La carta sferica
 8843802623, 9788843802623 [PDF]

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Zitiervorschau

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt ARTURO PEREZ REVERTE. LA CARTA SFERICA. Titolo originale: La carta esferica. Traduzione di Roberta Bovaia e Silvia Sichel. Marco Tropea Editore, EDIZIONE 2000: Milano. 416 p. cm (I Marlin). ISBN 88-438-0262-3. Una mappa è molto più di un semplice strumento: è un'antica incisione, una pagina di storia, a volte un romanzo d'avventura. Dopo che la sua nave si è incagliata tra due isolotti dell'Oceano indiano, Manuel Coy, ufficiale della Marina mercantile spagnola, è stato sospeso dal servizio. Arenato a Cartagena, quest'uomo rude e solitario si abbandona ai sogni che i suoi amati romanzi di mare gli ispirano. Ma a un'asta di oggetti navali Coy s'imbatte in Tanger Soto, una misteriosa impiegata del Museo navale di Madrid. Incantato da questa moderna sirena, si lascia trascinare nella ricerca di un fantomatico brigantino sommerso. La leggenda vuole che il Dei Gloria, una nave gesuita partita dall'Avana e inabissatasi nel 1767 al largo di Cartagena, in seguito a un attacco pirata, nascondesse un tesoro segreto capace di corrompere ministri e sovrani europei, allora in procinto di espellere dai propri stati la Compagnia di Gesù. E un'antica carta sferica, comprata da Tanger all'asta, potrebbe davvero portare al tesoro. Per Coy, salpato insieme alla ragazza, le acque del Mediterraneo diventano così il teatro di intrighi e menzogne, battaglie antiche e moderne, gesta di spie e avventurieri: tra gli altri, l'amabile Horacio Kiskoros, in realtà ex torturatore sotto la dittatura argentina, e Nino Palermo, uomo d'affari specializzato in un business molto redditizio, il recupero di relitti dalle profondità marine. Il progressivo scioglimento del rebus della carta si trasformerà per il protagonista in una personale odissea, alla ricerca dei misteri più profondi degli abissi e di uno sfuggente ideale di donna. La passione di perezReverte per il mare si fonde in queste pagine con gli ingredienti a lui più congeniali: suspense, ironia, capacità di far rivivere la Storia nel gioco narrativo. Un omaggio a maestri come Omero, Melville e Conrad, che si inserisce a pieno titolo nella grande tradizione del romanzo d'avventura. Arturo perezReverte è nato a Cartagena, in Spagna, nel 1951. Ha lavorato per ventun anni come reporter di guerra per giornali, radio e televisione. Nel 1994 ha abbracciato definitivamente una brillante carriera di romanziere: i suoi best seller sono stati tradotti in più di venti lingue. Tra i suoi libri, pubblicati in Italia dalla Marco Tropea Editore, ricordiamo: Il club Dumas (1997), da cui è stato tratto il film La nona porta di Roman Polanski, interpretato da Johnny Depp. Il maestro di scherma e Territorio comanche (1999). A quest'ultimo si è ispirato il regista Gerardo Herrero per l'omonimo film, presentato al Festival di Berlino e al Festival di Cannes. Nella collana EST sono usciti La tavola fiamminga e La pelle del tamburo. Una sola settimana è bastata alla Carta sferica per scalare i vertici delle classifiche spagnole. 1. DUPUET, Marin. Scrutiamo la notte. É quasi perfetta, con la Stella polare visibile nel suo punto preciso del cielo, cinque volte a destra della linea formata da Merak e Dubhe. La Stella polare resterà dove si trova per i prossimi ventimila anni, e tutti i naviganti che la contempleranno si sentiranno sollevati nel trovarcela, perché è un bene che qualcosa resti immutabile da qualche parte finché le persone avranno bisogno di tracciare rotte su una carta nautica o sul paesaggio vago di una vita. Se continuiamo a prestare attenzione alle stelle, troveremo Orione senza alcuna fatica, quindi Perseo e le Pleiadi. É facile, perché la notte è tersa e non ci Pagina 1

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt sono nuvole; neppure un soffio di brezza. Il vento da sudovest è cessato al tramonto e la darsena è uno specchio nero che riflette le luci delle gru del porto, i castelli illuminati sulle montagne e i bagliori rispettivamente verde a sinistra e rosso a destra -- dei fari di San Pedro e di Navidad. Adesso avviciniamoci all'uomo. E immobile, appoggiato al coronamento della muraglia. Guarda il cielo, che si annuncia più scuro verso oriente, e pensa che il giorno dopo soffierà di nuovo il levante, portando maretta là fuori. Sembra anche sorridere in modo strano; se qualcuno potesse vedere il suo viso illuminato dal basso dalle luci del porto, arguirebbe che esistono sorrisi migliori del suo, più speranzosi e meno amari. Ma noi ne conosciamo la ragione. Sappiamo che nelle ultime settimane, al largo e a poche miglia da qui, il vento e le onde hanno giocato un ruolo decisivo nella vita di quest'uomo. Benché ormai non abbiano più nessuna importanza. Non perdiamolo di vista, perché stiamo per raccontare la sua storia. Guardando con lui in direzione del porto, scorgeremo le luci di una nave che si allontana lentamente dal molo. Il rumore delle macchine ci arriva smorzato dalla distanza e dal frastuono della città, con la trepidazione delle eliche che fendono l'acqua nera mentre l'equipaggio ala a bordo gli ultimi metri dei cavi di ormeggio. E mentre osserva quella nave dalla muraglia, l'uomo sperimenta due diverse forme di dolore: uno alla bocca dello stomaco, fatto della stessa tristezza che gli affiora alle labbra insieme alla smorfia che sembra, presto capiremo che è solo apparenza, un sorriso. Ma c'è anche un altro dolore più preciso e acuto che va e viene all'altezza del fianco destro, là dove un'umidità fredda gli incolla la camicia al corpo, e il sangue gocciola sull'anca e inzuppa l'interno dei pantaloni a ogni battito del cuore e a ogni palpito delle vene. Fortunatamente, pensa l'uomo, stanotte il mio cuore batte molto piano. 1. Il lotto 307. Ho navigato per oceani e biblioteche. H. MELVILLE, Moby Dick. Potremmo chiamarlo Ishmael, ma il suo vero nome è Coy. L'ho incontrato nel penultimo atto di questa storia, quando stava per diventare uno di quei naufraghi che stanno a galla su una cassa da morto mentre la baleniera Raquel va in cerca di figlioli smarriti. All'epoca era già alla deriva da un pezzo, fin dalla sera in cui si era recato alla casa d'aste Claymore, a Barcellona, con l'intenzione di passare il tempo. Non aveva che pochissimo denaro in tasca e, nella stanza di una pensione nei pressi delle Ramblas, qualche libro, un sestante e un diploma da primo ufficiale che la direzione generale della Marina mercantile quattro mesi prima gli aveva sospeso per due anni, dopo che l'Isla Negra, un portacontainer di quarantamila tonnellate, si era incagliato nell'Oceano Indiano, alle quattro e venti di mattina e durante il suo quarto di guardia. A Coy piacevano le aste di oggetti navali, anche se in quel periodo non si poteva permettere di rilanciare. Ma da Claymore, ubicata al primo piano di calle Consell de Cent, c'era l'aria condizionata, offrivano da bere al termine delle contrattazioni e la ragazza addetta alla reception era fornita di un bel paio di gambe lunghe, oltre che di un delizioso sorriso. Quanto agli oggetti dell'asta, gli piaceva guardarli e immaginare i naufraghi che li avevano portati in giro qua e là fino a farli incagliare sull'ultima spiaggia. Per tutta la durata dell'asta, seduto con le mani nelle tasche della giacca di panno blu scuro, aspettava di vedere chi si sarebbe accaparrato i suoi pezzi preferiti. Spesso il passatempo aveva esiti deludenti: un magnifico scafandro da palombaro, il cui rame ammaccato e pieno di cicatrici gloriose faceva pensare a naufragi, a banchi di spugne, a film di Negulesco, a calamari giganti e a Sofia Loren che esce dall'acqua scolpita dalla camicia bagnata, venne acquistato da un antiquario al quale non era nemmeno tremato un po' il polso quando aveva Pagina 2

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt sollevato il cartellino con il numero. E una bussola da rilevamento Browne R Son, antica, funzionante e ancora chiusa nella scatola originale, per la quale Coy avrebbe dato l'anima ai tempi in cui era all'accademia, alla fine venne aggiudicata, senza alcun rialzo sul prezzo di partenza, a un individuo che del mare aveva tutta l'aria di non sapere un bel niente, ma che sembrava invece perfettamente consapevole del fatto che, se avesse sistemato quel pezzo in bella mostra nella vetrina di una qualsiasi marina sportiva di lusso, avrebbe potuto rivenderlo a dieci volte il suo valore. Fatto sta che quel pomeriggio il banditore mise all'asta il lotto 306, "Un cronometro Ulysse Nardin della Regia marina italiana, al prezzo di partenza di... " e consultò i suoi appunti sistemandosi gli occhiali con l'indice. Era un tipo dai modi garbati, cravatta un po' vistosa e camicia salmone. Tra un rialzo e l'altro sorseggiava un bicchiere d'acqua che si teneva accanto. "Lotto seguente: Atlante marittimo delle coste di Spagna, di Urrutia Salcedo. Numero 307." Aveva accompagnato l'annuncio con un sorriso discreto che, Coy l'aveva capito a forza di osservarlo, riservava per i pezzi di cui intendeva sottolineare l'importanza. "Gioiello cartografico del XVIII secolo" aggiunse dopo una pausa adeguata, enfatizzando il termine "gioiello" come se soffrisse all'idea di doversene separare. Il suo assistente, un giovane che indossava uno spolverino azzurro, alzò un po' il volume in folio, perché lo si vedesse dalla sala, e Coy lo guardò con una punta di malinconia: secondo il catalogo di Claymore non era facile trovarlo in vendita, perché la maggior parte degli esemplari erano conservati in biblioteche e musei. Quello era ancora in perfette condizioni; la cosa più probabile era che non fosse mai stato a bordo di una nave, dove l'umidità, i segni a matita e il lavoro sulle carte di navigazione lasciavano tracce irreparabili. Il banditore si accingeva ad aprire la contrattazione con una somma che a Coy sarebbe bastata per vivere sei mesi con ragionevole agio. Un uomo dalle spalle larghe, la fronte ampia e i lunghissimi capelli grigi raccolti in una coda di cavallo. che era seduto in prima fila e il cui cellulare era squillato 10 per ben tre volte con grande irritazione dei presenti in sala, mostrò un cartellino con il numero 11. Altre mani si alzarono mentre l'attenzione del banditore, che teneva sospeso il piccolo martello di legno, si spostava da uno all'altro e la sua voce educata ripeteva ogni offerta, suggerendo la successiva con una monotonia professionale. Il prezzo di partenza era quasi raddoppiato e gli aspiranti al lotto 307 si perdevano via via lungo la strada. Restavano in lizza l'individuo corpulento dal codino grigio, un altro magro e barbuto, una donna della quale scorgeva solo i capelli biondi a carré e la mano che alzava il cartellino e un uomo calvo molto elegante. Quando la donna raddoppiò il prezzo iniziale, il tipo con la coda grigia fece mezzo giro su se stesso per guardare verso di lei, con una smorfia irritata, e Coy ne notò gli occhi verdognoli e il profilo aggressivo, il naso importante e l'aria presuntuosa. Alla mano che alzava il cartellino portava diversi anelli d'oro. Non sembrava abituato a vedersi contendere i pezzi di un'asta, e con un cenno brusco si girò completamente alla sua destra, dove una giovane donna bruna truccata in modo pesante, che rispondeva bisbigliando al telefono ogni volta che questo squillava, patì le conseguenze del suo malumore quando lui si mise a rimproverarla aspramente, a bassa voce. "Qualcuno rilancia l'offerta?" Il tipo dalla coda grigia alzò la mano e la donna bionda contrattaccò, mostrando il suo cartellino con il numero 74. La tensione in sala continuava ad aumentare. Il magro con la barba preferì ritirarsi dall'asta e dopo due nuovi rilanci l'uomo calvo e ben vestito cominciò a vacillare. Quello con la coda alzò l'offerta, destando la riprovazione generale quando il telefono gli squillò di nuovo, e dopo averlo preso di mano alla segretaria se lo incassò tra la spalla e l'orecchio, sollevando l'altra mano giusto in tempo per rispondere all'invito che la bionda gli aveva appena fatto. A quel punto della contrattazione, l'intera sala era ormai palesemente schierata con la bionda e si augurava che il tipo con la coda esaurisse i fondi o le batterie del telefonino. L'Urrutia aveva triplicato il prezzo di partenza e Coy scambiò un'occhiata divertita con il suo vicino, un omettino bruno dai folti baffi scuri e i capelli accuratamente pettinati all'indietro e fissati con la brillantina. L'altro ricambiò lo sguardo con un sorriso cortese, mentre incrociava placido le mani sul grembo e faceva girare i pollici. Pagina 3

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Era minuto e lindo, quasi civettuolo; indossava un farfallino a pois rossi e una giacca che sembrava un ibrido tra il principe di Galles e lo scozzese e gli conferiva l'aria bizzarramente britannica di un turco vestito da Burberry. Gli occhi erano malinconici, simpatici, leggermente sporgenti, come quelli delle ranocchie delle fiabe. "I signori desiderano migliorare l'offerta?" Il banditore manteneva in aria il martello e il suo sguardo inquisitorio era indirizzato al tipo con la coda, che aveva restituito il cellulare alla segretaria e lo guardava contrariato. L'ultima proposta, esattamente il triplo della cifra iniziale, era giunta dalla bionda. Coy non ne vedeva il volto per quanto sbirciasse, curioso, tra le teste che aveva davanti. Era difficile stabilire se a sconcertare il tizio con la coda di cavallo fosse l'ammontare del rialzo o l'ostinata concorrenza della donna. "Signore e signori, nessuno offre di più?" chiese il banditore, con estrema calma. Si rivolgeva al tizio con la coda, senza ottenere risposta. Tutta la sala guardava nella stessa direzione, palpitante. Compreso Coy. "Allora abbiamo questo prezzo, che sembra definitivo, uno... questo prezzo, due..." Il tipo dai capelli grigi sollevò il cartellino con uno scatto violento, come se impugnasse un'arma. Mentre un mormorio si estendeva a tutta la sala, Coy tornò a guardare la bionda. Il suo cartellino era già alzato, per rilanciare. La cosa riaccese la tensione e, come se si trattasse di un duello all'ultimo sangue, nei successivi due minuti i presenti assistettero a un rapido scontro, al cui ritmo incalzante -- non era ancora sceso il cartellino con il numero 11 che già si alzava quello con il 74 -- non poté sottrarsi neppure il banditore, costretto a fare un paio di pause per portarsi alle labbra il bicchiere d'acqua che teneva accanto al leggio. "Qualche altra offerta?" L'Atlante di Urrutia era fermo a cinque volte il prezzo di partenza quando il numero 11 commise un errore. Forse gli cedettero i nervi, sebbene la colpa si potesse imputare alla segretaria che, quando il cellulare si mise a squillare con in sistenza, finì per passarglielo in un momento critico, proprio mentre il banditore stava con il martello levato in alto in attesa di una nuova offerta e l'uomo dalla coda grigia esitava, quasi stesse riconsiderando l'intera questione. L'errore, ammesso che lo fosse, si poteva attribuire anche al banditore, che avrebbe interpretato il gesto brusco dell'altro, in direzione della segretaria, come un segno di stizza e di abbandono della contrattazione. O magari non si trattò di un errore, perché i banditori, come qualsiasi altra persona, hanno le loro simpatie e le loro avversioni, e magari propendeva per l'altra contendente. Comunque, il caso volle che bastassero tre secondi perché il martello cadesse sul leggio e l'Atlante di Urrutia venisse aggiudicato alla bionda, che Coy non era ancora riuscito a scorgere in volto. Il lotto 307 era tra gli ultimi, e il resto della seduta proseguì senza nuove emozioni o contrattempi, se si tralascia il fatto che l'uomo con la coda smise di partecipare all'asta, si alzò in piedi prima della fine e lasciò la sala, seguito dal tacchettio precipitoso della segretaria, non senza aver rivolto un'occhiata furiosa alla bionda. Nemmeno questa alzò più il suo cartellino. Il tipo magro con la barba finì per mettere le mani su un bellissimo telescopio marino, e un signore dall'aria austera e le unghie sporche, che sedeva davanti a Coy, ottenne per poco più del prezzo di partenza un modellino del San Juan ivepomuceno, di quasi un metro di lunghezza e piuttosto in buono stato. L'ultimo lotto, una serie di vecchie carte dell'Ammiragliato britannico, non trovò acquirenti. Quindi, il banditore decretò terminata la seduta e tutti si alzarono, passando in una saletta in cui Claymore offriva ai suoi clienti una coppa di champagne. Coy cercò la bionda. In altre circostanze avrebbe dedicato maggiore attenzione al sorriso della giovane receptionist, che si avvicinò vassoio alla mano offrendogli un calice. La donna l'aveva già visto ad altre aste, e benché sapesse che non faceva mai offerte era indubbiamente sensibile ai suoi jeans scoloriti e alle scarpe da ginnastica bianche che indossava con una giacca marinara blu scuro, guarnita da Pagina 4

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt due file parallele di bottoni in altro tempo dorati, con l'ancora della Marina mercantile, ora rimpiazzati da altri di metallo nero, più discreti. I risvolti delle maniche mostravano a loro volta i segni dei galloni da ufficiale che avevano fatto bella mostra di sé in quel punto. Ma anche così, a Coy quella giacca piaceva un sacco, forse perché portandola si sentiva ancora legato al mare. Soprattutto quando all'imbrunire gironzolava nei dintorni del porto, rimpiangendo l'epoca in cui era ancora possibile trovare in quel modo una nave su cui arruolarsi, ed esistevano isole lontane disposte a dare asilo a un uomo: repubbliche giuste che non sapevano nulla di sospensioni biennali e alle quali non giungevano mai citazioni di tribunali navali né ordini di cattura. Gli avevano confezionato la giacca su misura, con tanto di berretto e pantaloni coordinati, nella bottega degli Eredi di Rafael Valls, quindici anni prima, quando aveva passato l'esame da secondo ufficiale; l'aveva sempre indossata durante le navigazioni, usandola nelle occasioni, sempre più rare nella vita di un marinaio mercantile, in cui era ancora necessario vestirsi in modo adeguato. Chiamava quel vecchio capo la sua "giacca da Lord Jim" -- riferimento molto appropriato nella sua attuale situazione -- fin dall'inizio di quello che lui, ossessionato consumatore di letteratura nautica, definiva il suo "periodo Conrad" Quanto a questo, Coy aveva avuto in precedenza un periodo Stevenson e un periodo Melville. Dei tre, intorno ai quali ordinava la propria vita quando decideva di dare un'occhiata alla scia che ogni uomo si lascia a poppa, quello risultava il più infelice. Aveva appena compiuto trentotto anni, aveva davanti a sé venti mesi di sospensione e un esame da comandante rimandato a chissà quando, costretto a terra con un curriculum che avrebbe impensierito qualsiasi compagnia navale cui avesse deciso di rivolgersi, mentre la pensione nei pressi delle Ramblas e il pasto quotidiano che faceva a Casa Teresa stavano infierendo senza pietà sui suoi ultimi risparmi. Ancora un paio di settimane e avrebbe dovuto accettare un lavoro qualsiasi come marinaio semplice, a bordo di una di quelle navi arrugginite con equipaggio ucraino, comandante greco e bandiera delle Antille che gli armatori ogni tanto lasciavano colare a picco per riscuotere i soldi dell'assicurazione, spesso con un carico fittizio e senza darti nemmeno il tempo di fare le valigie. L'alternativa era rinunciare al mare e guadagnarsi da vivere sulla terraferma, idea che solo a considerarla gli faceva venire il voltastomaco, perché Coy -benché a bordo dell'Isla Negra non gli fosse servito granché -- possedeva in sommo grado la principale dote di qualsiasi uomo di mare: un certo senso di insicurezza, intesa pieno golfo di Biscaglia, vede un barometro scendere di cinque millibar in tre ore o si ritrova, nello stretto di Ormuz, sorpassato da una petroliera di mezzo milione di tonnellate e quattrocento metri di lunghezza che gli chiude a poco a poco il passaggio. La stessa sensazione indefinibile o un sesto senso che, di notte, svegliava gli uomini di mare per un cambio nel regime delle macchine, li riempiva di inquietudine davanti all'apparizione di una nuvola nera all'orizzonte o faceva sì che all'improvviso, senza una ragione precisa, il comandante apparisse sul ponte a fare un giro e a guardarsi un po' attorno, come se niente fosse. Una cosa comune, d'altra parte, in una professione il cui atteggiamento abituale, quando si monta la guardia, consiste nel confrontare continuamente la bussola giroscopica con quella magnetica o, per dirla in altro modo, scoprire un falso nord mediante un nord che a sua volta non è quello vero. Per quanto riguardava Coy, questo senso d'insicurezza si acutizzava, paradossalmente, non appena smetteva di posare i piedi sulla coperta di una nave. Aveva la sventura, o la fortuna, di essere uno di quegli uomini per cui l'unico posto vivibile si trova a dieci miglia dalla costa più vicina. Bevve un sorso dalla coppa che gli aveva appena porto con civetteria la receptionist. Coy non era un tipo attraente: la statura, leggermente inferiore alla media, metteva in evidenza l'eccessiva larghezza delle spalle, vigorose, le mani dure e grandi, ereditate dal padre, uno sfortunato commerciante di articoli navali, che in mancanza di denaro gli aveva lasciato anche l'andatura vacillante, quasi goffa, di chi non è convinto che la terra su cui mette i piedi sia degna di fiducia. Ma le linee ordinarie della bocca ampia e del naso grande, aggressivo, erano Pagina 5

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt addolcite da due occhi tranquilli, scuri e teneri che facevano pensare allo sguardo riservato per il padrone da certi cani da caccia. A volte sulle labbra gli affiorava un sorriso timido, sincero, quasi infantile, e rafforzava l'effetto di quello sguardo leale, leggermente triste, ricompensato dal calice e dal gesto cortese della receptionist, che adesso si allontanava tra i clienti, l'immancabile gonna sulle gambe ben disegnate, convinta di sentirvi la carezza dello sguardo di Coy. Così credeva. Perché in quel momento, proprio mentre si portava la coppa alle labbra, lui dava un'occhiata in giro in cerca della bionda. Per un attimo si soffermò sull'uomo bassoccio dagli occhi malinconici e la giacca a quadretti, il quale gli fece un educato cenno con il capo. Poi continuò a passare in rassegna la sala, fino a individuarla: era ancora di spalle, tra la gente, chiacchierava con il banditore e reggeva in mano un calice. Indossava una giacca di camoscio, gonna scura e scarpe dal tacco basso. Le si avvicinò discretamente, curioso, osservando i capelli dorati e lisci del caschetto che, tagliato molto alto sulla nuca, scendeva poi su entrambi i lati verso la mandibola in due linee diagonali asimmetriche e tuttavia perfette. Mentre conversava, la chioma oscillava dolcemente, le punte le sfioravano le guance che, da dietro, si otevano apprezzare solo a tratti. Dopo aver coperto due terzi della distanza che lo separava da lei, scoprì che la striscia di pelle nuda del collo era coperta di lentiggini: centinaia di punti minuscoli, leggermente più scuri della pigmentazione della cute, non troppo chiara nonostante i capelli biondi, di una tonalità che rivelava sole, cieli tersi, vita all'aria aperta. E a quel punto, quando si trovava a due soli passi da lei e si accingeva ad aggirarla con indifferenza per vederla in volto, la donna salutò il banditore e si girò, restando per un paio di secondi faccia a faccia con Coy, il tempo necessario per posare sul tavolo il calice che aveva in mano, passargli accanto con un leggero movimento delle spalle e della vita e allontanarsi. I loro sguardi si incrociarono in quel breve istante, e lui ebbe giusto il tempo di registrare due insoliti occhi scuri dai riflessi bluastri. O forse il contrario: erano occhi azzurri dai riflessi scuri, iridi blu marino che scivolarono su Coy senza prestargli attenzione, mentre lui constatava che lei era piena di lentiggini anche sulla fronte, sul viso, sul collo e sulle mani. Era coperta di lentiggini e la cosa le conferiva un aspetto singolare, attraente e quasi adolescenziale, benché dovesse avere superato già da un pezzo la ventina. Riuscì a vedere che al polso destro portava un orologio maschile d'acciaio, grande e con il quadrante nero. E che era mezzo palmo più alta di lui, oltre che bellissima. Cinque minuti dopo, Coy uscì in strada. Le luci della città illuminavano le nuvole che correvano verso sudest nel cielo scuro, e lui seppe che il vento sarebbe cambiato e forse quella notte sarebbe piovuto. Era fermo davanti al portone, con le mani nelle tasche della giacca, mentre decideva se andare a destra o a sinistra. Equivaleva a scegliere tra un panino mangiato in un bar della zona e una camminata fino a plaza Real per ordinare due Bombay bottiglia blu con molta acqua tonica. O forse uno solo, si corresse rapidamente, dopo aver ricordato lo stato pietoso delle sue finanze. C'era poco traffico in giro, e tra le foglie degli alberi una lunga linea di semafori passava dal giallo al rosso a distesa d'occhio. Dopo aver riflettuto per una decina di secondi, proprio quando l'ultimo semaforo divenne rosso e il più vicino tornò verde, prese la destra e cominciò a camminare. Quello fu il primo errore della serata. LIAC: Legge degli incontri affatto casuali. Basandosi sulla nota legge di Murphy, la cui validità negli ultimi tempi aveva avuto seriamente modo di confermare, Coy tendeva a crearsi, per uso personale, una serie di leggi pittoresche che battezzava con assoluta solennità tecnica. LBPB: Legge del ballo con la più brutta, per esempio; o LPTBCSI: Legge del pane tostato con il burro che cade sempre all'ingiù; e altri principi più o meno applicabili ai funesti mutamenti della sua vita recente. Pagina 6

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Tutto ciò, è chiaro, non gli serviva se non a farlo sorridere di quando in quando. Sorridere di se stesso. In ogni modo, sorrisi a parte, Coy era convinto che nello strano ordine dell'universo, così come nel jazz, di cui era un grande appassionato, si verificavano casi, improvvisazioni dalla precisione matematica che spingevano a domandarsi se non fossero stati scritti da qualche parte. E in quel punto preciso fissava le coordinate della LIAC appena enunciata. Perché, man mano che si avvicinava all'angolo, notò prima una macchina grigio metallizzato, grande, parcheggiata proprio a lato del marciapiede con una portiera aperta. Poi, alla luce di un lampione, poco oltre riuscì a vedere un uomo che parlava con una donna. Riconobbe prima l'uomo, che gli stava di fronte e, dopo pochi passi, quando poté scorgerne l'espressione adirata, capì che in realtà stava discutendo con la donna, ora non più nascosta dal lampione, bionda, con i capelli tagliati a caschetto, che indossava una giacca di camoscio e una gonna scura. Sentì un formicolio allo stomaco mentre rideva, stupito, tra sé e sé. A volte, si disse, la vita risulta prevedibile nella sua imprevedibilità. Esitò un attimo prima di aggiungere: o viceversa. Poi valutò rotta e scarroccio. Se c'era qualcosa che era abituato a fare era calcolare istintivamente quel genere di cose, benché l'ultima volta in cui si era preoccupato di tracciare una rottamai - parola fu meglio utilizzata, "rotta" -- questa l'aveva portato direttamente davanti a un tribunale navale. In ogni modo, corresse di dieci gradi la sua direzione, con l'intento di passare il più vicino possibile alla coppia. E quello fu il suo secondo errore: era incompatibile con il comune buonsenso di qualsiasi marinaio, che raccomanda di tenere una distanza di sicurezza da ogni costa, o da ogni pericolo. L'uomo dalla coda grigia sembrava furibondo. All'inizio non riuscì a sentire cosa diceva perché parlava a voce bassa, ma notò che teneva una mano alzata con un dito puntato verso la donna, immobile davanti a lui. Infine il dito le colpì la spalla, più con collera che con violenza, e lei indietreggiò di un passo, come spaventata. " Le conseguenze" Coy riuscì a sentir dire al tipo con la coda. "Capisce?... Tutte le conseguenze." Stava alzando il dito, intenzionato a darle un altro colpetto sulla spalla, ma lei si scostò leggermente e il tipo sembrò ripensarci, perché stavolta l'afferrò per un braccio; forse non con violenza, ma con intento persuasivo, intimidatorio. Tuttavia lui aveva un'aria così irritata che, sentendosi quella mano sul braccio, la donna sussultò spaventata e indietreggiò ancora, liberandosi dalla presa. Allora lui cercò ancora di afferrarla, ma senza riuscirci, perché Coy si era messo tra loro e lo fissava, vicinissimo. L'altro restò con la mano in aria, una mano i cui anelli luccicavano alla luce del lampione, e con la bocca aperta, perché proprio in quell'istante stava per dire qualcosa alla donna o forse perché non capiva da dove fosse uscito quel tizio con una giacca da marinaio, le scarpe da tennis, le spalle massicce e le mani grosse e dure che penzolavano con falsa noncuranza sui fianchi, accanto alle gambe di un paio di jeans consumati. "Desidera?" disse l'uomo con la coda. Aveva un accento leggero e indefinito, un po' andaluso, un po' straniero. Guardava Coy stupito, curioso, come se cercasse di spiegarsi la sua presenza lì, inutilmente. Non aveva più un'aria irritata, quanto piuttosto stupefatta. Soprattutto quando gli parve di capire di non conoscere l'intruso. Era più alto di Coy -- quasi tutti lo erano quella notte -- e questi lo vide buttare un occhio al di sopra della sua testa, in direzione della donna, come se si aspettasse da lei un chiarimento riguardo a una simile variazione di programma. Coy non poteva vederla, perché si teneva dietro di lui, senza muoversi e senza dire una parola. "Cosa diavolo?" attaccò il tipo con la coda ma si interruppe di colpo, con Pagina 7

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt l'espressione funerea di chi ha appena ricevuto una brutta notizia. In piedi davanti a lui, la bocca chiusa e le braccia a penzoloni lungo i fianchi, Coy calcolò i possibili sbocchi della faccenda. Benché fosse furibondo, il suo interlocutore aveva una voce educata. Indossava un abito costoso, con tanto di cravatta e gilet, aveva un bel paio di scarpe e alla mano sinistra, quella degli anelli, esibiva un orologio carissimo, d'oro massiccio e design ultramoderno. Questo individuo solleva dieci chili d'oro ogni volta che si fa il nodo alla cravatta, pensò Coy. Sembrava una persona a posto, con due belle spalle e un aspetto sportivo; comunque, concluse, non era il tipo da mettersi a fare a pugni per strada, davanti all'ingresso di Claymore. Non riusciva ancora a vedere la donna, che restava dietro di lui, anche se ne intuiva lo sguardo. Almeno, si disse, spero che non si metta a correre e abbia il tempo di ringraziarmi, se non mi rompono la faccia. E anche se dovessero rompermela. Dal canto suo, quello con la coda si era girato alla sua sinistra per guardare la vetrina di una boutique, come se aspettasse che qualcuno ne uscisse con una spiegazione dentro a una borsa di Armani. Alla luce del lampione e della vetrina, Coy notò che aveva gli occhi castani. La cosa lo stupì un po', perché ricordava di averglieli visti verdognoli durante l'asta. Poi l'uomo si girò dalla parte opposta, verso la carreggiata, e allora Coy poté constatare che aveva un occhio diverso dall'altro, castano il destro e verde il sinistro: sinistra e dritta. Vide anche qualcosa di più inquietante del colore dei suoi occhi: la portiera aperta della macchina, un'Audi enorme, ne illuminava l'interno, dove la segretaria assisteva alla scena fumando una sigaretta, e illuminava anche l'autista, un marcantonio dai capelli ricci che indossava giacca e cravatta e che in quel momento si alzava dal sedile per andare a mettersi in piedi accanto al bordo del marciapiede. L'autista non era elegante e non lasciava presupporre di avere una voce educata come il tipo con la coda: il naso era schiacciato, come quello dei pugili, e la faccia sembrava essere stata cucita e ricucita una mezza dozzina di volte, lasciando fuori qualche pezzo. Aveva un che di citrino, quasi berbero. Coy ricordava di aver visto ruffiani con lo stesso grugno che facevano i buttafuori nei bordelli o nelle sale delle feste panamensi. Di solito portavano un coltello automatico nascosto nel calzino destro. Quella storia non poteva andare a finire bene, rifletté rassegnato. LMPPD: Legge del molte ne prendi e poche ne dai. A lui avrebbero rotto un paio di ossa indispensabili, mentre la ragazza sarebbe fuggita a gambe levate, come Cenerentola o Biancaneve -- Coy faceva sempre confusione tra quelle due fiabe perché non c'erano navi -- e lui non l'avrebbe mai più rivista. Ma intanto era ancora lì, e lui ne avvertiva gli occhi azzurri dai riflessi scuri, o forse al contrario, ricordò, scuri con riflessi azzurri. Se li sentiva fissi sulla schiena. Il fatto che stessero per riempirlo di botte per una donna che aveva visto in volto per due secondi appena non era privo di una dose di contorta ironia. "Perché si immischia in cose che non la riguardano?" chiese quello con la coda. Era una buona domanda. Il tono non suonava più furioso, ma meditabondo: molto più tranquillo e pieno di curiosità. Almeno così parve a Coy, che nel frattempo, con la coda dell'occhio, non perdeva di vista il berbero. "Questo è... Cristo!" concluse l'altro, vedendo che Coy non apriva bocca. "Si levi di torno." Adesso lei dirà le stesse parole, immaginò Coy. Concorderà con questo individuo e ti domanderà chi mai ti ha dato il permesso di ficcare il naso, ti chiederà di andare per la tua strada e di non intrometterti in questioni che non ti riguardano. E tu balbetterai qualche scusa con le orecchie tutte rosse, comincerai a camminare e girerai l'angolo, e ti taglierai le vene, perché sei davvero un Pagina 8

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt povero coglione. Adesso lei verrà e dirà che... Ma la donna non disse un bel niente. Stava zitta, proprio come Coy. Come se non stesse più lì e se ne fosse andata da un pezzo. Lui rimase buono buono senza aprire bocca, tra quei due, guardando gli occhi bicolore che aveva davanti a sé, a un passo di distanza, e i palmi delle mani che erano più in alto dei suoi. Non che gli venisse in mente di fare granché d'altro, e se avesse parlato avrebbe perso quel minimo vantaggio che ancora conservava. Sapeva per esperienza che un uomo che tace incute più soggezione di uno che parla, perché è difficile indovinare cosa abbia in testa. Forse il tipo con la coda era della stessa opinione, perché lo guardava pensieroso. Dopo un po', Coy credette di intravedere un barlume di incertezza in quegli occhi da dalmata. "Accidenti" disse l'altro. "Abbiamo pescato... un eroe di serie B, non è vero?" Coy continuò a guardarlo senza dire be. Se mi sbrigo, pensava, posso rifilargli un calcio nelle palle prima di tentare la sorte con il berbero. La questione è lei. Mi domando cosa cazzo farà lei. Il tipo con la coda all'improvviso sbuffò, una specie di sospiro che sembrava una risata acida, esagerata. "É ridicolo" disse. Sembrava sinceramente disarmato di fronte a quella situazione, incapace di definirla. Coy alzò piano la mano sinistra per grattarsi il naso, che gli prudeva; lo faceva sempre quando voleva riflettere. Il ginocchio, pensava. Dirò una cosa qualsiasi per farlo distrarre e prima di aver terminato gli mollerò una ginocchiata nel rigonfiamento. Il problema sarà l'altro, che mi affronterà senza l'effetto sorpresa. E con le peggiori intenzioni. Per strada passò un'ambulanza con le luci arancioni lampeggianti. Pensando che presto ne avrebbe avuto bisogno a sua volta, Coy si diede un'occhiata attorno, senza trovare niente su cui mettere le mani. Allora avvicinò le dita alla tasca dei jeans, sfiorando con il pollice il rigonfiamento delle chiavi della pensione. Poteva sempre cercare di ferire il volto dell'autista con le chiavi, come aveva fatto una volta con un tedesco ubriaco, all'ingresso del club Mamma Silvana, a La Spezia, e buonanotte suonatori, quando aveva visto che l'altro gli piombava addosso. Perché era certo che anche quel figlio di puttana stesse per farlo. In quel momento l'uomo che aveva davanti si portò una mano alla fronte e si accarezzò la testa, come se volesse lisciarsi ulteriormente i capelli raccolti nella coda prima di scuotere ancora il capo. Aveva un sorriso strano e triste sulle labbra, e Coy decise che quel tipo gli piaceva molto di più quando era serio. "Avrà mie notizie" disse alla donna, parlando al di sopra della spalla di Coy. "Ci può scommettere che le avrà..." Nello stesso istante guardò l'autista, che stava già muovendo qualche passo verso di loro. Come se si trattasse di un ordine, quello si fermò. E Coy, che aveva intravisto la mossa e contraeva i muscoli pompando adrenalina, si rilassò cercando di nascondere il proprio sollievo. Quello con la coda lo guardò di nuovo con grande attenzione, come se volesse imprimerselo nella memoria: uno sguardo sinistro con tanto di sottotitolo in spagnolo. Alzò la mano con gli anelli e gli puntò l'indice al petto, proprio come aveva fatto prima con la donna, ma senza arrivare a toccarlo. Si limitò a lasciare il dito sospeso nell'aria, puntandolo a mo di minaccia, poi girò sui tacchi e se ne andò, come se si fosse appena ricordato di un appuntamento urgente. Quindi tutto si risolse in una breve sequenza di immagini che Coy osservò con Pagina 9

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt attenzione: un'occhiata della segretaria dal sedile posteriore della macchina, la sigaretta di questa che descriveva un arco prima di cadere in strada, la portiera sbattuta dal tipo con la coda dopo essersi seduto accanto a lei e l'ultimo sguardo dell'autista, in piedi sul bordo del marciapiede: uno sguardo lungo e minaccioso, più eloquente di quello del suo capo, prima del tonfo di un'altra portiera che veniva chiusa e del dolce ronzio dell'accensione del motore. Soltanto con quello che un'auto del genere consuma per mettersi in moto, pensò tristemente Coy, io potrei mangiare pasti caldi per un paio di giorni. "Grazie" disse una voce di donna alle sue spalle. Malgrado le apparenze, Coy non era un pessimista, dal momento che per esserlo avrebbe dovuto vedersi privato della fiducia nella natura umana, mentre lui senza quella fiducia ci era nato. Si limitava a contemplare il mondo della terraferma come uno spettacolo instabile, deplorevole e inevitabile; il suo unico desiderio era quello di tenersene alla larga per limitare i danni. Malgrado tutto, all'epoca in lui c'era ancora un residuo di ingenuità: un'ingenuità parziale, che riguardava le cose e i territori estranei alla sua professione. Quattro mesi a terra non bastavano a privarlo del candore tipico del suo mondo acquatico: la distanza assorta, leggermente assente, che certi marinai mantengono con le persone che camminano sulla terraferma. All'epoca lui guardava ancora determinate cose da lontano, o dall'esterno, con un'ingenua capacità di meravigliarsi, simile a quella che, da bambino, lo spingeva a incollare il naso alle vetrine dei negozi di giocattoli la vigilia di Natale. Adesso però con la certezza, più vicina al sollievo che alla delusione, che nessuna di quelle inquietanti meraviglie era destinata a lui. Nel suo caso, sapersi escluso, essere consapevole del fatto che il suo nome non figurava nell'elenco di Babbo Natale, lo tranquillizzava. Era un bene non aspettarsi niente dalla gente e che la borsa da viaggio fosse abbastanza leggera da potersela buttare sulle spalle e camminare fino al porto più vicino, senza rimpiangere quanto ci si lasciava alle spalle. Benvenuti a bordo. Da migliaia di anni, anche da prima che le concave navi salpassero per Troia, c'erano stati uomini con rughe intorno alla bocca e cuori piovosi di novembre, quelli la cui indole spinge, presto o tardi, a guardare con interesse il foro nero di una pistola, per i quali il mare aveva sempre rappresentato una soluzione e che sempre avevano intuito quando era ora di prendere il largo. E anche prima di saperlo in modo consapevole, Coy era stato uno di loro per vocazione e per istinto. Una volta, in una taverna di Veracruz, una donna -- erano sempre le donne a formulare quel genere di domande -- gli aveva chiesto perché faceva il marinaio e non l'avvocato o il dentista. Lui si era limitato a fare spallucce prima di rispondere, dopo un bel pezzo, quando lei ormai non se lo aspettava più: "Il mare è pulito" Ed era vero. In alto mare, l'aria era fresca, le ferite cicatrizzavano più in fretta e il silenzio si faceva intenso quanto bastava per rendere sopportabili le domande senza risposta e giustificare i propri silenzi. In un'altra occasione, nel ristorante Sunderland di Rosario, Coy aveva conosciuto l'unico superstite di un naufragio: uno solo su diciannove. C'era stata una falla alle tre di mattina, quando erano all'ancora in mezzo al fiume e tutti dormivano, e la nave era affondata nel giro di cinque minuti. Glu, glu. Ma quello che l'aveva impressionato di quel tizio era stato il suo silenzio. Qualcuno aveva chiesto come poteva essere successo: diciotto uomini a picco senza neanche accorgersene. E l'altro lo aveva guardato senza una parola, a disagio, come se fosse tutto talmente ovvio che non valesse la pena spiegare alcunché, e si era portato alle labbra il boccale di birra. A Coy le città, con i relativi marciapiedi pieni di gente, illuminati come le vetrine della sua infanzia, provocavano lo stesso genere di disagio. Si sentiva goffo e fuori posto come un'anatra lontana dall'acqua o come quel tipo di Rosario, silenzioso come gli altri diciotto membri dell'equipaggio, ormai ancora più silenziosi di lui. Il mondo era un qualcosa di molto complesso che solo dal mare poteva essere osservato, mentre la terraferma acquisiva proporzioni tranquillizzanti solo di Pagina 10

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt notte, durante il quarto di guardia, quando il timoniere era un'ombra muta e dalle viscere della nave saliva il dolce tremore delle macchine. Quando le città si riducevano a piccoli tratti di luce in lontananza e la terra era il bagliore tremulo di un faro intravisto nella tempesta. Lampi che allertavano, che ripetevano di continuo: occhio, attenzione, tieniti alla larga, pericolo. Pericolo. Non vide quel genere di lampo negli occhi della donna quando tornò da lei con un bicchiere in ogni mano, tra la gente che si accalcava al bancone del Boadas. Quello fu il terzo errore della serata. Perché non esistono libri di fari, pericoli e segnaletica per navigare in terra. Non ci sono portolani specifici, carte aggiornate, tracciati di fondali bassi misurati in metri o in braccia, approcci a questo o a quel capo, gavitelli rossi, verdi o gialli, né regolamenti di abbordaggio, né orizzonti limpidi per calcolare una retta di altezza. A terra si naviga sempre a stima, alla cieca, e gli scogli si avvertono solo quando si sente il loro rumore a una gomena dalla prua e si vede l'oscurità schiarire nella macchia bianca del mare che si infrange nelle rocce a fior d'acqua. O quando si sente la roccia inaspettata -- tutti i marinai sanno che in agguato da qualche parte esiste una roccia con il loro nome scritto sopra, lo scoglio assassino -- graffiare lo scafo con uno stridio che fa tremare le paratie, in quel momento terribile in cui qualsiasi uomo al comando di una nave preferirebbe essere morto. "Hai fatto presto" disse lei. "Sono sempre rapido al bar." La donna lo guardò con curiosità. Sorrideva appena, forse perché aveva notato il modo in cui Coy si era avvicinato al bancone, facendosi largo con la decisione di un piccolo e compatto rimorchiatore tra la gente che si accalcava davanti, invece di restare indietro reclamando l'attenzione del cameriere. Aveva ordinato un gin tonic con il bottiglia blu per sé e un martini secco per lei, portandoli poi al tavolo con un abile movimento pendolare delle mani e senza versarne una sola goccia. Non era davvero un'inezia per il Boadas e per quell'ora. Lei lo osservava attraverso il bicchiere. Blu scurissimo attraverso il cristallo e la limpida trasparenza del martini. "E cosa fai nella vita, oltre a muoverti bene nei bar, andare alle aste nautiche e soccorrere donne indifese?" "Il marinaio." "Marinaio senza nave." Si davano del tu da appena qualche minuto. Mezz'ora prima, alla luce del lampione, quando l'uomo dalla coda grigia era salito sull'Audi, lei l'aveva ringraziato da dietro le spalle, e allora lui si era girato a guardarla, davvero per la prima volta, fermo sul marciapiede, mentre diceva tra sé e sé che fin lì era stato tutto facile e ormai non dipendeva più da lui bloccare quello sguardo riflessivo e un po' sorpreso che lo esaminava dalla testa ai piedi, come se la donna cercasse di catalogarlo in qualche specie umana di sua conoscenza. E così si era limitato ad abbozzare un sorriso prudente, piuttosto inibito: lo stesso che si dispensa al comandante quando ci si arruola su una nuova nave, in quel momento iniziale in cui le parole non significano nulla e gli interlocutori sanno che il tempo saprà mettere ogni cosa al suo posto. Ma il problema di Coy era proprio questo: nessuno gli garantiva che avrebbe potuto disporre del tempo necessario e niente impediva a lei di ringraziarlo di nuovo e allontanarsi nel modo più naturale del mondo, sparendo per sempre. Erano stati dieci lunghi secondi di un esame che lui aveva sopportato immobile e silenzioso. I. cA: Legge della cerniera abbassata. Spero di non avere la cerniera abbassata, aveva pensato. Poi aveva visto che lei inclinava un po' la testa da una parte, quanto bastava perché il lato sinistro della chioma bionda e dritta, tagliata asimmetricamente con la precisione di un bisturi, le sfiorasse la guancia coperta di lentiggini. Dopo di che la donna non aveva sorriso e non aveva detto nulla, si era limitata a camminare lentamente lungo il marciapiede, risalendo la strada, le mani nelle tasche della giacca di camoscio. Portava una grande borsa di pelle a tracolla e con un gomito se la teneva stretta al fianco. Visto di profilo, il naso era meno bello: appariva un po' schiacciato, come se Pagina 11

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt se lo fosse rotto. Ma la cosa non ne diminuiva l'attrattiva, aveva stabilito Coy; anzi, gli conferiva un tocco di insolita durezza. Camminava guardando per terra davanti a sé e tenendosi un po' a sinistra, come se volesse concedergli l'opportunità di occupare quel posto, Avevano proseguito in silenzio, a una certa distanza l'uno dall'altra, senza sguardi né spiegazioni, né commenti, finché lei non si era fermata all'angolo e Coy aveva capito che era giunto il momento di congedarsi o di spiegarsi. La donna gli tendeva una mano e lui l'aveva stretta nella sua, grande e goffa, sentendo una presa ferma, ossuta, quasi a smentire le lentiggini giovanili, più in tono con l'espressione tranquilla degli occhi, che aveva finalmente stabilito essere blu marino. Allora Coy aveva parlato. Lo aveva fatto con la spontanea timidezza con cui di solito si rivolgeva agli sconosciuti, stringendosi nelle spalle con semplicità e accompagnando le parole con il sorriso che, benché non lo sapesse, gli rischiarava il volto e ne attenuava la rudezza. Aveva parlato e si era toccato il naso e aveva parlato di nuovo, senza sapere se c'era qualcuno che l'aspettava da qualche parte, se era del posto o veniva da fuori. Aveva detto quanto credeva di dover dire e poi era rimasto lì, dondolandosi leggermente e trattenendo il fiato, come un bambino che avesse appena ripetuto ad alta voce la lezione e aspettasse senza troppe illusioni il verdetto della maestra. Allora lei lo aveva guardato per altri dieci secondi in silenzio e aveva inclinato nuovamente la testa, mentre i capelli le sfioravano ancora una volta la guancia. E aveva detto di sì, perché no, anche lei aveva voglia di bere qualcosa, ovunque fosse. Così avevano camminato verso plaza de Cataluna e poi fino alle Ramblas e calle Tallers. E quando lui le aveva tenuto aperta la porta del Boadas per farla passare aveva sentito per la prima volta la sua fragranza, indefinita e dolce, che non sembrava provenire da una colonia o da un profumo, ma da quella pelle cosparsa di puntini dorati, che aveva immaginato morbida e calda, con un incarnato simile a quello della buccia delle nespole. Ed entrando, mentre si avvicinava al bancone contro il muro, aveva notato che gli uomini e le donne del locale guardavano prima lei e poi lui e si era detto che, per una qualche strana ragione, gli uomini e le donne guardano sempre prima una bella donna e poi spostano lo sguardo sul suo accompagnatore in modo inquisitorio, per vedere chi mai sarà il fortunato. Quasi a verificare se, come aspetto, se la merita ed è all'altezza della circostanza. "E cosa ci fa a Barcellona un marinaio senza nave?" Era seduta su uno sgabello alto, la borsa sulle ginocchia, la schiena appoggiata al bancone di legno che correva lungo la parete, sotto le fotografie incorniciate e i souvenir del bar. Portava due palline d'oro alle orecchie e non aveva neppure un anello. Il trucco era leggerissimo. Dal collo socchiuso della camicia bianca, con l'ultimo bottone aperto su centinaia di lentiggini, Coy vedeva luccicare una catena d'argento. "Aspetto" disse. Poi bevve un sorso di gin bottiglia blu e, intanto, vide che lei osservava la sua vecchia giacca e forse si soffermava sulle zone più scure dei risvolti delle maniche. da cui erano scomparsi i galloni. "Aspetto tempi migliori." "Un marinaio deve navigare." "Non tutti la pensano così." "Hai fatto qualcosa di male?" Annuì con un sorrisetto triste. Lei aprì la borsa ed estrasse un pacchetto di sigarette inglesi. Non aveva belle unghie: erano corte e larghe, dai contorni irregolari. In passato se le era mangiate, non c'erano dubbi. Forse lo faceva ancora. Nel pacchetto c'era solo una sigaretta e lei la accese con un fiammifero, sulla cui scatola era stampata la pubblicità di una compagnia di navigazione belga che lui conosceva, la Zeeland Ship. Notò che lo faceva riparando la fiamma nella conca delle mani. con un gesto quasi maschile. La linea della vita era molto lunga, come se avessevissuto molte esistenze su questa terra. "É stata colpa tua?" Pagina 12

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt "Dal punto di vista legale. sì. É successo durante il mio turno di guardia." "Un abbordo?" "Abbiamo toccato il fondo. C'era uno scoglio non segnalato sulle carte." Era proprio così. Un marinaio non diceva mai di essersi incagliato o arenato. L'espressione comune era "toccare": toccare il fondo, toccare la banchina. Se in mezzo alla nebbia del Baltico una nave ne spezzava un'altra a metà e la mandava a fondo diceva: "Abbiamo toccato una nave" E comunque notò che anche lei aveva usato il termine marinaresco di abbordo, al posto di urto o collisione. Il pacchetto di sigarette era sul bancone, aperto, e Coy si soffermò a guardarlo: la testa di un marinaio, un salvagente a mo di cornice e due navi. Era da parecchio tempo che non vedeva un pacchetto di Player" s senza filtro come quello, le stesse di sempre. Non erano facili da trovare e ignorava che le producessero ancora nel loro involucro di cartoncino bianco, quasi quadrato. Era buffo che lei fumasse proprio quella marca: l'asta nautica, l'Urrutia, lui stesso. I. sC: Legge delle strane coincidenze. "Conosci la storia?" Indicava il pacchetto. Lei lo guardò per un po' e infine alzò gli occhi, stupita. "Quale storia?" "Quella dell'Eroe." "Chi è l'Eroe?" Lui glielo disse. Le parlò del nome nel nastro del berretto del marinaio dalla barba bionda, della sua gioventù a bordo del veliero che appare su un lato dell'illustrazione e dell'altro scafo, il vapore che fu la sua ultima nave. Di come il signor Player e figli comprarono il suo ritratto per poterlo mettere sui pacchetti delle sigarette. Poi tacque mentre lei fumava -- la sigaretta le si consumava tra le dita -- e lo guardava. "É una bella storia" disse la donna dopo un po'. Coy si strinse nelle spalle. "Non è mia. La racconta Domino Vitali a James Bond in Thunderball -- Operazione Tuono. Ho navigato a bordo di una petroliera su cui c'erano tutti i romanzi di ian Fleming." Ricordava anche che quella nave, il Palestine, era stata bloccata per un mese e mezzo a Ras Tannurah, nel bel mezzo di una crisi internazionale, con le passerelle della coperta che bruciavano a sessanta gradi sotto un sole infame e l'equipaggio sdraiato in cabina, a soffocare dal caldo e dalla noia. Il Palestine era una nave sciagurata, sfortunata, di quelle in cui la gente diventa ostile, si odia e va in tilt: il direttore di macchina borbottava delirando in un angolo -- avevano nascosto la chiave del bar e lui beveva di nascosto l'alcol metilico dell'infermeria mescolandolo con l'aranciata -- e il primo ufficiale non avrebbe rivolto la parola al comandante neppure se la nave fosse stata sul punto di incagliarsi. Coy aveva avuto tutto il tempo che voleva per leggere quei romanzi e molti altri nella sua prigione galleggiante, in quei giorni interminabili in cui l'aria infuocata che entrava dagli oblò lo faceva boccheggiare come un pesce fuor d'acqua, e lasciava la sagoma del suo corpo nudo impressa nel sudore delle lenzuola spiegazzate e sporche della cuccetta. Una petroliera greca era stata raggiunta a tre miglia di distanza da una bomba dell'aviazione e per un paio di giorni aveva potuto vedere dalla sua cabina la colonna di fumo nero che saliva dritta in cielo, mentre di notte il bagliore tingeva di rosso l'orizzonte e profilava i vulnerabili contorni delle navi ormeggiate. Per tutto quel tempo, ogni notte si era svegliato atterrito, sognando di nuotare in un mare di fiamme. "Leggi molto?" "Abbastanza" Coy si toccò il naso. "Leggo abbastanza. Ma sempre sul mare." "Ci sono anche altri libri interessanti." "Può darsi. Ma a me interessano solo questi." La donna lo guardava e lui si strinse di nuovo nelle spalle, prima di dondolarsi ancora un po' sui piedi. Allora realizzò di colpo che non avevano parlato del tipo con la coda di cavallo grigia, e neanche di cosa ci facesse lei lì. Non le aveva nemmeno chiesto come si chiamava. Pagina 13

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Tre giorni dopo, lungo disteso sul letto della sua stanza della pensione La Maritima, Coy guardava una macchia d'umidità sul soffitto. Kind of Blue. Negli auricolari del walkman, dopo So What, in cui il contrabbasso era scivolato dolcemente, la tromba di Miles Davis aveva appena esordito con lo storico assolo di due note, la seconda un'ottava sotto la prima, e Coy aspettava, sospeso in quello spazio vuoto, la scarica liberatrice, l'unico colpo di batteria, la riverberazione del piatto e i rullii che spianavano il cammino lento, inevitabile, incredibile al metallo della tromba. Si considerava quasi analfabeta in fatto di musica, ma amava il jazz: la sua insolenza e la sua genialità. Ci si era appassionato nelle lunghe guardie sul ponte, quando navigava come terzo ufficiale a bordo del Fedallah: una nave della Zoeline che trasportava frutta il cui primo ufficiale, un galiziano di nome Neira, possedeva le cinque cassette della Smithsonian Collection di jazz classico. Andavano da Scott Joplin e Bix Beiderbeche fino a Thelonius Monk e Ornette Coleman, passando per Armstrong, Ellington, Art Tatum, Billie Holiday, Charlie Parker e gli altri: ore e ore di jazz con una tazza di caffè in mano, guardando il mare, appoggiato all'aletta, di notte, sotto le stelle. Il direttore di macchina Gorostiola, di Bilbao, meglio conosciuto come Torpediniera Tucuman, era a sua volta appassionato di quel genere musicale. Loro tre avevano condiviso jazz e amicizia per sei anni, in una rotta quadrangolare che aveva portato il Fedallah -- in seguito erano passati tutti e tre insieme al Tashtego, un'altra nave gemella della Zoeline -- con un carico sfuso di frutta e grano dalla Spagna ai Caraibi, dal Nord Europa al Sud degli Stati Uniti. E per Coy quello era stato un periodo felice. Malgrado la musica degli auricolari, attraverso il patio che faceva da stenditoio arrivava la radio della figlia della padrona, che era solita restare alzata a studiare fino a tarda notte. La ragazza era una giovane ombrosa e poco aggraziata alla quale lui sorrideva con cortesia senza mai ottenere in cambio né un cenno né uno sguardo. La Maritima era un vecchio bagno pubblico (1844, assicurava l'architrave della porta che si apriva su calle Are del Teatre) trasformato in pensione economica per marinai. Era a cavallo tra il vecchio porto e il quartiere cinese, e senza dubbio la madre della ragazza, una brusca signora dai capelli tinti di rosso, l'aveva messa in guardia fin da piccola circa i pericoli della sua clientela abituale, gente rude e priva di scrupoli che collezionava donne in ogni porto, dove scendeva a terra assetata di alcol, droga e ragazze più o meno vergini. Dalla finestra arrivava chiaramente, inframmezzato al jazz del walkman, Noel Soto che cantava Moche de samba en Puerto Espana. Coy alzò il volume. Non indossava che un paio di mutande e sulla pancia, aperto e capovolto, aveva: Primo comando di Patrick O" Brian. Ma la sua mente vagava ben lungi dalle avventure nautiche del capitano Aubrey e del dottor Maturin. La macchia che osservava ricordava il contorno di una costa, con tanto di capi e di insenature, e Coy percorreva con gli occhi una rotta immaginaria tra due delle estremità più avanzate nel mare giallognolo del soffitto. Naturalmente pensava a lei. Pioveva, quando erano usciti dal Boadas. Una pioggia fine, quasi impercettibile, che verniciava di luci splendenti l'asfalto e i marciapiedi e punteggiava il fascio dei fanali delle automobili. Lei non sembrava preoccupata all'idea di bagnare la giacca di camoscio, perciò avevano ridisceso la strada lungo il viale centrale, tra le edicole e i chioschi dei fiori che cominciavano a chiudere. Un mimo, stoico sotto la pioggerella che gli rigava la cipria bianca del volto impassibile, così triste da deprimere tutti i passanti nel raggio di venti metri, li aveva seguiti con lo sguardo quando la donna si era chinata un momento per mettergli una moneta nel cilindro. Camminava come prima, piuttosto di fretta e guardando per terra alla propria sinistra, come se intendesse lasciare a Coy la possibilità di scegliere se occupare quello spazio o ritirarsi con discrezione. Lui osservava furtivamente il profilo duro tra i capelli dritti che dondolavano nel camminare; gli occhi bruniti che, di quando in quando, si giravano verso di lui come ad anticipare un'occhiata riflessiva o un sorriso. Pagina 14

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Allo Schilling non c'era molta gente. Aveva chiesto un altro gin tonic con il bottiglia blu mentre lei si era accontentata di una semplice acqua tonica. Eva, la cameriera brasiliana, aveva servito i bicchieri fissandola in modo sfacciato, poi aveva inarcato un sopracciglio rivolta a Coy, tamburellando sul bancone le stesse unghie lunghe smaltate di verde che tre notti prima gli aveva conficcato a dovere nella schiena nuda. Ma Coy si era passato una mano fra i capelli bagnati e aveva mantenuto il sorriso imperturbabile, dolcissimo e sereno, finché la cameriera non aveva mormorato un "bastardo" e aveva sorriso a sua volta, rifiutando persino di fargli pagare la consumazione. Poi Coy e la donna erano andati a sedersi a un tavolo, davanti al grande specchio che rifletteva le bottiglie disposte sulla parete. Lì avevano proseguito una conversazione a singhiozzo. Lei non era molto loquace: fino a quel momento gli aveva detto solo di lavorare in un museo, e cinque minuti più tardi lui aveva potuto scoprire che si trattava del Museo navale di Madrid. Aveva dedotto che aveva fatto studi storici e che qualcuno, probabilmente suo padre, era stato militare di carriera. Ignorava se questo avesse a che vedere con quella sua aria da ragazzina ben educata. Aveva intuito anche una fermezza controllata, una sicurezza interiore, discreta, che lo intimidiva. Coy non aveva tirato in ballo il tipo con la coda grigia se non più tardi, quando avevano passeggiato sotto i portici di plaza Real. Lei gli aveva confermato che l'Urrutia era un esemplare prezioso, seppur non unico, ma non aveva chiarito se l'avesse comprato per il museo o per sé. "É un importante atlante marittimo" aveva commentato evasiva, quando lui aveva accennato alla scena in calle Consell de Cent, "e c'è sempre qualcuno interessato a questo tipo di cose. Collezionisti" aveva aggiunto subito dopo. Gente del genere. Quindi aveva chinato un po' la testa e gli aveva domandato della sua vita a Barcellona, e il modo in cui lo aveva fatto aveva reso evidente che desiderava cambiare argomento. Coy aveva parlato della Maritima, delle sue passeggiate per il porto, delle mattine soleggiate sulla terrazza dell'Universal, davanti alla Capitaneria di porto, dove poteva stare tre o quattro ore seduto con un libro e il walkman al prezzo di una birra. Aveva parlato anche del tempo che ancora gli restava, di come si sentisse impotente ritrovandosi a terra, senza un lavoro e senza soldi. In quel momento aveva creduto di scorgere, in fondo ai portici, l'ometto basso con i baffi, i capelli imbrillantinati e la giacca a quadretti già visto alla casa d'aste nel pomeriggio. Lo aveva osservato per un istante per accertarsene e poi si era girato verso di lei, per verificare se avesse a sua volta notato quella presenza, ma gli occhi della donna erano inespressivi, come se non avessero visto nulla di particolare. Quando Coy si era girato di nuovo a guardare, l'ometto dalla giacca a quadri era ancora lì e passeggiava con le mani dietro la schiena e l'aria indifferente. Erano davanti all'entrata del Club de la Pipa, e lui aveva fatto un rapido calcolo di quanto gli restava nel portafoglio, concludendo che poteva permettersi di offrirle un altro drink e che, nel peggiore dei casi, Roger, il gestore del locale, gli avrebbe fatto credito. Lei si era mostrata sorpresa da quel posto insolito, dal campanello alla porta, dalla vecchia scala e dal locale al secondo piano, con il bancone curioso, il divano e le incisioni di Sherlock Holmes appese alle pareti. Non c'era jazz quella notte, così erano rimasti in piedi accanto al bancone deserto, mentre Roger completava un cruciverba all'estremità opposta. Lei aveva voluto assaggiare il gin bottiglia blu e aveva detto che quel sapore le piaceva, quindi aveva dichiarato di essere entusiasta di quel posto e aveva aggiunto che non avrebbe mai immaginato di trovare un locale del genere a Barcellona. Coy le aveva spiegato che stavano per chiuderlo, perché i vicini si lamentavano del rumore e della musica; erano su una nave destinata a essere smantellata. Le era rimasta una goccia di gin tonic sulle labbra, e lui aveva pensato che per fortuna aveva solo tre bicchieri nello stomaco, perché se fossero stati un paio in più avrebbe allungato la mano per asciugare quella goccia con il dito, e lei non sembrava il tipo da lasciarselo fare da un marinaio appena conosciuto e che Pagina 15

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt guardava con un miscuglio di perplessità, cortesia e gratitudine. A quel punto lui le aveva chiesto finalmente come si chiamava e lei aveva sorriso di nuovo, stavolta dopo qualche secondo, come se avesse dovuto allontanarsi per farlo, poi aveva inchiodato gli occhi in quelli di lui. Glieli aveva conficcati letteralmente addosso, per un istante lungo e intenso, mentre gli diceva il suo nome. Lui aveva pensato che era un nome singolare come la sua stessa presenza, un nome che, ciò nonostante, le stava proprio bene, e lo aveva pronunciato una sola volta, ad alta voce, lentamente, quando sulle labbra di lei non si era ancora del tutto smorzato il sorriso lontano. Poi era andato a chiedere una sigaretta a Roger per offrirgliela, ma lei non aveva più voluto fumare. E quando l'aveva vista portare il bicchiere alle labbra e aveva intravisto i denti bianchi dietro al cristallo, con il cubetto di ghiaccio che li sfiorava producendo un tintinnio umido, aveva abbassato gli occhi sulla catena d'argento che luccicava leggermente nella scollatura della camicia, sulla pelle che con quella luce sembrava più calda che mai, e si era domandato se qualcuno avesse mai contato tutte quelle lentiggini, fino all'ultimo centimetro di carne. Se le avesse contate senza fretta, a una a una, puntando verso sud, proprio come sarebbe piaciuto fare a lui. Era stato allora che, alzando lo sguardo, si era accorto che la donna aveva intercettato la sua occhiata e aveva sentito il proprio cuore smettere per un istante di battere quando lei aveva detto che era ora di andare. Alla radio della figlia della padrona, la stessa voce che adesso attaccava con La rchina del barrio chino. Coy spense il walkman -- Miles Davis monologava Saeta, il quarto tema degli Sketches of Spain -- e smise di guardare la macchia sul soffitto. Il libro e gli auricolari caddero sulle lenzuola quando si alzò e cominciò a camminare per la camera stretta, così simile alla cella che una volta aveva occupato per due giorni a La Guajira, quando lui, Torpediniera Tucuman e il Galiziano Neira, stanchi di mangiare frutta, erano scesi a terra a comprare pesce fresco per una zuppa, e Neira aveva chiesto agli altri due di aspettarlo davanti a una tazza di caffè, quindici minuti per una scopata e sono di ritorno. Ma poco dopo l'avevano sentito chiedere aiuto dalla finestra, erano entrati e avevano messo a soqquadro il bar, rompendo tutto, persino i tavoli, le bottiglie e le costole del ruffiano che si era preso il portafoglio del Galiziano, e il comandante don Matias Norena, nero di rabbia, era dovuto andare a riprenderli, corrompendo la polizia venezuelana con una mazzetta di dollari che poi aveva scontato fino all'ultimo centesimo dai loro stipendi. Provò un pizzico di nostalgia nel ricordare quella storia. Lo specchio sul lavandino rifletteva le sue spalle massicce e la faccia stanca, ancora da radere. Fece scorrere l'acqua finché non fu ben fredda e poi se la buttò a manate sul viso e sulla nuca, sbuffando e scuotendo la testa come un cane sotto la pioggia. Si sfregò vigorosamente con un asciugamano e restò un attimo a guardarsi, immobile, il naso importante, gli occhi scuri, i lineamenti rozzi, come per valutare quante possibilità poteva avere. Zero totale, concluse. Con questo brutto muso non c'è pericolo che tu possa beccare qualcosa. Aprì il cassetto del comò, estraendolo al massimo, e tastò fino a trovare la busta in cui conservava i soldi. Non erano molti, e negli ultimi giorni erano calati pericolosamente. Restò un po' senza muoversi, soppesando la cosa, quindi si diresse verso l'armadio e tirò fuori la borsa in cui teneva i suoi pochi effetti: alcuni libri molto consumati, le spalline da ufficiale il cui oro tendeva ormai al verde ruggine, cassette di jazz, un album di fotografie a portafoglio -- la nave scuola Estrella del Sur di bolina, le vele al vento, Torpediniera Tucuman e il Galiziano Neira al bancone di un bar di Rotterdam, lui con i galloni da primo ufficiale, appoggiato alla frisata dell'Isla Megra sotto il ponte di Brooklyn -e la scatola di legno in cui conservava il suo sestante. Era buono: un Weems Plath a sette filtri, di metallo nero e l'arco di ottone dorato, che aveva acquistato a rate cominciando con il primo stipendio, non appena ebbe conseguito il diploma da ufficiale. I sistemi di posizionamento satellitare condannavano a morte quello strumento, ma chiunque si vantasse di essere un buon marinaio conosceva la sua affidabilità, a prova di errori elettronici, nello stabilire la latitudine a mezzogiorno, quando il sole raggiungeva il punto più alto in cielo, o di notte, con una stella bassa all'orizzonte: effemeridi nautiche, tavole, tre minuti di Pagina 16

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt calcolo. Proprio come i militari curano e tengono pulite le loro armi, per tutti quegli anni Coy aveva fatto in modo che il sestante fosse al riparo da umidità salina e sporcizia, pulendone gli specchi e verificando i possibili errori laterali e di indice. Anche adesso, rimasto senza un imbarco, era solito portarselo appresso nelle passeggiate sulla costa per calcolare rette di altezza seduto su uno scoglio, davanti all'orizzonte del mare aperto. Aveva quell'abitudine da quando navigava come allievo a bordo del Monte Pequeno, la sua terza nave, se contava l'Estrella del Sur. Il Monte Pequeno era un duecentosettantacinquemila tonnellate della Enpetrol e al comandante, don Agustin de la Guerra, piaceva dare solennità al momento della pausa pomeridiana, invitando gli ufficiali a bere un bicchiere di sherry quando questi e i giovani addetti avevano confrontato i rispettivi calcoli, dopo essere stati insieme sull'aletta, orologio alla mano, insieme al comandante, tracciando tangenti al sole all'orizzonte attraverso i filtri affumicati degli strumenti. Quello era un comandante della vecchia guardia: forse un po' passato di moda, ma un eccellente marinaio, dell'epoca in cui le grandi petroliere andavano in zavorra fino al Golfo Persico attraverso il canale di Suez, e tornavano cariche costeggiando l'Africa per il Capo. Una volta aveva fatto cadere dalle scale un maggiordomo perché gli aveva mancato di rispetto; quando il sindacato era andato da lui a lamentarsi aveva risposto che il maggiordomo era stato fortunato, perché centocinquant'anni prima lo avrebbero appeso all'albero di maestra. "Sulla mia nave" gli aveva detto in una certa occasione "o si è d'accordo con il comandante o si tiene la bocca chiusa." Era stato durante una cena di Natale nel Mediterraneo, con un pessimo tempo di prua: un brutto temporale forza dieci che obbligava a moderare le macchine davanti a Capo Bon. Coy, allievo ufficiale addetto a bordo, aveva dissentito da una banale affermazione del comandante; questi aveva lanciato il tovagliolo sul tavolo dicendo che quella era la sua nave e compagnia bella. Poi lo aveva mandato di guardia fuori, sull'aletta di dritta, dove Coy aveva passato le successive quattro ore al buio, sferzato dal vento, dalla pioggia e dagli spruzzi del mare che si infrangeva contro la petroliera. Don Agustin de la Guerra era un raro esemplare sopravvissuto ad altri tempi, dispotico e duro a bordo, ma quando una nave da carico panamense con l'ufficiale di guardia russo e ubriaco gli entrò con la prua nella poppa, una notte in cui la pioggia e la grandine saturavano i radar nel canale della Manica, seppe mantenere a galla la petroliera e pilotarla fino a Dover, senza versare una sola goccia di greggio e risparmiando alla compagnia il costo dei rimorchiatori. "Qualsiasi ritardato mentale" diceva "ormai può girare il mondo schiacciando bottoni; ma se l'elettronica va in tilt o gli americani di punto in bianco spengono i loro maledetti satelliti, invenzione del Maligno, o un bolscevico figlio di puttana ti incula come si deve nel bel mezzo dell'oceano, un buon sestante, una bussola e un cronometro continueranno a portarti ovunque tu voglia andare. Ragion per cui, esercitati, ragazzo. Esercitati." Obbediente, Coy si era esercitato senza tregua per giorni, mesi, anni, e aveva inoltre vissuto, più tardi e con quello stesso sestante, momenti più difficili in notti nuvolose e pericolose, o in mezzo a forti tempeste che scuotevano l'Atlantico da cima a fondo, aggrappandosi fradicio fino alle ossa alla frisata, mentre la prua sferrava furibonde mazzate e lui spiava disperatamente, un occhio incollato al mirino, l'apparizione del tenue disco dorato tra le nubi spinte dal vento di nordest. Fu assalito da una dolce nostalgia quando sollevò il peso familiare del sestante tra le mani, facendo correre il braccio mobile, mentre lo sentiva scivolare per la cremagliera dentata che numerava da zero a centoventi gradi di ogni meridiano terrestre. Quindi calcolò quanto avrebbe potuto chiedere per quello strumento a Sergi Solans, che da anni glielo invidiava; perché, come era solito dire l'amico quando bevevano insieme qualcosa allo Schilling, ormai nessuno più fabbricava sestanti del genere. Sergi era un bravo ragazzo, pagava quasi tutti i drink da quando Coy si era ritrovato a terra e senza soldi e non gli portava rancore per essere andato a letto con Eva, la notte in cui la brasiliana aveva esibito una maglietta dannatamente aderente alla quarta taglia del reggiseno che non portava mai, e Sergi era troppo ubriaco per contendergliela. Pagina 17

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Aveva anche frequentato l'accademia insieme a Coy, era stato con lui sulla stessa nave per qualche mese quando entrambi navigavano come addetti a bordo del Migalota, un roro della Rodriguez R Saulnier, e adesso preparava l'esame da comandante come primo ufficiale di un traghetto della Trasmediterranea che copriva due volte la settimana la linea BarcellonaPalma. "É come guidare un autobus" diceva. Ma con un sestante del genere in cabina, uno continuava a sentirsi un marinaio. Centrò il braccio a metà dell'arco e rimise con cura il Weems Plath nella scatola. Poi andò verso il comò, aprì il portafoglio ed estrasse il biglietto da visita che la donna gli aveva lasciato tre giorni prima, quando si erano salutati all'angolo delle Ramblas. Sul cartoncino non c'erano né l'indirizzo né il numero di telefono: solo il nome e il cognome: Tanger soto. Più in basso, in una calligrafia rotonda e precisa, con un pallino a mo di punto sulla i, lei aveva scritto l'indirizzo del Museo navale di Madrid. Quando chiuse il coperchio della scatola del sestante, Coy fischiettava Noche de samba en Puerto Espana. 2. La bacheca di Trafalgar. A terra ci sono solo problemi. D. HAEFTEN, Sturm, was tun. Poi seppe che fu come fare un salto nel vuoto; singolare, nel caso di Coy, che in vita sua non ricordava di aver mai preso una decisione precipitosa. Era quel genere di persona che, nella sala nautica di uno scafo, si prende tutto il tempo necessario per tracciare coscienziosamente qualsiasi rotta sulla carta. Prima di vedersi costretto a terra e senza imbarco, quello era stato un motivo di soddisfazione in un mestiere in cui certe cose erano fondamentali quando si trattava di stabilire un tragitto sicuro tra due punti situati a una diversa latitudine e longitudine. C'erano pochi piaceri paragonabili al lungo tempo trascorso tra calcoli di rotta, scarroccio e velocità, prevedendo che il tal capo o il talaltro faro sarebbero apparsi due giorni più tardi, verso le sei di mattina e a circa trenta gradi dalla murata di sinistra, e poi aspettare che arrivasse quell'ora nella frisata umida della rugiada dell'alba, con il binocolo in mano, fino a veder apparire, esattamente nel punto previsto, il contorno grigio o la luce intermittente che, una volta cronometrata la sua frequenza di bagliori o di mancate segnalazioni, confermava l'esattezza dei suoi calcoli. Quando arrivava quel momento, Coy modulava sempre un sorriso dentro di sé, un sorriso sereno e soddisfatto. Poi, crogiolandosi nella conferma di quella certezza ricavata dalla matematica, dalla strumentazione di bordo e dalla propria competenza professionale, andava ad appoggiarsi a un angolo del ponte, accanto all'ombra silenziosa del timoniere, o si versava un caffè tiepido dal thermos, contento di essere lì, su una buona nave, piuttosto che di far parte di quell'altro mondo scomodo, fatto di terraferma, fortunatamente ridotto a un lieve bagliore dietro l'orizzonte. Tuttavia, il rigore dimostrato quando si trattava di prospettare posizioni sui fogli delle carte nautiche che ordinavano la sua vita non l'aveva salvato dall'errore né dal fallimento. Dire "terra in vista" e poi verificare al tatto la presenza di quella stessa terra e le sue conseguenze erano situazioni che non sempre si davano in quell'ordine. La terra esisteva, nelle carte e al di fuori di esse, e aveva deciso di manifestarsi all'improvviso, come sempre accade, penetrando nel fragile ridotto -- giusto un po' di ferro che galleggiava nell'oceano immenso -- in cui Coy credeva di essere in salvo. Sei ore prima che l'Isla Negra, un portacontainer della compagnia di navigazione Minguez Escudero, si arenasse a metà strada tra il Capo e il canale di Mozambico durante il suo quarto di guardia, Coy, primo ufficiale a bordo, aveva avvisato il comandante che la carta dell'Ammiragliato britannico relativa alla zona in questione informava, in un riquadro speciale, di certe imprecisioni nei rilievi dei fondali. Ma il comandante aveva fretta e inoltre aveva navigato in quelle acque per venticinque anni, con le stesse carte e senza mai avere problemi. Per di più era in ritardo di due giorni per colpa del brutto tempo incontrato Pagina 18

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt nel golfo di Guinea e perché si era visto costretto a far evacuare con un elicottero un membro dell'equipaggio che si era rotto la schiena scivolando da una scaletta, davanti alla costa degli Scheletri. Le carte inglesi, aveva detto durante la cena, sono talmente minuziose che sono perfette per arrotolarci le sigarette. La rotta è sgombra, duecentoquaranta braccia nelle sponde più alte e neanche una caccherella di mosca sulla carta. Così passeremo tra gli isolotti di Terson e Mowett Grave. Aveva usato proprio quelle parole: cartine da sigarette, caccherelle di mosca e dritto tra gli isolotti. Il comandante era un galiziano di sessant'anni e rotti, minuto, dalla fronte rossiccia e i capelli grigi. Oltre a confidare ciecamente nelle carte dell'Ammiragliato, si chiamava don Gabriel Moa, aveva quattro decenni di vita di mare nelle rughe del volto e in tutto quel tempo nessuno l'aveva mai visto perdere le staffe; neppure quando, all'inizio degli anni novanta, si diceva, aveva navigato per un giorno e mezzo ingavonato di venti gradi dopo aver perduto undici container nel bel mezzo di una tempesta atlantica. Era uno di quei comandanti sul conto dei quali armatori e subalterni sono disposti a mettere la mano sul fuoco: sobrio sul ponte, serio in cabina, introvabile a terra. Un comandante all'antica, di quelli che danno del lei agli ufficiali e agli addetti e che nessuno si immagina possano cadere in fallo. Per questo Coy aveva mantenuto quella rotta sulla carta inglese che indicava imprecisioni nei rilievi. Sempre per questo, dopo venti minuti del suo quarto di guardia aveva sentito stridere su uno scoglio lo scafo d'acciaio dell'Isla Megra che gli tremava sotto i piedi prima che lui si riprendesse dallo stupore e si precipitasse al telegrafo per ordinare di fermare le macchine, e il comandante Moa apparisse sul ponte in pigiama e spettinato, guardando il buio intorno con un'espressione sonnambula e stupida che Coy non gli aveva mai visto prima. Il comandante si era limitato a balbettare "Non può essere" per ben tre volte di fila, e poi, sempre disorientato come se non fosse del tutto sveglio, aveva mormorato un debole "Fermate le macchine" quando le macchine erano già ferme da cinque minuti e il timoniere se ne stava immobile con le mani sul timone, osservando ora lui ora Coy. Questi intanto guardava, con la certezza tremenda di chi ottiene a proprie spese una rivelazione inaspettata, il rispettabile superiore i cui ordini avrebbe osservato senza esitazione mezz'ora prima, anche se lo avessero portato con il radar spento attraverso lo stretto di Malacca, che di colpo, sorpreso senza avere il tempo di indossare la maschera della sua falsa reputazione, o forse -gli uomini cambiano negli anni e nel profondo del loro cuore -quella del marinaio efficiente che in passato era stato, si mostrava adesso per quello che in realtà era: un vecchio confuso e in pigiama, sopraffatto dagli eventi, incapace di dare un ordine adeguato. Un pover'uomo spaventato che all'improvviso vedeva sfumare la sua pensione d'anzianità dopo quarant'anni di servizio. L'avvertenza posta sulla carta inglese non era del tutto immotivata: esisteva almeno una guglia non rilevata nel canale tra Terson e Mowett Grave, e un burlone cosmico doveva starsene a sbellicarsi dalle risate in qualche punto dell'universo, perché quello scoglio isolato nella vastità dell'oceano si era messo esattamente sulla rotta dell'Isla Megra con la stessa precisione del famoso iceberg del Titanic, per di più durante la guardia del primo ufficiale Manuel Coy. In ogni modo, entrambi, comandante e primo ufficiale, avevano pagato per quell'errore. Il tribunale incaricato dell'indagine, composto da un ispettore della compagnia e da due marinai mercantili, aveva tenuto conto del curriculum del capitano Moa, risolvendo la questione con un discreto pensionamento anticipato. Quanto a Coy, quella carta dell'Ammiragliato britannico aveva finito per portarlo molto lontano dal mare. In quel momento si trovava a Madrid, immobile davanti a una fontana di pietra dove un bambino dal sorriso ieratico strangolava un delfino, e sembrava un naufrago appena approdato a una spiaggia rumorosa in piena stagione. Teneva le mani in tasca, e tra la ressa delle automobili e il frastuono di clacson feroci guardava da lontano il galeone di bronzo che presidiava l'ingresso del numero 5 del paseo del Prado. Ignorava la precisione del rilievo idrografico nella rotta che intendeva Pagina 19

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt seguire, ma era consapevole di essersi ormai lasciato abbondantemente alle spalle il punto in cui avrebbe ancora potuto virare e cambiare direzione. Il sestante Weems e Plath, che il suo amico Sergi Solans alla fine aveva acquistato per un prezzo ragionevole, era bastato per pagargli il biglietto ferroviario BarcellonaMadrid usato la notte precedente e per un fondo di sussistenza che lo avrebbe tenuto a galla due settimane. Una parte di questo gonfiava la tasca destra dei suoi jeans e l'altra si trovava nella borsa di tela che aveva lasciato in deposito alla stazione di Atocha. Erano le dodici e quarantacinque di una soleggiata giornata primaverile e il traffico scorreva variopinto e rumoroso in direzione di plaza de la Cibeles, di fianco al palazzo delle Poste che fiancheggiava il quartier generale della Marina e i padiglioni del Museo navale. Mezz'ora prima, Coy aveva fatto visita alla direzione generale della Marina mercantile, situata un paio di strade più su, per accertarsi che il suo ricorso amministrativo procedesse. L'addetta del dipartimento, una donna matura dal sorriso amabile che teneva un vaso di gerani sulla scrivania, aveva smesso di sorridere quando, dopo aver schiacciato un tasto del computer, sullo schermo le era apparso il fascicolo di Coy. Il ricorso era stato respinto, aveva detto con voce impersonale. Ne avrebbe ricevuto notifica scritta. Poi si era disinteressata a lui, tornando alle proprie faccende. Forse da quell'ufficio, a trecento miglia nautiche dalla costa più vicina, la donna coltivava un concetto romantico del mare e non le piacevano i marinai che toccavano il fondo con le loro navi. O forse, al contrario, era una funzionaria oggettiva, spassionata, per la quale un incaglio nell'Oceano Indiano differiva appena da un incidente stradale, e un marinaio sospeso dall'incarico e finito nella lista nera degli armatori non le sembrava poi diverso da qualsiasi altro individuo privato della patente di guida da un giudice severo. Il brutto, rifletteva Coy mentre scendeva le scale che lo riportavano fuori, era che in quel caso la donna non era del tutto fuori strada. In un'epoca in cui i satelliti segnano rotte e waypoint, in cui il telefono cellulare spazzava via dai ponti i comandanti abilitati a prendere decisioni e qualsiasi dirigente poteva governare, restando in ufficio, transatlantici o petroliere da centomila tonnellate, c'era poca differenza tra il marinaio che incagliava la propria nave e il camionista che usciva di strada per aver rotto i freni o per aver guidato in stato di ubriachezza. Aspettò, concentrandosi sulle proprie mosse successive, fino a quando si fu lasciato alle spalle, alla deriva, tutte le considerazioni amare. Quindi, finalmente, si decise. Guardando prima da una parte e poi dall'altra, attese che un semaforo vicino riducesse l'intensità del traffico e poi camminò deciso sotto i castagni coperti di giovani foglie, attraversò la strada e raggiunse l'ingresso del museo, dove due fanti della Marina, con tanto di fascia rossa nei pantaloni, corregge ed elmetto bianchi, guardarono con curiosità la sua giacca doppiopetto prima di lasciarlo passare sotto l'arco del metaldetector. Quando salì l'ampia scalinata, girò a destra nel pianerottolo e subito dopo si trovò davanti al banco della libreria dell'atrio, accanto all'enorme doppia ruota del timone della corvetta Mautilus, lo stomaco gli formicolava. A sinistra c'era la porta dell'amministrazione e dei servizi, a destra l'ingresso alle sale delle esposizioni. C'erano quadri e modellini di navi alle pareti, un marinaio in uniforme dall'aria annoiata seduto dietro a una scrivania e un civile dietro al banco in cui si vendevano libri, incisioni e souvenir del museo. Si passò la lingua sulle labbra; all'improvviso gli era venuta una sete spaventosa. Poi si rivolse al civile. "Cerco la signorina Soto." La bocca secca gli arrochiva la voce. Diede una rapida occhiata alla porta di sinistra, temendo di vederla apparire lì, sorpresa o magari a disagio. Cosa diavolo ci fai qui e via dicendo. Aveva passato la notte sveglio, con la testa appoggiata al suo riflesso nel finestrino del treno, riflettendo su quello che le avrebbe detto. Adesso però gli si era cancellato tutto dalla testa, come una scia a poppa. E così, reprimendo l'impulso di girare i tacchi e andarsene, spostava il peso da un piede all'altro, mentre l'uomo al banco lo studiava. Era di mezz'età, aveva occhiali spessi e un'aria gentile. "Tanger Soto?" Pagina 20

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt 40 41 Annuì con una leggera sensazione di irrealtà. Era strano, pensò, sentire quel nome sulla bocca di un estraneo. In fin dei conti, concluse, lei esisteva davvero. C'era gente che le diceva ciao, arrivederci e quel genere di cose. "Proprio così" disse. Altro che stranezza, pensò all'improvviso: il viaggio, la borsa lasciata nel deposito di Atocha e la sua presenza lì per incontrare una donna che aveva visto soltanto un paio d'ore una notte, in tutta la vita, una donna che neppure lo aspettava, erano una vera e propria assurdità. "La sta aspettando?" Si strinse nelle spalle. "Forse." Il tipo del banco ripeté quel "forse" con aria pensierosa. Lo scrutava in modo sospetto e Coy rimpianse di non aver avuto occasione di radersi quella mattina: la barba, tagliata la sera precedente poco prima di recarsi alla stazione di Sants, cominciava a ombreggiargli il mento. Alzò la mano per toccarla, ma la fermò a mezz'aria. "La signora Soto è uscita" rispose l'uomo del banco. Quasi sollevato, Coy annuì. Con la coda dell'occhio vide che il marinaio alla scrivania, semiaccasciato su una rivista, gli guardava le scarpe e i jeans consumati. Per fortuna, pensò, ho messo i vecchi mocassini da nave al posto delle scarpe da ginnastica bianche. "Tornerà in giornata?" L'uomo diede una rapida occhiata alla giacca marinara, cercando di stabilire se quel panno scuro garantisse la rispettabilità del suo interlocutore. "Può darsi" disse, dopo averlo soppesato un po'. "Non chiudiamo fino all'una e mezzo." Coy guardò l'orologio e poi indicò la prima sala. In fondo si vedevano due grandi ritratti di Alfonso XII e Isabella II, ai lati di una porta che mostrava bacheche e modellini di navi e cannoni. "Allora aspetterò dentro." "Come crede." "La può informare quando arriverà? Mi chiamo Coy..." Adesso sorrideva. Il fatto che lei non ci fosse comportava un opportuno differimento dell'incontro e questo lo tranquillizzava. Il tipo del banco sembrò rilassarsi davanti a quel sorriso stanco, sincero, risultato di sei ore di treno e altrettanti caffè. "Certamente. " Attraversò la sala, i passi sul parquet attutiti dalle suole di gomma. La paura che gli aveva attanagliato le viscere lasciava il posto a un'incertezza disagevole, simile alla sensazione che si prova quando la nave sbanda e si allunga la mano in cerca di qualcosa a cui aggrapparsi, ma non lo si trova dove si pensava che fosse. Cercò quindi di calmarsi prestando attenzione agli oggetti che lo circondavano. Passò accanto a un quadro enorme: Colombo e i suoi uomini a terra, vicino a una croce, gagliardetti sul fondo e blu caraibico, con gli indios che si inchinavano davanti all'esploratore, ignari di quello che li aspettava; poi girò a destra, fermandosi davanti alle bacheche della strumentazione nautica. La collezione era stupenda, e ammirò la balestriglia, i quadranti, i cronometri Arnold e la straordinaria raccolta di astrolabi, ottanti e sestanti del XVIII e XIX secolo per i quali, di sicuro, qualcuno sarebbe stato disposto a pagare molto più di quello che lui aveva ottenuto per il suo modesto Weems Plath. C'erano pochi visitatori al museo, che era più grande e luminoso di come si ricordava. Un vecchio studiava minuziosamente una grande mappa rettangolare di Gibilterra, una giovane coppia dall'aria straniera guardava le bacheche della sala delle Scoperte e un gruppo di studenti liceali ascoltava le spiegazioni del professore nella stanza finale, dedicata al recupero del galeone San Diego. Il chiarore zenitale dei grandi lucernari del soffitto illuminò Coy mentre si aggirava nel patio centrale. Se non lo avesse ossessionato il ricordo della donna che l'aveva portato fin lì avrebbe tratto un vero godimento da quei modellini di navi di linea e fregate, completamente armate o in sezioni trasversali che mostravano la complessa architettura interna degli scafi. Non li aveva più visti dalla sua ultima visita al museo, vent'anni prima, quando ancora si accedeva a quei locali da calle Montalban e lui era un allievo all'accademia. Malgrado il tempo trascorso, riconobbe immediatamente e con piacere il pezzo preferito di allora: il modellino di una nave del XVIII secolo con tre ponti e Pagina 21

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt centocinquanta cannoni, di quasi tre metri di lunghezza, conservata in una bacheca gigantesca, una nave che non era mai arrivata a solcare i mari perché non era stata mai costruita. Quelli sì che erano marinai, si disse come aveva fatto tante altre volte, studiando il sartiame, le velature e l'alberatura della nave in miniatura, ammirando le lunghe gavias lungo le quali uomini duri e disperati dovevano avanzare mantenendo l'equilibrio su instabili marciapiedi. aggrappandosi alla tela nel mezzo di tempeste o di combattimenti, con il vento e il ciarpame che fischiavano e il mare implacabile sotto, accanto alla coperta che dondolava sotto gli alberi. Per un attimo Coy si lasciò trasportare insieme alla nave, rapito dal sogno di lunghi inseguimenti all'alba, di vele fuggitive all'orizzonte. Quando non c'erano radar, satelliti né sonde elettroniche, le navi erano bussolotti che danzavano sulla bocca dell'inferno e il mare un pericolo mortale; ma anche, ancora, un rifugio inespugnabile davanti a tutte le cose, ai problemi, alle vite già vissute o da vivere, alle morti in sospeso e consumate che si lasciavano dietro, sulla terra. "Siamo arrivati troppo tardi in un mondo troppo vecchio" aveva letto una volta in un libro. Siamo arrivati troppo tardi, sicuro. Siamo arrivati a navi, a porti e a mari che sono troppo vecchi, quando i delfini moribondi fuggono dalla prua delle navi, quando Conrad ha già scritto venti volte la sua Linea d'ombra, Long John Silver è ormai una marca di whisky e Moby Dick si è trasformata nella balena buona di un cartone animato. Accanto alla riproduzione in scala reale di un pezzo dell'albero del Santa Ana, Coy si imbatté in un ufficiale: indossava l'uniforme impeccabile della Marina militare, aveva un bell'aspetto ed esibiva sul risvolto delle maniche la cocca del capitano di fregata sul terzo gallone dorato. Il marinaio fissò a lungo Coy, che sostenne lo sguardo finché l'altro non lo distolse e i suoi passi si allontanarono verso il fondo della sala. Passarono altri venti minuti. Almeno altrettante volte cercò di concentrarsi sulle parole che avrebbe pronunciato quando lei fosse apparsa, sempre ammesso che lo facesse. E finì sempre per bloccarsi, a bocca aperta, come se ce l'avesse avuta davvero davanti, incapace di imbroccare l'attacco di una frase coerente. Era nella sala dedicata alla battaglia di Trafalgar, sotto un olio che rappresentava la scena di un combattimento navale -- il Santa Ana contro il Royal Sovereign -- e di colpo il formicolio tornò a tormentargli lo stomaco, infliggendogli -- quella era la definizione più esatta -- un pressante bisogno di fuggire da quel posto. Salpa l'ancora, imbecille, si disse, e con quelle parole gli parve di svegliarsi da un sogno, gli venne voglia di precipitarsi spaventato giù per le scale e di andare a mettere la testa sotto un rubinetto di acqua fredda, di scuoterla fino a chiarire la confusione che vi regnava. Maledizione a me, si insultò. Venti volte maledizione. La signora Soto. Non so neanche se vive con un uomo, se è sposata. Si girò, indietreggiando indeciso. I suoi occhi si posarono per caso sulla targa di una bacheca: "Sciabola d'arrembaggio che cinse don Carlos de la Rocha, comandante della nave Antilla, nella battaglia di Trafalgar...". Allora alzò gli occhi e vide Tanger Soto alle proprie spalle, riflessa nel vetro. La vide lì, immobile, silenziosa, senza averla sentita arrivare, intenta a guardarlo con un'espressione un po' sorpresa e un po' incuriosita, irreale come la prima volta. Sfocata, quasi fosse un'ombra rinchiusa dalla bacheca, piuttosto che al di fuori. Coy non era un tipo socievole. E abbiamo già detto che questo, insieme a qualche libro e a una visione precocemente lucida degli angoli oscuri dell'essere umano, lo aveva spinto molto presto verso il mare. Tuttavia, quel punto di vista, o posizione, non era del tutto incompatibile con un certo candore che a volte spiccava nei suoi atteggiamenti, nel modo in cui se ne stava tranquillo o silenzioso a guardare gli altri, o in quello piuttosto goffo con cui se la sbrogliava sulla terraferma, o ancora in quel non so che di sincero, sconcertato, quasi timido che aveva il suo sorriso. Si era imbarcato giovanissimo, spinto più da intuizioni che da certezze. Pagina 22

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Ma la vita non manovra con la precisione di una buona nave e gli ormeggi erano caduti in mare a poco a poco, ingarbugliandosi con le eliche o trascinandosi dietro determinate conseguenze. Al riguardo c'erano state delle donne, naturalmente. E un paio di loro si erano anche spinte oltre il contatto epidermico, gli erano arrivate alla carne, al sangue e alla coscienza, realizzando nell'insieme le operazioni fisiche e chimiche pertinenti, balsami analgesici e danni di rigore. LPPID: Legge del pagamento puntuale dell'importo dovuto. Giunto a quel punto, le tracce che avevano lasciato non erano che fitte indolori nella memoria del marinaio senza nave. Ricordi precisi e insieme indifferenti, più vicini alla nostalgia per gli anni trascorsi -- ne erano passati otto o nove dall'ultima donna davvero importante per Coy -- che alla sensazione di una vera perdita materiale o di un'assenza. In fondo, quelle ombre restavano inchiodate alla sua memoria solo perché appartenevano al periodo in cui aveva ancora tutto un futuro davanti; quando sulla sua fiammante giacca di panno blu e sulle spalline delle camicie facevano bella mostra di sé i galloni nuovi, e passava un sacco di tempo ad ammirarli come se si trattasse del corpo di una donna nuda: quando la vita era una carta nautica nuova e frusciante, con tutti gli avvertimenti per la navigazione aggiornati, una tersa superficie bianca ancora non segnata dalla matita e dalla gomma. Quando lui stesso, davanti alla vista della linea di terra all'orizzonte, sentiva ancora, a volte, il vago desiderio delle persone o delle cose che lo aspettavano laggiù. Il resto, il dolore, il tradimento, i rimproveri, le notti interminabili passate sveglio accanto a spalle silenziose, in quel periodo non erano che rocce sommerse, secche assassine che tendevano agguati nel momento più impensabile, senza che nessuna carta informasse con un riquadro a parte della loro eventuale presenza. La verità è che non rimpiangeva concretamente quelle ombre femminili, ma a volte rimpiangeva se stesso, o piuttosto l'uomo che era stato allora. Forse era l'unica ragione per cui quelle donne o quelle ombre, ultimi porti conosciuti della sua vita, si presentavano di quando in quando, molto sfocate nei contorni della memoria, a spettrali appuntamenti all'imbrunire, quando faceva lunghe passeggiate sul mare, a Barcellona. Quando risaliva il ponte di legno del Porto Vecchio, mentre il sole al tramonto infuocava le cime del Montjuic, la torre di Giacomo I, i moli e le passerelle d'imbarco della Trasmediterranea, e cercava sulle vecchie banchine e sulle bitte le cicatrici lasciate sulla pietra e sul ferro da migliaia di ormeggi e cavi di acciaio, da navi affondate o smantellate da decenni. A volte pensava a quelle donne, o al loro ricordo, mentre camminava davanti al centro commerciale e ai cinema Maremagnum, tra altri uomini e donne soli, isolati, intenti a contemplare il tramonto, a dormicchiare sulle panchine o a sognare guardando il mare, con i gabbiani che planavano sulla poppa dei pescherecci incrociati nell'acqua infuocata, sotto la torre dell'Orologio; nei pressi di una vecchissima goletta senza più vele né sartie che Coy ricordava di aver visto sempre nello stesso punto, anno dopo anno, con i suoi legni screpolati, scoloriti dal vento, dal sole, dalla pioggia e dal tempo. E che spesso gli faceva pensare che le navi e gli uomini avrebbero dovuto affondare e sparire al momento debito, in mare aperto, invece di restare a imputridire ormeggiati a terra. Coy parlava da cinque minuti, senza quasi fermarsi. Era seduto accanto a una finestra del primo piano del Museo navale, e se si girava appena vedeva i rami verdi dei castagni che si estendevano lungo il paseo del Prado, verso la fontana di Nettuno. Lasciava cadere le parole come per riempire un vuoto che è imbarazzante solo se si prolungano troppo i silenzi. Parlava con lentezza e sorrideva leggermente quando taceva per un attimo, prima di ricominciare. La sua incertezza era sfumata nello stesso momento in cui aveva intravisto il viso nel pannello di vetro; faceva le sue osservazioni con un tono tranquillo, di nuovo padrone di se stesso, con l'intento di eludere le pause e ritardare possibili domande. A volte spostava lo sguardo sull'esterno e poi tornava a voltarsi verso la donna. Una questione a Madrid, diceva. Una pratica ufficiale, un amico. Per caso il museo si trovava proprio lì. Pagina 23

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Diceva qualsiasi cosa, proprio come aveva fatto la prima volta a Barcellona, con la franca timidezza che lo contraddistingueva. Lei ascoltava senza dire una parola, la testa un po' inclinata e le punte asimmetriche dei capelli biondi che le sfioravano il mento. Gli occhi scuri con riflessi bruniti, fissi su Coy, sembravano ancora una volta blu marino, mentre con un sorriso impercettibile, sincero, smentiva la casualità delle sue parole. "Questo è tutto" concluse. Quello era niente, perché non aveva detto né fatto ancora niente, tranne avvicinarsi alla darsena con molta attenzione, macchine avanti adagio, mentre aspettava che il pilota portuale salisse a bordo. Non era niente, e Tanger Soto lo sapeva bene quanto lui. "Bene" gli disse. Era appoggiata al bordo del tavolo del suo ufficio, le braccia incrociate, e continuava a fissarlo assorta, con la stessa insistenza di prima, solo che adesso accennava un sorriso, come se volesse gratificare i suoi sforzi, o la sua calma, o la sua maniera di affrontarla senza distogliere lo sguardo, senza ostentazioni pretestuose o scuse forzate. Come se apprezzasse quel suo modo di mettersi davanti a lei, pronunciare le parole imprescindibili per giustificare la propria presenza, e poi restarsene zitto, con lo sguardo e il sorriso limpidi, senza la pretesa di ingannarla o di ingannare se stesso, in attesa del verdetto. E allora fu lei a parlare. Lo fece senza togliergli gli occhi di dosso, curiosa di verificare l'effetto delle proprie parole, o forse del tono con cui le stava pronunciando una dopo l'altra. Parlò con disinvoltura e con una vaga sfumatura d'affetto, o di gratitudine, sulle labbra. Parlò della strana notte a Barcellona, di come fosse contenta di rivederlo. E alla fine rimasero a guardarsi, avendo già detto tutto quello che potevano dirsi, per il momento. E Coy seppe nuovamente che per lui era arrivata l'ora di andarsene o di cercare un argomento, un pretesto, qualche maledetta scusa che gli permettesse di prolungare la permanenza. O forse toccava a lei accompagnarlo alla porta, ringraziarlo per la visita, oppure chiedergli di non andarsene subito. Così si alzò lentamente in piedi. "Spero che quel tipo non ti abbia più dato fastidio." "Chi? " Aveva tardato un attimo più del necessario a rispondere, e lui se ne era accorto. "Il tizio con la coda e gli occhi di due colori." Si avvicinò due dita al volto, indicando i propri. "Il dalmata." "Ah, quello." Non aggiunse nulla sul momento, ma Coy notò che le si induriva la linea delle labbra. "Quello" ripeté lei. Non si capiva se era tutta presa a pensare a quel tipo o a cercare di guadagnare tempo così da partire per la tangente. Coy infilò le mani nelle tasche della giacca e si diede un'occhiata attorno. L'ufficio era piccolo e luminoso, con una targa minuscola accanto alla porta: REPARTO IV -- T. SOTO -- INDAGINI E ACQUISIZIONI. C'erano un'antica incisione con una marina appesa al muro, un grande ripiano su un cavalletto con altre incisioni, mappe e carte nautiche. C'era anche una vetrina piena di libri e di raccoglitori, carpette con documenti sul tavolo da lavoro, un computer il cui schermo era circondato da piccoli postit, pieni di appunti presi con una caliigrafia rotonda, da scolaretta diligente, che Coy identificò facilmente -- aveva il suo biglietto da visita in tasca -- grazie ai grandi cerchi che facevano da puntini sulle i. "Non mi ha più dato fastidio" concluse finalmente lei, come se avesse avuto bisogno di far mente locale. "Non sembrava volersi rassegnare ad aver perso l'Urrutia." Notò che socchiudeva gli occhi. La bocca era ancora irrigidita. "Ne troverà un altro." Coy le guardava la linea del collo, che scendeva verso la scollatura della camicia, color avorio. La catena d'argento era sempre lì e luccicava, e lui si domandò che tipo di ciondolo reggesse. Se è di metallo, pensò, deve essere dannatamente caldo. "Non so ancora" disse "se l'atlante era per te o per il museo. Pagina 24

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt La verità è che quell'asta è stata..." Tacque di colpo, perché aveva visto l'Urrutia. Stava nella vetrina con altri libri di grande formato. Riconobbe facilmente la copertina di pelle con le decorazioni dorate. "Era per il museo" rispose lei; e un secondo dopo aggiunse: "Naturalmente" Aveva seguito lo sguardo di Coy fino al punto in cui i suoi occhi si erano fermati, e anche lei ora guardava l'atlante. La luce della finestra contornava il suo profilo lentigginoso. "E questo il tuo lavoro? Trovi cose?" Osservò come si piegasse leggermente in avanti, facendo oscillare le punte dei capelli. Sulla camicia indossava un gilet di lana grigia, sbottonato, e sotto la gonna, ampia e scura, scarpe nere dal tacco bassissimo e calze, anch'esse nere, che la facevano sembrare ancora più snella e alta di quanto non fosse. Una ragazza di buona famiglia, dedusse lui, realizzando che era la prima volta in cui la vedeva alla luce naturale del giorno. Mani forti e voce garbata. Sana, educata. Tranquilla. Almeno all'apparenza, pensò, nel guardarle i contorni mangiucchiati e irregolari delle unghie. "In certo qual modo sì" annuì lei dopo un istante. "Consulto cataloghi delle aste, seguo il mercato delle antichità. Visito altri musei e viaggio quando trovo qualcosa d'interessante... Poi faccio un rapporto e i miei capi decidono. Il patronato dispone di un fondo molto limitato per la ricerca e per le nuove acquisizioni, e io cerco di utilizzarlo in modo conveniente. " Coy fece una smorfia. Ricordava l'aspro duello dell'asta di Claymore. "Ma il tuo amico, il dalmata, ti ha dato del filo da torcere. L'Urrutia vi è costato un occhio della testa..." La vide sospirare, con un'aria tra il fatalista e il divertito, e poi annuire con il capo, volgendo in alto i palmi delle mani per dare a intendere che aveva dilapidato fino all'ultimo centesimo. Il suo gesto fece ancora notare a Coy l'insolito orologio maschile d'acciaio che portava al polso destro. Non aveva addosso altro, né anelli né braccialetti, neppure i piccoli orecchini d'oro che le aveva visto tre giorni prima, a Barcellona. "Ci è costato carissimo. Di solito non spendiamo tanto... Soprattutto perché in questo museo abbiamo già un sacco di cartografia del XVIII secolo." "É così importante?" Ancora una volta, appoggiata al bordo del tavolo, si sporse in avanti e per un brevissimo istante rimase così, con il capo chino, prima di alzare il viso con un'espressione diversa. La luce sfumò nuovamente i puntini dorati della sua pelle, e Coy pensò che se avesse fatto un solo passo avanti forse avrebbe potuto decifrare l'aroma di quella geografia enigmatica costellata di schizzi. "É stato stampato nel 1751 dal geografo e uomo di mare Ignacio Urrutia Salcedo" spiegava lei adesso "dopo cinque anni di lavoro. Ha rappresentato l'aiuto più prezioso per i naviganti fino all'apparizione, nel 1789, dell'Atlante idrografico di Tofino, che è molto più preciso. Ne restano pochi esemplari in buono stato, e il Museo navale non ne possedeva nessuno." Aprì la vetrina, estrasse il pesante volume e lo aprì appoggiandolo sul tavolo. Coy si avvicinò e lo studiarono insieme, così lui ebbe la conferma di ciò che aveva intuito fin dal primo momento: non c'era traccia, stabilì, di colonia o di profumo. Lei sapeva solo di carne pulita e calda. "É un bell'esemplare" disse lei. "Tra i librai antiquari abbondano tipi senza scrupoli che quando ne trovano uno così lo strappano per venderne sciolte le stampe. Ma questo ci è arrivato intatto." Scorreva le grandi pagine con cura e la carta le frusciava tra le dita, spessa, bianca e ben conservata nonostante i due secoli e mezzo trascorsi dalla pubblicazione. Atlante marittimo delle coste di Spagna, lesse Coy sul frontespizio su cui erano minuziosamente incisi una marina, un leone tra le colonne con la scritta Plus Ultra, e diversi strumenti nautici: "Diviso in sedici carte sferiche e dodici piane, da Bayonne in Francia al Cabo de Creus" Pagina 25

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Si trattava di un insieme di carte di navigazione e piante di porti, il tutto stampato in grande formato e rilegato in modo da facilitarne la conservazione e l'utilizzo. Il volume si apriva con la carta che mostrava il tratto tra il Cabo de Sao Vicente e Gibilterra, disegnato nei dettagli, che includeva quote di scandaglio misurate in braccia e una minuziosa segnalazione di indicazioni, punti di riferimento e pericoli. Coy seguì con il dito il contorno della costa tra Ceuta e Capo Spartel, soffermandosi nel punto contrassegnato con il nome della donna che aveva accanto. Poi risalì a nord, fino alla punta di Tarifa, e proseguì a nordest per fermarsi ancora una volta sulla secca della Aceitera, molto meglio definita, con le piccole croci che indicavano il pericolo, del passaggio tra gli isolotti di Terson e Mowett Grave nei rilievi moderni dell'Ammiragliato britannico. Conosceva bene le carte dello stretto di Gibilterra; quasi tutto coincideva con sufficiente esattezza, e non poté fare a meno di ammirare la precisione del tracciato, più che ragionevole se si teneva conto del livello degli studi idrografici dell'epoca, ancora così lontano dall'immagine satellitare e persino dai progressi tecnici della fine del XVIII secolo. Notò che ogni carta riportava le scale di latitudine e longitudine dettagliate in gradi e primi, la prima a destra e a sinistra della stampa e la seconda graduata quattro volte in relazione a quattro meridiani diversi: Parigi e Tenerife nella parte superiore, Cadice e Cartagena in quella inferiore. All'epoca, rammentò, il meridiano di Greenwich non era ancora stato adottato come riferimento universale di longitudine. "É molto ben conservato" si stupì. "É perfetto. Nessuno ha mai navigato con questo esemplare a bordo. " Coy sfogliò qualche pagina: "Carta sferica della costa di Spagna che va da A" guilas e dal Monte Cope fino alla Torre Herradora o Horadada con tutte le sue secche, località e insenature...". Conosceva a memoria anche quello scenario, che poi era lo stesso della sua infanzia: una costa ripida, ostile, di anguste cale rocciose, con scogli tra piccoli strapiombi. Percorse le distanze sulla carta ruvida: Cabo Tinoso, Escombreras, Cabo de Agua... Il tracciato era quasi altrettanto perfetto della carta dello Stretto. "C'è un errore" disse all'improvviso. Lei lo guardò, più interessata che sorpresa. "Ne sei sicuro?" "Certo." "Conosci quella costa?" "Ci sono nato. Mi ci sono persino immerso, recuperando anfore e altri oggetti dal fondo." "Sei anche un sub?" Coy fece schioccare la lingua, negando con la testa. "Non a livello professionale" disse sorridendo appena. a mo di scusa. "Solo lavoretti estivi durante le vacanze." "Ma hai una certa esperienza..." "Be..." Si strinse nelle spalle. "Da giovane, forse. Ma è da molto che non mi immergo." Lei teneva la testa piegata da una parte, osservandolo pensierosa. Poi tornò a fissare il punto della carta che lui indicava ancora con il dito. "E qual è l'errore?" Glielo disse. Il rilievo dell'Urrutia situava il Cabo de Palos a due o tre primi di meridiano più a sud di quanto fosse in realtà. Coy aveva doppiato così tante volte quella punta che ne ricordava perfettamente la posizione sulle carte. I 37§38' di latitudine reale -- in quel momento non poteva dire con precisione i secondi esatti -- diventavano sulla carta 37§36', più o meno. Senza dubbio la cosa era stata corretta nei tracciati successivi, più dettagliati ed eseguiti con strumenti migliori, fino ad arrivare all'attuale precisione. In ogni modo, aggiunse, un paio di miglia nautiche di differenza non significavano granché in una carta sferica del 1751. Lei restava in silenzio, gli occhi fissi sulla stampa. Coy si strinse nelle spalle: "Suppongo che queste imprecisioni accrescano il suo fascino... Avevi un tetto per le contrattazioni a Barcellona o potevi continuare senza limiti?" Era sempre appoggiata con entrambe le mani al tavolo, accanto a lui, e guardava la carta. Pagina 26

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Sembrava assorta, e tardò a rispondere alla domanda. "C'era un tetto, è ovvio" disse alla fine. "Il Museo navale non è il Banco de Espana... Per fortuna ci siamo rientrati." Coy ridacchiò sommessamente, e lei alzò gli occhi, inquisitiva. "Durante l'asta" disse lui "ho pensato che la tua fosse una questione personale... Mi riferisco alla caparbietà con cui hai rialzato." "Sicuro che era personale." Adesso sembrava irritata. Guardava di nuovo la carta come se ci fosse qualcosa che attirasse la sua attenzione. "Questo è il mio lavoro" aggiunse scuotendo appena la testa, per allontanare un pensiero che non voleva esprimere ad alta voce. "Avevo raccomandato io l'acquisizione dell'Urrutia. " "E cosa ci farete?" "Quando l'avrò controllato e catalogato da cima a fondo, ne farò fare alcune riproduzioni per uso interno. Poi passerà alla biblioteca storica del museo, come tutto il resto." Qualcuno bussò discretamente allo stipite della porta, e Coy vide il capitano di fregata in cui si era imbattuto prima in una delle sale. Tanger Soto si scusò, andò in corridoio e rimase qualche istante a parlare sottovoce con lui. Il nuovo arrivato era un uomo maturo e affascinante, e i bottoni dorati e i galloni gli davano un'aria distinta. Di tanto in tanto si girava per guardare Coy, con una curiosità non priva di sospetto. Questi non gradiva le sue occhiate, né il sorriso esagerato con cui condiva la conversazione. Così sospirò amaramente tra sé e sé. Come gran parte dei marinai mercantili, non apprezzava i militari di carriera: gli sembravano troppo boriosi, praticavano l'endogamia sposandosi con le figlie di altri militari di carriera, riempivano le chiese la domenica e di solito facevano troppi figli. Inoltre, ormai non facevano più abbordaggi, battaglie o altro, e si chiudevano in casa con il cattivo tempo. "Devo lasciarti per qualche minuto" disse lei. "Non andare via." Si allontanò lungo il corridoio in compagnia del capitano di fregata, che prima di andarsene lanciò a Coy un'ultima occhiata silenziosa. Questi rimase nell'ufficio e si guardò attorno, prima tornando a concentrarsi sulla carta di Urrutia, poi sugli oggetti che stavano sul tavolo, sull'incisione alla parete -- "Veduta rv della battaglia di Tolone" -- e sul contenuto della vetrina. Stava per sedersi quando fu attratto dal cavalletto con documenti, piante e fotografie che stava di fianco al tavolo. Si avvicinò con il solo intento di ingannare l'attesa, per scoprire che sotto alcune stampe spuntavano piante di navi a vela: erano tutti brigantini, verificò dopo aver dato un'occhiata alle alberature. Sotto c'erano fotografie aeree di località costiere, riproduzioni di carte nautiche antiche e anche di una moderna: la numero 463A dell'Istituto idrografico della Marina -- "Dal Cabo de Gata al Cabo de Palos" -- che in parte corrispondeva a quella dell'atlante aperto sul tavolo. La coincidenza fece sorridere Coy. Un minuto dopo lei era di ritorno e si scusava con una smorfia rassegnata. "Il mio capo" disse. "Una consultazione ad alto livello sui turni di vacanza. Tutto molto top secret," "E così lavori per la Marina." "Già. " La osservò, divertito. "Sei una specie di soldato, quindi." "Niente affatto." I capelli dorati andavano di qua e di là mentre lei negava. "Il mio rango è quello del funzionario civile... Dopo essermi laureata in Storia ho fatto un concorso. Sono qui da quattro anni." Dopo averlo detto, rimase assorta, a guardare dalla finestra. Socchiudeva di nuovo gli occhi. Poi, molto lentamente, come se nella testa le frullasse qualcosa che non riusciva a cancellare, tornò al tavolo, chiuse l'atlante e lo rimise nella vetrina. 53 "Mio padre invece, lui sì che era un militare" aggiunse. C'era un tono di sfida, o forse di orgoglio, nelle sue parole. Coy annuì dentro di sé. Questo spiegava un paio di cosette: il modo in cui si muoveva, alcune sue Pagina 27

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt espressioni. Persino la disciplina serena, piuttosto altera, cui sembrava piegarsi in determinate circostanze. "Militare di Marina?" "Militare. Si è congedato da colonnello, dopo aver trascorso quasi tutta la vita in Africa." "É ancora vivo?" "No." Parlava senza la minima traccia di commozione. Era impossibile stabilire se l'argomento la mettesse o meno a disagio. Coy studiò le iridi blu marino e queste sostennero l'esame, inespressive. Allora lui sorrise. "Ecco perché ti chiami Tanger." "Ecco perché mi chiamo Tanger." Passeggiarono senza fretta davanti al museo del Prado e alla cancellata del Giardino botanico prima di svoltare a sinistra e salire per la cuesta de Claudio Moyano, lasciandosi alle spalle il traffico rumoroso e l'inquinamento della piazzetta di Atocha. Il sole illuminava i chioschi grigi e le bancarelle di libri disposti a gradinate su per la strada. "Cosa sei venuto a fare a Madrid?" Lui guardava per terra davanti a sé. Aveva già risposto a quella domanda non appena l'aveva vista al museo, prima ancora che lei la formulasse. Tutti i luoghi comuni e i pretesti più facili erano già stati esposti, così fece qualche passo senza dire nulla e poi si toccò il naso. "Sono venuto per vederti." Neanche adesso sembrava sorpresa, e tantomeno incuriosita. Indossava una giacca leggera di fustagno aperta sulla camicia e prima di uscire dall'ufficio si era annodata intorno al collo un foulard di seta dai colori autunnali. Girandosi solo a metà, Coy scrutò il suo profilo impassibile. "Perché?" si limitò a domandare lei, con un tono neutro. "Non lo so." Camminarono per un tratto senza dire altro. Alla fine si fermarono a caso, davanti a una bancarella dove erano accatastati romanzi gialli d'occasione, simili ai resti di un naufragio su una spiaggia. Gli occhi di Coy scivolarono sui vec chi volumi, senza prestare loro eccessiva attenzione: Agatha Christie, George Harmon Coxe, Ellery Queen, Leslie Charteris. Tanger ne prese uno, La signora del delitto, lo guardò con aria assente e lo rimise a posto. "Tu sei matto" disse. Proseguirono. La gente passeggiava tra le bancarelle, cercando libri o sfogliandoli. I librai lasciavano fare, tenendo gli occhi ben aperti da dietro i banchi o stando in piedi sulla porta dei baracchini. Indossavano spolverini, maglie o giacche e avevano la pelle indurita dagli anni passati sotto la pioggia, il sole e il vento. A Coy sembrarono facce di marinai arenatisi in porti impossibili, tra scogliere di inchiostro e carta. Alcuni leggevano, senza badare al pubblico, seduti tra mucchi di esemplari usati. Un paio di loro, i più giovani, salutarono Tanger, che rispose chiamandoli per nome: "Ciao, Alberto. Arrivederci, Boris" Un ragazzo con le treccine da ussaro e la camicia a quadretti suonava il flauto, e lei mise una moneta nel cappello ai suoi piedi, esattamente come Coy le aveva visto fare nelle Ramblas, davanti al mimo a cui la pioggia stava lavando via il trucco. "Passo di qui ogni giorno, per tornare a casa. A volte compro qualcosa... Non è strano quello che succede con i libri vecchi? A differenza degli altri, sono loro a sceglierti. Scelgono il loro compratore: Ciao, sono qui, prendimi con te. Si direbbe che siano vivi." Fece qualche altro passo e si fermò davanti al Quartetto di Alessandria: quattro volumi dalla copertina sciupata, a prezzo di saldo. "L'hai letto?" domandò. Coy fece cenno di no. Quel Durrell che aveva un cognome da pila alcalina non gli faceva né caldo né freddo. Era la prima volta che faceva caso a un libro di quel tipo. Statunitense, immaginò. O inglese. Pagina 28

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt "C'è qualcosa sul mare?" domandò più per cortesia che per effettivo interesse. "Non che io sappia" rise lei sottovoce e dolcemente. "Anche se, in un certo modo, Alessandria rimane sempre un porto... " Coy ci era stato, e non ne conservava un ricordo speciale: il caldo dei giorni senza brezza, le gru, gli stivatori coricati all'ombra dei container, l'acqua sporca che sciabordava tra lo scafo della nave e il molo, gli scarafaggi che pestava la notte, quando scendeva a terra. Un porto come tutti gli altri. eccetto 54 55 quando il vento del sud portava con sé nubi di sabbia rossiccia che si intrufolava ovunque. Niente che giustificasse quattro volumi. Tanger stava toccando il primo con l'indice e lui ne lesse il titolo: Justine. "Tutte le donne intelligenti che io conosco" disse lei "avrebbero voluto essere Justine almeno una volta." Coy guardò il libro con aria stupida, chiedendosi se doveva comprarlo o meno e se il libraio lo avrebbe costretto a comprare tutti e quattro i volumi. In realtà, lo attiravano più altri testi lì accanto: La nave dei morti di un certo B. Traven, e la trilogia del Bounty: Gli ammutinati del Bounty, Men Against the Sea e Pitcairn" s Island in un solo volume. Ma lei era già oltre; la vide sorridere di nuovo, fare qualche passo per poi fermarsi a sfogliare distrattamente un'altra malconcia edizione in brossura: Il buon soldato, lesse Coy; quel Ford Madox Ford sì che gli diceva qualcosa, perché aveva scritto a quattro mani Avventura romantica con Joseph Conrad. Quindi Tanger si voltò a guardarlo, insistentemente. " Tu sei matto" ripeté. Lui si toccò di nuovo il naso e non disse niente. "Non mi conosci" aggiunse lei un attimo dopo. "Non sai proprio niente di me." Aveva ancora una sfumatura dura nella voce. Coy si guardò intorno. Stranamente, non si sentiva intimidito e neanche fuori posto. Era andato a trovarla, facendo quanto credeva di dover fare. E avrebbe dato qualsiasi cosa per essere un uomo elegante, dalla lingua sciolta, e per avere qualcosa da offrire, fosse anche solo il denaro per comprare i quattro volumi del Quartetto e invitarla a cena quella stessa sera in un ristorante costoso, chiamandola Justine o come più le fosse piaciuto. Ma non era il suo caso. Per questo se ne stava zitto, e restava lì in piedi con la maggiore semplicità di cui era capace, limitandosi a sorridere appena, in quel modo che era allo stesso tempo sincero e assente, quasi timido. Non era molto, ma era tutto quello che poteva fare. "Non hai alcun diritto di presentarti così, di piazzarti davanti a me con la tua faccia da bravo ragazzo... Ti ho già ringraziato per quello che hai fatto a Barcellona. Cos'altro pretendi da me, adesso? Che ti porti a casa mia, come uno di questi libri?" "Le sirene" disse lui, all'improvviso. Lo guardò stupita. "Cosa c'entrano le sirene?" Coy alzò un po' le mani e poi le lasciò ricadere. "Non lo so. Cantavano, secondo Omero. Chiamavano i marinai, non è vero? E loro non potevano resistere." "Perché erano idioti. Finivano dritti contro gli scogli, distruggendo le loro navi." "Io ci sono già finito." L'espressione di Coy si era incupita. "Io ci sono già finito contro gli scogli, e non ho più una nave. Ci vorrà del tempo prima che ce l'abbia di nuovo, e adesso non trovo niente di meglio da fare." Tanger si girò verso di lui in modo brusco, aprendo la bocca come per dire qualcosa di spiacevole. I suoi occhi lampeggiavano, aggressivi. Fu questione di un momento, e in quell'arco di tempo Coy si congedò in silenzio dalla sua pelle lentigginosa e da quello strano sogno che l'aveva spinto fino a lei. Forse dovrei comprare il libro di quella Justine, si disse con tristezza. Ma almeno ci hai provato, marinaio. Peccato per il sestante. Poi si dispose a sorridere. Pagina 29

