Il terrorismo di sinistra
 8815027351, 9788815027351 [PDF]

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Zitiervorschau

R IC ER C H E E STUDI SUI. TERRORISM O E LA V IO LEN ZA PO LITICA

Il piano di pubblicazione del programma di ricerche sul terrorismo e la violenza politica promosso dall’istituto Car­ lo Cattaneo prevede i seguenti volumi: Ideologie, movimenti, terrorismi, a cura di Raimondo Catanzaro La politica della violenza, a cura di Raimondo Catanzaro Il terrorismo di sinistra, di Donatella della Porta Il vissuto e il perduto, voi. I, a cura di Raimondo Catanza­ ro e Luigi Manconi Il vissuto e il perduto, voi. II, a cura di Raimondo Catanza­ ro e Luigi Manconi Altri volumi sullo stesso argomento già editi dal Mulino: Terrorismo e violenza politica. Tre casi a confronto: Stati Uniti, Germania e Giappone, a cura di Donatella della Porta e Gianfranco Pasquino Terrorismi in Italia, a cura di Donatella della Porta La prova delle armi, a cura di Gianfranco Pasquino

Questi volumi sono dedicati a tutti coloro che hanno sofferto per le violenze terroristiche nel nostro paese.

ISTIT U T O DI STU D I E R IC ER C H E «C A RLO C A T T A N E O »

IL TER R O R ISM O DI SIN ISTR A di Donatella della Porta

SO C IE T À E D IT R IC E IL M ULINO

ISBN 88-15-02735-1 Copyright © 1990 by Società editrice il Mulino, Bologna. È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata.

P R E SE N T A Z IO N E

Giunge a conclusione, con queste pubblicazioni, un lavoro di studio e ricerca iniziato nel giugno 1982, quando la Regione Emilia Romagna, rappresentata dal suo presi­ dente, in attuazione di una specifica legge regionale del precedente mese di maggio, e previa deliberazione del con­ siglio regionale, stipulava con l’istituto Cattaneo una con­ venzione per lo svolgimento di un programma finalizzato alla definizione concettuale e storica della violenza politica e in particolare del terrorismo, e alla comprensione delle sue caratteristiche e radici. All’origine del programma vi è stato dunque l’impegno civile nei confronti di un fenomeno che aveva così dolo­ rosamente e gravemente colpito a più riprese la città di Bologna e la sua popolazione e di fronte al quale la sensibi­ lità del consiglio regionale e della giunta presieduta da Lan­ franco Turci si tradussero nell’esigenza di fornire una rispo­ sta in termini di conoscenza e di comprensione. Tale impe­ gno venne ribadito dal consiglio regionale e dalla giunta presieduta da Luciano Guerzoni, che succedettero a quelli che avevano promosso l’iniziativa. È dunque grazie al sostegno della Regione Emilia Romagna che questo pro­ gramma si è potuto svolgere dai suoi inizi fino alla pubbli­ cazione dei risultati della ricerca. Nel trarre, alla fine di un lavoro lungo e impegnativo, un bilancio conclusivo, è opportuno distinguere tre direttri­ ci principali dell’attività svolta, che corrispondono ai prin­ cipali obiettivi assegnati al programma di studi e ricerche. La prima fase, che si è svolta tra il 1982 e il 1983, è ser­ vita a censire e sistematizzare le conoscenze disponibili sia sul piano della descrizione empirica che su quello della defi­ nizione concettuale. L ’approfondimento del tema, condotto in stretta collaborazione con i maggiori studiosi italiani e 5

stranieri, ha avuto come epicentro due importanti conve­ gni, dedicati rispettivamente all’analisi delle caratteristiche specifiche che il terrorismo ha assunto nella situazione ita­ liana e al confronto con l’esperienza di altri paesi. Di questo approfondimento si è dato conto in tre volu­ mi pubblicati presso la casa editrice il Mulino: Terrorismo e violenza politica. Tre casi a confronto: Stati Uniti, Germania e Giappone (a cura di Donatella della Porta e Gianfranco Pasquino); Terrorismi in Italia (a cura di Donatella della Porta); La prova delle armi (a cura di Gianfranco Pasquino). Insieme all’approfondimento storico e teorico si è pro­ ceduto ad un inventario degli episodi e dei soggetti coinvol­ ti in fatti di terrorismo nel periodo 1968-1982, del quale ha dato conto il volume Cifre crudeli. Bilancio dei terrorismi ita­ liani, pubblicato in «Misure/Materiali di ricerca dell’istitu­ to Cattaneo», a cura di Donatella della Porta e Maurizio Rossi. Nello stesso periodo, in connessione con un’indagine sull’atteggiamento verso la pena di morte promossa dal Comune di Bologna e da Amnesty International, l’istituto ha poi approfondito il tema dell’atteggiamento dell’opinio­ ne pubblica di fronte al terrorismo («Cattaneo», III, n. 2, giugno 1983: Perché più indulgenza per i terroristi?, di Pier­ giorgio Corbetta e Arturo Parisi). Tale lavoro preliminare ha consentito l’avvio, a partire dal 1984, di una seconda fase, finalizzata alla conduzione di una attività di ricerca originale e sistematica rivolta in due direzioni. La prima indirizzata alla creazione di un archivio documentario finalizzato alla raccolta e all’analisi di materiale informativo sul terrorismo, sia di fonte giudi­ ziaria (sentenze definitive e istruttorie, verbali di interroga­ torio), sia avente origine negli stessi gruppi terroristici (volantini di rivendicazione, documenti programmatici, «risoluzioni strategiche», documenti delle «aree omogenee» sulla dissociazione). L ’altra direzione di ricerca ha avuto per oggetto un’indagine sulle storie di vita dei terroristi, che ha portato all’effettuazione di 53 interviste in profon dità a protagonisti dell’eversione di destra (23 soggetti) c di sinistra (30 soggetti). Le interviste sono state condottisecondo un piano che garantisse la copertura più ampia pos 6

sibile degli orientamenti e delle posizioni emerse, nell’espe­ rienza italiana, lungo l’intero arco del fenomeno terroristico. La terza fase è consistita nel lungo, difficile e complesso lavoro di analisi del materiale documentario e delle intervi­ ste, sottoposte dapprima ad uno screening della registrazio­ ne su nastro e successivamente trascritte. Contemporaneamente l’istituto approfondiva la temati­ ca dei servizi segreti e dei rapporti tra democrazia e segreto in due convegni di studio con la partecipazione di studiosi italiani e stranieri. Di tale approfondimento si è dato conto in due volumi, Democrazia e segreto. Riflessioni a partire dal caso americano, e Democrazia e segreto in Italia, pubblicati in «Misure/Materiali di ricerca dell’istituto Cattaneo», entrambi a cura di Raimondo Catanzaro. L ’analisi delle trascrizioni delle interviste in profondità, svoltasi durante il 1987, ha consentito una prima presenta­ zione pubblica dei risultati e un confronto con studiosi stranieri sul problema del terrorismo, della violenza politica e dei movimenti collettivi in Italia nel corso del convegno «Il vissuto e il perduto. Percorsi biografici e realtà sociale degli anni di piombo», svoltasi a Bologna il 3-4 giugno 1988, e le cui relazioni, rivedute e in parte riscritte dagli autori, vengono pubblicate nei primi due volumi. ' Un’attività di ricerca, in particolare quando occupa un arco di tempo così esteso e con un’équipe di così ampie proporzioni, non può svolgersi senza supporti da istituzioni e contatti con una molteplicità di persone che mi è impossi­ bile ricordare tutte. Non posso tuttavia dimenticare che l’intero programma non si sarebbe potuto svolgere senza il costante e puntuale coordinamento di un comitato scientifi­ co presieduto da Luigi Pedrazzi, e del quale hanno fatto parte Augusto Balloni, Luciano Bergonzini, Francesco Ber­ ti Arnoaldi, Massimo Brutti, Gian Carlo Caselli, Leopoldo Elia, Vittorio Grevi, Ferdinando Imposimato, Federico Mancini, Nicola Matteucci, Arturo Parisi, Gianfranco Pasquino, Stefano Rodotà, Giovanni Tamburino, Angelo Ventura, Piero Luigi Vigna e Luciano Violante, la cui espe­ rienza di magistrati, esperti di diritto, parlamentari e stu­ diosi è stata preziosa per indirizzare l’attività di ricerca. 7

