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INGEGNERIA DELLE SCARPATE IN ROCCIA
E. Hoek & J. W. Bray terza edizione riveduta ristampa 2001
Traduzione∗ in Italiano del testo "Rock slope engineering" a cura di Dott. Geol. Silvio Laureri
versione 1.1 Dicembre 2010
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Per gentile concessione della Institution of Mining and Metallurgy
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Presentazione Prof. M. Fornaro
L’entrata di un nuovo testo scientifico nel ‘giro’ degli addetti ai lavori - soprattutto a livello universitario - può suscitare interessi ed impressioni diverse. Da un lato ci si può aspettare un aggiornamento della materia, oggi in continua evoluzione tecnica, indispensabile in un mondo professionale sempre più tecnologico ed esigente; dall’altro resta tuttavia importante poter criticamente disporre di consolidati principi e di mezzi conoscitivi, sempre necessari per qualsiasi sviluppo di ricerca scientifica e per una costante innovazione tecnica, anche - direi soprattutto - nelle Scienze geoapplicative ed ingegneristiche che operano su rocce e terreni. A tal riguardo, prima come Ingegnere (‘minerario’ e quindi culturalmente vicino all’ ambiente editoriale della IMM britannica, istituzione promotrice dell’opera originaria di cui trattasi) e poi come Geologo ‘applicato’ (dopo un metamorfismo... ‘per contatto’, si potrebbe forse dire) non posso che esprimere, anzitutto, un giudizio ‘didattico’ positivo su un testo classico che sarebbe superficiale ed ingiusto ritenere superato. Più corretto,in ogni caso, è considerarlo formativo, essendo stato tale per almeno due generazioni di studiosi. Al di là infatti di tanta letteratura, specifica sul tema, nel frattempo pubblicata e diffusa nel mondo scientifico internazionale, questo testo ha senza dubbio svolto una preziosa funzione pionieristica per allievi geoingegneri d’ogni Paese e, soprattutto, data la sua ‘architettura’ compositiva (esaustiva ma non pedante), di accattivante guida per autodidatti, professionisti e cultori della materia, nel settore innovativo della Meccanica delle Rocce, sorella minore (ma solo di età) della Geotecnica, nata prima e rivolta piuttosto al comportamento delle Terre. Ben tornato quindi, tale testo fra le nostre mani con una nuova veste editoriale (economica) ma con la ‘genuinità’ dei suoi contenuti originali, peraltro tradotti con competenza in lingua italiana; non si tratta, in questo caso, per un lettore anonimo, di assecondare una certa ‘pigrizia’ scolare - oggi evidentemente da superare nel contesto internazionale - bensì di facilitare proprio quegli stimoli all’apprendimento di prima mano della fisicità dei fenomeni che possono poi, una volta compresi correttamente, venire approfonditi ed implementati con altri testi stranieri, segnatamente in lingua inglese. Ciò anche in virtù del residuo ‘bilinguismo’, volutamente mantenuto fra le righe e nelle didascalie illustrative del libro stesso. Un doveroso riconoscimento quindi all’amico italo-ticinese, Dott. Geol. Silvio Laureri, in parte almeno, lui stesso ‘autodidatta’, avendo tratto dalla propria positiva esperienza - professionale e di lavoro - quegli elementi pratici e sperimentali sul campo che gli hanno fatto sempre meglio apprezzare, arricchendoli tecnicamente di propria mano, i fondamenti teorici contenuti nel testo originale
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di H&B, sino a volerli tradurre, con un tenace impegno personale di tanti anni - quasi per antica riconoscenza di Allievo ‘virtuale’ verso gli Autori medesimi, diventandone, in certo senso, ‘Collega ad honorem’ - e mettere, come oggi si usa, in rete. In ogni caso, gli auguro un comunque meritato apprezzamento dell’Accademia ed una proficua diffusione presso gli Ordini di lingua italiana, nell’interesse soprattutto delle Scienze Geomeccaniche. Università di Torino, marzo 2010 Prof. Ing. Mauro Fornaro
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Ringraziamenti
Desidero ringraziare coloro che, a vario titolo, hanno propiziato la pubblicazione del mio lavoro dii traduzione cominciando dalla Institution of Mining and Metallurgy, nella persona dell’EurIng. Dr G.J.M. Woodrow DCE, che ha rinnovato e confermato l’autorizzazione a pubblicare. Tra gli amici e colleghi che m’hanno elargito consigli per il lavoro di concetto mi riesce difficile stabilire una graduatoria d’importanza e mi pare semplicistico elencarli in ordine alfabetico. Perciò trovo opportuno citare i loro nomi nell’ordine cronologico col quale si sono succeduti i rispettivi apporti e specificando il tipo di questi. Il Dr Ing. Renzo Bindi indirizzò e seguì i miei primi passi nella stesura dell’intera versione nei primi anni ’80 del secolo scorso; vari colleghi d’ufficio e di cantiere - durante e dopo il mio servizio presso l’Ufficio Strade Nazionali del Cantone Ticino mi consigliarono - ognuno per il proprio campo di specializzazione - nell’affinamento della nomenclatura. Il Dr Geol. Alberto Bruschi mi fornì la registrazione delle riproduzioni digitali di tutte le figure del testo. Infine - ultimi, ma non postremi - il Dr Ing. Edoardo Fornaro e soprattutto Suo fratello, il Prof. Mauro Fornaro negli ultimi due anni si sono adoperati generosamente il primo valutando, il secondo verificando il testo e certificando con una lusinghiera presentazione la sua attualità e validità. Il Prof. Otello Del Greco ha avuto la bontà di redigere una efficace, personale e singolare recensione per il Periodico ‘Gallerie’. L’amico Stefano Beltraminelli, Ingegnere informatico - ultimo ma non postremo - ha curato con scrupolo e precisione la compilazione e l’impaginazione di tutto il testo. Tutti costoro ringrazio sentitamente. Dr Geol. Silvio Laureri Bellinzona, 20 di Dicembre 2010
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Prefazione alla prima edizione
Nella progettazione dello scavo di grandissime scarpate, la cui realizzazione sta diventando sempre più frequente sia per opere di genio civile che per coltivazione mineraria, l’ingegnere deve tener conto di due esigenze contrastanti. Da un lato il prevedere scarpate più ripide garantisce un ingente risparmio, a causa della riduzione della cubatura di scavo. Dall’altro l’eccessiva ripidezza d’una data scarpata dà adito al rischio di crolli, quindi di perdite di vite umane e gravi danni alle cose. Come può l’ingegnere elaborare un progetto ideale, che è un compromesso fra la scarpata abbastanza ripida da essere accettabile economicamente e quella abbastanza poco acclive da essere sicura? L’ammasso di roccia d’ogni scarpata ha caratteristiche uniche, perciò non vi sono nè accorgimenti-tipo nè soluzioni ordinarie che garantiscano il risultato ideale ogni volta che vengono adottati. La soluzione pratica scaturisce dai dati geologici di base - conoscenza della resistenza della roccia, della situazione idrogeologica - e da una dose adeguata di buon senso ingegneristico. Questi ingredienti vengono mescolati in proporzioni differenti per ogni caso, sicché il solo ausilio disponibile è un insieme di strumenti e di metodi che aiutano l’ingegnere ad acquisire i dati necessari con rapidità ed efficacia ed a elaborarli in modo metodico. Questo trattato si propone di descrivere tali strumenti e metodi e d’illustrare la loro applicazione a problemi pratici tramite numerosi esempi di soluzioni collaudate. Nella trattazione la parte matematica è stata ridotta al minimo, mentre sono stati introdotti numerosi nomogrammi e metodi grafici atti a consentire all’ingegnere non specializzato di raggiungere rapidamente soluzioni approssimate del problema che gl’interessa. Tali soluzioni approssimate sono spesso soddisfacenti, ma non escludono che in situazioni particolari l’ingegnere senta il bisogno di ricorrere ad un geotecnico specialista per avere aiuto. L’ingegnere, per aver tentato di risolvere da solo il problema, sarà perfettamente in grado di chiarire allo specialista le sue esigenze e di trovare insieme a lui la soluzione ingegneristica più pratica. Gli Autori non giudicano di doversi scusare per il fatto che il testo è stato stampato in offset litografico, riproducendo cartelle dattiloscritte, e che alcuni disegni e figure non sono perfetti: infatti si è preferito mettere in circolazione un manuale ingegneristico a buon prezzo, piuttosto che un esempio elegante di arte tipografica. Sono stati lasciati ampi margini a disposizione per le annotazioni del Lettore e gli Autori sperano che ogni copia serva per un uso intenso invece di languire in una inattività decorativa. Londra Novembre 1973
Evert Hoek John Bray
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Prefazione alla terza edizione riveduta
‘Ingegneria delle scarpate in roccia’ è stato ampiamente riveduto nel 1977, onde questa successiva terza edizione contiene relativamente pochi cambiamenti, a parte il formato diverso. Le modifiche più importanti sono: • L’inserimento, alle pagine 106–113, d’una equazione di rottura non lineare pubblicato recentemente; • L’aggiunta d’un capitolo rinnovato, che descrive i metodi dei conci di Bishop e di Janbu per l’analisi dei cedimenti di scarpata cilindrici e planari, nonchè l’applicazione del metodo di Bishop al caso di un ammasso di roccia che manifesta caratteristiche di rottura non lineare. Questo capitolo riveduto è stato inserito alle pagine 247–253; • La sostituzione dell’Appendice 1, che tratta la rottura a cuneo sulle scarpate rocciose, con una nuova appendice riguardante l’analisi statistica dei risultati di prove di resistenza in laboratorio. La decisione di tralasciare la versione originale dell’analisi del cuneo è stata presa perchè detto argomento è oggetto d’una pubblicazione specialistica1 e perchè la diffusione di calcolatrici programmabili e di elaboratori da tavolo ha reso molto più accessibile l’analisi del cuneo presentata in Appendice 2; • L’aggiunta d’un Indice. Per il lettore può essere interessante sapere che sono state pubblicate traduzioni in Turco e Giapponese di questo libro e che, per di più, ora sono in allestimento quelle in Spagnolo, Russo e Cinese.
Londra Gennaio 1981
Evert Hoek John Bray
1 HOEK, E., BRAY, J.W. & BOYD, J.M. ‘The stability of a rock slope containing a wedge resting on two intersecting discontinuities’. Quarterly Journal of Engineering Geology, Vol. 6, No. 1, 1973.
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Ringraziamenti
Questo testo è il risultato d’un programma quadriennale di ricerca sulla stabilità delle scarpate nelle miniere a cielo aperto, condotto alla Royal School of Mines dal 1968 al 1972. Il progetto è stato sovvenzionato dalle seguenti società. Anglo American International (UK) Ltd. nell’interesse di sei società consociate. Bougainville Copper (Pty) Ltd. Consolidated Gold Fields Ltd. English China Clays Ltd. National Coal Board Open Cast Executive. Palabora Mining Company Ltd. Rio Tinto Espanola S.A. Rio Tinto Zinc Corporation Ltd. Roan Selection Trust Ltd. nell’interesse di due società consociate in Zambia. Le seguenti società consociate della Australian Mineral Industries Research Association. Broken Hill Proprietary Company Ltd. Conzinc Riotinto of Australia Ltd. Electrolytic Zinc Company of Australasia Ltd. Mount Isa Mines Ltd. New Broken Hill Consolidated Ltd. North Broken Hill Ltd. Western Mining Corporation Ltd. Il Sig. M.J. Cahalan del Segretariato di Ricerca della Rio Tinto Zinc Corporation ha svolto la funzione di coordinatore del progetto. Gli Autori desiderano ringraziare la liberalità delle società citate ed anche la loro propensione a fornire informazioni ed assistenza pratica ogniqualvolta sono state chieste. La ricerca è stata eseguita da un gruppo di membri dell’organico e di studenti di ricerca alla Royal School of Mines: a tutti loro va un grato riconoscimento per l’importante contributo prestato. La seconda e la terza edizione di quest’opera sono state rivedute da E. Hoek quando era alle dipendenze della Golder Associates. Siamo oltremodo grati a questa Società per la generosità dimostrata allora. Molti contributi pratici sono merito di membri della organizzazione Golder, onde li ringraziamo per il loro aiuto. Numerose persone hanno dato apporti importanti in forma di commenti critici, discussioni approfondite o dati messi a disposizione. Sarebbe impossibile elencarli tutti. Ci limiteremo perciò a coloro che hanno prestato gli aiuti più significativi: Prof. Ted Brown dell’Imperial College in Londra, Sig. Pierre Londe della Coyne and Bellier, Parigi,
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Prof. Dick Goodman dell’University of California, Berkeley, Prof. Branko Ladanyi dell’Ecole Polytechnique, Montreal, Sig. John Ashby della Golder Associates in Seattle, Sig. Ken Mattews della Golder Associates in Vancouver e Dr. Nick Barton della Terra Tek in Utah. L’originale di questo scritto è stato dattilografato dalla Sig.ra Theo Hoek, che ha partecipato anche all’allestimento di molti schizzi e fotografie. Il suo aiuto ed appoggio pluriennale merita un caloroso ringraziamento.
Indice
Indice
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1 Considerazioni economiche e progettuali Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Effetti economici dell’instabilità . . . . . . . . . Ricerche per pianificare la stabilità . . . . . . . Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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2 Meccanica di base nei cedimenti di scarpata Applicazione della meccanica del continuo alla stabilità delle scarpate . . . . . Relazione tra altezza massima ed angolo di scarpa in pendii artificiali . . . . . Ruolo delle discontinuità nei dissesti di scarpata . . . . . . . . . . . . . . . . . Attrito, coesione e massa volumica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Scivolamento per gravità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Influenza della pressione idrostatica sulla resistenza al taglio . . . . . . . . . . . La legge della forza efficace . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . L’effetto della pressione idrostatica in una fessura di trazione . . . . . . . . . . Il consolidamento per la prevenzione degli scivolamenti . . . . . . . . . . . . . . Coefficiente di sicurezza d’una scarpata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Cedimenti di scarpata per i quali può essere calcolato il coefficiente di sicurezza Relazione fra altezza critica del pendio ed angolo di scarpa . . . . . . . . . . . Scarpate per le quali non può essere calcolato il coefficiente di sicurezza . . . . Impostazione probabilistica della progettazione di scarpate . . . . . . . . . . . Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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3 Presentazione grafica dei dati geologici Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Definizione dei termini geologici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Definizione dei termini geometrici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Metodi grafici per la presentazione dei dati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Proiezione equivalente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Rappresentazione d’un piano in proiezione, mediante un cerchio meridiano ed un polo Determinazione della linea d’intersezione di due piani . . . . . . . . . . . . . . . . . . Determinazione dell’angolo fra due rette date . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Metodo alternativo per trovare la linea d’intersezione di due piani . . . . . . . . . . . Messa in grafico ed analisi dei rilievi di campagna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Valutazione dei potenziali problemi delle scarpate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Metodo raccomandato di presentazione e d’analisi dei dati per la progettazione di estrattivi a cielo aperto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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4 Acquisizione dei dati geognostici Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . Rilievi geologici regionali . . . . . . . . . . . Rilievo delle strutture affioranti . . . . . . . Fotogeologia delle strutture in affioramento Misurazione della scabrezza delle superfici . Carotaggi per scopi strutturali . . . . . . .
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Presentazione dei dati geologici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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5 Resistenza al taglio della roccia Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Resistenza al taglio di discontinuità piane . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Influenza dell’acqua sulla resistenza al taglio di discontinuità piane . . . . . . . . . . . Rottura di taglio lungo un piano inclinato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Scabrezza delle superfici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Esecuzione di prove di taglio su discontinuità in roccia . . . . . . . . . . . . . . . . . . Valutazione della resistenza alla compressione e dell’angolo d’attrito dei giunti . . . . . Resistenza al taglio di discontinuità riempite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Resistenza al taglio di ammassi rocciosi fittamente fessurati . . . . . . . . . . . . . . . Prove su roccia fittamente diaclasata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Determinazione della resistenza al taglio tramite analisi a ritroso di rotture di scarpata Raccolta e preparazione dei campioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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6 Circolazione dell’acqua sotterranea; permeabilità Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Circolazione dell’acqua sotterranea nelle masse rocciose Reti idrodinamiche (o di flusso) . . . . . . . . . . . . . . Misure di permeabilità in sito . . . . . . . . . . . . . . . Prove di pompaggio in fori di sondaggio . . . . . . . . . Misura della pressione dell’acqua . . . . . . . . . . . . . Commenti d’ordine generale . . . . . . . . . . . . . . . . Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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pressione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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7 Scivolamento su superficie piana Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Condizioni generali per l’innesco dello scivolamento su superficie piana Analisi del dissesto planare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Analisi di stabilità per via grafica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Influenza dell’acqua sotterranea sulla stabilità . . . . . . . . . . . . . . Profondità critica della frattura di trazione . . . . . . . . . . . . . . . La frattura di trazione come indicatore d’instabilità . . . . . . . . . . Inclinazione critica del piano di cedimento . . . . . . . . . . . . . . . . Influenza dell’erosione al piede d’una scarpata . . . . . . . . . . . . . . Consolidamento d’una scarpata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Analisi del distacco su una superficie scabra . . . . . . . . . . . . . . . Caso pratico numero 1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Caso pratico numero 2 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Caso pratico numero 3 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Esempio pratico numero 4 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Esempio pratico numero 5 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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8 Scivolamento a cuneo (o tridimensionale) Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Definizione della geometria del cuneo . . . . . . . . . . Analisi dello scivolamento a cuneo . . . . . . . . . . . Analisi del cuneo tenendo conto di coesione e pressione Nomogrammi della stabilità del cuneo per solo attrito
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. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . idrostatica . . . . . . .