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Sorriderò comunque, qualsiasi cosa dica, persino quando mi manderà al diavolo. Che almeno sia l'ultimo ricordo che le resta di me. Magari potessi sorridere come il suo capo, quel capitano di fregata al quale brillano anche i bottoni. Speriamo che non mi venga una smorfia contratta. "Per l'amor di Dio" disse allora lei. "Non sei neanche bello." 3. La nave affondata. In mare puoi anche fare tutto per bene, attenendoti alle norme, e ciò nonostante il mare ti ucciderà. Ma se sei un bravo marinaio, almeno nel momento in cui morirai saprai dove ti trovi. s. scorr, Il killer dei man. Detestava il caffè. Ne aveva bevute migliaia di tazze calde o fredde durante le interminabili guardie all'alba, le manovre difficili o decisive, le ore morte tra le operazioni di carico e scarico nei porti, nei momenti di noia, tensione o pericolo, eppure non gli piaceva quel sapore amaro, al punto che riusciva a sopportarlo solo con l'aggiunta di latte e zucchero. In realtà lo usava come eccitante, proprio come altri si bevono un bicchierino o si accendono una sigaretta. Ma lui non fumava ormai da diverso tempo. Quanto all'alcol, raramente ne aveva assaggiato a bordo di una nave, e a terra non oltrepassava quasi mai la linea Plimsoli, il livello di caricamento di due gin bottiglia blu. Beveva in modo intenzionale e scrupoloso solo quando le circostanze, la compagnia o il posto richiedevano dosi colossali. In quei casi, come buona parte dei marinai di sua conoscenza, era in grado di ingerire quantità straordinarie di qualsiasi cosa, con le conseguenze che ciò comportava nei luoghi in cui i mariti vegliano sulla virtù delle loro mogli, i poliziotti mantengono l'ordine pubblico e i gorilla di un locale notturno fanno in modo che i clienti si comportino come si deve e non se la svignino senza aver pagato il conto. Quella notte non era il caso. I porti, il mare e il resto della sua precedente vita erano lontanissimi dal tavolo al quale si era seduto, sulla porta della pensione di plaza de Santa Ana, a guardare la gente che passava sui marciapiedi o chiacchierava ai tavolini all'aperto dei bar. Aveva ordinato un gin tonic per cancellare il sapore di caffè della tazza appiccicosa che aveva davanti -- lo rovesciava sempre quando girava, goffo, il cucchiaino -- e restava abbandonato sulla sedia, le mani nelle tasche della giacca e le gambe allungate sotto il tavolo. Era stanco, ma rimandava il momento di andare a letto. Ti chiamerò, gli aveva detto. Ti chiamerò stasera, o domani. Lasciamici pensare un po' sopra. Tanger aveva un impegno incancellabile per il pomeriggio e una cena la sera; così avrebbe dovuto aspettare per rivederla. Glielo aveva detto a mezzogiorno, dopo che l'aveva accompagnata fino all'incrocio fra Alfonso xtI e il paseo Infanta Isabel e lei lo aveva salutato lì, senza permettergli di seguirla fin sotto casa. Lo aveva piantato girandosi con uno scatto verso di lui, tendendogli quella mano ferma che ricordava bene, con una stretta vigorosa. Coy le aveva chiesto dove diavolo pensava di chiamarlo se a Madrid lui non aveva né una casa né un telefono, né niente, e la sua valigia si trovava al deposito della stazione. Allora, per la prima volta da quando l'aveva conosciuta, aveva visto Tanger ridere. Una risata franca che le circondava gli occhi di piccolissime rughe che, paradossalmente, la ringiovanivano molto, abbellendola. Una risata simpatica, come quella di un ragazzo a cui desideri avvicinarti, intuendo che può diventare un buon compagno di giochi o di avventure. Aveva riso così, stringendo la mano di Coy, poi si era scusata per la disattenzione e lo aveva guardato pensierosa per un paio di secondi, con l'ultima traccia di quella risata che le si spegneva sulle labbra. Quindi gli aveva detto il nome della pensione di plaza de Santa Ana in cui lei Pagina 30

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt aveva vissuto per due anni quando era studentessa, davanti al teatro Espanol. Un posto pulito ed economico. Ti chiamerò, aveva detto. Che decida di rivederti o meno, ti chiamerò oggi o domani. Hai la mia parola d'onore. Ed eccolo lì, davanti alla tazza di caffè, mentre bagnava le labbra nel gin tonic -- nel bar della pensione non aveva trovato il bottiglia blu -- che la cameriera gli aveva appena posato davanti. Ad aspettare. Non si era mosso per tutta la sera e aveva cenato lì, un panino con carne di vitello troppo cotta e una bottiglia di acqua minerale, dopo aver lasciato detto dove potevano trovarlo se qualcuno lo cercava al telefono. Era anche possibile che lei venisse di persona; quell'eventualità lo faceva vigilare l'estremità della piazza, per vedere se arrivava da calle Huertas o da una qualsiasi di quelle che risalivano dal paseo del Prado. Oltre le automobili parcheggiate sulla strada, tra le panchine della piazza, alcuni mendicanti chiacchieravano a capannello, passandosi una bottiglia di vino. Avevano elemosinato tra i tavolini dei bar e adesso facevano quadrare i conti della notte. Erano tre uomini e una donna, e uno di loro aveva ai piedi un cagnolino. Dall'ingresso dell'hotel Victoria, una guardia giurata travestita da Robocop non li perdeva di vista, le mani incrociate dietro la schiena e le gambe divaricate, piantate nel punto esatto da cui un attimo prima aveva cacciato la mendicante. Allontanata da Robocop, quella si era messa a zigzagare tra i tavoli dove si trovava Coy. "Dammi qualcosa, amico" aveva detto con voce spenta, guardando davanti a sé senza vedere. "Dammi qualcosa." Era ancora giovane, pensò adesso, osservandola fare i conti con i suoi compagni e il bastardino. Nel darle la moneta, malgrado la pelle segnata, i capelli biondo cenere e gli occhi persi nel vuoto, Coy aveva notato le tracce di un'antica bellezza nella bocca ben disegnata, nella curva delle mandibole, nella statura, nelle mani magre, rossicce, dalle unghie lunghe e sporche. La terraferma fa marcire gli esseri umani, si disse ancora una volta. Se ne impossessa e li divora, proprio come la goletta abbandonata del Porto Vecchio. Si guardò le mani posate sulle cosce, spiando per vedere se scopriva i primi sintomi della decomposizione, la lebbra inevitabile causata dall'inquinamento delle città, dal terreno ingannevolmente fermo sotto i piedi, dal contatto con altre persone, dall'aria senza sale. Spero di trovare presto un imbarco, si disse. Spero di trovare qualcosa che galleggi e di salirci sopra per farmi portare lontano, finché sono in tempo. Prima di contrarre il virus che corrompe i cuori e fa loro smarrire la bussola, li getta senza timone contro la riva sottovento, facendoli naufragare. "La cercano al telefono." Saltò dalla sedia con una velocità che lasciò di stucco la cameriera e percorse a lunghe falcate il corridoio che portava all'atrio della pensione. Uno, due. Contò mentalmente fino a cinque prima di rispondere, con l'intenzione di calmare il battito accelerato del proprio cuore. Tre, quattro, cinque. "Pronto." Era lei, e con la sua voce educata e pacata si scusava per averlo chiamato così tardi. No, rispose lui. Non era affatto tardi. Aspettava la sua telefonata. Un panino ai tavolini fuori, e aveva giusto allora cominciato a bere il suo gin. Lei si scusò ancora un po', lui insisté che era un'ora come un'altra, e poi ci fu un breve silenzio all'altro capo della linea. Coy posò la mano sul bancone guardando il tracciato dei tendini e dei nervi, una mano poco aristocratica, larga e schiacciata, le dita ben aperte, corte, forti, e attese che lei tornasse a parlare. Era distesa sul divano, pensò. O magari seduta su una sedia. O coricata sul letto. Era vestita o nuda, in pigiama o in camicia da notte. Aveva i piedi scalzi, e teneva un libro aperto o la televisione accesa davanti. Era supina o prona, e la pelle lentigginosa aveva sfumature d'oro antico sotto Pagina 31

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt la luce di un abatjour. "Mi è venuta in mente una cosa" disse finalmente lei. "Mi è venuta un'idea che potrebbe interessarti. Ho una proposta da farti. E ho pensato che forse potresti venire a casa mia, adesso. " Una volta, quando navigava come terzo ufficiale, Coy aveva incrociato una donna a bordo di un'imbarcazione. L'incontro era durato un paio di minuti, giusto il tempo che lo yacht -lei prendeva il sole a poppa -- aveva impiegato per passare accanto all'Otago, uno scafo lento dalla cui aletta Coy stava contemplando il mare. Per tutta la coperta si sentiva il picchiettio monotono dei marinai che martellavano lo scafo per togliere la ruggine prima di ripassarlo con minio e pittura. Il mercantile era ormeggiato tra Malamocco e Punta Sabbioni; oltre il Lido poteva vedere il sole splendere sulla laguna veneziana e più lontano, a tre miglia di distanza, il campanile e le cupole di San Marco e i tetti della città baluginanti nel riverbero della luce e della sabbia. Soffiava un leggero ponente, da otto a dieci nodi, che increspava un po' il mare facendo girare le prue delle navi in direzione delle spiagge punteggiate dagli ombrelloni e dalle cabine multicolori degli stabilimenti balneari. Quella stessa brezza aveva portato la goletta dal canale, mura a dritta con tutta la bianca eleganza delle vele spiegate, facendola scivolare a un centinaio di metri di distanza da Coy. Questi aveva subito cercato il binocolo per guardarla meglio, per ammirare la finezza dello scafo di legno pitturato, lo slancio della prua, le sartie e le guarnizioni metalliche splendenti sotto il sole. C'era un uomo alla barra del timone e dietro di lui, vicino al coronamento di poppa, una donna seduta leggeva un libro. Aveva puntato il binocolo su di lei: era bionda, con i capelli raccolti sulla nuca, e il suo aspetto evocava certe donne vestite di bianco che si potevano facilmente immaginare in quello stesso posto o sulla 60 61 riviera francese, all'inizio del secolo. Donne belle e indolenti, protette dall'ampia tesa di un cappello o di un parasole. Sfingi che socchiudevano gli occhi per contemplare il mare blu, leggevano o tacevano. Coy aveva seguito avidamente quel volto attraverso il doppio cerchio delle lenti Zeiss, studiandone il profilo, il mento abbassato, gli occhi chini concentrati nella lettura, i capelli tirati indietro sulle tempie. In altri tempi, aveva pensato, gli uomini uccidevano o mandavano in malora una fortuna, un'esistenza e una reputazione per una donna del genere. Aveva voluto vedere i lineamenti dell'uomo che probabilmente la meritava, e aveva cercato il tipo al timone, ma costui era girato verso l'altro bordo, e aveva potuto apprezzarne solo uno scorcio confuso, capelli grigi e carnagione abbronzata. La goletta si allontanava, e temendo di perdere l'ultima occasione Coy aveva rimesso a fuoco la donna. Un attimo dopo lei aveva alzato il volto e aveva guardato dritto Coy attraverso il binocolo, attraverso le lenti e la distanza, inchiodandogli gli occhi addosso. Gli aveva rivolto un'occhiata che non era stata né sfuggente né prolungata, né curiosa né indifferente. Talmente serena e sicura di sé da non sembrare umana. E Coy si era domandato quante generazioni di donne fossero necessarie per arrivare a guardare in quel modo. In quel momento era caduto in una confusione terribile e aveva abbassato il binocolo, turbato per averla osservata così da vicino, finché, ormai a vista d'occhio, aveva verificato che la donna era troppo distante per poter guardare lui e che quello sguardo, che si era sentito piantare fin nelle viscere, era soltanto un'occhiata casuale, distratta, rivolta di passaggio allo scafo ormeggiato e ormai lasciato alle spalle, mentre la goletta si addentrava nell'Adriatico. Coy era rimasto lì, appoggiato all'aletta, guardandola allontanarsi. E quando finalmente aveva reagito ed era tornato a inforcare il binocolo aveva solo potuto vedere lo specchio di poppa e il nome della goletta, pitturato a caratteri neri su un listone di tek: RIDDLE. "Enigma. Coy non era particolarmente intelligente. Pagina 32

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Leggeva molto, ma solo quello che riguardava il mare. Ciò nonostante aveva trascorso la sua infanzia in mezzo a nonne, zie e cugine, sulle sponde di un altro mare chiuso e vecchio, in una di quelle città mediterranee dove per migliaia di anni le donne in lutto si riunivano al tramonto per parlare sottovoce e guardare gli uomini in silenzio. Tutto ciò gli aveva inculcato un certo fatalismo atavico, un paio di opinioni e molte intuizioni. E adesso, davanti a Tanger Soto, ripensava alla donna della goletta. In fin dei conti, si disse, forse quelle due erano la stessa persona, e la vita degli uomini gira sempre intorno a una sola donna: quella che riassume in sé tutte le donne del mondo, culmine di tutti i misteri e chiave di ogni risposta. Quella che amministra il silenzio come nessun'altra, forse perché il silenzio stesso è un linguaggio che domina alla perfezione da secoli. Quella che possiede la lucidità saggia delle mattine luminose, dei tramonti rossi e dei mari blu cobalto, temprata da uno stoicismo, una tristezza infinita e una sofferenza per le quali -- Coy aveva quella strana convinzione -- una sola esistenza non basta. Era necessario, inoltre e soprattutto, essere femmina, donna, per poter guardare con un simile miscuglio di noia, saggezza e stanchezza. Per possedere quella penetrazione sottile come una lama d'acciaio, impossibile da apprendere o da imitare, nata da una lunga memoria genetica di innumerevoli vite passate a viaggiare come preda nella stiva di navi concave e oscure, con le cosce insanguinate tra rovine fumanti e cadaveri, a fare e disfare la tela per infiniti inverni, a partorire uomini per nuove Troie e ad aspettare il ritorno di eroi esausti, di quelle divinità dai piedi di terracotta che a volte amava, spesso temeva e quasi sempre, presto o tardi, arrivava a disprezzare. "Vuoi altro ghiaccio?" domandò lei. Negò. Ci sono donne, concluse quasi spaventato, che guardano così fin dalla nascita. Che guardano come in quel momento guardavano lui nella piccola sala dell'appartamento le cui finestre si aprivano sul paseo Infanta Isabel e sull'edificio illuminato di mattoni e vetro della stazione di Atocha. Ti racconterò una storia, aveva detto lei non appena gli aveva aperto la porta, richiudendola poi alle sue spalle per guidarlo nel soggiorno, scortato da un labrador dal pelo corto e dorato che adesso gli stava vicino e lo fissava con occhi scuri e tristi. Ti racconterò una storia di naufragi e di navi affondate, sono sicura che il genere ti piace, e tu non dovrai aprire bocca finché non avrò terminato. Non mi domanderai se è vera o inventata e nessun'altra cosa, e terrai la bocca chiusa per tutto il tempo, bevendo quest'acqua tonica liscia, perché sono spiacente di doverti informare che non ho gin in casa, né il bottiglia blu né di nessun altro colore. Dopo ti farò tre domande, alle quali risponderai sì o no. Poi ti permetterò di farmi una domanda, una sola, che basterà per stanotte, prima che tu faccia ritorno alla pensione a dormire... E questo sarà tutto. Siamo d'accordo? Coy aveva risposto senza esitare che sì, erano d'accordo, forse sconcertato ma incassando quella faccenda con sufficiente sangue freddo. Poi si era andato a sedere là dove lei gli indicava: un divano tappezzato di stoffa beige su un tappeto che sembrava bello, nella sala dalle pareti bianche occupata da un comò, un tavolino moresco sotto un abatjour, un televisore con videoregistratore, un paio di sedie, una cornice con una foto, un tavolo con tanto di computer accanto a una vetrina piena di libri e di carte e un mini impianto hifi ai cui altoparlanti Pavarotti -- ma forse non era lui -- cantava qualcosa di simile a Caruso. Aveva dato un'occhiata ai dorsi di alcuni libri: I gesuiti e la rivolta di Squillace. Storia dell'arte e della scienza della navigazione. I ministri di Carlo III. Applicazioni di cartografia storica. Mediterranean Spain Pilot. Modelli di una biblioteca. Navigatori e naufragi. Catalogo di cartografia storica di Spagna del Museo navale. Portolano delle coste di Spagna nel Mediterraneo... C'erano anche romanzi e letteratura varia: Karen Blixen, Lampedusa, Nabokov, Lawrence Durreli -- quello del Quartetto di cuesta de Moyano -- qualcosa che doveva chiamarsi Fuoco verde, di un certo Peter W. Pagina 33

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Rainer, Lo specchio del mare, di Joseph Conrad, e molti altri. Coy non ne aveva letto nessuno, tranne l'ultimo. Richiamò la sua attenzione un libro in inglese, intitolato Il falcone maltese. Era un esemplare usato, vecchio, e in copertina c'erano un falco nero e una mano femminile che mostrava monete e gioielli. "É la prima edizione" disse Tanger, vedendo che vi si soffermava." Pubblicata negli Stati Uniti il giorno di San Valentino del 1930, al prezzo di due dollari." Coy toccò il libro. "By Dashiell Hammett" diceva la copertina. "Author of The Dain Curse". "Ho visto il film, Il mistero del falco." "É naturale. L'hanno visto tutti." Tanger indicò uno scaffale. "Sam Spade è il colpevole del mio primo tradimento al capitano Haddock." Sullo scaffale, un po' in disparte, c'era quella che sembrava una collezione completa delle Avventure di Tintin. Accanto ai dorsi di tela dei volumi, alti e stretti, vide una piccola coppa d'argento ammaccata, e una cartolina. Riconobbe il porto di Anversa, con la cattedrale in lontananza. Alla coppa mancava un manico. "Li hai letti da bambino?" Lui continuava a guardare la coppa d'argento. "Trofeo di nuoto infantile, 19..." Era difficile leggere la data. "No" disse. "Li conosco, mi sembra di averne sfogliato qualcuno, una volta. Con un aeroplanino che cadeva in mare." "La stella misteriosa." "Sarà quello." L'appartamento, sebbene non lussuoso, era comunque al di sopra della media, con cuscini di pelle di buona qualità e un quadro autentico alla parete, un olio antico in una cornice ovale con il paesaggio di un fiume e una barca abbastanza accettabile nonostante avesse, considerò, poca vela per quel fiume e quel vento, e tende di buon gusto alle due finestre che davano sulla strada. La cucina dalla quale lei aveva portato l'acqua tonica e il ghiaccio con un paio di bicchieri aveva un aspetto pulito e luminoso, con un forno a microonde in vista, un frigorifero, un tavolo e sgabelli di legno scuro. Lei era ancora vestita quasi come al mattino, con una maglia di cotone leggera al posto della camicia, e non calzava scarpe. I piedi, nelle calze nere, si aggiravano silenziosi per la casa come quelli di una ballerina, con il labrador che la seguiva passo passo. Non si può imparare a muoversi così, pensò Coy. E una cosa che non si può apprendere deliberatamente, nel modo più categorico. Uno si muove o non si muove in una certa maniera. Una donna si siede, parla, cammina, china la testa o si accende una sigaretta in un certo modo. Alcuni di questi modi si apprendono, altri no. Ci sono modi e modi. Nessuno può superare certi limiti, per quanto si sforzi, se non ce l'ha dentro. Determinati atteggiamenti. Gesti, maniere. "Sai qualcosa in fatto di naufragi?" La domanda lo distolse dai suoi pensieri e lo fece ridere senza rumore, il naso dentro il bicchiere. "Non ho mai naufragato davvero, se ti riferivi a quello... Ma dammi un po' di tempo e vedrai..." Lei aggrottò la fronte, indifferente all'ironia. "Parlo dei naufragi passati." Continuava a guardarlo negli occhi. "Di navi affondate da tempo." Si toccò il naso prima di rispondere che in realtà non ne sapeva molto. Aveva letto qualcosa. certo. E si era immerso nei pressi di qualcuno di quegli scafi. Conosceva anche il genere di storie che sono soliti raccontarsi i marinai. "Hai mai sentito parlare del Dei Gloria?" Fece mente locale per un attimo. Il nome non gli diceva niente. "Un veliero da dieci cannoni" precisò lei. "Affondato davanti alla costa sudorientale spagnola il 4 febbraio 1767." Coy posò il bicchiere sul tavolino basso e il movimento incoraggiò il cane ad avvicinarsi e leccargli la mano. "Vieni qui, Zas" disse Tanger. "Non lo seccare." Il cane non fece una piega. Rimase accanto a Coy, leccandolo, arf, arf, e lei ritenne necessario scusarsi. In realtà non era suo. Era di un'amica con la quale aveva condiviso l'appartamento, ma l'amica era dovuta andare in un'altra città due mesi prima, per motivi di lavoro, e adesso non faceva che viaggiare. Tanger aveva così ereditato l'altra metà dell'appartamento e Zas. "Non importa" la rassicurò Coy. "A me i cani piacciono." Era vero. Pagina 34

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Specialmente quelli da caccia, che di solito erano fedeli e silenziosi. Per qualche tempo, durante la sua infanzia, aveva posseduto un setter color cannella che aveva lo stesso sguardo di Zas. Aveva anche avuto un bastardino che era salito a bordo del Daggoorv a Malaga e ci era rimasto fino a quando non l'aveva travolto un'ondata, all'altezza di Cabo Bojador. Accarezzò Zas dietro le orecchie, distratto, e il cane rimase vicino alla sua mano, scodinzolando allegramente. Arf. Allora Tanger raccontò la storia della nave affondata. Si chiamava Dei Gloria ed era un brigantino. Era partito dall'Avana il 1§ gennaio 1767, con ventinove membri d'equipaggio e due passeggeri. Nel manifesto di carico dichiarava di trasportare cotone, tabacco e zucchero destinati al porto di Valencia. Benché ufficialmente appartenesse a un armatore di nome Luis Fornet Palau, il Dei Gloria era di proprietà della Compagnia di Gesù. Da quanto si seppe in seguito, quel Luis Fornet Palau era un prestanome dei gesuiti, che grazie alla sua mediazione dirigevano una piccola flotta mercantile, incaricata di garantire il traffico di passeggeri e il commercio che la Compagnia, all'epoca molto potente, manteneva con le missioni, i villaggi indigeni e gli interessi che aveva nelle colonie. Il Dei Gloria era la nave migliore di quella flotta: la più veloce e meglio armata per un traffico minacciato dai corsari inglesi e algerini. Lo comandava un uomo di fiducia di nome Juan Bautista Elezcano: biscaglino, navigato, vicino ai gesuiti al punto che suo fratello, padre Salvador Elezcano, era uno dei principali assistenti del generale dell'Ordine a Roma. Dopo aver avanzato i primi giorni bordeggiando contro un vento contrario proveniente da est, il brigantino incontrò presto quelli del terzo e del quarto quadrante, che lo aiutarono ad attraversare l'Atlantico tra forti raffiche e acquazzoni, Il vento rinfrescò a sudovest delle Azzorre, fino a trasformarsi in una burrasca che causò danni all'alberatura e fece sì che le pompe di sgottamento lavorassero senza tregua. In quel modo il Dei Gloria raggiunse il trentacinquesimo parallelo e senza altre novità proseguì la navigazione verso est. Poi diede una virata in direzione del golfo di Cadice con l'intenzione di proteggersi dai levanti dello Stretto e, senza toccare nessun porto, oltrepassò Gibilterra il 2 febbraio. Il giorno dopo doppiò il Cabo de Gata, navigando verso nord in vista della costa. Da lì in poi le cose cominciarono a mettersi male. Il pomeriggio del 3 febbraio fu avvistata una vela a poppa del brigantino. Avanzava velocemente approfittando del vento di sudovest, e presto capirono che si trattava di uno sciabecco che li inseguiva. Il comandante Elezcano mantenne l'andatura del Dei Gloria, che navigava con il fiocco e le vele basse, ma quando lo sciabecco si trovò a poco più di un miglio notò qualcosa di sospetto nel suo atteggiamento, ragion per cui fece dare più vela. In quel momento l'altro ammainò la bandiera spagnola e, rivelandosi un corsaro, proseguì l'inseguimento in modo scoperto. Era una nave con licenza algerina, abituale in quei paraggi, che di tanto in tanto cambiava bandiera e utilizzava Gibilterra come base. Da quanto poterono stabilire più tardi, si chiamava Chergui, e la comandava un vecchio ufficiale della flotta britannica, un certo Slyne, conosciuto anche come Mizen, o Misian. In quelle acque, il corsaro godeva di un triplice vantaggio. Da una parte andava più veloce del brigantino, che vedeva la propria andatura ridotta a causa delle avarie subite all'alberatura e alle sartie. Inoltre navigava con il vento a favore, forzando il sopravvento della sua preda per inserirsi tra questa e la costa. Ma il fattore decisivo era che si trattava di una nave da guerra di capienza superiore al Dei Gloria, con un numeroso equipaggio da combattimento e almeno dodici cannoni, contro i dieci del brigantino, che per di più erano di peggiore qualità e maneggiati da marinai mercantili. Ciò nonostante la caccia impari si protrasse per il resto della giornata e per la notte. Pagina 35

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Secondo tutti gli indizi, quando non riuscì a guadagnarsi la distanza prudenziale da Aguilas per tagliare quella rotta al Chergui, il comandante del Dei Gloria tentò di raggiungere Mazarron o Cartagena, cercando la protezione dell'artiglieria dei loro forti o sperando nella fortunata coincidenza di incontrare una nave da guerra spagnola che li aiutasse. Ma l'unico risultato fu che al mattino il brigantino aveva perso un alberetto, si trovava con il corsaro addosso e non gli restava altra scelta se non quella di ammainare la bandiera o iniziare il combattimento. Il comandante Elezcano era un duro. Invece di arrendersi, il Dei Gloria aprì il fuoco non appena ebbe la nave corsara a tiro. Il duello d'artiglieria si svolse poche miglia a sudovest di Cabo Tinoso: fu breve e violento, con le navi che quasi si sfioravano, e l'equipaggio del brigantino, malgrado non fosse addestrato alla guerra, si batté con grande risoluzione. Qualche colpo fortunato fece scoppiare un incendio a bordo del Chergui, ma il Dei Gloria aveva perso l'albero di trinchetto e la nave corsara tentò l'abbordaggio. I suoi cannoni avevano inflitto gravi danni al brigantino che, con molti caduti e feriti, faceva irrimediabilmente acqua. In quel momento, per una delle strane casualità che si verificano in mare, l'incendio fece sì che il Chergui, quasi attaccato alla sua preda e con gli uomini già pronti a lanciarsi dal bordo, saltasse per aria da prua a poppa. L'esplosione uccise tutti i membri dell'equipaggio e abbatté l'altro albero del brigantino, accelerando la sua colata a picco. E mentre i resti della nave corsara ancora fumavano sul mare, il Dei Gloria affondò come un sasso. "Come un sasso" ripeté Tanger. Aveva raccontato la storia con precisione, senza inflessioni né fronzoli. Il suo tono, pensò Coy, era neutro come quello di un servizio del telegiornale. Non tralasciava il fatto che lei avesse seguito senza esitare il filo della narrazione, riferendo i dettagli senza mai un dubbio, neppure al momento di menzionare le date. Anche la descrizione dell'inseguimento del Dei Gloria era tecnicamente corretta. Ragion per cui non potevano esserci dubbi: qualunque fosse il motivo, aveva imparato bene la lezione. "Sulla nave corsara non ci furono sopravvissuti" proseguì. "Quanto al Dei Gloria, l'acqua era fredda e la costa distante. Solo l'assistente dell'ufficiale di rotta, un ragazzo di quindici anni, riuscì a nuotare fino a uno schifo calato in acqua prima del combattimento... Andò alla deriva, spinto a sudest dal vento e dalle correnti, e venne tratto in salvo il giorno dopo, a cinque o sei miglia a sud di Cartagena." Tanger fece una pausa per cercare un pacchetto di Player" s come quello che aveva con sé a Barcellona. Coy vide che apriva con cura l'involucro e si metteva la sigaretta in bocca. Gli offrì da fumare e lui rifiutò con un cenno. "Portato a Cartagena" lei si piegava per accendere la sigaretta con un fiammifero, proteggendo la fiamma nella conca delle mani, "il sopravvissuto riferì l'accaduto alle autorità della Marina. Ma non riuscirono a scoprire molto di più: era scioccato dal combattimento e dal naufragio e il" giorno dopo, quando doveva essere nuovamente interrogato, il ragazzo era sparito... In ogni modo, aveva fornito elementi importanti per chiarire l'accaduto. Precisò persino il punto in cui il veliero era affondato, perché il comandante del Dei Gloria aveva ordinato di stabilire le coordinate con le prime luci, e lo stesso ragazzo era stato incaricato di annotare la posizione sul libro di bordo. Aveva addirittura con sé, nella tasca della casacca, e poté mostrarlo, il foglio su cui aveva annotato a matita i dati di latitudine e longitudine... Disse anche che le carte usate a bordo, sulle quali l'ufficiale di rotta della nave aveva effettuato i calcoli da quando erano stati in vista della costa spagnola, erano quelle dell'Urrutia." Si fermò di nuovo mentre espirava il fumo, tenendosi con una mano il gomito dell'altro braccio, alzato per reggere la sigaretta tra le dita. Lo fece come se intendesse concedere a Coy il tempo di calcolare la portata di quell'allusione, fatta anch'essa con un tono spassionato, come il resto del racconto. E lui si toccò il naso, senza dire nulla. Pagina 36

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Ecco che cosa c'era, pensava, dietro a quella storia: una nave affondata e una mappa. Poi scosse la testa e fu sul punto di scoppiare a ridere, non per incredulità -quei racconti potevano racchiudere tanta verità quanta chimera, senza che una cosa escludesse per forza l'altra -- ma per puro e semplice piacere. La sensazione era quasi fisica: un mare, un mistero. Una bella donna raccontava il tutto come se niente fosse, e lui lì, seduto, ad ascoltare. Quello che meno contava era che la storia del Dei Gloria fosse o meno quello che lei credeva essere. Per Coy si trattava di qualcos'altro: una sensazione che lo commuoveva profondamente, proprio come se quella strana donna, all'improvviso, avesse alzato un'estremità del velo; un vuoto dal quale si affacciava qualcosa della stessa singolare materia di cui sono intessuti certi sogni. La cosa, probabilmente, aveva molto a che vedere con lei e con le sue intenzioni, che lui ignorava, ma soprattutto aveva molto a che vedere con lui. Con quanto fa sì che certi uomini mettano un piede dopo l'altro e percorrano strade che portano fino al mare, e lì si aggirino per i porti, mentre sognano di mettersi in salvo dietro l'orizzonte. Per questo Coy sorrise senza dire nulla e vide che lei socchiudeva appena gli occhi, come se le desse fastidio il fumo della propria sigaretta, ma seppe che quanto davvero la sconcertava era, in effetti, il sorriso di lui. Lui non era un intellettuale e neppure un seduttore, e non sapeva usare le parole giuste. Era anche consapevole della corporatura rozza, delle mani rudi e delle maniere che gli erano proprie. Ma si sarebbe alzato, in quel momento, per andarle incontro e toccarle il viso, baciarle gli occhi, la bocca, le mani, se non avesse temuto che quel gesto potesse essere interpretato in modo pessimo. L'avrebbe fatta stendere sul tappeto, avvicinando le labbra alle sue orecchie, ringraziandola sottovoce perché l'aveva fatto sorridere come quando era piccolo. Perché era una donna bella e così affascinante ai suoi occhi. Perché gli aveva ricordato che c'era sempre una nave affondata, un'isola, un ridosso, un'avventura, un posto da qualche parte al di là del mare, nella linea sfumata che confonde i sogni con l'orizzonte. "Stamattina" disse lei "hai affermato di conoscere bene quella costa... É vero?" Lo guardava interrogativa, immobile, con la mano ancora sotto il gomito e la sigaretta tra le dita, in alto. Vorrei proprio sapere, pensò lui, come fanno a tagliarle i capelli per ottenere quell'effetto così asimmetrico e allo stesso tempo perfetto. Vorrei sapere come diavolo fanno. "É questa la prima delle tre domande?" "Sì." Alzò un po' le spalle. "Certo che è vero. Quando ero bambino facevo il bagno nelle sue cale, e in seguito ho navigato lungo quel litorale centinaia di volte, scandagliandolo molto da vicino e anche in profondità. " "Sapresti determinare una posizione con carte antiche?" Pratica, era quella la parola. Quella che aveva davanti era una donna pratica: andava dritta al sodo. Chiunque avrebbe detto, considerò divertito, che stava per offrirgli un lavoro. "Se ti riferisci all'Urrutia, ogni possibile imprecisione di un primo in latitudine o in longitudine presuppone un miglio di errore..." Alzò una mano muovendola davanti a sé, come se prendesse riferimenti su una carta immaginaria. "In mare è sempre una questione alquanto relativa, ma ci posso provare. " Rimase a pensare a quanto aveva detto. Le cose cominciavano a quadrare, almeno in parte. Zas gli leccò di nuovo la mano quando la allungò verso il bicchiere sul tavolino. "In fin dei conti" bevve un sorso "è il mio lavoro." Lei aveva accavallato le gambe e faceva dondolare uno dei piedi scalzi, coperti dalle calze nere. Chinava leggermente la testa di lato, guardandolo, e a quel punto Coy sapeva che quel gesto rivelava riflessione o forse calcolo. "Lavoreresti per noi?" Continuava a osservarlo intensamente attraverso il fumo della sigaretta. "Voglio dire, pagandoti, naturalmente." Era rimasto con la bocca aperta da ormai quattro secondi. "Intendi per te e il museo?" "Esatto." Posò il bicchiere, chiuse la bocca, guardò gli occhi fedeli di Zas e poi diede un'occhiata in giro per la stanza. Di sotto, in strada, oltre al distributore della Repsol e alla stazione di Atocha si scorgeva, illuminato a tratti, il complesso tracciato di numerosi Pagina 37

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt binari. "Non sembri convinto" mormorò lei, prima di sorridere con fare sprezzante. "... Peccato." Si chinava per far cadere la brace della sigaretta nel posacenere e il movimento le fece aderire addosso la maglia, disegnandole la figura. Santo Dio, pensò Coy. Guardarla è quasi una sofferenza. Chissà se avrà le lentiggini anche sulle tette. "Non è questo" disse. "Sono solo stupefatto." Storse la bocca. "Non credo che il capitano di fregata, il tuo capo..." "Questi sono affari miei" lo interruppe lei. "Posso scegliermi i miei collaboratori." "Credo che alla Marina non manchino certo uomini competenti capaci di non far incagliare le loro navi." L'osservò a lungo e lui si disse: sei arrivato al capolinea, caro mio. Alzati in piedi e abbottonati la giacca, perché la signora ti spedirà fuori a calci in culo. E te lo meriti, spiritoso e lingua lunga che non sei altro. Subnormale e imbecille. "Ascolta, Coy." Era la prima volta che pronunciava il suo nome guardandolo negli occhi, e lui scoprì che gli piaceva sentirlo su quelle labbra. "Ho un problema. Ho fatto ricerche, domino la teoria, possiedo i dati... Ma mi manca l'elemento indispensabile per risolvere la questione. Il mare è qualcosa che conosco solo nei libri, al cinema, sulla spiaggia... E per via del mio lavoro. Ciò nonostante, ci sono pagine, idee, che possono essere tanto intense come l'aver vissuto una burrasca in alto mare o essersi trovati con Nelson ad Abukir o a Trafalgar... Per questo ho bisogno di qualcuno che mi accompagni... Qualcuno che mi dia un sostegno concreto. Per restare in contatto con la realtà." "Lo posso capire perfettamente. Ma per te sarebbe semplice chiedere alla Marina tutto quello che ti serve." "L'ho fatto: ho chiesto te. Sei un civile e sei solo." Lo studiava, soppesandolo, tra le spirali di fumo della sigaretta. "Per me tu offri molti vantaggi. Se ti assumo, ti controllo... Comando io. Capisci?" "Capisco. " "Con un militare la cosa non sarebbe possibile." Coy annuì. Era ovvio. Lei non aveva galloni sui risvolti delle maniche, ma solo il ciclo ogni ventotto giorni. Perché era senza dubbio così. Lei era una di quelle che non sgarravano un giorno avanti o indietro. Bastava guardarla: una bionda dalla testa dura. Per lei, due più due faceva sempre quattro. "Anche così" disse "immagino che dovrai rendere conto a loro." "Certo. Ma intanto mi hanno dato autonomia, una scadenza di tre mesi e un po' di soldi da spendere... Non è molto, ma mi basta." Coy guardò di nuovo fuori dalla finestra. Sotto, in lontananza, le luci di un treno si avvicinavano alla stazione come un lungo serpente di finestrini illuminati. Pensava al capitano di fregata, a Tanger che lo guardava come stava guardando lui in quel momento, per convincerlo, con quella panoplia di silenzi e di sguardi che padroneggiava così bene, a intercedere presso l'ammiraglio di turno. Un progetto interessante, signor Tizio. Una giovane competente. Figlia, certo, del colonnello Caio. Una bella ragazza, detto di passaggio. Una dei nostri. Si domandò a quante altre laureate in Storia, approdate alla carica di funzionario di un museo grazie a un concorso, dessero tanta carta bianca per cercare una nave affondata, così, di buon grado. "Perché no" disse alla fine. Si era appoggiato allo schienale e aveva ripreso ad accarezzare Zas dietro le orecchie. Sorrideva, divertito dalla situazione. In fin dei conti, tre mesi insieme a lei rappresentavano un guadagno favoloso in cambio del sestante Weems Plath. "Dopotutto" aggiunse, come se stesse riflettendo, "non ho niente di meglio da Pagina 38

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt fare." Tanger non dava l'aria di essere né particolarmente soddisfatta né delusa. Aveva solo piegato un po' la testa, come in altre occasioni, e ancora una volta le punte dei capelli le sfioravano il viso. I suoi occhi non si perdevano un dettaglio di Coy. "Grazie. " Lo disse infine, quasi sottovoce, quando lui cominciava a domandarsi perché restasse zitta. "Di niente." Coy si stava toccando il naso. "E adesso tocca a me... Hai promesso che mi avresti concesso una domanda con relativa risposta... Cos'è che cercate esattamente?" "Già lo sai. Cerchiamo il Dei Gloria." "Questo è ovvio. Quello che voglio sapere è perché. Intendo, cosa cerchi tu?" "Museo navale a parte?" "Museo navale a parte." La luce della lampada cadeva obliqua sul suo profilo lentigginoso, intensificando l'effetto delle volute del fumo della sigaretta che stavano per dissolversi. Il gioco di chiaroscuri dava ai suoi capelli sfumature di oro brunito. "Quella nave è la mia ossessione da tempo. E adesso credo di sapere dove si trova." Quindi era così che stavano le cose. Coy si dovette trattenere per non darsi una manata sulla fronte, rimproverandosi la propria stupidità. Guardò la fotografia nella cornice: Tanger adolescente, capelli chiari, lentiggini e una maglietta larga sulle cosce scure e nude, si appoggiava al petto di un uomo di mezz'età, camicia bianca, capelli corti e carnagione abbronzata. Una cinquantina d'anni lui, calcolò. E forse quattordici lei. Sullo sfondo un paesaggio con spiaggia e mare. Si notava anche una forte somiglianza tra la ragazza della foto e l'uomo: la forma della fronte, il mento volitivo. Tanger sorrideva all'obiettivo, e nella foto l'espressione dei suoi occhi era molto più luminosa e limpida di quella che conosceva lui. Pareva piena di aspettative, come sul punto di scoprire qualcosa, un pacchetto, un regalo o una sorpresa. Coy si sforzò di ricordare. I. sc: Legge del sorriso calante. Forse a quattordici anni si sorride sempre in quel modo alla vita, e poi il tempo piano piano ti raggela la bocca. "Bada. Non esistono più tesori sommersi." "Ti sbagli." Lo guardava severa. "A volte esistono eccome." Per convincerlo, gli parlò un po' dei cacciatori di tesori. Quei tipi esistevano davvero, con le loro mappe antiche e i loro segreti, e andavano e venivano cercando cose nascoste in fondo al mare. Li si poteva vedere all'Archivio delle Indie di Siviglia, chini su vecchi fascicoli, o quando capitavano con aria casuale nei musei e nei porti, cercando di sondare la gente senza fornire piste o destare sospetti. Lei ne aveva conosciuti parecchi, che si recavano al numero 5 del paseo del Prado cercando di dissimulare le loro intenzioni, a caccia di questo o quell'indizio; chiedevano di vedere qualcosa negli archivi o di consultare antiche carte nautiche, seminando una cortina di dati falsi per nascondere le loro vere mire. Uno di loro, italiano e molto affascinante, era arrivato al colmo di fidanzarsi con una sua collega per poter accedere a documenti riservati. Si trattava di persone singolari, interessanti, a loro modo avventuriere, sognatrici o ambiziose. Sembravano per lo più studiosi topi di biblioteca, grassocci, occhialuti e via dicendo, niente a che vedere con gli individui muscolosi, abbronzati, pieni di tatuaggi che si vedevano nei film e nei reportage televisivi. Nove su dieci inseguivano sogni impossibili, e solo uno su mille centrava l'obiettivo. Coy accarezzò di nuovo Zas, scrutando gli occhi fedeli della bestia. Arf, arf. Sentiva il suo respiro grato sul polso. Umido. "A meno che tu non mi abbia mentito, quella nave non trasportava nessun tesoro. Pagina 39

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Cotone, tabacco e zucchero, hai detto." "É la verità." "E hai detto anche uno su mille, non è così?" Lei annuiva, in mezzo al fumo. Diede un altro tiro alla sigaretta e annuì ancora una volta. Guardava Coy come se non lo vedesse. "Ascolta. Il Dei Gloria aveva a bordo un mistero. Quei due passeggeri, l'intervento della nave corsara... Capisci? C'è dell'altro. Ho letto la dichiarazione del sopravvissuto negli archivi della Marina... Alcuni pezzi non combaciano. E poi la sua sparizione improvvisa. Puff. Svanito nel nulla." Aveva spento la sigaretta schiacciandola nel posacenere fino a quando l'ultima brace non si era estinta. E una ragazza tenace, si disse Coy. Nessuna, diversamente, si sarebbe lasciata prendere tanto da questa storia, e tantomeno avrebbe questi occhi da giocatrice di poker, né spegnerebbe le sigarette con tanto accanimento, come se le uccidesse. Questa sa perfettamente che cosa vuole. E io, per mia fortuna o sfortuna, mi sono trovato sulla sua strada. "Esistono tesori" disse lei "che non hanno prezzo." Coy lanciò un'altra occhiata fuori dalla finestra, verso le rotaie della ferrovia, illuminate a tratti in lontananza, e poi osservò il distributore che c'era di sotto, all'altro lato della via, a metà strada tra il portone di casa e la stazione. C'era un uomo fermo davanti al distributore, ed ebbe l'impressione che guardasse in alto, ma da un quinto piano era difficile poterlo affermare con sicurezza. Eppure, qualcosa nel suo atteggiamento o nel suo aspetto gli risultava familiare. "Aspetti qualcuno?" Lo studiò sorpresa, senza dire nulla, prima di mettersi in piedi e camminare lentamente fino a raggiungerlo. Osservava con attenzione lui, non la finestra, e alla fine, una volta arrivata, guardò verso il basso. Nel farlo, i capelli le sfiorarono il mento, nascondendole il viso. Alzò meccanicamente una mano per tirarseli indietro, e Coy si soffermò a guardare il suo profilo, indurito dal naso rotto e illuminato dalle luci della strada. Sembrava preoccupata. "Quell'uomo è lì da un pezzo" disse lui. Tanger continuava a guardare giù, senza dire nulla. Tratteneva il fiato, e alla fine sbuffò di colpo, a mo di lamentela o di fastidio. Si era fatta cupa. "Lo conosci?" domandò Coy. Silenzio di rigore. Sfinge, bautta veneziana, maschera azteca. Muta come i fantasmi del Chergui e del Dei Gloria. "Chi era il tizio con la coda? Perché discutevate l'altra notte, a Barcellona?" Zas guardava ora l'uno ora l'altra, agitando con piacere la coda. Tanger restò ancora qualche secondo in silenzio, come se non avesse sentito la domanda. Adesso posava una mano sul vetro, lasciandoci l'impronta delle dita. Era molto vicina e Coy percepì di nuovo il suo odore di carne calda e pulita. Una lieve erezione cominciò a premergli sulla tasca sinistra dei jeans. Se la immaginò nuda, appoggiata a quella stessa finestra, la luce della strada che le illuminava la pelle. Si immaginò di strapparle di dosso i vestiti e girarla verso di sé, mentre lei lo lasciava fare. Immaginò di sollevarla tra le braccia e di portarla fino al divano o al letto che si indovinava nella stanza attigua, con Zas che scodinzolava affettuosamente dalla soglia. Immaginò di impazzire e di seguirla fino al faro della fine del mondo, tra venti e naufragi, perché lei voleva da lui qualcosa di più che sfruttarlo. Immaginò tutto questo e molto altro ancora, come in una sequenza montata a flash; lo fece in modo rapido, ardente, disperato, finché all'improvviso si rese conto che lei lo stava osservando e che l'espressione dei suoi occhi era la Pagina 40

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt stessa di quella donna a bordo della goletta, davanti a Venezia, quando lui la spiava con il binocolo ed era convinto che, nonostante la distanza, gli avesse letto nel pensiero. "Ti avevo promesso una sola risposta" disse lei alla fine "ed è più che sufficiente per stanotte... Per il resto, dovrai aspettare. " Voleva andare a letto con quella donna, pensò mentre scendeva le scale facendo i gradini due alla volta. Voleva farlo non una ma molte, infinite volte. Voleva contare tutte le sue lentiggini dorate con le dita e con la lingua, e poi farla coricare, aprirle dolcemente le gambe, ed entrarle dentro e baciarle la bocca nel farlo. Baciarla lentamente, senza fretta, senza mai stancarsi, fino ad addolcire, proprio come il mare che plasma la roccia, quelle linee dure che a volte la facevano sembrare così distante. Voleva metterle scintille di luce e di sorpresa negli occhi blu marino, modificarle il ritmo del respiro risvegliarle il battito e il fremito della carne. E spiare attento nella penombra, come un paziente franco tiratore, quel momento fatto di fugace brevità, di intensità egoista, in cui una donna sprofonda assorta in se stessa e ha il viso di tutte le donne mai nate e ancora da nascere. Quello era lo stato d'animo di Coy quando uscì in strada a mezzanotte passata, con l'erezione che ripiegava svogliatamente nel suo freddo nido solitario. Per questo non ci fu nulla di strano nel fatto che, invece di proseguire lungo il marciapiede alla sua destra, guardasse a entrambi i lati del paseo Infanta Isabel, attraversasse a uno dei semafori che in quel momento erano rossi e si dirigesse dritto verso l'uomo che stava ancora accanto a uno dei pali della luce del distributore. Non si poteva proprio dire che Coy fosse un attaccabrighe. Durante le sue più strepitose licenze a terra, in quel periodo felice in cui aveva ancora navi da cui sbarcare, si era limitato a fungere da attore involontario, comparsa e spalla. Stava con gli amici quando l'atmosfera si surriscaldava e, con un bicchiere in mano, pensava qui ci scappa la rissa, immersione, allarme, allarme, immersione, e pochi secondi dopo si ritrovava a dare e ricevere pugni senza arte né parte. Succedeva specialmente ai tempi di Torpediniera Tucuman e dell'Equipaggio Sanders, quando Coy tornava a bordo con un occhio nero un giorno sì e uno no, nelle fredde albe del porto, con il bavero della giacca alzato, camminando lungo i moli umidi che riflettevano le luci giallognole accanto ai depositi, alle gru e ai contorni scuri degli scafi ormeggiati: tre, quattro, dieci uomini assonnati, barcollanti, che spesso reggevano sulle spalle compagni che trascinavano i piedi, con qualche ritardatario ai limiti del coma etilico che, smarrito l'orientamento, li seguiva più da lontano, zigzagando pericolosamente vicino alle bitte ai bordi dell'acqua. L'Equipaggio Sanders: Jan Sanders era il disegnatore delle vignette umoristiche dei calendari di pitture navali Sigma, che vedevano come protagonisti un equipaggio di marinai ubriaconi, puttanieri e malandrini che odiavano il loro comandante, un piccolo tiranno dai folti baffi, e si esibivano nelle loro catastrofi, risse e naufragi in tutti i mari e i bordelli del mondo. Comunque, calendari a parte, l'Equipaggio Sanders era composto dallo stesso Coy, dal Galiziano Neira e dal direttore di macchina Gorostiola, alias Torpediniera Tucuman, all'epoca in cui i tre navigavano sulle navi della Zoeline tra il Centro America e il Nord Europa e si cuocevano al ritmo tropicale nelle fonde e nei porti dei Caraibi, così come tremavano di freddo a New York, Amburgo e Rotterdam, quando il vento gelido spazzava la coperta e il ponte e il mercurio spariva dai termometri. Loro tre costituivano l'equipaggio base, di ruolo, anche se si aggiungeva sempre qualcuno a seconda del porto visitato. Neira era alto due metri e pesava novantacinque chili, mentre Torpediniera era qualche centimetro più basso e pesava qualche chilo in più. La cosa era utile e persino rassicurante in posti come Panama, dove, appena si scendeva a terra, consigliavano di non spingersi oltre lo spaccio franco alla fine dell'imbarcadero, perché da lì in poi c'erano sempre pistole e coltelli che aspettavano l'avventore incauto. Quando camminava tra quei due energumeni, Coy sembrava un nano: avevano braccia che assomigliavano a torticci di venti pollici, mani simili alle pale di un'elica e una forte propensione a sfasciare oggetti, bottiglie, bar e facce a Pagina 41

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt partire dal quinto whisky. Ovunque passassero, con Coy al traino, lasciavano terra bruciata. Come in quel bar di Copenaghen pieno di uomini biondi e di donne bionde che alla fine risultarono essere anch'esse uomini biondi, in cui Torpediniera Tucuman si era arrabbiato perché nell'allungare le mani aveva trovato cinquecento grammi buoni di carne dove non se li aspettava. Dopo qualche minuto di zuffa, lui e Neira avevano preso ciascuno Coy per un braccio, tenendolo sospeso per aria, e con lui in bilico in mezzo a loro si erano dati alla fuga, al trotto, in direzione del porto e della nave, con mezza dozzina di poliziotti -- inevitabilmente biondi -- alle calcagna. "Ve lo giuro, ero convinto che fosse una femmina" aveva ripetuto più di una volta Torpediniera Tucuman, tossendo, con il poco fiato che gli restava nel bel mezzo della galoppata, mentre di fianco Neira lo sfotteva per l'incidente e persino Coy rideva a crepapelle nonostante il labbro spaccato, con Torpediniera che li guardava di sbieco, alquanto scocciato. "Che non vi venga in mente di raccontarlo in giro, intesi. Che non vi venga in mente, cof, cof. Stronzi." Comunque fosse, il tipo del distributore adesso stava fermo, fissandolo mentre si avvicinava. Coy camminò verso di lui, con le mani nelle tasche della giacca e sentendo una grande energia interiore, un'esaltazione vitale che gli faceva venire voglia di parlare ad alta voce, di cantare a squarciagola o di fare a botte, con o senza Equipaggio Sanders. Era innamorato perso, cosciente della situazione, e questo, invece di inquietarlo, lo eccitava. Dal suo punto di vista, i marinai di Ulisse che si tappavano le orecchie con la cera per non sentire il canto delle sirene erano ben lungi dallo scoprire cosa si perdevano. In fin dei conti, recitava il vecchio ritornello, un marinaio senza niente da fare cerca una nave o una donna da amare. E questa era una scusa come tante altre. L'avventura, o cosa diavolo fosse, includeva nello stesso pacchetto una nave, benché affondata, e una donna. Quanto alle conseguenze dei passi, delle azioni e dei conflitti in cui la nave, la donna e il suo stesso stato d'animo lo imboccavano senza rimedio, in quell'istante -- stando ai pensieri che traduceva in parole -non gliene importava proprio un fico secco. Così arrivò al distributore puntando dritto verso il tizio che montava la guardia sotto il palo della luce, e man mano che accorciava le distanze gli tornava quella sensazione di familiarità che aveva provato prima, mentre lo osservava dalla finestra. Quando gli era ormai accanto e l'altro lo guardava avvicinarsi con palese sospetto, cominciò a collegare i fili e gli tornò in mente l'individuo bassotto che aveva visto all'asta, lo stesso che poi aveva creduto di scorgere sotto i portici di plaza Real e che adesso, senza ombra di dubbio, si trovava nuovamente davanti a lui, con un giaccone tre quarti verde loden, come se fosse pronto per una parodia di una mattina di caccia nel Sussex. L'effetto burlesco era accentuato dalla sua bassa statura e dai lineamenti che Coy ricordava bene: occhi sporgenti, aria malinconica. L'abbigliamento inglese contrastava ancora di più con il suo aspetto marcatamente mediterraneo: gli occhi e i baffi erano nerissimi, i capelli imbrillantinati e luccicanti sulle tempie, la pelle citrina, da uomo del Sud. "Cosa cazzo stai cercando?" Gli si accostò leggermente di lato, per precauzione, le mani un po' scostate dal corpo e i muscoli tesi. Più di una volta, infatti, aveva visto uomini bassi che spiccavano un salto e si attaccavano a morsi a marcantoni grandi come armadi, o impugnavano coltelli e ti rifilavano una ferita alla femorale prima che tu riuscissi ad aprire bocca. In ogni modo, era un tipo a cui non era facile prendere le misure, forse perché gli abiti gli davano un tocco tra il formale e il grottesco, una specie di incrocio tra Danny DeVito e Peter Lorre che si fosse appena rivestito da Barbour per fare un giro nella campagna inglese in un giorno di pioggia. "Chiedo scusa?" Il tizio sorrideva, triste. Coy registrò un vago accento sudamericano. Argentino, forse. O uruguayano. "Il primo incontro può essere un caso" disse. "Il secondo una coincidenza, il terzo una bella rottura di palle." L'altro sembrava riflettere sulla cosa. Pagina 42

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Notò che portava un papillon con il nodo perfetto e che le scarpe marroni erano impeccabili. "Non so cosa stia dicendo" disse alla fine. Aveva enfatizzato leggermente il sorriso. Una smorfia cortese e piuttosto afflitta. La sua era la faccia del brav'uomo, del tipo gentile, a cui i baffi davano un aspetto antico. Anche gli occhi sporgenti sorridevano nello stesso modo, fissi su Coy. "Sto dicendo" disse questi "che sono stufo di vederti dappertutto." "Le ripeto che non capisco a cosa si riferisca." Il tipo continuava a guardarlo con molto aplomb. "In ogni caso, se l'ho urtata in qualcosa, mi creda, mi dispiace..." "Ti dispiacerà di più se non mi dici cosa vai cercando." L'altro sbarrò gli occhi, come stupito di quelle parole. Sembrava sinceramente addolorato dalla minaccia. Non è proprio il caso, diceva la sua espressione. Non è da bravo ragazzo come te dire certe cose. "Mettiamoci d'accordo, don Puzzone" disse. "Cosa cazzo hai detto?" "Intendo dire, signore, che non è il caso di inasprirsi." Aveva davvero una strana pronuncia sudamericana. Mi sta sfottendo, pensò Coy. Questo figlio di puttana se la sta ridendo alle mie spalle. Esitò un attimo, indeciso tra mollargli un pugno in faccia, all'istante, o spingerlo in un angolo e perquisirgli le tasche per scoprire chi accidenti fosse. Era lì lì per decidere quando vide che il benzinaio era uscito dalla guardiola e lo scrutava, curioso. Può anche darsi che sia fuori strada, si disse. Che stia per scatenare un gran putiferio, per fare a botte di santa ragione senza più alcuna possibilità, a cose fatte, di aggiustare i cocci rotti. Guardò in alto, alle finestre dell'ultimo piano. Erano tutte spente. Lei si era disinteressata della faccenda o forse era rimasta lì, al buio perché la luce non tradisse la sua presenza, a guardarli. Coy si toccò il naso, perplesso. Gran bella situazione, davvero. Allora vide che il nano malinconico si era spostato un po' verso il marciapiede e fermava un taxi. Proprio come una pedina degli scacchi che avesse deciso di cambiare casella. Restò un attimo davanti al distributore a osservare le finestre buie del quinto piano. Qui mi stanno tendendo un bel trabocchetto, pensava. Con tanto di pubblico e picadores in attesa. E io mi lascio imbarcare come un ucraino ubriaco. Immaginò che Tanger fosse ancora lassù, a guardarlo al buio, ma non riuscì a scorgere il benché minimo movimento. Rimase immobile ancora un attimo, con la testa rivolta verso l'alto, sicuro che lei avesse visto tutto, mentre soffocava l'impulso di tornare di sopra e chiederle spiegazioni. Ciaff, due sberle con il dorso della mano, lei che finisce sul divano. Posso spiegarti tutto e poi ti amo. E poi lacrime e una bella scopata. Scusami se ti ho preso per un cretino e via dicendo. Bla, bla, bla. Sbatté le palpebre tornando in sé, nel bel mezzo di un sospiro che fu quasi un gemito. Ci devono essere delle regole in tutto ciò, congetturava. Regole che io non conosco e lei sì. O forse regole che lei stessa stabilisce. E probabilmente includono che questo sia davvero il momento di decidere se andare avanti o prendere il largo: un addio con le buone e spenga la luce quando esce, e poi non venga a dire che non l'avevamo avvertita, marinaio. E pensare che credevamo di farle un favore! La questione era stabilire chi e che cosa riguardasse l'avvertimento. Era talmente confuso che si mise a camminare verso la piazzetta vicina e poi risali lentamente per calle de Atocha; nel primo bar aperto che gli capitò a tiro -- nemmeno lì avevano il gin bottiglia blu -- restò silenzioso al bancone guardando il drink che aveva chiesto, senza neanche assaggiarlo. Pagina 43

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Il locale era una vecchia osteria con il bancone di zinco, le sedie di formica, un televisore acceso e foto del Rayo Vallecano appese al muro. Non c'era nessuno tranne il cameriere, un uomo magro con un tatuaggio sul dorso della mano, al quale la camicia piena di macchie d'unto dava un aspetto infame mentre spazzava con aria sprezzante la segatura dal pavimento, pieno di tovagliolini di carta appallottolati e gusci di gamberi. Coy aveva davanti a sé uno specchio con la pubblicità della birra San Miguel e la sua faccia si rifletteva tra la lista di spuntini e piatti che vi era scritta sopra a caratteri bianchi. Vedeva i propri occhi esattamente tra le parole "lonza con pomodoro e polipo in vinaigrette", e la cosa non poteva certo risollevargli il morale. Lo studiavano con sospetto, interrogandolo sui passi che pensava di fare nelle ore successive. "Voglio andarci a letto" disse al cameriere. "Lo vorremmo tutti" rispose quello, filosofico, senza smettere di spazzare. Coy annuì e alla fine si portò il bicchiere alle labbra. Bevve un sorso, si guardò di nuovo allo specchio e fece una smorfia. "Il problema" disse "è che non gioca pulito." "Quando mai lo fanno?" "Ma è bellissima. Quella sgualdrina." "Lo sono tutte." Il cameriere aveva posato la scopa in un angolo e, tornato dietro al bancone, si era servito una birra. Coy lo guardò bere lentamente, scolare mezzo bicchiere senza prendere fiato, poi si mise a osservare le foto del Rayo, per terminare con il manifesto di una corrida svoltasi a Las Ventas sette anni prima. Si sbottonò la giacca e infilò le mani nelle tasche dei jeans. Ne estrasse alcune monete, le allineò sul banco e giocò a farne passare una tra le altre due senza muovere la prima e senza toccare la seconda. "Mi sto cacciando nei guai." Stavolta il cameriere non rispose subito. Osservava la schiuma della birra sul bordo del bicchiere. "Lei ne vale comunque la pena" disse dopo un attimo. "Non lo so ancora." Coy fece spallucce. "C'è una nave affondata, come nei film... E ho l'impressione che ci siano persino i cattivi." L'altro lo guardò per la prima volta. Sembrava leggermen te interessato. "Pericolosi?" "Non ne ho la più fottuta idea." Rimasero ancora un po' senza parlare. Continuò a giocherellare con le monete e bevve un paio di sorsate mentre il cameriere finiva la sua birra alla spina, appoggiato all'estremità del bancone. Poi estrasse un pacchetto di sigarette da sotto il bancone e si mise a fumare senza offrirne a Coy. Il tatuaggio che aveva sulla mano mostrava quattro punti blu tra le nocche del pollice e dell'indice: un tipico marchio carcerario. Era giovane, per cui non poteva averci passato molti anni. Due o tre, calcolò. Quattro o cinque. "Ho la sensazione" disse Coy "che andrò avanti con que sta storia." Il cameriere annuì lentamente e non disse nulla. Allora Coy lasciò due monete sul bancone, si rimise in tasca il resto e uscì in strada. 4. Latitudine e longitudine. Mi chiedi a che latitudine e longitudine mi trovo; non ho neppure idea di cosa siano la latitudine e la longitudine, ma sono due parole fantastiche L. CARROLL, Alice nel paese delle meraviglie Zas scodinzolava disteso per terra, con la testa posata su una scarpa di Coy. Un raggio di sole entrava obliquo attraverso la finestra, facendo brillare il pelo dorato del labrador e anche il compasso, le righe parallele e il goniometro che stavano sul tavolo, comprati quella stessa mattina nella libreria Robinson. Le parallele e il goniometro erano Blundell Harling e il compasso un W. a H. C. di ottone e acciaio inossidabile che Coy aveva ordinato, con due matite morbide, una gomma da matita, un quaderno a quadretti e le ultime edizioni aggiornate del libro dei fari e del portolano numero 3 dell'Istituto idrografico della Marina, corrispondente alle coste spagnole del Mediterraneo. Tanger Soto aveva pagato con la carta di credito, e adesso tutto quel materiale stava sul tavolo della sala dell'appartamento del paseo Infanta Isabel. C'era anche l'Atlante di Urrutia, aperto alla carta numero 12, e Coy passava le dita sulla superficie leggermente rugosa del foglio spesso, bianco e intatto, Pagina 44

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt sopravvissuto a duecentocinquant'anni di guerre, catastrofi, incendi e naufragi. "... dal Monte Cope fino alla Torre Herradora o Horadada..." Il rilievo comprendeva sessanta miglia di costa, orizzontale e in direzione est verso il Cabo de Palos, verticale da lì verso il nord, come due lati di un rettangolo che includeva il lago d'acqua salata del Mar Menor, separato dal Mediterraneo dalla stretta striscia di sabbia della Manga. Tranne l'errore notato la prima volta che aveva visto la carta -- Palos a un paio di primi a sud della sua latitudine reale -- il tracciato della costa era rigoroso per l'epoca: l'ampia baia sabbiosa di Mazarron a ponente del Cabo Tinoso, la costa rocciosa e l'insenatura del Portus a levante, il porto di Cartagena con la minacciosa crocetta che indicava la secca dell'isola di Escombreras nello stretto, e poi di nuovo gli scogli fino al Cabo de Palos e le sinistre Islas Hormigas, con l'unico spazio di manovra della baia di Portman, che la carta mostrava ancora libera del fango delle miniere che l'avrebbero ostruita anni dopo. L'incisione era di una straordinaria qualità, con leggere punteggiature e linee sottili per indicare diversi elementi geografici. E aveva, come il resto delle illustrazioni dell'atlante, un bel riquadro in alto, nell'angolo sinistro: "Presentata al re nostro signore dall'ecc. mo signor don Zenon de Somodevilla, marchese di Ensenada, e realizzata dal signor capitano di vascello don Ignacio Urrutia Salcedo". Oltre alla data, "Anno 1751", il riquadro conteneva anche l'indicazione: "Le cifre delle quote di scandaglio sono in braccia corrispondenti a due vare castigliane" Coy fermò il dito su quella riga e guardò Tanger, inquisitivo. "Una vara castigliana" disse lei "era formata da tre dei cosiddetti piedi di Burgos. Erano ottantatré centimetro e mezzo... La metà di quelle che per voi marinai sono le braccia. Sei piedi fanno un braccio spagnolo." "Un metro e sessantasette centimetri." "Esatto. " Coy annuì, tornando a guardare la carta per osservare i numerini che indicavano sponde di profondità in prossimità di fonde, capi e scogliere. Ai giorni nostri le sonde sono elettroniche e in mezzo secondo forniscono il rilievo esatto del fondo marino con le sue profondità, ma a metà del XVIII secolo quei dati potevano essere ricavati solo mediante il laborioso sforzo che consisteva nel sondare a mano con lo scandaglio, una lunga sagola con una zavorra di piombo all'estremità. Se le quote di scandaglio indicate dall'Urrutia erano in braccia, sarebbe stato necessario trasformare in metri ciascuna di quelle indicazioni di profondità, per farle coincidere con le attuali carte spagnole. Ogni due unità sulla carta di Urrutia diventavano così, approssimativamente, tre metri e mezzo. C'erano due tazze di caffè vuote a un angolo del tavolo, accanto alle matite e alla gomma. C'era anche un posacenere pulito e un pacchetto delle sigarette inglesi che lei di quando in quando si accendeva. Dal piccolo stereo sulla credenza proveniva una musica: qualcosa di antico, probabilmente francese o italiano, molto piacevole; una melodia che a Coy fece immaginare giardini con siepi tagliate geometricamente, fontane di pietra e palazzi in fondo a viali dritti. Guardò il profilo della donna china sulla carta nautica. Le si addiceva, pensò. Quella musica le donava, proprio come l'ampia camicia cachi che portava aperta sulla maglietta di cotone bianca: una camicia maschile, militare, con grandi tasche. L'abbigliamento casual le stava bene come quello elegante, con i jeans che le disegnavano sottili grinze all'inguine e accanto alle ginocchia, e scoprivano le caviglie nude -- anch'esse coperte di lentiggini, aveva constatato con deliziato stupore -sulle scarpe da tennis. Chinandosi con attenzione, Coy studiò le scale di latitudine e longitudine. Da quando i fenici avevano cominciato ad attraversare il Mediterraneo, tutta la scienza nautica era tesa a fornire al marinaio la sua posizione sulle carte. Stabilita questa, era possibile conoscere la rotta da seguire e i suoi pericoli. Le carte, i portolani e le rotte non erano altro che guide utili, manuali per applicare fisicamente i calcoli astronomici, geografici, cronometrici e la combinazione di questi, che permettevano, in modo diretto o per stima, di ottenere la collocazione in meridiani -- latitudine nord o latitudine sud Pagina 45

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt rispetto all'equatore -- e in paralleli -- longitudine est o longitudine ovest rispetto al meridiano corrispondente. La latitudine e la longitudine aiutavano a stabilire le proprie coordinate su una carta idrografica, utilizzando le scale situate nella sua cornice. Scale che, nelle carte moderne, erano descritte in gradi, primi e decimi, dove ogni primo equivaleva a un miglio nautico convenzionale di 1852 metri. La posizione in paralleli si stabiliva usando la scala che figurava nella parte superiore e inferiore di ogni carta; e la posizione in meridiani usando quella che stava a destra e a sinistra. Poi, con l'aiuto del compasso e delle righe parallele, si facevano incontrare le linee di entrambe le posizioni e dove esse si intersecavano, se i calcoli erano stati corretti, si trovava la nave. La questione si complicava con ulteriori fattori, come la declinazione magnetica, le correnti marine e altri elementi che richiedevano calcoli supplementari. C'era inoltre una grande differenza tra il navigare con le carte piane usate dagli antichi, in cui meridiani e paralleli avevano la stessa lunghezza sulla carta, e il farlo con le carte sferiche, più aderenti alla forma reale della Terra, con la distanza tra meridiani che si accorcia quanto più ci si avvicina ai poli. Da Tolomeo a Mercatore, la transizione era stata lunga e complessa. I rilievi idrografici avevano cominciato ad avvicinarsi alla perfezione solo alla fine del XVIII secolo, con l'applicazione del cronot marino per determinare la longitudine. Quanto alla latitudine, questa si stabiliva sin dall'antichità in base a osservazione e alla declinazione astronomica: la balestriglia, l'ottante, il sestante moderno. "Qual era la posizione del Dei Gloria nel momento in cui è affondato?" "4§5l" di longitudine est... La latitudine era di 37§32' nord." Gli aveva risposto senza esitazione. Coy fece un cenno affermativo e si chinò un po' di più per stabilire quelle coordinate sulla carta spiegata sul tavolo. Sentendo che si muoveva, Zas si agitò leggermente, alzò il muso e poi tornò a posarlo sulla sua scarpa. "Devono aver stabilito le proprie coordinate prendendo rilievi a terra" disse Coy. "É la cosa più probabile, se navigavano in vista della costa... Non me li immagino a misurare l'altezza del sole con l'ottante nel bel mezzo di un inseguimento. Il problema ci sarebbe se si fossero ubicati a stima... In tal caso sarebbe tutto molto relativo. Calcoli velocità, direzione, scarroccio e miglia percorse. I margini di errore possono essere grandi. Ai tempi della navigazione a vela, i marinai chiamavano la posizione ottenuta a stima "punto di fantasia"" Lei lo guardava. Seria, riflessiva. Attenta a ogni singola parola. "Hai navigato molto a vela?" "Sì. Soprattutto quando ero giovane. Per un anno sono stato allievo a bordo dell'Estrella del Sur, una goletta a gabbiola trasformata in nave scuola. Ho anche passato molto tempo a bordo del Carpanta, la barca a vela di un amico... E poi ci sono i libri, naturalmente. Di letteratura e di storia." "Sempre sul mare?" "Sempre. " "E la terra?" "La terra preferisco averla a venti miglia dal traverso." Tanger annuì, come se quelle parole le confermassero. "Il combattimento è stato dopo l'alba" notò alla fine. "Era già chiaro." "Allora la cosa più probabile è che abbiano preso i punti di riferimento a terra. Rilievi. Poi sarebbe stato sufficiente incrociarne due per stabilire le coordinate... Immagino tu sappia come si fa." "Più o meno" disse mentre sorrideva, incerta. "Ma non l'ho mai visto fare a un vero marinaio." Coy prese il goniometro, un quadrato di plastica trasparente su cui era impressa la graduazione dei trecentosessanta gradi della circonferenza numerati di dieci in dieci. Ciò permetteva di calcolare le rotte con esattezza, trasportando le indicazioni Pagina 46

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt della bussola magnetica della nave sulla carta delle mappe nautiche. "É facile: cerchi un capo o qualcosa che tu possa identificare." Mise la gomma sulla carta, in modo da rappresentare una nave immaginaria, e portò il goniometro fino alla costa più vicina. "Poi trovi le coordinate con la bussola, e ti dà, per esempio, 45§ rispetto al nord. E così torni alla carta e tracci una linea opposta a quel punto, in direzione dei 225§ Vedi? Poi prendi un altro punto di riferimento che sia separato dal primo in un angolo chiaro: un altro capo, un monte, qualsiasi cosa. Se ti dà, per esempio, 315§, tracci la linea opposta sulla carta, in direzione 135§ Dove le due linee si intersecano c'è la tua nave. Se i punti di riferimento a terra sono chiari, il metodo è sicuro. E se lo completi con una terza misurazione, ancora meglio." Tanger faceva boccuccia, pensierosa. Guardava la gomma con la stessa attenzione che avrebbe riservato a una nave che stesse navigando al largo di quella costa stampata sulla carta. Coy prese una matita e ripercorse il disegno. "Quella costa ha spiagge basse e sabbiose" spiegò "ma soprattutto zone scoscese, con rupi alte. Ci sono un sacco di punti di riferimento per determinare a vista le coordinate... Immagino che l'ufficiale di rotta del Dei Gloria possa averlo fatto con facilità. Forse lo ha fatto durante la notte, se c'era la luna e la costa si profilava bene... Anche se questa è l'ipotesi più difficile. A quei tempi non c'erano i fari, come oggi. Qualche torre con una lanterna, al massimo. Ma dubito che ce ne fosse una da quelle parti." Certo che no, si disse guardando la carta. Sono sicuro che quella notte tra il 3 e il 4 febbraio 1767 non c'era luce né alcun altro riferimento incoraggiante, né una guida, niente di niente, salvo forse la linea della costa che si stagliava sotto la luna dal fianco di sinistra. Riusciva a immaginare la scena: tutte le vele al vento, il Dei Gloria che navigava al lasco con il vento che fischiava nelle sartie e la coperta del brigantino sbandata a dritta, il rumore dell'acqua che scorreva accanto al bordo e i lampi del chiarore lunare sul mare mosso sopravvento. Un uomo di fiducia alla ruota del timone, la guardia tesa e all'erta che scrutava nell'oscurità, alle spalle. Neanche una luce a bordo, e il comandante in piedi sulla coperta, che guarda in alto con una faccia preoccupata, verso la spettrale piramide di tela bianca spiegata, attento ai cigolii e domandandosi se l'alberatura e le sartie danneggiate dal temporale dell'Atlantico reggeranno. Silenzioso perché nessuno degli uomini che si fidano di lui indovini la sua inquietudine, ma calcolando mentalmente distanza, scarroccio, rotta, bordi, con l'angoscia di chi sa che una decisione sbagliata porterà la nave e l'equipaggio al disastro. Di sicuro ignora ancora la sua posizione esatta, e questo lo fa sentire ancora più inquieto. Coy lo immagina adocchiare il contorno nero della costa che si profila a due o tre miglia, vicina ma irraggiungibile, tanto pericolosa nel buio quanto i cannoni del nemico, e dopo girarsi indietro, come fanno i membri dell'equipaggio, verso la notte in cui, a tratti invisibile, a tratti invece confusamente delincato come un'ombra vaga, naviga fendendo il mare lo sciabecco corsaro che dà loro la caccia. Poi lancia nuove occhiate alla costa, alla notte che ha davanti e al mare a poppa, quindi ancora in alto, attento al rumore proveniente da lassù, dove le stelle sembrano oscillare, allo schioccare delle sartie o al cigolio degli alberetti che raggela il cuore degli uomini raggruppati accanto alle sartie di sopravvento, sagome nere e silenziose nel buio. Uomini che, come lo stesso comandante, tutti eccetto uno, il giorno seguente a quell'ora saranno morti. "Come vedi le nostre possibilità?" Coy sbatté le palpebre, come se tornasse proprio in quell'istante dalla coperta del brigantino. Tanger lo guardava con attenzione, aspettando una risposta. Pagina 47

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Era evidente che anche lei aveva esaminato la cosa sotto tutti gli aspetti, ma desiderava sentirlo dalla sua voce. Lui si strinse nelle spalle: "Il primo problema è che l'equipaggio del Dei Gloria ha stabilito le proprie coordinate su questa carta, e non su quelle moderne. E noi dobbiamo invece farlo su quelle, benché prendiamo questa come punto di partenza... Converrebbe calcolare le differenze tra l'Urrutia e le carte attuali. Misurare il tutto in gradi esatti e via dicendo. Sappiamo già che il Cabo de Palos sull'Urrutia figura un paio di primi più a sud" e indicò la carta con la matita. "... Come puoi vedere, tutta la linea della costa a partire dal Cabo de Agua è stata disegnata come se fosse pressoché orizzontale, quando in realtà sale un po' obliquamente, così, verso nordest. Confronta il punto in cui si trova la secca delle Hormigas nell'Urrutia e dove sta invece sulla carta moderna." Prese il compasso, calcolò la distanza del Cabo de Palos dal parallelo più vicino e poi portò lo strumento sulla scala verticale alla sinistra della carta, per misurarla in miglia. Lei seguiva i suoi movimenti con attenzione, la mano immobile sul tavolo, vicinissima al braccio di Coy. I capelli biondi e dritti le cadevano di nuovo sul viso, sfiorandole il mento. "Dobbiamo calcolarla esattamente..." Coy annotava le cifre a matita su un foglio del quaderno. "Vedi?... I 37§35' dell'Urrutia diventano per noi... Ecco: 37§38' di latitudine reale. In realtà, 37§37' e una trentina o quarantina di secondi che, espresso in numeri per una carta nautica moderna, dove i secondi figurano come una frazione decimale aggiunta ai primi, risulta 37§37,5' Il che significa due miglia e mezzo di errore qui, sulla punta del Cabo de Palos. E forse addirittura un miglio a Cabo Tinoso. Una simile differenza è essenziale quando si tratta di un relitto... Di una nave affondata. Può dare le coordinate vicino alla costa, a venti o trenta metri, dove risulterebbe facile raggiungerlo, o troppo lontano, con quote di scandaglio sempre crescenti che passano a cento, duecento o più metri, rendendo impossibile l'immersione o anche la semplice localizzazione." Si fermò a guardarla. Osservava, sempre a capo chino, le cifre che indicavano le profondità sulla carta. Era evidente che Tanger era perfettamente consapevole di quelle complicazioni. Forse le serviva solo sentire qualcuno che gliele confermasse ad alta voce, pensò Coy. Forse pretendeva che le dicessero che l'impresa era possibile. La questione era comunque sempre una: perché toccasse proprio a lui farlo. "Credi di poter scendere fino a cinquanta metri?" domandò lei. "Immagino di sì. Mi sono spinto poco oltre i sessanta, benché il limite di sicurezza sia quaranta metri. Ma all'epoca avevo vent'anni di meno... Il problema è che a quelle profondità puoi restare sotto pochissimo, almeno con la normale attrezzatura ad aria compressa... Tu non fai immersioni?" "No, ho paura. E tuttavia..." Coy continuava a tirare le somme. Marinaio. Sub. Con una certa conoscenza della navigazione a vela. Era un dato di fatto, si disse: lei non lo teneva certo lì con sé per il piacere di fare conversazione. Non farti illusioni, ragazzo. Non le interessa la tua bella faccia. Anche ammettendo che la tua faccia sia mai stata bella. "Fino a che profondità conti di poter arrivare?" indagò Tanger. "Intendi lasciarmi scendere da solo, senza controllare le mie mosse?" "Mi fido di te." "E proprio questo che mi insospettisce. Pagina 48

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Che ti fidi tanto di me. " Nel dire "mi fido di te" si era finalmente girata a guardarlo. Maledetta, pensò. Si direbbe che passa le notti a programmare ogni singola mossa. Osservò la catena d'argento che spariva nella scollatura della maglietta bianca, verso gli insinuanti volumi che si disegnavano sotto la camicia aperta. Non senza una certa fatica, soffocò l'impulso di tirargliela fuori e dare un'occhiata. "Se non utilizza attrezzature speciali, un sommozzatore non può scendere senza problemi oltre gli ottanta metri" spiegò. "E già questa è una profondità notevole. Inoltre, se lavora si stanca e consuma più aria, e tutto si complica... Bisogna usare miscele e tabelle di decompressione dettagliate..." "Non è tanto in profondità. Almeno, così credo." "Hai già fatto i tuoi calcoli?" "Limitatamente alle mie possibilità." "Sembri molto sicura." Coy sorrideva. Lo accennò soltanto, ma lei non parve gradirlo. "Se fossi molto sicura non avrei bisogno di te." Lui si buttò indietro, appoggiandosi allo schienale della sedia. A quel movimento Zas si drizzò e gli diede un paio di affettuose leccate sul braccio. "In quel caso" valutò "probabilmente l'immersione sarà possibile. Benché questa faccenda delle coordinate rimanga sempre relativa, anche nelle carte moderne e nel GPS. Non è facile trovare una nave, o quello che ne resta. E ancor meno una nave affondata da due secoli e mezzo... Dipende dalla natura del fondo e da molte altre cose. Il legno può essere andato al diavolo, così come il relitto può essere coperto dal fango. E poi ci sono le correnti, la scarsa visibilità..." Tanger aveva preso il pacchetto di sigarette, ma si limitava a rigirarlo tra le dita. Osservava i lineamenti dell'Eroe. "Hai molta esperienza come sommozzatore?" "Abbastanza. Ho fatto un corso presso il centro immersioni della Marina, e un paio di estati ho lavorato ripulendo gli scafi delle navi, con una spazzola di ferro e senza vedere oltre il mio naso. Durante le vacanze, poi, ripescavo anfore romane con Pedro il Secondo." "Chi è questo Pedro il Secondo?" "Il proprietario del Carpanta. Un amico." "Adesso è proibito." "Cosa, avere degli amici?" "Pescare anfore." Aveva posato il pacchetto e guardava Coy, che credette di notare in quello sguardo una scintilla di attenzione speciale. "Lo era anche allora" ammise. "Ma l'illegalità rendeva la cosa ancora più emozionante. E poi nessun guardacoste ti viene a frugare nella borsa quando sali da un'immersione in un porto dove ti conoscono. Tu lo saluti, lui ti saluta, sorridi ed è fatta. In quel periodo, davanti a Cartagena, la costa era un immenso campo di ritrovamenti archeologici. Io cercavo soprattutto colli di anfore, che sono molto belli, e vasellame... Usavo una racchetta da ping pong per rimuovere la sabbia che le copriva. Ne ho racimolate a dozzine." "E cosa ci facevi con tutta quella roba?" "La regalavo alle mie ragazze." Non era vero, o almeno non del tutto. Una volta a terra, mettendole discretamente in mostra proprio sotto il naso dei carabineros, Coy e il Secondo avevano venduto quelle anfore a turisti e antiquari, dividendosi i guadagni. Quanto alle ragazze, Tanger non domandò se erano state molte o poche. In realtà, di quel periodo Coy ne ricordava con particolare affetto solo una: si chiamava Eva ed era statunitense, figlia di un tecnico della raffineria di Escombreras. Una ragazza sana, bionda e abbronzata, dai denti bianchi e la schiena da windsurfista, con cui aveva passato un'estate quando lui era già un allievo dell'accademia. Rideva fragorosamente per qualsiasi cosa, aveva un bel fondoschiena ed era dolce e passiva nel fare l'amore, nelle calette nascoste tra gli scogli di roccia scura, con il mare che le lambiva le gambe, nei tramonti rossi, con la pelle coperta di sabbia e salsedine. Per un po' Coy aveva conservato sulle dita e sulle labbra il sapore della sua carne e del suo sesso: sapore di sale, di iodio, di acqua che si asciugava su Pagina 49

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt una pelle scaldata dai raggi del sole. Per anni aveva anche tenuto una sua fotografia: lei davanti al mare, a seno nudo, i capelli umidi e la testa buttata indietro, intenta a bere da un otre di vino e con i rivoli rosso sangue che le scorrevano tra i seni piccoli, insolenti, da adolescente, Da quella brava gringa che era, la sua memoria storica, ristretta a due o tre secoli soltanto, le aveva causato qualche perplessità al momento di accettare, incredula, che quel frammento di terracotta con manici regalatole da Coy -- un elegante collo d'anfora olcaria del I secolo, proveniente dal relitto del Capitdn -- avesse passato duemila anni sul fondo del mare sulle cui sponde quell'estate si erano amati. "Allora le conosci bene quelle acque" disse Tanger. Non era una domanda, ma una riflessione ad alta voce. Sembrava soddisfatta e lui fece un gesto vago sulla carta. "In alcuni punti sì. Soprattutto tra Cabo Tinoso e Cabo de Palos. Ho anche ispezionato un paio di relitti... Ma non ho mai sentito parlare del Dei Gloria." "Né tu né nessun altro. E ci sono diverse ragioni. In primo luogo, c'era qualcosa di misterioso a bordo, come dimostrano i pochi dati forniti dall'assistente dell'ufficiale di rotta e la sua strana sparizione. Inoltre, l'indicazione delle coordinate che diede alle autorità della Marina..." "Sempre ammesso che fossero autentiche..." "Dobbiamo credere che lo fossero, dal momento che non abbiamo altro." "E se invece non fosse così?" Tanger inarcò le sopracciglia, abbandonandosi contro lo schienale della sedia con un sospiro. "In quel caso tu e io avremmo perso il nostro tempo." Sembrava improvvisamente stanca, come se l'osservazione di Coy le avesse fatto considerare l'eventualità di un fallimento. Fu questione di un attimo, durante il quale restò abbandonata all'indietro guardando la carta; poi posò decisa una mano sul tavolo, riportò il mento in avanti e disse che c'erano altri motivi che spiegavano perché la nave non fosse stata cercata. La posizione fornita dall'assistente dell'ufficiale di rotta ne stabiliva le coordinate in una zona di difficile accesso ne 1767. In seguito la tecnica aveva facilitato quel tipo di immersioni, ma a quel punto il Dei Gloria era ormai sepolto sotto fascicoli e polvere, e nessuno ci aveva più pensato. "Finché non sei arrivata tu" puntualizzò Coy. "Proprio così. Poteva essere chiunque altro, ma è toccato a me. Ho trovato il documento e mi sono messa al lavoro. Cos'altro potevo fare?" Sfiorò con i polpastrelli, quasi affettuosamente, l'Eroe sul pacchetto di sigarette. "Sembrava quel genere di cose che a volte si sognano quando si è piccoli. Il mare, un tesoro..." "Hai detto che non ci sono tesori in ballo." "Ed è vero; non ce ne sono. Almeno non in lingotti d'argento, dobloni o monete da otto scudi. Ma il fascino rimane... Ti voglio mostrare una cosa." Sembrava diversa, più giovane, quando si alzò e si diresse verso i libri della mensola: forse perché si muoveva con una decisione piena di vigore che faceva ondeggiare le falde della camicia militare portata aperta, o perché i suoi occhi erano più blu marino che mai e sembravano sorridere quando tornò al tavolo con due fumetti di Tintin in mano: Il segreto del Liocorno e Il tesoro di Rakam il Rosso. "L'altro giorno hai detto di non essere un cultore di Tintin, vero?" Coy annuì a quella strana domanda e ribadì che non lo era affatto, lo conosceva solo in modo molto superficiale. Le sue letture preferite erano state L'isola del tesoro e Jerry delle isole e altri libri sul mare di Stevenson, Verne, Defoe, Marryatt e London, prima di passare con armi e bagagli a Moby Dick. Conrad era venuto dopo, con Linea d'ombra e con il tempo. "É vero che leggi solo libri sul mare?" "Sì." "Davvero?" "Davvero. Li ho letti tutti. O quasi." "E qual è il tuo preferito?" "Non c'è un preferito. Non esistono libri separati da altri. Tutti quelli che parlano del mare, dall'Odissea all'ultimo romanzo di Patrick O" Pagina 50

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Brian, sono collegati uno all'altro, come una biblioteca." "La biblioteca di Borges..." Sorrideva, e Coy si strinse nelle spalle con semplicità. "Non lo so. Non ho mai letto niente di questo Borges. Ma ciò che ho detto è vero: il mare assomiglia a una biblioteca." "Anche i libri che parlano di cosa succede sulla terraferma sono interessanti." "Se lo dici tu..." Allora lei, che si stringeva al petto i due fumetti, scoppiò a ridere, e quando lo fece sembrò una donna completamente diversa. Scoppiò a ridere in modo franco, allegro, e poi disse: "Mille milioni di mille fulmini" Lo disse gonfiando la voce, come avrebbe fatto un pirata guercio e zoppo con un pappagallo sulla spalla, e mentre il sole che entrava dalla finestra le indorava ancora di più le punte asimmetriche dei capelli, si rimise a sedere accanto a Coy, aprì i Tintin e li sfogliò. "Anche qui c'è il mare" disse. "Guarda. Qui è ancora possibile l'avventura. Una si può ubriacare mille volte con il capitano Haddock -- il whisky Loch Lomond, nel caso tu non lo sappia, non ha più segreti per me. Mi sono anche lanciata con il paracadute sull'Isola misteriosa, con la bandiera verde della FERS tra le braccia, ho attraversato innumerevoli volte la frontiera tra la Syldavia e la Borduria, ho giurato sui baffi di PleksyGladz, ho navigato a bordo del Karaboudjan, del Ramona, dello Speedol Star, dell'Aurore e del Sirius -- sono sicura che sono stata su più navi di te -- ho cercato il tesoro di Rakam il Rosso, sempre a ovest, e ho camminato sulla Luna mentre Dupont e Dupond, con i capelli rossi, lavoravano come pagliacci nel circo di Ipparco. E quando sono sola, Coy, quando sono molto, ma molto, ma molto sola, allora mi accendo una sigaretta di quelle del tuo amico, l'Eroe, faccio l'amore con Sam Spade e sogno falconi maltesi mentre convoco attorno a me, tra il fumo, i vecchi amici: Abdallah, Alcazar, Serafino, Chester, Volpino, Oliveira de Figueira, e nello stereo risuona l'aria dei gioielli del Faust in una vecchia incisione di Bianca Castafiore..." Nel parlare aveva posato i due fumetti sul tavolo. Erano edizioni antiche, con il dorso di tela blu uno e verde l'altro. La copertina del primo mostrava Tintin, Milù e il capitano Haddock con un cappello piumato, e un galeone che navigava con le vele spiegate al vento. Sull'altro, Tintin e Milù giravano sul fondo del mare a bordo di un sommergibile a forma di pescecane. "É il sommergibile del professor Girasole" disse Tanger. "Da bambina per comprare questi libri risparmiavo le mance del compleanno, dell'onomastico e delle feste natalizie, proprio come avrebbe fatto Scrooge... Sai chi era Ebenezer Scrooge?" "Un marinaio?" "No. Un taccagno. Il capo del buon Bob Cratchit." "Non ho la più pallida idea di cosa tu stia dicendo." "É lo stesso" proseguì lei. "Io raccoglievo moneta su moneta per poi correre in libreria e uscirne con uno di questi in mano, con il fiato sospeso, godendo nell'accarezzare la copertina di cartone duro, guardando i colori delle sue splendide illustrazioni... E poi, da sola, aprivo le pagine e respiravo l'odore della carta, dell'inchiostro fresco ben stampato, prima di immergermi nella lettura. Così, uno dopo l'altro, ho raccolto i ventitré numeri... É passato ormai un sacco di tempo da quei giorni, ma ancora oggi, se apro un Tintin, posso percepire quell'aroma che da allora ho associato all'avventura della vita. Insieme al cinema di John Ford e di John Huston, alle Avventure di Guglielmo e ad alcuni libri, questi fumetti hanno formattato per sempre il dischetto della mia infanzia." Aveva aperto Il tesoro di Rakam il Rosso a pagina 40. In una grande illustrazione centrale, Tintin, vestito da palombaro, si avvicinava camminando sul fondo del mare all'impressionante relitto del Liocorno affondato. "Guardala bene" disse solenne. "Questa vignetta ha segnato la mia vita." Aveva posato la punta delle dita sulla pagina con estrema delicatezza, come se temesse di poter alterare i colori. Coy, che non guardava il fumetto ma seguiva lei, notò che stava sorridendo, assente, con quell'espressione che la ringiovaniva fino a darle la stessa espressione che aveva la ragazza abbracciata dal padre nella foto incorniciata. Un'espressione felice, pensò. Di quelli che hanno ancora il contatore a zero. Dietro c'era la coppa d'argento ammaccata e senza un manico. Campionato infantile di nuoto. Pagina 51

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Primo premio. "Immagino" aggiunse lei dopo un attimo, con gli occhi ancora fissi sul libro "che anche tu abbia sognato, qualche volta." "Sicuro. " Poteva capire. Non era il fumetto, né la coppa d'argento, né la foto, né niente che avesse a che vedere con quanto lei aveva memorizzato, ma c'era un punto di contatto, un campo in cui era facile riconoscerla. Forse Tanger non era poi così diversa, in fondo. Forse, pensò, in qualche modo, anche lei è una dei nostri, benché, per definizione, chi è dei nostri navighi, cacci, combatta e coli a picco da solo. Navi che passano nella notte. Luci in lontananza, che si vedono per un po', e spesso si muovono nella direzione opposta alla nostra. A volte un rumore lontano, rombo di macchine. Poi di nuovo il silenzio quando spariscono, l'oscurità, il bagliore che si spegne nel vuoto nero del mare. "Sicuro" ripeté. Non disse altro. La sua immagine, la vignetta nel fumetto della sua memoria, era quella di un porto mediterraneo con tremila anni di storia nelle sue vecchie pietre, circondato da montagne e castelli con feritoie da cui in altri tempi spuntavano i cannoni. Nomi come forte di Navidad, diga di Curra, faro di San Pedro. Odore di acqua stagnante, di tonneggi umidi, e il libeccio che agita le bandiere delle navi ormeggiate e i gagliardetti nei palamiti dei pescherecci. Uomini immobili, pensionati oziosi davanti al mare, seduti ai pali di ormeggio di ferro vecchio. Reti al sole, fiancate arrugginite di navi mercantili attraccate ai moli; e quell'odore di sale, di catrame per calafatare, di mare antico, denso, di porti che hanno visto andare e venire molte navi e molte vite. Nella memoria di Coy c'era un bambino che si muoveva in mezzo a tutte quelle cose; un bambino bruno e magro con lo zaino pieno di libri di scuola sulle spalle, che marinava le lezioni per andare a guardare il mare, per passeggiare nei pressi delle navi dalle quali vedeva scendere uomini biondi e tatuati che parlavano lingue incomprensibili. Per veder mollare gli ormeggi che cadevano in acqua con un tonfo ed erano recuperati a bordo prima che il banco di ferro si allontanasse dal molo e la nave accostasse verso lo stretto, tra i fari, puntando verso il mare aperto, in cerca di quelle piste non battute, solo una breve scia di schiuma, che il bambino era certo un giorno avrebbe a sua volta seguito. Quello era stato il sogno, l'immagine che avrebbe segnato per sempre la sua vita: la nostalgia precoce, prematura del mare, la cui via d'accesso erano i porti vecchi e saggi, popolati di fantasmi che riposavano tra le gru, all'ombra dei depositi. Il ferro consumato dallo sfregamento dei tonneggi. Gli uomini che restavano in silenzio, immobili per ore, e per i quali la lenza, la birra o la sigaretta erano solo pretesti, perché al mondo non sembrava importargli altro che guardare il mare. I nonni che portavano i nipoti per mano e, mentre i piccoli facevano domande o indicavano gabbiani, loro, i vecchi, socchiudevano gli occhi per guardare le navi ormeggiate e la linea dell'orizzonte oltre i fari, come se si frugassero nella memoria alla ricerca di qualcosa che avevano dimenticato: un ricordo, una parola, la spiegazione a qualcosa che era successo in passato o che, forse, non era successo mai. "La gente è troppo stupida" stava dicendo Tanger. "Sogna solo le cose che vede in tv." Aveva rimesso i Tintin sulla mensola. Era in piedi, le mani nelle tasche dei jeans, e lo guardava. Adesso tutto in lei era più dolce: l'espressione degli occhi, il sorriso che aveva sulle labbra. Coy annuì, senza sapere bene perché. Forse per incoraggiarla a proseguire o per indicare che aveva capito. Veramente, cosa vorresti trovare sul Dei Gloria? Camminò lentamente verso di lui e per un momento Coy pensò, sconcertato, che gli avrebbe accarezzato il viso. "Non lo so. Ti giuro che non lo so" disse, in piedi accanto a lui, con entrambe le mani posate sul tavolo, intenta a guardare la carta nautica. "Ma quando ho letto la dichiarazione dell'assistente dell'ufficiale di rotta, trascritta nel linguaggio Pagina 52

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt secco di un funzionario, ho sentito... Quella nave affondata con tutte le vele spiegate, così come la corsara che le dava la caccia... Perché non si è rifugiata ad Aguilas? I portolani dell'epoca indicano che c'era un castello e una torre con due cannoni a Cabo Cope, e lì avrebbe potuto cercare protezione." Coy diede un'occhiata alla carta. Aguilas ne restava fuori, a sudest di Cabo Cope. "Tu l'hai sottolineato ieri, quando mi raccontavi la storia" le disse. "Forse la nave corsara si è messa tra il Dei Gloria e Aguilas, e la nostra è stata costretta a proseguire la navigazione verso est. Il vento può aver girato o esserle stato sfavorevole, o magari il comandante può aver pensato al rischio di un attracco notturno. Ci sono un sacco di spiegazioni... In ogni modo, alla fine è affondata nella baia di Mazarron. Forse ha cercato di proteggersi sotto la torre della Azohia. La torre c'è ancora, intatta." Tanger scosse la testa. Non sembrava convinta. "Può darsi. In ogni caso era un brigantino mercantile e ciò nonostante, quando si è visto perduto, ha dato battaglia. Perché invece non ha ammainato la bandiera? Forse perché il comandante era un uomo cocciuto o perché a bordo c'era qualcosa di troppo importante per consegnarlo senza opporre resistenza? Qualcosa che valeva la vita di tutti i membri dell'equipaggio e sulla quale neppure il ragazzo sopravvissuto disse una sola parola?" "Forse non ne era informato." "Forse. Ma chi erano quei due passeggeri che il manifesto di carico non identifica se non con le iniziali N. E. e J. L. T.?" Coy si grattò la fronte, stupito. "Hai il manifesto di carico del Dei Gloria?" "Non l'originale, solo una copia. L'ho avuta nell'Archivio generale della Marina di Viso del Marques... Ci lavora una mia buona amica." Tacque, ma era evidente che qualcosa le frullava in testa. Strinse le labbra e la sua espressione si inasprì subito. Tintin era ormai uscito di scena. "C'è anche un'altra cosa." Lo disse e tacque di nuovo, come se quell'altra cosa non volesse più raccontarla. Restò per un po' ferma e in silenzio. "La nave" disse alla fine "era dei gesuiti, ricordi? Di un armatore di Valencia che faceva da prestanome: Fornet Palau. D'altra parte, Valencia era il porto di arrivo... E tutto ciò avviene il 4 febbraio 1767: due mesi prima che venga pubblicato il decreto reale di Carlo III, che sancisce l'allontanamento dei gesuiti dai domini spagnoli e la confisca dei loro beni temporali... Hai idea di cosa abbia significato tutto ciò?" Coy riconobbe che in effetti la storia di Carlo III non era il suo forte. Allora lei glielo spiegò. Lo fece molto bene, in poche parole, citando date ed eventi chiave, senza dilungarsi in dettagli superflui. Il tumulto popolare del 1766 a Madrid contro il ministro Squillace, che aveva fatto vacillare la stabilità della monarchia dicendosi istigato dalla Compagnia di Gesù. La resistenza dell'ordine ignaziano alle idee illuministiche che stavano prendendo piede in Europa. L'insofferenza del monarca e la sua smania di liberarsi di loro. La creazione di un consiglio segreto, presieduto dal conte di Aranda, che preparò il decreto di espulsione, e il colpo di scena inaspettato del 2 aprile 1767, con l'esilio immediato dei gesuiti, la confisca dei loro beni e la successiva soppressione dell'ordine da parte di papa Clemente XIV... Questo era il contesto storico in cui si inscrivano il viaggio e la tragedia del Dei Gloria. Naturalmente, non c'era nessun elemento che permettesse di stabilire una connessione diretta tra una cosa e l'altra. Ma Tanger era una studiosa di storia, era abituata a considerare i fatti e a metterli in relazione tra loro, a formulare ipotesi e svilupparle. Poteva esistere un vincolo così come poteva non esserci. In ogni caso, il Dei Gloria era colato a picco. Per lo meno, e per riassumere il tutto, una nave affondata era pur sempre una nave affondata -stat rosa pristina nomine, rilevò criptica. Pagina 53

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt E lei sapeva dove. "Questo" concluse "è un motivo sufficiente per cercarla." Più parlava e più le si induriva l'espressione, come se, quando si trattava di maneggiare dati, scomparisse il fantasma della ragazzina affacciatosi poco prima dalle pagine di Tintin. Adesso le si era spento il sorriso sulla bocca e gli occhi, da evocativi, brillavano risoluti. Non era più la ragazza della foto. Ancora una volta si stava allontanando e Coy provò una certa irritazione. "E cosa mi dici degli altri?" "Quali altri?" "Il dalmata dalla coda grigia. E il nano malinconico che sorvegliava il tuo appartamento ieri notte. Non hanno l'aria degli storici, neanche da lontano. Quelli sono tipi che se ne sbattono dell'espulsione dei gesuiti e di Carlo III." Notò che esitava davanti a quell'espressione un po' volgare. O forse cercava solo la risposta più pertinente. "Questo non ha niente a che vedere con te" disse lentamente. "Ti sbagli." "Ascolta. Se io ti pago per questo lavoro..." Fammi il santo piacere, si disse lui. Questo è davvero un errore molto grave, bellezza. É un errore troppo grave, e non è degno di te. Arrivati a questo punto della traversata, non puoi fare un'uscita del genere. "Pagare? Di cosa cazzo stai parlando?" Vide perfettamente che Tanger si fermava, di sasso, sconcertata, e poi alzava una mano come per dire: "Calma, tranquillo, d'accordo, ho sbagliato, parliamone" Ma lui era furibondo. "Credi davvero che io me ne stia qui seduto perché tu intendi pagarmi?" Disse: "qui seduto" e di colpo si sentì ridicolo perché, in effetti, lo era. Si alzò in piedi spingendo via la sedia, con un movimento talmente brusco che Zas indietreggiò, sorpreso. "Mi hai frainteso" disse lei. "Non era quello che volevo dire. Ti sto solo dicendo che quegli uomini non c'entrano niente. Non c'entrano niente" ripeté. Sembrava addirittura spaventata, come se all'improvviso temesse di vedergli prendere la porta e andarsene, e mai, prima di quel momento, avesse considerato una simile eventualità. La cosa, in qualche modo strano e contorto, riempì Coy di soddisfazione. In fin dei conti, sebbene fosse per puro interesse, lei aveva paura di perderlo. Questo gli consentì di prenderci gusto. Era pur sempre qualcosa. "C'entrano tanto che o ti decidi finalmente a chiarirmi tutto o dovrai cercare qualcun altro." Era come un incubo che, tuttavia, rafforzava la sua autostima. Tutto molto amaro, al limite della rottura e della fine, ma non poteva più tornare indietro. "Non fai sul serio" disse lei. "Sicuro che faccio sul serio." Mentre parlava ascoltava la sua stessa voce, che gli sembrava quella di un estraneo, di un nemico intenzionato a buttare tutto all'aria e ad allontanare per sempre Tanger dalla sua vita. Il problema era che lui si lasciava trascinare ogni volta. Come quando Torpediniera Tucuman cominciava a sfasciare tutto e a lui non restava altro che fare un bel respiro, rassegnato, afferrare il collo rotto di una bottiglia e andare all'arrembaggio. "Senti" aggiunse. "Capisco che io ti possa sembrare uno sprovveduto... E che tu mi abbia preso per un imbecille. Sulla terraferma non sono gran cosa, in effetti. Goffo come una papera. Ma adesso mi stai trattando da ritardato mentale." "Sei qui..." "Sai perfettamente perché ci sono. Ma il problema non è questo, e se vuoi possiamo riparlarne con calma un altro giorno. A essere sincero, spero proprio di poterne riparlare un altro giorno. Per il momento, mi limito a pretendere che tu mi dica in che guaio mi sto cacciando." "Pretendere?" Lo guardava con improvviso disprezzo. "Non venirmi a dire cosa devo o non devo fare... Tutti gli uomini che ho conosciuto hanno sempre preteso di dirmi cosa dovevo o non dovevo fare." Rise tra i denti, senza ironia, quasi stanca, e Coy sentenziò che rideva con un disgusto tutto europeo. Pagina 54

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Qualcosa di indefinibile che ricordava vecchi muri imbiancati a calce, chiese con affreschi pieni di crepe e donne vestite di nero che guardavano il mare tra foglie di vite e di ulivo. Poche donne statunitensi, pensò all'improvviso, avrebbero saputo ridere così. "Io non ti dico un bel niente. Voglio solo sapere cosa vuoi da me." "Ti ho offerto un lavoro..." "Oh, merda. Un lavoro." Si dondolò sulla punta dei piedi, rattristato, come se fosse sulla coperta di una nave e stesse per balzare a terra. Poi prese la giacca e fece qualche passo verso la porta, con Zas incollato alle calcagna che trotterellava allegramente. Era raggelato. "Un lavoro" ripeté sarcastico. Lei era rimasta ferma tra lui e la finestra. Gli parve di vedere un lampo di paura nei suoi occhi. Difficile dirlo con certezza, in quel controluce. "Può darsi che credano" disse lei, e sembrava calibrare con attenzione le parole "che ci siano in ballo tesori e cose del genere... Ma non si tratta di un tesoro, solo di un segreto. Un se greto che oggi come oggi può non avere nessuna importanza, ma che mi affascina. Per questo mi sono fatta coinvolgere." "Chi sono?" "Non lo so." Coy mosse gli ultimi passi verso la porta. I suoi occhi si soffermarono per un istante sulla piccola coppa d'argento ammaccata. "É stato un piacere conoscerti." "Aspetta. " Lo osservava con estrema attenzione. Sembrava, concluse lui, un giocatore che ha in mano carte mediocri e cerca di calcolare cosa possa avere l'avversario. "Non te ne andrai" disse subito dopo. "É un bluff." Coy si mise la giacca. "Può darsi. Lo scoprirai presto." "Ho bisogno di te." "Ci sono un sacco di marinai disoccupati. E sommozzatori. E molti di loro sono stupidi proprio come me." "Ho bisogno di te." "In questo caso sai già dove sto. Spetta a te decidere." Aprì la porta lentamente, con la morte nel cuore. Per tutto il tempo finché non la richiuse dietro di sé, continuò a sperare che lei lo raggiungesse e lo prendesse per un braccio, o lo costringesse a guardarla negli occhi e gli raccontasse una cosa qualsiasi per trattenerlo. Che gli prendesse la faccia tra le mani e gli stampasse sulla bocca un bacio lungo e preciso, dopo di che col cavolo che gli sarebbero importati il dalmata e il nano malinconico, e non avrebbe avuto problemi a immergersi con lei e con il capitano Haddock e con il diavolo in persona in cerca del Liocorno o del Dei Gloria o del sogno più impossibile. Lei, però, rimase nel controluce dorato, e non fece né disse nulla. Coy si ritrovò a scendere le scale, lasciandosi alle spalle il guaito di Zas, che già sentiva la sua mancanza. Avanzava con un vuoto spaventoso nel petto e nello stomaco, la gola secca, un formicolio irrequieto all'inguine. Con una nausea che lo costrinse a fermarsi al primo pianerottolo, ad appoggiarsi al muro, e portarsi alla bocca le mani tremanti. La terra, concluse dopo averci rimuginato parecchio, non era se non una vasta coalizione che si ostinava a importunare il marinaio: aveva guglie che non figuravano sulle carte, scogli, banchi di sabbia, capi con secche traditrici. 100 101 Inoltre, era popolata da una moltitudine di funzionari, doganieri, ormeggiatori, capitani di porto, poliziotti, giudici e donne dalla pelle lentigginosa. Assorto in così lugubri pensieri, Coy vagò per Madrid per tutto il pomeriggio. Vagò come gli eroi feriti dei film e dei libri, come Orson Welles in La signora di Shangai, come Gary Cooper in I giganti del mare, come Jim inseguito di porto in porto dal fantasma del Patna. La differenza nel suo caso fu che nessuna Rita Hayworth e nessun capitano Marlow Pagina 55

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt gli rivolsero la parola, così passò inavvertito e silenzioso tra la gente, le mani nelle tasche della giacca blu, fermandosi ai semafori rossi e attraversandoli al verde, anonimo e grigio come chiunque altro. All'improvviso si sentiva incerto, spaesato, infelice. Camminò cercando avidamente i moli, il porto in cui trovare almeno, nell'odore del mare e nello sciabordio dell'acqua sotto gli scafi di ferro, la consolazione delle cose familiari. Ci mise un bel pezzo prima di rendersi conto, fermandosi indeciso in plaza de la Cibeles senza più sapere che direzione prendere, che quella città grande e rumorosa non aveva un porto. La consapevolezza arrivò con la forza di una rivelazione spiacevole e lo fece crollare, quasi traballare, al punto che si andò a sedere su una panchina, davanti alla cancellata di un giardino dal quale due militari con i cordoni nell'uniforme, baschi rossi e fucili a tracolla lo osservavano sospettosi. Più tardi, quando riprese il cammino e il cielo cominciò a colorarsi di rosso in fondo ai viali, a occidente, e poi a farsi scuro e grigio dalla parte opposta della città, ritagliando il profilo degli edifici dove si accendevano le prime luci, la sua desolazione lasciò il posto a una crescente irritazione: una rabbia repressa, fatta di disprezzo per l'immagine che lo seguiva nelle vetrine dei negozi e di collera per i passanti che lo incrociavano sfiorandolo, lo urtavano ogni volta che si fermava ai passaggi pedonali, gesticolavano stupidamente mentre parlottavano ai cellulari, gli ostruivano il passo con le borse dei grandi magazzini, incedevano in modo goffo, errabondo, e si fermavano a gruppetti a conversare. Un paio di volte restituì gli spintoni, collerico, e in qualche caso l'espressione indignata di un passante si trasformò in confusione e sorpresa nell'incontrare il suo viso indurito, lo sguardo maligno, minaccioso, gli occhi cupi come una sentenza. Mai in tutta la sua vita, neppure la mattina in cui la commissione d'inchiesta gli aveva inflitto la sospensione di due anni dalla navigazione, si era sentito tanto vicino a quell'anima in pena dell'Olandese volante. Un'ora dopo era ubriaco, senza le solite formalità del bottiglia blu o di altro colore. Era entrato in una cantina nei pressi di plaza de Santa Ana e, indicando con il dito una vecchia bottiglia di Centenario Terry, che doveva aver passato mezzo secolo a sonnecchiare il sonno dei giusti su uno scaffale, si era ritirato in un angolo provvisto di quella e di un bicchiere. "Le sbronze di cognac sono come picconate in testa" diceva Torpediniera quando cadeva in ginocchio a vomitare l'anima, dopo averne ingerito quanto bastava per parlare con cognizione di causa. "Sono necessariamente mortali. " Una volta, a Puerto Limon, a forza di trangugiare Duque de Alba Torpediniera era rimasto privo di conoscenza, in groppa una puttana piccolina che aveva dovuto strillare chiedendo aiuto perché le levassero di dosso quei cento chili che stavano per soffocarla. Poi, al suo risveglio in cabina era stato necessario cercare un furgoncino per riportarlo a bordo - aveva passato tre giorni a rigettare la zavorra biliosa, con i sudorifreddi e chiedendo a gran voce che qualche amico lo finisse una volta per tutte. Coy non aveva nessuno a cui svenire addosso quella notte, né una nave sulla quale tornare, né amici che ce lo portassero con o senza furgoncino Torpediniera si trovava chissà dove e il Galiziano Neira Si era spappolato il fegato e la milza cadendo dalla scaletta di una petroliera, un mese dopo aver ottenuto il posto da pilota portuale a Santander- ma fece comunque onore al cognac, lasciando che gli scivolasse in gola sorso dopo sorso, finché cominciò a prendere le distanze da tutto, la lingua e le mani e il cuore e l'inguine smisero di fargli male e Tinger Soto torno a essere una delle migliaia di donne che ogni giorno nascono, vivono e muoiono in questo vasto mondo, e poté verificare come la mano che andava e veniva dalla bottiglia al bicchiere si muovesse sempre più lentamente, come al rallentatore La bottiglia era circa a metà, poco al di sotto della linea di galleggiamento, quando Coy, che manteneva un minimo di buonsenso smise di bere e si guardò attorno. Tutto sembrava disposto su un piano leggermente inclinato, ma poi Si rese conto che era lui a stare tutto storto sul tavolo, a testa china. Niente di più grottesco, pensò, di uno che Si ubriaca in pubblico da solo e a modo suo. Allora si alzò molto lentamente e uscì in strada. Cercò di nascondere il proprio stato seguendo discreto i muri con la spalla per mantenersi in linea retta, parallela al filo del marciapiede. Nell'attraversare la piazza, l'aria gli fece bene. Pagina 56

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Si fermò, sedendosi su una panchina sotto la statua di Calderon de la Barca, e lì, con le mani posate sulle ginocchia, osservò la gente che passava davanti ai suoi occhi sfocati. Vide i mendicanti della bottiglia di vino, i tre uomini e la donna del giorno prima, che bevevano seduti per terra, con il loro cagnolino, sorvegliati da Robocop dalla soglia dell'hotel Victoria. Fece segno di no con la testa quando un maghrebino gli offrì uno spino di hashish, non sono certo dell'umore per una canna, amico, e finalmente, più lucido, riprese il cammino diretto alla pensione. Adesso il Centenario Terry si era diluito quanto bastava nei polmoni, nell'urina o dovunque fosse finito, tanto da permettergli di percepire in modo più nitido le immagini. E grazie a questo poté vedere che il dalmata, vale a dire il tipo di Barcellona con la coda grigia e gli occhi di due colori diversi, era seduto ad aspettarlo a un tavolo del bar, accanto alla porta, con un bicchiere di whisky in mano e le gambe accavallate. "Deve capire" concluse il tipo. - Loro vogliono che noi le scopiamo. O forse vogliono che a noi venga voglia di scoparle. Ma soprattutto vogliono farcela pagare per questo. Succhiandoci i soldi, la libertà, il raziocinio... Nel loro mondo mi creda, la parola "gratis" non esiste." Era ancora lì, con il whisky in mano, senza battere ciglio e Coy gli si era seduto davanti, e ascoltava. Aveva superato la sorpresa iniziale già da un pezzo e ora lo seguiva con interesse, davanti a un bicchiere in cui c'erano acqua tonica ghiaccio e limone che non aveva neppure toccato. Il cognac gli scorreva ancora dolcemente nel sangue. A tratti il dalmata faceva tintinnare il ghiaccio nel bicchiere, ne guardava il contenuto e se lo portava alle labbra, pensieroso, per bere un sorso prima di proseguire la conversazione. Coy ebbe la conferma che il suo spagnolo aveva un vago accento straniero una via di mezzo tra l'andaluso e il britannico "E lasci che le dica una cosa: quando una decide di andare dritta per la propria strada infischiandosene delle conseguenze, allora non c'è verso di farla desistere... Glielo dico io. Quando finalmente prendono una decisione, qualunque essa sia, diventano implacabili. Glielo giuro. Le ho viste mentire... Cristo! Le giuro che le ho viste mentire sul mio 104 stesso cuscino, parlando con il marito al telefono, con un sangue freddo. Incredibile! C'era un negozio di manichini lì accanto, e a volte Coy ne sbirciava la vetrina. Corpi nudi in diverse posizioni, seduti e in piedi, uomini e donne senza un sesso modellato, alcuni con la parrucca, con il cranio glabro altri, la carne sintetica che splendeva sotto i faretti. Diverse teste mozze sorridevano su una mensola. I pupazzi donna avevano seni con capezzoli appuntiti. Un vetrinista con uno spiccato senso dello humour, un tocco bacchettone o una reminiscenza classica, casuale o consapevole, aveva fatto sì che uno dei manichini alzasse verso il petto, pudico, il gomito e il polso di un braccio, e tenesse l'altro sul suo presunto sesso. Venere che usciva direttamente da una conchiglia, travestita da replicante Nexus in Blade Runner. L'ha avuto anche lei sul suo cuscino? Il dalmata guardò Coy quasi con rimprovero. Aveva i capelli puliti e tirati con cura all'indietro, raccolti con un nastro nero. La camicia era bianca, con i bottoni sul colletto, e la portava aperta, senza cravatta. Pelle abbronzata ma senza esagerare. Scarpe impeccabili, comode, di buona pelle. L'orologio caro, d'oro massiccio, al polso sinistro. Anelli d'oro. Mani dalle unghie molto curate. Un altro anello al mignolo della mano destra, grosso, anch'esso d'oro. Catene dello stesso metallo si scorgevano sul collo, con medaglie e un antico doblone spagnolo. Gemelli d'oro ai polsi. Pagina 57

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Questo tipo, pensò Coy, sembra una vetrina di Cartier. Con tutto l'oro che aveva addosso si potevano ricavare due lingotti. "No... Certo che no." Il dalmata sembrava sinceramente scandalizzato. "Non so perché lo dice. La mia relazione con lei... Si bloccò come se la questione, qualsiasi cosa fosse, risultasse evidente. Un attimo dopo dovette rendersi conto che, invece, non lo era, perché fece tintinnare il ghiaccio nel bicchiere e, stavolta senza bere, mise Coy al corrente di tutta la storia. O piuttosto lo mise al corrente della versione della storia secondo Nino Palermo. E dal momento che lui e Nino Palermo erano la stessa persona, il suo racconto poteva avere soltanto un valore relativo. Ma quell'individuo era l'unico che sembrava disposto a raccontare qualcosa a Coy. Questi non disponeva di una versione più autorevole e dubitava molto che l'avrebbe mai avuta. E così rimase immobile, zitto e attento, sviando gli occhi verso la vetrina dei manichini solo quando l'altro fissava su di lui per un tempo eccessivo ora l'occhio verde ora il castano, un bicolore davvero imbarazzante da sostenere. Seppe così che Nino Palermo era il titolare della Deadman" s Chest, una compagnia dedita al recupero di navi naufragate e al salvataggio marittimo con sede sociale a Gibilterra. Forse Coy, Palermo aveva inteso che era un marinaio -- aveva sentito parlare della Deadman" s Chest nel periodo in cui avevano lavorato per riportare a galla il Punta Europa, un traghetto affondato l'anno prima nella baia di Algeciras con cinquanta passeggeri a bordo. O in un'altra occasione -- puntualizzò dopo una breve pausa -quando avevano recuperato il San Esteban, un galeone riportato a galla cinque anni prima negli isolotti della Florida, con un carico di argento messicano. O nel caso più recente della nave romana, scoperta con tanto di statue e ceramiche a bordo, davanti alla rocca di Calpe. A quel punto Coy pronunciò ad alta voce le parole "cercatore di tesori" e l'altro sorrise in modo da scoprire un dente o due a un lato della bocca, prima di ammettere che sì, in un certo qual modo lo era. Che quello di tesoro era, comunque, un concetto molto relativo, dipendeva da svariate cose. "E inoltre, amico mio, non è tutto oro quello che luccica. Anzi, a volte lo è proprio quello che non luccica." Poi, tra altre frasi lasciate in sospeso, Palermo distese e accavallò di nuovo le gambe, fece tintinnare ancora il ghiaccio nel bicchiere e, stavolta sì, bevve un lungo sorso che lasciò i cubetti arenati sul fondo. "Non è un'avventura, ma un lavoro" disse lentamente, come se intendesse aiutarlo in tutti i modi a capire. "Una cosa è andare al cinema o pretendere di vivere come se uno stesse in quattordicesima fila a mangiare pop corn con la fidanzata, e un'altra investirci denaro, fare ricerche e previsioni con serietà professionale... Io lavoro per me e per i miei soci, raccolgo il capitale necessario, ottengo risultati e ripartisco i dividendi, dando a Cesare... Lo sa anche lei. Lo stato, le leggi e le tasse. Faccio donazioni anche ai musei, alle istituzioni.... Cose del genere..." "Qualcosa le rimarrà pure in tasca." "Naturalmente. E faccio in modo che sia... Cristo! Io ho dei soldi, senta. Cerco di rischiare quelli dei miei soci, naturalmente, ma mi gioco anche i miei. Ho avvocati, ricercatori, sommozzatori collaudati che lavorano per me... Sono un professionista. " 106 Detto ciò rimase un po' in silenzio, inchiodando su Coy il suo sguardo bicolore e spiandone la reazione. Ma Coy, che restava inespressivo, non dovette sembrargli granché colpito. "Il guaio" proseguì "è che questo mio lavoro ha bisogno di... Uno non può raccontare in giro la sua vita. Bisogna muoversi con cautela. Non parlo di illegalità, anche se a volte... Insomma, lei mi capisce. La parola chiave è "prudenza"" "E cosa c'entra quella donna con tutto ciò?" Palermo glielo disse e mentre lo faceva la sua espressione pacifica si indurì e Pagina 58

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt la collera gli salì di colpo agli occhi e alla bocca. Coy vide che stringeva un pugno, quello con il grosso anello d'oro al mignolo, e se non fosse stato tanto interessato alla storia che il suo interlocutore gli stava raccontando in tono amareggiato, brusco, che a volte sconfinava nell'aggressivo, sarebbe scoppiato a ridere davanti a quello scatto d'ira. Lui aveva trovato una pista. La ricerca di antichi relitti cominciava sempre da piste semplici, quasi stupide a volte, e lui aveva... Cristo! Il caso, nella fattispecie un topo da biblioteca di nome Corso, un tipo che gli forniva materiale relazionato al mare, antiche carte nautiche, portolani e cose del genere -- un uomo senza scrupoli, detto di passaggio, che si faceva pagare fior di quattrini -- gli aveva messo tra le mani un libro pubblicato nel 1803 sull'attività marittima della Compagnia di Gesù. Si intitolava La flotta nera: i gesuiti nelle Indie Orientali e Occidentali, era stato scritto da Francisco José Gonzalez, bibliotecario dell'osservatorio della Marina di San Fernando, e in quel libro Palermo aveva trovato il nome del Dei Gloria. "Lì c'era... Cristo! L'ho capito immediatamente. Uno lo capisce quando c'è qualcosa che sta aspettando solo lui" disse sfregandosi il naso con il pollice. "Lo sente qui." "Immagino si riferisca a un tesoro." "Mi riferisco a una nave. A una buona, vecchia e bella nave affondata. Il tesoro è una cosa successiva, ammesso che ci sia. Ma non creda che... "Fondamentale" non è la parola giusta. Non lo è." Chinò la testa, guardandosi il grosso anello. In quel momento Coy lo osservò davvero per la prima volta. Sembrava una moneta antica, autentica. Forse araba o turca. "Il mare copre due terzi del pianeta" disse di punto in bianco Palermo. "Si immagina quanta roba è andata a finire sul suo fondo negli ultimi tre o quattromila anni? Il cinque percento delle navi che hanno navigato... Come posso spiegarle? Almeno il cinque percento di queste è ancora sott'acqua. Il più straordinario museo del mondo: ambizione, tragedia, memoria, ricchezza, morte... Oggetti che valgono un sacco di soldi se li riportiamo in superficie, ma anche... Mi capisce? Solitudine. Silenzio. Solo chi ha sentito un brivido di terrore davanti alla sagoma scura di uno scafo sommerso... Parlo della penombra verdognola che regna laggiù, se sa cosa intendo... Lo sa?" L'occhio verde e l'occhio castano erano fissi su Coy, animati da una luce improvvisa che sembrava febbrile, o pericolosa, o forse entrambe le cose. "So cosa intende." Nino Palermo gli rivolse un vago sorriso di apprezzamento. Aveva passato la vita, raccontò, in acqua per conto di altri e poi si era messo a farlo in proprio. Era entrato in relitti coperti di corallo nel Mar Rosso, aveva scoperto un carico di cristallo bizantino davanti a Rodi, cercato sterline nel Carnatic e recuperato in Irlanda duecento dobloni, tre catene d'oro e un crocifisso di pietre preziose dal galeone Gerona. Aveva lavorato con le squadre incaricate del recupero delle navi del mercurio Guadalupe e Tolosa, ed era stato con Mel Fisher sull'Atocha. Ma aveva anche fatto immersioni tra le navi spettrali della flotta affondata a ottanta metri in Martinica, nei pressi della Montagne Pelée, ispezionato lo scafo del Yongala nel mare dei Serpenti e quello dell'Andrea Doria nella sua tomba d'acqua dell'Atlantico. Aveva visto il Royal Oak a pancia in su sul fondo di Scapa Flow e l'elica della nave corsara Emden negli atolli Cocos. E a venti metri di profondità, in una luce spettrale dorata e bluastra, lo scheletro mezzo disfatto di un pilota tedesco nella cabina del suo FocheWulf precipitato in mare davanti a Nizza. "Non vorrà negare" disse "che ho un bel curriculum." Si fermò e, facendo un cenno al cameriere, ordinò un altro whisky per sé e un'altra tonica per Coy, che non aveva neppure toccato la prima. "Ormai sarà diventata calda" disse. Cercare sott'acqua era il suo mestiere e la sua passione, proseguì poi, guardandolo come se volesse sfidarlo a dimostrare il contrario. Pagina 59

