Il pensiero politico in Platone : la vita politica come scelta di vita morale
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Zitiervorschau

FRANCO CATENARO

Il pensiero politico in Platone La vita politica come scelta di vita morale

Prefazione di Mario Vegetti

RICERCHE&REDAZIONI Universjdad de I\-lavarra Servicio de Bibliotecas

"", Amico mio mirabile, di tutti voi, voi che della giustizia vi alzate a difinsori, a cominciare dai primi eroi, de! tempo che fu, i cui discorsi si sono mantenuti fino ai nostri giorni, nessuno ha condannato !'ingiustizia o lodata la giustizia, quanto piuttosto la foma, gli onori, i premi che ne risultano: ma per quella che è la giustizia in sé, quello che è in sé l'ingiustizia, quello che è il loro genuino valore nell'anima in cui si trovano, senza che Dei e uomini le conoscano, nessuno ancora, né in versi né in prosa, ha esaurientemente e logicamente dimostrato che l'una è di tutti il male più grave dell'anima, mentre l'altra, la giustizia è il bene più alto dell'anima ... " (Rep., II, 366 d-367J Direzione editoriale GIACINTO DAMIANT

Coordinamento progetto editoriale NICOLA CA'rENARO

Quello Stato in cui il comando è affidato a coloro che meno di tutti banno

Progetto grafico BARBARA MARR.AMÀ

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il desiderio, sarà per forza il migliore e il

più felicemente governato ... perché è soltanto in uno Stato simile

che avranno il potere i veri ricchi, non ricchi d'oro ma di virtù e sapienza, fa ricchezza cioè di chi è veramente felice"

COPYRIGHT 20r 3 RICERCHE&REoAZIONI

RrCERCHE&REDAZIONI GIACINTO DAMlANI EDITORE

Via Francesco Franchi, 25 64100 Teramo Italia

T +39 0861219242 F +39 0861219242 C +39 348 2643221 info@ricerchecrcdazionLcom www.ricercheeredazioni.com

ISBN 978-88-88925-57-8

(Rep., 521 a)

Indice

Prefazione, di Mario Vegetti

Il

Presentazione, di Nicola Catenaro

15

Introduzione

17

PARTE PRIMA. LA MAPPA, GLI STRUMENTI

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l Un criterio nuovo per comprendere Platone

("Le dottrine non scritte")

27

Il dialogo orale o la scrittura?

27

Il mito di Theuth

28

Il discorso che "si scrive con scienza nell'anima"

29

La diffidenza di Platone nei confronti della scrittura

31

rincontro di Platone con Dionisio: le caratteristiche dei due personaggi

34

Il filosofo non affida tutto il suo pensiero alla scrittura

37

La funzione dell'''ipomnematica''

38

Il dialogo socratico

39

Lesposizione "globale" di Platone della Scuola di Tubinga

40

La tradizione "indiretta": Aristotele

40

II La crisi della società e la rifondazione filosofica della politica alla luce del sapere

Le traduzioni dei dialoghi di Platone, ove non diversamente indicato, sono tratte da Opere politiche di Platone, a cura di F. Adorno, Torino, Utet, 1953.

42

rambiente storico

42

Lonestà e la politica

43

La delusione per la politica

44

Platone e la democrazia: lo spirito antidemocratico

Cronologia degli scritti politici

46 48

Il Gorgia: la polemica contro la Sofistica

49

La pratica della giustizia La missione del filosofo La dimensione politico-educativa dell' opera di Platone III La Repubblica di Platone è realizzabile?

Utopia e realtà della città ideale di Platone La Costituzione proposta è attuabile?

Dalla Repubblica alle Leg-gi Il Politico: "l'arte della misura"

Le Leggi La religione

Una nuova filosofia politica

52 53 55 51

57 60 61 61 61 62 62

III L'educazione dei custodi

98

Formazione dell'uomo

98 99 101 103

Educazione dell'anima (musica) Educazione fisica (ginnastica)

La scelta dei custodi IV I difènsori e le altre classi Il benessere individuale di ciascuna classe si deve inserire nel benessere collettivo

I limiti dello Stato. Ricchezza e povertà Il problema delle donne e dei figli: leggi sui matrimoni V Lo Stato giusto Le quattro virtù Prudenza

PARTE SECONDA. LE RADICI, IL PERCORSO

65

I Alla ricerca del fondamento dello Stato: la giustizia

61

La festa al Pireo, l'ambiente e l'incontro di Socrate

con Cefalo Il problema della giustizia e la tesi della tradizione (Cefalo - Polemarco) Trasimaco e l'atteggiamento di Socrate L'obiezione di Glaucone e il contrasto Natura-Legge Giustizia, ingiustizia ed utilitarismo

Il problema fondamentale della Repubblica I! Genesi ed organizzazione dello Stato

Giustizia

113

113 113 114 115 116

VI Valore delle leggi nello Stato giusto

120

69 73 86 87 88

VI! I Filosofi Re

125

92 92

Degenerazione di uno Stato

94 95

I difensori dello Stato

Temperanza

105 106 107

67

Le origini dello Stato Necessità di difendere lo Stato

Coraggio

105

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Il filosofo è il solo che possa realizzare lo Stato perfetto Lobiezione di Adimanto e la risposta di Socrate Il Sommo Bene: suo valore e significato

Lascesa dal mondo sensibile al mondo intelligibile: il mito della caverna L educazione del filosofo, perfetto custode dello Stato VIII Le flrmè degeneri di uno Stato Lo Stato perfetto e le sue degenerazioni La Timocrazia

LOligarchia

125 128 131 133 137.

141 141 143 144

Prejàzione La Democrazia

La Tirannide

IX Dalla premessa alle conclusioni Immagini dell' Atene democratica: la genesi della tirannide I rapporti tra !'individuo e lo Stato La vera felicità è quella del sapiente La felicità dell'uomo giusto e l'infelicità del tiranno Il concetto di libertà, come consapevole scelta del proprio destino. Presupposto della felicità dell'uomo (il mito di Er) X L'educazione allo Stato ideale: la politica e l'uomo politico La politica vista attraverso l'esempio dell'arte tessile Le costituzioni politiche esistenti, la "vera politica" e la scienza La legge non scritta e la legge scritta L:uomo politico: "il tessitore" ovvero "l'abile dialettico"

146 148 152

152 161 163 164 171

116 176 179 183 187 190

XI Il nuovo Stato e le sue leggi La fondazione del nuovo Stato sul modello della Repubblica ideale La religione e le leggi a fondamento del nuovo Stato La famiglia e la proprietà privata Le classi del nuovo Stato Le gerarchie e i capi di Stato La concezione della donna nel V libro della Repubblica Educazione e politica: principi e finalità Conclusione: ultimo appello di Platone

190 192 198 205 212 214 215

Bibliografia

227

223

La questione del carattere politico della Repubblica, e addirittura quella dell'esistenza di un pensiero politico di Platone, è stata sollevata negli ultimi decenni da numerosi autorevoli studiosi, soprattutto di area anglosassone (Annas, Ferrari, Blossner e altri). Troppo radicali le sue proposte - il collettivismo estremo, fino all' abolizione della proprietà privata e della famiglia, l'idea illuministica del governo di una élite filosofica legittimata dal sapere - per risultare compatibili con ciò che oggi si considera l'ambito di un pensiero politico ragionevole ed accettabile. Si è dunque ritenuto che l'interesse di Platone fosse "socraticamente" rivolto in modo esclusivo all' etica individuale, alla riforma morale del soggetto, e che la dimensione politica avesse tutt' al più un valore metaforico rispetto a questa esigenza primaria l,

Ora, va detto che negare il nesso fra etica e politica significa a mio avviso distruggere uno dei pilastri portanti di tutto il pensiero platonico, che ha appunto nell' etica e nella politica, oltre che nell' ontologia e nell' epistemologia, i vertici che vengono instancabilmente esplorati e messi in comunicazione reciproca dal lavoro dialettico in cui

consiste la stessa filosofia di Platone. La politica senza l'etica, l' ontologia, l'epistemologia, sarebbe una prassi cieca, una pura gestione interessata del potere; ma ontologia, epistemologia, etica, private di una proiezione politica, sarebbero agli occhi di Platone una produzione teorica inerte, incapace di incidere sulla vita reale degli uomini, che si svolge sempre in una società, cioè appunto in una dimensione

!

Ho ricostruito e discusso questa vicenda esegetica nel mio libro «Un paradigma in cielo»,

Platone politico da Aristotele al Novecento, Roma, Catocci, 2009. 11

politica. E il compito ultimo della filosofia è quello di mirare a una vita migliore per gli individui e per la loro comunità: prescindere da questa esigenza significa davvero fraintendere l'intenzione di fondo del pensiero di Platone, che prosegue ed estende per questo aspetto quello del suo maestro Socrate. Uno dei meriti principali della ricerca di Franco Catenaro sta appunto nell'aver coerentemente rivendicato la centralità della questione politica nel pensiero di Platone, e il nesso costitutivo fra etica e politica che esso istituisce (come già indica il sottotitolo, La vita politica come scelta di vita morale). A questa tesi Catenaro dedica un' ampia ricostruzione dell' ambiente politico-culturale in cui si è formato il pensiero di Platone, e un' accurata indagine sulla struttura e la concatenazione dei suoi scritti eminentemente politici, dal Gorgia alla Repubblica, dal Politico alle Leggi. Ma è la Repubblica cui va l'interesse principale di Catenaro, che affronta la questione decisiva della realizzabilità del progetto utopico che vi viene delineato. Egli esclude a ragione che il modello della kallipolis sia un mero "castello in aria", un sogno utopistico senza presa sulla politica reale, pur non attribuendo a Platone la convinzione di una sua piena e fedele traducibilità nella realtà storica. Si tratta invece, scrive giusta- ' mente Catenaro, della «consapevolezza che uno Stato ideale e giusto può diventare il modello cui uniformare l'azione politica», appunto quel "paradigma in cielo" che può e deve orientare la condotta morale dell'individuo impegnato nella sua comunità. Gli specialisti potranno certo rilevare nel lavoro di Catenaro aspetti suscettibili di discussione e qualche lacuna rispetto alla peraltro sterminata bibliografia platonica. Questo lavoro presenta tuttavia un pregio che spesso è assente nelle opere specialistiche: la partecipazione intelligente e appassionata a quella che l'autore riconosce come la tesi centrale di Platone, cioè l'esigenza di un'ispirazione morale 12

dell' azione politica, e di una proiezione politica dei valori morali. Il mondo attuale è in grado di testimoniare fin troppo bene dei guasti prodotti da una politica senza orizzonti etici, e da un' etica estranea alla politica. Perciò un libro come questo si raccomanda alla lettura e alla riflessione di un pubblico ampio, di persone colte come di insegnanti e studenti, interessato alla lezione che Platone può ancora offrire al nostro tempo. MARIO VEGETTI

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Presentazione

"Il problema politico in Platone" è il titolo della tesi di lautea con la quale, nel 1964, a LAquila, mio padre concluse i suoi studi universitari. Un' esperienza che lui custodisce da sempre tra i ricordi più belli del proprio percorso formativo e professionale. Non mancano gli aneddoti ad arricchirne la memoria. Come quello che vide il presidente della commissione esaminatrice, nel corso della discussione, chiedergli: "Ma lei ha letto molto Platone?". E lui, di rimando: "Purtroppo!". La reazione del presidente fu uno sguardo meravigliato e pieno di curiosità. Intervenne il relatore, con una punta di preoccupazione, a riportare la serenità: "Presidente, il candidato voleva dire ... pure troppo!". Nell'aula, affollatissima di amici, mio padre era alle prese con l'esame più difficile: la discussione di una tesi che gli era costata più di tre anni di duro impegno e qualche incomprensione di troppo con il docente che lo seguiva. Tanto che aveva pensato di abbandonare l'impresa. E invece il primo impatto con la realtà extra-universitaria fu rappresentato da un coro di consensi e dall'invito a pubblicare il lavoro. Una sorpresa inaspettata. La cosa, tuttavia, non era cosÌ semplice: la pubblicazione non dipendeva tanto dal valore culturale della tesi, quanto, più semplicemente, dal suo "valore economico". Ai complimenti della commissione esaminatrice seguirono i consigli del relatore che, pur mostrandosi scettico sulla pubblicazione, gli fornì un lungo elenco di libri da consultare. Mio padre diede un' occhiata alla lista, in cui comparivano alcuni titoli che già sapeva non avrebbe mai letto. Socrate e Platone in una raffigurazione del XIII secolo.

Tentò da solo di trovare un editore, ma senza alcun risultato: l'impostazione non era quella alla moda, non risultava interessante 15

una tesi che sosteneva ancora valido l'impianto idealistico filosofico dell' opera di Platone. Dopo molti anni, quel lavoro è finito per caso nelle mie mani, abituate a maneggiare articoli giornalistici, poesie e racconti più che testi di filosofia. Avevo però già letto alcune opere di Platone quali l'Apologia, il Critone e il Fedone, attratto soprattutto dalla capacità del grande filosofo ateniese di raccontare con immagini a volte fortemente suggestive la ricerca di verità dell'uomo. Un caso fu anche la "scopertà' del testo di Enrico Colli, curatore, nel 2007 per Adelphi, di uno scritto del padre Giorgio: il "Platone politico", risalente al 1937, pubblicato per la prima volta nel 1939 all'interno della «Nuova Rivista Storica» diretta da Corrado Barbagallo. Una casualità non priva di significato. Sembrava però impossibile poter ripetere la stessa esperienza, anche se il libro di Colli nasceva da circostanze apparentemente simili legate al rapporto tra morale e politica. Con mio padre si iniziò timidamente a parlare di impostazione, suddivisione e sviluppo dell'eventuale lavoro. Si trattava non tanto di aggiornare la tesi, basata sull' analisi dei testi di Platone che appaiono, ancora oggi, straordinariamente attuali rispetto al dibattito in corso sull' eticità della politica, quanto di capire - attraverso la lettura di nuovi testi e gli spunti di chi ha riletto recentemente il Platone politi-· co - se la ricerca successiva proponesse percorsi interpretativi diversi.

