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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 1
PONTIFICIA FACOLTÀ TEOLOGICA DELL‟ITALIA MERIDIONALE
SEZ. SAN TOMMASO D‟AQUINO
Q 233 Esegesi del NT/3: Opera Giovannea e Lettere cattoliche. Prof. Gaetano Castello Anno Acc. 2009-2010 I Semestre: Mercoledì e Giovedì ore 11,05-12,45
Programma: Il corso ha lo scopo di introdurre lo studente alla conoscenza delle principali questioni storico letterarie per una lettura criticamente fondata dell’opera giovannea e delle lettere cattoliche. Alle introduzioni letteraria e teologica al IV Vangelo e alle lettere di Giovanni seguir{ perciò l’esegesi di passi scelti che saranno affrontati a partire dal testo greco. Lo studio esegetico si avvarrà principalmente del metodo storico-critico e dell’analisi narrativa segnalando altri approcci praticati attualmente dagli studiosi; si intende così offrire un quadro dei principali approcci metodologici al testo neotestamentario. Lo studente verrà inoltre avviato alla consultazione delle principali opere esegetiche della tradizione cristiana antica e recente fornendo la strumentazione di base per lo studio della teologia. Argomenti Il Corpus Johanneum e le altre lettere “cattoliche” Introduzione generale al IV Vangelo Introduzione storica al IV Vangelo: l’ipotesi di R.E.Brown e ipotesi attuali Formazione e struttura del IV Vangelo Gv 1,1-18 Il Prologo struttura esegesesi e teologia La sezione Gv 2-4 Da Cana a Cana Gv 2,1-11 Cana di Galilea esegesesi e teologia Gv 4: La Samaritana esegesesi e teologia Introduzione ai cpp. 5-12: la tensione con “i giudei”. Antigiudaismo giovanneo? Gv 6: il grande discorso a Cafarnao sul pane di vita Introduzione a Gv 13-17 Gv 10,1-21: esercitazione in aula per l’analisi esegetica del brano del Buon Pastore Gv 13 lettura esegetico-teologica Gv 14 lettura esegetico-teologica Gv 15-16 lettura esegetico-teologica Gv 18-20 Passione morte e risurrezione secondo Giovanni Gv 18, 33-37 Davanti a Pilato; Introd. ai racconti di risurrezione Intoduzione all’Apocalisse di Giovanni Approfondimenti Legge/Torah nel IV Vangelo “dialogo nel IV Vangelo” linguaggio della salvezza nel IV Vangelo “Vita” nel IV Vangelo
Bibliografia essenziale: CASALEGNO A., “Perché contemplino la mia gloria” (Gv 17,24). Introduzione alla teologia del Vangelo di Giovanni, ed. San Paolo, Alba (Cuneo) 2006; GHIBERTI G. e coll., Opera Giovannea, ElleDiCi, Leumann (To) 2003; TUÑÌ J.O. –ALEGRE X., Scritti giovannei e lettere cattoliche, Paideia, Brescia1997; SANT’AGOSTINO, Commento al Vangelo e alla prima epistola di San Giovanni, traduzione e note di Gandolfo E. (Nuova Biblioteca Agostiniana), Città Nuova, Roma 1968; MANNUCCI V., Giovanni il Vangelo narrante. Introduzione all’arte narrativa del quarto vangelo, Dehoniane, Bologna 1993, ristampa 1997; SCHNACKENBURG R., Il Vangelo di Giovanni, 4 voli., Paideia, Brescia 1973-1987; G. BIGUZZI, Apocalisse, Nuova versione introduzione e commento, Paoline, Milano 2005.
Per l’esame, oltre alle lezioni svolte in aula e ai relativi approfondimenti personali (con indicazioni bibliografiche), sarà richiesto lo studio di una introduzione generale all’opera giovannea e alle lettere cattoliche (dalla Bibliografia generale) N.B.
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Bibliografia più citata durante le lezioni indicazioni bibliografiche essenziali di preferenza in traduzione italiana 1. INTRODUZIONI GENERALI (oltre a quelle incluse nei commentari) COTHENET E., «Il quarto Vangelo», in A. GEORGE - P. GRELOT, Introduzione al nuovo Testamento V: La tradizione Giovannea, Borla, Roma 1978, 85-272 e 276-301 (Bibliografia). COTHENET E., «Il Vangelo secondo San Giovanni», in Gli scritti di San Giovanni e la Lettera agli Ebrei, (Piccola enciclopedia biblica 10), Borla, Roma 1985, 11-162. MAZZEO M., Vangelo e lettere di Giovanni. Introduzione, esegesi e teologia, Paoline, Milano 2007. PANIMOLLE 5., L 'evangelista Giovanni. Pensiero e opera letteraria del quarto Vangelo, Borla, Roma 1985. SEGALLA G., «Giovanni (Vangelo di)», in Nuovo dizionario di teologia Biblica, Paoline, Milano 1988, 666-673. 2. COMMENTARI ANTICHI CIRILLO DI ALESSANDRIA, Commento al Vangelo di Giovanni, trad., intr. E note a cura di Luigi Leone, 3 voll., (collana di Testi patristici diretta da Antonio Quacquarelli) città nuova editrice, Roma 1994 (coll. Capodimonte A.24.111/112/113). ORIGENE, Commento al Vangelo di Giovanni, UTET, Torino 1968. SAN BONAVENTURA, Commento al vangelo di San Giovanni, (collana Opere di San Bonaventura), 2 voll.,Città Nuova, Roma 1990. 1991; ( coll. Capodimonte A.20.3. 7/1-2). TEODORO DI MOPSUESTIA, Commentario al Vangelo di Giovanni, Borla, Roma 1991. S. TOMMASO D’AQUINO, Commento al Vangelo di San Giovanni, I-IV, Città Nuova, Roma 1990. 3. COMMENTARI MODERNI BARRET C.K., The Gospel according to St. John, SPCK, London 1985 (I ed. 1955). BEASLEY-MURRAY G.R., John, (Word biblical commentary 36), Word, Dallas 1987. BLANCK J., Das Evangelium nach Johannes, 4 voli. Patmos, Dùsseldorf 1977-1981; versione inglese, The Gospel according to John, 3 voli., Crossroad, New York 1981; versione spagnola, EI Evangelio segun San Juan, 4 voli., Herder, Barcelona 1979-1984. BOISMARD M.E. - LAMOUILLE A., L Èvangile de Jean. Commentaire: Synopse des quatres évangiles en franais III, Du Cerf, Paris 1977. BROWN R.E., Giovanni. Commento al Vangelo spirituale, Cittadella, Assisi 1979. BULTMANN R., Das Evangelium des Johannes, Göttingen, 1941; + supplemento del 1966: The Gospel of John, Oxford 1971. FABRIS R., Giovanni (traduzione e commento), Borla, Roma 1992. GNILKA J., Johannesevangelium, (Neue Echter Bible), Echter, Wùrzburg 1983. HÄNCHEN E., Das Johannesevangelium. Ein Kommentar, Mohr, Tübingen 1980; versione inglese, A Commentary of the Gospel of John, 2 voli., Fortress, Philadelphia 1984. LACONI M., Il racconto di Giovanni, Cittadella, Assisi 1989. LÉON-DUFOUR X., Lecture de lÈvangile selon Jean I: Chapitres 1-411: Chapitres 5-12, Du Seuil, Paris 1988-1990; tr. it. Lettura del Vangelo secondo Giovanni, I, (cc. 1-4); Il (cc. 5-12), Paoline, Roma 1990-1992. MAGGIONI B., «Il Vangelo di Giovanni», in I Vangeli, a cura di G. BARBAGLIO - li. FABRI5 - M. MAGGIONI, Cittadella, Assisi 1975. MATEOS J. - BARRETO J., Il Vangelo di Giovanni. Analisi linguistica e commento esegetico, Cittadella, Assisi 1982. PANIMOLLE S., Lettura pastorale del Vangelo di Giovanni, 3 voli., Dehoniane, Bologna 1978-1984. STRATHMANN H., Il Vangelo secondo Giovanni, Paideia, Brescia 1973. VAN DEN BUSSCHE H., Giovanni. Commento al Vangelo spirituale, Cittadella, Assisi 1970. ZEVINI G., Vangelo secondo Giovanni, 2 voli., Città Nuova, Roma 1984-1987. 4. ALTRE OPERE BARRET C.K., Il Vangelo di Giovanni fra simbolismo e storia, Claudiana, Torino 1983. BONNARD P., “Contemplation johannique et mystique hellénistique”, in La notion biblique de Dieu. Le Dieu de la Bible et le Dieu des Philosophes, a cura di J. Coppens, (Bibliotheca Ephem. Theol. Lov. 41), Peeters, Leuven 1976, 351-360. BRAUN F.M., Jean le théologien III/1: Le mystère de Jesus Christ, Gabalda, Paris 1966; III/2: Le Christ, notre Seigneur hier, aujourd'hui, toujours, Gabalda, Paris 1972. BROWN R.E., La comunità del discepolo prediletto, Cittadella, Assisi 1982. BULTMANN R., Teologia del Nuovo testamento, Queriniana, Brescia 1985. CULPEPPER R.A., Anatomy of the Fourth Gospel. A Study in Literary Design, Foortress, Philadelphia (1981) 31989.
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DE LA POTTERIE I., “Cristologia di Pneumatologia in San Giovanni”, in Bibbia e Cristologia a cura della PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, Paoline, Milano 1987, 275-291. DE LA POTTERIE I., La verité dans Saint Jean I-Il, (Analecta Biblica 73-74), PIB, Roma 1977 DE LA POTTERIE I., Studi di cristologia giovannea, Marietti, Genova 21986. DODD C.H., L'interpretazione del quarto Vangelo, Paideia, Brescia 1974. FABRIS R., «Messaggio teologico e spirituale del quarto Vangelo», in Giovanni, Borla, Roma 1992, 87-105. GHIBERTI G., Spirito e vita cristiana in Giovanni, (Studi Biblici 84), Paidela, Brescia 1989. GHIBERTI G., Vecchio e nuovo in Giovanni, per una rilettura di Giovanni (Vangelo e Lettere), Riv.Bibl. XLIII(1995) 225-251. GRECH P., La comunità giovanea nei cc. 7 e 8 del Vangelo di Giovanni, in Ricerche Storico Bibliche 2(1991) 59-68. KÄSEMANN E., L'enigma del quarto Vangelo (Giovanni: una comunità in conflitto con il cattolicesimo nascente?), Claudiana, Torino 1977 (orig. Tùbingen 1971). LEVIEILS X., Juifs et Grecs dans la communauté johannique, Biblica 82 (1, 2001) 51-78. LOADER W., The Christology of the Fourth Gospel: Structure and Issues, Lang, Frankfurt am Main 1989. MARTYN J.L., History and Theology in the Fourth Gospel (revised and enlarged edition), Abingdon, Nashville 21979. MOLLAT D., Giovanni maestro spirituale, Borla, Roma 1980. MONDATI F., “Struttura letteraria di Gv 1,1-2,12”, Riv.Bibl. XLIX(2001) 43-81. MOODY SMITH D., Johannine Christianity, Clark, Edinburgh 1987. MOODY SMITH D., La teologia del Vangelo di Giovanni, Paideia, Brescia 1998. MUSSNER F., Il Vangelo di Giovanni e il problema del Gesù storico, Morcelliana, Brescia 1968. PANIMOLLE S., L 'evangelista Giovanni (Pensiero e opera letteraria del quarto Vangelo), Borla, Roma 1985. PANIMOLLE S.,Gesù di Nazaret nell'ultimo evangelo e nei primi scritti dei Padri, Paoline, Roma 1990. Parole. De l'Ancien au Nouveau Testament, (Hommage a P. Grelot), Desclée, Paris 1987, 367-380. PASQUETTO V., Da Gesù al Padre. Introduzione alla lettura esegetico-spirituale del vangelo di Giovanni, Teresianum, Roma 1983. PASQUETTO V., Da Gesù al Padre. Introduzione alla lettura esegetico-spirituale di Giovanni, Teresianum, Roma 1983, Parte prima (“Caratteristiche d'insieme del Vangelo di Giovanni”), 19-109. POPPI A., «Vangelo secondo Giovanni», in Sinossi dei quattro Vangeli Il: Commento, Messaggero, Padova 1987, 364-503. RIGATO M.L., «L’apostolo ed evangelista Giovanni», «sacerdote» levitico in Riv.Bibl. XXXVIII(1990) 207-215. RIGATO M.L., Giovanni: l’enigma, il Presbitero, il culto, il tempio, la cristologia, Dehoniane, Bologna 2007. SCHNACKENBURG R., Il messaggio morale del Nuovo Testamento, II: I primi predicatori cristiani, Paideia, Brescia 1990. SEGALLA G., «Il discepolo che Gesù amava» e la tradizione giovannea, in Ricerche Storico Bibliche 2(1991)11-36. SPEIR A. VON, San Giovanni. Esposizione contemplativa del suo Vangelo, 2 voli., Jaca Book, Milano 1985-1989. TALBERT C.H., Reading John. A Literary and Theological Commentary of the Fourth Gospel and the Johannine Epistles, Cross-Road, New York 1992.
