysical notions, which are either the First Principies of Science, or the Ultimate complément and final perfection of it. [...] Select Discourses, pg. 97 sg". (E.

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Cassirer, Let rinascenza platonica in Inghilterra e la Scuola di Cambridge, La Nuova Italia, Firenze 1968, p. 62: si tratta della ristampa anastatica della prima edizione del 1947, quella presumibilmente in mano a Sanguineti). "Metaphysical notions", come formula, rimanda all'"ALPHABETICAL N O T I O N S " del v. 23, confermandoci una strategia espressiva, linguistica e lessicale. La formula di Laborintus corrisponde perfettamente ad un modo espressivo, sempre di John Smith e della sua Excellency and Nobleness of True Religion, ma rintracciabile in The Cambridge Platonists: "And seeing God hath never thrown the World from himself, but runs through all created Essence, containing the Archetypal Ideas of all things in himself, and from thence deriving and imparting several prints of Beauty and Excellency aU the world over" {The Cambridge Platonists, ed. by C.A. Patrides, Edward Arnold, London 1969, p. 187). ~ Ma queste idee archetipiche, a loro volta, vanno spiegate e riempite di significato, e a questo pensa il verso seguente, il v. 34: "this immensely varied subject-matter is expressed!" ("questo straordinariamente ricco argomento è espresso" o "questa immensa varietà di contenuti è espressa"); la frase proviene da E. H. Read, Paul Klee, Faber, London 1948, vd. 7 Novissimi, cit., p. 116 (non abbiamo potuto avere direttamente in mano il testo, e non ne possiamo indicare esattamente la pagina; E.H. Read, 18931968, scrittore e critico inglese, professore di belle arti all'Università di Edimburgo, è stato l'interprete più attento e il promotore delle correnti letterarie di avanguardia in Inghilterra, dagh anni trenta in avanti. Molto vicino ai surrealisti, ha avuto grande influenza sul gruppo di poeti della "Nuova Apocahsse"). ~ Il v. 35, explicit capitale di tutta la sezione, prelevato da Sanguineti dal X L I I capitolo della prima parte dei Mémoires di Goldoni - si tratta AéX'incipit, che per gioco diventa explicit. "j'avois satisfait le goût baroque de mes compatriotes!" (C. Goldoni, Tutte le opere, cit., p. 192; trad.: "Avevo soddisfatto il gusto barocco dei miei compatrioti", C. Goldoni, Memorie, cit., p. 243).

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SEZIONE 2 4

Introduzione Con la sez. 24 entriamo decisamente nell'ultima fase del poema, nel quarto tempo di questa atipica sinfonia per voci e rumori interamente dominata dalla PaluSy della quale viene completata la descrizione e la definizione. Il lettore viene messo faccia a faccia con la Palude. La lenta riduzione di Ellie a organi sparsi ne ha permesso prima la scomposizione e poi la morte, nell'ottica di una futura ricomposizione. Ciò che poteva salvarsi si trova ormai in X, che però non è completamente omologa ad Ellie -figura d'acqua, eterea e trasparente, piena di tenerezza-; X, è fatta di carne, concreta e materiale, è una presenza forte, anche per la sua fisicità. La natura del paesaggio è quella di una sorta di Malebolge atomica del neo-capitale, dove l'apocahsse latente può essere innescata dalla guerra dell'uomo: proprio per questo [...] le forme e i suoni si incupiscono, attraverso l'iterazione di vocaboli dal suono chiuso ("et cumulatur umbra" - sez. 24) in versi percorsi da brividi sepolcrah ("e nel morto ubi terminantur mondo immergere omnia muggendo"), al cui fondo sta (evidente nella ripresa onomatopeica) una sfumatura ironica che diviene amaro sarcasmo, ghigno contratto. ^

In questa sezione - come ha puntualmente rilevato Ciro Vitiello, [...] la trama strutturale di base è VExameron di Ambrosius, esattamente: a questo testo dei "sermones", Sanguineti attinge con intento analogico, defunzionahzzando tutto il passo utihzzato. Ambrosius nel dies tertius di Exameron tratta della terra e dei vegetali: e paragona, simbohcamente, l'adunanza dei fedeh alla congregazione delle acque; egh potenzia di allegorie il linguaggio realistico, con chiaro criterio didattico. [...] Sanguineti inserisce questo materiale nella sez. 24: però ne abolisce il senso liturgico, ehmina gh accostamenti morah; depaupera il fondamento latino, riducendolo semplicemente alla natura di corpo fisico; di poi sconquassa l'enunciato, così logico e piano, del santo e ne utilizza i frammenti secondo una necessità di strutture e non di significato. Il quale, nel rimescolamento strumentale, viene alterato e le immagini sprigionano, allora, una irruenza innovativa soprendente.2

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E infatti, mentre i lacerti latini vengono trattati da puri e semplici materiali verbali, sul piano contenutistico, Ambrogio concorre, invece, a delineare meglio la Palus e a completarla: se la geografia lunare ha reso possibile una descrizione naturale e paesaggistica, le parole di Ambrogio, l'equivalenza tra Palus e lussuria, tra Palus e intemperanza, ci fanno capire che siamo ormai su un piano morale, ma in un ulteriore slittamento semantico, non la morale cristiana o tradizionale, bensì uno stato interiore, una situazione della coscienza nella gestione di valori e passioni. In questa fase estrema del viaggio, Tautore/personaggio è opportunamente accompagnato da X/Beatrice, una Beatrice carnale, da beato compimento e concepimento, dopo l'abbandono di EllieA^irgilio. La discesa si configura come una doppia enquête, da un lato materiale viaggio al cuore di una novella Malebolge, dall'altro viaggio interiore e di formazione, dentro se stessi. Formarsi, quindi, è attraversare la palude, discendere e risalire, sporcarsi e ripulirsi: con l'aiuto di X "la mia sognatrice", si vede senza filtri la Palude, la si sorvola come le colombe che gemono fiocamente, la si percorre come la lenta testuggine che affonda neUa melma. È in virtù di X che si può avere una visione completa; l'immagine della tartaruga rimanda al paradosso classico della velocità, al movimento lento ma continuo, la colomba pare uscire dall'iconologia classica cristiana, ambrosiana, per assumere i connotati picassiani che sviluppano, a pieno, la sua dimensione di simbolo di pace e di antidoto nell'eventuale apocahsse atomica. Si ritorna così su un piano concreto e di prassi, dove la distruzione è la guerra, innescata dalle passioni, dalle necessità, dai bisogni e dagh appetiti umani. X non solo accompagna, ma guida anche lo sguardo, indica e mostra. Questa discesa viene sottolineata, lungo tutto il percorso testuale, da "le mie spalle" (v. 7), riferito al fango della Palus, dal "discendo" (v. 14) e soprattutto al v. 16 da "stampft" "und versinkt", prelevati dal Faust e manipolati come d'uso. Per la precisione si tratta della didascaha (vd. nota w. 13-16) che recita "Faust stampft und versinkt" (Faust batte col piede e sprofonda); questo sintagma, sapientemente frammentato, serve a puntualizzare e sottolineare la discesa nella palude, come se si sprofondasse nelle sabbie mobih, un viaggio quasi senza possibilità di ritorno. Come VExameron, commento alla creazione, è utilizzato per descrivere un paludoso acquitrino della natura e dell'animo, dando vita ad un paraUelo molto appropriato tra Palude e mondo, tra Palude e realtà effettuale, così le parole di Goethe, con questo Faust in caduta, neUa parte riservata aUa scena deUe madri, connotano la discesa aUa palude come una discesa alle madri, all'eterno femminino, completando, con un'armonica sottesa, la tenerezza di madre deUa sez. 21. La discesa aUe madri -come Casalegno osserva nel com-

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mento ai versi goethiani^- "vive in una atmosfera di mistero orfico" e ci parla di qualcosa di umanamente profondo e in parte insondabile. Così K va oltre Ellie nel portare a maturazione elementi di Ellie stessa. L'identificazione della fonte ci pone di fronte a una serie di rapporti intertestuali, svelandoci fili e trame del tessuto del poema; da un lato, appunto, il rimando alle madri, alla dimensione uterina e alla nascita, dall'altro, "stampft und versinkt" è l'ultima didascalia dell'atto primo della parte seconda del Faust, come "unruhig" è la prima didascalia, sempre dell'atto primo della seconda parte, quasi a sottolineare, servendosi dei prestiti, unità discorsive che travalicano le singole stazioni -nella sez. 23 la teoria del cinico-patetico e qui la teoria sul comunicare-; siamo ancora neU'ambito dell'espressione, e del modello di comunicazione tra emittente e destinatario. Questo modo di fruire a piani e a livelli dell'opera è già previsto e contenuto nelle intenzioni autoriali. Nella sez. 24 troviamo un'ulteriore trama, che è quella in francese ("ou plutôt", " 'la tentation' ", v 1, " 'la tentative' ", v 2, "le COMBLE de la voonté", V. 15, "de communiquer", v. 16), per testimonianza diretta dell'autore, proveniente da una lettera privata e così traducibile: "la tentazione e voleva dire il tentativo e il colmo della volontà di comunicare", inteso come apice del gesto comunicativo. Ci piace pensare che questi prehevi possano essere anche frutto di legami pericolosi e di vie diverse, e aUora " 'la tentation' " potrebbe appartenere al lessico cristiano, come essere la marca di un profumo, mentre "le COMBLE de la volonté de communiquer" può provenire tranquillamente dal gergo della critica letteraria o cinematografica come dall'abbinamento di un lessico piuttosto comune, da "quotidiano vero". Il sintagma "le COMBLE de la volonté de communiquer" focalizza l'attenzione sulla volontà di comunicare, di non interrompere il rapporto con il fruitore, al quale si cerca di far arrivare -nonostante tutte le interferenze- un messaggio se non propriamente pulito ancora decodificabile e di senso compiuto. Pare un anticipo sui tempi, una risposta ai sostenitori di una autoreferenziahtà dell'arte, e di una sua fruizione quasi esoterica. Sanguineti dichiara di non accettare e di combattere il silenzio. L'atto comunicativo ha ancora un senso e una sua funzione: questa frase è, per certi versi, un completamento del manifesto di poetica rappresentato dalla sez. 23, sottohneando la lotta di Sanguineti, già hic et nunc, contro ogni deriva decostruzionista di perdita del senso e del significato, o tendenza che la precorre. Infatti, questa volontà di comunicare, di non cedere al silenzio, ma di voler ancora pronunciare parole ed elaborare messaggi, viene completata al v. 17 dalla presenza di un lettore collaboratore, di quel "gi emme erre", già incontrato alla sez. 19.

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L'"ubi currit mendax Equus" di Ambrogio fornisce una caratterizzazione di G.M.R. (un uomo), del quale esiste un ulteriore rimando intertestuale nella sez. 10 di Erotopaegnia, per la quale Giuliani scrive: L'animale adombra un personaggio maschile, lo studente che troveremo nella sez. 17 (un amico del protagonista che, dice TA., ha una dentatura da cavallo e frequenta le corse ippiche) e che già era presente nel Laborintus (nella sezione 24, per es., come "mendax Equus")."^

Oltre alla caratterizzazione fisiognomica con VEquus, il mendax ci consegna un G.M.R. un poco falso, mendace e simulatore: dal piano fisico a quello morale.

^ N. Lorenzini, Il laboratorio della poesia, cit., p. 32. 2 C. Vitiello, Teoria e tecnica dell'avanguardia, cit., pp. 155-156. 3 J.W. Goethe, Faust, Garzanti, Milano 1990, p. 1288; qui Casalegno si sofferma sui diversi significati della scena. ^ A. Giuliani, / Novissimi, cit., p. 126.