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Ma non tutti i naufragi erano importanti, spiegò. Già nell'antichità i greci si immergevano per cercare di recuperare qualcosa dai relitti affondati. Per questo i più appetibili erano quelli senza sopravvissuti: per la mancanza di informazioni circa il punto in cui erano affondate, le navi restavano nascoste e intatte. E adesso Palermo aveva trovato una nuova pista. Una bella e buona pista vergine su un libro antico. Un nuovo mistero, una sfida, e la possibilità di cercarne la risposta. "Poi" aveva alzato il bicchiere come se cercasse qualcuno a cui gettare in faccia il suo contenuto, - ho commesso l'errore di... Capisce? L'errore di rivolgermi a quella troia. Quindici minuti dopo, la seconda acqua tonica era ancora intatta sul tavolo, calda come la prima. Quanto a Coy, gli erano un po' svaniti i fumi del Centenario Terry ed era ormai al corrente del rovescio della medaglia. O almeno della versione sostenuta da Nino Palermo, cittadino britannico residente a Gibilterra, titolare dell'impresa Deadman" s Chest di lavori subacquei e salvataggi marittimi. Sei mesi prima, Palermo si era recato al Museo navale di Madrid, come già altre volte, in cerca di informazioni. Sperava di trovare la conferma che un brigantino partito dall'Avana e scomparso prima di arrivare a destinazione fosse naufragato in prossimità delle coste spagnole. A quanto si sapeva, la nave non trasportava certo un carico di valore, ma c'erano indizi importanti: il nome del Dei Gloria figurava, per esempio, in una delle lettere confiscate all'epoca della soppressione della Compagnia di Gesù, sotto Carlo III, che Palermo aveva trovato menzionata dal bibliotecario di San Fernando nel suo libro sulle navi e sull'attività marittima degli ignazini. E lui stesso si era servito della frase: "Ma la giustizia divina non permise che il Dei Gloria arrivasse a destinazione con le persone e il segreto che trasportava" per setacciare l'indice dei documenti dell'Archivio delle Indie di Siviglia, di Viso del Marques e del Museo navale di Madrid... E pum! Bingo! Nel catalogo della biblioteca di quest'ultima istituzione figurava un rapporto datato febbraio 1767, Cartagena "Sul naufragio del brigantino Dei Gloria durante la battaglia con lo sciabecco corsaro che si presume chiamato Sergui" La cosa lo aveva spinto a mettersi in contatto con il Museo navale e con T nger Soto che, accidenti a lei, la maledetta, era la responsabile di quel dipartimento. Dopo un primo incontro esplorativo erano andati a mangiare da AlMounia, un ristorante arabo di calle Recoletos. Lì, davanti a un cuscus di carne d'agnello con verdure, lui aveva recitato la parte in modo convincente. Com'è ovvio, si era ben guardato dall'aprirle il suo cuore. Era una vecchia volpe ed era consapevole dei rischi che correva. 108 109 Aveva menzionato il Dei Gloria solo in mezzo ad altri argomenti, quasi in punta di piedi. Lei, quell'educata, efficiente, gentile e maledetta strega, aveva promesso di aiutarlo. Era proprio quello che aveva detto: aiutarlo. Cercargli una copia dei documenti, ammesso che fossero ancora affidati al fondo dell'istituzione e compagnia bella. "La chiamerò" aveva assicurato quella cagna. E senza batter ciglio, Cristo! Senza batter ciglio. Da allora erano passati mesi, e non solo lei non gli aveva mai telefonato, ma aveva anche sfruttato l'influenza della Marina per bloccargli qualsiasi via d'accesso agli archivi del museo. Compresi i documenti relativi al manifesto di carico del brigantino all'Avana, che lui alla fine aveva localizzato nell'indice dell'Archivio della Marina di Viso del Marques, ma che non aveva mai potuto consultare perché erano, così gli avevano detto, oggetto di uno studio ufficiale del ministero della Difesa. Palermo aveva continuato a muoversi, naturalmente. Conosceva l'ambiente e aveva denaro da spendere. La sua indagine parallela era proseguita con discreti risultati e adesso era in grado di affermare che il brigantino era affondato nei pressi di Cartagena e che trasportava qualcosa, oggetti o persone, di massima importanza. Forse quell'aggressione della nave corsara Sergui -- un Chergui inglese con Pagina 60

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt licenza algerina era naufragato in quelle stesse acque e nello stesso giorno -non era stata del tutto casuale. Palermo aveva cercato molte volte di parlare con Tanger Soto per chiederle spiegazioni, ma senza ottenere niente: silenzio totale. Lei era molto svelta a schivare l'ostacolo o magari era una tipa fortunata, come a Barcellona, quando Coy si era messo in mezzo. Cavoli se lo era. Alla fine, Palermo, da quello stupido che era, era arrivato alla conclusione che lei non solo l'aveva giocato ma che stava muovendo le sue pedine alla chetichella. Il sospetto era diventato certezza quando l'aveva vista apparire all'asta, determinata a impossessarsi dell'Urrutia. "Quella gatta morta" concluse Palermo "aveva deciso... Cristo! Capisce? Voleva cercare il Dei Gloria da sola." Coy scosse la testa, benché in realtà stesse mettendo in ordine quanto aveva appena sentito. "Che io sappia" puntualizzò "lavora per il Museo navale." L'altro si abbandonò a una risatina breve e alquanto secca. Assai poco divertita. "É quello che credevo anch'io. Ma adesso... Quella è una che morde la mano che le dà da mangiare. " 110 Coy si toccò il naso, ancora in preda a una sensazione di perplessità. "In tal caso" disse "si metta in contatto con i suoi superiori e le mandi all'aria l'operazione." Palermo fece tintinnare il ghiaccio nel suo ennesimo bicchiere di whisky. "Significherebbe mandare all'aria anche la mia... Non sono così stupido." Aveva rifatto quella smorfia repentina che gli scopriva un paio di denti simili a quelli di un pescecane. Questo tipo, pensò Coy, sorride come una verdesca davanti a un calamaro." É come una gara di fondo, sa?" aggiunse Palermo. Io ho migliori... Cristo! Lei è partita avvantaggiata grazie a una mia disattenzione. Ma in questo genere di sforzi... Ho recuperato terreno. E ne guadagnerò ancora." Coy si strinse nelle spalle. "In questo caso le auguro buona fortuna." "Parte di questa fortuna dipende da lei. Mi basta guardare un uomo in faccia per capire..." Palermo gli strizzò l'occhio castano. "Sa cosa intendo." "Si sbaglia. Non lo so proprio." "Per capire qual è il suo prezzo." A Coy non piacque lo sguardo che gli vide. o forse non gli piacque il tono di confidenza, di complicità, con cui il suo interlocutore aveva pronunciato le ultime parole. "Io sono fuori" disse con freddezza. "Non mi dica." Il tono beffardo dell'altro non contribuiva a migliorare le cose. Coy sentì rinascere l'antipatia. "Insomma, dovrà trattare con lei." Cercò di storcere la bocca nel modo più insolente possibile. "Non avete provato a mettervi d'accordo?... Evidentemente siete fatti della stessa pasta." Palermo non sembrava affatto offeso. Piuttosto considerava la questione con aria equanime. "É una possibilità" rispose. "Ma dubito che lei... Crede di avere tutti gli assi in mano. O forse "Ne ha appena perso uno. almeno un fante." Di nuovo si ritrovò davanti quel sorriso da squalo. E adesso era speranzoso, cosa che non contribuiva a renderlo più gradevole. "Dice sul serio?" Palermo rifletteva, interessato. "... Mi riferisco alla sua intenzione di non aiutarla." "Sicuro che dico sul serio." "Sarebbe indiscreto chiederle perché?" "L'ha appena detto da solo: perché non gioca pulito. Più o meno come lei" disse, e improvvisamente ricordò qualcosa. "Può dire al suo nano malinconico di stare tranquillo. Adesso, se dovessi incontrarlo, non sarei più costretto a spaccargli la faccia." Palermo, che si accingeva a bere, si bloccò guardando Coy al di sopra del bicchiere. "Quale nano?" "Non si metta a fare il furbo anche lei. Sa perfettamente di chi sto parlando." Con il bicchiere ancora a mezz'aria, Pagina 61

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt l'altro socchiuse gli occhi bicolori, astuti. "Non deve fraintendere..." cominciò a dire Palermo, ma subito dopo, ripensandoci, tacque, con il pretesto di portare alle labbra il drink e bere un sorso. Quando posò di nuovo il bicchiere sul tavolo cambiò discorso: "Non riesco a credere che la lasci così, senza rancori" Adesso toccava a Coy sorridere. Di sicuro, però, si disse, a me non riuscirebbe mai di farlo come questo bellimbusto, per quanto mi sforzi. A me non verrebbe mai un simile ghigno da pescecane, tutt'al più uno da merluzzo. Si sentiva defraudato da tutto il mondo, a cominciare da se stesso. "Non ci credo del tutto neanche io" disse. "Torna a Barcellona? E la sua situazione?" "Accidenti" disse Coy scuotendo la testa, infastidito. "Vedo che anche lei si è interessato al mio curriculum." L'altro alzò la mano sinistra nell'aria, come se avesse appena avuto un'idea. Estrasse un biglietto da visita da un portafoglio gonfio, pieno zeppo di carte di credito, e vi scrisse sopra qualcosa. Le luci della vetrina dei manichini facevano brillare gli anelli che portava alle mani. Coy diede un'occhiata al biglietto prima di metterlo in tasca: NINO PALERMO. DEADMAN S CHEST LTD -- 42B MAIN STREET -- GIBILTERRA. Sotto vi era appuntato il numero di telefono di un hotel di Madrid. "Forse potrò ricompensarla in qualche modo." Palermo fece una pausa, si schiarì la voce, bevve un altro sorso e all'improvviso lo guardò. "Ho bisogno che qualcuno vicino alla signorina Soto..." Lasciò anche quella frase a mezz'aria, il tempo sufficiente per permettere al suo interlocutore di completarla nel modo più adeguato. Coy rimase un po' in silenzio, osservandolo. Poi si protese verso di lui fino ad appoggiare i palmi delle mani sul tavolo. "Vada a prenderselo in culo." "Scusi?" Palermo sbatté le palpebre, incredulo, con un'espressione delusa. Coy fece per alzarsi e con un piacere segreto notò che l'altro ricadeva leggermente indietro sulla sedia. "Ha sentito bene. Vada a farsi sodomizzare, sbattere, sfondare il buco del culo. Mi sono spiegato?" Adesso le mani che posava sul tavolo si erano serrate in un pugno. "... Insomma, prendetevelo tutti nel didietro, lei, il nano e il Dei Gloria. anche la signorina." L'altro non smetteva di fissarlo. L'occhio verde sembrava ancora più freddo e attento del castano, più dilatato; proprio come se metà del corpo fosse intimorita e l'altra metà restasse in guardia, facendo i propri calcoli. "Ci pensi su" disse Palermo, e gli posò una mano sulla manica, come se cercasse di convincerlo o di trattenerlo. Era la mano dell'anello con la moneta d'oro e Coy l'avvertì con fastidio sui muscoli tesi dell'avambraccio. "Mi tolga la mano di dosso" disse "o le stacco la testa." 5. Il meridiano zero. Stabilito il primo meridiano, si posizionino tutte le principali località per latitudine e longitudine. MENDOZA Y Rios, Tratado de navegacion. Dormì tutta la notte e parte della mattina. Dormì come se ne andasse della sua vita o come se volesse tenere la vita fuori, a distanza, il più a lungo possibile. Persino quando si svegliò cercò in tutti i modi di riaddormentarsi, ostinatamente. Si girò e rigirò nel letto coprendosi gli occhi, provando a schivare il rettangolo del chiarore sul muro. Appena sveglio osservò quella forma, desolato: la linea luminosa era apparentemente ferma e la sua posizione variava in modo quasi impercettibile con il passare dei minuti. A prima vista sembrava immobile come sono, di regola, tutte le cose sulla terraferma; così seppe subito, o lo intuì, ancor prima di ricordare che si Pagina 62

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt trovava nella stanza di una pensione, a quattrocento chilometri dalla costa più vicina, che nemmeno quel giorno si svegliava su una nave: perché a bordo la luce che entra dagli oblò si muove e oscilla dolcemente, su e giù, di qua e di là, mentre il palpitare leggero delle macchine si trasmette attraverso le passerelle dello scafo, ron ron, ron ron, che a sua volta dondola nell'andirivieni circolare della marea. Fece una doccia veloce e poco piacevole, perché dopo le dieci di mattina i rubinetti della pensione dispensavano solo acqua fredda, e uscì in strada senza radersi, con addosso i jeans, una camicia pulita e la giacca buttata sulle spalle, in cerca di un ufficio della compagnia ferroviaria in cui fare il biglietto di ritorno per Barcellona. Prese un caffè lungo la strada, comprò un giornale che sfogliò rapidamente e gettò nel cestino e poi gironzolò per il centro della città senza una meta precisa, finché non si sedette in una piazzetta della vecchia Madrid, uno di quei posti in cui si vedono alberi di antichi conventi che fanno capolino oltre un muro di cinta, case con balconi pieni di vasi e ampi androni protetti da grate e portinaie. Il sole era piacevole e ispirava una dolce pigrizia. Allungò le gambe, prendendo dalla tasca la sgualcita edizione in brossura di La nave dei morti di Traven, che alla fine si era deciso a comprare nella cuesta de Moyano. Per un po' cercò di concentrarsi nella lettura, ma proprio nel momento in cui l'ingenuo marinaio Pippip, seduto sul molo, immagina il Tuscaloosa in mare aperto e sulla via di casa, Coy chiuse il libro e se lo rimise in tasca. Aveva la testa altrove, lontano da quelle pagine. Si sentiva pieno di umiliazione e di vergogna. Dopo di che si alzò e senza fretta intraprese la via del ritorno, verso plaza de Santa Ana, l'espressione cupa accentuata dalla barba di un giorno e mezzo. Improvvisamente sentì un brontolio allo stomaco e ricordò che non toccava cibo da ventiquattr'ore. Entrò in un bar, ordinò una porzione di tortilla e una birra alla spina, e rientrò alla pensione alle due passate. Il suo treno sarebbe partito un'ora e mezzo dopo e la stazione di Atocha era vicina. Poteva fare due passi e andare in treno fino a quella di Chamartin, così si mise con calma a raccogliere il suo scarso bagaglio: il libro di Traven, una camicia pulita e un'altra sporca che mise in una borsa di plastica, un po' di biancheria, un maglione di lana blu. Avvolse i prodotti per l'igiene personale in un paio di pantaloni da lavoro color cachi e infilò il tutto nella borsa di tela. Calzò le scarpe da tennis e mise via i vecchi mocassini da nave. Fece ognuno di questi movimenti con la stessa precisione metodica con cui avrebbe tracciato una rotta, benché, accidenti a lui, in quel momento non avesse nessuna destinazione possibile: si limitava a concentrarsi al massimo per evitare di pensare. Quindi scese, pagò e uscì in strada con la borsa sulle spalle. Si fermò, socchiudendo gli occhi davanti al sole che cadeva verticale sulla piazza, per massaggiarsi lo stomaco dolorante. Lo spuntino di tortilla gli pesava come un sasso. Guardò da una parte e poi dall'altra, e cominciò a camminare. Gran bel viaggio, pensava. Per una sarcastica associazione d'idee gli tornarono in mente le note di Noche de samba en Puerto Espana. Prima una canzone, dicevano le strofe. Poi una bella sbronza e alla fine solo un pianto di chitarra. Fischiettò mezzo ritornello quasi senza rendersene conto, prima di bloccarsi di colpo. Bada bene, si disse. di non canticchiare mai più questo motivo per il resto dei tuoi fottuti giorni. Guardava per terra, e ai suoi passi l'ombra sembrava scompisciarsi dalle risate. Di tutti i ritardati mentali del mondo, e dovevano essercene diversi, quella donna aveva scelto proprio lui. Anche se non era del tutto esatto. In fin dei conti, era lui che le era apparso davanti, prima a Barcellona e poi a Madrid. Nessuno costringe il topo, aveva letto da qualche parte. Nessuno costringe quel roditore idiota ad aggirarsi tra le trappole facendo il bullo. Pagina 63

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Soprattutto, quando sa fin troppo bene che a questo mondo i venti da prua soffiano più spesso che quelli da poppa. Non aveva nemmeno girato l'angolo quando la signora della pensione si precipitò in strada, inseguendolo e chiamandolo per nome. "Signor Coy, signor Coy." Lo cercavano al telefono. "Maledetti" disse Tanger. Era una ragazza forte e lasciava appena trapelare un lieve tremito nella voce, una nota di insicurezza che cercava di controllare pronunciando le parole giuste. Era ancora vestita così com'era uscita, con gonna e giacca, e si appoggiava alla parete del salottino, con le braccia incrociate, la testa un po' china, guardando il cadavere di Zas. Per le scale Coy aveva incrociato due poliziotti in uniforme, e ne trovò un terzo che raccoglieva in una valigetta gli strumenti utilizzati per rilevare le impronte digitali: aveva posato il cappello sul tavolo e dalla ricetrasmittente appesa alla cintura proveniva il cicaleccio pacato di una conversazione lontana. L'agente si muoveva con attenzione tra gli oggetti buttati all'aria. Non c'era poi tutto quel disordine che ci si sarebbe aspettati: qualche cassetto aperto, carte e libri per terra, il computer sventrato con i cavi e gli allacciamenti all'aria. "Ne hanno approfittato quando ero al museo" mormorò Tanger. Tranne quel tremito nella voce, non sembrava fragile, quanto piuttosto cupa. La sua pelle lentigginosa aveva assunto un pallore opaco, gli occhi erano ancora asciutti e l'espressione indurita, e conficcava le dita nelle braccia con tanta forza che le nocche erano diventate bianche. Non distoglieva lo sguardo dal cane. Il labrador era disteso su un fianco, sopra il tappeto, con gli occhi vitrei e la bocca socchiusa dalla quale usciva un filo di bava biancastra, ormai prossima a seccarsi. Secondo il poliziotto avevano forzato la porta e poi, prima di aprirla del tutto, avevano lanciato al cane un pezzo di carne con un veleno a effetto immediato, probabilmente glicol etilenico. Chiunque fossero, sapevano cosa cercavano e cosa avrebbero trovato. Non avevano causato danni inutili, limitandosi a rubare alcuni documenti dai cassetti, tutti i dischetti e il disco fisso del computer. Era senza dubbio gente che agiva a colpo sicuro. Professionisti. "Non c'era bisogno che uccidessero Zas" disse lei. "Non era un cane da guardia... Giocava con chiunque." Le ultime parole si troncarono con una nota di commozione che lei, immediatamente, represse. Il poliziotto con la valigetta aveva terminato il suo lavoro e così si rimise il cappello, salutò e se ne andò, dopo aver detto qualcosa sugli addetti comunali che sarebbero passati a prendere il cane. Chiudendo la porta Coy notò che la serratura funzionava ancora, ma dopo aver dato un'altra occhiata al corpo di Zas tornò ad aprirla lasciandola socchiusa, come se fosse sconveniente chiudere la porta con il cadavere del cane ancora dentro. Lei rimase immobile, appoggiata al muro, mentre lui attraversava la sala e andava in bagno. Tornò con un grande asciugamano e si piegò sul labrador. Per qualche istante guardò con affetto gli occhi spenti dell'animale, ricordando le leccate del giorno precedente, la coda che scodinzolava allegra per chiedere una carezza, lo sguardo intelligente e fedele. Provava una pena profonda, una pietà che lo metteva in subbuglio, lo infastidiva con sensazioni quasi infantili che ogni uomo adulto crede di aver dimenticato. Con Zas aveva l'impressione di aver perso un amico nuovo e silenzioso, di quelli che non si cercano perché sono loro a scegliere te. Dal suo punto di vista, quella tristezza era fuori luogo: era stato con il cane solo un paio di volte e non aveva fatto niente per meritarsi la sua lealtà né tantomeno per piangerne la morte. E ciò nonostante era lì, in preda a una strana angoscia, avvertendo un fastidioso prurito al naso e agli occhi. Aveva l'impressione di sentire sulla propria pelle l'abbandono, la desolazione e l'immobilità di quella povera bestia. Forse aveva accolto i suoi assassini scodinzolando allegramente, desideroso di una parola gentile o di una carezza. "Povero Zas" mormorò. Toccò un attimo con le dita la testa dorata del labrador, Pagina 64

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt congedandosi da lui, e poi lo coprì con l'asciugamano. Quando si alzò in piedi vide che Tanger lo guardava. Era ancora appoggiata alla parete con le braccia incrociate, cupa e immobile. "É morto solo" disse Coy. "Come tutti." Si fermò il pomeriggio e parte della notte. Dapprima si sedette sul divano, dopo che gli addetti comunali ebbero portato via il cane, guardandola andare e venire per rimediare al disordine. La vide muoversi senza quasi aprire bocca, impilando carte, rimettendo libri sui ripiani, chiudendo cassetti; ferma davanti al computer sventrato, le mani sui fianchi, mentre valutava il danno, pensierosa. "Niente di irreparabile" aveva detto in risposta a una delle poche domande che lui aveva formulato all'inizio. Poi aveva continuato a occuparsi della casa, finché tutto non era stato messo a posto. L'ultima cosa che aveva fatto era stata inginocchiarsi dove era stato Zas e pulire con una spugna intrisa d'acqua i resti della bava bianca seccatisi sul tappeto. Aveva fatto ogni cosa con un'ostinazione disciplinata, lugubre, come se l'impegno la aiutasse a controllare le proprie sensazioni, a dominare la cupezza che minacciava di inondarle il viso. Le punte dei capelli dorati le oscillavano sul mento, lasciando intravedere il naso e gli zigomi coperti di lentiggini, quando finalmente si era alzata in piedi e si era guardata attorno, per vedere se tutto era al proprio posto. Allora era andata al tavolo, aveva preso il pacchetto di Player" s e se ne era accesa una. "Ieri notte sono stato con Nino Palermo" disse Coy. Non sembrò per niente sorpresa. Tantomeno disse qualcosa. Restò in piedi accanto al tavolo, la sigaretta tra le dita, tenendo la mano un po' in alto e reggendosi il gomito con l'altra. "Mi ha raccontato che l'hai ingannato" proseguì lui. "E che cerchi di ingannare anche me." Si aspettava di ascoltare scuse, accuse o sdegno, invece seguì solo il silenzio. Il fumo della sigaretta saliva dritto fino al soffitto. Non una spirale, notò. Neppure il minimo cenno di agitazione o di turbamento. "Non lavori per il museo" aggiunse, calcolando pause deliberate tra una parola e l'altra "ma per conto tuo." Assomigliava, realizzò all'improvviso, alle donne che ti guardano da certi quadri. Sguardi impassibili, capaci di seminare l'inquietudine in qualsiasi cuore maschile che le osservi. Capisci che sanno qualcosa che non dicono ma che potrai intuire dalle loro pupille immobili se solo ti fermi davanti a loro abbastanza a lungo. Un'arroganza dura, saggia. Un'antica lucidità. Ricordò la prima volta che aveva messo piede in quella casa e il pensiero tornò a frullargli per la testa: c'erano bambine che guardavano già in quel modo, senza nemmeno avere avuto il tempo materiale per giustificare un simile sguardo, senza avere vissuto a sufficienza per averlo appreso. É così che Penelope doveva aver guardato Ulisse quando questi era riapparso dopo vent'anni, reclamando il suo arco. "Non ti ho chiesto io di venire a Madrid" disse lei. "E neanche di complicare la tua vita e la mia a Barcellona." Coy la guardò per un paio di secondi, ancora assorto, la bocca socchiusa in modo alquanto stupido. "É vero" ammise. "Sei tu che hai voluto giocare. Io mi sono limitata a stabilire le regole. Se poi ti stanno bene o no, è un tuo problema." Aveva finalmente mosso la mano che reggeva la sigaretta e la brace le brillò tra le dita quando se la portò alle labbra. Poi si fermò di nuovo e il fumo tornò a salire in una linea verticale, sottile e perfetta. "Perché mi hai mentito?" domandò Coy. Tanger sospirò dolcemente, un po' infastidita. "Non ho mentito" disse. " Ti ho raccontato la versione che più mi conveniva... Devi tenere a mente che tu sei un intruso e che questa è la mia avventura. Non puoi pretendere niente da me." "Quella è gente pericolosa." La linea retta del fumo si spezzò in leggere spirali. Pagina 65

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Lei rideva appena, sommessamente. "Non c'è bisogno di essere molto intelligenti per arrivarci, vero?" Rise ancora per un po' finché non si arrestò di botto, davanti alla macchia umida del tappeto. Il blu scuro dei suoi occhi si era ulteriormente incupito. "Cosa farai adesso?" Lei non rispose subito. Si era mossa per spegnere la sigaretta nel posacenere. Lo fece con cura, senza schiacciarla troppo, piano piano, finché la brace non si smorzò. Solo allora abbozzò un cenno con il capo e con le spalle. Non lo guardava in faccia. "Continuerò quello che ho iniziato. Cercherò il Dei Gloria." Poi si aggirò per la stanza, lentamente, per verificare che tutto fosse tornato all'ordine di prima. Allineò un Tintin sulla sua mensola insieme agli altri e poi corresse la posizione della cornice con la fotografia su cui Coy si era soffermato spesso: quella dell'adolescente bionda accanto al militare abbronzato, sorridente, in maniche di camicia. Agiva, rilevò lui, come se nelle vene le scorresse acqua fredda. Ma all'improvviso vide che si fermava, che tratteneva il fiato e poi lo buttava fuori, e il suo non era tanto un gemito quanto uno sbotto di furia, mentre colpiva il tavolo con il palmo della mano, in modo brusco e secco, con una violenza inaspettata che dovette sorprendere anche lei, o farle molto male, perché rimase immobile, trattenendo ancora il fiato, a fissarsi sconcertata la mano come se non le appartenesse più. "Che siano maledetti" disse quasi in un sussurro. Si controllò e Coy poté percepire lo sforzo che faceva per riuscirci. Aveva i muscoli delle mandibole tesi e la bocca stretta quando respirò profondamente dal naso mentre cercava altre cose da mettere in ordine, come se dieci secondi prima non fosse successo nulla. "Cos'hanno preso?" "Niente di indispensabile" disse, mentre continuava a guardarsi attorno. "Ho riportato l'Urrutia al museo questa mattina e ho due buone riproduzioni della carta sferica su cui lavorare... Hanno lasciato tutte le carte moderne, tranne una, ai cui margini avevo preso alcuni appunti. Avevo dati anche nel disco fisso del computer, ma non importanti." Coy si mosse agitato, imbarazzato. Sarebbe stato più a suo agio davanti a una reazione con lacrime, lamenti indignati o roba del genere. In certi casi, pensava, un uomo sa cosa deve fare. O almeno crede di saperlo. Ciascuno fa la sua parte, come al cinema. "Dovresti lasciar perdere questa storia." Si era girata con estrema lentezza, come se di colpo lui fosse diventato uno degli oggetti della sala la cui posizione andava corretta. "Senti, Coy, non ti ho chiesto io di ficcare il naso nelle mie faccende. Così come ora non sono venuta a chiedere i tuoi consigli... Chiaro?" É pericolosa, pensò all'improvviso. Forse anche più di 120 quelli che le hanno buttato all'aria la casa e ucciso il cane. Più del nano malinconico e del dalmata cacciatore di tesori. Tutto questo sta accadendo perché lei è pericolosa, e loro lo sanno, e lei sa che loro sanno. Pericolosa anche per me. "Chiaro. " Scosse la testa, tra l'evasivo e il preoccupato. Quella donna aveva una stupefacente facilità di farlo sentire responsabile e allo stesso tempo di ricordargli quanto la sua presenza lì fosse gratuita. Malgrado ciò, Tanger non sembrava soddisfatta della risposta stringata di Coy. Continuava a studiarlo come un pugile che ignora il gong o l'avvertimento dell'arbitro. "Quando ero piccola adoravo i film western" disse inaspettatamente. Il suo tono era tutt'altro che sognante o dolce. Sembrava piuttosto che si stesse prendendo in giro da sola. Ma era mortalmente seria. "A te piacciono, Coy?" Pagina 66

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt La guardò senza sapere cosa dire. Per rispondere a quella domanda avrebbe avuto bisogno di mezzo minuto di transizione, ma lei non gli diede il tempo di cercare una risposta. Non sembrava neppure interessarle. "Guardandoli" proseguì "ho capito che ci sono due tipi di donne: quelle che si mettono a gridare quando gli apaches attaccano e quelle che prendono un fucile e cominciano a sparare dalla finestra." Non aveva un tono aggressivo, ma solo fermo; tuttavia, Coy percepiva quella fermezza come qualcosa di dannatamente violento. Poi tacque, e sembrava non volesse aggiungere altro. Ma un istante dopo si fermò davanti alla foto nel la cornice e socchiuse gli occhi. La sua voce adesso suonò roca e bassa: "Avrei voluto fare il soldato e portare un fucile" Coy si toccò il naso. Poi si grattò la testa e cominciò a fare, uno dopo l'altro, tutti i gesti che in genere caratterizzavano il suo sconcerto. Mi chiedo, si disse, se questa donna intuisce i miei pensieri o se è proprio lei che me li mette in testa e poi li mischia e li distribuisce sul tavolo come fossero un mazzo di carte. "Quel Palermo" disse alla fine "mi ha offerto un lavoro." Trattenne il fiato. Aveva estratto dalla tasca il biglietto da visita con i numeri di telefono dell'uomo d'affari di Gibilterra. Lo alzò tra le dita, muovendolo un po'. Lei non guardava il biglietto, ma lui. Lo fissava intensamente, come se intendesse perforargli il cervello. "E cosa gli hai detto?" "Che ci penserò." La vide sorridere impercettibilmente. Un secondo di calcolo e due di incredulità. "Stai mentendo" dichiarò. "Se così fosse, non te ne staresti lì seduto, a guardarmi" disse, e la voce sembrò addolcirsi. "... Non sei il tipo..." Coy distolse lo sguardo cercando la finestra e dando un'occhiata fuori, di sotto e in lontananza. "Non sei il tipo." In qualche angolo polveroso della sua memoria, Bruto domandava a Braccio di Ferro se era un uomo o un topo e questi rispondeva: "Sono un marinaio". Un treno si avvicinava lentamente all'enorme tettoia che copriva i binari della stazione di Atocha, con i lunghi snodi che seguivano un cammino misterioso, tracciato nel labirinto delle rotaie e della segnaletica. Provava un rancore preciso, come il filo di una lama. Non hai la benché minima idea, pensò, di che tipo sono. Guardò l'orologio che portava al polso. Il Talgo, il treno per il quale conservava ancora un biglietto di seconda classe nel taschino interno della giacca, era già partito da un pezzo per Barcellona. E lui era sempre lì, come se nulla fosse cambiato. Guardò il tappeto dove prima stava Zas. O forse, rifletté, era ancora lì proprio perché alcune cose erano cambiate. Comunque fosse, era lì e guai se ne capiva la ragione. D'un tratto rabbrividì e qualcosa gli passò per la mente come un lampo incandescente: capì, come la cosa più naturale del mondo, che stava lì perché un giorno avrebbe insegnato qualcosa a quella donna. Il pensiero lo turbò tanto che la sua espressione dovette tradirlo, perché lei lo guardò inquisitiva, stupita per il cambiamento che aveva appena notato. Coy aveva la sensazione di balbettare, pur non aprendo bocca. Le avrebbe insegnato qualcosa che lei credeva di conoscere e invece ignorava, qualcosa che lei non avrebbe potuto controllare facilmente come faceva con i gesti, le parole, le situazioni e, apparentemente, anche con lui. Ma bisognava aspettare che arrivasse il momento. Ecco perché era lì, e non gli restava altro da fare che aspettare. Per questo entrambi sapevano che quella volta non se ne sarebbe andato. Per questo era in trappola e si mangiava il pezzetto di formaggio fino a farla scattare. Cling. Zac. Uomo o topo. Almeno, si consolò, non faceva male. Forse alla fine, quando arriverà il mio turno, farà male. Ma non ancora. Distese le gambe, le accavallò di nuovo e si adagiò un po' sul divano, le mani Pagina 67

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt abbandonate lungo i fianchi. Sentiva il sangue pulsargli lento e forte all'altezza dell'inguine. Immagino, si disse, che la parola giusta sia "paura" Uno sa di avere degli scogli davanti, e questo è quanto. Naviga, scruta il mare, sente la brezza sulla faccia e la salsedine sulle labbra, ma non si lascia fregare. Lo sa. Devo dire qualcosa, pensò. Qualsiasi cosa, che non abbia niente a che vedere con ciò che provo. Qualcosa che le faccia riprendere in mano il timone o che mi permetta di immaginarla ancora lì. In fin dei conti è lei che comanda e siamo ancora lontani dal mio quarto di guardia. Strappò il biglietto da visita in due pezzi e li fece cadere sul tavolo. Non ci furono commenti al riguardo. Questione risolta. "Continuo a non vederci chiaro" le disse. "Se non esiste un tesoro, perché a Nino Palermo dovrebbe interessare una nave affondata nel 1767?" "Quelli che cercano navi naufragate non inseguono solo tesori." Adesso Tanger si era avvicinata, sedendosi su una sedia davanti a lui, protesa per accorciare la distanza che li separava. "Una nave affondata da due secoli e mezzo può essere di grande interesse se si è conservata bene. Lo stato paga le operazioni di recupero... Organizzano mostre itineranti... Non si riduce tutto all'oro dei galeoni. Ci sono cose che valgono quasi altrettanto. Pensa, per farti un esempio, alla collezione di ceramica orientale che viaggiava a bordo del San Diego... Il suo valore è inestimabile." Si fermò e rimase un po' in silenzio, con le labbra socchiuse, prima di riprendere. "E poi c'è un'altra cosa. La sfida. Capisci? Una nave affondata è un enigma che affascina molti." "Sì. Palermo me ne ha parlato. Della penombra che c'è laggiù. E di tutto il resto." Tanger annuiva serissima e molto grave, come se conoscesse il senso di quelle parole. Eppure era Coy quello che aveva esperienza di navi affondate, di navi galleggianti e di navi incagliate. Non lei. "D'altro canto" rilevò Tanger "nessuno sa cosa ci fosse a bordo del Dei Gloria." Coy si lasciò sfuggire un sospiro. "Forse, dopo tutto, c'è davvero un tesoro." Lei riecheggiò il sospiro di Coy anche se, probabilmente, non aveva gli stessi motivi. Inarcava le sopracciglia con aria misteriosa, come chi mostra un pacchetto che racchiude una sorpresa. "Chissà... " Tanger era protesa in avanti, vicino a lui, e quell'atteggiamento illuminava il suo volto lentigginoso con l'aria complice di un ragazzino risoluto, le attribuiva un fascino elementare, prettamente fisico, fatto di carne e cellule vive e giovani, di tonalità dorate e di colori tenui che esigevano imperiosamente la prossimità, il contatto e lo sfregamento pelle a pelle. Coy sentì ancora il sangue che gli pulsava forte all'inguine e stavolta non si trattava di paura. Un altro lampo di luce. Di nuovo la certezza. E così si lasciò andare alla deriva, pienamente consapevole, senza concedere il minimo spazio a tormenti o a rimorsi. Nel mare tutte le strade sono lunghe. In fin dei conti, ed era il suo vantaggio, lui non aveva un equipaggio a cui dover tappare le orecchie con la cera, nessuno che lo legasse all'albero per resistere alle voci che cantavano sugli scogli né dei che potessero infastidirlo più del previsto con i loro odi o i loro favori. Era, calcolò facendo un rapido bilancio, fottuto, stregato e solo. In simili condizioni quella donna era una rotta buona come qualsiasi altra. Era calata la sera e la luce gialla, che aveva illuminato le nuvole basse per Pagina 68

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt poi strisciare sulla stazione di Atocha, coprendo di ombre lunghissime e orizzontali l'intricato riflesso nel labirinto di rotaie, adesso riempiva la stanza, cadendo sul profilo di Tanger curvo sul tavolo, sulla sua sagoma scura accanto a quella di Coy, chino sulla carta nautica numero 463A dell'Istituto idrografico della Marina. "Ieri" ricapitolava lui "abbiamo stabilito una latitudine, che è di 37§32' nord... La cosa ci consente di tracciare una linea approssimativa, sapendo che il Dei Gloria si trovava, al momento di affondare, in qualche punto di questa linea immaginaria, tra Punta de Calnegre e Cabo Tinoso, a una distanza dalla costa che può variare dall'una alle tre miglia... Forse di più. Questo può significare profondità da trenta a cento metri." "In realtà sono meno" fece notare Tanger. Seguiva con molta attenzione le spiegazioni di Coy sulla carta. Adesso il tutto aveva preso una piega veramente professionale, come se si trovassero nella sala nautica di una nave. Avevano tracciato, con matita e parallele, una linea orizzontale che partiva dalla costa, un miglio e mezzo sopra Punta de Calnegre, che andava fino a Cabo Tinoso, sotto il grande arco di sabbia formato dal Golfo de Mazarron. La profondità, leggera e declinante verso ovest, aumentava man mano che la linea si avvicinava alla costa rocciosa situata più a est. "In ogni caso" puntualizzò Coy "se la nave è molto in profondità, non potremo localizzarla con i mezzi limitati di cui disponiamo. E ancor meno scendere fino a quello che ne rimane. " "Ieri ti ho detto che secondo i miei calcoli è al massimo a cinquanta metri..." Freddo e silenzio, ricordò Coy. E quella penombra verdognola a cui aveva fatto riferimento Nino Palermo. Conservava ancora sulla pelle la sensazione provata durante la sua prima immersione in profondità, vent'anni prima, il riflesso argentato della superficie vista dal basso, la sfera azzurrata e poi verde, la perdita graduale dei colori, il manometro al polso, con l'ago che indicava l'aumento progressivo della pressione dentro e fuori dai polmoni, e il rumore del proprio respiro, delle inspirazioni ed espirazioni attraverso il riduttore, che rimbombava nel petto e nei timpani. Freddo e silenzio, naturalmente. E anche paura. "Cinquanta metri sono già troppi" disse. "Bisogna immergersi con un equipaggiamento che non abbiamo o fare immersioni brevi e con lunghi tempi di decompressione: un'ipotesi comunque non auspicabile e rischiosa. Diciamo che la quota ragionevole di sicurezza, nel nostro caso, è di quaranta metri. Non uno di più." Lei restava china sulla carta, pensierosa. Le vide mordersi l'unghia di un pollice. Scorreva con gli occhi le quote di scandaglio indicate lungo la linea tracciata a matita da Coy, che si prolungava quasi per una ventina di miglia. Alcuni dei numeri che indicavano la profondità erano accompagnati da una lettera: S, F, R... Fondali di sabbia e di fango, con un po' di roccia. Troppa sabbia e troppo fango, pensava lui. In due secoli e mezzo fondi come quelli avrebbero potuto coprire molte cose. "Credo che basterà" disse lei. "Basteranno quaranta." Mi piacerebbe sapere dove la va a prendere tutta questa sicurezza, pensò lui. L'unica certezza in mare era che non c'erano certezze. Se uno riusciva a fare le cose per bene e stivare adeguatamente il carico, murava nel modo opportuno con il cattivo tempo, riduceva le macchine e non cappeggiava con frangenti e vento superiore al forza nove della scala Beaufort, quel vecchio bastardo dal brutto carattere poteva tutt'al più tollerare le intrusioni, ma non c'era sfida possibile. Il gioco duro lo vinceva sempre lui. "Non credo sia possibile che si trovi a una profondità maggiore" puntualizzò Tanger. Sembrava aver completamente dimenticato Zas e l'appartamento messo a soqquadro, notò Coy con stupore. Guardava concentrata le scale con i gradi, i primi e i decimi di minuto che fiancheggiavano le carte, e ancora una volta ammirò la sua apparente forza di volontà. La sentiva pronunciare parole precise, senza ostentazione né circonlocuzioni Pagina 69

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt inutili. Mi ci gioco le palle che la cosa non è normale, si disse. Nessuna donna, nessun uomo che io conosca, potrebbe vantare la padronanza di sé che lei dimostra. É alle strette, le hanno appena dato un avvertimento macabro e lei, come se niente fosse, continua a scarabocchiare su una carta nautica. O è schizofrenica, o roba del genere, oppure è una donna davvero straordinaria. In ogni modo, è ovvio che ce la fa. É in grado, dopo tutto quello che ha passato, di starsene lì con matita e compasso in mano, con il sangue freddo di un chirurgo che impugna il bisturi. Forse, in fin dei conti, la ragione sta nel fatto che in realtà è lei a mettere alle strette gli altri. Nino Palermo e il nano malinconico, l'autista berbero, la segretaria e persino io, non siamo altro che comparse, o vittime. Fa lo stesso. Cercò di concentrarsi sulla carta. Stabilita la latitudine con il parallelo orizzontale che la indicava, non restava che trovare la longitudine: il punto in cui quel parallelo intersecava il meridiano corrispondente. Il problema era scoprire quale fosse il meridiano in questione. Per convenzione, proprio come la linea dell'equatore costituiva il parallelo zero per calcolare la latitudine nord o sud, il meridiano universalmente considerato come zero era quello di Greenwich. La longitudine nautica si stabiliva anch'essa in gradi, primi e secondi o decimi di minuto, contando 180§ verso sinistra da Greenwich per la longitudine ovest e 180§ a destra per la longitudine est. Il problema era che il meridiano di riferimento universale non era sempre stato Greenwich. "La longitudine sembra chiara" rispose Tanger. "4§5l'est." "Non lo direi con tanta sicurezza. Nel 1767 gli spagnoli non usavano Greenwich come meridiano di riferimento..." "Certo che no. Prima si basavano su quello dell'isola di Hierro, ma in seguito ogni paese finì per usare il proprio. Non tornarono ad accordarsi su Greenwich fino al 1884. Per questo la carta di Urrutia, stampata nel 1751, ha quattro scale di longitudine diverse: Parigi, Tenerife, Cadice e Cartagena." "Perbacco." Coy la guardava con rispetto. "Ne sai parecchio al riguardo. Quasi più di me." "Mi sono premurata di studiarlo. É il mio lavoro. Se cerchi bene, nei libri puoi trovare tutto." Coy non ne era convinto, ma non disse nulla. Per tutta la vita aveva letto libri sul mare, ma non ci aveva mai trovato nulla di lontanamente paragonabile al grido angosciato di una focena che si tuffa in acqua con il fianco squarciato dalla dentata di un'orca. Né alla notte più corta della sua vita, con l'alba che iniziava subito dopo il crepuscolo nell'orizzonte rossiccio della rada di Oulu, a poche miglia dal Circolo polare artico. E neppure al canto dei kroornen, gli stivatori neri, nel castello di prua, in una notte di luna davanti a PointeNoire, nell'attuale Congo, con le stive e la coperta piene di tronchi impilati di okunzé e di mogano. Al fragore terrificante di un Cantabrico in cui cielo e mare si confondevano sotto una cortina di schiuma grigia, seni di quattordici metri e vento a ottanta nodi, con le onde che deformavano i container trincati in coperta come se fossero di carta prima di strapparli e trascinarli fuori bordo; l'equipaggio di guardia legato in qualche punto del ponte, terrorizzato, e il resto in cabina, a rotolare per terra contro le paratie e a vomitare come maiali. Era come il jazz, in fin dei conti: le improvvisazioni di Duke Ellington, il sax tenore di John Coltrane o la batteria di Elvin Jones. Neanche quella era materia che si poteva leggere sui libri. Tanger aveva spiegato una carta in scala maggiore, molto più generale delle altre, e vi tracciava immaginarie linee verticali. "Parigi non può essere" disse. "Quel meridiano passa per le Balcari, e in tal caso la nave sarebbe affondata a metà strada tra la Spagna e l'Italia... Tenerife nemmeno, perché ne darebbe le coordinate in pieno Atlantico... Così, a prima vista, non restano che Cadice e Cartagena..." "Non è Cartagena" disse Coy. Poteva verificarlo con una semplice occhiata. Se fosse affondato a quasi cinque gradi a est di quel meridiano, il Dei Gloria si sarebbe trovato troppo al largo, duecentocinquanta miglia oltre, in fondali -- si avvicinò alla carta -- di tremila metri. Pagina 70

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt "Quindi non può essere che quello di Cadice" precisò lei. "L'assistente dell'ufficiale di rotta venne ritrovato il giorno dopo, circa sei miglia a sud di Cartagena. Calcolando la longitudine da quel punto, tutto coincide. L'inseguimento. La distanza." Coy guardò la carta, cercando di stabilire a stima la deriva del naufrago a bordo dello schifo. Calcolò distanze, vento, correnti, scarroccio prima di fare un cenno affermativo. Sei miglia erano una distanza logica. "In tal caso" concluse "il vento avrebbe dovuto girare a nordest." "Può essere. Nel suo rapporto, l'assistente disse che il vento aveva cambiato direzione all'alba... É normale in quella zona?" "Sì. I venti di sudovest, che lì chiamiamo libecci, arrivano spesso la sera e a volte si mantengono per tutta la notte, come avvenne, secondo la tua opinione, durante l'inseguimento del Dei Gloria. D'inverno solitamente il vento più tardi gira a nordest per tirare da terra di mattina... Un ponente o un mistral possono averlo spinto verso sudest." La scrutò con la coda dell'occhio. Si stava di nuovo mangiucchiando l'unghia del pollice, con gli occhi inchiodati sulla carta. Coy lasciò cadere la matita, che vi rotolò sopra. Sorrideva. "Inoltre" disse "dobbiamo scartare quanto non combaci con la tua ipotesi, non è vero?" "Non si tratta della mia ipotesi. Era normale che calcolassero la longitudine in base al meridiano di Cadice. Guarda." Spiegò, facendo frusciare i fogli, una delle riproduzioni della carta di Urrutia che quella mattina aveva portato con sé dal Museo navale. Poi, con le dita dalle unghie rosicchiate, indicò il tracciato verticale dei diversi meridiani mentre diceva a Coy che quello di Cadice, prima nell'osservatorio della città e poi in quello di San Fernando, era stato il meridiano principale usato dai marinai spagnoli nella seconda metà del XVIII secolo e per buona parte del XIX. Ma il meridiano di San Fernando non era stato usato prima del 1801; di modo che il riferimento nel 1767 era ancora la linea da polo a polo che passava dall'osservatorio situato nel castello dei Guardiamarinas di Cadice. "Per cui è naturale che il comandante del Dei Gloria utilizzasse quello di Cadice come meridiano di riferimento per la longitudine. Guarda. Così tutti i conti tornano, specialmente quei 4§51' che l'assistente dell'ufficiale di rotta diede come ultima posizione conosciuta del Dei Gloria. Se si conta dal meridiano di Cadice verso est, il punto del naufragio rimane da queste parti, vedi? In questa zona, a est di Punta de Calnegre e a sud di Mazarron." Coy si concentrò sulla carta. Non era il punto peggiore: relativamente ridossato e vicino alla costa. "Questo nell'Urrutia" disse. "E nelle carte moderne?" "Lì le cose si complicano, perché all'epoca in cui Urrutia redasse il suo Atlante marittimo, la longitudine era stabilita con minor precisione rispetto alla latitudine. Non era ancora stato perfezionato il cronometro marino che permise di calcolarla con esattezza... Per questo gli errori di longitudine sono i più rilevanti... Il Cabo de Palos, dove tu hai subito notato un errore di un paio di primi nella latitudine, si trova, quanto a longitudine, 0§41,3' a ovest del meridiano di Greenwich. Per stabilirne le coordinate in base al meridiano di Cadice sulle carte moderne bisogna sottrarre questa cifra dalla differenza di longitudine esistente tra Cadice e Greenwich... Non è vero?" Coy annuì, divertito e in attesa. Non solo Tanger aveva imparato bene la lezione, ma poteva anche calcolare gradi e primi con la disinvoltura di un marinaio. Lui stesso non sarebbe stato in grado di tenere a mente tutti quei dati. Capì di servirle più che altro per risolvere le questioni pratiche e per confermare i suoi calcoli. Non era esattamente la stessa cosa navigare sulla carta in un appartamento al quinto piano di fronte alla stazione di Atocha e farlo in mare, sull'oscillante coperta di una nave. Pagina 71

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Prestò attenzione agli appunti che lei prendeva a matita su un blocknotes. "Ciò significa che Palos è" spiegò Tanger "a 5§50' in base al meridiano di Cadice sulle carte moderne. Mentre sulla carta di Urrutia la sua posizione è di 5§34', vedi? Quindi abbiamo un margine di errore di due primi di latitudine e sedici di longitudine. Guarda. Ho usato le tavole di correzione che figurano nelle Applicazioni di cartografia storica di nestor Perona... Utilizzandole lungo la costa, da Cadice al Cabo de Palos, permettono di convertire ogni posizione dell'Urrutia rispetto a Cadice nelle posizioni moderne rispetto a Greenwich." La luce del crepuscolo si era ormai ritirata sulle pareti e sul soffitto della stanza, riempiendo il tavolo di angoli d'ombra, e allora lei si fermò per accendere una lampada che rifletté la propria luce sul bianco della carta. Poi incrociò le braccia e rimase a fissare il tracciato. "Con le dovute correzioni, la posizione a est del meridiano di Cadice che l'assistente dell'ufficiale di rotta attribuì al Dei Gloria corrisponderebbe sulle carte moderne a 1§21' a ovest di Greenwich. Naturalmente non è del tutto esatta e in quel punto avremo ragionevoli margini di errore: un rettangolo di un miglio d'altezza e due di base. É il campo della nostra ricerca." "Non è troppo limitato?" "L'hai detto anche tu l'altro giorno: senza dubbio devono aver stabilito le proprie coordinate per mezzo di rilevamenti a terra. Questo, con la loro stessa carta e una bussola, ci consente di correggere i calcoli." "Non è così semplice. La loro bussola poteva fare errori, non sappiamo se all'epoca la declinazione magnetica era alta, possono aver fatto una lettura approssimativa... Ci sono molte cose che possono invalidare i tuoi calcoli. Niente ci garantisce che alla fine coincidano con i loro." "Bisognerà provarci, no?... Si tratta solo di farlo." Coy studiò il punto sulla carta, cercando di tradurre il tutto in acqua di mare. Presupponeva un campo di ricerca che andava dai sei ai dieci chilometri quadrati, un lavoro difficile nel caso in cui quelle acque fossero state torbide o il tempo avesse depositato troppo fango e sabbia sui resti del Dei Gloria. Rastrellare la zona poteva prendere un mese, come minimo. Usò il compasso per calcolare sull'Urrutia la longitudine est rispetto a Cadice, quindi la trasferì alla carta moderna 463A per convertirla in longitudine ovest da Greenwich, quindi trasferì ancora una volta le stime sull'Urrutia. Consultò le tavole di correzione fatte da Tanger. Tutto restava entro margini ragionevoli. "Può anche darsi che sia possibile" disse. Tanger non aveva perso un dettaglio delle sue mosse. Prese una matita per tracciare un rettangolo sulla 463A. "L'idea è che il Dei Gloria si trovi in qualche punto in questa striscia. A una profondità che va dai venti ai cinquanta metri." "Come sono i fondi? Immagino che avrai verificato anche questo... " Lei sorrise prima di spiegare un'altra carta, la 4631, corrispondente al Golfo de Mazarron da Punta de Calnegre a Punta Negra. Coy notò che si trattava di un'edizione recente, con 130 correzioni apportate quello stesso anno in base alle informazioni dei naviganti. La scala era molto grande e dettagliata, e ogni quota di scandaglio era accompagnata dalla corrispondente descrizione della natura del fondo. Era quanto di più preciso si potesse trovare sulla zona. "Fango sabbioso e un po' di roccia. Secondo le informazioni, piuttosto limpido. " Coy portò il compasso sulla scala laterale per calcolare nuovamente l'area. Un miglio per due davanti a Punta Negra e alla Cueva de los Lobos. Considerando che in quel punto un primo di longitudine corrispondeva a 0,8 miglia, il settore veniva delimitato tra 1§19,5' ovest e 1§22' ovest, e tra i 37§31,5' nord e i 37§32,5' nord. Contemplava con piacere la familiare costa color ocra, le strisce azzurre più chiare nei fondali bassi e che si scaglionavano man mano che si allontanavano dalla costa. Confrontò quei disegni con i propri ricordi, stabilendo mentalmente le coordinate dei riferimenti delle montagne dell'interno, nelle curve di livello topografico che si infoltivano nel Labezo de las Viboras, in quello de los Pagina 72

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Pajaros e nel Morro Blanco. "É tutto alquanto relativo" disse dopo un attimo. "Non saremo sicuri di niente fino a quando non saremo in mare, a fissare le nostre coordinate in base alle carte e ai rilevamenti che prenderemo da terra... É inutile definire da qui il campo di ricerca. Finora non abbiamo altro che un rettangolo immaginario disegnato su un foglio." "Quanto tempo ci vorrà per rastrellare quell'area?" "Noi due?" "Certo." Lei fece la pausa giusta. "Tu e io." Di nuovo quel "tu e io". Coy sorrise appena. Scuoteva la testa. "Avremo bisogno di qualcun altro" disse. "Abbiamo bisogno del Secondo." "Il tuo amico?" "Proprio lui. É sgocciolata più acqua dalle sue camicie di quanta io ne abbia navigata in vita mia." Chiese che gli parlasse di lui e Coy lo fece molto superficialmente, benché i ricordi gli facessero affiorare sulle labbra un leggero sorriso. Parlò in breve della sua gioventù, del Cimitero delle navi senza nome, della prima sigaretta e del marinaio abbronzato e magro dai capelli grigi anzitempo, delle immersioni in cerca di anfore, delle uscite per la pesca dall'alba al tramonto e della caccia ai calamari che andavano a dormire a terra nella Punta de la Podadera. E del Secondo, con il suo piccolo otre di vino, il tabacco nero e la barca che dondolava tra le onde. O forse non parlò tanto come gli sembrò di aver fatto, e si limitò a riferire in sintesi alcuni episodi scollegati, e i suoi ricordi fecero il resto, affluendogli in un sorriso abbozzato. E Tanger, che lo guardava attenta, senza perdersi un'espressione o una parola, capì quanto quel nome significasse per Coy. "Hai detto che ha un'imbarcazione." "Il Carpanta: una barca a vela di quattordici metri, con un pozzetto centrale, coperta a poppa, motore da sessanta cavalli e compressore per bombole d'aria." "E sarebbe disposto ad affittarlo?" "Ogni tanto lo fa. Deve pur vivere." "Intendo a noi. A me e a te." "Certo. Sarebbe persino disposto ad affondarlo se io glielo chiedessi." Rifletté un attimo. "Be, forse non arriverebbe a tanto. Ma farebbe qualsiasi altra cosa." "Mi auguro che non chieda troppo." Sembrava inquieta. "In questa prima fase i mezzi scarseggiano. Si tratta dei miei risparmi. " "Ci aggiusteremo" la tranquillizzò Coy. "In ogni modo, se la nave è alla profondità che dici tu, l'attrezzatura per la ricerca sarà ridotta ai minimi termini... Può bastare una buona sonda da pesca e un acquaplano al traino: si può costruire con una tavola di legno e cinquanta metri di cavo." "Perfetto." Non domandò se il suo amico fosse un uomo di cui fidarsi. Si limitava a guardarlo come se la sua parola fosse di per sé una garanzia. "Inoltre" disse Coy "il Secondo è stato un sub professionista. Se gli garantisci uno stipendio adeguato per coprire le spese e una fetta ragionevole in caso di guadagni, possiamo contare su di lui." "Naturale che glielo garantisco. Quanto a te..." La guardò negli occhi, aspettando che proseguisse, ma lei ammutolì sostenendo il suo sguardo. Anche in quegli occhi c'è la scintilla del sorriso, si disse lui. Anche lei sorride, forse perché adesso ha due marinai e una barca e un rettangolo di un miglio per due tracciato a matita su una carta nautica. O forse... "Del mio compenso parleremo più tardi" disse Coy. "Per adesso mi copri le spese, non è vero?" Era ancora immobile, lo guardava con la stessa espressione e quella lucina che sembrava ballarle in fondo alle iridi blu marino. É solo un effetto della luce, pensò lui. Forse il tramonto, o il riflesso della lampada accesa. "Certo" disse Tanger. Decise di fermarsi a dormire lì e lo fece senza che nessuno dei due sprecasse eccessive parole al riguardo. Lavorarono fino a tardi e alla fine lei stirò i gomiti all'indietro e roteò il collo come se le facesse male la cervicale, fece un sorrisetto a Coy, stanca e distante, come se tutto ciò che aveva sotto il cono di luce della lampada sul tavolo, le carte di navigazione, gli appunti, i calcoli, avesse smesso di Pagina 73

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt interessarle. Quindi disse di essere stanchissima e di non poterne più, e si alzò guardandosi attorno con stupore, quasi avesse dimenticato dove si trovava. I suoi occhi si fecero di colpo fissi e cupi quando si soffermarono sul punto in cui era rimasto il cadavere di Zas. Solo allora parve ricordare e all'improvviso, proprio come se avesse aperto sbadatamente una porta socchiusa, Coy la vide barcollare di qualche impercettibile millimetro e poté captare il brivido che le corse sulla pelle, simile a una corrente d'aria fredda appena entrata dalla finestra: la mano appoggiata a un angolo del tavolo, lo sguardo che vagava indifeso per la stanza, cercando un punto in cui rifugiarsi, finché non si ricompose, giusto un attimo prima di arrivare a Coy. Quando infine lo osservò sembrava tornata padrona di sé, ma lui ormai aveva aperto bocca per suggerire che poteva fermarsi se lei lo voleva, o una cosa del tipo "Forse è meglio che non ti lasci sola stanotte" Rimase così, a bocca aperta, perché in quel momento lei si strinse nelle spalle, quasi interrogativa, fissandolo. Allora rimase zitto ancora un po' e lei ripeté quel gesto, un modo deliberato di stringersi nelle spalle, che sembrava riservare alle domande la cui risposta non le interessava particolarmente. Poi lui suggerì che forse doveva fermarsi e lei rispose che andava bene, sottovoce e con la freddezza di sempre. Fece anche un cenno affermativo con la testa, come se considerasse opportuno il suggerimento, prima di entrare in camera da letto a prendere un sacco a pelo militare, un autentico sacco a pelo dell'esercito, verde, che distese sul divano, sistemandoci un cuscino a mo di guanciale. Quindi, in poche parole, gli ricordò dove fosse il bagno e dove poteva trovare un asciugamano pulito prima di ritirarsi e richiudere la porta alle proprie spalle. Di sotto, in lontananza, tra l'oscurità che si estendeva al di là della stazione, le luci prolungate dei treni si muovevano con una lentezza ingannevole. Coy andò alla finestra e rimase lì, fermo, a guardare il chiarore tenue dei quartieri più lontani, le luci della strada ai suoi piedi, i fanali delle poche macchine che transitavano per il viale deserto. L'insegna del distributore era ancora accesa ma non vide nessuno, tranne il benzinaio che usciva dalla guardiola per aiutare un automobilista. Non c'era traccia del nano malinconico e neppure del cacciatore di relitti, Lei aveva lasciato lo stereo acceso. E gli arrivava una melodia lentissima e triste che Coy non aveva mai sentito prima. Raggiunse l'impianto e guardò la copertina del disco. Apres la pluie. Non aveva mai sentito parlare di quell'E. Satie - forse era amico di Justine -ma il titolo gli parve azzeccato. La musica faceva pensare alla coperta umida di una nave immobile in un mare grigio e calmo, con i cerchi concentrici delle ultime gocce di pioggia ancora visibili sull'acqua, piccole ondulazioni simili al passaggio di una medusa in superficie o alle onde leggere di un radar, e a qualcuno che guardava la scena con le mani posate su una frisata bagnata, mentre nubi cupe si allontanavano, nere e basse, sulla linea dell'orizzonte. Era pieno di nostalgia quando alzò gli occhi cercando, inutilmente, una stella. La luce della città velava il cielo. Si schermò con la mano la parte inferiore del campo visivo e quando gli occhi si furono abituati riuscì a scorgerne un paio, deboli puntini luminosi in lontananza. Sulle città, anche quando si riuscivano a vedere, le stelle sembravano sempre spente, diverse, povere di splendore e di significato. Sul mare, invece, rappresentavano punti di riferimento utili, strade e compagnia. Coy aveva passato lunghe ore di guardia in alto mare con i gomiti appoggiati su un'aletta, a guardare Sirio e le sette Pleiadi che sparivano nel cielo vespertino occidentale in primavera e che poi rispuntavano d'estate, dall'altra parte della notte, nel cielo mattutino di levante. Alle stelle doveva la sua stessa vita, e durante una breve e intensa tappa della sua gioventù l'avevano addirittura aiutato a fuggire da un carcere di Haifa. Perché una certa mattina lugubre di agosto, quando stava per entrare in acque libanesi a bordo dell'Otago, una piccola nave da carico che navigava da Larnaca Pagina 74

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt a Sidone senza luci di posizione per eludere l'embargo israeliano, prima che si avvistasse il fanale di Ziri -- un bagliore ogni tre secondi, visibile a sei miglia di distanza -- Coy aveva scorto, mentre aspettava che Castore e Polluce spuntassero nell'orizzonte orientale, la sagoma nera di una nave pattuglia in agguato al riparo nella zona d'ombra, davanti alla costa verso la quale puntavano. La nave, tremila tonnellate immatricolate a Monrovia con armatore spagnolo, comandante norvegese ed equipaggio greco e spagnolo, che ufficialmente trasportava sale tra Torrevieja, Trieste e il Pireo, era rimasta per un po' immobile finché il comandante Raufoss, portandosi agli occhi il binocolo notturno e bestemmiando in vichingo tra i denti, non ebbe confermato l'avvistamento della nave pattuglia. Quindi aveva accostato lentamente, tutto a dritta e avanti adagio, e aveva ordinato che non si accendesse neppure una sigaretta a bordo, per potersi allontanare discretamente nell'oscurità, eco anonima nel radar israeliano, puntando nuovamente verso Capo Greco. E la vista acuta di Coy, allora giovane secondo ufficiale con l'inchiostro del diploma ancora fresco, era stata ricompensata da Raufoss con una bottiglia di whisky Balvenie e una pacca sulla spalla, che gliela aveva lasciata indolenzita per una settimana. Sigur Raufoss era stato il primo comandante che lui aveva avuto da quando era diventato ufficiale: era grosso, sanguigno, rosso ed eccellente uomo di mare. Come la maggior parte dei suoi connazionali, non possedeva la tipica arroganza dei comandanti inglesi e li surclassava quanto a competenza professionale. Non si fidava dei piloti portuali senza capelli bianchi, era capace di far passare la sua nave attraverso la cruna di un ago e non si faceva mai trovare sobrio in porto o ubriaco in mare. Coy aveva passato con lui trecentosette giorni in mare nel Mediterraneo, poi aveva cambiato nave appena in tempo, due viaggi prima che la fortuna girasse per il comandante Raufoss. Mentre trasportava ferraglie varie da Valencia a Marsiglia, il carico dell'Otago si era sbilanciato nel bel mezzo di un mistral invernale, forza dieci, nel golfo del Leone. E la nave si era capovolta colando a picco con quindici uomini sopra, lasciando come unica traccia un messaggio di emergenza captato dalla radio costiera di Mont SaintLoup attraverso il canale 16 F: "Otago a 42§25' nord e 3§53,5' est. Siamo cappeggiati al mare fortemente ingavonati. Mayday, mayday" Poi, neppure un relitto galleggiante, non un salvagente, né un gavitello. Niente. Solo il silenzio, e il mare impassibile che da secoli nasconde i suoi segreti. Guardò l'orologio: non era ancora mezzanotte. La porta della camera di Tanger era chiusa e la musica finita. Coy sentì il silenzio che veniva dopo la pioggia. Fece qualche passo in giro per la stanza senza una meta precisa, osservando i fumetti di Tintin nel loro ripiano, i libri allineati, la cartolina di Anversa, la coppa d'argento, la foto incorniciata. Abbiamo già detto che non era un tipo brillante e lo sapeva; in più era consapevole dei propri sentimenti nei confronti di Tanger. Tuttavia, conservava una singolare ironia, una facilità innata di ridere di se stesso e della propria goffaggine, una sorta di fatalismo mediterraneo che gli permetteva sempre di far buon viso a cattiva sorte. Una simile consapevolezza, o certezza, probabilmente lo rendeva all'occasione meno stupido di quanto sarebbe stato qualsiasi altro uomo nella medesima situazione. Inoltre, l'abitudine a scrutare il cielo, il mare e lo schermo del radar in cerca di segni da interpretare aveva accentuato in lui un particolare istinto, o intuizione tattica. In quel contesto, gli indizi messi in bella mostra nella casa gli sembravano molto significativi. Erano, così decise, fili rivelatori di una biografia all'apparenza rettilinea, solida, priva di crepe. Eppure, alcuni di quegli oggetti, o il lato fragile della loro proprietaria che mostravano come se fosse la parte visibile di un iceberg, potevano anche ispirare tenerezza. Ma a differenza dei comportamenti, delle parole e delle manovre di cui si avvaleva per il raggiungimento dei propri fini, nelle piccole piste disseminate per la casa, nella loro equivoca irrilevanza, in tutte le circostanze che Pagina 75

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt implicavano Coy come testimone, attore e vittima, era evidente la mancanza di calcolo. Quegli indizi non erano stati messi in mostra in modo deliberato. Erano parte di un'esistenza reale ed erano strettamente legati a un passato, a ricordi non espliciti ma che senza dubbio reggevano il resto: la bambina, il soldato, i sogni e la memoria. Nella cornice, la ragazzina bionda sorrideva tra le braccia protettive dell'uomo abbronzato in camicia bianca. Quel sorriso aveva una parentela ovvia con altri che Coy le aveva visto, compresi quelli pericolosi, ma registrava anche una marcata freschezza che lo rendeva differente. Un che di luminoso, raggiante, a suggerire una vita ricca di possibilità non ancora rivelate, di strade da intraprendere, di felicità possibile e magari probabile. Era come se in quella foto lei sorridesse per la prima volta, proprio come il primo uomo quando, al suo risveglio all'origine dei tempi, vide attorno a sé il mondo appena creato, quando tutto cominciava a vivere partendo da un unico meridiano zero e non esistevano i cellulari né le maree nere, né il virus dell'aids, né i turisti giapponesi, né i poliziotti. E in fondo la questione era tutta lì. Ci sarà pur stato un tempo in cui anch'io ho sorriso così, pensò. E gli oggetti modesti disseminati per la casa, la coppa ammaccata, la fotografia della ragazzina piena di lentiggini erano i resti del naufragio di quel sorriso. Un'intuizione che fu come una improvvisa pioggia interiore, come se la musica ormai terminata si fosse insinuata lentamente nelle sue viscere per bagnargli il cuore. Allora si ritrovò vulnerabile, come se fosse stato lui, e non Tanger, a sorridere nella foto insieme all'uomo dalla camicia bianca. Non c'è nessuno che possa proteggerti per sempre. Si riconosceva in quell'immagine, e la cosa lo fece sentire orfano, solidale, malinconico e furibondo. Prima fu una sensazione di desolazione personale, di estrema solitudine, che gli risalì dal petto fino alla gola e agli occhi. Poi una collera precisa, intensa. Guardò il punto in cui avevano trovato Zas e poi i suoi occhi si posarono sul biglietto da visita di Nino Palermo, strappato in due sul tavolo. Rimase così, immobile, per un po'. Quindi guardò ancora l'orologio, unì i due pezzi di cartoncino e prese il telefono. Compose il numero senza fretta, e poco dopo riconobbe la voce del cercatore di relitti. Disse di trovarsi nel bar del suo hotel e che naturalmente gli avrebbe fatto un gran piacere incontrarsi con lui un quarto d'ora più tardi. Il portiere in livrea studiò con sospetto le scarpe bianche e i jeans consumati che portava sotto la giacca da marinaio quando lo vide varcare la doppia porta a vetri e addentrarsi nella hall del Palace. Non era mai stato lì e così salì i gradini, camminò sui tappeti e sul pavimento di marmo bianco e si fermò un attimo, indeciso. A destra c'era un grande arazzo antico e a sinistra l'ingresso del bar. Andò dritto fino al salone centrale e di nuovo si fermò sotto le colonne che ne delimitavano il perimetro. In fondo, un pianista invisibile suonava Cambalache e la musica veniva smorzata dal vocio discreto delle conversazioni. Era tardi, ma c'era gente quasi a tutti i tavoli e divanetti: persone ben vestite, in giacca e cravatta, signore ingioiellate, donne affascinanti, camerieri impeccabili che si muovevano silenziosamente. Su un carrello erano in bella mostra diverse bottiglie di champagne tenute in fresco nel ghiaccio. Il tutto molto elegante e irreprensibile, valutò. Come in un film. Fece qualche passo nella rotonda, non badò al cameriere che gli domandava se desiderasse un tavolo e si diresse timone alla via verso Nino Palermo, il cui profilo aveva appena scorto su un divano, sotto il grande lampadario centrale a gocce che pendeva dalla cupola di cristallo. Era in compagnia della solita segretaria già vista all'asta di Barcellona, che adesso vestiva di scuro, con una gonna corta, le gambe scoperte fino a metà coscia e compostamente chiuse, inclinate di lato, con un paio di scarpe dal tacco alto. Pagina 76

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Tenuta da manuale della perfetta segretaria che esce di sera con il capo, capitolo abbigliamento, pagina 5. Era seduta tra Palermo e due individui dall'aria nordica. Il cercatore di relitti non vide Coy fino a quando non gli fu molto vicino. A quel punto si alzò in piedi, abbottonandosi la giacca doppiopetto. Aveva la coda di cavallo legata da un nastro nero. Indossava un abito grigio scuro, una cravatta di seta su una camicia azzurro chiaro e le scarpe nere, le catene d'oro e l'orologio brillavano molto più del suo sorriso. Quando tese la mano per stringere quella di Coy brillò anche l'anello con la moneta antica. Lui ignorò il gesto. "Sono contento che sia tornato a ragionare" disse Palermo. Il tono amichevole gli si congelò in bocca a metà frase, quando si ritrovò con la mano inutilmente tesa. Se la guardò per un attimo, quasi sorpreso di vederla lì, vuota, e poi la ritirò lentamente, sconcertato, studiando inquisitivo il nuovo arrivato con i suoi occhi bicolori. "Ha davvero esagerato" disse Coy. La smorfia confusa dell'altro si intensificò di colpo, arrogante. "Rimane con lei?" domandò freddamente. "Questi non sono affari suoi." Palermo sembrava riflettere. Fece l'atto di guardare con la coda dell'occhio i due uomini che lo aspettavano seduti sul divano. "Lei ieri aveva detto di esserne... Fuori, fuori da questa faccenda, non è così? E quando ha telefonato, poco fa... Cristo! Ho pensato che avrebbe accettato di lavorare per me." Coy trattenne il fiato. Palermo era più alto di lui di tutta la testa, e lui lo osservava dal basso, con le grosse mani che penzolavano minacciose lungo i fianchi. Si dondolò un po' sulla punta dei piedi. "Ha esagerato" ripeté. La pupilla verdognola era più dilatata di quella castana, ma entrambe sembravano di ghiaccio spesso. Palermo guardò di nuovo i suoi accompagnatori con la coda dell'occhio. Adesso storceva la bocca, sprezzante. "Non avrei mai pensato che sarebbe venuto a importunarmi" disse. "Lei è... un pagliaccio, ecco cosa. Si comporta da vero pagliaccio." Coy annuì lentamente, due volte. Aveva allontanato un po' le mani dal corpo e sentiva i muscoli delle spalle, delle braccia e dello stomaco tesi come nodi da pescatore ben stretti. Palermo si era girato di profilo, come per mettere fine alla conversazione. "Vedo" disse "che quella sgualdrina l'ha circuita per benino." Detta l'ultima parola accennò a tornare al divano, ma fu solo un accenno, perché Coy aveva già fatto i suoi conti con rapidità e sapeva che l'altro era più alto, non era debole e tantomeno solo, e che è meglio picchiare un uomo quando sta ancora parlando, perché ha i riflessi più lenti. E così si dondolò di nuovo in punta di piedi, immaginò di ingoiarsi una lattina di spinaci, fece un sorrisino veloce per rassicurare Palermo e contemporaneamente gli rifilò una rapida ginocchiata nei testicoli, così brutale che un secondo dopo, quando l'altro si piegava sullo stomaco con la faccia congestionata e senza fiato, poté raggiungerlo senza eccessivo sforzo con un secondo colpo, una testata al naso, che scricchiolò sotto la sua fronte come un mobile rotto. Aveva imparato quella mossa con precisione coreografica durante una rissa nel quartiere portuale di Amburgo: il terzo movimento, nell'improbabile caso che l'avversario restasse in piedi, consisteva nel dargli un'altra ginocchiata in faccia. Come ciliegina sulla torta, le botte sue e del direttore di macchina. Ma verificò che non era necessario: Palermo era già caduto in ginocchio, bianco e inerte come un sacco di patate, con la faccia appoggiata a una sua coscia, mentre gli macchiava i jeans con il sangue scandalosamente rosso che gli sgorgava dal naso. Dopo di che, nel giro di cinque secondi, si scatenò un putiferio indiavolato. La segretaria si mise a strillare accasciandosi sul divano e perse la propria compostezza sgambettando fino a mostrare le mutande nere. I due stranieri, inizialmente stupefatti, si alzarono per soccorrere il caduto. Pagina 77

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Dal canto suo, Coy vide con la coda dell'occhio che tutti i camerieri della sala e alcuni clienti gli si buttavano addosso, prima di ritrovarsi spintonato, bloccato da diverse mani vigorose che lo sollevavano in aria, trascinandolo alla porta come se intendessero linciarlo davanti agli occhi indignati o attoniti dei dipendenti dell'hotel e degli ospiti. La porta a vetri si aprì, qualcuno gridò qualcosa sul chiamare la polizia, e in quel momento Coy vide in rapida successione la facciata illuminata della sede del parlamento, le luci verdi dei taxi stazionati davanti all'ingresso e anche il nano malinconico che lo guardava stupito dal semaforo più vicino. Non poté vedere altro perché gli bloccavano la testa, ma scorse l'espressione indurita dell'autista berbero -- sembrava proprio che si fossero dati tutti appuntamento al Palace quella notte -- prima di sentire che qualcuno gli strattonava furiosamente i capelli costringendolo a piegare la testa all'indietro, e poi uno, due, tre, quattro pugni da professionista nel plesso solare che gli tolsero completamente il respiro. E in quel momento stramazzò a terra, con i polmoni sgonfi e boccheggiando come un pesce fuor d'acqua. I. AM: Legge dell'aria che manca, o del non ci sei mai quando mi servi. Da lì sentì la sirena della polizia e si disse: l'hai combinata proprio bella, marinaio. Per questa storia ti daranno sei anni e un giorno e la ragazza dovrà fare le sue immersioni da sola. Poi, dopo vari tentativi infruttuosi, riuscì a respirare meglio, benché l'aria, che finalmente fece atto di presenza, gli facesse male nell'entrare e nell'uscire dai polmoni. Le costole basse sembravano muoversi per proprio conto e pensò di averne qualcuna rotta. Vita da cani. Era sempre per terra, bocconi, e qualcuno gli mise un paio di manette che scattarono con un clic intorno ai polsi, dietro la schiena. Lo consolava il pensiero che Nino Palermo per i giorni successivi si sarebbe ricordato di Tanger Soto, di lui e del povero Zas ogni volta che si fosse guardato allo specchio. Poi lo alzarono di colpo, e una luce blu intermittente lo colpì in piena faccia. Sentiva la mancanza del Galiziano Neira, di Torpediniera Tucuman e del resto dell'Equipaggio Sanders. Ma erano altri i tempi, e anche i porti. 6. Di cavalieri e scudieri. C'è una grande varietà di indovinelli relativi a un'isola in cui certi abitanti dicono sempre la verità mentre altri mentono sempre. R. SMULLYAN, Qual è il titolo di questo libro? La zingara se ne andò dopo aver insistito ancora un po' e Coy, vedendola allontanarsi, pensò che forse avrebbe dovuto lasciare che gli leggesse la mano e il futuro. Era una donna di mezz'età, con il viso scuro solcato da un'infinità di rughe e si raccoglieva i capelli con un piccolo pettine d'argento. Grossa, sfatta, agitava la ruota della sottana ancheggiando con grazia quando si fermava a offrire rametti di rosmarino ai passanti, sul viale ombreggiato di palme che si snodava dietro al castello di Santa Catalina, a Cadice. Prima di andarsene, indispettita dal fatto che Coy non avesse accettato un po' di rosmarino in cambio di qualche moneta e non si fosse nemmeno lasciato leggere la sorte, la zingara aveva mormorato una maledizione, tra il serio e il faceto, e adesso lui ci stava rimuginando sopra: "É solo uno il viaggio che farai gratis" Non era un marinaio superstizioso -- nell'epoca del Meteosat e del GPS pochi della sua categoria lo erano ancora -ma gli restavano alcune apprensioni tipiche della vita di mare. Forse per questo, quando la zingara sparì sotto le palme dell'avenida Duque de Najera, Coy si osservò il palmo della mano sinistra con inquietudine prima di guardare furtivamente Tanger che, seduta allo stesso tavolo del bar all'aperto, chiacchierava con Lucio Gamboa, direttore dell'osservatorio di San Fernando, dove i tre avevano passato parte della giornata. Gamboa era capitano di vascello della Marina ma vestiva in borghese con una camicia a quadretti, pantaloni cachi e un paio di espadrilles vecchissime e Pagina 78

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt scolorite. In lui non c'era nulla che tradisse la provenienza militare: tarchiato, calvo, loquace, con una barba brizzolata e trascurata e due occhi chiari da normanno, aveva un aspetto sciatto e cordiale. Parlava da ore senza dare segno di fatica, mentre Tanger faceva domande, annuiva o prendeva appunti. "É solo uno il viaggio che farai gratis." Coy si guardò di nuovo le linee della mano, dicendosi ancora una volta che forse avrebbe dovuto permettere alla zingara di leggergliela. Nel caso in cui il pronostico non gli fosse piaciuto, pensò, avrebbe sempre potuto correggere a sua discrezione le linee con una lama di rasoio, come quell'altro marinaio di carta e inchiostro, quel Corto Maltese alto, bello e con tanto di cerchio d'oro all'orecchio, al quale non gli sarebbe dispiaciuto affatto assomigliare ogni volta che sentiva fissi su di sé gli occhi di Tanger. Occhi che a volte smettevano di seguire le spiegazioni di Gamboa per posarsi un momento su Coy, inespressivi, sereni, quasi a voler constatare che lui era sempre lì e che tutto era sotto controllo. Sentì una fitta alle costole inferiori del fianco sinistro, ancora indolenzite dai pugni dell'autista berbero. L'incidente si era risolto con trentadue ore in una gattabuia del commissariato del Retiro e una denuncia del direttore dell'hotel per scandalo e aggressione che si sarebbe risolta davanti a un giudice nei mesi successivi. Nulla gli impediva, pertanto, di viaggiare fino a Cadice con Tanger. Quanto a Nino Palermo, dopo aver lasciato la clinica in cui era stato medicato d'urgenza al naso, che il referto medico aveva definito lesionato ma non fratturato, aveva avuto la delicatezza di non ricorrere ai suoi avvocati per procedere legalmente. Ma la cosa era tutt'altro che rassicurante perché, come aveva detto Tanger quando Coy era uscito dal commissariato e l'aveva trovata ad aspettarlo all'ingresso, Palermo era il tipo di persona che non ha bisogno di poliziotti o di tribunali per regolare i propri conti. Tornò a studiarsi la mano. Diversamente da Tanger, che aveva una linea lunga e precisa che le attraversava il palmo, le sue linee della vita, della morte, dell'amore e di quell'ultima cosa che chissà che diavolo stava a indicare, si intersecavano disordinatamente, proprio come le drizze di un veliero dopo una manovra difficile con vento forte e mareggiata, come se qualcuno le avesse agitate in un bussolotto per poi gettarle sul tavolo a casaccio. Così gli venne da sorridere fra sé e sé, poiché neppure la zingara più perspicace del mondo ci avrebbe capito qualcosa. Le chiavi del viaggio, gratis o puntualmente pagato che fosse, non si nascondevano in quelle linee ma nello sguardo che di quando in quando sentiva posarsi su di lui. Quello, concluse rassegnato, era il vero periplo che Atena gli aveva assegnato. Guardò sotto il tavolo. Tanger teneva le gambe accavallate sotto la larga gonna blu e dondolava lentamente uno dei piedi, calzati in un paio di sandali di cuoio. Osservò le caviglie lentigginose e poi il profilo della donna, che in quell'attimo si chinava sul piccolo quaderno su cui prendeva appunti con la penna d'argento. Alle sue spalle, dorandole le punte dei capelli fino quasi a sbiancarle nel controluce, il sole si trovava in declivio a un'ora e mezzo dall'orizzonte sull'Atlantico, davanti alla spiaggia della Caleta, esattamente tra i due castelli che la chiudevano su entrambi i lati. Osservò le vecchie mura dalle feritoie vuote, le garitte dalla cupola sferica disposte sugli angoli, l'impronta nera dell'acqua, i segni che l'alta marea lasciava quando lambiva le pietre consumate dalle onde. Tenendosi prudentemente alla larga dalla secca di San Sebastian, una vela si muoveva lentamente in lontananza, in direzione nord, sospinta da un fresco vento di sudest. Forza cinque nella scala Beaufort, calcolò vedendo le piccole onde increspate che il mare arricciava appena e che sollevavano bassi spruzzi di schiuma sull'istmo che univa la terraferma al castello, con l'enorme faro che si stagliava dritto, dietro le mura merlate delle antiche batterie. Cielo e acqua erano impeccabilmente blu, tanto luminosi da ferire la vista, e presto avrebbero cominciato a tingersi dei toni rossastri che anticipavano il tramonto. Pagina 79

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt "Ci sono un paio di cose" disse Gamboa "davvero insolite nella vostra storia." Coy smise di scrutare il mare e gli prestò attenzione. Tanger e il direttore dell'osservatorio si conoscevano telefonicamente per motivi professionali. Erano andati a trovarlo a San Fernando non appena arrivati da Madrid, con il treno per Siviglia e la carrozza prenotata fino a Cadice, per farsi dare da lui la documentazione sul Dei Gloria e sul Chergui, oltre che per chiarire alcuni punti oscuri. Poi, Gamboa li aveva accompagnati nella città vecchia per far loro assaggiare le tortillas con i gamberetti di Ca Felipe, in calle de La Palma, dove il pesce fresco veniva esposto ai clienti sotto un cartello che diceva: "Quasi tutti questi pesci hanno fatto da comparsa nei film del comandante Cousteau" E poi erano finiti sul mare, in quel bar all'aperto della Caleta. "Magari fossero solo un paio" sospirò Tanger. Gamboa, che fumava una sigaretta, rise, e gli occhi nordici conferirono un'aria infantile alla sua faccia barbuta. I denti erano irregolari, ingialliti dalla nicotina, con gli incisivi molto separati. Aveva la risata facile; rideva per qualsiasi cosa e nel farlo scuoteva la testa affermativamente, come se ogni pretesto fosse buono. Nonostante i suoi pregiudizi da marinaio mercantile nei confronti della Marina militare, a Coy quell'uomo piaceva. Persino il suo modo gentile, disinvolto, di civettare con Tanger -un'espressione, uno sguardo, il modo in cui le offriva sigarette che lei rifiutava -- risultava inoffensivo, simpatico. Quando in tarda mattinata lo avevano trovato nel suo ufficio dell'osservatorio, Gamboa, anche lì, era scoppiato a ridere compiaciuto scoprendo, e lo aveva detto senza tanti giri di parole, quanto fosse bella la collega di Madrid con la quale fino ad allora aveva mantenuto, per sua sfortuna, solo contatti telefonici ed epistolari. Poi aveva studiato accuratamente Coy prima di stringergli a lungo la mano, come se quel contatto gli permettesse di valutare che tipo di rapporto potesse legare la sua collega del Museo navale a quell'inaspettato individuo silenzioso, basso e largo di spalle, dalle mani grosse e l'incedere goffo, che la scortava. Lei si era limitata a presentarlo come un amico che la aiutava negli aspetti tecnici del problema. Un marinaio con molto tempo libero. "Quel brigantino..." proseguì Gamboa "veniva dall'America senza una scorta... Ed è strano, perché a causa degli inglesi, dei corsari e dei pirati, le ordinanze imponevano a ogni nave mercantile di attraversare l'Atlantico in convoglio." Parlava quasi sempre rivolgendosi alla donna, benché a volte si girasse verso Coy per evitare, forse, di farlo sentire a disagio. Immagino che non ti interessi, diceva la sua espressione. Non so cosa c'entri tu in questa storia, collega, ma immagino che non ti dispiaccia se mi rivolgo a lei, e gli sorrideva. Devi cercare di capirmi: siete solo di passaggio e lei è davvero attraente. Marinaio con tempo libero o assunto a tempo pieno, chiunque tu sia, ignoro cosa ci sia tra voi, voglio solo godermela per un po'. Un paio di birre e qualche risata, insomma, hai capito, tanto per ricaricare le batterie. Ah, ah. É l'unica cosa che intendo chiedervi come ricompensa per i miei servigi. Tra poco l'avrai di nuovo tutta per te, sarà quel che sarà, e potrai continuare a provarci. In fin dei conti, la vita è breve e non capita tutti i giorni che ti metta davanti una donna del genere. Almeno per quel che mi riguarda. "Ma in quel periodo erano in pace con l'Inghilterra" fece notare Tanger. "Probabilmente la scorta non era necessaria." Gamboa, che cercava di accendere l'ennesima sigaretta, si lasciò sfuggire il fumo dagli incisivi e annuì. Oltre ai suoi gradi militari, era uno storico navale. Prima di venire destinato all'osservatorio, era stato responsabile del patrimonio storico della Marina a Cadice. "Può essere una spiegazione" concesse. "Ma continua a sembrarmi strano... Nel 1767, Cadice aveva il monopolio del commercio americano. Fu solo undici anni più tardi che Carlo III, con la cedola di liberalizzazione commerciale, modificò la legge che designava Cadice come unico porto a cui si poteva accedere direttamente dalle Americhe... Pagina 80

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Ragion per cui nel viaggio del vostro brigantino dall'Avana ci doveva essere qualcosa di illegale, se prendiamo alla lettera gli ordinamenti reali. O almeno di irregolare." Diede due lunghi tiri alla sigaretta, riflettendo. "La norma sarebbe stata quella di fare scalo qui prima di proseguire per Valencia o qualsiasi altra fosse la sua destinazione finale" aggiunse dando un altro tiro. "E a quanto pare non lo fece." Tanger aveva una risposta a quel proposito. Di fatto, a quanto aveva capito Coy, sembrava avere la risposta pronta a quasi tutte le domande. Era come se, invece di cercare nuovi dati, intendesse solo confermare i vecchi. "Il Dei Gloria" spiegò lei "beneficiava di uno status speciale. Non dimenticare che era dei gesuiti e questi godevano ancora di certi privilegi. Le loro navi usufruivano di particolari esenzioni, navigavano in America e nelle Filippine con comandanti, ufficiali, portolani e carte nautiche della Compagnia e si circondavano di quella che oggi definiremmo una scarsa trasparenza fiscale... Era una delle accuse che mossero loro durante il processo di espulsione che veniva preparato in segreto." Gamboa la ascoltava con grande attenzione. "Dunque era dei gesuiti, eh?" "Esatto. " "Questo spiegherebbe diverse cose inspiegabili." Tanger ha passato molte ore, si disse Coy, nella casa che io conosco, di fronte alle rotaie della stazione di Atocha, a rimuginare la faccenda. Ha passato giorni e mesi sdraiata su quel letto che ho appena intravisto, seduta a un tavolo coperto di libri e documenti, collegando mentalmente tutti i fili, impassibile come un giocatore di scacchi che applica una sequenza di mosse già studiate in precedenza. Tracciando rotte che ci includono tutti. Sono convinto che ha già calcolato in anticipo questa conversazione, questo tizio barbuto e sorridente, questo paesaggio della Caleta, e forse persino l'ora 144 145 della bassa e dell'alta marea. Adesso si limita a costeggiare come si deve con la nave, trincare fino all'ultimo dettaglio prima di mettersi in mare. Perché lei è di quelle che non si scordano niente a terra. Può anche darsi che non abbia mai navigato, ma sono sicuro che nella sua immaginazione è già scesa dozzine di volte fino al relitto del Dei Gloria. "Comunque sia" disse Gamboa, "è un peccato non avere altra documentazione" e si girò leggermente verso Coy. "L'archivio di Cadice è l'unico che non confluì nell'Archivio generale della Marina di Viso del Marques, dove furono riuniti quasi tutti i documenti importanti che si trovavano a El Ferrol e a Cartagena, successivi a quanto era conservato nell'Archivio delle Indie di Siviglia... Qui un ammiraglio cocciuto rifiutò di consegnare tutto il materiale. Con il risultato che l'intero fondo documentale andò bruciato in un incendio, con tutte le carte del XVIII e XIX secolo, comprese alcune lastre originali della cartografia di Tofino." A quel punto, Gamboa diede un altro tiro alla sigaretta e indirizzò a Tanger una risata gioviale. "Non poteva mancare, vero? Il solito incendio. Ah, ah. Ma immagino che la cosa conferisca un certo fascino avventuroso al tuo lavoro." "Non tutto è andato perduto" rispose lei. "Non tutto, infatti. Qualcosa si è perso, ma nessuno sa più cosa ci sia lì dentro. Le piante del Dei Gloria, per esempio, erano rimaste dimenticate da tutti in un posto inimmaginabile: sotto mucchi di carte polverose, nel magazzino della strumentazione nautica dell'arsenale di La Carraca... Tra materiale di navi smantellate, giornali di bordo, carte e un'infinità di cose mai catalogate. Le ho viste per caso, circa un anno fa, mentre cercavo altro. E quando mi hai telefonato, mi sono tornate in mente... É una vera fortuna che la nave sia stata costruita qui." In realtà, chiarì Gamboa per riguardo a Coy, non si trattava proprio delle piante del Dei Gloria, ma del Loyola, un brigantino gemello, dal momento che erano stati costruiti entrambi a Cadice tra il 1760 e il 1762, a distanza di poco tempo l'uno dall'altro. La fortuna, tuttavia, non aveva assistito nessuno dei due. Prima ancora del fratello di cantiere, il Loyola era naufragato nel 1763 durante un violento temporale dalle parti di Sancti Petri. Fatti della vita: molto vicino al posto in cui era stato varato solo un anno Pagina 81

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt prima. C'erano navi che avevano un destino orribile, come sicuramente Coy sapeva per esperienza professionale. E quei due brigantini erano nati sotto una cattiva stella. Aveva procurato a Tanger la fotocopia delle piante dopo averle mostrato le varie sezioni dell'osservatorio, la facciata bianca con le colonne e la cupola che splendeva sotto il sole, i corridoi intonacati a calce con gli antichi strumenti nelle bacheche, i libri di nautica e di astronomia, la riga sul pavimento che indicava il punto esatto in cui passava il meridiano di Cadice e la magnifica biblioteca dagli scaffali di legno scuro traboccanti di libri. Lì, su un tavolo a vetrina che conteneva opere di Keplero, Newton e Galileo, la Relacion historica del viaje a la America Meridional e le Observaciones di Jorge Juan e Antonio de Ulloa oltre ad altri libri su spedizioni settecentesche che dovevano misurare un grado di meridiano, Gamboa aveva spiegato piante e documenti. Alcune fotocopie erano destinate a Tanger e il resto, originali di difficile riproduzione, venne fotografato con cura da lei stessa, con una piccola macchina che aveva estratto dalla borsa di cuoio. Aveva scattato due rullini da trentasei pose, con il flash che si rifletteva sui quadri delle pareti e sul vetro delle bacheche mentre Coy, per curiosità professionale, dava un'occhiata alle antiche tavole delle effemeridi nautiche e agli strumenti di precisione disseminati un po' dappertutto, vestigia del tempo in cui l'osservatorio di San Fernando era un riferimento indispensabile nell'Europa illuministica: un ottante Spencer, un orologio Berthoud, un cronometro Jensen, un telescopio Dollond. Quanto al Dei Gloria, Coy se lo ritrovò davanti quando Gamboa, dopo una pausa calcolata e teatrale, tirò fuori quattro piante in scala 1:55 che aveva fatto fotocopiare per Tanger: uno snello brigantino di trenta metri di lunghezza e otto di larghezza, con due alberi, vele quadre, un'aurica all'albero di maestra, munito di dieci cannoni di ferro da quattro libbre. Anche ora le fotocopie erano davanti ai loro occhi, sul tavolino del bar. "Era una bella nave" disse Gamboa, osservando la vela distante che aveva già incrociato davanti alla spiaggia e spariva dietro il castello di Santa Catalina. "Come potete apprezzare dalle piante, aveva linee molto pulite e marine. Una nave moderna per l'epoca, costruita in durame di rovere e tek con la solita coperta continua e i cannoni sopra, con cinque portelli su ogni fiancata. Veloce e affidabile. Se uno sciabecco ha potuto darle la caccia significa che doveva aver subito molti danni durante la traversata dell'Atlantico. Ah, ah. Perché altrimenti..." Adesso il direttore dell'osservatorio guardava Tanger con attenzione divertita. "Questo è un altro piccolo mistero, vero?... Perché non sia entrata a riparare nel porto di Cadice." Tanger non rispose. Giocherellava con la penna d'argento, concentrata sulle cupole bianche dello stabilimento balneare che si stagliava a sinistra, con i paletti piantati sulla spiaggia. "E il Chergui?" domandò Coy. Gamboa, che osservava la donna, si girò lentamente. Sulla nave corsara non c'erano misteri, rispose. E loro erano stati davvero fortunati perché tra la nuova documentazione c'era del materiale valido. Come una copia della descrizione del Chergui, di cui aveva individuato l'originale nella sezione di Corsa e bottini di Viso del Marques. Sfortunatamente non si trattava delle piante dello scafo in questione, ma di quelle di uno sciabecco dalle caratteristiche simili, l" Halconero, che assomigliava molto al Chergui per lunghezza, armamento e alberatura. "Non sappiamo dove e in che anno sia stato costruito" spiegò Gamboa, estraendo dal taschino della camicia un foglietto piegato "anche se sappiamo che agiva usando come basi Gibilterra e Algeri. Ma esistono descrizioni dettagliate del suo aspetto, fatte dalle vittime o da persone che lo incrociarono durante gli scali in cui issava bandiera britannica, che poi cambiava a seconda della convenienza, perché lo armavano a metà un maltese residente a Gibilterra e a metà un mercante algerino... Abbiamo documentazione delle sue avventure tra il 1759 e il 1766, ma il rapporto più minuzioso" il direttore dell'osservatorio consultò gli appunti che aveva sul foglio "è quello di don Josef Mazarrasa, comandante del mistico Podenco, che riuscì a sfuggire a uno sciabecco identificato come Chergui nel settembre del Pagina 82

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt 1766, dopo una scaramuccia all'altezza di Fuengirola. Siccome fu sul punto di venire abbordato, arrivò a vederlo, suo malgrado, molto da vicino. Sul cassero c'era un europeo, la cui descrizione può coincidere con quella dell'inglese conosciuto come Slyne, o comandante Mizen, e l'equipaggio, numeroso, sembrava composto da mori ed europei, questi ultimi sicuramente inglesi." Gamboa consultò nuovamente gli appunti. "... Il Chergui era uno sciabecco con boma e classico ponte alto a poppa, con gli alberi di maestra e di mezzana armati a polacca e il trinchetto con vela latina, abbastanza rapido tra quelli della sua categoria, di circa trentacinque metri di lunghezza e otto o nove di larghezza. Secondo il comandante Mazarrasa, che in seguito a quello scontro si ritrovò con cinque morti e otto feriti a bordo, portava quattro cannoni lunghi da circa sei libbre. altri otto da circa quattro e almeno quattro petrieri. Evidentemente si era dotato di artiglieria ad Algeri con buoni cannoni di bronzo, vecchi ma funzionanti, presi da una vecchia corvetta francese catturata, il Flamme... Un simile armamento lo rendeva temibile contro scafi di minore portata e dalla linea più fragile, come nel caso del Podenco e del Dei Gloria... Sempre ammesso che sia davvero questo lo sciabecco in questione..." "Ne sono sicura" disse Tanger. "Erano loro due." Aveva smesso di guardare lo stabilimento balneare e aveva aggrottato leggermente la fronte, con aria ostinata. Gamboa ripiegò il foglio e glielo tese. Poi alzò una mano, come se non avesse nulla da obiettare al riguardo. "In quel caso, il comandante del Dei Gloria doveva essere un uomo dal sangue freddo. Reggere all'inseguimento, non rifugiarsi a Cartagena e ingaggiare una battaglia con il Chergui a una distanza così ravvicinata non è da tutti. E quel viaggio senza nemmeno uno scalo dall'Avana..." Studiò Coy e poi la donna, sorridendo perspicace. "Suppongo che il punto sia proprio questo, non è vero?" Coy si abbandonò all'indietro sullo schienale al quale aveva appeso la giacca. Non chiedermi niente, diceva la sua espressione. E lei che comanda. "Ci sono cose che voglio chiarire" disse Tanger dopo un breve silenzio. "Tutto qui." Stava riponendo con molta attenzione il foglio con le annotazioni nella borsa. Gamboa le rivolse un'occhiata penetrante. Per un attimo l'espressione placida del direttore dell'osservatorio sembrò perdere la solita innocenza. "Un bel lavoro, comunque" rilevò, cauto. "E poi, forse, aveva a bordo... Non so." Cercava il suo pacchetto di sigarette nella tasca dei pantaloni. Coy notò che ci metteva più del necessario, come se gli frullasse in testa qualcosa che non era sicuro di voler raccontare. "La verità" disse alla fine "è che né la nave, né la rotta, né l'epoca fanno pensare a un tesoro." "Nessuno ha mai parlato di tesori" disse lei molto lentamente. "Certo che no. Non l'ha fatto neanche Nino Palermo." Seguì un silenzio. Arrivavano sino a loro le voci dei pescatori che, ai piedi della terrazza del bar, nel molo, lavoravano sulle barche tirate in secco o vogavano tra le piccole imbarcazioni ormeggiate con la prua al vento. Un cane correva per la spiaggia, inseguendo a latrati un gabbiano che planò impassibile, prima di allontanarsi in direzione del mare aperto. "Nino Palermo è stato qui?" Tanger guardava il gabbiano che si allontanava, e la sua domanda arrivò solo quando l'uccello fu molto lontano. Gamboa si chinava per accendere un'altra sigaretta, proteggendo la fiamma dell'accendino con il cavo delle mani. La brezza gli portò via il fumo dalle dita mentre i suoi occhi chiari scintillavano, divertiti. "Sicuro che è stato qui. Ah, ah. Per farmi cantare, un po' come voi. " Il vento di sudovest era aumentato di un paio di nodi, calcolò Coy. Quanto bastava per sollevare schizzi di schiuma sulla scogliera che si snodava ai piedi delle antiche mura, a sud della città. Gamboa raccontava la sua storia con calma, assaporando quel colpo di fortuna. Pagina 83

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Era ovvio che trovava gradevole la loro compagnia e che non aveva fretta. Fumava e camminava tra i suoi due accompagnatori, soffermandosi di quando in quando per dare un'occhiata al mare, alle case del quartiere della Vina, ai pescatori che, immobili davanti alle loro canne fissate tra gli scogli, contemplavano l'Atlantico. "É venuto a trovarmi qualcosa come un mese fa... Ed è arrivato come tutti quelli del suo mestiere, con fare ambiguo, circondandosi di una cortina di fumo. Chiedono di questo e di quello: cose disparate per fare in modo che uno non riesca a capire cosa cercano realmente." A tratti Gamboa sorrideva a Tanger e i suoi incisivi distanti ne accentuavano l'espressione. "Lui ha portato una lista della spesa molto estesa in cui, all'ottavo o al nono posto, mimetizzato tra altre cose, c'era il Dei Gloria... Io sapevo che tu lo stavi cercando perché avevamo già parlato varie volte al telefono. Ed era evidente che Palermo si affannava per seguire una pista fresca." Tacque, guardando il pesce che si dibatteva all'estremità di una lenza. Era un sarago. Il pescatore, un tipo magro dalle basette grosse e una camicia bianca con le bretelle, lo sfilò delicatamente dell'amo per gettarlo nel secchio, dove continuò a dare deboli colpi di coda in mezzo ad altri riflessi d'argento. "E così appena Palermo ha menzionato il Dei Gloria, ho subito tirato le somme." Gamboa ricominciò a camminare. "Poi ho lasciato che mi invitasse a mangiare al Faro, l'ho ascoltato attentamente, annuendo, gli ho detto quattro stupidate, gli ho dato informazioni circa le cose meno importanti della sua lista e me lo sono levato di torno." "Cosa gli hai detto del Dei Gloria?" domandò Tanger. Il vento le incollava la tela leggera della gonna alle cosce e faceva svolazzare il collo della camicia socchiusa. Era davvero affascinante ma non giocava al personaggio della seduttrice, notò Coy. Non aveva neppure assunto un'aria vulnerabile. Era serena, autorevole. Franca nell'approccio diretto con Gamboa: perché dovremmo ingannarci tra colleghi? Siamo funzionari in un mondo ostile e compagnia bella, perché non c'è niente che io possa dirti che tu già non sappia. La vita è dura e ciascuno si tiene a galla come può. Naturalmente ti terrò informato. Sono in debito con te. Era sveglia, stabilì. Era molto sveglia, o probabilmente intuitiva a livelli maniacali, con un rigoroso senso dei meccanismi che governano gli uomini. Ripensò al capitano di fregata del Museo navale di Madrid, all'espressione che aveva quando parlava con lei nel corridoio, davanti al suo ufficio. Indubbiamente una dei nostri, ammiraglio. E saltava agli occhi che anche con il direttore dell'osservatorio le cose funzionavano nello stesso modo. Una dei nostri. Adesso Gamboa tornava a sorridere, come se la domanda che lei aveva formulato fosse di troppo. "Gli ho detto il giusto" rispose. "Ossia niente. Se mi abbia creduto, questo ormai non te lo so dire... E comunque, è stato alquanto prudente al riguardo" disse girandosi un po' verso Coy, come se aspettasse da lui una conferma alle proprie parole. "Immagino che lei conosca Nino Palermo." "Lo conosce bene" disse lei. Troppo rapita nel puntualizzare, si disse Coy tra sé e sé. Osservava Tanger e lei se ne accorse, perché si mise a guardare il mare con troppa insistenza. Può anche darsi che io conosca Palermo, si ripeté lui, ma sicuramente non tanto bene; comunque tu l'hai detto un po' troppo in fretta, bellezza. L'hai detto probabilmente un secondo prima di quanto avresti dovuto. E questo non sta bene. Non in una ragazza sveglia come te. É un peccato che al tuo livello tu commetta ancora questo genere di errori. O che mi prenda per un povero coglione. "Non tanto" rispose Coy a Gamboa. "In realtà non conosco il tipo di cui parliamo bene come vorrei." "Allora lei dev'essere l'unico estraneo che gli rimane nel giro." "Lui non è del Pagina 84

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt giro" disse Tanger. Il direttore dell'osservatorio si fermò a guardarli. Sembrava nuovamente intento a interrogarsi sul tipo di relazione che li univa. Alla fine si rivolse a Coy: "Residente a Gibilterra di padre maltese e madre inglese, vale a dire tradizione pirata allo stato puro. Conosco Palermo da molto tempo, da quando lavoravo al riordino degli archivi del museo di Cadice... Uno dei tentativi di recuperare il Santisima Trinidad, probabilmente il più serio, è stato opera sua. Il Trinidad fu a suo tempo la nave da guerra più grande del mondo, una nave a quattro ponti e centoquaranta cannoni, e affondò in occasione della battaglia di Trafalgar, mentre gli inglesi cercavano di rimorchiarla a Gibilterra" disse indicando un punto impreciso del mare, in direzione sudest. "É proprio lì, a poca distanza da Punta Camarinal. L'intenzione era di fare un'operazione sul tipo di quella svedese per il Wasa o quella inglese per il Mary Rose, ma il tentativo, come la maggior parte di queste cose, si scontrò con la mancanza di entusiasmo del governo spagnolo che è... " "Come il cane dell'ortolano" disse Tanger. "Esatto. Non mangia e non lascia mangiare." Gamboa gettò la sigaretta consumata nella schiuma che si infrangeva sulle rocce della scogliera e proseguì con il racconto. Palermo era un vero personaggio nella zona, con quel tocco mafioso, sicuramente Coy aveva presente il tipo, così mediterraneo. Il Marocco era vicino, a poche miglia, e da Gibilterra e Tarifa lo si poteva scorgere nei giorni più limpidi. Quella era la frontiera dell'Europa. Palermo aveva fondato la Deadman" s Chest sei o sette anni prima, ed era noto per la sua mancanza di scrupoli. Aveva interessi a Ceuta, Marbella e Sotogrande, e lavorava con gente pericolosa di entrambi i lati dello Stretto, consigliato da uno studio di professionisti nel contrabbando e da società fantasma che gli toglievano le castagne dal fuoco quando si spingeva un po' troppo oltre. "Non ci sono prove al riguardo ma gli viene attribuito, tra altri atti di vandalismo, il saccheggio clandestino dei resti del Nuestra Senora de Cillas, un galeone di Veracruz che naufragò nel 1675 nella bocca di Sanlucar con un carico di lingotti d'argento." Gamboa storse la bocca. "Non era una grande fortuna, ma nel recuperarla i suoi sommozzatori distrussero la nave, rendendola inutilizzabile per qualsiasi studio archeologico serio... E lo accusano di diverse altre bravate del genere..." "É in gamba?" volle sapere Coy. "Palermo? In gambissima." Gamboa guardò Tanger come se si aspettasse da lei una conferma alle proprie parole, ma la ragazza non aprì bocca. "... Forse è il migliore di quelli che vediamo in azione da queste parti. Ha lavorato con relitti di tutto il mondo e ha fatto i soldi combinando questa attività al recupero e alla demolizione di navi affondate... Tempo addietro ha cercato di associarsi a una delle spedizioni degli uomini di Fisher, con il quale aveva lavorato come sommozzatore nel recupero dell'Atocha. Pretendevano di fare un campo alla foce del Guadalquivir, dove avevano calcolato che fossero naufragate un'ottantina di navi dirette allo scalo di Siviglia con sopra più oro dello stesso Banco de Espana, ah, ah. Ma qui non siamo in Florida: non ottennero l'autorizzazione ministeriale... Ci furono anche altri problemi. Palermo è tra quanti difendono la dottrina classica dei cacciatori di tesori: dal momento che sono loro ad accollarsi tutto il lavoro e lo Stato ci mette solo i permessi, ritengono che gli otto decimi degli utili debbano andare a chi li recupera. Ma a Madrid si sono persino rifiutati di prendere la cosa in considerazione, e non ha avuto maggiore fortuna con la giunta dell'Andalusia." Gamboa si godeva la conversazione. Era loquace, giocava in casa, così si dilungò a spiegare a Coy il ruolo svolto da Cadice nella storia dei naufragi. Dall'anno 1500 al 1820, dalle due alle trecento navi che contenevano il dieci percento dei metalli preziosi importati dall'America vi erano colate a picco. Il problema erano le acque torbide, la sabbia e il fango che le coprivano, oltre allo scetticismo dello Stato spagnolo. Anche la Marina, aggiunse con una smorfia, aveva perfettamente individuato un Pagina 85

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt discreto numero di relitti. Ma alcuni vecchi ammiragli consideravano le navi naufragate come tombe che non andavano violate. "Com'è stato il colloquio con Palermo?" domandò Coy. "Cordiale e cauto da entrambe le parti." Il direttore dell'osservatorio studiò per un istante Tanger, prima di rivolgersi di nuovo a lui. "Lo conosce davvero?" Coy, che camminava con le mani in tasca, si strinse nelle spalle. "La nostra amica ha un po' esagerato. In realtà il nostro è stato un contatto superficiale." Gamboa lo guardava con attenzione, interessato. "Un contatto, eh?" "Sì " "E in che senso superficiale?" "In senso letterale." Coy si strinse ancora nelle spalle. "Limitato alla superficie." "Gli ha dato una testata sul naso" spiegò Tanger. Aveva fatto un mezzo sorriso, tra i capelli dorati che la brezza marina le spettinava intorno al viso. Gamboa si era fermato a guardarli a turno, con insistenza. "Sul naso? Accidenti, non me lo dica." Adesso si rivolgeva a Coy con un nuovo rispetto. "Deve raccontarmi come è andata, collega. Muoio dalla voglia di saperlo." Coy glielo raccontò in breve, senza tanti fronzoli. Cane, hotel, naso, commissariato. Quando ebbe terminato, Gamboa lo studiava riflessivo, divertito, grattandosi la barba. "Caspita. E senza contare che, anche per chi non conosca il suo curriculum, Palermo è un uomo pericoloso... E poi ha quello sguardo che ti riempie di sconcerto perché non sai mai quale occhio seguire" e fissò di nuovo Coy, come se cercasse di valutare la sua capacità di colpire la gente al naso. "E questo sarebbe un contatto superficiale, eh? Ah, ah. Superficiale." Rise ancora per un po' mentre Coy studiava Tanger e lei ne sosteneva lo sguardo, con il sorriso ancora sulle labbra. "Sono davvero felice di sapere che qualcuno ha dato una lezione a quello stronzo arrogante" disse infine Gamboa quando ripresero a camminare. "Vi ho già raccontato in che modo si è presentato qui, come sono soliti fare quelli come lui: gettando fumo negli occhi e seminando piste false: isolotti della Florida, Zahara de los Atunes, Sancti Petri, secche del Chapitel e del Diamante... Ha tirato in ballo persino l'estuario di Vigo e i suoi famosi galeoni..." Si erano lasciati il mare alle spalle e si addentrarono per le vecchie vie intorno alla cattedrale, nei pressi della torre di mattoni e delle mura della chiesa di Santa Cruz. La piazza era in discesa, con un Cristo in una nicchia e lanterne, gerani e persiane ai balconi di case molto antiche, il cui intonaco a calce, come quello di quasi tutta la città, era scrostato dal vento e dall'umidità del mare vicino. In quella zona regnava la penombra e la luce del tramonto si ritirava attraverso i tetti. Il selciato di quella piazza, raccontò Gamboa in onore di Coy, era stato fatto con sassi provenienti dall'America: la zavorra degli scafi che seguivano la rotta delle Indie. "Come ho già detto" proseguì "e tornando a Nino Palermo, io ero prevenuto nei suoi confronti... E così l'ho lasciato curiosare in giro senza fornirgli nessuna pista valida." "Te ne sono grata" disse lei. "Non l'ho fatto solo per te. Quello squalo mi aveva già giocato un brutto tiro tempo addietro, quando si era messo sulle tracce dei quattrocento lingotti di oro e d'argento, benché altri dicano che si trattasse di mezzo milione di monete da otto scudi, provenienti dal San Francisco Javier... Ma in certi casi, invece di sollevare un putiferio che non giova a nessuno, la cosa migliore è far finta di niente e legarsela al dito. Ah, ah. C'è sempre modo di rendere pan per focaccia." Camminarono tra le macchine parcheggiate che ostacolavano il passo, incrociando diversi brutti ceffi. La zona brulicava di osterie economiche piene di pescatori disoccupati, trafficoni e mendicanti. Un giovane con scarpe da ginnastica e tutta l'aria di poter correre i cento Pagina 86

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt metri piani con un buon tempo li seguì per un po', puntando la borsa di Tanger, fino a quando Coy non si girò, piazzandosi in mezzo alla strada con una faccia da attaccabrighe, e il ragazzo decise di cambiare aria. Prudentemente, Tanger si sistemò meglio la borsa. Adesso la teneva schiacciata tra il gomito e il fianco. "Cosa ti ha chiesto esattamente Palermo?" Gamboa si fermò ad accendere la sigaretta che lei e Coy avevano appena rifiutato. Il fumo gli sfuggì tra le dita. "Le stesse cose che mi hai chiesto tu. Cercava le piante." Mise via l'accendino, volgendosi verso Coy. "In qualsiasi lavoro relativo a un relitto, le piante sono importantissime. Servono per poter studiare la struttura della nave, calcolarne le misure e tutto il resto... Sott'acqua non è facile orientarsi perché, diversamente da quanto si vede nei film, di solito non si trova altro che un mucchio di legni marci, spesso ricoperti di sabbia. Sapere dove fosse la prua, quanto fosse lungo il ponte di prora e dove si trovasse la stiva, è già un considerevole passo avanti. Con le piante e un metro a nastro, uno riesce a cavarsela abbastanza bene là sotto." Guardò Tanger con intenzione. "A seconda di quello che spera di trovare, naturalmente." "La questione non è cercare subito sott'acqua" spiegò lei. "La mia è solo una ricerca. La fase operativa verrà in seguito, sempre ammesso che venga." Gamboa si lasciò sfuggire un filo di fumo dalla fessura degli incisivi giallognoli. "Certo. Ah, ah. La fase operativa." Socchiudeva gli occhi, maliziosi. "Cosa trasportava il Dei Gloria?" Anche Tanger rise dolcemente, posandogli una mano sul braccio. "Cotone, tabacco e zucchero dell'Avana. Lo sai perfettamente." "Già." Gamboa si grattava la barba. "Comunque sia, se qualcuno localizza la nave e scatta la.... Come l'hai chiamata? Fase operativa, allora dipende tutto da cosa si cerca. Se sono documenti o materiale deteriorabile, non c'è più niente da fare." "Chiaro" disse lei, imperturbabile, come se stesse giocando a poker. "La carta si bagna e pluff. Arrivederci." " Chiaro. " Gamboa si diede un'altra grattatina prima di dare l'ennesimo tiro alla sigaretta. "E così avrebbe trasportato cotone, tabacco e zucchero dell'Avana, vero? " Aveva un tono beffardo. Lei alzò entrambe le mani in aria, come una ragazzina innocente: "Così dice il manifesto di carico. Non è una meraviglia, ma permette di farsi un'idea abbastanza vicina al vero" "É stata una vera fortuna che tu l'abbia trovato." "Davvero. É arrivato in Spagna con i documenti dell'evacuazione di Cuba del 1898, non a Cadice, dove sarebbe andato distrutto nell'incendio, ma a El Ferrol. E da lì è stato trasferito a Viso del Marques, dove ho potuto consultarlo nella sezione Navigazione mercantile." "Sei stata molto fortunata" ripeté Gamboa. "Ci sono andata per vedere se trovavo qualcosa e all'improvviso mi è capitato sotto gli occhi. Nave, data, porto, carico e passeggeri... Tutto." Gamboa la studiò con attenzione. O quasi" disse scherzoso. "Cosa le fa pensare che ci sia altro?" domandò Coy. Gamboa sorrideva placidamente. Scosse la testa. "Io non penso niente, collega. Mi limito a osservare questa giovane signora... E a constatare l'interesse che Nino Palermo dimostra per la stessa faccenda. E mi rendo anche conto, perché lavoro in quest'ambiente da anni e non sono nato ieri, che il famoso viaggio all'Avana a Valencia senza scalo a Cadice, nonostante tutti i manifesti di carico caduti dal cielo che si possano ritrovare a Viso del Marques, puzza di operazione clandestina... Se poi consideriamo la data, e per ultimo l'armatore che lo metteva in mare, la conclusione è ovvia: il Dei Gloria nascondeva qualcosa di losco. Pagina 87

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Quello che lo sciabecco corsaro affondò era tutto fuorché una nave innocente." Detto ciò, il direttore dell'osservatorio strizzò un occhio e rise di nuovo, mentre espirava il fumo della sigaretta attraverso i denti irregolari. "Così come non lo è la nostra amica" aggiunse. Guardava Tanger. E allora Coy la vide ridere a sua volta, nello stesso modo di prima, con estrema dolcezza: l'aria intelligente, misteriosa e complice. Gamboa non sembrò per niente seccato, anzi, pareva divertito, quasi tollerante nei confronti di una ragazzaccia che, per qualche strana ragione, godeva delle sue simpatie. E Coy scoprì che, così come azzeccava la mossa giusta in tante altre situazioni, lei sapeva anche ridere nel modo più opportuno. A quel punto, sentendosi escluso, fuori luogo e a disagio, tornò a sentire una vaga stizza. Magari fossimo già laggiù, pensò. In mare, lontani da tutti, a bordo di una nave dove lei non possa fare altro che guardarmi negli occhi, senza alternativa. Lei e io. A inseguire i lingotti d'oro o d'argento o qualsiasi altra stramaledetta cosa ci fosse da cercare. Gamboa sembrò intuire il suo disagio perché gli rivolse un'occhiata amichevole. "Non so cosa questa ragazza stia cercando" disse. "Non so neanche se lei lo sa. Ma in ogni caso, sono poche le cose che resistono nell'acqua per due secoli e mezzo. Gli organismi xilofagi aggrediscono il legno, il ferro viene corroso e si ricopre di incrostazioni..." "E cosa succede all'oro e all'argento?" Gamboa lo osservò sarcastico. "Lei dice che non sta cercando quelli." Tanger ascoltava in silenzio. Per un attimo, Coy incrociò il suo sguardo sereno: sembrava indifferente alla conversazione. "Ma cosa succede a loro?" insisté. "Il vantaggio dell'oro e dell'argento" spiegò Gamboa "è che il mare li danneggia pochissimo. L'argento brunisce e l'oro... Be, l'oro si comporta molto bene nei naufragi. Non si ossida, non diventa verde e non perde né la lucentezza né il colore. Lo si ritrova esattamente com'era quando è andato a fondo." Gli strizzò l'occhio, interrompendosi, poi si rivolse a Tanger. "Ma stiamo parlando di tesori e queste sono parole pesanti. Non è vero?" "Nessuno ha parlato di tesori" disse lei. "Certo. Nessuno. Neanche Nino Palermo l'ha fatto. Ma un avvoltoio della sua risma non si muove per amore dell'arte." "La cosa riguarda Palermo e non me." "Certo. Ah, ah." Adesso Gamboa si rivolgeva a Coy, gioviale. "Certo." CALLEJON DE LOS PIRATAS, lesse all'improvviso questi sulla facciata di una casa. Quella stradina stretta dai muri bianchi e fatiscenti si chiamava niente meno che Vicolo dei Pirati. Rilesse l'insegna di azulejos, ancora incredulo, per verificare che non si trattasse di un errore. Era già stato a Cadice altre volte; conosceva la zona del porto, in particolar modo i bar ormai scomparsi di calle Plocia, molto frequentati ai tempi dell'Equipaggio Sanders, ma non quella parte della città. Di sicuro non quel vicolo, il cui nome pittoresco per poco non lo fece scoppiare a ridere. Anche se, in fin dei conti, non era poi così pittoresco. Anzi, non c'era niente di più pertinente, rifletté, per un posto come quello e per un gruppo come il suo: un marinaio senza nave e una cercatrice di relitti nell'antica Gadir fenicia, la città millenaria dalla quale tante navi e tanti uomini erano salpati anno dopo anno, secolo dopo secolo, per non fare più ritorno. In fin dei conti, aveva un senso. Se su quelle pietre rotonde e scure, antica zavorra delle navi che portavano l'oro dall'America, erano risuonati i passi di pirati e corsari, il fantasma del Dei Gloria e del suo equipaggio naufragati in fondo al mare, Tanger e lui stesso Pagina 88

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt forse risvegliavano a loro volta eco adeguate. Forse ciò che sembrava relegato a certe pagine e illustrazioni, territorio dell'infanzia, ambito esclusivo dei sogni, in qualche modo era ancora possibile. O magari lo era perché certi sogni sono sempre in agguato tra sussurri di pietra e di carta, nelle lapidi e in vecchi muri consumati dal tempo, nei libri che sono come porte aperte sull'avventura, nei fascicoli ingialliti che possono significare l'inizio di navigazioni appassionanti, pericolose, capaci di moltiplicare una vita in mille, con i rispettivi periodi Stevenson e Melville, fino all'inevitabile periodo Conrad. "Ho navigato per oceani e biblioteche" aveva letto una volta, da qualche parte, molto tempo prima. Poteva anche essere, semplicemente, che tutta quella storia fosse accessibile in una determinata forma, e solo in quella, perché c'era una donna che le dava senso. E perché, a partire da un certo momento, quando si doppiava questa o quella punta di terra e una certa parte della vita di un uomo restava in franchigia, una donna, la donna, era forse l'unica ragione per voltarsi indietro. L'unica tentazione possibile. Osservò Tanger, che camminava accanto a Gamboa, con la borsa stretta sotto il gomito e gli occhi bassi, guardando per terra davanti ai propri sandali di cuoio, e non aveva fatto caso alla targa della strada perché non le serviva -lei camminava per vie che erano solo sue -- con i capelli ancora aggrovigliati dalla brezza marina. Il problema, si disse, è che la scienza nautica non serve proprio a nulla quando si tratta di navigare in terraferma o attorno a una donna. Non ci sono carte piane o sferiche che le descrivano. Poi si domandò che genere di oro cercasse Tanger: se era quello magico dei sogni o quello più concreto, metallico e giallo, che resisteva inalterato al tempo e ai naufragi. "Comunque sia" stava dicendo Gamboa rivolto a lui "qualsiasi operazione di recupero di oggetti in mare senza un permesso amministrativo è illegale." La legislazione sulle navi affondate, spiegò di seguito, contemplava aspetti molto diversi: proprietà della nave e del carico, diritti storici, acque territoriali o internazionali, ministero dei Beni culturali e altri dettagli. Gran Bretagna e Stati Uniti erano solitamente permissivi con l'iniziativa privata, mirando più all'affare in sé che all'aspetto culturale. Il principio anglosassone, riepilogò, si riassumeva in: "Cerca, trova e pagami" Ma in Spagna, così come in Francia, Grecia e Portogallo, lo Stato era molto severo, con una legislazione che risaliva al diritto romano e al Codigo de las Siete Partidas.* "Tecnicamente" concluse "recuperare un pezzo d'anfora senza averne il permesso è un reato. Lo è già persino il semplice fatto di cercarlo." Erano sbucati nella piazza della cattedrale, con le due torri bianche e la facciata neoclassica che presiedevano lo spiazzo. Sotto le palme passeggiavano coppie mature, madri con carrozzine e bambini che scorrazzavano tra i tavolini dei vicini bar all'aperto. Man mano che l'ultima luce si ritirava, i piccioni volavano verso le gronde e si preparavano a passare la notte tra le lesene ioniche. Uno di loro passò svolazzando molto vicino alla faccia di Coy. "In questa fase la cosa non rappresenta un problema" disse Tanger. "Indagare non è un delitto." Gamboa esibì i denti gialli in un ennesimo, placido sorriso. Era evidente che se la stava spassando. A me, diceva la sua espressione, non la date a bere. Non alla mia età e con la mia esperienza. "Certo che no" disse. "Assolutamente. " "E quello che ho detto." Tanger fece qualche passo, imperturbabile. Teneva gli occhi Nota. "Il Codigò de las Siete Partidas è una celebre raccolta di leggi spagnole divisa in sette parti, fatta compilare da Alfonso X il Saggio nel XIII secolo. [N. d. T.] fissi sul selciato davanti a sé. Coy osservò la linea china del suo collo, sulla nuca. Il suo aspetto equivocamente fragile. Quando si girò verso Gamboa, scoprì che questi lo stava studiando con interesse. "Forse più avanti..." disse lei senza alzare la testa "se otterremo qualche Pagina 89