Gli appunti che seguono sono destinati al solo uso interno. Si tratta degli appunti a partire dai quali il docente ha sviluppato le lezioni in aula, non riportano perciò l‟intero contenuto di quanto proposto. Il titolo e il contenuto del corso NT/3
Prima di entrare nell‟argomento del singolo scritto per passare poi all‟esegesi di testi scelti, offriamo un panorama generale dei testi del Nuovo Testamento a cui fa riferimento il titolo del nostro corso. Si tenga conto che molto è stato già detto sia nel corso di introduzione generale alla Sacra Scrittura (si pensi alle questioni di critica testuale, canone ecc.), sia nel corso sui sinottici e sulle lettere paoline. Secondo quanto previsto dal titolo, il nostro corso si occuperà di introdurre ben nove scritti del NT: il Vangelo di Giovanni, le tre lettere che portano lo stesso nome e l‟Apocalisse, opere note nel loro insieme come corpus johanneum, e le altre lettere cattoliche cioè le due lettere di Pietro, la lettera di Giacomo e quella di Giuda, che insieme alle tre lettere di Giovanni formano il gruppo delle cosiddette “lettere cattoliche”.
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La stessa lunghezza degli scritti è molto diversa, come risulta da un confronto dei caratteri greci che compongono ciascuno scritto (considerati in maniera approssimativa). Vangelo di Giovanni Apocalisse 1Giovanni 2Giovanni 3Giovanni 1Pietro 2Pietro Giacomo Giuda
76288 48118 10000 1190 1173 9550 6356 9335 2710
Giuda Gc 2Pt 1Pt 3Gv
Serie1
2Gv 1Gv Ap Gv 0
10000
20000
30000
40000
50000
60000
70000
80000
90000
numero caratteri
Ci occuperemo dunque innanzitutto del Vangelo di Giovanni, il IV Vangelo, per il posto che occupa tradizionalmente nella lista dei Vangeli canonici. Il Vangelo che manifesta subito la sua peculiarità nell‟insieme degli scritti neotestamentari e in particolare in relazione ai sinottici. Qui Gesù è presentato come il logos, la Parola incarnata ed eterna, senza origine perché è sin dal principio. La figura di Gesù è presentata innanzitutto in stretta relazione con il Padre di cui Egli è il Rivelatore, l‟Inviato al mondo. Si presenta con l‟espressione IO SONO che richiama il nome divino del Sinai. I segni che Egli compie sono non dynameis, rivelatori della potenza divina, ma piuttosto segni rivelativi della rivelazione tra Gesù e il mondo che carattterizzano l‟intera prima parte del IV Vangelo con la scansione dei 7 segni, spesso accompagnati da “discorsi” che riprendono il significato profondo dei segni e lo esplicitano al di là degli equivoci dell‟interpretazione. La rivelazione di Gesù Cristo, in segni e parole, non rimane però qualcosa che riguarda solo l‟intelletto, chiede la decisione da parte degli uomini, l‟adesione a Gesù Cristo. È proprio la relazione con Gesù che determina già ora il giudizio spostato nel presente e non relativo alla fine dei tempi. L‟escatologia per Giovanni è relativa già al tempo presente per compiersi completamente nel futuro. La prima lettera di Giovanni può essere letta, come ci insegna l‟antica tradizione, in continuità con il IV Vangelo, con la sua presentazione di Dio come luce (1,5) e come amore (4,16). L‟appartenneza a Dio, che è luce, chiede di abbandonare la via delle tenbre. L‟attenzione della
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lettera, come poi anche delle successive, sposta gradualmente l‟attenzione al percorso dei discepoli impegnati a vivere dell‟amore per il prossimo, momento preciso di verifica rispetto all‟amore di Dio e per Dio. La prima lettera riprende e prolunga anche la riflessione sullo Spirito Santo, dono che Gesù ha fatto ai suoi dalla croce (Gv 19,30): il sangue e l‟acqua effusi sulla croce sono la testimonianza più vera della morte di Cristo in croce contro ogni pericolo di spiritualizzazione che dimentichi o ponga tra parentesi l‟umanità di Gesù. Il tema della divisione all‟interno delle comunità, già visto nelle lettere paoline, è presente nella seconda lettera di Giovanni in cui si insiste sulla necessità della testimonianza dell‟amore vicendevole. Qui la comunità è chiamata “Signora”, invitata a vivere il comandamento dell‟amore vicendevole insegnato fin dal principio da intendere non sololo come fatto temporale, ma soprattutto qualificativo. 1 Io, il presbitero, alla Signora eletta e ai suoi figli che amo nella verità, e non io soltanto, ma tutti quelli che hanno conosciuto la verità, 2 a causa della verità che dimora in noi e dimorerà con noi in eterno: 3 grazia, misericordia e pace siano con noi da parte di Dio Padre e da parte di Gesù Cristo, Figlio del Padre, nella verità e nell'amore. L‟ultima, la terza lettera di Giovanni è indirizzata a Gaio, un testimone della verità che lo rende noto nella comunità di Giovanni e di cui viene lodata la condotta. Anche l’Apocalisse, l‟ultimo scritto del corpo giovanneo, viene tradizionalmente attribuito a Giovanni, non senza problemi da parte della critica non solo moderna. Un testo di notevole successo in diverse epoche della storia, come vedremo, per il suo linguaggio “apocalittico” appunto, che si presta di per se a diverse interpretazioni. La più comune, almeno nel linguaggio abituale, è quella che meno rende giustizia a questo testo, volendo individuare in esso soprattutto profezie che si realizzano misteriosamente nella storia. Si tratta invece di un annuncio profondamente cristologico ed ecclesiologico che presenta il conflitto degli ultimi tempi in atto tra i cristiani e la forza del male che con i suoi rigurgiti sembra minacciare irrimediabilmente la vita cristiana nel mondo. Non sono le previsioni nefaste delle manifestazioni demoniache al centro del nostro testo ma il mistero pasquale del Cristo morto e risorto, il “Vivente” (Ap 1,17-18). È Gesù Cristo Risorto che continua a interpellare le chiese (attraverso le sette lettere) incoraggiandole a vivere in pienezza la testimonianza senza nascondere i tradimenti e le infedeltà che vengono compiute. Egli è l‟Agnello ritto in mezzo al trono e immolato che continua ad offrire la sua vita agli uomini dimostrandosi il solo degno di “prendere il libro e aprirne i sigilli. È il Cristo Risorto che incoraggia i suoi, coloro che portano i segni della passione e lo seguono ovunque fino alle nozze nelle quali l‟Agnello sarà definitivamente unito alla sua sposa, la chiesa, lavata da ogni colpa e pronta per il suo sposo (Ap 19,7-8). L‟intero libro dell‟Apocalisse si presenta come descrizione di una grande liturgia celeste scandita da Inni in cui la comunità manifesta la sua fede e canta la signoria dell‟Agnello che si estende non solo sul gruppo dei cristiani ma ha invece una portata cosmica diffondendosi sul mondo intero (universalismo). Come nel Vangelo, e ancora più decisamente, il giudizio è presentato come già in atto contro il mondo e la bestia che lo rappresenta. La Chiesa dovrà continuare ad annunciare il Cristo morto e Risorto attendendolo come sposo e invocandone il ritorno “maranatha” vieni Signore Gesù. Le altre quattro lettere (1-2 Pt; Gc; Giuda) insieme alle tre giovannee sono note come le sette lettere cattoliche indirizzate cioè all‟intero mondo cristiano. Sono accomunate dalla preoccupazione della testimonianza cristiana di fronte al mondo e alle difficoltà che esso rappresenta per il discepolo di Gesù. L‟attenzione è rivolta così, come si può immaginare anche per gli inevitabili problemi e nuovi interrogativi che nascono dalla vita cristiana, all‟etica ma intesa come quotidiana, coerente incarnazione del Vangelo.
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Alla prima lettera di Pietro è stata dedicata ultimamente molta attenzioni (molte pubblicazioni in italiano) in occasione del Convegno nazionale sulla Testimonianza. La logica che deve guidare la vita cristiana deriva direttamente dall‟offerta che Cristo ha fatto della sua vita chiamando le chiese alla testimonianza del Vangelo nella perseveranza e nella vigilanza. In 1Pt troviamo l‟immagine della Chiesa come edificio, i cristiani come pietre vive impiegati per la costruzione dell‟edificio spirtuale (1 Pt 2,4-10), secondo il modello anticotestamentario del “popolo eletto'', per cui tutta la comunità svolge un servizio sacerdotale di perfetta comunione con Dio (1 Pt 2,9). Nella stessa sofferenza per le persecuzioni la comunità è invitata a consolidarsi attraverso l'esempio che riceve dalle altre comunità sparse nel mondo (1 Pt 5,9). L'attesa del Signore diventa annuncio di sicura speranza per quanti continuano a soffrire, seguendo il modello di Cristo, per il vangelo. La 2 Pietro, in continuità con la prima lettera, prosegue nelle esortazioni morali, quali incarnazione del vangelo. Tuttavia, in questa lettera si scorgono due preoccupazioni ecclesiali che stanno particolarmente a cuore al suo autore: l'autorevolezza del vangelo, presentato come “parola profetica”, e il calare della tensione escatologica che serpeggia nella comunità. É lo Spirito che ha ispirato la parola e la comunità invitata a farsi interprete garante della stessa parola (cfr. 2 Pt 1,1621) uno dei due riferimenti neotestamentari espliciti alla ispirazione della Sacra Scrittura. La radice pneumatica del vangelo, presente nella 2Pietro, verrà ripresa soprattutto dalla costituzione conciliare Dei Verbum (DV 3,12). L'esperienza quotidiana delle persecuzioni per il vangelo inducono diversi credenti a dubitare della venuta del Signore: a questo decadimento escatologico è strettamente relazionata la diminuzione nella perseveranza della testimonianza per il vangelo. L'autore della 2 Pt, riprendendo il codice proprio dell'apocalittica giudaico-cristiana, esorta a una vigilanza operosa. Giacomo. In questa tensione tra vangelo e morale si spiega anche la lettera di Giacomo, spesso considerata, erroneamente, come secondaria rispetto al messaggio teologico del Nuovo Testamento, soprattutto quando viene presentata in antitesi con il “vangelo paolino”. È entrata tardi nel Canone del NT, è perciò tra le lettere Deuterocanoniche; utilizzata da Origene (+254) accolta però in Palestina solo all‟inizio del IV secolo (Eusebio la colloca tra gli “antilegomena”). Ai dubbi antichi ha fatto riscontro l‟atteggiamento della Riforma: Lutero la escluse dal Canone, reintrodotta dalle Chiese riformate nel corso del XVII secolo. Giacomo si pone in una prospettiva diversa da quella di Paolo: non si preoccupa più di stabilire le condizioni per entrare e rimanere nell'alleanza realizzata in Cristo, che per Paolo erano rappresentate dalla fede in Cristo, ma delle modalità con cui la stessa fede deve tradursi e prodursi nella vita cristiana. Codice ermeneutico che pervade questa lettera è quello “sapienziale” (cf. Sl 1): chi sono il saggio e lo stolto? Quali sono i criteri che li caratterizzano? Tali questioni, che si trovano alla base della lettera, vengono risolte richiamando, in primo luogo, l'origine divina della sapienza: viene “dall'alto'' (Gc 3,17), in quanto causata dalla parola di verità (Gc 1,18). Tuttavia non può esservi sapienza che non scelga di prodursi nell'operosità dell'amore: è significativo che la sapienza elogiata da Giacomo segua il canovaccio paolino della carità, delineato in 1 Cor 13,1-13 (cfr. Gc 3,13-18). Per questo la stessa fede se non si traduce in opere di amore vicendevole è destinata a restare vuota, anzi “morta”. La prospettiva escatologica, non rigettata da Giacomo, viene riletta in prospettiva storica contro ogni forma di attesa inoperosa di chi non produce frutti nella propria vita cristiana (Gc 5,7-11). Giuda. Il messaggio apocalittico del Nuovo Testamento giunge al suo stadio conclusivo con la lettera di Giuda: ricalcando il filone apocalittico della condanna per coloro che si oppongono al disegno divino, propria della tradizioni “Enochica” (cfr. Gd 14-15), l'autore invita la comunità a non porsi in loro ascolto, dietro la loro sequela. Al contrario, mediante il codice dell'amore vicendevole, che si verifica soprattutto nell'aiuto per i deboli e per i vacillanti (cfr. Gd 20-23), la comunità viene consolidata nella sua unità e nell'attesa del Signore che viene.