Tale attività non si sarebbe potuta nemmeno avviare senza la comprensione dell’allora ministro della Giustizia, on. Mino Martinazzoli, e del dott. Nicolò Amato, direttore generale degli Istituti di prevenzione e pena, grazie alla cui collaborazione è stato possibile condurre buona parte delle interviste nelle carceri. Le interviste sono state condotte dai componenti il gruppo di ricerca, vale a dire Donatella della Porta, Giusep­ pe De Lutiis, Maurizio Fiasco, Patrizia Guerra, Luigi Manconi, Domenico Nigro, Claudio Novaro, Bruno Osella, Lui­ sa Passerini, Enrico Pisetta, e per qualche tempo Sara Bentivegna, insieme ai quali il mio ringraziamento va a tutti gli intervistati che con grande disponibilità hanno acconsentito a ricostruire insieme a noi pezzi, spesso dolorosi e traumati­ ci, della loro vita. Proprio in considerazione di questo aspetto, e per rispettare la richiesta da parte di alcuni di mantenere l’anonimato a garanzia del carattere confiden­ ziale delle interviste, i loro nomi non vengono citati per esteso in questi volumi. La sbobinatura delle interviste e la loro trascrizione è stata effettuata da Claudia Sofritti e da Lucia Trippa; quest’ultima ha curato anche la raccolta del materiale docu­ mentario e la sua archiviazione. Durante tutto l’arco di svolgimento del programma ho potuto usufruire del costante e attivo sostegno sia del presi­ dente dell’istituto Cattaneo, Luigi Pedrazzi, sia della dire­ zione, dapprima nella persona di Arturo Parisi e, nell’ulti­ mo anno, di Piergiorgio Corbetta, nonché della collabora­ zione di Piero Bongiovanni, Giovanni Cocchi e Mirella Marani. Mi sia consentito infine un ringraziamento del tutto personale ad Arturo Parisi; non tanto per aver proposto all’istituto la mia candidatura alla direzione del programma di ricerca, quanto per aver testimoniato con il consiglio scientifico e l’aiuto nei momenti difficili il valore incstima bile dell’amicizia. R aimondo C atanzaro

Bologna, gennaio 1990

8

IN D IC E

I.

II.

III.

Lo studio delle organizzazioni clandestine

13

1. Alcune precisazioni sull’utilizzazione del con­ cetto di terrorismo 2. Gli approcci teorici allo studio della violenza politica 3. Le organizzazioni clandestine di sinistra in Italia: le ipotesi della ricerca 4. Metodi e fonti della ricerca

29^*s»®S 41

Cicli di protesta e origini del terrorismo

51

15 20

1. Movimenti collettivi e violenza politica in Italia 2. Ciclo di protesta della fine degli anni sessanta e nascita del terrorismo 3. «Movimento del ’77» e terrorismo

62 74

Processi organizzativi e scelta della clande­ stinità

91

1. Le organizzazioni clandestine in Italia 2. La fondazione delle prime organizzazioni clandestine: le Br 3. La fondazione delle organizzazioni clandestine nella seconda metà degli anni settanta: PI e Fcc 4. Un modello per l’emergere delle organizzazio­ ni clandestine IV.

p.

51

91 97 -•* 106 122

Il processo di reclutamento: le motivazioni individuali

133

1. Socializzazione primaria e adesione a gruppi clandestini: una critica

133

9

2. Caratteristiche strutturali degli individui e adesione alle organizzazioni clandestine p 3. Socializzazione politica e reclutamento nei gruppi clandestini V.

VI.

Mantenimento dell’impegno e incentivi or­ ganizzativi 1. La partecipazione nelle organizzazioni clande­ stine 2. Gli incentivi di identità e l’integrazione dei militanti 3. Gli incentivi ideologici e l’integrazione dei militanti 4. Gli incentivi materiali e l’integrazione dei mi­ litanti Strategie organizzative e mobilitazione delle risorse 1. Le strategie organizzative: una premessa 2. Strutture organizzative e mobilitazione delle risorse 3. Repertori d’azione e mobilitazione delle risor­ se: le tattiche 4. Repertori d’azione e mobilitazione delle risor­ se: i bersagli 5. Produzione ideologica e mobilitazione delle risorse

VII.

Dinamiche interne ed evoluzione delle orga­ nizzazioni clandestine 1. Le trasformazioni nella struttura organizza­ tiva 2. Le trasformazioni nei repertori d’azione: le tattiche 3. Le trasformazioni nei repertori d’azione: i bersagli 4. Le trasformazioni nella produzione ideologica

V ili. La crisi del terrorismo in Italia 1. Struttura delle opportunità e sistema delle re­ lazioni internazionali

10

137

146 165 165 171 179 191 195 195 196 204 209 219

227 227 235 245 250 257 257

2. Struttura delle opportunità e intervento dello stato p 3. Struttura delle opportunità e sistema dei par­ titi 4. Struttura delle opportunità e movimenti col­ lettivi 5. La dissociazione dalla lotta armata e la crisi del terrorismo IX .

Alcune osservazioni conclusive sul caso ita­ liano

262

271 276 279

285

Fonti e ringraziamenti

301

Riferimenti bibliografici

313

11

C A P IT O L O P R IM O

LO STU D IO D E L L E O R G A N IZ Z A Z IO N I C L A N D E ST IN E

Fra i fenomeni che hanno caratterizzato la storia italia­ na degli anni settanta, il terrorismo è certamente quello più drammaticamente presente nella memoria collettiva. Vari interrogativi sono stati posti nel dibattito di quegli anni sul­ le cause di una violenza politica di tale intensità e durata. Le condizioni ambientali per il suo emergere sono state in­ dividuate ora nelle peculiarità della cultura politica, ora nel­ la gravità che alcuni problemi sociali avevano assunto nel corso della lunga crisi economica. Alcune organizzazioni po­ litiche sono state accusate di avere offerto strutture o legit­ timazione alle formazioni clandestine. La percezione dell’e­ stensione raggiunta dal fenomeno ha accresciuto il bisogno di capire le motivazioni che hanno spinto tanti individui, appartenenti ad una generazione socializzata alla politica in un regime democratico ormai consolidato, verso comporta­ menti di un tale livello di violenza. Molte delle domande poste dal dibattito di allora, incal­ zato dall’urgenza dei provvedimenti da prendere, sono ri­ maste senza risposta. Solo in un periodo più recente, il mu­ tare del clima politico, insieme alla disponibilità di fonti di informazione, hanno consentito di affrontare quelle que­ stioni con maggiori ambizioni di comprensione scientifica. Questo lavoro si propone di contribuire alla riflessione su quegli anni, attraverso una ricerca empirica sulle organizza­ zioni clandestine di sinistra allora attive. Occorre, innanzitutto, delimitare l’oggetto di questa ri­ cerca, in relazione sia al tipo di azioni che al tipo di attori. Non costituiscono oggetto d ’analisi le organizzazioni politi­ che clandestine con ideologie differenti, come quelle neofa­ sciste. Escluse sono quelle organizzazioni che, pur utilizzan­ do forme d ’azione illegali e violente, hanno operato però prevalentemente a livello legale. Al di fuori dei confini del 13