Il risultato è questo libro, la cui partizione rispecchia il tentativo di fornire in anticipo la mappa e gli strumenti (prima parte) per capire successivamente le radici e il percorso (seconda parte) del pensiero di Platone. Un lavoro nuovo rispetto a quello del 1964 ma che conserva intatta la tesi di allora: lo stato ideale di Platone è realizzabile, sì, nella misura in cui l'uomo saprà, avvicinandosi all'Idea, realizzare un mondo più giusto ed equo per se stesso e per gli altri. NICOLA CATENARO

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Introduzione*

Il pensiero politico di Platone è indubbiamente molto complesso per la vastità dei problemi che investe e per il suo sviluppo, non molto lineare, perché legato alle molteplici vicende della sua vita. Queste difficoltà si rilevano attraverso una lettura critica dei suoi scritti, nei quali egli manifesta chiaramente delusioni ed amarezze, che nascono dalla sua incapacità di inserirsi e aderire alla mentalità degli uomini politici della sua epoca. In ogni dialogo, infatti, Platone esprime le contraddizioni di un uomo continuamente in lotta con se stesso per l'intimo contrasto tra l'esigenza di un mondo ideale e la realtà del suo tempo, in cui il profitto personale, l'egoismo e l'accaparramento politico di uomini incapaci e senza scrupoli, prevalgono sulle ragioni ideali. Questi sono i motivi essenziali da cui scaturisce la sua coraggiosa ed appassionante condanna dell'incoscienza con la quale i politici ateniesi lottano per ottenere i posti più elevati nelle cariche pubbliche. Ma più che altro, le sue opere sono una proiezione del suo animo verso verità nelle quali egli crede profondamente, così come crede nell' attuabilità di una giustizia politica che si fondi sulla coscienza e sulla volontà di operare bene, alla luce di una realtà superiore che spiega e giustifica il nostro stesso essere. Questa fede profonda nei valori eterni e spirituali e l'amara constatazione di come gli uomini del suo tempo li concepiscono creano nel suo animo un contrasto vÌvÌssimo, che si rivela trepidante e spesso polemico in ogni suo dialogo.

* Già pubblicato in Annuario 1972-1973 del Liceo Ginnasio ''Melchiorre Dèlfico': Teramo, pp. 182-203.

17

Tale contrasto appare maggiormente nel Politico e nelle Leggi, ave Platone, ormai vecchio e deluso da amare esperienze sofferte, ma

r

sempre proteso verso amore per la verità e la giustiziaI tenta invano

riscontro nella vita terrena, se non come esigenza innata nell'uomo.

Nelle Leggi, Platone è consapevole di rivolgersi ad esseri umani e logicamente le sue teorie sono più aderenti alla realtà. Ebbene, con tutto questo, sia nel Politico che nelle Leggi, Plato-

di accostarsi alla mentalità politica dell' epoca. Nella Repubblica, egli afferma i suoi ideali con più vigore e molte pagine inducono alla riflessione, per le verità ivi contenute. Ma anche nel Politico e nelle Leggi, ave a torto molti vedono un rilassamento del pensiero platonico, quel fervore morale e quella fede nei supremi valori ideali non vengono meno. Certamente, data la sua tarda età, nelle Leggi Platone giunge ad una maggiore maturità di pensiero, e le sue idee sono esposte in maniera più aderente ad una realtà politica concreta. Ma, alla fine delle Leggi, egli, quando sembrava che il suo atteggiamento fosse mutato, ritorna agli ideali della Repubblica. Pertanto non deve trarci in inganno la forma della nuova dottrina politica esposta nell'ultimo dialogo, nel quale sostanzialmente il pensiero platonico è rimasto uguale a quello dell'ideale Repubblica. Se nelle Leggi ci sono affermazioni che contraddicono quelle della Repubblica, come ad esempio la proprietà privata o la forma di un governo misto (teorie molto discusse dai critici), ciò non significa' che Platone abbia modificato il suo pensiero. Nelle Leggi, è vero, egli si esprime in termini più pratici; ma è anche vero che Platone non ci parla più di uno Stato perfetto, ideale, bensÌ di costituzioni e Stati storici, che considera, cosÌ come SO~ no, per enucleare dalle une e dagli altri leggi e consuetudini migliori e cercare di attuare lo Stato che somigli, per quanto è possibile, alla "costituzione più verà'. La teoria politica della Repubblica è diversa da quella delle Leggi solo in quanto diversi sono i mondi cui Platone si rivolge. Nella Repubblica, egli parla di uno Stato perfetto, che non ha alcun

Il dibattito è tuttora alimentato da diverse ed opposte posizioni critiche come si può leggere in alcuni articoli pubblicati sul "Corriere

18

19

ne conserva ancora radicate nell' animo le sue ferme concezioni di un

governo dei migliori, di gente consapevole dei propri doveri e delle proprie responsabilità; come pure conserva lo spirito polemico contro le società del suo tempo e il disprezzo per la massa, per lui ignorante ed incapace a svolgere mansioni importanti in seno allo Stato. Per questa ragione ampia parte di questo lavoro è dedicata all' esposizione della Repubblica, i cui motivi fondamentali continuamente si ritrovano nel Politico e nelle Leggi, dai quali Platone non si è mai staccato, perché frutto di un'insopprimibile esigenza di un mondo migliore, sorretto dalla giustizia e dalla verità.

La rilettura dei testi ha sostanzialmente confermato l'interesse politico che caratterizza tutta la produzione filosofica di Platone, fin dagli anni Sessanta considerato una via originale da seguire per gli studiosi che generalmente esprimevano nelle loro opere un indirizzo prevalentemente metafisica e religioso: "La passione di tutta la mia vita e la motivazione chiave che mi ha spinto a filosofare è stata la ricerca di una comunità in cui l'uomo potesse vivere in pace e giustizia con i suoi simili", cosÌ ne delinea il profilo Stenzel nel suo libro Platone educatore, contribuendo a divulgare il suo pensiero fin dal 1936. Quest'interpretazione si accompagna a quella religiosa e metafisica dalla quale la critica si è ormai allontanata per seguire l'attualità della "dimensione politico - educativa", ancora oggi ritenuta valida per la conoscenza di Platone.

della Sera», tra la fine di luglio e i primi di agosto del 2010, in occasione del Congresso mondiale della Società Platonica Internazionale. "Sbaglia chi nega la dimensione politica del filosofo ateniese", così scrive Mario Vegetti nella relazione d'apertura al convegno sul pensato re greco. E riconduce questa tesi critica alle posizioni di Eric Voegelin e Leo Strauss, i quali seguono la via della confutazione degli argomenti di Karl Popper, per il quale Platone non poteva essere considerato il precursore di una "cattiva politica" totalitaria, ma "nutriva simpatie di tipo liberale, e addirittura, democratico". Si trattava di un "sostanziale fallimento": come dire che ''l'interpretazione di Popper aveva mancato il bersaglio e questa defaillance non era in alcun modo difendibile sulla base dei testi". Interessanti appaiono alcuni temi proposti da Vegetti nella sua relazione al convegno di Toldo che possono essere considerati, nello stesso tempo, una risposta ai tanti problemi che Platone ha posto in tutti questi anni, ma anche delle domande importanti nell'ambito della ricerca: a) In quale misura è utile e produttivo un pensiero dell'utopia politica e quali i rischi? Quale il ruolo della filosofia nella politica? . b) A proposito del progetto della natura umana e della sua perfettibilità utopica, quale tipo di antropologia può essere perseguibile? c) Per quali ragioni i contenuti della Repubblica utopica sono considerati come un "a priori" possibile nell' ambito del pensiero politico? Se questa prospettiva non viene considerata possibile, "non è meglio seguire la via della confutazione, mostrando come Aristotele che si tratta di "cattiva politica", piuttosto che negare che si tratta tout court di politica? i

A questo punto, dice Vegetti, appare chiara l'esigenza di "ricontestualizzare" Platone nella sua dimensione storica, politica e culturale (Aristotele, Tucidide, Sofisti oligarchici e Socratici) evidenziare il senso di rifiuto o di attrazione verso le tiranni di del IV secolo, il rapporto tra la Repubblica, il Politico, le Leggi. Questo è possibile "solo se si riconosce il carattere politico alla Repubblica". Si possono condividere o rifiutare le idee di Platone che vi sono esposte ma sicuramente bisogna comprenderle, è il monito di Vegetti. "Negarne l'esistenza e la forza nel tentativo di difendere Platone da se stesso prima ancora che dai suoi critici non è una buona strategia storiografica" afferma lo studioso, che così conclude: "Meglio fare a meno della Repubblica se si considera inaccettabile, che offrirne un'immagine edificante, depotenziata, insomma normalizzata dal punto di vista del senso comune dei nostri tempi". "Per favore non correggete Platone. Sbaglia chi nega la dimensione politica del filosofo ateniese", come già si è ricordato all'inizio, costituisce l'idea cardine su cui si fonda il dibattito sulla politicità o impoliticità del pensiero di Platone. Non è sulla buona strada (si è parlato prima del "bersaglio che viene mancato") chi sostiene il carattere impolitico della Repubblica; pretende di cancellare "il pensiero filosofico di Platone e, così, si rifiuta di comprenderlo". La risposta non si è fatta attendere: il 12 agosto 2010, sempre sul Corriere, Dario Antiseri scrive: "Platone è totalitario, va corretto. Popper ha ragione: filosofi e politici non possiedono la verità. Vogliono conoscere lo Stato perfetto per formare l'uomo perfetto", come vorrebbe fare Platone.

È il modello di ogni fatale presunzione ideologica che è alla base di tutte le concezioni totalitarie. Antiseri riferisce che anche Edward Zeller, nel Compendio di storia della filosofia greca, afferma che "la

i'i

iI II !

i·:i;:

20

21

costituzione dello Stato platonico è aristocratica, governo assoluto de-

aspirava all'idea di Bene Assoluto. Reale, pur dichiarandosi d'accordo

gli intendenti, dei filosofi, non limitato da alcuna legge." Così pure Theodor Gomperz, nella sua opera Pensatori greci, af-

su molte questioni con Antiseri, su questa esegesi si discosta dall'in-

ferma che alla classe dei dominatori Platone accorda "una potenza senza limiti", come dire che il sistema di governo della Repubblica è un sistema aristocratico direttamente collegato alle classi sociali che

terpretazione di Karl Popper che aveva presentato Platone come uno dei predicatori dell' assolutismo. Reale ricorda che lo stesso Platone, nei libri VIII e IX della Repubblica, presenta una delle più belle e approfondite analisi dell' as-

lo esprimono. Antiseri cita altri filosofi che hanno espresso posizioni abbastan-

solutismo e una dettagliata descrizione e interpretazione della figu-

za simili a quelle già ricordate e che "hanno condotto un'interessante

rappresentano il peggiore dei mali per l'uomo". E per quelli che volessero porre qualche obiezione Reale aggiun-

analisi sulla volontà di potenza che emerge dagli scritti di Platone",

ra

del tiranno con una condanna categorica: "il tiranno e la tirannia

Platone costituisce la giustificazione della sua politica antidemocra-

ge: "La chiave per una esegesi corretta del grande capolavoro di Platone è contenuta nel finale del libro IX, dove si dice che uno "Stato

tica, l'ideologia di ogni autocrazia".

ideale", come viene presentato nel corso delI'opera, non c' è in nes-

in particolare tre saggi di Hans Kelsen il quale scrive: "La mistica di

suna parte del mondo e forse non ci sarà mai." E precisa: "Ma forse Il filosofo è il solo a conoscere la giustizia, ragione per cui "può e deve guidare i suoi sottoposti ed esigere da loro una obbedienza in-

condizionatà' . Antiseri così chiude la sua analisi: "Certo, si tratta pur sempre di una interpretazione e, quindi, in quanto tale, 'falsificabile', 'contesta bile', come ogni altra teoria scientifica. Ma viene da chiedere: è . solo un puro caso che a Mosca, nella stele in cui vengono elencati i grandi pensatori comunisti, Platone figuri al primo posto?". A questo punto Antiseri, rivolgendosi a Berti, uno studioso di

il suo modello si trova nel cielo, a disposizione di chi desideri contemplarlo e, contemplandolo, in esso fissare la sua dimora. Non ha, quindi, importanza che una siffatta realtà attualmente esista o possa esistere in futuro perché comunque l'uomo potrebbe occuparsi di questa Città (ideale) e non di un' altra". "Il vero Stato ideale l'uomo lo deve costruire nella sua anima" secondo quel modello. Reale cita Jaeger affermando che molti, nell'intento di trovare dei

filosofia antica, gli ricorda l'interpretazione di Marino Gentile, nel

corrispondenti di quello Stato, hanno pensato di trovarlo in questo o quello stato vigenti in tempi moderni, cadendo in un "errore in cui

suo libro La politica di Platone (Padova, 1940), che attribuisce al fi-

Popper è caduto per intero". Lessenza dello Stato di Platone non si

losofo ateniese una concezione aristocratica dello Stato e della vita

può confondere con la sua organizzazione esterna ma nel suo nucleo spirituale, la sua essenza o realtà, il Bene Assoluto.

politica. Sul «Corriere della Sera» del 21 agosto 2010, Giovanni Realeri-

Di qui, il fronteggiarsi di due realtà (due città): quella costrui-

sofo greco, 'Tutopia del governo perfetto": Platone non fu totalitario,

ta dall'uomo plasmando la sua anima individuale sulla base dell'essenza divina e quella esternamente somigliante allo schema politico

22

23

sponde agli interventi di Vegetti e Antiseri sulla teoria politica del filo-

di Platone, ma priva dell'idea del Bene, fonte della sua perfezione e beatitudine. Si tratta della città terrestre e di quella divina, come in Agostino. Infine, Reale propone una riflessione sull'uomo politico che dovrebbe essere al vertice dello Stato ideale e sulle sue peculiari caratteristiche che lo rendono degno di assumere quel posto: egli dovrebbe essere capace di abbandonare le ombre della caverna ed operare una radicale conversione spirituale per vedere il sole, "passando dal divenire dell' essere come condizione necessaria per giungere a vedere l'essere nel suo splendore e, quindi, il bene che è il principio di " tutto. La conversione, sottolinea Reale, è secondo t'opinione comune un termine di significato prevalentemente religioso e, in particolare, cristiano. In realtà, il termine "conversione" esprime un significato soprattutto filosofico e, di conseguenza, anche religioso (Platone, VII libro della Repubblica). Reale cita ancora Jaeger: "La natura dell' educazione filosofica è veramente conversione nel significato spaziale (volgersi, voltarsi...)". È il voltarsi di tutta l'anima alla luce dell'Idea del Bene cioè all' origine del tutto. È la chiave per capire come il messaggio della Repubblica di Platone, quello della conversione dalle tenebre alla luce, trascenda radicalmente gli schemi riduttivi della politica moderna e sia valido per i politici di tutti i tempi, in modo particolare per quelli di oggi.