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Introduzione al IV Vangelo (e corpo giovanneo) «Un metodo complessivo, perfetto, soddisfacente sotto ogni punto di vista, per dominare i problemi complessi dell‟interpretazione del testo, della storia letteraria della sua formazione, delle questioni storiche implicite e della comprensione odierna, non è ancora stato trovato e resta anzi un obiettivo irraggiungibile dell‟esegesi neotestamentaria» (SCHNACKENBURG R., Il Vangelo di Giovanni, IV, Paideia, Brescia 1987, 11)
Il titolo del corso ed il suo programma, prevede lo studio della cosiddetta “opera giovannea” comprendente sia il IV evangelo, che le tre lettere di Giovanni che l‟Apocalisse di Giovanni. Testi accomunati, nella tradizione, dallo stesso “autore”, Giovanni appunto, cosa tuttavia messa in dubbio sin dai tempi antichi, almeno per quanto riguarda l‟Apocalisse, dubbio esteso poi alle tre lettere giovannee. Il rapporto IV Vangelo (e lettere) – Apocalisse: affinità osservata dalla tradizione genere letterario molto diverso; anche nelle espressioni e nelle immagini in comune… stile diverso: Vang. e lettere greco semplice ma corretto… Apocalisse: errori? differenze nell‟uso dell‟AT diverso rilievo della “storia” Rapporto IV Vangelo lettere molto diverso da quello con l‟Apocalisse anche qui differenze di genere letterario lessico, stile teologia mostrano affinità ordine cronologico nello sviluppo delle situazioni contestuali senza il Vangelo le lettere sarebbero di difficile comprensione Un posto a parte occupa la secolare questione dell‟autore del IV Vangelo con riferimento particolare alle sue diverse identificazioni. Oltre a ciò che si può leggere in tutte le introduzioni al IV Vangelo, in un recente studio Maria Luisa Rigato prima di esporre le sue posizioni, tratteggia brevemente la storia della questione. Per l‟autrice, Giovanni è “laltro discepolo”, il “discepolo che Gesù amava”, non è da identificare con il figlio di Zebedeo, non è dunque uno dei dodici; autore testimone oculare narrante del IV Vangelo, incluso il cap. 21, levita di stirpe sacerdotale (come dimostra dall‟interesse del suo vangelo per la situazione e le istituzioni di Gerusalemme…1. Una tesi originale che mostra tuttavia, anche sulla base di osservazioni critiche spesso condivisibili, che la discussione rimane aperta. È evidente che per un corso che non voglia essere solo di generica introduzione ma che si presenta come corso esegetico, bisognerà operare delle scelte relativamente al materiale da trattare, troppo per le ore a disposizione. Per il senso del corso nel quadro di questi nostri studi teologici, sarà dato particolare risalto e proporzionato numero di ore al vangelo di Giovanni.
1
Cf. RIGATO M.L., «L’apostolo ed evangelista Giovanni», «sacerdote» levitico in Riv.Bibl. XXXVIII(1990) 207215. RIGATO M.L., Giovanni: l’enigma, il Presbitero, il culto, il tempio, la cristologia, Dehoniane, Bologna 2007.
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La prima domanda è relativa al “come”: come affronteremo lo studio del Vangelo? Una domanda tutt‟altro che secondaria. Due sono le possibilità che fondamentalmente intravedo, tralasciando altre possibilità che esulano però dal nostro tipo di corso (per esempio letture patristiche, ermeneutica medievale, storia delle conseguenze, dell‟uso nella teologia….) e saranno invece oggetto di altri corsi specifici. - Prima prospettiva: Il Vangelo di Giovanni come opera essenzialmente letteraria. Modello di studio a specchio (cf. Murray Krieger: il significato del testo è tutto da questa parte, tra specchio e osservatore, testo e lettore. Il testo, con i suoi richiami, il progressivo coinvolgimento del lettore… il suo mondo narrativo, rivela qualcosa di più profondo al lettore circa il mondo reale in cui egli stesso, il lettore, vive). Beneficio di questa lettura è l‟immediato incontro con il testo, l‟acquisizione di familiarità con esso, a cominciare dalla questione sul suo significato di insieme nel quale collocare le singole parti… Domande guida sarebbero in tal caso: qual è la trama del testo? Qual è lo sviluppo della narrazione, i suoi personaggi principali, la loro relazione reciproca (oggetto di analisi narratologica) la sua struttura retorica… In questo senso saremmo più vicini alla maniera patristica di leggere il testo e confrontarsi con esso. Sparisce qui ogni altra preoccupazione di tipo stratigrafico, storico ambientale, di storia della formazione… di contesto socio religioso… tutti contesti e relative questioni poste invece dai sostenitori dello studio storico-critico con tutte le sue varianti… - Seconda prospettiva: modello di studio a finestra (cf. Murray Krieger: Approccio al testo come a una “finestra” attraverso cui poter osservare la comunità primitiva in cui fu composto, spingendo lo sguardo fino a Gesù). Beneficio di questo secondo tipo di lettura è soprattutto la verifica della relazione del testo con gli avvenimenti che riguardarono effettivamente Gesù e la sua storia, da una parte, e Giovanni e la sua comunità dall‟altra… Qui il testo è effettivamente considerato come un tell e lo studioso come un archeologo: si cerca di stabilire gli strati redazionali, quelli tradizionali, il loro ambiente di formazione, gli influssi dei problemi e dei linguaggi contemporanei all‟autore e la loro traccia nel testo… sussidi verranno allora dalla geografia, dalla storia del mondo giudaico di fine I sec.d.C., dalla sociologia… ecc. ecc. Mi pare un peccato dover scegliere se seguire solo l‟una o l‟altra di queste vie che presentano in verità aspetti interessanti e non eludibili. Per esempio nello studio dei classici commentari di tipo storico-critico (Schnackenburg, Gnilka…) pur potendo ottenere continue informazioni e suggestive “ipotesi” sull‟ambiente di composizione, la storia della formazione del vangelo, il suo riferimento alle condizioni storiche della vita di Gesù… si sente immediatamente la mancanza di un riferimento ordinato e significativo al Vangelo in quanto tale. Ma lo stesso si può dire circa l‟insoddisfazione conclusiva a cui si giunge con l‟altro tipo di approccio, quello a specchio: insomma alla fine quelle cose dette, raccontate dal narratore al lettore e che producono effetti così intensi da cambiare la vita, sono radicati storicamente nella vicenda di Gesù? Quanto di tali elementi derivano dall‟apporto della comunità cristiana, quanto dalla tradizione “autentica” su ciò che Gesù ha fatto e ha detto?… Intanto… osservazioni generali: Greco semplice (Koinè popolare, parlata, più che letteraria cfr. Luca). Linguaggio semplice e sostanzialmente corretto, povero sul piano letterario (circa 1000 parole diverse)
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Stile diretto e sintassi elementare. Presente storico, uso frequente del Kai. Eppure lo stile è intenso, meditativo. Universo concettuale e linguistico uniforme (non vi sono differenze sostanziali tra il modo di parlare del narratore e quello di Gesù…) Già una statistica del vocabolario teologico più frequente mostra la distanza tra Gv e i sinottici.
Osservando con attenzione la struttura del Vangelo di Giovanni, attraverso fattori di tipo geografico e cronologico, si coglie la sua originalità rispetto ai sinottici, anche se per molti aspetti si avvicina ad essi (l‟attività galilaica, il viaggio/viaggi a Gerusalemme, l‟ultima cena, la passione morte, la risurrezione). È tuttavia evidente che tali indicazioni, ancorché diversamente raggruppate e interpretate dagli studiosi, hanno un ruolo funzionale alla cristologia dell‟evangelista, o se si vuole dal punto di vista narrativo, alla presentazione del personaggio principale della narrazione. In Giovanni i miracoli diventano “segni”, con la funzione di indicare simbolicamente qualcosa della persona di Gesù e della Vita che è venuta a portare «Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome» (20,30-31). Qui, a differenza dei sinottici è decisiva non solo la fiducia nell‟azione salvifica di Dio attraverso Gesù, ma la fede in Gesù, via al Padre. Bisogna naturalmente partire dalla contestualizzazione: chi è Giovanni? per chi scrive? in quali condizioni? Domande che nel tempo non hanno ottenuto risposte univoche, anche se un certo accordo tra gli studiosi è possibile riscontrarlo, almeno su questioni ampie: - Possiamo innanzitutto raccogliere l‟indicazione pressoché unanime tra gli studiosi, che il IV Vangelo si è costituito, così come oggi si presenta a noi, solo alla fine del I secolo. - Molto più frastagliata è la gamma di posizioni circa il processo di formazione più o meno lungo. Ma anche a tale proposito, domina comunque l‟idea di una formazione avvenuta in diverse fasi. - Anche rispetto alla cristologia, evidentemente, le fasi di formazione hanno determinato un accrescimento che solo gradualmente ha raggiunto la forma finale che a noi si presenta nell‟opera così come la possediamo. - Pure discusso è il luogo di origine del IV Vangelo2, di cui si dirà qualcosa più avanti, che varia nelle opinioni degli studiosi tra la Siria (Antiochia), l‟Asia Minore (Efeso), l‟Egitto (Alessandria), o il territorio del re Agrippa II (vedi sotto). - Altra idea alquanto diffusa, ferme restando notevoli differenze, è il collegamento ai fatti della vita di Gesù attraverso un testimone oculare, da molti identificato con il “discepolo che Gesù amava”, il garante che avrebbe scritto il vangelo e conservato il ricordo delle vicende di Gesù: “Si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto. Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto, ma: «Se voglio che rimanga finché io venga, che importa a te?».Questo è il discepolo che rende testimonianza su questi fatti e li ha scritti; e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera” (21,23-24). - Il linguaggio usato da Giovanni, proprio la sua approfondita riflessione su Gesù, fa pensare che il IV Vangelo sia destinato a cristiani che, non è difficile desumerlo dal vangelo stesso, sono sia giudei che gentili: si pensi a 4,42, l‟importante episodio dell‟incontro di Gesù con la Samaritana, che si conclude con la confessione di fede dei samaritani: «Non è più per la tua parola che noi crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del 2
Sulle diverse ipotesi circa il luogo di composizione cf. M. RODRIGUES-RUIZ, El lugar de composiciòn del cuarto evangelio. Exposiciòn y valoraciòn de las diversas opiniones, in EstB 57(1999)613-641.
