Filosofia della mente
 8815036849, 9788815036841 [PDF]

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Zitiervorschau

WILLIAM BECHTEL

FILOSOFIA DELLA MENTE

I lettori che desiderano informarsi sui libri e sull'insieme delle attività della Società editrice il Mulino possono consultare il sito Internet: http://www.mulino.it

ISBN

88-15-07055-9

Edizione originale: Philosophy o/ Mind. An Overview /or Cognitive Science, Hillsdale, New Jersey, Lawrence Erlbaum Associates Inc., Publishers. Copyright © 1988 by Lawrence Erlbaum Associates Inc. Copyright © 1992 by Società editrice il Mulino, Bologna. Traduzione di Marco Salucci.

È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata.

PRESENT AZIONE

Pubblicando questo volume il Mulino si propone di offrire ai lettori italiani una presentazione sintetica ma rigorosa della filosofia della mente, un settore di ricerca della filosofia contemporanea fiorente in area anglosassone, ancora non completamente affermato in Italia. La filosofia della mente, il cui oggetto di indagine specifico sono appunto i tratti caratteristici della mente e il suo funzionamento, consente di guardare in una prospettiva unificante gli esiti raggiunti nel nostro secolo nei diversi campi della logica, della filosofia del linguaggio e della psicologia; essa mette inoltre a frutto l'apporto nuovo che alla filosofia intesa in senso tradizionale ha recato la recente «computer science». Filosofia della mente di Bechtel, che ha un carattere dichiaratamente introduttivo, si inserisce in un programma articolato che - dopo La mente modulare. Saggio di psicologia delle facoltà ( 1988) e Psicosemantica. Il problema del significato nella filosofia della mente (1990) di }.A. Fodor ha visto l'uscita nelle edizioni del Mulino di altri lavori fondamentali, al centro dell'attenzione in questo volume: una raccolta di saggi di P. Grice, Logica e conversazione (1993); D. Davidson, Azioni ed eventi (1992) e Verità e interpretazione (1994 ); D.C. Dennett, Contenuto e coscienza (1992) e L'atteggiamento intenzionale (1993); una raccolta di saggi di P.M. Churchland, La natura della mente e la struttura della scienza (1992); S.P. Stich, Dalla psicologia del senso comune alla scienza cognitiva (1994). Di Stich è in corso di pubblicazione anche The Fragmentation of Reason. Preface to a Pragmatic Theory of Cognitive Evaluation (1990). Le tematiche complessive della filosofia della mente sono inoltre riprese e approfondite in volumi di R. Cummins, Significato e rappresentazione mentale ( 1993 ); W. Lyons, La

scomparsa del!' introspezione (1993), e J.L. Garfield, Ontologia della mente (1994). La densa postfazione di Antonio Santucci riprende i nodi teorici salienti della filosofia della mente (per es. il dualismo mente/corpo) e passa in rassegna le posizioni critiche, variamente connotate, di adesione o di dissenso, che essi hanno suscitato nel dibattito filosofico contemporaneo. Ma questo filone di studi non può essere confinato nell'ambito ristretto di una «attualità» filosofica: le sue radici sono antiche, risalgono - come è ben messo in luce nella stessa postfazione - alla filosofia antica (a Platone, Aristotele), si ritrovano lungo la tradizione scolastica (Occam) e nei classici della filosofia moderna come Descartes, Locke, Leibniz, Kant.

2

INDICE

Prefazione

I.

Prospettive sulla filosofia della mente 1. Introduzione: che cos'è la filosofia della mente?

p.

5 9 9

2. Principali aspetti delle dottrine filosofiche storicamente più rilevanti per la filosofia della mente

3. Conclusione: pronti al confronto con i problemi

II.

Le analisi filosofiche del linguaggio 1. Introduzione 2. L'analisi referenziale del significato: Meinong, Frege, Russell e il primo Wittgenstein 3. La critica dell'ultimo Wittgenstein alla teoria referenziale 4. La teoria degli atti linguistici: Austin, Searle e Grice 5. Le analisi olistiche del significato: Quine e Davidson 6. Il discorso modale, la semantica dei mondi possibili e le teorie causali del riferimento: Kripke e Putnam 7. Sommario

III. Il problema dell'intenzionalità 1. Introduzione 2. Il resoconto di Brentano dell'inesistenza intenzionale 3. Il criterio linguistico di Chisholm per l'intenzionalità 4. Gli atteggiamenti proposizionali come rappresentazioni di stati intenzionali 5. Il tentativo di negare la realtà dell'intenzionalità 6. Conclusioni preliminari sull'intenzionalità

15 31 35 35 36 43 47

50 56 62 69 69 70 73 77

80 84

IV.

Le strategie filosofiche per spiegare l'intenzionalità p. 91 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.

V.

VI.

Introduzione La teoria computazionale della mente Rappresentazioni senza computazioni L'approccio dell'informatica teorica L'approccio del riduzionismo biologico L'approccio dell'atteggiamento intenzionale Sommario

91 91 97 104 108 112 121

Il problema mente-corpo: il dualismo e il comportamentismo filosofico

133

1. 2. 3. 4.