nostro studio sono inoltre quei fenomeni di criminalità non politica che una certa pubblicistica ha spesso accostato al terrorismo: la mafia o la camorra, ad esempio. Non vengo­ no, infine, incluse quelle forme di criminalità politica che si. avvicinano in vario modo al terrore di stato 1, cioè quelle in cui una violenza illecita viene esercitata da apparati statali oppure in cui gruppi inseriti nella coalizione di potere domi­ nante cercano di produrre trasformazioni politiche attraver­ so strumenti illegali, come è stato documentato nel caso del­ la loggia massonica P2. Riferimenti a tutti i fenomeni sopra indicati verranno fatti tuttavia quando le loro storie si in­ trecciano con quella delle organizzazioni politiche clandesti­ ne di sinistra, o la somiglianza delle loro dinamiche può con­ tribuire a spiegarla. La definizione empirica dell’oggetto della ricerca richie­ de, inoltre, che vengano fissati alcuni limiti spaziali e tem­ porali. Occorre dunque aggiungere che la nostra attenzione si limita alle organizzazioni clandestine di sinistra che han­ no operato in Italia, mentre solo saltuariamente emergeran­ no osservazioni comparate sulle attività di gruppi simili ope­ ranti in altre democrazie occidentali. Il periodo analizzato è quello degli anni settanta e ottanta: anche se la rilevazione dei dati ha una certa completezza solo fino al 1983, le vicen­ de più recenti verranno discusse, seppure utilizzando solo le informazioni pubblicate dai giornali. L ’ondata di violenza politica che si è manifestata in Ita­ lia nel corso degli anni settanta ha avuto caratteristiche tali da suggerire per la sua analisi l’applicazione dei concetti e delle ipotesi elaborate dalle scienze sociali sul terrorismo. Qualitativamente molto eterogenea, la letteratura sull’argo­ mento consiste prevalentemente di materiali di riflessione politica o resoconti giornalistici sugli episodi più clamorosi, mentre pochi e parziali sono stati sia le indagini empiriche

1 Una delle prime distinzioni nella costruzione di una tipologia dei fenomeni terroristici è quella tra il terrorismo contro le istituzioni e quel­ lo, invece, utilizzato dalle istituzioni contro alcuni gruppi della popola­ zione. Questo secondo tipo di utilizzazione della violenza è stato definito terrorismo di stato o terrorismo repressivo [Bonanate 1979a, 108-112; Wilkinson 1977, 47-64], 14

che i tentativi di interpretazione teorica. L ’integrazione di categorie d ’analisi e risultati di ricerca non è stata ancora ta­ le da produrre né teorie generali, né esaurienti spiegazioni di eventi storici. Insufficienti appaiono, infine, le definizio­ ni del fenomeno fin qui proposte2. Nel corso di questo capitolo, la letteratura sociologica e politologica sul terrorismo verrà utilizzata per elaborare una definizione adeguata ai fini della ricerca. La discussione dei principali approcci allo studio della violenza politica costi­ tuirà la premessa per la presentazione delle categorie teori­ che che hanno guidato la mia indagine empirica. Nella defi­ nizione dello schema analitico per lo studio delle formazioni clandestine, gli spunti offerti dalle analisi sulla violenza po­ litica verranno integrati con la letteratura relativa ad altri ti­ pi di organizzazioni. 1. Alcune precisazioni sull’utilizzazione del concetto di terro­ rismo La categoria terrorismo è stata utilizzata nella descrizio­ ne di fenomeni molto diversi. Episodi di terrorismo sono stati riscontrati in un passato molto remoto. Nell’impero ro­ mano così come nei principati rinascimentali congiure di pa­ lazzo produssero trasformazioni politiche tramite l’uccisio­ ne del despota. Nel X IX secolo il terrorismo individuale di­ venne una tattica diffusa nei regimi autocratici, mentre in misura maggiore o minore i movimenti anticoloniali hanno spesso fatto uso di attentati e forme d ’azione di guerriglia*.

2 Un giudizio fortemente negativo sullo stato della ricerca sulla vio­ lenza politica viene espresso anche in una recente rassegna da uno dei più eminenti studiosi del fenomeno: «Con poche eccezioni, c’è una preoccu­ pante carenza di buona ricerca empirica sul terrorismo» [Gurr 1988, 115]. E ancora: «la maggior parte della letteratura consiste di descrizioni ingenue, commenti speculativi, e prescrizioni su come “ affrontare il ter­ rorismo” che non raggiungerebbero i requisiti minimi della ricerca scien­ tifica nelle branche più istituzionali dello studio del conflitto» [ibidem, 143], 3 Su questi punti, si vedano, tra gli altri: G ross [1972] e Laqueur [1978], 15

Ma il termine terrorismo è stato utilizzato anche con riferi­ mento a certe forme di violenza politica degli anni più re­ centi. In questo caso, esso è stato definito come un fenome­ no peculiare del secondo dopoguerra, la cui stessa esistenza sarebbe impensabile senza la diffusione dei mezzi di comu­ nicazione di massa4. Le più diffuse definizioni del terrorismo sono insuffi­ cienti ad individuare le peculiarità del fenomeno. Presentando il terrorismo come «metodo, o teoria che sta dietro il metodo, attraverso cui un gruppo organizzato o partito afferma i suoi obiettivi principalmente per mezzo di un uso sistematico della violenza»5, esse giustificano co­ sì la confluenza nella stessa categoria d ’analisi di tutti quegli eventi storici in cui una certa quantità di violenza è stata usata come strumento della competizione fra fazioni avver­ se. Fenomeni eterogenei — dalle attività delle bande crimi­ nali organizzate alle contese dinastiche, dalle guerre tra na­ zioni a gran parte delle interazioni politiche nei regimi auto­ ritari — vengono così confusi insieme in un medesimo con­ cetto, privandolo sia di capacità euristiche che di una mera utilità descrittiva. Appare in primo luogo necessario formulare una discri­ minante teorica tra il genere violenza politica e la sua più sanguinosa specie. Mentre l’azione violenta viene, entro de­ terminati limiti, accettata come mezzo normale di rinego­ ziazione dei rapporti di forza nel sistema politico, il terrori­ smo è stato sempre considerato come una forma d ’azione patologica. E stato, così, proposto di fissare un livello oltre il quale la violenza assume connotati di terrorismo6. Poi­ ché in ogni ordinamento politico e sociale una certa quanti­ tà e un certo uso della coercizione sono inerenti al normale 4 Sul ruolo dei mezzi di comunicazione di massa nel terrorismo con­ temporaneo, si vedano Marletti [1984] e Sandsredlick [1979], 5 Hardman [1937, 375]. 6 In questa direzione va, ad esempio, il contributo di Paul Wilkinson [1977, 30-34], Come strumenti di misurazione dell’entità della vio­ lenza, Wilkinson propone di combinare alcuni indicatori della «scala» (numero di persone impegnate nell’azione, ampiezza del luogo delle ope­ razioni) con la «intensità» (durata della campagna violenta, numero dei casi di violenza, potenziale bellico utilizzato). 16

funzionamento del sistema, occorrerebbe individuare per ciascun contesto storico specifico la soglia di tollerabilità varcata la quale la violenza viene considerata «eccessiva». La determinazione di una soglia di passaggio presenta, tut­ tavia, serie difficoltà dal punto di vista operazionale. Arbi­ traria sembra la definizione di un tasso quantitativo calcola­ to sulla base di percentuale di morti e feriti o entità dei dan­ ni. Impraticabile è la soluzione di assumere come terroristiche tutte le tattiche illegali. In ogni ondata di protesta, in­ fatti, vengono inventate nuove forme d ’azione che, nella maggior parte dei casi, non sono legali al momento del loro sorgere e che solo in seguito vengono, prima informalmente e poi formalmente, accettate come legittime. Stimolante ma di non facile applicazione è, inoltre, la differenziazione qua­ litativa tra una violenza a fini negoziali e una violenza che rifiuta ogni possibile accordo. Risultati non migliori vengono dall’utilizzazione di quelle definizioni che, a partire dall’etimologia del termine, presentano come terroristica quella violenza politica che si pone l’obbiettivo — o ha l’effetto — di «terrorizzare». Questa concettualizzazione presenta, in primo luogo, imma­ ginabili problemi di operazionalizzazione derivanti dalla difficoltà di misurare gli stati psicologici di alcuni individui o gruppi. Se, per esempio, si ammette che «intimidire» o «spaventare» sono obiettivi normalmente perseguiti nel cor­ so dei conflitti politici, ben difficile appare la individuazio­ ne di una discriminante tra timore e paura, paura e terrore. Tale definizione sottovaluta, inoltre, alcune rilevanti con­ notazioni del fenomeno. Non solo, infatti, il messaggio del­ le organizzazioni terroriste è fortemente differenziato ri­ spetto ai diversi gruppi della popolazione, ma per di più, nel caso del terrorismo di sinistra, l’obiettivo principale di mol­ te azioni è quello di raccogliere consenso, piuttosto che di terrorizzare. Come conseguenza di queste ambiguità defini­ torie, la qualifica di terrorismo viene spesso capziosamente attribuita ai comportamenti collettivi anomali rispetto alla prassi politica istituzionalizzata. Il dibattito scientifico più recente ha messo in rilievo le carenze di queste prime elaborazioni concettuali. Si può in primo luogo sottolineare l’opportunità di limi­ 17