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mondo». Qui è utilizzato un “titolo” cristologico, che oltrepassa la religiosità e l‟espressione giudaica dell‟attesa messianica. Ma non mancano altre testimonianze, come l‟accenno alla fortunata evangelizzazione del mondo greco in 12,20 ss.: «Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa, c‟erano anche alcuni Greci....». - Benché ampiamente ridimensionata, non va dimenticata la tesi resa famosa da Bultmann circa l‟influenza fondamentale che il mito gnostico del redentore avrebbe esercitato nel pensiero giovanneo e nella composizione del Vangelo. Una questione certamente ridimensionata, almeno per l‟importanza riconosciutale dai suoi sostenitori, ma che non può essere del tutto dimenticata. Qual‟è l‟immagine di Cristo che viene fuori dalla lettura del suo Vangelo? Innanzitutto è il Rivelatore del Padre (già Bultmann). E su questo non c‟è dubbio. La sua missione è permetterci di conoscere il Padre. Contemporaneamente, altro messaggio fondamentale, di sperimentare-avere la vita aderendo a Gesù Cristo (credendo non solo a lui, ma in lui...). Qui emerge una prima linea di approfondimento in una lettura attenta del Vangelo: la relazione tra Gesù e il Padre. Di che tipo è, come la presenta Gesù stesso? Ma sorgono subito altre questioni che chiamano nuovamente in causa il contesto storico e gli influssi letterari (o anche tradizionali) che Giovanni ha ricevuto: perché inizia con l‟idea di Logos, da dove viene tale concetto? Alla fine Gesù è soprattutto un personaggio “alto”, presentato teologicamente, presupposto del docetismo? Che già dall‟inizio Giovanni parli del Cristo risorto, ripensato e descritto alla luce della risurrezione non è una novità, del resto anche per i sinottici si può dire la stessa cosa. Ma certo in Giovanni appare immediatamente e totalmente vero a partire dai primi versetti, dalla concezione dell‟incarnazione del Verbo eterno del Padre... Le stesse parole che Gesù pronuncia, secondo Giovanni, appaiono le parole di colui che è non solo disceso dal cielo, ma che già vi è nuovamente asceso... E tutta la sua opera terrena si presenta come manifestazione del suo “essere presso Dio”, della sua scandalosa pretesa di un rapporto unico, appunto da Unigenito del Padre... Ci spingiamo fino alla divinità di Gesù. Eppure il IV Vangelo conserva la sua dimensione scandalosamente storica... (Cfr. tra gli altri Dodd, La tradizione storica del IV Vangelo) è un Vangelo, storia di Gesù Cristo... è difficile, certo, risalire al singolo episodio nella sua dimensione storica, stando a quanto ha descritto la critica storica degli ultimi decenni, tuttavia lo sfondo storico può essere colto dietro alle descrizioni giovannee della vita di Gesù e in certi particolari (si pensi al processo) sembra effettivamente di poterlo cogliere con chiarezza. Che tali questioni non siano peregrine lo si può desumere anche da quella che definiamo la storia degli effetti della cristologia Giovannea (Wirkungsgeschichte)3. L’orizzonte storico Un presupposto importante per comprendere l‟opera giovannea, è l’orizzonte storico in cui collocarla. Evidentemente per il nostro scopo diventa necessario, almeno come ipotesi per poi operare con lo studio più approfondito del Vangelo, una verifica (per quanto limitata) del presupposto. Questo punto è di estrema importanza dal punto di vista ermeneutico. La domanda iniziale: perché la cristologia giovannea nel suo insieme è così particolare, perché presenta un‟immagine di 3
Cfr SCHNACKENBURG R., Das Johannesevangelium I, Freiburg-Basel-Wien 31972, 171-196: «Il Vangelo di Giovanni nella storia», in Il Vangelo di Giovanni, vol I, Paideia, Brescia 1973, 239-272. BRAUN F.M., Jean le Théologien et son évangile dans l‟église ancienne, Paris 1959; WILES M.-F., The Spiritual Gospel: The Interpretation of the Fourth Gospel in the Early Church, Cambridge 1960; POLLARD T.E., Johannine Christology and the Early Church (MSSNTS 13), Cambridge 1970; Per singoli autori cristiani antichi e interpreti recenti cfr. l‟elenco in BELLE G. VAN, Johannine Bibliography 1966-1985, Louvain 1988, 413-430.
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Gesù Cristo così vicina eppure tanto differente dai sinottici... non può trovare realisticamente risposta, se non a partire dallo studio del contesto storico nel quale il Vangelo nacque, anzi la stessa riflessione intorno a Gesù che poi entrerà a far parte del Vangelo... e, non meno importante, il contesto al quale esso era indirizzato nella mente del suo autore/autori. Quello che spesso attribuiamo genericamente ad uno stile particolare, la maniera particolare di Giovanni di presentare Gesù, in realtà deriva dalla formazione dell‟autore, dalla sua cultura, dal contesto storico, filosofico, culturale in cui l‟autore si è formato, in cui scrive, e dal contesto al quale lo scritto è destinato. Tutto ciò non esclude il genio creativo dell‟autore, anzi è solo grazie ad esso che alcuni autori hanno potuto parlare della sua opera come della “tunica senza cuciture”, opera unitaria. È necessario, inoltre, postulare sin dall‟inizio che Giovanni scrivesse per essere compreso da qualcuno... una affermazione così ovvia in realtà lo è meno di quanto si immagini. Se infatti decidiamo di partire dal contesto storico al quale il Vangelo è destinato, stiamo operando una scelta importante per la stessa comprensione dello sviluppo dell‟opera giovannea: è il contesto di vita che ha stimolato un certo modo di descrivere Gesù, la sua opera, la sua novità. Quello scritto, poi, è diventato esso stesso stimolo per i cristiani a cui giunse (e poi per tutti i cristiani fino a noi oggi). Se insomma è vero che la domanda ermeneutica nel nostro presente ci spinge dalla vita al testo e da questo alla vita, dobbiamo pensare che tale dinamica fu già all‟origine, determinante per lo sviluppo della stessa cristologia successiva, se non si parte dall‟idea di un autore ispirato fuori dal tempo, dalla storia, o da un assorto teologo, genio creativo, che costituisce in se stesso un mondo a parte... Lo studio dei vangeli, fedelmente agli insegnamenti magisteriali, ci ha invece abituati a pensare gli scritti in un contesto preciso da conoscere al meglio per poterne comprendere il senso (cfr Dei Verbum.... Documento della Pontificia Commissione Biblica, L‟interpretazione della Bibbia nella Chiesa, 1993). È proprio nel lavoro dei primi testimoni e degli evangelisti che comincia l‟inculturazione della Buona Novella, nel processo che determina il ripensamento della vicenda di Gesù nella mente e nel cuore dell‟autore del IV Vangelo. Giovanni non stava pensando, molto probabilmente, a scrivere in astratto un‟opera teologica valida per tutti i tempi e per tutti i luoghi. Egli stava ripensando la vicenda di Cristo e della fede in lui, a partire dalle categorie del suo tempo, dalle immagini, dai titoli, dai predicati, che di più avrebbero reso il senso di quell‟esperienza unica della fede agli occhi ( o meglio alle orecchie), di coloro che avrebbero udito il “suo” Vangelo. J.L.Martyn4 parte dal cap. 9 di Giovanni: tau/ta ei=pan oi` gonei/j auvtou/ o[ti evfobou/nto tou.j VIoudai,ouj\ h;dh ga.r sunete,qeinto oi` VIoudai/oi i[na eva,n tij auvto.n o`mologh,sh| Cristo,n( avposuna,gwgoj ge,nhtaiÅ Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che se uno avesse riconosciuto Gesù come il Cristo, sarebbe stato espulso dalla sinagoga.
Lo studioso sostiene che si tratta di un evento reale ma della vita della comunità o chiesa giovannea, tale che può essere raccontato come la ricostruzione di un episodio accaduto nel ministero di Gesù. Il IV Vangelo non è un opuscolo missionario inviato a giudei o gentili, né un‟opera teologica intesa come “patrimonio per sempre”; venne invece scritto per l‟incoraggiamento di un gruppo di cristiani “giudei” che avevano bisogno di affermare la loro identità contro la sinagoga del luogo, che fu l‟ambito da cui il gruppo cristiano aveva preso le sue origini. Così il Martyn ha mostrato come il quarto evangelo non solo riporti gli eventi relativi alla vita di Gesù, ma descriva in realtà le situazioni della chiesa al tempo dell‟evangelista: la storia della comunità giovannea verrebbe in tal modo proiettata all‟indietro nella vita stessa di Gesù. Il quarto Vangelo chiede dunque di essere letto e interpretato ad un duplice livello, quello del Cristo storico e quello della chiesa giovannea in cui il Vangelo stesso si è formato5. 4 5
MARTYN J.L.,The Gospel of John in Christian History, New York 1979 Cfr. MARTYN J.L., History and Theology in the Fourth Gospel, New York 1968, 3ss.
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Prosper Grech, proprio riconoscendo la centralità dei capitoli 7 e 8 di Giovanni per l‟alta cristologia che essi presentano, prolunga il metodo di Martyn (che si era occupato in particolare dei capitoli 3 e 9) applicandolo a tali capitoli seguendo lo stesso metodo dello studioso americano, distinguendo tuttavia tra il livello del Gesù storico e quello del Cristo Risorto, prima ancora del terzo livello, quello della chiesa giovannea. Sostiene, in particolare, che è difficile distinguere nella polemica giovannea tra le posizioni e le perplessità o il rifiuto de “i giudei” o dei “giudeo-cristiani: la linea di demarcazione non è sempre chiara.6 Alle intuizioni di Martyn (e altri), si riferisce anche J. Ashton Nel suo lavoro Comprendere il Quarto Vangelo, John Ashton affronta tale questione (come del resto tutti coloro che si occupano della questione giovannea cfr. Hengel). Riferendosi allo stimato lavoro di Bultmann, Ashton si chiede se noi cerchiamo di individuare le fonti, le influenze o semplicemente l‟ambiente del Vangelo di Giovanni. Sulle FONTI, a cui tanto si è dedicato Bultmann, al di là del prologo e dei racconti della passione (possiamo includere forse la cosiddetta fonte dei segni), le conclusioni di Bultmann non hanno trovato un consenso largo. Ma cosa dire dei discorsi di rivelazione? Nessuna risposta convincente sulle eventuali “fonti”. Per quanto riguarda le “influenze” dobbiamo includere naturalmente la predicazione, l‟ambiente di Gesù, la sua opera, la sua sorte... le stesse influenze che modellarono i sinottici in maniera così diversa dal IV Vangelo. Si può spingere lo sguardo a periodi più ampi della storia israelitica (sia civile che religiosa...) includendo il periodo del II tempio, trovando le tracce di pensieri che hanno influito sui pensatori cristiani del I secolo. L‟influenza più ovvia a tale proposito è quella della Bibbia Ebraica (LXX). Se bastassero fonti e influenze penseremmo, sbagliando, che il compito per spiegare la genesi del IV Vangelo sia quello di spiegare l‟assemblaggio delle fonti e delle influenze... (il contesto religioso e culturaale di cui abbiamo in parte già parlato). Bisogna aggiungere, sostiene Ashton, un terzo elemento, meno universalmente riconosciuto che consiste precisamente nell‟ambiente di formazione del Vangelo di Gv che egli indica nell‟ambiente delle sette giudaiche, in quell‟ambiente giudaico, cioè, così estremamente variegato che non può essere affatto ricondotto al giudaismo successivo, il cosiddetto giudaismo rabbinico, il quale ha fornito il modello per parlare di un “giudaismo normale” rispetto al quale considerare tutti gli altri tipi di giudaismo. Si pensi che nella discussione attuale (cfr. Boccaccini), si evita persino di parlare di “giudaismo”, alcuni preferiscono parlare di “giudaismi” al plurale. In questo caso la formazione dell‟evangelo di Giovanni sarebbe da vedere esattamente come formazione di uno dei rivoli giudaici, eterodossi... Non è una tesi condivisa da tutti. Anzi, in generale si tiene presente un altro punto di osservazione che è quello di fine di I secolo, quando ormai la separazione chiesasinagoga poteva consentire di parlare di un cristianesimo e di un giudaismo, in conflitto ormai tra loro... Assumiamo dunque un punto di partenza che poi potrà essere esso stesso sottoposto a verifica critica nel corso dello studio. Bisogna essere chiari in tale proposito. Innanzitutto il Vangelo di Giovanni, opera che giunge alla sua fase conclusiva passando attraverso più mani, nasce in un contesto di polemica con i giudei. Se i sinottici rappresentano molto meglio la situazione storica creata dalla nuova realtà del gideo-cristianesimo (da una parte nel rapporto con gli altri giudei, dall‟altra con l‟apertura ai gentili), e se i conflitti possono essere con relativa semplicità ricondotti a tale contesto, l‟impostazione di Giovanni appare già alquanto differente: si distingue qui nettamente tra i cristiani (giudeo-cristiani ed etnico-cristiani) e “i giudei”. Un problema storico si presenta allorché si tenta un approfondimento del peso della presenza dei giudeo-cristiani e della problematica del loro rapporto con gli etnico-cristiani, il grande 6
GRECH P., La comunità giovanea nei cc. 7 e 8 del Vangelo di Giovanni, in Ricerche Storico Bibliche 2(1991) 59-68.