133 133 146 152

Introduzione Il dualismo Il comportamentismo filosofico Sommario intermedio

Il problema mente-corpo: le versioni del materialismo

157

1. 2. 3. 4. 5.

157 157 168 174 180

Introduzione La teoria dell'identità dei tipi mente-cervello Il materialismo eliminazionista Le teorie dell'identità delle occorrenze Sommario

VII. Il funzionalismo 1. 2. 3. 4. 5.

Introduzione Le varietà del funzionalismo filosofico Le obiezioni al funzionalismo Una versione teleologica del funzionalismo Sommario

187 187 188 201 217 223

Conclusione

235

Bibliografia

239

Postfazione, di Antonio Santucci

265

Indice analitico

283

Indice dei nomi

287

PREFAZIONE

Lo scopo di questo libro è quello di fornire un ampio compendio dei temi più importanti della filosofia della mente e un'introduzione alla letteratura specializzata. I filosofi hanno assunto posizioni differenti in relazione agli argomenti che discuterò, io ho cercato di esporre quanto più semplicemente possibile quelle principali. Ho anche cercato di citare un'ampia gamma di pubblicazioni che il lettore è incoraggiato a consultare al fine di giungere ad una comprensione più profonda delle diverse posizioni sostenute dai filosofi. Comincerò con un capitolo in cui discuterò della metodologia della ricerca filosofica e in cui presenterò un compendio del pensiero delle figure più rilevanti della storia della filosofia, che hanno influenzato tanto la filosofia della mente quanto la scienza cognitiva (ovvero lo studio interdisciplinare dei sistemi intelligenti - naturali e artificiali - che si avvale di contributi di discipline come la linguistica, la psicologia, l'artificial intelligence). Nel capitolo 2 esporrò diverse teorie del linguaggio che sono state elabora.te dai filosofi analitici nel corso di questo secolo. La mente e il linguaggio sono ovviamente fenomeni strettamente correlati e le prospettive sorte nell'ambito dell'analisi del linguaggio hanno influenzato le teorie filosofiche della mente. Pertanto, farò ripetutamente riferimento al materiale esposto nel capitolo 2 anche nei capitoli successivi. Le analisi filosofiche del linguaggio hanno anche avuto una considerevole influenza sull'opera di altre discipline della scienza cognitiva, inclusa la linguistica e la psicologia cognitiva. Molti filosofi hanno considerato l'intenzionalità come la caratteristica distintiva dei fenomeni mentali. I capitoli 3 e 4 sono dedicati all'esposizione delle differenti spiegazioni filosofiche di che cosa sia l'intenzionalità e del modo in cui si

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ritiene che essa distingua la mente da altri fenomeni naturali. Alcuni filosofi hanno ritenuto che l'intenzionalità differenzi così tanto la mente dagli altri oggetti naturali da rendere impossibile lo sviluppo di una scienza della mente. Questa tesi è discussa nel capitolo 3. D'altra parte, nel capitolo 4, si prenderanno in esame alcuni tentativi effettuati per mostrare come l'intenzionalità possa sorgere nel mondo naturale e come possa essere spiegata scientificamente. Alcuni tentativi del genere hanno avuto un'origine diretta dalle recenti ricerche effettuate dalla scienza cognitiva, e, a loro volta, configurano dei programmi di lavoro per la scienza cognitiva stessa. L'argomento forse più discusso in filosofia della mente durante gli ultimi tre secoli è stato il problema mente-corpo. Si tratta di un problema che abbiamo ereditato da Descartes e dalle numerose risposte che ad esso sono state, successivamente, fornite. Nei capitoli 5 e 6 esaminerò alcune di queste risposte e alcune delle loro implicazioni per la scienza cognitiva. Il capitolo 5 comincia con un esame delle differenti forme di dualismo, per trattare poi soprattutto del dualismo delle sostanze. Questa dottrina considera la mente come un genere di cosa totalmente diversa dal corpo e, quindi, sembra escludere la possibilità che possano essere sviluppate spiegazioni dell'attività mentale utilizzando gli strumenti della scienza naturale. Nello stesso capitolo, affronterò anche il comportamentismo filosofico, che è stato uno dei primi tentativi sistematici di respingere il dualismo. Benché il comportamentismo filosofico e quello psicologico abbiano intenti diversi, entrambi si oppongono all'impiego di modelli che facciano appello a processi interni, per spiegare il comportamento, e sono dunque entrambi in contrasto con le tesi sostenute dalla scienza cognitiva. Il capitolo 6 esamina alcune versioni del materialismo, secondo il quale gli stati mentali sono stati del cervello. La teoria dell'identità dei tipi è stata elaborata traendo ispirazione dall'opera delle neuroscienze secondo la quale sembrerebbe esserci una correlazione fra tipi di stati mentali e tipi di stati neurali. Il materialismo dei tipi sostiene che avere un certo tipo di stato mentale è esattamente essere in un particolare tipo di stato neurale. La teoria dell'identità dei tipi è, pertanto, compatibile con quei modelli teorici che