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt risultato, potremo proporre un progetto di ricognizioni serie..." Coy sentì Gamboa ridere sotto i baffi. Continuava a guardare lui. "Questo se Palermo non vi precede." "Non ci precederà." Passarono davanti a un antico casermone dalle pareti decrepite, con un balcone di ferro arrugginito che sovrastava la porta principale. Coy lesse la targa di marmo avvitata a un muro: "In questa casa passò a miglior vita don Federico Gravina y Napoli, comandante generale della reale Marina, in conseguenza delle ferite riportate a bordo della nave Principe de Asturias nella memorabile battaglia di Trafalgar" "Vado matto per le ragazze sicure di sé" stava dicendo Gamboa. Coy si voltò per studiarlo. Aveva parlato per lui, non per lei; e non gli piacque l'ironia amichevole che sprizzavano quegli occhi da normanno. Sono sicuro che sai in che guaio ti stai cacciando, dicevano. E comunque, che tu lo sappia o meno, se fossi in te ci andrei con i piedi di piombo, collega. Quel che intendo dire è che devi andare avanti adagio e senza mai perdere di vista lo scandaglio. Qui ci sono solo poche braccia sotto la chiglia e scogli ovunque, e salta agli occhi che questa signora sa cosa vuole, mentre dubito che tu abbia le idee altrettanto chiare al riguardo. Basta confrontare le sue parole e i tuoi silenzi. Basta guardare in faccia te e guardare in faccia lei. Avevano salutato Gamboa e adesso camminavano nella parte vecchia della città, cercando un posto dove mangiare un boccone. Il sole era sparito da un pezzo, lasciando una traccia di chiarore a ovest, dietro i tetti che scendevano a gradini verso l'Atlantico. "Era qui" disse Tanger. Da quando erano di nuovo soli, sembrava comportarsi di versamente. Era più rilassata, come se avesse calato una guardia immaginaria. Adesso chiacchierava fermandosi a tratti per indicare questo o quel posto, con la borsa infilata al braccio e stretta sotto il gomito, l'ampia gonna blu che frusciava al ritmo del suo incedere attraverso i vicoli dalle pareti rovinate. Quando si girava per guardarla, vedeva splendere la luce incerta dei lampioni nelle sue iridi scure. "Il castello dei Guardiamarinas sorgeva qui" disse lei. Si erano fermati in una strada in salita che si inerpicava verso il teatro romano e le antiche mura, accanto a pareti scrostate su cui poggiavano colonne di pietra e due archi ogivali che ormai non reggevano più nessun soffitto. C'era un terzo arco a tutto sesto un po' più su, che faceva da imboccatura a un vicolo stretto. Si sentiva l'odore salmastro del mare vicino, da dietro gli edifici arrivava il rumore delle onde che si infrangevano contro le mura, e anche quello di pietra vecchia, di urina e di sporco. C'era lo stesso odore, si disse Coy, dei vecchi angoli di porti in decadenza, quelli che ancora non erano illuminati da batterie di luce alogena all'estremità di torri di cemento e nei quali la tecnologia e la plastica sembravano essersi tenute alla larga, relegandoli in tempi morti come l'acqua ferma ai piedi dei moli, tra gatti e secchi di immondizia, lampioni rossi, braci di sigarette nell'oscurità, bottiglie rotte per terra, cocaina a buon mercato, donne a un tanto al quarto d'ora, letto a parte. Neppure il porto di Cadice, dall'altra parte della città, aveva più niente da spartire con quell'atmosfera, e i vecchi bordelli e le pensioni erano ormai stati rimpiazzati da bar e alloggi rispettabili. Non c'erano bucce di banana accanto ai depositi e alle gru, né equipaggi ubriachi che cercavano la loro nave all'alba, né pattuglie dei guardacoste, né marinai statunitensi pugnalati a un angolo di strada. Quegli scenari erano stati relegati in altre parti del mondo, e anche lì le cose erano ormai cambiate. Restavano ancora posti come Buenaventura, con le sue stradine strette, le bancarelle di frutta, il bar Bamboo, i bordelli e le meticce con vestiti tanto aderenti e leggeri che sembravano pitturati addosso. O Guayaquil, con i suoi cocktail di gamberetti e le iguane che si arrampicavano sugli alberi del centro della città al ritmo delle scampanate dei quattro orologi della cattedrale, e le noiose guardie notturne con una lanterna e una Pagina 90

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt pistola per bengala alla cintura in previsione di attacchi pirati. Ma quelle erano ormai eccezioni. Adesso, nella stragrande maggioranza, i porti erano lontani dal centro della città e assomigliavano alle grandi aree di parcheggio per i camion; le navi ormeggiavano all'ora giusta per scaricare i container, e i marinai filippini e ucraini restavano a bordo a guardare la tv, per risparmiare. "Dove noi adesso posiamo i piedi passava il primo meridiano di Cadice" spiegò Tanger. "Non rimase qui in modo ufficiale che per vent'anni a partire dal 1776, prima che fosse spostato a San Fernando, ma da metà secolo, sulle carte nautiche spagnole sostituì ufficiosamente il meridiano tradizionale dell'isola di Hierro, che i francesi avevano ormai rimpiazzato con quello di Parigi e gli inglesi con Greeenwich... Ciò significa che se la longitudine che quella mattina stabilirono a bordo del Dei Gloria si riferiva a questa località, il brigantino è colato a picco a 4§51' da dove ci troviamo noi ora. Se applichiamo le correzioni delle tavole di Perona, esattamente a 5§12', longitudine est." "Duecentocinquanta miglia" disse Coy. "Esatto. " Fecero qualche altro passo, fino ad arrivare sotto l'arco. Un lampione dal vetro rotto riversava una luce giallognola su una finestra protetta da una grata. Dall'altra parte, a cielo aperto, Coy poté scorgere monconi di colonne e altre rovine. Regnava un'atmosfera di desolazione e di abbandono. "Il primo osservatorio astronomico venne fondato qui da Jorge Juan" disse lei. "In un torrione oggi distrutto che era lì, nell'angolo che adesso è occupato da quella scuola." Aveva parlato sottovoce, come se il posto la intimidisse. O forse era il buio appena attenuato dal lampione malandato. "Questo arco" proseguì "è quanto rimane del vecchio castello. Fu costruito sul perimetro di un antico anfiteatro romano e ospitava la compagnia dei Guardiamarinas... I suoi professori e gli addetti dell'osservatorio erano marinai illuminati, uomini di scienza: Jorge Juan e Antonio de Ulloa avevano pubblicato i loro studi sulla misurazione di un grado di meridiano all'equatore, Mazarredo era un eccellente tattico navale, Malaspina era in procinto di compiere il suo famoso viaggio, Tofino si accingeva a lavorare all'atlante idrografico definitivo delle coste spagnole." Girò su se stessa e la voce suonò intristita. "Ma tutto ciò ebbe fine con Trafalgar." Si addentrarono un po' nel vicolo. C'era del bucato bianco appeso sopra le loro teste, tra i balconi, come un sudario immobile nella notte. "Ma nel 1767" proseguì Tanger "questo posto contava ancora qualcosa. In quel periodo chiusero il Collegio di navigazione retto dai gesuiti e la biblioteca nautica dell'osservatorio si arricchì dei suoi libri e di altri acquistati a Parigi e a Londra." "I libri di stamattina" disse Coy. "Proprio quelli. Li hai visti lì, nelle loro bacheche. Trattati di navigazione, astronomia e viaggi. Libri magnifici che ancora oggi racchiudono segreti." Le loro ombre si toccavano sul muro, tra i mattoni nudi e le vecchie pietre. Una goccia d'acqua cadde da un lenzuolo steso sulla faccia di Coy. Alzò gli occhi e vide una stella solitaria che splendeva intensamente nel rettangolo blu scuro del cielo. Data l'ora e la posizione, calcolò che poteva essere Regolo, gli artigli anteriori della costellazione del Leone, che in quel periodo dell'anno doveva aver già attraversato l'asse nordsud. "Il castello" continuò a raccontare Tanger "fu occupato dai Guardiamarinas fino a quando si trasferirono altrove, e poi sull'isola di Leon, l'odierna San Fernando, ma l'osservatorio rimase qui per qualche altro anno, fino al 1798. Fu allora che il meridiano di Cadice venne spostato venti chilometri a est." Coy toccò un muro. L'intonaco gli si sgretolò tra le dita. "E del castello cosa ne fu?" "Venne trasformato in una caserma, e poi in un carcere. Alla fine venne demolito, e oggi ne restano in piedi solo un paio di vecchi muri e un arco, questo." Erano tornati sui loro passi e osservavano di nuovo la volta scura e bassa. "Cos'è che stai cercando?" chiese lui. Sentì la sua risata dolce, molto pacata, avvolta dalle ombre che le velavano il viso. Pagina 91

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt "Lo sai già. Il Dei Gloria." "Non mi riferisco a questo. E neanche a tesori o a cose del genere... Ti sto chiedendo cosa stai cercando tu." Aspettò una risposta che non arrivò. Lei taceva, immobile. Oltre l'arco, i fanali di un'automobile illuminarono un tratto di strada prima di allontanarsi. Il bagliore disegnò per un istante il suo profilo sulla parete scura. "Tu lo sai cosa sto cercando" disse alla fine. "Io non so proprio niente" sospirò lui. "Lo sai. Ti ho visto osservare la mia casa. Ti ho visto osservare me." "Questo non è corretto." "Chi è che gioca corretto?" Si mosse come se intendesse allontanarsi bruscamente, ma poi rimase dov'era. Si trovava a un passo da lui, che poteva quasi sentire il tepore della sua pelle. "C'è un vecchio indovinello" aggiunse lei dopo un breve silenzio. "Sei bravo a risolvere gli indovinelli, Coy?" "Non molto." "Io invece sì. E questo è uno dei miei preferiti... C'è un'isola. Un posto abitato solo da due categorie di persone: cavalieri e scudieri. Gli scudieri mentono e tradiscono sempre e i cavalieri mai... Capisci la situazione?" "Certo. Cavalieri e scudieri. Capisco." "Bene. Un abitante di quest'isola dice a un altro: "Ti mentirò e ti tradirò...", capisci? Ti mentirò e ti tradirò. E la domanda è: chi parla è un cavaliere o uno scudiero? Tu cosa risponderesti? " Si toccò il naso, perplesso. "Non so. Dovrei pensarci con calma." "Naturale." Lei lo fissava, studiandolo. "Pensaci." Era ancora vicinissima. Coy sentì un formicolio alla punta delle dita. La voce gli uscì roca: "Cosa vuoi da me?" "Che tu risponda all'indovinello." "Non mi riferisco a questo." Tanger piegò leggermente la testa di lato. Si strinse nelle spalle. "Voglio un aiuto." Distolse lo sguardo. "Non posso farlo da sola." "Ci sono altri uomini a questo mondo." "Forse." Fece una lunga pausa. "Ma tu hai doti particolari." "Doti?" La parola lo sconcertava. Cercò di rispondere qualcosa ma la sua mente girava a vuoto. "Credo che..." Non terminò la frase, rimanendo con la bocca socchiusa e aggrottando la fronte nell'ombra. Allora Tanger riprese la parola: "Non sei peggiore della maggior parte degli uomini che conosco" E dopo una breve pausa aggiunse: " E sei migliore di alcuni di loro" Non è questo il punto, pensò lui irritato. Non era il genere di dialogo che voleva avere con lei in quel momento. Non lo era affatto; anzi, in realtà, decise, non voleva proprio avere un dialogo. Era meglio restare in silenzio accanto a lei, a indovinare il tepore della sua carne lentigginosa. Era meglio mettersi sottovento, a ridosso dei silenzi, benché quello del silenzio fosse un linguaggio che Tanger padroneggiava molto meglio di lui. Un linguaggio che lei parlava da migliaia di anni. Si girò e scoprì che lo stava osservando. C'erano due riflessi blu marino al centro del suo viso, sotto la macchia chiara dei capelli. "E tu invece cosa vuoi, Coy?" "Forse voglio te." Seguì un lungo silenzio, e lui scoprì che era più facile dirlo così, in quella penombra che velava i volti e sembrava attutire anche le voci. Era stato tanto più facile che aveva sentito le sue stesse parole prima ancora di immaginare che le avrebbe pronunciate, e subito dopo si era ritrovato solo leggermente stupito di averlo fatto. Un impercettibile rossore che di sicuro Tanger non poteva vedere. "Sei troppo prevedibile" sussurrò lei. Lo disse senza indietreggiare, decisa, persino quando la vide spostarsi un po' Pagina 92

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt in avanti e portare lentamente una mano al suo volto. E poi pronunciò il suo nome come se si trattasse di un avvertimento, come se leggesse una piccola croce o un punto blu sul bianco di una carta nautica. "Coy" disse. Ma questi scosse dolcemente la testa, da una parte all'altra, con estrema lentezza, triste. "Verrò con te fino in fondo" le disse. "LO SO" In quell'istante, proprio quando stava per accarezzarle i capelli, guardò oltre la spalla di lei e si bloccò. Una sagoma minuta e vagamente familiare si stagliava sotto l'arco, all'estremità del vicolo. Stava lì, in piedi, tranquilla, come in attesa. In quel momento i fanali di un'altra automobile illuminarono fugacemente la strada, l'ombra oscillò sotto l'arco da una parete all'altra, e Coy riconobbe senza alcuna fatica il nano malinconico. 7. Il doblone di Achab. Ecco cosa diranno quando risorgerà, quando riusciranno a ripescare questo vecchio albero e ci troveranno un doblone d'oro dentro. H. MELVILLE, Moby Dick. Quando il cameriere del bar ristorante Terraza posò la birra sul tavolo, Horacio Kiskoros se la portò alle labbra e bevve una sorsata prudente, guardando Coy di sottecchi. La schiuma gli imbiancava i baffi. "Avevo sete" disse. Poi diede un'occhiata soddisfatta alla piazza. La cattedrale a quell'ora era illuminata e le sue torri bianche e la grande cupola a crociera spiccavano nell'oscurità del cielo. C'era ancora gente a passeggio sotto le palme o seduta nei bar vicini. Un gruppo di giovani beveva birra e suonava la chitarra sulla scalinata, ai piedi della statua di Fray Domingo de Silos. Kiskoros sembrava interessato alla musica perché di quando in quando guardava il gruppo e scuoteva la testa, con aria nostalgica. "Una notte magnifica" aggiunse. Coy conosceva il suo cognome soltanto da un quarto d'ora e stentava a credere che loro tre fossero davvero lì, seduti, a bere come vecchi amici. In quel breve lasso di tempo aveva dato un nome, una nazionalità e un carattere preciso al nano malinconico. Si chiamava Horacio Kiskoros, era argentino e, stando a quanto aveva detto quando era riuscito a parlare, aveva una questione urgente da esporre alla signora e al signore. Tutti quei dettagli non erano arrivati all'improvviso, perché la sua inaspettata apparizione sotto l'arco dei Guardiamarinas aveva suscitato una reazione di Coy che persino il più benevolo dei testimoni avrebbe definito violenta. Per l'esattezza, quando l'oscillazione dell'ombra alla luce dei fanali dell'automobile gli aveva permesso di riconoscere il personaggio in questione, era andato dritto verso di lui senza indugio, senza una sola esitazione. Neppure quando aveva sentito Tanger che pronunciava il suo nome alle proprie spalle. "Coy, ti supplico" diceva lei. "Fermati." Ma lui non si era fermato. In realtà non aveva voglia di fermarsi, e neanche di sapere perché diavolo avrebbe dovuto farlo, desiderava solo fare proprio quello che in effetti fece: avanzare otto o dieci passi pompando adrenalina, respirare profondamente diverse volte strada facendo, prendere l'altro per il bavero e trascinarlo contro il muro più vicino, alla luce gialla del lampione. Aveva bisogno, un bisogno urgente, di fare così e non in altro modo. Aveva bisogno di spaccargli la faccia a suon di pugni, prima che se la svignasse come aveva fatto al distributore di Madrid. Ecco perché, ignorando le parole di Tanger, aveva costretto l'altro ad alzarsi in punta di piedi, sollevandolo quasi da terra, e tenendolo schiacciato contro il muro con una mano aveva alzato l'altra, con il pugno chiuso, intenzionato a sferrarglielo sulla faccia. Una faccia in cui, tra la lucentezza dei capelli imbrillantinati e tirati all'indietro e i folti baffi neri, un paio di occhi scuri e sporgenti lo studiavano con insistenza. Pagina 93

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Non gli ricordavano più quelli di una ranocchia simpatica. C'era sorpresa in quegli occhi, aveva pensato. Persino un dolente rimprovero. "Coy! " aveva urlato di nuovo lei. Aveva sentito lo scatto di un coltello a serramanico in basso, a sinistra, e guardando giù aveva visto l'acciaio nudo vicino al proprio fianco. Aveva avvertito uno spiacevole formicolio all'inguine: una pugnalata dal basso verso l'alto, a quella distanza, era il modo peggiore per mettere fine a tutta quella storia. In una simile posizione, con ogni probabilità era l'argomento definitivo per mollare gli ormeggi in un viaggio senza ritorno. Ma avevano già cercato altre volte di pugnalare Coy in quel modo, così, istintivamente, ancor prima di ragionarci sopra, aveva spintonato l'altro dandogli una manata al braccio, con la stessa velocità di un cobra che gli fosse uscito da una tasca. "Vieni qui, stronzo" aveva detto. Mani nude davanti a un coltello, non suonava male. Naturalmente il suo era solo un bluff, ma si sentiva abbastanza seccato per reggere il gioco. Si era tolto la giacca come una volta, a Puerto Principe, gli aveva insegnato Torpediniera Tucuman, arrotolandosela con un paio di giri attorno al braccio sinistro, e aspettava il suo avversario leggermente proteso in avanti, il braccio avvolto dalla giacca teso per ripararsi il ventre, e l'altro pronto a colpire. Era furibondo, e sentiva i muscoli delle spalle e della schiena contratti, rigidi, duri del sangue che vi pulsava dentro rapido e ritmato. Come ai vecchi tempi. "Fatti sotto" aveva ripetuto. "Fatti rompere le corna." L'altro reggeva il coltello e non gli toglieva gli occhi di dosso, ma sembrava sconcertato. Con la sua bassa statura, i capelli e i vestiti scomposti dalla scaramuccia e sbiancato dalla pallida luce gialla, aveva un aspetto che sembrava una via di mezzo tra il grottesco e il sinistro. Se non avesse avuto il coltello, aveva stabilito Coy, non ci sarebbe stata storia. Aveva visto che il tipo si aggiustava un po' la giacca, strattonandone il lembo, prima di passarsi la mano sui capelli, lisciandoseli all'indietro. Poi si era appoggiato su un piede e quindi sull'altro, drizzando un po' il corpo e abbassando la mano armata. "Negoziamo" aveva detto. Coy aveva calcolato le distanze. Se fosse riuscito ad avvicinarsi quanto bastava per mollargli un calcio tra le gambe, il nano avrebbe anche potuto andare a negoziare con la troia che l'aveva messo al mondo. Si era fatto un po' da parte, e l'altro era indietreggiato di un passo, prudente. La lama che aveva in mano continuava a far risplendere i suoi bagliori metallici. "Coy" aveva detto Tanger. Si era avvicinata da dietro e adesso gli stava accanto. La sua voce suonava serena. "Lo conosco" aveva aggiunto lei. Coy aveva annuito con un leggero cenno della testa, senza perdere di vista l'altro, e nello stesso istante aveva fatto partire il calcio che stava preparando e che il tipo del coltello aveva incassato solo per metà, perché in parte aveva intuito la mossa e si era spostato per eluderla. Anche così era stato raggiunto a un ginocchio e aveva barcollato, prima di girare su se stesso e appoggiarsi al muro. Allora Coy ne aveva approfittato per buttarglisi addosso, prima riparandosi con il braccio avvolto dalla giacca e poi rifilando all'avversario un pugno che lo aveva raggiunto alla base del collo, facendolo cadere in ginocchio. "Coy!" Quel grido aveva fatto aumentare la sua collera. Tanger aveva cercato di afferrarlo per un braccio e lui si era divincolato, con violenza. Che cazzo. Qualcuno doveva pur pagare e quel tipo era il candidato più adatto. Poi lei avrebbe potuto dargli tutte le spiegazioni che avesse voluto: spiegazioni che non era sicuro di voler ascoltare. Ma mentre lottava non ci sarebbe stato il tempo di parlare; così aveva mollato Pagina 94

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt un secondo calcio al nano, che però si era rigirato in quei pochi metri e Coy aveva sentito la lama sfiorargli come un fulmine il braccio avvolto dalla giacca. Aveva capito subito di averlo sottovalutato. Era agile, il tipo. E molto pericoloso. Perciò era indietreggiato di due passi e aveva preso fiato, mentre valutava la situazione. Tranquillo, marinaio. Calmati, o neppure la lattina di spinaci ti tirerà fuori da questo guaio. La statura non conta: chiunque, per basso che sia, è alto a sufficienza per squarciare un'arteria. E inoltre, una volta aveva visto un nano vero, autentico, uno scozzese, attaccato con i denti all'orecchio di uno stivatore grande quanto un gigante, che correva lanciando grida strazianti per tutto il molo di Aberdeen senza riuscire a toglierselo di dosso, come se fosse una zecca. Per cui prudenza, si era detto. Non esistono nemici e tantomeno pugnalate tanto piccoli da non poterti mandare al Creatore. Respirava a fatica e mentre l'aria entrava e usciva dai polmoni ascoltava l'ansimare agitato dell'altro. Era stato allora che lo aveva visto alzare il coltello, come per mostrarglielo, e sollevare lentamente la mano sinistra, con il palmo aperto, con fare conciliante, "Ho un messaggio" aveva detto il nano. "Te lo puoi anche ficcare nel culo." L'altro aveva scosso un po' la testa. Mi hai frainteso, diceva con quel gesto. "Un messaggio del signor Palermo." Dunque era di quello che si trattava. Una riunione di vecchie conoscenze. Il club dei cercatori di relitti al gran completo. Questo faceva luce su alcune cose, ma nello stesso tempo ne oscurava altre. Aveva inspirato una, due volte e aveva fatto un passo verso il suo avversario, con il pugno sempre pronto a colpire. "Coy." All'improvviso Tanger si era messa tra di loro, chiudendogli il passo, e lo aveva guardato fisso negli occhi. Era serissima, dura e risoluta come non l'aveva vista mai. Coy aveva aperto la bocca per protestare ma era rimasto così, a contemplarla, con un'espressione stupida. Di colpo imbarazzato. Indeciso, perché lei gli toccava il viso come quando si tenta di calmare un animale rabbioso o un bambino fuori di sé. E, al di sopra della spalla della donna, dietro le punte dorate dei suoi capelli, aveva visto che il nano malinconico richiudeva il coltello. Coy non toccò nemmeno la sua birra. Con la giacca sulle spalle, le mani in tasca e appoggiato allo schienale della sedia, guardava bere l'uomo che gli sedeva di fronte. "Avevo una gran sete" ripeté questi. Strada facendo, dal vicolo alla piazza, dopo che Tanger aveva trattenuto Coy fino a riuscire a calmarlo e lui aveva finito per acconsentire meccanicamente, con la sensazione di avanzare in mezzo a una nebbia irreale, il nano malinconico si era lisciato ancora una volta i capelli all'indietro e si era sistemato i vestiti. A parte un lieve strappo nella tasca superiore della giacca, che aveva scoperto con occhi addolorati e una smorfia accusatrice, aveva ritrovato il suo aspetto rispettabile, sempre piuttosto eccentrico, la sua consueta aria meridionale e nel contempo bizzarramente inglese. "Vi porto un'offerta del signor Palermo. Un'offerta ragionevole." Il suo accento di Buenos Aires era così forte da sembrare finto. "Horacio Kiskoros" aveva detto quando le acque si erano calmate. "Horacio Kiskoros, per servirvi." E aveva sottolincato le ultime parole chinando leggermente la testa, in un tono cortese e privo di ironia, quando lui e Coy stavano ancora riprendendo fiato dopo lo scontro. Si esprimeva nello spagnolo forbito e anacronistico parlato da certi ispanoamericani, con parole che su questa sponda dell'Atlantico erano cadute in disuso da tempo. Faceva un grande uso di formule come "signore", "pardon" e "sarebbe molto gentile da parte sua" Fatto sta che aveva detto proprio così: "Per servirvi", mentre si lisciava i vestiti scomposti e si aggiustava il papillon che la colluttazione gli aveva Pagina 95

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt storto da una parte. Sotto la giacca portava curiose bretelle a strisce verticali: due blu ai lati e una bianca al centro. "Il signor Palermo vuole arrivare a un accordo." Coy si voltò a guardare Tanger. Per tutto quel tempo aveva camminato con loro senza fiatare e ancora adesso rimaneva chiusa nel suo silenzio. Evitava, notò Coy, di guardare quel viso che solo pochi minuti prima gli aveva accarezzato per la prima volta, forse per non vedersi costretta a dare spiegazioni ormai inevitabili. "Un accordo" sottolineò Kiskoros "in termini ragionevoli per tutti." Studiò Coy e con il pollice teso in alto si indicò il naso per ricordargli la scena al Palace. "Senza rancori." "Non c'è assolutamente motivo per mettersi d'accordo con qualcuno. " Finalmente aveva parlato. Freddamente, notò Coy, come se la voce le fosse passata attraverso dei cubetti di ghiaccio. Guardava dritto negli occhi tristi e sporgenti di Kiskoros, con la mano destra posata sul tavolo. L'orologio d'acciaio dava un'insolita aria maschile alle dita lunghe, dalle unghie corte e irregolari. "Lui non è di quest'avviso" rispose l'argentino. "Dispone dei mezzi che a voi mancano: mezzi tecnici, esperienza... Denaro." Un cameriere portò un vassoio con calamari alla romana e uova di pesce fritte, e il nano malinconico lo ringraziò con molta educazione. "Denaro a sufficienza" ripeté, indagando con interesse il contenuto del vassoio. "E cosa si aspetta in cambio?" Kiskoros aveva impugnato una forchetta e punzecchiava delicatamente un anello di calamaro. "Lei ha fatto molte ricerche" disse, e masticò il boccone con piacere, fino a quando non si liberò la bocca. "E in possesso di dati importanti, vero?... Dettagli che il signor Palermo non ha del tutto chiari. Ecco perché ha pensato che una società sarebbe stata piuttosto vantaggiosa per entrambe le parti." "Non mi fido di lui" disse Tanger. "Neanche lui si fida di lei. Potrete trovare un accordo. " "Non sa neppure cosa sto cercando." Kiskoros sembrava affamato. Aveva preso un assaggio di uova e adesso, tra un sorso di birra e l'altro, tornava ai calamari. Si girò a metà per un attimo, per ascoltare la musica di chitarra che proveniva dalla scalinata della cattedrale, poi sorrise, compiaciuto. "Può darsi che sappia più di quanto lei crede" disse. "Ma questi sono dettagli che dovete discutere con lui. Io sono solo un ambasciatore, come lei sa." Coy, che fino ad allora non aveva aperto bocca, si rivolse a Tanger. "Da quando conosci questo bellimbusto?" Lei ci mise tre secondi esatti a girare il viso verso di lui. La mano sul tavolo si era chiusa in un pugno. La ritirò lentamente, posandosela in grembo, sulla gonna. "Da tempo" disse con estrema calma. "La prima volta che Palermo mi ha minacciata c'era anche lui." "É vero" confermò Kiskoros. "L'ha usato per farmi pressioni." "Anche questo è vero." Coy non badò all'argentino. Era tutto preso da lei. "Perché non me l'hai detto?" Il sospiro di Tanger fu quasi impercettibile. "Tu hai accettato di giocare alle mie regole." "Cos'altro non mi hai detto?" Lei osservò il tavolo e poi la piazza. Alla fine si girò di nuovo verso Kiskoros. "Cosa propone Palermo?" "Di incontrarvi." L'argentino osservò Coy prima di proseguire, e questi credette di cogliere una luce canzonatoria nei suoi occhi da rana. "Di negoziare. Nei termini che lei riterrà opportuni. In questi giorni lui si trova nel suo ufficio di Gibilterra" e mentre lo diceva tirò fuori dalla tasca un biglietto da visita, tendendoglielo sopra al tavolo. "Potete trovarlo lì." Coy si alzò. Lasciò la giacca appesa allo schienale, e senza girarsi verso nessuno dei due presenti attraversò la piazza, diretto alla scalinata della cattedrale. Gli scoppiava il cervello e stava stringendo, incollerito, i pugni dentro le Pagina 96

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt tasche. Senza sapere cosa stava facendo puntò verso il gruppetto di ragazzi che suonavano la chitarra e si passavano una bottiglia di birra tra loro. C'erano due ragazzine e quattro ragazzi che avevano tutta l'aria degli studenti. Quello con la chitarra era magro e bello, arrogante, con una sigaretta che si consumava a un angolo della bocca; una delle ragazze seguiva il ritmo muovendo la vita, appoggiata alle sue spalle. L'altra si mise a fissare Coy, sorridendogli. Gli altri lo osservarono con sospetto quando lei gli passò la bottiglia. Bevve un sorso, ringraziò e rimase lì vicino, asciugandosi la bocca con il dorso della mano e sedendosi su un gradino della scalinata per ascoltare la musica. Il chitarrista suonava in modo piuttosto goffo, ma la melodia, a quell'ora di notte, nella piazza semideserta, con le palme e la cattedrale illuminate al di sopra delle loro teste, era bella. Guardò per terra. Tanger e Kiskoros si erano alzati dal tavolo e si avvicinavano. Lei aveva sul braccio, piegata, la giacca di Coy. Una bella merda, pensò lui. Mi sono messo nella merda fino al collo. "Bella città" disse Kiskoros, guardando le ragazze con un sorriso. "Mi ricorda Buenos Aires." Tanger taceva, in piedi accanto a Coy. Che non si alzò. "Mi sembra che lei sia un marinaio, vero?" proseguì l'altro. "... Lo sono stato anch'io. Nella Marina argentina. Sottufficiale in congedo Horacio Kiskoros." Aggrottava la fronte con nostalgia, come cercando di cogliere un suono lontano e familiare che gli sfuggiva... "Sono stato anche alle Malvinas, con gli incursori." "E cosa cazzo ci fai così lontano?" Gli occhi sporgenti dell'uomo brillarono di nostalgia. Si era messo una mano nella tasca dei pantaloni, mostrando un po' le bretelle, e Coy capì d'un tratto cosa significavano quelle strisce blu e bianche: la bandiera argentina. Quel figlio di puttana portava bretelle con sopra la bandiera argentina. "Sono cambiate diverse cose in patria." Si era seduto accanto a Coy, sullo stesso gradino della scalinata; prima di farlo tirò un po' su i ginocchielli dei pantaloni, con grande cura, per non sciupare la riga. "Non ha sentito parlare della "guerra sporca"?" Coy fece una smorfia sarcastica. "Certo. I tupamaros e via dicendo." "I montoneros" puntualizzò Kiskoros alzando un dito. "I tupamaros erano in Uruguay." Si lasciò sfuggire un sospiro evocatore. Impossibile stabilire se di condanna o di rimpianto. "Il fatto è" aggiunse dopo un momento "che c'era una guerra in Argentina, benché non dichiarata. Capisce? Io ho fatto il mio dovere. E c'è qualcuno che non lo concepisce." "Non dirlo a me" disse Coy. Kiskoros non sembrava scoraggiato dall'atteggiamento del suo interlocutore. "Mi sono visto costretto ad andarmene" proseguì. "Come le ho detto, con gli incursori mi ero fatto una certa esperienza come sommozzatore... Ho conosciuto il signor Palermo durante i lavori di recupero dell'Agamemnon, la nave di Nelson affondata nel Plata." Coy si girò e con durezza gli disse: "Non me ne frega un cazzo della tua vita" Gli occhi da ranocchio si misero a sbattere, addolorati. "Bene, signore. Poco fa, in quel vicolo, sono stato sul punto di ucciderla. Ho pensato che..." "Va a farti fottere." Kiskoros si zittì, rimuginando sull'insulto. Coy si alzò in piedi. Tanger gli stava di fronte e lo guardava. "Ha ucciso lui Zas" gli disse. Ci fu un lungo silenzio, mentre Coy rievocava la sensazione del fiato caldo del labrador sul braccio. Riuscì a vederne -- era passata solo una settimana -- il tartufo umido e lo sguardo fedele. Poi si interpose, cupa, l'immagine del cane immobile sul tappeto, gli occhi vitrei e socchiusi. E quella scena lo fece ribollire dentro: provò una strana angoscia e, sentendosi Pagina 97

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt a disagio, si mise a guardare le luci della cattedrale e i lampioni accesi tutt'intorno. Accanto a lui, le note della chitarra sembravano scivolare sui gradini della scalinata. La ragazzina che prima gli aveva sorriso baciava uno dei ragazzi. Un altro posò una bottiglia di birra per terra. "Ebbene sì." Kiskoros, a sua volta, si stava alzando, scuotendosi i pantaloni. "E mi creda, me ne dispiace, signore. Amo, glielo assicuro, gli animali domestici. Ho persino avuto un dobermann. " Seguì un silenzio ancora più lungo. L'argentino assunse un'espressione di circostanza. "A modo mio" insisté "continuo a essere un soldato, capite? Avevo certi ordini... E questi includevano la casa della signora." Stava assumendo un rictus triste, nell'intento di elemosinare comprensione. "Mendieta" disse all'improvviso. "Il mio cane si chiamava Mendieta." Nel frattempo Coy diede un'occhiata alla bottiglia che era ancora lì, ai suoi piedi, sulla scalinata. Per un attimo si vide a calcolare le possibilità di rompergliela in faccia. Alzando gli occhi incontrò quelli malinconici dell'argentino. "A quanto pare, lei è un tipo impulsivo" disse Kiskoros amabilmente. "E questo ci crea qualche problema. La signora, invece, sembra avere un carattere più dolce. Comunque sia, non è bene che una signora si ficchi in questi casini... Ricordo un caso a Buenos Aires. Una montonera uccise due dei miei compagni quando andammo a prelevarla. Quella tipa si difese come una lupa, e riuscimmo a finirla solo ricorrendo alle bombe a mano. Poi saltò fuori che aveva nascosto un neonato sotto la coperta del letto..." Si fermò un attimo e fece schioccare la lingua, perso nei propri ricordi. Sotto il classico baffo portegno gli spuntava una smorfia che poteva anche essere un sorriso. "Ci sono donne molto virili, glielo assicuro" proseguì. "Anche se poi, nell'ESMA, si ammorbidivano molto: sa a cosa mi riferisco" e scrutò Coy con attenzione. "No, credo che lei non lo sappia. Fantastico. Forse è meglio così." Gli occhi di Coy incrociarono quelli di Tanger, ma le pupille della donna guardavano senza vedere, "come se si fossero appena affacciate su lontani orrori. Dopo qualche istante sembrarono rimettere a fuoco la realtà, tornare in sé, anche se vi rimase un vuoto cupo. La vide stringersi al petto la sua giacca, come se di colpo avesse freddo. "L'ESMA" disse lei "era la Scuola di meccanica della Marina... Il centro di tortura della Marina durante la dittatura militare." "Sì" ammise Kiskoros, guardandosi attorno con aria distratta. "Ho paura che qualche idiota la chiami così." *** La batteria di Shelly Manne aveva introdotto dolcemente Man in Love, ed Eddie Heywood attaccava già al piano con il primo assolo. In piedi, a torso nudo, appoggiato alla finestra aperta della sua camera dell'hotel Francia y Paris, Coy anticipava mentalmente le note della melodia. Si era messo gli auricolari e accompagnava con cenni della testa il passaggio che aspettava e amava. Tre piani più giù, la piccola piazza era immersa nel buio da quando avevano spento i due grandi lampioni centrali, si erano oscurate le cime degli aranci e avevano chiuso il tendone del caffè Parisien. Sembrava tutto deserto e Coy si domandò se Kiskoros fosse ancora in giro da qualche parte. Ma nella vita reale anche i cattivi riposano, pensò. Nella vita reale le cose non vanno come nei film e nei romanzi. Forse in quel momento l'argentino russava saporitamente, in qualche albergo o pensione nei dintorni, con le bretelle appese con cura a una gruccia. E sognava i bei tempi del filetto alla griglia, dell'avenida Corrientes 348 del suo tango preferito e di scariche elettriche a millecinquecento volt a cicli di cinquanta nei sotterranei dell'ESMA. Dongdong, dong. Stava finendo il secondo assolo, quello del basso, e Coy aspettò trepidante l'inizio del terzo, il sax tenore di Coleman Hawkins, la chicca del pezzo con i Pagina 98

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt suoi tempi medi e veloci, forteadagio, forteadagio, e le corrispondenti sorprese ritmiche, quando quella cadenza si rompeva in modo prevedibilmente inaspettato. Man in Love. Solo in quel momento fece caso al titolo, e la cosa lo portò a sorridere nella penombra della stanza per poi guardare verso il soffitto. Tanger era lì, al quarto piano, nella stanza che si trovava esattamente sopra la sua. Forse dormiva, o forse no. Magari era come lui, sveglia davanti alla finestra o seduta al tavolo davanti ai suoi appunti, a controllare le informazioni che le aveva fornito Lucio Gamboa e a considerare i pro e i contro della proposta di Nino Palermo. Prima avevano parlato a lungo, dopo che Horacio Kiskoros li aveva salutati con un "arrivederci" che sarebbe suonato amichevole a chiunque fosse stato ignaro dei precedenti dell'argentino, dei quali Coy era ormai informato. Mentre si allontanavano era rimasto a guardarli con quegli occhietti equivoci da ranocchia malinconica, e quando stavano per abbandonare la piazza lui era ancora nello stesso punto, immobile, davanti alla cattedrale, come un turista nottambulo e inoffensivo. Coy si era girato a guardarsi indietro e poi aveva alzato gli occhi per leggere la targa della strada lungo la quale si stavano incamminando: CALLE DE LA COMPANIA. Quella città, si disse, era piena di segni, simboli e indicazioni, proprio come una carta nautica. La differenza era che, al posto di pietre antiche, incontri all'apparenza inaspettati e targhe con strani nomi di strade ai crocevia, la carta, che si riferiva al mare, con le sue sponde colorate e le scale in miglia al margine, era molto più precisa. Era evidente che anche la città metteva la sua segnaletica e i suoi pericoli ben in vista, proprio come le carte nautiche, solo che poi non offriva le chiavi per interpretarli. "É la via della Compagnia di Gesù" aveva detto lei vedendolo intento a osservare la targa. "Il Collegio di navigazione dei gesuiti si trovava qui." Dal momento che lei non diceva mai niente di casuale, Coy si era dato un'occhiata attorno: il vecchio palazzo sulla sinistra, la decrepita casa di Gravina più indietro, sulla destra. Sospettava che in seguito, per una qualche ragione, avrebbe avuto bisogno di ricordare qualche particolare di quella scena. Poi avevano camminato per un pezzo senza dire nulla, risalendo lentamente verso plaza de las Flores. In due occasioni lui si era fermato per osservarla, ma lei aveva proseguito impavida, gli occhi fissi innanzi a sé, la borsa stretta contro il fianco, ritmando il dondolio dell'ampia gonna blu a quello delle punte dei capelli sul mento ostinato, la bocca silenziosa, finché lui non l'aveva presa per un braccio, costringendola a fermarsi. Si era stupito di sentire che non opponeva resistenza, e dopo che si fu girata con dolcezza, come se avesse solo aspettato il pretesto per farlo, se l'era trovata di colpo davanti agli occhi, vicino a sé. "É da un pezzo che Kiskoros mi tiene d'occhio per conto di Palermo" aveva detto senza che lui avesse bisogno di chiederle nulla. "É un uomo malvagio e pericoloso... " Aveva taciuto un istante, come domandandosi se ci fosse altro da dire. "Prima, sotto l'arco dei Guardiamarinas" aveva aggiunto "ho avuto paura per te." Lo disse in modo secco e brutale, senza emozione. E dopo averlo fatto aveva taciuto di nuovo, guardando oltre la spalla di Coy, verso la piazza, i chioschi chiusi dei fioristi e il palazzo delle Poste, i tavolini dei caffè agli angoli delle strade dove si attardavano gli ultimi clienti della giornata. "Da quando è venuto a trovarmi con Palermo" aveva concluso alla fine "quell'uomo è stato il mio incubo." Non aveva la pretesa di commuoverlo e forse proprio per questo Coy non aveva potuto fare a meno di sentirsi emozionato. C'era sempre un qualcosa di infantile, aveva stabilito, nell'ostinata maturità, nella disinvoltura con cui lei affrontava le conseguenze della sua avventura. Di nuovo, aveva pensato alla foto incorniciata. Alla coppa d'argento, alla bambina circondata dal braccio protettore dell'uomo scomparso, alla vulnerabilità che si leggeva in quegli occhi ridenti dalla soglia di un tempo in cui tutti i sogni sono ancora possibili. Era sempre riconoscibile, nonostante tutto. Pagina 99

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt O, per essere più esatti, quanto più tempo passava insieme a lei tanto più gli sembrava di riconoscerla. Aveva soffocato la carezza che gli vibrava sulla punta delle dita e con la stessa mano aveva indicato il bar che aveva alle spalle. Los Gallegos Chicos, si chiamava. "Vini galiziani, alcolici, buon caffè, il cibo potete anche portarlo da casa" reclamizzavano le insegne sulla porta e sulla finestra. Ma in quel momento a Coy bastava la parola alcolici, e aveva capito che lei aveva bisogno di bere qualcosa tanto quanto lui. Così erano entrati, e quando si erano ritrovati lì, con i gomiti sul bancone di zinco, aveva ordinato un gin tonic per sé -non aveva visto bottiglia blu in giro -- e, senza neanche chiederglielo, un altro per lei. Il gin gli riempiva la bocca di succhi umidi quando lei lo aveva guardato e aveva parlato di nuovo, aveva raccontato nei minimi dettagli della prima visita di Palermo, rilassata e amichevole, e della seconda, successiva, quando già teneva ben alte le proprie carte, caratterizzata dalla presenza sinistra di Kiskoros in qualità di accompagnatore, dalle pressioni e dalle minacce. Palermo aveva voluto che lei capisse bene chi era l'argentino, che conoscesse la sua storia e memorizzasse il suo aspetto e il suo viso perché poi, dopo, ritrovandoselo sotto la finestra o mentre camminava per strada o nei brutti sogni che faceva non appena chiudeva gli occhi, avesse sempre ben presente in che razza di casino si stava cacciando. Perché sapesse, aveva detto il cacciatore di tesori, che le bambine cattive non possono attraversare impunemente il bosco senza esporsi a incontri pericolosi. "Ha detto proprio così" il sorriso vago, leggermente amaro, le induriva la bocca. "Incontri pericolosi." In quell'istante Coy, che ascoltava e beveva in silenzio, l'aveva interrotta per domandarle perché non si fosse rivolta alla polizia. Allora lei aveva riso piano, con una risata sorda, leggermente roca, tanto piena di disprezzo quanto priva di ironia. "In effetti" aveva detto "io sono davvero una bambina cattiva. Ho cercato di fregare Palermo e, per quanto riguarda il museo, agisco a titolo personale. Se arrivati a questo punto non te ne sei ancora accorto, sei più ingenuo di quanto pensassi." "Non sono ingenuo" aveva detto lui, a disagio, facendo girare il bicchiere freddo tra le dita. "É vero." Lei lo guardava fisso negli occhi e anche se non sorrideva la sua bocca era comunque meno dura. "Non lo sei." Aveva lasciato lì il suo drink senza quasi averlo assaggiato. "É tardi" aveva detto dopo aver dato un'occhiata all'orologio. Coy aveva scolato il suo gin, aveva richiamato l'attenzione di un cameriere e aveva messo una banconota sul tavolo. Una delle ultime, aveva constatato desolato. "Pagheranno per tutto quello che hanno fatto" aveva detto. Non aveva la più pallida idea di cosa avrebbe dovuto fare per far sì che quell'avvertimento si avverasse e tantomeno del perché la cosa lo riguardasse, ciò nonostante aveva ritenuto opportuno dirlo. Ci sono cose del genere, aveva pensato, frasi analgesiche, formule consolatorie, luoghi comuni che si sentono nei film e si leggono nei romanzi e che comunque, nella vita, servono. Le aveva rivolto un'occhiata inquieta, di sbieco, temendo di vedere in lei un'espressione beffarda, ma teneva la testa china da un lato ed era assorta nei propri pensieri. "Non me ne frega niente se pagheranno o meno. Questa è una gara, capisci? Mi importa solo di arrivare prima di loro." Stava per attaccare il sax. E Tanger era come il jazz, sentenziò Coy. Melodia base e variazioni inaspettate. Faceva continuamente evoluzioni intorno a un'apparente idea fissa, come una struttura di temi aaba. Seguire da vicino quelle evoluzioni richiedeva comunque un'attenzione costante che non escludeva affatto la sorpresa. All'improvviso suonava aabacba ed entrava un tema secondario che nessuno mai si sarebbe aspettato di sentire proprio lì. L'improvvisazione, ovunque conducesse, era l'unico modo possibile di seguirla. Seguirla senza partitura. Pagina 100

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Alla cieca. Un orologio vicino diede tre scampanate nella piazza. A Coy arrivarono smorzate dagli auricolari e dalla musica e subito dopo, finalmente, attaccò il sax di Hawkins: il terzo assolo che annodava da cima a fondo tutto il brano. Socchiuse gli occhi, deliziato dalla cadenza delle note familiari, che avevano lo stesso effetto tranquillizzante del ripetersi di un evento atteso. Ma Tanger si era introdotta nella melodia, alterandone la delicata struttura. Perse il filo, e un attimo dopo schiacciò il pulsante del walkman e si ritrovò con gli auricolari in mano, sconcertato. Per un momento gli sembrò di sentire dei passi al piano superiore, proprio come l'equipaggio del Pequod sentiva il rumore della gamba d'osso di balena mentre il comandante rimuginava le sue ossessioni da solo, di notte, in coperta. Rimase così, immobile e attento, in agguato. Poi gettò il walkman sul letto ancora intatto, con un gesto stizzito. Era inammissibile, e mescolava i generi senza ritegno. Si era lasciato alle spalle il periodo Melville, così come quello precedente, il periodo Stevenson, ormai da molto tempo. Tcoricamente Coy si trovava in modo chiaro nel periodo Conrad, e tutti gli eroi autorizzati a muoversi in quel territorio erano stanchi, più o meno lucidi, coscienti del pericolo di sognare con un timone tra le mani. Adulti arenati nella rassegnazione e nella noia, nel cui dormiveglia non affioravano più, a due a due, interminabili processioni di cetacei intenti 178 179 a scortare, in mezzo a tutti, un fantasma incappucciato come una montagna innevata. Ciò nonostante, il "se" ipotetico sulla soglia dell'oracolo di Delfi, che Coy conosceva tramite Melville, ma che questi a sua volta doveva aver preso da altri libri che lui non aveva letto, continuava a vibrare nell'aria proprio come il temporale che suona l'arpa tra le sartie, persino dopo che il mare si era chiuso sull'albatro intrappolato dal martello e dalla bandiera, e il Raquel aveva tratto in salvo un altro naufrago. D'un tratto, con sua grande sorpresa, Coy scopriva che le fasi libresche o esistenziali, indipendentemente dal nome che si dà loro, non terminano mai in modo netto, e che benché gli eroi abbiano perso la loro innocenza e siano troppo esausti per credere in navi fantasma o in tesori sommersi, il mare resta inalterabile, pieno della sua stessa memoria, fiducioso di sé. Al mare non interessa che gli uomini perdano la fede nell'avventura, nella caccia, nella nave affondata, nel tesoro. Gli enigmi e le storie che racchiude hanno vita autonoma, bastano a se stessi e sarà così persino quando la vita si sarà estinta per sempre. Per questo, fino all'ultimo istante, ci saranno sempre uomini e donne che interrogheranno il capodoglio agonizzante mentre volge il muso verso il sole e spira. E così, in barba a tutta la lucidità possibile, ecco che lui si ritrovava a chiamarsi Ishmael dopo essere stato un naufrago ed essersi chiamato Jim, intento a tesare ancora una volta l'arpone, alla sua età, con il suo stesso sangue e a lanciare il vecchio grido di rigore: che l'ultimo se lo prenda l'alcol o il diavolo, vengano la nave sfondata e il corpo sfondato, e via dicendo. A contemplare, affascinato dalla certezza di un destino inevitabile -- lo sapeva per averlo letto centinaia di volte -- la ragazza dalla pelle lentigginosa che conficcava il suo doblone d'oro spagnolo nel legno dell'albero: clic, clac. E non era un ticchettio che martellava solo nella sua immaginazione. Si era nuovamente avvicinato alla finestra, per cercare la brezza del mare vicino, e quando sentì quel rumore tornò a guardare il soffitto. Adesso sì che gli sembrava di sentire dei passi inquieti, lassù, in coperta. Clic, clac. Clic, clac. Evidentemente neanche lei dormiva, tutta presa dalla caccia ai propri fantasmi bianchi, carri funebri con vecchi ferri ritorti sul groppone. E lui non aveva mai sognato, in nessuna nave, libro, porto o vita anteriore e innocente, un Achab tanto seducente che lo trascinasse a navigare sulla propria tomba. Raggiunse il letto e vi si distese, supino. Fino all'ultimo porto, ricordò prima di addormentarsi, viviamo tutti avvolti nel cavo di un arpone da balena. "C'è un nesso diretto" disse Tanger "tra il viaggio del Dei Gloria e l'espulsione dei gesuiti dalla Spagna. Pagina 101

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Un nesso inequivocabile. " Era domenica e facevano colazione sotto il tendone del caffè Parisien, davanti all'hotel, pane bianco ancora caldo, cioccolata, caffè e succo d'arancia. C'era una brezza leggera, molta luce e piccioni che passeggiavano nel rettangolo di sole della piazza, tra i piedi delle persone che uscivano dalla messa. Coy aveva in mano mezzo panino all'olio e a tratti, tra un boccone e l'altro, contemplava la facciata bianca e ocra rosso e il campanile della chiesa di San Francesco. "Nel 1767 in Spagna regnava Carlo III, che prima era stato re di Napoli... Fin dall'inizio del suo regno, i gesuiti gli manifestarono la loro avversione, tra gli altri motivi perché in quel momento in Europa si ingaggiava la battaglia delle nuove idee e la Compagnia ignaziana era il più influente di tutti gli ordini religiosi... E per il suo potere si era attirata addosso l'inimicizia generale. Nel 1759 i gesuiti erano stati espulsi dal Portogallo e nel 1764 dalla Francia." Beveva latte al cioccolato da un bicchiere grande, e ogni volta che se lo portava alle labbra le restava un baffo di schiuma sul labbro superiore. Era scesa in strada subito dopo aver fatto la doccia, con i capelli umidi che ancora le gocciolavano sulla camicia a quadretti blu e rossi portata fuori dai jeans, con le maniche arrotolate ai polsi, e i capelli le si stavano asciugando, leggermente ondulati, conferendo alla sua pelle un aspetto fresco. A volte Coy le guardava il baffo di cacao sulla bocca e sentiva un brivido dentro di sé. Dolce, pensava. Labbra dolci, che lei aveva ulteriormente addolcito aggiungendo al bicchiere una bustina di zucchero. Si domandò quale poteva essere il sapore di quelle labbra sulla sua lingua. "In Spagna" proseguì lei "le tensioni tra ignaziani e i ministri illuminati di Carlo III erano crescenti. Il quarto voto d'obbedienza al papa metteva la Compagnia al centro della polemica tra il potere religioso e quello monarchico. Era inoltre accusata di gestire troppo denaro e di influire eccessivamente sull'insegnamento universitario e sul governo. Inoltre erano ancora recenti il conflitto delle missioni in Paraguay e la guerra guarani. " Si protese sul tavolo verso Coy, con il bicchiere tra le dita. "... Hai visto il film di Roland Joffé, Mission? I gesuiti facevano fronte comune con gli indios." Coy se ne ricordava vagamente: una cassetta vista a bordo, di quelle che uno finisce per guardare tre o quattro volte, a pezzi, durante una traversata molto lunga. Robert de Niro, gli sembrava di ricordare. E forse Jeremy Irons. Non aveva neanche badato al fatto che fossero gesuiti. "Tutto ciò" aggiunse Tanger "aveva portato i gesuiti spagnoli a ritrovarsi seduti su un barile di polvere da sparo e mancava solo che qualcuno accendesse la miccia." Non c'era traccia di Horacio Kiskoros, verificò Coy dando un'occhiata in giro. Al tavolo accanto era seduta una giovane famiglia: turisti con tanto di coppia di pargoli biondi, cartina dispiegata e macchina fotografica. I bambini giocavano con fionde di plastica simili a quelle che, da piccolo, quando marinava la scuola per gironzolare tra i moli, lui stesso aveva fabbricato con materiali di fortuna: un pezzo di legno a Y, strisce di vecchi pneumatici, un avanzo di cuoio e una spanna di fil di ferro. Adesso, pensò con nostalgia, quegli arnesi erano in vendita nei negozi e costavano un occhio. "La miccia" continuava a raccontare Tanger "fu la rivolta di Squillace. Benché non sia stato dimostrato l'intervento diretto dei gesuiti nel tumulto, quel che è sicuro è che in quello stesso periodo cercavano di boicottare i ministri illuminati di Carlo III... Squillace, che era italiano, propose tra le altre cose di sopprimere i cappelli a tesa larga e le cappe con cui si coprivano gli spagnoli e ciò fornì il pretesto a gravissimi disordini. Fu ristabilita la calma, il ministro venne sostituito, ma nello stesso tempo i gesuiti vennero accusati di aver sobillato il tutto. Il re decise di espellere la Compagnia e di confiscarne i beni. " Coy annuì meccanicamente. Tanger parlava più del solito, come se si fosse preparata la relazione durante la notte. Pagina 102

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Era logico, si disse. Dopo l'apparizione in scena di Kiskoros e la proposta di un incontro avanzata da Nino Palermo non aveva altra scelta che ricompensarlo mettendolo a parte di maggiori informazioni. A mano a mano che si avvicinavano all'obiettivo, lei capiva che non si sarebbe accontentato delle briciole. E ciò nonostante, fondamentalmente avara, continuava ad amministrare il proprio capitale con il contagocce. Forse per questo, con grande delusione da parte di Coy, quella mattina lui non riusciva a provare l'interesse di altre volte. Aveva anche avuto a disposizione una lunga notte per riflettere. Troppi dati, pensava adesso. Troppo prolissa e, malgrado ciò, disposta a concedere poche informazioni concrete. Tutto quello che mi racconti, bel musino, l'ho già studiato vent'anni fa a scuola. Vorresti prendermi in giro con "sta montatura storica senza andare al sodo. Fingi di mostrare con una mano quello che nascondi nel pugno. Era stanco e si disprezzava per non essere abbastanza forte da alzarsi e andarsene. E tuttavia, quel baffo di schiuma sul labbro superiore, il riverbero della mattina luminosa nel blu marino delle sue iridi, le punte umide dei capelli biondi che le incorniciavano le lentiggini avevano un effetto singolare, quasi calmante. Ogni volta che guardava quella sconosciuta, Coy aveva la certezza di essersi spinto troppo in là, di essersi addentrato tanto nella parte oscura della carta nautica della sua vita che ormai gli risultava impossibile tornare sui propri passi senza aver prima avuto le risposte. Cavalieri e scudieri: ti mentirò e ti tradirò. In realtà, del mistero della nave naufragata non gli importava proprio nulla. Era lei, la sua costanza, la sua ricerca, tutto ciò che era disposta a compiere in nome di un sogno, che lo faceva andare avanti, benché sentisse l'inequivocabile rumore del mare sugli scogli pericolosamente vicini. Voleva avvicinarsi a lei quanto più poteva, vedere che espressione aveva nel sonno, sentirla quando si svegliava e lo guardava, toccare quella pelle tiepida e riconoscere in essa, nella profondità di quella pelle e della carne che ricopriva, la bambina sorridente della foto nella cornice d'argento. Aveva smesso di parlare e lo studiava sospettosa, domandandogli in silenzio se stesse ancora prestando attenzione a quanto diceva. Non senza una certa fatica, Coy si distolse dai propri pensieri, temendo che lei potesse leggerglieli in faccia, e diede un'altra occhiata ai piccioni. Tra loro, uno molto sicuro di sé e alquanto galante gonfiava il petto gorgogliando e tubando tra le femmine piumate che facevano capannello tutt'intorno e lo osservavano con la coda dell'occhio. E in quel momento i bambini del tavolo accanto si lanciarono contro i pacifici uccelli levando urla di guerra. Coy osservò il padre, placidamente assorto nella lettura del giornale, poi la madre, per scoprire che scorreva la piazza con un'occhiata languida. Alla fine si girò ancora verso Tanger. Di spalle alla scena, questa proseguiva il suo racconto: "A Madrid ogni cosa venne preparata nella massima segretezza. Per ordine diretto del re venne formato un gruppo selezionato da cui era escluso chiunque fosse sostenitore della Compagnia o semplicemente imparziale. L'obiettivo era quello di raccogliere prove e preparare il decreto di espulsione... Il risultato di quella che venne chiamata Inchiesta segreta fu un verdetto severo in cui si accusavano i gesuiti di cospirazione, difesa della dottrina del tirannicidio, rilassatezza morale, sete di ricchezza e di potere e attività illecite in America" La storia dell'inchiesta segreta suonava bene, e Coy sentì che il suo interesse si risvegliava mentre tornava a osservare i bambini. Avevano appena sorpreso il piccione, distratto perché tutto preso dal corteggiamento, e con una sassata ne avevano interrotto l'idillio e la digestione delle briciole cadute ai piedi dei tavoli. Rincuorati dal successo, i bambini sparavano ai piccioni con la precisione letale dei cecchini serbi. "Nel gennaio 1767" proseguì Tanger "riunito in forma segretissima, il Consiglio Pagina 103

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt di Castiglia approvò l'espulsione. E tra la notte del 31 marzo e la mattina del 2 aprile, con un'efficace operazione militare, le centoquarantasei sedi dei gesuiti in Spagna furono circondate... Vennero tutti imbarcati, Roma dovette farsene carico, e sei anni dopo Clemente XIV sciolse la Compagnia." Fece una pausa per finire il suo latte con il cacao e poi si asciugò le labbra con una mano. Si era girata di profilo per seguire con una certa indifferenza la baruffa tra bambini e piccioni, prima di affrontare nuovamente Coy. Non me la immagino alle prese con i bambini, si disse questi. E so che, comunque vada, non invecchierò accanto a lei. Riesco a immaginarmela solo mentre passa gli anni tra libri e documenti, magra ed elegante malgrado le unghie mangiucchiate. Una zitella di classe e con le rughe intorno agli occhi, che tira fuori i suoi ricordi da un baule: un guanto lungo e rosso, una vecchia carta nautica, un ventaglio rotto, una collana di giaietto, un disco di canzoni italiane degli anni cinquanta, la foto di un vecchio amante. La mia foto, azzardò. Magari fosse davvero la mia. Le prestò attenzione perché stava riprendendo il discorso. Quanto era accaduto in seguito all'espulsione dei gesuiti dai domini della corona di Spagna non interessava più a nessuno dei due, disse. Il periodo importante era l'anno trascorso tra la domenica delle Palme del 1766, giorno di inizio della rivolta di Squillace, e la notte del 31 marzo 1767, in cui venne eseguito il decreto di espulsione degli ignaziani spagnoli. In quell'arco di tempo, in un modo che ricordava quanto era successo ai Templari nel XIV secolo, la Compagnia, da potenza rispettata, temibile e influente, era diventata oggetto di persecuzioni e proscrizioni, "Non ti sembra interessante?" "Molto." Lei lo scrutò per studiarlo, come se avesse captato una certa ironia nel commento. Coy rimase impassibile. Prima o poi, pensava, finirai per raccontarmi qualcosa che valga davvero la pena. Guardò al di sopra della spalla di Tanger. I bambini stavano tornando, tutti sudati, vincitori; portavano con sé a mo di trofeo le penne della coda del piccione che in quel momento, calcolò, di sicuro stava volando a centottanta chilometri l'ora in direzione di Città del Capo. Forse, si disse, non tutte le vittime di Erode erano poi così innocenti. Tanger si era nuovamente zittita, come valutando se valesse la pena continuare. Aveva chinato il viso e muoveva le dita sul bordo del tavolo, con un tamburellare che, forse, tradiva la sua impazienza. "Davvero ti interessa quello che ti sto raccontando?" "Certo che sì." Per qualche ragione, l'irritazione che lei dimostrava lo riconciliò con se stesso. Si accomodò un po' sulla sedia, con l'espressione di chi ascolta con attenzione, e Tanger, dopo aver scacciato un ultimo dubbio, proseguì il suo racconto. Quando Carlo III aveva deciso di creare il gabinetto dell'inchiesta segreta, vi aveva messo a capo Pedro Pablo Abarca de Bolea, conte di Aranda: un aragonese di Huesca, due volte grande di Spagna, che era stato militare e diplomatico. Era a capo della Capitaneria generale di Valencia quando, nel bel mezzo della rivolta di Squillace, il re lo chiamò a Madrid per affidargli il governo, la presidenza del Consiglio di Castiglia e la Capitaneria della Nuova Castiglia. Intelligente, colto, illuminato, era poi passato alla storia come massone benché non fosse mai stata provata la sua appartenenza ad alcuna loggia e gli storici moderni negassero la sua affiliazione. C'erano invece prove che fosse un uomo eclettico: tra tutti i componenti del gabinetto segreto, forse era proprio lui quello che conosceva meglio gli ignaziani, che lo avevano educato e tra i quali aveva ancora molti amici, compreso un fratello gesuita. Al confronto di accaniti oppositori dell'Ordine quali il procuratore Campomanes, il ministro di Giustizia Roda e 184 185 José Monino, futuro conte di Floridablanca, riguardo al suo atteggiamento verso la Compagnia Aranda si poteva considerare un moderato. Accettò comunque di dirigere il gabinetto e di convalidarne le conclusioni. L'inchiesta iniziò a Madrid l'8 giugno 1766 presieduta da Aranda. Lo supportavano Roda, Monino e altri antigesuiti convinti o, come si diceva allora, tornisti, per contrapporli ai sostenitori degli ignaziani, o amici del quarto voto. Pagina 104

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt E l'indagine fu condotta con tale cautela che non ne fu informato neppure il confessore del re. "Ciò nonostante" proseguì Tanger "c'era un legame importante tra un uomo del gabinetto segreto e un ignaziano di spicco... Paradossalmente, uno dei migliori amici del conte di Aranda era un gesuita di Murcia: padre Nicolas Escobar. I loro rapporti si erano leggermente raffreddati, ma è innegabile che, fino a quando Aranda non lasciò la Capitaneria generale di Valencia dietro convocazione del re, i due fossero intimi. Benché in seguito Aranda abbia fatto distruggere la sua corrispondenza con padre Escobar, sono rimaste alcune lettere che provano il loro legame." "E tu le hai viste?" "Sì. Sono tre e si trovano nella biblioteca dell'università di Murcia, firmate di proprio pugno da Aranda. Ho avuto le fotocopie grazie al docente di Cartografia, nestor Perona, quando l'ho consultato telefonicamente circa le correzioni che avremmo dovuto applicare all'Urrutia." Un'altra vittima della sua seduzione, pensò Coy. Immaginava l'effetto di Tanger, persino telefonico, su un povero cattedratico di una qualsiasi materia. Devastante. "Devo ammettere che hai fatto un lavoro accurato." "Non saprai mai fino a che punto. Per questo non sono disposta a farmelo soffiare." Cominciavano a esserci indizi interessanti, ammise Coy. La storia usciva dai manuali per addentrarsi nelle minute. Lettere di quel tizio, Aranda. Forse, dopotutto, con la sua storia banale di gabinetti segreti e re implacabili, lei lo stava davvero spingendo in qualche direzione. "Nicolas Escobar" proseguì Tanger "era un gesuita importante, in contatto con i centri di potere e con il Seminario dei nobili, che si muoveva tra Roma, Madrid, Valencia e Salamanca. Due decenni prima era stato il direttore del collegio ignaziano di quest'ultima città, roccaforte della Compagnia, nelle cui stamperie, e questa è solo una delle tante coincidenze, fu pubblicato..." Tacque. Indovina la sorpresa e compagnia bella. Coy non poté fare a meno di sorridere. Gliel'aveva messa troppo facile ed era impossibile deluderla. D'accordo, siamo una squadra. Tu e io siamo una squadra. Se lo dici tu. io ci credo. "L'Urrutia" disse. Lei annuì, soddisfatta. "Esattamente. L'Atlante marittimo dell'Urrutia, stampato nel Collegio dei gesuiti di Salamanca nel 1751 sotto la protezione di un altro ministro amico, il marchese di Ensenada, sostenitore della Marina e degli studi nautici in Spagna. E nel periodo in cui si forma questo gabinetto segreto, padre Escobar, amico di marinai famosi come Jorge Juan e Antonio de Ulloa, si trova a Valencia. Non indovini dove?" "No, ho paura che stavolta non indovinerò proprio niente." "A casa di una nostra vecchia conoscenza. Soprattutto mia: Luis Fornet Palau, amico del quarto voto, prestanome della flotta dei gesuiti e armatore del Dei Gloria." Si fermò, compiaciuta dell'espressione di Coy. Poi si chinò lentamente verso di lui, sul tavolo, guardandolo intensamente negli occhi, e lui poté scorgervi un'ambizione dura e precisa, come un frammento di pietra scura, levigata, molto brillante. Allora capì che il sogno aveva smesso da tempo di essere tale. Adesso era diventato un'ossessione solida, concreta. Mentre avvicinava una mano, posandola sulla sua, cercò disperatamente un termine adeguato che la definisse. Sentì il peso della mano calda, le dita che si intrecciavano alle sue. Un tepore dolce, deciso, così sicuro di sé da far sembrare quel gesto la cosa più naturale del mondo. Quella mano non cercava consolazione né incoraggiamento e tantomeno aveva la pretesa di fingere. In quell'istante era sincera: condivideva. E la parola "ossessione", che lui finalmente trovò, era implacabile. Pagina 105

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt "Il Dei Gloria, Coy" disse sottovoce, china sul tavolo, la mano sulla sua. "Stiamo parlando del brigantino che parte da Valencia con destinazione America il 2 novembre, quando il gabinetto segreto è riunito da cinque mesi, e fa ritorno alle coste spagnole poche settimane prima che ai gesuiti venga assestato il colpo finale." La pressione delle sue dita si fece più decisa. "Hai tirato le somme?... Il resto, vale a dire chi o che cosa poteva esserci a bordo e perché, te lo racconterò mentre andiamo a Gibilterra. O, come dicevano i vecchi romanzi d'appendice, nel prossimo capitolo." 187. 8. Il punto di stima. Dicesi punto di stima quello in cui risulta trovarsi la nave in base a un giudizio cauto o a dati in cui rimane un grosso margine di incertezza. G. CISCAR, Curso de navegacion. I piccoli cannoni bruniti della piazza splendevano. I tavolini all'aperto dell'Ungry Friar erano pieni di gente e un gruppo di turisti anglosassoni stava fotografando il cambio della guardia nel Convento, visibilmente compiaciuti dal fatto che la Gran Bretagna possedesse ancora colonie da cui poter governare i mari. Sotto la bandiera che ondeggiava pigramente sull'asta, una sentinella restava immobile come una statua, sull'attenti con il fucile Enfield sotto l'arco gotico, fedele al copione e alla scenografia, mentre il sergente incaricato del cambio gli gridava gli ordini regolamentari nel gergo militare, a squarciagola, a una spanna dalla faccia: consegna, parola d'ordine e via dicendo. Frasi del tipo: "Finché avrai una goccia di sangue" e "l'Inghilterra si aspetta che tu faccia il tuo dovere" immaginò Coy, che li osservava. Poi allungò le gambe sotto il tavolino, prima di chinarsi per scolare quello che restava della sua birra e guardare in alto strizzando gli occhi. Il sole si avvicinava allo zenit e faceva un gran caldo, ma sul cielo della Rocca il pennacchio di nubi cominciava a disfarsi: il vento era girato da levante a ponente e nel giro di un paio d'ore la temperatura sarebbe diventata più sopportabile. Pagò la birra e si alzò in piedi, incrociando la gente che riempiva la piazza e dirigendosi verso l'angolo di Main Street. Sudato, nel mirino di dozzine di telecamere e macchine fotografiche, il sergente continuava a lanciare tremende urla militari all'impassibile sentinella. Mentre si allontanava da lì, Coy immaginò di rivolgergli una boccaccia. Quella mattina, si disse, la guardia tocca al sordo. Camminò per la via principale di Gibilterra. con la folla che deambulava davanti alla successione di negozi: pigiami cinesi, magliette che ritraevano la Rocca e le scimmie, mantiglie, radio, alcolici, macchine fotografiche, profumi, porcellane di Lladro e Capodimonte, teste di ceramica Bossom in miniatura. Coy aveva fatto scalo a Gibilterra in passato, quando la colonia britannica era ancora un porto convenzionale, all'antica, base di contrabbandieri di sigarette e di hashish marocchino attraverso lo Stretto, e non si era ancora trasformato in alveare turistico e in retroguardia finanziaria dei trafficanti di droga su grande scala, oltre che delle migliaia di inglesi stabilitisi sulla Costa del Sol. In effetti, qualsiasi posto nei pressi del Mediterraneo era, ormai, uno scandalo turistico. Ma a Gibilterra, accanto ai fast food e ai ristoranti in cui si mangiava velocemente e si beveva in bicchieri di plastica, i negozi di proprietari indiani ed ebrei si alternavano lungo Main Street a facciate di banche e case dalle targhe discrete avvitate accanto alla porta, studi di avvocati, agenti immobiliari, compagnie di importexport, società anonime, società a responsabilità limitata, società fantasma -- ne erano state registrate più di diecimila -- in cui si riciclavano soldi spagnoli e inglesi e si faceva ogni genere di affari. La bandiera blu con le stelle della Comunità europea sventolava alla frontiera, turismo e scappatoie da paradiso fiscale avevano sostituito il contrabbando come fonte principale di introiti. Giovani legulei, che parlavano un inglese perfetto con accento andaluso, rimpiazzavano i capi della mafia locale, mentre la vecchia ciurma di sempre -lupi di mare con cerchietti d'oro alle orecchie e braccia tatuate, sopravvissuti Pagina 106

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt della feccia pirata del Mediterraneo occidentale -- languiva nelle carceri spagnole o marocchine, serviva hamburger da McDonald" s o bighellonava nel porto, guardando con occhi pieni di nostalgia le quindici miglia che separavano l'Europa dall'Africa; una distanza che solo dieci anni prima, nelle notti senza luna, coprivano con fuoribordo da novanta cavalli che facevano planare le loro Phantom pitturate di nero a quaranta nodi sulle onde, tra Punta Carnero e Punta Cires. Coy camminò sul marciapiede più in ombra, con la maglietta incollata addosso per via del sudore, controllando i numeri civici delle case. Tanger aveva mantenuto la parola, almeno in parte. Tra Cadice e Gibilterra, mentre lui guidava la Renault noleggiata attraverso le curve tortuose della strada che risaliva le alture di Tarifa e le scogliere che davano sullo Stretto. aveva terminato il racconto della storia dei gesuiti e del Dei Gloria. O almeno la parte del racconto che riteneva opportuno fargli conoscere: quella relativa alle ragioni per cui il brigantino era andato in America e poi era tornato dall'Avana. "Volevano parare il colpo" aveva riassunto. Poi, con gli occhi fissi sulla strada, aveva esposto la sua teoria in onore di Coy. Il gabinetto dell'inchiesta segreta non era stato poi così segreto. Le indiscrezioni erano filtrate, fornendo qualche indizio di cosa si stava profilando all'orizzonte. Forse i gesuiti ci avevano messo un loro informatore o forse avevano semplicemente intuito la manovra. "Di tutti i membri del gabinetto" aveva spiegato Tanger "solo uno era un tornista puro: il conte di Aranda poteva essere considerato, se non proprio un amico del quarto voto, per lo meno più favorevole agli ignaziani rispetto ai radicali Roda, Campomanes e compagnia bella. Può darsi che sia stato proprio lui a farsi sfuggire le parole opportune con l'amico, padre Nicolas Escobar... Magari si era trattato solo di una confidenza, di un accenno. Ma fra quella gente, esperta di astuzie e diplomazie, persino un silenzio poteva essere letto come un messaggio." Tanger aveva taciuto per qualche istante, lasciando a Coy il compito di immaginare epoca e personaggi. Aveva posato la mano sinistra sul ginocchio sinistro, sulla gonna di cotone blu, a pochi centimetri dalla leva del cambio. Coy, di quando in quando, la sfiorava, per passare dalla quarta alla quinta nei rettilinei o quando scalava prima delle curve. "E allora" aveva proseguito lei "i vertici dell'Ordine concepirono un piano." Aveva taciuto di nuovo, lasciando il tutto in sospeso. Avrebbe dovuto scrivere romanzi, aveva pensato lui, ammirato. Non ha rivali nell'uso dei punti di sospensione. E poi, non so cosa ci sia di reale nelle sue certezze, ma non ho mai visto nessuno ribadirle con tanto aplomb. Senza contare il modo in cui dà lenza a poco a poco: mollandola quanto basta perché il pesce non sfugga e tirandola a sufficienza perché rimanga attaccato, fino a conficcargli l'arpone nelle branchie. "Un piano azzardato" aveva continuato finalmente Tanger "il cui successo non era comunque garantito... Ma si basava sulla conoscenza della natura umana e della situazione politica spagnola. E naturalmente sulla conoscenza di Pedro Pablo Abarca, conte di Aranda." In poche parole, con il tono oggettivo di chi elenca dati, senza distogliere gli occhi dal nastro d'asfalto che sembrava ondeggiare davanti a loro per effetto del calore, Tanger aveva tratteggiato la figura del ministro di Carlo III: un aristocratico con diritti di sangue, una brillante carriera militare e diplomatica, francesizzato per motivi intellettuali e sociali, pragmatico, illuminato, energico, impetuoso, piuttosto insolente. Una bella testa a capo del Consiglio di Castiglia e del gabinetto per l'inchiesta segreta. E anche amante del lusso, delle carrozze care, con splendidi tiri e servitù in livrea, di quelle scoperte per andare a teatro e alla corrida, popolare, ambizioso, dilapidatore, fedele agli amici. Ricco, e tuttavia sempre bisognoso di nuovi fondi per sostenere un alto tenore di vita che a volte sfiorava la stravaganza. "Quelle erano le parole chiave" aveva proseguito Tanger "a cui Aranda era sensibile: denaro e potere. Pagina 107

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt E i gesuiti lo sapevano. Non per niente era stato loro allievo ed era in stretto contatto con i loro vertici." Il piano, aveva continuato lei, venne concepito con audacia minuziosa. La nave migliore della Compagnia, la più veloce e sicura, con il miglior comandante, salpò in gran segreto facendo rotta sull'America. Aveva a bordo, come passeggero, padre Escobar. Non rimaneva nessuna prova ufficiale della sua partenza da Valencia, perché non furono conservati i documenti di carico del Dei Gloria relativi a quella fase del viaggio; il gesuita figurava invece a bordo nel viaggio di ritorno. Le sue iniziali, con quelle dell'altro accompagnatore, padre José Luis Tolosa, erano sul manifesto del brigantino -- N. E. e J. L. T. -- alla sua partenza dall'Avana, il 1§ gennaio 1767. E portavano qualcosa con loro: documenti, oggetti. Qualcosa di determinante per influire sulle decisioni del conte di Aranda. Con le mani sul volante, Coy aveva riso sommessamente. "In poche parole: volevano comprarlo." O ricattarlo" aveva risposto lei. "In un modo o nell'altro, quel che è certo è che la missione del Dei Gloria, del comandante Elezcano e dei due gesuiti consisteva nel portare in Spagna qualcosa che avrebbe modificato il corso degli eventi." "Dall'Avana? " "Proprio così." "E cosa c'entra Cuba in tutto ciò?" "Non lo so. Ma è stato lì che hanno imbarcato quel qualcosa che poteva convincere Aranda a falsare gli esiti dell'inchiesta 190 191 segreta... Qualcosa che avrebbe arrestato la tempesta che stava per scatenarsi sulla Compagnia." "Potrebbe anche essere denaro" aveva riflettuto Coy. "Il famoso tesoro." Sorrideva per non dare importanza a quello che diceva, ma aveva avvertito un brivido nel pronunciare la parola "tesoro". Tanger continuava a guardare davanti a sé come una sfinge. "Potrebbe, in effetti" aveva detto dopo un istante. "... Ma non sempre ci sono in ballo i soldi." "E questo è quanto intendi scoprire." Continuava a girarsi di quando in quando per studiarla, senza perdere completamente di vista la strada, prima di guardare nuovamente innanzi a sé. Lei fissava l'asfalto. "Intendo prima di tutto localizzare il Dei Gloria. E quindi scoprire cosa trasportava... La cosa che, per un caso o per un calcolo dei nemici della Compagnia, non arrivò mai a destinazione. " Coy aveva scalato la marcia prima di affrontare una curva stretta. Al di là di una recinzione c'erano alcuni tori in carne e ossa che pascolavano sotto un cartello pubblicitario che ritraeva un immenso toro nero. "Vorresti dire che lo sciabecco corsaro non è apparso in scena per caso?" " Tutto è possibile. Forse l'altra fazione era al corrente dell'operazione e ha messo le mani avanti. Forse lo stesso Aranda faceva il doppio gioco... O, se il Dei Gloria portava qualcosa che poteva essere usato contro di lui, può averlo voluto neutralizzare. " "Comunque, a prescindere da quello che è, può darsi che non abbia resistito a due secoli e mezzo in fondo al mare. Lucio Gamboa ha detto..." "Ricordo perfettamente cosa ha detto." "Lo sai tu stessa. Augurati che fosse un tesoro. Qualsiasi altra cosa, scordatela." La strada scendeva adesso tra prati insolitamente verdi, prima di risalire. C'era un paese bianco in alto sulla destra, abbarbicato al picco di una montagna. VEJER DE LA FRONTERA, aveva letto Coy in un cartello stradale. Un'altra freccia andava verso il mare: CABO TRAFALGAR, 16 KM. "Magari fosse un tesoro" aveva detto. "Oro spagnolo. Argento in lingotti... Forse questo Aranda era davvero corruttibile. " Aveva taciuto un attimo, pensieroso, mordendosi il labbro inferiore. "... Come potremmo recuperarlo senza che nessuno se ne accorga?" Sorrideva divertito all'idea. Il tesoro dei gesuiti. Lingotti d'oro ammonticchiati in una stiva. Sbarchi notturni su una spiaggia, tra il rumore dei sassi trascinati dalla risacca. Dobloni, Deadman" s Chest e una bottiglia di rum. Pagina 108

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Aveva finito per ridere forte. Tanger non apriva bocca e lui si era voltato altre volte a guardarla, senza perdere di vista la strada con la coda dell'occhio. "Sono sicuro che hai già un piano" aveva aggiunto. "Tu non sei il tipo da farsi trovare senza un piano." Aveva sfiorato accidentalmente la sua mano nel cambiare marcia e questa volta lei l'aveva ritirata. Sembrava infastidita. "Tu non sai che tipo sono." Lui aveva riso ancora. L'idea del tesoro, da tanto era assurda, l'aveva messo di buon umore. Si sentiva ringiovanito di trent'anni: Jim Hawkins gli faceva smorfie da una mensola piena di libri nella Locanda dell'ammiraglio Benbow. "A volte credo di sì" aveva detto, sincero "e a volte no. Comunque sia, ti tengo d'occhio... Con o senza tesoro. E spero che tu abbia pensato a tenermi in serbo la mia parte, socia." "Non siamo soci. Tu lavori per me." "Ah, cazzo. Me lo ero dimenticato." Coy aveva fischiettato qualche nota di Body and Soul. Era tutto in regola. Lei orchestrava il canto delle sirene, il doblone d'oro spagnolo splendeva conficcato nell'albero davanti agli occhi del marinaio senza nave e nel frattempo la Renault noleggiata si lasciava alle spalle Tarifa, il suo vento perenne e le spettrali pale girevoli delle torri per l'energia eolica. Il motore si surriscaldava eccessivamente nei pendii, così si erano fermati per farlo raffreddare a un belvedere che dava sullo Stretto. Era una giornata chiara e oltre la striscia blu del mare si scorgevano la costa marocchina e, un po' più in là, sulla sinistra, il Monte Hacho e la città di Ceuta. Coy osservava la lenta avanzata di una petroliera che navigava verso l'Atlantico: si era un poco allontanata dal dispositivo di separazione del traffico che regolava il doppio senso nello Stretto, e di sicuro avrebbe dovuto correggere la rotta per far manovrare una nave da carico che le veniva incontro da prua, nella direzione opposta. Aveva immaginato l'ufficiale di guardia sul ponte, a quell'ora doveva essere il terzo a bordo, attento allo schermo del radar, deciso ad aspettare fino all'ultimo per vedere se erano fortunati e l'altro si faceva da parte per primo. "E poi tu corri troppo, Coy. Io non ho mai parlato di tesori." Era rimasta zitta per almeno cinque minuti. Adesso era scesa dalla macchina, stava accanto a lui, guardava il mare e la vicina costa africana. "É vero" aveva ammesso lui. "Ma tu non hai più tanto tempo a disposizione. Dovrai raccontarmi il resto della storia quando saremo lì." Sotto, nello Stretto, la scia bianca della petroliera tracciava una leggera curva verso la sponda europea. L'ufficiale di guardia aveva ritenuto più prudente concedere la distanza di sicurezza al mercantile ormai vicino. Dieci gradi a dritta, aveva calcolato a occhio e croce Coy. Nessun ufficiale toccava le macchine se non veniva autorizzato dal comandante, ma correggere di dieci gradi e poi tornare alla rotta assegnata era in genere accettato. "Ancora non ci siamo" aveva detto lei sottovoce. Gli uffici della Deadman" s Chest Ltd. si trovavano al numero 42B di Main Street, al piano terra di un palazzo dall'aria coloniale, i muri bianchi e le finestre verniciate di blu. Coy guardò la targa avvitata sulla porta e dopo una breve esitazione suonò il campanello che c'era sotto. Non era del tutto convinto, ma Tanger si rifiutava di incontrare Nino Palermo nel suo ufficio. E così a lui era stata affidata quella missione esplorativa che gli avrebbe consentito di fissare, se gli indizi fossero stati favorevoli, un appuntamento più tardi, quello stesso giorno. Tanger gli aveva dato istruzioni precise, dettagliate, come se si trattasse di un'operazione militare. "E se mi spaccano la faccia?" aveva domandato, ripensando al salone del Palace. "Palermo antepone gli affari alle questioni personali" era stata la risposta. "Non credo che voglia un regolamento di conti. Non ancora." E così lui si ritrovava lì, a specchiarsi la faccia mal rasata nella targa di ottone e a inspirare profondamente, come se si accingesse a fare Pagina 109

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt una pericolosa immersione. "Il signor Palermo mi sta aspettando." Il berbero, affrontato a tu per tu alla luce del sole, sulla soglia, con quegli occhi che vagliavano Coy riconoscendolo, prima di farsi da parte per cedergli il passo, era anche peggio di come si ricordava. L'anticamera era piccola, rivestita di legno pregiato, con diversi particolari navali. C'erano un enorme timone, uno scafandro da palombaro, il modellino di una triremi romana in un'urna di vetro. E c'era anche un tavolo da disegno moderno, all'altro lato del quale era seduta la segretaria che Coy rammentava di aver visto all'asta di Barcellona e nel salone del Palace. Infine una poltrona e un tavolino basso con le riviste Yachting e Bateaux e una sedia nell'angolo. Sulla sedia era seduto Horacio Kiskoros. Non era una compagnia che facesse venir voglia di sorridere e dare il buon giorno: così Coy non fece né l'una né l'altra cosa, si limitò a restare zitto nell'anticamera, in attesa, mentre il berbero si chiudeva la porta alle spalle. Le tre paia di occhi che sentiva fissi su di sé non comunicavano eccessivo calore umano. Il berbero gli si avvicinò da dietro, stolido, senza gesti allarmanti, e come per un riflesso meccanico ed efficiente si mise in ginocchio davanti alle sue caviglie e lo perquisì rapidamente. "Non porta mai armi" gli anticipò Kiskoros dalla sua sedia, con un tono quasi gentile. Adesso cominciano a suonarmele, pensò Coy, ricordando sulle proprie costole la massiccia potenza del berbero. Adesso cominciano a darmi quello che mi spetta, a conciarmi per le feste, una bella manica di botte, e alla fine sarò pronto per il cavalletto, e mi porteranno via di qui, sempre ammesso che ne esca, con i denti in un cartoccio di carta di giornale. r. n. FLA: Legge del chi la fa l'aspetti. Ci scommetto che anche questa tipa dalle mutande nere me l'ha giurata. "Accidenti" disse una voce. Nino Palermo apparve sulla porta che si era appena aperta dall'interno. Indossava pantaloni marroni, una camicia a righe blu con le maniche arrotolate ed era senza cravatta. Ai piedi aveva un paio di mocassini costosi. "Devo ammettere..." disse, e intanto guardava Coy con una certa sorpresa "Cristo, lei ha davvero delle belle palle." "Si aspettava forse che venisse la ragazza?" "Certo che sì." Lo sguardo bicolore del cacciatore di rehtti era severo, fisso come quello di un serpente. Coy notò che il naso era ancora leggermente gonfio, con tenui cerchi scuri sotto gli occhi. Percepì dietro di sé i passi leggeri del berbero e notò l'occhiata che Palermo gli indirizzava. oltre la sua spalla, e tese involontariamente i muscoli. Alla nuca, pensò. Questo stronzo mi colpirà alla nuca. "Entri" disse Palermo. Entrò, il suo anfitrione chiuse la porta e andò ad appoggiarsi al bordo di un tavolo di mogano coperto di libri, documenti, carte nautiche piene di annotazioni a matita che coprì discretamente con il Gibraltar Chronicle. C'era anche, come fermacarte, un antico lingotto d'argento di un paio di chili. Coy rimase in piedi a osservare, tanto per guardare qualcosa che non fosse la faccia di Palermo, l'olio appeso alla parete: una battaglia tra una nave statunitense e una inglese. Due fregate che si cannoneggiavano, con l'alberatura distrutta. Recava una targhetta nella parte inferiore della cornice: "Combattimento tra il Java e il Constitucion" lesse. Il fumo dei cannoni girava verso il lato giusto, insieme alle nubi, le onde e l'orientamento delle vele. Era un bel quadro. "Perché l'ha mandata qui da solo? Sarebbe dovuta venire lei." L'occhio verde e quello castano lo osservavano più con curiosità che con rancore. Coy non sapeva quale guardare e alla fine decise per il secondo. Pagina 110

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Gli sembrava meno inquietante. "Non si fida. Ecco perché sono venuto io. Prima di incontrarla vuole sapere quali sono le sue mire." "É a Gibilterra?" "É dove deve essere." Palermo scosse lentamente la testa. Aveva preso una pallina di gomma dal tavolo e la stringeva tra le dita. "Neanch'io mi fido di lei." "Qui nessuno si fida di nessuno." "Lei è un... Cristo!" La mano sinistra, coperta di anelli e con l'enorme orologio d'oro, tendeva a ogni cenno la muscolatura dell'avambraccio. "Un idiota, ecco cos'è. Si lascia manovrare come un burattino." Coy continuava a seguire l'occhio castano. "Pensi agli affari suoi" disse. "Questi sono affari miei. O almeno lo erano, esclusivamente miei, finché quella sgualdrina non si è intromessa. Le mie buone intenzioni..." "La smetta di prendermi per il culo con "sta storia delle buone intenzioni." Coy decise di passare all'occhio verde. "Ho visto cosa ha fatto il suo nano al cane della ragazza." Palermo smise di aprire e chiudere la mano con la pallina e cambiò posizione sul bordo del tavolo. Di colpo, sembrava a disagio. "Le assicuro che io non ho mai... Cristo! Horacio deve aver esagerato. Lui ha certe maniere... Laggiù in Argentina... Insomma..." Si fermò a fissare la pallina come se all'improvviso non gli piacesse più e la ripose sul tavolo, accanto a un tagliacarte d'avorio la cui impugnatura rappresentava una donna nuda. "Credo che gli sia un po' sfuggita la mano... Poi ci sono state le Malvinas. Horacio è apparso sulla copertina della rivista Time con i prigionieri inglesi. Ne è molto orgoglioso, porta sempre con sé una fotocopia a colori... Poi, con la democrazia, ha dovuto... Capirà, troppa gente l'aveva riconosciuto, grazie a quella benedetta foto, come quello che piazzava gli elettrodi nelle palle." Tacque e poi si strinse impercettibilmente nelle spalle, dando a intendere che il Kiskoros di quel periodo non lo riguardava. Coy annuì. Il suo interlocutore non gli aveva chiesto di accomodarsi e lui stesso restava in piedi. "E lei gli ha dato un lavoro." "Era un bravo sommozzatore" ammise Palermo. "Ed essendo così basso, era molto adatto a certi lavoretti... Comunque" tornò a cambiare posizione sul bordo del tavolo facendo tintinnare le catene e le medaglie d'oro che portava "non le posso raccontare niente che lei non sappia già. E poi ho sempre preferito circondarmi di professionisti salariati piuttosto che di volontari entusiasti... Un mercenario ben pagato non ti pianta in asso sul più bello." "Dipende da chi paga meglio." "Sono io." Fece una pausa per guardarsi la moneta d'oro montata all'anello della mano destra. Poi la sfregò con un gesto meccanico contro la camicia. "Horacio è un gran figlio di puttana" proseguì. "Un ex militare argentino di padre greco e madre italiana, che parla spagnolo e si crede inglese... Ma è un figlio di puttana molto corretto. E a me piace la gente corretta. Mantiene persino la sua vecchia madre a Rio Gallegos e tutti i mesi le manda i soldi, poverina. Come nei tanghi, non è vero? Che roba! " Alzò di qualche millimetro la mano, come se volesse toccarsi la faccia, ma bloccò quel gesto sul nascere. "E quanto a lei..." Adesso l'occhio castano sprizzava rancore e quello verde minaccia. Ma fu questione di un solo istante. "Mi ascolti" proseguì. "Questa faccenda ci è sfuggita di mano in modo assurdo. Ci stiamo spingendo troppo in là, non è vero? Tutti. La ragazza. Pagina 111

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Io stesso, probabilmente. Persino Horacio che si è messo a uccidere cani... Cristo! É il colmo. E poi c'è lei, naturalmente. Lei..." Il cercatore di relitti tacque ancora una volta lasciando la frase in sospeso, alla ricerca di una parola che definisse il ruolo di Coy in quel pasticcio. "Senta..." Aveva preso una chiave e aperto un cassetto, estraendone una moneta d'argento luccicante che gettò sul tavolo. "Sa cos'è questa?... Quella che nel gergo del mestiere noi chiamiamo "colonnato": otto reali d'argento coniati a Potosi nel 1739 per ordine del re Filippo v... Ha davanti a sé, lo guardi, uno dei famosi "pezzi da otto" protagonisti di tutte le storie di pirati e di tesori..." Poi ne prese una diversa, più grande, e gliela gettò come aveva fatto con la prima. Stavolta si trattava di una medaglia commemorativa: tre figure, una delle quali inginocchiata, con l'iscrizione: "The pride of Spain humbled by A. Vernon". L'orgoglio della Spagna umiliato, tradusse Coy, prendendola tra le dita. Sul rovescio, alcune navi e un'altra iscrizione: "They took Carthagena April 1741" Presero Cartagena -- delle Indie, immaginò Coy -- in aprile eccetera eccetera. Posò la moneta sul tavolo, accanto al pezzo da otto. "Era un bluff, perché non riuscirono mai a conquistarla" spiegò Palermo. "L'ammiraglio Vernon si ritirò sconfitto senza poter saccheggiare la città come era nelle sue mire... Quello che nella medaglia viene ritratto inginocchiato è lo spagnolo Blas de Lezo, che non fu mai costretto a inginocchiarsi, tra le altre cose perché era monco e senza una gamba. Ciò nonostante difese la città con le unghie e con i denti, facendo perdere agli inglesi sei navi e novemila uomini... E così dovettero far sparire le medaglie che Vernon aveva già fatto coniare per l'occasione... Tranne quelle che affondarono nella baia, difficili da recuperare." Infilò la mano nel cassetto ed estrasse un pugno di monete diverse, che soppesò prima di farle cadere di nuovo con un tintinnio metallico. L'oro e l'argento brillavano mentre scivolavano tra le sue dita cariche di anelli. "Questa l'ho presa da una nave inglese affondata" disse il cacciatore di tesori. "Questa, quella e molte altre: esemplari d'argento da quattro e da otto reali, colonnati, tosati, dobloni d'oro, lingotti e gioielli... Sono un professionista, capisce? Conosco palmo a palmo i nove chilometri di scaffali dell'Archivio delle Indie e anche gli archivi dell'Ammiragliato britannico, del palazzo dell'Inquisizione di Cartagena delle Indie, Simancas, Viso del Marques, Medina Sidonia... E non sono disposto a tollerare che un paio di dilettanti mi... Cristo! Che un paio di dilettanti mi mandino all'aria il lavoro di tutta una vita..." Prese la moneta da otto e la medaglia di Vernon, riponendole di nuovo nel cassetto. Esibì un sorrisetto simpatico che faceva pensare a quello di uno squalo bianco al quale avessero appena raccontato una barzelletta su alcuni naufraghi. "Ecco perché intendo andare fino in fondo" annunciò alla fine. "Senza pietà e senza riguardo per nessuno. Arriverò fino... Ve lo giuro. E quando avrò finito, quella donna... Lo vedrà. Quanto a lei, dev'essere impazzito" disse chiudendo il cassetto e rimettendosi la chiave in tasca. "Non si immagina neppure lontanamente le conseguenze. " Coy si grattò la faccia non rasata. "Ha mandato quello stronzo di un nano fino a Cadice per farci venire qui e dirci questo?" "No. Vi ho fatti chiamare per proporvi un ultimo patteggiamento. L'ultima possibilità. Ma lei..." Lasciò la frase in sospeso, anche se quello che intendeva era chiaro. Non lo considerava qualificato per una simile negoziazione. Pagina 112

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt E Coy era d'accordo con lui al riguardo, lo sapevano entrambi. "Sono venuto solo per vedere come stavano le cose" disse. "Lei acconsente a incontrarla." Palermo socchiuse gli occhi. Una luce interessata brillava dietro le sue palpebre in agguato. "Quando e dove?" "Qui a Gibilterra. Ma non verrà in questo ufficio. Preferisce un campo neutrale." A quel punto il sorriso aperto e schietto scoprì un paio di denti sanissimi e candidi. Lo squalo nuotava nelle sue acque, pensò Coy. E fiutava in giro. "E cosa intende per "campo neutrale"?" "Il belvedere della Rocca che si affaccia sull'aeroporto andrebbe bene." Palermo rifletteva. "Old Willis? Perché no? A che ora?" "Oggi, alle nove." Il suo interlocutore diede un'occhiata all'orologio e meditò ancora un istante. Riapparve il sorriso crudele. "Le dica che ci sarò... Verrà anche lei?" "Lo saprà quando sarà lì." Il cacciatore di tesori studiò Coy dalla testa ai piedi con uno sguardo poco rassicurante e poi esplose in una risata sgradevole. Non sembrava per niente impressionato. "Ti credi un duro, vero? " Il brusco passaggio dal lei al tu rendeva il tono ancora più spiacevole. "Cristo! Sei un burattino, come tutti. Ecco cosa sei. Le donne ci usano come... Ci usano e poi ci buttano via, né più né meno. Fanno proprio così. E tu... Conosco la tua situazione. Ho i mezzi per indagare... Insomma, ci siamo capiti. Sono al corrente del tuo problema. Dopo il nostro "incontro" di Madrid mi sono premurato di scoprirlo. Quella nave nell'Oceano Indiano. Due anni di sospensione sono lunghi, non è vero? Io, tuttavia... Voglio dire che ho amici armatori che hanno bisogno di ufficiali. Potrei aiutarti." Coy aggrottò la fronte. In quella situazione si sentiva come se un intruso stesse frugando nei suoi cassetti. Come se si fosse girato verso la finestra per scoprire che c'era qualcuno lì, che lo spiava. "Non ho bisogno di nessun aiuto." "Hmm. Lo vedo." Palermo lo osservava attentamente. "Ma la vuoi sapere una cosa? Non me la dai a bere... Devi crederti un tipo originale, ma... Cristo! Ti ho già visto centinaia di volte. Rassegnati. Magari credi di essere l'unico che legge libri e va al cinema. Ma questi non sono i porti dell'Asia e tu non sei... Non andresti bene neppure per un film mediocre. Peter O" Toole aveva molta più classe. E quando lei... Comunque sia, ti pianterà in asso, come quelle navi fantasma saccheggiate e senza equipaggio... In questo romanzo non ci sono seconde chance, renditene conto. Nel nostro mistero della nave naufragata, il comandante perde definitivamente il proprio titolo. E la ragazza... Cazzo! Quella cagna gli sputa in faccia... No, non guardarmi così. Non ho doti da indovino. É solo che la tua storia è tutta da ridere da quanto è banale." Ciò nonostante non rise. Era cupo, ancora appoggiato al bordo del tavolo, con le mani lungo i fianchi. L'occhio verde e quello castano puntavano oltre Coy, assorti. Pagina 113

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt "Le conosco bene" disse. "Sgualdrine." Adesso scuoteva la testa. Lo fece per un bel pezzo, senza aprire bocca. Poi si guardò attorno, come per riprendere contatto con il luogo in cui si trovava. Il suo ufficio. "Giocano con armi" aggiunse "di cui noi ignoriamo persino l'esistenza. E sono... Cristo! Sono molto più furbe di noi. Mentre noi passavamo secoli a parlare ad alta voce e a bere birra, ad andare alle crociate o alla partita con gli amici, loro se ne stavano lì, a cucire, a cucinare e a osservare..." L'oro gli tintinnò addosso mentre andava verso un armadietto e ne estraeva una bottiglia di Cutty Sark e due bicchieri larghi e bassi, di cristallo pesante. Ci mise dentro il ghiaccio che prese da una vaschetta, versò una generosa dose di whisky in entrambi e tornò tenendoli in mano. "Capisco cosa stai passando" disse. Tenne per sé un bicchiere e posò l'altro sul tavolo, davanti a Coy. "Sono state e sono tuttora i nostri ostaggi, capisci?" Bevve un sorso e poi un altro, senza smettere di studiarlo al di sopra del bicchiere. "... Questo fa sì che la loro morale e la nostra siano... Non so. Diverse. Tu e io possiamo essere crudeli per ambizione, per lussuria, per stupidità o per ignoranza... Per loro, invece... Chiamalo calcolo, se vuoi. O bisogno... Un'arma difensiva, non so se mi segui. Sono cattive perché si giocano il tutto per tutto e hanno bisogno di sopravvivere. Per questo, quando lo fanno, combattono fino all'ultimo sangue. Quelle puttane non hanno una retroguardia." Aveva ritrovato il sorriso da squalo. Si puntò un polso con l'indice dell'altra mano. "Immagina un orologio... Un orologio che vada arrestato. Tu e io lo fermeremmo come farebbe qualsiasi uomo: prendendolo a martellate. Una donna no. Quando ne ha l'occasione, lei te lo smonta pezzo dopo pezzo. Tirano tutto fuori in modo che nessuno sia più capace di rimetterlo insieme. Che non possa mai più segnare l'ora... Cristo! Le hai viste... Sì. Smontano definitivamente gli ingranaggi di uomini fatti e sputati con un semplice gesto, uno sguardo, una parola. " Bevve di nuovo e storse la bocca nel farlo. Una verdesca rancorosa. Assetata di sangue. "Quelle ti ammazzano, tu continui ad andare e non ti accorgi neanche di essere morto." Coy represse l'istinto di allungare la mano verso il bicchiere, ancora intatto sul tavolo. Non per il semplice fatto di bere, che era il meno, ma per farlo insieme all'uomo che aveva davanti. L'Equipaggio Sanders era troppo lontano, il vecchio rituale maschile lo tentava e, in definitiva, rifletté, era logico che fosse così. In quel momento, ancora una volta si ritrovava a rimpiangere, e in modo disperato, bar pieni di tizi che pronunciavano parole incoerenti con la lingua intorpidita dall'alcol, bottiglie vuote capovolte in mezzo ai cubetti di ghiaccio, donne che non sognavano o che avevano smesso di credere nelle navi affondate. Bionde che forse non erano più giovani ma che restavano audaci, come nella canzone del Marinaio e del Capitano, e che ballavano da sole, senza prendersela se gli uomini nel frattempo se le giocavano a sorte. Rifugi e oblii a un tanto all'ora. Donne che non conservavano foto di quando erano bambine in cornici d'argento, quando la terraferma diventava per un po' un posto vivibile, a mo di scalo, in Pagina 114

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt attesa del momento di tornare, tra le gru e i depositi grigi nell'alba, alla prima nave sul punto di mollare gli ormeggi, mentre i gatti e i topi giocavano ai quattro cantoni nel molo. "Sono sceso a terra" aveva detto una volta Torpediniera Tucuman a Veracruz. "Sono sceso a terra e non sono andato oltre il primo bar." "Alle nove, al belvedere" disse Coy. Covava una furia desolata, scomoda, autodistruttiva. Strinse i denti, sentendo che gli si contraevano i muscoli delle mandibole. Allora girò sui tacchi, diretto alla porta. "Credi che ti stia mentendo?" domandò Palermo alle sue spalle. "... Cristo! Te ne accorgerai presto... Maledetta. Avresti dovuto restare in mare. Questo non è un posto per te. E la pagherai, naturalmente." Adesso la sua voce suonava esasperata. "Tutti paghiamo, presto o tardi, e arriverà anche il tuo turno. La pagherai per la storia del Palace, e anche per non avermi voluto credere. La pagherai per aver dato retta a quella puttana imbrogliona. E allora non cercherai più una nave, ma solo un buco in cui andarti a nascondere... Quando lei e io, ognuno per quello che ci riguarda, avremo finito di sistemarti." Coy aprì la porta. "É solo uno il viaggio che farai gratis" ricordò. Il berbero se ne stava lì, silenzioso e minaccioso, a ostacolargli il passaggio. La segretaria sbirciava curiosa dal suo tavolo e sul fondo, seduto sulla sedia, Kiskoros si puliva le unghie come se nulla di tutto ciò lo riguardasse. Dopo aver consultato il suo capo con un'occhiata inquisitiva e silenziosa, il berbero si fece da parte. Mentre attraversava l'anticamera per uscire in strada, Coy riuscì a cogliere le ultime parole del cacciatore di tesori: "Continui a non credermi, vero? Allora chiedile degli smeraldi del Dei Gloria. Razza d'imbecille" Il punto di stima, secondo i manuali di navigazione, era quando tutti gli strumenti di bordo andavano al diavolo e non c'era sestante, né luna, né stelle e bisognava calcolare le coordinate della nave solo con l'ultima posizione nota, la bussola, la velocità e le miglia percorse. Dick Sand, il comandante quindicenne creato da Jules Verne, aveva dovuto governare in questo modo la goletta Pilgrim nel corso del suo movimentato viaggio da Auckland a Valparaiso. Ma il traditore Negoro aveva messo una barra di ferro nella chiesuola della bussola, confondendone l'ago. Così il giovane Dick, tra burrasche furibonde, era passato vicino a capo Horn senza vederlo e, confondendo Tristan da Cunha con l'isola di Pasqua, aveva finito per incagliarsi nella costa dell'Angola credendo di trovarsi in Bolivia. Un simile errore di stima non conosceva paragone negli annali del mare e Jules Verne, come aveva appurato Coy quando aveva letto il libro, nel periodo in cui era ancora un allievo dell'accademia, non aveva la benché minima idea di come si navigasse. Ma il lontano ricordo di quella lettura gli tornò in mente in quel momento con la forza di un avvertimento. Navigare alla cieca basandosi sulla stima non costituiva un problema eccessivo se l'ufficiale di rotta era in grado di stabilire le coordinate in base alla distanza percorsa, allo scarroccio e alla deriva, trasferendoli sulla carta per stabilire in che punto, ipoteticamente, si trovava. Il problema, che era relativo in alto mare, diventava grave quando si trattava di avvicinarsi a terra, di approdare. A volte le navi naufragavano in mare, ma molto più spesso navi e uomini naufragavano in terra. Uno premeva la matita su un punto della carta, diceva: "Mi trovo qui" e invece era là, su una secca, sugli scogli, su una costa sottovento, e tutt'a un tratto sentiva il cigolio dello scafo che gli si apriva sotto i piedi. Crac. Ed era la fine. Naturalmente c'era un traditore a bordo. Lei aveva messo una barra di ferro nella chiesuola della bussola e ancora una volta lui aveva finito per calcolare male gli indizi di cui disponeva. Ma quello che prima era meno importante, e anzi condiva il gioco di emozione, adesso, nell'incertezza del Pagina 115

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt 202 203 prossimo approdo, sembrava inquietante. Tutte le spie d'allarme lampeggiavano, rosse, nell'istinto marino di Coy mentre camminava lungo il molo di Marina Bay, tra gli yacht ormeggiati nei pressi della pista dell'aeroporto. Tirava una brezza di levante che soffiava sull'istmo e scampanellava contro gli alberi nelle drizze dei velieri, facendo da sottofondo alla voce pacata di Tanger. Lei parlava degli smeraldi, e lo faceva con un'incredibile serenità, con freddezza, come se quello fosse un argomento di ordinaria amministrazione che avevano già affrontato in diverse occasioni. Aveva ascoltato le recriminazioni di Coy in silenzio, senza rispondere al sarcasmo che quest'ultimo aveva elaborato nel tragitto dall'ufficio di Palermo fino al porto sportivo in cui lei era rimasta, in attesa di notizie. Poi, quando lui aveva esaurito gli argomenti ed era rimasto a guardarla trattenendosi a stento e arrabbiatissimo, chiedendo una spiegazione che gli impedisse di fare fagotto e prendere il largo su due piedi, Tanger si era messa a parlare degli smeraldi con la maggiore disinvoltura del mondo, come se per tutti quei giorni non avesse fatto altro che aspettare che Coy glielo domandasse per raccontargli tutto. Anche se chi mai poteva sapere, pensava lui, se stavolta gli stava dicendo davvero tutto. "Smeraldi" aveva detto a mo di esordio, riflettendo, come se la parola le ricordasse qualcosa. E poi era rimasta per un lungo tratto in silenzio, osservando il mare che si estendeva come un semicerchio di quello stesso colore nella baia di Algeciras. Quindi, prima che Coy imprecasse per la terza volta, si era messa a parlare della più preziosa e delicata delle pietre. La più fragile e quella che più raramente presentava tutti i requisiti richiesti: colore, purezza, lucentezza e dimensioni. Aveva avuto persino il tempo di spiegare che con il diamante, lo zaffiro e il rubino costituiva il gruppo delle principali pietre preziose e che era, come le altre, minerale cristallizzato. Tuttavia, mentre il diamante era bianco, lo zaffiro blu e il rubino rosso, il colore dello smeraldo era un verde straordinario e singolare che non trovava paragoni in natura. Dopo che lei aveva detto tutte queste cose, Coy si era fermato ed era stato lì che aveva lanciato la sua terza imprecazione. Una grossa bestemmia da marinaio, rotonda e secca, che invocava il nome di Dio invano. "E tu sei una fottuta imbrogliona" aveva aggiunto. Lei era rimasta a fissarlo a lungo, guardandolo con molta attenzione. Sembrava soppesare quelle sei parole a una a una. Il suo sguardo era di nuovo duro, non come la pietra fragile che aveva appena descritto con assoluto sangue freddo, ma come quella scura, affilata come un pugnale, che sta in agguato tra i frangenti. Poi aveva distolto gli occhi e aveva guardato all'estremità del molo, dove l'albero del Carpanta si stagliava tra gli altri, con la randa accuratamente serrata sul boma. Quando si erano posati di nuovo su Coy, i suoi occhi erano diversi. La brezza le spettinava i capelli sul viso lentigginoso. "Il Dei Gloria trasportava smeraldi selezionati nelle miniere controllate dai gesuiti dei giacimenti colombiani di Muzo e Coscuez... Furono imbarcati per l'Avana a Cartagena delle Indie e quindi, una volta lì, caricati sul brigantino nella massima segretezza." Coy aveva abbassato gli occhi, guardando prima i propri piedi e poi il tavolato del pontile, quindi aveva mosso qualche passo a caso prima di tornare a fermarsi. Guardava il mare. Le prue delle barche ancorate nella baia giravano verso la brezza dell'Atlantico. Aveva scosso la testa, come per negare qualcosa. Era talmente scioccato che continuava a non voler ammettere di essere stato tanto stupido. "Lo smeraldo" aveva proseguito lei "ha due difetti: la fragilità, che lo rende vulnerabile al taglio, e le macchie: zone opache, punti di carbonio non cristallizzato che a volte appaiono al suo interno, rovinando la pietra... Ciò significa, per esempio, che un pezzo da un carato vale più di uno da due se il primo presenta migliori qualità." Adesso parlava con tenerezza, quasi Pagina 116

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt dolcemente. Proprio come se stesse spiegando una cosa complicata a un ragazzino scemo. Un aereo militare era decollato dalla vicina pista dell'aeroporto, assordando l'aria con i suoi motori. Il rumore aveva coperto per qualche istante le sue parole. " per il taglio in faccette che eseguono in seguito i gioiellieri specializzati. In questo modo, uno smeraldo da venti carati, senza macchie, è uno dei più preziosi e ricercati che esistano." Aveva fatto una pausa e poi aveva aggiunto: "Può valere circa duecentocinquantamila dollari". Coy era ancora assorto nella contemplazione del mare sul quale l'aereo prendeva lentamente quota. All'estremità opposta dell'arco della baia fumavano le ciminiere della raffineria di Algeciras. "Il Dei Gloria" aveva detto Tanger "trasportava duecento smeraldi perfetti, dai venti ai trenta carati ciascuno." Aveva fatto una nuova pausa. Si era spostata per mettersi dritta davanti a lui. Adesso lo guardava da molto vicino. "Smeraldi ancora grezzi" aveva ribadito. "Grandi come noci." Coy avrebbe giurato di poter dire che stavolta la voce le tremava leggermente. "Grandi come noci." Era stata solo un'impressione momentanea, perché quando l'aveva guardata con attenzione l'aveva ritrovata padrona di sé, come al solito. Era impassibile ai rimproveri, e non sentiva alcun bisogno di dire qualcosa in sua discolpa. Quello era il suo gioco ed era lei a stabilire le regole. Era sempre stato così, fin dall'inizio, e lei sapeva che lui lo sapeva. Ti mentirò e ti tradirò. Nella famosa isola dei cavalieri e degli scudieri, nessuno aveva promesso che il gioco sarebbe stato pulito. "Era un carico" aveva precisato lei "che poteva tranquillamente salvare la vita di un sovrano... O, per essere più esatti, riscattare quella dei gesuiti spagnoli. Padre Escobar voleva comprare il conte di Aranda. Forse persino l'intero gabinetto dell'inchiesta segreta... Forse lo stesso re." Quasi suo malgrado, Coy sentiva che la curiosità stava prendendo il posto della rabbia. La domanda gli era uscita di bocca prima ancora di pensare a formularla: "E sono laggiù, sul fondo del mare?" "Può darsi." "Come fai a saperlo?" "Non lo so. Dobbiamo arrivare al brigantino per scoprirlo." "Dobbiamo." Quel plurale suonava come un balsamo su una ferita, e Coy ne era cosciente. "Te l'avrei raccontato quando fossimo stati sul posto... Capisci?" "No. Non capisco." "Ascoltami. Tu conosci i rischi dell'impresa. Con tutta la gente che è già coinvolta, io non potevo sapere cosa sarebbe successo con te... Non lo so neanche adesso. Non puoi rimproverarmelo." "probabilmente "Nino Palermo lo sa. Chiunque sembra saperlo." "Stai esagerando." "Una merda. Sono sempre l'ultimo a venire a sapere le cose, come il classico marito cornuto." "Palermo pensa che ci siano gli smeraldi, ma non sa quanti. Non sa neanche come sono e perché si trovassero sul brigantino. Ha solo raccolto qualche voce in giro." "A me sembra ben informato." "Senti, sono anni che ho questa nave nella testa, da prima ancora di trovare la conferma della sua esistenza. Né Palermo né nessun altro sa quello che so io sul conto del Dei Gloria... Vuoi che ti racconti la mia storia?" Non voglio che mi racconti un'altra sfilza di bugie, era stato sul punto di dire Coy. Ma poi aveva taciuto perché, in effetti, voleva ascoltarla. Aveva bisogno di altri pezzi, nuove note che disegnassero con maggiore precisione la strana melodia che lei tracciava nel silenzio. E così, immobile sul molo e con la brezza di levante che soffiava alle sue spalle spettinando continuamente i capelli della donna, si era preparato ad ascoltare la storia di Tanger. Pagina 117

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt C'era una lettera, aveva detto lei. Una semplice lettera, un foglio ingiallito scritto su entrambi i lati. Era stata mandata da un gesuita a un confratello e poi, dimenticata da tutti, era rimasta mescolata a un mucchio di carte requisite all'epoca dello scioglimento della Compagnia di Gesù. La lettera era scritta in chiave ed era seguita dalla sua trascrizione, realizzata per mano anonima, probabilmente da un funzionario incaricato di indagare nei documenti confiscati alla Compagnia. E insieme a molte altre di diverso tema e con simili trascrizioni, aveva dormito un sonno di due secoli nel fondo di un archivio catalogato come "Clero / gesuiti / vari / N. 356". Lei lo aveva trovato per caso, mentre faceva le sue ricerche all'Archivio storico nazionale per preparare un lavoro universitario sulla ribellione di Guipuzcoa del 1766. La lettera era firmata da padre Nicolas Escobar, nome che in quel momento non le aveva detto niente, ed era indirizzata a un altro gesuita, padre Isidro Lopez: Reverendo padre..., Disarmati dei nostri ausili, calunniati davanti al re e al santo padre, e oggetto dell'odio delle fanatiche persone che vostra paternità conosce fin troppo bene, molto vicini ci ritroviamo alla ben delineata catastrofe che con tanta segretezza stanno ingegnando. Gli stessi ecclesiastici che sono nemici della Compagnia non si rendono conto di essere 206 207 sensali e prosseneti delle calunnie che circolano impunemente. In questo modo ci stiamo ritrovando ridotti alle nostre sole forze da chi crede che tutto sia lecito per raggiungere i propri fini e controlla la volontà non solo del nostro sovrano, che è sospettoso verso di noi, ma anche dei nostri vecchi amici. Tutto lascia presagire, reverendo padre, che si stia preparando un colpo terribile contro il nostro Ordine, nello stesso modo nefasto in cui il crimine venne realizzato in Francia e nel Portogallo dell'empio Pombal. Per via sicura e direttissima, l'abate G. ci ha confermato l'elenco noto a v. p. degli individui che preparano la manovra e di che genere di espedienti si stiano avvalendo. Ma in quel grande piano, camuffato da indagine segreta, ci resta un barlume di speranza. Vi scrivo la presente, che vi giungerà per la via sicura di cui solitamente ci avvaliamo, per incoraggiarvi a resistere mentre noi realizzeremo l'impresa che potrebbe far volgere a nostro vantaggio la volontà dei più potenti. Previa consultazione con i nostri superiori, e in relazione al progetto che v. p. già conosce, mi accingo a viaggiare nella speranza che Ad Maiorem Dei Gloriam (con questo nome e questa salvaguardia mi accingo a imbarcarmi) il vento soffi nella direzione favorevole. Duecento argomenti a mo di fiamme di fuoco verde non tagliate, perfette e grandi come noci (iridi del Diavolo, così le chiama il buon abate) aspettano a Cartagena delle Indie sotto la custodia di padre José Luis Tolosa, che è un giovane sicuro e di grande fiducia. Io arriverò all'Avana, con l'aiuto di Dio, per la fine del mese; nello stesso modo spero di tornare al nostro porto il più presto possibile, con la massima segretezza e speditezza che i privilegi della Compagnia ci permettono, evitando pericolosi scali intermedi. Il nostro diletto don P. P. ha promesso all'abate di aspettare e, malgrado tutto, nonostante la sua nuova posizione e ambizione, possiamo ancora considerarlo un individuo a noi favorevole; perché è molto il beneficio che ricaverà da questo affare. Aggiungerò a v. p. la felice nuova giuntami ieri per mezzo del nostro amato abate che alcuni amici vicini al circolo della compianta regina madre continuano a esserci propizi, così come lo sono il degno V. e anche H.; benché di quest'ultimo non possiamo fidarci del tutto per via della sua natura intrigante. Quanto all'abate, che gode sempre del favore delle persone reali e continua a muovere a nostro favore i fili della questione, ci racconta che don P. P. si mantiene molto ricettivo nei confronti dell'intera faccenda. Fino al mio ritorno, pertanto, non resta che Tacere et Fidere. E che la Divina Provvidenza disponga di noi. Riceva vostra paternità il più rispettoso saluto dal suo fratello in Cristo Nicolas Escobar Marchamalo, S. J. Pagina 118

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt nel porto di Valencia, il primo di novembre, A. D. 1766. Con il tempo Tanger aveva identificato tutti i personaggi nominati nella lettera. La regina madre Elisabetta Farnese, molto vicina alla Compagnia di Gesù, era morta sei mesi prima. Il destinatario era padre Isidro Lopez: il più influente tra i gesuiti spagnoli, che ricoprì una posizione di spicco presso la corte di Carlo III e che sarebbe morto a Bologna, diciotto anni dopo lo scioglimento della Compagnia, senza essere potuto rientrare dall'esilio. Quanto alle iniziali, queste non rappresentavano una difficoltà per chiunque fosse avvezzo a maneggiare libri di storia: P. P. era Pedro Pablo Abarca, conte di Aranda. Dietro l'iniziale H. si celava a malapena il nome di Lorenzo Hermoso, un americano di Caracas stabilitosi in Spagna, intrigante e cospiratore, implicato nella rivolta di Squillace e che in seguito alla caduta in disgrazia dei gesuiti finì in prigione e venne successivamente esiliato, dopo che il magistrato ne aveva chiesto la tortura tamquam in cadavere. La persona designata come V. era Luis Velazquez de Velasco, marchese di Valdeflores, letterato e intimo della Compagnia, che avrebbe pagato per quell'amicizia con dieci anni di prigionia nelle carceri di Alicante e di Alhucemas. E l'iniziale G, alludeva all'abate Gandara, noto alla corte di Carlo III come il principale alleato dei gesuiti presso il re, che accompagnava nelle battute di caccia. Il suo vero nome era Miguel de la Gandara, e il suo sventurato personaggio potrebbe aver ispirato Il conte di Montecristo o La Maschera di ferro: arrestato poco prima della caduta in disgrazia dell'Ordine, visse in prigione i diciotto anni di vita che gli restavano e morì nel carcere di Pamplona senza che nessuno stabilisse con chiarezza le ragioni della sua condanna. Il personaggio dell'abate Gandara aveva affascinato Tanger al punto che aveva finito per dedicargli la tesi di laurea. Questo l'aveva portata a consultare tutti i documenti relativi ai suoi processi e alla prigionia, conservati nella sezione di Grazia e giustizia dell'Archivio nazionale di Simancas. Aveva stabilito anche quale fosse il nome della nave gesuita che non veniva menzionata, se non velatamente, nella lettera: Dei Gloria. Aveva così potuto verificare che il commiato indirizzato da padre Nicolas Escobar a padre Lopez, in cui si menzionava Gandara, era stato scritto il giorno prima dell'arresto di costui, avvenuto il 2 novembre 1766: nella stessa data Escobar salpava per l'America a bordo del brigantino con il quale sarebbe scomparso in mare nel viaggio di ritorno. La tesi di Tanger si intitolava L'abate Gandara, cospiratore e vittima, e le era valsa un eccellente punteggio accademico per la sua laurea in Storia. Abbondava di dati sulla lunga prigionia, sugli interrogatori e sui processi giudiziari subiti dall'abate, rinchiuso a Batres e poi a Pamplona, dove sarebbe rimasto fino alla morte, senza che nessuno potesse arrivare a chiarire le ragioni dell'accanimento manifestatogli da Aranda e dagli altri ministri di Carlo III, se si esclude la sua amicizia con la Compagnia di Gesù, i cui membri -- tra cui il destinatario della famosa lettera -- erano stati imprigionati sei mesi dopo l'arresto dell'abate e quindi esiliati in Italia quando l'Ordine era stato soppresso. Quanto al viaggio all'Avana di padre Escobar e a quelle duecento fiamme di fuoco verde alle quali alludeva cripticamente, non si era mai riusciti a strappare una risposta a Gandara, nonostante alcuni interrogatori menzionassero l'argomento. Il segreto del Dei Gloria era morto insieme a lui. Poi la vita aveva seguito il suo corso e Tanger aveva avuto altre cose di cui occuparsi. Il concorso per il posto al Museo navale e il lavoro avevano assorbito la sua attenzione e nella sua vita erano entrati nuovi interessi. Fino a quando, un giorno, le si era presentato Nino Palermo. Frugando in libri e cataloghi, il cacciatore di tesori aveva trovato il riferimento a un rapporto del Dipartimento marittimo di Cartagena datato 8 febbraio 1767, relativo al naufragio del Dei Gloria durante un combattimento con un corsaro. L'indice faceva riferimento a documenti inviati al Museo navale di Madrid. Così Palermo era arrivato fin lì in cerca di informazioni e il caso aveva voluto che incrociasse Tanger sulla propria strada. Era stata lei l'incaricata di ascoltare le richieste del cacciatore di tesori. Pagina 119

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Questi aveva affrontato l'argomento come facevano quelli del suo mestiere, nascondendolo tra piste false e cercando di non dargli eccessiva importanza. Ma d'untratto, nel bel mezzo della conversazione, lei l'aveva sentito fare il nome del Dei Gloria. Un brigantino naufragato, aveva detto Palermo, sulla rotta dall'Avana a Cadice. Era bastato per riannodare i ricordi di Tanger, creando collegamenti precisi tra quelli che fino ad allora erano solo fili sparsi. Aveva nascosto la propria emozione, fingendo quanto più aveva potuto. Poi, dopo che si era levata di torno il cacciatore di relitti con promesse vaghe, aveva verificato che il documento al quale questi era interessato era stato inviato tempo addietro all'Archivio generale della Marina di Viso del Marques. Il giorno seguente si era precipitata lì, e nella sezione di Corsa e bottini aveva trovato il nome della nave: "Relazione sul naufragio del brigantino Dei Gloria, il 4 febbraiol767, nel combattimento con lo sciabecco corsaro presumibilmente chiamato Sergui...". Lì c'era tutto quello che ufficialmente era dato conoscere del naufragio, con le dichiarazioni dell'unico sopravvissuto. Era la risposta al mistero, l'epilogo di un'avventura il cui inizio lei aveva intravisto anni prima, nella lettera del gesuita. Ecco lì la ragione per cui il brigantino non era mai arrivato a destinazione e per cui l'abate Gandara era stato interrogato fino al giorno della sua morte, in prigione. Lì si spiegava dove erano finite le duecento fiamme di fuoco verde che avrebbero dovuto far desistere i membri del gabinetto dell'inchiesta segreta, e forse lo stesso re, dall'annientare gli ignaziani. Era stupefatta, affascinata ma anche furibonda. L'aveva avuto sotto gli occhi, tempo addietro, e non aveva saputo vederlo. Non era preparata. Ma inaspettatamente, come in un puzzle complicato in cui si trova il pezzo principale, tutto cominciava a quadrare. Tanger era tornata ai suoi quaderni e ai suoi appunti per la tesi, unendo i vecchi dati ai nuovi. Adesso la tragedia dell'abate Gandara, che neppure il nunzio apostolico di Roma aveva potuto spiegare al papa nella corrispondenza dell'epoca, si chiariva. L'abate sapeva che tipo di carico trasportava il Dei Gloria. La sua intimità con il re, la sua presenza a corte, lo indicavano come l'intermediario più adatto alla gigantesca operazione di corruzione che i gesuiti cercavano di attuare: era lui l'incaricato di negoziare con il conte di Aranda. Ma qualcuno aveva voluto impedire la manovra o impossessarsi direttamente del bottino, e Gandara era stato arrestato e interrogato. Quindi, lo sciabecco corsaro Chergui era entrato in scena in modo casuale o premeditato, e la storia era andata a finire male per tutti. Espulsi i gesuiti e affondata la nave in circostanze non chiare, Gandara rimaneva la chiave della faccenda. Ecco perché l'avevano tenuto tra le grinfie per diciotto anni, interrogandolo senza tregua. Adesso gli indizi sparsi tra gli atti dei vari processi trovavano un senso: fino alla fine avevano cercato di fargli rivelare quanto sapeva circa il brigantino. Ma l'abate aveva taciuto, portandosi il segreto nella tomba. Aveva sollevato solo la punta del velo in un'occasione, quando aveva scritto una lettera, nel 1778, undici anni dopo gli eventi che ci interessano, al missionario gesuita Sebastian de Mendiburu, esiliato in Italia: "Domandano delle iridi del Diavolo, grandi e perfette, senza macchie come la mia coscienza. Ma taccio, e pur essendo io quello che viene torturato, la cosa li tormenta nella loro ambizione" Con tutto quel materiale, Tanger era riuscita a ricostruire quasi passo passo la storia degli smeraldi e del viaggio del Dei Gloria. Padre Escobar era salpato da Valencia il 2 novembre, ignorando, paradossalmente, che quello stesso giorno l'abate Gandara veniva arrestato a Madrid. Il brigantino, agli ordini del comandante Elezcano, fratello di uno dei superiori della Compagnia, aveva attraversato l'Atlantico, giungendo all'Avana il 16 dicembre. Lì si era trovato con padre Tolosa, il "giovane sicuro e di grande fiducia", inviato in avanscoperta con l'incarico di raccogliere in segreto duecento smeraldi provenienti dalle miniere colombiane controllate dalla Compagnia. Si trattava di pietre grezze, le più grandi e belle per colore e per purezza. Pagina 120