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problema della chiesa delle origini, come testimoniato dal libro degli Atti e come è peraltro facile immaginare (anche dalle lettere paoline, come dalla lettera di Giacomo ecc.). Partiamo dal dato piuttosto comune secondo cui il Vangelo di Giovanni, nella sua forma attuale si è formato intorno alla fine del I secolo7. Questo, peraltro, non esclude che siano esistiti stadi precedenti e fonti di data anteriore8. In accordo con Schnackenburg diciamo pure chiaramente che la cristologia principale e dominante del Vangelo è da considerarsi come forma finale di una riflessione che è ormai storicamente lontana dai fatti storici della vita-morte(-risurrezione) di Gesù. Le origini del Vangelo di Gv vanno ricercate nell’ambito del cosiddetto giudaismo eterodosso. In questo contesto (peraltro problematico per la definizione di ortodosso-eterosso), l’espressione giovannea oi „Ioudaioi è il nome dato al potente partito che trasse vantaggio dal disordine successivo alla caduta di Gerusalemme nel 70 d.C. e che gradualmente assunse il potere sulla popolazione ebraica. Questo partito, che non può essere assolutamente identificato con i farisei, pose le fondamenta di ciò che noi conosciamo come giudaismo. Se i Farisei ebbero un ruolo in ciò, come sicuramente accadde, saranno stati preoccupati di liberarsi dalle posizioni isolazioniste e certamente settarie del loro nome: quale migliore opportunità avrebbero mai avuto per avanzare la loro pretesa di essere i veri discendenti di Abramo? Si sarebbe verificata, dopo la distruzione del tempio del 70, un’alleanza tra farisei e sommi sacerdoti per stabilire la loro autorità sul popolo e trarre il maggior vantaggio possibile dalla frammentazione della popolazione che deve aver seguito il trionfo romano. Nel tentativo di reprimere opinioni che ritenevano sovversive sarebbero entrati in conflitto con il gruppo giovanneo: insomma, né tutti né alcuni dei molti dissidenti giudei, ma coloro che ancora una volta, dopo il 70 riunivano le fila del potere nelle loro mani. Bornhauser li descrisse nel 1929, come “i fanatici della Torah”. L’unico chiaro sinonimo di oi „Ioudaioi nel IV Vangelo è “i sommi sacerdoti e i farisei”, non solamente “i farisei”. Le loro tradizioni, nel tardo I sec. d.C. saranno alla base di un nuovo giudaismo. Alle stesse ragioni conflittuali, si riferisce Smith Dwight Moody9, (debitore anch’egli di Bultmann, Martyn, R.Brown, ...): nel vangelo di Gv assistiamo ad una fase critica nei rapporti tra giudaismo e cristianesimo. Effettivamente possiamo individuare qui un punto in cui quelle che ora consideriamo come due religioni distinte cominciarono a costituirsi, proprio a proposito del problema del ruolo assegnato o negato a Gesù e delle conseguenze implicate da diverse dichiarazioni di fedeltà a Gesù per la vecchia comunità e per quella nuova che proprio ora si va formando (p. 25)... Questa scissione che si trova alla radice del cristianesimo per sé, o molto vicino ad essa, ha avuto importanti conseguenze per la teologia cristiana, rappresentata dal IV Vangelo in modo più chiaro di qualsiasi altro scritto neotestamentario. Uno degli studiosi che hanno contribuito significativamente agli studi giovannei negli ultimi anni è Martin Hengel. Si ricorderà il suo studio su “Figlio di Dio” che ha contestato in maniera chiara ed efficace la derivazione del titolo da un contesto ellenistico, all’interno di quelle concezioni sincretistiche del cristianesimo delle origini, riconducendo invece il titolo al contesto giudaico. Un’altra fondamentale opera di quest’autore, oggi disponibile anche in italiano, è “Giudaismo ed ellenismo”. Lo sfondo del quarto vangelo è molto più variegato di quanto si pensasse. In generale gli studiosi concordano nel vedere la comunità giovannea impegnata in un’aspra controversia con “i giudei”, i veri nemici della comunità (Thyen; Martyn; Von Walde; Triling; Ashton). Per questo motivo Klaus Wengst poneva la comunità giovannea e il quarto vangelo, nella comunità della Traconitide e della Batanea, territorio governato dal re Agrippa II qualche anno prima del 90, 7
Cfr. HENGEL, La questione giovannea....... Cfr. SCHANCKENBURG, La persona di Gesù Cristo... p.316. 9 MOODY SMITH D., La teologia del Vangelo di Giovanni, Paideia, Brescia 1998. 8
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poiché in quella regione, negli anni dopo il 70, il giudaismo, ripresosi e rafforzatosi sotto la spinta dei farisei, avrebbe avuto la possibilità di giustiziare dei cristiani (si basa su Gv 16, 2: aposynagogos, + 9,22 +12,41, e in connessione con la maledizione degli “eretici” nella preghiera delle “diciotto benedizioni” Shemoneh Esreh)10 Ma l’espulsione iniziò già prima di Paolo, con il martirio di S.Stefano (At 6-8), come un lungo processo; gli ellenisti di At 6-8 sono stati espulsi da Gerusalemme (aposynagogoi) dai membri delle sinagoghe locali di lingua greca At 8,[1]Saulo era fra coloro che approvarono la sua uccisione. In quel giorno scoppiò una violenta persecuzione contro la Chiesa di Gerusalemme e tutti, ad eccezione degli apostoli, furono dispersi nelle regioni della Giudea e della Samarìa. [2]Persone pie seppellirono Stefano e fecero un grande lutto per lui. [3]Saulo intanto infuriava contro la Chiesa ed entrando nelle case prendeva uomini e donne e li faceva mettere in prigione. [4]Quelli però che erano stati dispersi andavano per il paese e diffondevano la parola di Dio. Cfr. la fondazione delle comunità missionarie di Paolo; la flagellazione inferta a Pietro 5 volte; le violente controversie 2Cor 11,24; inoltre già Erode aveva provocato lesioni fisiche a molti cristiani intorno al 43 d.C. At 12,1. E 1Tess 2,14 parla di persecuzioni ricorrenti. Forse la situazione migliorò tra il 43 e il 48 quando la leadership fu assunta da Giacomo, fratello del Signore. Tuttavia egli stesso fu lapidato nel 62 d.C. insieme ad altri capi giudei con l’accusa di avere infranto la legge...cfr Gv 16,2. Il fatto fu poi seguito dalla fuga della comunità a Pella. La Birkat hamminim, di cui non conosciamo la data esatta, è stato dunque solo l’ultimo atto di questo lungo processo. Si rivolgeva non solo contro i giudeo-cristiani, ma contro tutte le eresie giudaiche. Secondo il testo ritrovato nella geniza del Cairo, la dodicesima preghiera direbbe: «... e i nazareni (= i cristiani) e gli eretici (minim) periscano in un attimo e siano cancellati dal libro della vita, e non siano iscritti con i giusti...»11. L’aggiunta dei nosrim tuttavia sembra essere tardiva. Per i Cristiani provenienti dal paganesimo, naturalmente la maledizione non aveva alcun significato. Conclude dunque M.Hengel (p.279): «Che il Quarto Vangelo abbia avuto origine nell’ambito territoriale di Agrippa II e che la scuola giovannea abbia svolto lì la sua attività è del tutto improbabile. Non vi è traccia di tale contesto nel IV Vangelo. Invece i giudei dell’Asia minore rimasero relativamente immuni dalle conseguenze negative della guerra giudaica ed esercitarono una grande influenza in particolari città. Si tratta di una Diaspora risalente al periodo persiano, che conservò particolari privilegi concessi dai romani. Per esempio Sardi: una grande sinagoga al centro della città e i suoi membri partecipavano al consiglio cittadino... In questo contesto si capisce molto bene come ci fossero lamentele da parte giudaica contro i cristiani che dovevano costituire un gruppo missionario molto attivo; i giudei dovettero vedere nel loro spirito missionario entusiastico e nella loro dottrina escatologica, un pericoloso concorrente che avrebbe potuto, tra l’altro, screditarli agli occhi degli organi statali». Cfr. Il Martirio di Policarpo: persecuzione contro i Cristiani in Asia minore alla quale parteciparono, secondo un comportamento abituale, anche i giudei: essi sono i più attivi nell’aizzare la popolazione di Smirne contro i cristiani; Tertulliano definisce le sinagoghe come “fonti di persecuzione” (Scorp. 10,10); il Martirio di Pionio testimonia un grande odio, insulti e attacchi; tra la fine del I e l’inizio del II secolo i giudei appaiono in condizioni più favorevoli rispetto ai cristiani, fino al IV secolo.
10
WENGST K., Bedrängte Gemeinde und verherrlichter Christus. Der historiche Ort des Johannesevangeliums als Schlüssel zu seiner Interpretation, Neukirchen 1981, nuova edizione 1990. 11 Cfr SCHAGE, GLNT XIII, 141 s.
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JOSSA12 sostiene che «È difficile tuttavia valutare il peso che hanno avuto i giudei nelle persecuzioni contro i cristiani». Jossa parla piuttosto, senza arrivare alle posizioni più radicali di Harnak, di un odio teologico che alimenta, più della realtà storica, le contrapposizioni e le persecuzioni di cui ci danno testimonianza Giustino, Melitone e altri scrittori cristiani antichi...). Questi giudei dell’Asia minore, secondo Hengel, a differenza di quelli di Siria, Palestina, Egitto, non avevano subìto limitazioni dalla catastrofe della prima guerra giudaica del 66-70. Così Gv 16,2 «Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, verrà l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio» non necessariamente si riferisce a una violenta e sanguinaria persecuzione da parte dell’autorità giudaica dell’epoca dell’evangelista, ma intende descrivere la situazione della comunità post-pasquale in generale: nell’ottica dell’evangelista le persecuzioni da parte dei giudei furono “fin dall’inizio” in Giudea e nella provincia dell’Asia. Al tempo stesso, tuttavia, non è da dimenticare che l’aspra controversia fra Gesù e i Giudei nel IV Vangelo non può essere ridotta ad un semplice riflesso degli attacchi degli oppositori giudei del tempo ai cristiani delle comunità giovannee. La comunità giovannea e lo sviluppo del IV Vangelo (e dell’opera giovannea) Un pioniere nel lavoro di descrizione della comunità giovannea e delle sue diverse fasi di sviluppo, è lo studioso americano J.Louis Martyn, già citato. Accennando sinteticamente alla sua ricostruzione, si può distinguere: primo periodo, prima del fatidico anno 70, in cui i cristiani della comunità giovannea sono in effetti giudeocristiani, giudei che hanno accolto Gesù come l‟atteso Messia (1,35-49; 2,11; 4,53); secondo periodo: anni 80-90 caratterizzato dall‟allontanamento dalle sinagoghe e dalle persecuzioni proprio da parte dei giudei (9; 5,18; 10,28s.; 15,18); terzo periodo: dopo il 90, in seguito al Sinodo di Jamnia, in cui la comunità giovannea assume la sua peculiare identità non solo nei confronti del giudaismo farisaico, ma anche nei confronti degli altri gruppi cristiani e nei confronti della loro cristologia più bassa. A questo punto sembra opportuno dedicare la giusta attenzione alla ricostruzione della comunità giovannea fatta dal noto esegeta cattolico R.E.BROWN13, autore, tra l‟altro, di un notevole commentario al IV Vangelo. Non tutto ciò che dice è da condividere, ma certo fornisce un quadro interessante, diciamo pure un‟ipotesi affascinante su come si sia sviluppato il Vangelo di Giovanni e le lettere, in connessione con le fasi storiche della comunità giovannea dalle sue origini alle sue divisioni fino alla sua “normalizzazione”. Egli divide il tempo di formazione degli scritti giovannei in quattro fasi. Qui ci limiteremo a parlare un po‟ più diffusamente della prima fase, che l‟autore definisce “delle origini”, affidando la parte restante alla Tavola descrittiva che Brown stesso fornisce a p. 196s. del testo citato. Per la prima fase si distingue in un primo e secondo periodo. La comunità giovannea nasce come comunità di giudei la cui fede comporta una cristologia relativamente bassa. Per cristologia relativamente bassa si intende qui la cristologia che nasce dall‟applicazione a Gesù dei titoli derivati dall‟AT o da quelli che derivano dalle attese intertestamentarie 14, titoli che non implicano di per sé la nozione cristiana di figliolanza divina (= divinità di Gesù). Così quando troveremo alcune espressioni che si riferiscono a una cristologia “alta”, della preesistenza, della divinità ecc. potremo presumere che essi fanno già parte di una riflessione più avanzata in cui Gv interpreta alcune espressioni precedenti in un senso più alto. Così accade per la testimonianza del Battista: [1.15] Giovanni gli rende testimonianza e grida: «Ecco l‟uomo di cui io dissi: 12
JOSSA G., Il cristianesimo Antico. Dalle origini al Concilio di Nicea, Carocci, Roma 21998, 143. BROWN R.E., La comunità del discepolo prediletto, Cittadella, Assisi 1982 (orig. New York 1979). 14 Cfr. BROWN, La comunità... p. 24. 13