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23.

questo lungo luogo ubi se fulicae ou plutôt quali apparizioni 'la tentation* e voleva 'la tentative' dum lavant molto probabilmente polluunt quali schemi scegliere quali ahimè voleva io vedo e qui VaUis disperate forme e questi scaena est! sono forse i miei flebiles quieti e dove ancora regni desuper gemitus deporre devo la mia sognatrice esclude il più puro 5 columbarum X? ah alle mie spalle tempo pigra testudo igieniche zone! (et minuitur lumen) ah devo inquieto frattanto affrettarmi caenoso mio sguardo ho messo in gurgite et a nudo haeret et Palus (quae intemperantia palus) luxuria est la pericolosa 10 impazien?:a qui calpestando (incontinentia est) delle mie braccia! grido (palus) oh revertimini e discendo in origine nell'ombra mecum affaticata le C O M B L E de la volonté VaUis mea 15 degli archetipi (stampft) de communiquer (und versinkt) circus est!: ibi currit mendax Equus gi emme erre (et cumulatur umbra)

Note w. 1-3: Stiamo giungendo al fondo di questa novecentesca Malebolge, palude che si caratterizza già in questi primi versi, anche sul piano etico, come luogo deUe passioni incontrollate, delle tentazioni, qui secolarizzate. Ed è difficile trovare uno schema che possa essere esaustivo neha descrizione di questo "lungo luogo", "ou plutôt" "'la tentation e voleva 'la tentative'" proviene, come detto, da una lettera privata ("la tentazione, ma piuttosto voleva dire il tentativo"). ~ Il latino, non solo di questi versi, ma quasi della intera sezione, proviene àAVExameron di S. Ambrogio, e precisamente da III 1, 3-4: "Congregata est hic quondam aqua ex omni valle, ex omni palude, ex omni lacu. VaUis est haeresis, valhs est gentilitas, quia deus montium est, non vallium. Denique in ecclesia exultatio est, in haeresi et gentilitate fletus et maeror. Unde ait: disposuit in convaUe fletus. Ex omni igitur vaUe congregatus est populus cathohcus. lam non multae congregationes sunt, sed una est congregatio, una ecclesia. Dictum est et hic: congregatur aqua ex omni valle, et facta est congregatio spiritahs, factus est unus

populus. Ex haereticis et gentibus repleta ecclesia est. Vallis est scaena, vallis est cir-

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cus, ubi currit mendax equus ad salutem, ubi vilis et abiecta contentio, ubi litigium foeda deformitas. Ex his igitur qui circo inhaerere consueverant fides crevit ecclesiae, cottidianus coetus augetur. Palus est luxuria, palus est intemperantia, palus est incontinentia, in qua volutabra hbidinum sunt, bestiarum murmura, latibula passionum, ubi mersantur quicumque inciderint et non emergunt, ubi labuntur pedum vestigia, fluitant singulorum incessus, ubi fulicae se dum lavant polluunt, ubi flebiles desuper gemitus columbarum, ubi pigra testudo caenoso haeret in gurgite\ denique aper in palude, ceruus ad fontes. Ex omni igitur palude, ubi quasi ranae veterem canebant quereham, congregata est fides, congregata est puritas animi mentisque simphcitas" ("Exameron", in Sancti Ambrosii opera, pars prima qua continentur libri... recensuit C. Schenkl, E Tempsky, Vindobonae 1897, pp. 60-61, i grassetti sono nostri ed evidenziano i prelievi sanguinetiani, che ritornano lungo tutta la sezione e ai quali rimandiamo). Trad.: "Qui ogni giorno si sono riunite le acque da tutte le valli, da tutti gli acquitrini, da tutti i laghi. Ueresia è una valle, il gentilesimo è una valle, perché Dio è il Dio delle montagne, non delle valli. In fin dei conti, il giubilo è di casa nella Chiesa, invece nell'eresia e nel gentilesimo c'è solo il pianto e la tristezza. Per questo dice la Scrittura: 'Ha disposto il pianto nella convalle'. Perciò il popolo cattolico si è riunito da tutte le vaUi. Non ci sono ormai più molte comunità, ma una sola è la comunità, una sola è la Chiesa. Anche qui da noi fu detto: 'Si riunisce l'acqua da ogni valle' ed ecco costruita una comunità spirituale, un unico popolo; di eretici e di Gentili si è riempita la Chiesa. Invece, il teatro è una valle, una valle è il circo, ove i cavalli cercano di salvarsi correndo gare truccare, ove avvengono lotte avvilente e volgari contese che sono un turpe sconcio. Eppure dai più assidui frequentatori del circo è venuta ad accrescersi la fede della Chiesa, e quotidianamente ne aumenta l'assemblea. La lussuria è un acquitrino, l'intemperanza è un acquitrino, ove le brutte voglie si rivoltano nel fango, guaiscono gh animali, e le passioni hanno il loro covo, ove chi incappa resta sommerso e non viene più a galla, ove scivolano le piante dei piedi, e vi si cammina perdendo l'equilibrio, ove le folaghe, invece di nettarsi, si imbrattano, ove al di sopra volano le colombe gemendo fiocamente, ove la lenta testuggine non riesce a hberarsi dal fondo melmoso. Del resto, alla palude il cinghiale, e il cervo alla fonte. Pertanto da tutti gli acquitrini, ove prima si trovavano come tante rane a gracidare la loro cantilena, si è riunita la fede, si è riunita la purezza del cuore e la salvezza dell'anima" (Ambrogio, Exameron, a cura di G. Coppa, Tea, Milano 1995, pp. 68-69). L'intero passo di Ambrogio da cui sono tratte le nostre citazioni costituisce anche un commento puntuale ad alcuni aspetti della novecentesca Palus, per questo abbiamo citato ampiamente. Nei primi tre versi, troviamo lacerti di "ubi fuhcae se dum lavant polluunt" ("ove le folaghe, invece di nettarsi, si imbrattano"), che ci danno l'idea della difficoltà di liberarsi dalla melma paludosa. La presenza delle folaghe sembra anche un rinvio a Montale, Voce giunta con le folaghe. ~ "Vallis" va legato al v 4, al quale rimandiamo: la frase è "vallis est scaena" ("il teatro è una valle"). vv. 4-6: Riunendo i w. 3 e 4 abbiamo "valhs est scaena" (sempre dal passo citato àeWExameron, vd. nota w . 1-3), che ribadisce la metafora del mondo come teatro, creando una equivalenza tra questi due piani. ~ Proseguendo lungo questa traccia, possiamo affermare che nel mondo reale è presente il peso di un potere, non ben co-

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nosciuto, che (v. 5, "regni") domina con la forza, si sentono flebih fiati e gemiti di opposizione, ma questa forza esclude ciò che la contrasta, dal sogno della purezza delle colombe, a X. Il punto interrogativo ci segnala, comunque, una lotta in corso. Gli altri frammenti in latino provengono sempre da Ambrogio III 1, 3-4, dove l'autore preleva e frammenta "ubi flebiles desuper gemitus columbarum" ("ove al di sopra volano le colombe gemendo fiocamente"). Vd. nota ai w. 1-3. w. 7-9: "aUe mie spaUe" si riferisce sia all'attraversamento materiale deUa palude sia al tempo, che è stato necessario e che ha ritmato il viaggio, ricco di metamorfosi. ~ "et minuitur lumen" proviene, con qualche intervento autoriale, sempre da Ambrogio e ¿AVExameron, ma da IV 9, 34, dove troviamo: "cadunt enim umbrae maiores de montibus, lumen minuitur, umbra cumulatur" (Exameron, cit., p. 140; "scende infatti dai monti più scura la sera, la luce diventa scarsa, e le ombre si infittiscono", Ambrogio, Exameron, cit., p. 152). Si tratta di una reminiscenza virgiliana (come osserva anche Vitieho), infatti in Bucoliche 1, 83 è presente: "maioresque cadunt altis de montibus umbrae" ("e più lunghe dah'alto dei monti discendono le ombre", Virgilio, Bucoliche, Rizzoh, Milano 1999, pp. 74-75). Questo sintagma ambrosiano sottolinea che, arrivando al cuore deha palus, la luce diventa più fioca, diminuisce, mentre aumenta l'oscurità, le ombre calano. Gli altri lacerti latini provengono dal sohto Exameron III 1, 3-4 (vd. nota vv. 1-3): "ubi pigra testudo caenoso haeret in gurgite". In questo modo l'autore sottolinea la difficoltà di liberarsi dalla palude, una sorta di sabbie mobih. ~ Nel V. 9, i sintagmi "mio sguardo ho messo" e "e nudo" vanno legati insieme, mettendo in evidenza come, con l'aiuto di X, lo sguardo possa vedere, senza impedimenti e veli, i diversi aspetti deha Palus. Il vedere, dantescamente, non imphca automaticamente il narrare e il descrivere, perché, anche se a hvello infernale, siamo nell'ambito deh'ineffabile, di ciò che è difficile a dirsi. ~ Per uscire, comunque, da questa palude, è necessario affrettarsi, essere inquieti: r"inquieto" del v. 8 rimanda air"unruhig" del V. 1 deha 23, e ribadisce, così, questo stato psicologico in questa fase del viaggio. ~ "et Palus", posto in enjamhement, va unito al verso successivo. w. 10-12: Ciò che è difficile dire, l'autore cerca di comunicarcelo ricorrendo sempre ad Exameron III 1, 3-4 (vd. nota w. 1-3): "palus est luxuria, palus est intemperantia, palus est incontinentia" (p. 61). I sintagmi di Ambrogio vengono frammentati, ricomposti e integrati, secondo modahtà operative ormai consolidate. Per esprimere l'ineffabile, Sanguineti si affida alla citazione, alla parola mediata, che ci mostra, in fihgrana, lo stato etico negativo della Palus, il suo essere, contemporaneamente, realtà effettuale (il mondo suU'orlo deU'apocalisse atomica) e stato della coscienza. ~ "la pericolosa/impazienza" è proprio la negativa incapacità di gestire le passioni, nel tempo e neho spazio, "dehe mie braccia" e "grido" servono ad inquadrare, da un lato, il gesto corporeo di uscita daha palude, dah'altro l'urlo deciso di opposizione ad un processo concreto e materia di disumanizzazione e di alienazione, della prassi neo-capitahstica. w. 13-16: Si prosegue neha discesa neha Palus: "revertimini" proviene da Exameron III 1,6, dove troviamo: "sed iam quasi boni lordanis fluenta revertimini mecum in originem" (cit., p. 62; "Ma ormai tornate indietro con me, come ha fatto la corrente del caro fiume Giordano", cit., p. 71). "in origine" sembra la manipolazione del "in

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originem" di Ambrogio, "revertimini mecum" indica in maniera forte che sono vicini la fine del viaggio e il momento del ritorno. Proprio per questo si discende verso le origini "neh'ombra", aumenta Toscurità deha valle. Siamo vicini agh "archetipi" costitutivi, che rimandano alle " A R C H E T Y P A L IDEAS" (sez. 23, v. 33). Ma del resto, la discesa alle origini è rafforzata dalla citazione goethiana, prelevata proprio, daha parte dedicata alla discesa alle Madri (vd. Introduzione), "(stampft)" "(und versinkt)" proviene dalla parte seconda, atto primo, ultima didascalia, posta da Goethe tra il v. 6304 e il V. 6305: "MEPHISTOPHELES Dein Wesen strebe nieder!A^ersinke stanipfend, stampfend steigst du Wieder. Faust stampft und versinkt. MEPHISTOPHELES Wenn ihm der Sclussel nur zum besten frommtl/Neugierig bin ich, ob er wiederkommt". ("MEFISTOFELE: Uessere tuo si tenda verso il basso'./Batti col piede, e sprofonda; ribatti, e risalirai. Faust batte col piede e sprofonda. M E F I S T O F E L E pur che la chiave gh serva davvero!/Sono curioso di vedere se ritorna", J.W. Goethe, Faust, cit., pp. 558-559). La coppia faustiana sottolinea l'azione di sprofondamento, negando quasi la possibilità del ritorno e deha risalita enunciata ai w . 13-14 con il "revertimini mecum" ambrosiano. ~ Su tutto domina "le C O M E L E de la volonté [...] de communiquer" -quest'ultimo tassello lì, chiuso, ad interrompere il sintagma faustiano-, cioè il "colmo deha volontà di comunicare", che proviene da una lettera privata e ci mostra come tutti i materiali subiscano lo stesso processo di variazione. V. 17: "circus est" va legato al "Valhs" del v. 15, provenendo dah'ormai citatissimo Exameron III 1, 3-4 (vd. nota w. 1-3), dove troviamo anche il "ibi currit mendax Equus", in questa forma: "Vahis est circus, ubi currit mendax equus ad salutem" (cit. p. 60). Questa definizione della Valle come circo, si aggiunge a quella della valle com^ teatro, sottolineando quasi che l'intellettuale è, per dirla con Starobinski, un saltimbanco. Gh elementi equini servono a definire, a liveho fisico e morale, G.M.R., destinatario privilegiato e amico dell'autore. Per precisione, si tratta di un compagno di scuola dell'autore, il farmacista, uno dei primi lettori di Sanguineti. ~ "(et cumulatur umbra):", posto in clausola, evidenzia l'oscurità del luogo, i suoni ovattati ma aspri, il suo essere un habitat inaccogliente per l'uomo. Il sintagma è estrapolato ancora una volta àAYExameron IV, 9, 34 (come il precedente "lumen minuitur", vd. nota al v. 8).