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Tolosa aveva portato a termine la sua missione e si era imbarcato a Cartagena delle Indie a bordo di un'altra nave. Il suo viaggio fu ritardato da venti contrari incontrati tra la Grande Cayman e l'Isla de los Pinos, e quando finalmente poté doppiare il Cabo de San Antonio e passare sotto i cannoni della fortezza del Morro, il Dei Gloria già aspettava all'ancora nella baia dell'Avana, in una fonda discreta tra l'insenatura di Barrero e Cayo Cruz. Il carico venne sicuramente trasbordato di notte, o nascosto tra le merci dichiarate nel manifesto di carico. I padri Escobar e Tolosa figuravano come passeggeri, con un equipaggio di ventinove uomini che comprendeva il comandante don Juan Bautista Elezcano, l'ufficiale di rotta don Carmelo Valcells, il suo assistente quindicenne, don Miguel Palau, allievo ufficiale e nipote dell'armatore valenciano Fornet Palau, e ventisei marinai. Il Dei Gloria salpò dall'Avana il primo gennaio, risalì la costa della Florida fino al trentesimo parallelo, risalì altri 5 gradi di latitudine navigando verso levante tra il sud delle Bermuda e le Azzorre, e in quel tratto incontrò la tempesta che danneggiò la sua alberatura e rese necessarie le pompe di sgottamento. Il brigantino proseguì la rotta verso est, evitò il porto di Cadice, dal cui scalo obbligatorio lo dispensavano i privilegi ancora vigenti della Compagnia, e passò davanti a Gibilterra tra il 1§e il 2 febbraio. Il giorno dopo, quando ormai aveva doppiato il Cabo de Gata e puntava verso nordest in direzione del Cabo de Palos e di Valencia, il Chergui si mise a inseguirlo. Il comportamento dello sciabecco corsaro era un enigma che probabilmente non si sarebbe mai chiarito. Il suo agguato in qualche insenatura nascosta della costa andalusa, o forse la sua uscita dallo stesso porto di Gibilterra, potevano essere stati casuali o meno. Era documentato che il Chergui navigava con patenti di corsa inglesi o algerine, a seconda delle circostanze, e che Gibilterra era uno dei suoi appostamenti abituali, benché in quel periodo vigesse una pace precaria tra Spagna e Inghilterra. Forse solo per un caso scelse il Dei Gloria come preda, ma la sua tenacia nell'inseguimento e la sua presenza al posto giusto e al momento giusto erano troppo opportune per essere fortuite. Non ci voleva molto a immaginare che il corsaro ricoprisse un ruolo preciso nel complesso gioco di interessi e complicità dell'epoca. Lo stesso conte di Aranda o uno qualsiasi dei membri del gabinetto dell'inchiesta segreta che avevano ordinato la carcerazione dell'abate Gandara -- alcuni dei quali erano avversari politici dello stesso Aranda -- potevano disporre di informazioni al riguardo e pretendere di mettere le mani sul tesoro dei gesuiti, anche prima che gli venisse offerto, prendendo due piccioni con una fava. In ogni modo, gli inseguitori non avevano fatto i conti con la tenacia del comandante Elezcano; tenacia che a sua volta doveva essere determinata dalla presenza a bordo dei due temerari gesuiti. Si diedero battaglia, entrambe le navi colarono a picco e gli smeraldi finirono in fondo al mare. Le informazioni fornite dall'assistente sopravvissuto erano soddisfacenti e le autorità della Marina incaricate dell'indagine iniziale non avevano motivo di indagare troppo: il fatto che un veliero venisse affondato da una nave corsara era piuttosto abituale per i tempi. Poi, quando da Madrid arrivò l'ordine di indagare più a fondo, si scoprì che il testimone si era volatilizzato: una scomparsa misteriosa e opportuna, organizzata dai gesuiti, che allora godevano ancora della complicità delle autorità locali. Indubbiamente la Compagnia doveva aver preso in considerazione l'ipotesi di un recupero clandestino del brigantino, ma ormai era tardi: arrivarono la caduta in disgrazia, la prigionia e la diaspora. Tutto si perse nel marasma che seguì al declino dell'Ordine e alla sua successiva soppressione. Il silenzio dell'abate Gandara, l'esilio e la morte di quanti erano a parte del segreto infittirono ancora di più il mistero. Rimasero documentati due tentativi ufficiali di cercare la nave naufragata da parte delle autorità della Marina, condotti entrambi quando il conte di Aranda era ancora al potere, ma nessuno diede alcun risultato. Pagina 121

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Successivamente, nuovi eventi scossero la Spagna e l'Europa, e il Dei Gloria alla fine venne dimenticato. Fatta eccezione per il richiamo sbrigativo nel libro La flotta nera, scritto dal bibliotecario di San Fernando nel 1803, rimase attestata solo un'ultima e curiosa proposta avanzata due anni più tardi a Manuel Godoy, primo ministro del re Carlo III, relativa alla "ricerca di una certa nave proveniente da Cuba che si diceva essere affondata con i suoi smeraldi", come lo stesso Godoy riportava nelle proprie Memorie. Ma l'idea non venne accolta con entusiasmo; gli appunti manoscritti al margine della proposta, di cui Tanger aveva esaminato l'originale nell'Archivio storico nazionale, esprimevano lo scetticismo di Godoy, determinato "dall'inconsistenza dell'idea e dal fatto che, come è risaputo, a Cuba non ci sono mai stati smeraldi" Dopo di che, per quasi due secoli, il Dei Gloria era sprofondato di nuovo nell'oblio e nel silenzio. Tanger e Coy si erano fermati a un'estremità del pontile, accanto alla prua di una piccola goletta. Lei guardava la baia, alla cui estremità si stagliavano, nitidi, i palazzi di Algeciras. L'acqua era calma, di un blu verdognolo appena increspato dalla brezza di ponente. Adesso c'erano più nubi in cielo, e si muovevano lentamente verso il Mediterraneo. Davanti al porto, sotto la massa rocciosa, l'acqua era punteggiata di navi alla fonda. Forse il Chergui era partito proprio da lì per il suo ultimo viaggio, dopo aver aspettato a ridosso delle batterie inglesi della Rocca. Una vedetta con tanto di cannocchiale, una vela avvistata all'orizzonte, in rotta da ovest a est, un'ancora levata velocemente e in gran segreto. E poi la caccia. "Nino Palermo sa che ci sono degli smeraldi" concluse Tanger. "Non sa quanti e come sono, ma lo sa. Ha visto alcuni dei documenti che ho visto io. E" intelligente, sa fare il suo mestiere e tirare le somme... Ma ignora tutto quello che io so." "Almeno sa che l'hai imbrogliato." "Non essere ridicolo. Quelli come lui non si lasciano imbrogliare. Devi combatterli con le loro stesse armi." Si girò all'estremità opposta del pontile, dove era ormeggiato il Carpanta. Tra gli alberi e i paranchi delle navi vicine Coy poteva vedere la testa del Secondo tutto intento a trafficare in coperta. Era arrivato di mattina, assonnato e con la barba lunga, la pelle scura e conciata dal sole, le mani rudi, ruvide al tatto, e gli occhi che sembravano sempre del colore del mare d'inverno. Tre giorni di navigazione da Cartagena. I vapori, raccontava -- il Secondo chiamava sempre vapori le navi mercantili -non gli avevano fatto chiudere occhio per tutto il viaggio. Ormai stava diventando troppo vecchio per navigare in solitaria. Troppo vecchio. "Ormai l'ho capito, sai?" proseguiva Tanger. "Palermo non ha fatto altro che produrre, in modo del tutto inconsapevole, lo scatto mentale che ha messo ogni cosa al suo posto. Ha ordinato nella mia testa cose che erano lì, in attesa... Quei dati che, per una ragione o per l'altra, intuisci che un giorno significheranno qualcosa e allora li conservi in un angolo della tua memoria." Adesso era sincera, Coy lo sentiva. Adesso aveva raccontato la sua vera storia, ne stava ancora parlando, e almeno limitatamente ai fatti concreti, non le restava niente da nascondere. Lui aveva già in mano le chiavi, il collegamento tra gli eventi, sapeva cosa giaceva in fondo al mare e al mistero. Tuttavia, non si sentiva del tutto tranquillo e tantomeno sollevato. Ti mentirò e ti tradirò. Una nota sconosciuta, non identificata, vibrava da qualche parte, come il cambio quasi impercettibile dei giri di un motore diesel o l'ingresso melodico di uno strumento, di cui non è possibile stabilire immediatamente l'opportunità, deliberato o improvvisato, misterioso fino a quando non arriva al finale e si riesce a individuarlo del tutto. Gli ricordava un brano del Thelonius Monk Pagina 122

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Quartet, un blues classico che si intitolava proprio così: Misterioso. "Intuizione, Coy" disse lei. "Ecco come si chiama... Sogni che, ne sei certo, un giorno si realizzeranno." Continuava a contemplare il mare come se riassumesse quel sogno, la gonna agitata dal vento, i piedi calzati in un paio di sandali, i capelli sul viso. "Io ho lavorato a questo progetto ancor prima di sapere dove mi avrebbe portato, non puoi neanche immaginare con quanta caparbietà. Mi ci sono bruciata gli occhi a forza di studiare. E all'improvviso, un giorno, paff! Tutto aveva un senso." Quando si girò stava sorridendo. Un sorriso pensieroso, quasi speranzoso, quando lo guardò socchiudendo un po' gli occhi per la luce. Un sorriso fatto di pelle lentigginosa intorno alla bocca e agli zigomi, una pelle che irradiava il proprio calore sul collo e sulle spalle, sulle braccia e sotto i vestiti. "Come un pittore" aggiunse "che si porta tutto un mondo sul groppone e all'improvviso una persona, una frase, un'immagine fuggente gli mostrano il quadro completo nella mente." Sorrideva con quell'espressione da donna bella e saggia, serena in quanto consapevole di se stessa. C'era la carne sotto quel sorriso, pensò lui, inquieto. C'era una curva che si allacciava ad altre linee perfette, prodigio di complicate combinazioni genetiche. Una vita sottile, cosce calde che celavano l'unico fra i misteri reali. "Questa è la mia storia" concluse Tanger. "Il Dei Gloria era destinato a me, e tutta la mia vita, i miei studi, il mio lavoro al Museo navale, mi stavano portando verso di lui ancor prima che io lo sapessi... Per questo Palermo è solo un intruso. Per lui si tratta solo di una nave, un possibile tesoro in mezzo a tanti altri..." Distolse lo sguardo da Coy per contemplare di nuovo il mare. "Per me è il sogno di tutta una vita." Lui si grattò, goffo, il mento ancora da radere. Poi si grattò la nuca e infine passò al naso. Cercava le parole. Qualcosa di comune, quotidiano, che potesse rimuovergli dalla carne quel sorriso. "Se anche lo dovessi trovare" appuntò "non potrai tenerti il tesoro. Ci sono leggi precise. Nessuno può recuperare una nave naufragata come se nulla fosse." Tanger era sempre concentrata sulla baia. Le nubi che continuavano a spostarsi verso est ingrigivano progressivamente il mare. Una macchia di sole scivolò su di loro prima di allontanarsi sull'acqua dei moli, con sfumature smeraldine. "Il Dei Gloria è mio" disse lei. "E nessuno me lo porterà via. É il mio falcone maltese." 9. Donne da castello di prua. Non c'è niente che io ami tanto quanto odio questo gioco. J. MCPHEE, Looking for a Ship Aprì gli occhi e la vide accanto a sé, in attesa. Era seduta su uno dei banchi di tek del pozzetto del Carpanta e lo guardava attenta, come se lo avesse osservato per un po' prima di toccargli una spalla. Coy era disteso sull'altro banco, con la sua giacca che lo copriva, la testa volta a prua e i piedi vicino al timone e alla bussola giroscopica. Non c'era vento, arrivava solo lo sciabordio dolce del mareggio tra gli scafi delle imbarcazioni ormeggiate al pontile di Marina Bay. Lassù in cielo e oltre l'albero che oscillava debolmente, i cumuli più alti si tingevano di rosa. "D'accordo" rispose, rauco. Aveva mantenuto l'abitudine di svegliarsi di colpo, perfettamente lucido. Era la conseguenza dei tanti turni di guardia. Si alzò scostando la giacca e fece qualche movimento per sgranchire il collo dolorante. Poi scese per bagnarsi faccia e capelli e risalì pettinandoli all'indietro con la mano, scrollandosi come un cane bagnato. La barba gli raspava il mento; con quella lunga dormita, che veniva a proposito, Pagina 123

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt visto che volevano navigare di notte, si era scordato di radersi. Lei era nel punto di prima, e scrutava la cima della Rocca con l'aria preoccupata di un alpinista che si appresti a scalare una cima. Aveva sostituito la gonna lunga di cotone blu con un paio di jeans e una maglietta, e portava un pullover nero annodato in vita. Coy salì in coperta accompagnato dalle strida dei gabbiani all'imbrunire. Ci trovò il Secondo che lucidava i bronzi e l'ottone delle guarnizioni con un panno e le mani nere di Sidol -- "Prenditi cura della tua barca" ripeteva sempre "e lei avrà cura di te" -Il Carpanta era una barca a vela classica, con pozzetto centrale, a un solo albero, costruita a La Rochelle quando la plastica non aveva ancora sostituito l'hickory, il tek e il rame. "Secondo" disse. Gli occhi grigi, circondati da innumerevoli rughe scure, lo guardarono da sotto le folte sopracciglia ammiccando amichevoli e tranquilli. Benché non fosse granché loquace, il Secondo era solito dire che navigava verso i sessant'anni con il vento in poppa. Aveva dato gli ordini con il fischietto sull'incrociatore Canarias, ai tempi in cui si usava, ed era stato pescatore, marinaio, contrabbandiere e sommozzatore. Aveva i capelli del medesimo colore plumbeo degli occhi, ricci e cortissimi, la pelle cotta come cuoio vecchio, mani ruvide e agili. Neanche dieci anni prima era ancora talmente in forma che avrebbe potuto interpretare il ruolo di un giovane attore in un film d'avventure, di pescatori di spugne o di pirati, con Gilbert Roland e Alan Ladd. Adesso era un tantino ingrassato, ma le spalle erano tuttora larghe, la vita discretamente stretta e le braccia forti. In gioventù era stato un eccellente ballerino e, all'epoca, le donne dei bar del Molinete facevano a gara per ballare con lui un bolero o un paso doble. Anche adesso, alle turiste di mezz'età che noleggiavano il Carpanta per una battuta di pesca, per un bagno o per un giro nei dintorni del porto di Cartagena, tremavano le gambe quando le circondava con le braccia perché tenessero il timone. " Tutto bene? : " Tutto bene. " Si conoscevano da quando Coy era bambino e marinava la scuola per gironzolare lungo i moli, tra navi con strane bandiere e marinai che parlavano lingue incomprensibili. Il Secondo, figlio e nipote di altri marinai, soprannominati Secondo come lui, lo si vedeva di mattina appoggiato al bancone di una qualsiasi taverna del porto, onesto mercenario del mare, in attesa di clienti per la sua vecchia barca a vela. Oltre a scarrozzare in giro turiste, a cui dava una pacca sul sedere mentre le faceva salire a bordo, il Secondo si immergeva per districare cime dalle eliche, raschiare scafi sporchi e recuperare motori fuoribordo caduti in acqua. Nel tempo libero si dedicava, come chiunque a quei tempi, al piccolo contrabbando. Adesso la sua carcassa non sopportava più lunghi ammolli, e si guadagnava da vivere portando in giro famigliole in gita domenicale, marinai di petroliere alla fonda di fronte a Escombreras, piloti portuali nei giorni di pioggia, marinai ucraini ubriachi fradici che si liberavano della zavorra sottovento, dopo aver passato la serata a cercare risse nei bar della città. Lui e il Carpanta avevano visto di tutto: il sole a picco, senza una bava di vento, che bruciava i cavi d'ormeggio del porto. Un mare da far paura, quando Dio perdeva la pazienza. Il libeccio che faceva vibrare il sartiame come le corde di un'arpa. E quei tramonti mediterranei lunghi e rossi, con l'acqua liscia come uno specchio e la pace del mondo che era tutt'uno con la pace interiore, e un uomo capiva di non essere altro che una minuscola goccia in tremila anni di mare eterno. "Saremo di ritorno in un paio d'ore." Coy lanciò uno sguardo alla cima della Rocca, su cui Tanger teneva puntati gli occhi. "Molleremo subito gli ormeggi." L'altro annuì senza smettere di sfregare le caviglie di bronzo. Al suo fianco, ancora adolescente, Coy aveva appreso parecchie cose sugli uomini, sul mare e sulla vita. Insieme avevano recuperato anfore romane per venderle al mercato nero, avevano pescato calamari al tramonto alla Punta de la Podadera, pesci spada, squali e verdesche con il palamito di fronte a Cabo Cope, e cernie di dieci chili con la fiocina tra i massi neri del Cabo de Palos, quando lì c'erano ancora cernie da Pagina 124

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt pescare. Nel Cimitero delle navi senza nome, ultima meta delle vecchie navi prima di essere smantellate e vendute come rottami, il Secondo gli aveva insegnato a riconoscere una a una tutte le parti che costituiscono una nave mentre condivano vongole e ricci crudi con succo di limone. Questo molto prima che Coy frequentasse l'accademia per diventare ufficiale. E in quel desolato paesaggio di lamiere arrugginite, di sovrastrutture varate sulla spiaggia, di fumaioli spenti per sempre e scafi simili a balene morte sotto il sole, il Secondo aveva preso un pacchetto di Celtas senza filtro e aveva offerto a Coy la prima sigaretta della sua vita, accendendola con un acciarino d'ottone che emanava un odore acre, di miccia bruciata. Prese la giacca e saltò sul pontile. Tanger lo raggiunse. Aveva con sé la borsa a tracolla. "Che tempo farà stanotte?" gli domandò. Coy diede un'occhiata al mare e al cielo. Nubi isolate cominciavano a diradare, mostrando filamenti in più direzioni. "Farà bel tempo. Con poco vento. Forse un po' di mare mosso quando doppieremo Punta Europa." Scoprì, divertito, una fugace smorfia di contrarietà quando lei lo sentì dire "mare mosso". Non gli sarebbe dispiaciuto vederla stare male sulla barca. Fino ad allora non lo aveva nemmeno sfiorato l'ipotesi di vederla intontita come un pesce fuor d'acqua, con la pelle giallastra, appoggiata al bordo della barca, sfinita. "Hai della Xamamina? Può darsi che dovrai prenderne una pasticca prima che molliamo gli ormeggi." "Non sono affari tuoi." " Ti sbagli. Se stai male a bordo, sarai di peso. Altroché se sono affari miei." Non ottenendo risposta, Coy si strinse nelle spalle. Camminarono lungo il pontile fino alla Renault parcheggiata sullo spiazzo del porticciolo. Il sole calante, visibile tra le nubi sospese sopra Algeciras, mandava bagliori rossastri sulla parete verticale della Rocca, facendo risaltare le fenditure scure delle antiche feritoie scavate nella pietra. Due decrepite lance da contrabbandieri, pensionate del mare, con la pittura blu e nera scrostata, marcivano sopra alcuni cavalletti, tra motori arrugginiti e bidoni vuoti. Il rumore della città diveniva più intenso a mano a mano che si avvicinavano al parcheggio. Un doganiere annoiato guardava la tv nella garitta. Una lunga fila di automobili era in coda per passare la frontiera verso la Linea de la Concepcion. Fu lei a mettersi al volante. Guidò concentrata, la borsa in grembo, sicura e senza fretta, lungo la strada che correva tra i baluardi antistanti la baia, e poi svoltò a sinistra, verso la rotonda del cimitero di Trafalgar. Fino ad allora non aveva aperto bocca. Poi fermò la macchina, tirò il freno a mano, controllò l'ora e spense il motore. "Qual è il nostro piano?" domandò Coy. "Non c'è nessun piano" rispose. Sarebbero saliti al belvedere di Old Willis per sentire cosa aveva da dire Nino Palermo. Si sarebbero limitati a quello e poi sarebbero tornati al porto, avrebbero mollato l'auto nel parcheggio e le chiavi nella buca dell'Avis e avrebbero levato gli ormeggi, come previsto. "E se ci sono complicazioni?" Coy pensava a Horacio Kiskoros e al berbero. Palermo non era tipo da fare una proposta e da accettare un "si vedrà e chi s'è visto s'è visto" Con quel pensiero in testa, prima di sbarcare si era munito di un coltello da marinaio Wichard ben affilato, con una lama da mezzo palmo e manico a chiave, che il Secondo teneva per tagliare le drizze in caso di emergenza. Lo sentiva incollato nella tasca posteriore dei jeans, tra la natica destra e il sedile. Non che fosse granché, ma era sempre meglio che fare vita sociale a mani nude. Pagina 125

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt "Non credo ci saranno complicazioni" rispose la donna. Guardava la porta chiusa del cimitero. Dopo pranzo, andando a passeggio, erano passati di lì e Tanger si era fermata a lungo davanti a una delle lapidi, quella del capitano di fanteria Thomas Norman, morto il 6 dicembre 1805 in seguito alle ferite riportate a bordo del vascello Mars, a Trafalgar. Poi erano saliti sino al belvedere per controllare il luogo dove al crepuscolo si sarebbero incontrati con Palermo. Lì Coy aveva continuato a osservarla, mentre camminava sulle vecchie strutture in calcestruzzo ormai spogliate dei cannoni. Tanger studiava tutto con la massima attenzione, la strada d'accesso e quella che scendeva fino alle gallerie del Gran Assedio, i casermoni militari intonacati a calce e vuoti, la bandiera britannica sul Morish Castle, l'istmo dove si trovava l'aeroporto, l'estesa spiaggia della Atunara che si allungava a nordest, in territorio spagnolo. Sembrava un militare che esaminasse il terreno prima di un combattimento e Coy si era sorpreso a calcolare, lui stesso, possibilità, rifugi e pericoli, come quando si studia sulle mappe e sulle rotte una costa pericolosa dove approdare la notte. "Qualsiasi cosa accada" disse Tanger "tu non intervenire." In quel momento teneva le mani sul volante, senza staccare gli occhi dalla porta del cimitero. Facile dirlo, pensò Coy. Così rimase zitto. Aveva pensato di chiedere al Secondo di accompagnarli fin lassù. Perché, comunque sia, tre è sempre meglio di due. Meglio di lei e lui da soli. Ma non voleva coinvolgere troppo l'amico. Non ancora. Tanger controllò di nuovo l'ora. Poi infilò una mano nella borsa chiusa e ne tirò fuori un pacchetto di Player" s. Non l'aveva più vista fumare da quando avevano lasciato Madrid, e probabilmente era lo stesso pacchetto, dato che mancavano solo quattro sigarette. Premette l'accendino del cruscotto, se ne accese una e prese a fumare lentamente, trattenendo a lungo il fumo prima di espirarlo. "Sei sicura?" volle sapere lui. Annuì in silenzio. Al suo polso destro, la lancetta dei minuti era passata dalle nove meno un quarto alle nove meno dieci. La brace stava per sfiorarle le unghie cortissime. Allora abbassò il finestrino e buttò in strada il mozzicone. "Andiamo su." Era come in quei film che piacevano a lei, concluse Coy, affascinato: Henry Fonda appoggiato allo steccato sullo sfondo di un'alba in bianco e nero, pronto ad avviarsi all'O. K. Corral. E tuttavia, c'era qualcosa di dannatamente reale nel suo atteggiamento, 220 221 tanto fermo in quel modo di accendere di nuovo il motore e salire lungo il pendio della Rocca, passando accanto all'hotel Rock e scalando le marce via via che la pendenza della strada si faceva più pronunciata, particolare che spogliava la situazione di qualsiasi artificio. Era tutto vero, e Tanger non interpretava nessun ruolo a suo uso e consumo. Non cercava di impressionarlo. Era lei a guidare, a sforzarsi di tenere la macchina lontano dal cordolo pericoloso e dagli strapiombi, era lei a imboccare le strette curve con una calma fredda, sicura, una mano sul volante e l'altra sulla leva del cambio, guardando a tratti con aria assorta la cima della montagna. E finalmente, giunti in vetta, sul piccolo spiazzo accanto al belvedere, fece manovra in modo da lasciare la macchina con il muso rivolto alla strada, verso la discesa. Pronta per partire di corsa, pensò inquieto Coy mentre lei apriva la portiera e scendeva, con il pullover annodato in vita e la borsa in mano. C'era una Rover parcheggiata lì vicino, accanto alla muraglia dell'antico baluardo. Fu la prima cosa che Coy notò scendendo dall'auto: la Rover e l'autista appoggiato alla capote. Poi con lo sguardo descrisse un arco verso sinistra, la strada delle gallerie, il pendio verso la cima scoscesa della Rocca, le casematte abbandonate e la Pagina 126

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt terrazza sopra l'aeroporto, con l'istmo e la Spagna sullo sfondo, montagne scure, cielo cupo, mare grigio a ovest e nero a est, e l'illuminazione della Linea che si accendeva lì sotto, tra due file di luci. Brutto posto per parlare, si disse. E poi guardò verso la ringhiera del belvedere, dove li stava aspettando Nino Palermo. Tanger era già lì. Salì dietro di lei inspirando l'aroma del Mediterraneo -- sale, timo e resina -nella brezza che faceva dondolare leggermente gli arbusti e le chiome degli alberi. Diede un'occhiata intorno, senza vedere Horacio Kiskoros da nessuna parte. Palermo se ne stava presso la ringhiera, le mani nelle tasche di un giubbotto leggero, senza colletto. Quell'indumento lo faceva sembrare ancor più corpulento di quel che era. "Buona sera" disse. Coy mormorò un "buona sera" meccanico, e Tanger non disse nulla. Se ne stava immobile di fronte al cercatore di tesori, osservandolo. "Qual è la proposta?" domandò. Come se lei non ci fosse, Palermo si rivolse a Coy. "É una di quelle che vanno subito al sodo, vero?" Coy tacque, rifiutando di accettare la complicità che gli offriva. Rimase indietro, un po' discosto, ma attento, in ascolto. Il capo era lei, e quella sera lui fungeva più che altro da guardaspalle. Sentiva il peso del coltello nella tasca posteriore e si disse che il berbero non era poi così in gamba, dopotutto, a spiarli a distanza. Lo perquisiva quando non aveva niente con sé, e non lo faceva quando avrebbe dovuto farlo. Forse si atteneva agli ordini di Palermo, a cui conveniva mostrarsi diplomatico. Il cacciatore di tesori fissò di nuovo gli occhi su Tanger. La luce calante cominciava a sfumargli i contorni del viso. "É ridicolo giocare a nascondino" disse. "Stiamo sprecando la polvere da sparo per scariche a salve, quando in definitiva finiremo per trovarci tutti nello stesso posto." "Ossia, quale?" domandò Tanger. La voce le uscì serena, né provocatoria, né nervosa. Palermo sogghignò. "Al relitto, naturalmente. E se non ci sarò io, ci sarà la polizia. La legge vigente..." "La conosco." Palermo fece un movimento con le spalle, dando a intendere che in tal caso c'era poco da aggiungere. "Lei ha una proposta da farmi" disse Tanger. "Infatti. Ho... Cristo. Certo che ce l'ho. Tabula rasa e cominciamo da capo, signorina. Lei mi ha fottuto e io ho fottuto lei." Fece una pausa. "In senso metaforico, s'intende. Siamo pari." "Se lo tolga dalla testa. " Aveva parlato a voce così bassa che l'altro si era dovuto sporgere in avanti, piegando un po' la testa, per sentire meglio. Quel gesto gli conferiva un'aria stranamente cortese. "Ho paura che voi non abbiate un bel niente" disse. "Esperienza. Tecnologia. Agganci." "Ma lei non sa dove si trova il Dei Gloria. " Stavolta aveva parlato forte e chiaro. Palermo sbuffò. "Lo saprei se lei non ce l'avesse messa tutta a ficcarmi sassolini nelle scarpe. A mettermi i bastoni tra le ruote con quella mafia di archivisti e bibliotecari... Accidenti a lei. Si è approfittata della mia buona fede." "Lei ha perso la buona fede quando ha smesso di succhiare il biberon." Il cacciatore di relitti si rivolse a Coy. "La senti?" disse. "... Potrebbe piacermi questa tipa, te lo giuro. Pagina 127

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Io... Cristo. Avete già...? Dannazione" sfotteva tra i denti. con il ringhio di un mastino con il fiato in gola dopo una lunga corsa. "Approfitta, amico mio, prima che sprema anche te come un limone e ti butti via. " Le stelle cominciavano a illuminare il cielo come se qualcuno avesse azionato un interruttore. Le ombre si chiudevano sempre più fitte sul volto del cacciatore di tesori, e ora era il riflesso delle luci della Linea, che aveva alle spalle, a oscurare la sua sagoma sopra la ringhiera. "Smeraldi, renditi conto" proseguì rivolto a Coy. " Il tesoro dei gesuiti. Suppongo che, a questo punto, sia stata costretta a raccontartelo... Un carico di smeraldi vale... Cristo. Una fortuna ovunque, anche al mercato nero. Questo, ovviamente, se lei lo ritrova e lo porta fuori dalle acque spagnole senza che lo stato ci metta le mani sopra." La stessa aurea luminosa che circondava le spalle larghe di Palermo illuminava il volto di Tanger fino al mento. I suoi lineamenti risultavano induriti, il profilo scolpito tra la cortina chiara dei capelli. "Una cosa è certa" disse arrogante "non ho niente da spartire con lei." "Dimentica che l'ho messa io sulla buona strada" protestò l'altro. "E che ci sto lavorando da molto. Dimentica che ho i mezzi per imporre a tutti una collaborazione vantaggiosa... E si scorda anche che l'ambizione è cattiva maestra." Sopra di loro, come un telone traforato da punte di spillo luminose, il cielo era completamente nero. Il sole probabilmente si trovava a circa quindici gradi sotto la linea dell'orizzonte, calcolò Coy, vedendo l'Orsa minore disegnarsi al di sopra della testa di Palermo e l'Orsa maggiore sulla sua spalla destra. "Sentite" stava dicendo il cacciatore di relitti. "Voglio farvi una proposta... Cristo. Una cosa ragionevole. Caccia al tesoro non significa arrivare e aprire il forziere: Mel Fisher ci mise vent'anni a ritrovare l'Atocha... Io ci metto i mezzi e i contatti. Comprese le conoscenze e le bustarelle perché nessuno interferisca... Ho anche un mercato per gli smeraldi. Ciò vuol dire... Si rende conto?" Adesso si rivolgeva solo a Tanger. "Un sacco di soldi per noi. Per tutti noi." "In che percentuale?" "Il cinquanta percento. Metà per me e metà per lei." Lei accennò a Coy con il capo. "E lui?" "Lui è... Be. É affar suo, vero? Non sta a me pagarlo." Fece la battuta a mezza voce, e riecco la risata da grosso cane senza fiato. Era ancora immobile accanto alla ringhiera, con le luci alle spalle, in lontananza. "Deve solo fornirmi due dati: latitudine e longitudine, per segnarli sulla carta di Urrutia... Insieme, ovviamente, al manifesto di carico e al rapporto ufficiale sul naufragio." Tanger rimase un istante in silenzio. Sembrava considerare la proposta. "Può trovare tutto negli archivi" disse. Palermo bestemmiò senza ritegno. "Sa anche lei... Dannazione. Mi hanno impedito l'accesso agli archivi, proprio come a Barcellona mi ha soffiato l'Urrutia sotto il naso. Tuttavia, sono riuscito a procurarmi una riproduzione della carta. Sono anche andato a informarmi su quei dannati archivi, e mi hanno detto..." Inspirò profondamente e buttò l'aria fuori dai polmoni. "Lo sa già. I documenti sono scomparsi... Ritirati per essere studiati, dicono i cartellini. Punto e basta." "Che peccato." Palermo si guardò bene dal ringraziare per le condoglianze. "No" disse irritato. "É una manovra sporca di cui lei è responsabile. " Pagina 128

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt "Ed era quello che cercavate a casa mia?" "Era quello che doveva trovare Horacio." Il cacciatore di relitti esitò un attimo. "Quanto al cane, le giuro... " "Dimentichi il cane." Ogni sillaba era una doccia fredda. Coy vide Palermo agitarsi, a disagio. Il chiarore proveniente dal basso sottolineava i suoi tratti pesanti. Uno spintone, basterebbe uno spintone per fargli fare un volo di cento o duecento metri giù per le rocce. Ciaff. Qualcosa di enunciabile come LGO: Legge della gravità opportuna. Poi si ricordò del berbero appostato accanto alla macchina e rifletté sulla possibilità che lo spintone glielo dessero loro. t. ot: Legge della gravità inopportuna. "Unendo le nostre rispettive informazioni" stava dicendo Palermo "e senza arrecarci a vicenda altri fastidi, mi impegno a scoprire il relitto in meno di un mese... La Deadman" s Chest ha una barca attrezzata con un sonar a scansione laterale, perforatore di fondo, sonde, magnetometro, metaldetector, equipaggiamento per l'immersione e tutto il necessario... Poi, una volta sul fondo, bisogna lavorare sulle mappe, segnare, misurare e quadrettare, rimuovere sabbia e fango... Non avete idea. Inoltre, gli smeraldi sono fragili... Figuratevi: incrostazioni da eliminare, la pulitura adeguata... Voi non avete la più pallida idea di cosa sia un bagno elettrolitico per pulire una semplice moneta d'argento... Non voglio nemmeno pensare ai danni. Farete un gran pasticcio. Non siete che dilettanti." Di nuovo quella risata tra i denti, senza traccia di umorismo. All'improvviso un lampo inatteso accecò Coy, ancora immerso nei pensieri sugli spintoni da ricevere o da distribuire. Ciò lo fece sobbalzare. "Inoltre vi mancano i contatti." Palermo accostava la fiamma dell'accendino alla sigaretta. "Non conoscete il mercato clandestino su cui piazzare i ritrovamenti... E io lo controllo. " La sigaretta tra le labbra "gli alterava la voce. "... Cristo. L'ottanta percento del traffico mondiale di smeraldi è clandestino, controllato dalle mafie ebraiche del Belgio e dell'Italia... Crede che non sappia perché è andata ad Anversa?" Anversa. Coy c'era stato, come in molti altri posti: un porto immenso, chilometri di gru, capannoni e navi. Che ci fosse stata anche Tanger era un'ulteriore sorpresa, pensò. Ma all'improvviso gli tornò in mente la cartolina accanto alla coppa d'argento nell'appartamento del paseo Infanta Isabel. Sicché si preparò ad ascoltare concentratissimo, senza farsi troppe illusioni. Quando si trattava di quella donna, novità tranquillizzanti o piacevoli non ce n'erano. "Non dirmi che non ti ha parlato di Anversa." La brace brillava come un occhio ironico sulla bocca del cercatore di tesori e puntava dritto a Coy. "Ma va!... Allora eccoti servito: prima che vi conosceste a Barcellona, lei si era fatta un bel viaggetto. Una serie di visite che... Vabbe" e abbassò la voce per non farsi sentire dall'autista. "Compreso un certo indirizzo della Rubenstraat: Sherr e Cohen. Specialisti in taglio di pietre preziose, per cambiar loro la forma e cancellare tracce... Anch'io ho i miei informatori." Coy aspirava l'aroma del tabacco. Il fumo grigio chiaro si stagliava in controluce prima di svanire, staccandosi dalla sagoma di Palermo. "Dunque non ti ha detto nemmeno questo. Incredibile." Mi sono venduto l'anima, pensava Coy. Ho venduto l'anima a questa tipa, e sono come un vaso di coccio tra due vasi di ferro. Lei, e lui. Persino il berbero mi farà a pezzi. É un po' come cercare di nuotare tra squali famelici. Pagina 129

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Se fossi furbo, e a questo punto è evidente che non lo sono, me la darei a gambe levate giù per il monte, salterei a bordo del Carpanta, direi al Secondo di mollare gli ormeggi e prenderei il largo in fretta e furia. L'occhio rosso della sigaretta puntava di nuovo verso Coy. "Non ti ha ancora parlato degli smeraldi? Non ti ha detto che tra le pietre preziose lo smeraldo è quella che vale di più? Io ne ho visti molti. Ne ho trovati un bel po' insieme a Fisher, ai miei tempi. E ti garantisco che ad Anversa pagherebbero qualsiasi prezzo per un lotto di quelle pietre antiche e grezze. La tua amichetta... lei lo sa molto bene. " "E se non accetto?" Tanger si stringeva la borsa al petto, e la sua sagoma che si stagliava nella penombra aveva un che di mascolino. Non mi stupirebbe, pensò Coy, che avesse con sé una pistola in quella fottuta borsa. "Vi staremo alle calcagna come fossimo le vostre ombre." La brace si muoveva mentre Palermo li informava, in tono distaccato, come se ripetesse a memoria un manuale di istruzioni. "L'area tra il Cabo de Gata e il Cabo de Palos. Be. Non è molto grande, e non appena individuerò la vostra imbarcazione, potrò usare un elicottero... Localizzarvi, capito?, proprio mentre siete al lavoro. E se diamo l'affare per perso, farò in modo che riceviate la visita di una lancia della guardia civil." La risata canina rantolò per la terza volta. Stelle cadenti precipitavano dal cielo come angeli caduti, o anime in pena, o missili stanchi. Ecco dove andrò a finire, pensava Coy. Fatemi posto. "Se non entro nell'affare" aggiunse Palermo "non avrete chance. Senza tralasciare certi rischi concreti." Ci fu una lunga pausa, poi Tanger disse: "Lei mi spaventa". Ma non sembrava affatto spaventata. Anzi, la frase suonava arrogante. Suonava fredda come un punteruolo di ghiaccio, e anche molto azzardata. Palermo si era tolto la sigaretta di bocca e si rivolgeva a Coy. "Ha carattere, vero? É una zoccola di carattere. Non mi stupisce che ti tenga stretto per i coglioni." Si portò la sigaretta alle labbra e il rosso si fece più intenso. Quel tizio, rifletté Coy quasi con gratitudine, aveva la rara virtù di offrirgli una valvola di sfogo al momento giusto, di facilitargli le cose. E l'ondata di gratitudine non era ancora passata quando reagì, assestandogli il primo diretto in faccia. Per non mancare il bersaglio, dato che Palermo era ben più alto, alzò un po' il gomito e, mettendocela tutta, fece partire il braccio, da sotto in su, un po' in diagonale, spiaccicandogli la brace della sigaretta in bocca. Udì alla propria destra il grido soffocato di Tanger, che tentava di trattenerlo, ma in quel momento stava già colpendo Palermo con un nuovo colpo che lo spedì con la schiena contro la ringhiera. 226 227 Per un pelo non finisci di sotto, pensò con un barlume di lucidità. Non voglio certo ucciderti, quindi niente scherzi, non precipitarmi giù adesso. Quindi decise di afferrarlo per i vestiti per evitare che scivolasse di sotto, di tirarlo verso di sé e assestargli un terzo pugno, facendo in modo che non volasse giù dalla montagna urlando "aaaaah" come tutti i cattivi dei film. Nel frattempo però Palermo sembrò riscuotersi, alzò i pugni, e Coy sentì qualcosa schiantarsi tra il collo e l'orecchio sinistro. Le stelle del cielo si confusero con quelle che i suoi sensi maltrattati captarono in quello stesso istante. Pareva uno Starfinder, e lui scivolò all'indietro. "Ftronzo!" biascicava Palermo. "Ftronzo!" La effe al posto della corrispondente esse indicava che il cacciatore di tesori doveva avere la sigaretta conficcata nella gengiva. Per Coy fu una consolazione, ma mentre si sforzava di recuperare l'equilibrio, sentì sul cemento della strada i passi del berbero che arrivava di corsa, e capì che, effe o esse che fosse, di chance gliene erano rimaste zero, e che da lì a un momento anche lui avrebbe avuto serie difficoltà di pronuncia. r. sM: Legge delle sberle a man salva. O la va o la spacca si disse. Pagina 130

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Respirò a fondo, abbassò la testa, e si lanciò di nuovo contro Palermo, basso e compatto com'era, con la furia cieca di un toro. Se arrivo prima del tuo moro finocchio, pensò, vieni a fare un giro con me giù per la ringhiera, quant'è vero Iddio. E se Iddio non è vero, vedrai che risate. Non ce la fece. Chi mena per primo mena due volte, ma il proverbio non specificava che, dopo quelle due, al primo lo potevano menare altre duecento. Il berbero lo scaraventò di schiena in mezzo alla strada, Coy sentì che la giacca gli si scuciva, e intanto Palermo aveva in serbo un pugno per lui. Sicché, questione di una manciata di secondi e si trovò con il respiro mozzato, a terra, carponi, con il cervello rintronato, i timpani che rimbombavano e un occhio pesto. Ce l'aveva con se stesso e si domandava perché le ginocchia e le braccia non obbedissero ai suoi ordini di mettersi in piedi e lottare. Ci provò e riprovò più volte, ma quando stava per riuscirci tornava ad accasciarsi. Paraplegico, pensò. Questi bastardi mi hanno ridotto come un paraplegico. In bocca aveva il sapore che ha la carne passata su un ferro vecchio. Sputò, sapendo di sputare sangue. Mi stanno facendo fare la figura del coglione, si disse. Aveva le vertigini e tutto intorno a lui ruotava. Allora sentì la voce di Tanger e pensò: poverina, è arrivato il suo turno. Si sforzò ancora di rimettersi in piedi, per dare una mano a quella strega, quella faccia tosta. Per impedire che le torcessero un solo capello fintanto che gli restava la forza di stringere i pugni. purtroppo c'era un problema: non era più in condizioni di chiudere i pugni, né qualsiasi altra cosa che non fosse l'occhio pesto, non poteva far altro che lasciarsi cadere supino, come un pugile fuori combattimento. Ma non poteva lasciarla così. Non in mano a Palermo e al berbero, anche se, in quanto a stile, lei era peggio di quei due messi insieme. Così, con un ultimo e supremo sforzo, rassegnato, disperato, soffocò un gemito mentre finalmente gli riusciva di alzarsi. Allora si ricordò del coltello del Secondo, tastò la tasca posteriore cercandolo mentre si guardava intorno con l'espressione di un pugile suonato, e vide i due tizi, uno accanto all'altro. Guardavano Tanger che se ne stava calma accanto alla ringhiera, e anche loro erano calmissimi, come se qualcosa attirasse la loro attenzione. Coy guardò meglio, con l'occhio sano. L'oggetto che risvegliava tanto interesse in quei due era nelle mani di Tanger, che pareva mostrarlo. E lui si disse che doveva stare davvero male, doveva essere davvero rintronato, perché l'oggetto emanava riflessi metallici e sembrava -- non osò nemmeno asseverare completamente una tale follia -- un'enorme e minacciosa pistola. Lei non disse niente finché non attraversarono di nuovo la rotonda deserta, di fronte al cimitero di Trafalgar. O almeno, non disse niente che riguardasse espressamente Coy, dopo le scarne parole che aveva pronunciato là sopra, sul belvedere, mentre si allontanava insieme a lui verso l'auto, lasciando gli altri contro la ringhiera come pastorelli del presepe, belle statuine pietrificate dall'apparizione del cannone che Tanger aveva finito per mostrare, quasi controvoglia. E per colpa sua, gli disse. Più che rimproverarlo, sembrava gli stesse facendo rapporto, mentre guidava e cambiava le marce giù per il pendio, con la borsa in grembo, con i fari che illuminavano le corsie strettissime lungo i pendii della Rocca e lui tossiva come i tubercolotici dei film, coff, coff, come Marguerite Gautier, e alcune gocce del sangue che gli si coagulava in bocca sfuggivano al kleenex e finivano sul parabrezza. Un bruto. Era un bruto e niente di ciò che aveva fatto serviva a qualcosa, aveva aggiunto in seguito. Non serviva assolutamente a niente, anzi, complicava le cose. Coy aggrottava le sopracciglia, imbronciato, per quanto glielo permettevano gli ematomi. Quanto alle ultime battute del dialogo tra Tanger e Nino Pagina 131

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Palermo, sotto al naso rincagnato del berbero silenzioso, erano suonate più o meno così: "Questo qui è scemo", da parte del cacciatore di tesori, mentre lei cercava di spogliare la faccenda della sua carica emotiva. "Coy è un tipo impulsivo e parte in quarta" eccetera. "E lei, Palermo, è un idiota." La pistola, una 357 magnum pesante e compatta che Coy non aveva mai visto in mano a Tanger, aveva aiutato l'altro a ingoiare quelle parole senza troppe smorfie. "E che si fa con l'accordo?" aveva detto allora. "Si fa che devo pensarci su" aveva risposto lei. In quel momento, aveva precisato, poteva rispondere sì, o no, o tutto il contrario. Allora Palermo, che pareva aver recuperato l'uso della effe e della esse, le aveva detto che per favore, andassero a farsi fottere lei e sua madre. Era esattamente ciò che aveva detto: lei e sua madre, e stavolta sembrava davvero furioso. "A me non mi prendi per i fondelli, cagna" aveva spiattellato dalla ringhiera, perdendo chiaramente le staffe con la muta approvazione del suo autista. La qual cosa, espressa a un paio di metri da una pistola da borsetta con proiettili grossi come ghiande nel tamburo, conferiva alla dimostrazione di fegato di Palermo un'aurea ammirevole, quasi dignitosa. E Coy, benché intontito e con la faccia simile a una cartina geografica, era stato in grado di apprezzare il gesto, per un riflesso condizionato di solidarietà maschile. "Comunque sia, le farò sapere la mia risposta" aveva detto lei, molto educatamente, con il suo formale pullover nero legato in vita, e poteva dare l'impressione di non aver mai fatto del male nemmeno a una mosca, se non avesse avuto il cannone minaccioso in pugno. Lei, ricordava di aver sentito dire una volta a Palermo, era di quelle che mordevano la mano che le dava da mangiare. Reggeva quegli otto etti di ferro senza puntarli, il braccio rilasciato, la canna rivolta a terra, l'aria quasi annoiata, e questo, curiosamente, dava più credibilità al gesto che se avesse adottato pose da film d'azione. "Le farò sapere se trattiamo o no" aveva detto. "Sia gentile, mi conceda qualche giorno." E Palermo, che ancora non poteva crederci e forse non sarebbe mai riuscito a crederci, o magari riusciva a cogliere l'ironia, si era messo a sciorinare una litania di imprecazioni molto barocche e molto mediterranee, certo imparentate con il suo sangue maltese. La più delicata diceva che al deficiente del suo marinaio avrebbe affettato il coso. Tutto era rimasto sospeso alle spalle di Tanger che si incamminava diretta alla Renault, dopo avere appoggiato una mano sulla spalla di Coy e avere ottenuto un grugnito in risposta alla domanda su come si sentisse. "Di merda" disse lui più tardi, quando Tanger glielo chiese una seconda volta, giù per la discesa della strada costiera. E allora, all'improvviso, lei smise di stare seria e scoppiò a ridere. Una risata da ragazzino, contenuta e allegra, quasi felice, che lui ascoltò stupefatto mentre osservava con l'occhio sano il profilo di lei illuminato dal riflesso dei fari. "Sei un tipo incredibile" gli disse. "Per poco non mandavi tutto all'aria, ma sei un tipo incredibile. " Rise di nuovo, e stava ancora ridendo ammirata quando girò la faccia per rivolgergli una rapida occhiata di simpatia. "... A volte adoro vederti combattere, almeno così mi pare." Il riflesso dei fari disegnava lamine d'acciaio nei suoi occhi, un acciaio che riluceva come sotto i raggi del sole. Allora tolse la mano dal cambio e la mise sul collo di Coy. Appoggiò il dorso delle dita, le nocche, come se accarezzasse il mento non rasato, gonfio per i colpi di Palermo e del berbero. E Coy, esausto, sconcertato, adagiò la nuca sul poggiatesta del sedile. Sentiva un tepore nel punto in cui lei teneva la mano, e anche nel punto in cui le telenovelas dicono si trovi il cuore. E avrebbe sorriso come un bambino nel sonno, se solo la bocca tumefatta glielo avesse permesso. Mollato l'ultimo ormeggio, il Carpanta si allontanò lentamente dall'attracco. Poi la coperta vibrò dolcemente, mentre la barca a vela restava immobile tra i riflessi di luce sull'acqua, e il motore aumentò i giri quando il Secondo, al timone, fece andare avanti adagio. I lampioni del porto ora sfilavano via lenti, rimanendo indietro man mano che il Carpanta prendeva velocità, con la prua al mare aperto, con le luci della Linea, della raffineria di San Roque e della città di Algeciras che punteggiavano in lontananza il contorno della baia. Pagina 132

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Coy terminò di avvolgere la cima a prua, ne assuccò saldamente l'estremità e poi si diresse verso il pozzetto, tenendosi alle sartie quando, usciti dal ridosso del porto, la barca cominciò a beccheggiare per le onde. Le luci di Gibilterra illuminavano ancora la barca a vela, disegnando la sagoma del Secondo alla ruota del timone, la metà inferiore del volto rossastra per il riflesso della bussola il cui ago ruotava a poco a poco verso sud. Coy aspirava la brezza con piacere, fiutando la prossimità del mare aperto. Dalla prima volta che aveva messo i piedi sulla coperta di una barca, il momento della partenza gli dava sempre una sensazione di calma particolare, molto simile alla felicità. Si lasciava la terra alle spalle, e tutto ciò che poteva servirgli viaggiava con lui a bordo, circoscritto entro i limiti dell'imbarcazione. Sul mare, pensava, gli uomini viaggiano con la casa sulle spalle, come lo zaino di un esploratore o la conchiglia che si sposta insieme alla chiocciola. Bastavano qualche litro di nafta e di olio, qualche vela e il vento giusto perché tutto ciò che la terraferma conteneva diventasse superfluo, irrilevante. Voci, rumori, persone, odori, tirannia della lancetta dell'orologio qui perdevano significato. Spostarsi fino a lasciare la costa molto indietro, dalla parte della poppa, era una bella meta. Al cospetto della presenza minacciosa e magica del mare onnipresente, dolori, desideri, legami sentimentali, odi e speranze si diluivano nella scia della barca, smorzandosi fino a sembrare distanti, insensati, perché il mare rendeva gli esseri umani egoisti e chiusi in se stessi. C'erano cose intollerabili a terra, pensieri, mancanze, angosce, che si potevano sopportare solo sulla coperta di una barca. Mai vi era stato analgesico tanto potente. Lui aveva visto sopravvivere, a bordo, uomini che altrove avrebbero perduto per sempre la ragione e la calma. Rotta, vento, moto ondoso, posizione, navigazione stimata, sopravvivenza: solo queste parole avevano senso lì sopra. Perché era un dato di fatto che la vera libertà, l'unica possibile, la vera pace celestiale, cominciava a cinque miglia dalla costa più vicina. "Tutto bene, Secondo?" "Tutto bene. Tra mezz'ora doppieremo Punta Europa." Immobile sulla coperta di poppa, Tanger osservava le luci che si lasciavano alle spalle. Aveva indossato il pullover e si teneva stretta a uno dei paterazzi, accanto alla bandiera che sventolava appena alla brezza. Guardava in alto, verso la sommità della mole scura della Rocca, come se non riuscisse a liberarsi da cose che la preoccupavano, o che forse avrebbe voluto portare con sé. Il Carpanta puntava ora la prua direttamente a sud, e alla loro sinistra restavano indietro le ghirlande luminose del porto principale, le barche ormeggiate ai moli, la linea nera dei frangiflutti e i lampi bianchi, uno ogni due secondi, del faro principale della darsena sud. Il Secondo manovrò per evitare un grosso mercantile ormeggiato e poi mise il motore a regime di millecinquecento giri. Sulla bussola giroscopica, l'ago del solcometro elettronico segnava una velocità di cinque nodi, e il beccheggio si fece appena più intenso. Coy scese nella cabina per accendere la radio Sailor VHF, selezionò i canali 9 e 16 in dual watch e poi salì sulla coperta di poppa, accanto a Tanger. Il fanale a luce bianca illuminava con toni fosforescenti la scia dritta che la barca lasciava sull'acqua. "Palermo ha ragione" disse Coy. "Non scocciare" rispose lei. Non aggiunse altro. Era sempre concentrata sulla cima dell'enorme roccia scura, simile a una nube minacciosa sospesa sulla città. "Può schiacciarci come insetti, se vuole" continuò Coy. "Ed è anche vero che lui ha i mezzi per localizzare il Dei Gloria. La sua offerta..." "Senti" finalmente si era girata e lo osservava, stagliandosi nel chiarore che lasciavano a sinistra, verso il bordo dell'imbarcazione "tutto il lavoro l'ho fatto io. Vediamo se ti riesce di ficcartelo in testa. E quella nave è mia." "Nostra. Quella nave è nostra. Tua e mia" e indicò il Secondo. "E ora è anche sua." Tanger parve pensarci su. "D'accordo" disse un istante dopo. "E lui deve farsi i fatti suoi e tu i tuoi... Pagina 133

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt E Palermo non è affar vostro." "Se ci sono problemi, la faccenda di Palermo riguarda tutti." "Sei l'unico che stava per creare problemi. Tu e la tua impulsività maschile." Stava sorridendo controvoglia, e Coy non riuscì a vedere la sua espressione. "Sembri essere a tuo agio solo quando ti spaccano la faccia." E dai, pensò lui. LcE: Legge delle compensazioni evidenti. Il metodo del bastone e della carota. Adesso non mi appoggi la mano sul collo e non mi sorridi, vero bellezza? Non ora. Non quando ti raffreddi, cominci a pensare e scopri che le mie toppate intralciano i tuoi piani. "Be..." si limitò a dire "... Sei sempre convinta che puoi manipolare chiunque, vero?" "Sono sempre convinta di sapere molto bene quel che faccio." Teneva gli occhi fissi su un punto della roccia scura. Anche Coy guardò in quella direzione. Da sotto la strada costiera sembrava salire un puntolino azzurro. Appena sopra c'era un bagliore rossastro, come un falò. Stai a vedere, pensò, che il berbero è precipitato con la macchina e si stanno entrambi abbrustolendo come popcorn. "E che ne è della pistola?" Pronunciare la parola "pistola" gli fece provare una fitta di rancore. "... Non puoi andarci a passeggio come se niente fosse." "E invece, come vedi, posso." Coy si sfregò l'occhio sofferente, rivolto alla scia luminosa del Carpanta in cerca di una risposta a tono. Alla prima occasione, decise, quell'ordigno finirà fuori bordo. Splaff. Non gli piacevano le pistole, né i fucili, né le armi in genere. Tantomeno gli piacevano i coltelli, nonostante tenesse nella tasca posteriore dei jeans l'inutile Wichard del Secondo. Chi va in giro con quel genere di marchingegni, pensava, lo fa con la chiara intenzione di perforare, bucare o tagliare. Cioè a dire che è molto spaventato o in mala fede. "Le armi" concluse ad alta voce "creano sempre problemi." "Però te ne tirano fuori quando ti comporti come un idiota." Si voltò, punto sul vivo. "Senti un po'. Hai detto che ti piaceva guardare quando mi batto. " "Ho detto così?" Adesso il chiarore della città distante e il fanale a luce bianca sulla scia rivelavano un mezzo sorriso tra le punte luminose dei suoi capelli scarmigliati. Coy sentì che il suo rancore si mescolava a un sacco di altre cose. " Tranquillo" disse lei scoppiando a ridere. "Non ho intenzione di usare la pistola contro di te." Alla loro sinistra potevano già scorgere il faro meridionale: cinque secondi di luce e cinque di buio. Le onde in alto mare facevano beccheggiare il Carpanta più violentemente, e sulla cima dell'albero, appena tratteggiate dalla luce di navigazione a motore, la banderuola e l'elica dell'anemometro ruotavano scoraggiate, in balia delle oscillazioni della barca e della mancanza di vento. Coy calcolò a braccio a che distanza si trovavano da terra e poi lanciò uno sguardo al lato di dritta, da dove un mercantile avvicinatosi da est si era fermato, pronto a ripartire. Con le mani sul timone, una classica ruota di legno con sei caviglie e quasi un metro di diametro, situata nel pozzetto, dietro una piccola cabina con parabrezza e telo, il Secondo cambiava a poco a poco la rotta, volgendo la prua a levante con la luce del faro nella coda dell'occhio. Senza bisogno di consultare il ricevitore del GPS acceso sopra la bussola giroscopica accanto al pilota automatico, al solcometro e alla sonda, Coy capì che si trovavano a 36§6' nord e 5§20' ovest. Aveva tracciato troppe volte rotte verso o da quel faro sulle carte nautiche -quattro dell'Ammiragliato britannico e due spagnole -- per poter dimenticare la latitudine e la longitudine di Punta Europa. "Che te ne pare?" domandò al Secondo. Questi non si voltò a guardarla. Lei era sempre immobile a poppa, stretta ai paterazzi, contemplando la roccia nera che si lasciavano alle spalle. Il Secondo fece una pausa prima di rispondere. Coy non capì se rifletteva o prendeva tempo. Pagina 134

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt "Suppongo" disse finalmente "che tu sappia quel che fai." Coy storse la bocca nella penombra. "Non te lo chiedo per me, Secondo. Te lo chiedo per lei." "É di quelle che è meglio che se ne restino a terra." Coy stava per dire un'ovvietà: lei non è rimasta a terra. Avrebbe anche potuto aggiungere: è lei che ogni marinaio descrive o inventa per i propri compagni, in cuccetta o negli antichi castelli di prua. La donna che tutti hanno conosciuto, o che tutti abbiamo conosciuto, in questo o quel porto. Fu sul punto di dirlo, ma non lo fece. Osservò invece il cielo nero sopra l'albero oscillante. La maggior parte delle stelle doveva essere visibile, anche se le offuscava il bagliore della costa vicina. "Potrebbe esserci qualche problema, Secondo." L'altro non rispose. Continuava a correggere la rotta caviglia dopo caviglia, tenendosi a distanza di sicurezza dalla costa. Solo un istante dopo reclinò un poco il capo, come se controllasse la sonda. "In mare di problemi ce ne sono sempre" disse. "Questa volta non verranno solo dal mare." Nel silenzio si avvertì la preoccupazione del Secondo. "C'è rischio di perdere la barca?" "Non credo che si arriverà a tanto" lo tranquillizzò Coy. "Io mi riferisco a problemi in genere." Il Secondo sembrava riflettere. "Hai detto che ci sono di mezzo i soldi" fu il suo commento. "Non sarebbe male... In questo momento c'è poco lavoro." "Stiamo cercando un tesoro." La rivelazione non scosse il Secondo. Era concentrato sul timone e sulla luce del faro. "Un tesoro" ripeté, neutro. "Proprio così. Smeraldi antichi. Valgono un occhio della testa." L'altro annuì, dando a intendere che tutti gli smeraldi antichi valevano senz'altro un occhio della testa, ma che non era a questo che stava pensando. Poi lasciò libero il timone, il tempo necessario per prendere la fiaschetta di vino che 234 235 portava sempre appesa alla bussola, buttare il capo indietro e ingollarne un sorso. Riprese le caviglie dopo essersi asciugato la bocca con il dorso di una mano mentre con l'altra passava la fiaschetta a Coy. "Ricordami, uno di questi giorni" disse "di raccontarti le storie di tesori che ho sentito in vita mia." Coy beveva come il Secondo, con la fiaschetta in alto, in modo che il dondolio della barca non gli facesse versare addosso il vino. Riconosceva il sapore. Era un rosato aromatico e fresco, dei vigneti di Cartagena. "Questa storia non è del tutto assurda" rispose dopo un ultimo sorso. "E credo che possiamo localizzare il punto del naufragio. " "Un naufragio di quando?" "Duecentocinquant'anni fa." Tappò la fiaschetta e la appese al suo posto. "Baia di Mazarron. Fondale basso." Il Secondo scuoteva la testa, scettico. "A quest'ora il relitto si sarà disintegrato. I pescatori avranno passato la vita a ripescare resti impigliati nelle reti, la sabbia l'avrà ricoperto completamente... Quel che c'era da prendere, o l'hanno già preso o sarà andato perduto. " "Sei un uomo di poca fede, Secondo. Come i tuoi colleghi del lago Tiberiade. Fintanto che non hanno visto che il tipo camminava sull'acqua non l'hanno preso sul serio." "Non ti ci vedo a camminare sull'acqua." "No. Me l'immagino. E io non ci vedo lei." Tutt'e due si voltarono a guardarla, ancora immobile sulla coperta di poppa, spiccando nel chiarore che giungeva da terra. Il Secondo aveva preso una sigaretta dalla tasca del giubbotto e se l'era infilata in bocca, senza accenderla. "Tra l'altro" disse a sproposito "sto diventando vecchio." O forse, pensò Coy, non era affatto a sproposito. Il Secondo e il Carpanta stavano invecchiando, proprio come quella goletta che marciva nel porto di Barcellona o, nel Cimitero delle navi senza nome, gli Pagina 135

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt scheletri dei mercantili smantellati arrugginivano sotto la pioggia e sotto il sole, corrosi dalla salsedine, lambiti dall'acqua sulla sabbia sporca della spiaggia. Proprio come Coy, che a forza di girare a vuoto per il porto, buttato a terra da una roccia non segnalata dalle carte nell'Oceano Indiano, stava marcendo. Perché, per citare le parole esatte del Secondo di oltre vent'anni prima, o forse non proprio quelle, gli uomini e le navi dovrebbero restare per sempre in alto mare, e colare a picco lì, con dignità. "Non so" disse, sincero. "Per la verità non lo so. Può darsi che alla fine resteremo con un palmo di naso. Tu e io, Secondo. E forse anche lei." L'altro annuì lentamente, come se quella conclusione gli sembrasse la più logica. Poi prese l'acciarino dalla tasca, colpì la rotellina con il palmo aperto, soffiò sulla miccia e l'accostò a un'estremità della sigaretta che aveva in bocca. "Ma i soldi non c'entrano, vero?" mormorò. "... O almeno. tu non sei qui per questo." Coy fiutava il tabacco misto al fumo acre della miccia che la brezza, che cominciava a rinfrescare dietro Punta Europa, si portava via rapidamente verso ponente. "A lei serve..." e tacque di botto, sentendosi ridicolo. "D'accordo. Può darsi che "aiuto" non sia la parola giusta." Il Secondo aspirò una lunga boccata dalla sigaretta. "Magari sei tu che hai bisogno di lei." Sulla bussola giroscopica l'ago indicava settanta gradi. Il Secondo premette il bottone corrispondente sul ripetitore del pilota automatico, trasmettendogli la rotta. "Ho conosciuto donne del genere" aggiunse. "... Hmm. Ne ho conosciuta più d'una." "Una donna del genere... Di che genere? Non sai niente di lei, Secondo. Molte cose non le so nemmeno io." L'altro non rispose. Aveva lasciato la ruota del timone e controllava il comportamento del pilota automatico. Sotto i loro piedi sentivano il rumore del sistema di governo, che correggeva la rotta grado a grado sulle onde. "É cattiva, Secondo. Cattiva fino al midollo." Il proprietario del Carpanta si strinse nelle spalle, mentre si accomodava sul banco di tek per fumare al riparo dalla brezza che continuava a rinfrescare a prua. Si voltò verso la sagoma immobile a poppa. "Comunque avrà freddo, solo con il golfino." "Si metterà una giacca." Il Secondo riprese a fumare in silenzio. Coy era sempre in piedi addossato alla bussola, le gambe appena divaricate e le mani in tasca. La rugiada della notte cominciava a inumidire la coperta, infiltrandosi negli strappi sulla schiena della sua giacca, a cui aveva sollevato il bavero e i risvolti. Nonostante tutto, godeva del dondolio familiare dell'imbarcazione e gli spiaceva solo che il vento soffiasse in fil di ruota, impedendogli di spiegare le vele. Quello avrebbe attenuato il va e vieni, eliminando il fastidioso ronzare dei motori. "Nessuna donna è cattiva" disse all'improvviso il Secondo. "Proprio come le navi... Sono gli uomini a bordo che le rendono buone o cattive." Coy non disse niente, e il Secondo fece un'altra pausa. Una luce verde scivolava rapida tra loro e la terra, avvicinandosi da sinistra. Quando si trovò nel controluce del faro, Coy riconobbe la sagoma lunga e bassa di una lancia Hache Jota dei doganieri spagnoli. Base ad Algeciras, pattugliamento di routine a caccia di hashish dal Marocco e di contrabbandieri della Rocca. "Cosa vuoi da lei?" "Voglio contarle le lentiggini, Secondo. Ci hai fatto caso? Ne ha centinaia, e voglio contargliele tutte, una a una, percorrendola con il dito come se fosse una carta nautica. Voglio tracciarle rotte da capo a piedi, scandagliare le insenature, bordeggiarle la pelle... Pagina 136

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Capisci?" "Capisco. Vuoi fartela." Dalla lancia degli aduaneros spuntò un fascio di luce che cercava il nome del Carpanta, la sigla e il numero d'iscrizione, scritti sulle fiancate. Da poppa Tanger domandò cos'era e Coy glielo spiegò. "Rompiballe" mormorò il Secondo. Abbagliato dalla luce si portò la mano alla fronte, a mo di visiera. Non imprecava mai e raramente Coy gli aveva sentito dire parolacce. Conservava la vecchia educazione della gente umile e dignitosa, ma non sopportava gli aduaneros. Ci aveva giocato troppo al gatto e al topo, già dai tempi lontani, quando vogava con il suo barchino a vela latina, il Santa Lucia, per arrotondare la giornata, ripescando casse di bionde che i mercantili di passaggio lanciavano a quelli che facevano segnali con la torcia, nascosto dalla mole dell'isola di Escombreras. Una parte a lui, l'altra alla guardia civil del porto, la più consistente a chi li sfruttava senza mai esporsi. Le sigarette avrebbero potuto arricchire il Secondo, se avesse lavorato per proprio conto, ma si accontentava che la moglie avesse un vestito nuovo da sfoggiare la domenica delle Palme, o di toglierla dalla cucina per invitarla a una grigliata di pesce nei baracchini del porto. E a volte, quando gli amici si facevano insistenti, il sangue ribolliva nelle vene e il diavolo che aveva in corpo chiedeva uno sfogo, il frutto di un'intera notte di pericoli e di lavoro, passata a lottare contro un mare infame, veniva polverizzato in poche ore di musica, brindisi, fianchi mercenari e compiacenti nei bar malfamati del Molinete. "Non è questo, Secondo." Coy continuava a guardare Tanger a poppa, illuminata adesso dalla torcia degli aduaneros. "O almeno, non è solo questo." "Sì che è questo. E fintanto che non te la fai la zucca non ti si schiarisce... Ammesso che tu ci riesca." "Quella ha due coglioni così. Giuro." " Tutte ce li hanno. Guarda me, per esempio. Quando mi fa male qualcosa, è mia moglie che mi porta dal dottore: "Siediti qui, Pedro, che adesso viene il dottore" La conosci. Potrebbe esplodere, e se ne sta buona. Ci sono donne che, se fossero giovenche, partorirebbero tori furiosi." "Non è solo questo. Ho visto una vecchia foto, sai? E una coppa d'argento ammaccata. E un cane che mi leccava la mano ora è morto." Il Secondo si tolse la sigaretta di bocca e fece schioccare la lingua. "Qui sopra, tutto quello che non può essere segnato in un giornale di bordo è di troppo" disse. "Il resto va lasciato a terra. Se no, si perdono barche e uomini." La lancia degli aduaneros, terminata l'ispezione, cambiava rotta. L'a luce verde sul fianco divenne bianca a poppa e poi rossa, quando accostò fino a mostrare il fianco sinistro, prima di spegnersi per proseguire la caccia notturna con più discrezione. Pochi istanti dopo non era che un'ombra che si spostava rapidamente verso ovest, in direzione di Punta Carnero. La barca accostò e Tanger comparve nel pozzetto. Si spostava sulla barca oscillante con la goffaggine di una bambinetta, cercando di tenersi con prudenza per mantenere l'equilibrio prima di muovere un passo. Passando accanto a loro appoggiò una mano sulla spalla di Coy, e lui si domandò se avesse la nausea. Per un qualche motivo perverso, l'idea lo divertì alla follia. "Ho freddo" disse lei. "Sotto c'è un giaccone" offrì il Secondo. "Può infilarselo." "Grazie." La videro scomparire nel tambucio. Il Secondo riprese a fumare in silenzio. Guardava Coy senza spiaccicare parola, infine parlò come riprendendo il filo del discorso: "Hai sempre letto troppi libri... Non poteva portare a niente di buono" 239. 10. La costa dei corsari. Pagina 137

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Si mette la vita a tre o quattro dita dalla morte, che è lo spessore della tavola del vascello. G. DE PALACIOS, Instruccion nautica. Il vento di levante girò verso terra prima dell'alba, ma riprese a soffiare da prua non appena il sole cominciò ad alzarsi sull'orizzonte. Non era molto forte, appena dieci o dodici nodi, tuttavia bastò a trasformare il mareggiare nell'onda corta, piccata e molesta del Mediterraneo. Così, beccheggiando spinto dal motore, tra piccoli spruzzi che a volte lasciavano tracce di sale sul parabrezza del pozzetto, il Carpanta passò a sud di Malaga, si avvicinò al parallelo 36§30', e lì assunse la rotta a est. All'inizio Tanger non diede segni di nausea. Coy l'aveva osservata al buio, seduta e immobile su una delle sedie di legno assicurate al parapetto della coperta di poppa, infagottata nel giaccone da marinaio del Secondo, il cui bavero rialzato le nascondeva metà del viso. Poco dopo la mezzanotte, quando la mareggiata cresceva, andò a portarle un giubbetto di salvataggio autogonfiabile e un arnese di sicurezza, agganciandone lui stesso il moschettone al paterazzo. Le domandò come si sentiva, lei rispose che stava benissimo, grazie, lui sorrise tra sé e sé ricordando la scatola di Xamamina che un momento prima, scendendo in cerca dei giubbetti di salvataggio e degli arnesi, aveva visto aperta sulla cuccetta che il Secondo aveva assegnato a lei nelle cabine di poppa. Comunque, stare seduta lì con la brezza notturna sul viso l'avrebbe fatta sentire meno a disagio. "In ogni caso" le disse, "anche se ti senti benissimo, se fossi in te mi metterei dall'altro lato, a sinistra, lontano dallo sfiato dei gas del motore che è lì sotto. " Tanger rispose che stava bene dov'era. Lui scrollò le spalle, tornando al pozzetto, e lei lasciò passare dieci minuti prima di cambiare posto. Alle quattro di mattina il Secondo montò di guardia e Coy scese a riposare. Si sdraiò nella stretta cabina di poppa, il cui spazio bastava appena per una cuccetta e un armadietto. Si stese vestito, su un sacco a pelo, e pochi minuti dopo dormiva cullato dal dondolio: un sopore profondo, senza sogni, in cui vagavano ombre sparse simili a navi, immerse in una spettrale penombra verde. Alla fine lo svegliò un raggio di sole che entrava dall'oblò con movimenti che seguivano il saliscendi del moto ondoso. Si tirò su a sedere sulla cuccetta, sfregandosi il collo e l'occhio dolorante, con la barba che gli grattava il palmo della mano. Sarebbe ora che ti radessi, si disse. Quindi passò per lo stretto corridoio, diretto al bagno, lanciando un'occhiata all'altra cabina di poppa, che aveva la porta e l'oblò aperti per far entrare l'aria. Tanger dormiva prona sulla cuccetta, con il giubbetto di salvataggio e il moschettone ancora addosso. Non le si vedeva il viso, coperto dai capelli biondi. I piedi infilati nelle scarpe da tennis spuntavano dalla cuccetta. Appoggiato alla cornice della porta, Coy rimase ad ascoltare il suo respiro, a tratti interrotto da un sussulto o da un leggero gemito. Poi andò a radersi. L'occhio gonfio non era proprio un disastro, e la mandibola faceva molto male solo quando sbadigliava. Nonostante tutto, rifletté per consolarsi, dal colloquio a Old Willis era uscito bene. Ringalluzzito da quel pensiero, collegò la pompa ad acqua per darsi una lavata, scaldò il caffè nel microonde, e cercando di non farlo versare per via del dondolio ne bevve una tazza e ne portò un'altra al Secondo. Sporgendo la testa dal tambucio lo trovò seduto nel pozzetto, con un berretto di lana in testa e i peli grigi della barba sulla faccia color del rame. La costa andalusa si indovinava nella calma, a due miglia dal fianco sinistro. "Non appena sei andato a dormire, ha raccato in mare" lo informò il Secondo, prendendo la tazza calda. "Ha rigettato tutto. Anche quello che ha mangiato l'anno scorso." La vipera orgogliosa, pensò Coy. Gli dispiacque di essersi perso lo spettacolo: la regina dei mari e dei naufragi, con tutto il suo bagaglio di manifesta superiorità, aggrappata al parapetto a dar di stomaco. Fantastico. "Non ci credo." Ci credeva eccome, invece. Il Secondo lo osservava, pensieroso. Pagina 138

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt "Sembrava che stesse solo aspettando che ti levassi di torno..." 240 241 "Puoi starne certo." "E senza neanche un lamento. Quando mi sono avvicinato per chiederle se le serviva qualcosa, mi ha mandato al diavolo. Poi, con la massima tranquillità, è scesa a dormire come una sonnambula." Il Secondo bevve qualche sorso di caffè e schioccò la lingua, come faceva quando stava per concludere. "Non so perché sorridi" disse. "É una donna di carattere." "Anche troppo, Secondo." Coy si lasciò sfuggire un'amara risata fra i denti. "Un gran carattere." "L'ho persino vista alzarsi a tentoni in cerca del sottovento, prima di raccare tutto... Non si è precipitata, ma ci è andata piano piano, senza scalmanarsi. E poi, quando mi è passata accanto, ho guardato la sua faccia alla luce della cabina: era pallida, ma le è bastata la voce per augurarmi la buona notte." Detto questo, il Secondo rimase in silenzio per un po'. Sembrava riflettere. "Sei sicuro di sapere quel che fai?" Gli porgeva la tazza, mezza piena. Ne bevve un sorso prima di restituirgliela. "Solo di te sono sicuro." L'altro si grattò sotto il berretto, e dopo un po' annuì. Non sembrava granché convinto. Girava lo sguardo intorno per contemplare la linea di terra, vaga, una macchia allungata e marrone scuro che era difficile mettere a fuoco a nord, tra la nebbia. Incrociarono poche barche a vela. La stagione turistica nella Costa del Sol non era ancora cominciata, e le uniche imbarcazioni da diporto avvistate furono una barca francese a un solo albero, e più tardi un ketch olandese, che navigavano al largo in direzione dello Stretto. Nel pomeriggio, all'altezza di Motril, una goletta con lo scafo nero passò in direzione opposta, a distanza di mezzo cavo, con la bandiera inglese sul picco della vela aurica dell'albero di maestra. Il resto furono pescherecci al lavoro, che costrinsero il Carpanta a più manovre per schivarli. Il regolamento di abbordaggio prescriveva a qualsiasi barca di girare al largo da un peschereccio con le reti calate, pertanto, durante il suo turno di guardia -- il Secondo e lui si davano il cambio ogni quattro ore -- Coy fu costretto a disinserire il pilota automatico e a impugnare il timone per schivare palangari e reti a strascico. Lo fece davvero di malavoglia, poiché non aveva in simpatia i pescatori: a causa loro aveva passato ore di incertezza sul ponte dei mercantili su cui aveva navigato, quando di notte le loro luci punteggiavano l'orizzonte, saturando gli schermi radar e i paraggi perturbati dalla pioggia o dalla nebbia. Inoltre li riteneva antipatici ed egoisti, disposti a rastrellare qualsiasi angolo di mare su cui riuscivano ad arrivare. Scontenti di un'esistenza fatta di pericoli e sacrifici, vivevano alla giornata, sterminando una specie dietro l'altra, fregandosene del futuro, che per loro non andava più in là del guadagno di una giornata. Tra tutti, i più spietati erano i giapponesi: con la complicità dei commercianti spagnoli e di fronte alla sospetta inerzia delle autorità competenti, stavano annientando il tonno rosso del Mediterraneo con sonar ultramoderni e aerei da diporto. Comunque, i pescatori non erano gli unici colpevoli. Proprio in quelle acque, Coy aveva visto balenottere soffocate da borse di plastica alla deriva, e interi branchi di delfini impazziti per l'inquinamento che andavano a cercare la morte sulle spiagge, tra ragazzini e volontari che piangevano impotenti e li respingevano in un mare in cui si rifiutavano di tornare. Fu una lunga giornata di manovre tra pescherecci dal comportamento imprevedibile, che navigavano a tutta forza e accostavano di botto a sinistra o a dritta per gettare o raccogliere le reti. Coy governava in mezzo a loro modificando la rotta con paziente professionalità, mentre pensava che a bordo di un mercantile, in alto mare o in paesi con minor controllo sulle acque, i marinai agivano senza tutti quegli scrupoli. Barche a vela e pescherecci al lavoro avevano teoricamente la precedenza, ma in pratica era meglio che si tenessero alla larga da un mercantile lanciato a tutta forza, con equipaggio ridotto dall'armatore che voleva risparmiare, bandiera di convenienza, indiani, filippini o ucraini comandati da ufficiali di fortuna, una Pagina 139

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt rotta più dritta possibile per risparmiare tempo e combustibile e, a volte, una vigilanza minima sul ponte durante la notte: macchine senza controllo e un ufficiale sonnacchioso che si affidava pressoché totalmente alle apparecchiature di bordo. E se di giorno era infrequente toccare le macchine o il timone per variare la velocità o cambiare rotta, di notte una nave si trasformava in una minaccia letale per qualsiasi piccola imbarcazione che la incrociasse, con o senza priorità regolamentare. A venti nodi, ossia a venti miglia percorse in un'ora, un mercantile nascosto dietro l'orizzonte poteva passarti sopra in dieci minuti. Una volta, sulla rotta DakarTenerife, la nave su cui Coy era in servizio come secondo ufficiale aveva investito un peschereccio. Era l'alba, le quattro e cinque minuti, aveva appena finito il suo turno di guardia sul ponte dell" Hawaiian Pilot, un cargo da settemila tonnellate, e nel scendere la scaletta per andare in cabina gli era parso di sentire un rumore ovattato a dritta, come uno scricchiolio da prua a poppa. Si era sporto da bordo giusto in tempo per vedere un'ombra scura che scuffiava nell'onda della nave, con una luce debole, simile a quella di una lampadina da pochi watt, che ballasse impazzita prima di spegnersi di colpo. Era tornato in fretta sul ponte, dove il primo ufficiale stava confrontando in tutta calma la rotta indicata dalla bussola magnetica con quella indicata dal ripetitore della giroscopica. "Credo che abbiamo abbordato un peschereccio" aveva spiegato Coy. E il primo ufficiale, un indù flemmatico e triste chiamato Gujrat, era rimasto a fissarlo ammutolito. "Durante la tua guardia o la mia?" si era deciso a domandare. Coy aveva detto che alle quattro e cinque aveva sentito il rumore e visto la luce spegnersi. Il primo ufficiale lo aveva guardato ancora un momento, pensieroso, prima di dirigersi al cassero, gettare una rapida occhiata a poppa e controllare il radar, dove l'eco delle onde non indicava niente di speciale. "Durante la mia guardia novità non ce ne sono" aveva concluso, tornando a occuparsi della giroscopica. Poi, quando il primo ufficiale aveva messo a conoscenza dei sospetti di Coy il comandante -- un inglese arrogante, che preparava le liste dell'equipaggio separando i sudditi britannici dagli stranieri, compresi gli ufficiali -- questi aveva approvato che non si fosse registrato l'incidente sul giornale di bordo. "Siamo in acque aperte" aveva detto. "A che scopo complicarsi la vita?" Alle dieci di sera raggiunsero i tre gradi di longitudine a ovest di Greenwich. A parte brevi apparizioni in coperta, sempre con l'aria da sonnambula, Tanger trascorse la maggior parte del tempo chiusa in cabina, e il paio di volte che Coy passò di lì, trovandola addormentata, notò che le pastiglie di Xamamina scomparivano a vista d'occhio. Il resto del tempo, quando era sveglia, tornava a sedersi a poppa, quieta e silenziosa, rivolta verso la linea della costa che scorreva lentamente dal lato di sinistra. Quasi non toccò il cibo che preparava il Secondo, anche se accettò di mangiare qualcosa per cena quando questi disse che "farlo le avrebbe sistemato lo stomaco. Si coricò presto, non appena fece buio, e i due uomini rimasero nel pozzetto a guardare le stelle spuntare. Il vento soffiò da prua tutta la notte, costringendoli a navigare a motore. Questo li fece decidere di entrare nel porto di Almerimar alle sei di mattina del giorno seguente, per rifornirsi di gasolio, riposare un po' e fare provviste a terra. Mollarono gli ormeggi alle due del pomeriggio con il vento a favore: un sudsudest piuttosto fresco che, non appena si lasciarono alle spalle la boa di segnalazione di Punta Entinas, gli permise finalmente di spegnere il motore e mollare prima la randa e poi il genoa murato a dritta, navigando a velocità ragionevole. Il mareggio era diminuito e Tanger si sentiva molto meglio. Ad Almerimar, ormeggiati accanto a un vetusto peschereccio baltico, adattato dagli ecologisti a nave per l'inseguimento di cetacei nel Mar de Alboran, si era messa ad aiutare il Secondo a pulire la coperta a secchiate d'acqua, dandoci dentro con olio di gomito. Sembrava legare con il vecchio marinaio, e lui la trattava con un misto di attenzione e di rispetto. Pagina 140

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Dopo aver mangiato al circolo nautico si erano fermati a prendere un caffè in un bar di pescatori, e lì Tanger aveva spiegato loro le vicissitudini della navigazione del Dei Gloria, che seguiva una rotta simile a quella che avevano percorso loro. Il Secondo si era interessato delle caratteristiche marinare del brigantino, e lei aveva risposto a tutte le sue domande con la sicurezza di chi ha studiato la questione fin nei minimi dettagli. "Una ragazza sveglia" aveva commentato il Secondo in disparte, mentre tornavano alla barca a vela carichi di scatoloni di provviste e di bottiglie d'acqua. Coy, che la guardava procedere davanti a loro lungo il molo, jeans e scarpe sportive, la vita sottile e i capelli mossi dalla brezza, una borsa del supermercato per ogni mano, era stato d'accordo. Forse anche troppo sveglia, gli era venuto da dire. Ma si eratrattenuto. Lei non soffrì più la nausea. Il sole cominciava a calare all'orizzonte, a poppa, e il Carpanta navigava con la vela spiegata, il solcometro che segnava quattro nodi, di fronte al golfo di Adra, con il vento che adesso girava verso sud, al traverso. Coy, il cui occhio tumefatto si era già quasi del tutto rimesso, vigilava a prua; nel pozzetto, con le mani esperte nel rammendo di reti e di vele, il Secondo gli ripassava con ago e filo le cuciture della giacca scucita nell'incidente di Old Willis, senza sbagliare un punto, nonostante il dondolio. Tanger si sporse dal tambucio, chiese la posizione e Coy gliela riferì. Di lì a poco andò a sedersi in mezzo a loro con una carta nautica tra le mani. Quando la spiegò, al riparo della piccola cabina, Coy vide che era la numero 774 dell'Ammiragliato britannico: da Motril a Cartagena, compresa l'isola di Alboran. Per usarle su lunghe distanze, le carte inglesi su piccola scala risultavano più pratiche di quelle spagnole: erano tutte della stessa dimensione e molto maneggevoli. "Accadde qui, più o meno a quest'ora, che dal Dei Gloria avvistarono le vele del corsaro" spiegò Tanger. "Navigava seguendo la sua scia. Accorciando le distanze a poco a poco. Poteva trattarsi di una nave qualunque, ma il comandante Elezcano era un uomo diffidente, e gli parve sospetto che cominciasse ad avvicinarsi dopo aver lasciato Almeria, quando di fronte c'era una lunga costa priva di ridossi per il brigantino... E allora ordinò di dare più vela e di stare in guardia." Indicava la posizione approssimativa sulla carta, otto o dieci miglia a sudovest del Cabo de Gata. Coy non faticò a figurarsi la scena: gli uomini che scrutavano a poppa dalla coperta inclinata, il comandante sul casseretto che studiava gli inseguitori con il cannocchiale, i volti preoccupati di padre Escobar e di padre Tolosa, il forziere degli smeraldi chiuso a chiave in cabina. E all'improvviso il grido, l'ordine di dar fuori la forza di vele che impartisce ai marinai sulle griselle perché spieghino più tela; i fiocchi che sventolano sul bompresso prima di gonfiarsi al vento, la nave che scarroccia nel sentire il velame gonfiarsi. La scia di schiuma dritta sul mare azzurro e al suo seguito, all'orizzonte, le vele bianche del Chergui che dà, ormai chiaramente, inizio alla caccia. "Mancava poco all'imbrunire" riprese Tanger, dopo aver dato un'occhiata al sole che stava calando dietro la poppa del Carpanta. "Più o meno come adesso. E il vento soffiava da sud, e poi da sudovest." "É esattamente quello che sta accadendo adesso" disse il Secondo, che aveva finito con la giacca e osservava il mare increspato e l'aspetto del cielo. "Girerà ancora un paio di quarte a poppa prima che si faccia notte, e avremo un fresco libeccio al momento di doppiare il capo." "Fantastico" disse lei. Gli occhi blu marino andavano dalla carta al mare e poi alle vele, trepidanti. Aveva le alette del naso dilatate, notò Coy, e respirava a fondo con la bocca socchiusa, come se in quel momento stesse contemplando il velame dell'alberatura del Dei Gloria. "Stando al rapporto dell'assistente dell'ufficiale di rotta sopravvissuto" continuò Tanger "il comandante Elezcano all'inizio esitò sull'opportunità di dar fuori tutte le vele. Il vascello aveva sofferto durante il temporale delle Azzorre, e gli alberi superiori non erano affidabili." "Ti riferisci agli alberetti" precisò Coy. "Gli alberi superiori si chiamano alberi di penna. E se, a quanto dici, erano in cattive condizioni, un eccesso di vela poteva arrivare a spezzarli... Pagina 141

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Se il brigantino aveva il vento come noi, che spira dal traverso, suppongo che avrà gonfiato i fiocchi, le vele basse di strallo, l'aurica, la vela di trinchetto, e forse la gabbia e il velaccio, ben bracciate sottovento, per non correre rischi... Almeno temporaneamente. " Tanger annuì con un cenno del capo. Osservava il mare a poppa come se la nave corsara fosse lì. "Doveva volare sulle onde. Il Dei Gloria era veloce." Anche Coy si girò indietro a guardare. "Evidentemente, lo era anche l'altro." Si stava trasferendo con l'immaginazione sulla coperta della nave corsara. Stando alle caratteristiche della nave che a Cadice Lucio Gamboa aveva loro descritto, il Chergui, sciabecco armato a polacca, in quel momento avrebbe navigato con tutte le vele superiori, l'enorme vela latina del trinchetto ben gonfia al vento e murata al bompresso, vele dell'albero di maestra spiegate, quadra e gabbia sull'albero di mezzana, tagliando il mare con le linee affilate da nave costruita per il Mediterraneo, i portelli chiusi ma l'equipaggio da guerra intento a preparare i cannoni e pronto a combattere; quel tizio inglese, il comandante Slyne, o Misian, quel gran figlio di puttana, in piedi sull'alto casseretto inclinato, senza staccare gli occhi dalla preda. La caccia da poppa di solito era una caccia lunga, anche il brigantino inseguito era rapido, e l'equipaggio corsaro doveva prendere le cose con calma, consapevole del fatto che, a meno che la preda non rompesse qualcosa, non l'avrebbe raggiunta prima dell'alba. Coy poteva figurarselo perfettamente: rinnegati, pericolosa feccia dei porti. Nativi di Malta, di Gibilterra, spagnoli e nordafricani. Il peggio di ogni clan, postribolo e taverna: pirati di professione che navigavano e combattevano sotto una copertura tecnicamente legale, ossia la patente di corsa, che in teoria gli evitava di finire a penzolare con una cima intorno al collo se fossero stati catturati. Ciurma coraggiosa e crudele, disperati senza niente da perdere e tutto da guadagnare, agli ordini di comandanti senza scrupoli che facevano la corsa con patenti di reucci mori o di sua maestà britannica, dipendeva dai casi, con complici in qualsiasi porto in cui i soldi comperavano i consensi. Anche in Spagna di gente simile ce n'era stata: ufficiali espulsi dalla Marina, privati dei gradi o caduti in disgrazia, avventurieri in cerca di fortuna o della possibilità di mettere ancora i piedi sulla coperta di una nave, che si mettevano al servizio di chiunque, spesso di società commerciali che armavano navi e vendevano il frutto delle rapine quotandosi tranquillamente in borsa. In altri tempi, rifletteva Coy con intimo sarcasmo, ufficiale disonorato e senza lavoro, forse anche lui sarebbe finito nella filibusta. Le peripezie marinare lo avrebbero potuto portare a bordo della preda come del cacciatore, due secoli e mezzo prima, a navigare in quelle stesse acque, a vele spiegate e con la sagoma scura del Cabo de Gata che si appressava all'orizzonte. "Non sapremo mai se fu un incontro casuale" intervenne Tanger. Fissava il mare, pensierosa. Incursione accidentale di un corsaro in cerca di bottino, o una longa manus da Madrid, che guidava la rotta del Chergui per intercettare il Dei Gloria, sabotare la manovra dei gesuiti e appropriarsi del carico di smeraldi. Qualcuno forse faceva il doppio gioco nel gabinetto dell'inchiesta segreta, ma quello forse era l'unico mistero che non sarebbe mai stato svelato. "Forse l'aveva seguito da Gibilterra" disse Coy, scorrendo il dito sulla carta in linea orizzontale. "Forse aspettava nascosto in qualche insenatura" precisò lei. "Per diversi secoli, tutta la costa fu battuta da corsari... Navigavano sotto costa, riparando in spiagge segrete per proteggersi dai venti o tendere agguati, e soprattutto puntando le prede. Vedete?" Indicò un punto sulla carta, tra Punta de los Frailes e Punta de la Polacra. "... Questa insenatura qui, che ai giorni nostri si chiama de los Escullos, all'inizio del XIX secolo si chiamava ancora insenatura di Mahomet Arraez, e così figura sulle carte e sui tracciati dell'epoca. E arraez, tra l'altro, significava proprio comandante di una nave araba. E guardate quest'altro punto: si chiama ancora isoletta del Moro. Ecco la ragione per cui i villaggi venivano edificati nell'interno o sulle alture, allo scopo di proteggersi dalle incursioni pirate..." "Mori sulle coste" precisò il Secondo. "Sì. É da lì che viene la frase fatta spagnola. Per questo la costa è disseminata di torri di guardia, vedette incaricate di Pagina 142

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt allertare gli abitanti." Il sole, sempre più basso a poppa, cominciava a tingere di toni rossastri la sua pelle lentigginosa. La brezza faceva svolazzare la carta nautica che aveva tra le mani. Osservava la costa vicina con concentrata avidità, come se gli elementi geografici le stessero svelando antichi segreti. "Quel pomeriggio del 3 febbraio" riprese a dire "nessuno dovette allertare il comandante Elezcano. Conosceva i pericoli e sicuramente stava all'erta. Perciò la nave corsara non lo colse di sorpresa e l'inseguimento durò a lungo." Ora Tanger percorreva il litorale tracciato sulla carta, in direzione ascendente. "... Durò la notte intera, con il vento in poppa, e la nave corsara poté attaccare solo quando, dopo aver dato più vela, al Dei Gloria partì l'albero di trinchetto." "Di sicuro" osservò Coy "perché alla fine aveva deciso di spiegare i velacci. Se lo ha fatto nonostante l'alberatura in cattivo stato, doveva avere il corsaro addosso. Un tentativo disperato, penso" disse rivolto al Secondo, come a consultarlo. "Troppa velatura in alto." "Avrà cercato di raggiungere Cartagena" suggerì l'altro. Coy osservò l'amico con curiosità. La sua consueta flemma sembrava cedere il passo a un interesse che solo rare volte gli aveva visto. Come se anche lui, pensò stupito, si fosse lasciato contagiare dall'atmosfera. A poco a poco, più il fascino del vicino mistero aumentava, più Tanger li arruolava tutti in quello strano equipaggio, sedotto dal fantasma di una nave immersa in una penombra verde. Con gli occhi fissi al moncone del suo albero fradicio, il doblone d'oro del capitano Achab mandava a tutti strani bagliori. "Ovvio" concordò Coy. "Però non è andato da nessuna parte." "E perché non si è arreso, invece di combattere?" Come al solito, Tanger aveva una spiegazione anche per quello: "Se i corsari erano barbareschi, ai marinai catturati spettava un destino di schiavitù. E se erano inglesi, il fatto che in quel momento la Spagna vivesse un relativo momento di pace con l'Inghilterra avrebbe peggiorato le cose per 248 249 l'equipaggio del Dei Gloria... Azioni del genere solitamente finivano con lo sterminio dei testimoni, per non lasciare tracce. E inoltre, c'erano gli smeraldi... Dunque, non è strano che il comandante Elezcano e i suoi uomini abbiano lottato fino alla fine" Con la fiaschetta di vino in mano, il Secondo studiava la carta. Bevve un sorso e fece schioccare la lingua. "Non ce n'è più di marinai così" disse. Coy era d'accordo. Alla crudeltà del mare e alla sua durezza, alle infami condizioni di vita a bordo, i marinai di quell'epoca dovevano aggiungere i pericoli della guerra, il cannoneggiamento, gli arrembaggi. Se era già tremendo affrontare un temporale, peggio doveva essere una nave nemica. Ricordava la pratica fatta come allievo sull'Estrella del Sur, e gli venivano i brividi al solo pensiero di arrampicarsi sulle sartie oscillanti di una nave per afferrare una vela, tra la mitraglia e i colpi di cannone, con le drizze rotte e le schegge che volavano da tutte le parti. "In realtà, non ci sono più uomini così" sussurrò Tanger, Fissava il mare e le vele del Carpanta gonfiate dal vento, e nella sua voce risuonava la nostalgia di quanto non aveva conosciuto, dell'enigma, scovato tra vecchi libri e carte nautiche, che l'aveva avvisata, come il lontano sprazzo di luce di un faro nel mareggio, che ci sono ancora mari da navigare e relitti da trovare, inseguimenti a vele spiegate e sogni da riportare alla luce del giorno. Tra le punte dei capelli che le sbattevano sul viso, gli occhi sembravano intenti a evocare coperte che ballavano, sciabordio dell'acqua, schiuma nella scia, quella caccia che improvvisamente sembrava rivivere drammatica davanti ai suoi occhi, e che coinvolgeva anche quei due: il marinaio senza nave e il marinaio senza sogni. E Coy capì all'improvviso che in quel lontano crepuscolo del 3 febbraio 1767 Tanger Soto avrebbe voluto trovarsi su una di quelle navi. Pagina 143

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Non poteva dire se a bordo della preda o del cacciatore. Del resto, faceva poca differenza. Come aveva pronosticato il Secondo, il vento girò leggermente a poppa prima che annottasse, e lo fece di nuovo quando doppiarono il Cabo de Gata, già tra due luci e con il sole basso all'orizzonte, con il fascio del faro che illuminava a tratti le pareti rocciose della montagna. Per cui ammainarono la randa e proseguirono in direzione nordest, con la scotta del genoa ora murato a sinistra. Prima che facesse completamente buio, i due marinai prepararono la barca alla navigazione notturna: life line lungo i Banchi, giubbotti di salvataggio autogonfiabili con arnesi di sicurezza, binocolo, torce elettriche e bengala bianchi a portata di mano. Poi, il Secondo preparò una cena veloce a base di frutta, accese il radar, la lampada rossa del tavolo da carteggio e le luci di navigazione a vela, e scese a schiacciare un pisolino, lasciando Coy di guardia nel pozzetto. Tanger restò a fargli compagnia. Cullata dal dondolio della barca, le mani infilate nelle tasche del giaccone del Secondo, il bavero sollevato, guardava le luci che spuntavano a tratti, costellando la costa di Almeria, il cui profilo scosceso si poteva indovinare negli squarci di luce del cielo a ponente. Di lì a poco si meravigliò di vedere così poche luci, e Coy le disse che quella zona, dal Cabo de Gata al Cabo de Palos, era l'unica del litorale mediterraneo spagnolo non ancora contagiata dall'epidemia di cemento del turismo. Troppe montagne, costa rocciosa e scarse strade operavano il miracolo di mantenerla pressoché vergine. Per il momento. Al largo, dalla parte della fiancata opposta alla terraferma, puntolini luminosi dietro l'orizzonte rivelavano la presenza di mercantili che seguivano una rotta parallela a quella del Carpanta. Le loro traiettorie, più in mare aperto rispetto a quella della barca a vela, li tenevano al largo, ma Coy si sforzava comunque di non perderli di vista, e a tratti si appuntava mentalmente i rilevamenti delle rispettive posizioni: se il rilevamento è continuo e la nave si avvicina in modo costante, secondo la vecchia regola marinara, ciò significa collisione sicura. Si piegò sulla bussola giroscopica per controllare la rotta e il solcometro. Il Carpanta navigava con prua quaranta gradi, alla velocità di quattro nodi. Sospinto dal libeccio sereno, con lo sciabordio dell'acqua contro lo scafo, scivolava con piacere sul mare increspato, sotto la volta scura in cui si potevano già scorgere le stelle. La Stella polare era al suo posto, sentinella immutabile del nord, sulla verticale della murata di sinistra. Tanger seguì lo sguardo di lui verso il cielo. "Quante stelle conosci?" domandò. Coy alzò le spalle prima di rispondere che ne conosceva trenta o quaranta. Quelle fondamentali per il suo lavoro. Quella era la stella maestra, disse: la Stella polare. Alla sua sinistra 250 251 si poteva scorgere l'Orsa maggiore, a forma di cometa al rovescio, e appena sopra c'era Cefeo. Il gruppo a forma di W era Cassiopea. W di whisky. "E come fai a riconoscerle tra tante?" "A una certa ora, e a seconda delle stagioni, alcune sono più visibili di altre... Se prendi la Stella polare come punto di partenza e cominci a tracciare linee e triangoli immaginari, puoi riconoscere quelle principali." Tanger guardava in alto, interessata, il volto appena illuminato dal chiarore rossastro che proveniva dal tambucio. La luce delle stelle le si rifletteva negli occhi, e Coy ricordò una canzone di quando era giovane: A cantare insegnavo a una bambina... Sorrise nella penombra. Chi l'avrebbe mai detto, una ventina di anni prima. "Se formi un triangolo" disse "con le due stelle basse dell'Orsa maggiore e la Stella polare, sul terzo vertice, vedi? Trovi Capella. Lì, sull'orizzonte. A quest'ora è ancora molto bassa, anche se poi si alzerà, perché le stelle girano verso ponente intorno alla Stella polare." "E quel mucchietto Pagina 144

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt luminoso?... Assomiglia a un grappolo d'uva." "Sono le Pleiadi. Brilleranno di più quando saranno sorte del tutto." Lei ripeté "le Pleiadi" sottovoce, contemplandole a lungo. Quelle lucine nelle pupille, pensò Coy, la facevano sembrare sorprendentemente giovane. Di nuovo la foto in cornice, la coppa ammaccata, gli attraversarono i pensieri. avvolte nella vecchia canzone: ivomi di stelle voleva sapere. "Quella luminosissima è Andromeda" indicò. "É vicino al quadrato di Pegaso, che gli antichi astronomi immaginavano come un cavallo alato visto al rovescio... E proprio lì, se guardi bene, un po' più a destra, c'è la Nebulosa... La vedi?" "Sì, la vedo." C'era una traccia di eccitazione nella sua voce, la scoperta di qualcosa di nuovo. Qualcosa di inutile, inatteso e bello. Che notte quella, quando diedi mille nomi a ogni stella. Coy canticchiava tra i denti, a voce molto bassa. Il dondolio della barca, la notte sempre più fitta, la vicinanza di lei lo mettevano in uno stato simile all'estasi. Uno va per mare, pensava, per vivere momenti come questo. Le aveva passato il binocolo 7x50 e Tanger scrutava il cielo, le Pleiadi, la Nebulosa, in cerca dei punti luminosi che lui le indicava con il dito. "Orione, la mia stella preferita, non è ancora visibile... Orione è il Cacciatore, con lo scudo, il cinturone, la guaina della spada... Le sue spalle si chiamano Betelgeuse e Bellatrix, e un piede si chiama Rigel." "E perché è la tua preferita?" "Lassù è quella che colpisce di più. Anche più della Via Lattea. E una volta mi ha salvato la vita." "Dai, racconta." "Non c'è granché da raccontare. Avrò avuto tredici o quattordici anni ed ero andato a pesca, con un gozzo. Il tempo peggiorò, il cielo era coperto, e la notte mi sorprese in mare. Non avevo né la bussola né altro con cui orientarmi... All'improvviso si aprì uno squarcio tra le nubi e riconobbi Orione. Feci rotta verso terra e arrivai in porto." Tanger per un po' non aprì bocca. Forse si sta immaginando la scena, arrischiò Coy. Un bambino perduto nel mare, in cerca di una stella. "Il Cacciatore, il cavallo Pegaso." Aveva ripreso a scrutare il cielo. "Davvero riesci a vedere tutte quelle figure lassù?" "Certo. É facile quando passi anni a guardarle... Comunque, presto le stelle brilleranno inutilmente sopra il mare. perché agli uomini non servono più per ritrovare la strada." "Ed è un male?" "Non lo so. Ma è triste." Si scorgeva una luce lontanissima di fronte alla prua, dal lato della mura di dritta, che appariva e scompariva sotto l'ombra scura della vela. Coy l'osservò attentamente. Forse era un peschereccio, o un mercantile che navigava sotto costa. Tanger guardava il cielo e lui rimase a riflettere sulle luci: bianche, rosse, verdi, azzurre o di qualsiasi colore, nessuno che non frequentasse il mare poteva intuirne il significato come un marinaio. L'intensità del loro linguaggio di pericolo, di avvertimento, di speranza. Il significato della loro ricerca e della loro individuazione in notti difficili, tra le onde del temporale, in approdi tranquilli, binocolo incollato alla faccia, nel tentativo di distinguere lo scintillio di un faro o di un gavitello in mezzo a centinaia di odiose, stupide, assurde luci accese a terra. C'erano luci amiche e luci assassine, e persino luci legate al rimorso, come quella volta in cui Coy, secondo ufficiale a bordo del Palestine, in rotta da Singapore al Golfo Persico, aveva creduto di scorgere alle tre di mattina due bengala rossi lanciati molto lontano. Anche se non era completamente sicuro che fossero segnali di sos, aveva svegliato il comandante. Questi era salito mezzo svestito e addormentato sul ponte, per dare un'occhiata. Ma di bengala non se ne erano più visti, e il comandante, un oriundo di Guipuzcoa, secco ed efficiente, chiamato Etxegarate, non aveva ritenuto opportuno deviare la rotta; avevano già perso troppo tempo, aveva detto, per lasciarsi alle spalle il faro di Raffles e lo stretto di Malacca, così dannatamente trafficato. Quella notte, Coy aveva passato il resto della guardia concentrato sul canale 16 Pagina 145

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt della radio, nel caso avesse captato la richiesta di aiuto di una barca nei guai. Non era accaduto nulla, ma non era mai riuscito a dimenticare i due bengala rossi, forse la scorta d'emergenza che un marinaio nel panico aveva sparato nel buio, come ultima speranza. "Raccontami" disse Tanger "quella notte a bordo del Dei Gloria. " "Pensavo che tu la conoscessi fin troppo bene." "Ci sono cose che non posso sapere." Il tono della voce era completamente diverso da quello consueto. Fu sorpreso di sentirlo così familiare, quasi dolce. Lo mise a disagio, si agitò sul banco di tek e sul principio non seppe cosa rispondere. Lei attendeva, paziente. "Be" si decise a dire. "Se il vento era lo stesso di adesso, quasi in piena poppa, sarebbe logico che il comandante... " "Il comandante Elezcano" suggerì lei. "Sì... Infatti... Che il comandante Elezcano facesse ammainare i fiocchi e le vele di strallo, se c'erano. Certo avrebbe lasciato senza vela l'albero di maestra, in modo che la grande vela aurica non forzasse il timone né togliesse vento al velaccio e alla vela di trinchetto; o forse si limitò ad ammainare l'aurica, lasciando spiegata la gabbia. Può darsi che abbia spiegato i coltellacci o gli scopamare, anche se dubito che lo potesse fare di notte... Di certo, conoscendo la propria nave, l'avrà messa in condizione di correre il più possibile, evitando che troppa vela le spezzasse un albero." Il vento stava rinfrescando. Sempre a poppa, sollevando le onde. Diede un'occhiata all'anemometro e poi osservò la gigantesca ombra della vela. Inserì la manovella nell'alveolo del winch di dritta, strozzò un po' la scotta e il Carpanta virò di qualche grado, guadagnando mezzo nodo. "Stando a quello che mi hai raccontato" proseguì dopo aver riposto la manovella al suo posto e aver addugliato l'estremità della scotta "il vento doveva essere appena più forte di adesso. Ci sono sedici nodi di vento reale, ossia forza quattro della scala Beaufort... Probabilmente loro dovevano avere una ventina di nodi, ossia tra forza cinque e sei. Abbastanza per farli correre, insomma. Saranno andati più veloci di noi, appena piegati a dritta, con il vento che arrivava, anche a loro, lungo da poppa." "Cosa facevano gli uomini?" "Avranno dormito poco, soprattutto i tuoi due gesuiti. Di certo erano tutti attenti all'inseguitore, che scorgevano a stento nella notte. Se a quell'ora c'era la luna, forse avvistavano a intermittenza l'ombra della sua vela a poppa... Avranno navigato entrambi a luci spente, per non rivelare la propria posizione. Gli uomini di guardia si saranno raggruppati a ridosso degli alberi, dormicchiando un po' e scrutando preoccupati dal capo di banda, in attesa dell'ordine di salire per sistemare le vele... Tutti gli altri, accanto ai cannoni, allertati nel caso la nave corsara gli arrivasse addosso. Il comandante, sul ponte tutto il tempo, a guardarsi alle spalle, attento agli scricchiolii dell'alberatura e allo sbattere delle vele sulla cima. Un timoniere alla barra del timone, per mantenere la rotta... Di sicuro quella notte governava il timoniere migliore." "E l'assistente dell'ufficiale di rotta?" "Al fianco del comandante e dell'ufficiale di rotta, attento agli ordini. Annotando sul giornale di bordo gli angoli di incidenza, le ore, la manovra... Era un ragazzo, vero?" "Quindici anni." Avvertì una nota di commiserazione nella voce di Tanger. Poco più di un bambino, sembrava voler dire. Almeno, pensò lui, era sopravvissuto per raccontarlo. "All'epoca si imbarcavano già a dieci, dodici anni per imparare il mestiere... Mi immagino che fosse entusiasta dell'avventura. A quell'età non ci si spaventa tanto facilmente. E quel ragazzo era già un veterano. Pagina 146

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Aveva almeno attraversato l'Atlantico in entrambe le direzioni." "Il suo rapporto fu molto preciso. Era un ragazzetto sveglio... Grazie a lui possiamo ricostruire approssimativamente cosa è accaduto. E grazie a te." Coy fece una smorfia. "Posso solo cercare di immaginare cos'è successo in base al tuo racconto." Una luce rossastra che saliva dal tambucio illuminava il volto di Tanger. Ascoltava avida le sue spiegazioni, con un'attenzione che Coy non si era mai visto dedicare a terra. "E la nave corsara?" gli domandò. Coy cercò di evocare la situazione a bordo dello sciabecco. Predoni di professione nel bel mezzo del lavoro. "Con questa rotta e questo vento" arrischiò "forse aveva dalla sua il vantaggio della grande vela latina sul trinchetto. Era un veliero ideato per navigare nel Mediterraneo, poteva adattarsi ai cambi di vento ed essere veloce anche con una semplice bava di vento... Quella notte, la vela di prua lo fece certamente correre. Il paranco da polacca gli permetteva, inoltre, di lasciare spiegata qualche gabbia, e forse anche il velaccio dell'albero di maestra. Credo che tenesse una rotta atta a situarsi a poco a poco tra il Dei Gloria e la costa, per tagliare al brigantino la possibilità di rifugiarsi ad Aguilas, quando il vento all'alba girò." "Dev'essere stato angosciante." "Ovvio." Guardò la linea un po' più scura della costa, dietro cui stava sparendo la luce del faro di Gata. Dal traverso, una punta di terra oscura cominciava a rivelare la presenza dell'insenatura luminosa di San José. Con quei due punti di riferimento fece un paio di calcoli mentali, stabilendo le coordinate su una carta immaginaria. Pensò ai membri dell'equipaggio del brigantino che salivano a tentoni sugli alberi, serrando o mollando le vele in base al vento e alle manovre, la tela ruvida tra le dita tumefatte, lo stomaco appoggiato sui pennoni, i piedi ciondolanti nel vuoto con l'unico appoggio dei marciapiedi. "Credo che sia andata più o meno così" concluse. "E il comandante Elezcano per tutta la notte sperò di lasciare indietro lo sciabecco. Forse tentò qualche manovra diversiva, come cambiare rotta e cercare di depistare la nave corsara nell'oscurità, ma quel Misian doveva saperla lunga... Sul far del giorno, i marinai del Dei Gloria si saranno scoraggiati vedendo il Chergui ancora lì, tra loro e la terra, accorciando le distanze... Forse allora, mentre l'ufficiale di rotta si incaricava di calcolare la posizione, il comandante del brigantino prese una decisione disperata: più vela in alto, mollando i velacci. Fu così che ruppe l'albero e il corsaro gli fu addosso." E a proposito di navi che ti sono addosso, osservò Coy, la luce a prua che il genoa nascondeva a tratti sembrava farsi più vicina, nella stessa posizione di prima. Per cui prese il binocolo Steiner e si spostò lungo il fianco di sottovento, reggendosi alle sartie, fino al castello di prua, vicino all'ancora trincata al bozzello. La luce aveva una forma strana, troppo grande per un semplice peschereccio, ma non riusciva a identificarla con una forma definita. Se fosse stata una nave che navigava in direzione opposta, forse un mercantile, a giudicare dalle dimensioni e dalle luci, si sarebbero dovuti scorgere i fanali di via: rosso a sinistra e verde a dritta, o entrambi nel caso che l'altro lo puntasse da prua. Ma non riusciva a vedere niente del genere. E comunque, concluse preoccupato, sembrava troppo vicina. Navigare di notte era una rottura di palle, si disse irritato, tornando al pozzetto. Tanger lo guardava interrogativa. "Mettiti il giubbetto di salvataggio" le disse. C'era qualcosa di strano, e il suo sesto senso da marinaio cominciava ad agitarsi. Scese nel quadrato, mise in funzione il radar che era in stand by, e sullo schermo verde comparve un'eco cupa. Prese la distanza e fece il punto, constatando che si trovava a due miglia e che veniva nella loro direzione. Un'eco grande e minacciosa. "Secondo!" chiamò. Non sapeva che accidenti fosse, ma di lì a poco lo avrebbero avuto addosso. Pagina 147

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Nel salire la scala del tambucio fece rapidi calcoli. Nei dintorni del Cabo de Gata, lo schema di separazione del traffico ordinava ai mercantili in rotta verso sud di mantenersi a cinque miglia dalla costa. Il Carpanta navigava al limite, sicché poteva trattarsi di una nave che navigava più sotto costa rispetto alla rotta abituale. Teneva una velocità di circa quindici nodi; sommati ai cinque del Carpanta, faceva venti miglia percorse in sessanta minuti. Due miglia in sei: era il tempo che restava all'uno o all'altro per fare manovra, prima della collisione. Sei minuti. Forse meno. "Cosa succede?" domandò Tanger. "Problemi. " Notò che si era infilata il giubbetto di salvataggio autogonfiabile, provvisto di una luce stroboscopica che si accendeva a contatto con l'acqua. Si mise malamente il proprio, prese la torcia e tornò a prua, illuminato, mentre passava, dalla luce rossa situata a sinistra sulle sartie. Le altre luci, minacciose, si facevano sempre più vicine, senza cambiare rotta. Accese la torcia, mandando segnali intermittenti in direzione di quelle luci, e poi lo rifece illuminando la grande vela spiegata del Carpanta. Qualsiasi marinaio sul ponte del mercantile doveva vederlo. Illuminò un istante il quadrante dell'orologio. Mezzanotte meno cinque. L'ora peggiore del mondo. A bordo della nave che si avvicinava era il momento del cambio di guardia. Di sicuro, fidandosi del radar, l'ufficiale se ne stava seduto al tavolo da carteggio, a segnare i contrattempi nel giornale di bordo prima di essere rilevato, e il responsabile del turno seguente non si trovava ancora sul ponte. Forse c'era un sonnolento timoniere filippino, ucraino o indiano a oziare da qualche parte o al gabinetto. I maledetti. Tornò in fretta e furia al pozzetto. Il Secondo era già lì, domandando cosa stesse succedendo. Coy indicò le luci a prua. "Gesù" mormorò l'altro. Tanger lo osservava sconcertata, con la spessa banda rossa del giubbetto di salvataggio fissata al giaccone. "É una nave?" "É un figlio di puttana e ci viene dritto addosso." Lei teneva il moschettone dell'arnese di sicurezza in mano e guardava ora l'uno ora l'altro come se non sapesse cosa fare. A Coy sembrò insolitamente vulnerabile. "Non ti incocciare a niente" consigliò. "Non si sa mai." Non era buona cosa essere incocciati a una barca che poteva essere spaccata in due. Si rinfilò nel tambucio e si incollò allo schermo radar. Navigavano a vela e teoricamente avevano la precedenza, ma questo non contava nulla. D'altra parte, erano già troppo vicini per manovrare allontanandosi dalla rotta dell'altro. E non c'era dubbio che si trattasse di una grossa nave. Troppo grossa. Si malediceva per la disattenzione, per non aver previsto prima il pericolo. Continuava a non vedere né le luci rosse né quelle verdi, e tuttavia il mercantile era lì, in linea retta con loro, a meno di un miglio. Sentì tremare il motore del Carpanta che si metteva in moto. Il Secondo lo aveva appena avviato. Uscì fuori di nuovo. "Non ci vede" disse. Eppure avevano le luci di navigazione accese, gli avevano fatto segnali luminosi, e il Carpanta inalberava un buon ripetitore di segnali radar. Coy finì di allacciarsi il giubbetto di salvataggio. Era furibondo e confuso. Furibondo con se stesso per essersi distratto con le stelle e le chiacchiere, e per non aver previsto il pericolo. Confuso perché continuava a non vedere la luce rossa né quella verde del coso che gli veniva addosso. "Non potete avvisarlo via radio?" "Non c'è tempo." Il Secondo aveva disinserito il pilota automatico e governava a mano, ma Coy Pagina 148

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt sapeva qual era il problema. La manovra diversiva più logica era a dritta, perché se il mercantile li avesse avvistati all'ultimo momento, anche lui avrebbe dovuto fare lo stesso. Il problema era che, navigando così sotto costa, accostare a dritta avrebbe potuto portarlo troppo vicino alla terra, ed era possibile che, in vista di una simile eventualità, l'ufficiale del ponte facesse la manovra contraria, accostando a sinistra e cercando il mare aperto. Lexse: Legge del peggio non si può. Sicché, volendo scostarsi dalla rotta dell'altro, il Carpanta ci sarebbe finito proprio in mezzo. Dovevano farsi vedere. Coy afferrò uno dei bengala riposti nel pozzetto e tornò a prua. Le luci assomigliavano a quelle di una veglia, luci ovunque, un chiarore che doveva essere ormai a meno di mezzo miglio. Dal mare ora arrivava un rumore sordo, costante e sinistro: quello delle macchine del mercantile. Si afferrò al pulpito di prua e lanciò un ultimo sguardo, sforzandosi di capire almeno cosa stava succedendo, prima che l'altro gli passasse sopra. Fu allora che, a soli due cavi di distanza, stagliandosi come un cupo fantasma nel bagliore che emanava, riuscì a distinguere una mole nera, alta e terribile: la prua del mercantile. Ora le luci permettevano di scorgere numerosi container impilati in coperta; e di colpo, finalmente, Coy capì cos'era successo. Da lontano, la luce rossa e quella verde erano rimaste coperte dalle altre, più forti. Da vicino, dalla posizione bassa della barca a vela, erano la prua stessa e l'ampio scafo del mercantile che impedivano di vederle. Restava meno di un minuto. Aggrappandosi con le ginocchia al pulpito di prua, slanciando il corpo in avanti dallo strallo del genoa, tolse il tappo superiore del bengala, fece ruotare la base, la staccò con cura dal corpo tendendo il braccio più sottovento che poté, e con il palmo dell'altra mano colpì forte la leva. Speriamo che non sia scaduto, pensò. A quel punto si sentì un forte sibilo, una fumata fuoriuscì dal bengala e un bagliore accecante illuminò Coy, la vela e un buon tratto di mare intorno al Carpanta. Attaccato allo strallo e con l'altra mano in alto, abbagliato dal lampo intenso, vide la prua del mercantile tenere ancora qualche istante la rotta e poi cominciare ad accostare a dritta, a meno di cento metri. Alla luce ormai agonizzante del bengala avvertì l'enorme onda della nave: una cresta bianca che si scagliava sulla barca a vela. Lanciò il bengala in mare, aggrappandosi con entrambe le mani, mentre il Secondo girava la ruota del Carpanta tutta a dritta. Adesso il fianco nero, illuminato in alto come per una festa, li sfiorava tra lo strepito delle macchine, e la barca a vela, investita dall'onda, ballava come impazzita. Fu allora che l'enorme genoa, piegato dall'onda fino alla banda opposta, di colpo si presentò più al vento e la vela rivoltata colpì Coy, che si vide proiettato sopra il pulpito di prua, finendo in mare. É fredda, è troppo fredda, pensò stordito, mentre l'acqua nera gli si chiudeva sopra la testa. Sentì le turbolenze dell'elica della barca a vela quando lo scafo gli passò accanto, allontanandosi, e poi altre più forti, che facevano ribollire intorno a lui la sfera scura e liquida in cui si agitava: le grandi eliche del mercantile. L'acqua attutiva il frastuono delle macchine, e in quello stesso istante capì che sarebbe ineluttabilmente affogato, perché le turbolenze lo tiravano per i pantaloni e per la giacca verso il fondo, e da un momento all'altro avrebbe dovuto aprire la bocca per respirare, per riempirsi i polmoni di aria, ma non sarebbe stata l'aria a entrare, bensì tutto il contrario: acqua salata criminale e abbondante. Davanti agli occhi non gli passarono i flash della sua vita, ma una rabbia cieca, perché finiva così, in quella maniera assurda, e il desiderio di arrancare verso l'alto, di sopravvivere a tutti i costi. Il problema era che le turbolenze lo rigiravano in quella maledetta sfera nera, e sopra e sotto erano concetti troppo relativi, sempre che lui fosse in condizione di dare bracciate in una qualsiasi direzione. L'acqua cominciò a entrargli nel naso, con una sensazione fastidiosa e pungente, e si disse: ecco, sto affogando. Pagina 149

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Ho tutte le carte in regola. Fu così che aprì la bocca per bestemmiare insieme all'ultimo sorso, ma con sommo stupore trovò aria pulita, stelle nel cielo e la luce stroboscopica del giubbetto di salvataggio autogonfiabile che gli sbatteva contro l'orecchio, con riflessi bianchi che gli accecavano l'occhio destro. E con il sinistro, meno abbagliato dell'altro, vide il riflesso del mercantile che si allontanava, e dall'altro lato, a mezzo cavo di distanza, con la luce verde a dritta che compariva e scompariva dietro l'enorme ombra del genoa che ondeggiava al vento, la sagoma scura del Carpanta. Cercò di raggiungerlo a nuoto, ma il giubbetto di salvataggio gli intralciava i movimenti. Sapeva anche troppo bene che, di notte, una barca poteva passare cento volte accanto a un uomo in mare senza vederlo. Cercò il fischietto di emergenza che avrebbe dovuto trovarsi accanto alla luce stroboscopica, ma non c'era. E gridare a quella distanza era inutile. Il moto ondoso era seccante, con onde piccole che lo facevano salire e scendere, coprendogli la vista della barca a vela. Nascondevano anche lui, pensò desolato. Poi prese a nuotare con calma, a bracciate, cercando di non stancarsi troppo, per vedere di accorciare la distanza. Aveva ai piedi scarpe da ginnastica che non lo intralciavano particolarmente, così decise di tenersele. Non sapeva quanto tempo avrebbe passato in acqua, e almeno un po' lo avrebbero protetto. Le acque del Mediterraneo non sono fredde e in quella stagione dell'anno, di notte, un naufrago vestito e in buona forma fisica poteva resistere vivo per ore. Vedeva ancora le luci del Carpanta sul quale sembrava che qualcuno stesse serrando il genoa. Considerando la posizione della barca rispetto a lui e al mercantile, Coy capì che, appena lo aveva visto cadere in acqua, il Secondo aveva mollato le vele, fermandosi, e adesso si preparava a ripercorrere la rotta a ritroso per cercare di ritornare nel punto in cui era caduto. Di sicuro lui e Tanger erano uno a un fianco e uno all'altro e lo cercavano tra le onde del mare. Forse avevano buttato in acqua il salvagente di emergenza con la boa di segnalazione data volta a una grippia, e ora si stavano dirigendo verso la boa per controllare se l'aveva trovata. Quanto alla sua luce, quella del giubbetto, di certo le onde continuavano a nasconderla ai loro occhi. La luce verde a dritta gli passò di fronte, vicino, e Coy gridò, agitando inutilmente un braccio. Nel farlo, finì sommerso dalla cresta di un'onda e quando riemerse sputando l'acqua salata che gli bruciava il naso, gli occhi e la bocca, la luce verde si era trasformata in quella del fanale a luce bianca: la barca gli dava la poppa, allontanandosi. É tutto troppo assurdo, pensò. Cominciava a sentire freddo e quella luce che brillava sulla sua spalla sembrava invisibile a 260 261 tutti meno che a lui. Il giubbetto gonfio intorno alla nuca gli teneva la testa fuori dall'acqua per quasi tutto il tempo. Adesso non vedeva la luce del Carpanta, ma solo il bagliore del mercantile, lontanissimo. E c'è anche la possibilità, si disse, che non mi trovino. C'è la possibilità che finiscano le pile e questa maledetta luce si spenga, e io me ne resti qui immerso nel buio. I. Usr.: Legge dell'ultimo spenga la luce. Una volta, giocando a carte, un vecchio macchinista aveva detto: "C'è sempre uno scemo che perde. E se ti guardi intorno e non vedi nessuno, vuol dire che lo scemo sei tu" Si guardò intorno, il mare scuro sguazzava contro il collo gonfio del giubbetto di salvataggio. Non vide nessuno. Può capitare che qualcuno muoia, aggiunse tra sé e sé. E se non vedi altri intorno a te, quello che muore sei tu. Pagina 150