tare l’applicazione del concetto di terrorismo ad azioni di violenza rivolte al perseguimento di obiettivi politici. I gruppi clandestini hanno, in generale, perseguito propositi differenti. Attività terroristiche sono state giustificate a partire da ideologie di destra o di sinistra, e sono state uti­ lizzate all’interno di progetti di trasformazione sociale o d ’indipendenza nazionale. L ’entità del cambiamento che ci si propone di realizzare attraverso l’uso di strumenti violen­ ti può, inoltre, variare molto — dal rovesciamento del regi­ me al mutamento della coalizione politica dominante — an­ che se l’esperienza storica insegna che la radicalizzazione degli obiettivi prosegue, in genere, di pari passo con la radi­ calizzazione delle tattiche d ’azione. Nonostante la varietà delle finalità delle azioni terroristiche, si può tuttavia con­ cordare almeno sulla opportunità di limitare l’applicazione del termine terrorismo alla sola utilizzazione della violenza in un conflitto fra attori politici, escludendo così le contese private per guadagni individuali. Migliori opportunità per stabilire una discriminante tra le diverse forme di violenza vengono offerte dall’introdu­ zione della variabile relativa all’attore che opera attraverso la violenza. Considerando in una categoria specifica i casi di utilizzazione del terrore da parte delle istituzioni statali, l’ulteriore requisito perché l’azione possa essere definita co­ me terroristica è che essa sia utilizzata da gruppi di dimen­ sioni ridotte e clandestini. La dimensione del gruppo serve a differenziare dal terrorismo rivoluzioni o movimenti di guerriglia, che coinvolgono cospicui gruppi della popolazio­ ne. La illegalità dell’organizzazione è un requisito necessario per distinguere quelle che, pur utilizzando talvolta le stesse forme d ’azione, hanno tuttavia caratteristiche qualitative differenti. Se, infatti, l’utilizzazione di un repertorio preva­ lentemente violento è una peculiarità distintiva delle forma­ zioni terroriste, è però anche vero che omicidi possono esse­ re commessi da organizzazioni legali senza che esse necessa­ riamente trasformino la loro struttura o che si producano ef­ fetti rilevanti sul sistema politico. La clandestinità dell’or­ ganizzazione è invece un elemento tale, per le conseguenze che genera, da fornire una fondamentale ragione di discri­ minazione tra forme di violenza politica qualitativamente 18

differenti. Perché un gruppo possa essere definito terroristico occorrerà, infine, che esso adotti in misura pressoché esclusiva tattiche violente all’interno del proprio repertorio. Una definizione operativa del fenomeno in esame può essere proposta attraverso l’utilizzazione congiunta delle variabili fin qui esaminate. Il terrorismo sarà, allora, l ’attivi­ tà di quelle organizzazioni clandestine di dimensioni ridotte che, attraverso un uso continuato e quasi esclusivo di forme d ’azione violenta, mirano a raggiungere scopi di tipo prevalen­ temente politico. Nonostante questa definizione operativa faccia della ca­ tegoria terrorismo uno strumento analitico più efficace, la sua area di applicazione resta tuttavia talmente ampia da co­ stringere chiunque si voglia cimentare nella ricerca in que­ sto campo a delimitare rigorosamente il proprio settore d ’indagine. Anche considerando il terrorismo di stato come soggetto d’analisi a sé stante, la categoria del terrorismo co­ me sfida alle istituzioni continua a riunire insieme, all’inter­ no di confini a dir poco sfumati, fenomeni di grande diversi­ tà quali le campagne dei movimenti indipendentisti contro una dominazione considerata come straniera, gli attentati di stampo nichilista contro i sovrani autocratici, i dirottamenti aerei compiuti dal terrorismo internazionale, le stragi indiscriminate dell’estrema destra. Il confronto tra eventi così eterogenei è probabilmente utile più per evidenziare le dif­ ferenze esistenti che per ricercare improbabili somiglianze. La scelta compiuta in questa ricerca è quella di concen­ trare l’attenzione sulle particolari forme che il terrorismo assume in un regime politico democratico. Nonostante molti studiosi concordino nell’osservare una tendenziale riduzione delle manifestazioni di violenza nel conflitto politico, la specie di violenza che abbiamo fin qui cercato di definire ha assunto negli anni più recenti una particolare virulenza. L ’inquietudine prodotta da questo dato viene accentuata dal fatto che le democrazie occidenta­ li sono fino ad oggi risultate tutt’altro che risparmiate dalle manifestazioni di questo tipo di criminalità politica7. Se

7 Si vedano i dati presentati in Gurr [1979]. 19

l’utilizzazione del terrorismo in quei regimi che rifiutano ogni diritto di espressione al dissenso appare un fatto facil­ mente spiegabile, più complessa diviene invece la compren­ sione delle cause dell’emergere del fenomeno in quei sistemi politici in cui a tutti i cittadini è formalmente riconosciuto il diritto di esprimere il loro dissenso, di organizzarsi per di­ fendere i propri interessi, di partecipare alle decisioni ri­ guardanti la collettività.

2. Gli approcci teorici allo studio della violenza politica Proprio l’emergere del terrorismo nei regimi democrati­ ci ha stimolato, negli ultimi decenni, una densa letteratura scientifica. Le ricerche empiriche e le riflessioni teoriche sull’argomento hanno riguardato tre livelli analitici: il siste­ ma, il gruppo, l’individuo. Nel primo caso, il principale que­ sito degli studi macro-sociologici è stato relativo ai tipi di sistemi politici in cui il terrorismo si è diffuso e il livello del­ la spiegazione ha riguardato le condizioni strutturali. Nel secondo, le domande più rilevanti di indagini meso-sociologiche hanno riguardato i tipi di gruppi che utilizzano il ter­ rorismo, cioè il livello dell’organizzazione. Nel terzo, ci si è interrogati, in una prospettiva micro-sociologica, princi­ palmente sugli individui che divengono terroristi e la rispo­ sta è stata cercata nelle caratteristiche personali dei mili­ tanti. Le ipotesi individuabili nella letteratura sul tema della violenza politica si differenziano notevolmente rispetto a li­ vello di generalizzabilità cercato, ampiezza della base empi­ rica di sostegno, esaustività della spiegazione proposta e, naturalmente, tipo di variabili utilizzate. Esse possono esse­ re presentate sinteticamente seguendo la suddivisione tra diversi livelli analitici già individuata. Gli studi che si sono concentrati sulle caratteristiche dei singoli membri di un movimento collettivo possono essere, in genere, ricondotti all 'approccio psicosociologico. Un tema ricorrente nella saggistica sull’azione collettiva riguarda l’in­ dividuazione delle motivazioni soggettive di adesione a un movimento. 20