24

PARTE PRIMA LA MAPPA, GLI STRUMENTI

I UN CRITERIO NUOVO PER COMPRENDERE PLATONE ("LE DOTTRINE NON SCRITTE")

Il dialogo orale o la scrittura? Platone è stato il primo filosofo dell' antichità che ci ha lasciato tutti gli scritti. Prima di lui, Socrate non aveva lasciato nulla coerentemente con la ferma convinzione che egli "sapeva di non sapere" e, come tale, non poteva insegnare ad altri la verità. Platone ac-

coglie il messaggio di Socrate che si fonda sulla conversazione in forma di dialogo, Esso si rivolge ad interlocutori che sono sempre persone specifiche (a differenza dei Sofisti che si rivolgevano alla folla anonima), tende alla ricerca della verità e della virtù, consta di brevi discorsi fatti di rapide domande e risposte. Il dialogo platonico è anche considerato l'erede della tragedia greca, di cui riprende il ricorso al mito, la vivacità dei discorsi e la rappresentazione della realtà all'interno di uno spazio simile a quello scenico. Nei dialoghi platonici c'è la profonda aspirazione all' ordine e al bene nella città in crisi. Fonti antiche ci tramandano che Platone tenne dei discorsi intitolati "Intorno al Bene", che non volle mettere per iscritto ritenendo più opportuno, per l'importanza dell' argomento, la dimensione del ' (1400 ca-1482) Platone e Aristotele discutono di filosofia. Lucaeao ' cl Il R bb 1a

dialogo orale. In queste cosiddette "dottrine non scritte", egli sviluppa una specie di metafisica a sfondo pitagorico fondata sui concetti

il ii

I l::

27

di Bene, Uno, Diade 1• Su questa linea, alcuni studiosi moderni dicono: ciò che di ,Platone è rimasto celato, l'aspetto esoterico della sua dotmna, puo essere indagato. Da questa rivoluzione ("riletturà', secondo u~a ipotesi nuova2), l'affermazione che l'uomo filosofo non affida agI! SCrltt1 le cose di maggior valore e che la sua vera dottrina non si conclude con quella delle idee. Il vertice di questa struttura sarebbe rappresentato dai principi primi: Uno e Diade

3

.

Il mito di Theuth Gli scritti di Platone pongono anche un notevole ed interessante problema sulla interpretazione del suo pensiero. I~ due sue opere autentiche, il Fedro e la Lettera VII, egli critica la scrittura che non favorisce l'apprendimento della filosofia e della verità.. . "Ecco uello che Theuth4 disse quando si venne alla scrittura - Sl legge nel F;dro _ : questa conoscenza, ora, renderà gli Egizi più sapienti e ne svilupperà la capacità di ricordare: la scrittura fu lilven-, tata come medicina sia per la memoria che per la sapIenza ... tu, ora: in quanto padre della scrittura, mosso da affezione per essa, le haI

1

attribuito effetti contrari a quelli che realmente è in grado di produrre. Questa procurerà dimenticanza nelle anime di coloro che l'hanno ripresa, disabituandole a ricordare. Gli uomini, fidando nello scritto, richiameranno alla memoria le cose dall' esterno, per via di segni estranei, non già dal proprio interno per un impulso interiore. Quindi, tu hai inventato una medicina non per la memoria, ma per l'attitudine a fissare nella mente quanto si è appreso. E dai ai tuoi discepoli una parvenza di sapere non la verità. Essi, credendo di essere esperti in molte cose, oltre ad essere per lo più del tutto ignoranti, saranno scontrosi nei rapporti con gli altri, dato che avranno acquisito la presunzione della sapienza, anziché la vera sapienza. Si rivela pieno di ingenuità ed ignora veramente l'oracolo di Ammone', se pensa che i discorsi scritti rappresentano qualcosa di più del semplice richiamare alla mente di colui che già sa quanto in essi è scritto ... Questo ha di singolare lo scritto ed in ciò somiglia davvero alla pittura. Anche i prodotti di quell' arte stanno lì come figure viventi, ma, se si rivolge loro qualche domanda, rimangono in un rispettabile silenzio. Se tu, desideroso di apprendere, li interroghi su qualcuna delle cose che dicono, ti manifestano un'idea sola, sempre la medesima. Se viene maltrattato e oltraggiato ingiustamente, ha bisogno sempre del padre che lo soccorra. Da solo non è in grado di difendersi né di soccorrere se stesso"6.

Il discorso che '~i scrive con scienza nell'anima"

Cfr. G. REALE ~ D. ANTISERl, Storia della filosofia, voI. I, Milano, BompianL 2008, p. 294

esgg" 315-321, 472 c sgg. . 2 Lipotesi è stata formulata negli anni '50 e '60 dalla SClIola di Tubinga, i cui fondatOri SO~ no stati H. Kramer e K. Gaiser.

A questo punto, Socrate ritiene di spostare in avanti la ricerca, proponendo a Fedro di esaminare il discorso che "si scrive con scienza

Cfr. la traduzione delle dottrine non scritte nel libro di H.). KRÀlvIER, Platone e i fondamenti della metafisica, Milano, Vita e Pensiero, 1987, pp. 371-417.

3

11 th (piu' spesso chiamato Thoth) è un dio lunare egizio venerato come dio dell~ scrit' cl Cl morlell . delI'd'l' divine e magiche, della giustiZia, al l a, d ave pesai e amme tura, d eIl e 'ormule l' ti in relazione al giudizio a cui esse devono sottostare.

4

28

S

Dio egiziano, il cui culto ebbe origine a ]èbe; i Greci identificarono Ammone con Zcus.

6 PLATONE,

Fedro, a cura di A. Cordeschi, Napoli, Il Tripode, 1990, pp. 115-117.

29

nell' anima di colui che vuole apprendere ed è capace di difendere se stesso, come pure sa a chi bisogna parlare e dinanzi a chi tacere"'. Il discorso che qui viene immaginato è definito "di chi sa, è vivo e animato", contrapposto a quello scritto che, giustamente, potrebbe dirsi "appena un'immagine". Il dialogo prende in esame, poi, il comportamento di un "contadino assennato" che, facendosi guidare dalla vera arte agricola, sarà contento se in otto mesi (invece che in otto giorni!) saranno venuti a maturazione tutti quanti i semi che aveva seminato. Dunque, quel contadino "non scriverà nell' acqua"8 se vorrà fare seriamente e questi semi non sono sterili, ma hanno un seme dal quale germogliano in altri caratteri altri discorsi, che siano capaci di rendere quel seme perennemente immortale e che fanno felice chi li possiede". A questo punto occorre valutare sia il rimprovero che Platone rlvolge all' oratore Lisia per la stesura dei discorsi sia i discorsi ~tessi. Resta da dire, in particolare, che "se Lisia o qualche altro mal SCrlsse o scriverà in sede privata o pubblica formulando leggi, convinto che in ciò sia in un certo qual modo una grande sicurezza e chiarezza, in tal caso l'autore, lo si dica o no, merita biasimo. Infatti, il non sapere assolutamente nulla intorno al giusto o all'ingiusto, al male e al bene, non'

Platone, sempre nel Fedro, esprime tutto il suo biasimo nei confronti di chi pretende di presentarsi con un' oratoria vuota di contenuti: " ... Chi, invece, ritiene che nel discorso scritto sopra qualsiasi argomento c'è necessariamente molto di scherzoso e che mai nessun discorso in versi o in prosa fu scritto o recitato che fosse meritevole di grande apprezzamento ma che in realtà i migliori tra quei discorsi sono un aiuto mnemonico per coloro che già sanno, mentre quelli che servono ad insegnare e san fatti allo scopo di promuovere un apprendimento e davvero vengono scritti in un' anima intorno al giusto, al bello ed al buono, in essi solamente c'è chiarezza, perfezione e validità; chi, infine, ritiene che tali discorsi l'autore deve dichiarare figli legittimi": in primo luogo quello che egli porta dentro di sé come sua scoperta, poi quanti altri figli e fratelli di questo poterono germinare insieme in altre anime d'altre persone, a seconda delle capacità, mentre agli altri dà l'addio, ebbene Fedro questi potrebbe ben essere quell'uomo tale e quale io e tu ci augureremmo di diventare" 12.

La diffidenza di Platone nei confronti della scrittura

l d'''lo può in verità sfuggire al biasimo, neppure se tutta la gente l o o l .

Che il più grande scrittore in prosa dell' antichità dichiari la sua 7 B

Ivi, p. 118. "Scrivere sull'acqua" come "scrivere sul vento" è espressione proverbiale, simile al nostro

"gettare le parole al vento", 9 PLATONE, Fedro, at., p. 118. Al colmo dell' estate, per celebrare la festa di Ado,ne, cb~ ~gni anno moriva per poi rinascere, in Grecia si aveva l'usanza di sem~nare, in vas~ o rcclp,lc,nti detti "giardini", semi di piante dalla rapida crescita, in genere ntcnuto un rito proplzlarodo della fecondità. 10 lvi, p. 121. In questo caso la condanna di Lisia equivale alla condanna di ogni oratoria

diffidenza verso la scrittura e la degradi, può sembrare un paradosso, ma una più attenta valutazione fa capire che queste tesi possono

11 I discorsi destInati ad arricchire la vita dell'anima sono chiamati "figli". Cordeschi, nellanora 148 del Fedro, dr., a p. 122, fa notare come nel Simposio non c'è questa distinzione tra discorsi scritti e discorsi parlati: "Ecco perché a questi ultimi, in opposizione agli ahi, ora è aggiunta la qualifica di 'legittimi"'.

12

Ibid.

che non abbia caratteri 610s06ci.

30

31

essere lo sbocco naturale ed inevitabile di una posizione assunta in

"Ma giunto lì, dunque, pensai per prima cosa di dover sottoporre a verifica se davvero Dionisio era infiammato dal fuoco della filosofia, oppure se erano infondate tutte le notizie che ad Atene erano arrivate. Ora, per operare questa verifica, esiste un modo per niente vile e veramente adatto ai tiranni, specialmente a quelli pieni di formule male orecchiate, come era proprio il caso di Dionisio ... Bisogna mostrare a costoro tutta la vastità del filosofare, quanto impegno e quanta fatica esso comportf'15,

un certo periodo della sua esperienza di vita personale in materia di discorsi. Platone non poteva infatti dimenticare il rapporto personale e collettivo in cui campeggiava la parola come mezzo vivo e palpitante di profondi sentimenti che Socrate, il suo grande ed inimitabile maestro, riusciva a far nascere nell' anima dei suoi interlocutori. Egli stesso, nell'Accademia, poneva il libero dialogare alla base del suo insegnamento, esclusivamente per mezzo della parola parlata. Si può pensare che il convincimento di Platone sull'insufficienza del discorso scritto sia stato accresciuto dalla esperienza personale che egli visse qualche tempo prima della stesura del Fedro, durante il suo secondo soggiorno siciliano, alla corte di Dionisio il Giovane. Nella Lettera VII, in cui è raccontata quella drammatica esperienza, "nel contesto di quelle vicende, Platone considera la parola in sé 'debole', mezzo di comunicazione del pensare" '" soprattutto, poi, nella immobilità dei caratteri scritti 13 • La conclusione implicita di tale ragionamento è che "il dialogo rimane il tentativo più fecondo, o meno imperfetto, di riprodurre il dinamismo dell'insegnamento parlato"". Un altro importante passaggio è la risposta di Platone ai familiari di Diane, dopo che questi era stato ucciso in una congiura del 354. Platone traccia la storia della propria vita e parla della sua attività politica in Sicilia, in cui fa diversi excursus filosofici, tra i quali quello che rappresenta una vera e propria condanna della scrittura, una forma di comunicazione che polemizza ed accende, invece deve esprimersi come ricerca nel dialogo incessante tra gli uomini legati da profonda amicizia reciproca:

13

Cfr.

PLATONE,

14 PLATONE,

E ancora, come si può leggere nella citata Lettera VII: "Ora, ascolta, se è veramente filosofo e per natura divina e congenere a questo esercizio e degno di esso, allora pensa che la via indicatagli è meravigliosa, che subito bisogna seguirla né si può vivere altrimenti. Questa scelta scaturisce dalla consapevolezza che chi ci dà consigli e ci indica la via da seguire, lo indirizza verso il Bene, che rappresenta la meta delle nostre aspirazioni... Fa normalmente tutto quello che deve fare, ma in ogni circostanza sempre si mantiene fedele alla filosofia e a quel genere di vita che giorno per giorno lo può rendere maggiormente padrone di se stesso, capace di imparare, di ricordare, e di ragionare"". Quelli, invece, che non sono realmente filosofi, ma uomini "verniciati di opinioni", così come i corpi sono abbronzati dal sole, quando vedono quante cose bisogna imparare, quanta fatica è richiesta e quale sia la regola quotidiana che è imposta dalla convenienza dello studio, allora giudicano tutto ciò difficile ed impossibile per 10fO. Ma costoro "non incolpino il lato maestro" bensì essi stessi, "che non sono capaci di compiere tutto ciò che dalla filosofia è richiesto"!'.

15 PLATONE,

Lettera VII, 343 a.

IL filosofo e il problema politico. La Lettera VII e l'Epistolario, a cura di A.

rero, T'orino, SEI, 1989 (ristampa), p. 80.

Cava~

16

Ivi, 340 c-d.

17 PLATONE,

32

Lettera VII, 340 b-c.