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Esempio pratico di analisi d’un cuneo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 224 Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 238 9 Scivolamento rotazionale Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Condizioni per lo scivolamento rotazionale . . . . . . . . . . . . . Origine dei nomogrammi degli scivolamenti rotazionali . . . . . . Ipotesi sulla circolazione dell’acqua sotterranea . . . . . . . . . . Costruzione di nomogrammi dello scivolamento rotazionale . . . Impiego dei nomogrammi dello scivolamento rotazionale . . . . . Posizione del cerchio critico di rottura e della frattura di trazione Esempio pratico numero 1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Esempio pratico numero 2 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Esempio pratico numero 3 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Metodi dei conci di Bishop e di Janbu . . . . . . . . . . . . . . . Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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10 Dissesto per ribaltamento (‘Toppling’) Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Tipi di dissesto per ribaltamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Modalità di ribaltamento secondari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Analisi del dissesto per ribaltamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Coefficiente di sicurezza nell’analisi in equilibrio-limite dei dissesti per ribaltamento . Osservazioni generali sul dissesto per ribaltamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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11 Impiego degli esplosivi Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Volate di produzione . . . . . . . . . . . . . . . . Progettazione delle volate di produzione . . . . . Valutazione del risultato d’una volata . . . . . . Modifica degli schemi di brillamento . . . . . . . Danni provocati dall’esplosione e loro controllo . Tecniche di brillamento particolari per migliorare Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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12 Argomenti vari Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Influenza della curvatura della scarpata sulla stabilità . . . . Depressurizzazione della scarpata . . . . . . . . . . . . . . . . Protezione superficiale delle scarpate . . . . . . . . . . . . . . Prevenzione della caduta di pezzi di roccia . . . . . . . . . . . Monitoraggio ed interpretazione dei movimenti delle scarpate Uno sguardo verso il futuro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Appendice 1: Analisi dei dati delle prove di resistenza in laboratorio
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Appendice 2: Calcolo rapido per la soluzione del problema del cuneo
354
Appendice 3: Coefficienti di sicurezza di scarpate in roccia ancorate
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Capitolo 1
Considerazioni economiche e progettuali
Introduzione Questo libro tratta della stabilità delle scarpate in roccia, dei metodi per valutarla e delle tecniche per migliorarne la sicurezza nei casi potenzialmente pericolosi. Il cedimento di scarpate in roccia, o meglio i provvedimenti di sicurezza necessari per prevenirlo, costa, quindi è giusto che ci soffermiamo a considerare alcune conseguenze economiche del comportamento delle scarpate prima d’inoltrarci nel suo esame approfondito. Parecchi studiosi [1-8]2 hanno analizzato l’influenza che l’angolo di scarpa ha sul progetto e sul costo dell’estrazione mineraria a cielo aperto, perciò rimandiamo a quelle pubblicazioni il lettore interessato all’argomento, che vi è trattato in modo più esauriente di quanto sia possibile in questa introduzione. Uno dei fatti più evidenti che dette indagini mostrano è che le scarpate d’una miniera vengono generalmente profilate secondo l’angolo più ripido possibile per ridurre al minimo il rapporto fra il volume di roccia scavata e quello di minerale estratto. Poiché i vantaggi economici conseguiti in questo modo possono essere vanificati da un dissesto importante, la valutazione della stabilità dei pendii è una parte preminente del programma di coltivazione d’una miniera a cielo aperto. Stewart & Kennedy [1] dimostrano che non è solo l’inclinazione delle scarpate finite ad influire sulla resa economica globale d’una miniera a cielo aperto: essi evidenziano mediante l’analisi dei costi che spesso è notevolmente vantaggioso profilare scarpate ripide durante la fase iniziale d’attacco. Questi Autori inoltre dimostrano che, oltre alla stabilità, esistono altri fattori che influenzano la scelta dell’inclinazione delle pareti di una miniera a cielo aperto. Ad esempio, le grandi macchine da miniera non possono essere impiegate se le balze sono strette, mentre che le piste di smarino devono avere pendenza compresa entro i limiti imposti dalle esigenze operative ideali dei mezzi di trasporto: ciò significa generalmente adozione di scarpate poco ripide. In alcuni casi addirittura i regolamenti minerari locali definiscono l’altezza e la larghezza massime dei gradoni. Mentre l’inclinazione complessiva del pendio è evidentemente importante per l’economia dell’intera coltivazione mineraria, la stabilità delle singole balze è normalmente oggetto di interesse più immediato per i tecnici responsabili delle operazioni minerarie quotidiane. Il dissesto di un ripiano sede di una importante pista di smarino, o che si trova adiacente ad un confine di proprietà, o ad un’installazione principale, può provocare uno scompenso grave nel programma di coltivazione. Occorre inoltre tenere presente 2 I numeri fra parentesi si riferiscono all’elenco bibliografico riportato al termine d’ogni capitolo.
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che queste rotture locali, pur se relativamente limitate, possono verificarsi quasi senza preavviso, causando perdite di vite umane e danni alle attrezzature. La stabilità di una singola balza dipende dalle condizioni geologiche locali, dalla conformazione dell’intero pendio in quella zona, dalla presenza d’acqua sotterranea ed anche dalla tecnica di scavo adottata. Tutti questi fattori ovviamente varieranno entro così ampi limiti, in funzione delle diverse situazioni minerarie, che è impossibile fissare regole generali su quanto alto e quanto ripido debba essere un gradone per risultare sicuramente stabile. Allorquando è dubbia la stabilità di una balza, giudicata importante in una particolare operazione mineraria, essa va stimata tenendo conto delle strutture geologiche, delle condizioni idrogeologiche e degli eventuali altri fattori che caratterizzano il pendio cui appartiene. Scopo di quest’opera è appunto di proporre all’ingegnere od al geologo metodi appropriati per compiere tale valutazione. Effetti economici dell’instabilità La migliore introduzione all’argomento può essere rappresentata da un esempio comprendente l’esame dei fattori più importanti che influenzano il comportamento del pendio roccioso, come pure delle conseguenze economiche della sua instabilità. Geometria dello scivolamento a cuneo per l’esempio dell’analisi di stabilità d’una balza. Particolarità della conformazione del cuneo e delle caratteristiche del materiale roccioso utilizzate in questa analisi: le superficie di discontinuità sulle quali il cuneo scivola s’immergono entrambe a 45◦ rispetto al fronte di scarpata, dando luogo ad un cuneo simmetrico. Entrambe hanno un angolo d’attrito di 30◦ ed una coesione di 1000 lb/f t2 . Il peso specifico della roccia è di 160 lb/f t3 .
Durante le fasi iniziali dei lavori di scavo sul pendio illustrato in Fig. 1 sono affiorate due discontinuità principali. Le misure d’orientazione e d’inclinazione di tali discontinuità e la proiezione dei loro valori all’interno dell’ammasso roccioso mostrano che la linea d’intersezione delle discontinuità affiorerà sulla superficie del pendio quando questo raggiungerà l’altezza di 30 m. Occorre accertare le condizioni di stabilità di questo pendio e, qualora si trovi che esse sono inadeguate, valutare i costi dei vari tipi d’intervento applicabili. Il grafico in Fig. 2 correla il coefficiente di sicurezza3 con l’angolo di scarpa: le curve ivi tracciate si riferiscono ai due casi opposti di roccia asciutta e, rispettivamente, satura. Nel seguito della trattazione un’analisi approfondita metterà in evidenza l’influsso notevole che la presenza d’acqua entro la roccia d’una scarpata può avere sulla sua stabilità ed il fatto che il drenaggio è uno dei mezzi più efficaci per incrementarla.
3 Le definizioni di questo e d’altri termini usati per l’analisi della stabilità verranno date in seguito. Per capire questo esempio non è necessaria una conoscenza approfondita del metodo d’analisi.
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Figura 1: esempio di scivolamento a cuneo su una balza di miniera a cielo aperto.
Figura 2: variazione del coefficiente di sicurezza in funzione dell’angolo di scarpa.
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Una scarpata sarà soggetta a scoscendimenti se il coefficiente di sicurezza assume un valore inferiore ad 1: perciò dalla Fig. 2 si ricava che la scarpata in roccia satura d’acqua cederà se viene profilata secondo un angolo superiore a 64◦ . La scarpata in roccia asciutta, invece, appare teoricamente stabile per qualsiasi valore dell’angolo di scarpa: tuttavia il coefficiente di sicurezza pari a circa 1.2 non è considerato sufficiente a garantire la sua stabilità. Un coefficiente di 1.3 è considerato normalmente il minimo accettabile nella maggior parte delle situazioni minerarie in cui è necessario che la scarpata rimanga stabile per un lasso di tempo relativamente breve. Per scarpate che devono durare più a lungo, come quelle che sorreggono piste di servizio, è più adeguato un valore pari ad 1.5. Nell’esempio di Fig. 2 il valore 1.3 è considerato sufficiente; ciò significa che se non si adottano altri provvedimenti per rendere stabile la scarpata, questa dovrebbe essere scavata con un’inclinazione di 46◦ , se satura, oppure di 55◦ , se asciutta, per essere conforme al grado di sicurezza voluto. Una stima dei costi è adeguata solo se vi sono compresi gli oneri aggiuntivi derivanti dagli scavi e dai movimenti di terra necessari per rimediare ad eventuali movimenti franosi. Abbiamo seguito questo criterio per una certa gamma d’angoli di scarpa ed abbiamo rappresentato i risultati nel grafico della Fig. 3. Nel calcolare la massa di roccia da abbattere per rendere meno ripido il pendio abbiamo ammesso che il fronte di scavo abbia una larghezza di 91.44 m (= 300 f t). In molti casi la riduzione dell’angolo di scarpa potrebbe anche ripercuotersi su quello dei gradoni che si trovano più in alto e coinvolgere tonnellaggi molto maggiori di quelli prospettati in Fig. 3. In questa figura compaiono anche due grafici che consentono di ricavare il carico esterno da applicare mediante ancoraggi orizzontali, perpendicolari al fronte della scarpata e fissati nell’ammasso roccioso a tergo dei piani di discontinuità, al fine di ottenere un coefficiente di sicurezza di 1.3 per scarpate sia asciutte che sature. Il costo delle varie soluzioni così prospettate all’ingegnere dipenderà dall’ubicazione geografica della miniera, dalla disponibilità di servizi specializzati nella posa di drenaggi o di ancoraggi pretesi e dal salario della mano d’opera locale. Per ricavare le cifre presentate in Fig. 4 sono state poste le seguenti ipotesi: a. Come costo-base unitario è stato assunto quello per tonnellata di materiale abbattuto dal fronte mediante esplosivo. Quindi la curva A in Fig. 4 deriva direttamente dalla omologa in Fig. 3. b. Il costo di smarino del materiale scosceso per un crollo è computato, per ipotesi, 2.5 volte il costo-base minerario. Questo è rappresentato dalla curva B, che inizia da un angolo di scarpa di 64◦ , cioè quello della scarpata meno ripida sulla quale può teoricamente verificarsi un dissesto.
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Figura 3: tonnellaggi di scavo e carichi nei cavi d’ancoraggio. Curva A:
Curva B:
Curva C:
Curva D:
Figura 4: opzioni. Curva A:
Curva B: Curva C: Curva D: Curva E:
confronto dei costi delle diverse
costo per tonnellata di roccia abbattuta con esplosivo dal fronte nella soluzione della curva A in Fig. 3. costo di smarino del materiale scosceso. costo di posa degli ancoraggi su una scarpata satura d’acqua. costo di posa degli ancoraggi su una scarpata asciutta. costo di posa in opera del drenaggio della scarpata.
tonnellaggi da scavare per rendere meno ripida una scarpata di 30.5 m d’altezza e 91.5 m di fronte (100 × 300 f t). tonnellaggi da sgomberare nel caso che avvenga uno scivolamento a cuneo. carico nei cavi d’ancoraggio necessario per raggiungere un coefficiente di sicurezza pari a 1.3 nel caso di scarpata satura d’acqua. carico nei cavi d’ancoraggio necessario per raggiungere un coefficiente di sicurezza pari a 1.3 nel caso di scarpata asciutta.
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Figura 5: costi relativi alla profilatura della scarpata secondo un angolo di 60◦ accettando il rischio d’un cedimento. Il costo prima del crollo è dato dalla curva A in Fig. 4. Il costo dello scavo della scarpata e dello smarino del materiale franato è dato dalla risultante delle curve A e B.
c. La progettazione e l’impianto d’una rete di drenaggio comporta un costo fisso di 75.000 unità, indipendentemente dall’angolo di scarpa (curva E). d. Il costo degli ancoraggi pretesi, installati da un’impresa specializzata, è ipotizzato pari a 10 unità per tonnellata di carico. Ciò è rappresentato con le curve C e D. Tenendo conto d’un complesso di dati come quello presentato in Fig. 4, l’ingegnere è ora in grado di confrontare i costi relativi alle scelte fattibili. Alcune di queste opzioni sono: a. Ridurre l’angolo di scarpa a 46◦ per ottenere un coefficiente di sicurezza di 1.3 in condizioni di roccia satura (curva A). Costo totale: 116.000 unità b. Ridurre l’angolo di scarpa a 55◦ e mettere in opera un sistema di drenaggi per ottenere un coefficiente di sicurezza di 1.3 di una scarpata asciutta (curve A ed E). Costo totale: 159.000 unità c. Profilare la scarpata a 64◦ per provocarne il crollo e sgomberare il materiale scosceso (curve A e B). Costo totale: 166.000 unità
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d. Profilare la scarpata a 80◦ e mettere in opera cavi d’ancoraggio per ottenere un coefficiente di sicurezza di 1.3 in condizioni di roccia satura (curve A e C). Costo totale: 137.000 unità e. Lasciare verticale la scarpata, mettere in opera un sistema di drenaggi e d’ancoraggi per ottenere un coefficiente di sicurezza pari a 1.3 nel caso di scarpata asciutta (curve A, D ed E). Costo totale: 155.000 unità f. Profilare la scarpata a 60◦ , col presupposto che lo scoscendimento possa non verificarsi ma che ci si prepari per lo smarino nel caso che avvenga (Fig. 5). Costo massimo totale: 159.000 unità Costo minimo totale: 70.000 unità E’ necessario mettere in evidenza che le stime presentate sono ipotetiche e valgono solo per questa particolare scarpata. I costi di queste e d’altre scelte varieranno da un pendio all’altro, per cui è arbitrario tentare di ricavare regole generali dalle figure che abbiamo riportato. In base alle stime di cui sopra, la maggior parte degli ingegneri minerari deciderebbe probabilmente di ridurre l’angolo di scarpa a 46◦ , eliminando in tal modo il rischio. Il costo di questa soluzione è infatti minore di quello delle altre esaminate, eccettuato quello minimo della soluzione f. Ridurre l’angolo di scarpa a 46◦ ha un vantaggio importante rispetto ad altre soluzioni, poiché esclude il rischio di veder franare la scarpata a causa di contingenze impreviste, dopo aver speso ingenti somme in misure di sicurezza. Il costo globale, se ciò accadesse, sarebbe elevatissimo. In alcune circostanze accade che non sia possibile ridurre l’angolo di scarpa nella misura necessaria per ottenere un coefficiente di sicurezza adeguato a tutte le condizioni. Allora bisogna prendere in considerazione una delle altre soluzioni. La soluzione f illustrata nella Fig. 5 è stata inclusa più che altro come riconoscimento del fatto che spesso viene adottata nelle miniere a cielo aperto, per lo più senza che il problema sia stato approfondito con uno studio del tipo di quello dell’esempio fatto. Il grafico in Fig. 2 mostra che se l’inclinazione della scarpata in condizione di saturazione è superiore a 64◦ , v’è la probabilità che questa frani. L’ingegnere minerario può prendere in considerazione il rischio di scavare il pendio ad un angolo di 60◦ , presupponendo che le condizioni di saturazione si verifichino in concomitanza di forti piogge ogni 10–20 anni e sperando che ciò non accada durante i lavori. Se è fortunato e la rottura non avviene, il costo complessivo ammonterà a 70.000 unità. Viceversa, se sono stati previsti interventi appropriati per contrastare e per risanare un cedimento, l’onere totale di 159.000 unità, da sopportare qualora esso avvenga, è ancora entro i limiti fissati dalle altre soluzioni. Le pubblicazioni di Kennedy & al. [9–10], che trattano la previsione d’una grossa frana nella miniera di Chuquicamata in Cile e la
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sua riuscita sistemazione, hanno dimostrato che è possibile accettare i dissesti come fossero una parte delle operazioni minerarie previste, a patto che venga ridotto al minimo il rischio di perdite di vite umane e di attrezzature. La previsione del probabile comportamento della scarpata, derivante da un’analisi di stabilità come quella esposta in precedenza, è essenziale per adottare tutti i provvedimenti cautelativi contro le conseguenze d’una frana. Ricerche per pianificare la stabilità Una miniera a cielo aperto tipica può subire solo due o tre dissesti di scarpata durante la sua coltivazione. In che modo possono essere identificati i tratti potenzialmente pericolosi sui molti chilometri di scarpate profilate in una grande miniera? La risposta è che solo in scarpate per le quali il rischio di cedimento è elevato compaiono certe combinazioni di discontinuità4 geologiche, di caratteristiche geometriche e di condizioni geoidrologiche. Se tali combinazioni possono essere individuate durante gli studi geologici preliminari e quelli fatti all’apertura della miniera, si riesce ad inquadrare i problemi d’instabilità che probabilmente si presenteranno in queste zone. Le scarpate su cui non si riscontrano dette concomitanze non richiedono indagini più approfondite. Bisogna tuttavia tener presente che in genere, non appena si apre lo scavo, vengono alla luce discontinuità non rilevate. Si dovranno allora affrontare i problemi d’instabilità man mano che si presentano. Tale impostazione del programma di studi sulla sicurezza delle scarpate nelle miniere a cielo aperto è abbozzata nella tabella presentata in Fig. 6, ove si propone di suddividerlo in due fasi distinte. La fase 1 consiste nell’esame preliminare dei dati geologici acquisiti attraverso la campagna geognostica, che normalmente comprende l’interpretazione di foto aeree, il rilievo geologico di superficie e le trivellazioni con corone diamantate. Si consideri che questi dati vengono raccolti già per la stima delle riserve di minerale e che di solito è necessario riesaminarli come fattori importanti per la stabilità. La valutazione preventiva delle condizioni di stabilità può essere fatta con l’ausilio di vari, semplici metodi, che saranno trattati nella prima parte di questo libro. Con lo studio preliminare è possibile distinguere da una parte le scarpate stabili, sulle quali non è probabile alcun cedimento e che perciò possono essere progettate dando la preminenza alle esigenze operative, dall’altra le scarpate per le quali il rischio di dissesto é alto e che perciò richiedono un’analisi più dettagliata.