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SEZIONE 2 5

Introduzione La sez. 24 ci ha immerso a tal punto, descrivendocene gh aspetti capitali, nella melma deha Palus da lasciarci qualche dubbio suhe reah possibilità di attraversamento completo e di uscita, anche in relazione aUe diverse dimensioni di essa -dalla realtà effettuale all'etica individuale di ogni soggetto-; ora, la sez. 25 delinea, in tre tempi (w. 1-4; 5-12; 13-15) e in maniera puntuale, la natura fecondatrice di questa melma, confermandoci, e questa volta in maniera inequivocabile, senza lasciare spazio ai dubbi, che lo spazio paludoso può essere finalmente attraversato e superato. Infatti, se neha sez. 24, escludendo la presenza costante di X, guida indispensabile, troviamo, in clausola, solo G.M.R., il ragazzo con fattezze cavalhne, in questa, al primo verso, l'invocazione/ordine è riferita a Laszo, qui aiutante nelle trasformazioni alchemiche, e collaboratore neh'attraversamento. Nehe prime tre parti di Laborintus, Sanguineti ricorre ad una geografia lunare per descriverci la Palude, ma qui, per completare il quadro, si affida significativamente ai commenti alla creazione, alla Genesi, di Ambrogio (vd. sez. 24) e ad alcuni lacerti, ricorretti, del Dottor Angehco, in modo da mettere l'accento anche sulla dimensione di "miracolosa melma fecondatrice", di "salute in uno stagno" -intesa anche come salvezza-, della Palus, che è luogo di morte e di rinascita, "y" e "X" sono graficamente l'una il rovesciamento dell'altra e rappresentano proprio, in emblema, questa doppia natura della Palus, I suoni diventano più duri e aspri: il v. 2 è interamente costruito sul concetto deha morte del mondo, "ubi terminantur", che è rappresentato dah'immergere; "muggendo" dà il suono cupo dell'azione di sprofondamento, il suono è rumore ed è quello tipico di Malebolge, che qui si fa sabbia mobile, deserto e pantano. L'apertura fissa così sia l'aiuto di Laszo, sia la natura di luogo che ogni cosa ("omnia") assorbe e trasforma deha palude, dove morte e nascita si susseguono incessantemente, senza sosta, secondo i ritmi di una vita lunare già evidenziata (vd. sez. 8). Ma qui, nel cuore, la palude fecondatrice è un brodo primordiale, anche se di un'epoca post-atomica. II nuovo aspetto, ormai ben dehneato, la nuova qualità di questo spazio, è di essere, allo stesso tempo, reale e immaginario: da esso si può uscire solo con la forza onirica, giocata tra Marx e Freud, Breton e Brecht, dando vita ad una sorta di fusione di due stati solo apparentemente contraddittorii, il sogno e la realtà, che invece sono fortemente correlati, al punto da interagire uno

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sull'altro. È presente un continuo gioco di slittamento semantico; Sanguineti estrapola, come aveva fatto con Ambrogio, un lessico sacro e lo laicizza, per poi trasformarlo e travestirlo. Il processo è perfettamente funzionale alla creazione/descrizione della morte/rinascita. "ubi terminantur" può essere di pugno autoriale (sempre naturalmente pescando nel vocabolario del medioevo latino), o un prestito, come del resto "ad centrum tendunt", che proviene dal lessico del linguaggio scientifico, e serve a sottolineare la forza centripeta della palude (in questa dimensione, anche, una sorta di buco nero), che porta "omnia" (tutte le cose) a collassare verso l'interno. Al v. 5, con la seconda lassa, vediamo, in perfetta trasparenza, la fase della rinascita, dove alla morte corrisponde la vita; ad "omnia" corrisponde "omnes aquae", non solo acqua ma quasi hquido amniotico: "omnes aquae" proviene da San Tommaso, "congregantur", che sottolinea in modo inequivocabile il momento deha ricomposizione, è una presenza sia tomistica che ambrosiana, secondo quel gioco del rimpasto ormai consolidato in Laborintus, Le sez. 24 e 25 sono quindi due momenti essenziali e fortemente intercorrelati, come del resto sottohnea, sul piano formale, "ubi" che continua la catena anaforica della sezione precedente; [...] tenendo presenti queste considerazioni, innanzitutto risulterà subito chiaro quanto l'impiego, da parte di Sanguineti, di materiah tratti da un'opera in cui si ripercorrono le sei Giornate della Creazione secondo il racconto deha Genesi sia frutto di una scelta tutt'altro che arbitraria, e anzi assai ben ponderata [...]. Inoltre, apparirà motivato in modo specifico il fatto che Sanguineti abbia compiuto i suoi prelievi proprio dal dies tertius. E non tanto, o non solo, perché Sanguineti (com'era del resto prevedibile, e in modo tutto sommato omologo a quanto accade per il Comentum di Benvenuto, del quale vengono utihzzati passi che s'incentrano direttamente sull'immagine della palude, o che sono in qualche modo ad essa correlati) va a pescare proprio nel sermo in cui Ambrogio, impiegandola come figura della "lussuria", dell'^intemperanza" e deh'"incontinenza", fornisce un'icastica descrizione della palude e delle abitudini di vita lascive proprie degh animah che la abitano. Ma proprio perché, fra i sei giorni della creazione, il terzo in particolare si prestava assai ragionatamente - e probabilmente megho degli altri- ad essere richiamato in Laborintus. Giacché è proprio nel terzo giorno che Dio, ordinando a tutte le acque presenti sotto la volta del cielo di raccoghersi in un solo luogo, consente la comparsa deh'"asciutto" e lo chiama "terra". Ed è in quello stesso giorno che, avvenuta la separazione dehe terre e dehe acque, ha inizio -giusta il racconto della Genesi- la generazione e la differenziazione delle specie.^

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Le parole della Baccarani ci danno una descrizione puntuale e condivisibile, quasi esaustiva, ma il centro è -a nostro parere- la necessità autoriale di fornire, con questo ultimo ed estremo tassello, un quadro completo della natura della Palude, luogo materiale e spazio interiore dell'uomo. Morte e inizio. Non a caso, se l'acqua del v. 5 rimanda al liquido amniotico, il "morbido fango" del v. 7 ci mostra, completandolo, il quadro della palude come utero vitale, morbido e da fecondare. Ma proprio qui, quando tutto sembra ormai determinato, la sequenza si apre a una nuova possibilità, diventa ambivalente e anfibologica -questa tecnica di scrittura mai pacificata innesca meccanismi formali di ironia-: da un lato c'è l'uscita, l'accumulo di esperienza, in senso benjaminiano, dall'altro c'è l'inferno, quasi dantesco, dal quale non si riesce ad uscire, uno spazio chiuso e claustrofobico. Diventa una situazione totahzzante della carne e dello spirito, attraverso la quale l'autore sottolinea come nessun processo sia irreversibile e nessuna conquista definitiva. L'apocalisse laborintica non solo è un momento di morte che contiene già una futura vita, ma si gioca interamente, sul piano della prassi, come costruzione dell'uomo, materiale e concreto prodotto storico, figho di scelte e di condizionamenti. Ambrogio e Tommaso, e i loro commenti alla Genesi, lasciano spazio, placidamente e senza scossoni, a Benvenuto e al suo commento, intorno al quale ruotano le sezioni terminali del poema. Per la Baccarani, Le medesime acque che, stagnando, generano la palude e corrompono l'aria costituiscono, al tempo stesso, fonte di vita e "immortale nutrimento". La sezione 25 è interamente incentrata sull'idea che all'immersione nella palude segua la risahta in superficie, che il descensum ad inferos immetta, alla fine, sulla via della salvezza: "un volto un segno/conduce [...] verso il cielo [...] et il medesimo tamen può condurre (segno volto) all'inferno!". Sia nella disperata nékyia in cui si avventura Laszo, sia nel viaggio ultraterreno compiuto da Dante (ed esposto da Benvenuto non senza alcuna attenzione agh aspetti simbohci del testo), l'acqua si rivela, proprio come nelle leggende mitiche raccontate dallo Jung di Psicologia e Alchimia, elemento di morte e di rigenerazione, veleno e linfa vitale. Il fango putrido della palude si tramuta in una "miracolosa melma" e Laszo trova, alla fine, "la salute in uno stagno" (lo "spiraglio di salvezza", osserva Pietropaoli, sta "proprio nella catabasi finale").^

Le riflessioni della Baccarani sostengono la nostra scelta esegetica, ma va compiuto ancora un passo: il testo è giocato su due binari; da un lato, sul piano macrotestuale, il ritorno ad alcuni elementi (come l'acqua) serve, nel completare il quadro della Palus, a conferire una certa circolarità alla struttura del

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poema, dall'altro, associazioni come "cielo" e "inferno", "aer" e "stomaco" non danno vita a processi nettamente ossimorici, quanto alla creazione di un piano delle ambivalenze polifoniche, il quale, solo -senza mai cadere neU'ambiguità-, può rendere conto del reale e della sua complessità. Da questa ambivalenza, dai toni aspri, dai rumori, prende vita il carnevalesco sanguinetiano, un gioco fondato sul rovesciamento e suha plurivocità dei segni.

Proprio per questo al v. 14 troviamo "capovolto", che va letto in relazione al "segnovolto" del v. 9, che serve, nella sua iteratività, a sottohneare un metodo di composizione che vuole essere anche una traccia per la fruizione. Infatti l'autore ci propone, nella sequenza, momento dopo momento, secondo ritmi precisi e strategicamente stabihti, le quahtà della Palude, ma, contemporaneamente, ci mette in condizione di mutare sguardo e focalizzazione, quasi a sottolineare come sia la nostra percezione di viaggiatori a creare la visione deha Palude, che contiene tutto questo fin dah'inizio. Lo sguardo necessario per cogliere ambiente e processi deve essere mobile e straniato, diretto da un continuo movimento interno/esterno. explicit diventa, quindi, un po' alla maniera medievale, ipersignificante, infatti troviamo "somniaomnia sunt", che è appunto la versione capovolta del frammento "omnia somnia" dei w. 2-3, ma questo messaggio surrealistico, "ogni cosa sono i sogni" e "i sogni sono tutto", quindi non ci sono che sogni, è immediatamente corretto e completato daha presenza di X al v. 15, figura concreta di carne e di prassi. Sembra quasi che, con questo binomio, Sanguineti ci indichi, in allegoria, in Freud e in Marx i due elementi cardine per interpretare il mondo/palude. X e i due punti rendono chiaro che il viaggio è in corso; gh esiti sono comunque ancora incerti.

^ E. Baccarani, La poesia nel labirinto, cit., pp. 141-142. 2 Uosservazione deha Baccarani era introdotta da un discorso completo suha presenza di Benvenuto. Vd. E. Baccarani, La poesia nel labirinto, cit., pp. 137-138. In realtà si tratta del tomo II e non del I del Comentum di Benvenuto come invece viene indicato.