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assumono lesistenza di processi cognitivi interni, ma vincola in modo molto stretto questi modelli a quelli elaborati dalle neuroscienze. Dunque, la teoria dell'identità dei tipi non riconosce un'autonomia alle indagini effettuate dalla scienza cognitiva. Il materialismo eliminazionista è ancora meno tenero con la scienza cognitiva, perché sostiene che le teorie mentalistiche dovrebbero essere rimpiazzate dalle teorie elaborate dalle neuroscienze. Una terza forma di materialismo, che sostiene la teoria delle identità delle occorrenze, costituisce il tentativo di soluzione al problema mentecorpo più congeniale alla scienza cognitiva. Questa forma di materialismo sostiene che ogni singolo stato mentale è anche uno stato cerebrale, ma non afferma che la tassonomia degli stati mentali corrisponda a quella degli stati neurali. Così, esso ammette una sufficiente indipendenza delle descrizioni del comportamento proposte dalla scienza cognitiva rispetto a quelle fornite dalle neuroscienze. Il cognitivismo ha sollevato una questione specifica che è stata loggetto di gran parte delle recenti ricerche della filosofia della mente. Nell'elaborare i modelli dei processi interni, i cognitivisti cercano di caratterizzare gli eventi mentali in termini della loro efficacia causale. Una teoria filosofica chiamata funzionalismo cerca di caratterizzare in questo modo l'identificazione e la classificazione degli eventi mentali. Questa teoria costituisce il tema dell'ultimo capitolo. Presenterò diverse versioni del funzionalismo che sono state elaborate in filosofia della mente e discuterò anche alcune obiezioni che sono state sollevate contro il funzionalismo. Concluderò proponendo una forma alternativa di funzionalismo che è stata elaborata nella filosofia della biologia e mostrerò in che modo essa costituisce una via molto promettente per caratterizzare gli eventi mentali. Per coloro che non hanno già una dimestichezza con la filosofia, è opportuno qualche commento su come affrontare il materiale filosofico. Benché si dichiari di solito che le tesi filosofiche non richiedano prove empiriche, quest'opinione è oggi molto meno diffusa che in passato. Molte tesi discusse nella filosofia della mente sono sorte come analisi di ricerche empiriche effettuate dalla psicologia e da altre scienze cognitive. Resta il fatto, tuttavia, che le affermazioni filosofiche tendono ad essere facilmente separate dalle pro7

ve empiriche ..Pertanto, in filosofia, c'è molto più spazio per argomenti relativi ai vantaggi di particolari affermazioni di quanto non ci sia in discipline nelle quali le prove empiriche sono più prontamente disponibili. Nel considerare le teorie discusse in questo libro, il lettore dovrebbe ricordare il carattere polemico e argomentativo dell'indagine filosofica. Invece che accogliere o respingere semplicemente un punto di vista, il lettore dovrebbe prendere in considerazione i tipi di possibili argomenti che possono essere addotti pro o contro quel punto di vista. Il lettore, perciò, partecipi all'argomentazione stessa, e non resti un osservatore passivo. Benché i contributi forniti dai filosofi per affrontare le questioni che sono oggetto di questo libro costituiscano una risorsa per chiunque se ne occupi, esse non sono una prerogativa esclusiva dei filosofi e gli scienziati stessi sono invitati a partecipare al dibattito ed a raggiungere conclusioni proprie. Nell'elaborare questo libro ho ricevuto sostegno e aiuto da molte istituzioni e persone. In primo luogo ringrazio Larry Erlbaum per avermi invitato a scriverlo. Ho imparato molto da questa impresa, benché non si sia dimostrata così facile come sembrava quando egli mi invitò a intraprenderla. Devo un ringraziamento particolare anche a Andrew Ortony per i suoi validi commenti. Jim Frame è stato mio assistente ricercatore per la maggior parte della stesura del testo, e mi ha fornito un inestimabile aiuto, specialmente nell'organizzare e nel coordinare il materiale bibliografico. Adele Abrahamsen, Robert McCauley, Donald Norman, Robert Richardson e Douglas Winblad hanno letto varie stesure del testo e hanno suggerito commenti importanti dei quali sono loro molto grato. Ho utilizzato una versione preliminare del testo nel mio corso di filosofia della psicologia presso l'Università statale della Georgia nell'autunno del 1985, sono grato agli studenti di quel corso per la registrazione che mi è stata molto utile. Infine, esprimo la mia riconoscenza all'Università statale della Georgia per una sovvenzione per la ricerca che ha costituito un sostegno essenziale per l'elaborazione del testo.