4 Il termine discontinuità, nel significato qui inteso, si riferisce a faglie, giunti, piani di stratificazione o ad ogni altra superficie su cui può verificarsi un movimento.
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10 FORMULAZIONE D'UN PROGRAMMA PER LO STUDIO DI STABILITÀ DELLE SCARPATE
1. Raccolta preliminare di dati geologici da foto aeree, rilievi di campagna e carote di sondaggi. 3. Scarpate sulle quali o non esiste alcuna discontinuità sfavorevole, od il dissesto non comporterebbe danni. Per siffatti pendii non è necessaria un'analisi di stabilità più approfondita. Gli angoli di scarpa sono determinati in base a criteri operativi.
2. Analisi preliminare dei dati geologici per individuare i lineamenti principali. Esame di tali lineamenti nella prospettiva di stimare la probabilità di distacco di frane sulle scarpate dello scavo in progetto.
4. Scarpate dove esistono discontinuità riconosciute sfavorevoli, nonché pendii dove il cedimento sarebbe pregiudizievole in qualunque fase della coltivazione mineraria: sono da studiare in maniera approfondita.
5. Ricerca geologica particolareggiata delle aree di scarpata instabili, con rilievi di campagna ed esame di carote di sondaggi. Possono essere necessarie perforazioni speciali o cunicoli esterni al giacimento minerario.
6. Prove di taglio su superfici di discontinuità, specialmente se sono ricoperte d'argilla o levigate.
7. Installazione di piezometri in fori di sondaggio per rilevare le modalità di circolazione e le pressioni dell'acqua sotterranea e per registrare le oscillazioni della falda durante la coltivazione mineraria.
8. Riesame delle zone instabili del pendio, alla luce delle informazioni dettagliate di cui ai punti 5, 6 e 7, usando i metodi dell'equilibrio-limite per scivolamenti circolari, planari od a cuneo. Verifica dell'eventualità d'altri tipi di dissesto provocati da degradazione, ribaltamento ("toppling"), o da danni dovuti al brillamento.
9. Verifica delle scarpate per le quali, trattandosi d'un progetto di miniera a cielo aperto, il rischio di cedimento è elevato. Le alternative sono: a) ridurre l'angolo di scarpa; b) rendere stabili le scarpate con drenaggi oppure, in casi eccezionali, con chiodi da roccia o cavi pretesi; c) accettare il rischio di cedimento ed effettuare una serie di misure a registrazione continua per essere in grado di predire il collasso.
10. Stabilizzazione delle scarpate tramite drenaggio o consolidamento, fattibile se il risparmio conseguito con l'innalzamento dell'angolo di scarpa è maggiore del costo di progetto e di costruzione d'una struttura di rinforzo. Sono necessarie misure "in situ" supplementari per determinare le caratteristiche di drenaggio dell'ammasso roccioso.
11. Accettazione del rischio di cedimento, subordinata alla capacità di previsione e d'intervento senza subire danni al personale ed alle installazioni. Metodo più pratico di previsione basato sulle misure di movimento della scarpata.
Figura 6: Analisi stabilità delle scarpate in miniere a cielo Figura 6: analisi della della stabilità delle scarpate in miniere a cielo aperto. 10
aperto
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La fase 2, che si applica solo alle scarpate per le quali la potenziale instabilità potrebbe dimostrarsi pericolosa in qualche momento della coltivazione mineraria, comporta uno studio molto più approfondito della geologia, delle condizioni geoidrologiche e delle caratteristiche geomeccaniche dell’ammasso roccioso. Sulla base dei dati acquisiti viene poi sviluppata un’analisi di stabilità i cui risultati rappresenterebbero gli elementi quantitativi sui quali la direzione della miniera può fondare decisioni razionali. La seconda parte di questo libro tratterà dei metodi che possono essere adottati per eseguire tali studi particolareggiati di stabilità. A questo punto il Lettore probabilmente vorrebbe domandare: chi svolge tale compito e quanto può costare? Premettiamo che le considerazioni esposte qui di seguito rappresentano l’opinione degli Autori e che quindi non debbono essere reputate regole generali. E’ ovvio che da una miniera all’altra e da regione a regione le condizioni varieranno ampiamente, perciò la decisione finale su come risolvere i problemi di stabilità di una miniera a cielo aperto deve essere presa dalla Direzione responsabile dopo una debita valutazione dei fattori che rivestono importanza per quella particolare miniera. L’ideale è che le ricerche preliminari, elencate per la fase 1, vengano integrate negli studi di fattibilità e di valutazione della miniera. Molti dei dati necessari per le indagini preliminari sulle scarpate possono infatti essere ottenuti ad un costo minimo, se si è avuta l’avvertenza di raccoglierli durante la campagna di sondaggi. Non v’è alcun motivo per cui detti studi preliminari non possano essere condotti dai geologi od ingegneri impegnati negli accertamenti di fattibilità della miniera, dato che le verifiche non sono difficili e non comportano alcuna elaborazione matematica complessa. Un’assistenza esterna in questa fase è necessaria solo se gli ingegneri od i geologi della società giudicano indispensabile discutere la loro valutazione con qualcuno che abbia esperienza in fatto di analisi delle scarpate, al fine di scoprire se non siano stati trascurati punti importanti. In certi casi i proprietari o la Direzione della miniera possono anche reputare più opportuno affidare tale compito a consulenti esterni, ingegneri o geologi, che, in condizioni normali, sono in grado di formulare una valutazione preliminare delle difficoltà potenziali in fatto di scarpate, con un impegno di lavoro variante da uno a tre mesi/uomo. Dalle miniere a cielo aperto in esercizio si potrà ricavare una conoscenza più approfondita della geologia delle aree di scavo che hanno manifestato indizi d’instabilità. In tali condizioni i problemi si saranno definiti da soli e probabilmente le ricerche preliminari esaminate prima non saranno necessarie. Tuttavia alcuni dissesti potranno essersi già sviluppati a tal punto che i provvedimenti di sistemazione necessari saranno più dispendiosi di quello che sarebbero stati se fossero stati adottati prima, nel quotidiano lavoro minerario. Una volta individuate le zone di scarpata instabili, gli studi più particolareggiati che poi si rendono necessari sono tanto diversi
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da miniera a miniera che è difficilissimo stilare direttive generali. E’ improbabile che, eccettuati i più importanti gruppi minerari, ci siano in ogni società geologi od ingegneri sicuri della propria competenza nel trattare i problemi di scarpate più complessi senza far ricorso ad assistenza esterna. Ciò accade non tanto perchè i metodi d’analisi delle scarpate siano difficili, quanto per il fatto che essi rispondono solo in parte all’interrogativo sulla stabilità. Il resto scaturisce da giudizi ingegneristici basati sull’esperienza di chi ha affrontato una gran varietà di problemi di scarpate. Uffici specializzati in geotecnica, che hanno condotto studi su numerose miniere a cielo aperto, sono in grado di fornire proficue consulenze e, grazie alla loro dimestichezza con simili problemi, spesso rendono i loro servizi più convenienti ed efficaci che non quelli di studi ‘fatti in casa’. Se si sceglie la via della consulenza, è utile che un ingegnere od un geologo della miniera abbia un’adeguata conoscenza dei metodi d’analisi di stabilità perché s’instauri un collegamento efficace fra la direzione ed i consulenti. E’ auspicabile che questo libro supplisca all’esigenza d’una fonte d’informazioni esauriente su detti metodi. Qual’è il probabile costo d’uno studio di stabilità di scarpata condotto da uno specialista e quanto potrebbe costare l’adozione delle misure proposte come risultato dello studio medesimo? La risposta a simili domande è soggetta allo stesso grado d’incertezza di quella della visita d’un Medico, eppure pochi di noi esiterebbero a cercare un Dottore se sospettassimo che la nostra salute è in pericolo. La gestione d’alcune miniere può essere gravata da notevoli oneri per la necessità di porre rimedio a dissesti di scarpata, mentre quella d’altre può esserne affatto esente. L’esperienza insegna che l’ammontare dell’1% dei costi totali d’estrazione può essere una quota adeguata da destinare alla progettazione di scarpate ed all’esecuzione degli interventi di stabilizzazione. Quando non è stata data un’impostazione corretta alla progettazione di scarpate sicure, i costi da sostenere per porre rimedio a crolli inattesi durante la coltivazione della miniera possono facilmente oltrepassare la percentuale citata.
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Capitolo 1
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Capitolo 2
Meccanica di base nei cedimenti di scarpata
Applicazione della meccanica del continuo alla stabilità delle scarpate Una questione che viene sollevata spesso nelle discussioni sulla stabilità delle scarpate è quanto alta e con quale inclinazione possa essere profilata una scarpata in roccia. Diversi Autori [11-15] hanno affrontato questo problema supponendo che l’ammasso di roccia si comporti come un mezzo elastico continuo. Il successo conseguito nella progettazione di scavi sotterranei tramite l’applicazione di criteri fotoelastici all’analisi delle tensioni o del metodo degli elementi finiti, ha indotto molti ricercatori ad applicare le stesse metodologie alle scarpate. Invero, dal punto di vista della ricerca i risultati sono stati molto interessanti, ma in termini pratici d’ingegneria delle scarpate rocciose questi metodi hanno utilità limitata. Ciò è dovuto alla inadeguata conoscenza delle proprietà meccaniche della roccia, tale da rendere oggetto di mera supposizione la scelta dei parametri da introdurre nelle analisi. Per esempio, se si tenta di calcolare l’altezza-limite d’una parete verticale in calcare molto tenero basandosi sulla sua resistenza di matrice, si ottiene un valore che supera 1000 metri. Evidentemente questa altezza ha un’attinenza minima con la realtà, per cui bisognerebbe ridurre di un ordine di grandezza i parametri di resistenza per calcolare un’altezza accettabile della parete. E’ opportuno citare una pubblicazione del Terzaghi [17], dove questi, nello studiare il problema della stabilità d’una fondazione e di una scarpata, afferma: ‘...le condizioni naturali possono precludere la possibilità di procurarsi, tramite metodi analitici o non, tutti i dati necessari per prevedere il comportamento d’un reale materiale di fondazione. Se è necessario un calcolo di stabilità in tali condizioni, esso deve essere basato su ipotesi che hanno poco in comune con la realtà. Tali calcoli fanno più male che bene poiché sviano l’attenzione del progettista dalle inevitabili ma notevoli lacune della sua conoscenza...’. In Europa Müller [18] ed i suoi collaboratori hanno dato risalto per molti anni al fatto che un ammasso roccioso non è un mezzo continuo e che il suo comportamento è determinato da discontinuità come faglie, giunti e piani di stratificazione. In pratica, la maggior parte dei progetti di scarpate rocciose è basata comunemente sul discontinuo e questa sarà l’impostazione adottata in tutti i metodi presentati da questo libro. Tuttavia, prima di abbandonare la questione della meccanica del continuo, gli Autori desiderano sottolineare che non si oppongono per principio alla sua applicazione ed invero, quando si ha a che fare con situazioni di movimento globale o di circolazione dell’acqua sotterranea, i risultati ottenuti con un metodo numerico come quello degli elementi finiti possono essere molto utili. Sviluppi dei metodi numerici, come quelli riportati da Goodman & al. [19] e Cundall [20], mostrano che il
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divario fra il continuo elastico ideale ed il discontinuo reale si sta colmando gradualmente, quindi gli Autori prevedono che le tecniche adesso interessanti come metodi di ricerca potranno diventare strumenti utili di progettazione ingegneristica. Relazione tra altezza massima ed angolo di scarpa in pendii artificiali Benchè si ammetta che la stabilità d’un ammasso roccioso é determinata dalle discontinuità geologiche, devono esserci situazioni in cui l’orientazione e l’inclinazione di queste fanno sì che il semplice scivolamento di lastre, blocchi o cunei non è possibile. Un cedimento in tali scarpate comporterà sia una combinazione di movimenti sulle discontinuità sia rotture di materiale roccioso sano. In siffatti casi si potrebbe prevedere di scavare scarpate più alte della media, ma quale prova c’è che questa sia un’ipotesi ragionevole? Un’importantissima raccolta di dati su scarpate di scavo é stata compilata da Kley & Lutton [21] e Ross-Brown [22] ha ottenuto dati aggiuntivi. La documentazione si riferisce a scarpate in miniere a cielo aperto, cave, scavi per fondazioni di dighe e trincee autostradali. Le altezze di scarpata ed i corrispondenti angoli di scarpa in materiali classificati come roccia dura sono stati messi in grafico nella Fig. 7, che comprende pendii sia stabili che instabili. Trascurando per il momento i secondi, il grafico mostra che le scarpate più alte e più ripide scavate senza inconvenienti, nei limiti di quanto è risultato dai dati a disposizione, si raggruppano lungo una linea ben definita, che sulla figura è segnata a tratteggio. Questa linea funge da guida pratica ed utile per le scarpate più alte e ripide prevedibili per la progettazione ordinaria di miniere a cielo aperto. In alcune circostanze eccezionali potrebbero essere fattibili scarpate più alte e più ripide, ma queste potrebbero essere giustificate solo se uno studio di stabilità molto approfondito dimostrasse che non v’è rischio di provocare un crollo di massa. Ruolo delle discontinuità nei dissesti di scarpata La Fig. 7 mostra che, mentre molte scarpate ripide ed alte varie decine di metri sono stabili, altre molto meno ripide ed alte cedono. La differenza è dovuta al fatto che la stabilità delle scarpate varia con l’inclinazione delle superficie di discontinuità entro l’ammasso roccioso, quali faglie, giunti e piani di stratificazione. Quando le discontinuità sono verticali od orizzontali non può aver luogo un semplice scivolamento, quindi il collasso della scarpata comporterà la rottura di blocchi compatti, come pure movimenti lungo alcune delle discontinuità. Viceversa, se l’ammasso roccioso è attraversato da superficie di discontinuità che s’immergono verso il fronte della scarpata con angoli compresi fra 30◦ e 70◦ , può avvenire uno scivolamento semplice cosicché la stabilità di tali scarpate è ridotta sensibilmente rispetto al caso di quelle nelle quali compaiono discontinuità solo orizzontali e verticali. Discontinuità piana su una balza di miniera a cielo aperto.
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Figura 7: relazione tra altezza ed angolo di scarpa per pendii in roccia dura, basata sui dati raccolti da Kley & Lutton [21] e Ross-Brown [22].
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Discontinuità piane inclinate che affiorano al piede di una scarpata rocciosa possono provocare instabilità se sono inclinate secondo un angolo maggiore di quello d’attrito tra le superficie di slittamento.
Figura 8: altezza critica d’una parete verticale drenata, interessata da una discontinuità piana immergentesi secondo un angolo ψp .
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L’influenza dell’inclinazione d’un piano di rottura sulla stabilità d’una scarpata é illustrata in modo evidente dalla Fig. 8, ove l’altezza critica d’una scarpata in roccia asciutta è messa in relazione con l’angolo della discontinuità. Nel costruire questa curva si è ipotizzato che compaia una sola famiglia di discontinuità in un ammasso di roccia molto dura e che una di queste superficie affiori al piede della parete, come mostrato nello schizzo della Fig. 8. Si vedrà che l’altezza verticale critica H diminuisce da un valore di oltre 60 m (= 200 f t), per discontinuità verticali ed orizzontali, a circa 21 m (= 70 f t) per una discontinuità inclinata a 55◦ . Evidentemente la presenza od assenza di discontinuità ha un’influenza determinante sulla stabilità delle scarpate in roccia, per cui l’identificazione di tali lineamenti geologici è una delle operazioni più delicate della ricerca sulla stabilità. Nei capitoli seguenti esamineremo i metodi per affrontare il problema.
Figura 9: relazione fra la forza di taglio τ necessaria per provocare lo scivolamento lungo una discontinuità e la forza normale σ agente in direzione normale ad essa.