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23.

oh! L a s z o ! la salute in uno stagno! morire dunque miracolosa melma! e nel m o r t o ubi terminantur m o n d o immergere omnia muggendo! (fuggendo! somnia) consolatrice dunque! addormentatrice quia somnia anche tu! ad centrum! tendunt! et omnes aquae e Billiken ricordi? et congregantur il m o s t r o ! ibi "il d i o " (et stagnat) et omnia et aquae "dehe buone f o r t u n e " ! morbido fango! un volto un segno conduce et modicae verso il cielo et infirmae et il medesimo tamen può condurre (segnovolto) all'inferno! sunt pisces boni il mio fosso tu stessa! et diu conservabiles ancora anche tu! immortale il mio nutrimento! stomaco! ex modica aqua caput! stomaco! corrumpitur (stomachus)! (palus) coquus! ranocchio! deinde aer; (corrumpitur!)!; bue! somniaomnia sunt! (capovolto) y: X:

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Note V. 1: Il primo verso è un catalogo degh elementi cardine deha sezione: la salute come salvezza neha palude, la morte che è rinascita, perché la "melma" è "miracolosa". L'immagine rimanda ancora ad Ambrogio, e al suo "qui si sono riunite le acque da tutte le vahi, da tutti gh acquitrini, da tutti i laghi" (Ambrogio, Exameron, cit., p. 68), vd. sez. 24 nota w . 1-3. w. 2-3: I versi sono giocati su una dicotomia tra morte e sogno rigeneratore. La palude è il luogo dove muore il mondo, "immergere" sottolinea lo sprofondare, "muggendo" e "fuggendo" conferiscono rumori malebolgiani allo spazio paludoso. ~ "ubi terminantur" si può tradurre sia "dove è finito", sia "dove è chiuso", sia "quando è finito", sia "quando è chiuso", in modo da indicare, contemporaneamente, la fine materiale e geografica, il confine di questa palude, sia la morte o la fine in chiave temporale/spaziale. Può essere di mano autoriale, o provenire, molto casualmente, daha solita Patrologia del Migne (ad es. "ubi terminantur fines regni Hungarorum", da Albericus Aquensis, Incipit Historia Hyerosolymitanae, liber primus, cap. VII). ~ Ma questa melma è anche nutrice, "consolatrice", "addormentatrice", nel senso che il sonno produce e genera, "quia somnia" (poiché i sogni) indica però anche il vedere nel sonno. Quello che l'autore evidenzia è una sorta di 'somnio ergo sum'.

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V. 4: Con il v. 4 finisce la prima lassa, incentrata sul fatto che la palude assorbe ogni cosa, "ad centrum tendunt" (tendono al centro) fa parte di un lessico matematico-scientifico. Tra le attestazioni, Isaac Newton, Naturalis Philosophiae Principia Mathematica, Definitio V (edizione telematica), troviamo: "Vis centripeta est, qua corpora versus puntum ahquod, tanquam ad centrum, undique trahentus, impelluntur, velutcunque tendunt. Hujus generis est gravitas, qua corpora tendunt ad centrum terrae". Sanguineti può aver messo insieme "ad centrum" e "tendunt" già in sequenza, come aver ricostruito il "tendunt ad centrum", ricomponendolo nella sequenza con una inversione. vv. 5-7: Il momento è quello della ricomposizione, lo stagno è la salvezza, il "fango" è "morbido", "et omnes aquae" richiama ancora Ambrogio (Exameron III 3), ma proviene da San Tommaso, Summa Theologiae, Quaestio L X I X , De opere tertiae diei, Articulus 1, arg. 3: "Praeterea, quae non sunt continuata ad invicem, non habent unum locum. Sed non omnes aquae habent ad invicem continuitatem. Ergo non sunt omnes aquae congregatae in unum locum". In S. Tommaso, Summa Theologiae in Opera Omnia, voi. II, a cura di R. Busa, cit., p. 282. Il tema è comunque lo stesso di Ambrogio, quello della "de congregatione aquarum". Serve a completare, tassello dopo tassello, il quadro della palude e lo ritroviamo in Siracide 40, 11 e nel Cantico di Daniele III come "aquae omnes". Ma anche in Seneca è presente "omnes aquae", a evidenziare, se fosse necessario, come la provenienza sia moltephce (cfr. citazione seguente per "et stagnai"). ~ Il "congregantur" del v. 6 (si riuniscono o si raccolgono) è una ripresa del "congregata" ambrosiano e del "congregatae" tomistico. In Tommaso vi è anche: "Deinde cum dicit, congregans sicut in utre aquas maris, ostendit effectum Dei in aquis. In aquis autem duo mirabiha sunt consideranda. Unum, quod aquae congregantur in unam partem terrae, et non occupant totam superficiem, quod est mirabile propter duo" (Tommaso D'Aquino, In Psalmos Davidis expositio, ps. 32 n. 6 in. in Opera Omnia, voi. VI, a cura di R. Busa, cit., p. 92.) - Il "mostro" va riferito a "Billiken": si tratta, infatti, di una sorta di portafortuna, un mostro orientale che l'autore aveva ricevuto in regalo, ritagliato da un cartone, e la cui didascalia recitava, appunto, "Bilhken, il dio delle buone fortune" (Sanguineti ha supposto che fosse il nome). - "et omnia et aquae" (e tutte le cose e le acque) pare una frammentazione del v. 5. ~ "et stagnat" (e stagna, nel senso di impaludarsi), che serve a sottolineare la fermentazione positiva delle acque paludose, potrebbe essere una reminiscenza classica, citata quasi a memoria, da Seneca, Quaestiones Naturales III "Aut stant omnes aquae" (2,1) e "ut stet aqua aut fluat, loci positio eficit: in devexo fluit, en planaet defosso continetur et stagnat", in Seneca, Questioni Naturali, Utet, Torino 1989, pp. 390-391. ~ "delle buone fortune", virgolettato, è parte della didascalia di Billiken e rimanda anche al sintagma latino, piuttosto comune, "de boria fortuna". V. 8: È un verso di passaggio, la cui comprensione totale avviene al v. 9: "conduce verso il cielo" è la chiave concettuale del verso, sottohnea la possibilità dell'ascesa. "modicae" va tradotto con misurato, moderato, "infirmae" con debole e fiacco: il primo è naturalmente riferito all'ascesa, l'altro alla discesa, e sono prelievi da Benvenuto da Imola (vd. nota w . 9-12). w. 9-12: Il ritmo è quello di un ballo infernale, di una musica assordante poiché siamo nel cuore stesso della trasformazione. - "sunt pisces boni et diu conservabiles" pro-

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viene come tutto il contesto dal Commento di Benvenuto al Canto X X dell'/«/emo e si può tradurre con "ci sono pesci buoni e conservabili a lungo", "immortale il mio nutrimento" sottolinea l'azione incessante di nascita - ma soprattutto apre gli spazi ad una similitudine tra le trasformazioni della palude e il processo nutritivo della digestione umana. ~ "ex modica aqua" (da una modesta quantità d'acqua) proviene da Benvenuto, "caput", testa, "stomachus" (stomaco), "coquus", (cuoco), creano un paraUelo tra corpo e palude, "corrumpitur" (si corrompe) è un lacerto di Benvenuto. ~ Nel Commento al Canto X X troviamo: "et in ipso lacu longe a Pischeria, forte per sex miUaria, est una parva insula, quae dicitur Sermione, ubi vidi vestigia magna vetustissimorum aedificiorum sub terra: in qua insula morantur solum piscatores, nec ibi nascitur nisi deum, in quo frigunt pisces, qui dicunt carpiones, qui sunt pisces boni et diu conservabiles" (Benvenuti de Rambaldis de Imola, Comentum super Dantis Aldigherij Comoediam, a c. J. P. Lacaita, Barbera, Firenze 1887, tomo II, p. 81). Questi sintagmi giocano, in maniera intertestuale con l'ambrosiano "sunt ergo et boni et mali pisces" (Ambrogio V, 5.6, 15, cit., p. 151) -evidenziato da Vitiello-, sia con l'agostiniano "sunt pisces boni et mah" {Enarrationes in Psalmos, Vili, Patrologiae, edizione telematica 2003 o voi. 25, Città Nuova, Roma 1982), entrambi debitori di Matteo XIII, 47. Sempre in Benvenuto, Commento al Canto X X , troviamo: "'non molto ha corso', scilicet Mincius, 'ch'el trova una lama', idest planitem sive lacuna, 'neha qual se distende', idest expandit se, 'e la mpaluda', idest facit ipsam paludem, ita quod 'impaluda' est hic verbum, non nomen; et tangit incidenter unum malum quod facit, dicens: 'e suol', scihcet illa lama, 'esser di state', idest tempore magni caloris, 'talor', idest aliquando, 'grama', idest tristis, quia scihcet 'modica aqua et infirma' est ibi; ex modica enim aqua corrumpitur palus; deinde aer." (Benvenuto, cit., p. 82, il grassetto è nostro ed evidenzia il prehevo). Ritroviamo la seconda parte del sintagma conclusivo al v. 13: l'autore qui conclude rifunzionahzzando "ex modica aqua corrumpitur palus" (la palude si corrompe - m a nel senso, qui, anche di si nutre e si trasforma-, con piccole quantità d'acqua). w. 13-15: Il V. 13 proviene daUo stesso passo di Benvenuto ("ex modica aqua enim corrumpitur [...] deinde aer": vd. nota al v. precedente, w. 9-12): corrompendosi, per la fermentazione e i processi di trasformazione, la palude, e di conseguenza anche l'aria, subisce la medesima azione di mutazione, insomma, dantescamente, l'aer ha sapor di mahgno. ~ "sonmiaomnia sunt" è il risultato deU'accorpamento dei frammenti dei w. 2-3, si può tradurre "tutte le cose sono sogni" o "sono tuttisogni", in entrambi i casi, l'accento viene posto suha dimensione concreta del vedere nel sonno, e sulle potenzialità gnoseologiche del sogno. Nel Liber Ecclesiastes troviamo: "ubi multa sunt somnia, plurimae sunt vanitates et sermones innumeri; tu vero Deum time" (5,6), con il quale sembra rapportarsi l'autore. In De Divinatione per Somnium di Tommaso è facile reperire altri possibih spunti: "somnia sunt signa eorum quae fiunt", "somnia sunt accidentia eorum", in S. Tommaso, Opera Omnia, voi. VII, a cura di R. Busa, cit., p. 19. Al di là dello stesso immediato rimando formale deh'ultima testimonianza, la meccanica dei sogni, analizzata da Tommaso, può essere stata tra le letmre che hanno condotto Sanguineti a creare una palude "addormentatrice". Con X, guida indispensabile e presenza attiva, si chiude, temporaneamente e in modo transeunte, questa sezione di discesa, momento rappresentato dalla y, X rovesciata, e parziale risalita.