Lettera VII, .340 d-341 a. Si fa riferimento alla fatica e alla regola quotidiana

33

Con questi argomenti, Platone parla a Dionisio. Non gli spiega minutamente ogni cosa né egli gli chiede di farlo. Infatti, presume di sapere ogni cosa, le piil sublimi, e di possederle in modo adeguato per averle sentite dagli altri...: "In seguito, ho sentito dire che egli compose uno scritto sugli argomenti che in quella occasione ascoltò, presentandolo come opera sua e non come la ripetizione di ciò che aveva ascoltato. Di tale scritto, io non so niente, ma so che altri hanno composto scritti su questi argomenti ma di chi siano costoro non lo sanno, neppure essi stessi. E questo posso affermare di tutti coloro che scrivono o scriveranno sostenendo di conoscere le cose che ho seriamente a cuore, o per averle direttamente ascoltate da me o attraverso altri, o per averle scoperte essi stessi: costoro, a mio parere, non hanno capito proprio niente su questi argomenti"l8.

Eincontro di Platone con Dionisio: le caratteristiche dei due personaggi Lincontro di Platone con Dionisio rivela subito il dislivello umano e culturale che appare nettamente dalle parole e dal comportamento dei due personaggi. Il filosofo si adatta subito alla nuova circostanza: Platone è una personalità pacata e disponibile nel parlare e nell' agire, con una forma mentis aperta alla discussione e disposta al dialogo. Dionisio rivela subito un tratto saccente e "verniciato di opinioni" (potrebbe essere il suo caso!) di fronte agli argomenti di

Platone e dimostra chiaramente di presumere di "sapere molte cose", ma dà anche l'impressione di "averle sentite dagli altri". A Platone interessa fare una precisazione su uno scritto che Dionisio dice di aver composto su argomenti di cui si era discusso in occasione di un loro incontro e non di averli semplicemente messi insieme "come la ripetizione di ciò che aveva ascoltato". Severo è il giudizio verso coloro che, operando un plagio, pretendono di far passare le idee degli altri per idee proprie. È implicito in questa condanna: sulle cose di cui Platone si occupa, lui stesso afferma che "non c)è alcuno mio scritto, né ci sarà mai; infatti, non si possono assolutamente esporre con i medesimi criteri che si adottano per le altre discipline scientifiche, ma da un lungo dialogare insieme intorno al problema e da una vita condotta in comune, improvvisamente come luce che nell'istante brilla, la fiamma balzante, nascono nell'anima e di se stesse si nutrono"19. Platone aggiunge: "Ora là, quando per una cattiva educazione, non siamo neppure abituati a cercare la verità ma' ci accontentiamo della prima immagine che ci si presenta, possiamo anche non ridere gli uni degli altri, gli interrogandi e gli interrogati, per la nostra bravura a sgominare ed a confutare i quattro elementil"20. Importante è, a tale riguardo, la convinzione di Platone che su alcuni argomenti che rappresentano tematiche profonde e significative nella vita dell'uomo, non si possa scrivere allo stesso modo e da chiunque. Su questo punto cosÌ si esprime: "Perciò tutti gli uomini seri si guarderanno bene dallo scrivere cose serie, per non esporle all'incomprensione degli uomini. E da tutto questo si deve concludere che, quando vediamo un trattato scritto sulle leggi ad opera di

che sono imposte dalla "convenienza allo studio"; spesso coloro che presumono di sapere "giudicano tutto ciò difficile ed impossibile per loro" ... c cosÌ attribuiscono alloro maestro e, in genere, a chi li guida, le loro debolez.ze ed incapacità. 18

,19 PLATONE, 20

Ivi, 341 b-c.

34

Lettera VII, 341 c-d.

Ibid. 35

un legislatore, o su altri argomen,ti, ad opera di ch~ dir ,si voglia" ebbene non erano certamente per l autore le cose plU sene, pelche esse egli ripone nella parte più bella, Ma se egli ha \,osto proprio per iscritto le cose che gli stavano seriamente a cuore, allora certamente" non gli dei ma i mortali "gli hanno tolto il senno"21, " Lo stesso Platone ritiene di dover precisare che, se DlOillSIO o qual-

siasi altra persona ha scrittO "Sui principi primi e supre~i della naturà', siccome non li hanno rispettati, per questa sempltce raglOne, dimostrano di non aver capito nulla né, al limite, possono aver ascoltato qualcosa22 , Addirittura sarcastica suona la riflessione ~i Platone a proposito del tempo, notevolmente rnsufficlente perche DIOnI-

sio potesse aver appreso tutto quanto in un ~~lo i~cont~oJ ,"come abbia fatto poi lo sa Zeus", dal momento che lO glt.parlal dI tale argomento una sola volta, e dopo di allora mai più"23, Se le cose stanno così, allora perché, se la scrittura non favorisce

l'apprendimento della filosofia, Platone ha scritto t:~ntaquattr~ dialoghi, l'Apologia di Socrate e tredici Lettere? La cntlca alla scnttura e la validità della discussione orale vengono ribadite senza mezzI termini' la critica alla scrittura è così radicale che, come abbiamo visto, Plat~ne adotta la sua interpretazione di un verso dell'Iliade con l'esito che chi mette per iscritto i suoi pensieri più profondi sicuramen24 te è come una persona a CUI, hanno to lto 'l l senno .

2l OMERO,

n Cfr.

Iliade, VE, 370.

PLATONE,

23

Ivi, 345 a-b.

24

lvi, 344 e-d.

Il filosofo non affida tutto il suo pensiero alla scrittura La conclusione che traiamo: il filosofo non affida tutto il suo pensiero alla scrittura; le opere di Platone, dunque, non contengono tutta la sua filosofia, A questo punto, sempre per fare maggiore chiarezza, riteniamo di poter portare delle conclusioni sul problema analizzato, riassumendane, per quanto è possibile e brevemente, gli aspetti più importanti. "Perché è necessario un nuovo criterio per intendere il pensiero di Platone?", si chiedono Giovanni Reale e Dario Antiseri. Anticipiamo la risposta perché l'analisi del testo che proponiamo risulti più chiara, Un nuovo criterio è necessario perché si pone un nuovo e diverso punto di riferimento per l'interpretazione del pensiero del filosofo: le "dottrine non scritte", Il criterio tradizionale poggiava invece sulla convinzione che lo scritto è l'espressione più significativa del suo autore 25 • Essendoci pervenuti tutti gli scritti di Platone, dovrebbe scaturirne che possiamo ricavare da questi tutto il suo pensiero 26 , Non è così. E le stesse testimonianze di Platone aiutano a chiarire in tal senso il problema: "Il filosofo - dice nel Fedro (auto testimonianza) - è veramente tale solo se e nella misura in cui non affida agli scritti, ma alla sola oralità, le cose di maggior valore"27. "In nessuna forma, nemmeno in quella dialogica, ma solo all'oralità dialetticà'28, Lo stesso Platone ritiene che "gli scritti non possano essere considerati l'espressione

2)

G.

26

Ibid,

-2]

Ivi, p. 267.

28

Ivi, p, 271.

Lettera VII, 343 d-e.

REALE -

D, ANnSERl, Storia dellafilosofi'a, dt.

37

Il dialogo socratico

più seria e la comunicazione complessiva del suo pensiero"". Non c'è da temere neppure che queste cose possano essere dimenticate: è eccessivo.

La fUnzione dell'ipomnematica Anche la funzione "ipomnematica", ossia l'esercizio di richiamare alla memoria, può risultare addirittura inutile, per il fatto che "le verità supreme si riassumono in poche parole, di modo che, chi le ha capite, le possa ben fissare nella propria anima e non le dimenti-

, ., "30 . h

C 1 plU

Anche Aristotele ci dà una testimonianza "indirettà' sugli àgrapha dògmata ("dottrine non scritte"); tutti i suoi discepoli lo hanno ricordato, tanto che da molto tempo ormai è completamente cambiato il quadro teorico generale di riferimento che prima aveva come chiavi di lettura alcuni dialoghi di Platone; oggi gli studiosi le hanno modificate. Quindi, altre chiavi di lettura, altre interpretazioni, altre prospettive di ricerca. "In primo luogo la forma dialogica, che ha la propria matrice nel filosofare socratico: per Socrate filosofare significava esaminare, provare, curare e purificare l'anima (la dimensione 1 dell' oralità) con il suo metodo ironico-maieutico"3 • Ma salvaguardare questo stile e le sue caratteristiche significava scontrarsi in primo luogo con il rigido schema dei Naturalisti, dall' altro con il di-

Si trattava, per Platone, di riprodurre il discorso "socratico", il suo "reinterrogare" con gli improvvisi squarci che maieuticamente spingevano a trovare la verità senza rlvelarla, mai interamente, in senso sistematico. Nacque cosÌ il "dialogo socratico" che divenne un genere letterario, adottato dai discepoli di Socrate e anche dai filosofi successivi, del quale Platone può non essere stato l'inventore anche se fu, certamente, il rappresentante di gran lunga superiore a tutti gli altri. E, anzi, l'unico vero rappresentante giacché "in lui soltanto è riconoscibile l'autentica natura del filosofare socratico, che negli altri scrittori decade in manierismo"32. Questo significa che anche per Platone le verità supreme della filosofia, ossia le "cose di maggiore valore", non possono essere affidate alla "scrittura", in nessuna parte, neanche in quella dialogica33 . I dialoghi raggiungono alcune finalità, ma non tutte le finalità alle quali Platone mirava come filosofo. Di conseguenza, tutti i dialoghi più significativi di Platone, da sempre ritenuti punto di riferimento essenziale per poter ricostruire il suo pensiero, sottintendono il quadro teoretico delle "Dottrine non scritte"34. Queste lezioni orali ci sarebbero state tramandate da diversi autori antichi e venivano riferite quasi generalmente al Platone degli ultimi anni del suo insegnamento, limitandone anche l'importanza.

scorso di "parata" dei Sofisti.

32

29

Ivi, p. 267,

30

Ibid.

31

G.

REALE _

D.

ANTISERI,

Storia della filosofia, cito p. 270.

38

Ivi, p. 271.

33

'Ibid.

34

Ibid.

39

resposizione "globale" di Platone della Scuola di Tubinga Un tentativo interessante per risolvere alcuni problemi interpretativi viene fatto negli anni '50 e '60, da due studiosi tedeschi, Hans Kramer e Konrad Gaiser, i quali intendono dare un' esposizione "globale" di Platone che tenga conto contemporaneamente dei dialoghi, delle "dottrine non scritte" e delle testimonianze dirette di Platone contenute nel Fedro e nella Lettera VII. Fondatori della Scuola di Tubinga, sono profondamente interessati ad abbattere l'ormai obsoleto e netto distacco fra chi ancora tendeva a creare un sistema filosofico di Platone, quello della dottrina delle idee, i principi primi che hanno dato luogo alla realtà, di cui si parla nelle opere esoteriche (queste le prime destinate ad un pubblico esterno alla scuola) e tutti gli altri i quali ritenevano che il pensiero autentico di Platone fosse stato affidato alle lezioni, ma non riportato nei dialoghi. Lezioni che secondo costoro formano la base del sistema, di cui poi i principi fondamentali, quelli di cui Platone non scriveva mai (infatti sui principi primi e sui temi della realtà non ci sarà mai alcuno suo scritto), co-

ne non scritte" e in altra parte della Metafisica si riferisce a teorie di Platone che non si trovano in nessun dialogo. Poiché le specie erano causa di tutto, ci riferisce Aristotele, Platone pensò che gli elementi fossero gli elementi di ogni cosa. Perciò definisce principi, per la materia, il grande e il piccolo; per la sostanza, l'unità. Le specie, infatti, si identificano con i numeri in quanto costituite dalla partecipazione del grande-piccolo all'unità. In sincesi, il nuovo "Sistema dei principi" già costituiva il frammento del pensiero di Platone della maturità; vanno quindi cercati in quegli insegnamenti orali i frammenti della sua filosofia "aventi carattere di rimando"36, Il "rimando" è alle "dottrine non scritte", alla luce delle quali è possibile avere una lettura e una comprensione del pensiero platonico.

stituiscono le verità più profonde.

La tradizione "indiretta"; Aristotele Che cosa emerge dunque da questa interpretazione? Che occorre utilizzare le numerose tradizioni indirette sulle dottrine non scritte tramandateci da Aristotele, Simplicio, Teofrasto, Alessandro di Afrodisia, Aristosseno, Sesto Empirico 35 • Non si possono infatti ignorare fonti come Aristotele che espressamente nella Fisica parla di "dottri-

35

Cfr. H,].

KRXMER,

I fondamenti della metafisica, cit., pp. 371-417. 40

36

T.

SZLEzÀK,

Come leggere Platone, Milano, Rusconl, 1991, p. 160.

41

Di qui l'idealizzazione della figura di Socrate il quale veniva visto come una sorta di eroe, per aver combattuto contro gli esponenti del corrotto sistema politico che, allora, dominava nella città di Atene, pagando con la morte la sua onesta e coraggiosa denuncia dei mali della società del suo tempo.

II LA CRISI DELLA SOCIETÀ E LA RIFONDAZlONE FILOSOFICA DELLA POLITICA ALLA LUCE DEL SAPERE

L'ambiente storico

L'onestà e la politica

Il platonismo va studiato in relazione al periodo storico in cui esso nacque ed alle motivazioni profonde che lo caratterizzarono. Il periodo è quello del tramonto dell'''età d'oro" della Grecia periclea. Alcune vicende particolarmente importanti (la sconfitta di Atene nel 404, la fine della guerra del Peloponneso, il fallimento del governo aristocratico dei Trenta Tiranni nel 404-403, il negativo ritorno della democrazia con la tragica fine di Socrate processato e condannato a morte nel 399) concorrono a spiegare la decadenza e la fine del dominio dei Greci nel Mediterraneo. Siamo di fronte anche ad una grave crisi, che si espresse con il relativismo gnoseologico e culturale della Sofistica e la dissoluzione del socratismo nelle scuole "minort che ne derivarono. Ma la crisi si manifestava, soprattutto, come "crisi di valori)), tanto che si parla di "crisi dell'uomo nella sua totalità" e non solo della politica, in senso stretto 3?, La consapevolezza della gravità della crisi viene vissuta come "disorientamento e sfiducia nelle tradizionali certezze" e come ")' aspirazione verso rinnovate stabilità"38.

37

tuare una vera e propria "rivoluzione culturale".