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Colui che viene dopo di me mi è passato avanti, perché era prima di me». [1.30] Ecco colui del quale io dissi: Dopo di me viene un uomo che mi è passato avanti, perché era prima di me. testimonianza non “inventata” da Gv, ma riportata già con l‟ interpretazione giovannea di quanto Giovanni Bt aveva detto di Gesù, alla luce di una più alta cristologia (II fase). Nella prima parte del Vangelo, i miracoli non sono così diversi dalle descrizioni sinottiche di miracoli. È chiaro che già nei racconti apostolici all‟indomani della risurrezione, dunque già nei vangeli sinottici, le testimonianze e i ricordi sulle azioni e le parole di Gesù vengono riletti alla luce dell‟evento della risurrezione e della fede dei testimoni. Tale interpretazione continua nella vita cristiana e Giovanni ne testimonia lo sviluppo originale già a partire da quella che Brown chiama la prima fase. Ciò che veramente rende diversi gli stessi racconti di miracolo, in Giovanni, sono le interpretazioni, le parti teologico - interpretative che conferiscono al vangelo quella sua peculiare cristologia alta. Insomma per l‟evangelista, la cristologia più alta che si è sviluppata in seno alla sua comunità è nient‟altro che l‟interpretazione corretta di quanto già dicevano le originarie confessioni su Gesù come Messia... «L‟autore della prima lettera sottolineerà che quello che egli sta proclamando al tempo suo è ciò che era “fin dal principio” (1Gv 1, 1-2)»15. Tra l‟altro proprio a Giovanni Battista e ai suoi discepoli, che risulta frequentassero la zona dove sorgeva la comunità di Qumran, Brown attribuisce l‟introduzione di idee tipiche della comunità essena che si trovano anche in Giovanni (il dualismo luce/tenebra, verità/falsità; ...), e non invece a un contatto diretto tra l‟evangelista e Qumran. La figura del Discepolo prediletto, certamente idealizzata, ma non inventata, è quella che servirà da autenticazione alle idee giovannee (in particolare cristologia ed ecclesiologia) di fronte alle altre comunità cristiane (per questo si sottolinea che il Discepolo prediletto arrivò per primo alla tomba vuota). Il Discepolo prediletto, che fonda autoritativamente la testimonianza del IV Vangelo come testimonianza di tipo apostolico, è l‟innominato discepolo di 1,35-40: «[35] Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli ...[40] Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro» il secondo, sarebbe appunto il discepolo prediletto, con Gesù fin dal principio, ma non ancora definito come “il discepolo che Gesù amava” (13,23-27; 19,25-27; 20,2-10; 21,1-14.20-24) poiché non è ancora giunto a comprendere pienamente Gesù (13,1). Concordano, grosso modo, Culpepper16 e Schnackenburg17. Sulla domanda se sia storicamente plausibile che il discepolo che Gesù amava sia il “garante” della tradizione giovannea,18 mi limito ad osservare, sinteticamente, che la risposta dell‟autore è positiva. Dunque un discepolo di Gesù sin dal principio, benché non appartenesse al gruppo dei dodici. La tradizione cristiana successiva tende a identificarlo con Giovanni figlio di Zebedeo, proprio per assegnare al discepolo prediletto il ruolo di testimone e semplificare la concezione delle origini riportandolo nel numero dei dodici. Per Brown, diversamente da Cullmann, non si identifica, tuttavia, con l‟evangelista (cfr. p. 36, nota 49).19 Il secondo periodo della comunità giovannea è caratterizzato, dal punto di vista storico, dall‟ingresso di un gruppo di samaritani che determina l‟acutizzarsi delle difficoltà con “i giudei”, 15
Cfr. BROWN, La comunità... p. 29 nota 38. CULPEPPER , Johannine School, 265, nota 9 17 SCHNACKENBURG R., Il Vangelo di Giovanni, III, 449ss. 18 Cfr. SEGALLA G., «Il discepolo che Gesù amava» e la tradizione giovannea, in Ricerche Storico Bibliche 2(1991)1136. 19 È diffusa oggi l‟opinione che l‟identificazione dell‟autore del IV Vangelo con Giovanni figlio di Zebedeo, derivi dallo scambio di persone con il “presbitero Giovanni” di cui parla Papia (Eusebio, Hist. eccl. 3,39,3 s. ovvero si tratti di un offuscamento della tradizione che rimandava al presbitero Giovanni. Sulla questione cfr. SCHNACKENBURG, Il Vangelo di Giovanni, I, 72-92. 16
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fino alla vera e propria rottura. È in questa fase che le affermazioni cristologiche vanno decisamente oltre quanto si poteva attendere un giudeo che giungesse a riconoscere Gesù come il messia atteso. È pure a questa fase che dobbiamo attribuire l‟accentuazione della distanza di Gesù dalle istituzioni giudaiche, fino a giungere a una vera e propria “sostituzione” del nuovo rispetto a ciò che viene ora giudicato come “vecchio”. Tutto ciò tocca diverse prospettive, non ultima quella della cosiddetta teologia della sostituzione che si svilupperà poi nella teologia cristiana rispetto alla sua origine ebraica. In Giovanni la prospettiva più antica, vicina a quella sinottica, di un compimento delle attese in Gesù in linea con una fondamentale continuità tra giudaismo e cristianesimo, coesiste talvolta con la prospettiva nuova, frutto dei cambiamenti originati dalla condizione storica della comunità. Provando ad andare con ordine, e rinviando al volume di Brown più volte citato, bisogna considerare innanzitutto il fatto storico, contestuale, che fu all‟origine di uno sviluppo originale della cristologia “alta” del IV Vangelo. Dall‟ipotesi storica si potrà passare, come verifica, alle questioni rappresentate dai testi giovannei. Il Brown osserva che i capitoli 2-3, benché portatori già della “reinterpretazione” giovannea dei fatti (basti pensare, tra l‟altro, al fatto che l‟episodio della purificazione del tempio viene anticipato da Gv nel capitolo 2 rispetto alla più verosimile collocazione sinottica) benché già manifestino una interpretazione a partire dalla cristologia giovannea “alta”, non si discostano tuttavia da un tipo di narrazione sinottica. Brown riconduce, in particolare, gli episodi narrati da Giovanni a “paralleli” sinottici, benché non corrispondenti nel dettaglio. Ma ciò che veramente interessa e pone una quantità di questioni è il capitolo IV, l‟incontro con la donna samaritana e la conversione di samaritani. E l‟osservazione che subito dopo questo capitolo IV ci si trovi davanti all‟esplosione della più alta cristologia giovannea in aperto e pieno conflitto con “i giudei” che gli rivolgono l‟accusa di farsi uguale a Dio (5,16-18). Il Brown vede qui il chiaro riflesso dell‟ingresso, in seno alla comunità giovannea, di un secondo gruppo di cristiani. Il primo, il nucleo più antico dei discepoli di Gesù è rimasto, fino al cap. IV, quello di cui si parla in 1,35-51, i discepoli di Giovanni Battista: [1.35] Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli [1.36] e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l‟agnello di Dio!». [1.37] E i due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù..... Il secondo gruppo, invece, è composto giudei con una posizione particolare contro il tempio i quali, «dopo aver convertito dei samaritani, fecero propri alcuni elementi del pensiero samaritano, compresa una cristologia che non era imperniata sul Messia davidico» 20. È questo secondo gruppo che farà da catalizzatore nello sviluppo della teologia ed in particolare della cristologia giovannea. Non entra in conflitto con il primo gruppo ma si aggiunge ad esso e genera l‟ostilità accesa dei capi della Sinagoga. Il riflesso della situazione che riguarda la comunità giovannea, si ha nella narrazione dell‟incontro con la Samaritana. In particolare Brown osserva che - dopo tale narrazione il Vangelo concentra la sua attenzione sul rifiuto di Gesù da parte dei “Giudei”; - Gesù afferma sì la sua identità giudaica (4,42), ma predice che Dio sarà adorato né sul Garizim né sul Sion (4,21) contrariamente a quanto ci dicono gli Atti 2,46 e 3,1; - prova ne è che Atti 8,1 parla dell‟ostilità contro gli “ellenisti” mentre si è ancora tolleranti verso gli apostoli; - Il Messia a cui si riferisce la donna samaritana sarebbe da identificare con il Taheb dell‟attesa samaritana (un Messia - profeta, in quanto i samaritani sono esattamente contro l‟attesa di un Messia davidico secondo l‟attesa giudaica) - i samaritani dichiareranno alla fine che [4.42] .... «Non è più per la tua parola che noi crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».
20
cf. BROWN, La comunità... p. 40.
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- il titolo “salvatore del mondo” rimane un riflesso di questa fede non più espressa con le categorie giudaiche. I cristiani della comunità giovannea, espulsi dalle loro sinagoghe, non vollero più considerarsi “giudei”; è per questo che se ne parla spesso nel IV Vangelo, già sulla bocca di Gesù, come di avversari, come di un‟altra religione, anticipando ciò che in realtà accadrà più tardi. Un segnale importante di questa separazione che lascia una forte impronta nel IV Vangelo, mi pare sia l‟uso di “legge” nelle dispute giovannee tra Gesù e i giudei. Nelle parole di Gesù troviamo l‟espressione “la vostra Legge”, un fatto che segnala, senza dubbio, visto che si è ampiamento riconosciuta l‟origine giudaica di Gesù, una contrapposizione che vede ormai nei “giudei” gli altri, e nella Legge mosaica “la loro o vostra Legge”. Ancora alla fase pre-evangelica, prima fase, secondo la ricostruzione proposta da R.E.Brown, viene ricondotto l‟ingresso di Gentili nella comunità. Ciò si evince dal fatto che Giovanni si soffermi a spiegare termini come “Messia” e “Rabbi”, che non avrebbe dovuto certamente spiegare ad ascoltatori ebrei. L‟apertura ai gentili va ricondotta al tempo in cui i cristiani giovannei, di provenienza giudaica, furono estromessi dalle sinagoghe, non furono ritenuti né si ritennero più giudei. Avendo già compiuto un passo decisivo fuori dal giudaismo, con l‟accoglienza dei samaritani, l‟entrata di Gentili non comportò il “conflitto” che alcuni ipotizzano nell‟eventualità che tale ingresso si fosse realmente verificato. Brown sostiene, dunque, che durante tutta la storia preevangelica, si sono combinate diverse “anime”, quella giudaica, quella samaritana e quella pagana, senza suscitare realmente conflitti all‟interno della comunità giovannea, cosa che invece si verificherà dopo, come registrano le lettere. Il “Noi” del IV Vangelo, rappresenta invece l‟unità che caratterizzò la comunità giovannea della prima fase.
Per completezza riporto lo schema complessivo sulla storia della comunità giovannea secondo Brown (in realtà ci interessano particolarmente le prime due fasi): Prima Fase: le origini (dalla metà degli anni 50 agli anni 80 avanzati) Gruppo d‟origine: In Palestina o vicino alla Palestina, ebrei dalle attese relativamente diffuse, comprendenti seguaci di GBat., accettarono senza difficoltà Gesù come il Messia davidico, il realizzatore delle profezie, colui che i miracoli confermavano. In seno a questo gruppo c‟era un uomo che aveva conosciuto Gesù durante il ministero e che sarebbe divenuto il Disceplolo prediletto. Secondo Gruppo: Ebrei con tendenze contrarie al Tempio che credevano in Gesù e fecero proseliti in Samaria. Essi interpretarono Gesù più su uno sfondo culturale mosaico che davidico. Egli era stato con Dio, Lo aveva visto, e aveva recato sulla terra se Sue parole al popolo. L‟accettazione del secondo Gruppo fece da catalizzatore allo sviluppo di una cristologia alta, della preesistenza, la quale portò a dei dibattiti con gli ebrei che pensavano che la comunità giovannea stesse abbandonando il monoteismo giudaico facendo di Gesù un secondo Dio. alla fine i capi di questi ebrei fecero espellere i cristiani giovannei dalle sinagoghe. Questi ultimi, separati dai loro, videro «i giudei» come i figli del demonio. Essi accentuarono la realizzazione in Gesù delle promesse escatologiche per controbilanciare quello che avevano perduto nel giudaismo. Il Discepolo operò questa transizione e aiutò gli altri a compierla, divenendo così il Discepolo prediletto.
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Seconda fase: il vangelo (90 circa) Convertiti Gentili: Siccome «i giudei» furono resi ciechi, la venuta dei greci costituiva il piano di realizzazione di Dio. Può darsi che la comunità dalla Palestina sia passata nella diaspora a insegnare ai greci. Questo contatto sprigionò le possibilità universalistiche insite nel pensiero giovanneo. Però, il rifiuto di altri e la persecuzione da parte de «i giudei» persuasero i cristiani giovannei che il mondo era contrario a Gesù, e che essi non dovevano appartenere a questo mondo che era sotto il potere di satana. Il rifiuto della cristologia alta giovannea da parte dei giudeocristiani fu visto come una mancanza di fede e portò alla rottura della comunione (Koinonia). Le relazioni rimasero aperte con i cristiani apostolici con speranze di unità, malgrado le differenze di cristologia e di struttura ecclesiale. Il fatto di concentrare tutta l‟attenzione sulla difesa della cristologia di fronte a «i giudei» e ai giudeocristiani condusse a una divisione in seno alla comunità giovannea. Terza fase: le lettere (100 circa) I seguaci dell‟autore delle lettere: per essere figlio di Dio bisognava confessare Gesù venuto nella carne e osservare i suoi comandamenti. I secessionisti sono i figli del diavolo e gli anticristi. L‟unzione con lo Spirito rimedia alla necessità dei maestri umani; esaminare chiunque affermi di avere lo Spirito.