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SEZIONE 2 6

Introduzione Con questo momento, diviso in quattro tempi (I: w. 1-3; II w. 4-9; III: w. 10-17; IV: w. 18-22), una sorta di concerto infernale e paludoso, si completa il descensum ad inferos e, di conseguenza, la descriptio locorum\ creando una sorta di circolarità formale, poiché, finalmente, se -come è lecito- vediamo in questa sezione una sorta di interpretazione e commento aUa sez. 1, con la Palus Putredinis incipitale il cerchio si chiude, completandosi e fornendoci un affresco, per quanto possibile, esaustivo. Osserva Giuhani: La fonte latina è il Comentum dantesco di Benvenuto da Imola. Questa sezione commenta, infatti, il tema del primo verso della sezione I ("composte terre in strutturah complessioni sono Palus Putredinis"). Neha Palus si generano tutte le cose e tutti gli "amori" e insieme "putrescunt". Le interiezioni rappresentano il più basso stadio del hnguaggio, sono forme pre-espressive che indicano una carica passionale non ancora determinata. Il personaggio femminile (Ehie-lambda) è "liquore" (acqua) e "definizione di Laszo", sua essenza e origine, sua madre ("lividissima mater"). Dunque: discesa alle madri; la congiunzione Laszo-lambda è "sonno" e "universo", pietre e hquore originario, essenza-generazione.i

Le parole di Giuhani fotografano la sezione; sono tuttavia opportune due puntualizzazioni: non si può creare l'equivalenza totale Ellie/Lambda -come abbiamo già avuto occasione di osservare- poiché ci sono importanti differenze che le riguardano, anche se narratologicamente hanno la medesima funzione. Inoltre non è presente una vera e propria congiunzione tra Laszo e Lambda, bensì Laszo svolge pienamente, per ciò che concerne le trasformazioni, il ruolo di una sorta di aiutante magico (colui che dà le definizioni, gh ingredienti della ricetta alchemica), e in questa veste collabora attivamente con Lambda, Beatrice di carne, la mette in condizione di rendere fruttifera la coniunctio, che non si compie però con lui o esclusivamente con lui. In questo quarto tempo del poema, cioè nelle conclusive sezioni 23-27, si sconvolge la punteggiatura e si disarticola il ritmo: I segni di interpunzione impazziscono in questa lividissima Palus (27 punti esclamativi di cui uno doppio -"(corrumpitur!)!"- neha sez. 25; 24 punti e virgola e 27 punti esclamativi nella 26, in cui compaiono an-

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che 15 interiezioni esclamative (ah, oh, uh); 10 punti esclamativi, 38 ?unti e virgola e 17 parentesi tonde neha 27), producendo un ritmo alucinato, scompaiono totalmente i verbi di modo finito, mentre ricompare la simbologia alchemica, ma attraverso un ritmo ossessivo e spezzato «livida Palus/livida nascitur bene strutturata Palus; lividissima (lividissima terra)/(hvidissima): cuius aqua est livida; (aqua) nascitur! (aqua) lividissima!» sino aha più totale polifonia e alla ripresa contraffatta e distorta dei vocaboli che, ad apertura di poemetto, possedevano una loro composta collocazione in una struttura ferma e ancora ignara di disfacimento, «e ah e eh? (terre?)/complesse composte terre (pietre); universali; Palus;».^

Il quadro stilistico-formale si addice perfettamente ad una nekuya infernale con relativa visione e relativo resoconto. Proprio per costruire questa parte terminale della Palude, questa Caina laborintica, Sanguineti ricorre al commento latino di Benvenuto, e, per la precisione, al commento alla prima visione dantesca dell'inferno vero e proprio, al Canto III, con la relativa livida Palude acherontea - come Ehsabetta Baccarani puntualizza, indentificando con precisione filologica i passi del Comentum^, Il discorso si apre, poi, opportunamente ad un confronto globale con l'universo dantesco, considerato, a ragione, un punto di riferimento primario: la Baccarani rinvia sempre al commento al terzo canto àeWInferno di Benvenuto, focalizzando l'attenzione su un materiale non utilizzato direttamente da Sanguineti, ma presente come côté, clima e situazione, in quanto incentrato sulla natura stagnante della palude e sulle modalità del transito agli inferi"^. Su questi elementi tematico-linguistici il rapporto è chiaro e delineato, ma merita un ulteriore approfondimento. Spostando ancora un poco la focahzzazione, è permesso guardare, con ottica straniata, aha presenza di Benvenuto, al quale è possibile ricorrere anche per illustrare lo stesso Sanguineti, al punto che le parti sullo stato malsano della palude possono transitare, con qualche avvertenza, da Dante a Laborintus, È lecito così proiettare Benvenuto su Sanguineti, utilizzando Dante come ponte. Questo accade per una ragione precisa, costituita dah'aver accuratamente scelto Benvenuto che, da un lato, fornisce un materiale verbale perfetto, un latino molto espressivo e quasi 'espressionistico', capace di rendere il senso terrifico e orribile di questo paesaggio, infernale e lunare, e, dall'altro, elabora una tecnica di descrizione critica in grado di fissare la narratività dantesca. Sanguineti se ne appropria (vd. Anarchia e Complicazione) -come già aveva

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fatto in Interpretazione di Malebolge- e, rovesciandola, attraverso la frammentazione, crea una sequenza finita di descriptiones locorum, una serie che però dà vita non più ad un momento narrativo ma ad uno perfettamente antinarrativo, poiché la serie di situazioni e tessere viene montata a mosaico, non rispettando nessun principio logico-causale-temporale, ma seguendo piuttosto legami e incastri pericolosi. In questo modo non è presente nessuna trama e nessuno scioghmento. La descriptio loci sanguinetiana esce da ogni naturalismo mimetico come da ogni gusto romantico della descrizione, poiché l'accumulo di elementi non precisa inequivocabilmente la descrizione, ma crea spaesamento. Possiamo immediatamente verificare queste nostre osservazioni nel corpo testuale, analizzando gli effetti finali dell'assemblaggio sanguinetiano: questa sezione ci mostra una zona paludosa, fatta di acquitrini e fango, malsana e maleodorante, dove si compie, in continuazione, senza sosta, il processo di morte e rigenerazione, tanto che i tre verbi "putrescunt", "generantur" e "resolvunt" fissano e riassumono perfettamente tutto ciò che avviene nella "livida palude" {Inf. Ili, 98): ci troviamo in una tipica situazione dantesca, proprio nel senso che il sostrato fondamentale è certamente Dante con la sua forza materiale e figurale. Se cerchiamo qualcosa che per tono e ritmo, colori e modi espressivi possa essere avvicinato alla "livida palude", e ne sia quasi sostrato e commento, ci imbattiamo neh'Artaud del Van Gogh il suicidato della società, dove leggiamo: Non è comune vedere un uomo, con nel ventre la fucilata che lo uccise, ficcare su una tela corvi neri e sotto una specie di pianura livida forse, vuota in ogni caso, in cui il colore vinaccia deha terra si scontra perdutamente con il giallo sporco dehe messi. [...] Perché nessuno fino ad allora aveva fatto come lui deha terra questo panno sporco, strizzato di vino e di sangue inzuppato. [...] La natura sembra avere amato sempre i vivi meno dei morti. [...] Non è comune vedere un uomo con gh intestini travagliati dal colpo della morte dipingere su una tela corvi neri, su una specie di pianura livida forse, vuota in ogni caso, ma color vinaccia come le carni di un alcolizzato ubriaco di vergogna, di rimorso, di speranza, di beatitudine, di spavento.^

Anche ora, come prima per Benvenuto, non solo è lecito un parallelo in grado di renderci chiaro un aspetto testuale e un modo espressivo, ma lo stesso Artaud serve ad interpretare Sanguineti, nel senso che ci mostra un metodo di montaggio ed alcuni esiti finali. Abbiamo quindi un Sanguineti che opera con un atteggiamento dantesco, portato alle estreme conseguenze, di totale disponibilità verso ogni aspetto

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del reale e verso ogni materiale verbale, tanto da ricorrere al latino espressionista di Benvenuto, ma per montare poi questi reperti con metodo ArtaudBuñuel (vd. Anarchia e Complicazione), nel senso di impastarli e plasmarli con gli altri materiali linguistici con i quali alla fine si confondono, rompendo i legami con la fonte, per dar vita ad un nuovo contesto, costruito su frammenti, ognuno dei quali è una nota, una unità sintagmatica della nuova opera. Nella sez. 26 si vede bene questo modo di costruire Topera e se Artaud è ancora un'indicazione di atteggiamento, di modo di porsi verso la scrittura, Buñuel ci indica operativamente le scelte di costruzione, tanto che le linee che sorreggono questa sezione (e un po' tutto il poema) sono completamente estranee ad un universo della sequenza logico-temporale di una storia compiuta, si muovono per stazioni ed archetipi costitutivi dell'essere e della società. È una sorta di Age d'or alla Sanguineti, dove le ossessioni fondamentah storico-sociah vengono alla luce. Benvenuto e Dante forniscono materiah per costruire un paesaggio (ed è già questo uno sguardo particolare sul reale), Artaud e Buñuel -rivisti e ricorretti- i modi di costruzione, il piano architettonico: se Artaud trasforma Benvenuto, facendolo vivere nel Novecento, Benvenuto, con la sua precisione e forza espressiva, mette un freno ad ogni possibile deriva surrealista dei sensi e dei significati. Reagendo insieme creano un'opera che, da un lato, accoglie qualsiasi contributo, ma, dall'altro, pur essendo programmaticamente un'opera aperta, prevede e permette uno spettro finito di interpretazioni. Infatti la palude è sicuramente una sorta di specchio della condizione aberrante di vita dell'uomo contemporaneo, mantenendo una serie di elementi di un mondo primario, ancora stagnante, povero di determinazioni, pronto, però, alle trasformazioni e ai ribollimenti dell'essere. Si può mettere l'accento su uno come sull'altro degh elementi, spostando l'interpretazione, mentre sarebbe arbitrario pensare ad una crisi individuale, ad una nevrosi soggettiva. Ma proprio questa palude così complessa non esisterebbe senza la coniunctio Dante-Benvenuto-Artaud, sulla quale prende forma e si modella, distanziandosi viti pastiche da ogni fonte, che viene trasformata nel nuovo paesaggio. Benvenuto ed Artaud concorrono quindi a creare un testo dove la condizione negativa è in re, è uno stato oggettivo delle cose stesse, un prodotto storico-concreto: e questo elemento, da qualunque punto si osservi l'opera, non può essere eluso, mettendo così limiti precisi alle possibihtà ermeneutiche. Il latino medievale di Benvenuto mette di fatto l'autore in condizione di costruire un testo in cui la palude non è un mare magnum ma un concreto stato reale, che condiziona nella sua vita l'uomo, a sua volta artefice di questa situazione. C'è un rapporto biunivoco tra l'uomo e la realtà effettuale, prodotti l'uno dell'altro, a seconda di quale punto di osservazione venga privilegiato.

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Tutto questo, infine, serve per creare un parallelo tra X e la Palude, incentrato sulla generazione e sulla riproduzione, in modo che diventi testualmente inequivocabile -e solo un testo aperto ma con finite possibilità fruitive lo permette- che X è, per eccellenza, "lividissima mater", con la quale si chiude non a caso la sezione: si sottolinea in questo modo ndVexplicit lo sviluppo di X rispetto ad Ehie.

^ A. G'm\\?imy I Novissimi, cit., pp. 117-118. 2 N. Lorenzini, Il laboratorio della poesia, cit., pp. 32-33. 3 Vd. E. Baccarani, La poesia nel labirinto, cit., pp. 135-136. ^ Per la precisione vd. Eadem, pp. 138-140. 5 A. Artaud, Van Gogh il suicidato della società, Adelphi, Milano 1988, pp. 27, 8687, 104; i grassetti sono nostri.