Di qui l'idea platonica di una "rifondazione filosofica della politica alla luce del sapere"40. D'altra parte, "nella vita dei Greci, il problema politico, da tempo ha occupato un posto considerevole ... perché non si saprebbe dire se la fervida realtà politica abbia imposto al pensiero una così profonda problematica o se il senso problematico natio non abbia esso prodotto una storia così ricca di eventi e questi, a loro volta, una profonda meditazione teorica, intesa a comprenderli"41,

39

Ibid.

4{)

Ivi, p. 172.

41

G,

N. ABBAGNANO _ G. FORNERO, Protagonisti e testi deLla filosofia, voI. A, Torino, Paravia,

1999,p.l7!. 38

Socrate, 'Tuomo più giusto di tutti", rappresentava "come una luce nelle tenebre" che diffondeva le sue idee fra i giovani della città. Essi, infatti, erano le nuove generazioni alle quali comunicare il suo messaggio di "rifondazione globale dell'esistenza umana"39. Platone era convinto, infatti, che la crisi era soprattutto di tipo intellettuale e che un cambiamento di governo non potesse rappresentare di per sé )' avvento di una nuova società con la fine di tutti i suoi mali. Egli poneva, anzi, un'inderogabile necessità, quella di at-

Ibid.

42

MARTANO,

Introduzione, in PLATONE - ARISTOTELE, Politeia, Antologia degli scritti politici,

43

I due sistemi filosofici, quello di Platone e di Aristotele, esprimono questa esigenza e, per quanto diversissimi, entrambi valgono a trovare i fondamenti etici e metafisici della rivoluzione globale della vita dell'uomo sul piano etico-politico. Le ultime vicende della storia di Atene, nel V secolo, testimoniano, come si è già detto, la progressiva e grave crisi della città costretta, in un primo tempo, a causa della lunga e sanguinosa guerra contro i Persiani di Serse e, successivamente della guerra del Peloponneso, ad accettare l'egemonia della sua eterna rivale Sparta.

La morte di Socrate fu un trauma profondo per l'animo di Platone il quale lo riteneva "l'uomo più giusto fra tutti gli ateniesi", all'esempio del quale la gioventù guardava con rinnovata speranza di una nuova concezione della vita e dell'uomo. La cittt condannando SOCl'ate a morte, si era macchiata di una grave ingiustizia; aveva spento la vita di un uomo la cui colpa era stata quella di avere richiamato i cittadini al culto dei valori morali, esprimendo un'esigenza di carattere esclusivamente etico-politico. "Anche

in Platone l'esperienza etico-politica è fondamentale", dice a tal proposito Martano, sottolineando come "la dottrina metafisica di Platone è del resto il fondamento teorico posto alla base della dottrina etico-politica di Socrate"".

La delusione per la politica Platone aveva 14 anni quando conobbe il malgoverno di Cleone e la fine catastrofica della spedizione di Sicilia. Due avvenimenti, in particolare, esercitarono una influenza profonda sulla sua persona: l'instaurazione del regime dei Trenta Tiranni e, più tardi, il ritorno del governo democratico che Socrate tanto avversò, criticando apertamente e senza timore i suoi principi costituzionali. Afferma Martano: "Si spiega così il suo disgusto per la vita politica attiva. Egli, anzitutto, era di famiglia aristocratica e nel suo partito aristocratico dovette egli stesso militare, finché sfiduciato per lo spettacolo miserevole delle lotte civili e dell'uso di mezzi disonesti, sin del partito avverso come il suo, nella lotta politica, finì coll' abbandonare la politica militante e col ritirarsi, in comunione spirituale con Socrate, nella raccolta meditazione dell'ideale del Bene e della Giustizia: meditazione che preludeva alla visione di uno stato ideale"4'.

Leggiamo Platone: "Quando ero giovane, ebbi un' esperienza comune a molti: pensavo che, non appena fossi diventato padrone di me stesso, subito mi sarei dedicato alla vita politica. Ma mi capitò che alla città accadessero in quel tempo questi avvenimenti: il governo di allora, attaccato da più parti, subì una rivoluzione; come capi del nuovo regime furono posti cinquantun cittadini... tra COstoro alcuni che erano miei parenti e conoscenti, subito mi invitarono ad una partecipazione politica, poiché me ne ritenevano degno ... Vidi così che costoro, in poco tempo, fecero sembrare d'oro il precedente governo ... Vedendo tutte queste cose, ne rimasi indignato e mi sottrassi ai mali di quel tempo ... tuttavia coloro che erano appena tornati, usarono molta moderazione. Senonché dopo un po' avvenne che al nostro amico, proprio a Socrate, alcuni di quelli che gestivano il potere intentarono un processo, adducendo un'accusa gravissima e, fra tutte, la più aliena dallo spirito di Socrate: di empietà, infatti, gli uni lo accusarono ed altri lo condannarono e lo uccisero. Di fronte

a cura di G. Mart,lOo, Napoli, Il Tripode, 1991, p.S. 42

lvi, p. 8.

43

44

Ivi, p. 9.

45

a questi avvenimenti e agli uomini impegnati nella conduzione politica della città, quanto più osservavo le leggi ed I costumI, lasclandomi intanto alle spalle la giovinezza, tanto più difficile appariva per me la possibilità di occuparmi della politica in modo retto ... la città non era più governata secondo gli usi e i costumi dei nostri padri ... le leggi e le tradizioni si corrompevano e si dissolvevano così straordinariamente che io, sebbene precedentemente avessI molto deSiderato di occuparmi dei problemi della comunità, guardando a questi fenomeni e scorgendo come tutto fosse completamente sovvertito, finii col rimanerne sbigottito. Invero non smettevo di osservare, nella speranza che potesse sopravvenire un qualche migliorame~~ to ... ma, per agire, attendevo sempre un' occasione opportuna; fìnll· allora per comprendere che tutti gli stati attuali sono mal governati, perché la loro legislazione è pressoché insanabile ... e fui c~stret­ to a dire, lodando la filosofia autentica, che per essa soltanto e possibile vedere la giustizia negli affari pubblici e in quelli privati. I mali dunque non cesseranno per l'umanità, se prima uomini ~he coltivano l'autentica e vera filosofia non giungano al potere polltlco, oppure coloro che governano le città non diventino, per qualche divina sorte, fil oso fi "" .

Platone e la democrazia: lo spirito antidemocratico Il contesto storico in cui visse Platone era caratterizzato da un 45 profondo contrasto fra la realtà storica e l'utopia del filosof0 . Egli

4~ Cfr. per la traduzione di questo lungo passo della Lettera VII, PLAT~NE, [(filosofo e il problema politico... , a cura di A. Cavarero, cit., pp. 53-55 (324 b-326 b). E questa la celebre teoria già esposta nella Repubblica (473 cl). 45

G.

MARTANO,

Introduzione,

dt.,

p. 7. 46

era di famiglia aristocratica ed aveva realizzato le sue prime esperienze politiche nel partito aristocratico, nel quale dovette assistere alle lotte civili per la conquista dell' egemonia politica. Si spiega così il suo "disgusto"per la vita politica: "Vedendo allora tutte queste cose, ed altre non meno significative, ne rimasi indignato e mi sottrassi ai mali di quel tempo"". Lo spirito antidemocratico di Platone si manifestava soprattutto come rifiuto delle posizioni demagogiche cui si era adeguato il partito democratico nell' accaparramento dei ruoli egemonici e, più in particolare, delle cariche politiche ed istituzionali nella città. Lo stesso Socrate lo aveva convinto dell' opportunità che le funzioni politiche fossero affidate ai più intelligenti e buoni cittadini consapevoli di sé e inclini a non accettare "la politica esclusivisti ca ed interessata della casta aristocratica"47. Ma per Platone la filosofia si collega sempre a ragioni di carattere politico? Convincente appare la definizione di Martano: "La vera filosofia è studio dell'uomo in quanto attività (etica) tendente a realizzare fini eterni (metafisica) attraverso la società umana (politica). Onde la politica è filosofia perché è determinazione pratica di quella virtù - la giustizia - che deve reggere gli uomini in società; proprio come la filosofia è politica perché è determinazione e pratica di quella stessa giustizia"tJ8, Afferma ancora Martano: "Non si può parlare di una antecedenza della politica sulla filosofia, o viceversa, perché Platone da buon patriota non può rimanere insensibile di fronte alle sciagure della patria in rovina; egli guarda alla prospettiva di rigenerazione dei costumi e

46

Lettera VII, 325 a.

47

G.

48

Ivi, p. lO.

MARTANO,

Introduzione, cit., p. 8.

47

delle istituzioni insieme ad una radicale trasformazione della polis. La dottrina politica non è soltanto una scaturigine spontanea della mente, che nutre aspirazioni ideali ad una vita associata ispirata ad alti principi etici e sorretta da valori assoluti trascendenti"".

Cronologia degli scritti politici In merito all' autenticità delle lettere, argomento sul quale si sono conftontati molti studiosi, c'è chi non ha dubbi sul fatto che siano "platoniche". In particolare appare incontrovertibile l'autenticità della settima, la più importante per la comprensione del pensiero di Platoneso . In ogni caso, gli studi più recenti hanno da tempo raggiunto posizioni unanimi sul fatto che tutta la sua filosofia fu una filosofia politica51 • È importante a tale proposito fare alcune brevi considerazioni sulla cronologia dei dialoghi di contenuto specificatamente politico quali il Gorgia, la Repubblica e le Leggi. Del Politico l'autenticità è rimasta dubbia fino alle conclusioni negative dello studio del Windelband 52 Oggi, però, lo si ritiene au-

Per quanto riguarda il Gorgia, c'è sufficiente consenso sul fatto che questo dialogo appartenga alperiodo della polemica con la Sofistica, anche se non è possibile fissare con precisione la data di composizione ma solo indicare che è intorno al 390. , A proposi W della Repubblica, si può affermare che il primo e me. ta del secondo lIbro furono composti all' epoca del Protagora e del Gorgia. Il tutto fu rivisto dall' autore nell' età matura. Il periodo della composIZlone potrebbe essere fissato tra i1389 e il 367, poiché Platone vi si dedicò per lungo tempo. " . Convincenti appaiono le conclusioni su questo tema di Martano: Riassumendo, potremmo considerare il Gorgia come la premessa della Repubblica; seguirono al capolavoro il più modesto dialogo Politico e, ultlma opera politica in ordine di tempo, le Leggi. Quest'ultimo dIalogo è una fusione di abbozzi frammentari, mancanti di unità intesi ad empiricizzare i precetti ideali della Politeia"53. ' E ancora: "Il Platone della. Repubblica è l'uomo fermamente convinto della potenza dell'idea e fiducioso nella possibilità di attuazione dI essa; mentre quello delle Leggi è il Platone ormai vecchio che, deluso dalla sua città, avverte lo stridente contrasW tra l'ideale e il reale".

Il Gorgia: la polemica contro la Sofistica

tentico.

49

lbid.

5[)

Lvi, p. 9.

Si legge in B. FARRlNGTON, Scienza e politica del mondo antico (trad. italiana), Milano, Fcltrinelli, 1960, p. 79: "o .. il proposito che dominò la sua lunga vita e che acquistò maggior chiarezza man mano che egli procedeva nel suo compito, per la sostituzione di un complesso di credenze e di un sistema di educazione che, imposti dall'autorità politica, garantissero il benessere dello Stato. Il problema dello Staco fu, insomma, la molla principale del movimento platonico, come il problema della natura era stata la molla principale per il mo-

51

vimento ionico". W. WINDELBAND, Platone, trad. ital. di M. Graziussi, Palermo, Sandron, 1914, p. 64 e sgg.

52

48

Un diverso e più ampio discorso merita il Gorgia: il dialogo esprime tutW l~ forza. polemica di Platone contro la Sofistica in generale, Gorg,a In partlcolare, uno dei più importanti esponenti del movimento che, in quel periodo, era impegnato a portare avanti le tesi individualistiche dei Sofisti, che legavano il successo politico all' oratoria ("arte del dire").

53

G.

MARTANO,

Introduzione, cit., p. 12.

49

fra :norale epolitica c'è "distinzione" e non accordo, e il disimpegno dell uomo di Stato dalle leggi della morale è, dal Machiavelli, assunto a norma inderogabile nella condotta del principe 58 , "Platone, invece, pone a fondamento della sua dottrina politica quella profonda esigenza di moralità dell'uomo politico che rendeva utopistica la sua

In contrapposizione a queste tesi si pone Platone per il quale, ci ricorda Martano, "la virtù secondo natura non è il trionfo del più forte sui deboli: la virtù è dominio delle passioni da parte dell'intelligenza sorretta da clOrza d" animo"54 . Nell' ambito dell' organizzazione democratica dell'Atene del V se-

colo, in cui si registrano lotte tra le famiglie più ricche e potenti della città, Platone si schiera contro i "retort, contro quelli che promettono successo e potere "a tutti colato che riescono ad imporsi per fini collettivi, mentre essi agiscono esclusivamente per fini personal;"55, ''L intento di questo dialogo - spiega Martano - non è soltanto etico, ma anche politico, ché per Platone l'eticità si realizza nella vita personale, che è aspirazione all'universale, trionfo sul sensibile e sul particolare; perciò nella vita collettiva si realizza quell'eticità universale ' "56 , che è propria de Il' essere dotato d'l ragiOne Fin dalle prime battute il dialogo mette in evidenza il tono spavaldo del superficiale e pomposo retore, in contrasto con la bonarietà ironica di Socrate, che ama la dialettica concisa e costruttiva, "Difatti gli uomini vogliono sempre il bene, e quando compiono il male operano per ignoranza del vero bene, in tal caso essi non fanno quel che vogliono e non hanno un vero potere, Frutto dell'ignoranza è l'ingiustizia, che è il maggiore di tutti i mali: di conseguenza l'ingiusto è infelice e va compianto"57, , , Platone vede un "rapporto di continuità" tra morale e polinca e confuta la tesi di Polo che vede felice il tiranno, Questa tesi sarà ripresa nel XVI secolo da Machiavelli, nel Principe, per il quale

54

Ivi, p. 17.

55

Ihid.

56

lbid.

57

Ivi, p. 27. Questa teoria può considerarsi il vero fondamento dell'etica socratica.