I secessionisti: Colui che è disceso dall‟alto è così divino da non essere pienamente umano; egli non appartiene al mondo. Né la sua vita sulla terra né quella del credente hanno un‟importanza salvifica. Quello che solo importa è conoscere che il Figlio di Dio è venuto nel mondo, e coloro che credono in ciò sono già salvi.
Quarta fase: dopo le lettere (2° secolo) Unione con la grande chiesa: incapaci di combattere i secessionisti appellandosi semplicemente alla tradizione, e perdendo terreno di fronte ai propri avversari, alcuni tra i seguaci dell‟autore riconobbero la necessità di maestri ufficialmi rivestiti di autorità (presbiteri-vescovi). Allo stesso tempo «la chiesa cattolica» si dimostrò aperta alla cristologia alta giovannea. Ci fu un graduale amalgama con la grande chiesa che, però, andò piano ad accettare il quarto Vangelo dal momento che gli gnostici facevano di esso un cattivo uso.
Verso lo gnosticismo: la maggior parte della comunità giovannea sembra che accettasse la teologia secessionista la quale, separata a causa dello scisma dal pensiero moderato, avanzerà verso un vero e proprio docetismo (da un Gesù pienamente umano a una pura apparenza di umanità), verso lo gnosticismo (da un preesistente Gesù a dei preesistenti credenti i quali discendono anch‟essi dalle regioni celesti), e verso il montanismo (dal possedere il Paraclito all‟incarnare il Paraclito). Essi portarono con sé il quarto Vangelo che fu presto accettato dagli gnostici che lo commentarono.
Non si nasconde che il quadro complessivo che emerge dalla ricostruzione di Brown è affascinante, convincente, eppure dà molto il senso di una situazione da manuale: nel primo tempo si crea comunione tra gruppi estremamente eterogenei, nel secondo la frattura, le lettere (terzo periodo) rispondono ai problemi...
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Aggiungiamo che anche per il noto esegeta tedesco Oscar Cullmann il gruppo giovanneo si sarebbe ampliato “in seguito all‟ammissione di samaritani convertiti”.21 Sulla questione dei “giudei” nel IV Vangelo e della separazione della comunità cristiana giovannea dalla sinagoga si è espresso indirettamente G.JOSSA, Giudei o cristiani?, Paideia Brescia 2004. Lo storico del cristianesimo antico, docente presso l‟università federiciana di Napoli, sostiene non senza qualche punta polemica contro gli esegeti neotestamentari che darebbero troppa importanza alla birkat ha-minim e al sinodo di Jamnia, che una coscienza della separazione del cristianesimo del giudaismo, la nascita del cristianesimo come nuova identità religiosa non deve essere spinta troppo in avanti, e polemizza proprio con posizioni come quella di Martyn e di Brown. Le sue considerazioni su Giovanni seguono le precisazioni su Paolo e sulla situazione della Grecia e dell‟Asia minore dove già dagli anni 50 le comunità cristiane dovevano apparire come distinte dalle comunità giudaiche e il cristianesimo non si presentava più come una setta interna al giudaismo. A Davies, che si schiera a favore di una tardiva coscienza identitaria cristiana a partire da Mt, corrisponde Martyn per il vangelo di Gv: Gv 9,22 con la decisione di cacciare i cristiani dalle sinagoghe testimonia un accordo formale o una decisione raggiunta da un gruppo giudaico autoritativo in un momento precedente la redazione giovannea e intesa alla separazione. Nei giudei di 9,22 sono ravvisabili i saggi di Jamnia che avrebbero deciso di espellere i giudeocristiani dalla sinagoga (verso l‟85) mentre la redazione finale di Gv è della fine del I sec. e presenta una contrapposizione ormai netta tra giudei e cristiani. Nella presentazione dei tre periodi di Martyn il cristianesimo si presenta a lungo come “giudeocristianesimo” se non addirittura come giudaismo cristiano. A tale proposito Jossa precisa l‟uso linguistico per evitare confusioni: i cristiani che provengono dal giudaismo rappresentano il cristianesimo giudaico, come quelli che provengono dal paganesimo sono il cristianesimo gentile (è bene per tali gruppi non utilizzare le espressioni equivoche di giudeocristiani e paganocristiani) cf. p. 153. Giudeocristiani sono invece coloro che hanno riconosciuto in Gesù il Signore e Messia ma vogliono conservare la propria identità giudaica e continuano in particolare ad osservare la legge (Paolo perciò era un giudeo cristiano ma non un giudeocristiano). Dagli anni 40 è giudeocristiano il gruppo di Giacomo (non necessariamente tutta la chiesa di Gerusalemme) e a partire dal 50 la parte più significativa della chiesa di Gerusalemme. Dopo il 70 è giudeocristiano anche il gruppo dei nazorei. I Vangeli di Mt e di Gv testimoniano una rottura con il giudeocristianesimo avvenuta da poco, cosa che dimostrerebbe che fino alla redazione dei due Vangeli le loro comunità non sarebbero state altro se non gruppi all‟interno del giudaismo. Per Jossa è difficile accogliere questa posizione: «… checché ne pensi Martyn la minaccia di esclusione dalla sinagoga della comunità di Gv, motivata com‟è con il riconoscimento di Gesù di Nazareth come Messia, risale più probabilmente ad un momento precedente la guerra del 70, quando il problema era ceramente acuto, che non all‟introduzione della birkat ha-minim verso l‟85, quando i problemi principali erano problemi di disciplina» p. 163. Qui Jossa condivide Senberger: certo Jamnia c‟entra, ma non è il problema principale né si può ricondurre alla birkat ha-minim il momento della rottura fra giudei e cristiani. Gli eventi importanti a cui Jossa riconduce l‟attenzione sono la condanna del fratello di Gesù, Giacomo, nel 62 e lo scoppio della guerra giudaica nel 66. Al primo episodio è Giuseppe Flavio ad attribuirvi molta importanza ed è comprensibile: i giudeocristiani osservano la legge, sono per l‟elezione di Israele, non possono fare a meno della propria identità giudaica. La condanna di Giacomo rappresenta perciò un fatto di grande rilievo: in un mondo minacciato da una guerra contro i romani per l‟esistenza di fermenti di tipo messianico si cerca di eliminare qualunque fermento dalla nazione, perciò sin da ora, e non con il 135, la comunità cristiana verrà isolata. Naturalmente si ipotizza l‟origine palestinese di Mt e Gv. È probabile che entrambe le comunità, dopo aver costituito per un certo tempo un orientamento nuovo all‟interno del giudaismo palestinese, dopo la condanna di 21
CULLMANN O., Origine e ambiente dell‟evangelo secondo Giovanni, Marietti, Torino 1976, 77.
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Giacomo e lo scoppio della rivolta si siano staccate dalla comunità palestinese e abbandonato la terra di Israele. Quindi la coscienza di formare un gruppo distinto, anzi una entità religiosa a se stante rispetto al giudaismo è più antica di quanto facciano pensare le scansioni di Martyn, Brown e, soprattutto, Pesce.
Formazione e struttura del IV Vangelo Le introduzioni ambientali sulla storia, la geografia, condizionamenti culturali dell‟ambiente giovanneo, insieme alle ipotesi sul tipo di comunità che sottostà al IV Vangelo, servono ovviamente come ipotesi di lavoro. Una visione di insieme, sistematica e completa sarebbe possibile solo assumendo una di quelle ipotesi precedentemente illustrate come vera. Nel nostro corso le consideriamo, appunto, ipotesi di lavoro che dovranno essere verificate nel corso dello studio esegetico del Vangelo. Si crea una sorta di circolo poiché se è vero che sull‟ipotesi di un determinato sfondo storico e comunitario le pericopi giovannee vengono interpretate in un certo modo, è anche vero che per una loro comprensione iniziale bisogna partire da un quadro di riferimento… Prima però di passare allo studio della singola pericope bisogna dare uno sguardo di insieme al Vangelo in quanto opera che si presenta a noi, al di là della sua origine, come opera completa che come tale chiede di essere letta e interpretata. Proprio in relazione al Vangelo di Giovanni è noto come da parte di tanti studiosi, fino ai nostri giorni, siano state proposte diverse ipotesi di composizione attraverso diverse fasi, per dar ragione dell‟attuale opera che, evidentemente, appare non geneticamente unitaria, ma frutto di un lavoro di successivi inserimenti e ritocchi. È possibile allora parlare di una struttura dell‟opera così come oggi ci perviene? Per molti il problema non si pone poiché è a partire dalla sua redazione finale che inizia il nostro compito, quello cioè di comprenderla nel suo insieme. Vengono così avanzate diverse proposte di strutturazione del Vangelo nella sua sistemazione finale, a seconda che si assuma un criterio (per esempio spazio-temporale) piuttosto che un altro (per esempio tematico). A queste proposte se ne affianca recentemente un‟altra che esamina il Vangelo come narrazione e la analizza con il sistema proprio dell‟analisi narrativa, rispondendo alle domande di quale sia il filo narrativo, l‟intreccio, lo sviluppo del dramma, attraverso quali parametri stilistici… quali siano i “personaggi” e la loro funzione nell‟insieme narrativo… insomma né più né meno che quanto si fa per un romanzo o per un film analizzato con la stessa metodologia narrativa. Sia l‟osservazione della struttura letteraria del Vangelo, che l‟analisi narrativa, si propongono comunque come strumenti per una visione d‟insieme del vangelo che aiuti a dare senso alle sue diverse parti considerate non come giustapposte l‟una all‟altra ma, come sono, parti di un insieme che si presenta oggi a noi (ma già da diversi secoli!) come un unico racconto.
LA FORMAZIONE LETTERARIA DEL IV VANGELO Un Vangelo composito L‟osservazione comune del IV Vangelo porta a pensare ad una composizione complessa: 20,30-31 epilogo del capitolo 20° originariamente conclusivo; il cap. 21, in cui la prima persona plurale (comunità?) si alterna alla prima singolare (redattore?) presenta un nuovo epilogo (21,24-25)
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14,30-31 sembra la conclusione del discorso di Gesù in occasione dell‟ultima cena ma il discorso si prolunga per altri tre capitoli; solo in 18,1 si da seguito all‟espressione di Gesù “andiamo via di qui”… Inoltre in 16,5 Gesù fa notare che non gli hanno chiesto dove sta per andare, mentre in 13,36 glielo aveva già chiesto Pietro! Nei capitoli 15 e 16 vengono ripresi alcuni brani sulla diaconia dello Spirito Santo di cui si era già parlato in 14. Qualcuno ha ipotizzato che i capitoli 15 e 16 (ma anche il 17) siano stati aggiunti in un secondo momento dal redattore (forse lo stesso del cap. 21) nella successione dei capitoli 4-7 vi è qualche incongruenza: 6,1 suppone Gesù in Galilea mentre in 5 era a Gerusalemme. Allo stesso modo incongruente sembra il riferimento di 7,1 di Gesù che se ne andava per la Galilea, dove in realtà già si trovava secondo il cap. 6. Così alcuni propongono lo spostamento dei capitoli nella successione 4-6-5-7-8 (cfr. Wickenhauser, Shnackemburg…..). Scambio di fogli? Inserimento del cap. 6 da parte del redattore del cap. 21? Il problema del prologo: alcuni termini (lògos, chàris, pleroma) compaiono solo qui; appare già composito al suo stesso interno (Gv Battista vv. 6-8 e 15, anch‟esso inserito dal redattore finale? 12, 44-50 un “sommario” redazionale sull‟insegnamento di Gesù? Anche 3,31-36 sembra essere una raccolta di detti inseriti da un redattore. L‟episodio della donna adultera 7,53-8,11: assente nei manoscritti più antichi! In alcuni manoscritti si trova in Luca… Parentesi che appaiono come aggiunte: per eseòpio 4,2 in riferimento a 3,22 Alcune disarmonie teologiche: l‟escatologia presente di Giovanni convive con brani di natura escatologica 5,28-29; 6,39-40.54… i “segni” da una parte sottolineati (2,11; 20,3031) dall‟altra relativizzati (2,23; 4,48) Per questo motivo di solito gli studiosi che seguono la metodologia storico-critica parlano di più fonti e diverse fasi redazionali (cfr. Brown, Schnackenburg…)
Fonti Bultmann parla di di tre fonti 1. Fonte dei segni o miracoli, parallela alla tradizione sinottica (dalle nozze di Cana all‟epilogo di 20,30s.); greco semplice e molti semitismi 2. Racconto della passione: analogo ma non identico con quello sinottico, con aggiunte proprie di Giovanni 3. Fonte dei discorsi: di stampo gnostico precristiano, proveniente dalla Siria, riletta e adattata da Giovanni Il redattore, secondo Bultmann avrebbe armonizzato e intrecciato le tre fonti assumendo la fonte dei segni come intelaiatura del Vangelo. Un redattore ecclesiastico avrebbe invece aggiunto il cap. 21, i racconti escatologici (5,24-25; 6,39-40) e i sacramenti ( 3,5; 6,51c-58) per assimilare il IV vangelo alla fede ecclesiastica comune. Molte critiche a Bultmann; in particolare C.H. DODD (La tradizione storica del IV Vangelo): nonostante le differenze di superficie bisogna osservare la forte unità letteraria e tematica; il IV Vangelo come testimone di un‟antica tradizione presinottica di origine palestinese. Gv non è semplicemente il grande teologo ma testimone storico.