Attrito, coesione e massa volumica Prendiamo ora in considerazione l’angolo di attrito, la coesione e la massa volumica, che sono le caratteristiche più importanti d’un ammasso di roccia o di terra per l’esame della stabilità dei pendii. L’attrito e la coesione sono i fattori meglio definiti nel grafico forza di taglio/forza normale di Fig. 9. Questo grafico è una versione semplificata dei risultati che si otterrebbero se un campione di roccia attraversato da una discontinuità geologica, ad esempio un giunto, fosse sottoposto ad un insieme di forze che provochi uno
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scivolamento lungo la discontinuità. La forza di taglio τ necessaria per provocare lo scivolamento è direttamente proporzionale alla forza normale σ. La pendenza della linea che correla la forza di taglio a quella normale definisce l’angolo di attrito φ. Se la superficie di discontinuità inizialmente è cementata o ruvida, la forza di taglio τ dovrà raggiungere un valore finito per provocare lo scivolamento quando la forza normale è nulla. Questo valore iniziale di forza di taglio definisce la coesione c della superficie. La relazione fra le forze di taglio e normale per una superficie rocciosa o per un campione di terra ideali è espressa dalla formula (di Mohr–Coulomb: N.d.T.): τ = c + σ tan φ
(1)
Nella Tabella 1 sono elencati i valori tipici degli angoli di attrito e della coesione, ricavati mediante prove di taglio su una gamma di rocce e terre, insieme con la loro massa volumica. I valori sono esposti per dare al Lettore un’idea degli ordini di grandezza prevedibili e devono essere impiegati solo per formulare valutazioni preliminari della stabilità di scarpate. Esistono molti fattori che determinano, per rocce o terre, un comportamento diverso dalla semplice relazione lineare fra resistenza al taglio e forza normale illustrata in Fig. 9. Queste variazioni saranno analizzate nel Capitolo 5 insieme con i metodi per l’esecuzione di prove di taglio. Scivolamento per gravità Si consideri un blocco di massa W appoggiato su una superficie piana inclinata d’un angolo ψ rispetto all’orizzontale. Il blocco è soggetto solo alla forza di gravità, quindi la massa W agisce verticalmente verso il basso, come illustrato nello schizzo a fianco. La componente di W che agisce parallelamente al piano e che tende a provocare lo scivolamento del blocco è W sin ψ; quella che agisce normalmente al piano e che tende a stabilizzare il blocco è W cos ψ. La forza normale che agisce perpendicolarmente alla superficie di scivolamento potenziale è data da: σ=
W cos ψ A
(2)
ove A è l’area di base del blocco. Ammettendo per ipotesi che la resistenza al taglio di questa superficie sia definita dall’equazione 1 e sostituendo a σ il valore dato dall’equazione 2 si ottiene: τ =c+ cioè:
W cos ψ tan φ A
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Sabbie
Sabbia sciolta monogranulare Sabbia addensata monogranulare Sabbia sciolta ben graduata Sabbia addensata ben graduata
Ghiaie
Ghiaia monogranulare Ghiaia con sabbia ben graduata
Rocce abbattute / frantumate
Basalto Calcare tenero Granito Calcare Arenaria Marna
Argille
Bentonite soffice Argilla organica molto soffice Argilla leggermente soffice, organica Argilla glaciale soffice Argilla glaciale compatta Morena di fondo a granulometria assortita
Coesione 2
lb/ft
118/90 130/109 124/99 135/116
19/14 21/17 20/16 21/18
28-34 * 32-40 * 34-40 * 38-46 *
140/130 120/110
22/20 19/17
34-37 * 48-45 *
140/110 80/62 125/110 120/100 110/80 125/100
22/17 13/10 20/17 19/16 17/13 20/16
40-50 * 30-40 * 45-50 * 35-40 * 35-45 * 30-35 *
80/30 90/40 100/60 110/76 130/105 145/130
13/6 14/6 16/10 17/12 20/17 23/20
7-13 12-16 22-27 27-32 30-32 32-35
200-400 200-600 400-1000 600-1500 1500-3000 3000-5000
kPa
10-20 10-30 20-50 30-70 70-150 150-250
**
Rocce
Dotate di coesione
Prive di coesione
Tipo
TABELLA 1: CARATTERISTICHE - TIPO DI TERRE E ROCCE Massa specifica Descrizione Angolo d'attrito (saturo/asciutto) gradi 3 3 Materiale lb/ft kN/m
Rocce ignee dure (granito, basalto, porfido)
160-190
25-30
35-45
7200001150000
3500055000
Rocce metamorfiche (quarzite, gneiss, ardesia)
160-180
25-28
30-40
400000800000
2000040000
Rocce sedimentarie dure (calcare, dolomia, arenaria)
150-180
23-28
35-45
200000600000
1000030000
Rocce sedimentarie tenere (arenaria, carbone, calcare tenero, marna)
110-150
17-23
25-35
20000400000
100020000
* I valori massimi degli angoli d’attrito in materiali privi di coesione si riscontrano per sollecitazioni a basso confinamento o normali, come si vedrà nel Capitolo 5. ** Per roccia compatta la massa volumica non varia in modo significativo tra lo stato secco e quello saturo, fatta eccezione per materiali come le arenarie porose.
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R = cA + W cos ψ tan φ
(3)
ove R = τ A è la forza di taglio che si oppone allo scivolamento verso il basso. Il blocco sarà proprio sul punto di scivolare, ossia in una condizione di equilibrio-limite, se la forza agente, diretta lungo il piano, è esattamente uguale alla forza resistente: W sin ψ = cA + W cos ψ tan φ
(4)
Se la coesione c = 0, la condizione d’equilibrio-limite definita dall’equazione 4 si semplifica in: ψ=φ
(5)
Influenza della pressione idrostatica sulla resistenza al taglio L’influenza della pressione idrostatica sulla resistenza al taglio delle superficie in contatto può essere dimostrata nel modo più efficace mediante l’esperimento della lattina di birra. Si posi una lattina di birra aperta, riempita d’acqua, su una tavola di legno inclinata, come mostrato nello schizzo a lato. Le forze che agiscono in questo caso sono esattamente le stesse che agiscono sul blocco di roccia, come mostrato nel disegno alla pagina precedente. Per semplicità, la coesione fra la base della lattina ed il legno è posta uguale a zero. In accordo con l’equazione 5 la lattina con il suo contenuto d’acqua scivolerà lungo la tavola quando ψ1 = φ. La base della lattina venga ora forata in modo che l’acqua possa entrare nello spazio fra la base e la tavola dando luogo ad una pressione idrostatica u, quindi ad una forza di sollevamento U = uA, ove A è l’area di base della lattina. La forza normale W cos ψ2 è ora ridotta da questa forza di sollevamento U e la resistenza allo scivolamento diviene: R = (W cos ψ2 − U ) tan φ
(6)
Se il peso per unità di volume della lattina con l’acqua è γt mentre quello dell’acqua è γw , allora W = γt hA ed U = γw hw A, ove h e hw sono le altezze indicate nello schizzo piccolo. Da questo apparirà che hw = h cos ψ2 , quindi: U=
γw W cos ψ2 γt
(7)
Sostituendo in (6): R = W cos ψ2 (1 −
γw ) tan φ γt
(8)
onde la condizione per l’equilibrio-limite definita nell’equazione 4 diviene: γw tan ψ2 = (1 − ) tan φ (9) γt
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Supponendo che l’angolo d’attrito tra lattina e legno sia 30◦ , la lattina non bucata scivolerà se il piano è inclinato di ψ1 = 30◦ (secondo l’equazione 5). Viceversa la lattina bucata scivolerà per un’inclinazione molto più piccola poichè la forza U ha ridotto la forza normale, quindi anche la resistenza per attrito allo scivolamento. La massa totale della lattina più l’acqua è solo di poco maggiore della massa dell’acqua. Ponendo per ipotesi γγwt = 0.9 e φ = 30◦ , l’equazione 9 mostra che la lattina bucata scivolerà se il piano è inclinato di ψ2 = 3◦ 180 . La legge della forza efficace L’effetto della pressione dell’acqua sulla base della lattina di birra bucata è analogo all’influenza della pressione idrostatica che agisce sulle superficie d’un campione sottoposto a prova di taglio, come illustrato nello schizzo a lato. La forza σ che agisce normalmente alla superficie di taglio viene ridotta alla forza efficace (σ−u) dalla pressione idrostatica u. La relazione fra la resistenza al taglio e la resistenza normale, definita dall’equazione 1, diventa allora: τ = c + (σ − u) tan φ
(10)
Nella maggior parte delle rocce litoidi ed in molte terre sabbiose e ghiaiose le caratteristiche di coesione e di attrito (c e φ) non vengono modificate in modo significativo dalla presenza d’acqua quindi la riduzione della resistenza al taglio di questi materiali è dovuta quasi interamente alla diminuzione della forza normale trasversalmente alle superficie di rottura. Ai fini delle caratteristiche di resistenza delle rocce litoidi, delle sabbie e delle ghiaie, quindi, è più importante la pressione idrostatica che non il tenore di umidità. In fatto di stabilità delle scarpate, la presenza di un piccolo volume d’acqua ad alta pressione intrappolato entro l’ammasso roccioso è più importante d’un grande volume d’acqua che si scarica liberamente da un acquifero drenato. Nel caso di rocce tenere, come le siltiti e le marne, ed anche di argille, sia la coesione che l’attrito possono modificarsi in modo spiccato a seguito di variazioni del tenore d’umidità, per cui, quando si eseguono prove su questi materiali, è indispensabile garantire che il contenuto d’umidità durante l’indagine sia il più vicino possibile a quello ‘in situ’. Si noti che la legge della forza efficace definita nell’equazione 10 è applicabile anche a questi materiali, ma che in più c e φ cambiano. L’effetto della pressione idrostatica in una fessura di trazione Si consideri il caso del blocco che poggia sul piano inclinato, ma, in questo esempio si supponga il blocco attraversato da una fessura di trazione riempita d’acqua. La pressione idrostatica nella fessura di trazione aumenta linearmente con la profondità, cosicchè lungo il piano inclinato agisce una forza totale V , diretta in avanti, dovuta alla pressione idrostatica, che spinge sulla faccia
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posteriore del blocco. Ammettendo che la pressione idrostatica si trasmetta attraverso l’intersezione tra la fessura di trazione e la base del blocco, lungo questa si riscontrerà la distribuzione di pressioni illustrata nello schizzo a margine. Questa pressione idrostatica si traduce in una forza di sollevamento U che riduce la forza normale agente in senso opposto. La condizione d’equilibrio-limite per questo caso di blocco soggetto alle forze V ed U in aggiunta alla sua massa W è definita da: W sin ψ + V = cA + (W cos ψ − U ) tan φ (11) Da questa equazione si evince che viene accresciuta la forza destabilizzante tendente a provocare lo slittamento del blocco lungo il piano e che viene diminuita la resistenza d’attrito opponentesi allo scivolamento, quindi che sia V sia U comportano una diminuzione di stabilità. Benché le pressioni idrostatiche in gioco siano relativamente piccole, esse agiscono su aree estese, quindi le forze risultanti possono essere molto grandi. In molti degli esempi pratici che di seguito passeremo in rassegna la presenza dell’acqua nel pendio risulta critica per la stabilità poichè genera forze di sollevamento e spinte nelle fessure di trazione. Il consolidamento per la prevenzione degli scivolamenti Uno dei mezzi più efficaci per rendere stabili blocchi o lastre di roccia che rischiano di scivolare lungo superficie di discontinuità inclinate è quello di mettere in opera barre o cavi d’ancoraggio pretesi. Si consideri il blocco che giace sul piano inclinato e che è soggetto alla forza di sollevamento U ed alla forza V dovute alla pressione idrostatica nella frattura di trazione. Una barra messa in tensione ad un carico T viene installata secondo l’angolo d’inclinazione β rispetto al piano inclinato, come illustrato. Il vettore della tensione T della barra, che agisce parallelamente a detto piano, è T cos β mentre quello che agisce normalmente alla superficie d’appoggio del blocco è T sin β. La condizione di equilibrio-limite per questo caso è espressa da: W sin ψ + V − T cos β = cA + (W cos ψ − U + T sin β) tan φ (12) Questa equazione mostra che la tensione dell’ancoraggio riduce la forza destabilizzante che agisce lungo il piano ed aumenta quella normale, quindi la resistenza per attrito fra la base del blocco ed il piano. Coefficiente di sicurezza d’una scarpata Tutte le equazioni che definiscono la stabilità d’un blocco su di un piano inclinato sono state presentate per la condizione di equilibriolimite, cioè quella nella quale le forze che tendono a provocare lo scivolamento sono esattamente controbilanciate da quelle che vi si oppongono. Allo scopo di confrontare la stabilità di scarpate poste in condizioni diverse da quelle dell’equilibrio-limite sono necessari
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degli indicatori: quello usato più comunemente è il coefficiente di sicurezza. Questo può essere definito come rapporto fra la forza totale disponibile per contrastare lo scivolamento e la forza totale che tende a provocarlo. Considerando il caso del blocco staccato per opera della spinta idrostatica e stabilizzato da un ancoraggio preteso (equazione 12), il coefficiente di sicurezza è dato da: F =
cA + (W cos ψ − U + T sin β) tan φ W sin ψ + V − T cos β
(13)
Quando la scarpata sta per cedere, s’instaura una condizione di equilibrio-limite nella quale la forza resistente e quella agente sono uguali, come sancito dall’equazione 12, ed il coefficiente di sicurezza è F = 1. Se la scarpata è stabile le forze resistenti sono maggiori di quelle agenti ed il coefficiente di sicurezza sarà superiore all’unità. Si supponga che, in una situazione reale di miniera, l’osservazione del comportamento d’una scarpata riveli indizi d’imminente dissesto e che si decida perciò di tentare di stabilizzarla. L’equazione 14 mostra che il valore del coefficiente di sicurezza può essere incrementato diminuendo sia U che V mediante drenaggio, od aumentando il valore di T mediante la posa di barre o cavi d’ancoraggio pretesi. E’ inoltre possibile modificare la forzapeso W del blocco che cede, ma l’influenza di questa operazione sul coefficiente di sicurezza deve essere attentamente valutata, dal momento che sia le forze agenti sia quelle resistenti diminuiscono al diminuire di W . La tensione dell’ancoraggio necessaria per fornire un dato coefficiente di sicurezza F è minima se l’angolo β soddisfa l’equazione: tan β =
1 tan φ F
(14)
Questo risultato si ottiene differenziando l’equazione 13 rispetto dF a β e ponendo dT dβ = 0 e dβ = 0. L’esperienza pratica dimostra che, in una situazione come quella appena descritta, un aumento del coefficiente di sicurezza da 1.0 ad 1.3 è per lo più sufficiente nel caso di scarpate di miniera, per le quali non è necessario un tempo di stabilità molto lungo. Per scarpate critiche adiacenti a piste di servizio o ad installazioni importanti si preferisce di solito un coefficiente di sicurezza di 1.5. Questo esempio è stato citato per sottolineare il fatto che il coefficiente di sicurezza è un indicatore molto apprezzabile per la progettazione quando lo si usi come termine di paragone. In questo caso i tecnici ed i dirigenti della miniera, basandosi sull’osservazione del comportamento della scarpata hanno concluso che sussiste una condizione d’instabilità e che il valore del coefficiente di sicurezza è 1.0. Se si adottano misure di prevenzione, il calcolo del nuovo coefficiente di sicurezza esprime, con il suo incremento, l’entità della loro efficacia rispetto alla condizione d’instabilità precedente. Hoek & Londe [23], in una rassegna generale dei metodi di progettazione di scarpate in roccia e di fondazioni, affermano che il dato più utile per l’ingegnere progettista è quello
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che fornisce la risposta della struttura alle variazioni di parametri significativi. Quindi le decisioni su interventi di prevenzione come i drenaggi possono essere prese in funzione del tasso d’incremento del coefficiente di sicurezza, anche se non si puo’ fare affidamento sul valore assoluto calcolato per quest’ultimo. ‘Lo scopo dell’ingegnere progettista è giudicare con buon senso, non calcolare con esattezza’: affermazione significativa che traiamo da tale rassegna generale. Nell’elaborazione dello studio di fattibilità per una futura miniera a cielo aperto o per un’opera di ingegneria civile, l’ingegnere geotecnico ha spesso il compito di progettare scarpate dove non ne è esistita alcuna in precedenza. In casi simili mancano esperienze di riferimento sul comportamento delle scarpate. L’ingegnere potrà calcolare un coefficiente di sicurezza pari a 1.3 per un particolare progetto basato sui dati disponibili ma non saprà mai se tale valore corrisponda ad una scarpata abbastanza stabile poiché non ha avuto la possibilità di osservare il comportamento di scarpate simili esistenti in quel particolare ammasso di roccia. In tali condizioni si consiglia all’ingegnere d’essere prudente nella scelta dei parametri da inserire nel calcolo del coefficiente di sicurezza. Dovrebbe far ricorso a valori prudenzialmente bassi sia della coesione che dell’attrito e, se le condizioni idrogeologiche sono sconosciute, dovrebbe introdurre nei calcoli il più alto livello prevedibile per la falda. Si possono effettuare anche analisi particolareggiate sugli effetti del drenaggio e degli ancoraggi, come nel caso di cui sopra, ma il progettista della scarpata non corre il rischio d’incappare in sorprese sgradevoli al momento dello scavo se ha scelto parametri prudenziali di resistenza della roccia. Negli ultimi capitoli di questo libro verranno presentati numerosi esempi pratici per illustrare i vari tipi di progetti di scarpate rocciose nei quali potrà imbattersi il Lettore. In tali esempi saranno esaminati i problemi inerenti l’acquisizione dei valori di resistenza della roccia, dei dati strutturali e delle condizioni delle acque sotterranee da introdurre nel calcolo del coefficiente di sicurezza; inoltre saranno formulati consigli sui valori del coefficiente di sicurezza più congrui per ogni tipo di progetto. Cedimenti di scarpata per i quali può essere calcolato il coefficiente di sicurezza Nel trattare del meccanismo fondamentale di cedimento delle scarpate si è fatto ricorso al modello del blocco unico che scivola lungo un piano inclinato. E’ questo il modello più semplice possibile di dissesto, ma, nella maggioranza dei casi reali, bisogna contemplare un fenomeno più complesso. In alcuni casi i metodi di calcolo del coefficiente di sicurezza qui presentati non potranno essere applicati perché il processo di rottura non comporta uno scivolamento gravitazionale semplice. Casi simili verranno presi in considerazione più avanti in questo capitolo. Si può far ricorso al metodo dell’equilibrio-limite per analizzare i dissesti di scarpata come quelli elencati qui di seguito.