Affrontando questo argomento, molti studiosi si sono concentrati sulla ricerca di caratteristiche psicologiche pecu­ liari ai militanti dei gruppi di protesta. Più la forma d ’azio­ ne collettiva è apparsa deviante rispetto alle norme codifica­ te, più l’indagine si è soffermata su presunte psicopatologie individuali. In particolar modo, le teorizzazioni sull’esisten­ za di una personalità terrorista hanno assunto un ruolo cen­ trale nelle analisi interpretative del terrorismo internaziona­ le. I militanti delle organizzazioni clandestine sono stati de­ scritti come persone incapaci di raggiungere l’età adulta, malati mentali terrorizzati dal mondo esterno, falliti che si difendono dalle conseguenze demoralizzanti delle sconfitte subite vivendo il rifiuto come scelta e trasformandolo in vo­ lontà di potenza\ Attraverso descrizioni caricaturali dei terroristi come individui fanatici e crudeli, o anche soltanto instabili ed utopisti, si è spesso tentato di rendere conto del­ la permanenza della violenza in quelle società che si vorreb­ bero pacificate e ordinate. E , così, l’istinto aggressivo non incanalato in uno sfogo ritualizzato che, secondo alcune in­ terpretazioni, produce la criminalità politica9. L ’ambizione di elevare le caratteristiche psicologiche a variabili causali del terrorismo toglie credibilità scientifica ad un approccio che potrebbe fornire contributi positivi se si limitasse ad analizzare le motivazioni individuali alla mili­ tanza o le psicodinamiche dei piccoli gruppi in condizioni di clandestinità. Le più recenti indagini sui dati caratteriali e biografici concordano nell’affermare che «la caratteristica più rilevante dei terroristi è la loro normalità»10. Un approccio parzialmente diverso caratterizza, invece, quei contributi di derivazione strutturalista che collegano 8 Questo tipo di interpretazioni possono essere ritrovate, ad esem­ pio, in Servier [1979] e Laqueur [1978, 131-144], Per una rassegna critica si veda Wilkinson [1979]. 9 In schemi più elaborati, la presenza di personalità con propensione alla violenza viene ritenuta come una delle precondizioni della diffusione del terrorismo, che però agisce solo se combinata con altri fattori quali l’indebolimento dei valori democratici condivisi e l’esistenza di partiti dotati di ideologie favorevoli alla utilizzazione della lotta armata [Gross 1972], 10 Crenshaw [1981, 390]. 21

l’emergere del terrorismo a squilibri di sistema. Diverse ana­ lisi hanno interpretato il nascere del terrorismo negli stati democratici come indicatore di difficoltà nei meccanismi si­ stemici di adattamento. La ricerca si è rivolta in questi casi alla determinazione del sottosistema in cui si verificano gli impedimenti alla integrazione. La letteratura teorica sulla violenza politica è ricca di analisi sulle condizioni ambienta­ li che possono avere contribuito al suo emergere e alla sua crescita. Variabili economiche, sociali, politiche o culturali sono state citate come cause di comportamenti violenti". Alcuni contributi si sono soffermati sulle condizioni di lun­ go periodo, altri sulle particolari congiunture storiche. Le diverse spiegazioni sono state sintetizzate nella tabella 1. T ab.

1. Alcune interpretazioni sulle origini della violenza Spiegazioni strutturali

Spiegazioni congiunturali

Variabili economiche

diseguaglianze di reddito

fasi intermedie della crescita economica

Variabili sociali

cleavages sociali

rapida modernizzazione

Variabili politiche

regimi autoritari

inefficienza apparati repressivi

Variabili culturali

tradizione di conflitto violento

mutamenti nel sistema di valori

Spiegazioni «strutturali», frequentemente basate su confronti di dati aggregati riferiti a più nazioni, hanno ana­ lizzato ora il livello di sviluppo di una società, ora la presen­ za di cleavages etnici o di classe, ora la cultura politica di un paese, ora lo spettro delle diseguaglianze economiche12.

11 Per una rassegna della letteratura sulla violenza politica, si rinvia a Eckstein [1980]. 12 Per queste interpretazioni si vedano, rispettivamente, Russet [1964], Barrow [1976]; Bandura [1973]; Sigelman e Simpson [1977]; e I Iuntington [1968]. 22

Spiegazioni più cicliche, spesso basate sullo studio di singoli casi, hanno invece collegato la violenza politica alle fasi di modernizzazione, alle tappe intermedie dello sviluppo eco­ nomico, a periodi di inefficienza dei poteri coercitivi dello stato, a rapide trasformazioni nel sistema di valori'}. La ricerca sulle disfunzioni che possono produrre il ter­ rorismo si è indirizzata, oltre che sui ritardi delle strutture normative, anche sulle caratteristiche del sistema economi­ co e, ovviamente, delle istituzioni politiche. Crisi di svilup­ po connesse a problemi interni o internazionali, mancanza di coordinamento tra domanda e offerta sul mercato del la­ voro, insufficiente programmazione della formazione pro­ fessionale, squilibri di status, adeguamento incompleto del­ le strutture di socializzazione alle mutate esigenze struttura­ li, sono spesso citate come cause di devianza individuale o collettiva. Oltre che ai processi di razionalizzazione del sistema produttivo, si è anche, più spesso, guardato all’attività del sistema politico di selezione degli inputs e produzione di outputs. Elementi di disturbo, che possono avere agito come determinanti del terrorismo, sono stati individuati ora in un eccessivo potere acquisito da alcuni gruppi di pressione; ora nella mancanza di alternanza al governo; ora in una trasfor­ mazione violenta delle regole del gioco da parte degli stessi governanti. Se una certa concordanza è esistita nel conside­ rare le variabili politiche come rilevanti per la spiegazione della violenza terrorista, le interpretazioni specifiche si so­ no però contraddittoriamente concentrate sulla risposta del­ lo stato all’emergere delle organizzazioni clandestine, rite­ nuta ora troppo debole, ora eccessivamente repressiva; sulle reazioni delle élites al governo rispetto all’aggregarsi di nuo­ ve domande collettive, talvolta analizzate in termini di as­ senza di riforme e tal’altra in quelli di un mutamento troppo rapido; sul livello di legittimazione delle istituzioni, stimato da alcuni insufficiente e da altri ritenuto talmente elevato da impedire ogni opposizione; sulle condizioni del sistema ” Per le interpretazioni cicliche, si vedano rispettivamente: H un­ tington [1968]; Feierabend e Feierabend [1966]; Tilly [1969]; e Acquavi­ va [1979], 23

politico, accusato di ostacolare la costituzione di nuovi atto­ ri collettivi o, viceversa, di istituzionalizzare precocemente i movimenti. Seppure stimolanti nel loro tentativo di individuare al­ cune cause generalizzabili dell’emergere della violenza, le ipotesi strutturali non sembrano riuscire a rendere conto del complesso attivarsi del terrorismo, dei meccanismi di dege­ nerazione di alcuni attori politici verso la violenza, dell’evo­ luzione delle formazioni in clandestinità. Esse condividono, infatti, una impostazione funzionalista, all’interno di un in­ teresse prevalentemente sistemico: nella definizione del ter­ rorismo come indicatore di difficoltà del sistema gli attori collettivi non trovano alcuno spazio di intervento autono­ mo. Essi non sono altro che spie di squilibri sistemici e parti di meccanismi inconsapevoli di riequilibrio14. Questo tipo di approccio ha, dunque, avuto effetti negativi sul procede­ re della ricerca scientifica sul fenomeno terroristico. Da un lato, la scarsa specificazione dei modelli interpretativi, la mancata individuazione delle variabili intervenienti tra la crisi strutturale e l’emergere dei gruppi armati, e la difficile operazionalizzazione delle loro variabili hanno scoraggiato ogni tentativo di verifica nell’analisi comparata. Dall’altro lato, postulando che il terrorismo sia un mero sintomo di di­ sfunzione, si è rinunciato allo studio delle sue origini speci­ fiche, della sua morfologia, delle sue dinamiche di crescita, delle sue interazioni con l’ambiente esterno. Se le organiz­ zazioni clandestine non sono che componenti di un mecca­ nismo omeostatico di riaggiustamento, non vengono consi­ derate, allora, come rilevanti le loro caratteristiche ideologi­ che, organizzative, strategiche. Se il terrorismo è, per defi­ nizione, il prodotto di blocchi e disfunzioni, non serve, allo­ ra, spiegarne la genesi. Un terzo tipo di spiegazioni della esistenza del terrori­ smo si è concentrato sul livello del gruppo, differenziandosi nell’attenzione prestata all’ideologia di alcune organizzazio­ ni o alle dinamiche degli interessi collettivi emergenti. Un