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26 ah il mio sonno; e ah? e involuzione? e ah e oh? devoluzione? (e uh?) e volizione! e nel tuo aspetto e infinito e generantur! ex putrefactione; complesse terre; ex superfluitate; livida Palus livida nascitur bene strutturata Palus; lividissima (lividissima terra) (lividissima): cuius aqua est livida; (aqua) nascitur! (aqua) lividissima! et omnia corpora oh strutture! corpora o strutture mortuorum corpora mortua o strutture putrescunt; generantur! amori! ; resolvuntur; (X) lividissima Xl lividissima! (palus) particolarissima minima; minima pietra; definizione; sonno; universo; Laszo? una definizione! (ah X) complesse terre; nascitur! ah inconfondibile precisabile! ah inconfondibile! minima! oh iterazione! oh pietra! oh identica identica sempre; identica oh! aha tua essenza amore identica! alla tua vita e generazione! e volizione! (corruzione) perché essenze le origini; essenze; e ah e oh? (terre?) complesse composte terre (pietre); universali; Palus; (pietre?) al tuo lividore; amore; al tuo dolore; uguale tu! una definizione tu! liquore! definizione! di Laszo definizione! generazione tu! hquore liquore tu! lividissima mater:

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Note w . 1-3: Entriamo ancora neha palude: "il mio sonno" sottohnea, in apertura, come tutto il processo avvenga allo stato del sogno, nel quale si muovono più liberamente e facilmente miti e archetipi. '^involuzione", che indica sia una regressione nel processo di trasformazione, sia un declino, "devoluzione", con la quale si sottohnea il trasferimento di una quahtà o di un qualcosa, la "vohzione", termine alto, filosofico, legato aha facoltà spirimrale deha volontà, sussumono le azioni principali che accadono nella palude e ai viaggiatori. ~ Le interiezioni iniziali (ah, oh, uh), sorta di fonosimbolismi sanguinetiani, indicano uno stato espressivo di una comunicazione difficile e interrotta, che stenta a definirsi ma possiede una grande carica seppur poco determinata. ~ "generantur" (si generano, so-

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no generati) mette Taccento sulle potenzialità riproduttive della palude. ~ "ex putrefactione" (dalla putrefazione) e "ex superfluitate" (dalla superfluità, da ciò che è superfluo) indicano i materiali con i quali avviene la fase di rinascita e rigenerazione. Dagh elementi che sono in stato di decomposizione nasce la ricomposizione; viene così illustrato, con uno sguardo dah'interno, il meccanismo di nascita/morte/rinascita, che avevamo già visto come tipica sequenza deh'esistenza lunare. ~ I lacerti latini provengono, come già detto, dal Comentum di Benvenuto al Canto III dehlnferno dantesco e precisamente: stimolati molto da mosconi, e da vespe ch'eran ivi*. Propriissime hoc fingit Dantes, quia propter inordinatam vitam eorum isti miseri incurrunt scabiem, lepram, et alia turpissima genera morborum, quibus jacent miserabiliter in hospitahbus, et sepe in stratis et fossatis, et nuhus visitât eos, nisi genus muscarum et vesparum; haec enim ammalia generantur ex putrefaaione et superfluitate, ideo bene cruciant istos miseros". (Benvenuti Rambaldis de Imola, Comentum super Dantis Aldigherij Comoediam, tomo I, p. 121; il corsivo è nostro.) Così continua Benvenuto: "Unde subdit: illi, scilicet musconi et vespae, rigavan, idest balneabant, il volto lor di sangue, quia scihcet lacerabant faciem eorum usque ad sanguinis effusionem, che, idest qui sanguis, meschiato di lagrime, quia plorant in ista pena, era ricolto da fastidiosi vermi, nam sepe deveniunt ad tentam miseriam quod eorum marcida membra emittunt vermes; unde et muscae naturali ter générant vermes in capitibus et membris eorum". (Idem, pp. 121-122). Queste parole illustrano la fase della putrefazione e rinascita, l'emissione di fertili vermi dalle membra marce. ~ "complesse terre" completa e commenta il "composte terre in strutturah complessioni" del v. 1 deha sez. 1. w . 4-9: La focalizzazione è sempre fissa sulla Palude e sulle sue forme di vita, per questo la sez. 26 è un completamento deha sez. 1, in quanto vediamo, finalmente, l'intera essenza fenomenologica della Palus Putredinis. ~ "livida Palus" è la "livida Palude" deh'/«/ III, 98 ("al nocchier de la livida palude"). Qui, naturalmente, trasformata, declinata all'Artaud, rappresenta il deserto paludoso della realtà effettuale sotto minaccia atomica. - "lividissima terra" rimanda anche all'artaudiano "pianura hvida" (A. Artaud, Van Gogh, cit., pp. 27 e 85; vd. Introduzione). Sanguineti si sofferma suhe tinte scure, dal nero al rosso sanguigno, dell'orribile palude. ~ "nascitur", nasce; "cuius aqua est hvida", la cui acqua è livida; "et omnia corpora", tutti i corpi; "mortuorum", dei morti; "corpora mortua", i corpi morti, nel senso dei corpi che nascono ma sono destinati a morire; "putrescunt", vanno in putrefazione; "resolvuntur", si risolvono o più propriamente si trasformano, "generantur", si generano, sono generati, è una ripetizione del V. 3, come "ex putrefactione" (v. 3) e "putrescunt" (v. 8), danno vita ad una sorta di figura etimologica: lo stesso concetto viene ribadito e spiegato con due forme diverse. Sanguineti preleva i sintagmi latini sempre dal commento di Benvenuto: "Dicit ergo: quinci, scihcet ex verbis V i r g i l i i , q u e t e le lanose gote, scilicet barbatae, canae, al nochier della livida palude, scihcet Charoni, qui transportât animas per Acherontem, cuius aqua est livida. Vel hoc dicit, quia ex Acheronte nascitur livida palus Stygia, de qua dicetur piene inferius, ita quod iste fluvius magnus inundat et emittit ex se magnam paludem, sicut faciunt sepe nostra flumina terrena. Et dicit: che 'ntorno agli occhi avea di fiamme rote, scilicet flammas concupiscentiae, ut dictum est supra; vel flammas irae, quia erat accensus ira. Vel hoc dicit quia tempus consumit om-

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nia velut ignis. Et hic nota quod ahqui dicunt et exponunt quod per Charonem intelhgitur mors, quae transit omnes ad aham vitam, quae habet oculos flammeos quia omnia dabentur morti. Unde Virgihus in simih dicit: terribili squalore, idest sorde, quia omnia corpora mortuorumputrescunt et resolvuntur". (Benvenuti Rambaldis de Imola, Comentum, cit., tomo I, pp. 127-128.) w . 10-12: Questi versi sono giocati intorno al "nascitur livida palus": si crea, prima sulla base di un colore scuro, poi nero-bluastro, un parallelo tra X e la palude, che viene infine ad elaborarsi sul "si nasce". La pietra rimanda alla pietra filosofale, e alla sez. 14 in maniera particolare. La dimensione alchemica è sempre legata alla trasformazione. Il "nascitur" del v. 12 riprende, secondo modahtà iterative già anahzzate con "generantur", quello del v. 5. ~ "minima pietra" è una qualità di X, che è sonno e universo. ~ "Laszo? una definizione" indica il rapporto tra Laszo e X, e la capacità di quest'ultima di agire nella Palus. "complesse terre" riprende lo stesso sintagma del v. 3; nel momento dell'anahsi più completa la Palus diventa complessa, è necessario uno sforzo ermeneutico che renda i diversi piani e aspetti. w . 13-15: Andare al cuore della palude significa andare al cuore di X, che è "iterazione", cioè ripetizione, "pietra", nel senso di pietra filosofale e di pietra angolare, ma soprattutto la sua "essenza" è "identica" air"amore", che diventa così, dantescamente, accidente in sustanzia. X e l'amore sono omologhi. w. 16-17: X. spende la vita secondo queste modahtà amorose e oltre la "vohzione" (vd. V. 2), che è anche "corruzione", le sue "essenze" di una primitiva origine la rendono soprattutto "generazione", produttiva e fruttifera. La sua essenza è generare, far nascere. I versi sono giocati sulla ripetizione. w. 18-20: X permette di svelare la Palude, che è terre, pietre, deserto, ma soprattutto "complesse composte terre", sintagma che riunisce il v. 1 della sez. 1 e i w. 3 e 12 della sez. 26: la Palude è dunque composta e complessa. Questa definizione segna l'avvenuto processo di svelamento totale della Palus, che si mostra nella sua interezza. In questa sezione si riuniscono le parziah conoscenze della Palus. Il "lividore" è tratto deir"amore" e del "dolore", poiché l'amore è anche dolore e viceversa. In Sanguineti non abbiamo mai ossimori secchi, ma una dialettica, che può anche risolversi in una contraddizione insanabile. Questi versi sono strutturati sull'epifora lividore/amore/dolore. w. 21-23: X si rivela essere "definizione", nel senso di paradigma essenziale, infatti "definizione di Laszo", poiché è in virtù della sua azione che anche Laszo muta e si plasma, si trasforma. La ripetizione di "definizione" è l'asse portante del verso, che da definizione e generazione (epifora "zione"), attraverso "liquore" si chiude sulla madre. ~ è "hquore", nel senso di sostanza liquida, di medicamento, e anche di bevanda alcolica che rende ebbri. Ma soprattutto è "generazione" e quindi "lividissima mater", un sintagma dal forte sapore lucreziano, che possiamo commentare con i versi stessi di Lucrezio: "hominum divumque voluptas/alma Venus, coeh sub ter labentia signa/quae mare navigerum, quae térras frugiferentis/concelebras, per te quoniam genus onme animantum/concipitur visitque exortum lumina solis" {De rerum natura, w. 1-5). Ma anche queste parole non sono sufficienti, la nostra "lividissima mater" è X, ma anche la terra paludosa, una madre matrigna. Un doppio statuto della natura impHca così una doppia idea della nascita, momento fortunato o di sventura, a seconda dell'interpretazione adottata.

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SEZIONE 2 7

Introduzione Questa estrema sezione conclude il poema "erotico-demonologico"; il dantesco "uscimmo a riveder le stelle" si trasferisce hic et nunc. Non sono presenti né scioglimento né risoluzione della trama, poiché -come abbiamo già avuto occasione di rilevare in più occasioni- non ci sono né trama né storia tradizionalmente intese, ma, casomai, un movimento antinarrativo strutturato sulla costruzione a mosaico di tessere, che danno vita ad una sequenza definita da una serie di stazioni. Proprio per questo motivo, la sezione puntualizza e completa gli elementi più importanti che erano venuti a delinearsi lungo l'intero percorso testuale, in modo da assumere precise caratteristiche e da non lasciare nulla al caso o ancor peggio ah'ambiguità. Sul piano stilistico-formale, il momento può essere suddiviso in due parti, la prima rappresentata dal consistente blocco dei primi undici versi, la seconda dal solo verso dodicesimo à^^explicit, dove la prima parte, compattamente, porta a termine tutti i discorsi intrapresi, mentre l'ultimo verso, con \ e i due punti, lascia aperto il discorso globale verso futuri sviluppi, rendendo l'opera aperta. Balza immediatamente agli occhi la presenza preponderante del latino rispetto a qualunque altra lingua, così da sottolineare la natura quasi completamente citazionale del componimento, nel quale appunto vediamo bene l'autore neha sua dimensione di assemblatore, dove si propone l'esecuzione inedita di materiali preesistenti, che vengono accumulati secondo un calcolatissimo gioco strategico. Naturalmente questo aspetto non rende più o meno 'sperimentale' il testo rispetto agh altri, poiché non è la presenza o meno di lacerti citazionali a fare la differenza, ma l'atteggiamento autoriale, nell'accezione gramsciana del termine. In questa sezione, gli ingredienti sono talmente vari e diversi da rendere necessario comunque, per chiarezza espositiva, un riassunto che precisi la provenienza dei diversi lacerti frastici, i quali, frammentati e sezionati, danno vita a questa ultima sezione di Laborintus, I lacerti latini sono estrapolati dal Commento al X I X e al X X Canto delVlnferno di Benvenuto da Imola (vd. note w. 1, 2, 4-6 e 10-11), ai quah si aggiungono frammenti dell'iscrizione di un capitello del Chiostro di sant'Orso ad Aosta (vd. nota v. 2) e, soprattutto, un prehevo da Charles de Tolnay "in 'Album Amicorum' Abraham Ortelius: multa pinxit, hic Brugelius, quae pingi non possunt, quod Phnius de Apehe. In omnibus'eius operibus intel-