50

concezione"S9

Insom~~, quello che per Machiavelli e per tutti coloro che si repuSI doveva chiamare "interesse", per Platone è il "dovere",

tavano realIsti

Ciò significa, per quest'ultimo, che chiunque voglia impegnarsi nell' attività politica, deve conoscere e applicare l'arte di perseguire l'interesse generale della collettività, "lo credo di essere uno dei pochi ateniesi, per non dire il solo, che professano la vera arte politica, il solo a mett~rla davvero attualmente in pratica, E poiché quando parlo io, lo facciO n~n per acquistare favori, ma per trovare ciò che è meglio, e non certo 11 piacevole, e poiché non voglio fare ciò che tu mi consigli, non saprò cosa dire in mia discolpa davanti ai giudici"60, Conclusione: "".fra tante questioni trattate, confutate tutte le altre tesi, rimane questa sola, che bisogna guardarsi dal commettere ingiustizia più che dal riceverla e che, per ogni cosa, l'uomo deve sforzarsi di non sembrare buono ma di essere buono, sia nella vita privata che nella pubblica", e dopo d'aver insieme praticata la virtù, allora fi~alr:'ente se ci parrà opportuno, potremo dedicarci alla politiC~"', Cl gUIdi allora la conclusione che testé ci è parsa vera, quella che Cl dtmostrache questa è la vita migliore che possiamo condurre: vivere nella pratica della giustizia e delle altre virtù, e cosÌ morire"."61,

58

Ivi, p. 28.

5~

Ibid.

60

Ivi, p. 34.

61

Ivi, p. 36.

51

non è tale se non in quanto vivente nell a COSCIenza . d"1 CIascuno come valore individuale"6'.

La pratica della giustizia Il filosofo è il saggio, colui che pratica la giustizia, dalla quale dipende non solo il bene del filosofo stesso ma anche della polis. E da

La missione del filosofo

questo tapporto seguono la ripartizione dell' anima e le diverse immagini di uomo che si differenzia da individuo a individuo. Afferma Platone: "Il principio unificatore dell' anima deve, dunque, derivare dalla supremazia della ragione. Solo in virtù di questo, l'uomo rea-

lizza veramente se stesso"62. Luomo teso alla conoscenza della verità, che non ha a cuore la ricchezza e la gloria: è questo l'uomo filosofo. Ambire agli onori è la caratteristica dell'uomo irascibile, che tende ad ottenere la fama. Colui, infine, che trae piacere solo dal guadagno, è attratto dalla parte appetitiva dell' anima. Infatti, tre sono le facoltà dell' anima per Pla-

Il filosofo "costruttore e reggitore della polis" sta d' d'

. h l' l a 111 Icale c e l lVlno e " asso uto sono posti come "uprema 5' . L damenti mIsura e lon dello . .Affermano Abbagnano e Fo mero.. "D opo aver raggIUn. . Stato .. to rl. d1V1110, Il ., legislatore lo contempla e lo . . pl asman d o se stes. ImIta,

'1 d"

s~ 111 conformlta dI quello e, di conseguenza, posto a capo della citta, plasma e confo~'ma anche quest'ultima nello stesso modo ... il fine ultimo del capo dI Stato non è il proprio bene personale ma quello . "'66 . ' E g l"I e e ducato second ' . (a .d citta . . e.11 a. . o un programma sIstematico

tone: concupiscibile, irascibile e razionale; ciascuna esprime partico-

111lZl~le dalla musIca e dalla ginnastica, salendo fino alla filosofia) e della famiglia e della proprI'e t'a pnvata. . con l abolIZIOne .

lari capacità, potenzialità, le quali stanno a indicare l'equilibrio rag-

ChI, pur comportandosi come reggitore dello Stato, non cura l'in-

giunto da ciascuna anima internamente a se stessa e, nello stesso tem-

ter~sse. e rl bene d~:la città, è da Platone posto in relazione alle costituZ.lOnI cO~ldde:te degenerate" che corrispondono ai seguenti quattro tipI ~manl: rl tlmocratico, l'oligarchico, il democratico e il tiranno L~ dIverse caratteristiche si manifestano a seconda della parte dell' a~ nlma .)) che l 'emerge nella scelta di un comportamento ' "d'l uno stl'1 e d'1 vna , re atlvo .sia .al mondo dell' essere, cosiddetto mondo delle idee, sIa a q~ello vlslbl~e e diveniente, il mondo della realtà naturale col . quale l anima dell . uomo deve sempre avere a che fare ("l' uomo e, sIa co 11 a b oratore SIa filosofo"6?).

po, al di fuori di essa "anche come ascolto e apertura agli altri"63. "Ne consegue un'immagine di uomo socievole in rapporto con la molteplicità dei suoi simili e, dunque, con la polis"64 "Sul principio della tripartizione dell' anima, Platone ha fondato anche la diversità delle classi sociali della polis. Città ed individuo sono specchio l'una dell'altro: la città è giusta in quanto sono giusti i suoi cittadini. .. dunque esiste una corrispondenza tra le virtù del cittadino e quelle della città ... Il problema del giusto è, quindi, il problema della città giusta;

62

Cfr. N.

63

Ibid.

64

Ibid.

ASBAGNANO

~ G.

FORNERO,

Protagonistt .. , cit., p. 263.

52

(,5

Ivi, p. 264,

66

Ivi, p. 263.

67

Ivi, p. 262.

53

Luomo timocratico è colui nel quale prende il sopravvento l'onore sulla virtù, la parte irascibile dell' anima. Loligarchico si caratterizza per lasciarsi attrarre dalla ricchezza

come lo sia, per discutere, invece, di tutti questi particolari"70, Linterrogativo di Glaucone centra il problema fondamentale: il progetto di Platone è utopia o no?

piuttosto che dalla virtù e dall' onore; è la parte dell' anima concupiscibile. Democratico (o demagogo) è chi, constatata la debolezza e l'incapacità del governo nell' assicurare l'onore e il rispetto dei diritti, decide di ribellarsi, convinto che il nuovo governo possa assIcurare il diritto di tutti i cittadini secondo il principio dell'uguaglianza. Le magistrature vengono assegnate a sorte. Il tiranno è colui che, temendo la vendetta dopo un rivolgimento politico, decide di avocare a sé il potere della forza ed instaura la tirannia con l'appoggio del popolo. Per quanto riguarda la polis ptogettata da Platone nella Repubblica, essa è presentata come irrealizzabile storicamente perché "trova il suo senso solo nella tensione dell'uomo a ricercare e conoscere. Egli può precipitare fino all'ignoranza completa degli animali, ~ può, passo per passo, avvicinarsi al fine ultimo, alla città co~e um~ tà e realizzazione della razionalità, in un miglioramento contmuo di sé"". Con queste parole Platone dimostra di "voler mantenere il suo sguardo costantemente sull' anima umana, capace di divenire la sede autentica della vera città e della vera politicà', tanto è vero che "alla costituzione della polis interiore è chiamato ciascun uomo, per il so-

. "69 lo fatto che è essenzial mente anima .

La dimensione politico-educativa dell'opera di Platone La storiografia più recente (del nostro secolo), studiando le motivazioni della filosofia di Platone, ha "messo in luce" quella che poi è stata considerata la base del suo pensiero: l'interesse politico. Lo stesso Platone, nella Lettera VII, proclama che la passione di tutta la sua vita e la motivazione chiave che lo ha spinto a filosofare è stata la ricerca di una comunità in cui l'uomo potesse vivere in pace e giustizia con i suoi simili 71 • Un interesse pedagogico-formativo, connesso a quello politico. Prima, invece, l'immagine più nota di Platone era quella di un filosofo immerso nelle problematiche metafisiche e religiose, "tutto proteso al di là"72. Tutto ciò non significa che "la dimensione politico-educativa costituisca l'unica ottica da cui studiare il platonismo"73: questa sarebbe un'immagine "riduttiva"74, Immagine antitetica, ma comunque riduttiva. Gli studi più recenti hanno messo in luce che Platone ha espresso una "dimensione poliedrica ed universale, che spaziò in tutti i campi

"Ma Socrate - chiede Glaucone - , mi sembra, che se ti lasciassimo discorrere di queste cose, non ti ricorderesti più di quanto avevi accantonato prima, e cioè se una tale costituzione è realizzabile e

68

Cfr. P.

FIASCONARO

71

Cfr. su questo punto N.

72

Ivi, p. 174.

73

Ivi, p. 175.

74

Ibid.

(a cura di), La Repubblica di Platone e la concezione della donna nel

mondo antico, Torino, Paravia, 1995, pp. 12-17. 69

Cfr. PLATONE, Opere politiche di Platone. Repubblica, a cura di F. Adorno, Torino, Uret, 1953, p. 346 e sgg. (471 c-473 ').

70

Ibid. 54

ABBAGNANO

~ G. FORNERO, ProtagonistI '" cit., p. 175.

55

III

del sapere, dalla gnoseologia alla metafisica, dalla religione all' etica,

. "75 . dalla pedagogia aIla matematIca LA REPUBBLICA DI PLATONE È REALIZZABILE?

Limmagine di un Platone "politico" rimane il principale filo interpretativo ed espositivo della nostra ricerca, che mira ad evidenziare gli aspetti più interessanti puntando al ritratto di "un Platone

Utopia e realtà della città ideale di Platone

globale"76.

La costruzione dello Stato ideale di Platone (secondo la tesi contenuta nel saggio introduttivo di Giovanni Reale alla Repubblica??) è la riproduzione "in grande" dell'anima dell'uomo tripartita: la sua virtù si contrappone al suo vizio, la sua felicità all'infelicità. Lo "Stato ideale" e "l'uomo regio') o aristocratico corrispondono al dominio dello stato della razionalità (coincidente con la virtù) ed anche della libertà. Platone considera il rapporto razionalità-virtù e razionalità-libertà-indipendenza come libertà della ragione dagli istinti e dagli impulsi. La razionalità domina infatti nei capi di stato, in quanto appartenenti alla classe dei custodi. A tale classe appartengono anche i guerrieri, la cui forza è il risultato della realizzazione dell' anima irascibile, in senso virtuoso. La classe inferiore, quella dei produttori, è invece il risultato della realizzazione dell' anima concupiscibile, che può esprimersi virtuosamente solo attraverso la temperanza; laddove lo Stato evidenzia l'unità e la compattezza tra tutte queste sue componenti, esso è uno Stato "sano", quindi "felice", La regressione della razionalità (malattia, rovina spirituale) equivale all'infelicità. Il suo estremo è rappresentato dallo Stato e dall'uomo tirannico.

75

Ibid.

76

Ibid.

Cfr. G. REALE, Saggio introduttivo, in PLATONE, RepubbliCa, a cura di G. Reale, Milano, Bompiani, 2009, p. 121.

77

56

57

La felicità equivale alla forma più alta del piacere della parte razionale dell'anima (anche il più vero, anzi l'unico): l'essere contemplato dall' anima. La vita filosofica nello Stato ideale è la vittoria dell'elemento divino sull'elemento bestiale che è nell'uomo; essa è "la costruzione dell'uomo divino"78.

I! tempo che intercorre tra nascita e morte è breve e il premio alla virtù, in questa vita, è solo relativo: "la vera ricompensa alla virtù è nell' aldilà"79. Così la vita nello Stato ideale garantisce la felicità in vita e dopo la morte, per sempre. La conclusione: la prospettiva è quella dell'eternità dell'Essere che l'uomo è chiamato a realizzare, al di sopra e al di là della sua natura particolare e finita. I! mito di El', come afferma Reale, "ridà il senso ultimo della politica platonica"80: "la vera politica è quella che ci salva non solo nel

,

"81

tempo ma per l eterno . Nella Repubblica di Platone vi sono elementi "utopici" e "mitici" ovveto un "ideale" e un "dover essere". Nell'ambito dell'utopia la tensione ideale corrisponde al "dover essere", come la meta che si vuole realizzare nell'ambito della propria esistenza; il "mitico" corrisponde, invece, a qualcosa che il nostro pensiero inventa come uno strumento che aiuta la mente ad entrare in una situazione di eccezionale carattere intuitivo e magico. Entrambi gli aspetti sono gli elementi drammaturgici che occorrono a Platone per esprimere, facendo uso di "mito') e di "utopià')

78 PLATONE,

Opere politiche di Platone ... , cir., p. 532 e sgg (589 cl e sgg.).

'" [vi, p. 563 c sgg. (608 c e sgg.). 80

Cfr. G. REALE, Saggio introduttivo, dt., p. 122.

81 PLATONE,

Opere poLitiche di Platone ... , dt., p. 583 e sgg. (618 c c sgg.).

58

un "ideale reaHzzabile", anche se storicamente non esiste uno Stato perfetto. Ma dove si può realizzare un tale ideale, se non esiste nella storia uno Stato perfetto? La risposta di Platone è, come la definisce Reale, "straordinaria": esso è realizzabile nell'''interiore dell'uomo", nella sua anima, in noi stessi; lo possiamo costruire "in noi stessi", seguendo nel nostro intimo la vera politica82 • Pochi, sottolinea Reale, hanno compreso il profondo significato di questa pagina, forse Jaeger ne ha colto il vero valore facendo riferimento ai tanti tentativi di individuare la storia dell'uomo e del suo mondo, identificandolo, di volta in volta, con questo o quest' altro modello e altri stati più vicini a quello descritto da Platone. "Ma l'essenza dello stato di Platone non sta nella struttura esterna - seppure ne abbia una - ma nel suo nucleo metafisica, nell'idea di realtà assoluta e di valore su cui è costruito. Non è possibile realizzare la Repubblica di Platone imitandone l'organizzazione esterna, ma solo adempiendone la legge di bene assoluto che ne costituisce l'anima"83. Chi è capace di attuare quest'ordine divino nella sua anima individuale, riesce anche a realizzare lo Stato platonico più di quanto riesca a fare colui che edifica una città in terra somigliante esternamente allo stato di Platone. "Nasce qui - afferma Reale - per la prima volta l'idea del 'cittadino di due citta, della città terrestre e di quella divina, un dualismo politico, dunque, che si esprimerà nella sofferta vita esistenziale e religiosa di Agostino, vescovo di Ippona, ma anche nella raggiunta consapevolezza della situazione reale dell'uomo-filosofo quale si era

venuta configurando a Platone nella vita e nella morte di Socrate"".