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Scivolamento planare Come illustrato nello schizzo a lato, si verifica uno scivolamento planare quando una discontinuità geologica, come un piano di stratificazione, ha direzione parallela al fronte di scarpata e s’immerge verso lo scavo secondo un angolo superiore a quello d’attrito. Il calcolo del coefficiente di sicurezza ricalca lo schema di quello adottato per il blocco singolo (equazione 14). L’area di base A e la massa W del blocco che scivola sono calcolati in base alla conformazione geometrica del fronte di scarpata e del piano di scivolamento. Nel calcolo si può includere anche una frattura di trazione parallela al ciglio della scarpata. Una dettagliata disamina sull’analisi del cedimento planare si trova nel Capitolo 7. Scivolamento a cuneo Quando due discontinuità hanno direzione obliqua rispetto al fronte di scarpata e le loro tracce affiorano sul medesimo, il cuneo di roccia che delimitano scivolerà lungo la linea d’intersezione, ammesso che questa abbia un’inclinazione significativamente maggiore dell’angolo di attrito. Il calcolo del coefficiente di sicurezza è più complicato che non nel caso dello scivolamento planare poiché devono essere calcolate sia le aree d’appoggio su entrambi i piani di scivolamento, sia le forze normali ad essi. L’analisi degli scivolamenti a cuneo viene presa in esame nel Capitolo 8. Scorrimento rotazionale Quando il materiale è molto tenero, come in una scarpata di terra, o quando l’ammasso roccioso è molto fratturato, come in una discarica di detriti, il cedimento sarà delimitato da una superficie di discontinuità singola che tende a seguire un andamento curvo. Questo tipo di dissesto, illustrato nello schizzo a lato, è stato descritto in modo esaurientemente dettagliato in molti trattati di meccanica delle terre, per cui non v’è alcuna utilità a riprendere, in questo libro, codeste trattazioni approfondite. Nel Capitolo 9 viene presentata una serie di cinque grafici sugli scorrimenti rotazionali, nonché numerosi esempi reali che mostrano in qual modo possa essere calcolato il coefficiente di sicurezza per casi semplici di scorrimento rotazionale di scarpate.
Scorrimento rotazionale in terre ed argille, tipico di scarpate di riporto ed in rilevati di detriti
Scorrimento di tipo rotazionale in rocce molto fittamente diaclasate e in discariche di detrito roccioso
Superficie di rottura a gradini in ammassi rocciosi a blocchi duri come calcari
Cedimento planare su superficie di discontinuità passanti, quali giunti di fissilità o di stratificazione
Rottura di materiale compatto di roccia a strati orizzontali. Analisi non realistica
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Figura 10: Relazione fra angolo d’inclinazione ed altezza di scarpata per diversi materiali
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Relazione fra altezza critica del pendio ed angolo di scarpa Una delle forme più pratiche di presentare i dati per il progetto d’una scarpata è un grafico che correla le altezze di scarpata e gli angoli di scarpa per condizioni-limite, sul modello della curva tratteggiata nella Fig. 7. Sono stati analizzati numerosi casi tipici di frane e nella Fig. 10 viene messa in grafico la relazione osservata fra le altezze critiche di pendio e gli angoli di scarpa. Questa ha lo scopo di fornire al lettore un’idea complessiva del tipo di relazione esistente per vari materiali e dell’influenza esercitata dall’acqua sotterranea sulla stabilità. Il Lettore dovrebbe guardarsi dall’assumere questa figura come base per la progettazione d’una particolare scarpata, dal momento che i fattori in gioco possono differire da quelli ipotizzati per ottenere i risultati ivi presentati. Ogni singola scarpata deve essere studiata facendo ricorso ai metodi esposti nei Capitoli 7, 8 e 9. Scarpate per le quali non può essere calcolato il coefficiente di sicurezza Le modalità di cedimento esaminate finora comportano tutte il movimento d’un ammasso di materiale su una superficie di scivolamento. Un’analisi del dissesto od un calcolo del coefficiente di sicurezza per tali scarpate richiede che sia nota la resistenza al taglio sulla superficie di scivolamento (definita da c e φ). Esistono però alcuni tipi di dissesto di scarpata che non possono essere analizzati con i metodi già descritti, anche se sono noti i parametri di resistenza del materiale, poiché il fenomeno non comporta un semplice scivolamento. Questi casi verranno trattati nelle prossime pagine. Distacco per ribaltamento (‘toppling’) Si consideri ancora una volta un blocco di roccia poggiante su di un piano inclinato, come mostrato in Fig. 11a. In questo caso le dimensioni del blocco sono definite da un’altezza h e da una lunghezza di base b e si pone per ipotesi che la forza resistente al moto del blocco verso il basso sia dovuta solo all’attrito, cioè c = 0. Se il vettore che rappresenta la massa W del blocco cade entro la base b, lo scivolamento del blocco si verificherà qualora l’inclinazione ψ del piano sia maggiore dell’angolo di attrito φ. Tuttavia, se il blocco è alto e stretto (h > b), il vettore W può cadere al di fuori della base b ed in tal caso il blocco si ribalterà ovvero ruoterà sullo spigolo d’appoggio inferiore. Le condizioni per lo scivolamento e/o il ribaltamento di questo blocco singolo sono mostrate in Fig. 11b. I quattro campi del diagramma sono definiti come segue: Dissesto per ribaltamento in una cava d’ardesia.
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Figura 11a: geometria del blocco su piano inclinato.
Figura 11b: condizioni di scivolamento e ribaltamento del blocco su piano inclinato.
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Campo 1: Campo 2: Campo 3: Campo 4:
ψ < φ e hb > tan ψ, il blocco è stabile e non scivolerà né si ribalterà. ψ > φ e hb > tan ψ, il blocco scivolerà ma non si ribalterà. ψ < φ e hb < tan ψ, l blocco si ribalterà ma non scivolerà. ψ > φ e hb < tan ψ, il blocco può scivolare e ribaltarsi simultaneamente.
Per studiare la stabilità d’un siffatto blocco possono essere impiegati i metodi dell’equilibrio-limite solo per i campi 1 e 2. Il dissesto che comporta ribaltamento, cioè per i campi 3 e 4 a destra della curva in Fig. 11b, non può essere analizzato in questo modo. Nel Capitolo 10 verranno presi in considerazione i metodi di studio dei dissesti per ribaltamento. Scarpate soggette a sgretolamento (‘ravelling’) Coloro che frequentano zone di montagna avranno familiarità con gli accumuli di detrito che si trovano alla base di scarpate ripide. Questi detriti sono generalmente costituiti da frammenti di roccia che si sono staccati dalla parete rocciosa e che, cadendo uno per uno, hanno formato l’accumulo (detrito di falda). L’espansione e la contrazione cicliche, conseguenti al gelo ed al disgelo dell’acqua in fratture e fessure entro l’ammasso roccioso, sono fra le cause principali dello sgretolamento dei declivi, ma in questo tipo di dissesto può avere una parte anche il graduale deterioramento del materiale che cementa i singoli blocchi l’un l’altro. La degradazione, od il deterioramento che colpisce certi tipi di roccia, in affioramento, darà luogo anche all’ allentamento dell’ammasso roccioso ed all’accumulo graduale di materiali sul fronte ed al piede del pendio. Alcune delle ripercussioni di tipo ingegneristico della degradazione sono state passate in rassegna da Goodman [24], che fornisce notizie bibliografiche utili sull’argomento [25–30]. Sono stati fatti pochi tentativi seri di analizzare il processo di dissesto delle scarpate per sgretolamento, poiché la caduta di piccoli pezzi singoli di roccia non costituisce un rischio grave. Se la stabilità d’un accumulo di detrito o di materiale degradato ha la probabilità d’essere compromessa dallo scavo d’una scarpata, la sicurezza dello scavo stesso può essere valutata tramite uno dei metodi descritti nei Capitoli 7, 8 e 9. Il metodo d’analisi dello scorrimento rotazionale, descritto nel Capitolo 9, potrebbe essere applicato di regola, a meno che, per la dimensione dello scavo, diventi probabile intaccare l’ammasso della roccia sana in posto. E’ importante che il progettista della scarpata riconosca l’influenza della degradazione sulla natura del materiale col quale ha a che fare; questo argomento sarà trattato in modo più particolareggiato nel Capitolo 7. Sgretolamento del materiale superficiale alterato in un pendio.
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Impostazione probabilistica della progettazione di scarpate La teoria delle probabilità ha due funzioni distinte nella progettazione delle scarpate: a. nell’analisi delle popolazioni o delle famiglie di discontinuità strutturali, per stabilire se esistano orientazioni dominanti o preferenziali entro l’ammasso roccioso; b. come alternativa al coefficiente di sicurezza, nel senso di indicatore della stabilità (od instabilità) della scarpata. La prima funzione sarà presa in esame nel Capitolo 3, che tratta la presentazione grafica dei dati geologici; la seconda, cioè quella in cui la probabilità di cedimento sostituisce il coefficiente di sicurezza come indicatore di stabilità è stata sostenuta energicamente da McMahon [31] ed è stata applicata da numerosi altri Autori [32–35]. E’ facilmente comprensibile come il ricorso alla seconda funzione non abbia ripercussioni sulle altre fasi dello studio sulla stabilità. Infatti la raccolta di dati geologici segue il medesimo schema fondamentale descritto in questo libro. La meccanica del dissesto viene trattata con lo stesso procedimento e le stesse limitazioni che si applicano ai tipi di cedimento analizzabili. La teoria delle probabilità non offre attualmente alcun vantaggio particolare nell’analisi dei tipi di dissesto per ribaltamento, sgretolamento o deformazione (‘buckling’). Crollo di colonne di dolerite a giunti subverticali causato dalla degradazione di una formazione scistosa sottostante.
Gli Autori hanno scelto di presentare in questo libro tutte le analisi di stabilità in termini di coefficiente di sicurezza. Tale decisione è stata presa poiché si giudica che la disamina sia più chiara per il Lettore non specialista, al quale è dedicato questo testo. Il Lettore che crede d’aver compreso i principi fondamentali dell’analisi delle scarpate è caldamente esortato ad esaminare la bibliografia sull’uso della teoria delle probabilità per decidere da solo se sia preferibile sostituire il coefficiente di sicurezza con la probabilità di cedimento.
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Capitolo 2
Bibliografia
11. BLAKE, W. Stresses and displacements surrounding an open pit in a gravity loaded rock. U.S. Bureau of Mines Report of Investigations 7002, Aug. 1967, 20 pagine. 12. BLAKE, W. Finite element model is excellent pit tool. Mining Engineering, A.I.M.E., Vol. 21, No. 8, 1969, pagine 79– 80. 13. YU, Y.S., GYENGE, M. and COATES, D.F. Comparison of stress and displacement in a gravity loaded slope by photoelasticity and finite element analysis. Canadian Dept. Energy, Mines and Resources Report MR 68-24 ID, 1968. 14. WANG, F.D. and SUN, M.C. Slope stability analysis by finite element stress analysis and limiting equilibrium method. U.S. Bureau of Mines Report of Investigations 7341, January 1970, 16 pagine. 15. STACEY, T.R. The stresses surrounding open-pit mine slopes. Planning open pit mines. Johannesburg Symposium, 1970. Published by A.A. Balkema, Amsterdam, 1971, pagine 199–207. 16. HOEK, E. The influence of structure upon the stability of rock slopes. Proc. 1st Symposium on Stability in Open Pit Mining, Vancouver, 1970. Published by A.I.M.E., New York, 1971, pagine 49–63. 17. TERZAGHI, K. Stability of steep slopes in hard unweathered rock. Geotechnique, Vol. 12, 1962, pagine 251–270. 18. MULLER, L. The european approach to slope stability problems in open pit mines. Proc. 3rd Symposium on Rock Mechanics. Colorado School of Mines Quarterly, Vol. 54, No. 3, 1959, pagine 116–133. 19. GOODMAN, R.E., TAYLOR, R.L. and BREKKE, T.L. A model for the mechanics of jointed rock. A.S.C.E. Proceedings, J. Soil Mech. Foundation Div., Vol. 94, No. SM3, 1968, pagine 637–659. 20. CUNDALL, P.A. A computer model for simulating progressive large-scale movements in blocky rock systems. Symposium on Rock Fracture, Nancy, France. October 1971, Section 2–8. 21. KLEY, R.J. and LUTTON, R.J. Engineering properties of nuclear craters: a study of selected rock excavations as related to large nuclear craters. Report U.S. Army Engineers, No. PNE 5010, 1967, 159 pagine. 22. ROSS-BROWN, D.R. Slope design in opencast mines. Ph.D Thesis, Imperial College, London University, 1973, 250 pagine.
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23. HOEK, E. and LONDE, P. Surface workings in rock. Advances in Rock Mechanics. Proc. 3rd Congress of the International Society for Rock Mechanics, Denver, 1974. Published by National Academy of Sciences, Washington, D.C., 1974, Vol. 1A, pagine 612–654. 24. GOODMAN, R.E. Methods of geological engineering in discontinuous rocks. West Publishing Co., St Paul, Minnesota, 1976, 472 pagine. 25. RUXTON, B.P. and BERRY, L. Weathering of granite and associated erosional features in Hong Kong, Bulletin Geological Society of America, Vol. 68, 1957, pagina 1263. 26. DEERE, D.U. and PATTON, F.D. Slope stability in residuals soil, Proc. 4th Pan American Conference on Soil Mechanics and Foundation Engineering, San Juan, Puerto Rico, Vol. 1, 1971, pagine 87–170. 27. FOOKES, P.G. and HORSWILL, P. Discussion of engineering grade zones. Proc. Conference on In-situ testing of Soils and Rock, Institution of Civil Engineers, London, 1970, pagina 53. 28. SAUNDERS, M.K. and FOOKES, P.G. A review of the relationship of rock weathering and climate and its significance to foundation engineering. Engineering Geology, Vol. 4, 1970, pagine 289–325. 29. DEERE, D.U., MERRITT, A.H. and COON, R.F. Engineering classification of in situ rock. Technical Report No. AFWL67-144, Air Force Systems Command, Kirtland Air Force Base, New Mexico, 1969. 30. SPEARS, D.A. and TAYLOR, R.K. The influence of weathering on the composition and engineering properties on in-situ coal measure rocks. International Journal of Rock Mechanics and Mining Sciences, Vol. 9, 1972, pagine 729–756. 31. McMAHON, B.K. A statistical method for the design of rock slopes. Proc. First Australia-New Zealand Conference on Geomechanics. Melbourne, 1971, Vol. 1, pagine 314–321. 32. McMAHON, B.K. Design of rock slopes against sliding on pre-existing fractures. Advances in Rock Mechanics, Proc. 3rd Congress of the International Society for Rock Mechanics, Denver 1974. Published by National Academy of Sciences, Washington D.C., 1974, Vol. 11B, pagine 803–808. 33. SHUK, T. Optimisation of slopes designed in rock. Proc. 2nd Congress of the International Society for Rock Mechanics, Belgrade, 1970, Vol. 3, Sect. 7–2. 34. LANGEJAN, A. Some aspects of safety factors in soil mechanics considered as a problem of probability. Proc. 6th International Conference on Soil Mechanics and Foundation Engineering, Montreal, 1965, Vol. 2, pagine 500–502.
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35. SERRANO, A.A. and CASTILLO, E. A new concept about the stability of rock masses. Advances in Rock Mechanics, Proc. 3rd Congress of the International Society for Rock Mechanics, Denver, 1974. Published by National Academy of Sciences, Washington D.C., 1974, Vol. 11B, pagine 820–826.
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Capitolo 3
Presentazione grafica dei dati geologici
Introduzione L’influsso principale delle discontinuità geologiche sul comportamento delle scarpate in roccia è stato già messo in evidenza, per cui pochi ingegneri o geologi dubiterebbero della necessità di basare i calcoli di stabilità su un’adeguata disponibilità di dati geologici. Ma che cosa s’intende per adeguata disponibilità di dati? Di quale tipo e quanto particolareggiati devono essere i dati da raccogliere per un’analisi di stabilità? Questa domanda assomiglia molto a quella se sia nato prima l’uovo o la gallina. È questione da poco raccogliere dati riguardanti scarpate stabili, ma un pendio in condizioni di stabilità critiche può essere definito tale solo se è disponibile una quantità di informazioni sufficiente per valutarne la sicurezza. La raccolta di dati, perciò, deve essere condotta in due fasi come suggerito nello schema di Fig. 6. La prima fase comprende l’esame delle carte geologiche regionali esistenti, di foto aeree, di affioramenti facilmente accessibili e delle carote prelevate mediante sondaggi esplorativi. Un’analisi preliminare di tali dati permetterà d’individuare le scarpate che probabilmente si trovano in condizioni critiche di stabilità e che richiedono uno studio più approfondito. La seconda fase consiste nell’esame più particolareggiato delle caratteristiche geologiche di queste zone critiche e può richiedere l’esecuzione di appositi sondaggi al di fuori del giacimento minerario, lo scavo di trincee o cunicoli esplorativi, nonché il rilievo dettagliato e l’analisi delle discontinuità. Un aspetto importante delle ricerche geologiche, sia nella prima che nella seconda fase, è la presentazione dei dati in una forma che possa essere compresa ed interpretata da altri eventualmente chiamati a collaborare all’analisi di stabilità o consultati per verificarne i risultati. Ciò significa che ogni persona interessata deve essere a conoscenza dell’esatto significato dei termini geologici usati e deve capire il sistema di presentazione dei dati. Le definizioni ed i metodi grafici seguenti vengono proposti come traccia al Lettore che può non essere ancora abituato ad usarli. Ciò non implica che questi siano le migliori definizioni o metodi fruibili, per cui il Lettore che ha già preso familiarità con altri metodi può certamente continuare a seguirli. Quello che importa è che le tecniche usate in ogni ricerca dovrebbero essere definite chiaramente in legende allegate al rapporto, in modo da evitare ogni errore derivante da malintesi.