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ligitur plus semper quam pingitur. Idem de Timanthe Eunapius in lamblicho (Penbroke College, Cambridge)" (vd. nota vv. 4-6)i. L'esasperazione pluristilistica, in un contatto di netto bilinguismo (italiano/latino), è prodotta dal montaggio di queste diverse componenti, dove latino classico, medievale e rinascimentale si intrecciano, per arrivare ad Ortelius che cita Plinio. Se la sez. 26 metteva in gioco Laszo, qui ritorna Ruben, lettore collaboratore e coprotagonista, e non solo, poiché la figura dell'ebreo si sdoppia nettamente in due figure completamente opposte: da un lato c'è, appunto, Ruben, rappresentante della grande cultura cosmopolita di cui gh ebrei sono il simbolo, destinatario privilegiato, dall'altro c'è Moneybags, lo stereotipo marxiano del capitalista, "der Jude" e "das Jot" sono due spie linguistiche che rimandano direttamente aha sez. 20 di cui sono compimento -e la sez. 20 era già uno sviluppo deha sez. 18-, secondo una precisa regola di scrittura a scatole e di correzione di una poesia con un'altra poesia. Qui Sanguineti precisa il suo procedere e il suo atteggiamento, non lasciando nulla all'ambiguità - negh anni in cui egli compone Laborintus la Shoa è ancora un ricordo fresco: se Ruben perciò racchiude in sé gh elementi fondamentali di una cultura (che sono, anche a livehi diversi, per esempio, presenti in Marx, in Freud, in Benjamin), con la quale è necessario confrontarsi, il topos tradizionale del capitalista verace perde invece, sul piano della prassi autoriale, ogni eventuale connotato di razza (insomma, non ha il naso adunco), per divenire così il tipo universale dello sfruttatore e dello speculatore finanziario, "der Jude" e "das Jot" giocano in controcanto, riassumendo anche, il primo, il senso profondo deh'atroce persecuzione nazista (in "der Jude" sembra risuonare il tremendo "Juden raus"). Il discorso acquista poi chiari connotati con il "judaeus" seguente, prelevato daha definizione di Benvenuto di Simon Mago. Se appunto là venivano puniti i simoniaci, coloro che pensavano di poter fare commercio delle cose sacre, qui, nel nuovo contesto, con uno slittamento semantico ben determinato, vengono attaccati i proprietari dei mezzi di produzione, coloro che attraverso la gestione del denaro, equivalente universale, determinano la vita dei cittadini. Abbiamo così, nel corpo testuale, un doppio ebreo, chiarificandosi in questo modo il rapporto tra Ruben e Moneybags, che aveva già riempito di sé la sez. 18, senza però concludere il discorso. La grande capacità di rielaborazione culturale e una certa dimensione erratica, dovuta all'esilio, sono poh positivi di Ruben e caratterizzano persino la scrittura, mentre il primo nucleo di mercato globale, nella sua dimensione di rapacità e di riduzione deU'uomo a merce, è U polo negativo. La Palude è per certi versi la stessa realtà effettuale manipolata dal mercato, dove tutto è merce e dove nulla può esistere se non come merce.

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L'operazione di Sanguineti è simile, per certi aspetti, per ricorrere ad un esempio chiarificatore, a queUa di Grosz, che prende il prototipo, l'archetipo, e ci lavora sopra, deformando il modello in maniera espressionista, per estrarne nuovi aspetti e nuovi significati che sono h contenuti e nascosti. Così Sanguineti ricorre al prototipo marxiano per antonomasia del capitahsta, sottoponendolo ugualmente ad un trattamento di trasformazione e deformazione. Per Ruben è decisivo il suo essere ebreo ed essere un soggetto determinato con quel deposito culturale preciso, mentre per Moneybags -guardando alla serie cospicua di segni testuah, dalla sez. 4 alla 18 aha 20, aha luce del capitolo finale- è invece un mero accidente topico. In Sanguineti, infatti, la figura perde ogni connotato eventualmente etnico per assumere appunto le sembianze del capitalista universale, ebreo, itahano, tedesco, inglese, americano. Le connotazioni sono dati puramente di classe, la figura è senza viso e, forse, senza corpo, o, per megho dire, è costituita davvero solamente da un mucchio di monete, è d'oro sonante, un personaggio ah'Arcimboldi. Il nucleo centrale ed essenziale della sez. 27 è occupato dalla completa definizione di X,; non a caso, liberando l'ultimo verso di parentesi e punteggiatura, ci ritroviamo un "X quae pingitur" traducibile come "lambda che è dipinta, rappresentata", proprio a sottolineare l'argomento capitale deh'ultimo movimento testuale. Se la sez. 26 ci ha appena consegnato una X caratterizzata dal "generantur" e dal "lividissima mater", la sez. 27 ribadisce e completa il concetto, ampliandolo, creando un nesso tra "hic est (X)" e "maximus fetus" (molto prolifica, di grande prole), in modo che X diventa la generatrice per eccellenza, colei per la quale si può affermare, senza ombra di dubbio, "che è culla una pancia di donna"^. Si chiarisce qui perfettamente e finalmente l'ambivalente dicotomia X/Ellie, tutta giocata tra una figura di carne e di terra e una figura di acqua e di aria; il momento erotico-sessuale è presente sia in X sia in Ehie, ma diverso, proprio sul piano testuale, pare l'esito deha coniunctio, che solo con X diventa indiscutibilmente generazione, fruttificazione, parto, mentre con Ehie tutto questo pare non compiersi a pieno, se non nel momento deha morte. È su questo piano che avviene lo stacco tra le due figure femminih, variazioni dello stesso archetipo, e X assume una dimensione di carne, in quanto produttrice. Proprio questa facoltà completamente sviluppata ed attuata, questa qualità ci permette di uscire dalla palude: è questa la virtù fondamentale di X, nella quale ritroviamo anche rifunzionalizzati gli aspetti alla Nadja di Ellie. La chiusa "(X); quae pingitur" va letta secondo due direttrici, una X che è dipinta, che è rappresentata, sottolinea l'argomento cardine deh'ultimo momento del percorso testuale, l'altra, invece, puntualizza che il 'tema X' non è certamente stato esaurito, e l'opera deve ritenersi aperta anche perché l'auto-

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re, dantescamente, secondo il modello della Vita Nuova, si ripromette di riparlarne quando "potrà più degnamente trattare di lei"3. Già qui i due punti, che poi diventeranno un tratto stihstico essenziale di Sanguineti, indicano il possibile seguito, ma soprattutto lasciano aperto il discorso e l'interpretazione, secondo un modello, però, di finite interpretazioni possibili. Queste osservazioni ci conducono al terzo momento portante del componimento, quello delle riflessioni di poetica: se la sez. 5 e la sez. 23, veri e propri manifesti, facevano da cerniere e da connettori tra i diversi momenti del poema, la sez. 27 svolge la medesima funzione, in un'ottica però di opere future. A guidarci lungo la trama testuale sono i lacerti prelevati da Abraham Ortelius in Charles de Tolnay, presenti nella sezione, che creano questa sequenza: "in 'Album Amicorum'; (quod Plinius de Apelle); quae pingi non possunt; intelligitur! plus! semper! quam pingitur! quam pingitur (X) intelligitur! (idem de Timanthe); (idem Eunapius)" (trad.: "un Album Amicorum; (ciò che Plinio disse su Apelle); che non possono essere dipinti; si capisce sempre più di ciò che è dipinto; ciò che è dipinto (X) si interpreta! (lo stesso su Timante); (lo stesso Eunapio)"). L'elemento centrale dell'intera sequenza ruota intorno a "ciò che non può essere dipinto", dove Plinio, mediato da Ortelius, serve a Sanguineti per sottolineare la scelta di non selezionare i materiali in base ad un discorso di poeticità, ma di dare cittadinanza a tutta la realtà. E anche nel nostro caso, l'interpretazione ci permette di impossessarci di elementi che alla prima lettura paiono sfuggire. Ciò che il testo dice va al di là di quello che c'è scritto alla ettera. Ma l'individuazione della fonte nella sua completezza ci permette, ancora una volta, di portare più a fondo il discorso: infatti Sanguineti mantiene attenzione al fatto vero, all'occasione quotidiana, e ha una sorta di atteggiamento oggettivo verso la realtà e verso quello che è sempre stato escluso dal codice poetico, al quale si unisce, però, un gusto per il rovesciamento che nella sua globalità permetterebbe di creare, fatte le debite distanze, un parallelo tra Bruegel e lo stesso Sanguineti, poiché tra i primi il pittore ha guardato all'uomo come prodotto "del suolo sul quale vive, e di determinate condizioni ambientali e sociali""^. Se sull'atteggiamento, ben delineato da "quae pingi non possunt", prelevato da Plinio e proiettato da Ortelius sul pittore fiammingo, si può rintracciare un qualcosa di comune tra Sanguineti e Bruegel, soprattutto nel rompere decisamente le barriere e gli steccati di ciò che è poetico e di ciò che è pittorico per antonomasia, per tradizione e consuetudine, l'effetto finale, in Sanguineti, non è quello di un quadro di Bruegel. È sparita ogni dimensione mimetica, a dominare è una polarizzazione tra X generatrix e la Palude, scura, buia, melmosa. Ci muoviamo in un realismo dell'allegoria, che ha

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un referente -se proprio vogliamo trovarne uno- nell'attività di Dürer, nelle sue immagini allegoriche, che così tanto saranno rilette nel Novecento. In breve, Sanguineti si impossessa e parte dal dato reale, che, però, attraverso uno studiato calcolo di contrasti, nel nuovo contesto non è più individuabile come dato a sé, ma -come abbiamo evidenziato in altri casi- si impasta con gh altri materiah, per dar vita ad un gioco talvolta cifrato di ironia e parodia.

^ Si tratta della trascrizione precisa deha scheda a suo tempo ritrovata casualmente nel hbro e che l'autore stesso ci ha messo a disposizione per risolvere la serie " Apelle, Timanthe, Eunapio". È consuemdine di Sanguineti annotare, in vario modo (schede, etc.), gh elementi significativi dei testi letti. 2 Ballata delle donne, in E. Sanguineti, Il gatto lupesco, Feltrinelh, Milano 2002, p. 86. 3 D. Ahghieri, Vita Nuova, Garzanti, Milano 1988, p. 74. ^ Bruegel, a cura di A. Wied, Electa, Milano 1994, p. 112.

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e noi; non come Plinio (noi) Ruben; iste fuit ille; der Jude; semper suspensi (nos); non recitiamo (noi) storia; MARMORIBUS das Jot; judaeus; VARUS leggendo; infelice!; fetus; maximus fetus; luce! (k) a juventute sua; considerantes; in 'Album Amicorum'; considerantes (nos nosmet); (quod Plinius de Apelle); astrologus; 5 puncta momenta; nigromanticus; puncta minuta; puncta! quae pingi non possunt; philosophus; ah inteUigitur! nigromanticus; plus! semper! nigromanticus magnus; quam pingitur! hec est (K); HEC EST (k); quam pingitur (X) inteUigitur! (Ruben!); (idem de Timanthe); oh dicam ergo; DISTINCTA; (una oh cum Averroè): astrologia nostri [temporis; 10 (dicam); oh nuUa est (...); (k); DECENTER; (idem Eunapius); (FABRICA!) (k); quae pingitur:

Note V. 1: Il testo si apre su "noi", che pare unire autore, voce narrante. Lambda e Ruben per raggiungere anche il lettore. Si delinea da subito la dicotomia tra Ruben e "der Jude" (l'ebreo), di conseguenza il netto sdoppiamento tra la figura di Ruben e quella di Moneybags in nuova declinazione. ~ "iste fuit Ule" (costui fu queUo) è una ripresa con variante del Commento al Canto X I X di Benvenuto, che ritroveremo lungo l'intero testo e che recita così: "iste Simon fuit Judaeus a juvenmte sua philosophus, astrologus, et nigromanticus magnus" (Benvenuti Rambaldis de Imola, Comentum, cit., tomo II, pp. 31-32; "questo Simon, giudeo, fu daha sua gioventù filosofo, astrologo e gran negromante"). V. 2: "das Jot", riferimento in tedesco aha lettera J, simbolo del giudeo, lega indissolubilmente e senza possibihtà di equivoci questo ebreo a queUo della sez. 20. ~ "semprer suspensi (nos)" (noi sempre sospesi/indecisi, dubbiosi, incerti) indica la sospensione, la precarietà e l'incertezza dei protagonisti, la cui definizione si completa con U "non recitiamo (noi) storia", atto a sottohneare l'autenticità dei protagonisti, U loro agire senza maschera dentro la storia, intesa come prassi neha realtà effettuale. Il lacerto proviene dal Commento al Canto X X dell'Inferno di Benvenuto, dove troviamo: "nam nihil faciunt, nec permittunt fieri nisi sub certo puncto, et sic stant semper suspensi, et suspensos tenent ánimos aliorum, et istud et semper vivere in anxietate"