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Osservò i puntolini delle stelle nel firmamento. Con il loro aiuto poteva stabilire la direzione della costa, ma non sarebbe servito a niente: era lontano per raggiungerla a nuoto. Se il Secondo, che doveva aver annotato la posizione della sua caduta fuori bordo, avesse lanciato via radio un mayday di uomo in mare, la ricerca vera e propria non sarebbe scattata prima dell'alba, e a quel punto lui sarebbe stato in acqua ormai da cinque o sei ore, con tutte le carte in regola per una pericolosa ipotermia. Non gli restava niente da fare, salvo risparmiare le forze e fare in modo che la perdita di calore fosse più lenta possibile. Posizione HELP, Ilcordò. "Heat Escape Lessening Posture" recitavano i manuali. O roba del genere. Per cui si sforzò di adottare una postura fetale, ripiegando le cosce contro il ventre e incrociando le braccia sul petto. Che cosa ridicola, pensò. Una posizione da bebè, alla mia età. Ma fintanto che la luce stroboscopica brillava, c'era speranza. Luci. Alla deriva, sbatacchiato dalle onde, gli occhi chiusi e muovendosi solo di tanto in tanto per non disperdere il calore e nel contempo risparmiare energie, con il riverbero bianco sulla spalla che a intermittenza lo accecava, Coy continuava a pensare a tutti i tipi di luci, come un'ossessione. Luci amiche e luci nemiche, quelle bianche di poppa, quelle di ormeggio, fanali di via, fari verdi, fari blu, fari bianchi, gavitelli e stelle. Differenze tra la vita e la morte. Una nuova ondata lo fece rigirare su se stesso, come una boa nell'acqua, sommergendogli ancora la testa. Emerse tra i colpi di tosse, sbattendo le palpebre per eliminare il sale che gli infiammava gli occhi. Un'altra cresta lo fece girare di nuovo, e allora, proprio lì, a meno di dieci metri, vide due luci: una rossa e l'altra bianca. La rossa era quella del lato sinistro del Carpanta, e la bianca era la lampada della torcia con cui Tanger lo illuminava da prua, mentre il Secondo manovrava con cautela per posizionarsi sopravvento. Steso nella cuccetta della sua cabina, Coy ascoltava il rumore dell'acqua contro lo scafo. Il Carpanta navigava di nuovo in direzione nordest, con vento favorevole, e il naufrago, che naufrago non era più, sonnecchiava cullato dal dondolio, protetto dal calore delle coltri e del sacco a pelo che lo coprivano. Lo avevano issato a bordo da poppa, dopo avergli passato la gassa di una cima sotto le spalle, esausto e impacciato con il giubbetto di salvataggio, gli abiti fradici e la luce che aveva continuato a scintillare sulla sua spalla fintanto che, in coperta, lui stesso l'aveva strappata dal giubbetto per scagliarla in mare. Le gambe gli avevano ceduto non appena aveva messo piede nel pozzetto: aveva cominciato a tremare violentemente e il Secondo e Tanger, insieme, lo avevano fatto scendere nella cuccetta dopo avergli buttato addosso una coperta. Lì sotto, intontito, docile come un neonato privo di volontà e di forza, si era lasciato spogliare e asciugare con alcuni asciugamani, anche se il Secondo aveva cercato di non sfregare troppo, in modo che il freddo che gli intorpidiva braccia e gambe non risalisse per i vasi sanguigni fino al cuore e alla testa. Mentre lo spogliavano degli ultimi indumenti, steso supino sulla cuccetta come nei fumi di uno strano dormiveglia, aveva avvertito il contatto ruvido delle mani del Secondo e il tocco di quelle di Tanger sulla pelle nuda. Aveva sentito che le dita della donna gli prendevano il polso, dal battito debole e lento. Poi le aveva sentite quando lo sostenevano per il busto, mentre il Secondo gli toglieva la maglietta, le aveva sentite sui piedi per levargli i calzini e infine alla vita e sulle cosce quando gli avevano tolto le mutande. In quel momento il palmo della mano di lei si era appoggiato un istante sul fianco di Coy, sopra all'attaccatura della coscia, e si era fermato lì, leggero e tiepido, qualche secondo. Quindi avevano chiuso il sacco a pelo impilandogli sopra le coperte, avevano spento la luce e lo avevano lasciato solo. Vagò per la penombra verdognola che lo chiamava da sotto, e lo fece durante interminabili guardie sulla nave, alla nebbia, agli echi nel radar. Segnava con un pastello a cera angoli di rotta sullo schermo, mentre in coperta c'erano cavalli che Pagina 151

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt si mangiavano interi container di legno che si diceva contenessero cavalli, e comandanti silenziosi camminavano sopra e sotto il ponte senza rivolgergli la parola. L'acqua grigia e tranquilla sembrava una lamiera di piombo ondulata. Pioveva sul mare, sui porti, sulle gru e sui carichi. Seduti sulle bitte, uomini e donne immobili, inzuppati dall'acquazzone, erano assorti in sogni oceanici. E là sotto, accanto a una campana di bronzo silenziosa nel centro di una sfera blu, c'erano cetacei pacificamente addormentati con una smorfia a forma di sorriso sulla bocca, a testa in giù e coda in alto, sospesi tra due acque e immersi nel sonno leggero delle balene. Il Carpanta beccheggiò leggermente, accentuando lo sbandamento. Coy socchiuse le palpebre nel buio della cuccetta, infagottato in quel confortevole calore che riportava a poco a poco in vita il corpo intorpidito, incassato per via della pendenza tra letto e scafo. Eccolo lì, salvo, era sfuggito alle fauci del mare, così spietato nei suoi capricci e così imprevedibile nella sua clemenza. Era a bordo di una buona barca governata da mani amiche, e poteva dormire quanto voleva senza preoccuparsi di niente, perché altri occhi e altre mani vegliavano il suo sonno, guidandolo dietro il fantasma della nave perduta, in attesa nelle tenebre che stavano per inghiottirla per sempre. Le mani di donna che lo avevano toccato per togliergli i vestiti erano tornate più tardi, per scoprirlo appena, prima di posarsi sulla sua fronte e prendergli il polso. E adesso, il ricordo di quel tocco, il palmo della mano, immobile per la prima volta sul suo fianco nudo, gli procurò una lenta, calda erezione tra i peli delle cosce che recuperavano il tepore, strappandogli un intimo sorriso, tranquillo e sonnolento, quasi sorpreso. Che bello essere vivo. Dopo si riaddormentò, con l'espressione aggrottata, perché il mondo non era più vasto e il mare si ritirava. Sognò che desiderava disperatamente mari proibiti e coste barbare, isole dove non arrivavano mai ordini di cattura, né borse di plastica e tantomeno lattine vuote. E vagò di notte per porti senza barche, tra donne in compagnia di altri uomini. Donne che lo guardavano perché non erano felici, nel tentativo di trasmettergli la loro disgrazia. Pianse in silenzio, a occhi chiusi. Per consolarsi appoggiava la testa al fianco di legno della barca, sentendo il rumore del mare dall'altro lato delle tavole spesse tre centimetri che lo separavano dall'Eternità. 264. 11. Il mare dei Sargassi. Nel mare dei Sargassi, dove le ossa emergono per imbiancare, mentire e burlarsi delle navi che passano. T. PYNCHON, L'arcobaleno della gravità. Quando salì in coperta c'era bonaccia: la barca era immobile nell'alba, con la linea scoscesa della costa molto vicina e il cielo senza nubi che a ovest variava dal grigio piombo al blu. Rossa la roccia, rosso il mare a levante, rossi i raggi che il sole mandava in linea orizzontale contro l'albero del Carpanta sulla distesa calma dell'acqua. "É successo qui" disse Tanger. Aveva una carta nautica spiegata sopra le ginocchia e al suo fianco il Secondo fumava una sigaretta, con una tazza di caffè in mano. Coy raggiunse la coperta di poppa. Aveva indossato pantaloni asciutti e una maglietta, e i capelli scompigliati e le labbra conservavano tracce di sale del tuffo notturno. Si guardò intorno, tra i gabbiani che planavano stridendo prima di posarsi sull'acqua. La costa era a poco più di un miglio a ovest, e poi si apriva a forma di insenatura. Riconobbe in lontananza Punta Percheles, Punta Negra, lo scoglio a fior d'acqua e l'isola di Mazarron. Più lontano, a circa otto miglia a est, la mole scura di Cabo Tinoso. Tornò al pozzetto. Pagina 152

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Il Secondo era sceso a portargli una tazza di caffè tiepido e Coy la bevve in un solo sorso, storcendo il viso nell'assaporare le ultime gocce dell'amara bevanda. Tanger indicava sulla carta il paesaggio che avevano davanti agli occhi. Indossava ancora il pullover nero e camminava scalza. Ciocche bionde sfuggivano dal berretto di lana del Secondo in cui aveva raccolto i capelli. "É in questo punto" disse "che il Dei Gloria ha disalberato e ha dovuto affrontare il combattimento." Coy annuì senza staccare gli occhi dalla costa vicina, mentre lei spiegava per filo e per segno la tragedia. Tutto ciò su cui aveva indagato, i particolari raccolti qua e là in incartamenti ingialliti, in fogli manoscritti, nelle antiche carte nautiche dell'Urrutia, prendevano forma attraverso la sua voce pacata, sicura come se avesse assistito agli avvenimenti. Non aveva mai sentito nessuno tanto convinto di quel che raccontava. E ascoltandola, con gli occhi fissi alla costa curva e scura che si allontanava a nordest, Coy cercò di ricostruire la propria versione dei fatti: cosa accadde o, più precisamente, cosa presumeva fosse accaduto. Evocava perciò i libri letti, la propria esperienza di marinaio, i giorni e le notti della giovinezza, sospinta da vele silenziose attraverso quel mare in cui lei lo aveva ricondotto. Ecco perché immaginare gli era facile, e quando Tanger interrompeva il proprio racconto e lo guardava, e anche gli occhi azzurri del Secondo si posavano su di lui, Coy si stringeva nelle spalle, si toccava il naso e riempiva i buchi nella narrazione. Offriva dettagli, azzardava situazioni, descriveva manovre, situandole in quell'alba del 4 febbraio 1767, quando il libeccio girò a nord allo spuntar del sole, facendo andare di bolina il cacciatore e la preda. In tal modo, disse, il vento apparente si sommava a quello reale, e il brigantino e lo sciabecco dovevano navigare di bolina a sette o otto nodi. Con randa, vela maestra, fiocchi, gabbie e pennoni ben bracciati sottovento, il Dei Gloria; latine di trinchetto e mezzana tese come lame di coltello la nave corsara, che bolinava meglio della propria preda. Sbandando entrambe vistosamente sul fianco di dritta, con l'acqua che scorreva per gli ombrinali da sottovento e i timonieri attenti alla barra del timone, i comandanti che pendevano dal vento e dal velame, in una corsa dove chi commetteva il primo errore perdeva la partita. Errori. Sul mare, come nella scherma -- Coy lo aveva sentito dire -- tutto si riduceva a tenere a distanza l'avversario, anticipandone le mosse. Il nuvolone nero che si disegnava piano e basso a distanza, la zona leggermente buia dell'acqua increspata, la spuma quasi impercettibile che si infrangeva sulla roccia a fior d'acqua, erano presagi di stoccate letali che solo una guardia perpetua permetteva di evitare. Era questo a trasformare il mare in una copia perfetta della vita. Il momento di prendere una mano di terzaroli alla vela, diceva la sensata regola marinara, era esattamente quando ti domandavi se non fosse il caso di prendere una mano di terzaroli alla vela. Il mare nascondeva una vecchia canaglia pericolosa e scaltra, il cui apparente cameratismo celava una zampata in agguato alla minima distrazione. Uccideva facilmente, senza pietà, i disattenti e gli stupidi, e il migliore dei marinai poteva aspirare, al massimo, a essere tollerato tra le sue onde, senza troppi disturbi. A passare inavvertito. Perché il mare era privo di sentimenti e, come il Dio biblico, non perdonava mai, salvo per caso o per capriccio. Anche le parole "carità" e "compassione", come molte altre, rimanevano a terra al momento di mollare gli ormeggi. E in un certo senso, pensava Coy, era giusto così. Decise che alla fine l'errore doveva averlo commesso il comandante Elezcano. O forse non c'era stato nessun errore, ed era solo accaduto che la legge del mare in quell'occasione aveva favorito la nave corsara. Pressato dal nemico, che gli impediva di trarsi in salvo sotto i cannoni della torre di Mazarron, dotata di artiglieria, il brigantino doveva aver spiegato i velacci, nonostante gli alberi fossero in cattive condizioni. Non era difficile indovinare il resto: il comandante Elezcano con lo sguardo Pagina 153

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt rivolto in alto, angosciato, mentre i marinai, barcollando sui marciapiedi, sospesi sul mare a dritta, mollavano i matafioni delle vele superiori, che si spiegavano sbattendo rapidamente contro gli alberi, tenendosi nel salire sui pennoni e nel cazzare le scotte. E l'assistente dell'ufficiale di rotta che si appressava al casseretto con la longitudine e la latitudine calcolate dall'altro e l'ordine distratto di annotarle sul libro di bordo impartito dal comandante, con lo sguardo perennemente puntato sull'albero. L'assistente dell'ufficiale di rotta, al suo fianco, anch'egli con il naso all'insù mentre si infilava in tasca il foglio con le coordinate scritte a matita. E all'improvviso, crac, lo scricchiolio sinistro del legno che si spezzava, le drizze e il velame che cadevano sottovento, imbrigliate dal vento sulla coffa del parrocchetto, la nave che dava una straorzata suicida e il fiato sospeso di tutti gli uomini a bordo, che capivano all'istante di avere la sorte ormai segnata. Ci dovevano essere marinai in alto, a tagliare il sartiame inutile e a buttare in mare i resti dell'albero e la vela, mentre da sotto il comandante Elezcano dava ordine di aprire il fuoco. I portelli dei cannoni saranno stati aperti dalle prime luci, le bocche cariche, gli artiglieri pronti. Forse la decisione del comandante di andare in banda era stata improvvisa, voleva prendere di sorpresa l'inseguitore vicino e sicuramente gli aveva dato il lato di dritta, con gli uomini piegati dietro i cannoni, in attesa che lo scafo e le vele dello sciabecco comparissero alla loro vista. "Battaglia con le navi quasi rasenti una all'altra" diceva la relazione scritta dalle autorità marinare con la testimonianza dell'assistente dell'ufficiale di rotta. Questo significava che dovevano essere vicinissime, gli uomini di quella corsara pronti ad aprire il fuoco e ad andare all'arrembaggio, quando il Dei Gloria mostrò il fianco di dritta con i portelli dei cannoni aperti, dietro ai quali fumavano le micce, e sferrò una fiancata a bruciapelo, con cinque cannoni che sparavano palle da quattro libbre. Danni doveva averne fatti, ma in quel momento forse anche la nave corsara si stava spostando a dritta, sempre che le vele latine le permettessero di mantenere la rotta, navigando di bolina e tagliando la scia al brigantino, sparandogli a sua volta una fiancata vendicativa, letale, tale da spazzare la sua coperta da poppa a prua. Due cannoni lunghi da sei libbre e quattro da quattro: da quindici a venti chili di ferro e mitraglia, che trituravano gomene, legni e carne umana. Poi, mentre a bordo della nave corsara gli artiglieri gridavano di giubilo, vedendo i nemici feriti e i moribondi trascinarsi per la coperta resa scivolosa dal sangue, le due navi si erano avvicinate l'una all'altra sempre più lentamente, fino a restare pressoché immobili, affiancate, a cannoneggiarsi con ferocia. Il comandante Elezcano era un biscaglino testardo. Deciso a vendere cara la pelle, forse correva su e giù da un lato all'altro del brigantino, incitando i suoi disperati artiglieri. Ci saranno stati cannoni smontati, schegge di legno, palle di cannone e di moschetto e mitraglie che volavano a destra e a manca, pezzi di cime, alberi e vele che cadevano dall'alto. A quell'ora i due gesuiti probabilmente erano morti, o forse erano scesi in cabina per difendere fino all'ultimo istante il forziere degli smeraldi, o per buttarlo in mare. Le ultime fiancate del vascello corsaro dovevano essere state senza dubbio devastanti. L'albero di trinchetto, con le vele squarciate come sudari, doveva aver scricchiolato prima di piombare sulla coperta del brigantino trasformata in macello; il comandante Elezcano poteva ormai essere morto. Il brigantino andava alla deriva, distrutto e senza governo. Forse, rannicchiato tra rotoli di cime, con una sciabola nella mano tremante, lo spaventato assistente quindicenne dell'ufficiale di rotta aspettava la fine, vedendo avvicinarsi tra il fumo gli alberi del Chergui, pronto all'abbordaggio. Ma a bordo si scorgeva un fuoco: le cannonate a bruciapelo del brigantino, o le stesse dello sciabecco, avevano incendiato alcune delle sue vele basse che la manovra di sorpresa aveva impedito di raccogliere. E ora il velame bruciava, precipitando sulla coperta della nave corsara. Pagina 154

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Forse accanto a una carica di polvere da sparo, o al boccaporto aperto della santabarbara. Scherzi del mare. Ed ecco una fiammata improvvisa e uno scoppio secco che colpiva con un pugno d'aria il brigantino ormai agonizzante, scardinandogli il secondo albero, e riempiva il cielo di fumo nero, schegge, faville e resti umani che cadevano ovunque. Allora, alzandosi sulla coperta lavata di sangue, assordato dall'esplosione e con gli occhi sbarrati per l'orrore, l'assistente dell'ufficiale di rotta riuscì a vedere che nel punto dove prima si trovava la nave corsara restavano solo tavole fumanti che crepitavano nell'affondare in mare. In quel momento il Dei Gloria sbandò a sua volta, con l'acqua che invadeva le viscere dello scafo distrutto, e il giovane assistente si ritrovò a tenersi a galla tra resti di legno e sartiame. Era solo, e vicino a lui galleggiava la barca di salvataggio che il comandante Elezcano aveva ordinato di gettare in acqua per sbarazzare la coperta, pochi minuti prima di dare battaglia. "Dev'essere andata più o meno così" disse Tanger. Se ne stavano tutti e tre in silenzio, di fronte al mare immobile come una lapide sepolcrale. Lì sotto, in qualche punto e semisepolte dalla sabbia del fondo, c'erano le ossa di un centinaio di uomini, i resti delle navi e una fortuna in smeraldi. "La cosa più logica" riprese lei "è che il Chergui sia andato distrutto nell'esplosione, e che i suoi rottami si siano sparpagliati. Il brigantino, tuttavia, è affondato intero, a parte gli alberi spezzati. Poiché è un punto non molto profondo, probabilmente è appoggiato sulla chiglia, o su un fianco." Coy studiava la carta, calcolando distanze e profondità. Alle sue spalle il sole iniziava a scaldare. "Il fondo è fango e sabbia" disse. "E qualche pietra. Può darsi che sia tanto interrato da non riuscire a tirarlo fuori." "Può darsi" Tanger si piegò sulla carta, così vicino a lui che le loro teste si sfioravano. "Ma non potremo saperlo fintanto che non andremo là sotto. La parte sepolta sarà in migliori condizioni di quella esposta al moto ondoso e alle correnti. Le teredini avranno fatto il loro lavoro rodendo il legno... La parte non protetta dalla sabbia sarà distrutta. Il ferro arrugginito. Dipende anche da quanto è calda o fredda l'acqua... Una nave può restare intatta a basse temperature, o sparire in breve tempo in acque più calde." "Qui non sono molto fredde" precisò il Secondo. "A parte qualche corrente." Seguiva con attenzione, tenendosi in disparte, con la faccia inespressiva plasmata dal vento, dal sole e dal sale. Faceva e disfaceva nodi meccanicamente, con un pezzo di drizza tra le dita callose, dalle unghie corte e spezzate come quelle di Tanger. Le sue pupille, sbiadite da anni di luce mediterranea, passavano, tranquille, dall'uno all'altra. Uno sguardo stoico che Coy conosceva bene: quello del pescatore o del marinaio che non si aspetta altro se non di riempire le reti in modo sufficiente e di tornare in porto con quel che basta per vivere. Non era di quelli che si facevano illusioni. La vita di mare stemperava le chimere e, in fondo, la parola "smeraldi" gli pareva tanto poco concreta quanto il punto in cui l'arcobaleno si regge sul mare. Tanger si era tolta il berretto di lana. Ora teneva con indifferenza una mano sulla spalla di Coy. "Fintanto che non localizziamo lo scafo con l'aiuto delle mappe e non sappiamo dove si trova ogni singolo pezzo, non possiamo essere certi di nulla... L'importante è che la parte a poppa sia accessibile. In quel punto si trovava la cabina del comandante, con gli smeraldi." Non si atteggiava più come in terraferma. Era sempre più naturale e meno arrogante. Coy sentiva la leggera pressione della sua mano sulla spalla e la vicinanza del suo corpo. Profumava di mare e di pelle scaldata dal sole, che saliva piano nel cielo. Hai bisogno di me, adesso, pensò. Ne hai davvero bisogno, e si vede. "Forse hanno buttato gli smeraldi a mare" disse. Lei faceva segno di no con la testa, la sua ombra che si accorciava pian piano Pagina 155

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt sulla carta 463A. Tacque un istante e poi disse che era probabile. Era impossibile saperlo, per il momento. Comunque, il forziere era descritto nei minimi particolari: una cassa di legno, ferro e bronzo, di venti pollici di larghezza. Il ferro non resisteva bene sott'acqua, e si sarebbe trasformato in una massa nerastra irriconoscibile; il bronzo sopportava meglio, ma il legno sarebbe scomparso; all'interno gli smeraldi si sarebbero trovati saldati l'uno all'altro per via delle incrostazioni. L'aspetto sarebbe stato più o meno quello di un blocco di pietra scura, lievemente rossiccia, con le striature verdastre del bronzo. Dovevano scovarlo tra i rottami, e non sarebbe stato facile. Certo che no. Coy se lo figurava difficilissimo. Un ago in un pagliaio, come aveva suggerito a Cadice, tra un sorriso e una sigaretta, Lucio Gamboa. E se il relitto era sepolto, ci sarebbero volute pompe aspiranti per il fango e per la sabbia. Niente di scontato. "In ogni modo" concluse Tanger "prima bisogna localizzarlo." ""Che ne è dell'ecoscandaglio?" domandò Coy. Il Secondo stava finendo una gassa d'amante doppia. "Nessun problema" disse. "Ce l'installeranno questo pomeriggio a Cartagena, insieme a un ricevitore del GPS per la cabina." Osservava Tanger grave e diffidente. "Ma questa roba bisognerà pagarla." "É ovvio" disse lei. "E l'ecoscandaglio da pesca migliore che io sia riuscito a trovare." Il Secondo si rivolgeva a Coy. "Un Pathfinder Optic a tre fasci, come mi avevate chiesto... Il trasduttore può essere installato sotto la carena a poppa senza troppe difficoltà." Tanger lo guardò incuriosita. Coy spiegò che con quella sonda potevano coprire un cono di novanta gradi sotto lo scafo del Carpanta. Si usava per localizzare banchi di pesci, ma offriva anche una vista chiara del fondo, con un profilo molto dettagliato dello stesso. L'importante era che, grazie all'uso di diversi colori sullo schermo, il Pathfinder distingueva il fondo in base alla densità, alla durezza, alla struttura, rinvenendo qualsiasi irregolarità. Un masso isolato, un oggetto sommerso, persino le variazioni di temperatura, si vedevano nitidamente. Anche il metallo, il ferro o il bronzo dei cannoni, se spuntavano dalla sabbia, si sarebbero notati di un colore intenso, più scuro. La sonda di un peschereccio non era così precisa come gli strumenti che poteva utilizzare Nino Palermo, ma a una profondità dai venti ai cinquanta metri poteva bastare. Sicché, navigando adagio sino a setacciare l'area di ricerca e assegnando le coordinate a ogni oggetto sommerso che attirava l'attenzione, potevano realizzare una mappatura della zona con i possibili punti del naufragio. In un secondo tempo avrebbero esplorato punto per punto con l'acquaplano: una tavola a rimorchio che trasportava un sommozzatore in vista del fondo. 270 271 "Strano" disse il Secondo. Aveva staccato la fiaschetta di vino dalla bussola e beveva a testa indietro, occhi al cielo. Coy sapeva a che cosa stava pensando. In un relitto in un fondale così basso, i pescatori ci avrebbero impigliato le reti. Doveva essere cosa risaputa. E a quel punto, qualcuno sarebbe andato a dare un'occhiata là sotto, per curiosare. Qualsiasi sub dilettante poteva farlo. "Sì. Mi domando perché nessun pescatore abbia parlato mai di un naufragio da queste parti. Di solito conoscono il fondo come le loro tasche." Tanger gli mostrò la carta. Vi erano piccole lettere disseminate ovunque, accanto ai numeri delle profondità. Pagina 156

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt "Ci sono anche le rocce, vedete? E questo può aver protetto il relitto." "Forse dai pescatori." Coy espresse la propria idea. "Ma una nave di legno affondata tra le rocce non resiste a lungo. Con un fondale tanto basso, il moto ondoso e le correnti distruggerebbero lo scafo. Non è possibile che si conservino come nel fumetto Il tesoro di Rakam il Rosso." "Può darsi" disse lei. Fissava il mare, cocciuta, e gli sguardi del Secondo e di Coy si incrociarono. Di colpo, una volta di più, percepirono l'assurdità della faccenda. Non troveremo niente, diceva la faccia del marinaio nel passare la fiaschetta a Coy. Sono qui perché ti sono amico e anche perché mi paghi, o è lei a farlo, che poi è lo stesso. Ma a te questa donna ti ha fatto perdere la bussola. E il bello è che manco te la dà. Erano a Cartagena. Avevano navigato sotto costa, sotto la scarpata di Cabo Tinoso, e ora il Carpanta infilava l'imboccatura del porto già utilizzato da greci e fenici. Qart Hadasht: la Carthago Nova delle gesta di Annibale. Accomodatosi su una sedia di tek a poppa del veliero, Coy osservava l'isola di Escombreras. Lì, sotto la gola del lato sud, aveva, in gioventù, estratto anfore romane: vinarie e olcarie dai colli eleganti, dalle anse oblunghe e il marchio in latino del fabbricante, alcune ancora sigillate come al momento in cui erano affondate in mare. Vent'anni prima, quell'area era un immenso campo di resti provenienti dai naufragi e anche, dicevano, dalle offerte che i navigatori buttavano in mare quando erano in vista di un tempio dedicato a Mercurio. Coy ci si era immerso molte volte, per poi risalire. mai più veloce delle proprie bolle, verso la sagoma scura del Carpanta che lo attendeva sopra, sul tetto smerigliato della superficie, con la linea di galleggiamento curvata verso le profondità. Una volta, la prima che era sceso a sessanta metri -- sessantadue, segnava il profondimetro al suo polso -Coy si era immerso lentamente, con pause per compensare l'aumento di pressione nei timpani, lasciandosi cadere all'interno di quella sfera verdastra dove i colori si stemperavano fino a trasformarsi in una luce spettrale, diffusa, e si potevano distinguere solo diversi toni di verde. Aveva perso di vista la superficie e poi era scivolato in ginocchio, sempre molto adagio, sul fondo di sabbia pulita, con il freddo delle profondità marine che gli saliva per le cosce e il ventre sotto la muta di neoprene. Sette e due atmosfere, aveva pensato, colpito dalla propria audacia, ma allora aveva diciott'anni. Intorno a sé, a perdita d'occhio nel circolo verde, adagiate in varie pose sulla sabbia liscia, semisepolte o raggruppate in montagnette, vedeva dozzine di anfore spezzate o intatte, colli e basi puntute; fango millenario che nessuno aveva toccato o portato alla luce in venti secoli. Bocche allungate, rotonde, ampie e strette tra le quali sbucavano le teste di mostruose murene e nuotavano pesci scuri. Inebriato dal mare sulla pelle, affascinato da quella penombra e dalla vasta distesa di terraglie immobili come delfini addormentati, Coy si era scostato la maschera dal volto, reggendo il boccaglio tra i denti, per sentire sulla faccia tutta la tenebrosa grandezza che lo avvolgeva. Poi, di colpo allarmato, si era di nuovo infilato la maschera, svuotandola dall'acqua con l'aria soffiata dal naso. In quel momento, il Secondo, allungato dalle pinne di gomma, trasformato in un'altra sagoma verde scuro che discendeva dall'alto della sfera, al culmine di un lungo e dritto pennacchio di bollicine, lo aveva raggiunto, spostandosi con la lentezza degli esseri umani negli abissi, indicando con aria severa il profondimetro che aveva al polso e poi la tempia con un dito, per domandargli silenziosamente se fosse uscito di senno. Erano risaliti insieme, adagio adagio, tra le meduse d'aria che li precedevano, reggendo un'anfora ciascuno. Quando era quasi giunto in superficie e i raggi del sole cominciavano a filtrare attraverso lo smeriglio turchese sulle loro teste, Coy aveva alzato la sua anfora, capovolgendola, e una scia di sabbia fine si era riversata dal suo interno, rilucente come polvere d'oro nel controluce dell'acqua, per avvolgerlo in una nube che sembrava un sogno dorato. Pagina 157

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Amava quel mare, che era così vecchio, scettico e saggio come le innumerevoli donne latenti nell'eredità genetica di Tanger Soto. Le sue sponde avevano l'impronta dei secoli, pensò osservando la città cantata da Virgilio e da Cervantes, raccolta in fondo al porto naturale, tra le alte pareti rocciose che per tremila anni l'avevano resa quasi inespugnabile ai nemici e ai venti. Nonostante la sua decadenza, le facciate decrepite e sporche, i resti delle case crollate e non ricostruite che a volte le conferivano un curioso aspetto di città in guerra, vista dal mare sembrava bella, e per i vicoli stretti risuonava l'eco delle voci di uomini che avevano combattuto come troiani, penato da greci per poi morire da romani. Ed ecco spuntare l'antico castello su una collinetta sopra la muraglia, all'altro lato dei frangiflutti che proteggevano l'imboccatura del porto e l'ingresso all'arsenale. I vecchi forti abbandonati di San Pedro e di Navidad scorrevano piano a dritta e a sinistra del Carpanta, conservando un'espressione minacciosa nelle loro feritoie vuote che, come occhi ciechi, fissavano il mare. Sono nato qui, pensò Coy. E da questo porto mi sono affacciato ai libri e agli oceani per la prima volta. Qui mi ha tormentato lo sconforto delle cose remote e la nostalgia prematura di ciò che non conoscevo. Qui ho sognato di vogare verso la balena, con il coltello tra i denti e l'arpone pronto a prua. Qui ho intuito, prima di imparare l'inglese, l'esistenza di quello che il Mariners Weather Log chiama Esw: "Extreme Storm Wave", onda di tormenta estrema. E ho scoperto che ogni essere umano, ci si imbatta o meno, ha una Esw che lo attende da qualche parte. Qui ho visto su tombe vuote le lapidi con il nome di marinai morti, e ho compreso che il mondo è una nave in un viaggio di sola andata, un viaggio senza ritorno. Qui ho scoperto, prima del tempo, il sostituto della spada di Damocle, del veleno di Socrate. Della pistola e della pallottola. Sorrideva di se stesso, dei suoi pensieri, mentre guardava Tanger ritta accanto all'ancora, che si reggeva con una mano al genoa avvolto intorno allo strallo, e la barca si addentrava a motore nel porto. Nel pozzetto, il Secondo governava a mano per acque su cui avrebbe potuto navigare a occhi chiusi. Una corvetta grigia della Marina militare prendeva il largo dal bacino di San Pedro, passava sul lato di dritta, con i giovani marinai piegati sul trincarino per osservare la donna, immobile a prua della barca a vela, come una polena dorata. Giungeva fino al Carpanta, portato dalla brezza di terra, l'odore dei monti vicini: brulli, secchi e calcinati dal sole, con timo, rosmarino, palmito e fichi d'India tra i suoi massi scuri, alvei secchi dove crescevano fichi e mandorli scaglionati da muretti in pietra. Nonostante il cemento, il vetro, l'acciaio e le scavatrici, nonostante la successione interminabile di luci bastarde che picchiettavano le sue sponde da costa a costa, quello era sempre il Mediterraneo, bastava prestare un po' di attenzione al flebile richiamo della memoria: olio e vino rosso, islam e talmud, croci, pini, cipressi, tombe, chiese, tramonti vermigli come il sangue, vele bianche in lontananza, pietre lavorate dagli uomini e dal tempo, quella particolare ora del meriggio in cui la quiete e il silenzio assoluto erano interrotti solo dal frinire delle cicale, notti alla luce di un falò accatastato con legni alla deriva, mentre la luna si alzava lenta sopra un mare di isole senz'acqua. E anche spiedini di sardine, alloro e olive, bucce di cocomeri che galleggiavano quiete sul lieve ondeggiare vespertino della spiaggia, rumore di ciottoli nella risacca del mattino, barche pitturate di blu, bianco e rosso, varate su spiagge con mulini in rovina e ulivi grigi, uve che indoravano sui pergolati. E al riparo della loro ombra, gli occhi persi nell'azzurro intenso che si estendeva a levante, uomini immobili guardavano il mare; eroi abbronzati e barbuti che sapevano di naufragi in cale designate da divinità crudeli, finte statue mutilate che dormivano, a occhi aperti, un silenzio di secoli. "Cos'è quello?" domandò Tanger. Lo aveva raggiunto a poppa e indicava a sinistra, dietro il bacino di Navidad, vicino ai grandi hangar gemelli di calcestruzzo, destinati, in tempi andati, a ospitare sommergibili. Pagina 158

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Lì, la spiaggia nera dell'Espalmador era ricoperta di navi in disarmo. "É il Cimitero delle navi senza nome." Il Secondo si era girato verso Coy. Aveva in bocca una sigaretta fumata a metà, e lo fissava con occhi da cui affioravano ricordi, guardandosi bene dall'esprimere sentimenti in agguato. Sulla riva, con gli scafi arrugginiti per metà sommersi dall'acqua, tra sovrastrutture, ponti, coperte e fumaioli, languivano navi aperte come grandi cetacei sventrati, mostrando coste metalliche e paratie spoglie, lamiere d'acciaio tagliate e ammonticchiate sulla spiaggia, ai piedi delle gru. Era lì che le navi condannate a morte, già prive di nome, numero di iscrizione e bandiera, portavano a termine l'ultimo viaggio prima di finire sotto il cannello della fiamma ossidrica. I nuovi piani urbanistici della città condannavano alla scomparsa quel luogo, ma ci sarebbero voluti mesi per terminare gli ultimi smantellamenti e pulire il posto dai resti disseminati ovunque. Coy vide un vecchio bulkcarrier di cui restava solo la poppa, semmisommersa nel mare, e i cui due terzi anteriori erano già scomparsi in un caos di ferraglia sulla spiaggia. C'erano pezzi smontati dappertutto, una dozzina di grandi ancore la cui ruggine gocciolava sulla sabbia scura, tre fumaioli assurdamente conservatisi, uno accanto all'altro, i resti della pittura con la bandiera degli armatori ancora visibili, e la quasi centenaria sovrastruttura di un battello postale che era stato russo o polacco, il Korzeniowski. Se ne stava un tantino in disparte, accanto alla torre di vedetta, da quando Coy aveva memoria: un ponte di ferro arrugginito con tracce di pittura bianca, tavole putride e la cabina pressoché intatta, a bordo del quale sognava, da ragazzo, di sentire il movimento di una nave sotto i piedi e di vedere il mare aperto davanti agli occhi. Quel battello era stato per anni il suo posto preferito, quando, incline ai sogni oceanici, passeggiava lungo il frangiflutti con una canna da pesca o l'arpone e le pinne, o quando più tardi aiutava il Secondo a pulire lo scafo del Carpanta ormeggiato all'Espalmador, in acque basse. Lì, nei tramonti interminabili del porto, quando il sole cominciava a nascondersi dietro gli scheletri inerti delle vecchie navi, lui e il Secondo parlavano con parole o con silenzi della convinzione, condivisa da entrambi, che le navi e gli uomini avessero diritto a una morte dignitosa, in mare, anziché finire in disarmo in terraferma. E tempo dopo, molto lontano da lì, sull'isola di Deception, a sud di capo Horn e dello stretto di Drake, Coy aveva provato l'identico stato d'animo quando era sbarcato sulla sabbia di una spiaggia nera come quella, tra migliaia di ossi di balena che la imbiancavano a perdita d'occhio. Lo sperma di quegli animali si era trasformato in olio bruciato in lampade molto prima che lui nascesse, ma gli ossi erano ancora lì, come una beffa, in quello strano mare dei Sargassi. C'era tra i resti un vecchissimo ferro d'arpone ossidato, e Coy, che vi si era imbattuto, lo aveva guardato con orrore. Dopotutto, isola Deception, isola Disillusione, era un nome adatto al posto. Balene sventrate, navi sfasciate. Uomini a pezzi. L'arpone si piantava dentro la carne, perpetuando sempre e comunque la stessa storia. Attraccarono nel porticciolo e si avviarono per i moli, sentendo la terra, come accadeva ogni volta che vi ritornavano, oscillare leggermente sotto i piedi. Nel molo commerciale, all'altro lato del circolo nautico, c'era una nave da carico: il Felix von Luckner, della Zeeland Ship, che Coy conosceva perché copriva abitualmente la rotta CartagenaAnversa. Solo a guardarla, evocava lunghe attese sotto la pioggia, il vento e la luce giallognola dell'inverno, le sagome fantasmagoriche delle gru sulla terra piatta, la chiusa e le interminabili manovre sull'Escalda. E nonostante avesse conosciuto angoli di mondo ben più confortevoli, Coy provò inevitabilmente una fitta di nostalgia. Si diressero tutti e tre alla terrazza del bar Valencia, accanto all'azulejo secolare con i versi che Miguel de Cervantes aveva dedicato alla città nel suo Il viaggio nel Parnaso, ai piedi della muraglia fatta erigere da Carlo III quando il Dei Gloria giaceva da soli tre anni in fondo al mare, e bevvero grandi boccali di birra fredda davanti all'orologio del municipio, le palme agitate dal libeccio che rinfrescava a mezzogiorno, e il pinnacolo del monumento ai marinai morti a Cuba e a Cavite, con dozzine di nomi incisi su targhe di marmo, accanto a quelli delle navi che, come loro, salpavano, da un secolo, verso il silenzio Pagina 159

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt degli abissi. Poi il Secondo andò a occuparsi dello scandaglio, e Tanger accompagnò Coy per le strade strette e deserte della città vecchia, sotto i balconi con gerani e vasetti di basilico, verande a vetrate dove ancora, ogni tanto, una donna seduta con un lavoro in mano li guardava passare, curiosa. Ora la maggior parte di quei balconi era chiusa e le vetrate rimanevano vuote, prive di tende, in case dalle finestre condannate e dalle porte dove si accumulava la sporcizia. Coy cercava lì in mezzo, inutilmente, una faccia nota, una musica familiare dietro le persiane verdi, un bambino che giocasse sull'angolo o nella piazza più vicina, in cui riconoscere qualcuno, o riconoscersi. "Qui sono stato felice" disse all'improvviso. Si erano fermati in una strada buia, di fronte alle rovine di una casa crollata tra altre due che si reggevano ancora in piedi. Le superfici della parete spoglia conservavano brandelli di carta, chiodi arrugginiti da cui non pendeva nessun quadro, tracce di mobilia, cavi elettrici sfilacciati. Le ripercorse con lo sguardo, cercando di ricostruire quello che una volta avevano celato: mensole con libri, mobili in noce e mogano, corridoi di azulejos, stanze con lucernari ovali sotto il tetto, ritratti ingialliti circondati da un alone biancastro che li rendeva ancor più spettrali. Non c'era più l'orologeria a piano terra, né le botteghe di carbone e spezie in fondo alla strada, e nemmeno la taverna con una fontana in marmo al centro, la pubblicità dell'Anis del Mono e di corride sulla parete che, lo si sentiva passando davanti alla porta, odorava di vino, e al cui bancone schiene di uomini taciturni piegati su bicchieri rossi ammazzavano il tempo. E il ragazzino in calzoncini corti, che passeggiava per quella stessa strada con una bottiglia di seltz per mano, o incollava il naso, meravigliato, alle vetrine di balocchi con le luminarie natalizie, molto tempo prima che se lo portasse via il mare. "Perché te ne sei andato?" domandò Tanger. La voce suonava stranamente dolce. Coy osservava le pareti inesistenti della casa ormai crollata. Indicò alle proprie spalle, in direzione del porto, all'altro capo della città. "Quella era una strada aperta" disse voltandosi adagio. "Ho voluto fare ciò che altri si limitano a sognare." Lei fece segno di sì con la testa, per dire che aveva capito. Lo osservava in quel suo modo particolare, come se lo vedesse per la prima volta. "Sei andato lontano" sussurrò. C'era una sfumatura d'invidia nelle sue parole. Coy alzò le spalle con un sorriso da atmosfera, da naufrago. Una smorfia deliberata, consapevole. "Ci sono alcune parole" disse, e poi fissò di nuovo le pareti della casa che non c'era più. "Una pagina che ho letto là sopra. " Ripeté a voce alta, ricordando senza difficoltà: "Vieni qui, tu, dal cuore spezzato. Qui c'è un'altra vita senza l'intermezzo della morte. Qui si possono conoscere, senza morire, meraviglie sovrannaturali. Io dono più oblio che la Parca. Vieni, alza la tua pietra sepolcrale nel cimitero e sposati con me" Udendo questa voce a est e a ovest, dall'alba al tramonto, l'anima del fabbro rispose: "Sì, verrò" Fu così che Perth partì per la caccia alla balena... Detto questo, si strinse nelle spalle, e lei aveva ancora quello sguardo. Le iridi blu marino erano fisse sulla sua bocca. "Sei diventato quello che volevi essere" disse. La voce suonava ancora come un sussurro pensieroso. Coy sollevò appena i palmi delle mani. "Sono stato Jim Hawkins e poi Ishmael, e per un certo tempo ho creduto di essere Lord Jim... Poi ho scoperto di non essere mai stato nessuno di loro. Ho provato sollievo, in un certo senso. Come se mi fossi liberato di amici importuni. O di testimoni." Gettò un'ultima occhiata alle pareti spoglie. Ombre scure lo salutavano da lassù: donne vestite a lutto che conversavano alla luce calante della sera, un lumicino a olio davanti alla statua della Madonna. Pagina 160

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Lo scricchiolio di tomboli che tessevano un pizzo, un baule di cuoio nero con iniziali in argento e l'odore di tabacco di baffi bianchi. Stampe di navi a vele spiegate, tra il fruscio della carta delle pagine di un libro. Sono scappato, pensò, in un luogo che non esisteva più, da un luogo che non esiste più. Un altro sorriso nel vuoto: "Come ripete sempre il Secondo, non perderti nei sogni quando hai un timone tra le mani" Lei tacque a quelle parole, e non disse altro. Aveva preso dalla borsa il pacchetto con l'effigie dell'Eroe e si accendeva una sigaretta. Teneva il pacchetto ancora in mano, con una cura tale come se quel pezzo di cartoncino dipinto la consolasse dei propri fantasmi. Per cena mangiarono michirones e uova fritte con patate alla Posada de Jamaica, all'altro lato dell'antica galleria di calle Canales. Lì si unì a loro il Secondo, con le mani sporche di grasso e la notizia che l'ecoscandaglio era stato installato e funzionava bene. C'era un brusio di voci, fumo di sigarette che formava volute grigie sul soffitto, e Rocio Jurado cantava in sottofondo, alla radio, La Lola se va a los puertos. La vetusta osteria era stata ristrutturata e, al posto delle tovaglie di tela cerata che Coy ricordava da una vita, c'erano biancheria diversa e coperti nuovi, centrotavola e persino quadri alle pareti. Ma la clientela era sempre la stessa, soprattutto a mezzogiorno: gente del quartiere, muratori, meccanici di un'officina vicina, pensionati attratti dalla cucina casalinga e a buon mercato. In ogni modo, come aveva detto a Tanger, mescendole vino rosso con gazzosa, valeva la pena di andarci, anche solo per il nome del locale. Mentre loro mangiavano il dessert e il Secondo sbucciava un mandarino, stabilirono il piano di ricerca. Avrebbero mollato gli ormeggi all'alba, per cominciare a esplorare la zona a metà mattina. Il settore di ricerca iniziale era stato definito tra 1§20' e 1§22' di longitudine ovest e 37§31,5' e 37§32,5' di latitudine nord. Avrebbero abbordato quel rettangolo di un miglio di lunghezza per due miglia di larghezza dal lato esterno, partendo da una zona più profonda per arrivare a una meno profonda, a quote di scandaglio che sarebbero via via diminuite a partire dai cinquanta metri. Come fece osservare Coy, ciò presentava un vantaggio: cominciando al largo della costa, i movimenti del Carpanta, visti da terra, non avrebbero attirato immediatamente l'attenzione. Alla terraferma si sarebbero avvicinati gradualmente. A una velocità dai due ai tre nodi, il Pathfinder permetteva loro di sondare dettagliatamente frange parallele di circa cinquanta, sessanta metri di ampiezza. La zona di esplorazione era suddivisa in settantaquattro frange analoghe; in tal modo, contando il tempo perso nelle manovre, passarne una avrebbe preso un'ora e coprire l'area completa un'ottantina. Questo significava che le ore reali di lavoro potevano essere un centinaio, o forse centoventi, e coprire l'area di ricerca li avrebbe impegnati per dieci, dodici giorni. Sempre che il tempo avesse collaborato. "Le previsioni meteorologiche sono buone" disse il Secondo. "Ma di certo qualche giorno lo perderemo." "Due settimane" calcolò Coy. "Come minimo due settimane. " "Forse tre." "Forse." Tanger ascoltava attenta, i gomiti sul tavolo e le dita intrecciate sotto il mento. "Hai detto che potremmo attirare l'attenzione, visti da terra... Possiamo far nascere qualche sospetto?" "All'inizio, penso di no. A mano a mano che ci avvicineremo, forse sì. Di questa stagione c'è già gente che va in spiaggia. " "Ci sono anche i pescherecci" fece osservare il Secondo, con uno spicchio di mandarino in bocca. "E Mazarron è vicina." Tanger guardò Coy. Aveva preso un pezzo di buccia dal piatto del Secondo e la divideva in pezzetti. L'aroma profumava il tavolo. "Possiamo inventare una scusa?" "Credo di sì. Potremmo essere a pesca, o cercare qualcosa che abbiamo perso." Pagina 161

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt "Un motore" suggerì il Secondo. "Precisamente. Un motore fuoribordo caduto in mare. Abbiamo a nostro favore il fatto che il Secondo e il Carpanta sono molto noti da queste parti e attireranno poco l'attenzione... Quanto alla terraferma, nessun problema. Possiamo ormeggiare qualche sera a Mazarron, un'altra ad Aguilas, altre a Cartagena. E per il resto gettare l'ancora lontano dalla zona. Non c'è niente di strano in una coppia in vacanza che noleggia una barca per un paio di settimane." Stava scherzando, ma Tanger non sembrò trovare divertente la battuta. O forse era la parola "coppia" Reclinava la testa con la buccia del mandarino tra le dita, considerando la situazione. Si era lavata i capelli, nel pomeriggio, prima di scendere a terra, e le punte bionde e asimmetriche le accarezzavano di nuovo il mento. "C'è qualche pattuglia?" domandò, impassibile. "Due" disse il Secondo. "Quella degli aduaneros della guardia civil." Coy spiegò che la Hache Jota de Aduanas operava per lo più di notte e si occupava di controllare il contrabbando. Da loro non avevano niente da temere. Quanto alla guardia civil, il loro compito era controllare la costa e far rispettare le leggi sulla pesca. Il Carpanta, in teoria, non era affar loro ma c'era la possibilità che, vedendolo lì un giorno dopo l'altro, venissero a curiosare. "Per fortuna il Secondo conosce un sacco di gente, persino fra la guardia civil. Ora le cose sono cambiate, ma da giovane li ha avuti anche come soci. Te lo puoi immaginare: bionde, liquori, una percentuale sui guadagni." Lo guardò con affetto: "... Ha sempre saputo stare al mondo" Il Secondo fece un gesto fatalista e saggio, antico come il mare su cui navigava, eredità di infinite generazioni di venti contrari. "Vivi e lascia vivere" disse semplicemente. Coy lo aveva accompagnato un paio di volte, anni addietro, come mozzo, in spedizioni clandestine e notturne vicino a Cabo Tinoso o fino al Cabo de Palos, e ricordava quegli episodi con l'eccitazione tipica degli anni verdi. Al buio, con il riflesso del faro vicino nella notte, in attesa delle luci di un mercantile che diminuisse la velocità, fermandosi il tempo necessario perché un paio di fagotti calassero sulla coperta del Carpanta. Casse di bionde americane, bottiglie di whisky, elettronica giapponese. E poi il ritorno, immersi nel buio, a volte lo sbarco della merce di contrabbando in una cala discreta, passandola in mano a ombre che si allontanavano con l'acqua fino al petto. Per il ragazzo che Coy era allora non faceva differenza tra quello e quanto leggeva, poiché bastava per giustificare l'avventura. Dal suo punto di vista, quelle vecchie pagine di Moonfleet, di Rapito: memorie delle avventure di David Balfour, di La freccia d'oro e altre ancora -aspettare una fiancata nel buio era stata per molto tempo la sua più intima aspirazione -- fornivano pretesti sufficienti. Si dava il caso che poi, al ritorno in porto, nel lanciare a terra un cavo innocente per fissarlo alla bitta, c'era sempre un guardia civil o un qualche sottufficiale di marina che faceva la parte del leone, e al Secondo, dopo aver rischiato barca e libertà, restava appena il denaro sufficiente per arrivare a fine mese, mentre altri si arricchivano alle sue spalle. Vivi e lascia vivere, ma c'è sempre qualcuno che vive meglio di te. O sulle spalle degli altri. Una volta, nel bar Taibilla, mentre mangiavano panini di lonza e pomodoro, un tizio aveva preso da parte il Secondo e gli aveva proposto di fare un viaggio un tantino più complicato, andando incontro, in una notte senza luna, a un peschereccio proveniente dal Marocco. Cannabis pura del Ketama, aveva detto. Cinquanta chili. E la cosa, aveva spiegato quell'elemento bisbigliando, poteva fargli guadagnare mille volte più di quanto intascava con le sue sporadiche escursioni notturne. Dal tavolo, con il panino in mano, Coy aveva visto il Secondo ascoltare con attenzione, finire di bere la birra senza fretta e poi lasciare il bicchiere Pagina 162

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt vuoto sul bancone, prima di trascinare l'altro fuori dal bar, a suon di ceffoni, fino a calle Mayor. Tanger pagò il conto e uscirono. La temperatura era gradevole, e si diressero a passo tranquillo alle porte di Murcia e alla città vecchia. C'era un soldato della fanteria di Marina immobile davanti alla porta bianca della Capitaneria: lo stesso edificio, commentò Tanger, in cui era stato interrogato l'assistente dell'ufficiale di rotta del Dei Gloria. C'erano anche le scritte verdi che indicavano il libero dei tassisti annoiati davanti all'ingresso del cinema Mariola, e gente seduta sulle terrazze. Ogni tanto Coy incrociava una faccia nota e scambiava un muto saluto, un cenno del capo, ciao, arrivederci, come ti va, pronunciati da ambo le parti senza alcuna intenzione di rivedersi né prima né dopo, e tantomeno di ricevere una risposta. Non avevano più niente in comune di cui parlare. Riconobbe una fidanzata di gioventù, ora trasformatasi in rispettabile matrona, con due bambini per mano e un terzo in carrozzella, insieme a un marito dai capelli grigi e radi, che a Coy ricordò vagamente un compagno di scuola. La donna passò inespressiva alla luce degli spaventosi lampioni in stile postmoderno che intralciavano il marciapiede, fingendo di non averlo riconosciuto. Però mi conosci, pensò lui, divertito. r. csvsv: Legge di chi si è visto si è visto. Io che ti aspettavo a porta San Miguel, le mani che si sfioravano nel caffè Mastia. Quella festicciola di Capodanno a casa dei tuoi, che erano in viaggio: Je t'aime, moi non plus, e le coppie abbracciate nella penombra mentre Serge Gainsbourg e Jane Birkin se la facevano sul giradischi. E il cantuccio buio, e il letto di tuo fratello con un gagliardetto dell'Atletico de Madrid fissato con puntine alla parete, e la faccia di tuo padre quando tornò all'improvviso a rompere le uova nel paniere e ci trovò lì, a giocare al dottore. Ovvio che mi riconosci. "La fase di ricerca" disse "mi preoccupa meno del rinvenimento del Dei Gloria... In tal caso, e anche se simuliamo viaggi d'andata e ritorno, la nostra immobilità sarà più sospetta con il passare dei giorni" continuò rivolgendosi a Tanger. "... Non so, però, quanto tempo ci potrà portar via." "Nemmeno io." Risalendo calle del Aire erano arrivati alla taverna del Ma cho. I gradini della cuesta de la Baronesa si inerpicavano fino alle rovine della cattedrale vecchia e al teatro romano, tra imboccature di strade strette, quasi tutte ormai scomparse, ma il cui tracciato era ancora impresso nella memoria di Coy. Più oltre, il quartiere popolare di portuali e pescatori che ricordava addossato sotto il castello, con la biancheria stesa da balcone a balcone, aveva l'aria mezza diroccata, abitato da immigrati africani che guardavano, foschi o complici, dagli angoli. Statemi bene, paisà. Io appena arrivato da Marocco. C'erano gatti che scivolavano rasente i muri come commandos in piena incursione notturna, sotto grate antiche con fioriere. Dalle osterie vicine arrivava odore di vino e di acciughe fritte, e una puttana solitaria passeggiava in lontananza, come una sentinella annoiata, sotto il lampioncino che illuminava una nicchia con la Virgen de la Soledad. "Bisognerà prendere le misure al relitto e confrontarle con quelle delle piante" disse Tanger "per individuare la prua e la poppa. E poi setacciare il punto dove dovrebbe trovarsi la cabina del comandante... O ciò che ne resta." "E se è sepolta?" "In tal caso ce ne andremo e torneremo con i mezzi appropriati. " "Sei tu che comandi." Coy sfuggiva gli occhi del Secondo, che sentiva fissi addosso. "Tu sai cosa fare." La taverna del Macho non si chiamava più così, non odorava più di olive e di vino a buon mercato, ma conservava l'antico bancone, i barili di rovere scuro e l'aspetto di bottega stantia che ricordava Coy. Il Secondo beveva Fundador, e la donna nuda tatuata sul suo avambraccio sinistro si muoveva con lascivia ogni volta che tendeva i muscoli sollevando il bicchiere. Coy aveva visto quei tratti blu sbiadire con il passare del tempo. Il Secondo se l'era tatuata ancora giovanissimo, durante una visita del Canarias Pagina 163

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt a Marsiglia, e poi gli era venuta la febbre per tre giorni. Lo stesso Coy era stato lì lì per farsi un tatuaggio a Beirut, mentre navigava come terzo ufficiale sull'Otago: un serpente alato davvero bello, scelto tra i modelli che il tatuatore teneva esposti sulla parete. Ma già con il braccio nudo teso e l'ago sul punto di sfiorargli la pelle, ci aveva ripensato. Così aveva lasciato dieci dollari sul tavolo e se ne era andato con il braccio intatto. "C'è un altro intoppo" disse. "Nino Palermo. Probabilmente uno dei suoi è già qui per tenerci sotto controllo. Non mi stupirei se ci lasciasse cercare e saltasse fuori non appena ci imbattiamo nel relitto." Bevve un sorso di gin tonic, il bottiglia blu naturalmente, lasciandoselo scivolare, fresco e aromatico, giù per la gola. Il bagno notturno gli aveva lasciato come ricordo un retrogusto salato. "É un rischio che dobbiamo correre" disse lei. Teneva tra due dita, pollice e indice, il bicchiere di moscatello che aveva appena assaggiato. Coy la osservava da sopra il bordo del proprio bicchiere. Pensava alla 357 magnum. Aveva perquisito i suoi bagagli, imprecando sottovoce, senza trovarla. Era pronto a buttarla a mare, ma si era imbattuto solo in quaderni di appunti, occhiali da sole, biancheria, libri. C'era anche una scatola di assorbenti interni e una dozzina di slip di cotone. "Spero che tu sappia quel che fai." Aveva guardato il Secondo prima di rivolgersi a lei. Era meglio che il marinaio restasse all'oscuro della storia del revolver, perché non gli sarebbe piaciuto per niente navigare con il Carpanta fornito di artiglieria. Proprio per niente. "Ho sempre saputo quel che facevo" rispose Tanger, glaciale. "Voi preoccupatevi di trovare il brigantino e lasciate a me Palermo." Ha un asso nella manica, si disse Coy. La vipera ha un asso nella manica che conosce solo lei, altrimenti non sarebbe tanto sicura di sé quando tiriamo in ballo quel bastardo di un dalmata. Mi gioco la testa se non ha già preso in considerazione tutte le ipotesi possibili, quelle probabili e quelle pericolose. Il vero problema è sapere in quali figuro io. "C'è ancora una cosa" la clientela era scarsa e l'oste si trovava all'altro lato del bancone, ma abbassò comunque la voce prima di parlare " gli smeraldi." "Cosa c'entrano gli smeraldi?" Negli occhi del Secondo Coy lesse che l'amico pensava alla stessa cosa: se hai voglia di giocare a poker, evita di farlo con lei. Anche se sei un giocatore esperto. "Supponiamo di trovarli" rispose. "Di trovare il forziere. É vero quel che ha detto Palermo?... Che hai già pensato a do ve piazzarli? Dovranno essere puliti, o che ne so. Roba da specialisti. " Lei aggrottò la fronte. Guardava il Secondo di sottecchi. "Non credo sia il momento..." Coy serrò il pugno sul bancone. La sua irritazione aumentava, e questa volta non fece niente per nasconderla. "Stammi a sentire. Il Secondo c'è dentro fino al collo, come te e me. Si gioca la barca e può avere problemi con la giustizia. Bisogna assicurargli..." Tanger alzò una mano. A me probabilmente tremerebbe, pensò Coy. Di fatto, è un po' che mi prudono. E questa, invece... "La somma che ho pagato giustifica il vostro rischio, per il momento. Poi, con gli smeraldi, ce ne sarà abbastanza per accontentare tutti." Aveva calcato il "tutti", rivolta a Coy con durezza. Poi, mentre lui si domandava una volta di più con quanti pezzi lei avesse costruito il proprio personaggio, la donna si portò il bicchiere di moscatello alle labbra, bagnandole appena, e l'appoggiò sul bancone. Reclinava la testa come se stesse considerando l'opportunità di aggiungere Pagina 164

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt qualcos'altro. Veronica Lake, pensò Coy, ammirando la cortina asimmetrica che le nascondeva metà del volto -- Tanger aveva parlato del Mistero del falco -- o meglio Kim Basinger in L. A. Confidential, che aveva visto centinaia di volte nel video della cabina del Fedallah. O Jessica Rabbit, in Chi ha incastrato Roger Rabbit. In realtà non sono cattiva: mi disegnano così. "Quanto agli smeraldi" aggiunse Tanger dopo una pausa "posso dirvi che c'è un compratore. Gli ho parlato, come ha detto Palermo... Qualcuno si presenterà qui e si occuperà di tutto, non appena li avremo ripescati dal mare. Senza intermediari, né complicazioni." Fece un'altra pausa e con quello sguardo fisso lanciò a entrambi una sfida. "Con soldi abbastanza per tutti. " Non sarebbe stato così semplice, intuiva Coy guardandole le lentiggini. O per essere più precisi, sapeva che non sarebbe stato semplice. Si trovavano ancora nell'isola dei cavalieri e degli scudieri, e l'ultimo cavaliere era morto e sepolto da secoli. Il suo teschio mummificato conservava una smorfia perplessa, da coglione. "Soldi" ripeté meccanicamente, poco convinto. Si toccò il naso prima di consultare interrogativo il Secondo, che ascoltava con apparente indifferenza. Dopo un po' lo vide socchiudere gli occhi, in segno di assenso. "Sto invecchiando" osservò l'amico. "Il Carpanta non rende più di così, e non mi sono mai preoccupato del punteggio per la pensione... Mi potrei comprare una barchetta a motore, per portarci mio nipote a pescare, la domenica." Sorrideva quasi, massaggiandosi la faccia non rasata, coperta di peli grigi. Il nipote aveva quattro anni. Quando andavano a passeggio mano nella mano per il porto, il piccolo gli teneva scrupolosamente il conto delle birre che beveva, dietro ordine della nonna, e poi, giunti a casa, le faceva la spiata. Meno male che sapeva contare solo fino a cinque. "La comprerai la tua barchetta, Secondo" disse Tanger. "Te lo prometto." Aveva appoggiato una mano al suo avambraccio, con un gesto spontaneo. Un gesto di cameratismo, quasi maschile. Proprio sopra il tatuaggio sbiadito della donna nuda, pensò Coy. Come lo stridere di una chitarra scordata, le prime note di Lady be good facevano da sottofondo alle luci della città sui riflessi dell'acqua scura, tra la poppa del Carpanta e il molo. A poco a poco, l'arcaico swing delle corde del basso fu sommerso dal complicato attacco degli altri strumenti, le trombe di Killian e McGhee, gli assolo del piano di Arnold Ross e il sax di Charlie Parker. Coy ascoltava con estrema attenzione, con gli auricolari alle orecchie, osservando i puntini luminosi dell'acqua come se le note che invadevano la sua testa si materializzassero sulla superficie nera e unta. L'ottone di Parker, decise, sapeva di alcol, di maniche di camicia affumicate dal tabacco e di lancette di orologi piantate, come coltelli, nel ventre della notte. Quella melodia, come tutte le altre, sapeva di scalo a terra, di donne sole appoggiate a un bancone. Di sagome titubanti accanto a bidoni di immondizia, e anche di ncon rossi, verdi e blu che illuminavano mezze facce rosse, verdi e blu di uomini indecisi, sonnolenti e sbronzi. La vita semplice, tanti saluti e grazie, senz'altra complicazione che uno stomaco robusto -- non solo lo stomaco -- e una propensione alla legge del taglione. Non c'era tempo per far innamorare la principessa di Monaco, caspita! Com'è bella, signorina! Mi permetta di invitarla a prendere un tè, anch'io leggo Proust. Ecco perché Rotterdam, o Anversa, o Amburgo brulicavano di cinema porno, topless bar, madonne di seconda scelta, che attiravano i clienti dall'altra parte di vetrine con tende, gatti dall'aria filosofica che osservavano passare l'Equipaggio Sanders, a zigzag da un marciapiede all'altro, vomitando acquaragia etichetta nera in attesa del momento di essere rispediti al ronzio delle lamiere Pagina 165

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt d'acciaio, alle lenzuola stropicciate di una cuccetta, alla luce cinerea dell'alba che si infiltrava tra le tendine dell'oblò. Perepè. Dong. Perepè. Il sax di Charlie Parker continuava a sottolineare l'assenza di impegno, il carattere autistico dell'invenzione. Era come i porti dell'Asia, di Singapore e altri posti del genere, quando te ne stavi fuori, ormeggiato, girando intorno all'ancora, con la costa al di là del capo di banda su cui appoggiavi le braccia, in attesa della lancia con Mama San e le sue ragazze e i cinguettii da passerotti inquieti nel salire a bordo, aiutate dal terzo ufficiale, con Mama San che segnava con il gessetto la porta di ogni cabina, come un cameriere sulla tavola di marmo dell'osteria: una croce una ragazza, due croci due ragazze. Pelli di satin compiacenti e fragili, cosce flessuose, bocche obbedienti. No problem, marinaio, tanti saluti e a mai più. "Nessuno può dire di averlo fatto" dichiarava Torpediniera Tucuman "fintanto che non lo ha fatto qui con tre alla volta." Nessun marinaio aveva l'aria depressa quando l'Asia o i Caraibi restavano a prua, tra gli occhi di cubia. Al contrario: Coy 286 287 aveva visto piangere veri e propri marcantoni sulla rotta opposta, perché tornavano a casa. Sollevò lo sguardo verso l'orizzonte, all'altro lato del pontile. L'equipaggio di una barca a vela svedese cenava nel pozzetto, alla luce di un fanale intorno al quale svolazzavano farfalline notturne. Talvolta, nonostante la musica, gli arrivava una frase pronunciata a voce molto alta o una risata. Erano tutti biondi e giganteschi, taglia XXL, con ragazzini che durante il giorno passeggiavano nudi in coperta, incocciati con un moschettone al tientibene. Biondi, ricordò, come la pilota portuale del porto di Stavanger che aveva conosciuto quando il Monte Pequeno ci aveva passato due mesi, zavorrato. Era una bellezza nordica come se ne vedono nelle foto e nei film, grande e alta; una norvegese di trentaquattro anni con il grado di capitano della Marina mercantile, che dalla lancia era salita disinvolta a bordo per la scaletta, in alto mare, lasciando senza fiato tutti gli uomini che erano sul ponte, e poi aveva diretto la manovra dentro il fiordo in un inglese impeccabile, orientando i rimorchiatori con un walkietalkie che teneva al collo mentre don Agustin de la Guerra la guardava con la coda dell'occhio e il timoniere guardava lui. Stop her. Dead slow ahead. Stop her. A little push now. Stop. Dopo si era bevuta un bicchiere di whisky insieme al comandante e si era fumata una sigaretta, prima che Coy, all'epoca giovane addetto di ventidue anni, l'accompagnasse al portellone, atletica nei suoi pantaloni di tela e l'enorme giacca a vento rossa, sorridendogli prima di prendere il largo. So long, officer. Tre giorni più tardi se l'era ritrovata all'Ensomhet, mentre l'equipaggio della petroliera impazziva per quelle scandinave da sogno: un bar lussuoso e triste accanto alle case rosse del molo Strandkaien, pieno di uomini e donne per i quali far baldoria significava sbronzarsi per ore senza aprire bocca, come tonni, fino a prendersi una balla che neanche una calibro 9 parabellum. Era entrato nel bar per caso e lei, che stava con un norvegese barbuto e impassibile che sembrava essere appena sceso in licenza da un drakar vichingo, lo aveva riconosciuto come il ragazzo del portellone della petroliera. Il piccolo spagnolo, aveva detto in inglese. The shorty spanish boy. Poi aveva sorriso e gli aveva offerto da bere. Un'ora più tardi, mentre il vichingo impassibile doveva essere ancora appoggiato al bancone dello stesso bar, pensava Coy, lui, nudo, madido di sudore, sentendo l'aria fredda dell'alba che entrava da una finestra aperta sul fiordo e sulle cime nevose a picco sul mare, si avventava contro la solida presenza della donna, spalle larghe e cosce muscolose, occhi chiari che lo guardavano fissi dalla penombra, mentre le labbra, ogni volta che Coy le lasciava libere, emettevano strani sussurri in lingua barbara. Pagina 166

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Si chiamava Inga Horgen, e nei due mesi che il Monte Pequeno era rimasto a Stavanger, Coy, invidiato dall'intero equipaggio, dallo sguattero delle cucine fino al comandante, aveva trascorso con lei tutto il suo tempo libero. Ogni tanto bevevano birra e acquavite con il vichingo impassibile, che non si era mai opposto al fatto che, ogni notte, quando la donna si staccava dal bancone con gli occhi lucidi e un'andatura appena barcollante, lo shorty spanish boy sparisse in compagnia di quella valchiria, tre palmi più alta di lui. Insieme a lei aveva conosciuto Lyse Fijord e Bergen, il koldtbord, qualche parola intima in norvegese e certi utili segreti sull'anatomia femminile. Aveva anche imparato a convincersi di essere innamorato, e che non tutte le donne si prendono la briga, o la precauzione, di innamorarsi, prima. Aveva inoltre capito che a volte, quando uno si avvicina abbastanza e ci fa caso, la femmina con la maschera assente e gli occhi socchiusi che vagano persi sul soffitto, mentre tu ti fai largo nelle sue parti più intime, ha la faccia di tutte le donne del mondo. E infine, una notte che c'era stato un problema a bordo ed era sceso a terra più tardi del solito, lo shorty spanish boy era andato direttamente alla casa di tronchi neri e finestre bianche e ci aveva trovato il vichingo impassibile, ubriaco come al bancone del bar di sempre, con la differenza che stavolta era nudo. Lo era anche lei, e aveva guardato Coy con un sorriso fisso e indifferente, torbido d'alcol, prima di pronunciare parole che lui non aveva capito. Forse gli aveva detto vieni, o forse vattene. Allora aveva chiuso piano la porta e se ne era tornato alla nave. Dong, dong. Dong. Charlie Parker, che sfumava nel nulla, aveva lasciato il sax a terra e riposava esausto bevendo un bicchiere al bar o, più probabilmente, si faceva nel bagno riservato agli uomini. Ora spiccava solitario il pizzicato del basso di Billy Hadnott, che in quell'ultima parte era di nuovo padrone della melodia. Fu allora che il Secondo salì dal quadrato per unirsi a Coy, accomodandosi sull'altra sedia di tek fissata al giardinetto di poppa. Teneva in mano una bottiglia di cognac che si erano portati dalla taverna del Macho per finirla a bordo. Gliela offrì con un gesto, e quando Coy rifiutò con un cenno del capo, al ritmo della musica che si spegneva a poco a poco nelle sue orecchie, l'altro ne bevve un sorso prima di sistemarsela ben dritta in grembo. Coy spense il walkman e si tolse gli auricolari. "Che fa Tanger?" "Legge in cabina." I fari di San Pedro e di Navidad occhieggiavano dall'altro lato della banchina del molo, segnalando l'imboccatura del porto. Verde e rosso, fasci luminosi ogni quattordici e dieci secondi, luci familiari che per Coy erano sempre state lì, da quando aveva memoria. Guardò in alto, sopra i muri d'ombra che circondavano il porto. Sulle montagne, i castelli illuminati di San Julian e di Galeras sembravano sospesi nell'aria, come quadri di pittori antichi. Le luci della città uccidevano le stelle. "A che pensi, Secondo?" L'orologio del municipio batté undici rintocchi prima che l'altro rispondesse. "Sa quel che fa. O almeno si comporta come se lo sapesse... La domanda è se lo sai tu." Coy avvolgeva intorno al walkman il filo degli auricolari. Rivolgeva un mezzo sorriso al riflesso delle luci oleose sull'acqua. "Mi ha riportato in mare." Il Secondo restò a guardarlo. "Se è un pretesto. d'accordo" disse. "Ma non cercare di darla a bere a me." Bevve un altro sorso e passò a Coy la bottiglia. Questi se ne portò il collo alle labbra. " Te l'ho già detto: voglio contarle le lentiggini." Si puliva la bocca con il dorso della mano. "Contargliele tutte." L'altro non disse niente, limitandosi a recuperare la bottiglia. Una guardia notturna passò lungo il pontile, facendo risuonare le tavole del molo galleggiante. Scambiò un saluto con loro e proseguì per la sua strada. "Senti, Secondo. Noi uomini passiamo la vita ciondolando, un po' qui e un po' là... Finisce che invecchiamo e moriamo senza capire bene quel che succede. Pagina 167

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Ma loro sono diverse." Fece una pausa, stirandosi all'indietro sulla sedia, le braccia tese. Sfiorò con la testa la bandiera che pendeva flaccida dal pennone, accanto all'antenna a forma di fungo del GPS. La notte era talmente placida che quasi si potevano sentire le viti del balcone di prua mentre si arrugginivano. "Mi capita di guardarla e di pensare che sa cose di me che non so nemmeno io." Il Secondo sogghignava, la bottiglia in mano. "É la stessa cosa che dice mia moglie." "Parlo sul serio. Loro sono diverse. Lucide come se la lucidità fosse una malattia, capisci?" "No." "É come un'eredità genetica... Vale per tutte, anche per le più stupide." Il Secondo ascoltava attento, ci metteva tutta la sua buona volontà, ma dal movimento della testa leggermente reclinata in avanti si capiva che era scettico. A tratti lanciava un'occhiata intorno, al mare e alle luci della città, come in cerca di qualcuno che desse un senso a tutto ciò. "Se ne stanno zitte, a guardarci" riprese Coy. "Sono secoli che ci guardano, capisci?... Hanno imparato guardandoci." Tacque, e il Secondo con lui. Dalla barca degli svedesi giungeva l'eco delle loro voci, mentre sbarazzavano la tavola prima di andare a dormire. Poi, l'orologio del municipio batté il primo rintocco dei quarti. L'acqua era così liscia da sembrare solida. "Quella donna è pericolosa" si decise a dire il Secondo. "Come quel mare dove le navi rimanevano attraccate fino a marcire... " "Il mare dei Sargassi." "Sei stato tu a dirmi che è cattiva. Io mi limito a dire che è pericolosa. " Gli aveva passato ancora la bottiglia di cognac, e Coy la reggeva in mano, senza bere. "E lo stesso che ha detto Nino Palermo, Secondo. Che te ne pare? Il giorno che gli ho parlato a Gibilterra." Il Secondo fece spallucce. Aspettava, paziente. "Non so cosa ti ha detto." Coy ingollò un sorso. "Noi uomini siamo cattivi per stupidità, Secondo. Per pigrizia. Lo siamo per ambizione o per lussuria, o per ignoranza. Capisci?" "Più o meno." "Intendo dire che loro sono diverse." "Non sono diverse. Sono solo le superstiti." Coy restò zitto, sorpreso per la precisione dell'osservazione. "Palermo ha detto anche questo." Poi fece un cenno all'amico con la mano con cui reggeva la bottiglia, ma non aggiunse altro. Il Secondo si piegò per prenderla dicendo: "Troppi libri" Detto questo, bevve un ultimo sorso. Chiuse la bottiglia con il tappo e la lasciò sopraccoperta. Ora guardava Coy. Aspettando che smettesse di ridere. "Da cosa si sta difendendo?" domandò. Coy alzò le mani, evasivo. Come accidenti faccio, diceva quel gesto, a raccontartelo. "Lei lotta" disse "per una bambina che ha conosciuto anni fa. Una bambina protetta, sognatrice, che vinceva gare di nuoto. Che è cresciuta felice fino a quando la felicità è finita e ha capito che tutti moriamo soli... E adesso rifiuta di lasciarla morire." "E tu cosa c'entri in tutto ciò?" "Sto passando un brutto momento, Secondo." "Balle. Per questo c'è una soluzione, e non ha a che vedere con lei." Ha ragione, si disse Coy. In fin dei conti ne ho passati di brutti momenti e non me ne sono mai andato in giro a fare il cretino. Non più del solito. "Forse c'entra con le navi che passano di notte" disse. "Hai fatto caso? Te ne stai a murata e passa una nave di cui non sai nulla: nome, bandiera, dove sta andando... Pagina 168

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Vedi solo luci, e pensi che ci sarà qualcun altro appoggiato alla murata che in quel momento sta guardando le tue, di luci." "Di che colore sono le luci che vedi?" "Che differenza fa." Coy si stringeva nelle spalle, irritato. "Che ne so... Rosse, bianche." "Se sono rosse, l'altro ha la precedenza. Accosta a dritta." "Parlo per metafore, Secondo... Capisci?" Il Secondo non disse se capiva o meno. Il suo silenzio era eloquente, poco favorevole alle metafore di navi, di notti o di qualsiasi altra cosa. Non girarci intorno, diceva la sua laconicità. Sei infoiato, e basta. Prima o poi tutto finisce per passare di lì. La causa è affar tuo, a preoccuparmi sono le conseguenze. "E cosa hai intenzione di fare?" domandò alla fine. "Fare?" Coy si toccò il naso. "Non ne ho la più pallida idea... Starmene qui, credo. Osservarla." "Allora ricordati il detto: né donna né tela a lume di candela." Ciò detto, il Secondo sprofondò in un altro silenzio scontroso. Osservava le luci del porto nell'acqua oleosa. "Peccato per la tua barca" aggiunse da lì a un minuto. "Là era tutto a posto. A terra ci sono solo problemi." "Mi sono innamorato di lei." L'altro si era alzato. Scrutava il cielo, come a interrogarlo sul tempo che avrebbe fatto l'indomani. "Ci sono donne" disse come se non avesse sentito niente "che hanno la testa piena di sciocchezze, come altre hanno la gonorrea. E finisce che se ne vanno e te l'attaccano." Si era piegato per prendere la bottiglia e nell'alzarsi le luci della città gli illuminarono gli occhi, vicinissimi. "Chissà" disse "che non sia colpa tua." Con la faccia solcata dalle rughe e i capelli corti inargentati dalla penombra, sembrava un Ulisse stanco, indifferente alle sirene come alle arpie, alle ragazzine adolescenti in agguato su spiagge tentatrici, agli sguardi torbidi, ora o mai più, dispettosi o indifferenti. Improvvisamente Coy lo invidiò con tutte le sue forze: con gli anni che aveva, era difficile che una donna potesse privarlo della vita o della libertà. 12. Sudovest quarta a sud. Questo percorso differisce da quelli di terraferma per tre cose: quello della terra è compatto, questo è fluido. Quello della terra è calmo, questo è agitato. Quello della terra segnalato, quello del mare, ignoto. M. CORtes, Breve compendio en la esfera. All'alba del quarto giorno il vento, che aveva soffiato dolcemente da ovest, cominciò a virare a sud. Inquieto, Coy guardò l'oscillazione dell'anemometro, poi il cielo e il mare. Era un giorno anticiclonico convenzionale, d'inizio estate. Tutto sembrava apparentemente tranquillo, l'acqua increspata e il cielo blu, con qualche cumulo, ma si potevano notare cirri medi e alti che si spostavano in lontananza. Anche il barometro aveva la tendenza a scendere: tre millibar in due ore. Al risveglio, dopo essersi tuffato nell'acqua azzurra e fredda e aver ascoltato il bollettino meteorologico, aveva segnato sul quaderno del tavolo da carteggio la formazione di un centro di bassa pressione che si spostava a cuneo dal Nord Africa, vicino a un'alta pressione da 1012 immobile sulle Baleari. Se le isobare dell'una e dell'altra si fossero avvicinate troppo, i venti avrebbero soffiato forte dal mare, e il Carpanta sarebbe stato costretto a rifugiarsi in porto e a interrompere la ricerca. Disinserì il pilota automatico, impugnò il timone e fece accostare la barca di centottanta gradi. La prua puntò di nuovo verso nord, verso la costa illuminata dal sole, sotto la falda scura del Cabezo de las Viboras, cominciando a esplorare il settore che, sulla carta di ricerca, era segnato come frangia numero 43. Stava a significare che il Pathfinder aveva coperto già metà dell'area, senza risultato. L'aspetto positivo era che così si escludeva il settore con fondale profondo, dove le immersioni sarebbero state complicate. Pagina 169

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Coy guardò dal lato di sinistra verso Punta Percheles, dove un peschereccio calava le reti talmente vicino a terra che sembrava intenzionato a raccogliere le conchiglie della spiaggia. Calcolò rotta e distanza, concludendo che non si sarebbero avvicinati troppo l'uno all'altro, anche se l'erratico comportamento dei pescatori era imprevedibile. Poi lanciò un altro sguardo al cielo, inseri il pilota automatico e scese nel quadrato, dove il monotono ronzio del motore situato sotto la scala si faceva più intenso. "Frangia 43" disse. "Direzione nord." Il sole era allo zenit, e faceva caldo anche con gli oblò aperti. Seduta al tavolo da carteggio, vicino alla sonda, al radar e al ricevitore del sistema GPS che permetteva di determinare via satellite l'esatta posizione sul pianeta, Tanger controllava lo schermo con l'aria di una studentessa diligente, annotando latitudine e longitudine ogni qual volta il fondale presentava qualche irregolarità. Coy guardò l'indicatore di profondità e velocità: trentasei metri, due nodi e due. Man mano che il Carpanta seguiva la rotta tracciata dal pilota automatico, sullo schermo del Pathfinder si modificava il disegno preciso del fondo. Si erano dati il cambio per il tempo sufficiente a riconoscere, senza troppe difficoltà, i diversi toni che lo strumento attribuiva alle caratteristiche del fondo: arancio chiaro erano sabbia e fango, arancio scuro alghe, rosso chiaro indicava sassi sparsi e pietrisco. I banchi di pesci formavano macchie mobili color mattone con punte verdi e bordi azzurrognoli. Le irregolarità importanti, massi sparsi, compresi i resti metallici di un peschereccio affondato e segnalato sulle carte, venivano evidenziate a forma di colline appuntite color rosso intenso. "Niente" disse lei. Sabbia e alghe, indicava lo schermo. Solo in un paio di casi l'eco si era fatta rosso sangue, con creste evidenti sul rilievo sottomarino, echi duri a profondità rispettivamente di quarantotto e quarantatré metri. Non potevano aspettare lì; così annotarono le posizioni per tornare la mattina dopo, di buon'ora, dopo aver trascorso la notte, come al solito, alla fonda tra Punta Negra e la Cueva de los Lobos. Coy soffriva ancora i postumi di un raffreddore, ricordino del tuffo, leggero ma sufficiente a impedirgli di compensare la pressione nei timpani e alle tempie. Pertanto fu il Secondo a indossare la sua muta rammendata di neoprene nero e a lasciarsi cadere in mare, la bombola d'aria compressa sulla schiena, giubbetto autogonfiabile, coltello fissato al polpaccio destro e un cavo di cento metri legato a un passante in vita. Coy rimase sopra, nuotando in superficie, con pinne, tubo e maschera, controllando la traccia di bollicine che saliva dall'arcaico riduttore Snark Silver m, con doppia frusta di caucciù, che il Secondo si intestardiva a usare, perché non si fidava della plastica moderna e gli aggeggi di una volta, diceva, non ti lasciavano mai nelle pesti. Gli echi del fondale, li informò riemergendo, provenivano da una roccia enorme con resti di reti impigliati e da tre grandi bidoni metallici, coperti di ruggine e di alghe. Su uno di essi si poteva ancora leggere il nome del Campsa. Da sopra la spalla di Tanger, Coy guardò il profilo piatto del fondale che stava tracciando la sonda, mentre lei teneva gli occhi fissi sullo schermo a cristalli liquidi, la penna d'argento tra le dita, la carta quadrettata davanti a sé, le braccia chiazzate di puntini sotto le maniche corte della maglietta di cotone bianco, la schiena madida di sudore. Il rollio della barca faceva oscillare, come sempre, le punte umide dei suoi capelli, che teneva legati con un foulard stretto sulla fronte. Indossava calzoncini color cachi e aveva le gambe incrociate sotto il tavolo. Seduto in fondo al quadrato, accanto a un oblò che gli disegnava una macchia di sole danzante tra i corti ricci grigi, il Secondo ammanigliava un amo nella lenza, con un fiocco artigianale che aveva appena costruito utilizzando qualche frammento di una drizza. Ogni tanto alzava gli occhi dal lavoro e li guardava. "Può darsi che cambi il tempo" disse Coy. Senza staccare gli occhi dallo schermo, Tanger domandò se in quel caso sarebbero Pagina 170

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt stati costretti a interrompere la ricerca. Coy rispose che era probabile. Se il vento avesse cominciato a soffiare forte o se ci fosse stata una potente mareggiata, la sonda avrebbe emesso eco fasulle. Inoltre se la sarebbero vista brutta, a ballare lì fuori. Se fosse successo, la cosa migliore sarebbe stata aspettare ad Aguilas o a Mazarron. Oppure tornare a Cartagena. "Cartagena è a venticinque miglia da qui" disse lei. "Preferisco restare in zona." Pendeva dal Pathfinder e dalla carta quadrettata. Anche se facevano turni all'ecoscandaglio, era lei a passare la gran parte del tempo osservando le curve e i colori che si susseguivano sullo schermo, fintanto che gli occhi arrossati non si iniettavano di sangue e doveva cedere il posto. Quando lo sciabordio delle onde si faceva più intenso, si alzava pallida, i capelli incollati al viso per il sudore e con evidenti segni che il rollio e il ronzio costante del motore a gasolio la disturbavano più del normale. Ma non diceva una sola parola, non si lamentava mai. Si sforzava, controvoglia, di mangiare un boccone, poi spariva dai loro occhi diretta in bagno, dove si sciacquava il viso prima di stendersi un attimo nella cabina. La scatola di Xamamina, osservò Coy, aveva sempre più spazi vuoti. Altre volte, dopo aver concluso una serie di frange o quando tutti erano ormai troppo stanchi del calore e del rumore costante, fermavano la barca e lei si tuffava in mare dalla poppa, nuotando lontano, in linea retta, con lunghe bracciate a crawl, lente e sicure. Nuotava con ritmo e respirando in modo corretto, senza sollevare inutilmente l'acqua con i piedi, tagliandola con i palmi delle mani, a mo di coltello, una bracciata dopo l'altra. Capitava che anche Coy si tuffasse per percorrere un tratto insieme a Tanger, ma lei faceva in modo, fingendo che fosse per caso, di tenersi a distanza. Talvolta la vedeva immergersi tra due onde, con ampi movimenti delle braccia e i capelli ondeggianti, vicino a banchi di pesci che si aprivano al suo passaggio. Nuotava con un costume intero, nero e con spalline sottili, che le donava molto, con una profonda scollatura dietro a tagliare a V la sua schiena color bronzo. Poi risaliva a bordo per la scaletta di poppa e si asciugava con cura, scrollando i capelli che le gocciolavano sulle spalle. Aveva gambe lunghe e snelle, forse un tantino magre -- troppo alta e secca, aveva giudicato il Secondo in disparte. I seni non erano grandi, ma arroganti, come lei. Quando si toglieva il costume nella cabina e aveva il corpo bagnato, i capezzoli imprimevano sul cotone della maglietta cerchi di umidità che, evaporando, lasciavano una traccia di sale. E finalmente Coy riuscì a scoprire cosa pendeva dalla catenella che portava al collo: una piastrina di riconoscimento in acciaio, con il suo nome, il numero della carta d'identità e il gruppo sanguigno. Zero negativo. Una piastrina da soldato. La sonda registrò un'alterazione nel tono rossastro del fondale e Tanger si piegò ad annotare latitudine e longitudine. Ma si trattava di un falso allarme. Si buttò ancora indietro, sul sedile del tavolo da carteggio, la matita tra le dita dalle unghie mordicchiate che ora, durante le lunghe guardie, non smetteva di tormentare con i denti. Aveva sempre quell'aria severa, concentrata, da prima della classe, che Coy si divertiva a osservare. Spesso, vedendola assorta sul blocknotes, sulla carta e sullo schermo. cercava di immaginarla con calzini bianchi, uniforme e trecce bionde. Era certo che prima di nascondersi nei bagni a fumare sigarette e a rivolgersi insolente alle monache, prima di sognare il tesoro di Rakam il Rosso, carte sferiche e prede di navi corsare, avesse vinto il premio da scolara modello. Non era difficile immaginarsi la sua espressione ostinata mentre recitava rosarosae, SO, H, in un qualche borgo della Mancha con tutto il corredo del caso. Anche i fiori alla Madonna. Si appoggiò al tavolo, vicino a lei, per guardare i quadretti in cui aveva suddiviso l'area di ricerca segnata sulla carta. Pagina 171

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Sulla paratia la radio gracchiava a basso volume, sintonizzata in dual watch: una fregata della Marina chiedeva ormeggiatori e gli ormeggiatori non saltavano fuori. Ogni tanto, marinai ucraini o pescatori marocchini facevano lunghe tirate nelle rispettive lingue. Il proprietario di un peschereccio si lamentava perché un vapore gli aveva tagliato i palangari. Una lancia della guardia civil era bloccata da un'avaria del ponte nel porto di Tomas Maestre. "Potremmo perdere due o tre giorni" disse Coy. "In realtà abbiamo tempo in abbondanza." Lei si stava appuntando qualcosa. Si bloccò, la matita a mezz'aria, a pochi millimetri dalla carta. "Niente affatto. Abbiamo bisogno di tutto il tempo, fino all'ultimo minuto." Il tono era severo, quasi di rimprovero, e Coy tornò a provare una sorda irritazione. Un par di palle: alla meteorologia cosa gliene frega se ci servono tutti i minuti. "Se arriva il vento forte, non potremo lavorare" spiegò. "Il mare sarà mosso e l'ecoscandaglio inutilizzabile." La vide aprir bocca, pronta a replicare, ma poi si morse le labbra. Adesso la matita tamburellava sulla carta. Sulla paratia, accanto al barometro, due orologi segnavano l'ora locale e l'ora del meridiano di Greenwich. Lei rimase a guardarli, poi consultò l'orologio d'acciaio che portava al polso destro. "Quando succederà?" Coy si toccò il naso. "Difficile dirlo... Forse stanotte. O domani." "Allora, per adesso andiamo avanti così." Riprese a concentrarsi sullo schermo del Pathfinder, chiudendo il discorso. Coy alzò gli occhi e incrociò lo sguardo del Secondo. Tu, dicevano gli occhi cerulei. Sei tu che lo vuoi. Era uno sguardo canzonatorio, e Coy lo evitò con il pretesto di salire in coperta. Lì si mise a osservare di nuovo il cielo, in lontananza, dove le nuvole alte mostravano striature fibrose e sfilacciate come code di cavalle bianche. Magari, pensava, il tempo peggiorasse davvero, si alzasse la mareggiata e soffiasse un levante assassino, e fossimo costretti ad andarcene da qui a tutta birra, intanto che lei finisce la sua Xamamina, magari potessi vederla sputare il fegato fuori bordo. Quella vipera. Le previsioni erano esatte, almeno in parte. Tanger non finì la Xamamina, ma il giorno dopo il sole brillò per breve tempo in un alone di nubi rossastre che poi si fecero scure e grigie, e il vento girò a sudest sollevando onde increspate sul mare. A mezzogiorno la mareggiata era fastidiosa, la pressione era scesa di altri cinque millibar e l'anemometro indicava forza sei. E proprio a quell'ora, dopo aver annotato puntigliosamente l'ultima posizione dell'area di ricerca quadrettata sulla carta -- frangia 56 -- il Carpanta navigava con una mano di terzaroli nella randa e l'altra nel genoa, murato a sinistra, diretto al porto di Aguilas. Coy aveva disinserito il pilota automatico e governava a mano, sudovest quarta a sud sulla bussola giroscopica e il macigno di Cabo Cope sullo sfondo grigio dell'orizzonte, le gambe divaricate per contrastare lo scarroccio, sentendo nelle caviglie della ruota del timone la pressione della pala nell'acqua e la forza del vento nelle vele, con il poderoso beccheggio della barca nel fendere le onde. Sopra la bussola, l'anemometro segnava ventidue, ventiquattro nodi di vento reale. A volte la prua del Carpanta investiva una cresta, e una violenta spruzzata di acqua marina saltava fino al pozzetto, riempiendo di schiuma il parabrezza. Sapeva di sale e di mare, e il sibilo saliva di ottava in ottava tra il sartiame, facendo risuonare le drizze contro l'albero a ogni beccheggio. Era evidente che Tanger non aveva bisogno della Xamamina. Stava seduta sull'orlo rialzato del pozzetto con le gambe all'infuori, sul fianco sopravvento, indossando i calzoni impermeabili rossi che le aveva prestato il Secondo, e si vedeva che la navigazione la divertiva. Pagina 172

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Con grande stupore di Coy, non si era mostrata nemmeno troppo contrariata quando il vento li aveva costretti a interrompere la ricerca; sembrava quasi che negli ultimi giorni si fosse meglio adattata alle vicissitudini del mare. acquisendo il fatalismo tipico del marinaio, la cui sorte è mutevole. Sul mare, se non si poteva, non si poteva; anzi, era davvero impossibile. Ora, lì seduta, l'ampia pettorina, le larghe bretelle, la maglietta, il foulard intorno alla fronte, i piedi nudi le conferivano un aspetto stravagante, e Coy faticava a staccarle gli occhi di dosso per riuscire a badare alla rotta e alle vele. Poggiato al pozzetto, al coperto, il Secondo fumava tranquillamente. Ogni tanto, dopo avere osservato per un po' Tanger, Coy scopriva gli occhi dell'amico fissi su di lui. Cosa vuoi che ti dica, rispondeva in silenzio. Le cose stanno così, c'è poco da fare. L'anemometro segnò venticinque, ventinove nodi, e una raffica irrigidì la presa del timone tra le mani di Coy. Forza sette. Vento forte, ma non troppo. Il Carpanta aveva affrontato burrasche a forza nove, con quarantasei nodi che ululavano tra il sartiame e onde di sei metri corte e rapide. Come la volta in cui lui e il Secondo erano stati costretti a percorrere venti miglia con mare in poppa e senza vela perché anche il fiocco di fortuna si era strappato. Nonostante il motore, avevano passato l'imboccatura di Cartagena deviando al pelo, a soli cinque metri dai massi, e una volta ormeggiati, il Secondo si era inginocchiato con grande serietà a baciare la terra. In confronto, ventinove nodi non erano poi gran cosa. Ma quando Coy guardava in alto, verso il cielo grigio sopra l'albero oscillante, vedeva i cirri alti avanzare da sinistra rispetto al vento che soffiava a livello del mare, e verso levante vedeva formarsi una striscia di nuvoloni scuri, dall'aria minacciosa, bassi e compatti. Ecco da dove arriverà il vento. tra poco. Meglio tenere gli occhi bene aperti. "Prendo un'altra mano di terzaroli, Secondo." Lo disse mentre l'amico osservava la randa, sapendo bene che stavano pensando la stessa cosa. Ma il Secondo era il padrone a bordo e certe decisioni spettavano a lui. Per questo Coy aspettò fintanto che gli vide fare un cenno con la testa, buttare il mozzicone sottovento e alzarsi in piedi. Avviarono il motore per dirigere la prua al mare e al vento, con il genoa che sventolava con un terzo della vela arrotolato sullo strallo. Tanger prese il timone, mantenendo la rotta, e mentre il Secondo cazzava il boma al centro e poi allentava la drizza della randa, lasciandola cadere per ripiegarla fino al secondo terzarolo, Coy si mise qualche matafione in tasca, ne strinse uno tra i denti e si portò fino al piede d'albero, cercando di evitare che il violento beccheggio della barca lo spedisse in acqua per la seconda volta nella stessa settimana. Arrivato lì, tenendosi con le ginocchia contro il parabrezza, infilò l'occhiello del secondo terzarolo nel gancio da sopravvento. Poi, quando il Secondo lo tese un'altra volta, Coy si spostò verso poppa cercando di procedere al ritmo della barca, e passò un matafione per ogni occhiello della vela, annodandoli sotto il boma per inferire la tela eccedente. Fu allora che un grosso spruzzo irruppe sopraccoperta, inzuppandogli la schiena, e Coy saltò con un balzo verso il pozzetto, vicino a Tanger. I loro corpi, barcollando, si scontrarono, e per non cadere Coy fu costretto ad aggrapparsi al timone, con lei in mezzo, cingendola in un involontario abbraccio. "Puoi lasciare andare, adesso" le disse. "Lascialo cadere a poco a poco sottovento." Il Secondo li guardava divertito, addugliando la drizza della randa. Lei ruotò le caviglie del timone a dritta e le vele smisero di fileggiare. Appena prima che il Carpanta prendesse velocità, il mare lo colpì di traverso, facendo oscillare l'albero e rabbrividire Tanger, ancora stretta tra le braccia e il petto di Coy, che la aiutava a trovare il giusto giro di ruota. Infine la roccia di Cabo Cope, grigia tra le nubi basse, si trovò di nuovo sulle mure di dritta, sotto la vela spiegata del genoa, e l'ago del solcometro si stabilizzò sui cinque nodi. Pagina 173

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt In quel momento uno spruzzo più forte dei precedenti andò a frangersi sui loro volti, sulle mani, sugli abiti, inzuppandoli. E Coy notò che l'acqua fredda faceva venire la pelle d'oca sul collo e sulle braccia nude di Tanger che, voltandosi verso di lui, più vicina che mai, sorrideva in modo strano, molto felice e molto dolce, come se per una qualche ragione lo stesse ringraziando. Gli schizzi d'acqua moltiplicarono all'infinito le macchie sul suo volto, e lei teneva la bocca socchiusa come sul punto di pronunciare parole che certi uomini aspettano di sentire da secoli. Sulla terrazza del ristorante, una tettoia di legno, canne, gesso e foglie di palma provenienti da due piante che crescevano sulla spiaggia, l'orchestra suonava musica brasiliana. Erano due ragazzi e una ragazza che imitavano dignitosamente Vinicius de Moraes, Toquinho e Marilia Medalha. Il loro modo di cantare bastava a far muovere qualche cliente al ritmo della melodia. La ragazza, una mulatta piuttosto bella, con gli occhioni e la bocca da africana, batteva ritmicamente sui bonghi e intanto cantava guardando negli occhi il chitarrista, un giovanotto barbuto e sorridente: A tonga da mironga do kabuleté. Sui tavoli c'erano caipirinha e rum, e palme in riva al mare. Coy si sorprese a pensare che la scena poteva svolgersi a Rio o a Bahia. Guardò all'altro capo della balaustra di legno che dava sulla spiaggia, dove ancora riusciva a scorgere il Secondo che si allontanava in direzione del porticciolo, il cui boschetto di alberi si innalzava un po' più in là, dietro una piccola banchina. In fondo all'insenatura, al di sopra dell'alta roccia che proteggeva i moli e il mercato del pesce, il castello di Aguilas era cinto da un pennacchio grigio che il calare della sera rendeva più scuro. All'estremo opposto, la mareggiata irrompeva sulla punta di terra e sull'isola la cui forma dava il nome al porto, ma il vento era ormai cessato e una pioggerella sottile donava nuovi toni alla sabbia grigio scuro della spiaggia, dove l'acqua era calma. Proprio allora vide accendersi il faro principale, con la torre dipinta a strisce bianche e nere ancora visibile nella luce calante, e rimase a osservarla fino a quando riuscì a stabilirne la frequenza: due lampi bianchi ogni cinque secondi. Quando si voltò di nuovo verso Tanger, lei lo stava guardando. Lui aveva chiacchierato, raccontandole una storia a caso che parlava di musica e di spiagge. Aveva cominciato a narrarla senza troppa convinzione, per riempire un silenzio scomodo, dopo che il Secondo aveva bevuto il suo caffè e si era accomiatato, lasciandoli uno di fronte all'altra, con la musica e l'ultimo chiarore grigiastro che si spegneva piano nella baia. Tanger sembrava in attesa che lui riprendesse a narrare, ma la storia era finita già da un pezzo e Coy non sapeva più cosa inventare per spezzare il silenzio. Per fortuna c'era la musica, le voci della ragazza e dei suoi accompagnatori, l'atmosfera della melodia resa più intensa dalla vicinanza della spiaggia e dalla pioggia che sussurrava tra le foglie di palma del tetto. Poteva tacere senza farsi violenza, quindi allungò una mano al bicchiere di vino bianco e se lo portò alle labbra. Tanger sorrise. Muoveva leggermente le spalle al ritmo della musica. Era passata ormai da un pezzo alla caipirinha, e la bevanda le brillava nelle iridi blu marino che teneva fisse su Coy. "Cosa guardi?" " Ti osservo. " Lui si voltò di nuovo verso la spiaggia, a disagio, e poi versò altro vino nel bicchiere, anche se era quasi colmo. Gli occhi erano sempre lì e lo scrutavano. "Raccontami" disse lei "cos'è cambiato nel mare." "Non ho detto niente del genere." "Sì, invece. Spiegami perché adesso è diverso." "Non adesso. Era già diverso quando ho cominciato a navigare." Lo guardava sempre con attenzione: sembrava davvero interessata. Indossava la gonna lunga di cotone blu e una blusa bianca che metteva in risalto l'abbronzatura degli ultimi giorni. I capelli erano serici e puliti, una semplice cortina dorata; quel pomeriggio Pagina 174

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt l'aveva vista mentre li lavava. Per l'occasione aveva sostituito l'orologio da uomo con un bracciale a sette cerchi d'argento, che adesso risplendevano al lume di una candela infilata nel collo di una bottiglia, a un angolo del tavolo. "Vuoi dire che il mare ormai è inutile?" "Non è nemmeno questo." Coy fece un gesto vago. "Non è inutile. Il fatto è che... Be. Non è facile tenersi alla larga." "Alla larga da che?" "C'è il telefono, il fax, Internet... Ti iscrivi all'accademia perché... Non so. Perché vuoi andartene fuori, conoscere un sacco di posti, un sacco di porti, e un sacco di donne..." I suoi occhi vagarono fino a posarsi sulla cantante mulatta. Tanger seguì la direzione del suo sguardo. "Hai conosciuto molte donne?" "Be, adesso non ricordo." "Molte puttane?" Le piantò in faccia uno sguardo irritato. Come ti piace il tuo giochetto del cavolo, pensava. Adesso aveva davanti un paio di occhi d'acciaio brunito che lo guardavano, implacabili. Sembravano divertiti, e tuttavia incuriositi. Si sfiorò il naso. "Qualcuna" rispose. Tanger studiò di traverso la cantante. "Nere?" Coy bevve un sorso di vino d'un fiato, vuotando il bicchiere per metà. Lo poggiò sul tavolo facendo un gran rumore. "Sì" disse. "Nere. E cinesi. E meticce... Come diceva Torpediniera Tucuman, il meglio delle puttane è che pretendono dollari, non conversazione." Tanger non sembrava arrabbiata. Guardò ancora la cantante. Sorrideva pensierosa, e lui trovò quel sorriso tutt'altro che piacevole. "E come sono le nere?" Stava osservando i forti avambracci di Coy, nudi sotto i polsini rivoltati della camicia. Lui la osservò per qualche secondo e poi si buttò indietro, appoggiandosi allo schienale della sedia. Si sforzava di farsi venire in mente una volgarità adatta all'occasione. "Non so che dirti. Certe hanno la fica rosa." La vide sbattere gli occhi e rimanere a bocca aperta. Per un attimo avvertì, con un maligno moto di soddisfazione, che il sorriso sembrava sconcertato. Touchée, stronzetta. Poi si scontrò ancora con lo sguardo sereno, la smorfia ironica, il metallo blu marino che rifletteva la luce della candela. "Perché ti piace recitare la parte del rozzo, del duro?" "Non recito affatto" disse, e bevve il vino che restava nel bicchiere. Lo fece prendendosi tutto il tempo, poi scrollò per qualche secondo le spalle. "Uno può essere rozzo, può essere duro e può anche essere idiota... In quella tua isola, tutto sembra compatibile." "E hai deciso se sono un cavaliere o uno scudiero?" Ci pensò su, toccando il bicchier'e vuoto. "A dire il vero" disse "tu non sei altro che una maledetta strega malefica." Non si trattava di un insulto, ma di un'osservazione. L'enunciazione di una circostanza oggettiva, che lei incassò senza muovere un solo muscolo della faccia. Lo guardava così fisso che Coy finì per chiedersi se stesse guardando veramente lui. "Chi è Torpediniera Tucuman?" "Chi era." "Chi era Torpediniera Tucuman?" Dio santo, pensò. Hai la scorza dura, e sei sveglia. Oh, se sei sveglia. Poi si appoggiò di nuovo con i gomiti sul tavolo e scosse la testa, come se ridesse tra sé. Una risata rassegnata, che si portò via la rabbia proprio come il vento dissipa la nebbia. Quando alzò gli occhi vide che Tanger lo stava ancora guardando, ma la sua espressione era diversa. Pagina 175

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Sorrideva anche lei, ma il sarcasmo era completamente scomparso. Era un sorriso franco. Niente di personale, marinaio. E lui sapeva che in fondo era vero: niente di personale. Allora ordinò alla cameriera un gin tonic con il bottiglia blu, e poi assunse un'aria da cantastorie, da Popeye che rievoca i propri ricordi davanti a un bicchiere. Quelle notti con Olivia eccetera. E poiché era proprio di quello che si trattava, e lei aspettava, e non c'era bisogno di inventare niente perché c'era già tutto nella sua memoria, sistemò sulla tovaglia il proprio personaggio, lasciandolo correre sul filo di rimembranze al sapore di gin tonic. E parlò di Torpediniera, dell'Equipaggio Sanders, del cavallino da circo che una notte avevano rubato in un luna park di New Orleans, dell'Anitas di Guayaquil, dell" Happy Landers di El Callao e del bordello più australe del mondo, ossia il bar La Turca di Ushuaia. Della rissa a Copenaghen, di un'altra con la polizia di Trieste, quando Torpediniera e il Galiziano Neira si erano dati insieme alla fuga dopo aver spaccato la faccia a un poliziotto, vi prego, gambe, non fregatemi proprio ora, e Coy appeso come al solito in mezzo a loro, uno per braccio, che muoveva i piedi in aria senza toccare terra, e così si erano portati in salvo sulla nave. E poi parlò a Tanger, che ascoltava attentissima e china sul tavolo, della battaglia più favolosa che porto del mondo avesse mai visto: quella del rimorchiatore di Rotterdam, che portava marinai e stivatori da molo a molo e da nave a nave, seduti su lunghe panche, quando uno stivatore olandese ubriaco fradicio era caduto addosso a Torpediniera, e la lite si era propagata come la fiamma su una miccia di polvere da sparo -- "Viva Zapata" gridava il Galiziano Neira -- e ottanta uomini pieni di alcol si erano presi a pugni di sotto, nella sala grande; Coy era salito in coperta a prendere una boccata d'aria, e ogni tanto Torpediniera si affacciava a un oblò, respirava e si ributtava nella mischia. Tutto aveva avuto fine con il rimorchiatore che trasportava, come vele ammainate, marinai e stivatori privi di sensi, gonfi di botte e puzzolenti d'alcol, e li buttava come fagotti un po' qui e un po' là, ognuno sul suo molo e sulla sua nave, proprio come un distributore automatico di bibite in lattina. "Bibite in lattina" ripeté. Poi tacque, un sorriso vago dipinto sulle labbra. Tanger se ne stava buona buona, come se temesse di far crollare un castello di carte. "Cos'è cambiato, Coy?" "Tutto." Il sorriso era sparito, bevve un sorso, e l'aroma del gin gli colò in gola, come un analgesico. "Non esiste più il viaggio, perché di navi vere ne sono rimaste poche... Adesso una nave è come un aereo: non viaggi, ti trasportano da X a Y." "E prima era diverso?" "Certo. La solitudine del viaggiatore era ancora possibile: ti trovavi tra X e Y, sospeso in un intervallo, e il tragitto era lungo... Avevi poco bagaglio e non ti importava il distacco." "Il mare è sempre il mare. Ha i suoi segreti, insidie nascoste. " "Ma non come prima. Adesso è un po' come arrivare in ritardo su un molo vuoto, e vedere il pennacchio del fumaiolo che sparisce dietro l'orizzonte... Quando sei allievo, usi il vocabolario appropriato, sinistra, dritta eccetera. Cerchi di conservare le tradizioni, ti fidi del comandante come da bambino credevi in Dio... Ma non funziona più... Io sognavo di avere un bravo comandante, come McWhirr di Tifone. E di diventarlo anch'io, un giorno." "Chi è un bravo comandante?" "Uno che sa cosa sta facendo. Che non perde mai la testa. Che sale sul ponte quando sei di guardia e vede una nave che ti chiude a un fianco, e anziché dire di mettere tutto a dritta per non sbatterci contro, tace e ti guarda e aspetta che tu faccia la manovra corretta." "Ne hai incontrato qualcuno?" Coy fece una smorfia. Bella domanda. Scorse nella propria mente le pagine di un album di fotografie sbiadite, schizzate di acqua di mare. C'erano anche schizzi di merda. "Ho incontrato di tutto" disse. "Sciagurati, ubriachi, vigliacchi e anche Pagina 176

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt persone fantastiche. Però mi sono sempre fidato di loro. Nella mia vita, fino a qualche tempo fa, la parola "comandante" mi ha sempre ispirato rispetto. Ti ho già detto che l'associavo con il comandante di cui scrive Conrad: "La tempesta aveva incrociato quell'uomo silenzioso e riuscì a strappargli solo qualche parola" Ricordo una burrasca di maestrale, la prima della mia vita, nel golfo di Biscaglia, con onde gigantesche che coprivano la prua del Migalota e arrivavano fin sul ponte. Avevamo boccaporti McGregor con problemi di guarnizioni che non tenevano, entrava acqua a ogni maroso, e il carico era di minerale, che bagnandosi si sposta facilmente... Ogni volta che affondavamo la prua nell'acqua sembrava che non sarebbe più risalita, il comandante, don Gines Saez, che stava aggrappato alla ruota del timone, mormorava "Oddio" sottovoce, tra i denti... Sul ponte c'erano quattro o cinque persone, ma io, che ero al suo fianco, ero l'unico che riusciva a sentirlo. Nessun altro se ne rese conto. E quando, vedendomi con la coda dell'occhio, si accorse che gli ero vicino, non aprì più bocca." I tre artisti avevano finito la loro esibizione e si accomiatavano tra gli applausi. Li sostituì un nastro di musica registrata, che arrivava dalle casse appese al soffitto. Una chitarra fece sentire i primi accordi. Qualche coppia salì in pista. "Te ne vai perché voglio che tu vada." Bolero. Per una frazione di secondo ebbe la tentazione di invitarla a ballare. Eh già. Loro due, lì abbracciati, guancia a guancia. "E voglio che ti bacino altre labbra" diceva la canzone. Si immaginò con un braccio intorno alla vita di lei, a pestarle i piedi come una papera. Inoltre, avrebbe scommesso che era una di quelle che ti tengono a distanza con i gomiti. "Prima" proseguì, dimentico del bolero "le decisioni spettavano al comandante. Adesso si limita a firmare scartoffie nei porti, c'è una differenza di mezza tonnellata e lui telefona subito all'armatore. Firmo i documenti o no? E in ufficio ci sono tre tizi, immondizia in completo grigio, che gli dicono di non firmare. Così lui non firma." "E del mare che ne resta?... Cos'è che ti fa sentire ancora un marinaio?" "I momenti difficili" rispose lui. "Quando c'è un ferito a bordo, o quando si perde qualcosa, la gente di solito si comporta bene." Una volta, raccontò, un colpo di mare aveva strappato la pala del timone del Palestine, di fronte al Capo. Erano rimasti un giorno e mezzo alla deriva, fintanto che non erano giunti i rimorchiatori. E gli uomini dell'equipaggio avevano ripreso l'aspetto di veri marinai. Per lo più non erano altro che camionisti dell'oceano e funzionari del sindacato, ma quando si presentava una crisi si risvegliava il cameratismo. Uno spostamento di carico, un'avaria grave. Il brutto tempo e quant'altro. Le burrasche. "Che parola tremenda: burrasca" disse Tanger. "Ce ne sono di brutte e di peggiori. La cosa più spiacevole per un marinaio è quando calcola la propria rotta e quella della burrasca e impattano... Voglio dire che arrivano entrambi nello stesso punto, allo stesso momento." Fece una pausa. C'erano cose che non sarebbe mai riuscito a spiegarle. Venti a forza undici di fronte a Terranova, muraglie di acqua grigia e bianca che gorgogliavano in una nebbia di schiuma confondendosi con il cielo, sbandamenti e scricchiolii nello scafo, equipaggio che urlava di terrore, legato alle cuccette delle cabine, la radio saturata dai mayday di navi nei guai. Qualche uomo con le idee chiare sul ponte o a trincare il carico sciolto nella stiva, oppure sotto, in sala macchine, tra caldaie, turbine e tubazioni, senza sapere cosa stava succedendo là sopra, a Pagina 177

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt pendere dai controlli, dai segnali d'allarme e dagli ordini, preoccupati che il gasolio nei depositi non si bagnasse, che una falla nello scafo non facesse finire acqua nel combustibile, che un'avaria nei bruciatori non li lasciasse alla mercé del mare. Marinai che cercavano di salvare una nave e con lei la propria vita, accelerando quando le onde si abbassavano per mantenere il controllo, rallentando appena prima delle creste, in cerca di uno spazio tra le onde più grandi per accostare quando la nave da prua non ce la faceva più. E il momento angosciante in cui, in piena manovra, arrivava un frangente assassino che colpiva lo scafo di traverso e lo inclinava di quaranta gradi mentre gli uomini, reggendosi dove potevano, si guardavano negli occhi atterriti, domandandosi se la nave si sarebbe raddrizzata o meno. "In casi del genere" concluse Coy ad alta voce "tutto torna come una volta." Suonava un po' troppo nostalgico, temeva. Era impossibile provare nostalgia dell'orrore. Lui si riferiva alla nostalgia del comportamento di certi uomini in situazioni terribili, ma era cosa impossibile da spiegare al tavolo di un ristorante o in qualsiasi altro posto. A quel punto sbuffò, guardandosi intorno, nervoso. Stava parlando con troppa enfasi, pensò. Non c'era niente di male nel far due chiacchiere, ma lui non era abituato a raccontare così la propria vita. Si rese conto che Tanger era una di quelle persone che ti facevano blaterare, di quelle la cui conversazione consisteva nel far domande adatte e tacere il necessario perché l'altro si sbottonasse. Trucco abile: impari e inoltre non ti tocca mollare niente. E poi a tutti piace parlarsi addosso. Gran conversatore, dicevano poi. Senza che avesse aperto bocca. Cretini. Lui stesso era una lingua lunga e un cretino, dalla testa ai piedi. E tuttavia, pur essendone consapevole, capiva che parlarne, parlarne fino ad avere la gola secca, con Tanger seduta davanti a lui ad ascoltarlo, gli andava a genio. "Ora" disse dopo un momento "la navigazione romantica che sognavi da bambino si è praticamente ridotta a quelle piccole navi che battono strane bandiere e fanno ancora cabotaggio per il mondo, arrugginite, il nome ripitturato sopra quello vecchio, con comandanti sporchi di grasso e mal pagati... Ci sono stato anch'io, appena graduato secondo ufficiale, perché non trovavo lavoro da nessuna parte: si chiamava Otago, e raramente ho navigato con tanto piacere come allora. Nemmeno sulle navi della Zoeline... Ma questo l'ho capito dopo." Lei disse che forse era perché all'epoca Coy era giovane. Lui ci pensò un momento e poi si mostrò d'accordo. Sì, ammise, probabilmente era felice perché era giovane. Ma con le bandiere di convenienza, i comandanti ridotti a funzionari e gli armatori per i quali una nave non era poi molto diversa da un tir, tutto era andato a farsi fottere. Certe navi navigavano con un equipaggio talmente sparuto che per ormeggiare avevano bisogno di gente a terra. Filippini e indù adesso erano l'equipaggio più conteso, e comandanti russi con la vodka che gli usciva dagli occhi spaccavano in due le loro petroliere spargendo il greggio un po' dappertutto. L'unica possibilità di vivere ancora il mare era affrontarlo in barca a vela. La sfida era tra lui e te. Ma con una barca a vela non ci si manteneva più, aggiunse. Avevano sotto gli occhi l'esempio in carne e ossa del Secondo. Nel bicchiere di Tanger era rimasto solo il ghiaccio. Ci giocherellava con le dita dalle unghie scarnificate, facendolo tintinnare. Coy fece il gesto di chiamare la cameriera, ma Tanger scosse la testa. "L'altra notte, sulla prua. con il bengala, mi hai impressionato. " Dopo averlo detto, tacque e lo guardò; il suo sorriso era più luminoso. Lui ridacchiò, ancora una volta di se stesso. "Non mi stupisce. Sono rimasto più impressionato io quando sono finito in acqua." "Non mi riferisco a questo. Ero paralizzata da quelle luci che ci venivano addosso. Pagina 178

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Non sapevo cosa fare... Ma tu facevi una cosa dietro l'altra, senza quasi riflettere. Una specie di routine prima del disastro. Non hai perso la calma, non ti si è alterata la voce. E nemmeno al Secondo. Il vostro era una sorta di fatalismo. Come se facesse parte del gioco." Coy scrollò le spalle, con semplicità. Si guardava le mani ampie e tozze. Non avrebbe mai immaginato di dover parlarne con qualcuno. Nel suo mondo, o nel mondo acquatico da cui era stato appena buttato fuori, tutto era anche troppo ovvio. Solo a terra ti chiedevano di spiegarlo. "Sono le regole" disse. "Laggiù dai per scontato il disastro. Non di buon grado, chiaro. Preghi o bestemmi, e se hai la stoffa lotti fino alla fine. Ma lo accetti. Il mare è fatto così. Puoi essere il miglior marinaio del mondo, ma arriva lui e ti liquida. L'unica consolazione è comportarti al meglio... Immagino che il comandante del Dei Gloria si debba essere sentito così. " Il riferimento al brigantino indurì l'espressione di Tanger. Reclinò subito la testa, distratta. Teneva i gomiti appoggiati al tavolo, il mento tra le mani. Una ciocca di capelli le sfiorava una spalla. "Non sembra una gran consolazione" osservò. "A me basta. Forse è bastata anche a lui." I lampioni che illuminavano il contorno della baia si erano accesi, e l'acqua della riva aveva riflessi giallognoli sotto la pioggia sottile, interrotti da scosse argentate come se banchi di minuscoli pesci nuotassero in superficie. La luce del faro aveva un contorno più preciso, con il fascio che si allungava, reso quasi corporeo dall'umidità, e girava più e più volte nell'oscurità compatta che strisciava sul mare. "Deve fare davvero buio là fuori" disse lei. Involontariamente la voce le si ruppe, e lui la osservò con attenzione: aveva gli occhi puntati sulla notte. "Cadere in acqua nel buio" aggiunse lei poco dopo "dev'essere tremendo." "Non è piacevole." "Sei stato molto fortunato." "Altroché. Quando cadi così, normalmente non ti ritrovano." Tanger poggiò la mano destra sul tavolo, facendo tintinnare il bracciale d'argento. L'appoggiò vicinissima al braccio di Coy, senza arrivare a toccarlo, ma lui si sentì venire la pelle d'oca. "Io l'ho sognato" stava dicendo lei. "L'ho sognato per anni... Cado in un'oscurità spessa, densa e nera." La studiò con interesse, un po' sconcertato dal tono confidenziale. E anche per il modo in cui ogni tanto si voltava verso il buio. "Credo che si tratti della morte" proseguì Tanger sottovoce. Tacque, calmissima, guardando con apprensione al di sopra della balaustra, attraverso la pioggia lieve. É come se guardasse oltre il mare immerso nell'ombra, pensò lui. "Morire sola, come Zas. Nel buio." Aveva pronunciato quelle parole dopo un silenzio lunghissimo, in un tono che era poco più di un sussurro, quasi impercettibile. Sembrava all'improvviso spaventata o commossa, e Coy si agitò un paio di volte sulla sedia, sconcertato, mentre considerava i propri sentimenti. Alzò una mano per appoggiarla sulla sua, ma poi la fece cadere, lasciando il gesto a metà. "Se dovesse capitare" disse "vorrei essere al tuo fianco e prenderti la mano." Ignorava come potesse suonare una cosa del genere, ma cosa importava. Era sincero. Aveva improvvisamente visto una bambina timorosa della notte: atterrita di dover viaggiare sola attraverso un buio infinito. "Non servirebbe a niente" rispose lei. "Nessuno ti può accompagnare in quel viaggio." Lo aveva osservato con attenzione quando lui aveva pronunciato quelle parole: essere al suo fianco e prendere la mano. Serissima, completamente assorta, analizzando ciò che aveva sentito. Ma adesso scuoteva la testa come se rifiutasse tutto ciò con rassegnazione, come se fosse impossibile in partenza. Pagina 179

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt "Nessuno. " Poi tacque. D'un tratto lo guardava con tanta intensità che Coy si mosse ancora nervoso sulla sedia, a disagio. Avrebbe dato tutto quello che aveva -- parole vane: in realtà non aveva niente -- per essere un uomo attraente, di classe, o almeno con soldi sufficienti per sorridere sicuro di sé, prima di appoggiare la mano sopra la sua, protettivo. Per dire "Io mi prenderò cura di te, piccola" a quella donna che solo un attimo prima aveva chiamato maledetta strega, e che di punto in bianco ritornava a ricordargli la bimba lentigginosa che sorrideva tra le braccia del padre nella foto in cornice; la campionessa di una gara di nuoto per bambini, vincitrice della coppa d'argento che ora, acciaccata e senza un manico, anneriva sopra una mensola. Ma Coy era solo un paria con un sacco a spalla, a bordo di una barca a vela che non era nemmeno sua, così lontano da lei che non poteva nemmeno aspirare a servirle da consolazione, un'ultima mano da stringere prima di un ipotetico viaggio ai confini della notte. Ecco perché provò un profondo, amaro senso d'impotenza quando lei si mise a osservare la distanza tra le loro mani sulla tovaglia e sorrise triste, come se sorridesse a un'ombra, a un fantasma, a un rimorso. "Io ne ho paura." Lo aveva detto. Allora Coy, stavolta senza pensarci, allungò la mano fino a toccare la sua. Lei, senza smettere di fissarlo negli occhi, la spostò con estrema lentezza. E lui girò la faccia perché non lo vedesse arrossire, agitato per la gaffe, la figuraccia fatta. Ma da lì a mezzo minuto gli venne da pensare che a volte la vita ti mette in situazioni singolari, per la precisione e la rigorosità della coreografia o per la disattenzione di un mattacchione acquattato nell'eternità. Perché nell'istante preciso in cui si voltava verso la balaustra e la spiaggia, vergognoso della sua mano maldestra e solitaria sulla tovaglia, vide qualcosa che corse in suo aiuto, in maniera così opportuna che fu costretto a trattenere un salto di gioia: un impulso cieco, del tutto irrazionale, che gli fece tendere i muscoli delle braccia e della schiena e proiettò un lampo di lucidità nel suo cervello. Perché lì sotto, accanto ai lampioni che costeggiavano la spiaggia, sotto la tettoia di un baracchino chiuso, riconobbe all'istante la sagoma piccola, inconfondibile, quasi cara a quel punto, di Horacio Kiskoros: ex sottufficiale della Marina argentina, sicario di Nino Palermo e nano malinconico. Stavolta il pesce aveva abboccato all'amo e nessuno glielo avrebbe soffiato. Pertanto contò fino a trenta, si scusò adducendo il pretesto di andare in bagno, scese i gradini a due a due, uscì dall'ingresso di servizio, tra i bidoni di spazzatura, e fece il giro dello stabile in direzione opposta al ristorante e alla spiaggia. Avanzava con cautela sotto le palme e gli eucalipti, pensando a come fare: doveva bordeggiare con precisione. La pioggia finissima gli stava inzuppando capelli e camicia, rinforzando quel vigore che gli acuiva i sensi, con i muscoli tesi aspettando un aspro piacere. Attraversò la strada e raggiunse uno spiazzo, camminò in mezzo ai finocchi selvatici del fossato e attraversò di nuovo la strada con il buio alle spalle, proteggendosi dietro un cassonetto dell'immondizia. Soffia in quella direzione, si disse. Si trovava sottovento rispetto alla preda che, ignara di quanto stava per capitarle, fumava, proteggendosi dalla pioggerella insistente sotto la tettoia di assi e di canne. C'era una macchina parcheggiata vicino al marciapiede: una piccola Toyota bianca, con la targa di Alicante, con l'adesivo del noleggio sul vetro posteriore. Coy girò intorno alla macchina e vide Kiskoros con gli occhi fissi sulla terrazza illuminata e all'ingresso principale del ristorante: indossava una giacca leggera, un papillon, e i capelli neri pettinati all'indietro mandavano bagliori di brillantina alla luce del lampione vicino. Il coltello, pensò Coy, ricordando quanto era accaduto a Cadice al castello dei Guardiamarinas. Devo proteggermi dal suo coltello. Poi alzò le mani e strinse i pugni, evocando l'aiuto dei fantasmi di Torpediniera Tucuman e del Galiziano Neira, e di tutti i membri dell'Equipaggio Sanders. Le scarpe da ginnastica lo aiutarono in quegli otto passi silenziosi, Pagina 180