14 Come è noto, allo stesso modo vengono analizzati i comporta­ menti collettivi nell’approccio struttural-funzionalista [Smelser 19681. 24

numero considerevole di analisi ha utilizzato variabili che fanno riferimento all’ideologia. Il terrorismo nelle società democratiche è stato considerato come reazione di piccoli gruppi organizzati, esterni al sistema politico. In società in cui i canali di accesso alle decisioni formali sono sempre aperti, i processi negoziali si sviluppano lungo linee istitu­ zionalizzate e le regole appaiono come legittime, il terrori­ smo diviene una scelta obbligata per quelle frange che mira­ no al rovesciamento del sistema. Nei sistemi democratici i piccoli gruppi usano il terrorismo come strategia cosciente, coerente con l’obiettivo della distruzione fisica del nemico. In linea con questa analisi, l’emergere del terrorismo è stato ricondotto all’azione di «sette ideologiche», il cui scopo è la soppressione di ogni libertà individuale1’ . Poiché la solu­ zione pacifica dei conflitti assicura alle società liberali il consenso della stragrande maggioranza dei cittadini, ogni tentativo di delegittimare il sistema attraverso lo strumento legale della propaganda sarebbe destinato al fallimento. Le azioni terroristiche sarebbero, invece, il solo modo per rag­ giungere le mete alle quali la popolazione si oppone. Attra­ verso la propaganda che incita alla violenza, i terroristi cer­ cano di indebolire le istituzioni democratiche impedendo lo­ ro di assolvere alla loro principale funzione: assicurare il consenso sociale attraverso la partecipazione alle scelte col­ lettive. Poiché il progetto politico di questi gruppi mira al rovesciamento delle istituzioni legittime, «non c’è spazio per negoziare alcun compromesso tra i loro obiettivi e quelli del resto della popolazione»lfi. In una diversa prospettiva teorica, le forme violente di protesta sono state collegate alle caratteristiche degli inte­ ressi mobilitati. L ’uso dei repertori più innovativi, e spesso più violenti, è stato considerato come una peculiarità dei gruppi sociali emergenti. Per utilizzare la terminologia di Tilly, la violenza politica tende ad addensarsi quando nuovi sfidanti lottano per entrare nel sistema politico e vecchi membri reagiscono, rifiutando di uscirne17. In una variante 15 Questa è, ad esempio, l’interpretazione di Wilkinson [1977]. If’ Wilkinson [1979, 107], 17 Su questo punto, si veda Tilly [1978 52-55 e 172-188], 25

di questa ipotesi, si sottolinea che le caratteristiche delle so­ cietà tecnocratiche ostacolano lo sviluppo dell’azione collet­ tiva nei sistemi contemporanei18. I gruppi terroristi rap­ presenterebbero alcuni interessi che sono antagonisti rispet­ to al sistema. Discuteremo più approfonditamente del ruolo che ideo­ logie politiche e interessi collettivi hanno giocato nell’emergere del terrorismo in Italia. Ci si può limitare per ora ad osservare che anche questo approccio si è limitato a suggeri­ re l’esistenza di poco controllabili relazioni causali tra macro-variabili, senza né controllare empiricamente queste af­ fermazioni né individuare le interazioni esistenti tra il livel­ lo macro-analitico prescelto e le caratteristiche del fenome­ no da studiare. L ’ideologia o l’estrazione di classe di un gruppo è stata ritenuta come spiegazione sufficiente dell’a­ dozione di pratiche violente di azione. Questi contributi si sono, perciò, spesso limitati a sottolineare meccanicistiche correlazioni tra ideologia o base sociale di un’organizzazio­ ne e strategie adottate. Obiettivo di questo lavoro è quello di fornire un model­ lo capace di integrare i tre livelli analitici — ambiente, orga­ nizzazione, individuo — rivolgendo l’attenzione prevalen­ temente al funzionamento delle organizzazioni clandestine. Le formazioni terroriste costituiscono, dunque, l’oggetto privilegiato della ricerca, ma le loro caratteristiche sono spiegate tenendo conto sia delle condizioni ambientali che delle motivazioni dei loro membri. Alcune opzioni sono implicite in questo approccio. Una prima scelta riguarda la considerazione dei gruppi terroristi all’interno della categoria più amplia delle organizzazioni politiche. Le organizzazioni sono state, in genere, definite come dei sistemi formali di norme e obiettivi, coordinanti un insieme di esseri umani che riconoscono la loro legittimi­ t à 19. Anche se il grado di formalizzazione normativa o strutturazione gerarchica varia da caso a caso, le formazioni armate possiedono senza dubbio questi requisiti. Ciò vuol

1,1 Questa ipotesi è argomentata in Targ [1979]; e Wellmer [1981]. 19 Questa è, ad esempio, la definizione di Lange [1977]. 26

dire che esse condividono con gli altri tipi di organizzazioni alcune strutture e processi, pur presentando certamente del­ le peculiarità. Essendo inoltre i loro fini esplicitamente ri­ volti a trasformazioni istituzionali, ciò permette di classifi­ carle nella categoria più ampia delle organizzazioni politi­ che, giustificando in questo modo l’utilizzazione di ipotesi e categorie elaborate in quegli ambiti20. Spetterà poi alla ricerca l’individuazione delle peculiarità dei gruppi terrori­ sti in relazione ad altri tipi di organizzazioni con scopi poli­ tici. La seconda opzione è costituita dalla decisione di porre l’organizzazione, piuttosto che l’individuo o l’ambiente, al centro dell’analisi. Questa scelta è analoga a quella rilevabi­ le in molti contributi recenti che tendono al recupero e al­ l’applicazione delle variabili della sociologia dell’organizza­ zione allo studio dei gruppi politici21. La terza opzione è quella di considerare l’organizzazione come soggetto impegnato in una rete di interazioni. La com­ prensione delle strategie d ’azione richiede l’analisi dei di­ versi scopi compresenti all’interno dell’organizzazione, del­ le motivazioni dei militanti e dei condizionamenti dell’am­ biente esterno. Le diverse problematiche dello studio dell’azione collet­ tiva sono sintetizzate nella figura 1. Lo studio delle ' organizzazioni clandestine dovrebbe, cioè, permettere nel corso di questa ricerca di verificare le ipotesi relative ad una teoria del conflitto, che spieghi le ra­ gioni strutturali della presenza del fenomeno terroristico; ad una teoria della mobilitazione, che analizzi il modo in cui le organizzazioni terroristiche riescono a trarre dall’ambien­ te le risorse di cui hanno bisogno; ad una teoria della militan-

20 Per un’analisi della letteratura sulle organizzazioni, si rinvia a Perrow [1986] e Scott [1981]. Più in particolare sulle organizzazioni poli­ tiche: Bibby e Brinkerhoff [1974]; Child [1973]; Curtis e Zurcher [1973; 1974]; Downtown [1973]; Freeman [1983]; Jenkins [1977]. Sulla struttu­ ra delle organizzazioni terroriste, cfr. Zawodny [1978; 1983]. 21 Ciò è avvenuto sia nelle ricerche sui movimenti sociali — resource mobilization approach [per una rassegna, Jenkins 1983] — che nelle ricer­ che sui partiti politici [Panebianco 1982]. 27

Società Teoria del

Teoria del trasformazioni

risorse

conflitto

Teoria della

mutamento

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-►

Organizzazione

~ \

incentivi

Teoria della

motivazioni

mobilitazione

militanza

Individuo Fig. 1. Approcci all'azione collettiva in relazione a l livello analitico.

za, che affronti il tema delle motivazioni individuali alla partecipazione ad un gruppo clandestino; ad una teoria del mutamento, che individui gli effetti, intenzionali o imprevi­ sti, del terrorismo sul sistema. L ’ambiente potrà, così, essere preso in considerazione come luogo da cui un gruppo trae le risorse per la sua costitu­ zione e il suo funzionamento. Pur evitando un approccio de­ terminista, appare evidente che la presenza di alcune risorse néH’ambiente è condizione indispensabile per la nascita di un gruppo e, soprattutto, per la sua sopravvivenza in clan­ destinità. Ma occorrerà anche guardare alle reazioni prodot­ te dalle organizzazioni clandestine nell’ambiente in cui ope­ rano, cioè ai cambiamenti che esse producono nei sistemi in cui agiscono. L ’analisi del terrorismo a partire dal funzionamento del­ l’organizzazione armata permette, inoltre, di impostare il problema della partecipazione degli individui a gruppi che adottano le forme più estreme di violenza. La comprensione delle ragioni dell’adesione di militanti politici a pratiche d ’azione illegali deve passare attraverso l’individuazione de­ gli incentivi22 che le organizzazioni clandestine distribui­ scono e delle motivazioni che esse riescono a stimolare fra i loro aderenti. 22 Una prima analisi che ha utilizzato la categoria di incentivo è quella di J.Q . Wilson [1972], 28