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CAPITOLO PRIMO

PROSPETTIVE SULLA FILOSOFIA DELLA MENTE

1. Introduzione: che cos'è la filosofia della mente?

Scopo di questo libro è quello di presentare i temi fondamentali della filosofia della mente a coloro che si occupano di altre discipline della scienza cognitiva, come la psicologia cognitiva, l'intelligenza artificiale, la neuroscienza cognitiva, la linguistica teorica e lantropologia cognitiva. La filosofia si è interessata delle caratteristiche della mente molto tempo prima che nascessero queste discipline empiriche. I filosofi si sono posti domande come: quali sono i tratti distintivi della mente? Come dovrebbero essere caratterizzati gli stati mentali? Che rapporto c'è fra il corpo e la mente? Com'è che la mente è capace di conoscere il mondo fisico? Nei capitoli seguenti di questo libro verranno esaminate le varie risposte che i filosofi hanno dato a queste e ad altre domande. Prima, però, di cominciare a considerare le teorie particolari avanzate dai filosofi è utile situare le indagini filosofiche su questi argomenti in una prospettiva generale. Ci sono due domande che gli scienziati cognitivi che non hanno familiarità con la filosofia probabilmente porranno a proposito della filosofia della mente: a) qual è il metodo utilizzato dai filosofi per analizzare i fenomeni mentali? b) in che misura le ricerche dei filosofi si collegano alle indagini effettuate dalle altre discipline della scienza cognitiva? Nella prima parte del presente capitolo mi occuperò di questi due problemi e, successivamente, passerò a delineare un panorama delle maggiori tradizioni della storia della filosofia che costituiscono sia lorigine di molte idee oggi influenti nella scienza cognitiva, sia lo sfondo del pensiero filosofico contemporaneo. Per quanto riguarda la questione del metodo, la filosofia si distingue dalle altre discipline della scienza cognitiva per ·9

il fatto di non avere una sua peculiare base empirica 1 • I filosofi distinguono sovente fra conoscenza a priori, che può essere ottenuta senza il ricorso all'indagine empirica, e conoscenza a posteriori, che invece si fonda sui risultati della ricerca empirica. Molti filosofi hanno pensato che importanti verità circa la mente potessero essere determinate a priori. Essi sostengono che tali verità possono essere stabilite semplicemente tramite il ragionamento su ciò che la mente deve essere, oppure per mezzo dell'analisi della struttura del linguaggio con il quale noi parliamo dei fenomeni mentali. Altri filosofi, benché ritengano che l'ultima parola sulla validità delle loro teorie spetti all'indagine empirica, hanno cercato di stabilire delle verità sulla mente traendo le logiche conseguenze dai risultati conseguiti dagli scienziati attraverso la ricerca empirica. In filosofia, il dibattito sulla natura della mente si svolge generalmente in due ambiti: in quello della teoria della conoscenza e in quello della metafisica. La teoria della conoscenza, che cerca di definire che cos'è la conoscenza e di determinare come la otteniamo, si occupa di quei processi per mezzo dei quali la mente è in grado di conoscere. La metafisica è stata tradizionalmente definita come lo studio dei principi fondamentali del mondo e delle sue origini. L'ontologia, una branca della metafisica, si è preoccupata di identificare e di caratterizzare i tipi di cose che esistono nel mondo2 • È soprattutto in tale branca che vengono dibattuti i caratteri della mente. Alcuni studi contemporanei su questioni ontologiche sono strettamente legati ai risultati conseguiti nel corso delle ricerche scientifiche e costituiscono un tentativo di esaminare qual è il genere di oggetti di cui le scienze assumono l'esistenza. La filosofia si è occupata di temi come quello relativo ai criteri mediante i quali possiamo determinare se le entità teoriche presupposte dalle scienze (per esempio: i quark o gli stati mentali) esistano realmente o se siano semplicemente finzioni utili per fare scienza. Quine ha proposto di utilizzare un criterio (col quale non tutti concordano) secondo cui ciò che dobbiamo assumere come esistente sono le entità poste dalle teorie scientifiche3• La prospettiva di Quine vincola strettamente l'indagine concernente i problemi della metafisica ai risultati della scienza empirica, ma rimane il problema di quando è che 10

dobbiamo considerare una teoria scientifica come una descrizione esatta della natura. Quine pensa che le teorie che intendano utilizzare il concetto di stato mentale siano teorie scientificamente inaccettabili (cfr. capitolo 3). La maggior parte dei filosofi contemporanei sosterrebbe che la ricerca empirica è importante sia per la teoria della conoscenza sia per la discussione circa gli aspetti ontologici della mente, ma continuerebbe anche a sostenere che i problemi filosofici sono distinti da quelli empirici dei quali si occupano altre discipline della scienza cognitiva. In genere, tale distinzione è considerata una conseguenza del fatto che la filosofia si occupa di questioni concettuali fondamentali. Questioni di tale tipo riguardano la capacità di un particolare quadro teorico di comprendere certe determinazioni caratteristiche degli stati mentali come l'intenzionalità (capitoli 3 e 4) o il loro aspetto affettivo o qualitativo (capitolo 7). Si tratta di problemi per i quali non possiamo semplicemente escogitare esperimenti empirici. Pertanto, i tentativi di risolverli implicano spesso ragionamenti complessi che ci conducono alquanto lontano dai risultati conseguibili con l'esperienza. Il fatto che le opinioni dei filosofi si collochino così lontano dalla ricerca empirica costituisce un problema per chiunque passi dall'indagine sperimentale a quella filosofica. Per valutare un'affermazione filosofica dobbiamo seguire i passaggi spesso complicati di un ragionamento che viene addotto a sostegno di quell'affermazione. Ciò, tuttavia, non deve scoraggiare i profani dall'entrare nell'arena del dibattito filosofico. La loro partecipazione è, infatti, la benvenuta; uno dei benefici che i filosofi possono ottenere dal partecipare a gruppi di ricerca interdisciplinare della scienza cognitiva consiste nell'apprendere le nuove prospettive sulla mente che sono offerte da altri scienziati cognitivi. Tutto ciò che è richiesto affinché coloro che non si occupano professionalmente di filosofia possano prender parte alle discussioni dei filosofi della mente è cominciare ad affrontare i problemi. Questo significa partecipare attivamente al dibattito suggerendo argomenti pro o contro le differenti posizioni. Non basta appellarsi all'autorevolezza di un filosofo e citare ciò che questi ha sostenuto come risposta a qualcuno dei problemi fondamentali che si pre11