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt estremamente circospetti, prima che l'altro sentisse il rumore sul ghiaietto e facesse per voltarsi a controllare chi gli arrivava da dietro. Coy vide gli occhi da simpatico ranocchietto spalancarsi a dismisura e la sigaretta cadere dalla bocca, trasformatasi in antro oscuro, l'ultimo fumo attorcigliato in volute sui baffi. A quel punto scattò in avanti, coprendo la distanza che ancora li separava. Il primo diretto raggiunse Kiskoros in piena faccia e produsse un rumore secco, rovesciandogli indietro la testa come se gli avesse appena troncato il collo, mentre lo proiettava contro la parete del baracchino, proprio sotto l'insegna: chtosco COSTA AZUL -- SPECIALIT· POLIPO. Il coltello, gli tornava in mente in modo ossessivo, mentre sferrava un colpo dietro l'altro, con sistema ed efficacia, in silenzio. Era come la musica di un Gloria: tump e sciaff, e ancora sciaff. E Kiskoros, che non riusciva a restare in piedi sotto la scarica, rimbalzava contro la parete, frugandosi disperatamente in tasca. Ma Coy, che sapeva quale fosse l'oggetto del suo desiderio, fece qualche passo indietro, prese la rincorsa, e il calcio che gli assestò nel braccio costrinse l'argentino, per la prima volta, a ululare a lungo dal dolore: proprio come un cane a cui avessero pestato la coda. Allora lo abbrancò per il risvolto della giacca e lo strattonò con forza, con violenza, costringendolo ad attraversare la strada fino alla spiaggia sabbiosa. Lo trascinava e si fermava per gonfiarlo di botte, poi riprendeva a trascinarlo, mentre l'altro emetteva una serie di grugniti sordi, agonici, divincolandosi per portare la mano alla tasca, e ogni volta Coy lo pestava. In quella notte felice non gli servivano gli spinaci. Adesso sì che sei mio, pensava precipitosamente, con quella strana lucidità che conservava sempre nei raptus di violenza cieca. Ti ho in pugno, ciccio bello, e non ci sono arbitri, non ci sono testimoni, e tantomeno poliziotti, né altri che mi dicano cosa fare e cosa non fare. Adesso ti stritolo fino a ridurti in briciole merdose, fino a che le costole rotte ti si piantino nel petto, fino a farti saltare i denti e a farteli inghiottire sei a sei, fino a che non ti resterà fiato abbastanza nemmeno per fischiettare un tango. Come un toro che cercasse la barriera su cui lasciarsi cadere, Kiskoros ormai si dibatteva appena. Aveva il papillon su un orecchio. Il coltello, che era finalmente riuscito a togliere dalla tasca, gli era scivolato dalle dita deboli e ora giaceva sulla sabbia dopo che Coy lo aveva allontanato con un calcio. La luce dei lampioni vicini rendeva compatta la pioggia che continuava a cadere su di loro mentre, a suon di pedate, Coy faceva rotolare l'argentino inzaccherato di sabbia umida fino al bordo dell'acqua. Tump. Ahi. Tump. Ahi. Le ultime botte gliele diede mentre l'altro arrancava sulla riva, gemendo dal dolore, sforzandosi di tenere la bocca fuori dall'acqua. Tump. Coy entrò in mare fino alle caviglie per rifilargli l'ultima pedata, che lo fece rotolare di un altro metro e lo spedì definitivamente tra i riflessi giallognoli e lo specchio della pioggia fine sull'acqua nera. Tornò sui propri passi e si sedette sulla sabbia, accanto alla riva. La tensione dei muscoli cominciava ad allentarsi e lui recuperava il respiro. A forza di rifilare pedate gli dolevano le caviglie, e gli sembrava che gli avessero annodato i tendini di tutta la mano destra, compresi gomito e avambraccio. Mai in vita mia, si disse, ho goduto tanto nel riempire di botte qualcuno. Mai. Si sfregava le dita per sgonfiarle, rivolgendo la faccia alla pioggia per bagnarsi la fronte e gli occhi chiusi. Così, immobile, respirando profondamente a bocca aperta, attese che il battito del cuore, che galoppava a mille, si calmasse. Sentì un rumore di fronte a sé e aprì gli occhi. Grondante d'acqua che lo faceva brillare tra i riflessi, Kiskoros si trascinava lungo la riva. Pagina 181

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Coy rimase seduto sulla sabbia, a osservare i suoi sforzi. Poteva sentire il fiato corto e i grugniti opachi da bestia percossa, lo sciaguattare impacciato di mani e gambe incapaci di reggersi in piedi. Che bello fare a botte, pensava. Era come lavare le sentine. Era ottimo per la circolazione del sangue e per i succhi gastrici espellere con i pugni tutte le angosce, il malumore e la disperazione che pesavano sull'anima. Era come una terapia: l'azione concedeva per un po' una tregua al pensiero, e gli impulsi atavici dei tempi in cui l'essere umano doveva scegliere tra la morte o la sopravvivenza reclamavano la loro parte nel gioco della vita. Forse era per quello che il mondo andava come andava, rifletté. Gli uomini avevano smesso di battersi perché sembrava una cosa inaccettabile, e questo li stava facendo impazzire. Continuava a sfregarsi la mano dolorante. La collera stava svanendo. Era un po' che non si sentiva tanto bene, tanto in pace con se stesso. Vide che l'argentino, a gattoni, usciva per metà dall'acqua per poi scivolare indietro fino alla vita. La luce giallastra gli illuminava i capelli e i baffi sporchi di sabbia, percorsi da rivoli scuri di sangue che li coloravano di rosso. "Pezzo di merda" disse Kiskoros dalla riva, soffocando, lamentandosi come se ogni lettera emessa fosse un calvario. "Insomma, l'hai presa nel culo." Tacquero entrambi. Coy seduto a guardarlo, l'argentino carponi, che respirava con difficoltà, emettendo ogni tanto un lamento quando tentava di cambiare posizione. Finalmente si trascinò in avanti con i gomiti, lasciando un solco sulla sabbia, fino a quando riuscì a togliere le gambe dall'acqua. Sembrava una tartaruga sul punto di depositare le uova e Coy continuava a guardarlo, indifferente. La collera era svanita, o quasi. Ora non aveva ben chiaro che cosa fare. "Faccio solo il mio lavoro" mormorò Kiskoros dopo un po'. "Il tuo è un lavoro pericoloso." "Vi stavo solo pedinando." "E allora vai a pedinare quella troia di tua madre nella pampa." Si alzò con calma, scrollandosi la sabbia dai jeans. Poi si avvicinò all'argentino, che si rialzava a fatica, e rimase a guardarlo un istante prima di decidersi a sparargli un altro diretto, stavolta meno impulsivo e più funzionale, spedendolo di nuovo pancia all'aria. Piccolo, bagnato, coperto di lividi e inzaccherato di sabbia, Kiskoros somigliava a una patetica polpetta. Si chinò su di lui, ne auscultò il respiro -- migliaia di fischietti nei polmoni -- e lo perquisì minuziosamente. Aveva con sé un cellulare, un pacchetto di sigarette ormai inzuppato e le chiavi della macchina noleggiata. Buttò in mare le chiavi e il telefono. Il portafoglio era grande e rigonfio di soldi e documenti. Si portò sotto la luce del lampione più vicino, per dare un'occhiata: una carta d'identità spagnola con la foto e il nome di Horacio Kiskoros Parodi, biglietti da visita altrui, valuta spagnola e inglese, una carta di credito Visa e un'altra American Express. Inoltre, la fotocopia a colori della pagina di una rivista, che aprì con cautela perché era stata maneggiata diverse volte, ed era zuppa dell'acqua del mare. Sotto il titolo: "I nostri incursori umiliano l'Inghilterra", una foto mostrava diversi fanti della Marina inglese con le mani in alto, sorvegliati da tre soldati argentini con la faccia tinta di nero che tenevano i fucili da sub puntati loro addosso. Uno dei tre era piccolo di statura, con gli occhi sporgenti da ranocchio e baffi inconfondibili. "Caspita, me l'ero scordato. L'eroe delle Malvinas." Rimise la carta d'identità e i biglietti da visita nel portafoglio, vi aggiunse il ritaglio, si tenne i soldi e buttò il portafoglio addosso a Kiskoros. "Dai, raccontami qualcosa." "Non ho niente da dire." "Cosa vuole Palermo?... É qui in giro?" "Non ho niente da..." Si interruppe quando Coy gli assestò un altro diretto in faccia. Lo fece con indifferenza, quasi controvoglia, e rimase a guardare l'argentino che si copriva il volto con le mani e si contorceva come un lombrico. Poi si rimise a sedere sulla sabbia, senza smettere di osservarlo. Pagina 182

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Non si era mai accanito tanto contro qualcuno e lo stupiva non provare nessuna compassione, ma sapeva chi era l'uomo steso a terra, non poteva dimenticare Zas avvelenato sul tappeto, ed era informato della sorte che era toccata a donne come Tanger, cadute nelle mani del sottufficiale Horacio Kiskoros e compagnia bella. E dunque il tipo poteva appallottolare per benino il ritaglio delle Malvinas e ficcarselo dritto in culo. "Dì al tuo capo che degli smeraldi non me ne frega un cazzo. Ma se qualcuno osa toccare lei, lo ammazzo." Lo disse con insolita semplicità, quasi con umiltà, e non suonò nemmeno come una minaccia. Era solo una comunicazione senza enfasi né sfumatura alcuna. Avviso ai naviganti. In ogni modo, persino l'ascoltatore meno attento avrebbe capito che, trattandosi di Coy, la comunicazione conteneva un'assoluta verità. Kiskoros grugnì sordamente nel girarsi su un fianco. Tastò in giro in cerca del portafoglio, afferrandolo con mani molli. "Sei un coglione" borbottò. "E ti sbagli di grosso riguardo a me e al signor Palermo... Ti sbagli di grosso anche su di lei." Fece una pausa per sputare sangue. Stava guardando Coy tra le ciocche di capelli scarmigliati, bagnati e sudici che gli cadevano in faccia. Gli occhietti da ranocchio non erano più simpatici: brillavano d'odio e del desiderio di vendicarsi. "Quando sarà il mio turno..." Sorrise in modo orribile con la bocca gonfia, e lasciò la frase in sospeso, minaccioso e grottesco a un tempo, interrotto da un attacco di tosse. "Coglione" ripeté rancoroso, sputando ancora sangue. Coy rimase a guardarlo senza dir nulla, prima di alzarsi sempre con calma, quasi di mala voglia. Non posso fargli nient'altro, si disse. Non posso ammazzarlo di botte proprio qui, perché ci sono cose che mi dispiace perdere, e la mia libertà e la mia vita per me valgono qualcosa. Non siamo in un romanzo o dentro un film, e nella realtà ci sono poliziotti, giudici, gente così. Nessuna nave mi sta aspettando per portarmi dritto ai Caraibi a rifugiarmi alla Tortuga, tra i Fratelli della Costa, a catturare venti prede, in barba agli inglesi. Oggi, i Fratelli della Costa si sono riciclati come palazzinari, e il governatore della Giamaica riceve le facce dei ricercati e gli ordini di cattura via fax. Se ne stava lì, irritato e indeciso, a riflettere sull'opportunità di rifilare a Kiskoros un altro pugno in faccia o se farne a meno, quando vide Tanger in piedi sul ciglio della strada, sotto la luce gialla del lampione. Era impassibile e li guardava. In fondo alla baia, il fascio di luce del faro girava orizzontalmente, ritto nella notte tiepida, puntando contro la pioggia sottile. Gli intervalli luminosi sembravano stretti coni di bruma, passando e ripassando, ritagliando di volta in volta i fusti slanciati e le chiome immobili delle palme, gravide di acqua e di riflessi. Coy lanciò un'occhiata a Kiskoros prima di raggiungere Tanger lungo la riva. L'argentino era riuscito a guadagnare la macchina, ma non aveva più con sé la chiave, scagliata in mare da Coy. Allora si era seduto in terra, la schiena contro una ruota, zuppo d'acqua e sporco di sabbia, a guardarli mentre si allontanavano. Dalla comparsa della donna non aveva più aperto bocca, e anche lei non aveva detto nulla, limitandosi a osservarli in silenzio, anche quando Coy, ancora su di giri, le aveva domandato se non voleva approfittare per mandare i suoi saluti a Nino Palermo. O forse, aveva aggiunto, le sarebbe piaciuto interrogare quell'accidenti di sudamericano. Aveva detto proprio così: quell'accidenti di sudamericano, consapevole del fatto che, anche gonfiandolo di calci e pugni, Kiskoros non avrebbe più detto nemmeno mezza parola. Senza rispondere, lei aveva cominciato a camminare lungo la spiaggia, allontanandosi. E Coy, dopo un attimo di esitazione, aveva lanciato un'ultima occhiata al malconcio sicario e l'aveva seguita. In pochi passi l'aveva raggiunta, furibondo, non tanto per la comparsa Pagina 183

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt dell'argentino, che in fin dei conti gli aveva offerto l'opportunità di scaricare la rabbia che gli bruciava lo stomaco e la gola, ma per il modo in cui lei, quando le faceva 316 317 comodo, sembrava girare le spalle alla realtà. Ciao, non mi va, tanti saluti. Quanto non faceva parte dei suoi piani, apparizioni improvvise, intoppi, minacce, irruzioni del mondo reale nel sonno apparente della sua avventura veniva rifiutato, bocciato, messo in disparte come se non fosse mai esistito. Come se il semplice fatto di prenderlo in considerazione costituisse un attentato all'armonia di un insieme della cui reale prospettiva lei era l'unica depositaria. Quella donna, aveva concluso mentre camminava imbronciato sulla sabbia, si difendeva dal mondo rifiutandosi di guardare. E non era certo lui il più adatto per rimproverarglielo. E tuttavia, pensò mentre la raggiungeva e l'afferrava per un braccio, facendola girare improvvisamente verso di sé nella torbida luce dei lampioni lontani, in tutta la sua dannata vita non aveva mai visto occhi che guardassero tanto in profondità e tanto lontano, quando volevano. La strattonò forse con troppa violenza, costringendola a fermarsi, e le si piantò davanti osservandone i capelli bagnati dalla pioggia, i riflessi negli occhi, le gocce d'acqua che le moltiplicavano le lentiggini. "Tutto questo" le disse "è una pazzia. Non riusciremo... " All'improvviso lo colpì il fatto, inaspettato, di vederla spaventata, scossa. Notò che le labbra dischiuse tremavano e che un brivido le attraversava le spalle quando la luce del faro puntò su di loro, disegnandone le sagome entro lo stretto fascio bianco. Lo vide di colpo, in un lampo, e un paio di secondi dopo il controluce successivo illuminò la pioggia tiepida che si faceva senza preavviso più grossa e intensa. Lei era sempre lì, tremante, mentre l'acqua le cadeva sui capelli e sul viso, incollandole al corpo la camicia inzuppata, bagnando anche le spalle e le braccia di Coy quando le aprì per accoglierla, senza riflettere nemmeno un istante. E la carne calda, scossa dai brividi sotto la notte e la pioggia, come se lo scintillio della luce fosse nebbia fredda, si andò a rifugiare senza più reticenze contro il suo corpo in maniera precisa, deliberata. Gli andò incontro, sul petto, e Coy tenne per un altro attimo le braccia aperte, senza ancora stringerla, più stupito che indeciso. Poi le chiuse, serrandovela con dolcezza, sentendo pulsare i muscoli, il sangue e la carne sotto la blusa bagnata, le cosce lunghe e sode, il corpo snello che stava ancora tremando contro il suo. E la bocca socchiusa, vicinissima; la bocca il cui tremolio placò con le proprie labbra, a lungo, fintanto che quelle di lei smisero di rabbrividire e divennero improvvisamente molto tiepide e morbide, la bocca si aprì un poco, e adesso era lei a stringere la schiena robusta di Coy in un abbraccio. Lui le portò una mano alla nuca, una mano larga, forte, che le resse il collo e la testa, sotto la chioma grondante di tutta quella pioggia che imperversava rumorosa sulla sabbia. Le due bocche aperte si cercarono così con ansia insperata, come se fossero avide di saliva, di ossigeno e di vita; i denti cozzarono e le lingue umide rimasero avvinte, scostandosi impazienti. Solo allora Tanger si staccò per un secondo di qualche centimetro, per prendere fiato, gli occhi aperti che lo guardavano da vicino, insolitamente confusi. E poi fu lei che si lanciò in avanti con un gemito lunghissimo, come quello di un animale dolorante e ferito. E lui restò fermo, afferrandola, abbracciandola di nuovo, stringendola tanto che temette di averle spezzato un osso. Poi camminò cieco, reggendola tra le braccia, fino a quando si accorse che erano entrati in mare, che la pioggia cadeva con intensità ruggente, spessa, cancellando i contorni del paesaggio, mentre gli spruzzi crepitavano come se la baia ribollisse. I loro corpi sotto gli abiti inzuppati si cercavano con urgenza, sbattendo in forti abbracci, con baci disperati che l'ansia affrettava, leccandosi l'acqua dal viso, le labbra piene di pioggia, del sapore di pelle bagnata sulla carne rovente. E lei lasciava scivolare sulla bocca dell'uomo il suo interminabile lamento di Pagina 184

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt animale ferito. Raggiunsero la barca grondanti acqua, cercandosi goffi e inciampando nel buio. Ci arrivarono abbracciati, baciandosi a ogni passo, più frettolosi nel percorrere l'ultimo tratto, lasciando rivoli d'acqua sulla scaletta e sulle tavole del quadrato. E il Secondo, che fumava a luci spente, li guardò scendere per il tambucio e perdersi nel corridoio diretti alle cabine di poppa. Forse sorrise quando si volsero alla brace della sua sigaretta per augurargli la buona notte. Poi Coy guidò Tanger tenendola davanti, le mani sulla vita della donna, che si girava a ogni passo per baciarlo avidamente sulla bocca. Inciampò in un sandalo che lei si era appena tolta e poi nell'altro. Arrivati sulla porta delle cabine Tanger si fermò, si strinse a lui, e si abbracciarono incollati alla paratia di tek, cercandosi una volta di più le labbra con urgenza, a tentoni nella penombra, riconoscendo i propri corpi sotto gli abiti che si levavano l'un l'altro: bottoni, cintura, la gonna che scivolava sul pavimento, i jeans aperti sui fianchi di Coy, la mano di Tanger tra il tessuto e la sua pelle, il calore della donna, il triangolo di cotone bianco quasi strappato dalle cosce, il tintinnio della piastrina metallica da soldato. E il vigore virile, il mutuo riconoscimento affascinato, il sorriso di lei, la dolcezza incredibile dei seni nudi, vellutati, turgidi. Uomo e donna faccia a faccia, respiri affannati che suonavano a sfida. Il gemito incoraggiante di lei e l'impulso di lui a buttarsi in avanti, verso la cuccetta, attraverso la stretta cabina, gli ultimi indumenti bagnati che volavano da una parte all'altra, spiegazzati sotto i corpi grondanti acqua che inzuppava le lenzuola in una reciproca, ennesima ricerca, guardandosi vicini, sorridenti, assorti, complici. Ucciderò chiunque osi mettersi in mezzo, pensava Coy. Chiunque. La sua pelle, la saliva, la carne si facevano largo, senza sforzo, in quell'altra carne sempre più umida, tiepida e accogliente, dentro, ancora dentro, lì dove era celata la chiave di ogni arcano, e dove lo scorrere dei secoli aveva tramato l'unica vera tentazione, la risposta al mistero della morte e della vita. Dopo parecchio tempo, alla cieca, con la pioggia che picchiettava sopra le loro teste, Tanger si voltò per mettersi su un fianco, la faccia affondata nell'incavo della spalla di Coy, una mano tra le sue cosce. Questi sentiva, sonnecchiando, il corpo nudo steso accanto al suo, la mano femminile tiepida e tranquilla sulla sua carne esausta, ancora umida, che odorava di lei. Combaciavano come se per tutta la vita non avessero fatto altro che cercarsi. Che bello sentirsi benvenuto, pensò, e non semplicemente tollerato. Che bella quella complicità immediata, istintiva, senza bisogno di parole che spiegassero l'inevitabile. Quel percorrere ciascuno la propria parte di cammino, senza falsi pudori. Quel vaticinio dell'invito non pronunciato, quel dolore angusto, serrato, affannoso, intenso, la cui spontaneità quella notte aveva sfiorato la ruvidezza, da pari a pari, senza bisogno di pretesti, o di giustificazione alcuna. Senza presentare il conto, senza equivoci, né condizioni. Che bello che tutto si fosse finalmente avverato, nel migliore dei modi. "Qualsiasi cosa succeda" disse lei di punto in bianco "non lasciarmi morire sola. " Se ne stava tranquillo, gli occhi spalancati nel buio. All'improvviso il rumore della pioggia assunse un'eco sinistra. Il suo stato di sonnolenta felicità rimase in sospeso, e tutto riacquistò un sapore agrodolce. Sentiva il respiro della donna nell'incavo della spalla, lento e caldo. "Non dire così" mormorò. La sentì scuotere la testa, grave. "Ho paura di morire sola nel buio." "Non accadrà." "E invece accade sempre." La mano era ancora immobile tra le cosce di Coy, il viso nell'incavo della spalla, le labbra che sussurravano sulla pelle. Coy sentì freddo. Voltò la faccia, affondandola nei capelli ancora bagnati della donna. Non vedeva la sua espressione, ma capì che in quel momento era la stessa della foto nella cornice d'argento. Tutte le donne, lo stava scoprendo. hanno avuto quell'espressione almeno una volta. "Sei viva" disse. "Sento il battito del tuo cuore contro di me. Pagina 185

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Hai carne, sangue che scorre nelle vene. Sei bella e sei viva." "Ma un giorno non ci sarò più." "Però adesso sei qui." Sentì che gli si stringeva ancora di più. Che gli accostava la bocca all'orecchio. "Giura... che non mi lascerai... morire sola." Lo disse molto adagio, la voce quasi un sussurro. Coy rimase immobile per un po', gli occhi chiusi, ad ascoltare la pioggia. Poi annuì. "Non ti lascerò morire sola." "Giuralo. " "Te lo giuro." Sentì il suo corpo nudo addosso, a cavalcioni, le cosce aperte sui suoi fianchi, i seni che lo sfioravano e la bocca che cercava la sua. Allora un lacrimone caldo gli cadde addosso, sul viso. Aprì gli occhi sorpreso, per trovarsi di fronte un volto fatto di ombre. E mentre baciava, confuso, le labbra dischiuse e umide, avvertì che quelle labbra si lasciavano sfuggire una volta ancora, lieve come un sospiro, quel lungo, doloroso lamento da femmina ferita, 321. 13. Il maestro cartografo. Errare nel mare in burrasca non è nemmeno il peggio. Alcuni vanno raminghi a causa dei cattivi documenti che seguono. J. JUAN, Compendio de navegacion para Guardiamarinas. Il Dei Gloria non c'era. Coy aveva maturato tale convinzione a mano a mano che la quadrettatura tracciata sulla carta si copriva senza che loro trovassero nulla. Con quote di scandaglio tra i sessanta e i venti metri, il Pathfinder aveva tracciato già quasi l'intero rilievo delle due miglia quadrate dove avrebbero dovuto trovarsi i resti del brigantino. I giorni passavano, sempre più caldi e pacifici, e il Carpanta navigava alla velocità di due nodi, con il ronzio del motore a gasolio, su un mare piatto e luminoso come la superficie di uno specchio, bordeggiando con precisione geometrica, prendendo continuamente le posizioni via satellite, mentre il fascio della sonda spazzolava il rilievo sotto la chiglia e Tanger, Coy e il Secondo si alternavano madidi di sudore davanti allo schermo a cristalli liquidi. I simboli del fondale, arancio chiaro, arancio scuro, rosso pallido, si succedevano con esasperante monotonia: fango, sabbia, alghe, pietrisco e massi. Avevano coperto sessantasette delle settantaquattro frange previste ed effettuato quattordici immersioni per controllare eco sospette, senza trovare il minimo indizio dei resti di una nave affondata. La speranza stava svanendo con le ultime ore di ricerca. Nessuno pronunciava ad alta voce il verdetto fatidico, ma Coy e il Secondo si scambiavano lunghi sguardi e Tanger, caparbiamente immobile davanti all'ecoscandaglio, sembrava sempre più cupa e silenziosa. La parola che aleggiava nell'aria era "fallimento" Alla vigilia dell'ultimo giorno ormeggiarono con trenta metri di catena in sette metri d'acqua, tra la punta e l'isola della Cueva de los Lobos. Quando il Secondo spense il motore e la prua del Carpanta girò piano intorno all'ancora per puntare, senza troppa convinzione, a ponente, il sole si nascondeva dietro i picchi della sierra bruna, illuminando di toni dorati e rossastri i cespugli di timo, le palme e le piante di fichi d'India. Ai piedi delle rocce il mare era quasi piatto, le onde si infrangevano dolcemente sui massi vicini e sulla poca sabbia che biancheggiava tra i ciuffi di alghe. "Non è qui" disse Coy sottovoce. Non stava parlando con qualcuno in particolare. Il Secondo stava finendo di inferire la randa sul boma e Tanger stava seduta sugli scalini di poppa, i piedi nell'acqua, guardando il mare. "Deve esserci" rispose. Teneva lo sguardo fisso in un punto, la quadrettatura immaginaria in cui aveva navigato praticamente senza sosta per due settimane. Indossava una maglietta di Coy che le stava larga e le arrivava fino alle cosce, e muoveva i piedi adagio, sguazzando delicata, come i bambini che giocano sulla spiaggia. "Tutto questo è assurdo" commentò Coy. Il Secondo era sceso nel quadrato, e da un oblò aperto giungeva il rumore che faceva preparando la cena. Pagina 186

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Quando risalì in coperta per aprire il coperchio della bombola di butano e accendere il gas in cucina, il suo sguardo serio incrociò quello di Coy. Fatti tuoi, marinaio. "Deve esserci" ripeté Tanger immediatamente. Era nella stessa posizione, agitando i piedi nell'acqua. Coy rimase ancora un po' appoggiato alla bussola, cercando le parole adatte all'occasione, o qualcosa da fare. Siccome non gli veniva in mente niente, andò a prendere una maschera da sub e si tuffò in mare da prua, per controllare l'ancora. L'acqua era limpida, tiepida e gradevole, e la luce calante permetteva di seguire con lo sguardo la striscia della catena tesa sul fondale sabbioso, con qualche masso qui e là. L'ancora, una CQR di venticinque chili, era nella giusta posizione, libera da alghe che potevano farla arare se il vento rinfrescava in nottata. Scese ancora un po' per vederla bene, quindi risalì per tornare alla barca, nuotando a dorso con il solo movimento delle gambe, senza fretta, godendosi l'acqua. Voleva rimandare il più possibile il momento di ritrovarsi faccia a faccia con Tanger. Giunto a bordo si asciugò con un telo, contemplando la costa che già arrossava completamente al tramonto, allungandosi in un arco verso est: la rotta del marmo, delle legioni romane e degli dei. Stavolta, tuttavia, la vista non gli procurò nessun piacere. Mise ad asciugare il telo e scese per il tambucio, sedendosi sugli ultimi gradini della scala. Il Secondo spignattava accanto alla cucina, preparando un piatto di pasta, e Tanger era seduta nel quadrato, con le carte nautiche spiegate sul tavolo principale. "Non c'è possibilità d'errore" assicurò lei, prima che Coy aprisse bocca. Aveva in mano una matita e indicava le coordinate di latitudine e longitudine sulle diverse carte, segnando le miglia sulle scale laterali per riportarle in punta di compasso sul rettangolo quadrettato dell'area, come le aveva insegnato lui, "Hai controllato i calcoli tu stesso" aggiunse. "Si punta su Mazarron, sul Cabezo de las Viboras, su Punta Percheles, su Cabo Tinoso" si chinava serissima mostrandogli i risultati, come una studentessa intenta a convincere il professore "... 37§32' a nord dell'equatore e 4§51' a est di Cadice sulle carte sferiche di Urrutia, corrispondono a 37§32' di latitudine nord e 1§21' di longitudine ovest rispetto al meridiano di Greenwich... Vedi?" Coy finse di controllare le cifre. Aveva effettuato tante volte quelle operazioni che le sapeva a memoria. Le carte erano zeppe di annotazioni fatte di suo pugno, con la sua grafia. "Le tavole di correzione possono essere sbagliate..." "Ma non lo sono" diceva lei scuotendo la testa con decisione. " Ti ho già detto che provengono dalle Applicazioni di cartografia storica di nestor Perona. Lì sopra è stato corretto persino l'errore di diciassette primi di longitudine da Cadice rispetto a Greenwich che c'era sulle carte di Urrutia. Sono precisissime... É grazie a loro che due anni fa sono stati ritrovati il Caridad e il Sao Rico." "La posizione data dall'assistente dell'ufficiale di rotta può essere stata confusa. Nella fretta, forse è stato commesso un errore." "No. Non può essere." Tanger continuava a negare con la reticenza di chi sente cose che non vuole ascoltare. "Era tutto troppo preciso. L'assistente citava addirittura la prossimità del capo, a nordest... Te lo ricordi?" Guardarono contemporaneamente attraverso l'oblò aperto sul fianco di dritta, in direzione della mole rossastra che si profilava in fondo all'arco della costa, oltre la baia di Mazarron e il Cabo Falcò. "Ormai in vista del capo" aveva dichiarato l'assistente dell'ufficiale di rotta, a quanto dichiarava il rapporto. "può anche essere" aggiunse Tanger "che il Dei Gloria sia troppo coperto dalla sabbia, e ci siamo passati sopra senza rilevarlo... " possibile, accordò Coy. Ma poco probabile. In tal caso, zpiegò, la sonda avrebbe segnalato almeno diverse densità nella struttura del fondo. Ma per tutto il tempo aveva indicato solo strati di sabbia e fango fino ai due metri, e quella era una profondità notevole per non rilevare nulla. "Avrebbe dovuto esserci qualcosa" concluse "perlomeno il metallo dei cannoni. Pagina 187

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Dieci cannoni insieme sono una massa di ferro non trascurabile... E oltre a quei dieci bisogna aggiungere, benché sparpagliati a causa dell'esplosione, i dodici della nave corsara. " Tanger tamburellava con la matita sulla carta. Teneva l'altra mano sulla bocca e si rosicchiava l'unghia del pollice. Le rughe che le increspavano la fronte sembravano cicatrici. Coy allungò la mano a toccarle il collo, nella speranza di cancellare quel cipiglio, ma lei rimase insensibile alla carezza, incollata alle carte che le stavano di fronte. Aveva sotto gli occhi anche le piante del brigantino e dello sciabecco, fissate con il nastro adesivo a una delle paratie della cabina. Avevano calcolato sulla carta persino l'area di dispersione dei cannoni della nave corsara, considerando l'esplosione, la deriva e la distanza dal fondo. "L'assistente dell'ufficiale di rotta" suggerì Coy, ritirando la mano "forse ha mentito." Tanger scosse la testa anche quella volta, e i segni sulla sua fronte si fecero più pronunciati. "Troppo giovane per ordire un imbroglio di quella portata. Ha parlato del capo vicino, della costa a un paio di miglia... E in tasca aveva, scritte a matita, le coordinate." "Allora non so cosa pensare... Salvo che il meridiano non sia quello di Cadice." Tanger gli rivolse un'occhiata cupa. "Ci avevo pensato anch'io" disse. "É la prima cosa che mi è venuta in mente, tra l'altro perché nel Tesoro di Rakam il Rosso, Tintin e il capitano Haddock commettono un errore simile, confondendo la longitudine di Parigi con quella di Greenwich..." A volte, pensava Coy mentre l'ascoltava, mi domando se non mi prende per i fondelli. O se tutta la faccenda non è altro che un'avventura infantile immaginata in un libro di storielle. Perché non ha senso. Almeno non sembra. O non sembrerebbe, si corresse, se non ci fosse di mezzo quel nano argentino con il suo coltello, che ci sta alle costole, e il dalmata del suo capo. Il sogno di una bambina che giocava a cercare navi affondate. Piene di tesori e di cattivi. "Ma noi conosciamo bene tutti i meridiani che si utilizzavano all'epoca" disse. "Abbiamo la posizione fornita dall'assistente dell'ufficiale di rotta, e possiamo verificarla sulle carte, proprio sul posto dove è stato tratto in salvo dopo il naufragio... Non può trattarsi di Hierro, né di Parigi, né di Greenwich. " "É ovvio." Lei indicava la scala sul margine superiore di una delle carte. "La longitudine è rispetto a Cadice, senza alcun dubbio: prendendo come meridiano Cadice, tutto coincide. Il meridiano zero della nostra ricerca è il castello dei Guardiamarinas: lo era anche nel 1767 e lo fu fino al 1798. Longitudine antica da Cadice al punto del naufragio: 4§51' est. Longitudine attuale, una volta corretta: 5§12' est. Corrispondenza con Greenwich: 1§21' ovest. Nessun altro meridiano può situare il Dei Gloria sull'Urrutia e sulle carte moderne in maniera tanto perfetta." "Tutto coincide. Perfettamente, dici. Ma a noi manca l'essenziale: la nave." "Avremmo sbagliato qualcosa." "É evidente. Allora che facciamo?" Aveva scagliato la matita sul tavolo. Si alzò e osservò la carta. Coy le guardò i piedi scalzi sopra il tavolato, le cosce lunghe e picchiettate di lentiggini sotto la maglietta che aderiva alle forme del seno. Le fece un'altra carezza sul collo e questa volta lei gli si accostò leggermente. Il corpo sodo, tiepido, emanava un lieve odore di sudore e di sale. "Non lo so" disse assorta. "Ma se c'è un errore, lo abbiamo commesso noi. Tu e io... Se domani la ricerca si conclude senza dare risultati, dovremo ricominciare da capo." "Come?" "Non lo so. Applicando le correzioni cartografiche, suppongo. Un errore di mezzo primo significa già mezzo miglio. E per quanto le tavole di Perona siano precisissime, i nostri calcoli possono sempre non esserlo. Pagina 188

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Basterebbe una piccola imprecisione nella latitudine e longitudine dell'assistente dell'ufficiale di rotta; dieci secondi o un paio di decimi di primo che i sistemi di rilevamento dell'epoca non erano in grado di calcolare, ma decisivi nel trasferire i dati sulla carta... Forse il brigantino si trova a un miglio più a sud, o più a est. Forse è stato un errore ridurre tanto la zona di ricerca." Coy trasse il sospiro più profondo che poté. Certo era possibile, ma significava ricominciare da capo. In ogni modo, lui pensava di restarle al fianco. Le cinse la vita; si era girata verso di lui e lo guardava da vicino, con una domanda negli occhi, la bocca socchiusa. Ha paura, capì lui, resistendo alla tentazione di baciarla. Ha paura che il Secondo, o io, diciamo basta. "Non disponiamo dell'eternità" disse. "Il tempo può peggiorare di nuovo... Finora abbiamo avuto fortuna con la guardia civil, ma possono cominciare a importunarci un giorno di questi. Una domanda tira l'altra. E poi c'è Nino Palermo, e i suoi uomini." Indicò il Secondo, che liberava il tavolo per stendervi la tovaglia, fingendo di non sentire. "... C'è da tenere in conto anche lui." "Non mi assillare." Si era sciolta piano, con dolcezza, dal suo abbraccio. "Ho bisogno di pensare, Coy. Devo pensare." Sorrideva appena, distante, a disagio, come se cercasse di addolcire la propria espressione. Era tornata lontana mille miglia, e Coy sentì scorrere nelle vene una fosca tristezza. Il vuoto negli occhi blu marino si intensificò quando si posarono sull'oblò spalancato sul mare. "Eppure è lì, da qualche parte" mormorò. Teneva le mani appoggiate all'oblò, sporgendosi, dando le spalle a Coy. Lui si passò una mano sulla faccia mal rasata, quasi tastando la propria desolazione. Ecco che sembrava di nuovo chiusa, sola, egoista. Ritornava nel regno delle nuvole da cui tutti erano esclusi, e lui non poteva fare niente per cambiare le cose. "So che è là sotto, vicino" aggiunse Tanger con un filo di voce. "E mi aspetta." Coy non replicò. Provava una rabbia sorda, impotente. Quella dell'animale preso in trappola che si dibatte. E capì che avrebbe trascorso la notte con gli occhi spalancati nel buio, accanto al muro impenetrabile di una schiena silenziosa. É giunto il momento di fare la mia comparsa, per quanto fulminea, nella storia. O, per essere più precisi, è il momento in cui ci stiamo avvicinando alla parte più o meno decisiva che ho avuto nella soluzione, chiamiamola così, del mistero sul naufragio del Dei Gloria. 326 327 In realtà, come qualche lettore perspicace avrà intuito, sono stato io a raccontarvi finora la vicenda: il capitano Marlow del romanzo, se mi si consente il paragone, con la differenza che finora non mi è parso necessario spogliarmi della comoda voce che ho usato, quasi sempre, in terza persona. Sono, si dice, le leggi dell'arte. Ma qualcuno una volta ebbe a dire che i racconti, come il mistero e come la vita stessa, sono buste chiuse che contengono altre buste chiuse. Inoltre, la storia della nave scomparsa, di Coy, il marinaio strappato al mare, e di Tanger, la donna che al mare lo restituì, mi ha sedotto dal primo momento che li ho conosciuti. É raro, che io sappia, che al giorno d'oggi capitino storie del genere; ed è ancor meno la gente che le racconta, magari ricamandoci su, come facevano gli antichi cartografi che decoravano le zone vuote, ancora inesplorate. E forse non le raccontano perché non ci sono più verande circondate da buganvillee dove l'oscurità cala lentamente mentre i camerieri malesi servono gin -- Bombay Sapphire, naturalmente -- e su una sedia a dondolo un vecchio comandante sgrana il suo racconto avvolto nel fumo di una pipa. Già da tempo le verande, i camerieri malesi, le sedie a dondolo e persino il gin bottiglia blu sono di proprietà degli operatori turistici, e non è più permesso fumare, né la pipa, né qualsiasi altra dannata cosa. Risulta difficile, pertanto, resistere alla tentazione di giocare alle vecchie storie, raccontate come si deve. Sicché, seguendo il filo del discorso, è giunto il momento di aprire la Pagina 189

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt penultima busta: quella che mi porta, modestamente, al centro dell'attenzione. Senza la voce narrante, capirete, si perde l'aroma classico. E allora ci limiteremo a dire, a mo di preludio immediato, che la barca a vela che quel pomeriggio incrociò l'imboccatura del porto di Cartagena era una barca sconfitta, proprio come se, anziché tornare da un viaggio di poche miglia a sudovest, avesse realmente incontrato una nave corsara e ne fosse stata depredata delle illusioni: andò per gabbare e fu gabbata. Sul tavolo da carteggio, la quadrettatura sopra la carta nautica 4631 era coperta di inutili crocette, come una tessera del bingo usata, deludente e inservibile. Durante l'attracco si parlò poco a bordo del Carpanta. Il suo equipaggio serrò le vele in silenzio, in panna di fronte alle sovrastrutture arrugginite del Cimitero delle navi senza nome, poi si diresse a motore verso uno dei pontili dell'approdo. Sbarcarono insieme, vacillando perché da molto tempo non mettevano i piedi a terra, passarono accanto al Felix von Luckner, il portacontainer belga della Zeeland Ship che si preparava a mollare gli ormeggi nel porto commerciale, e cominciarono dal Valencia e dal Taibilla, proseguirono con il Gran Bar, il bar Sol e la taverna del Macho, per concludere la Via crucis tre ore più tardi all'Obrera, una piccola osteria del porto sita in un angolo dietro l'antico municipio. Quella notte, avrebbe ricordato un po' dopo Coy, sembravano tre compagni, tre marinai scesi a terra dopo un lungo e fortunoso viaggio. E bevvero fino a quando non si appannò loro la vista: un bicchiere via l'altro, è così che si fa, ancora uno, all'unisono e senza problemi. L'alcol sfumava le cose, le parole e i volti. E Coy, consapevole, assisteva alla serata, allo spettacolo di se stesso, con una curiosità perversa che era insieme stupefatta e colpevole. Tra l'altro, fu quella la prima e ultima volta che vide Tanger bere molto, e farlo in modo deliberato, intenso. Sorrideva come se d'improvviso il Dei Gloria non fosse altro che un brutto sogno lasciato alle spalle, e gli appoggiava la testa sulla spalla. Bevve quanto lui, gin bottiglia blu con ghiaccio e una spruzzata di acqua tonica, mentre il Secondo li accompagnava con robusti bicchierini di Fundador diluiti con boccali di birra. Raccontava storie brevi e incoerenti di porti e di navi, con quel tono serio e la voce molto lenta e cauta che gli veniva quando l'alcol gli impastava la lingua, e socchiudeva gli occhi che luccicavano divertiti, chiari, amichevoli. A volte Tanger rideva e lo baciava e il Secondo, imbarazzato, sempre calmo, piegava la testa di lato, o guardava Coy e poi sorrideva, i gomiti sullo sgangherato tavolo di formica. Aveva l'aria soddisfatta, e anche Coy: accarezzava la vita nervosa di Tanger, la curva slanciata della schiena, sentendo il corpo della donna appoggiato contro il suo, le labbra di lei sull'orecchio e sul collo. Avrebbe potuto finire così, e non sarebbe stata una brutta fine, per un fallimento. Perché la faccenda era insieme grottesca e logica, sentenziò. Non avevano scovato il brigantino eppure, per la prima volta, se la ridevano insieme di tutto cuore, senza problemi, scatenati e fracassoni. Aveva tutta l'aria di una liberazione, e in tale stato d'animo bevvero senza smettere, come se interpretassero il ruolo di se stessi, consci del rituale dei luoghi comuni richiesto dalle circostanze. "Alla tartaruga" disse Tanger. Alzò il bicchiere, toccando quello di Coy, e ne vuotò il contenuto tutto d'un fiato. Il ghiaccio le rinfrescò le labbra e le posò a lungo su quelle di lui. L'avevano avvistata sulla rotta di Cartagena, nel pomeriggio, un miglio a sud dell'isola di Las Palomas: uno sciaguattare nell'acqua, lontano. Tanger aveva domandato cosa fosse, e Coy aveva dato un'occhiata con il binocolo: una tartaruga marina che si dibatteva impigliata in una rete da pesca. Avevano puntato la prua nella sua direzione, osservando gli sforzi che faceva l'animale per liberarsi; la maglia le avvolgeva il carapace e gli arti insanguinati, la strozzava mentre lei si sforzava di sporgersi dall'acqua, sul punto di asfissiare. Era raro incontrare tartarughe lì e vista la situazione in cui si trovava quella si poteva arguire perché. La rete era una del tipo lunghissimo, calate ovunque nel Mediterraneo, centinaia Pagina 190

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt e centinaia di metri sostenuti da bidoni di plastica come galleggianti, labirinti fatali in cui finivano tutte le specie viventi. La tartaruga non sarebbe mai riuscita a liberarsi, le mancavano le forze e le palpebre agonizzanti si contraevano sugli occhi sporgenti. Se anche fosse riuscita a uscire dalla rete, la spossatezza e le ferite la condannavano a morte. Ma per Coy non faceva differenza. Prima che qualcuno aprisse bocca si era tuffato in mare con il coltello del Secondo in mano, accecato dalla rabbia, e con tagli feroci fendeva la rete intorno all'animale. Pugnalava la maglia con furia, come se avesse di fronte un nemico che odiava dal profondo del cuore; inspirava l'aria e si immergeva per tagliare più sotto, in mezzo all'acqua che il sangue tingeva di rosa, e nel riemergere si vedeva quasi addosso uno degli occhi sporgenti dell'animale, che lo guardava fisso. Aveva tagliato quanto più aveva potuto, ruggendo d'ira quando riemergeva per respirare, prima di tornare sott'acqua e strappare il più possibile la rete. E anche quando la tartaruga era stata finalmente liberata e piano piano si allontanava, agitando debolmente le pinne, aveva continuato a tagliare le maglie, fino a che il braccio gli aveva ceduto, stremato. Allora aveva nuotato fino al Carpanta, dopo aver lanciato un'ultima occhiata alla tartaruga, il cui occhio agonizzante lo guardava fisso mentre si allontanava. Non aveva molte chance, esausta e con il sangue che prima o poi avrebbe attirato qualche verdesca vorace. Ma almeno sarebbe morta in mare aperto, coerente con il suo mondo e la sua specie, anziché avere una fine miserabile, strangolata in una matassa di corde intrecciate dalle mani dell'uomo. All'Obrera ordinarono altro gin, altro cognac e altra birra, mentre Tanger teneva la testa sulla spalla di Coy. Sussurrava una canzone e ogni tanto si interrompeva, alzava il viso, e lui cercava le labbra fredde di ghiaccio e profumate di gin per riscaldarle con le sue. Nessuno menzionava il Dei Gloria e il quadro era dei più classici: quello richiesto dalle circostanze e dai personaggi che loro, fatta forse eccezione per il Secondo, o magari, inconsciamente, lui compreso, interpretavano quella versione rimodernata della solita storia. Avevano già vissuto quella scena centinaia di volte, ed era consolante perdere la partita in un'epoca in cui gli uomini erano preparati a simili sconfitte. Al bancone, di fronte all'oste che Coy ricordava lì da sempre, con il grembiule e la sigaretta in bocca, avvinazzati dal naso rosso, clienti abituali dalle braccia asciutte, coperte di tatuaggi, svuotavano bicchieri di vino e napoleoni di cognac voltandosi ogni tanto al loro tavolo per sorridere, complici. Erano vecchi conoscenti del Secondo, e a tratti l'oste serviva un giro offerto dai tre al tavolo. "Alla salute tua e dei tuoi amici, Secondo." "Alla tua, Gines. Alla tua, Gramola. Alla tua, Jaqueta." Era tutto perfetto e Coy si sentiva in pace, ricreandosi nel proprio personaggio, peccato mancasse il piano, con Lauren Bacall che ti guardava di sottecchi e cantava con quella voce roca, un po' opaca, che nella versione originale sottotitolata somigliava a quella di Tanger. O viceversa. Poi, giunti a un certo punto, ci avrebbe pensato l'alcol a colorare le immagini in bianco e nero. Perché dopo tanti romanzi, tanti film e tante canzoni, gli ubriachi innocenti erano una specie in estinzione. E Coy si domandò, invidiandolo, cosa avesse provato l'uomo che per la prima volta era partito a caccia di una balena, di un tesoro o di una donna senza prima averlo letto in qualche libro. Alla muraglia si divisero. Avevano lasciato la barca pulita e ormeggiata, e quella notte il Secondo l'avrebbe trascorsa a casa propria, nel borgo di pescatori di Santa Lucia. Rimasero a guardarlo mentre si allontanava a passo incerto tra le palme e le grandi magnolie, e poi guardarono di sotto, verso il porto dove, oltre il circolo nautico e il ristorante Mare Nostrum, il Felix von Luckner mollava gli ormeggi con la coperta tutta illuminata e le luci riflesse nell'acqua scura del molo. Aveva preso il largo da poppa, e Coy ripeté mentalmente gli ordini che forse il pilota stava impartendo proprio in quel momento dal castello. Pagina 191

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Timone tutto a dritta. Avanti poco. Alt. Timone a poppa. Indietro mezza. Prendere il largo da prua. Tanger gli era accanto, anche lei seguiva la manovra della nave, e d'improvviso disse: "Voglio farmi una doccia, Coy. Voglio spogliarmi e farmi una bella doccia calda, immersa nel vapore come fossimo nella nebbia in alto mare. E voglio che in quella nebbia ci sia tu, e che non mi parli di navi o di naufragi, di niente. Stanotte ho bevuto tanto che desidero solo abbracciare un eroe rude e silenzioso, uno che è tornato da Troia e che sulla pelle e sulla bocca conserva il sapore di città bruciate e di sale" Detto questo, rimase a guardarlo in quel suo modo particolare, zitta e serissima, attenta, come se gli leggesse dentro. Lo guardò così, con il metallo temprato dei suoi occhi che il gin diluiva in un blu marino brillantissimo, quasi liquido, e socchiudeva le labbra come se il ghiaccio di tutti i bicchieri bevuti l'avesse così infreddolita d'aver bisogno che la bocca di Coy la scaldasse per ore. Lui si toccò il naso e sorrise come faceva di solito, con l'espressione timida da bambino che gli addolciva i tratti duri, il naso troppo grande e i lineamenti rozzi, quasi sempre bisognosi di una rasatura. Eroe rude e silenzioso, aveva detto lei. Su quella strana isola dei cavalieri e degli scudieri nessuno aveva pronunciato le parole magiche. Solo "ti mentirò e ti tradirò" E nemmeno in un simile contesto di tradimenti e menzogne qualcuno aveva detto "ti amo", non ancora. Anche se in quel preciso istante, con il mondo intorno che oscillava e l'alcol che a ogni palpito gli scivolava nelle vene, lui fu sul punto di diventare volgare e di dirlo. Aveva già quasi aperto la bocca per pronunciare le indicibili parole. Ma lei, come se lo avesse intuito, gli appoggiò le dita sulle labbra. Lo fece avvicinandosi più che poté, il blu liquido degli occhi scintillante e opaco insieme. E lui sorrise di nuovo, rassegnato, nel baciare quelle dita. Poi respirò a fondo, come se si disponesse a immergersi nel mare, e si guardò intorno per cinque secondi prima di prenderla per mano, attraversare la strada in linea retta fino alla porta della pensione Cartago, una stella, stanze con bagno e vista sul porto. Tariffe speciali per ufficiali della Marina mercantile. Quella notte, tra azulejos bianchi e denso vapore, piovve sulle rive di Troia mentre le navi salpavano. Era, in effetti, una bruma tiepida, un grigio dalle mille sfumature grigie, in cui tutti i colori erano subordinati alla quieta pioggia che cadeva su una spiaggia deserta con tracce di epilogo: un elmo di bronzo dimenticato, il frammento di una spada spezzata che spuntava dalla sabbia, ceneri che il vento portava dalla città data alle fiamme, invisibile sulla scena ma che si indovinava vicina, ancora fumante, mentre le ultime navi achee issavano le vele umide, allontanandosi all'orizzonte. Era il nostos ae gli eroi omerici: il ritorno e la solitudine degli ultimi guerrieri che tornavano a casa dopo la battaglia, per essere assassinati dagli amanti delle mogli o disperdersi nel mare, vittime del colera e del capriccio degli dei. E in mezzo a quella nebbia calda, il corpo nudo di Tanger cercava quello di Coy, l'acqua insaponata fino alle cosce, la pelle lentigginosa e vellutata lucida di umidità. Lo cercava con determinazione silenziosa e con una strana fissità nello sguardo, mettendolo letteralmente alle strette contro il bordo della vasca. E lì contro, con l'acqua alla vita e la pioggia calda sulla testa che gli scorreva sul viso e sulle spalle, Coy la vide alzarsi piano, portarsi sopra di lui e poi scendere decisa, lenta, millimetro dopo millimetro, senza lasciargli altra via di fuga che quella in avanti, tra le sue cosce profonde, l'abbraccio intenso, disperato, in quella poca lucidità che ancora gli rimaneva, mentre si arrendeva, sconfitto. Mai, prima di quella notte, Coy si era sentito violato da una donna. Pagina 192

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Mai messo alle strette con tanta minuziosità e tanto deliberatamente. Solo perché sono fuori di testa, ragionava, con il pensiero che affondava come una nave in un naufragio. Non sta abbracciando me, non sta abbracciando un uomo a cui assegnare un volto, una voce, una bocca. Non era per me che gemeva con tanto dolore le altre volte, non è me che s'immagina adesso, ma l'eroe rude, virile e silenzioso che prima reclamava con la voce roca. Il sogno che loro, tutte loro, portano sulla pelle e nel ventre da che mondo è mondo: colui che le ha fecondate e poi se n'è andato alla volta di Troia su navi nere. L'uomo, la cui ombra nemmeno i cinici sacerdoti, i pallidi poeti, gli assennati uomini di pace e di parola che spiano accanto alla tela non terminata, sono mai riusciti a cancellare del tutto. Era ancora buio quando Coy si svegliò, e lei non era al suo fianco. Aveva sognato una cavità nera e vuota, il ventre di un cavallo di legno e compagni coperti di bronzo che scivolavano quatti, spada in pugno, nel cuore di una città addormentata. Si alzò, nervoso, e vide la sagoma di Tanger stagliarsi nella penombra della finestra, sulle luci della muraglia e del porto. Fumava una sigaretta. Era di schiena e non riusciva a vederla in viso, ma percepiva l'aroma del tabacco. Si alzò, nudo com'era, e le fu accanto. Lei si era infilata la camicia di lui, senza abbottonarla nonostante l'aria fresca della notte che entrava dalla finestra aperta. Al collo luccicava la catena d'argento con la piastrina da soldato. "Credevo dormissi" disse, senza voltarsi, "Mi sono svegliato e non c'eri." Tanger non aggiunse altro, e lui se ne restò tranquillo a guardarla. Buttava fuori il fumo molto lentamente, trattenendolo in bocca a ogni tiro. La brace, ravvivandosi, le illuminava di rosso le unghie rosicchiate e incarnite. Coy le appoggiò una mano sulla spalla e lei la toccò assente, distratta, prima di fare un altro tiro. "Che ne sarà della tartaruga?" domandò di lì a un momento. Coy fece spallucce. "A quest'ora sarà morta." "Magari no. Può essere sopravvissuta." "Forse." "Forse?..." Lo osservò un istante, di traverso. "Esiste an che il lieto fine, Coy." "É vero. Esiste. Riservamene uno." Silenzio. Guardava ai piedi della muraglia, lo spazio vuoto lasciato nel molo dalla nave della Zeeland Ship. "Adesso hai una risposta all'indovinello dei cavalieri e degli scudieri?" domandò infine, sottovoce. "É un indovinello senza risposta." Lei rise, pacifica, o almeno sembrava. Coy non ne era certo. "Ti sbagli" disse. "C'è sempre una risposta a tutto." "Allora dimmi cosa faremo adesso." Non rispose subito. Sembrava lontana da lì quanto il relitto del Dei Gloria. La sigaretta si era consumata, e si piegò per spegnerla sul davanzale della finestra, con gran cura, schiacciando il mozzicone sino a smorzarlo completamente. Poi lo gettò in strada. "Fare?" Reclinava la testa da un lato, come se meditasse su quella parola. "... Quello che abbiamo fatto fin qui, naturalmente. Continuare a cercare." "DOVE?" "Sulla terraferma, un'altra volta. Le navi affondate non sempre si trovano in mare." E così me li vidi comparire il giorno seguente nel mio studio all'università di Murcia. Era uno di quei giorni luminosissimi come ce ne sono dalle nostre parti, con grandi parallelogrammi di sole che indorano le pietre del chiostro tra il riverbero dei vetri e l'acqua delle fontane. Mi ero infilato gli occhiali da sole per andare al bar dell'angolo a prendere un Pagina 193

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt caffè, e al ritorno, in maniche di camicia e con la giacca sulle spalle, incontrai Tanger Soto che mi aspettava sulla porta: bionda, bella, l'ampia gonna blu, le lentiggini. Lì per lì la scambiai per una studentessa, infatti era il periodo in cui venivano a chiedermi un aiuto per la tesi. Poi mi colpì il tipo che era con lei: vicino ma un poco discosto, suppongo che capiate cosa intendo, se a questo punto avete imparato qualcosa su Coy. Allora lei, che portava appesa alla spalla una borsetta di pelle e un tubo protettore di cartone sotto il braccio, si presentò e tolse di borsa un esemplare del mio libro Applicazioni di cartografia storica: al che io riconobbi finalmente la ragazza di cui qualche volta mi aveva parlato la mia cara amica e collega Luisa MartinMeras, direttrice di Cartografia del Museo navale di Madrid, descrivendomela come sveglia, introversa ed efficiente. Inoltre, ricordai, avevamo parlato al telefono delle correzioni all'Atlante di Urrutia e di alcuni documenti storici conservati nell'archivio dell'università. Li invitai ad accomodarsi, ignorando l'espressione imbronciata degli studenti in attesa nel corridoio. Era periodo di esami, e gli scritti da correggere si accumulavano sulla mia scrivania, nel bugigattolo che mi fa da studio. Spostai alcuni libri dalle sedie perché si accomodassero, e ascoltai la loro storia. A voler essere più precisi, ascoltai lei, che parlò per quasi tutto il tempo, e ascoltai la parte della storia che in quel momento ritenne opportuno raccontarmi. Arrivavano da Cartagena, a non più di mezz'ora di autostrada, e la vicenda poteva riassumersi in una nave affondata, documenti che rendevano possibile localizzarla, infruttuosi tentativi fatti in precedenza e coordinate esatte di latitudine e longitudine che, per qualche motivo, risultavano sbagliate. Solita storia. Perché devo dire che sono abituato a consulenze di questo tipo. Anche se per motivi personali firmo i miei studi e i miei libri con lo stesso nome e il modesto titolo che compare sul mio biglietto da visita sotto l'anagramma, tipico del mio lavoro, della T dentro la 0 (nesTOR PERONA, MAESTRO CARTOGRAFO), sono cattedratico di Cartografia dell'università di Murcia da molto tempo, le mie pubblicazioni hanno un certo peso nel mondo scientifico, e con una certa assiduità devo occuparmi di dubbi e problemi posti da istituzioni o da privati. Continua a stupirmi il fatto che, in un'epoca in cui la cartografia ha subito la maggior rivoluzione della propria storia con la fotografia aerea, le mappe satellitari e l'applicazione dell'elettronica e dell'informatica, allontanandosi dalle rudimentali prime mappe tracciate da esploratori e navigatori, gli studiosi sentano il bisogno di qualcuno per saldare il fragile cordone ombelicale che unisce la modernità alle epoche remote della scienza che, in fin dei conti, non è altro che il mito provato. Il problema si presentava già nel XV e nel XVI secolo, quando gli allora progressisti cartografi fiamminghi dovettero sforzarsi per conciliare le contraddittorie indicazioni degli autori antichi con le nuove scoperte dei navigatori portoghesi e spagnoli, e la cosa si ripetè una generazione via l'altra. Sicché, ora, senza persone come me - perdonate questa piccola, ma forse legittima, vanità - il mondo antico sarebbe visto in un'ottica sbagliata e molte cose perderebbero di senso sotto la fredda luce al neon della scienza moderna. Perciò, ogni volta che qualcuno sente il bisogno di guardarsi alle spalle e capire ciò che vede, ricorre a me. Ai classici. Naturalmente ricevo richieste di consulenza di storiografi, bibliotecari, archeologi, idrografi e anche cercatori di relitti e di tesori in generale. Forse ricorderete il ritrovamento del galeone Sao Rico di fronte a Cozumel, la ricerca dell'arca di Noè sul monte Ararat, o quel famoso reportage televisivo del National Geographic sul rinvenimento del Virgen de la Caridad dirimpetto a Santofia, nel golfo di Biscaglia, e il recupero di diciotto dei suoi quaranta cannoni in bronzo. Questi tre episodi, sebbene quello dell'arca si fosse concluso con un pesante scorno, sono stati possibili grazie alle tavole di correzione sviluppate dalla mia équipe di collaboratori dell'università di Murcia. Persino un'altra nostra vecchia conoscenza, Nino Palermo, in un'occasione mi fece il discutibile onore di una richiesta di consulenza, anche se poi la cosa si arenò, quando stava seguendo la pista, credo, di ottantamila ducati affondati con una galea spagnola nel 1562, di fronte alla torre di velez Malaga. Concludendo: per ulteriori dettagli vi rimando ai miei articoli sulla rivista Cartographica e a diversi miei libri: le già citate Applicazioni, per esempio, o lo studio delle Pagina 194

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt lossodromie - loxos e dromos, come ben saprete - negli Enigmi della proiezione di Mercatore. Potete anche consultare il mio studio sulle ventun mappe dell'atlante inconcluso di Pedro de Esquivel e Diego de Guevara, o le biografie di padre Ricci (Li Mateu: il Tolomeo della Cina) e di Tofifio (L'idrografo del re), il Catalogo Idrografico antico che ho steso in collaborazione con Luisa MartinMeras e Belen Rivera, o le monografie Cartografi gesuiti in mare e Cartografi gesuiti in Oriente. Tutto ciò l'ho scritto standomene nel mio studio, naturalmente. Certe cose, come i sogni di gioventù, devono essere visitate sul posto solo quando gli anni sono pochi. Durante la maturità, le cartoline e lo schermo hanno la meglio sui sensi, e uno si trova a Venezia immerso non nello splendore, ma nell'umidità. Ma torniamo a bomba. Ossia a quella mattina in cui, nello studio dell'università, i miei due visitatori esposero il loro problema. O meglio, lo espose lei, mentre lui, seduto tra le pile di libri che avevo scostato per fargli posto, ascoltava discreto. E devo confessare che quel marinaio silenzioso - ci misi ancora un po' a capire quale fosse il suo mestiere - mi risultò simpatico; forse per la maniera di ascoltare in disparte, o per l'aspetto ombroso ma da brava persona, con lo sguardo franco che sosteneva il tuo, o per il modo di toccarsi il naso quando sembrava sconcertato o perplesso, il sorriso timido, i jeans e le scarpe da tennis, le braccia forti sotto la camicia bianca con le maniche rivoltate sino ai gomiti. Era quel genere di persona di cui uno intuisce, a ragione o a torto, di potersi fidare, e il suo ruolo in tutte queste peripezie, il suo intervento nella trama e nell'epilogo, me le rende più piacevoli da raccontare di ogni altra cosa. In gioventù anch'io ho letto certi libri. Inoltre, ricorro sempre all'estrema cortesia - ognuno ha i propri metodi - come massima dimostrazione di disprezzo nei confronti dei miei simili, e la scienza a cui mi dedico è un modo, efficace come qualsiasi altro, di tenere a distanza un mondo popolato da gente che mi irrita profondamente. In mezzo al mucchio preferisco scegliere senza alcun rispetto per l'equità, in base alle mie simpatie e antipatie. Come direbbe lo stesso Coy, ognuno fa quel che può. E dunque, per qualche stravagante motivo, chiamatela solidarietà, o affinità, sento il bisogno di giustificare questo marinaio esiliato dal mare, ed è proprio per questo che vi racconto la sua storia. A ben vedere, narrare l'avventura che ha vissuto insieme a Tanger Soto è un po' come tracciare sulla carta la proiezione di Mercatore: per rappresentare una sfera su un piano, a volte serve una leggera forzatura delle superfici alle alte latitudini. Il caso volle che quella mattina, nel mio studio, Tanger Soto mi mettesse al corrente a grandi linee della vicenda, per passare poi a espormi il problema: 37°32' nord e 4°51' est su UNA carta sferica di Urrutia. Una nave era affondata lì nell'ultimo terzo del XVIII secolo, e questo corrispondeva, dopo aver apportato le opportune correzioni con l'aiuto delle mie stesse tavole cartografiche, a una posizione moderna di 37§32' nord e 1§21' ovest. La domanda dei miei ospiti riguardava l'esattezza della trasformazione, e io, dopo averci ragionato su, dissi che, se le tavole erano state applicate correttamente, probabilmente era esatta. " Tuttavia" obiettò lei "la nave non c'è." La guardai con comprensibili riserve. In questo genere di cose non mi sono mai fidato delle affermazioni inconfutabili, né delle donne, belle o brutte, che hanno fama di furbe. Ne ho viste passare parecchie nelle mie aule. "É sicura? Immagino che una nave affondata non vada in giro a gridare la propria posizione." "Lo so. Ma noi abbiamo investigato a fondo, direttamente sul posto." Ossia si erano bagnati i piedi, dedussi. Mi sforzavo di inquadrare la coppia in una delle specie che ho catalogato, ma non era semplice. Archeologi appassionati, storiografi avidi, cacciatori di tesori. Da dietro la mia scrivania, sotto la riproduzione della Tabula Peutingeriana che fa bella mostra di sé in una cornice sulla parete, dono dei miei studenti quando ho ottenuto la cattedra, mi concentrai su di loro. Fisicamente lei corrispondeva alle prime due categorie, e lui alla terza. Sempre che gli archeologi, gli storiografi avidi e i cacciatori di tesori abbiano una fisionomia caratteristica. "Non saprei" dissi. "Posso solo pensare alla cosa più banale: che i dati originali siano sbagliati. La latitudine e la longitudine sonofalse." "É improbabile." Lei scuoteva la Pagina 195

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt testa, sicura, e i capelli biondi, tagliati in una curiosa asimmetria, le sfioravano il mento. "Ci sono valide ragioni documentarie. In tal senso sarebbe accettabile solo un relativo margine d'errore, cosa che ci porterebbe ad allargare la ricerca... Ma prima vogliamo scartare ogni altra possibilità." Mi piacque il piglio di quella signora. Da persona competente e sicura. Seria. "Per esempio?" "Un errore da parte nostra nell'applicare le sue tavole... Vorrei pregarla di controllare i calcoli." Tornai a guardarla per qualche istante e poi lanciai un'occhiata all'altro, che ci ascoltava calmissimo, muto come un pesce con l'aria del bravo ragazzo sulla sua sedia, le manone appoggiate sulle gambe dei pantaloni. La mia curiosità era limitata: avevo già sentito molte storie di ricerche analoghe. Ma l'idea degli studenti in attesa là fuori mi stressava, la giornata era troppo bella per correggere prove d'esame, lei era insolitamente attraente, senza essere una bellezza per via del profilo del naso, o forse proprio per quello, e lui mi andava a genio. Pourquoi pas? mi dissi alla maniera del comandante Charcot. La cosa non mi avrebbe preso molto tempo, e così acconsentii. Il tubo di cartone conteneva carte arrotolate che Tanger Soto spiegò sulla scrivania. Tra le altre riconobbi una riproduzione a grandezza naturale di una carta sferica di Urrutia. Conoscevo quella carta, ovviamente, e la osservai con affetto. Meno bella di quelle di Tofino, certo, ma incisa in modo splendido a punta secca su lastre di rame battuto e brunito, oltre che molto precisa per la sua epoca. "Vediamo" dissi. "Data del naufragio?" "1767. Costa sudest spagnola. Distanza da terra quasi simultanea al momento del naufragio." "Meridiano di Tenerife?" "No. Cadice." "Cadice." Sorrisi brevemente, incoraggiante, mentre cercavo la scala corrispondente delle longitudini nella parte superiore della carta. "Adoro quel meridiano. Mi riferisco al vecchio, ovvio. Ha il classico aroma delle cose perdute, come l'isola di Hierro del vecchio Tolomeo... Sapete a cosa mi riferisco." Inforcai gli occhiali per vedere da vicino e cominciai a lavorare senza che loro mi dicessero se lo sapevano o meno. La latitudine fu la prima cosa che stabilii e senza difficoltà: all'epoca era abbastanza esatta. In realtà, da tremila anni i marinai fenici sapevano che l'altezza del sole sulla meridiana, o delle stelle vicine al Polo nord sopra l'orizzonte di una data località, corrisponde alla sua latitudine geografica. Adesso lo poteva fare anche un bambino. Un bambino con nozioni di cosmografia, ovviamente. Di certo non uno qualsiasi. "Siete fortunati che la vicenda risalga al 1767" commentai. "... Solo cento anni prima, la latitudine si sarebbe potuta ricavare quasi con la medesima facilità, ma la longitudine avrebbe lasciato davvero a desiderare. Nel 1583, Matteo Ricci, uno dei grandi cartografi dell'epoca, commetteva errori addirittura di cinque gradi calcolando longitudini rispetto al meridiano di Tenerife... Il globo di Tolomeo impiegò mille cinquecento anni a sgonfiarsi, e lo fece con lentezza esasperante... Penso che conosciate la famosa frase di Luigi XIV, quando Picard e La Hire gli spostarono di un grado e mezzo la mappa di Francia: "I miei cartografi mi hanno tolto più terra dei miei nemici"" Risi solo io del misero aneddoto e Tanger ebbe la cortesia di fare un sorriso. E davvero interessante, mi dissi, osservandola più attentamente. Per un po' cercai di inquadrarla con più precisione, ma poi desistetti. La donna è l'unico essere che non si possa descrivere con due frasi consecutive. "Comunque sia" ripresi "Urrutia perfezionò moltissimo la tecnica, anche se si dovrà aspettare Tofino sul finire del secolo perché la cartografia idrografica Pagina 196

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt spagnola corrisponda alla realtà... In ogni modo... Vediamo. Bene. Ritengo che la sua latitudine stimata sia assolutamente corretta, mia cara. Vede? Trentadue primi nord. A quanto pare, i calcoli del cartografo e del signore che ha calcolato la latitudine sulla mappa coincidono perfettamente." Dissi "il signore" e non "la signora" perché, pur non essendolo veramente, mi piace fare davanti alle mie studentesse la figura dello sporco maschilista. Volevo anche verificare se Tanger Soto era una di quelle che perdevano tempo a offendersi per sparate del genere. Ma non sembrava offesa. Si limitò a voltarsi appena verso il suo accompagnatore. "Il signore è marinaio." Guardai Coy al di sopra delle lenti, con rinnovato interesse. "Marinaio mercantile? Molto piacere. I suoi calcoli e i miei sono identici, in teoria." Non disse nulla. Sorrise timidamente, un po' a disagio, e si toccò un paio di volte il naso. Piegata sulla mia scrivania, Tanger indicava la scala superiore sulla carta sferica. "Stabilire la longitudine" disse "ci ha creato più problemi." "Logico." Mi buttai indietro, sulla poltrona da professore. "Fintanto che gli orologi marini di Harrison e Berthoud non vennero perfezionati, e ciò avvenne ben oltre la metà del XVIII secolo, la longitudine costituì il dilemma principale dei naviganti. La latitudine la davano il sole o le stelle, ma la longitudine, che oggigiorno qualsiasi orologio da polso da due soldi ci offre, si poteva calcolare solo con il metodo impreciso delle distanze lunari. Quando Urrutia tracciò le sue carte, trovare le proprie coordinate in mare rispetto a un meridiano era un problema ancora in parte irrisolto. Esistevano orologi a pendolo e sestanti, ma mancava uno strumento affidabile: Cronometro sicuro che calcolasse quei quindici gradi contenuti in ogni ora di differenza tra l'ora locale e quella del primo meridiano... Ecco perché gli errori di longitudine erano più diffusi di quelli di latitudine. Fino al XVIII secolo, pensate un po', non venne fissata la longitudine reale del Mediterraneo: venti gradi meno dei sessantadue che le aveva attribuito Tolomeo." Mi concessi una pausa per osservarla. Non sembrava affatto impressionata. E nemmeno Coy. Probabilmente non stavo raccontando niente di nuovo, ma io ero un maestro cartografo e loro erano venuti di loro spontanea iniziativa nel mio studio. Ognuno di noi ha un personaggio da interpretare e fa del suo meglio per recitare la propria parte. Se quei due avevano bisogno d'aiuto, dovevano pagare il pedaggio. Al mio ego. "Difficile crederci, vero?" Ripresi sullo stesso tono, permettendomi una coloritura affettuosa. "... Quando vedo un bambino che disegna con i pastelli colorati sul quaderno di geografia, penso che, da che mondo è mondo, calcolando triangolazioni, distanze lunari ed eclissi di pianeti, gli uomini hanno studiato la Terra e le sue coste, osservando ogni accidente del terreno, sondando metro per metro, per poi tracciarlo sulle mappe. "Essendo quel cammino tanto accidentato" scriveva Martin Cortes "sarebbe difficile spiegarlo a parole o descriverlo a penna. La miglior spiegazione che ha trovato a questo fenomeno l'umano ingegno è di tracciarlo su una carta..." Fu allora che la natura cadde in nostro dominio, vennero effettuate tutte le esplorazioni e i viaggi possibili... Con il proprio talento e il rudimentale aiuto di bussola, astrolabio, quadrante, balestriglia e tavole alfonsine, l'uomo cominciò a disegnare le coste, segnò i pericoli sulla carta, situò fari e torri nei punti più adatti..." indicai al di sopra della mia testa la Tabula Peutingeriana: non era un modello di precisione, con tutte quelle strade romane e il rigore geografico sacrificato all'efficienza militare e amministrativa, ma faceva scena "... e ci mise tanta fantasia ed efficacia, nonostante le ovvie imprecisioni, che ancor oggi i satelliti mostrano paesaggi descritti quasi alla perfezione da uomini che li esplorarono e navigarono centinaia di anni fa... Pagina 197

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Uomini che, soprattutto, parlarono, osservarono, pensarono... Conoscete la storia di Eratostene?" Naturalmente, gliela raccontai. Per filo e per segno, senza trascurare il minimo particolare. Ragazzo sveglio, quel cireneo: direttore della biblioteca di Alessandria, tanto perché si facessero un'idea. Ad Assuan c'era un pozzo il cui fondo era illuminato dai raggi del sole esclusivamente nei giorni che andavano dal 20 al 22 giugno; ciò significava che il pozzo si trovava nel Tropico del Cancro, e d'altra parte la città di Alessandria si trovava a nord rispetto a quel punto, alla distanza nota di cinquemila stadi. Allora Eratostene misurò l'angolo del sole a mezzogiorno del 21 giugno e ne dedusse che l'arco misurato, di circa sette gradi, era la cinquantesima parte del meridiano della Terra. Calcolò per il meridiano duecentocinquantamila stadi, ossia, quarantacinquemila chilometri. Dovevano ammettere che non era niente male, vero? Consideriamo che la misura effettiva della circonferenza terrestre è di quarantamila stadi. Meno del quattordici percento di errore: relativamente una grande precisione, trattandosi di un tizio che visse due secoli prima di Cristo. "Ecco perché" conclusi "il mio lavoro mi affascina." Persino a quel punto non sembravano affatto impressionati, ma io ero perfettamente a mio agio. Bisogna anche dire che sono innamorato alla follia del mio mestiere. Dopo quella premessa, decisi di riprendere la mia consulenza. "Bene" dissi, dopo gli opportuni calcoli. "Avete applicato le mie tavole in maniera corretta. Ottengo, come voi, una longitudine moderna di 1§21' ovest rispetto a Greenwich..." "Allora la faccenda si fa seria" disse Tanger "perché lì non c'è niente." Le lanciai uno sguardo contrito, sempre da sopra gli occhiali che hanno la spiacevole abitudine di scivolarmi sulla punta del naso. Osservai con la coda dell'occhio il marinaio. Non sembrava infastidito dal modo in cui io, con un gomito appoggiato sulla scrivania, studiavo la bionda. Si trattava di un rapporto professionale, do ut des, proprio come il suo. Nutrii qualche speranza. "Allora dovrete ricontrollare la posizione originale sull'Urrutia, temo. O allargare, come prevedevate, l'area di ricerca... La nave può essere andata alla deriva dall'ultima posizione conosciuta, o aver navigato ancora un po' prima di affondare.... Una tempesta?" "Un combattimento" disse lei, schietta. "Con uno sciabecco corsaro." Che meraviglia, un classico, pensai. E quante poche possibilità di farcela avevano quei due. Misi su una faccia da circostanza. "Allora" osservai, grave "tra il punto in cui fu presa la posizione e quello dell'affondamento possono essere successe un sacco di cose... E a bordo saranno stati troppo impegnati per mettersi a misurare l'altezza del sole o calcolare la distanza da terra. Credo che questo vi metta in una situazione difficile. " Dovevano esserne consapevoli già prima di venirmi a parlare, perché le mie parole non parvero agitarli più di tanto. Lui si limitò a osservarla, come se si aspettasse una reazione che non vi fu. Tanger continuava a studiarmi, come si guarda un medico che ha spifferato la diagnosi solo a metà. Lanciai un'altra occhiata alla carta in cerca di una buona notizia. Resterà paraplegico, ma potrà sempre fischiettare un paso doble, o dipingere con le dita di un piede. Roba del genere. "Immagino che non ci sia alcun dubbio che le carte utilizzate fossero quelle di Urrutia" commentai. "... Qualsiasi altra potrebbe significare alterazioni della posizione teorica su cui stiamo lavorando." "Nessun dubbio." Mi domandai, ascoltandola, se quella donna ne avesse mai avuto uno. "C'è la testimonianza diretta di un membro dell'equipaggio." "É sicura che si tratti del meridiano di Cadice?" "Non può trattarsi d'altro. Parigi, Greenwich, Hierro, Cartagena... Nessuno combacia con l'area generica del naufragio. Solo Cadice." Pagina 198

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt "Il meridiano vecchio, immagino." Sorriso professionale, il mio. In tono. "Non sarete caduti nell'errore, più frequente di quanto si creda, di confonderlo con San Fernando." "Naturalmente no." "Hmm. Cadice." Meditai seriamente. "Do per scontato" dissi qualche istante dopo "che lei mi dica solo ciò che ritiene opportuno raccontarmi, e la capisco. Mi rendo conto della situazione." Lei reggeva il mio sguardo con il massimo sangue freddo. "... Tuttavia, forse può rivelarmi qualche altra informazione sulla nave." "Era un brigantino proveniente dalla costa andalusa. Diretto a nordest." "Bandiera spagnola?" "Sì " "Chi era l'armatore?" Notai che esitava. E se tutto fosse finito li, non avrei fatto altre domande e li avrei salutati con il genere di cortesia di cui ho parlato prima. Non si può venire a spremere un maestro cartografo in cambio di una bella faccia, e in più nascondere con una mano ciò che con l'altra si finge di mostrare. Lei probabilmente mi lesse in volto quel che pensavo, perché stava per aprire bocca e dire qualcosa. Ma fu Coy, dalla sua sedia, a pronunciare la formula magica: "Era una nave gesuita" Lo guardai con affetto. Bravo ragazzo, quel marinaio. Immagino che fu in quel preciso momento che mi tirò dalla sua parte. Guardai la donna. Annuiva con un vago sorriso, enigmatico, insieme di scusa e di complicità. Solo le belle donne osano sorridere così quando sei stato sul punto di coglierle in fallo. "Gesuita" ripetei. Poi scossi la testa su e giù un paio di volte, assaporando l'informazione. Molto bene. Anzi, fantastico, sono quasi convinto che una persona decida di diventare cartografo per vivere un momento del genere. Prendendomi tutto il tempo, studiai con grande attenzione la carta spiegata sul tavolo, consapevole dei due sguardi fissi su di me. Contai mentalmente mezzo minuto. "Invitatemi a pranzo" mi decisi a dire, arrivato a trenta. "Credo di essermi appena guadagnato del buon vino e un pranzo con i fiocchi." Li portai alla Pequena Taberna, un ristorante di cucina tipica di Murcia che si trova alle spalle dell'arco di San Juan, accanto al fiume. Assaporai al massimo il momento fortunato, come i toreri che non hanno fretta, e mi compiacqui della loro curiosità raccontando le cose con il contagocce: aperitivo, una bottiglia di Marques de Riscal Gran riserva più che accettabile, pisto murciano, sangue fritto con cipolla, verdure alla griglia. Loro toccarono a stento quei manicaretti, ma io feci onore alla cucina. "Quella nave" dissi dopo una giusta pausa "non la troverete di certo ai 37§32' di latitudine e 4§51' di longitudine est da Cadice, per il semplice motivo che non è mai stata lì." Ordinai dell'altro pisto. Era delizioso, e stuzzicava il palato solo a vederlo nel banco frigo, esposto in enormi teglie di terracotta. Era stuzzicante anche la faccia che facevano loro, a mano a mano che sciorinavo la storia. "I gesuiti avevano una lunga tradizione cartografica" ripresi, intingendo il pane nella salsa. "Urrutia in persona contò sul loro aiuto tecnico per portare a termine le sue carte sferiche... Dopotutto, la tradizione scientificoidrografica della Chiesa ha radici profonde: la prima menzione di uno strumento nautico si trova negli Atti degli Apostoli: "Gettato lo scandaglio trovarono venti braccia di profondità"" La citazione erudita non li colpì minimamente: erano spazientiti, naturale. Lui non si preoccupava di nasconderlo e teneva le mani immobili accanto al piatto, guardandomi con la faccia di chi sta pensando "Chissà quando la smetterà di girarci intorno, questo idiota" Lei ascoltava con una calma apparente che oserei definire da vera professionista: era in gamba, senza dubbio. Non lasciava trapelare altro che un'attenzione estrema, come se tutte le mie divagazioni valessero oro puro. Sapeva trattare gli uomini. Pagina 199

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Più tardi capii fino a che punto. "Il fatto è" continuai tra un boccone e un sorso del Gran riserva "che alcuni dei più importanti cartografi appartenevano alla Compagnia di Gesù: Ricci, Martini, il padre Fournier, autore della Hydrographie... Avevano i loro sistemi, le loro missioni in Asia, i loro villaggi di indios convertiti in America Latina, le loro strade, feudi di ogni tipo. Vascelli, comandanti, piloti. Blasco Ibanez li ribattezzò come "ragno nero" in una sua opera, e tutto sommato aveva ragione." Continuai con pranzo e dettagli, riservandomi un finale a effetto. I gesuiti, aggiunsi, si avvalevano di scuole proprie di cosmografia, cartografia e nautica. Sapevano quanto importante fosse avere conoscenze geografiche precise, e i loro religiosi, dai tempi di Ignazio di Loyola, erano incaricati di raccogliere nei loro viaggi dati utili per la Compagnia. Persino il marchese di Ensenada, precisai con un asparago verde infilzato nella forchetta, gli commissionò all'epoca di Filippo V una mappa moderna e dettagliata della Spagna, che non fu stampata a causa della caduta del ministro. Parlai anche del rapporto stretto che avevano con Jorge Juan e Antonio de Ulloa, i signori del punto fisso che misurarono il grado del meridiano del Perù. In materia scientifica, insomma, i gesuiti furono un po' come il prezzemolo. Guadagnandosi amicizie e inimicizie, naturalmente. Perciò prendevano le loro precauzioni. Io stesso, durante i miei studi, mi ero imbattuto in documenti che a volte era stato difficile, altre impossibile interpretare. Quei tizi avevano un'infrastruttura specializzata in quello che oggi, sorrisi, chiameremmo controspionaggio. "Intende dire che usavano codici e linguaggi cifrati." "Sì, mia cara. Quel vostro brigantino navigava all'interno di un sistema di codici interni e segreti. Come tutti i componenti della Compagnia, se ne andava per il mondo con carte che, come quelle di Urrutia e le altre, indicavano scale di meridiani e paralleli indispensabili alla navigazione: Cadice, Tenerife, Parigi, Greenwich" bevvi un altro sorso e annuii compiaciuto: il cameriere aveva appena stappato la seconda bottiglia " ma c'era una peculiarità. Ricordatevi che il meridiano è un concetto relativo, che serve a dare le coordinate su di una mappa che imita la superficie terrestre mediante una proiezione sferica... Esistono centottanta meridiani, che di per sé sono arbitrari. Il primo, che alcuni chiamano meridiano zero, può passare dove gli pare, perché non esiste né in cielo né in terra un'indicazione fissa che costringa a misurare la longitudine partendo da quello. Data la forma della Terra, tutti i meridiani potrebbero essere il meridiano fondamentale, e ognuno di loro può ricevere un tanto insigne e illustre nome. Dunque, fintanto che non fu adottato Greenwich come riferimento universale, ogni paese ebbe il suo." Bevvi un altro sorso di vino e li guardai, tergendomi le labbra con il tovagliolo. "... Mi seguite?" "Perfettamente." Gli occhi d'acciaio mi guardavano straordinariamente fisso, e non potei fare a meno di ammirare tanto sangue freddo. "... Per dirlo in poche parole, i gesuiti usavano un loro meridiano." "Esatto. Solo che io detesto dire le cose in poche parole." Coy muoveva piano la testa, senza aprire bocca: un cenno affermativo molto lento e molto abbattuto. Vidi che tendeva la mano al suo bicchiere e si decideva finalmente a bere un sorso di vino. Un sorso lunghissimo. "Allora" disse Tanger "le correzioni che abbiamo applicato con le sue tavole non devono essere fatte partendo da Cadice..." "É ovvio. Bisogna apportare le correzioni partendo dal meridiano segreto che i gesuiti utilizzavano nel 1767 per calcolare la longitudine a bordo delle loro navi." Feci un'altra pausa e li guardai, sorridendo. "... Capite dove voglio arrivare?" "Accidenti a lei" disse Coy "sputi il rospo, una buona volta." Gli rivolsi uno sguardo di simpatia. Credo di avervi detto che il tipo mi andava davvero a genio. "Non mi privi del piacere della suspense, caro amico. Non me lo tolga... Il meridiano che state cercando corrisponde agli attuali 5§40' ovest rispetto a Pagina 200

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Greenwich. E passa esattamente per la scuola di cosmografia, geografia e navigazione, e per l'osservatorio astronomico che, fino alla loro espulsione nel 1767, i gesuiti tennero nell'attuale Università pontificia, l'antico Collegio reale della Compagnia di Gesù..." Feci l'ultima pausa teatrale, voilà, signore e signori, ed estrassi il coniglio dal cilindro. Un coniglio bianco, lucido, che masticava pacifico una carota. " A pochi metri" precisai "dalla torre della cattedrale di Salamanca. " Ci fu un silenzio che durò almeno cinque secondi. Prima si guardarono l'un l'altro e poi Tanger disse che no, non poteva essere. Lo disse proprio così, sottovoce, non può essere, fissandomi come se io fossi un marziano. Niente obiezioni, né un cenno di incredulità, nessuna protesta, ma un semplice lamento. Sono una stupida, in libera traduzione. "Ho paura di sì" infierii. "Ma allora, significa..." "Significa" la interruppi, non volevo perdere il ruolo da protagonista "che a quella latitudine tra il meridiano di Salamanca e quello del castello dei Guardiamarinas di Cadice, in molte mappe dell'epoca nel 1767 c'era una differenza di quarantacinque primi di longitudine ovest..." Mentre parlavo, disposi sulla tovaglia un paio di piatti, un pezzo di pane e un bicchiere per ricostruire approssimativamente il tracciato della costa. Il bicchiere stava al centro e rappresentava Cartagena, e a un'estremità di una forchetta fissavo il Cabo de Palos. Non era una carta di Urrutia, ma non era poi così male, ve lo garantisco. Persino i quadretti della tovaglia sembravano paralleli e meridiani di una carta sferica. "E voi" conclusi, contando con il dito i quadretti fino alla forchetta situata alla mia destra "avete cercato quella nave quarantacinque miglia a ovest dal punto in cui si trova in realtà. " 347. 14. Il mistero delle aragoste verdi. Anche se ne parlo come di un solo Meridiano, in realtà non è così, in realtà sono molti; perché tutti gli uomini e tutte le navi hanno diversi meridiani, ognuno ha il suo. M. PMENTEL, Arte de navegar. Navigavano verso est fendendo la bruma del mattino lungo il parallelo 37§32', deviando leggermente dalla rotta verso nord per guadagnare un primo di latitudine. Incassato nella paratia, l'ago del barometro di ottone era inclinato a destra: 1022 millibar. Non c'era vento, e le tavole della coperta scricchiolavano al tremolio del motore. La nebbia si stava diradando, per quanto fosse ancora grigia sulla scia, a prua lasciava filtrare abbaglianti raggi di sole e riflessi dorati, mentre dal fianco sinistro si distingueva qui e la, sfumato e altissimo lo spettrale profilo scuro della costa. Di sopra, nel pozzetto, il Secondo controllava la rotta. E sotto, nel quadrato, piegata su parallele, compasso, penna e gomma da cancellare, come una studentessa diligente che preparasse un esame difficile, Tanger quadrettava la carta 464 dell'Istituto idrografico della Marina: "Da Cabo Tinoso a Cabo de Palos" Seduto al suo fianco, Coy, con una tazza di caffè e latte condensato in mano, la osservava tracciare linee e calcolare distanze. Avevano lavorato la notte intera, senza chiudere occhio, e quando il Secondo si era svegliato e aveva mollato gli ormeggi prima che facesse giorno, avevano già deciso sulla carta la nuova area di ricerca, situandone il nucleo centrale tra i 37§33' nord e 0§45' ovest: il rettangolo sulla carta che ora Tanger, alla luce del tavolo da carteggio, con pazienza e gran cautela a causa delle lievi oscillazioni del Carpanta, suddivideva in frange di cinquanta metri di larghezza. Un'area di un miglio e mezzo di lunghezza per due di larghezza, a sud di Punta Seca, sei miglia a sudovest del Cabo de Palos: Pagina 201

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Ma accadde che dopo che il vento girò a nord e avendo già avvistato il capo a nordest, nel forzare la vela onde sfuggire alla caccia di cui era oggetto, ebbe la mala sorte di perdere l'albero di trinchetto, scatenandosi così una battaglia vivacissima con le navi quasi rasenti una all'altra. L'albero di trinchetto fu perduto e la gran parte della gente in coperta rimase uccisa o fuori combattimento, datosi che il nemico con mitraglia e contro le murate le tirava addosso: ma quando lo sciabecco si disponeva ad accostarsi al brigantino per abbordarlo, l'incendio di una delle sue vele basse, secondo le parole del dichiarante, si propagò a una carica di polvere da sparo. Allor dunque lo sciabecco saltò in aria e per somma disgrazia l'esplosione sradicò anche l'albero di maestra del brigantino, mandando la nave a picco. A quanto dichiara il testimone, non ci furono altri sopravvissuti oltre a lui, che si salvò, perché sapeva nuotare, a bordo della barca di salvataggio che il brigantino aveva calato all'inizio della battaglia, trascorrendovi il resto del giorno e la notte, fintanto che intorno alle undici del giorno seguente fu raccolto sei miglia a sud di questa piazza dalla tartana Virgen de los Parales. Secondo la dichiarazione rilasciata dal testimone, l'affondamento del brigantino e dello sciabecco avvenne a due miglia dalla costa a 37§32' nord -- 4§51' est, posizione che coincide con quella annotata su un foglietto stracciato a metà che teneva in tasca al momento del salvataggio, avendogliela riferita l'ufficiale di rotta, una volta stabilita su di una carta sferica di Urrutia per trascriverla sul giornale di bordo, e non disponendo del tempo per appuntarsela a causa della rapidità con cui si scatenò il combattimento. Il dichiarante rimase internato sotto controllo medico nell'ospedale della Marina di questa città in attesa di altre disposizioni. Il giorno seguente sua eccellenza l'ammiraglio sollecitò nuove verifiche su certi particolari dell'accaduto, datasi la circostanza che il dichiarante avesse lasciato i locali dell'ospedale nel corso della notte, e senza che finora vi siano notizie del luogo ove risiede. Circostanza sulla quale sua eccellenza l'ammiraglio ha ordinato che vengano avviate le indagini per l'accertamento delle responsabilità. Addì, 8 di febbraio 1767, Capitaneria di porto di Cartagena, tenente di vascello Ricardo Dolarea. Tutto combaciava. Ne discussero in lungo e in largo con la copia della dichiarazione dell'assistente dell'ufficiale di rotta sul tavolo, analizzando ogni risvolto di quello scherzo postumo, esasperante, con cui i fantasmi dei due gesuiti e dei marinai affondati sul Dei Gloria si erano presi gioco di loro e di tutti gli altri. La 464 spiegata sotto il naso, un compasso in mano, il tracciato della costa sulla parte superiore della carta -- Cabo Tinoso a sinistra, Cabo de Palos a destra e il porto di Cartagena al centro -- Coy aveva calcolato senza problemi il margine d'errore: quella notte dal 3 al 4 febbraio 1767, con la nave corsara incollata alla poppa, il brigantino aveva navigato molto più rapidamente e lontano di quanto pensassero. E all'alba, il Dei Gloria non si trovava a sudovest di Cabo Tinoso e di Cartagena, aveva invece doppiato tali longitudini e navigava più a levante. Si trovava a sudest del porto, e il capo che avvistava a prua, a nordest, non era Cabo Tinoso, bensì il Cabo de Palos. Tanger aveva concluso. Poggiò carta. matita e parallele e rimase a guardare Coy. "Ecco perché torturarono per diciotto anni l'abate Gandara... Avevano cercato il brigantino nella posizione dichiarata dall'assistente dell'ufficiale di rotta. Forse si erano immersi anche con sommozzatori e campane di immersione e non avevano trovato niente perché il Dei Gloria non c'era." La veglia disegnava cerchi scuri sotto i suoi occhi, facendola sembrare più vecchia. Meno attraente e più affaticata. "Adesso racconta cosa accadde" disse. "La tua versione finale." Lui osservò la 464. Era sopra la riproduzione della carta di Urrutia, anch'essa coperta di segni a matita e annotazioni. Il disegno marrone della costa, la frangia azzurra delle quote minime di scandaglio, la percorrevano salendo in una dolce diagonale fino al Cabo de Palos e alle Islas Hormigas, visibili nell'angolo superiore destro della carta. Tutte le caratteristiche geografiche erano sotto i loro occhi, da ovest a est: Cabo Tinoso, il porto di Cartagena, l'isola di Escombreras, Cabo de Agua, il golfo di Portman, Cabo Negrete, Punta Seca, Cabo de Palos... Pagina 202

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Forse quella notte il libeccio era stato più forte, spiegò Coy. Venticinque o trenta nodi. O forse il comandante Elezcano si era assunto il rischio di forzare l'alberatura spiegando più vele. Forse era accaduto che il vento girasse a nord, trasformandosi in vento di terra ben prima dell'alba, e che il corsaro, che navigava ottimamente di bolina, grazie al fiocco del bompresso e alle vele latine degli alberi di trinchetto e di mezzana, avesse avuto il sopravvento frapponendosi tra il brigantino e Cartagena, per impedirgli di rifugiarsi in quel porto. C'era anche la possibilità che, nel corso di qualche manovra notturna per depistare la nave corsara, il Dei Gloria si fosse allontanato pericolosamente dall'unico ridosso possibile, o magari il comandante, testardo e rigoroso, avesse ricevuto ordini incontrovertibili di non toccare nessun porto oltre Valencia, per evitare che gli smeraldi corressero il rischio di cadere in mani sbagliate. Cercò di descrivere le prime luci, la linea ancora confusa della costa, le occhiate inquiete del comandante e dell'ufficiale di rotta che cercavano di capire la loro esatta posizione, e lo sconforto nello scoprire che la nave corsara era sempre lì, a dargli la caccia e sempre più vicina, senza che fossero riusciti a ingannarla nel buio. In ogni modo, con le prime luci, mentre il comandante guardava verso l'alto, domandandosi se navigando di bolina l'albero avrebbe sopportato tanta vela, l'ufficiale di rotta si avviò alla banda di sinistra e calcolò la distanza da terra per stabilire la posizione. Senza dubbio ottenne rilevazioni simultanee, e lo fece situando a 345§ il Junco Grande, Cabo Negrete a 295§ e il Cabo de Palos a 30§ Poi avrà intersecato le tre linee ottenute sulla carta, per stabilire così la posizione del brigantino. Non era difficile immaginarsi il pilota con il cannocchiale e l'alidada o il circolo azimutale, estraneo a tutto quanto non fosse il procedimento tecnico del suo compito, e l'assistente al suo fianco, carta e matita pronte per appuntarsi le osservazioni, che seguiva con la coda dell'occhio le vele della nave corsara, colorate di rosso dalla luce orizzontale dell'alba, sempre più vicine. Poi, in quattro e quattr'otto, giù a calcolare sulla carta di Urrutia, e l'assistente che correva al casseretto sulla coperta inclinata per lo sbandamento, il foglio con le coordinate in mano, mostrandoli al comandante proprio nel momento in cui la testa dell'albero si spezzava con uno scricchiolio e tutto finiva giù, e il comandante ordinava di tagliarlo e di buttarlo in mare e agli artiglieri di tenersi pronti. Il Dei Gloria, a quel punto, dava la sbandata fatale che segnava il suo destino. Tacque, avvertendo che la voce gli stava tremando. Marinai. Dopotutto quegli uomini erano marinai, come lui. Bravi marinai. Avrebbe potuto descrivere fino all'ultima delle loro paure e delle loro impressioni con tanta precisione come se ci fosse stato anche lui a bordo. Tanger lo guardava con attenzione. "Racconta bene, Coy." Lui si toccò il naso. Attraverso l'oblò osservava la luce del sole che sorgeva al di sopra della bruma grigia in cui erano immersi. Vedeva anche la prua della nave corsara Chergui che spuntava a poco a poco, di fronte a uno dei portelli aperti del brigantino. "Non è difficile" disse " In un certo senso non è difficile." Socchiudeva gli occhi. Sentiva la bocca secca, il sudore sul torso nudo, madido il cencio che si era appena annodato intorno alla fronte. Perché in quel momento, piegato dietro il cannone nero da quattro libbre, tra il fumo delle micce accese, ascoltava il respiro dei compagni acquattati accanto all'affusto con il calcatoio, lo scovolo e il cavastracci preparati, pronti a spezzare cime, pulire, caricare e sparare ancora. "Comunque sia" aggiunse poi "non posso affermare che sia andata proprio così." "E come spieghi la posizione dell'assistente?" Coy si strinse nelle spalle. Il fragore del cannoneggiamento e le schegge che gli rimbombavano nel cervello si smorzarono lentamente. Ora indicava con il dito sulla carta, prima di descrivere una diagonale verso sudovest. "Come ce l'eravamo spiegata prima" disse. "Con la differenza che il vento che soffiava dopo il naufragio, mandando alla deriva lo scafo, non era un maestrale, ma un grecale. Pagina 203

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Il vento di terra dell'alba probabilmente girò di qualche quarta a levante quando il sole era alto nel cielo: allora spinse il ragazzo in mare aperto, avvicinandolo alla verticale di Cartagena, poche miglia a sud, dove il giorno dopo fu tratto in salvo." Nemmeno quello era difficile da immaginare, pensò, osservando la linea di deriva sulla carta segnata con i numeri delle quote di scandaglio. Il ragazzo solo sulla barchetta alla deriva, stordito, sgottando acqua. Il sole e la sete, il mare infinito e la costa sempre più lontana, irraggiungibile. In dormiveglia bocconi, per evitare che i gabbiani gli beccassero la faccia, la testa che ogni tanto si sporgeva per guardarsi intorno e che ricadeva disperata: solo il mare impassibile, con i segreti sepolti nelle sue viscere. E in alto, sulla superficie increspata dalla brezza, un altro Ishmael che galleggiava sopra la tomba azzurra dei propri compagni. "É strano che non riferisse la posizione reale del Dei Gloria" disse Tanger. "Un ragazzetto come lui non poteva essere a conoscenza di tutte le implicazioni." "Non era tanto piccolo. Come ti ho detto, si imbarcavano giovanissimi e dopo quattro o cinque anni in mare, maturavano alla svelta. Erano uomini tutti d'un pezzo, quelli. Veri marinai. " Lei annuiva, convinta. "E tuttavia" disse "stupisce la sua ferma volontà di conservare il segreto... Era un allievo ufficiale: doveva sapere che la longitudine non faceva riferimento al meridiano di Cadice... E seppe tenerselo per sé, ingannando gli investigatori. Negli atti dell'interrogatorio non vi è ombra di dubbio." Era vero. Avevano analizzato i documenti, la dichiarazione di naufragio, il rapporto ufficiale: non una sola contraddizione. L'assistente dell'ufficiale di rotta non aveva vacillato quanto a longitudine e latitudine. E aveva in tasca il foglio annotato come prova. "Era un ragazzo in gamba" aggiunse Tanger, assorta nei propri pensieri. "Un ragazzo leale." "A quanto pare." "E molto sveglio. Ti ricordi la sua dichiarazione? Parla del capo che si trova a nordest, ma non lo nomina. In base alla posizione data, tutti si convinsero che fosse Cabo Tinoso. Ma lui si guardò bene dal correggerli. Evitò di specificare quale fosse." Coy stava di nuovo guardando il mare attraverso l'oblò. "Credo" disse "che fosse il suo modo di continuare a combattere. " Il sole era già alto e la bruma diradava. Il profilo scuro della costa si precisava al traverso di sinistra: la Punta de la Chapa, con il faro bianco a levante della baia di Portman; l'originaria Portus Magnus, con le macerie delle miniere abbandonate sull'antica strada romana, e la melma che intorbidiva l'insenatura dove, già prima di Cristo, navi dagli occhi dipinti a prua caricavano lingotti d'argento. "Mi chiedo cosa ne sarà stato di lui" disse Coy. Si riferiva alla scomparsa dall'ospedale della Marina. Quanto a questo Tanger aveva una sua teoria personale e passò a esporla, lasciando a lui, come al solito, il compito di riempire gli spazi bianchi. In sintesi, all'inizio di febbraio del 1767 i gesuiti avevano ancora a disposizione parecchio denaro e potere un po' ovunque, compreso il Dipartimento marittimo di Cartagena. Non era difficile corrompere chi di dovere, e assicurare una discreta ritirata all'assistente in un secondo tempo: bastava un tiro di cavalli, una carrozza e lettere di garanzia per attraversare le porte della città. Senza dubbio agenti della Compagnia lo fecero uscire dall'ospedale prima che venisse sottoposto a un nuovo interrogatorio, portandolo lontano, il giorno dopo il salvataggio in mare. "Scomparso senza permesso" era scritto nel protocollo: cosa ben strana per un giovanissimo marinaio mercantile messo sotto indagine dalla Marina. Ma lo "scomparso senza permesso" era stato corretto più tardi da una mano anonima e sostituito con un "dimesso con autorizzazione" A quel punto le sue tracce si perdevano. Era facile, pensava Coy ascoltando il racconto di Tanger. Tutto combaciava, e quindi poteva immaginarselo senza sforzo: la notte, le corsie deserte dell'ospedale, la luce di una candela. Pagina 204

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Sentinelle e guardiani zittiti con l'oro, qualcuno che si presenta a volto coperto e con precise istruzioni, il ragazzo circondato da uomini fidati. Poi le strade vuote, il conciliabolo clandestino nel convento gesuita della città. Un interrogatorio serio, rapido, teso, e cipigli che si distendono scoprendo che il segreto è stato salvaguardato. Forse pacche sulle spalle, mani ammirate che si posano su di lui. Bravo ragazzo. Bravo e coraggioso ragazzo. E poi via di nuovo nella notte, e gente che da un angolo in ombra fa il segnale: tutto tranquillo. La carrozza, le porte della città, l'aperta campagna e il cielo stellato. E un marinaio di quindici anni che si appisola sul sedile, abituato fin da piccolo a sballottamenti ben peggiori di quello, vegliato nel sonno dagli spettri dei compagni morti. Dal sorriso triste del comandante Elezcano. "Tuttavia" concluse Tanger "c'è qualcosa... di buffo, o di strano. L'assistente dell'ufficiale di rotta si chiamava Miguel Palau, ti ricordi? Era nipote dell'armatore di Valencia del Dei Gloria, Luis Fornet Palau. E può darsi che sia una semplice coincidenza" alzò un dito, come a reqlamare un momento di attenzione, e frugò in mezzo alle carte che teneva nel cassetto del tavolo da carteggio. "... Guarda qui. Mentre controllavo nomi e date, consultando a Viso del Marques archivi della Marina molto più recenti, ho incontrato un riferimento al cutter Mulata, di Valencia. Quella nave si scontrò in battaglia con il brigantino inglese Undated, nei pressi dei canali di Formentera. Il brigantino cercò di catturare il cutter, che però si difese molto bene e riuscì a sfuggirgli... E sai come si chiamava il comandante spagnolo? "M. Palau" dice il riferimento. Proprio come il nostro assistente. E anche l'età coincide: quindici anni nel 1767, trentadue o trentatré nel 1784..." Aveva passato a Coy una fotocopia, e lui lesse: " "Rapporto sui fatti accaduti a quindici giorni dal corrente, riguardante lo scontro tra la nave Mulata al comando di don M. palau e il brigantino inglese Undated di rimpetto all'isola degli Impiccati... ". "Se si trattava dello stesso Palau" disse Tanger "nemmeno quella volta si arrese, vero?" Si notifica avanti all'autorità marittima di questo porto di Ibiza che facendo rotta da Valencia verso questa località, mentre era alla ricerca del Canale grande di Formentera e nelle vicinanze delle Negras e degli Impiccati, la nave spagnola Mulata, dotata di otto cannoni, fu attaccata dal brigantinogoletta inglese Undated, dotato di dodici cannoni, che si era avvicinato con l'inganno, battendo una falsa bandiera francese, e cercava di raggiungerlo. Ma, nonostante la differenza di portata, si scatenò un vivacissimo scontro con ingenti danni da ambo le parti, e persino un tentativo degli inglesi di andare all'arrembaggio. Essi riuscirono a mettere tre uomini sulla nave spagnola, i quali uomini furono uccisi e scagliati in mare. Indi le navi si separarono e la battaglia proseguì accanitamente per un periodo di mezz'ora, fintanto che il Mulata, nonostante il vento contrario, riuscì a passare da questo lato dei canali grazie a una manovra notoriamente pericolosa, consistente nell'imboccare il canale centrale, con sole quattro braccia di fondale al centro e molto vicino allo scoglio della Barqueta; manovra di grande perizia che lasciò gli inglesi dal lato opposto, e il loro comandante non si azzardò a proseguire a causa delle condizioni del vento e delle incertezze del fondo, riuscendo così il Mulata ad approdare nel porto di Ibiza con quattro uomini morti, undici feriti a bordo e nessun'altra perdita... Coy restituì la copia del rapporto a Tanger. Sorrideva. Anni prima, su una barca a vela di pochi metri e con scarso pescaggio, aveva attraversato il canale centrale in quello stesso punto. Quattro braccia erano poco più di sei metri, e inoltre la profondità diminuiva rapidamente da entrambi i lati a partire dal centro. Ricordava bene la vista sinistra del fondo attraverso l'acqua trasparente. Pagina 205

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Un cutter armato poteva pescare tre metri, e il vento contrario rendeva difficile mantenere la rotta; sicché, fosse o no l'assistente dell'ufficiale di rotta Miguel Palau o il comandante M. Palau, chi era al comando del Mulata aveva senza dubbio i nervi saldi. "Forse il nome è una semplice coincidenza." "Può essere." Tanger rilesse pensierosa la fotocopia prima di riporla nel cassetto. "Però mi piace credere che fosse lui." Tacque ancora un istante e poi si volse all'oblò, a guardare la linea della costa che la bruma rivelava pulita e libera, dalla parte della mura di sinistra, con il sole che illuminava la roccia scura di Cabo Negrete. " Mi piace pensare che quel ragazzo tornasse al mare, dove continuò a essere un uomo coraggioso." Per otto giorni setacciarono la nuova area di ricerca con il Pathfinder, frangia a frangia, con rotte da nord a sud, a partire da est, in quote di scandaglio che andavano dagli ottanta ai diciotto metri. Più profondo e più aperto ai venti e alle correnti della baia di Mazarron, il posto era mosso da fastidiose marette che intralciavano e rallentavano il lavoro. Il fondo era irregolare, di roccia e sabbia, e sia il Secondo che Coy erano costretti a fare numerose immersioni, rese necessariamente brevi dall'eccessiva profondità, per verificare le irregolarità rilevate dalla sonda. Tra queste, una vecchia ancora solitaria che fece nascere in loro delle speranze, fino a quando si accorsero che era un'ancora ammiragliato con ceppo di ferro: un modello posteriore al XVIII secolo. In simili condizioni finivano esasperati ed esausti, gettando l'ancora a ridosso di Cabo Negrete le notti di poco vento, e a ridosso dei venti di levante e del libeccio nel porticciolo di Cabo de Palos. I bollettini meteorologici annunciavano la formazione di un centro di bassa pressione nell'Atlantico. Se la burrasca non avesse deviato sull'Europa a nordest, gli effetti avrebbero tardato meno di una settimana a farsi sentire nel Mediterraneo, costringendoli a sospendere la ricerca per qualche tempo. Tutto ciò li rendeva nervosi e irritabili; il Secondo non apriva bocca per giornate intere e Tanger continuava ostinatamente a controllare l'ecoscandaglio con aria corrucciata, come se ogni giorno passato assottigliasse il filo della speranza. Un pomeriggio Coy lanciò un'occhiata al quaderno su cui lei annotava i risultati dell'esplorazione, e trovò i fogli pieni di scarabocchi incomprensibili, spirali e croci sinistre. C'era anche il viso di una donna mostruosamente deformato, disegnato con tratti così vigorosi che in alcuni punti bucavano la carta. Una donna che sembrava urlare nel vuoto. Le notti non erano molto più piacevoli. Il Secondo augurava la buona notte e chiudeva la porta della sua cabina a prua. Loro due si stendevano stanchi, la pelle che sapeva di sudore e di sale, sui materassini di una cuccetta. Si andavano incontro in silenzio, cercandosi con urgenza così estrema da sembrare artificiale, per unirsi in maniera intensa e brutale, rapida, senza parole. Coy cercava ogni volta di prolungare l'istante, trattenere Tanger tra le braccia, incantonarla contro la paratia, controllare il corpo e la mente di quella sconosciuta. Ma lei si dibatteva, sfuggiva, faceva in modo di accelerare l'atto, di non mettervi altro che respiro e carne, con la testa lontana, il pensiero inaccessibile. Talvolta Coy si illudeva di averla posseduta, attento al ritmo del suo respiro, ai baci della sua bocca aperta, alla pressione delle cosce nude intorno alla sua vita. Le premeva le labbra sul collo o sul petto e la reggeva fermamente, con forza, afferrandole i polsi, sentendone il palpito nella lingua e all'inguine, penetrandola profondamente come se anelasse a raggiungerle il cuore, a impregnarlo fino a renderlo morbido quanto quell'interno umido e quella bocca. Ma lei si tirava indietro, divincolandosi per sfuggire dal suo abbraccio, e pur in sua balia, prigioniera, gli rifiutava in ultima istanza quel pensiero che lui desiderava catturare. Gli occhi, che lo guardavano fisso nell'ombra, luccicanti e irraggiungibili, si trasfiguravano assenti, oltre Coy, oltre la nave e il mare, assorti in arcane maledizioni di nera solitudine. E allora apriva la bocca per gridare come la Pagina 206

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt donna che lui aveva sorpreso nel disegno, per lanciare un urlo muto che risuonava nelle viscere dell'uomo come il più doloroso degli insulti. Coy sentiva scorrere quel lamento per le vene, e si mordeva le labbra reprimendo un'angoscia che gli invadeva il petto, il naso e la bocca, come se stesse sprofondando, soffocato, in un mare di densa tristezza. Aveva voglia di piangere come quando era piccolo, con lacrime grosse e copiose, incapace di riscaldare quel brivido di tante solitudini. Era troppo per lui. Aveva solo letto pochi libri, navigato qualche anno e penetrato qualche donna: ecco perché pensava che non gli bastassero le parole, le espressioni, ed era convinto che i suoi stessi silenzi fossero tetri. Tuttavia, avrebbe dato la vita per penetrare nell'intimità di lei, infiltrandosi nei tessuti della carne, avvicinarsi al suo cervello indifeso per lambirlo piano, dolcemente, con tutta la tenerezza di cui era capace, ripulendolo di quanto centinaia di anni, migliaia di uomini, milioni di vite, vi avevano depositato come una zavorra, una scoria, un tumore doloroso e maligno. Perciò Coy, dopo ogni volta, dopo l'ultimo sussulto della donna, insisteva testardamente, dimentico di sé, spronato dalla disperazione, quando lei cessava di agitarsi per restare immobile, respirando con difficoltà per recuperare il fiato che le mancava; e lui, le cellule del suo corpo, il sangue o la memoria, capivano di amarla più di ogni altra persona o cosa al mondo. Ma Tanger era ormai troppo lontana, e Coy non esisteva più: era un intruso in quel mondo e in quel momento. Era la fine che si aspettava: non uno scoppio, ma un sussurro quasi impercettibile. In quell'attimo di indifferenza, puntuale come una condanna, tutto in lei si spegneva; il mondo restava in sospeso, mentre il battito del polso ritornava normale. E di nuovo l'uomo, a livello epidermico, riprendeva coscienza dell'oblò aperto sulla notte e del freddo che proveniva dal mare, proprio come nella maledizione biblica, così sprofondava in una disperazione desolata come una superficie di marmo: liscia, immensa, perfetta. Un mare dei Sargassi orribilmente immobile, una carta sferica che portava nomi simili a quelli inventati dagli antichi navigatori: Punta Desolazione, Secca della Solitudine, Baia Amara, Isola di ci guardi Iddio... Poi lei lo baciava e gli rivolgeva la schiena, e lui restava supino, in bilico tra l'odio per quell'ultimo bacio e il disprezzo di sé, una mano appoggiata a quel fianco vicino, nudo e addormentato. Gli occhi aperti nel buio, ascoltando lo sciabordio contro lo scafo del Carpanta e il vento che aumentava tra le sartie. Pensando che nessuno era mai riuscito a disegnare la carta sferica che permettesse di navigare attraverso il corpo di una donna. Assolutamente convinto che Tanger sarebbe uscita dalla sua vita senza che lui l'avesse mai posseduta. Fu in quei giorni che ricevetti notizie da quella combriccola. Tanger mi telefonò dal Pez Rojo, un ristorante di Cabo de Palos, per chiedermi qualche delucidazione su un problema tecnico che aumentava il margine di errore di mezzo miglio di longitudine est. Chiarii il dubbio, informandomi sul loro lavoro, e lei disse che tutto procedeva per il meglio e grazie mille, avrei ricevuto loro notizie. Per la verità dovetti aspettare due settimane per avere loro notizie, e non le ebbi di persona, bensì dai giornali, e a quel punto mi sentii stupido quanto tutti i personaggi di questa storia. Ma non anticipiamo gli eventi: la telefonata la fece Tanger un certo giorno, a mezzodì, e loro, ormeggiato il Carpanta al molo, si trovavano nell'antico borgo di pescatori trasformato in località turistica. La burrasca nel nord dell'Atlantico era sempre stazionaria, e il sole brillava sulle longitudini e sulle latitudini di tutto il sudest della penisola iberica. L'ago del barometro era alto, e non incrociava la pericolosa verticale verso sinistra. Era quello, paradossalmente, ad averli condotti fino al piccolo porto che si estendeva intorno a una vasta cala nera, disseminata di scogli a fior d'acqua, sotto la torre del faro che si ergeva su uno spuntone di roccia sporgente nel mare. In mattinata, il calore aveva formato alla sinistra del vento cumulonembi che si raggruppavano a forma di incudine, invadendo il cielo con un colore plumbeo e Pagina 207

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt minaccioso. Il vento, da dodici a quindici nodi di intensità, soffiava nella direzione di quelle nubi, ma Coy, dopo avergli dato un'occhiata, qapì che se l'incudine di cumulonembi fosse aumentata via via che si avvicinava, forti raffiche di tempesta avrebbero spirato dal lato opposto quando la massa grigia fosse stata sulle loro teste. Gli bastò scambiare uno sguardo muto con il Secondo -- anche lui scrutava nella stessa direzione stringendo gli occhi -- perché i due marinai si intendessero immediatamente. Allora il Secondo puntò la prua a Cabo de Palos. Ed eccoli lì, nel portico intonacato del Pez Rojo, a mangiare acciughe fritte e insalata, innaffiandole con vino rosso. "Ancora mezzo miglio" disse Tanger, sedendosi. Era nervosa. Prese un pesce dal vassoio, lo squadrò come se cercasse di attribuirgli qualche colpa, e poi lo lasciò sul piatto con disprezzo. "Mezzo dannato miglio" ripeté. Sulle sue labbra, "dannato" era quasi una parolaccia. Faceva una strana impressione sentirla parlare così, e ancor più vederla perdere il controllo. Coy, infatti, la osservava con curiosità. "Non è così grave" disse. "Significa un'altra settimana di ricerca." Aveva i capelli sporchi, appesantiti dal sale, e la pelle era lucida, cotta dal sole e dalla mancanza di acqua e di sapone. Non che Coy e il Secondo avessero un aspetto molto migliore dopo giorni senza radersi, abbronzati e sporchi quanto lei. Indossavano tutti e tre jeans, magliette e polo sbiadite, scarpe da ginnastica: la divisa di chi ha passato in mare un po' di tempo. "Una settimana" ripeté Tanger "come minimo." Guardava scontrosa il Carpanta ancora illuminato dal sole e attraccato di sotto, nel piccolo molo del locale. L'incudine grigia oscurava a poco a poco l'insenatura, come se qualcuno stendesse lentamente un telo per spegnere il riflesso del sole sulle casette bianche e l'acqua blu cobalto. Sta perdendo la speranza, si disse Coy. Dopo tutto questo tempo e tanti sforzi, comincia a prendere in considerazione la possibilità che esista la parola "fallimento" La zona da esplorare è più profonda, quindi, anche se lo ritroviamo, ciò può voler dire che il relitto è fuori dalla nostra portata. Inoltre, i giorni che avevamo previsto per la ricerca stanno finendo, e anche i suoi soldi. Ora, per la prima volta da chissà quanto, scopre l'incertezza. Osservò il Secondo. Gli occhi grigi del marinaio furono tacitamente d'accordo con lui: l'avventura cominciava a sfiorare i limiti dell'assurdo. Tutti i dati erano sicuri e verificati, ma mancava l'elemento essenziale: la nave affondata. Nessuno dubitava che fosse lì, da qualche parte. Probabilmente anche dal ristorante, appena al di sopra del livello del mare, si scorgeva il punto esatto in cui il brigantino e lo sciabecco corsaro erano colati a picco. Forse erano passati sopra al relitto diverse volte, ma quello era sepolto sotto metri di fango e sabbia. Forse tutto si risolveva in una gigantesca sequenza di errori, e il principale era che il tempo di cercare tesori non poteva vincere contro la lucidità dell'età adulta e razionale. "Manca ancora mezzo miglio da esplorare" disse Coy, con dolcezza. Non aveva ancora finito la frase che già si sentiva ridicolo. Lui che faceva coraggio. Mai vista roba del genere. In realtà si limitava a rimandare l'ultimo atto. A desiderare di rimandarlo, prima di tornare a galleggiare solo e orfano, aggrappato alla bara di Queequeg. Allo scafo del Dei Gloria. "Infatti" rispose lei, atona. Con i gomiti sul tavolo, le mani intrecciate sotto il mento, non staccava gli occhi dalla baia. L'incudine grigia era ormai sopra al Carpanta, Pagina 208

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt coprendo il cielo sul suo albero spoglio. Fu allora che il vento smise di soffiare, il mare tornò piatto di fronte al moletto del bar, e le drizze e la bandiera della barca rimasero immobili. Poi, Coy vide le rocce della spiaggia e gli scogli più lontani venarsi di strisce bianche, le cosiddette ochette, che cominciavano a farsi strada mentre una colorazione più scura si allargava a macchia d'olio sulla superficie del mare. Nel portico del ristorante il sole non era ancora scomparso quando la prima raffica soffiò lungo la baia, increspando l'acqua, e sul Carpanta la bandiera sventolò all'improvviso e le drizze scricchiolarono contro l'albero, scampanellando con furia, mentre la barca si inclinava verso il molo, piegandosi su un fianco contro le barriere. La seconda raffica fu più forte: trentacinque nodi almeno, calcolò a braccio Coy. La baia in quel momento era coperta di pecorelle bianche e il vento ululava, crescendo di nota in nota attraverso le canne dei camini e le gronde del tetto. Lo scenario era diventato tutt'a un tratto opprimente e grigio, quasi spaventoso, e Coy fu felice di starsene lì seduto a mangiare frittura di pesce, anziché in mare aperto. "Quanto durerà?" domandò Tanger. "Poco" disse Coy. "Un'ora, forse. O un po' di più. Nel pomeriggio sarà finito. É solo un temporale estivo." "Il caldo" precisò il Secondo. Coy guardò l'amico, sorridendo tra sé. Anche lui, pensò, si sente in dovere di consolarla. Dopotutto, è per questo che ci siamo trascinati fin qui, anche se il Secondo non se ne rende conto, non a livello razionale. O almeno credo. In quel momento gli occhi del marinaio si posarono su di lui, tranquilli, sereni come sempre, e Coy si corresse: invece, probabilmente, se ne rendeva conto. "Domani dovremo cercare mezzo miglio più in là" annunciò Tanger. "Fino a 47' ovest." Coy non aveva bisogno di carte. Aveva la 464 scolpita in testa, da tanto l'aveva studiata. Compreso il più piccolo dettaglio dell'area di ricerca. "L'aspetto positivo" disse "è che da questa parte la profondità diminuisce fino a diciotto e ventiquattro metri. Sarà tutto più semplice." "Che tipo di fondo c'è?" "Sabbia e sassi, vero Secondo?... E macchie d'alghe." Il Secondo annuì. Prese di tasca il pacchetto di sigarette e se ne infilò una in bocca. Dal momento che Tanger lo guardava, annuì un'altra volta. "Le alghe scompaiono man mano che ti avvicini a Cabo Negrete" disse "ma quel punto è limpido. Roccia e sabbia, come dice Coy... Con tracce di pietrisco dove ci sono le aragoste verdi." Tanger, che stava bevendo un sorso di vino, si bloccò, con il bicchiere ancora alle labbra, attenta al Secondo. "Aragoste verdi? Che storia è questa?" Il Secondo era impegnato ad accendersi la sigaretta con l'acciarino. Fece un gesto vago. "Proprio così." Buttava fuori il fumo tra le dita, nel parlare. "Aragoste di colore verde. Si trovano solo qui. O si trovavano. Ormai nessuno pesca più aragoste da queste parti." Tanger aveva appoggiato il bicchiere. Lo aveva deposto con cura sulla tovaglia, come se temesse di rovesciarlo. Continuava a guardare, attentissima, il Secondo che girava con parsimonia la miccia intorno all'acciarino. "Ci sei stato?" "Ovvio. Molto tempo fa. Era un bel posto quando ero giovane. " Coy se lo ricordava. L'amico una volta gli aveva parlato delle aragoste more con il carapace verde, anziché rosso scuro o marrone chiazzato di bianco. Pagina 209

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Era stato venti o trent'anni prima, quando in quelle acque c'erano ancora pesci e frutti di mare: gamberi, arselle, tonni e cernie anche di venti chili. "Il sapore era buono" spiegò il Secondo "ma il colore disgustava i clienti." Tanger pendeva dalle sue labbra. "Perché? Che verde era?" "Verde muschio, ben diverso dal rosso o azzurrognolo delle aragoste appena pescate. E anche da quel verde scuro dell'aragosta africana o americana." Il Secondo accennò a un sorriso tra il fumo della sigaretta. "... Non avevano l'aria appetitosa... E quindi i pescatori se le mangiavano loro, e vendevano le code già fritte." "Ti ricordi il punto esatto?" "Ma certo." Il Secondo cominciava a sentirsi a disagio per tutta quella curiosità: approfittava delle boccate di fumo per fare pause sempre più prolungate e guardare Coy. "... Il Cabo de Agua al traverso e lo scoglio del Junco Grande dieci gradi nord." "Profondità " "Scarsa. Poco più di venti metri. L'aragosta di solito vive a maggiori profondità, ma lì ce ne sono sempre state parecchie." "Ci facevate immersioni?" Il Secondo lanciò un'altra occhiata a Coy. Secondo te dove vuole andare a parare? chiedevano i suoi occhi. E questi, che aveva le mani appoggiate sul tavolo, le ruotò verso l'alto, a mostrare i palmi. Linguaggio da sordomuti: non ne ho la più pallida idea. "All'epoca non c'erano tutte le attrezzature da immersione che ci sono adesso" rispose alla fine il Secondo. "I pescatori lavoravano calando le nasse di giunco o il tramaglio, e quando le perdevano, restavano sotto." "Sotto" ripeté Tanger. Poi ammutolì. Di lì a un minuto allungò una mano verso il bicchiere di vino, ma fu costretta a lasciarlo perché le dita le tremavano. "Cos'hai?" domandò Coy. Non capiva il suo comportamento, né il tremolio, e tantomeno l'improvviso interesse di Tanger per le aragoste. Tra l'altro, erano uno dei piatti del menu del ristorante, e lei le aveva ignorate. Rideva, Tanger. In uno strano modo, calmo. Rideva tra i denti, insospettatamente sarcastica, scuotendo la testa come se si divertisse a una barzelletta che lei stessa aveva raccontato. Si era portata una mano alle tempie come se le dolessero, e guardava l'acqua della baia, già grigia, schiarita dalla spuma delle onde corte sollevate in raffiche incessanti. La luce che filtrava dall'esterno sottolineava l'acciaio temprato dei suoi occhi assorti. O stupefatti. "Aragoste" mormorò " aragoste verdi." Adesso tremava tutta, e il riso era prossimo al pianto. Dopo un nuovo tentativo, aveva rovesciato il vino sulla tovaglia. Spero proprio che non sia impazzita, pensò Coy, allarmato. Spero che non sia rincitrullita con tutte "ste cagate e che, anziché condurla al Dei Gloria, non dobbiamo portarla in manicomio. Tamponò il vino con il tovagliolo. Poi le poggiò una mano sulla spalla, e la sentì tremare. "Calma" sussurrò. "Sono calmissima" disse lei. "Mai stata tanto calma in vita mia." "Cosa cavolo c'è?" Aveva smesso di ridere, o di singhiozzare, o quello che era, e continuava a fissare il mare. Poi smise di tremare, respirò a fondo e guardò il Secondo con una strana espressione, prima di piegarsi sul tavolo e scoccare un bacio sulla faccia del preoccupato marinaio. Adesso sorrideva, raggiante, nel rivolgersi a Coy: "C'è che quello è il punto in cui si trova il Dei Gloria. Dove vivono le aragoste verdi" Mare increspato, quasi piatto, brezza leggera. Cielo specchiato e il Carpanta che dondolava dolcemente a due miglia e mezzo dalla costa con la catena dell'ancora che cadeva verticale dal bozzello: Cabo de Agua al traverso e il Junco Grande davanti, dieci gradi a nordest. Il sole non era ancora alto, ma Coy se lo sentiva già picchiare sulla schiena. Si era piegato per controllare il manometro della bombola: sedici litri di aria compressa, più la riserva, le mute pronte. Pagina 210