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Definizione dei termini geologici Materiale roccioso o roccia intatta: nel contesto di questa trattazione si riferisce all’insieme consolidato e cementato di particelle minerali che forma i blocchi compatti fra le discontinuità nell’ammasso roccioso. Per la maggior parte delle rocce ignee e metamorfiche dure, la resistenza della roccia intatta è maggiore di uno o due ordini di grandezza rispetto a quella dell’ammasso roccioso, onde nei processi di dissesto di scarpata generalmente non si riscontra la rottura del materiale intatto. Nelle rocce sedimentarie, più tenere, il materiale intatto può essere relativamente debole, quindi la sua rottura può avere una parte importante nel dissesto. Ammasso roccioso: è la roccia in situ resa discontinua da sistemi di lineamenti strutturali come giunti, faglie e superficie di stratificazione. Una rottura di scarpata in un ammasso roccioso è per lo più associata ad un movimento su queste superficie di discontinuità. Detrito roccioso o roccia frantumata (= marino) designa un ammasso roccioso che è stato scompaginato da interventi meccanici, come abbattimento con esplosivo, scarificazione o frantumazione, tali da distruggere la coesione naturale della roccia in sito. Il comportamento di questo detrito roccioso o roccia frantumata è simile a quello d’una sabbia o ghiaia lavata con la differenza principale dovuta alla spigolosità dei frammenti di roccia. Discontinuità o superficie di debolezza sono quei lineamenti strutturali che separano blocchi intatti di roccia entro un ammasso. Molti ingegneri li denominano indistintamente giunti, ma questa è una semplificazione riduttiva, dal momento che le loro proprietà meccaniche variano in accordo con il loro processo genetico. Quindi faglie, filoni, piani di stratificazione, clivaggio, giunti di decompressione e giunti di taglio mostreranno tutti caratteristiche distinte e reagiranno in modi diversi alle forze applicate loro. E’ disponibile un’imponente bibliografia che tratta questo argomento, per cui rimandiamo ad essa [36-37-38] per qualsivoglia approfondimento il Lettore interessato. Per gli scopi di questa trattazione il termine discontinuità verrà usato di regola per definire il piano di debolezza strutturale sul quale può verificarsi un movimento. Si potrà fare riferimento al tipo di discontinuità solo quando la descrizione fornirà all’ingegnere progettista gli elementi per decidere in merito alle caratteristiche meccaniche da associare ad una data discontinuità. Uno schema strutturale ordinato nelle ardesie.
Discontinuità principali sono lineamenti strutturali piani, continui, come le faglie, che possono comportare una tale debolezza, rispetto a qualsiasi altra discontinuità nell’ammasso roccioso, da condizionare il comportamento d’una determinata scarpata.La maggior parte dei grandi scoscendimenti che si sono verificati negli scavi minerari a cielo aperto sono connessi a faglie, per cui bisogna dedicare una speciale cura al rilevamento di tali strutture. Famiglie di discontinuità si riferisce agli insiemi comprendenti discontinuità che hanno approssimativamente la stessa inclinazione ed orientazione.La maggior parte delle discontinuità si associano
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in famiglie che hanno direzioni preferenziali, in quanto risultanti da specifici processi genetici [36]. In alcuni casi le famiglie sono chiaramente definite e facili da distinguere, mentre in altri lo schema strutturale appare disordinato. Continuità: mentre i lineamenti strutturali principali, come le faglie, possono prolungarsi per molte decine di metri o perfino chilometri, le discontinuità minori, come i giunti, possono essere molto limitate nella loro estensione. Il dissesto in un sistema dove le discontinuità terminano entro l’ammasso roccioso in esame comporterà la rottura dei ponti di roccia intatta interposti fra queste discontinuità. La continuità inoltre ha un’influenza notevole sulla permeabilità d’un ammasso di roccia, dal momento che quest’ultima dipende dall’estensione su cui le discontinuità sono collegate idraulicamente. Milonite o riempimento è il materiale compreso fra le due pareti d’una discontinuità strutturale come una faglia. Questo materiale può consistere in frammenti prodotti dallo scorrimento d’una superficie sull’altra od essere materiale precipitato da una soluzione, o prodotto da alterazione. Qualunque sia l’origine del materiale di riempimento d’una discontinuità, la sua presenza avrà un’influenza importante sulla resistenza al taglio della discontinuità stessa. Se lo spessore del riempimento è tale che le pareti della discontinuità non possono venire a contatto, la resistenza al taglio globale s’identificherà con quella del riempimento. Se lo strato di milonite è così sottile che può verificarsi contatto fra le asperità delle superficie della roccia, ciò modificherà la resistenza al taglio della discontinuità ma non la determinerà [39]. Uno schema apparentemente disordinato in una scarpata di roccia dura.
Scabrezza: Patton [40–41] sottolinea l’influenza della scabrezza delle superficie sulla resistenza al taglio di discontinuità strutturali nella roccia. Questa scabrezza agisce sia in piccola scala, a livello di granuli e di superficie di rottura, sia in grande scala, a livello di pieghe e ondulazioni nella discontinuità. La meccanica del movimento su superficie scabre sarà discussa nel capitolo che tratta della resistenza al taglio. Definizione dei termini geometrici Inclinazione: è l’inclinazione massima d’una superficie di discontinuità strutturale rispetto all’orizzontale e viene espressa dall’angolo ψ illustrato nello schizzo a lato. Talvolta, quando si esamina la porzione esposta d’un piano inclinato obliquamente, è molto difficile individuare l’inclinazione vera invece di quella apparente, che è propria d’una retta qualsiasi sul piano. L’inclinazione apparente è sempre minore di quella vera. Uno dei modelli più semplici per illustrare l’inclinazione d’un piano consiste nell’immaginare una pallina che rotola verso il basso su di un piano inclinato obliquamente. Il percorso della pallina seguirà sempre la linea di massima pendenza, che corrisponde all’inclinazione vera del piano. Direzione d’immersione od azimut d’immersione è la direzione della traccia orizzontale della linea d’inclinazione, misurata in sen-
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so orario a partire dal Nord, come indicato dall’angolo α nello schizzo a lato. Direzione è la traccia dell’intersezione d’un piano sghembo con un piano orizzontale di riferimento e forma angoli retti con l’inclinazione e la direzione d’immersione del piano inclinato. L’importanza pratica della direzione d’un piano sta nel fatto che essa rappresenta la traccia visibile d’una discontinuità sulla superficie orizzontale d’un ammasso roccioso. Quando ci si serve di direzione ed inclinazione per definire un piano, è fondamentale che se ne specifichi l’azimut d’immersione. Così un piano può essere designato da una direzione N 45 E (ovvero 045◦ ) ed un’inclinazione di 60◦ dalla parte di SE. Si noti che anche un piano con inclinazione di 60◦ dalla parte di NO può avere direzione N 45 E. Definizione dei termini geometrici: - Immersione - Azimut d’immersione Direzione.
Nel presente testo i piani saranno sempre definiti tramite inclinazione e direzione d’immersione. Questa convenzione è stata adottata per evitare ogni possibile equivoco e per facilitare i calcoli relativi alla geometria delle scarpate nei successivi capitoli; della stessa si servono vari uffici di consulenza geotecnica per i programmi di calcolo della stabilità tramite l’elaboratore. Tuttavia i geologi sono liberi di usare le misure di direzione e d’inclinazione per annotare le loro osservazioni di campagna, se così preferiscono: in tal caso si fa ricorso ad un programma ausiliario per trasformare queste misure in inclinazione e azimut d’immersione prima d’immetterle nei programmi di calcolo della stabilità. Pendenza: è l’inclinazione d’una retta, come l’intersezione di due piani, o l’asse d’un foro di sondaggio oppure d’un tunnel. Verso: è l’azimut della proiezione orizzontale d’una linea, misurato in senso orario dal Nord. Quindi corrisponde alla direzione d’immersione d’un piano. Nel registrare le misure d’inclinazione e di direzione d’immersione molti geologi usano il sistema di scrivere queste quantità 35/085. Dal momento che l’inclinazione d’un piano deve essere compresa fra 0◦ e 90◦ , la misura angolare definita da 35◦ corrisponde all’inclinazione. Analogamente l’angolo 085 si riferisce alla direzione d’immersione, che è compresa fra 0◦ e 360◦ . Alla stessa convenzione si può ricorrere per definire la pendenza ed il verso d’una linea nello spazio. Esortiamo il Lettore a seguire questa convenzione perché gli gioverà ad eliminare errori di registrazione in campagna: infatti, anche se sbaglierà invertendo l’ordine dei numeri, sarà chiaro per tutti che quello di due cifre si riferisce all’inclinazione e quello di tre alla direzione d’immersione. Metodi grafici per la presentazione dei dati Uno degli aspetti più importanti dell’analisi delle scarpate in roccia è la raccolta e presentazione sistematica dei dati geologici, in modo che possano facilmente essere esaminati ed impiegati nelle analisi di stabilità. L’esperienza insegna che le proiezioni sferiche forniscono uno strumento efficace per la presentazione di dati geologici. L’ingegnere od il geologo che non hanno familiarità con
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detto metodo sono caldamente esortati a studiare con attenzione le pagine che seguono. Poche ore spese in questo studio eviteranno molte ore di frustrazione e d’incertezza più tardi, quando il Lettore si troverà impegnato nello studio di progetti e nella lettura di rapporti nei quali viene seguito questo metodo. Molti ingegneri diffidano dei metodi di proiezione sferica poiché non sono loro familiari e perchè sembrano complicati e privi di nesso apparente con i metodi ingegneristici più convenzionali di rappresentazione. Per molti anni gli Autori di questo libro hanno visto le proiezioni sferiche sotto la stessa luce, ma di fronte alla necessità di analizzare problemi di scarpate tridimensionali in roccia, con l’aiuto d’un paziente collega geologo, si sono sforzati di dissipare il mistero che per loro aleggiava su questi metodi, e vi sono riusciti in poco tempo. Dopo d’allora la fatica è stata ripagata più volte dall’efficacia e dalla versatilità che le proiezioni sferiche assicurano al geomeccanico. Si può far ricorso a vari tipi di proiezione sferica, tenendo presenti le rassegne che ne hanno fatte Phillips [42], Turner & Weiss [38], Badgley [43], Friedman [44] e Ragan [45]. In questo libro viene usata esclusivamente la proiezione equivalente, talvolta chiamata proiezione di Lambert o reticolo di Schmidt. La proiezione conforme o stereografica, d’altra parte, offre certi vantaggi, particolarmente quando viene impiegata per costruzioni geometriche ed è preferita da molti Autori. Fatta eccezione per le modalità di tracciamento delle linee di contorno degli addensamenti polari, che verranno descritte più avanti in questo capitolo, le costruzioni ricavate sui due tipi di reticoli sono identiche, per cui il Lettore non avrà difficoltà nell’adattare i metodi imparati nell’impiego di proiezioni equivalenti alle analisi mediante proiezioni stereografiche. Proiezione equivalente La proiezione equivalente di Lambert sarà ben nota alla maggioranza dei Lettori come sistema usato dai geografi per rappresentare su di un piano la superficie sferica della Terra. Nell’applicazione di tale proiezione alla geologia strutturale le tracce dei piani sulla superficie d’una sfera di riferimento sono usate per definire le inclinazioni e le direzioni d’immersione dei piani stessi. Immaginate una sfera di riferimento libera di muoversi nello spazio, ma che non può ruotare in alcun senso; qualsiasi linea radiale congiungente un punto della superficie con il centro della sfera avrà una direzione fissa nello spazio. Se questa sfera ora viene spostata in modo da porre il suo centro sul piano considerato, il cerchio meridiano che risulta dall’intersezione del piano stesso con la sfera definirà in maniera univoca l’inclinazione e l’orientazione del piano nello spazio. Poiché la medesima informazione è data su entrambi gli emisferi - superiore ed inferiore - solo uno di questi è necessario, quindi nelle applicazioni d’ingegneria s’impiega l’emisfero inferiore di riferimento per la presentazione dei dati.
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Oltre che dal cerchio meridiano, l’inclinazione e l’orientazione del piano possono essere definite dal suo polo. Il polo è il punto in cui la superficie della sfera intercetta la semiretta radiale normale al piano. Per illustrare l’informazione data dal cerchio meridiano e dalla posizione del polo sulla superficie dell’emisfero di riferimento inferiore si ricorre ad una rappresentazione bidimensionale, ottenuta proiettando il polo sul piano orizzontale, ossia equatoriale, di riferimento. Il metodo di proiezione è illustrato nella Fig. 12. Le proiezioni polare ed equatoriale d’una sfera sono mostrate in Fig. 13. I reticoli equivalenti polare ed equatoriale, sono presentati alle pagine 41 e 42 ad uso del Lettore. Copie fedeli non distorte o fotografie di questi reticoli saranno utili per seguire gli esempi dati in questo capitolo e più avanti nel libro. Il metodo più pratico d’uso del reticolo di proiezione per mettere in grafico informazioni strutturali è quello di fissarlo su una tavoletta di compensato dello spessore di 1/2 cm, come mostrato in Fig. 14. Un foglio di plastica trasparente per disegno, applicato sul reticolo e fissato con nastro adesivo trasparente lungo tutto il perimetro, terrà fermo il reticolo stesso e ne proteggerà le graduazioni dall’usura. I dati strutturali vengono messi in grafico su un foglio di carta da lucido fissato sul reticolo mediante uno spillo accuratamente centrato, come nell’esempio. La carta da lucido deve essere libera di ruotare attorno allo spillo ed è fondamentale che questo sia infisso esattamente al centro del reticolo, altrimenti la susseguente analisi sarà invalidata da errori non trascurabili. Prima di cominciare qualsiasi elaborazione bisogna segnare la posizione del Nord sul foglio da disegno in modo da disporre d’un punto di riferimento.
Figura 12: metodo di costruzione d’una proiezione equivalente.
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Figura 13: proiezioni sferiche polare ed equatoriale.
Figura 14: I dati geologici vengono messi in grafico ed elaborati su un foglio di carta da lucido fissato al centro del reticolo di proiezione per mezzo d’uno spillo, come si vede in figura. Il reticolo è applicato ad una tavoletta di compensato o di materiale consimile.
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Reticolo equatoriale equivalente, graduato ad intervalli di 2◦ . Disegnato con l’ausilio dell’elaboratore dal Dr. C.M. St John della Royal School of Mines, Imperial College, Londra.
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Reticolo polare equivalente, graduato ad intervalli di 2◦ . Disegnato con l’ausilio dell’elaboratore dal Dr. C.M. St John della Royal School of Mines, Imperial College, Londra.
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Rappresentazione d’un piano in proiezione, mediante un cerchio meridiano ed un polo Consideriamo un piano che ha un’inclinazione di 50◦ ed un azimut d’immersione 130◦ . Il cerchio meridiano ed il polo che rappresentano questo piano vengono costruiti come segue: Fase 1: sulla carta da lucido fissata sopra il reticolo per mezzo dello spillo centrale, si ricalchi la circonferenza e si segni il punto del Nord. Si misuri la direzione d’immersione di 130◦ in senso orario a partire dal Nord e se ne segni la posizione sulla circonferenza del reticolo. Fase 2: si ruoti la carta da lucido intorno allo spillo fino a far coincidere il segno della direzione d’immersione con l’asse E-O del reticolo: nell’esempio la carta viene ruotata di 40◦ . Si misurino 50◦ a partire dal cerchio esterno del reticolo e si tracci l’arco meridiano che identifica il cerchio meridiano corrispondente al piano che s’immerge secondo questo angolo. La posizione del polo, che ha un’inclinazione di (90◦ –50◦ ), viene trovata misurando 50◦ dal centro del reticolo, come indicato, oppure - in alternativa - 40◦ dal margine del reticolo. Il polo giace sulla proiezione della linea di direzione d’immersione che, in questa fase della costruzione, coincide con l’asse E-O del reticolo. Fase 3: la carta da lucido viene ora fatta ruotare di nuovo fino alla sua posizione iniziale in modo che il segno del Nord vada a coincidere col segno del Nord sul reticolo. La configurazione finale del cerchio meridiano e del polo che rappresentano un piano inclinato di 50◦ con direzione d’immersione di 130◦ è quella illustrata.
Determinazione della linea d’intersezione di due piani Due piani aventi inclinazioni di 50◦ e 30◦ e rispettivamente direzioni d’immersione di 130◦ e 250◦ , s’intersecano. Si chiede di trovare l’inclinazione e l’orientamento della linea d’intersezione. Fase 1: Del primo di questi piani si è già detto sopra, mentre per ottenere il cerchio meridiano che definisce il secondo si segnino i 250◦ della direzione d’immersione sulla circonferenza del reticolo, ruotando poi la carta trasparente fino a portare questo segno sull’asse E-O e tracciando l’arco meridiano corrispondente all’inclinazione di 30◦ .
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Fase 2: Si ruoti ora la carta trasparente fino a far coincidere l’intersezione dei due cerchi massimi con un punto dell’asse E-O del reticolo: l’inclinazione della linea d’intersezione risulta di 20.5◦ .