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(Benvenuti Rambaldis de Imola, Comentum, cit., tomo II, pp. 64-65). ~ "MARMORIBUS" (con marmi) è il primo frammento della serie "Marmoribus variis, haec est distincta decenter fabrica", che è sua volta un corposo frammento dell'iscrizione su un capitello del Chiostro di sant'Orso ad Aosta, che così recita: "Marmoribus variis, haec est distincta decenter/fabrica, ne minus (est) disposita convenienter" ("Questa struttura è ornata elegantemente con vari marmi, e non di meno disposta convenientemente"; R. Berton, Les chapiteaux et les stalles médiévaux d'Aoste, Tipografia Valdostana, Aosta 1996, p. 72). Per l'iscrizione, Berton parla di una coppia di distici e, in generale, lega gh animah rappresentati sia aha vita deha campagna sia a un puro gioco fantastico dell'immaginazione. V. 3: "judaeus" (giudeo) è originariamente riferito al Simon Mago di Benvenuto (vd. nota al v. 1), ma qui definisce in un sol tratto, senza possibihtà di fraintendimenti, lo sdoppiamento della figura dell'ebreo. "VARIIS" è il secondo frammento deh'iscrizione di Sant'Orso. ~ "fetus" e "maximus fetus" (feto, grandissimo feto) è dell'autore, ed è il nucleo del discorso, costituendo con "luce", intesa come elemento luminoso, come luce morale e intellettuale, la quahtà fondamentale di X, che entra al v. 4. w . 4-6: Entra in gioco X, aha quale si lega subito "a juventute sua" (fin dalla sua gioventù), così da mettere l'accento su una filogenesi completa; il sintagma è prelevato dal discorso su Simon Mago (vd. nota al v. 1). "considerantes" (esaminando) introduce una nuova tessera, che l'autore frammenta e divide lungo tutto il testo. Si tratta del Commento al Canto X X ¿t\VInferno, dove si legge: "Nota etiam quod comparatio paralytici est proprissima: sicut enim paralyticus totus tremit, et numquam tenet membra firma, ita recte divinator semper nutat et vacihat, quia stat semper cum timore et suspicione considerans puncta, momenta, minuta" (Benvenuti Rambaldis de Imola, Comentum, cit., tomo II, p. 67). ~ "in 'Album Amicorum'" (l'Album degh amici è una sorta di diario-scartafaccio, nel quale artisti e umanisti fiamminghi e dei Paesi Bassi annotavano impressioni e riflessioni) apre su un'altra tessera del mosaico, il cui reperimento si deve ah'autore stesso. La scheda autoriale -presentata ntWIntroduzione- è estratta daha nota 15 del saggio di Charles de Tolnay, dove troviamo: "L'Album Amicorum d'Ortelius est conservé dans le Pembroke College à Cambridge [...] Eupompus pictor interrogatus quem se quaeretur antecedentium, demonstrata hominum multitudine, dixisse fertur naturam impsam imitandum esse, non artificem. Congruit nostro Brugelio hoc, cuius picturas ego minime artificiosas, at naturales appellare soleam neque eum optimum pictorum, at naturam pictorum vero dixerim. Dignum itaque indico, quem omnes imitentur. Multa pinxit, hic Brugelius, quae pingi non possunt, quod Plinius de Apelle. In omnibus eius operibus inteUigitur plus semper quam pingitur. Idem de Timanthe Eunapius in lamblicho." (Charles de Tolnay, Pierre Bruegel Vandent, Nouvehe Société de Editions, Bruxelles 1935, p. 61; i corsivi sono nostri). Abraham Ortelius, famoso cartografo ed erudito, geografo capo del re di Spagna Filippo II, svolse -per Miiher Hofstede- un ruolo di rihevo neh'epoca poiché sarebbe "per i suoi stretti rapporti con Bruegel, l'unica fonte sicura per il retroscena intellettuale di quel tempo. Tutti i commenti di Ortelius costituiscono una base affidabile per verificare il contesto culturale in Olanda tra il 1555 e il 1575 circa, entro il quale si cohoca Bruegel" {Bruegel, cit., p. 13). L'osservazione di Ortelius, pre-

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cisa quanto elogiativa, con prelievo da Plinio, nella parte che ci interessa, in corsivo, può essere così tradotta: "Nell'Album degh Amici di Abraham Ortelius. Dipinse molte cose, questo Bruegel, che non possono essere dipinte, ciò che Plinio disse di Apelle. In tutte le sue opere si capisce sempre più di quanto è dipinto. Lo stesso su Timante Eunapio in Giamblico". La nota serve a Sanguineti a puntualizzare il discorso di poetica, soffermandosi sulla ricerca di un nuovo modello estraneo al poetico. "considerantes (nos nosmet)" (esaminando noi, proprio noi stessi) è la ripetizione del "considerantes" del v. 4, che proviene da Benvenuto, con inserzione autoriale per focahzzare l'attenzione sui protagonisti e sulle loro trasformazioni. ~ "astrologus" è un'altra caratteristica di Simon Mago in Benvenuto. "puncta momenta" (istanti, attimi) sottolinea gh spazi temporah e materiali delle trasformazioni, e proviene dallo stesso lacerto di "considerantes". ~ "nigromanticus" è un'altra caratteristica/qualità di Simon Mago (da Benvenuto), che va a dare forma concreta a Moneybags. ~ "puncta minuta; puncta" (istanti brevi o punti spezzati; in questo seconda caso il riferimento è allo stile, úVinconcinnitas sanguinetiana) svolge una funzione simile al "puncta momenta" e proviene dallo stesso lacerto di Benvenuto. w . 7-9: I versi sottolineano, con uno stile veloce e ossessivo, fatto di punti esclamativi e continue iterazioni degh stessi termini, tre concetti fondamentah: la ricerca di scrivere (dipingere), ciò che non può essere scritto (dipinto), la caratteristica del testo Laborintus di essere qualcosa dal quale si può estrarre più di quanto dicano le semphci parole ("intelligitur plus semper quam pingitur") e la definizione completa di X, H E C EST X", che viene ribadita con la ripetizione, poiché chiude il v. 8 e apre il v. 9, in modo da creare il nesso, senza equivoci, tra X e la generazione. ~ "quae pingi non possunt" (che non possono essere dipinti) proviene da Ortelius su Bruegel (vd. nota ai w . 4-6), che però cita Phnio (vd. Plinio, Naturalis Historiae, lib. X X X V , Einaudi, Torino 1988, pp. 394-395: "Pinxit et quae pingi non possunt", "dipinse persino cose che non è possibile dipingere"). ~ "philosophus", ennesima definizione di Simon Mago (da Benvenuto), vale anche per Ruben. ~ "inteUigitur plus semper quam pingitur" (si intende sempre più di quanto si dipinge) variamente spezzato e ripetuto, proviene da Ortelius. ~ "nigromanticus", con quello che segue, sono quahtà che transitano da Simon Mago (in Benvenuto) a Moneybags, doppio di Ruben. ~ "hec est" (v. 8) e " H E C EST" è frammento dell'iscrizione del Chiostro di Sant'Orso (vd. nota v. 2): è presente però una discrepanza, infatti Berton propone H A E C , mentre Sanguineti trascrive H E C , dichiarando completa fedeltà al testo del capitello, "idem de Timanthe" proviene da Ortelius. w . 10-11: Continua la tecnica dell'accumulazione, portata quasi al parossismo; troviamo infatti una nuova tessera frastica, proveniente dal commento al solito canto X X di Benvenuto, dove reperiamo: "Dicam ergo una cum Averroè: astrologia nostri temporis nulla est" (Benvenuti Rambaldis de Imola, Comentum, cit., tomo II, p. 68; "Quindi dirò insieme con Averroe: l'astrologia dei nostri tempi è cosa da niente"). La frase, frammentata e ricomposta, riflette sulle trasformazioni e sulle scienze che le dirigono e interpretano. "DISTINCTA", " D E C E N T E R " e " F A B R I C A " provengono dall'iscrizione del Chiostro di Sant'Orso; ora è chiaro che la frase compiuta ("Questa costruzione è or-

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nata elegantemente con marmi diversi") si può applicare anche alla varietà stilisticotonale deUa sezione. È l'ennesimo autocommento, strategicamente occultato. ~ "idem Eunapius" (lo stesso Eunapio) è prelevato dah'Ortelius. V. 12: Quest'ultimo verso puntuahzza due elementi, lasciando aperto il discorso; K ci ha portato fuori dalla palude, ma insieme alla palude è proprio X ad essere stata descritta. Così, per necessità espressivo-discorsive, il "quam pingitur" di Ortelius diventa, in Sanguineti, "quae pingitur", in modo da poter essere riferito a X.

INDICE

Ringrazio vivamente il professor Franco Vazzoler, che ha seguito questo lavoro da quando era ancora una ricerca di dottorato, e la professoressa Niva Lorenzini, che è diventata, da un certo momento in poi, una correlatrice preziosa; per le discussioni, il confronto e le indicazioni. Marco Berisso, Massimo Pastorelli e Riccardo Boglione. Se il libro può vedere la luce in questa forma, un ringraziamento particolare lo riservo a Carlo Feltrinelh che ha permesso Tutihzzo del testo di Laborintus di Edoardo Sanguineti esclusivamente per questa edizione. Desidero esprimere profonda gratitudine a Edoardo Sanguineti, non solo per essere stato il disponibile e autorevole risolutore di una serie di nodi problematici, ma anche e soprattutto per quelle behissime lezioni in Via Balbi 6 dove ha insegnato a non abdicare mai al dovere di interpretare il mondo per modificarlo. Grazie a Stefania, attenta e amorevole lettrice. E. R. Genova, 29 marzo 2006

5

ANARCHIA E COMPLICAZIONE

65

Nota al testo

67 73 74

SEZIONE 1

Introduzione 1. (gennaio 1951) Note

SEZIONE 2

77 80 81 84 88 89

Introduzione 2. (febbraio 1951) Note SEZIONE 3

Introduzione 3. (febbraio 1951) Note

SEZIONE 4

93 98 99

Introduzione 4. (febbraio 1951) Note SEZIONE 5

104 109 109

Introduzione 5. (marzo 1951) Note SEZIONE 6

113 117 118

Introduzione (..(aprile 1951) Note SEZIONE 7

123 127 128

Introduzione 7. (aprile 1951) Note SEZIONE 8

135 139 139

Introduzione 8. (aprile 1951) Note

SEZIONE 9 142 147 148

Introduzione 9. (giugno 1951) Note SEZIONE 1 0

151 155 156

Introduzione 10. (luglio 1951) Note SEZIONE 11

159 163 163

Introduzione 11. (luglio 1951) Note SEZIONE 1 2

166 171 172

Introduzione 12. (luglio 1951) Note SEZIONE 1 3

175 180 181

Introduzione 13. (luglio 1951) Note SEZIONE 1 4

183 189 190

Introduzione 14. (luglio 1951) Note SEZIONE 1 5

193 199 200

Introduzione 15. (luglio 1951) Note SEZIONE 1 6

208 214 215

Introduzione 16. (maggio 1952) Note SEZIONE 1 7

219 224 225

Introduzione 17. (novembre Note

1952)

SEZIONE 1 8 228 232 232

Introduzione 18. (ottobre 1953) Note SEZIONE 1 9

236 241 242

Introduzione 19. (novembre Note

1953)

SEZIONE 2 0 247 251 251

Introduzione 20. (novembre Note

1953)

SEZIONE 2 1 254 259 259

Introduzione 21. (novembre Note

1953)

SEZIONE 2 2 262 266 266

Introduzione 22. (novembre Note

1953)

SEZIONE 2 3 270 279 280

Introduzione 23. (novembre Note

1953)

SEZIONE 2 4 288 292 292

Introduzione 24. (gennaio 1954) Note SEZIONE 2 5

296 300 300

Introduzione 25. (gennaio 1954) Note SEZIONE 2 6

303 308 308

Introduzione 26. (marzo 1954) Note

SEZIONE 2 7

311 316 316

Introduzione 27. (luglio 1954) Note