sentano. Poiché le idee sostenute dai filosofi dipendono da lunghe catene di ragionamenti, esse sono frequentemente controverse. Filosofi diversi sostengono opinioni differenti su ciascuno degli argomenti sopra menzionati. Questo diverrà evidente non appena prenderemo in esame i vari temi nei capitoli seguenti. Piuttosto che accettare semplicemente una teoria, per quanto autorevole, è necessario esplorare le diverse questioni e valutare gli argomenti proposti a sostegno delle varie opinioni contrapposte. Solo in tal modo si può sperare di prendere una decisione razionale circa la posizione da accettare4 • Coloro che non si occupano di filosofia, dopo aver considerato la natura controversa delle affermazioni dei filosofi, decidono qualche volta che i problemi fondamentali non possono essere risolti. Essi si fanno l'idea che c'è semplicemente una quantità di punti di vista differenti e che non è molto importante quale venga accettato. Il fatto che i filosofi si siano occupati per 2500 anni di alcuni dei problemi che ci interessano, e che non abbiano ancora trovato un accordo sul modo di risolverli, sembrerebbe costituire un buon sostegno per tale posizione. Ma essa trascura che c'è spesso un'interazione così stretta fra le affermazioni dei filosofi e la ricerca empirica che anche coloro che sono impegnati nell'indagine empirica assumono frequentemente, consciamente o inconsciamente, un particolare punto di vista filosofico. Queste relazioni possono essere dimostrate storicamente per quanto riguarda la fisica e la biologia: nel nostro caso è sufficiente considerare qualcuno dei modi nei quali le dottrine dei filosofi hanno avuto, o stanno avendo, un vasto impatto sulla scienza cognitiva. L'approccio cognitivo ai fenomeni mentali, approccio che unifica il lavoro attuale degli scienziati cognitivi, non è l'unico possibile. Secondo altri due modi di considerare le attività mentali, queste possono essere caratterizzate in termini di disposizioni al comportamento o in termini di processi neurali. Il concentrare l'attenzione sul comportamento è caratteristico del comportamentismo, un punto di vista che ha dominato gran parte della psicologia sperimentale (e che ha influenzato anche la linguistica e lantropologia) per la maggior parte di questo secolo. Il comportamentismo è sostenuto da un certo numero di argomenti filosofici che 12

prenderò in esame nei capitoli 3 e 5. Benché l'approccio comportamentista, sia nella filosofia sia nella psicologia, abbia perduto oggi gran parte del suo fascino, quello neurologico continua ad attrarre gli studiosi. Attualmente si stanno effettuando seri tentativi per spiegare la vita mentale in termini di processi neuronali. Anche questo modo di spiegare l'attività mentale può contare sul sostegno di certe prospettive filosofiche, incluse la teoria dell'identità mentecervello e il materialismo eliminazionista (che saranno discusse nel capitolo 6). La prospettiva cognitivista è caratterizzata dal tentativo di identificare gli stati mentali in un modo funzionale, cioè nei termini delle interazioni causali fra uno stato mentale e gli altri. Ammettere la possibilità di identificare gli stati mentali attraverso le loro interazioni causali costituisce parte dei motivi per i quali il punto di vista cognitivista è in grado di superare le difficoltà del comportamentismo. Inoltre, il progetto di caratterizzare gli stati mentali indipendentemente dalla loro realizzazione materiale nel cervello, sancisce per i cognitivisti l'autonomia della psicologia rispetto alle neuroscienze. Durante i due trascorsi decenni i filosofi hanno tentato di elaborare una descrizione funzionalista degli stati mentali tale che potesse costituire un fondamento per il programma cognitivista. Come vedremo nei capitoli 4 e 7, tuttavia, sono state sollevate un certo numero di obiezioni riguardo alla coerenza di questa teoria filosofica - obiezioni che, a loro volta, possono avere implicazioni per lo stesso programma cognitivista. Il linguaggio compare in una posizione centrale nello studio dei processi cognitivi. Un gran numero di teorie filosofiche si sono occupate del linguaggio e della sua capacità di essere veicolo di significati. Alcune di queste teorie, inclusa quella della distinzione tra il senso di un'espressione e il suo riferimento (cfr. capitolo 2), sono state direttamente adottate dai diversi programmi di ricerca della psicologia e della linguistica. L'analisi logica formale del linguaggio, come il calcolo dei predicati5, è stata utilizzata dagli studiosi dell'intelligenza artificiale allo scopo di elaborare un modello del ragionamento umano. Altri aspetti dell'analisi filosofica del linguaggio, come quelli che pongono in dubbio l'idea che le parole abbiano significati oggettivi, compaiono in 13