3. Le organizzazioni clandestine di sinistra in Italia: le ipotesi della ricerca Questi problemi vengono affrontati nel corso della ri­ cerca, attraverso lo studio di tre processi, differenziabili analiticamente: l’emergere delle organizzazioni clandestine, il loro funzionamento, la loro evoluzione. La prima parte del libro riguarda le origini del terrorismo di sinistra. Nel prossimo capitolo verrà analizzata la struttura delle opportu­ nità politiche disponibili per i gruppi terroristici alle loro ori­ gini. In quello successivo le scelte strategiche che portano alla fondazione delle organizzazioni clandestine. Un primo tipo di variabili da prendere in esame per spie­ gare la nascita delle organizzazioni clandestine è quello rela­ tivo all’ambiente esterno. L ’emergere delle formazioni ar­ mate è influenzato dalla disponibilità di simpatie e protezio­ ni esistenti all’esterno, così come dai meccanismi repressivi scelti dagli apparati istituzionali. La posizione dei partiti può generare tolleranza verso i gruppi terroristi o contribui­ re ad isolarli. Attraverso i mezzi di comunicazione di massa, si può aiutare a diffondere il messaggio dell’insurrezione ar­ mata o danneggiare le formazioni clandestine, offrendo un’immagine caricaturale dei loro militanti. Le diverse con­ dizioni ambientali aiutano a spiegare non solo le differenze strutturali e ideologiche esistenti tra gruppi emersi in perio­ di o ambienti differenti, ma anche i cambiamenti della stes­ sa formazione nel tempo. Considerando le organizzazioni clandestine come orga­ nizzazioni politiche, lo studio delle loro origini deve prende­ re in considerazione la struttura delle opportunità politiche per loro disponibile. Questo concetto — già utilizzato nello studio dei movimenti collettivi — è stato definito come l’in­ sieme di opportunità e vincoli esistenti per l’uso di forme non convenzionali di azione politica2’. Nelle analisi sui movimenti collettivi, sono state consi­ derate come rilevanti per la definizione delle situazioni in cui è più probabile che l’azione collettiva si sviluppi le se-

21 Cfr. Tarrow [1983]. 29

guenti variabili: la relativa chiusura o apertura dell’accesso formale alla politica, in termini di capacità di risposta a spe­ cifiche domande; la stabilità delle adesioni all’interno del si­ stema politico, indicata dalle fluttuazioni elettorali; la strut­ tura potenziale delle alleanze, come disponibilità e orienta­ mento degli attori politici2'1. Non solo le condizioni del si­ stema politico in relazione a queste variabili, ma soprattutto la percezione che i diversi attori ne hanno, influenza la loro scelta delle forme di azione collettiva. Mi sembra però importante aggiungere che, probabil­ mente, queste variabili funzionano in modo diverso a secon­ da che esse debbano spiegare il nascere di un movimento o le sue possibilità di successo, la cooptazione di alcune orga­ nizzazioni o il sorgere di gruppi violenti. Nell’utilizzare questo concetto per l’analisi delle origini del terrorismo si guarderà, in particolare, alla reazione degli apparati dello stato e degli attori politici rispetto al fenomeno. Apparirà che il terrorismo emerge e si rafforza in una situazione di progressiva radicalizzazione di alcune organizzazioni del settore dei movimenti sociali di fronte ad una risposta in­ tempestiva e inefficace da parte degli attori istituzionali. Le organizzazioni del terrorismo italiano emergono in­ fatti all’interno di due cicli di protesta2', uno della fine de­ gli anni sessanta e l’altro della metà degli anni settanta. Gli effetti del declino del primo ciclo, particolarmente lungo nel caso italiano, si sono sommati cosi all’innescarsi di nuovi conflitti, portando all’adozione di forme d ’azione partico­ larmente violente. Lo sviluppo della violenza politica nel nostro paese è stato, in primo luogo, facilitato dalla risposta istituzionale alla protesta. Mentre l’estremismo neo-fascista riceveva protezioni da parte dei servizi segreti, coinvolti an­

24 Ibidem, pp. 140-144. 23 Un ciclo di protesta è stato definito come «composto da una serie di decisioni individuali e di gruppo volte a fare uso di azione collettiva conflittuale, da parte sia di attori di “ movimento” che di attori non di movimento, e dalle risposte alla loro azione, da parte sia delle élites che degli altri attori» [della Porta e Tarrow 1986, 610]. Si ha un ciclo di pro­ testa quando gli eventi di protesta si intensificano nel tempo, la protesta si estende a settori sociali e aree geografiche differenti, e vengono utiliz­ zate nuove forme d ’azione collettiva [Tarrow 1983].

30

che nelle stragi del terrorismo nero, il tipo di utilizzazione delle forze dell’ordine durante le manifestazioni pubbliche contribuiva ad una escalation della violenza che sarebbe du­ rata per tutti gli anni settanta. Se tra la fine degli anni ses­ santa e l’inizio del decennio successivo, i conflitti all’inter­ no della classe dirigente avevano fatto temere una inversio­ ne autoritaria, alla metà degli anni settanta l’ipotesi di com­ promesso storico proposta dal Pei aveva deluso le speranze di un’alternativa di governo. Negli anni settanta, gli scanda­ li politici continuavano a susseguirsi senza che il governo riuscisse a portare a termine le più urgenti riforme. Nel cor­ so di tutto il decennio, l’esistenza di alti livelli di instabilità nell’alleanza di governo, unita alle strumentalizzazioni che del pericolo terrorista venivano fatte dalle varie parti, inde­ boliva la capacità di risposta delle istituzioni. Ma ancora una specificazione è necessaria per l’analisi degli effetti della struttura delle opportunità sull’emergere del terrorismo. La struttura delle opportunità è mutevole nel tempo e differenziata per i diversi tipi di organizzazioni compresenti in uno stesso movimento collettivo. Se alcune condizioni ambientali sono necessarie perché si realizzino alcune scelte, è anche vero, tuttavia, che le organizzazioni mantengono una certa autonomia decisionale. C ’è, cioè, la possibilità di una scelta strategica come processo attraverso il quale le diverse esigenze vengono soppesate, con un certo margine di decisione fra mete e metodi alternativi. L ’orga­ nizzazione può, in una certa misura, definire il suo «territo­ rio di caccia» (domain), decidendo quali prodotti o servizi offrire, con quali fornitori e clienti entrare in contatto. A t­ traverso l’ideologia, l’organizzazione seleziona il suo am­ biente di riferimento (task environment) e ritaglia la sua po­ sizione all’interno di esso26. Nell’analisi della protesta si