Fase 3: La carta trasparente, infine, venga di nuovo ruotata per riportare il segno del Nord sul punto del Nord del reticolo: si trova così il verso delle linea d’intersezione, che è 200.5◦ .
Determinazione dell’angolo fra due rette date Date due direzioni nello spazio, ad esempio linee d’intersezione o perpendicolari a piani, individuate da pendenza di 54◦ e 40◦ e rispettivamente verso di 240◦ e 140◦ , si chiede di trovare l’angolo fra tali linee. Fase 1: Si segnino sul reticolo i punti A e B che individuano queste linee, seguendo le modalità descritte nella procedura per ubicare il polo.
Fase 2: Si faccia ruotare poi la carta trasparente fino a portare quei due punti sul medesimo cerchio meridiano del reticolo, cosicchè l’angolo formato dalle due linee può venire determinato contando le graduazioni dei paralleli fra A e B lungo il cerchio meridiano. Questo angolo risulta di 64◦ . Il cerchio meridiano sul quale giacciono A e B definisce il piano che contiene queste due linee, la cui inclinazione e direzione d’immersione sono rispettivamente 60◦ e 200◦ .
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Metodo alternativo per trovare la linea d’intersezione di due piani Due piani, che hanno rispettivamente 50◦ e 30◦ d’inclinazione e 130◦ e 250◦ di azimut d’immersione, siano definiti dai loro poli A e B, come illustrato. La linea d’intersezione di questi due piani viene individuata come segue:
Fase 1: Si ruoti la carta trasparente fino a portare entrambi i poli sullo stesso cerchio meridiano. Questo definisce il piano che contiene le due normali ai piani dati.
Fase 2: Si determini il polo di questo piano misurando l’inclinazione sull’asse E-O del reticolo. Il polo P definisce la normale al piano che contiene A e B: questa normale è comune ad entrambi i piani, essa, infatti, rappresenta la loro linea d’intersezione. Quindi, il polo d’un piano passante per i poli di altri due piani definisce la linea d’intersezione di quei piani. Messa in grafico ed analisi dei rilievi di campagna Nel mettere in grafico i rilievi di campagna relativi ad inclinazione ed azimut d’immersione, è opportuno lavorare con poli piuttosto che con cerchi massimi, poiché i poli possono essere segnati direttamente su un reticolo di proiezione polare, come quello presentato a pagina 42. Supponiamo che un piano abbia inclinazione e direzione d’immersione di 050/60: il suo polo è individuato sul reticolo ricorrendo al valore di 50◦ della direzione d’immersione (scritto in corsivo accanto al cerchio equatoriale) e misurando il valore di 60◦ dal centro del reticolo lungo la linea radiale. Si osservi che per questa operazione non è necessario far ruotare la carta trasparente centrata sul reticolo, per cui, con poco esercizio, la graficizzazione può essere eseguita molto rapidamente. Verrebbe la tentazione di mettere in grafico direttamente sul reticolo polare le letture alla bussola, senza il passaggio intermedio dell’annotazione sul libretto di campagna, ma gli Autori diffidano dal seguire questa scorciatoia. La ragione è che le misure possono essere necessarie per altri scopi, come un’analisi tramite elaboratore, caso in cui è di gran lunga più facile lavorare con numeri anziché con punti d’un grafico.
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Figura 15: Stereogramma dei poli di discontinuità in un ammasso di roccia dura: - piani di stratificazione, - giunti, - faglia.
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Per di più, è difficile correggere errori su un grafico con parecchie centinaia di poli e, se i dati non sono stati registrati altrove, si può perderne. Molti geologi, per annotare i dati di campagna, preferiscono usare un registratore vocale portatile a nastro anziché il taccuino; il Lettore in ogni caso non esiti a fare prove per trovare il metodo più adatto alle sue esigenze particolari. Quando si graficizzano dati di campagna è raccomandabile usare simboli diversi per rappresentare i poli che si riferiscono ai vari tipi di lineamenti strutturali. Perciò le faglie possono essere simboleggiate da punti neri marcati, i giunti da cerchietti, i piani di stratificazione da triangoli e così via. Poiché questi caratteri strutturali hanno requisiti di resistenza al taglio sensibilmente differenti, l’interpretazione d’un grafico di poli al fine della analisi di stabilità viene semplificata se i diversi tipi di struttura possono essere identificati facilmente. In Fig. 15 è rappresentato un insieme di 351 poli di piani di stratificazione, di giunti, nonché d’una faglia. Poiché la faglia ha una localizzazione precisa nell’ammasso roccioso, è necessario considerare la sua influenza solo quando si analizza la stabilità della scarpata in corrispondenza alla sua posizione. Viceversa le misure dei piani di stratificazione e dei giunti provengono da un’area d’affioramento roccioso estesa e costituiscono la base dell’analisi di stabilità di tutte le altre scarpate nell’ambito dei lavori di scavo previsti. Ancora in Fig. 15 sono evidenti due distinti addensamenti di poli: uno che comprende quelli dei piani di stratificazione nel settore nord-orientale del reticolo e l’altro che si compone di quelli dei giunti a Sud del centro del reticolo. I poli rimanenti appaiono ben distribuiti e, a prima vista, non si nota nessun altro addensamento significativo. Per evidenziare se vi siano altri addensamenti importanti di poli si procede ad elaborare i contorni di isodensità. A questo scopo sono stati proposti [42–47] vari metodi, ma qui ne descriveremo solo due, scelti dagli Autori in base a numerose prove che hanno consentito di valutarne comparativamente la rapidità, la comodità e la precisione. Metodo di conteggio delle celle curvilinee di Denness Per ovviare a certi svantaggi di altri metodi di perimetrazione, specie quando si abbia a che fare con concentrazioni di poli molto vicine alla circonferenza del reticolo, Dennes [46] ha ideato un metodo di conteggio nel quale la sfera di riferimento è divisa in 100 celle. La cella centesimale di conteggio, individuata sulla sfera di riferimento e contrassegnata da A nello schizzo a fianco, viene proiettata sul reticolo di proiezione equivalente come figura curvilinea A0 . Quando la cella di conteggio cade a cavallo dell’equatore della sfera di riferimento, solo i poli che si trovano entro la sua metà inferiore verranno rappresentati sul reticolo, poiché solo l’emisfero inferiore serve nel procedimento di costruzione del grafico. La cella di conteggio contrassegnata B e la sua proiezione B 0 illustrano questo caso. I poli che si trovano sopra l’equatore vengono messi in grafico dalla parte opposta del reticolo, quindi il numero totale
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Reticolo di conteggio di Denness: tipo A
Reticolo di conteggio di Denness: tipo B
Numero di celle per anello 1 7 12 18 22 25 28
Numero di celle per anello 3 10 16 20 24 27
Angolo 0.100 0.283 0.447 0.616 0.775 0.923 1.064
360.00 51.43 30.00 20.00 16.37 14.40 12.85
Angolo 0.172 0.360 0.539 0.700 0.855 1.000
120.00 36.00 22.50 18.00 15.00 13.33
Figura 16: dimensioni dei reticoli di conteggio a celle curvilinee di Denness.
di poli che cadono in una cella centesimale posta a cavallo dell’equatore si ottiene addizionando i poli che cadono nelle porzioni punteggiate di entrambe le proiezioni contrassegnate B 0 . In Fig. 16 vengono presentati i particolari dei due tipi di reticolo di conteggio ideati da Denness. Il reticolo di tipo A serve per l’analisi di diagrammi di poli caratterizzati da addensamenti in prossimità della circonferenza del reticolo, che rappresentano strati con giunti verticali. Il reticolo di tipo B è piú indicato per l’analisi di poli di discontinuità inclinate: perciò ne raccomandiamo l’uso ai Lettori poiché queste sono d’importanza preminente per l’analisi di stabilità di scarpate rocciose. In Fig. 17 è riprodotto un reticolo di conteggio del tipo B tracciato nella stessa scala dei reticoli stereografici delle pagine 41 e 42 e del diagramma di poli di Fig. 15. Per impiegare questo reticolo a perimetrare un insieme di poli in diagramma, occorre allestirne una copia trasparente o ricalcarlo. Si tenga conto che molte fotocopiatrici apportano distorsioni e cambiamenti di scala non trascurabili; perciò, prima d’iniziare un’analisi, occorre assicurarsi di avere a disposizione copie fedeli non distorte.
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Figura 17: reticolo di conteggio di Denness a celle curvilinee, tipo B.
Figura 18: cerchi di conteggio da impiegare per tracciare i contorni degli addensamenti di poli.
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Si centri il reticolo di conteggio trasparente sullo stereogramma dei poli e gli si sovrapponga un foglio vergine di carta da lucido; su questo si traccino poi il centro del reticolo ed il segno del Nord. Si annoti a matita al centro d’ogni cella centesimale di conteggio il numero di poli che cadono al suo interno. I perimetri delle zone di isodensità di poli si tracciano congiungendo i centri delle celle con valori uguali sparse sul diagramma. Se emerge che in certe zone del diagramma c’è insufficienza di dati, si può ruotare il reticolo di conteggio come indicato con le linee tratteggiate nel disegno a lato. Le nuove posizioni delle celle di conteggio servono per ottenere conteggi supplementari che vengono annotati nel centro di tali celle. Se necessario, il reticolo di conteggio può essere spostato dal centro per un piccolo raggio, in modo da procurare dati supplementari lungo una direzione radiale. Alle zone di isodensità di poli vengono assegnati di regola valori percentuali. Quindi, nel caso dei 351 poli messi in grafico in Fig. 15, la zona del 2% si ottiene congiungendo le celle con 7 poli, mentre quelle con 17–18 poli corrispondono alla zona del 5%. Metodo di conteggio del cerchio flottante Uno degli svantaggi dell’impiego del reticolo di conteggio per perimetrare un addensamento di poli è che la conformazione geometrica del reticolo di conteggio stabilisce una relazione indiretta con la distribuzione dei poli. Se un grappolo di poli cade sul limite fra due celle di conteggio, la localizzazione corretta dell’addensamento può essere ottenuta solo permettendo alla cella di flottare dalla sua posizione originaria e centrandola sull’addensamento più fitto. In alcuni casi sono necessari vari spostamenti del reticolo di conteggio per ottenere la quantità d’informazioni occorrente alla costruzione di contorni significativi. Una riflessione su questa procedura di conteggio suggerisce che è forse più logica l’alternativa di usare le singole celle di conteggio in modo flottante, cioè con movimenti legati alla modalità di distribuzione dei poli stessi piuttosto che secondo un rigido schema geometrico arbitrario. Questa considerazione ha comportato la scelta del metodo di conteggio detto del cerchio flottante o libero [38], descritto qui di seguito. La Fig. 18 offre un modello che il Lettore può copiarsi per costruire un conta-punti circolare da usare su reticoli del diametro dato alle pagine 41 e 42 ed in Fig. 15. Il diametro dei cerchietti è un decimo di quello del reticolo, perciò la loro area è l’ 1% di quella del reticolo di proiezione. I cerchietti sono esattamente in opposizione e vengono usati in coppia quando si contano i poli vicini alla circonferenza del reticolo.
Il luogo dei centri del cerchio di conteggio definisce il contorno dell’addensamento corrispondente al 3%.
Per costruire un conta-punti circolare si disegni il modello dato in Fig. 18 su di un foglio di plastica trasparente usando strumenti da disegno ed inchiostro, onde assicurarsi una riproduzione precisa e durevole. I materiali ideali per costruire un conta-punti sono fogli di plastica usati per proiezioni, pellicole fotografiche vergini sviluppate, o sottili fogli di plastica rigida e trasparente. Al centro di ognuno dei cerchietti si perfori un forellino di circa 1 mm di diametro.
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Il disegno a lato (nella pagina precedente) illustra l’uso del contapunti per tracciare il contorno d’una zona di densità 3% sul diagramma di poli dato in Fig. 15. Si muova uno dei cerchietti all’intorno fino a trovare una posizione in cui circonda 10-11 poli (3% di 351 poli = 10.5) e si segni a matita un punto attraverso il forellino al centro del cerchietto; si ripetano tali operazioni per successivi spostamenti analoghi, costruendo una serie di punti. Quando uno dei cerchietti viene posizionato in modo da cadere in parte al di fuori del reticolo, il numero totale di poli da considerare compresi nel suo ambito è dato dalla somma dei poli di questo e dell’altro cerchietto, che risulterà nella posizione diametralmente opposta sul reticolo stereografico, come mostrato nello schizzo a lato. Il luogo delle posizioni del centro del cerchietto definisce il perimetro della zona con densità 3%. Procedura raccomandata per il tracciamento delle curve di isodensità La procedura che segue è considerata come quella che realizza il migliore compromesso fra rapidità e precisione nel tracciamento delle curve di isodensità dei poli. a. si usi un reticolo di conteggio Denness tipo B (Fig. 17) per ottenere il totale del numero dei poli che cadono in ogni cella di conteggio; b. si sommino questi totali parziali per ottenere il numero complessivo di poli segnati sul reticolo e determinare il numero di poli per centesimo di area, corrispondenti ai diversi valori percentuali di contorno; c. si traccino contorni molto approssimativi sulla base dei conteggi dei poli segnati sulla carta da disegno; d. s’impieghi il conta-punti circolare (Fig. 18) per perfezionare i contorni, partendo da quelli di valore basso (cioè 2 o 3%) e procedendo verso le concentrazioni di poli più alte. Il grafico delle curve di isodensità illustrato nello schizzo a margine è stato allestito per lo stereogramma dei poli di Fig. 15 in circa un’ora di lavoro, seguendo la procedura sopra descritta. Analisi dei dati strutturali mediante elaboratore Mettere in grafico e disegnare le curve di isodensità per poche famiglie di dati di geologia strutturale può essere non solo interessante ed istruttivo, ma anche caldamente raccomandato ad ogni Lettore che desideri comprendere a fondo i metodi descritti nelle pagine precedenti. Tuttavia, quando si tratta di elaborare grandi quantità di tali dati, il compito diventa molto noioso e può richiedere al gruppo di lavoro un dispendio di tempo inaccettabilmente alto, tempo che potrebbe essere dedicato con maggior profitto ad altri progetti. L’elaboratore è uno strumento ideale per trattare dati di geologia strutturale nell’esercizio quotidiano della professione, per cui mol-
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ti studi d’ingegneria civile e mineraria nonché uffici di consulenza geotecnica si servono dell’elaboratore per tali compiti. Una trattazione esauriente sull’argomento esulerebbe dallo scopo di questo capitolo, per cui rimandiamo il lettore interessato ai lavori di Spencer e Clabaugh [48], Lamm [49], Attewell e Woodman [50] nonchè Mathab & al. [51] per specifiche informazioni sulle varie impostazioni del trattamento dei dati di geologia strutturale mediante elaboratore. Dimensione ideale del campione La raccolta di dati di geologia strutturale costa molto tempo e denaro, per cui è importante che il numero di dati raccolti sia il minimo necessario per definire in maniera completa le caratteristiche geometriche dell’ammasso roccioso. Una definizione adeguata della conformazione dell’ammasso roccioso può essere ottenuta solo tenendo presente con chiarezza l’oggetto della ricerca. Nel contesto di questo libro, definire la geometria dell’ammasso significa fornire una base per la scelta del meccanismo di dissesto più probabile. Questa rappresenta una delle decisioni più importanti nell’intero processo di analisi della stabilità di un pendio poiché una scelta errata del meccanismo di dissesto invaliderà quasi certamente l’analisi. Un ammasso di roccia a resistenza elevata, nel quale due o tre famiglie di discontinuità fittamente sviluppate determinano addensamenti di poli sugli stereogrammi, cederà di norma per scivolamento su una o due superficie, o per ribaltamento. Un lineamento singolo da parte a parte, come una faglia, può avere una funzione determinante nel dissesto d’una scarpata, per cui è importante che i dati attinenti ad esso siano identificati separatamente, onde non vadano persi nell’operazione di calcolo della media che si effettua costruendo le curve di isodensità dei poli. Un ammasso di roccia tenera, come un giacimento di carbone, che può essere stratificato orizzontalmente e fratturato verticalmente, oppure un ammasso di roccia dura nel quale l’orientazione dei giunti sembra casuale, possono subire cedimenti secondo una superficie cilindrica, allo stesso modo delle terre. Da questa breve disamina risulta chiaro che la raccolta e l’interpretazione dei dati di geologia strutturale per l’analisi di stabilità di una scarpata non possono essere trattate come meccanici esercizi di statistica. L’ammasso di roccia non sa nulla di statistica, mentre che, oltre alla densità delle concentrazioni di poli, molti sono i fattori che debbono essere tenuti in considerazione quando si valuta quale sia il più probabile meccanismo di cedimento di una data scarpata. Una stima dell’importanza di questi altri fattori, come la resistenza dell’ammasso roccioso e le condizioni idrogeologiche del pendio, dovrà guidare il geologo nel decidere quanti dati di geologia strutturale siano necessari per poter individuare realisticamente il meccanismo di dissesto. Per il Lettore che non ha avuto molte esperienze in fatto di analisi di stabilità delle scarpate e che può trovare difficile decidere se dispone di sufficienti dati di geologia strutturale, abbiamo tratto da un lavoro di Stauffer [47] le seguenti direttive sul trattamento
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degli stereogrammi di poli. 1. Per prima cosa si mettano in grafico 100 poli e si costruiscano le curve di isodensità. 2. Se non è evidente un’orientazione preferenziale, si mettano in grafico altri 300 poli e si costruiscano le curve di isodensità per tutti i 400. Se il diagramma non mostra ancora un’orientazione spiccata, è probabile che vi sia una distribuzione casuale. 3. Se la fase 1 porta ad una concentrazione singola di poli con un valore del 20% o superiore, probabilmente la struttura è davvero rappresentativa, per cui l’aggiunta di nuovi dati porterebbe vantaggi esigui. 4. Se la fase 1 dà per risultato una concentrazione singola con densità inferiore al 20%, bisogna raccogliere nuovi dati come segue: 12 - 20%, si aggiungano 100 poli e si costruiscano le curve di isodensità per tutti i 200; 8 - 12%, si aggiungano 200 poli e si costruiscano le curve di isodensità per tutti i 300; 4 - 8%, si aggiungano da 500 a 900 poli e si costruiscano le curve di isodensità per tutti i 600–1000; meno del 4%, si costruiscano le curve di isodensità per almeno 1000 poli. 5. Se la fase 1 porta a identificare vari addensamenti , di solito è meglio mettere in grafico almeno altri 100 poli e costruire le curve di isodensità per tutti i 200 prima di tentare di determinare la dimensione ideale del campione. 6. Se la fase 5 porta a contorni dell’1% con meno di 15◦ di divergenza e senza alcuna concentrazione superiore al 5%, per esempio, è possibile che il diagramma rappresenti una struttura a pieghe con i poli che cadono entro una distribuzione a cintura [45]. 7. Se la fase 5 produce un diagramma con contorni netti dell’1% con circa 20◦ di divergenza e varie concentrazioni del 3–6%, bisogna aggiungere 200 poli supplementari e costruire le curve di isodensità per tutti i 400. 8. Se la fase 7 porta alla diminuzione dei maggiori addensamenti di poli ed al loro spostamento, le concentrazioni apparenti del grafico di partenza erano dovute verosimilmente al modo in cui i dati erano stati raccolti: perciò è consigliabile raccogliere nuovi dati e fare una nuova analisi. 9. Se la fase 7 dà addensamenti nelle stesse posizioni di quelli della fase 5, aggiungere altri 200 poli e contornare tutti i 600 per garantire che gli addensamenti sono reali e che non dipendono dalla campionatura.