82

Cfr. G.

REALE,

,)'aggio introduttivo, eit., p. 123.

83 lvi, p. 124. Cfr. anche W ]AEGER, Paideia, La formazione dell'uomo greco (imroduzione di G, Reale, traduzione di L Emcry cA. Scni), Milano, Bompiani, 2003, p. 1309.

84

Cfr. G.

REALE,

Saggio introduttivo, eit., p. 125.

59

La Costituzione proposta è attuabile?

diretta agli avvenimenti in quel momento storico, anche accettandone la struttura determinata.

A voler considerare pill da vicino questo problema, bisogna porsi una domanda che investe tutto il pensiero di Platone se posta in maniera diversa: non se il Gorgia possa essere considerato un dialogo etico o politico, ma se è più forte l'implicazione politica o quella

Dalla Repubblica alle Leggi Il Politico: "l'arte della misura"

etica. Il problema viene chiarito dalle considerazioni che seguono. E,

Lultim~ fas~ del suo pensiero Platone la dedica ancora al pro-

allora, il dialogo Gorgia può essere considerato "un contributo all'etica o alla politica?"85. Dal punto di vista di Socrate e di Platone, non

organlc~ che traduca in atto l'insieme dei caratteri e delle ricche po-

vi è distinzione: la politica è fondata sull' etica, e non viceversa. Di

:.e~zlalIta della Repubblica ideale. E così scrive

qui la tesi di Martano: "Il Gorgia è un dialogo etico propedeutico al-

l arte propna del.reggitore dei popoli". E questa arte è quella della mzsura: ovvero Il gIusto mezzo che eviti l'eccesso nelle scelte che cias~uno ~ costretto a fare. Tutta la scienza dell'uomo politico consistera nel nce~~are questa. ~,rte della misura e delle sue applicazioni poli;,Iche. PerclO SI parla di problema delle leggi", sostiene Abbagnano 88 problema politico" di orientamento e di indirizzo per quegl; uominI che devono essere guidati a realizzarsi come cittadini di quella comunità ideale 89 •

la politica e la Politica un dialogo politico ave trovano teorizzazione in sede sociale i principi etici"86. Il Gorgia ha rivelato l'ambiente storico in cui è vissuto Platone ed ha messo in evidenza l'atteggiamento antidemocratico dell' autore. Comunque, non è la spinta ideologica che conduce platone a cercare una soluzione ai tanti problemi particolari sulla politeia. Platone rappresenta le esigenze eterne, le esigenze fondamentali dell'umanità che sono alla base di ogni politica. È anche vero che nel momento in cui la spinta all'universale sembra

blem~ polItico,

tività politica, ma l'esperienza del regime dei Trenta prima, della seguente democrazia, e soprattutto la morte di Socrate, lo spingono a ritenere che il bene della polis non possa attenersi con la partecipazione

85

G.

86

Ibid.

87

lvi, p. 38.

MARTANO,

il Politico, che tratta

Le Leggi

Al

problem~ ,delle leggi è dedicata l'ultima opera di Platone, in dodICI IIbn, la pIU estesa di tutte, pubblicata da Filippo O'Opunte, dopo la morte del maestro. Platone, ormai, più consapevole della "debolezza umana", si è convinto da tempo che, per facilitare la condotta dell'uo~o, bisogna guidarlo perché la legge esplichi anche un valore educativo-pedagogico e non soltanto comandare e prescrivere.

Introduzione, cit., p. 37.

60

particolare alla creazione di un sistema legislativo

co~e

proiettarlo in una sfera di idealità, Platone "ridiventa greco'" e "la purezza dell' utopia svanisce". Ciò accade specialmente nelle Leggi. Platone, come s'è detto, fin da giovane pensava di dedicarsi all' at-

In

88

N.

89

Cfr, anche G.

ASBAGNANO,

Storia della filosofia, voI. I, Torino, Uter, 2010, pp. 130-132.

REALE -

D. ANTISERI, Storia della filosofia, dr., pp. 443-444.

61

Il fine delle leggi è quello di promuovere nei cittadini le virtù 90

che si identificano con la felicità , Esse non devono produrre una sola virtù, per esempio il coraggio guerriero, ma tutte, perché tutte sono necessarie alla vita dello Stato; e perciò devono tendere all' educazione dei cittadini, Ma questa educazione ha come suo fonda-

cioè la sapienza religioso-filosofica sull' ordin e d'lVlno , e prOVVl' d ' enZlale del ITo'0nd~, che prende corpo nei moti astrali, tende a sostituirSI alla e a tradursi in una nuova filo so fi a po l"1t1ca rncentrata , l dlalettlca ' su pensle~o~programma di portare, nella tormentata e violenta città deglI uomrnl, la misura e l'armonia dei cieli""

mento la religione91 ,

La religione La religione, nelle Leggi, assume un posto-chiave nella vita e nel pensiero dell'uomo, Platone la considera uno strumento attraverso il quale si garantiscono coesione sociale e stabilità politica, tant' è vero che, "ritenendo l'ateismo cancro di ogni comunità, propone l'esilio e la pena di morte per chi non riconosca la Divinità"",

Una nuova filosofia politica Come si può notare, "la regressione platonica verso il mito si può adeguatamente comprendere solo in relazione al suo tentativo di dare un fondamento cosmico all' etica e alla politicà'93, Infatti, se la realtà fosse solo "materia e caso", sarebbe impossibile che ne derivi una solida proposta politica, Se invece si interpreta il mondo come organismo razionale e retto da leggi divine, lo stato dell'uomo potrebbe facilmente essere concepito come riflesso e impegno di realizzazione di tale ordine, "tant' è vero che la teologia astrale,

O" Ivi, pp, 444-445, 91

N, ABBAGNANO, Storia della filosofia, dr., pp. 131-132.

n Ibid. 93 N. ABBAGNANO _ G.

FORNERO,

Farefilosofia, Torino, Paravia, 1998, p. 159.

62

94

Ibid.

63

PARTE SECONDA LE RADICI, IL PERCORSO

I ALLA RICERCA DEL FONDAMENTO DELLO STATO: LA GIUSTIZIA *

La flsta al Pireo, l'ambiente e l'incontro di Socrate con Crifàlo Sin dalle prime pagine della Repubblica, Platone sente la necessità di affrontare il problema della giustizia, alla luce della quale uniformerà poi la delineazione dello Stato giusto. Il problema è vasto e pieno di difficoltà: esso volta a volta presenta delle differenti soluzioni a seconda del pensiero di coloro che partecipano alla discussione. È un problema di tale complessità che per molte pagine ci tiene in sospeso, senza che vi sia una risposta chiara e precisa all'interrogativo di che cosa sia veramente la giustizia e quale il suo valore. Linizio della Repubblica ha perciò un andamento prettamente socratico, che rispecchia fedelmente le caratteristiche di tutti i dialo-

Illustrazione del mito della caverna in un'incisione dcl1604 di Jan Saenredam.

ghi, scritti da Platone nel periodo di maggiore inHuenza del pensiero del suo maestro. Nella discussione avvenuta in casa di Cefalo, tra Socrate e i suoi amici, intorno alla giustizia, non vi sono risposte, come mai in nessun dialogo socratico vi sono state delle risposte. La discussione sulla formazione dello Stato giusto si svolge al Pireo, in casa di Cefalo, ave Socrate si era recato in compagnia di Glaucane, su invito di Polemarco, in occasione della festa delle Bendidie.

* Già pubblicato nell'Annuario 1977-1978 del Liceo Scientifico ''Albert Einstein", Teramo, pp. 113·128.

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Alla discussione erano presenti, oltre a Glaucone, Cefalo e i suoi

condotta degli uomini. Se sono ordinatamente misurati e di indole mite, la stessa vecchiaia non è poi tanto grave; se no, Socrate mio, non soltanto la vecchiaia, ma anche la giovinezza per un simile uomo diventa un tormento)J4.

figliuoli Polemarco, Lisia ed Eutidemo, Trasimaco di Calcedonia, Carmantide e Clitofonte. Erano dunque riuniti in casa del vecchio Cefalo gli esponenti della migliore società ateniese: gli uomini ancora legati alla tradizione da una parte, gli uomini delle nuove concezioni dall'altra'.

Parole molto sagge quelle di Cefalo, che Sacra te approva nel 10ro pIÙ profondo significato e nella loro origine, pur non approvandone l'ormai formula cristallizzata e la mancanza di risonanza interiore, che non risponde alla esigenza dei nuovi tempi e della nuova mentalità.

Socrate non va spesso al Pireo e di ciò Cefalo si dispiace, perché ama molto conversare con lui, giacché "quanto più i piaceri dei sensi per me si fanno più vani, tanto più cresce invece in me il desiderio e il gusto del discorrere"'.

Cefalo, che era un meteco, non era nobile per nascita, ma apparteneva a quella classe "che fu la borghesia ateniese scaturita attraverso i legislatori"5.

Socrate ama parlare con persone di una certa età, dai poeti chiamata "limite estremo di vecchiaia", poiché molto s'impara da loro "come da gente che prima di noi ha compiuto un viaggio, un viaggio che forse dovremo compiere anche noi, quale sia la via, se aspra e difficile, o facile e pianà'3.

Quella classe ebbe il merito di aver saputo dare leggi che valessero per tutti, "trovando ne il criterio di obbligatorietà in quella stessa ragione e misura del tutto", che era poi il problema urgente dell'epoca'. Platone rifiuta di quel mondo le vecchie formule e le ormai sorpassat~ ed inadeguate r~gole crist~llizzate, ma non il valore originano e l eSIgenza dI quel! ordIne, di quella misura, nella quale, come per Socrate, anche per Platone, era riposto tutto il valore dell'uomo.

E qui ha inizio la discussione, giacché Socrate domanda a Cefalo quale sia il suo pensiero sulla vecchiaia, se essa è da considerare il periodo più triste della vita di un uomo. Cefalo non è d'accordo col pensiero dei più, perché considera che la vecchiaia non è poi così intollerabile, quando si possiede un'indole equilibrata e serena.

Il problema della giustizia e la tesi della tradizione (Cefalo - Polemarco)

Molti si lamentano della vecchiaia, solo perché hanno perduto i piaceri e le gioie della gioventù, altri ne considerano soltanto i mali "ma di questi rimpianti, di queste lamentele contro i propri parenti, una sola, o Socrate, è la causa più vera, non la vecchiaia, ma la

\ Gli uomini della tradizione sono Cefalo, Polcmarco elisia; Trasimaco, Carmamide e Clitofonre quelli dalle nuove concezioni.

, Rep .• 328. 3

Rep., 328 e. 68

Socrate non si accontenta della risposta di Cefalo, che rispecchia la mentalità della tradizione; vuole di più, desidera approfondire il

• Rep" 329 d. 5

F.

6

Ivi, p, 23.

ADORNO,

Introduzione, in

PLATONE,

Opere politiche di Platone. Repubblica,

69

dt.,

p.

22,

problema, andare oltre i fini particolari, come pure lo desidera Platone che vuole superare quel mondo, ormai troppo sorpassato, per rispondere alle esigenze del momento. "Tu parli così, o Cefalo, dice Socrate, perché sei ricco e quindi non hai nessuna preoccupazione, e credo che i più non approvIno l e tue paro l e"7 . "Tu dici la verità, o Socrate,

0.0

ma se è vero che un uomo ra-

gionevole, se povero, non potrebbe molto agevolmente sopportare la vecchiaia, ugualmente un uomo irragionevole, sia pur avendo messo insieme un patrimonio, mai potrebbe trovare in se stesso una piena serenità"8. "Ma, domanda Socrate, qual è il vantaggio della ricchezza?".

E il buon Cefalo, ormai vecchio e prossimo alla morte, non tro-

senso troppo ristretto, quasi economico'), afferma il Marino Gentile ll ,

Seppure è una definizione, non bisogna prenderla troppo alla lettera; bisogna invece considerare l'importanza di alcune affermazioni,

fatte da Cefalo precedentemente, e che non a caso Platone ha voluto che proprio lui pronunciasse. Cefalo ha detto che il bene per un uomo di senso "sta nell' essere misurati". E Don è di poca importanza, se si considera che questo è il tema fondamentale di tutta la Repubblica. Platone ha posto in bocca a Cefalo, uomo del passato, un' affermazione, che è il cardine su cui ruoterà tutta la sua opera e, non a caso, perché Platone, pur considerando i difetti della tradizione, sa che essa ebbe un tempo una forza spirituale non comune e rispose a vive esigenze.

SÌ, perché per un vecchio ormai sulla soglia della morte, il van-

"Ed ora parla tu, che sei l'erede del discorso", esclama Socrate a Polemarco, che si era intromesso nella discussione, citando una frase di Simonide 12 • Cefalo non discute, si allontana subito perché non ha più nulla da dire. Suo figlio sì, invece, perché, a differenza del padre, ha ancora un lungo cammino da percorrere e vuole chiarire ad ogni costo i problemi, con i quali dovrà poi cimentarsi nella vita.

taggio della vita trascorsa consiste proprio nel non aver commesso

Socrate non si risparmia con i giovani cresciuti con la vecchia men-

va risposta migliore se non riporre il vantaggio della ricchezza nel-

la possibilità che questa gli dà di adempiere ai propri doveri di uomo giusto e partirsi da questo mondo "senza tema alcuna delle pene che dovranno patire nell'Ade coloro che sulla terra hanno com.

.

""9

messo IngiUStiZie .

ingiustizie e cioè: "non ingannare, non mentire, sia pU~'e

se~za vol~r­

lo, non essere debitore di nessuno, di sacrifici a un DlO, dI denan a un uomo, ed andarsene senza tema alcuna aI mon d o d'l 1"'\0 a . Una definizione della giustizia quella data dal vecchio Cefalo in "un

talità. Se con Cefalo ha mostrato comprensione e rispetto, con Polemarco è ironico, duro e sprezzante, proprio alla maniera dei sofisti. E qui Platone dà ragione ai sofisti della prima generazione, della forza di un Protagora e di un Gorgia, che per primi si levarono a combattere le idee cristallizzate e vuote della vecchia mentalità. Socrate con Polemarco è volutamente sofistico, perché sa che i

, Rep., 329 ,-330. H

Ibid.