26 II grado di autonomia delle scelte decisionali rispetto a condizioni ambientali date è un problema spesso discusso nella sociologia dell’orga­ nizzazione. Un approccio a lungo prevalente — la open system theory — ha considerato le organizzazioni come coalizioni di interessi, fortemente influenzate dall’ambiente che le circonda. Esso determinerebbe non solo le loro caratteristiche e i loro fini, ma anche la loro evoluzione, selezio­ nando le organizzazioni incapaci di adeguarsi. Q uesta è anche l’ipotesi avanzata dal population ecology approach, sulle cui principali ipotesi si rin31

può, infatti, osservare che non solo ogni periodo storico ve­ de l’azione contemporanea e necessariamente interagente di diversi movimenti collettivi, ma inoltre più organizzazioni fanno riferimento allo stesso movimento collettivo, e più movimenti collettivi operano nello stesso contesto storico. All’interno dello stesso settore dei movimenti sociali21, più gruppi sociali e organizzazioni politiche si differenziano nel­ le ideologie e nelle pratiche adottate. Le diversità sono spes­ so enfatizzate dai differenti gruppi al fine di definire un’i­ dentità collettiva autonoma all’interno di un’area. Sulle scelte dei leader delle singole organizzazioni di movimento incide, cioè, il bisogno «imprenditoriale» di competere con gli altri gruppi, definendo se stessi attraverso una identità politica che permetta di occupare alcuni spazi in cui vi è mi­ nore competizione. In presenza di certe precondizioni am­ bientali, alcuni gruppi decidono di sperimentare opzioni strategiche che, attraverso una radicalizzazione dei reperto­ ri e dei modelli organizzativi, permettano loro di distinguer­ si dalle altre organizzazioni operanti all’interno dello stesso movimento e reclutare militanti nelle aree più propense alla violenza. In condizioni di smobilitazione, l’accentuazione dell’uso delle tattiche violente e la compartimentazione delle strut­ ture organizzative verranno difese da alcune organizzazioni di movimento sociale e non da altre, addirittura solo da al­ cune delle fazioni presenti in una organizzazione, giustifi­ cando e promuovendo allo stesso tempo il conflitto all’inter­ no della leadership. Come si vedrà, l’emergere di formazioni clandestine è dunque conseguenza di un processo di polariz­ zazione e scissione tra fazioni moderate e fazioni radicali, all’interno del settore dei movimenti sociali e all’interno di

via a Hannan [1980]; e Hannan e Freeman [1977]. Secondo invece la clo­ sed system theory, le decisioni organizzative vengono prodotte nel conflit­ to tra i diversi interessi interni, che lasciano spazio, tuttavia, ad una plu­ ralità di giochi per ogni coalizione. Si rinvia su questo punto a Panebian­ co [1982], 27 II settore dei movimenti sociali è stato definito da Garner e Zald [1981] come la rete di relazioni di conflitto e cooperazione delle organiz­ zazioni di movimento in una società in un momento storico dato. 32

una stessa organizzazione, in una fase di smobilitazione del­ la protesta. I gruppi più poveri di risorse che favoriscono la contrattazione vi suppliscono con quelle simboliche offerte da\Yescalation ideologica. Il processo di radicalizzazione di alcune componenti può essere così visto come differenzia­ zione dell’offerta, nell’ambito di una competizione interna al movimento28. Si sosterrà, quindi, che la costruzione di strutture illegali a scopo di difesa aumenta la possibilità che, di fronte a difficoltà di sopravvivenza dell’organizzazione, una sua frazione sperimenti la radicalizzazione delle forme d ’azione come una delle opzioni possibili per superare la cri­ si. La scelta della clandestinità da parte delle formazioni terroriste può essere considerata come il frutto di una decisio­ ne tendente a mettere al riparo il gruppo dalle minacce di distruzione provenienti da forze esterne. L ’emergere del terrorismo di sinistra verrà, così, analizzato come adatta­ mento internamente differenziato del settore dei movimen­ ti sociali alle diverse tappe dei cicli di protesta in relazione alla struttura delle opportunità presente. Una seconda parte della ricerca è dedicata al funziona­ mento delle formazioni armate. Verranno, quindi, analizza­ te sia le motivazioni all’adesione e al mantenimento della partecipazione nelle organizzazioni clandestine che le stra­ tegie da esse adottate per il raggiungimento di alcuni obiet­ tivi. Le motivazioni individuali all’adesione sono uno dei te­ mi centrali dello studio delle organizzazioni clandestine. Le spiegazioni sociologiche della partecipazione ad attività po­ litiche violente hanno spesso, come si è detto, guardato alle caratteristiche dell’estrazione sociale o della struttura della personalità dei militanti, considerati in genere come devianti. Fino a un paio di decenni fa, l’adesione a qualsiasi forma non istituzionale di comportamento collettivo veniva consi­ derata come conseguenza dello sradicamento sociale dei sog­ getti. I nostri dati indicano, invece, che la decisione di ade­

28 E così applicabile anche ai gruppi più radicali l’affermazione se­ condo la quale: «La competizione fra organizzazioni incluse nello stesso settore prende la forma di una leggera differenziazione del prodotto (of­ frire beni marginalmente differenti) e specialmente di differenziazione tattica» [Zald e McCarthy 1980, 6], 33

rire alle formazioni armate veniva presa da individui che erano inseriti in dense reti di rapporti amicali, sviluppati al­ l’interno di piccoli gruppi politicamente attivi. Questa scel­ ta non veniva, inoltre, compiuta individualmente, ma da nuclei di persone legate l’un l’altra da rapporti affettivi di varia natura e da comuni esperienze di militanza. Le carat­ teristiche di questa militanza erano tali da accrescere enor­ memente il ruolo della politica nella definizione della pro­ pria identità e, al contempo, di socializzare gradualmente all’utilizzazione della violenza, così che l’ingresso nelle or­ ganizzazioni della lotta armata avveniva in modo graduale e non era percepito come una grossa frattura rispetto alle forme d ’impegno precedenti. Il mantenimento dell’impegno nel gruppo clandestino era poi favorito dall’innescarsi di una serie di meccanismi di non-ritorno che riducevano le possibilità di abbandono. La riduzione dei contatti con l’esterno era compensata da una sempre maggiore identificazione con la comunità della lotta armata, mentre l’interiorizzazione dell’ideologia dell’orga­ nizzazione riduceva la percezione della realtà esterna. Il for­ te investimento iniziale e gli alti costi già pagati rendevano psicologicamente difficile l’abbandono, spingendo invece a rilanciare il proprio impegno. Per chi era latitante, o rischia­ va di diventarlo, i bisogni materiali, in termini di denaro, alloggi, documenti falsi, accrescevano la dipendenza dall’or­ ganizzazione clandestina. Questi stessi fenomeni relativi alla partecipazione pos­ sono essere osservati anche guardando ai comportamenti delle formazioni armate. Nell’affrontare questo tema, va preliminarmente ricordato che è a lungo prevalsa nella lette­ ratura la definizione dell’organizzazione come comunità orientata al perseguimento dei fini esplicitati dall’ideologia del gruppo. Questo tipo di approccio ha, probabilmente, scoraggiato lo studio del funzionamento delle formazioni clandestine. Se si guarda, infatti, alle organizzazioni in rela­ zione alla loro capacità di avvicinarsi allo scopo dichiarato, i gruppi terroristi appaiono come organizzazioni anomale, incapaci di azione strumentale. Non a caso, nel gergo politi­ co si sono moltiplicate le definizioni dei gruppi terroristi co­ me variabili «impazzite» e nel linguaggio dei media ogni 34

nuovo crimine è stato stigmatizzato come «follia, omicida» (diversamente che, ad esempio, nel caso dei delitti mafiosi o di criminalità comune). In assenza di altre vie per spiegare la logica di funzionamento delle formazioni armate, un’op­ zione affascinante, per quanto di complessa verifica empiri­ ca, è apparsa la interpretazione del terrorismo come stru­ mento di una guerra surrogata tra i servizi segreti di diverse nazioni29. Riflessioni «dietrologiche» sul cui prodest hanno così accompagnato i tentativi di capire la logica di ferimenti ed assassini, sempre meno comprensibile in relazione ai fini proclamati dal gruppo. La logica del comportamento delle formazioni clandesti­ ne può essere, invece, spiegata all’interno di uno schema teorico in cui gli obiettivi reali vengono distinti dai fini di­ chiarati. E stato già osservato nell’ambito della teoria delle organizzazioni che le mete ufficiali non costituiscono la principale ragion d ’essere di un gruppo formale, che deve, invece, assolvere contemporaneamente a obiettivi di vario tipo"'. Sono state così individuate delle mete operative, come fini da esso effettivamente ricercati attraverso le scel­ te realmente operanti. In questo modo, anche l’agire delle formazioni clandestine potrà essere interpretato come con­ seguenza di scelte dotate di una certa, seppur limitata, ra­ zionalità, compiute dagli stessi attori in relazione alla valu­ tazione delle risorse disponibili e dei diversi obiettivi rag­ giungibili 2