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10. Se la fase 5 produce vari addensamenti compresi fra il 5 ed il 6%, ma contorni dell’1% molto irregolari, bisogna aggiungere almeno altri 400 poli. 11. Se la fase 5 porta a vari addensamenti di meno del 3%, molto dispersi, e se il contorno dell’1% è molto irregolare, saranno necessari almeno 1000 e possibilmente 2000 poli e deve essere trascurata ogni concentrazione inferiore al 2%. Il lavoro di Stauffer costituisce uno studio molto dettagliato sul significato statistico degli addensamenti di poli, ma non è stato scritto con l’intento di una applicazione specifica. Di conseguenza è bene intendere le direttive sopra riportate come orientamento e non come regole fisse. In questo senso ci piace riprenderne la seguente avvertenza: ‘Un occhio esercitato può identificare insiemi di punti, raggruppamenti di celle e simmetrie d’assieme anche da pochi campioni d’orientazione debolmente preferenziale. Tuttavia è probabilmente vero che i geologi sono più propensi a riconoscere una orientazione in un diagramma piuttosto che a disconoscerla perché priva di significato. Ciò è comprensibile: infatti molti geologi esaminano un diagramma con l’intento di trovare qualcosa di significativo e sono restii ad ammettere che le loro misure siano poco indicative. Il risultato è una tendenza generale a fare interpretazioni più dettagliate di quanto la natura dei dati realmente garantisca’. Gli Autori giudicano necessario aggiungere la propria personale avvertenza sottolineando che uno stereogramma con curve di isodensità dei poli è un aiuto necessario ma non sufficiente nelle indagini sulla stabilità delle scarpate. Esso deve sempre essere abbinato a perspicaci rilievi di campagna, onde la decisione finale sul metodo d’analisi da impiegare per una particolare scarpata finisca per basarsi sulla valutazione equilibrata di tutti i dati di fatto disponibili. Valutazione dei potenziali problemi delle scarpate Differenti tipi di dissesto di scarpata sono associati a differenti strutture geologiche: perciò è importante che il progettista di scarpate sia in grado di riconoscere i potenziali problemi di stabilità durante la fase iniziale della progettazione. Nelle pagine che seguono tratteremo alcuni degli schemi strutturali che possono essere osservati quando si esaminano stereogrammi di poli. La Fig. 19 mostra i quattro principali tipi di dissesto considerati in questo libro ed illustra l’aspetto dei grafici di poli tipici di condizioni geologiche che comportano il rischio di tali cedimenti. Si osservi che nel valutare la stabilità anche il fronte di scavo della scarpata deve essere incluso nella rappresentazione stereografica, poiché lo slittamento può verificarsi solo come risultato del movimento verso la superficie libera profilata dallo scavo.
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Gli stereogrammi di Fig. 19 sono stati semplificati perché risultino più chiari. In una scarpata rocciosa reale possono essere presenti combinazioni di vari tipi di strutture geologiche e ciò può dar luogo ad ulteriori tipi di scoscendimento. Per esempio la presenza di discontinuità che possono condurre al ribaltamento, e parimenti di piani sui quali possono aver luogo scivolamenti a cuneo, potrebbe provocare il distacco d’un cuneo separato dall’ammasso roccioso tramite una fessura di trazione. In una ricerca sul campo tipica, per la quale i dati strutturali sono stati riportati su reticoli di proiezione, può essere presente un certo numero di addensamenti di poli. È vantaggioso essere in grado d’identificare quelli che rappresentano piani di rottura potenziale e di eliminare quelli che rappresentano strutture senza alcuna influenza sui dissesti di scarpata. John [52], Panet [53] e McMahon [32] hanno messo a punto vari metodi per identificare gli addensamenti importanti di poli, ma gli Autori preferiscono un criterio elaborato da Markland [54]. Il metodo di Markland è concepito per verificare la possibilità d’uno scivolamento a cuneo nel quale il distacco si localizzi lungo la linea d’intersezione di due discontinuità planari, come illustrato in Fig. 19. Anche uno scivolamento a blocco, Fig. 19b, può essere verificato con questo criterio poiché è un caso particolare di scivolamento a cuneo. Se il contatto è mantenuto su entrambi i piani, il dissesto può avvenire solo lungo la linea d’intersezione, quindi questa deve affiorare sul fronte di scarpata. In altre parole, la pendenza della linea d’intersezione deve essere minore dell’inclinazione del fronte di scarpata, misurata lungo la direzione della linea d’intersezione, come mostrato in Fig. 20a. Come sarà spiegato nel capitolo che tratta degli scivolamenti a cuneo, il fattore di sicurezza della scarpata è funzione della pendenza della linea d’intersezione, della resistenza al taglio delle superficie di discontinuità e della conformazione geometrica del cuneo. Il caso-limite si verifica quando il cuneo degenera in un blocco, cioè quando le inclinazioni e le direzioni d’immersione dei due piani sono le stesse e quando la resistenza al taglio è dovuta solo all’attrito. Come già spiegato, in tali condizioni lo scivolamento avviene quando l’inclinazione del piano è maggiore dell’angolo di attrito φ: quindi una prima approssimazione del grado di stabilità del cuneo si raggiunge verificando se la pendenza della linea d’intersezione è maggiore dell’angolo d’attrito della superficie rocciosa. La Fig. 20b mostra che la scarpata è potenzialmente instabile quando il punto che corrisponde alla linea d’intersezione dei due piani cade entro l’area compresa fra il cerchio meridiano simboleggiante il fronte di scarpata ed il cerchio che rappresenta l’angolo di attrito φ.
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Figura 19: principali tipi di dissesti di pendio e proiezioni stereografiche delle condizioni strutturali tipiche all’origine di tali cedimenti. a. Scorrimento rotazionale in terreno di riporto, sterili o roccia fittamente fratturata, priva di lineamenti strutturali identificabili. - Cerchio meridiano che rappresenta il fronte di scarpata. - Ciglio della scarpata. b. Scivolamento a blocco in roccia con struttura molto ordinata, come un’ardesia. - id. - id. - Direzione di scivolamento. - Cerchio meridiano che rappresenta il piano corrispondente al centro dell’addensamento di poli. c. Scivolamento a cuneo su due discontinuità che s’intersecano. - id. - id. - id. - Cerchi massimi che rappresentano i piani corrispondenti ai centri degli addensamenti di poli. d. Cedimento per ribaltamento in roccia dura, che può formare una struttura colonnare frazionata da discontinuità subverticali. - id. - id. - Cerchio meridiano che rappresenta il piano corrispondente al centro dell’addensamento di poli.
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Figura 20a: lo slittamento lungo la retta d’intersezione dei piani A e B è possibile quando la pendenza di questa è minore di quella del fronte di scarpata, misurata nella direzione dello scivolamento, cioè: ψf > ψi . - Direzione di scivolamento, - Direzione d’immersione del fronte di scarpata, - Fronte di scarpata.
Figura 20b: si ipotizza che lo scivolamento avvenga quando l’inclinazione della retta d’intersezione supera l’angolo di attrito, cioè: ψf > ψi > φ. - La scarpata è potenzialmente instabile quando l’intersezione dei cerchi massimi che rappresentano i piani cade nell’area punteggiata.
Figura 20c: rappresentazione dei piani mediante i loro poli e determinazione della retta d’intersezione dei piani mediante il polo del cerchio meridiano che passa per i loro poli. - Polo del cerchio meridiano che passa per i poli dei piani A e B e definisce la retta d’intersezione.
Figura 20d: valutazione preliminare della stabilità d’una scarpata di 50◦ in un ammasso di roccia con quattro famiglie di discontinuità strutturali. - Lo scivolamento a cuneo è possibile lungo le rette d’intersezione I12 e I23 .
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Il Lettore che ha dimestichezza con l’analisi dei cunei intuirà che tale area può essere ridotta ancora tenendo conto dell’effetto della ‘convergenza’ fra i due piani di discontinuità. Viceversa, la stabilità può diminuire se nella scarpata è presente acqua. L’esperienza insegna che questi due fattori tenderanno ad annullarsi a vicenda nei problemi tipici di cunei e che la sommaria ipotesi formulata per costruire la Fig. 20b è sufficiente per la maggior parte dei problemi pratici. Occorre ricordare che questo criterio di verifica è concepito per riconoscere le discontinuità critiche e che, dopo averle individuate, è necessaria di norma un’analisi più approfondita per determinare il fattore di sicurezza della scarpata. Un affinamento del criterio di Markland è stato elaborato da Hocking [55] ed è invalso nella pratica per consentire all’interessato di distinguere fra lo scivolamento del cuneo lungo la linea d’intersezione e quello lungo uno dei piani che formano la base del cuneo. Se sono soddisfatte le condizioni poste da Markland, cioè se la linea d’intersezione dei due piani cade entro lo spicchio punteggiato che compare nello schizzo a fianco, e se la direzione d’immersione d’entrambi i piani cade tra la direzione d’immersione del fronte di scarpata ed il verso della linea d’intersezione, allora lo scivolamento avverrà lungo il piano piuttosto che lungo la linea d’intersezione. Questa verifica aggiuntiva è illustrata negli schizzi a margine. Scivolamento a cuneo lungo αI .
Le Fig. 20a e 20b mostrano i piani di discontinuità come cerchi massimi, ma - come è stato spiegato nelle pagine precedenti - i dati di campagna di tali strutture vengono disegnati di solito in forma di poli. In Fig. 20c i due piani di discontinuità sono rappresentati dai rispettivi poli e viene seguito il metodo descritto a pagina 47 allo scopo di trovare la linea d’intersezione di quei piani. La carta da lucido sulla quale sono stati segnati i poli viene ruotata fino a che entrambi cadono sul medesimo cerchio meridiano. Il polo di quest’ultimo definisce la linea d’intersezione dei due piani. Come esempio d’applicazione del criterio di Markland si consideri il reticolo stereografico dei poli dato in Fig. 20d. Si chiede di esaminare la stabilità del fronte d’una scarpata avente inclinazione di 50◦ e direzione d’immersione di 120◦ ; si assume per questa analisi un angolo d’attrito di 30◦ . Preparato un altro foglio trasparente da sovrapporre, vi si riportino i seguenti elementi. a. Il cerchio meridiano che rappresenta la superficie della scarpata. b. Il polo che rappresenta la superficie della scarpata. c. Il cerchio d’attrito.
Scivolamento sul solo piano 1.
Questo foglio trasparente venga sovrapposto al reticolo stereografico con le curve di isodensità dei poli ed entrambi siano ruotati insieme sopra il reticolo stereografico per trovare i cerchi massimi che passano per gli addensamenti dei poli. Le linee d’intersezione sono definite dai poli di questi cerchi massimi, come mostrato in Fig. 20d. In questa figura si vedrà che la maggior parte delle combinazioni pericolose di discontinuità sono rappresentate dagli
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addensamenti di poli contrassegnati dai numeri 1, 2 e 3. L’intersezione I13 cade fuori dell’area critica ed è improbabile che dia luogo ad instabilità. L’addensamento di poli con il numero 4 non sarà coinvolto in scivolamenti, ma come mostrato in Fig. 19d, potrebbe dar luogo a ribaltamenti od all’apertura di fratture di trazione. I poli dei piani 1 e 2 giacciono fuori dell’angolo compreso fra la direzione d’immersione del fronte di scarpata e la linea d’intersezione I12 , quindi il distacco di questo cuneo avverrà per scivolamento lungo la linea d’intersezione I12 . Tuttavia, nel caso dei piani 2 e 3, il polo che rappresenta il piano 2 cade entro l’angolo fra la direzione d’immersione del fronte di scarpata e la linea d’intersezione I23 , quindi il cedimento avverrà per scivolamento sul piano 2. Questa sarà la condizione d’instabilità più critica e determinerà il comportamento della scarpata. Metodo raccomandato di presentazione e d’analisi dei dati per la progettazione di cantieri estrattivi a cielo aperto Foglio trasparente con stereogramma per verificare l’eventualità di scivolamenti a cuneo.
Durante gli studi preliminari di fattibilità per una nuova miniera a cielo aperto è necessario stimare gli angoli di sicurezza delle scarpate per calcolare il rapporto tra le quantità di minerale estratto e di roccia sterile e per dimensionare lo sbancamento preliminare. Le sole conoscenze strutturali a disposizione in questa fase sono tutto ciò che risulta dall’esame delle carote dei sondaggi eseguiti per valutare l’entità delle riserve di minerale estraibile, nonchè dal rilievo geologico di tutti gli affioramenti naturali esistenti in zona. Queste informazioni, per scarse che siano, assicureranno una base per la valutazione preliminare dei potenziali problemi di stabilità delle scarpate: per la loro elaborazione gli Autori suggeriscono il modo illustrato dalla Fig. 21. La Fig. 21 mostra una planimetria a curve di livello di una ipotetica miniera a cielo aperto, cui sono sovrapposti gli stereogrammi con le curve di isodensità dei poli tratti dai dati strutturali acquisiti. Sono state identificate due regioni strutturali distinte, chiamate A e B, ed è stato tracciato il confine che le separa. Per semplicità non sono state indicate le faglie principali, ma è fondamentale che in disegni a grande scala di questo tipo compaiano tutti i dati sulle faglie, affinché sia possibile valutare i potenziali problemi di stabilità che queste comportano. Un foglio trasparente da sovrapporre, preparato come descritto nelle pagine precedenti, venga allineato con la direzione d’immersione d’ogni settore della scarpata, secondo le indicazioni del disegno. Per allestirlo si è supposto che l’angolo di scarpa sia dappertutto di 45◦ e che l’angolo di attrito medio delle superficie di discontinuità dell’ammasso roccioso sia di 30◦ . La valutazione di stabilità data in Fig. 21 mostra che le zone occidentale e meridionale dello sbancamento sono probabilmente stabili con la scarpata ipotizzata di 45◦ . Ciò suggerisce che, se la roccia è dura e priva di faglie importanti, queste scarpate possono con ogni probabilità essere profilate più ripide o che, in alterna-
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tiva, questa zona dello sbancamento può essere attraversata con una pista di trasporto su un gradone interposto fra due pendii ripidi. Viceversa, la zona nord-orientale dello sbancamento prospetta numerosi problemi potenziali di stabilità. La parte settentrionale è probabilmente soggetta a scivolamenti a blocco sulla superficie di discontinuità A1 . Si noti che il polo A1 è quasi coincidente con il polo del fronte di scarpata, ciò che preannuncia un potenziale scivolamento a blocco. Sui piani A1 ed A3 sono possibili scivolamenti a cuneo nell’ambito dell’angolo nord-orientale dello sbancamento, mentre sulle scarpate orientali possono verificarsi distacchi per ribaltamento dovuti ai piani A2 . Indizi d’instabilità potenziale come quelli contemplati nella Fig. 21 consigliano di prendere in seria considerazione la riduzione dell’angolo di scarpa nella parte nord-orientale della ipotetica miniera. E’ interessante notare che possono verificarsi dissesti strutturali di tre tipi nello stesso settore strutturale, a seconda dell’orientazione del fronte di scarpata. Ne scaturisce la raccomandazione di ricorrere, ove possibile, alla riprofilatura delle scarpate per eliminare o ridurre al minimo il rischio di dissesto.
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Figura 21: presentazione dei dati di geologia strutturale e valutazione preliminare della stabilità in una ipotetica miniera a cielo aperto. - Potenziali scivolamenti a blocco, - Potenziali scivolamenti a cuneo, - Fondo dell’ipotetico scavo minerario, - Potenziale ribaltamento, - Regione strutturale A, - Regione strutturale B.
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Capitolo 3
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