9

Ivi" 330 d-e.

lO

Il

M.

12

Rep., 331

GENTILE,

Ld politica di Platone, Padova, Ccdam, 1941,.pp.

c.

Lvi, 331 b.

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34~35.

giovani come lui devono essere smossi da quel torpore nel quale sono cresciuti, se si vuole che essi dicano qualcosa di nuovo ed operino un rinnovamento in seno alla società, di cui fanno parte. Si pone così il problema della giustizia, la quale, secondo Polemarco, consisterebbe nel dare a ciascuno il suo, "ciò che a ciascuno

si deve e cioè il bene agli amici, il male ai nemici"13. Ma se _ controbatte Socrate - al malato è più utile il medico, al navigante il nocchiero, a chi possiede un campo l'agricoltore, quando sarà utile l'uomo giusto? Se è vero anche che, per qualsiasi attività, ci si serve di chi vera-

degli amici, a danno dei nemici"!5 La giustizia . ,f l non può consistere in questo ' perche' l' uomo gIUsto non puo ar"ma e ai ~emici, non può renderli più cattivi di quel che sono, come undmUSI dere musicalmente incolti gli al. h'" d co non puo'ren tn e c ,I S l~t~n e 'equitazione non può in virtù della sua arte rendere gh altri metti a cavalcare"!6. E "così .pure un uom o b tiono non pua' rendere cattivo un altro

percheI aZI~ne dell'uomo giusto non può essere causa di male né ad un ;~ICO ne a nessun altro, mentre causa di male è piuttosto l'azione e suo contrario, cioè dell'uomo ingiusto l7 ,

mente ci può essere utile, come nel giuoco degli scacchi di chi sappia veramente giocare, nelle costruzioni dell' architetto, nel suonare gli strumenti a corda del citarista, ove ci può essere utile l'uomo giusto? "In quegli affari ave si tratta di denaro, mi sembra", risponde Po-

Trasimaco e l'atteggiamento di Socrate AI docile arrendersi di Polemarco, Trasimaco ch ., d ". ' e gla aveva ag . paZienza, raggomltolatosi tutto su se stesso come una b e I va, quasI I . Cl voless e.s branare", con un)irruenza pari a quella di Poto se ni d'im'

lemarco. Ma, obietta So~rate, per acquistare un cavallo, un campo ci si serve di chi s'intende di cavalli e di campi e così via, e non dell'uomo giusto. Per cui ne deriva che l'uomo giusto sarà utile solo nel saper conservare un deposito di denaro. Ma si sa anche che tutto ciò che è messo da parte, finché non è usato, è inutile e quindi - conclude Socrate - eccO che la giustizia è utile solo per le cose inutili!4. E sempre con dialogare incalzante, volutamente sofistico, Socrate costringe Polemarco a riconoscere le inesattezze delle sue affermazioni

o ~ CallIde del Gorgza platonico, interrompe il dialogo, scaricando su oc~ate e Polemarco tutto il veleno accumulato nella lun portazlOne di ciò che aveva fin ora asco Itato. ga sopTr.asimaco n~n approva ciò che i due si vanno dicendo e li accusa di ciance e reCiproche concessioni, che non risolvono il problema posto, ma Socrate nel suo solito metodo Ch e conSIste . neI . agevolano . b mettere m .1m arazzo gli altri, senza mai dare egl'I stesso una risposta . suo Inter t" I d i Il fi' d Il ven o e VIO ento, concitato e sprezzante, alla maniera. J

e so stl e a peggIOre specie.

e il ridicolo contenuto nelle massime e nei detti dei poeti, che definirebbero la giustizia "una qual sorta di ruberia, volta però a vantaggio

" Rep., 334 b. " Rep., 332 b.

1(,

Ivi, 335 b.

17

Ivi, 335 b-335 e.

" lvi, 332 d·333 d.

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Il fatto che Trasimaco di Calcedonia fosse considerato un elemento di spicco del mondo sofistico ateniese, ha fatto supporre ad alcuni studiosi, quali l'Adorno e il Marino Gentile, che Platone non tenga conto del Trasimaco storico, ma, colorandolo con l'abile tinta della sua ironia, abbia voluto presentarci soltanto un esponente della nuova mentali tà. Una cosa sembra certa, comunque, che nell'atteggiamento, sia pure volgare e sfrontato, di Trasimaco si nota una vibrante necessità di voler impostare il problema della giustizia, scrollandosI d, dosso qualsiasi pregiudizio che ne possa impedire una risoluzione chiara e sicura.

Questa necessità di volere affrontare il problema rileva il suo lato positivo, cioè la consapevolezza di vivere in una società ~on p.il~ rispondente ai propri ideali e la naturale esigenza a svelare I motiVI

per poter porre le basi di un efficace rinnovamento. Trasimaco non sopporta a lungo il dialogare di Socrate con Polemarco, perché giudica inutili i discorsi impostati ancora alla vecchia maniera, riguardanti situazioni e fatti che non sono più rispondenti alle reali esigenze dell' epoca. , Veniamo alla realtà - dice Trasimaco - guardiamo com' è organizzata la società, quali uomini la compongono e in quale modo la reggono. Esaminiamo le cose cosÌ come sono e discutiamo su di esse senza perderci in inutili rammarichi e considerazioni infruttuose dal punl8

to di vista pratico • Socrate voleva proprio questo; Platone ce ne dà conferma, prendendo lo spunto dalla figura di Trasimaco per illustrare lo stato di corruzione e di disordine morale in cui versava la società ateniese di

quel tempo, e preparare il terreno alla risposta del Maestro. La sottile ironia ora si fa più sferzante e il dialogare, prima pacato e quasI senza mordente, ora acquista un tono più vivace ed interessato.

Viene in mente l'altro dialogo, il Gorgia, ave lo sviluppo psicologico è quasi identico. I! contrasto tra il diritto naturale e la legge si ripropone per bocca di Trasimaco nella stessa maniera con cui lo impostano Polo e Callicle l9 • La reazione di Socrate è pacata, ma decisamente ironica, tanto che costringerà Trasimaco ad "arrossire') perché non sarà più sicuro delle affermazioni così spavaldamente fatte in precedenza. Socrate confuta con una serie di esempi chiari ed inequivocabili la definizione che Trasimaco ha dato della giustizia, la quale consisterebbe, secondo lui, in "ciò che giova al più forte".

Ma la giustizia, ribatte Socrate, non può giovare al più forte, come qualsiasi arte, che sia veramente tale, non può cercare l'utile di se stessa, bensì di coloro cui essa è rivolta.

I! medico, in quanto tale, cerca l'utile dei malati, il nocchiero dei marinai, l'ippica dei cavalli e via dicendo. Così pure la giustizia, che sia veramente tale, non può cercare l'u-

tile di se stessa, ma tende e deve tendere, al pari delle altre arti, all'utile ed al benessere di chi a lei è subordinato e cioè del più debole20 • A questo punto lo smacco per Trasimaco è evidente. La conclusione di Socrate sulla giustizia è nettamente opposta a quella che egli spavaldamente aveva creduto di definire. Ma Trasimaco non si arrende, non sopporta che il "molto ingenuo" Socratepossa metterlo in difficoltà; soprattutto non sopporta

'o'Pere.

19p LATONE,

C ' 470 c-d, trad. di autori vari, Bari, Laterza, 1966. orgIa,

'" Rep., 341 c-343, '" Rep .• 336 b-336 c.

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gli sguardi ironici dei presenti, che rivelano l'unanime e tacito consenso alla chiara confutazione del Maestro e scarsa convinzione su ciò che potrà rispondergli. È il tipico atteggiamento di chi crede di sapere e poi improvvisamente s'accorge di non sapere nulla. . Una situazione davvero imbarazzante, quasi drammatica, che Platone con profondo acume psicologico sa rendere meravigliosamente. È inevitabile la reazione di Trasimaco, come nel Gorgia quella di Polo e Callicle, di fronte alla limpida chiarezza di Socrate. È una reazione sproporzionata, piena di acredine da una parte per lo smacco subito, e dall' altra soflÌlsa di commiserazione per il povero "ingenuo" Socrate, che ancora crede nella buona volontà degli uomini. La situazione è diversa per Trasimaco; bisogna guardare la realtà per quella che è storicamente. Non bisogna cullarsi nelle considerazioni di quella che essa dovrebbe essere, altrimenti si corre il rischio di essere menati per il naso da chiunque. I! giusto ci rimette sempre e si può facilmente dimostrare come invece l'ingiusto, colui che veramente sappia essere completamente ingiusto e cioè "chi si impadronisce non solo dei beni dei propri cittadini, ma dei cittadini stessi riducendoli in servitù ... viene chiamato felice e beato non solo dai suoi concittadini, ma da tutti coloro che sappiano come egli abbia attuato la più piena ingiustizia"2!. "Perché, aggiunge Trasimaco, quando l'ingiustizia viene biasimata non è per timore di commettere l'ingiustizia, ma per timore di doverla subire. Ecco, dunque, Socrate, che l'ingiustizia, quando sia tale da potersi mantenere, è più forte, più libera, più potente della giustizia, e, come fin da principio ho detto, ecco che la giustizia consiste appunto in ciò che giova al più forte, mentre l'ingiustizia consiste in

tutto ciò che viene a giovamento e profitto personali"22.

A parte l'acredine di Trasimaco e lo smacco subito, il suo lungo discorso vuole porre il dito sulla piaga del tempo, sulla corruzione e sul caos morale che imperavano in Atene. La situazione è veramente cosÌ drastica: i valori morali sono soyvertiti dall' egoismo e dal profitto personali. A Socrate non dispiace che Trasimaco dica le cose realmente come stanno, perché solo così si può sentire l'esigenza di porre dei rimedi. In fondo la Sofistica della prima generazione e Socrate sono d'accordo sulla necessità di un rinnovamento, anche se poi i metodi e i mezzi suggeriti non coincidono. La Sofistica sappiamo che riponeva la virtù dell'uomo nella capacità che egli aveva di dominare con la parola gli altri. Mentre Socrate, la stessa virtù, la riponeva nella capacità dell'uomo di riconoscersi come uomo, cioè come essere pensante e cosciente delle proprie funzioni. Le concezioni sono nettamente diverse, ma la posizione di partenza identica. Per cui Socrate non è che disdegni la cruda realtà posta da Trasimaco, ma vuole a tutti i costi andare all' origine dei mali della società ateniese, perché si possano conoscere le cause e quindi proporre i rimedi. Egli è pienamente d'accordo con Trasimaco sui mali che rodono la società ateniese, ma non può convenire con quelle che sono le sue convinzioni sulla giustizia.

I! problema per Socrate è di fondamentale importanza; non si tratta di definire "una cosa da nulla, ma la stessa norma della vita quella norma che ciascuno di noi deve seguire per attuare nel

22

" Rep .• 344 b-344 c. 76

Ivi, 344 c.

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mod~

migliore la propria esistenzà'23. Nel richiamo di Socrate alla norma della vita crediamo di poter

loro a pensare e a vivere, secondo la "verà' natura di ogni uomo. Socrate era convinto che filosofore volesse dire vivere, che il pensier~ non potesse essere disgiunto dall'azione, tanto convinto che prefe-

riporre tutta l'importanza del pensiero plaronico. Filosofare, egli afferma nel Politico, è un lungo e serio lavoro, è imparare a pensare, a divenire "abile dialettico)); filosofare non è una scienza come un'altra che ha per contenuro un qualsiasi oggetto, ma

tranquilla dell' esilio.

per suo contenuto ha la stessa vita, ciò per cui l'uomo è uomo, cioè

erate mentre egli fugge dalla sua città per scampare alla morte, è una

lo stesso pensiero'4. Lo Jaeger, nella sua opera principale, riassume in poche parole

pagina non solo altamente educativa per il suo vigore morale, ma so-

il fine della lunga ricerca platonica: per Platone ogni sforzo di conoscere il vero si giustifica alla fine non già ... col desiderio di risolver l'enigma del mondo in sé e per sé, ma con la necessità di conoscere

al dovere di ogni uom0 26 •

per conservare la vita e per dare ad essa una forma"25. Infatti, il fine principale perseguito da Platone in tutte le sue opere, afferma l'Adorno, è quello di insegnare a vivere, a conoscere se stessi e gli altri, in modo da poter agire coscientemente in una comunità d'individui coscienti, volti verso un ideale di vita superiore. Nell'animo di chi legge riecheggiano profondamente le parole di monito che Socrate rivolge al frettoloso Trasimaco e ci piace riportarle ancora una volta per rilevarne l'alto valore morale: "O divino Trasimaco, credi di aver definito una cosa da nulla e non la stessa norma della vita, quella norma che ciascuno di noi deve seguire per attuare nel modo migliore la propria esistenza?". Proprio in queste parole rifulge, in tutta la sua elevatezza morale, la figura di Socrate che perseguì lo stesso fine, quello di ricordare agli uomini la loro caratteristica principale, in quanto esseri razionali, insegnar

n bere la cIcuta alla ritrattazione delle sue idee o alla vita anonima e

I! discorso immaginario delle Leggi, che si fanno innanzi a So-

prattutto valida a comprendere l'importanza che Socrate attribuiva Dovere che per Soerate, come per Platone, si riassume nel famoso imperativo categorico "nosce te ipsum') come il solo mezzo per praticare la giustizia, vera norma di vita, unica luce nel nostro difficile cammino. La divagazione dal testo è stata spontanea; la fretta di Trasimaco di abbandonare la discussione dopo aver "scaraventato" sugli astanti "un diluvio" di parole, è veramente ridicola e mostra tutta la sua superficialità di fronte al vigoroso richiamo di Socrate sulla fondamentale importanza del problema che si sta discutendo. Anche Callide, nel Gorgia, afferma all'incirca le stesse cose e ridu.ce i r~pporti sociali in termini di mera forza, tutta a vantaggio di chI sappIa essere perfettamente capace di dominare gli altri 2 ? La concezione politica di Callide e Trasimaco è ovviamente rigettata da Socrate. Soprattutto perché egli, come afferma anche Marino

?icc i~ Gomperz: "Ciò che c'è di più rimarchevole nel Critone è l'elevatezza morale che marufcsta, che oltrepassa di