alcune critiche alle ricerche dell'intelligenza artificiale e nell'elaborazione di teorie psicologiche e linguistiche recenti circa i processi di concettualizzazione e di categorizzazione. Mentre esporrò le diverse teorie filosofiche, metterò anche in luce i modi in cui esse sono rilevanti per le indagini delle altre discipline della scienza cognitiva. Tuttavia, come già si può rilevare dal breve schizzo fin qui tratteggiato, molti dei punti di vista sostenuti dai filosofi hanno avuto ed hanno ancora ramificazioni nella scienza cognitiva stessa. Una conseguenza del rapporto vigente fra le teorie filosofiche e le indagini empiriche di altri settori della scienza cognitiva è il fatto che i dati ottenuti nel corso delle ricerche empiriche assumono rilevanza per la valutazione della correttezza di certe teorie filosofiche. Ciò potrebbe suggerire, erroneamente, che il solo modo per mezzo del quale possiamo valutare queste teorie filosofiche consista nell'attendere i risultati di ricerche empiriche basate su di esse. Benché i giudizi che ci potremo formare sulla base di tali risultati saranno certamente rilevanti, lo studio della filosofia fornisce ulteriori strumenti che possono esserci d'aiuto nel tentativo di valutare oggi tali ricerche. Intanto esso contribuisce all'acquisizione dell'abitudine a elaborare e a valutare ragionamenti complessi e spesso astratti; inoltre ci consente di conoscere la lunga storia dei tentativi di cimentarsi con i problemi della mente. È all'interno di tale storia che spesso possiamo collocare la nascita delle idee contemporanee. Ma, ed è la cosa più importante, possiamo scoprire in essa una ricca fonte di ragionamenti che può suggerirci perché certe posizioni sono plausibili mentre altre non sono praticabili. Non solo molte delle idee che sono alla base delle ricerche dell'odierna scienza cognitiva discendono direttamente da quelle elaborate da filosofi delle epoche passate come Platone, Descartes, Hume e Kant, ma anche le stesse teorie filosofiche contemporanee della mente sono le eredi di tale tradizione. Per tali ragioni, il seguito di questo capitolo fornirà un breve compendio del pensiero dei personaggi più rilevanti della storia della filosofia, con particolare riguardo al modo in cui essi intendevano la mente e a quelle idee con le quali hanno dato un contributo anche al dibattito contemporaneo.

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2. Principali aspetti delle dottrine filosofiche storicamente più rilevanti per la filosofia della mente

In un'esposizione succinta non è possibile rendere piena giustizia a ciascuna delle principali figure della storia della filosofia che più hanno influenzato le teorie contemporanee della mente. Allo scopo di fornire un resoconto più maneggevole di tale materiale, mi concentrerò soprattutto su quelle tradizioni della storia della filosofia che hanno offerto una prospettiva generale sui principali problemi posti dalla comprensione della mente. Esporrò brevemente le dottrine fondamentali che sono state avanzate in qualcuna di tali tradizioni e dai suoi massimi esponenti. Il lettore dovrebbe, tuttavia, tener presente che l'interpretazione della maggior parte di queste dottrine è ancora oggetto di un intenso dibattito e che, per arrivare a un'interpretazione più precisa di ciascuna di esse, sarebbe necessario esaminare più attentamente queste discussioni.

I filosofi classici: Socrate, Platone e Aristotele

Tre filosofi, vissuti nella Grecia del V e IV secolo a.C., stabilirono i compiti per gran parte della riflessione successiva sia riguardo alla scienza sia riguardo alla filosofia occidentali, come anche per i tentativi contemporanei di comprendere la mente. Fu Socrate a porre le domande. Platone fu discepolo di Socrate e, a sua volta, maestro di Aristotele; ma Platone e Aristotele risposero in modo molto differente alle domande di Socrate. Socrate (ca. 470-399 a.C.) è considerato spesso il primo dei più grandi filosofi; si tratta di un filosofo piuttosto singolare in quanto non difese nessuna tesi specifica. Non lasciò neppure niente di scritto, così ciò che noi sappiamo di lui deriva in gran parte dal fatto che Platone lo presenti come il protagonista di molti suoi dialoghi. Piuttosto che difendere tesi particolari, Socrate elaborò un metodo di indagine al quale ci si riferisce solitamente come al metodo socratico. Tale metodo consiste nello sviluppare un dialogo che cominci con la richiesta di una definizione come, per esempio, quella della conoscenza o della bellezza. Una volta