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Controllò la guarnizione ermetica, poi ci incastrò sopra il riduttore per la somministrazione dell'aria a pressione variabile, in base alla profondità, per compensare l'aumento di atmosfere nel corpo: senza quell'apparecchio per riequilibrare la pressione interna, un sub poteva venire schiacciato o scoppiare come una palla gonfiata in eccesso. Svitò completamente le rubinetterie e poi le strinse di tre quarti. Il boccaglio era un vecchio Nemrod, e sentì sapore di caucciù e di borotalco quando se lo infilò in bocca per verificarne il funzionamento. L'aria circolò rumorosamente per le membrane. Tutto a posto, "Mezz'ora a venti metri" ricordò il Secondo. Annuì nell'infilarsi la muta di neoprene, la cintura per la zavorra e il giubbetto di salvataggio di emergenza. Tanger era in piedi di fronte a lui, si reggeva con una mano al paterazzo e lo guardava in silenzio. Indossava il costume nero olimpionico, si era infilata le pinne, una maschera da sub e un respiratore. Aveva passato praticamente l'intero pomeriggio e parte della sera a spiegare loro la storia delle aragoste verdi. Gliela aveva raccontata in tutte le salse, dopo avere tempestato il Secondo di domande, tracciando schizzi a matita, calcolando distanze e profondità. Il carapace delle aragoste, aveva detto, ha caratteristiche mimetiche: la natura ha dotato questi crostacei della capacità di camuffarsi per difendersi, come accade per molte altre specie. E loro si mimetizzano con i fondali in cui vivono. É provato che le aragoste che vivono nelle navi di ferro affondate acquisiscono spesso il colore della ruggine delle lamiere in decomposizione. E il verde muschio descritto dal Secondo corrispondeva esattamente alla tonalità che acquista il bronzo se rimane immerso a lungo nel mare. "Che bronzo?" aveva domandato Coy. "Quello dei cannoni." Coy aveva qualche riserva. La cosa suonava un po' troppo di Il granchio d'oro, o un'avventura del genere. Ma non stavano vivendo in un fumetto di Tintin. O almeno, non lui. "Tu stessa hai detto, e lo abbiamo verificato, che i cannoni del Dei Gloria erano di ferro... Non c'era molto bronzo a bordo del brigantino. " Lei gli aveva rivolto uno sguardo di superiorità, perfettamente calmo, un po' come se avesse voluto dirgli che aveva la patta aperta, o che era un idiota. "Quelli del Dei Gloria, sì" aveva puntualizzato. "Ma non quelli del Chergui. Lo sciabecco aveva dodici cannoni: quattro lunghi da sei libbre, otto da quattro e anche quattro petrieri, ti ricordi? Provenivano da una vecchia corvetta francese dotata di artiglieria, il Flamme. E almeno i cannoni da sei e quelli da quattro erano di bronzo." Aveva preso dalla paratia la pianta dello sciabecco, per spiegarla sul tavolo, di fronte a Coy. "É così che figura nella documentazione che ci ha fornito Lucio Gamboa a Cadice. Ci sono quasi quindici tonnellate di bronzo lì sotto." Coy aveva scambiato un altro sguardo con il Secondo, che si limitava ad ascoltare in silenzio e non aveva fatto obiezioni. Il resto, aveva proseguito Tanger, veniva da sé. Le due imbarcazioni erano affondate vicine. La cosa più probabile, data l'esplosione che aveva distrutto il Chergui, era che i resti dello sciabecco corsaro fossero sparpagliati intorno al nucleo del relitto. Uno dei suoi elementi, il rame, si era ossidato e il bronzo aveva acquisito la tipica colorazione che gli conferisce l'immersione in acqua marina, così le aragoste, che senza dubbio avevano ricavato la loro tana nei resti delle navi naufragate e nelle bocche dei cannoni, l'avevano adottata. Da tutto ciò si evinceva un'altra circostanza incoraggiante e di fondamentale importanza: se le aragoste erano venute in contatto con il bronzo, allora l'area di dispersione non era tanto vasta, e i resti non erano coperti dal fango e dalla sabbia. Sentì lo scroscio di un tuffo: Tanger non era più accanto al paterazzo. Era in acqua e nuotava intorno alla poppa del Carpanta con indosso la maschera da sub e il respiratore, in attesa. Non si sarebbe immersa insieme a Coy, sarebbe invece rimasta in superficie, a controllare le bollicine che emetteva lui, per individuarne la posizione: il raggio di spostamento era ampio e questo gli impediva di assicurare alla barca a Pagina 211

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt vela il cavo di sicurezza. Coy fissò il coltello al polpaccio destro, il profondimetro e l'orologio a un polso e la bussola all'altro. Quindi si portò sul bordo del gradino di poppa. Seduto lì, con i piedi in acqua, calzò le pinne, sputò nel vetro della maschera e dopo averla sciacquata in mare se la mise. Poi alzò le braccia per permettere al Secondo di mettergli la bombola d'aria compressa sulla schiena. Allacciò le cinghie e si portò il boccaglio alla bocca. L'aria, circolando per il riduttore, gli rimbombò nelle orecchie. Si girò su un fianco, protesse con una mano il vetro della maschera e approfittando del peso della bombola si lasciò cadere all'indietro, in mare. L'acqua era gelida; troppo fredda per quel periodo dell'anno. Le mappature delle correnti indicavano in quel punto un leggero flusso da nordest a sudovest, con uno sbalzo di cinque o sei gradi rispetto alle temperature minime generali. Sentì la pelle d'oca e la sgradevole sensazione dell'acqua che penetrava sotto la muta di neoprene: ci avrebbe messo un paio di minuti a scaldarla con il calore del corpo. Respirò piano, profondamente, un paio di volte, per provare il funzionamento del riduttore, e con la testa per metà fuori dall'acqua vide, praticamente sopra di lui, il Secondo in piedi sulla poppa del Carpanta. Poi cominciò l'immersione, guardando il panorama azzurro che lo circondava. Vicino alla superficie c'era una buona visibilità -- una decina di metri in linea orizzontale, calcolò -- perché i raggi del sole schiarivano l'acqua limpida e tranquilla. Poteva vedere la carena nera con la pala del timone volta a sinistra e la catena dell'ancora che cadeva in verticale in profondità, le gambe di Tanger che nuotava accanto a lui, sbattendo adagio le pinne di gomma arancione. Smise di pensare a lei per concentrarsi sul da farsi. Guardò in giù, nel punto in cui il blu si faceva più scuro e intenso. Controllò la posizione delle lancette dell'orologio e prese a scivolare lentamente verso il fondo. Adesso il rumore dell'aria aspirata attraverso il riduttore era fortissimo, assordante e, quando l'ago del profondimetro segnò i cinque metri, si fermò per portarsi le dita al naso, sotto la maschera, e compensare l'aumento di pressione nelle orecchie. Nel contempo alzò la faccia, sollevato, e vide le bollicine dell'ultima espirazione salire, la superficie del mare che il sole trasformava in una lastra d'argento smerigliato, lo scafo nero del Carpanta là sopra, e Tanger che si era immersa e nuotava accanto a lui, guardandolo da dietro la maschera da sub, i capelli biondi che fluttuavano nell'acqua, le gambe snelle, allungate dalle pinne, che sbattevano per mantenersi alla profondità di Coy. Un altro respiro e un altro pennacchio di bollicine salì verso di lei, che gli fece un cenno di saluto con la mano. Poi Coy guardò verso il basso e riprese la lenta discesa attraverso la sfera azzurra che si chiudeva sulla sua testa, sempre più scura a mano a mano che si avvicinava al fondo. La seconda pausa per compensare la fece quando il profondimetro segnava quattordici metri. L'acqua era ormai una sfera traslucida che smorzava tutti i colori, a parte il verde. Si trovava in quel punto intermedio in cui a volte i sub, senza più punti di riferimento, perdono l'orientamento e la percezione dell'alto e del basso, e inaspettatamente si ritrovano a fissare bollicine che sembrano scendere anziché salire. Solo la logica, ammesso che gliene sia rimasta, ricorda a quel punto che, in qualsiasi situazione, una bolla d'aria sale sempre verso l'alto. Ma a lui non capitò. La penombra del fondale cominciò ad acquisire forme indistinte, e pochi istanti dopo Coy si lasciava cadere con grande lentezza su un letto di sabbia pallida e fredda, accanto a una fitta prateria di anemoni di mare, posidonie e alghe filamentose tra le quali nuotavano piccoli banchi di pesci. Il profondimetro indicava diciotto metri. Coy si guardò intorno, attraverso la semioscurità che lo circondava: la visibilità era buona, e la lieve corrente che sentiva puliva l'acqua. In un raggio da cinque a sette metri poteva distinguere bene il paesaggio, le Pagina 212

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt stelle marine, le conchiglie vuote, le grandi bivalve a forma di pala piantate verticalmente nella sabbia, le creste di pietra con rudimentali formazioni coralline che segnavano i confini della prateria sottomarina. Piccoli microrganismi trascinati dalla corrente fluttuavano alla deriva intorno a lui. Sapeva che se avesse acceso la torcia, la luce avrebbe restituito i colori naturali a tutti quegli oggetti dal monotono aspetto verde, ingranditi dal vetro infrangibile della maschera. Respirò più volte, a intervalli regolari, per abituare i polmoni alla pressione e ossigenare il sangue, e si orientò consultando la bussola. Aveva progettato di spingersi per quindici o venti metri verso sud e poi descrivere un cerchio intorno al punto in cui era ancorato il Carpanta, che si era lasciato a nord, dietro le spalle. Cominciò piano piano a nuotare, con le braccia lungo i fianchi e sbattendo adagio le gambe e le pinne, tenendosi a un metro dal fondo. Osservava la sabbia palmo a palmo, attento a ogni possibile indizio di qualcosa sommerso lì sotto, per quanto i cannoni di bronzo, aveva insistito Tanger, dovevano saltare all'occhio. Si spinse fino al bordo della prateria e lanciò un'occhiata tra le alghe e i filamenti ondeggianti. Se ci fosse stato qualcosa in quel folto sarebbe stato difficile individuarlo, pertanto decise di continuare a esplorare la parte di sabbia nuda che, nonostante sembrasse in piano, declinava dolcemente a sudovest, come dimostravano il profondimetro e la bussola. Il rumore dell'aria lo accompagnava al ritmo di un'espirazione e un'inspirazione ogni cinque secondi circa, tra intervalli di assoluto silenzio. Cercava di muoversi piano, riducendo al minimo lo sforzo fisico. A minor sforzo, recitava la vecchia regola dell'immersione, corrisponde un minor ritmo di respirazione, minor consumo d'aria e maggiori riserve a disposizione. E la cosa andava per le lunghe. Con o senza aragoste, era come cercare un ago in un pagliaio. Sulla sabbia c'erano alcune macchie scure e Coy si avvicinò per dare un'occhiata: pietrisco e massi semisommersi ricoperti di piccole alghe. Più in là trovò il primo oggetto che gli ricordò la vita sulla terraferma: un barattolo di conserva ormai arrugginito. Proseguì con calma, muovendo la testa da una parte e dall'altra, e si fermò quando si accorse di essere giunto a un limite del raggio di circonferenza che aveva previsto di descrivere sul fondo. Allora si orientò di nuovo e cominciò a nuotare seguendo una linea curva verso destra. Stava per passare dalla distesa di sabbia alle rocce che segnavano il limite della prateria di alghe quando scorse un'ombra poco oltre, quasi in fondo al suo campo visivo. La raggiunse e scoprì, deluso, che si trattava di una pietra circolare ricoperta di formazioni calcaree. Troppo rotonda e troppo perfetta, gli venne da pensare. La scosse appena, sollevando la sabbia del fondo, e la pietra si rivelò sorprendentemente leggera, rompendosi tra le sue mani e mostrando al proprio interno una sostanza grigioverde simile a legno fradicio. Colpito, Coy non capì subito che si trattava proprio di quello: legno vecchio e putrido. Forse la ruota di un affusto. Sentì il battito cardiaco accelerare sotto la muta di neoprene. Il respiro si fece affannoso, tre boccate ogni cinque secondi, quando raspò senza trovare altro. Aveva sollevato tanta sporcizia dal fondo che dovette risalire qualche metro per ritrovare l'acqua limpida e continuare a guardarsi intorno. Fu allora che vide il primo cannone sulla sabbia. Nuotò spingendosi piano con le pinne, come se temesse che il grosso pezzo di bronzo si sfaldasse sotto i suoi occhi, proprio come la ruota di legno. Doveva essere lungo circa due metri, e giaceva sul fondo come se lo avessero appena deposto lì con grande cautela. Era quasi del tutto fuori dalla sabbia, con una patina muscosa e qualche incrostazione calcarea, ma erano ancora perfettamente visibili i decori a forma di delfino, la culatta oblunga e i giganteschi orecchioni. Doveva pesare quasi una tonnellata. Più avanti riusciva a scorgere l'ombra scura di un altro cannone. Lo raggiunse e notò che era identico, anche se in posizione diversa: forse era Pagina 213

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt caduto quasi in verticale, piantandosi nella sabbia con la bocca in diagonale, e poi il peso lo aveva fatto sprofondare fino all'altezza degli orecchioni, C'erano anche curiose pietre rossastre che, tagliate con il coltello, mostrarono cavità simili a stampi: l'impronta di oggetti di ferro completamente corrosi, che tuttavia conservavano ancora le forme impresse nella formazione calcarea che con il trascorrere degli anni li aveva ricoperti. Coy si impose di trattenersi per non salire in superficie e annunciare urlando di aver trovato il Chergui, o quel che ne restava. Bastava agitare la mano per muovere il fondo, sotto il quale comparivano frammenti di legno e di oggetti meglio conservati perché protetti dalla sabbia. Dissotterrò una bottiglia dall'aria assai antica, la cui base era intatta, ma deformata e fusa dal calore. Lo sciabecco corsaro, concluse, era saltato in aria proprio in quel punto: venti metri sopra, sulla superficie, e i resti si erano sparpagliati ovunque. Più in là, uno accanto all'altro, scoprì altri due cannoni. Sempre del colore verde del bronzo immerso nell'acqua per due secoli e mezzo e, fatta eccezione per qualche incrostazione e la patina muscosa che li ricopriva, piuttosto puliti. I resti adesso erano abbondanti: tavole che spuntavano dalla sabbia, oggetti metallici più o meno corrosi, palle di cannone mezze sepolte, stoviglie spaccate, cumuli di fasciame e chiodi di ferro. Coy si imbatté anche in una struttura di legno pressoché intatta che, raspando la sabbia, si rivelò più grande e in migliori condizioni di quanto apparisse a un primo sguardo. Sembrava un parasartie con grandi bigotte e frammenti di sartie che si scioglievano solo a toccarli. E altri cannoni. Ne contò nove, sparsi un un'area di una trentina di metri di diametro. Era stupito di come tutto fosse pulito, della mancanza di accumuli di sedimenti sui resti, al massimo sottili strati di sabbia. La debole corrente fredda che scorreva in direzione sudovest poteva fornire una spiegazione: manteneva il posto pulito, indirizzandosi verso una depressione che si apriva un po' più in basso, dietro una piccola cresta rocciosa tappezzata di anemoni. Coy si diresse lì per verificarlo, e vide che la depressione, simile a un canale naturale, drenava i sedimenti sviandoli in una serie di salti che scendevano a profondità via via maggiori. Un polipo, sorpreso nella tana dalla presenza di un intruso, si allontanò lungo la sabbia, con i tentacoli spalancati a forma di stella nervosa, lanciando schizzi di inchiostro per coprirsi la ritirata. Coy consultò l'orologio. L'aria dell'erogatore era più dura, sicché guardò in alto verso il chiarore verdeblu diffuso sulla sua testa, attraversato dalle bollicine che sembravano d'argento. Era ora di risalire. Portò la mano alla base della bombola per azionare la riserva, e l'aria arrivò ai suoi polmoni, di nuovo respirabile. Stava per cominciare la risalita quando vide un'ancora. Era proprio sul bordo di una seconda cresta rocciosa, smussata dall'erosione, all'altro lato del canale di drenaggio. Era grande, antica, con grosse marre di ferro arrugginito e ricoperta di incrostazioni calcaree. Sia intorno all'ancora che alla cresta di pietre e di anemoni erano rimasti impigliati vecchi frammenti di reti e di nasse disfatte: nel tempo, molti pescatori avevano perso le reti in quel punto. Ma ciò che attirò la sua attenzione fu il fatto che l'ancora fosse di quelle con il ceppo di legno, anche se questo ormai era scomparso e ne restavano solo alcuni tronconi sotto la cicala. Era del tipo usato all'epoca dello sciabecco e del brigantino, e questo diede a Coy il coraggio di attraversare il canale, girare intorno alla cresta e avvicinarsi, approfittando degli ultimi minuti di riserva dell'aria. Sull'altro versante della roccia la sabbia si alternava a un letto di pietrisco, la pendenza era più pronunciata e scendeva da ventisei a ventotto metri di profondità. E lì, nella penombra verde, stagliato sul fondo come un'ombra spettrale e scura, c'era il Dei Gloria. 370. Pagina 214

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt 15. Le iridi del Diavolo. Tutto quello che si trova abbandonato in mare appartiene a chi lo prende. F. COLOANE, La scia della balena. Con brevi frasi musicali, tesissime, il sax alto improvvisava all'impazzata. Suonava Ko ko, uno dei temi che Charlie Parker incise quando inventò tutto quanto era destinato a inventare prima di essere sepolto e stroncato da una crisi di riso. In quest'ordine: prima fu sepolto e poi morì dal ridere, guardando la tv. Era passato mezzo secolo, e ora Coy ascoltava l'incisione digitale di quella vecchia melodia, seduto nudo, su una sedia a dondolo, davanti a un tavolo con un vassoio di frutta accanto alla finestra di una stanza con una piovosa vista sul porto, nella pensione Cartago. Taratà. Tump. Tump. Tarà. Aveva una bottiglia di limonata in mano e guardava Tanger dormire. Pioveva sul porto, sulle gru, sui moli, sulle navi della Marina ormeggiate a due a due nella darsena di San Pedro, e sugli scafi rugginosi del Cimitero delle navi senza nome, dove si trovava il Carpanta, attraccato di poppa al muraglione e con un'ancora a prua. Pioveva a dirotto perché finalmente era arrivata la burrasca. Era partita dal suo quartier generale di basse pressioni situato nel cielo d'Irlanda, tendendo isobare malignamente concentriche e attigue l'una all'altra, forti venti da ovest in direzione del Mediterraneo; i bollettini meteorologici si riempirono di avvisi allarmati, linee e simboli di pioggia, e le coste furono attraversate da frecce con due o tre pennacchi sulla coda che puntavano al cuore delle navi incaute. Così, dopo due o tre giorni di lavoro intorno al relitto, l'equipaggio del Carpanta era stato costretto a far ritorno in porto. Tanger, benché impaziente, si era trovata d'accordo sul fatto che la pausa veniva bene per pianificare gli ultimi passi da fare e per procurarsi l'attrezzatura necessaria, prima di sferrare l'ultimo attacco ai segreti della tomba sottomarina. Una tomba, quella del Dei Gloria, finalmente localizzata a due miglia dalla costa, a 37§33,3' di latitudine nord e 0§46,8' di longitudine ovest, con la poppa a ventisei metri di profondità e la prua a ventotto. In quei giorni, trascorsi con un occhio al mare e l'altro al barometro, Tanger aveva diretto l'operazione dal quadrato del Carpanta. Coy e il Secondo avevano lavorato duro, facendo turni sott'acqua che andavano dalla mezz'ora ai quaranta minuti, con intervalli sufficienti a non vedersi costretti a lunghe decompressioni. Già dalle prime esplorazioni era apparso chiaro che il vascello si trovava in buone condizioni, tenendo conto dei due secoli e mezzo passati sott'acqua. Era affondato di prua, perdendo una delle ancore sulla cresta rocciosa prima di posarsi sul fondo, orientato su un'asse nordestsudovest. Lo scafo, che giaceva sulla banda di dritta, era interrato nella sabbia e nei sedimenti fino alla coperta, marcia e piena di incrostazioni, ma ancora intatta a poppa. A prua, tutto il ponte, il fasciame e le traverse erano scomparsi, e dalla sabbia spuntava qualche pezzo delle coste della nave, simili a costole di uno scheletro scarnificato. Quando, nelle immersioni che si erano susseguite, Coy e il Secondo avevano esplorato il resto del Dei Gloria, si erano resi conto che più o meno un terzo della parte posteriore era scoperto e aveva subito danni che, se fosse affondato in altre acque e in un'altra posizione, avrebbero potuto essere ben più notevoli. La coperta si era trasformata in una massa informe di legni, cumuli di ferro corroso, sabbia e sedimenti, ed era addossata alla prua, distrutta e interrata. Era evidente che, poiché il brigantino affondando si era inclinato, i dieci cannoni di ferro e tutti gli oggetti pesanti erano rotolati in avanti. Lì, con il tempo, quel peso aveva fatto cedere il tavolato, facendolo sprofondare nella sabbia. Ecco perché la poppa si trovava più sollevata e meno danneggiata, anche se molti bagli e coste avevano ceduto e la sabbia si era accumulata tra il legname putrido. Pagina 215

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Si riconosceva il moncone dell'albero di maestra spezzato durante la battaglia, una piramide di tavole pietrificate a forma di cabina del tambucio, due portelli da cannone nel discollato di sinistra, oltre al dritto di poppa che conservava, ancora appeso ai perni di bronzo ammuffito, pieno di filamenti e incrostazioni, resti della pala del timone. Erano stati fortunati, aveva spiegato Tanger la prima sera, mentre dondolavano alla fonda sopra il luogo del naufragio, raccolti intorno alla carta di Urrutia e alle piante del Dei Gloria, alla debole luce della lampada del quadrato, a festeggiare il ritrovamento con una bottiglia di bianco Pescador che il Secondo teneva a bordo. Avevano avuto una gran fortuna per diversi motivi. Prima di tutto perché il brigantino era colato a picco di prua e non di poppa, rendendo così più accessibile la cabina del comandante, dove di solito venivano conservati gli oggetti di valore. La cosa più probabile era che gli smeraldi, se erano a bordo al momento del naufragio, si trovassero lì o nel ponte contiguo, riservato ai passeggeri. Il fatto che la poppa non fosse completamente interrata facilitava il loro compito, perché cercare sotto la sabbia avrebbe richiesto pompe aspiranti e un'attrezzatura sofisticata. Quanto allo stato di conservazione, ottimo dopo tanto tempo in fondo al mare, era dovuto alla cresta rocciosa dietro cui si trovava il relitto, con canali naturali e massi che lo proteggevano dall'azione delle onde, dai sedimenti marini e dalle reti dei pescatori. Anche la debole corrente di acqua fredda che circolava dal Cabo de Palos aveva attenuato l'azione delle teredini, dei molluschi marini divoratori del legno, diffusi nelle acque calde. Per tutti quei motivi, il lavoro che li aspettava si presentava spossante, ma non impossibile. A differenza degli archeologi che studiavano i relitti, loro non dovevano conservare niente; potevano permettersi di fare tutti i danni necessari per raggiungere l'obiettivo. Non avevano a disposizione né mezzi né tempo per gli scrupoli. Sicché, il giorno dopo, mentre Tanger lavorava alle carte spiegate sulle paratie e sul tavolo da carteggio del Carpanta, Coy e il Secondo avevano passato l'intera giornata a immergersi per stendere una drizza bianca che andava dalla prua alla poppa della nave affondata, seguendo un'ipotetica linea di corsia. Poi, spostandosi con cautela tra i legni spezzati e le incrostazioni calcaree taglienti come coltelli, avevano incrociato ogni due metri drizze più corte, perpendicolari ai due lati della linea longitudinale e zavorrate con piombini ai due estremi. In quel modo avevano suddiviso il relitto in segmenti che corrispondevano a quelli tracciati da Tanger con il regolo e la matita sulla pianta del brigantino. Per il momento, allo scopo di stabilire rudimentali punti di corrispondenza tra la realtà e i documenti cartacei, si erano limitati a localizzare sott'acqua tutte le parti dello scafo così come erano rappresentate in scala 1:55 sulle piante consegnate loro da Lucio Gamboa. Ilgiorno in cui il barometro aveva cominciato a scendere e i bollettini meteorologici li avevano indotti a riparare a Cartagena, erano riusciti a calcolare la posizione del ponte di poppa, del quadrato e della cabina situate sotto il casseretto. Il problema principale consisteva nel verificare le condizioni della cabina del comandante Elezcano, scoprire se il tavolato interno aveva sopportato il peso dei sedimenti e il legno fradicio non era ancora crollato, se era possibile infilarcisi dentro, una volta scoperto come farlo, o se invece tutto era così schiacciato e a soqquadro da costringerli a cominciare dall'alto, rompendo e sgomberando fino a scoprire i dodici metri quadrati che, insieme al quadro di poppa, occupava la cabina del comandante. La pioggia cadeva a catinelle dietro i vetri e Charlie Parker ammutoliva in sottofondo insieme al suo sax, accompagnato sulla strada del sonno eterno da Dizzy Gillespie. L'incisione era un regalo di Tanger, l'aveva comprata nel negozio di musica in calle Mayor. Erano seduti sulla porta del Gran Bar con il Secondo, dopo aver passeggiato sotto la pioggia fino al museo navale della città e aver fatto provviste strada facendo in negozi di attrezzature nautiche, supermercati, ferramenta e drogherie, con i soldi che lei aveva ritirato dal bancomat, dopo due tentativi che l'avevano costretta ad accontentarsi di una somma minore per mancanza di Pagina 216

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt liquidità. "Ho messo mano alla riserva d'aria" aveva detto sarcastica, mentre infilava il portafoglio con la carta di credito nella tasca posteriore dei jeans. Erano riusciti a comprare quanto serviva, dagli oggetti di ferramenta ai prodotti chimici, e gli acquisti erano infilati nelle borse fra le gambe delle sedie. Il tendone del bar li proteggeva dalla pioggerella tiepida che verniciava la strada, conferendo un aspetto malinconico alle verande vuote degli edifici modernisti, i cui locali a piano terra, che Coy ricordava animati da vecchi caffè, si erano trasformati in uffici di banche. Erano lì tutti e tre, a bere l'aperitivo e a guardare passare impermeabili e ombrelli bagnati, quando Tanger aveva lasciato il quotidiano locale sul tavolo -- Coy aveva notato che era aperto sulla pagina degli arrivi e partenze delle navi -- si era alzata e si era diretta al negozio di musica vicino a Revistas Mayor, di fronte alla libreria Escarabajal. Era tornata con un pacchetto in mano e lo aveva appoggiato davanti a Coy senza dire nemmeno è per te, prendi, insomma, niente. Dentro c'erano due doppi cd con i master degli ottanta temi incisi da Charlie Parker per le case discografiche Dial I c Savoy, tra il 1944 e il 1948. E, date le circostanze, a lui non era rimasto che apprezzare il gesto. Il vecchio Parker costava un occhio. Lo stesso giorno, Coy aveva avuto l'impressione di vedere Horacio Kiskoros. Stavano tornando al Carpanta carichi di acquisti, e sotto le mura dell'antico forte di Navidad, accanto al cimitero delle navi, si era girato indietro. Ogni tanto lo faceva, per istinto, quando era sulla terraferma. Anche se Tanger pareva indifferente alle minacce di Nino Palermo, Coy le aveva inchiodate in testa e non dimenticava l'ultimo incontro con l'argentino sulla spiaggia di A" guilas. Il caso aveva voluto che, mentre camminava verso il muraglione a cui era ormeggiato il Carpanta, dietro a Tanger e al Secondo, scorgesse Kiskoros ai piedi della torre vecchia. O almeno gli era parso. Quel passaggio era frequentato dai pescatori diretti al frangiflutti, ma la sagoma che si era stagliata nel controluce cinerino, tra la torre e il ponte in disarmo del Korzeniowski, non sembrava quella di un pescatore: minuta, impeccabile, con indosso un barbour verde o qualcosa del genere. "Quello è Kiskoros" aveva detto. Tanger si era fermata, sconcertata. Lei e il Secondo si erano voltati a guardare nel punto in cui indicava, ma non c'era più nessuno. Comunque sia, aveva pensato Coy, LBLTPL: Legge del se è bianco, liquido e in tetra pak allora è latte. Così come barbour, nano e nei paraggi non poteva che voler dire Kiskoros. I nodi, come si sa, prima o poi vengono al pettine. Aveva posato le borse in terra. Non pioveva più e le tiepide raffiche di libeccio che scendevano sibilando dai pendii di San Julian increspavano l'acqua delle pozzanghere che faceva schizzare sotto i suoi piedi mentre correva verso la torre. Quando vi era giunto, non aveva trovato nessuno, ma lui era certo di aver visto l'eroe delle Malvinas, e la sua scomparsa brusca lo riconfermava nella propria convinzione. Aveva lanciato un'occhiata tra le lamiere tagliate con la fiamma ossidrica, i ferri ritorti che tingevano la sabbia di ruggine, e aveva aperto bene le orecchie, immobile. Non c'era anima viva. Il metallo era risuonato incerto sotto i suoi passi quando si era arrampicato su per la scaletta del ponte smantellato del battello postale, sporcandosi le mani di ruggine. Le gocce della recente pioggia cadevano dal tetto, inzuppando il legno fradicio del tavolato; alcune assi cedevano sotto il suo peso, costringendolo a fare attenzione a dove metteva i piedi. Era sceso dall'altra parte, fino alla pancia aperta del battello 374 375 mezzo demolito, con le paratie anteriori sporche di grasso nero e rappreso: quello era un labirinto di ferro vecchio, di rottami ammassati ovunque. Aveva girato intorno alla base di una gru ed era penetrato nella nave attraverso Pagina 217

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt un corridoio inclinato, dove l'acqua formava pozzanghere in terra contro gli orli rialzati del boccaporto. I suoi sensi tesi, all'erta, avevano accusato la tristezza opprimente di tutta quella desolazione, sottolineata dalla luce sporca che filtrava dall'esterno. Dall'altro capo di una cabina sguarnita e vuota, con tutti i cavi ritirati e ammonticchiati in un angolo, si era sporto nella cavità nera di una stiva. Aveva lasciato cadere un pezzo di metallo, e l'eco sinistra era rimbombata sul fondo, tra le lamiere invisibili. Impossibile scendere senza una torcia. E allora aveva colto un rumore alle proprie spalle, in fondo al corridoio; così, con il cuore in gola, il fiato trattenuto tanto da fargli dolere la mandibola, era tornato sui propri passi: il Secondo era lì, corrucciato e teso, brandendo una barra di ferro da tre palmi. Coy aveva imprecato tra i denti, in bilico tra la delusione e il sollievo. Tanger era rimasta indietro, appoggiata a una paratia, le mani in tasca e l'espressione cupa. Quanto a Kiskoros, se si era trattato di lui, si era volatilizzato. Si tolse gli auricolari proprio mentre l'orologio del municipio batteva sette scampanate. I rintocchi che gli arrivavano da lontano sembravano ripetere le ultime note. Bevve un sorso di limonata e rimase a guardare Tanger addormentata sul letto disfatto. La penombra grigia disegnava ombre sulla trasparenza delle lenzuola che le coprivano le ginocchia, il busto e la testa. Dormiva su un fianco, un braccio disteso e l'altro tra le gambe piegate, la vita e le cosce scoperte, di spalle alla luce debole dell'alba. La curva dei fianchi nudi era lo scorcio su cui rimbalzavano luci e ombre, modellandone la pelle coperta di lentiggini, fossette, fenditure e curve. Immobile sulla sedia a dondolo, Coy osservava i dettagli della scena: il viso nascosto, i capelli tra le lenzuola stropicciate che sottolineavano la consistenza delle spalle e della schiena, la vita scoperta, la curva sinuosa dei fianchi e la linea interna delle cosce viste da dietro, l'elegante profilo spezzato delle gambe flesse, le piante dei piedi. E soprattutto quella mano rilassata, con le dita che spuntavano imprigionate dalle cosce, molto vicine all'insenatura del vello pubico, dorato con riflessi più scuri. Si alzò e in silenzio si avvicinò al letto per fissare nella memoria ogni particolare. In quel mentre, lo specchio dell'armadio in fondo alla stanza rifletté un frammento della scena: l'altra mano di Tanger aperta sul guanciale, un ginocchio puntuto, il corpo modellato dal lenzuolo, e anche Coy, con una parte della figura riflessa dal mercurio del vetro, un braccio e una mano, il contorno del fianco nudo, la sensazione fisica che l'immagine non appartenesse a qualcun altro, né fosse un gioco di specchi della memoria. Gli spiacque non avere a portata di mano una macchina fotografica per fissare i dettagli. E allora cercò di imprimere nella propria retina quel mistero svelato solo a metà che lo ossessionava, l'intuizione del momento cangiante, brevissimo, la spiegazione di tutto. C'era un segreto, e lui lo aveva davanti agli occhi, nascosto tra le cose scontate. Il difficile era isolarlo e capire, ma sapeva che non ne avrebbe avuto il tempo, e che in un solo istante gli dei ebbri e capricciosi, ignorando di possedere il dono di creare nel sonno, avrebbero sbadigliato svegliandosi, e tutto sarebbe sfumato come se non fosse mai esistito. Forse quel momento fugace non si sarebbe mai più ripetuto con tanta chiarezza, pensò desolato: il lampo di lucidità consolante capace di mettere tutto al proprio posto, di equilibrare vuoto, orrore e bellezza. Di riconciliare l'uomo riflesso nello specchio con la parola "vita" Ma Tanger si stava muovendo sotto le lenzuola e Coy, che si rendeva conto di aver sfiorato la chiave dell'enigma, sentì che, come in una foto sfocata, tra la scena e l'osservatore si intrometteva un decimo di secondo di troppo o troppo poco, come la messa a fuoco di un'immagine impossibile da realizzare. E nello specchio, oltre lo scorcio del proprio corpo e di quello della donna stesa sul letto, le navi sotto la pioggia non furono altro che riflessi di altre navi oscure in un mare millenario. In quel momento Tanger si svegliò e con lei tutte le donne del mondo. Era calda e sonnacchiosa, i capelli scompigliati e appiccicati al viso che le Pagina 218

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt cadevano sugli occhi, la bocca socchiusa. Il lenzuolo scivolò dalle spalle lungo la schiena, scoprendo il braccio disteso, l'incavo dell'ascella fino ai muscoli dorsali, la curva tesa di un seno schiacciato dal peso del corpo. Adesso la schiena dorata dal sole, con il segno più chiaro del costume, appariva in tutta la sua lunghezza fin sotto la vita mentre lei la inarcava, stiracchiandosi come un animale bello e tranquillo, gli occhi abbagliati dalla penombra sporca della finestra, scoprendo la vicinanza di Coy con un sorriso prima stupito e poi caldo, improvvisamente seria, grave, consapevole della propria nudità e del fatto di essere stata osservata. E poi, la sfida: quel girarsi deliberatamente lenta sotto gli occhi dell'uomo, senza più lenzuola, supina, una gamba allungata e l'altra piegata ad angolo, impudica, la mano accanto al seno senza nasconderlo del tutto, le curve del ventre che convergevano verso la parte interna delle cosce come segnali senza ritorno, l'altra mano abbandonata sulle lenzuola. Immobile. Con quello sguardo fermo, gli occhi fissi sull'uomo che la osservava. Qualche istante dopo, scivolò di fianco e si mise in ginocchio davanti allo specchio, mostrandogli la nudità della schiena e dei fianchi. Avvicinate le labbra allo specchio, ci alitò sopra per appannarlo, e senza staccare gli occhi da Coy, o dall'immagine di lui, impresse l'impronta della bocca nel vapore che appannava il riflesso. Ecco cosa fece. Poi si alzò e, infilandosi strada facendo una maglietta, si mise a sedere all'altro capo del tavolo, accanto al vassoio con la frutta, sbucciò un'arancia con le dita e prese a mangiarla senza separare gli spicchi, mordendo la polpa che le colava sulle labbra, sul mento e sulle mani. Coy le si piantò di fronte, senza dire nulla, e Tanger ogni tanto lo guardava come quando era stesa sul letto, le dita e la bocca lucide del succo del frutto. Adesso però accennava un sorriso. Sorrideva e poi si portava i polsi alla bocca per succhiare il succo che le scorreva per i gomiti, l'arancia sfatta che teneva in mano scompariva tra le labbra e la lingua leccava gli interstizi tra le dita, quindi i residui di polpa sui palmi, poi ancora i polsi. Allora Coy scosse la testa da un lato all'altro, sospirando come se gli sfuggisse un lamento triste, rassegnato. Poi aggirò senza fretta il tavolo, attirò la donna a sé così com'era, seduta, con la maglietta alzata sui fianchi, il sapore di arancia in bocca, e affrontò la strada per Itaca sull'altra sponda del mare vetusto e grigio come la memoria. Passata la burrasca, tornarono al Dei Gloria, dopo che all'alba le ultime nuvole si erano diradate, lasciandosi dietro una striscia rossastra sopravvento. Il mare si colorò di un blu intenso, il sole illuminò le casette bianche della costa, portando con sé una brezza leggera, e il vento "dava buono", per dirla con le parole del Secondo. Quello stesso giorno, con la luce verticale che ne proiettava l'ombra sulla superficie dell'acqua, Coy riprese a tuffarsi con le bombole d'aria compressa sulle spalle per immergersi lungo il gavitello -- uno dei grandi parabordi laterali del Carpanta -- che avevano fissato con trenta metri di cavo e un nodo ogni tre, all'estremità di un'ancora. Toccò il fondo poco distante dalla banda di sinistra, all'altezza della coperta, e nuotò lungo lo scafo per assicurarsi che i segni che avevano fissato prima della burrasca fossero ancora al loro posto. Poi consultò la piantina che aveva disegnato con un pastello a cera su una tavoletta di plastica, calcolò le distanze con l'aiuto di un metro a nastro e cominciò a sgombrare il tambucio di poppa, pietrificato e ricoperto di incrostazioni marine. Con una leva di metallo e una piccozza ruppe le tavole marce, che si sfaldarono in una nube di sporcizia. Lavorava adagio, cercando di non fare sforzi che richiedessero troppa aria. A volte si scostava un istante per riposare, intanto che i sedimenti si posavano sul fondo e lui recuperava la visibilità. Così smontò il tambucio, e quando l'acqua ritornò limpida sporse la testa dentro, come aveva fatto il giorno prima nella stiva del bulkcarrier. Stavolta infilò con cautela il braccio che reggeva la torcia e illuminò le viscere scomposte del brigantino, dove i pesci disorientati dalla luce nuotavano impazziti, cercando una via di fuga. La torcia restituiva alle cose il loro colore naturale, annullando la monotonia del verde delle profondità marine. Pagina 219

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt C'erano anemoni, stelle marine, formazioni coralline rosse e bianche, alghe variopinte che si agitavano debolmente, e le squame dei pesci in fuga tagliavano il fascio di luce come pugnali d'argento. Coy vide uno sgabello di legno apparentemente ben conservato e ricoperto di verderame, scivolato contro una paratia, di cui si distinguevano le decorazioni a forma di spirale delle gambe intagliate. Proprio sotto il tambucio c'era qualcosa di simile a un cucchiaio coperto di incrostazioni, e lì accanto spuntava la parte inferiore di un lume a petrolio con l'ottone ricoperto di chioccioline, mezzo sepolto da un mucchio di sabbia che si era infiltrata attraverso il fasciame fradicio. Descrivendo un arco con la torcia, Coy vide addossati in un cantone i resti di ciò che sembrava una credenza, e tra una pila di tavole spezzate poté riconoscere rotoli di cordame irti di filamenti bruni, oggetti di metallo e di ceramica: boccali, brocche, un paio di piatti e bottiglie, tutto ricoperto da un sottilissimo strato di sedimenti. Tuttavia, per altri aspetti il panorama non era così allettante: i bagli che reggevano la coperta avevano ceduto in più punti e mezzo quadrato era una confusione di legni e mucchi di sabbia che si era infiltrata dal corbame sfasciato. Il fascio della torcia illuminava spazi sufficienti per spostarsi con precauzione, sempre che non cedessero le coste e i bagli che reggevano la struttura dello scafo. Era più prudente, concluse, sollevare il maggior numero possibile di tavole del casseretto e operare dal di fuori, a cielo aperto, spostando il fasciame con l'aiuto di galleggianti d'aria che alleviassero lo sforzo. Avrebbe rallentato il lavoro, ma meglio quello che finire, lui o il Secondo, imprigionati là dentro alla prima disattenzione. Si tolse con la massima cura le bombole, passandole sopra la testa, inspirò una gran boccata d'aria e le lasciò sulla coperta, con il boccaglio appeso alle rubinetterie. Poi infilò il corpo fino a metà nel tambucio, attentissimo a non impigliarsi da qualche parte e, facendosi luce con la torcia, si avvicinò al lume fino ad afferrarlo. Era assai leggero, e lo staccò dal fondo senza fatica. In quel momento vide gli occhi di una grossa cernia che lo osservavano boccheggiando da un buco sotto la paratia. La salutò con un cenno della mano e ripercorse a ritroso, di schiena, la strada fino a portarsi all'altezza della coperta, attento a non farsi sfuggire nemmeno il più piccolo soffio d'aria, che gli sarebbe servita per vuotare il boccaglio dell'erogatore e riprendere a respirare. Morse il boccaglio, soffiò nel riduttore gorgogliante e aspirò l'aria senza problemi. Poi si passò la bombola sulla schiena e fissò le cinghie. Al polso, il Seiko subacqueo del Secondo indicava che era rimasto sotto trentacinque minuti. Era ora di risalire, fare una pausa all'altezza del nodo che segnava i tre metri e aspettare i sette minuti richiesti dalle tabelle di decompressione. Allora strattonò cinque volte di seguito il cavo di kevlar che lo collegava a una caviglia del Carpanta e prese a salire piano reggendo il lume, più lentamente delle sue bolle d'aria, vedendo l'acqua nella penombra verdognola passare al verde e poi all'azzurro. Prima di riemergere in superficie si fermò al punto segnato dei tre metri, tenendosi al nodo del cavo, con l'ombra nera della barca a vela immobile sopra la testa, sotto la superficie dai riflessi simili a vetro smerigliato. In quel momento il vetro si infranse nella schiuma di un tuffo e Tanger, con la maschera da sub e i capelli che fluttuavano nell'acqua, scese a bracciate verso Coy. Nuotava intorno a lui come una strana sirena, e la luce che filtrava dall'alto rendeva più pallida la sua pelle lentigginosa, facendola apparire insolitamente nuda e vulnerabile. Le mostrò il lume del Dei Gloria e vide i suoi occhi spalancarsi, meravigliati, dietro il vetro della maschera. Per quattro giorni, a turni successivi di immersioni, Coy e il Secondo sollevarono parte della coperta del brigantino all'altezza del quadrato. Sgomberavano spostando le tavole fradice dall'alto in basso, con l'aiuto di palanchini e piccozze, cercando di non danneggiare la struttura di coste e bagli che reggeva la forma dello scafo sotto il casseretto. Per alzare i legni grandi ricorrevano al principio di Archimede, procurando un Pagina 220

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt volume d'aria equivalente al peso di ognuno degli oggetti da tirar su: una volta tolti i grossi pezzi di legno, utilizzarono galleggianti simili a paracadute di plastica con cavi di nylon, che riempivano con l'aria compressa di bombole di riserva, calate lungo la verticale del Carpanta grazie all'aiuto di un cavo. Il lavoro risultava lento e spossante, a volte la nube di sedimenti era così spessa da offuscare la vista e dovevano per forza fare una pausa per dare il tempo all'acqua di tornare limpida. C'erano anche ossa umane. Spuntavano tra i tavolati del relitto o erano in parte interrate nella sabbia. Alcune conservavano ancora i resti di quelle che erano state cinture o calzature. Coy trovò un cranio con un osso parietale crepato sotto lo strato sottile dei sedimenti, accanto a una delle porte, e lo riseppellì nella sabbia, spinto da un atavico rispetto. L'equipaggio del Dei Gloria era sempre lì, a lavorare sulla nave affondata. E a volte, nello spostarsi tra i legni cupi del brigantino senza altra compagnia del proprio respiro nel boccaglio, Coy poteva sentirli accanto a sé, in quella penombra verde che lo circondava. Tutte le sere, alla luce della lampada del quadrato, si riunivano a fare il bilancio della giornata. Quelle riunioni sembravano consigli di guerra presieduti da Tanger, che teneva spiegata davanti a sé la pianta del brigantino, con Coy e il Secondo vestiti con pullover nonostante la temperatura mite, per riequilibrare il freddo che avevano in corpo dopo tutte quelle ore in immersione. Poi Coy era vinto dal sopore, un sonno pesante e senza sogni o immagini, e la mattina dopo riprendeva a tuffarsi. La sua pelle somigliava a quella dei ceci in ammollo. Il terzo giorno, mentre risaliva, pronto a fare la pausa a tre metri per espellere l'azoto disciolto nel sangue, guardò verso l'alto e rimase sbalordito: la sagoma scura di un altro scafo galleggiava accanto al Carpanta nelle onde crescenti. Riemerse senza completare la decompressione, con un campanello di allarme nelle orecchie che suonò all'impazzata quando riconobbe la pattuglia della guardia civil. Si erano avvicinati per dare un'occhiata, con l'equipaggio incuriosito dall'immobilità del Carpanta. Per fortuna il tenente al comando della lancia era un conoscente del Secondo, e la prima cosa che Coy captò nel riemergere fu l'occhiata serena dell'amico: tutto a posto, voleva dire. Il tenente e il Secondo fumavano e chiacchieravano passandosi il fiasco di vino da una barca all'altra, mentre un paio di giovani agenti in divisa verde e scarpe sportive lanciavano occhiate fin troppo eloquenti a Tanger, che leggeva sulla coperta di poppa, occhiali da sole, costume, cappello di tela, apparentemente indifferente alla scena. La storia che il Secondo aveva appena raccontato con noncuranza, senza perdersi in particolari, di turisti appassionati di immersioni che noleggiavano la sua barca, e della sedicente ricerca, per passione, di un peschereccio naufragato un paio d'anni prima proprio in quelle acque, il Leo y Vero di Torrevieja, parve credibile al tenente, soprattutto quando scoprì che l'individuo che usciva dall'acqua e li salutava con la mano, dopo aver appeso la bombola per il gancio alla scaletta di poppa, l'aria vagamente sorpresa, era oriundo di Cartagena e ufficiale della Marina mercantile. Il tenente si accontentò di dare un'occhiata al brevetto da sub di Coy, raccomandandogli di rinnovarlo perché era scaduto da un anno e mezzo, e la pattuglia si allontanò. Non appena fu a un miglio di distanza, lasciandosi dietro una scia dritta e bianca, Tanger chiuse il libro di cui non era riuscita a leggere una sola riga, tutti e tre si guardarono in un silenzio sollevato e Coy si rituffò in acqua con le bombole di aria compressa, raggiunse il nodo a tre metri e restò lì, circondato da meduse bianche e brune che passavano adagio, trascinate dalla corrente, fintanto che le bollicine di azoto, che la precipitosa emersione cominciava a formare nel suo sangue, si diluirono. Il quinto giorno il casseretto del brigantino era sufficientemente sgombro da permettere una prima esplorazione seria. Quasi tutto il tavolato della coperta era scomparso e lo scheletro dello scafo di poppa scopriva parte dell'alloggio del comandante, con una paratia intatta, una cambusa e la cabina attigua, quella dei passeggeri. In quel modo, a cielo aperto, Coy poté dare il via alla ricerca dissotterrando Pagina 221

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt una confusione di oggetti, resti e frammenti di legno che si erano ammucchiati fino a formare uno strato di quasi un metro di spessore. Scavava con le mani inguantate e una pala dal manico corto, scagliando i resti inutili fuori bordo, fuori dallo scafo, fermandosi di volta in volta per dare tempo ai sedimenti di posarsi. Così facendo, dissotterrò cose che in altri momenti lo avrebbero incuriosito, ma che ora si limitava a scartare, impaziente: serrature, brocche di peltro, un candelabro, schegge di vetro e cocci di stoviglie. Si imbatté anche nell'elsa di una sciabola, la cui lama era completamente corrosa: era un'impugnatura di bronzo, grande, con il moncherino di una lama larga e gigantesche guardie per proteggere la mano, una sciabola con l'unico compito di fare a fette la carne umana durante gli arrembaggi. Trovò inoltre, ridotto a un unico agglomerato dalle incrostazioni, un blocco di pallini da moschetto che conservava la forma della cassa in cui erano affondati, benché il legno fosse ormai scomparso. Sepolta nella sabbia rinvenne la metà di una porta con cardini e chiave ancora nella serratura, e poi palle da cannone da quattro libbre, chiodi di ferro calcificati con l'interno svanito in macchie di ruggine, e altri di bronzo in migliori condizioni. Sotto le tavole disfatte di una credenza rinvenne tazze e piatti di ceramica di Talavera miracolosamente integri e puliti, tanto che vi si leggeva il marchio di fabbrica. La credenza conteneva anche una pipa di creta, due moschetti pieni di conchiglie, dischi neri e incollati l'uno all'altro che sembravano monete d'argento, l'ampollina spezzata di una clessidra e anche un regolo snodato di ottone, che magari aveva tracciato le rotte sulle carte di Urrutia. Per sicurezza, soprattutto dopo la visita della guardia civil, avevano deciso di non portare sul Carpanta nessun oggetto che potesse destare sospetti, ma Coy fece un'eccezione quando liberò dalla sabbia uno strumento completamente coperto di incrostazioni: in origine doveva essere di metallo e di legno, anche se quest'ultimo gli si sciolse tra le dita quando lo afferrò per pulirlo, conservando solo un braccio con pezzi appesi nella parte superiore e un arco in quella inferiore. Emozionato, lo riconobbe subito: aveva in mano le parti di metallo, ottone o bronzo, corrispondenti al braccio e al semicerchio graduato di un antico ottante: forse quello utilizzato dall'ufficiale di rotta del Dei Gloria per stabilire la latitudine. Era uno scambio vantaggioso, pensò. Un ottante del XVIII secolo al posto del sestante che aveva venduto a Barcellona. Lo mise da parte, per poterlo recuperare con facilità in seguito. Ma a emozionarlo fino alle lacrime fu l'oggetto che rinvenne in un angolo della cambusa, coperto di minuscoli filamenti bruni, dietro le tavole di un baule: un semplice rotolo di cima perfettamente addugliato, con un nodo ben stretto nei due ultimi giri, tale e quale come lo avevano lasciato le mani esperte di un marinaio coscienzioso, pratico del mestiere. Quel rotolo di cavo intatto commosse Coy più di ogni altra cosa, comprese le ossa dell'equipaggio del Dei Gloria. Morse il boccaglio di caucciù per reprimere la smorfia amara che gli si stava disegnando sulla bocca, la tristezza infinita che sentiva formargli un nodo in gola a mano a mano che scopriva le tracce dei marinai morti nel naufragio. Due secoli e mezzo prima, uomini come lui, marinai esperti del mare e delle sue insidie, avevano tenuto quegli oggetti tra le mani. Avevano calcolato rotte con il regolo di ottone, addugliato le cime, misurato i turni di guardia girando la clessidra, calcolato la distanza degli astri con l'ottante. Si erano arrampicati sui pennoni traballanti lottando contro il vento che si ostinava a strapparli dalle sartie, e avevano ululato la loro paura e il loro umile coraggio sull'alberatura oscillante, raccogliendo tela tra le dita intirizzite, volgendo il viso a temporali provenienti da nordovest nell'Atlantico, al maestrale o al libeccio assassino del Mediterraneo. Avevano combattuto a colpi di cannone, con la voce rauca dal tanto urlare, grigi di polvere da sparo, prima di colare a picco con la rassegnazione degli uomini del mestiere che vendono cara la pelle. Adesso i loro scheletri erano sparsi lì intorno, tra i resti del Dei Gloria. E Coy, muovendosi lentamente sotto il pennacchio di bollicine che saliva dritto nella penombra, simile a un sudario, si sentiva un ladro che saccheggiava una tomba, violandone la pace. La luce dell'oblò creava lenti riflessi sulla pelle nuda di Tanger. Pagina 222

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Era una piccola macchia di sole, rettangolare, che saliva e scendeva al ritmo della barca e che le scivolò lungo le spalle e la schiena quando lei si staccò da Coy, ancora affannata per lo sforzo, boccheggiando come un pesce fuor d'acqua. Aveva i capelli, che i giorni in mare avevano schiarito sulle punte, appiccicati alla faccia sudata. E quel sudore le scorreva sulla pelle e faceva brillare la piastrina da soldato appesa alla catena d'argento, le creava rivoletti tra i seni e depositava goccioline sul labbro superiore e sulle ciglia. Il Secondo si trovava ventisei metri sotto di loro, era il suo turno d'immersione. Il sole quasi a picco trasformava la cabina in un forno rovente e Coy, appoggiato al banco sotto la scala che conduceva in coperta, lasciava scivolare le mani sui fianchi umidi della donna. Si erano abbracciati lì sotto, inaspettatamente, quando lui, toltasi la muta, cercava un telo dopo un'immersione di mezz'ora vicino al relitto del Dei Gloria. Lei gli era passata accanto, sfiorandolo involontariamente. E subito la sua fatica era sfumata, mentre lei se ne restava tranquilla, a guardarlo con quel suo modo assorto e silenzioso. Un istante dopo erano abbracciati ai piedi della scala e lottavano furiosamente, come nemici. Coy adesso si appoggiava allo schienale, sconfitto, e lei si allontanava piano, inesorabilmente, voltandosi su un fianco e sbarazzandosi con un gesto della carne umida di lui, con quella macchia di sole che le danzava addosso e lo sguardo, di nuovo metallico, blu scuro, blu marino, blu acciaio, supina, rivolta alla luce del sole che entrava dalla coperta per il tambucio. Allora Coy, da sotto, ancora disteso, la vide salire nuda per la scala e gli sembrò che se ne andasse per sempre. Nonostante il caldo rabbrividì, proprio in quei punti che conservavano tracce di lei, e all'improvviso pensò che un giorno sarebbe stata l'ultima volta. Un giorno mi lascerà o moriremo o invecchierò. Un giorno uscirà dalla mia vita, o io dalla sua. Un giorno non avrò più nulla da ricordare e nemmeno più la vita per ricomporre i frammenti della memoria. Un giorno tutto scomparirà, e forse l'ultima volta è stata oggi. Perciò rimase a guardarla fintanto che non risalì completamente la scala del tambucio e sparì in coperta, cercando di imprimersi nella memoria anche il più piccolo dettaglio. Lo fece con grande attenzione, e l'ultima cosa che trattenne di quell'immagine fu una goccia di sperma che scivolava lenta nella parte interna della coscia di lei, e che quando arrivò al ginocchio rifletté la luce ambrata di un raggio di sole. Poi Tanger uscì dal suo campo visivo e Coy sentì lo scroscio di un tuffo in mare. Passarono la notte ancorati sopra al Dei Gloria. L'ago dell'anemoscopio girava indeciso accanto alla lampadina accesa in testa all'albero e l'acqua piatta rifletteva come uno specchio il lampo di luce intermittente del faro di Cabo de Palos, sette miglia a nordest. Spuntarono tante stelle che il cielo sembrava toccare il mare, e fino a che furono così numerose da faticare a riconoscerle, Coy rimase seduto sulla coperta di poppa a guardarle e a tracciare tra loro linee immaginarie che permettevano di identificarle. Il triangolo estivo cominciava a salire verso sudest, ed era visibile una punta della Chioma di Berenice, l'ultima a sparire tra le costellazioni di primavera. A est, splendente sul paesaggio nero inchiostro, la cintura di Orione, il Cacciatore, si vedeva benissimo e, prolungando una retta da Aldebaran a lui, sopra il Cane maggiore, trovò la luce partita otto anni prima da Sirio, la stella doppia più brillante del cielo, nel punto in cui la Via Lattea allungava la scia verso sud, in direzione del Cigno e dell'Aquila. Tutto quel firmamento di luci e immagini mitiche si spostava adagio sopra la sua testa, e lui, come nel cuore di una sfera straordinaria, partecipava di quel silenzio e di quella pace infinita. "Non mi insegni più il nome delle stelle, Coy." Si accorse che si era avvicinata solo ora che l'aveva di fianco. Si sedette vicinissima, ma non lo sfiorò, i piedi sui gradini di poppa. "Ti ho già insegnato tutto quel che so." L'acqua sciaguattò quando lei vi Pagina 223

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt immerse i piedi nudi. A intervalli, la luce del faro precisava il contorno confuso della sua ombra. "Mi domando" disse "cosa ricorderai di me." Aveva parlato con tenerezza, sottovoce. Ma non era una domanda, era una confidenza. Coy ci pensò su. "É presto per dirlo" si decise a rispondere. "Non è ancora finita." "Mi domando cosa ricorderai quando sarà tutto finito." Coy alzò le spalle, sapendo che lei non poteva vederlo. Tacquero entrambi. "Non so cos'altro ti aspetti" aggiunse Tanger. Lui non disse nulla. Dalla cabina arrivava il suono della radio VHF: erano le dieci e un quarto e il Secondo ascoltava le previsioni del tempo per il giorno dopo. L'ombra della donna era sempre immobile. "Ci sono viaggi" sussurrò "che possiamo affrontare soltanto da soli." "Come la morte." "Non dirlo" protestò lei. "Morire soli, ricordi? Come Zas... Una volta mi hai confessato questa tua paura. " " Taci. " "Mi hai chiesto di restarti accanto. Di giurarti che lo avrei fatto. " " Taci." Coy si lasciò cadere di schiena contro le tavole di coperta, con la volta celeste spalancata su di lui. La sagoma scura gli si piegò sopra: un buco nero nelle stelle. "Cosa potresti fare?" "Tenerti la mano" rispose Coy. "Accompagnarti nel viaggio, non lasciarti sola." "Non so quando accadrà. Non lo sa nessuno." "Perciò voglio stare con te. Essere presente." "Lo faresti?... Davvero vorresti essere lì per me... per non lasciarmi sola quando sarà la mia ora?" "Certo." La sagoma scura liberò il cielo. Si scostò di lato. Guardava l'acqua nelle tenebre, o il firmamento. "Che stella è quella?" Coy seguì la direzione indicata dal tracciato scuro della mano. "Regolo. La zampa anteriore del Leone." Tanger sembrava protendersi verso il cielo, in cerca dell'animale descritto tra le luci che lampeggiavano lassù. Poi sbatté i piedi in acqua. "Forse non ti merito, Coy." Lo disse in un sussurro impercettibile. Lui chiuse gli occhi respirando a fondo. "Sono fatti miei." "Ti sbagli. Non sono fatti tuoi." Tacque, facendo rumore con i piedi. Li muoveva nell'acqua nera. "Sei una brava persona" disse all'improvviso. "Davvero." Coy aprì gli occhi per riempirseli di stelle e riuscire a sopportare l'angoscia che aveva nel petto. Si sentiva d'un tratto stremato. Non osava muoversi, come se, facendolo, il dolore potesse divenire intollerabile. "Migliore di me" continuava lei "e di tutti quelli che ho conosciuto. Peccato che..." Si interruppe, e il suo tono era diverso, quando riprese a parlare. Più duro e secco, non ammetteva repliche: "Peccato che" Un'altra pausa. Una stella cadente tagliò l'orizzonte, a nord. Un desiderio, pensò Coy. Devo esprimere un desiderio. Ma la minuscola scintilla si estinse prima che riuscisse a formulare un pensiero. "Dov'eri quando ho vinto la coppa nella gara di nuoto?" Fa che resti con me, chiese alla fine. Ma notò che non c'erano altre stelle cadenti nel firmamento di ghiaccio. Erano tutte fisse, implacabili. "A vivere" rispose. "Mi preparavo a conoscerti." Parlò con semplicità, e poi si zittì. C'era una traccia di luce sulla faccia buia di Tanger. Un doppio riflesso molto tenue. Lei lo stava guardando. "Sei una brava persona." Lo ripeté un'altra volta e si piegò su di lui. Coy sentì la bocca umida della donna in ombra sulla sua. Pagina 224

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Poi lei si alzò. "Spero" disse "che tu possa trovare presto una nave." L'intelaiatura di piombo di un occhio di bue conservava ancora schegge del vetro. Si spostò per lasciare che la nube di sedimenti si posasse al suolo e poi riprese il lavoro. Era giunto in un punto del quadrato in cui la sabbia riempiva immediatamente il foro appena ripulito, ed era costretto a costanti giri con la pala per buttarla dal bordo. La cosa lo stancava parecchio e gli faceva sprecare più aria di quanto convenisse. Le sue bolle salivano più velocemente del solito, allora lasciò la pala in un angolo e raggiunse i resti di una costa, appoggiandovisi per riposare e convincere i polmoni a essere meno esigenti. Sotto i suoi piedi c'era una palla di cannone fissata a una catena, di quelle che si usavano per spezzare le sartie del nemico; il Secondo l'aveva dissotterrata nel corso dell'immersione precedente. Lo stato di conservazione era piuttosto buono, perché la sabbia l'aveva protetta per due secoli e mezzo. Forse era una di quelle sparate dal corsaro e aveva finito lì la sua corsa, dopo aver danneggiato il cordame e il velame del brigantino. Scese un po' per vederla meglio -- cosa non ti escogita un uomo per ammazzarne un altro, pensava -- e allora, da un foro alla base di una paratia, vide spuntare, vicinissima, la testa di una murena. Era grande, larga un palmo, di un colore scuro, sinistro. Spalancava le fauci arrabbiata per l'intrusione di quello strano essere gorgogliante nel suo territorio. Coy si fece indietro con prudenza davanti a quella bocca aperta, i cui denti potevano staccargli mezzo braccio in un solo morso, e raggiunse il fucile subacqueo appeso al cavo con i galleggianti sgonfi e le altre attrezzature. Caricò l'arpone tendendo gli elastici e tornò dalla murena. Odiava uccidere i pesci, ma non era il caso di lavorare in mezzo a tavole fradice e per di più con la minaccia di denti affilati e velenosi sulla nuca. L'animale stava in guardia sotto la paratia, difendendo l'entrata del suo anfratto domestico: casa dolce casa. Teneva ancora gli occhi maligni fissi su Coy quando questi si avvicinò con il fucile in pugno e glielo piazzò davanti alle fauci spalancate. Niente di personale, compagna. Sei solo sfortunata. Premette il grilletto, e la murena si dibatté infilzata, dando furiosi morsi allo stelo d'acciaio che le spuntava dalla bocca, fintanto che Coy estrasse il coltello e le recise il midollo spinale alla base della testa. Riprese il lavoro, sgomberando un angolo del quadrato dove si erano ammonticchiati legni e oggetti vari. La sabbia continuava a riempire i buchi che lui liberava, le conchiglie e i frammenti di metallo avevano fatto a brandelli i suoi guantiera - il terzo paio che bucava lì sotto -- e le sue dita somigliavano a un ecce homo di tagli e graffi. Trovò la canna di una pistola il cui calcio di legno era ormai scomparso e anche un crocifisso che sembrava d'argento, nero e coperto di incrostazioni, oltre a una scarpa in pelle quasi intatta, con la sua bella fibbia. Poi spostò alcune tavole che si divisero sotto la piccozza, risalì un po' per lasciar posare i sedimenti, e quando scese vide un blocco scuro coperto di incrostazioni brune e color ruggine. A prima vista sembrava un grosso mattone, quadrato. Cercò di spostarlo ma era come incollato al fondo. Impossibile, pensò. I forzieri hanno un coperchio che si apre e mostra un interno luccicante, le perle, i gioielli e le monete d'oro. E gli smeraldi. I forzieri non hanno l'aspetto anonimo di un blocco calcareo e arrugginito, tantomeno si degnano di comparire sotto una vecchia scarpa e qualche tavola. Dunque, è impossibile che la cosa che ho davanti sia l'oggetto della nostra ricerca. Smeraldi grandi come noci, iridi del Diavolo e cose così. Troppo facile. Scavò la sabbia intorno al blocco incrostato, illuminandolo con la torcia per Pagina 225

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt controllare il colore reale. Era più o meno lungo due palmi, largo altrettanti e profondo un po' meno. Si scorgevano ancora gli angolari in bronzo che avevano tinto di verde le incrostazioni e le conchiglie vicine. Per il resto era coperto di una crosta rigida e fragile, con tracce di legno putrido e macchie di ruggine. Bronzo. legno e ferro in stato di decomposizione, come aveva previsto Tanger aggiungendo che se avesse trovato qualcosa con le suddette caratteristiche, avrebbe dovuto maneggiarla con cura. Niente colpi, evitare di frugare all'interno. Gli smeraldi, se si trattava di smeraldi, sarebbero stati incollati l'uno all'altro in un blocco calcareo che doveva essere separato con sostanze chimiche. Gli smeraldi, tra l'altro, sono molto fragili. Liberò il blocco dalla sabbia senza grande sforzo. Non sembrava molto pesante, almeno nell'acqua, ma certamente si trattava di un forziere. Rimase immobile per quasi un minuto, respirando lentamente, lasciando salire le bolle a un ritmo sempre più lento, fino a quando riuscì a calmarsi un po', il sangue cessò di pulsargli nelle tempie e il cuore recuperò il battito regolare sotto la muta di neoprene. Prendila con calma, marinaio. Forziere o no, prendila con molta calma. Cerca di essere flemmatico, almeno una volta nella vita, perché chi sta respirando aria compressa a duecento atmosfere a ventisei metri di profondità non può farsi venire una crisi di nervi. Così rimase fermo un altro po' e quindi andò a recuperare uno dei galleggianti di plastica, fissò una rete a maglia molto fine, come se fosse una borsa, a un capo delle drizze, e la assicurò all'anello con un gancio. Mise il blocco nella rete e lasciò fuoriuscire dal boccaglio l'aria compressa per gonfiare a metà il galleggiante. Poi, infischiandosene delle istruzioni di Tanger, frugò nel blocco con la punta del coltello, staccando una parte di crosta, senza scoprire niente di particolare. Frugò ancora un tantino, e un pezzo grande come la metà di un pugno si staccò dal resto. Lo prese per guardarlo più da vicino alla luce della torcia, e dal pezzo si staccò un frammento, che cadde lentamente, fino a posarsi sul fondo. Era una pietra traslucida, dalla forma irregolare e gli angoli retti, poliedrici. Color verde smeraldo. 390. 16. Il Cimitero delle navi senza nome. Hai ingannato come sempre questo innocente e lo hai battuto con i tuoi trucchi? APOLLONIO RODIO, Argonautiche. All'orizzonte si scorgeva la città, ammassata sotto il castello in una bruma dai toni bianchi, bruni e azzurri sottolineata dalla luce del tramonto. Il sole cominciava a declinare a ovest, sopra la sagoma massiccia del Monte Roldan, quando il Carpanta, murato a sinistra con il genoa spiegato e la randa con una mano di terzaroli, infilò l'imboccatura tra i due fari, passando sotto le feritoie degli antichi forti di sentinella all'entrata del porto. Coy tenne la rotta finché ebbe sulla pinna il faro di Navidad e le canne dei pescatori seduti sui frangiflutti. Allora girò la ruota del timone sopravvento e le vele fileggiarono mentre la barca orzava fermandosi sull'acqua tranquilla, a ridosso della darsena. Tanger muoveva la manovella del winch, raccogliendo il genoa, quando lui mollò lo strozzascotte della drizza della randa, e questa cadde scivolando lungo l'albero. Poi, mentre il Secondo la avvolgeva intorno al boma, Coy accese il motore e puntò la prua all'Espalmador, verso gli scafi smantellati e le strutture arrugginite delle navi senza nome. Tanger finì di addugliare le scotte e rimase a guardarlo a lungo, come se volesse imprimersi nella mente la sua faccia, e lui accennò a un sorriso. Anche lei sorrise, e poi si appoggiò al tambucio, rivolta a prua, dove il Pagina 226

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Secondo aveva aperto il pozzo dell'ancora. Coy guardò il molo commerciale, dove il Felix von Luckner era ormeggiato accanto a una grossa nave passeggeri, e gli dispiacque di quell'approdo clandestino. Gli sarebbe piaciuto spiccare sull'albero, come i comandanti dei sommergibili tedeschi che inalberavano sulla torretta il pavese delle navi affondate, in segno di vittoria. Torniamo da Scapa Flow, missione compiuta. Comunico che i tesori esistono e che ne abbiamo uno a bordo. Proprio così: gli smeraldi erano a bordo del Carpanta. Il blocco di incrostazioni calcaree che li conteneva era avvolto in più strati di schiuma protettrice, impacchettato dentro una borsa da viaggio insospettabile. Li avevano puliti con estrema cura prima di imballarli, senza ancora credere a ciò che avevano sotto gli occhi, stupiti di aver realizzato il sogno che Tanger -- Clero / gesuiti / vari / N. 356 -- aveva fatto davanti a un vecchio involucro di documenti, molto tempo prima. Sembrava galleggiassero tutti e tre sopra una nuvola, tanto che Coy non ebbe il coraggio di rivelare al Secondo il valore approssimativo che quel blocco pietroso e sporco recuperato dal mare aveva sul mercato clandestino della gioielleria internazionale. Il Secondo del resto non chiese nulla, ma Coy lo conosceva bene, e coglieva una strana inquietudine dietro l'apparente indifferenza del marinaio: una luce diversa negli occhi, un diverso modo di tacere, una curiosità trattenuta con il pudore della gente di mare, sicura nel proprio mondo ma piena di incertezze, timidezze e dubbi sulle trappole e sulle tentazioni della terraferma. E Coy non voleva spaventarlo, raccontandogli che con duecento smeraldi grezzi, anche se Tanger li avesse venduti sventatamente per la quarta parte del loro valore reale, avrebbero ricavato come minimo qualche milione di dollari. Cifra che, pur con uno sforzo di fantasia, il Secondo non sarebbe mai riuscito a immaginare. Comunque, il piano era di fare una pausa mentre Tanger trattava con gli intermediari, e poi suddividere il ricavato -- il settanta percento a lei, venticinque a Coy e cinque al Secondo -- che sarebbe stato versato con discrezione per non destare sospetti. Tanger aveva studiato come farlo, durante il giro di mesi prima ad Anversa, dove il contatto che aveva sul posto aveva agganci con banche dei Caraibi, della Svizzera, di Gibilterra e delle isole inglesi della Manica. Nessuno vietava al Secondo di comprarsi, qualche tempo dopo, un nuovo Carpanta e immatricolarlo all'isola di Jersey, per esempio; o a Coy di ricevere, in attesa della sua patente da marinaio, un buono stipendio da un'ipotetica compagnia marittima con sede nelle Antille. Quanto a lei, aveva risposto Tanger a Coy senza alzare gli occhi dal pennello con cui stava liberando dalle incrostazioni il blocco di smeraldi, erano solo affari suoi. Avevano parlato di tutto l'ultima notte, alla luce del tavolo da carteggio, dopo aver issato a bordo il forziere dei gesuiti del Dei Gloria. Lo avevano lavato in acqua dolce e poi, pazientemente, utilizzando strumenti specifici e manuali tecnici, in un secchio di plastica Tanger aveva eliminato con solventi chimici lo strato esterno di incrostazioni calcaree, mentre Coy e il Secondo la osservavano con rispetto reverenziale, senza osare aprire bocca. E alla fine era apparsa la superficie di un agglomerato di cristalli con angoli retti e tracce di formazioni esagonali, non ancora tagliate, che conservavano tutte le irregolarità originali e che alla luce del quadrato mandavano tenui riflessi verdeazzurri, limpidi e trasparenti come l'acqua. Smeraldi perfetti, aveva mormorato Tanger, affascinata, senza interrompere il lavoro, asciugandosi con il dorso della mano il sudore che le incollava i capelli alla fronte. Teneva un occhio socchiuso e la lente da gioielliere nell'altro: una lente piccola e stretta, che ingrandiva dieci volte, e si piegava sul blocco per osservarne l'interno, tenendosi a tre centimetri di distanza, illuminandolo da diverse angolature con una potente torcia Maglite. Verde semitrasparente, Al, Be, Si, O", pietre perfette per colore, luce, purezza. Aveva studiato, letto, domandato tenacemente per mesi prima di poter emettere quel giudizio a bassa voce. Smeraldi da venti a trenta carati, grezzi, senza traccia di impurità, nitidi come gocce d'olio, che nelle mani di orafi capaci, una volta tagliati in faccette rettangolari o ottagonali sfruttando il punto in cui il colore e la Pagina 227

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt rifrazione erano migliori, si sarebbero trasformati in preziosi gioielli che le dame dell'alta società, le mogli e le amanti di banchieri, milionari, mafiosi russi o sceicchi del petrolio avrebbero sfoggiato su bracciali, diademi e collane senza chiedersi da dove venissero né quale lungo cammino avessero percorso quelle strane formazioni di allumina, berillio, silicio, ossido e acqua, per le quali gli uomini da sempre uccidevano, morivano e sempre erano disposti a farlo. Forse, al massimo, in qualche circolo esclusivo di iniziati, sarebbe corsa voce che alcuni di quegli smeraldi, i più belli, provenivano da un naufragio documentato, antico di due secoli e mezzo, e a quel punto il prezzo degli esemplari più pregiati, i più grandi e i meglio tagliati, avrebbe raggiunto cifre pazzesche sul mercato clandestino. Per la maggior parte quelle pietre sarebbero tornate a dormire un lungo sonno nel buio, stavolta dentro cassette di sicurezza delle banche di tutto il mondo. E ci sarebbe stato chi, in un discreto laboratorio di una via di Anversa, avrebbe moltiplicato il suo patrimonio. Coy manovrò bruscamente per evitare la lancia dei piloti portuali che si avvicinava da dritta, diretta a una delle petroliere in attesa davanti alla raffineria di Escombreras. Si era distratto un momento, e sentì da prua lo sguardo inquisitore del Secondo. In realtà stava pensando a Horacio Kiskoros. Ne intuiva la presenza, lì da qualche parte. E soprattutto pensava al suo capo. Con gli smeraldi a bordo, il sipario stava per calare sull'ultimo atto, e Coy rifiutava di credere che Nino Palermo lasciasse che le cose finissero così. Ricordava gli avvertimenti del cacciatore di tesori, che aveva giurato di non lasciarsi tagliare fuori dall'affare. E quello non era tipo da minacciare a vuoto. Osservò Tanger, con i gomiti sul tambucio, immobile, guardare il punto dove erano diretti. Non sembrava preoccupata, era piuttosto assente, immersa nella piacevole realtà del suo sogno verde. Ma Coy sentiva crescere l'inquietudine, come quando il mare è calmo e il cielo limpido, ma un nuvolone nero spunta all'orizzonte e il vento amplifica, in maniera preoccupante, il fischio tra le sartie. Studiò con apprensione la linea grigia della banchina. Quanto a Palermo, la domanda era come e quando. Il libeccio soffiava perpendicolare alla banchina, quindi Coy si avvicinò avanti poco a sopravvento dirigendosi a un capo di quella, e una volta giunto a tre lunghezze di distanza mise in folle e l'ancora liberata dal Secondo cadde nell'acqua con uno scroscio. Quando la sentì mordere il fondo, Coy accelerò un po' girando tutto il timone a dritta, in modo che il Carpanta rigirasse sopra l'ancora, con la poppa al punto d'ormeggio. Poi a marcia indietro, sentendo scorrere le maglie dell'ormeggio lungo il bozzello di prua, retrocesse mollando la catena fino alla punta della banchina. Quando si trovò a mezza lunghezza spense il motore, andò a poppa, prese l'estremità di un cavo dato volta sulle caviglie, e tenendolo in mano saltò a terra per fermare il leggero abbrivio del Carpanta sopra il molo. Poi, mentre all'estremo opposto il Secondo recuperava un po' di catena perché la barca si fermasse al proprio posto, bloccò l'ormeggio in uno dei piloni, un piccolo cannone antico quanto arrugginito, piantato nel cemento fino agli orecchioni, e portò all'altro un secondo cavo. La barca a vela era ancora immobile, circondata da vecchi scafi mezzi smantellati e sovrastrutture abbandonate. Tanger si era alzata in piedi nel pozzetto, e quando i suoi occhi incrociarono quelli di Coy, lui li fissò con grande serietà. "É finita" le disse. La donna non rispose. Guardava lontano, in fondo alla banchina, e anche Coy si voltò a guardare. Laggiù, seduto sui resti di una barca di salvataggio ormai inservibile, consultando l'orologio come a vantarsi della minuziosa puntualità a un appuntamento prefissato, c'era Nino Palermo. "Riconosco" disse il cacciatore di relitti "che avete fatto un buon lavoro. " Il sole si era appena nascosto dietro la falda di San Julian, e sul cimitero delle navi calavano le ombre. Palermo si era tolto la giacca, piegandola con cura su una delle tavole rotte della barca di salvataggio, e si rivoltava senza fretta le maniche della Pagina 228

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt camicia, facendo spuntare il grosso orologio che portava al polso sinistro. Potevano sembrare un gruppetto di amici, quei cinque sotto il ponte del vecchio battello postale, intenti a far due chiacchiere cordiali. Erano in cinque adesso, perché a Coy, Tanger, il Secondo e Palermo si era unito Horacio Kiskoros. Ed era la sua presenza a risultare determinante, perché senza di lui la loro conversazione difficilmente sarebbe corsa su binari di civiltà. Probabilmente influiva anche il fatto che, per l'occasione, Kiskoros aveva sostituito il coltello con una bella pistola cromata dal calcio in madreperla. All'apparenza la pistola aveva un'aria inoffensiva, a parte il gigantesco foro della canna che teneva sotto tiro l'equipaggio del Carpanta e Coy in particolare: evidentemente né Kiskoros né Palermo avevano scordato il suo temperamento focoso. "Non pensavo ce l'avreste fatta" riprese Palermo. "Sul serio... Niente male per essere dei dilettanti. Lo ammetto, Cristo, niente male." Sembrava sinceramente ammirato. Sottolineava le parole con cenni del capo, scuotendo la coda grigia, facendo tintinnare la catena d'oro che portava al collo, e ogni tanto si voltava verso Kiskoros, come a cercare conferma. Piccolo, con la brillantina sui capelli, azzimato nella leggera giacca a quadri con il papillon, l'argentino annuiva al capo senza perdere di vista Coy con la coda dell'occhio. "Siete stati grandi" continuò il cacciatore di tesori "a ritrovare quella nave. Con i mezzi che avevate, è stato... Be. L'ho sottovalutata, signora. e anche il marinaio qui presente." 394 395 Sorrideva come uno squalo che avesse sentito l'odore del sangue. "Io stesso... Cristo. Non avrei potuto far meglio." Coy guardò il Secondo. Gli occhi plumbei erano concentrati, con il fatalismo di chi aspetta solo il momento giusto per agire in un modo o nell'altro: buttarsi contro quei tizi correndo il rischio di beccarsi una pallottola, o aspettare senza far niente, fintanto che qualcuno avesse deciso per loro. Sei tu il mazziere, diceva quello sguardo. Ma Coy pensava di aver trascinato l'amico anche troppo oltre e socchiuse piano le palpebre. Quieto. Allora anche il Secondo fece lo stesso, e quando Coy si volse a Kiskoros si rese conto che questi osservava alternativamente ora l'uno ora l'altro e che la canna della pistola descriveva archi paralleli al movimento dei suoi occhi. L'eroe delle Malvinas, dedusse Coy, era tutt'altro che un pivello. "Mi dispiace informarvi" concluse Palermo "che adesso il comando delle operazioni passa alla Deadman" s Chest." Tanger lo fissava senza muovere un solo muscolo. Fredda come una granita al limone, pensò Coy. L'acciaio delle pupille era più scuro e duro che mai. Si domandò dove poteva aver nascosto il revolver. Purtroppo non addosso. Non in quei jeans e in quella maglietta. Peccato. "Quali operazioni?" domandò lei. Coy la osservò, ammirato. Palermo sollevò appena le braccia, quasi a contenere la scena, la barca. Sembrava che abbracciasse il mare. "Quelle del recupero. Sono due giorni che vi osservo con il binocolo dalla costa... Chiaro? Adesso siamo soci." "Soci in che cosa?" "E dai. In che cosa. Il brigantino. Avete fatto la vostra parte... Siete stati fantastici. Adesso... Cristo. É roba da professionisti. " "Le ho già detto che lei non ci serve." "É vero, l'ha detto. Ma si sbaglia. Vi servo di sicuro. Pagina 229

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Insomma, o ci sono dentro o mando a gambe all'aria l'affare a lei e ai due lupetti di mare." "E le sembra il modo di fare affari?" "Capisco il suo punto di vista. E mi dispiace, mi creda, tanta ostentazione di pistoleri. Ma il suo gorilla..." indicò Coy con il pollice "be. Ho giurato che non mi sarei fatto sorprendere una terza volta. Anche Horacio conserva un buon ricordo del signore." Si toccò senza volere il naso, guardando Coy con gli occhi bicolori pieni di rancore e curiosità. "Troppo aggressivo, non crede?... Davvero troppo aggressivo." Kiskoros storceva i baffi in una smorfia che stillava vetriolo. La sua faccia citrina conservava ancora tracce dell'incontro sulla spiaggia di Aguilas, e probabilmente questo lo rendeva meno equanime del capo. La pistola si mosse significativamente nel suo pugno e Palermo sorrise di quel gesto. "Come vedi" ancora il sorriso da squalo "gli piacerebbe ficcarti una pallottola nello stomaco." "Preferirei" suggerì Coy "che la ficcasse nello stomaco di quella troia di sua madre." "Non essere volgare." Il dalmata sembrava davvero scandalizzato. "Il fatto che Horacio ti punti contro una pistola non è una buona scusa per insultarlo." "Ma io mi riferivo alla sua di madre, la sua, Palermo." "E dai. Confesso che avrei voglia di spararti io stesso un colpo. Solo che... Be. Fa troppo rumore, capisci?" Sembrava che volesse farglielo davvero capire. "... Il rumore nuoce ai miei affari. E poi, potrebbe indisporre la signora. Sono così stanco di tira e molla. Voglio arrivare a un accordo. Che ognuno abbia la sua parte... Okay? Che tutto finisca bene." Aveva preso la giacca e con un cenno li invitava a seguirlo. "Mettiamoci comodi." Si diresse allo scafo del bulkcarrier in disarmo, senza controllare se lo seguivano o meno. Da parte sua, Kiskoros si limitò a muovere la canna della pistola, indicando la giusta direzione. Così, Tanger, Coy e il Secondo si decisero a seguire Palermo. Non tenevano le mani in alto, né l'argentino aveva un atteggiamento particolarmente minaccioso: una passeggiata tra amici. Ma quando raggiunsero i piedi di una scala appesa alla coperta della nave e Coy si fermò per guardare il Secondo, Kiskoros ci mise mezzo secondo ad appoggiargli la pistola alla tempia. "Cerca di non morire giovane" sussurrò, con un accento da tango. Attraversarono corridoi umidi e cadenti, con cavi che pendevano dal soffitto e le paratie mezzo smontate, poi scesero tra la ruggine dei forcacci e dei paramezzale spogli, per la scala di una stiva. "Avremo una lunga conversazione" stava dicendo Palermo. "Passeremo la notte a chiacchierare, e domani potremo... Sì, tornare là tutti insieme. Ho una barca con tutte le attrezzature pronta ad Alicante. Deadman" s Chest al vostro servizio. Assoluta discrezione. Efficacia garantita." Dedicò a Coy una smorfia ironica. "Tra l'altro, il mio autista sta aspettando là, con l'attrezzatura. Ti manda i suoi saluti." "Tornare dove?" domandò Coy. Palermo rise della battuta, canino. "Non fare domande stupide." Coy restò a bocca aperta, elaborando il tutto. Guardava Tanger, che restava impassibile. "Abbiamo scelta?" domandò lei, come se Palermo fosse un venditore di enciclopedie porta a porta. Il tono era gelido come il ghiaccio. "Sì" rispose l'altro accendendo una torcia. "Ma per voi è meno piacevole... Attenti alla testa. Okay. Appoggi un piede lì, per favore. Pagina 230

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Così." La sua voce risuonava sempre più in basso, nelle cavità del recinto metallico. "L'alternativa è essere tenuti qui sotto chiave da Kiskoros per un tempo indeterminato..." Fece una pausa mentre illuminava i piedi di Tanger per aiutarla a raggiungere il fondo della stiva. C'era puzza di ruggine e di sporcizia mista a lontani aromi di mercanzie che, una volta, venivano stivate lì: legno, grano, frutta marcia, sale. "Oppure" aggiunse "può piantarvi una pallottola nella zucca. " Quando tutti furono sotto, con Kiskoros e la sua pistola incollati ai tre invitati, il cacciatore di tesori accese con il Dupont d'oro lo stoppino di una lanterna a petrolio che illuminò il posto di una debole luce rossastra. Poi spense la torcia, appese la giacca a un gancio e infilò in tasca l'accendino, prima di rivolgere un altro sorriso agli ospiti. "Via dalla scaletta. Tutti in fondo, lì... Fermi." Solo allora Coy capì. Non lo sa, si disse. Questo rotto in culo e il suo nano non hanno ancora capito che gli smeraldi sono a bordo del Carpanta, e tutta questa pagliacciata è inutile, perché basta andare lì e prenderli. Guardò un'altra volta Tanger, ammirandone il sangue freddo. Sembrava tutt'al più irritata, come davanti allo sportello di un impiegato incompetente che non riesce a effettuare un'operazione bancaria. In qualche modo finirà, pensava con amarezza. Chissà come, ma finirà. Accidenti, di che pasta è fatta "sta tipa. "Dai, che facciamo due chiacchiere" disse Palermo. Coy vide che Tanger faceva un gesto insolito: guardava l'orologio. "Non ho tempo di parlare" disse. Palermo ci restò di sale. Rimase muto come un pesce e traSecolato tre secondi esatti. Poi si sforzò di sorridere. "Ma bene." I denti candidi spiccavano nella luce viscida del petrolio. "Allora temo..." Aveva fatto una faccia seria, di colpo, studiandola come se la vedesse per la prima volta. Poi osservò Kiskoros, il Secondo e infine si fermò su Coy. "Non ditemi che" mormorò " Non può essere." Fece due passi a caso nella stiva, appoggiò una mano sulla scala e guardò lo stretto rettangolo luminoso che si stava smorzando, nel boccaporto. "Non è possibile" ripeté. Si rivolgeva a Tanger. La voce era tanto rauca da non sembrare la sua. "Dove sono gli smeraldi? Dove?" "Non sono affari suoi" disse Tanger. "Piantiamola con le sciocchezze. Ce li avete? Non ci posso credere! É... Cristo." Il cercatore di tesori scoppiò a ridere e stavolta, anziché la sua solita risata da cane spossato, gli sfuggì una sghignazzata che rimbombò contro il ferro delle paratie. Una risata ammirata e stupefatta. " Tanto di cappello, parola d'onore. Anche da parte di Horacio. Accidenti alla mia stupidità... Giuro che... Be. Ottima mossa." Osservava Tanger, davvero affascinato. "I miei rispetti, signora. Davvero un'ottima mossa." Aveva preso dalla tasca della giacca una sigaretta e se la stava accendendo. La fiammella gli dilatava più la pupilla dell'occhio castano che quella dell'occhio verde. Evidentemente si stava concedendo una pausa per riflettere. "Spero che non la prendiate a male" concluse "ma la nostra società si è appena sciolta." Esalava lente sbuffate, socchiudendo gli occhi, guardando il gruppo come se si domandasse che farne. E Coy capì, con una desolata e intima rassegnazione, che era giunto il momento. Da quel punto in poi doveva decidere prima che gli altri lo facessero per lui e, indipendentemente dalla sua volontà, c'era la possibilità che da lì a un minuto Pagina 231

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt si trovasse riverso con un foro in pieno petto. In ogni modo, almeno doveva tentare la sorte, scegliere un'altra carta. Sei e mezzo. Sette. Sette e mezzo. r. vc: Legge dell'ultima carta. Fintanto che lo scafo non si sfracella contro le rocce o l'acqua non invade la coperta, si resta a bordo. "Non si può vincere sempre, fatevene una ragione" stava dicendo Palermo. "C'è anche chi non vince mai." Coy scambiò un'occhiata con il Secondo, e indovinò la stessa inevitabile decisione. Intesi. Ci vediamo all'Obrera e ci facciamo un paio di birre. All'Obrera o in un qualsiasi altro posto. Quanto a Tanger, a quel punto non poteva fare altro per lei, se non aprirle, nella lotta, la strada per la scala che portava in coperta. Da lì in poi, ognuno nuotava da solo. Alla fin fine, quando sarebbe giunta la sua ora, avrebbe dovuto affrontarla senza il conforto della sua mano. Perché lui avrebbe mollato gli ormeggi molto prima. Anzi subito, appoggiato dal Secondo, che intuiva teso, pronto a battersi. "Toglietevelo dalla testa." Palermo aveva indovinato la loro intenzione e scambiava uno sguardo circospetto con Kiskoros. Coy calcolò la distanza che lo separava dall'argentino, Sentiva il polso accelerato e un buco nello stomaco: due metri erano due pallottole e non poteva sapere se sarebbe riuscito a raggiungerlo con tutto quel piombo in corpo, e comunque in che condizioni. Quanto al Secondo, confidava nel fatto che Palermo fosse disarmato, ma a quel punto non avrebbe più dovuto occuparsi né dell'uno né dell'altro. Era stata Tanger a dirlo, china accanto al cadavere di Zas: tutti moriamo soli. "Abbiamo perso anche troppo tempo" disse lei a un tratto. Con gran meraviglia di tutti si diresse alla scaletta, come se avesse risolto di lasciare una serata di gala noiosa, infischiandosene della pistola di Kiskoros. Palermo, che si stava portando una sigaretta alle labbra per tirare una boccata, rimase pietrificato come una statua, il gesto in sospeso "É impazzita? Non si rende conto che... Si fermi!" Era ai piedi della scaletta, appoggiata al corrimano, con tutta l'intenzione di andarsene. Stava di tre quarti, e si guardava intorno senza far caso a Palermo: sembrava si stesse chiedendo se non dimenticava qualcosa. "Ferma lì o se ne pentirà" disse il dalmata. "Ma la smetta." Palermo alzò la mano con la sigaretta, per ordinare a Kiskoros di star calmo con la pistola. La faccia dell'argentino era una maschera in ombra, che la fiammella del lume a petrolio non arrivava a illuminare. Coy guardò il Secondo e si preparò a scattare. Due metri, ricordò. Forse, grazie a lei, posso farcela senza beccarmi un proiettile nella pancia. "Le garantisco che..." stava dicendo Palermo. Ma tacque di colpo, la sigaretta gli sfuggì di mano e cadde ai suoi piedi. E Coy, che si stava preparando a balzare in avanti, si bloccò. Perché la pistola di Kiskoros aveva descritto un perfetto semicerchio, e adesso puntava contro Palermo. Questi balbettò un paio di suoni indistinti, qualcosa del tipo che cazzo fai, che cavolo sta succedendo, senza riuscire a finire una sola parola, e poi rimase a fissare con sguardo vacuo la sigaretta che fumava tra i suoi piedi, come se potesse trovarci una spiegazione, prima di risollevare gli occhi alla pistola, pronto a giurare che era stata solo un'impressione e che l'arma teneva sotto tiro le persone giuste. Ma il buco nero della canna puntava sempre alla pancia del cacciatore di tesori, e a lui non restò che guardarsi intorno, soffermandosi su Coy, sul Secondo e, per ultima, su Tanger. Li squadrò uno per uno, prendendosi tutto il tempo, come se si aspettasse di ricevere una spiegazione. Poi tornò a Kiskoros. "Si può sapere cosa diavolo ti passa per la testa?" L'argentino non muoveva un muscolo, sempre in ordine, azzimato, immobile con il cromo e la madreperla della sua pistola nella mano destra, la sagoma minuta proiettata contro la paratia dalla lanterna a petrolio. Pagina 232

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Non aveva la faccia da cattivo, né da traditore, né da fuori di testa, insomma una faccia come un'altra. Era lì come se niente fosse, ammodo e quieto, con la brillantina sui capelli, i baffetti, più nano e malinconico che mai, un semplice cittadino di Buenos Aires, di fronte al capo. O, a quanto pareva, al suo ex capo. Palermo stava guardando gli altri, e Tanger in particolare. "Qualcuno... Cristo. Qualcuno mi vuole spiegare cosa sta succedendo? " Coy si stava facendo la stessa domanda, e sentiva uno strano groppo alla bocca dello stomaco. Tanger non si spostava dalla base della scaletta, appoggiata al corrimano. Capì che non era una messa in scena: stava per andarsene davvero. "Succede" disse lei scandendo le parole "che qui ci salutiamo." Il buco allo stomaco si trasmise alle gambe di Coy. Il sangue, se gliene era rimasto, scorreva così piano che il battito era impercettibile. Senza rendersi conto di cosa faceva, crollò a poco a poco, come un sacco vuoto, con la schiena contro la paratia. "Porca puttana" imprecò Palermo. Guardava Kiskoros come ipnotizzato. Aveva finalmente capito la situazione. E quando il puzzle fu composto, la sua faccia era quella di un uomo distrutto. "Lavori per lei" disse. Sembrava più attonito che indignato, come se ce l'avesse soprattutto con la propria stupidità. Kiskoros, senza fare una piega, annuì con la pistola a quella domanda. "Da quando?" volle sapere Palermo. Lo chiese a Tanger, che alla luce rossastra della lanterna pareva sul punto di sfumare nelle ombre. Coy vide che faceva un gesto vago, come se il momento in cui l'argentino aveva deciso di fare il voltafaccia non avesse importanza. Consultò l'orologio. "Mi dia otto ore" disse a Kiskoros, neutra. L'altro annuì, senza perdere di vista Palermo, ma non appena il Secondo si mosse involontariamente, anche la pistola si mosse, tenendolo sotto tiro. Il marinaio guardò Coy, trasecolato, e lui alzò le spalle. Le squadre erano fatte e lui, accoccolato in un angolo, pensava a se stesso. Con sua grande sorpresa non provava rabbia, né amarezza. Era semplicemente il concretarsi di una certezza molte volte intuita e poi cancellata, come una corrente d'acqua fredda che gli avesse trafitto il cuore, per trasformarlo in una caverna di ghiaccio. Ce l'aveva sotto gli occhi, ora capiva. Chiaro fin dal principio, appuntato sulla strana carta nautica delle ultime settimane: quote di scandaglio, profili della costa, secche, scogli. Lei stessa aveva cercato in qualche modo di avvertirlo, ma lui non era stato capace di interpretare gli indizi, o non aveva voluto farlo. Stava annottando con la costa sottovento e nessuno lo avrebbe tirato fuori di lì. "Dimmi una cosa." Era sempre accoccolato contro la paratia, estraneo agli altri, e guardava Tanger. "Dimmi solo una cosa." Glielo propose con una serenità di cui si stupì lui per primo. Tanger, che stava per salire la scaletta, si fermò e lo guardò. "Una sola" concesse. Forse una risposta te la devo, le si leggeva in faccia. In un certo senso ti ho pagato, marinaio. Ma forse questo te lo devo. Poi salirò per la scala, e le cose seguiranno il loro corso, pari e patta. Coy indicò Kiskoros. "Lavorava già per te quando ha ucciso Zas?" Lo fissò in silenzio. Il lume a petrolio proiettava linee cupe sulla pelle chiazzata di lentiggini. Si voltò a guardare in alto, pronta a salire la scala senza rispondere, ma poi cambiò idea: "Ce l'hai adesso la risposta all'indovinello dei cavalieri e degli scudieri?" "Sì" confessò lui. "Sull'isola non ci sono cavalieri. Pagina 233

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Mentono tutti." Tanger ci rifletté sopra. Non l'aveva mai vista sorridere in quello strano modo. "Forse sei arrivato sull'isola troppo tardi." Poi salì per la scala e si perse di sopra, tra le ombre. E Coy si rese conto di aver già vissuto quella scena. Un raggio di sole e una lacrima d'ambra, rammentò. Guardò la pistola di Kiskoros, l'espressione desolata di Palermo, l'immobilità taciturna del Secondo, prima di riappoggiare la testa alla paratia di ferro. Ora la sua certezza e la sua solitudine erano così intense da sembrare perfette. Forse, rifletté, dopotutto, era lui in errore, e non erano poi così evidenti le differenze tra cavalieri e scudieri. Forse, a modo suo, lei gli aveva sussurrato per tutto il tempo la verità. Tutto considerato, il tradimento ha per la vittima un sapore particolare. Ci si crogiola nelle proprie ferite, traendo diletto dalla propria agonia. E come la gelosia, chi lo subisce l'assapora di più che il responsabile del misfatto. C'è qualcosa di perversamente piacevole nello strano senso di liberazione morale che ne scaturisce, nella dolente tensione di scoprire gli indizi, o nella soddisfazione perfida di vedere i propri sospetti confermati. E Coy, che lo aveva appena scoperto, pensò a lungo quella notte, seduto con la schiena contro la paratia, nella stiva del bulkcarrier in disarmo, accanto al Secondo e a Nino Palermo, sotto il tiro della pistola di Horacio Kiskoros. "É solo questione di pazienza" commentava l'argentino. "Come ebbe a dire un poeta mio compatriota: e all'alba, ogni ladro a casa dalla mamma." Era passata più o meno un'ora, e Kiskoros finì per mostrarsi un tantino loquace. Quando il suo vecchio capo si stancò di coprirlo d'insulti e di rimproverargli il voltafaccia, l'eroe delle Malvinas si rilassò un poco. E forse, in memoria dei vecchi tempi, spifferò sottovoce qualche confidenza, aiutato dalla penombra della lanterna, dal luogo e dalla lunga attesa. Non era, come rilevò Coy, un gran chiacchierone ma, come tutti, sentiva il bisogno di giustificarsi in qualche modo. 402 403 Fu così che vennero a sapere che Kiskoros aveva avvicinato Tanger per la prima volta con un messaggio da parte di Palermo. E che lei, dimostrandosi abile e pronta di riflessi, lo aveva convinto a passare dalla sua parte dopo una lunga chiacchierata -- da uomo a uomo, sottolineò Kiskoros -- in cui aveva elencato i vantaggi di una mutua associazione: escludendo Palermo e ricevendo il trenta percento dei guadagni della società, se si sentiva di fare il doppio gioco. Perché, come fece notare Kiskoros, la vita non è altro che una questione di scambi eccetera eccetera. E soprattutto perché la grana era la grana. Senza contare che la pupa, aggiunse, era una vera signora. Gli ricordava una montonera conosciuta nel 1976, nel suo quartiere, immerso nella luce argentea della luna dell'ESMA: dopo una settimana di scariche elettriche, non era riuscito a cavarle nemmeno il suo secondo cognome. Coy non faticò a immaginarsi i baffetti da militare del sottufficiale Kiskoros che si storcevano in una smorfia di nostalgia, in cui l'odore di carne umana bruciata dagli elettrodi si mescolava all'aroma delle costate al sangue della Costanera, alla musica del Viejo Almacen e alle ragazze di calle Florida, o "cace" Florida, come lo pronunciava Kiskoros, all'argentina, e intanto si toccava malinconico le bretelle. Ma si interruppe, anche se a fatica: erano storie vecchie. Tornando a Tanger -- alla signora, insisteva -- ogni volta che Nino Palermo lo spediva a spiarla o a farle pressione, lui in realtà le passava informazioni. Le spifferava tutto, senza tralasciare una virgola. Fin da Barcellona, e poi Madrid, Cadice, Gibilterra e Cartagena, Tanger era sempre stata informata della sua presenza, e Kiskoros puntualmente veniva informato dei passi avanti che facevano lei e Coy -- non proprio di tutti, sottolineò con delicatezza l'argentino. Quanto a Palermo, il suo presunto sicario gli aveva propinato per tutto il tempo mezze informazioni, fino a quando il capo, stufo di tirarla per le lunghe, aveva deciso di andare a dare un'occhiata. Questo avrebbe potuto mandare tutto all'aria ma, fortunatamente per Tanger, gli smeraldi si trovavano già a bordo del Carpanta. Kiskoros non aveva potuto far altro che tenere bordone a Palermo. Solo che adesso il cacciatore di tesori, diversamente da quel che aveva pensato, teneva compagnia a Coy e al Secondo nella stiva. Pagina 234

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Tre piccioni in un sol colpo. Quanto al colpo, però, Kiskoros sperava di non essere costretto a spararlo. 4p4 "Non finirà così" diceva Palermo. "Ti scoverò, maledizione. Ovunque tu vada. Troverò lei e anche te." Kiskoros non pareva troppo spaventato. "La signora è sveglia e sa difendersi" rispose. "E io penso di andare lontano... magari torno in patria, mi compro un podere a Rio Gallegos e ci passo gli anni della pensione." "A che le servono otto ore?" "Ovvio. A portare le pietre in un posto sicuro." "E a lasciarti con un palmo di naso, come tutti noi." "No. " Kiskoros scuoteva la canna della pistola. " Tra noi c'è un patto. Ha bisogno di me." "Quella zoccola non ha bisogno di nessuno." L'argentino si era alzato, con un brutto cipiglio. Gli occhietti sporgenti fulminavano Palermo. "Non la chiami così." L'altro lo squadrò come si guarda un marziano. "Non rompere i coglioni, Horacio. E dai. Non dirmi che ti sei bevuto il cervello anche tu." "Stia zitto." "Certo che la tipa ha grinta." Kiskoros fece un passo avanti. La pistola puntata dritta alla testa del suo ex capo. "Silenzio, ho detto. Quella è una vera signora." Ignorando l'arma, il cacciatore di tesori lanciò a Coy un'occhiata sarcastica. "Bisogna riconoscere" disse "che quella... Be. É una donna di carattere. Fregare te e il tuo amico non era difficile, mi sembra. Quanto a me... Cristo. Questo vale più punti. Ma imbambolare quel figlio di puttana di Horacio... Capite? É stato un capolavoro." Sospirò, ammirato. Poi infilò la mano nella tasca della giacca e ne tolse il pacchetto di sigarette. Ne portò una alle labbra e si mise a riflettere: "Comincio a credere che se li meriti, quegli smeraldi" Cercava l'accendino, assorto nei propri pensieri. Sorrise. ironico: "Siamo degli idioti" "Non generalizzi" disse Kiskoros, piccato. "D'accordo. Rettifico. Io e loro due siamo dei fresconi, tu sei un idiota." In quel momento arrivò loro, al di là delle paratie, il suono della sirena di una nave che attraversava l'imboccatura: un fischio roco, breve, con cui dal ponte avvisavano un'imbarcazione più piccola di cedere il passo. E come se quella sirena fosse il culmine di un lungo processo di riflessioni che lo aveva impegnato nell'ultima ora -- in realtà, a livello inconscio, lo impegnava da molto più tempo -- Coy vide svolgersi davanti ai propri occhi il resto della partita, fino alla mossa finale. Lo vide in maniera così realistica che aprì la bocca, come se stesse per sfuggirgli un'esclamazione. Tutti gli indizi, i sospetti, i dubbi che aveva avuto negli ultimi giorni finirono per avere un senso. Persino il ruolo di Kiskoros, anche le otto ore di tempo e la scelta di quella stiva come temporanea prigione potevano spiegarsi in due parole. Tanger stava per lasciare l'isola e tutti loro, scudieri ingannati. li abbandonava lì. "Prende il largo" disse ad alta voce. Lo guardarono tutti. Non aveva più aperto bocca da quando Tanger era scomparsa per il boccaporto della coperta. "E ti lascia con un palmo di naso" aggiunse a beneficio di Kiskoros "come tutti noi." L'argentino lo studiò a lungo. Poi sorrise, scettico. Un ranocchio con la brillantina e azzimato. Autogol. Pagina 235

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Pivello. "Non dire cagate." "L'ho capito solo adesso. Tanger ti ha chiesto di bloccarci qui fino alle prime luci del giorno, non è vero? Poi chiudi il boccaporto, ci lasci qui e ti riunisci a lei, vero? Alle sette o alle otto di mattina, in un posto fissato. Dimmi se sbaglio." Il silenzio e lo sguardo dell'argentino gli confermarono che, effettivamente, aveva fatto centro. "Ma Palermo ha ragione, lei non ci sarà. E ti dico anche il perché: perché a quell'ora sarà già altrove." La cosa non andò giù a Kiskoros. Aveva un'espressione tanto scura che si confondeva con il buco nero della pistola. "Ti credi molto furbo, vero? Però finora non lo sei stato granché. " Coy si strinse nelle spalle. "Forse" concesse. "Ma anche un ritardato capisce che un giornale aperto su una certa pagina, domande di un certo tipo, una cartolina, un paio di visite, una scatoletta di fiammiferi e una confidenza fatta tempo addietro a Gibilterra, casualmente, da Palermo, conducono in un sol posto... Vuoi che te lo racconti, o resto zitto e aspettiamo che tu lo scopra da solo?" Kiskoros giocava con la sicura della pistola, ma era evidente che aveva la testa da qualche altra parte. Si mordeva le labbra, indeciso. "Racconta. " Senza togliergli gli occhi di dosso, Coy appoggiò, come prima, la testa alla paratia. "Partiamo dal presupposto" disse "che Tanger non ha più bisogno di te. La tua missione, fare il doppio gioco, spiare Palermo, convincermi che lei fosse indifesa e in pericolo, finisce qui, dopo che ci hai trattenuti mentre lei se ne va. Non le puoi più offrire nulla. E cosa credi che faccia? Come fa ad andarsene con un blocco di smeraldi? In aeroporto controllano i bagagli a mano ai raggi X, e non può correre il rischio di far fare il checkin a quella fortuna, così fragile, dentro una valigia. Una macchina a noleggio si lascia dietro tracce pericolose. Un treno significa frontiere e cambi fastidiosi... Ti viene in mente qualche altra alternativa?" Restò zitto, in attesa di una risposta. Raccontare tutto ciò a voce alta gli procurava uno strano sollievo: come se condividesse la vergogna e l'amarezza che si sentiva scoppiare in petto. Stanotte ce n'è per tutti, pensò. Per il tuo capo. Per il povero Secondo. Per me. E per te non saranno rose senza spine, razza di subnormale. Ma fu Palermo ad arrivare per primo alla conclusione. Il cacciatore di relitti si era dato una pacca su una gamba: "Ma è ovvio. Una nave... Una dannata nave!" "Esatto. " "Caspita. La furba." "Eh già." In piedi accanto alla scala, stordito, Kiskoros cercava di mandare giù il colpo. Gli occhietti da batrace passavano dall'uno all'altro, oscillando -- a ragione -- tra l'indignazione, la diffidenza e il dubbio. "Troppe supposizioni" sbottò. "Ti credi molto intelligente, ma la tua storia si fonda su semplici congetture: un caterva di congetture prive di conferma... Niente prove. Nessun dato di fatto." "Ti sbagli. C'è un dato di fatto." Coy guardò l'orologio, ma vide che si era fermato. Si rivolse al Secondo, sempre immobile e attento nel suo angolo. "Che ora è?" "Le undici e mezzo." Osservò Kiskoros, divertito. Sogghignava nel farlo e l'argentino, ignorando il fatto che in realtà Coy stava ridendo di se stesso, non parve gradirlo. Aveva smesso di giocherellare con la sicura e lo teneva sotto tiro. "All'una di notte" lo informò Coy "salpa la nave da carico 406 407 Pagina 236

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt Felix von Luckner, della Zeeland Ship. Batte bandiera belga. Due viaggi al mese da Cartagena ad Anversa, con un carico di agrumi, penso. Accetta passeggeri." "Cazzo" mormorò Palermo. "Nel giro di una settimana" Coy non staccava gli occhi da Kiskoros "lei venderà gli smeraldi in qualche punto della Rubenstraat, come può confermarti il tuo ex capo." Sollecitò Palermo a intervenire con un cenno della testa "... Glielo dica." "É vero" ammise l'altro. "Visto?" Coy riprese a ridere nella stessa maniera sgradevole di poco prima. "Forse avrà la delicatezza di mandarti una cartolina." Stavolta Kiskoros incassò il colpo. Il pomo d'Adamo saliva e scendeva in tutta quella confusione di lealtà tradite. Anche i mascalzoni, pensò Coy, hanno un cuore. "Non me ne ha mai parlato." Kiskoros lo guardava fisso, come se lo ritenesse responsabile. "Stavamo per..." "Certo che non te ne ha parlato." Palermo cercava di accendersi la sigaretta che aveva tra le labbra. "Cretino." Kiskoros stava per crollare. "Avevamo noleggiato un'auto" sussurrò, confuso. "E allora" gli suggerì Palermo "puoi anche restituire le chiavi." L'accendino non funzionava, allora il cacciatore di tesori si alzò per piegarsi sulla fiamma della lanterna a petrolio, con la sigaretta in bocca. Sembrava divertito da quello scherzo geniale in cui tutti loro erano cascati. "Lei non avrebbe mai... " cominciò a dire Kiskoros. Potremmo anche farcela, pensò Coy, mentre si arrampicavano su per la scala e sentiva la fresca brezza notturna sul viso. C'erano molte stelle, e le sagome delle navi in disarmo avevano un'aria spettrale, stagliandosi contro le luci del porto. Sotto, sul pavimento della stiva, l'argentino aveva smesso di lamentarsi. Aveva smesso di farlo dopo i calci in testa sferratigli da Palermo, quando il sangue che usciva a fiotti dal naso bruciacchiato si mescolava con la ruggine del pavimento o sfrigolava al contatto con la faccia fumante. Si dibatteva ai piedi della scala con la giacca in fiamme. Aveva cacciato un urlo quando Nino Palermo, piegato in avanti nell'atto di accendere la sigaretta, all'improvviso gli aveva lanciato addosso la lanterna: un arco di fiamme che aveva solcato la penombra della stiva con un sibilo, era passato davanti a Coy e aveva centrato Kiskoros in pieno petto, proprio mentre borbottava che lei non avrebbe mai... E neanche loro avrebbero mai sentito il finale della frase, perché in un lampo il petrolio della lanterna gli si era versato addosso, costringendolo a mollare la pistola quando una fiammata si era appiccata ai suoi vestiti e gli aveva avvolto la faccia. Coy e il Secondo erano balzati in piedi ma Palermo, molto più svelto, era già scattato in avanti e si era impossessato dell'arma. Erano rimasti così, a guardarsi l'un l'altro senza battere ciglio, mentre Kiskoros si contorceva a terra, tra le vampate, lanciando grida da far accapponare la pelle. Fintanto che Coy non si era deciso a prendere la giacca di Palermo per spegnere le fiamme a colpi, e poi gliela aveva buttata addosso. Quando l'aveva tolta, Kiskoros era un ammasso di macerie fumiganti: al posto dei capelli e dei baffi aveva stoppie bruciacchiate, gemeva e tra un lamento e l'altro emetteva un rumore sordo, come se stesse facendo gargarismi con l'acquaragia. A quel punto Palermo gli aveva rifilato una scarica di calci in testa, con metodo, sistematicamente. Proprio come se gli stesse consegnando uno a uno i soldi della liquidazione. E poi, con la pistola in pugno ma senza puntarla contro nessuno, un sorriso poco simpatico sulle labbra, aveva sospirato soddisfatto e aveva domandato a Coy se ci stava o si tirava fuori. Aveva detto proprio così: se ci stava o si tirava fuori, guardandolo alla luce delle ultime fiamme della lanterna in frantumi a terra, con una faccia da squalo sonnambulo che ha ancora qualche conto da saldare. "Se le fai del male, ti ammazzo" aveva risposto Coy. Aveva posto le sue condizioni. Lo aveva detto anche se era l'altro ad avere la pistola di cromo e madreperla in pugno. E Palermo non se l'era presa a male, ma aveva accentuato il ghigno candido da squalo e aveva detto: "D'accordo, non l'uccideremo stanotte" Poi si era infilato la pistola in tasca e aveva cominciato a salire a tutta Pagina 237

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt birra verso il rettangolo stellato. Ed eccoli lì tutti e tre, Coy, Palermo e il Secondo, a correre insieme lungo la coperta del bulkcarrier mentre dall'altro lato del porto, sotto le gru illuminate e i lampioni del molo, il Felix von Luckner si preparava a mollare gli ormeggi. La finestra della pensione Cartago era illuminata. Accanto a Coy risuonò la risata da mastino stremato: anche Palermo stava guardando verso l'alto. "La signora fa le valigie" osservò il cacciatore di tesori. Si trovavano sotto le palme della muraglia, con il porto più in basso, alle spalle. Gli edifici illuminati del Politecnico spuntavano in fondo al viale deserto. "Mi lasci parlare con lei" disse Coy. Palermo si toccò la tasca, dove teneva la pistola di Kiskoros. "Non ci pensare nemmeno. Adesso siamo tutti soci. Continuava a guardare in alto, con quel ghigno preoccupante. "Inoltre, ci giurerei che si farebbe in quattro per convincerti un'altra volta." Coy alzò le spalle. "Di cosa?" "Di qualsiasi cosa. Dalle tempo, e stai certo che di qualcosa ti convince." Attraversarono la strada, seguiti dal Secondo. Palermo lo fece senza perdere di vista la luce della finestra, e una volta sulla porta della pensione si tastò la tasca. "Ce l'ha ancora il cannone che aveva a Gibilterra?" Teneva lo sguardo fisso. L'occhio chiaro sembrava vetro ghiacciato. "Non lo so. Può essere." "Merda. " Palermo rifletté un momento. Poi tornò a osservare Coy, come se considerasse la sua offerta di parlare a tu per tu con Tanger. "Ha i suoi buoni motivi" disse Coy. L'altro fece un mezzo sorriso, di traverso. "Lo so. Tutti li abbiamo." Guardò il Secondo, che aspettava in disparte, all'erta. "Anche lui li ha." "Lascia che ci parli io." L'altro ci pensò un po' su. "D'accordo. " La receptionist della pensione salutò Coy, confermandogli che la signora era di sopra e che aveva chiesto il conto. Attraversarono l'ingresso e salirono al secondo piano, sforzandosi di non far rumore per le scale. C'erano insegne con nomi di navi incorniciate alle pareti e una statuina di legno della Madonna del Carmine in una nicchia. La porta della stanza si apriva direttamente sul pianerottolo, alla fine dei gradini. Era chiusa. Coy ci arrivò davanti insieme a Palermo. La moquette attutiva il rumore dei passi. " Ti offro una chance" sussurrò il dalmata con la mano in tasca. "Hai cinque minuti." Coy impugnò il fermo e lo ruotò senza difficoltà. Non era infilato nel chiavistello. E nel momento stesso in cui apriva la porta capì quanto tutto quello fosse inutile. Quanto assurda fosse la sua presenza lì, lui, l'amante offeso, l'amico ingannato, il socio fregato. In realtà, lo capì all'improvviso, considerando le cose a mente fredda, non aveva niente da dire. Lei stava per andarsene ma, a essere sinceri, se n'era già andata da tempo, lasciandolo indietro, alla deriva, e niente di quanto lui poteva dire o fare avrebbe cambiato il corso delle cose. Degli smeraldi, poi, essendo abituato a pensarci come a una chimera remota, a Coy non importava niente prima e non importava niente nemmeno adesso. Tanger era quello che aveva voluto essere. Aveva voluto scegliere da sé, e lui lo sapeva, fin dal principio. Aveva visto la vecchia coppa d'argento senza un manico, la fotografia in bianco e nero della bimba con un sorriso. Bastava per capire che la parola "inganno" era fuori luogo, a partire da lei. E Coy avrebbe voluto girare sui tacchi e andarsene, passare accanto al Secondo e proseguire fino al Carpanta facendo scalo al bar più vicino, ma aveva già aperto Pagina 238

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt la porta. Non provava rancore, e nemmeno curiosità. La porta però si stava spalancando, scoprendo la stanza, la finestra in fondo con vista sul porto, la borsa da viaggio mezza sfatta, il pacchetto con gli smeraldi, e Tanger in piedi, con la gonna blu scuro di cotone, la blusa bianca e i sandali, i capelli appena lavati e ancora umidi, con le punte asimmetriche che le gocciolavano sulle spalle. E la pelle lentigginosa e abbronzata dopo tanto sole e tanto mare, gli occhi blu marino sbarrati dalla sorpresa, temprati come l'acciaio della 357 magnum che aveva preso dal tavolo nel sentire la porta che si apriva. Allora Nino Palermo giocò il suo ruolo in quella tragicommedia di inganni, e senza aspettare i cinque minuti pattuiti sbucò da dietro la schiena di Coy, con la pistola di cromo e madreperla in pugno. Coy fece per gridare, fermi, basta, riavvolgiamo tutta questa storia assurda, già vista e rivista al cinema. Ma lei aveva contratto il dito sul grilletto e una fiammata esplose all'altezza dei suoi fianchi, con uno scoppio che raggiunse Coy un millesimo di secondo dopo l'impatto tra le costole, uno scricchiolio di striscio che lo fece girare su se stesso, buttandolo contro Palermo che sparava a sua volta. Quello sparo esplose vicinissimo all'orecchio di Coy e lui, colpendolo, cercò di impedire all'uomo di sparare ancora. Ma proprio in quel momento vi fu un'altra fiammata alle sue spalle, un'altra esplosione lacerò l'aria, e Palermo balzò indietro come afferrato per le braccia, proiettato verso il pianerottolo e giù per le scale. Non aveva fatto bang come nei fumetti, ma pum, pum, pum tre volte e tutto in stretta sequenza, ora la stanza sembrava un girone infernale e vi regnavano un odore acre, asprigno, e un silenzio assoluto. E quando Coy si voltò a guardare, Tanger non c'era più. Guardò meglio e vide che c'era ma non era in piedi, si trovava all'altro capo del tavolo, a terra, con uno strappo nella blusa da cui il sangue sgorgava in un fiotto rosso intenso, denso e intermittente, macchiando vestiti e pavimento, tutto ciò che era intorno. Era lì e muoveva le labbra, e sembrava improvvisamente molto giovane e molto sola. Allora decise di uscire in strada e vide una notte perfetta, con la Stella polare che splendeva nel suo punto preciso del cielo, cinque volte a destra della linea formata da Merak e Dubhe. Camminò per un po' e poi si appoggiò alla balaustra della muraglia, e restò lì, premendo una mano sul fianco ferito e sanguinante. Si era toccato sotto la camicia, per assicurarsi che le costole fossero indenni, che la lacerazione fosse superficiale e che stavolta non sarebbe morto. Il cuore batteva debolmente, contò cinque battiti mentre osservava la darsena buia, le luci dei moli, il riflesso dei castelli sulle montagne. E il ponte e la coperta illuminati del Felix von Luckner, sul punto di mollare gli ormeggi. Tanger gli aveva parlato. Stava ancora muovendo le labbra quando lui le si era piegato sopra, mentre il Secondo cercava di tamponare il foro nel petto da cui le sfuggiva la vita. Parlava così piano, in maniera così impercettibile, che fu costretto ad avvicinarsi il più possibile alla sua bocca per sentire cosa diceva. Le costava uno sforzo immane comporre le parole, sempre più deboli, spegnendosi man mano che il fiotto rosso si allargava in una pozza sotto il suo corpo. "Dammi la mano, Coy" aveva detto. "Dammi la mano. Hai promesso che non mi avresti lasciato andare sola." La voce si spegneva, e l'ultimo filo di vita sembrava essersi rifugiato negli occhi, sbarrati, sporgenti, come se si affacciassero su una landa desolata che le ispirasse orrore. "Lo hai giurato, Coy. Ho paura ad andare sola." Non le aveva porto la mano. Era stesa in terra, come Zas sul tappeto della casa a Madrid. Erano passati secoli da allora, ma era l'unica cosa che non poteva dimenticare. L'aveva vista muovere ancora le labbra, un fremito appena, pronunciando parole che non ascoltava più. Si era alzato e si guardava intorno stordito: il blocco di smeraldi sul tavolo, il revolver nero in terra, la pozza rossa che si allargava, la schiena del Secondo chino su Tanger. Aveva camminato per la sua personale landa desolata nell'attraversare la stanza e scendere i gradini, passando accanto al cadavere di Palermo steso supino a Pagina 239

Arturo perez Reverte - La Carta Sferica.txt metà scala, le gambe in alto e la testa in giù, e gli occhi né aperti né chiusi, il ghigno da squalo stampato in faccia e il sangue che scorreva per i gradini, fino ai piedi dell'atterrita receptionist della pensione. La brezza notturna gli acuì i sensi. Appoggiato alla muraglia sentiva il sangue gocciolargli dalla ferita sul fianco, sotto i vestiti, a ogni battito del cuore. L'orologio del municipio scoccò le ore, e proprio allora la poppa del Felix von Luckner cominciò lentamente a staccarsi dal molo. Sotto le lampade alogene della coperta poteva vedere il primo ufficiale controllare il lavoro dei marinai sul castello di prua, accanto alle cubie dell'ancora. C'erano due uomini sull'ala di plancia, attenti alla distanza tra lo scafo e il molo: certamente l'ufficiale di rotta e il comandante. Udì i passi del Secondo alle proprie spalle. e lo sentì appoggiarsi alla balaustra, accanto a lui. "É morta." Coy non disse niente. Una sirena della polizia suonava lontana, arrivava dalla città vecchia. Sul molo avevano appena mollato l'ultimo ormeggio e la nave cominciò prendere il largo. Coy immaginò la penombra del ponte, il timoniere al suo posto, il comandante attento alle ultime manovre mentre la prua puntava tra le luci verdi e rosse dell'imboccatura. Scorse la sagoma dell'ufficiale di rotta che scendeva fino alla lancia per la scala appesa a un fianco. Adesso la nave guadagnava velocità, stagliandosi dolcemente nel mare nero e aperto, con le luci tremolanti riflesse nella scia e un ultimo squillo roco di sirena che si lasciò dietro come un addio. "Le ho tenuto la mano" disse il Secondo. "Pensava fossi tu." La sirena della polizia risuonava più vicina e uno scintillio azzurro spuntò in fondo al lungomare. Il Secondo si era acceso una sigaretta, e il lampo dell'acciarino accecò Coy. Quando rimise a fuoco l'immagine, il Felix von Luckner era in mare aperto. Provò un'intensa nostalgia vedendo le sue luci nella notte. Poteva indovinare l'aroma di una tazza di caffè del primo turno, i passi del comandante sul ponte, la faccia impenetrabile del timoniere illuminato dal basso dalla bussola giroscopica. Poteva percepire la vibrazione delle macchine sottocoperta, mentre l'ufficiale di guardia si piegava sulla prima carta nautica del viaggio, appena distesa sul tavolo per calcolare una certa rotta: una rotta ben tracciata con riga, matita e compasso, su carta spessa, i cui simboli convenzionali rappresentavano un mondo conosciuto, familiare, regolato da cronometri e sestanti che tenevano la terra a distanza. Fa, pensò, che mi restituiscano al mare. Fa che io trovi al più presto una buona nave. Fine dell'opera. INDICE. 1. Il lotto 307. 2. La bacheca di Trafalgar. 3. La nave affondata. 4. Latitudine e longitudine. 5. Il meridiano zero. 6. Di cavalieri e scudieri. 7. Il doblone di Achab. 8. Il punto di stima. 9. Donne da castello di prua. 10. La costa dei corsari. 11. Il mare dei Sargassi. 12. Sudovest quarta a sud. 13. Il maestro cartografo. 14. Il mistero delle aragoste verdi. 15. Le iridi del Diavolo. 16. Il Cimitero delle navi senza nome.

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