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che uno degli interlocutori abbia proposto una definizione (per esempio, che la conoscenza è la credenza vera), l'altro lo incalza con ulteriori domande allo scopo di valutarne l'adeguatezza. Questo susseguirsi di domande genera spesso dei controesempi che mostrano come la definizione iniziale fosse inadeguata. (Per esempio, una credenza vera acquisita in modo casuale non sembrerebbe essere un caso di conoscenza). Una volta che una certa definizione sia stata trovata inadeguata, se ne cerca un'altra che non si esponga alle obiezioni sollevate da quella precedente; e il processo si ripete finché non si sia raggiunta una definizione adeguata. Per Socrate lo scopo di questa attività era quello di giungere a scoprire definizioni universalmente vere per i nostri concetti. Nella ricerca di siffatte definizioni Socrate si opponeva ai sofisti, molti dei quali sostenevano che è impossibile giungere a una definizione adeguata perché le parole hanno significati diversi in contesti differenti. Socrate concentrò i suoi sforzi nel tentativo di definire termini etici quali virtù o giustizia, ma il suo metodo può esser chiaramente applicato a qualsiasi altro concetto. Egli sosterrebbe che non possiamo acquisire conoscenza in nessun ambito in cui non siano state già elaborate definizioni adeguate per i concetti che devono essere utilizzati in quell'ambito. Il problema se esistano definizioni dei nostri concetti, tali che soddisfino le condizioni di adeguatezza richieste da Socrate, è chiaramente un problema cruciale per la scienza cognitiva. I primi scienziati cognitivi, specialmente gli stu- · diosi dell'intelligenza artificiale, tendevano ad assumere che esistessero definizioni del genere e che potessero essere codificate nei programmi. Inoltre, gran parte degli studi che i filosofi e i linguisti hanno condotto sul significato o sulla semantica si fondano sull'assunto che i concetti possano essere definiti. Ma recenti sviluppi tanto della psicologia e della linguistica, quanto della filosofia 6 , hanno messo in dubbio l'idea che la maggior parte dei nostri concetti si fondi sul genere di definizioni che Socrate cercava. A Socrate non sembrò mai di aver trovato delle definizioni adeguate7 , ma tale ricerca fu ripresa da Platone (ca. 428-347 a.C.) il quale riteneva di poter fornire un'ipotesi per rispondere ai quesiti posti da Socrate. Una delle obiezioni più frequenti sollevate da Socrate consisteva nell'osservare 16

che, nel tentativo di fornire definizioni, gli interlocutori partecipanti al dialogo avrebbero dovuto citare degli esempi. Ma egli trovava che gli esempi fossero inadeguati come definizioni, in quanto citare degli esempi non ci dice niente su quale sia l'ambito di oggetti al quale il concetto possa essere applicato. Per esempio, citare il caso di un'azione giusta non ci dice quali altre azioni siano giuste. Platone capì che il genere di definizioni generali che Socrate cercava non poteva essere ottenuto finché ci si limita a considerare il mondo fisico. Pertanto egli suggerì che esistesse un mondo astratto di idee o forme. Queste entità fornirebbero dei modelli perfetti per i nostri concetti, e noi potremmo giudicare le loro istanze mondane come imitazioni più o meno buone di quelle idee. Così, secondo Platone, per ottenere una definizione del tipo richiesto da Socrate, si deve necessariamente identificare l'idea, non l'istanza mondana. Il problema della condizione umana è che, tuttavia, tutte le nostre esperienze sono esperienze di istanze mondane che sono solo esemplari imperfetti dei concetti. Non vediamo mai una linea veramente retta, ma soltanto un'approssimazione imperfetta, disegnata sulla carta, a una linea retta. Per chiarire i nostri pensieri, sosteneva Platone, dobbiamo rivolgerci alla contemplazione delle idee stesse e non continuare a occuparci degli oggetti del mondo fisico. Al fine di spiegare come la conoscenza si fondi sulle idee, Platone sviluppa un'elaborata ipotesi secondo la quale una volta abbiamo avuto percezione diretta delle idee, ma, con la nascita, l'abbiamo dimenticata. È necessario ricordare tale esperienza affinché il nostro pensiero possa fondarsi sulle idee stesse. Gli oggetti fisici dell'esperienza, siccome sono imitazioni delle idee, possono facilitare il recupero di questi ricordi a condizione che si effettui un'appropriata ricerca di tipo socratico su questi oggetti, e che non ci si preoccupi delle deformazioni indotte dal fatto che si tratta

  • > 12 • In risposta all'obiezione secondo la quale la maggior parte delle persone attribuiscono alle esperienze mentali proprietà differenti da quelle che attribuiscono alle esperienze fisiche, Smart sostiene che si tratta semplicemente di una caratteristica del nostro uso attuale del linguaggio. In futuro, potremmo rivedere il nostro linguaggio per consentire agli stati cerebrali, per esempio, le predicazioni d'intenzionalità. Smart stesso, di fatto, sostiene una revisione del linguaggio. Per controbattere l'obiezione per la quale il discorso fenomenico sembra riferirsi a proprietà fenomeniche (per esempio, proprietà cromatiche) distinte dalle proprietà fisiche, Smart propone quella che egli chiama una terminologia 162

    «topico-neutrale». Così, egli propone di tradurre «vedo una post-immagine giallo-arancio» in «accade qualcosa che è simile a ciò che accade quando ho gli occhi aperti, sono sveglio, e c'è un'arancia ben illuminata davanti a me, cioè, quando vedo realmente un'arancia» 13 • La traduzione dei resoconti degli stati mentali in una forma topico-neutrale è importante, perché consente di evitare di assumere che tali resoconti siano relativi a proprietà peculiarmente mentali che potrebbero non essere identificate con proprietà fisiche. La proposta di Smart tiene presente anche l'obiezione della post-immagine. Il parlare di una post-immagine suggerisce che ci sia un oggetto che corrisponda all'immagine mentale, ma la traduzione topico-neutrale esclude ogni tentazione di dire che è presente un oggetto fenomenico quando vediamo una post-immagine. Piuttosto, essa ci conduce a dire che ciò che sta succedendo è semplicemente un evento simile a quello che avviene quando vediamo un oggetto reale esterno. Tuttavia, la proposta di Smart delle traduzioni topico-neutrali è stata oggetto di controversie 14 . Come notato sopra, molte delle obiezioni sollevate contro la teoria dell'identità hanno fatto appello alla legge di Leibniz. Implicitamente, Smart cerca di mostrare che le condizioni della legge di Leibniz possono essere realmente soddisfatte da appropriate manovre linguistiche. Altri difensori della teoria dell'identità hanno adottato una strategia differente, secondo la quale non è possibile applicare la legge di Leibniz a certi contesti. Cornman, per esempio, sostiene che la legge di Leibniz non viene violata quando si trovi che i predicati mentali non sono applicabili agli stati fisici o viceversa. Avremmo violazione soltanto se un predicato avesse un valore di verità diverso da quello dell'altro. Ma in questo caso il predicato inapplicabile non è né vero né falso. Egli pensa che ciò mostri che abbiamo a che fare con un caso di errore categoriale analogo a quello descritto da Ryle. Cornman, tuttavia, trae una conclusione diversa da quella di Ryle. Egli sostiene che è legittimo presupporre identità transcategoriali, e che in tali casi la legge di Leibniz è semplicemente inapplicabile. Cornman suffraga la sua analisi considerando il caso seguente: Noi diciamo che la temperatura di un gas è identica all'energia

    163

    cinetica media delle molecole del gas. Ma sebbene possiamo dire che la temperatura di un certo gas è di 80° centigradi, si tratta certamente di un errore di qualche genere dire che l'energia cinetica media delle molecole del gas è di 80° centigradi. Se questo errore è ciò che ho chiamato un errore categoriale, allora siamo di fronte a un caso di identità trans categoriale. Se è pure un errore categoriale parlare di un processo cerebrale affievolito o offuscato, allora abbiamo qualche motivo per pensare che l'identità mente corpo sia un'identità transcategoriale, e, dunque, che la teoria dell'identità non implichi difficoltà concettuali 15 • Esattamente come si è osservato sopra, i difensori della teoria dell'identità ritengono che gli enunciati d'identità relativi agli eventi mentali e agli eventi fisici siano veri, ma potrebbero essere falsi. Tali enunciati si chiamano contingenti. Avvalendosi della sua analisi degli enunciati modali (cfr. capitolo 2), Saul Kripke 16 ha sostenuto che le identità contingenti sono impossibili. Come abbiamo visto, Kripke sostiene che gli enunciati necessari sono veri in tutti i mondi possibili, e che un designatore rigido è un termine che individua la stessa entità in ogni mondo possibile nel quale quell'entità esiste. Un designatore non rigido è un termine che muta il suo riferimento attraverso i mondi possibili. (Per esempio, , 15 (1977), pp. 3-14; F. Feldman, Kripke on the identity theory, in >, 89 (1980), pp. 257-274. Block N. (a cura di), Readings in philosophy o/ psychology, 2 voli., Cambridge, MA, Harvard University Press, 1980. Block N. e Fodor J.A., What psychological states are not, in «Philosophical Review», 81 (1972), pp. 159-181, ristampato in N. Block (a cura di), Readings in philosophy of psychology, cit., vol. 1, pp. 237-250. Boden M.,Artificial intelligence and natural man, New York, Basic Books, 1977. Minds and mechanism: Philosophical psychology and computational models, lthaca, NY, Cornell University Press, 1981. Borst C.V. (a cura di), The mindlbrain identity theory, New York, Macmillan, 1970. Boveri T., Uber die Konstitution der chromatischen Kernsubstanz, in «Verhandlungen der deutschen zoologischen gesellschaft zu Wiirzberg», 13 (1903), pp. 10-33. Boyd R. e Richerson P.J., Culture and the evolutionary process, Chicago, IL, University of Chicago Press, 1985. Brandon R., Biologica! teleology: Questions and explanations, in «Stu>, in «Mind», 86 (1977), pp. 265-280, trad. it. «Il linguaggio del pensiero» di Jerry Fodor, in Brainstorms, infra, pp. 163-191. Brainstorms, Cambridge, MA, MIT Press/Bradford Books, 1978, trad. it. Brainstorms, Milano, Adelphi, 1991. Skinner skinned, trad. it. Skinner scorticato, in D.C. Dennett, Brainstorms, cit., pp. 111-137. Toward a cognitive theory of consciousness, trad. it. Verso una teoria cognitiva della coscienza, in Brainstorms, cit., pp. 244278. Why you can't make a computer that feels pain, trad. it. Perché non si può costruire un calcolatore che sente dolore, in Brainstorms, cit., pp. 299-353.

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