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Molti studiosi più recenti riprendono parete delle osservazioni degli studiosi precedenti con alcune risistemazioni personali. Interessanti LINDARS secondo il quale Gv avrebbe lavorato su omelie fatte da Gv stesso alla sua comunità in diverse situazioni (litugiche, catechetiche)…
Fasi redazionali Sempre per spiegare l‟aspetto composito del IV Vangelo alcuni studiosi si sono impegnati nel descriverne le fasi redazionali: R. Schnackenburg: tre stadi 4. «tradizione giovannea» risalente allo stesso apostolo Giovanni, autonoma e indipendente dalla tradizione sinottica (ha sostenuto successivamente la paternità non di Giovanni figlio di Zebedeo ma del “discepolo prediletto”, di Gerusalemme, non facente parte della cerchia dei dodici 5. Vangelo scritto opera di un discepolo appartenente alla comunità giovannea che dà alla tradizione precedente la forma di unità letteraria 6. Redazione finale: inserimento di altro materiale giovanneo (cap. 21; 3,13-21; 3,31-36; capitoli 15-17 e altre aggiunte minori) R.E.Brown: cinque stadi 7. tradizione orale di ambiente palestinese prima del 70 d.C., simile alla sinottica ma indipendente. 8. sviluppo della tradizione in senso giovanneo, sotto la direzione dell‟apostolo Giovanni e altri discepoli (come Schnackenburg ritratterà questa identificazione). Nascono le strutture drammatiche dei racconti e alcuni discorsi 9. Primo Vangelo scritto: per un pubblico di lingua greca, con conclusione al cap. 20; autore ne fu Giovanni stesso o un suo discepolo. 10. Seconda edizione greca del Vangelo: inserimento di aggiunte e ritocchi come risposte a sette battiste e giudeo cristiane 11. Edizione definitiva da parte di un autore forse discepolo del primo. Aggiunta del cap. 21; dei capp. 15-17 e di 3,31-36; 6,51-58; 12,44-50 M.E. Boismard: quattro stadi; ricostruzione letteraria insieme alla ricostruzione del contesto storico della comunità giovannea 12. Giovanni I (Documento C): prima redazione completa del vangelo dal Battista alla Risurrezione. Conteneva 5 “segni”. Scritto in Aramaico palestinese (anni ‟50) dal “discepolo prediletto” (Giovanni di Zebedeo o Lazzaro). Cristologia bassa (Gesù “profeta”, o come Mosè o, ancora, come il “Figlio dell‟uomo” danielico) 13. Giovanni II/A: Giovanni il Presbitero (probabilmente) cura una edizione nel 60-65 in Palestina aggiungendo nuovo materiale e parlando del “mondo” in maniera negativa. Al cambiamento di condizione nella comunità giovannea corrisponde una certa opposizione nei confronti de “i giudei”. 14. Giovanni II/B: lo stesso editore di IIA si trasferisce ad Efeso e cura una nuova edizione, in greco, intorno agli anni 90. Si acuisce l‟ostilità giudaica sottolineata nel vangelo attraverso la posizione avversa de “i giudei”. Gesù è presentato come figura preesistente, superiore a Mosè (cristologia alta). In risalto i sacramenti. 15. Giovanni III: riedizione a cura di un giudeocristiano sconosciuto della scuola giovannea di Efeso; inizio del II secolo d.C.
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G. Segalla: tre stadi di sviluppo conseguenti alla migrazione della comunità giovannea da un ambiente giudeo-cristiano (Palestina prima del 66) ad un ambiente ellenistico (Antiochia e poi Efeso) 16. tradizione orale di tipo sinottico, messa per iscritto come promemoria; all‟origine di essa è Giovanni figlio di Zebedeo, il discepolo prediletto. 17. Probabilmente lo stesso apostolo rivede la tradizione e l‟approfondisce in senso cristologico e soteriologico (cristologia alta): prima edizione del Vangelo. 18. Un discepolo del “prediletto” stende una seconda edizione fino a 20,31. Molte altre proposte sono state formulate (cfr. bibliografia), tuttavia si rilevano alcuni elementi comuni di non secondaria importanza: - non si segue una teoria delle fonti di tipo sinottico - viene sempre identificata una personalità particolare (Giovanni figlio di Zebedeo o altri…) alla base della tradizione giovannea - vengono sempre descritte diverse fasi di redazione che spiegano le fratture interne - si afferma nel contempo la sostanziale unità del IV Vangelo - connessione stretta con la comunità giovannea e con gli sviluppi della sua storia Le questioni di tipo storico si moltiplicano nella misura in cui si osserva con maggiore attenzione il testo (dall‟autore, al significato del “noi”, alla predicazione in Samaria…); potranno essere affrontate ricorrendo ai commentari citati; in parte saranno discusse durante lo studio esegetico.
STRUTTURA LETTERARIA e NARRATIVA
Dall‟excursus precedente risultano interessanti ipotesi circa le fasi redazionali dell‟opera, che a parere di tutti ha subito una elaborazione più o meno lunga e più o meno complessa. Tuttavia il IV Vangelo nella sua redazione canonica, così come in realtà lo possediamo, chiede di essere letto come opera unitaria e, si è già detto, i motivi per parlare di opera unitaria non mancano secondo il parere di quegli stessi autori che propongono la distinzione in fasi di composizioni. Qual è il suo messaggio? Come possiamo accostarlo in quanto opera letteraria? Qual è il rapporto tra le parti? C‟è un disegno unitario?… Come per la formazione, così per la struttura sono molte e diversificate le proposte. Ne propongo una recente che, tuttavia, con qualche variazione, è possibile riscontrare in diversi altri autori moderni e contemporanei: R. FABRIS, Giovanni, Borla 1992. L‟autore passa in rassegna diversi punti di vista precedenti: - Wellhausen (1908): un caos senza forme. È possibile tuttavia riconoscere il Grundschrift (scritto base) - Bauer (1912) condivide lo scetticismo sull‟unità letteraria del Vangelo di Giovanni - Bernard (1928) allo stesso modo ipotizza lo spostamento casuale di capitoli e sezioni - Bultmann (1941), Schulz (1974), Becker (1979), Haenchen (1980) ricorrono alla teoria delle diverse fonti di origine… - Loisy (1903), Lagrange (1925), Hoskyns (1940)… si limitano a suddividere il testo in sezioni semplicemente accostate le une alle altre Le diverse strutturazioni proposte dagli autori contemporanei possono essere raggruppate a seconda del modello che guida le osservazioni:
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1. Narrativo-cherigmatico; sviluppo drammatico (Sanders; Kemper) o stilizzazione kerygmatica (Strathmann) o catechistica che corrisponde alla forma letteraria del vangelo predicato (Lindars) 2. Simbolico-tipologico: si fa leva sull‟interpretazione simbolica del tempo: giorni e settimane (Boismard); istituzioni e feste (Mollat); oppure alle prefigurazioni veterotestamentarie di creazione, esodo (Girard M., Mateos – Barreto); o ai segni in rapporto alla sapienza (Clark). Alcune osservazioni comuni ai diversi studiosi anche di diversa tendenza: Distinzione tra libro dei segni e libro dell’ora o della gloria (a sua volta suddiviso in discorsi, passione, risurrezione) L‟osservazione sulla numerazione dei segni: il settenario poi diversamente commentato (per esempio la risurrezione è l‟ottavo e più grande dei segni per introdurre il giorno della nuova creazione…; oppure l‟ottavo è la nuova creazione… Fabris si chiede se esista un criterio unico e decisivo per la strutturazione o se, almeno, è possibile riscontrare qualche indicazione esplicita da parte dell‟autore. La più importante è in 20,30-31, insieme a quella posta a conclusione del libro dei segni en 12,37. Insomma il ruolo dei segni in rapporto alla fede; il tema ricorre anche in 2,11 (Cana) e ripreso in 2,23. Tra le altre osservazioni, Fabris aggiunge l‟unità tra la narrazione dei discorsi e quella della risurrezione di Gesù, in cui domina il tema del compimento telèin e teleiousthai dell‟ora; nella seconda parte del Vamgelo, insieme all‟insistenza sul tema della gloria, presente tuttavia anche nella prima, si rileva il vocabolario dell‟amore: agape e agapan. L‟ultimo capitolo riprende, come conclusione, ambedue le parti: Gesù compie un segno, la pesca miracolosa e trasmette l‟icarico pastorale a Pietro dopo averlo ristabilito nell‟amore. Così Fabris propone la seguente struttura:
Introduzione - poetica generale (1,1-18) - testimonianza di Gv Battista e presentazione dei discepoli (1,19-51) I
Libro dei segni di Gesù, il Cristo e Figlio di Dio (Gv 2,1-12,36)
Prima unità: Da Cana a Cana: inclusione 2,11//4,54. Le tre regioni della Palestina (Galilea, Giudea e Samaria); incontro con figure rappresentative dell‟ambiente etnico e socioculturale… 3. Le nozze di Cana 2,1-11.12 4. Gesù a Gerusalemme 2,13-25 5. Incontro e dialogo con Nicodemo 3,1-21 6. Gesù e Giovanni: confronto e ultima testimonianza 3,22-36 7. Incontro con la Samaritana 4,1-42 8. Guarigione della figlia di un funzionario regale 4,43-54 Seconda unità: sei sezioni caratterizzate dalla combinazione tra momento narrativo e momento discorsivo. La rivelazione di Gesù e importanza dell‟IO SONO 9. Guarigione dell‟infermo a Gerusalemme e dibattito sulle opere e la test. di Gesù 5,1-47 10. Segno del pane e dibattito con la folla, i giudei, i discepoli 6,1-71 11. Dibattito sull‟identità di Gesù nella festa delle capanne 7,1-8,59
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12. 13. 14. -
Guarigione del cieco nato e dibattito sull‟identità di Gesù 9,1-41; 10,1-42 Risurrezione di Lazzaro e condanna a morte di Gesù 11,11-54 Gesù a Gerusalemme per l‟ultima Pasqua 11,55-12,50 attese e minacce a Gerusalemme 11,55-57 unzione di Gesù a Betania 12,1-11 accoglienza di Gesù a Gerusalemme 12,12-19 ricerca dei greci e “l‟ora” di Gesù 12,20-36 bilancio teologico e appello finale 12,37-43.44-50
II Il «compimento» e l’ora della glorificazione di Gesù, il Cristo e Figlio di Dio (13,1-20,29) 1. Cena e lavanda dei piedi 13,1-20.21-30 2. Discorso di addio 13,31-17,26 - Partenza di Gesù e promessa del Consolatore 13,31-14,31 - Partenza di Gesù e comunità dei discepoli nel mondo 15,1-16,33 - Preghiera finale di Gesù 17,1-26 3. Passione, morte e risurrezione 18,1- 21,25 - Arresto e condanna di Gesù 18,1-19,16a - Morte e sepoltura 19,16b-42 - Risurrezione 20,1-29.30-31 - Manifestazione di Gesù risorto, incarico a Pietro e discepolo testimone 21,1-23.24-25 ***** Per quanto riguarda l‟indirizzo sincronico, alcuni studiosi privilegiano la dimensione narratologica. Panimolle S., nel suo Commento pastorale in tre volumi offre una struttura che è utile anche per un approccio narrativo. Un commento sincronico – narrativo è quello di C.H. TALBERT, Reading John. A Literary and Theological Commentary of the Fourth Gospel and the Johannine Epistels, CrossRoad, New York 1992. Ma per l‟impostazione generale è utile il testo di Culpepper citato in bibliografia di cui riportiamo la proposta di lettura unitaria di Giovanni: R.ALAN CULPEPPER, Cfr. Sopra, Schede bibliografiche Ogni episodio ripresenta il messaggio dell’insieme. Il Prologo conferisce a ciascuno di questi episodi uno sfondo ironico in quanto il lettore è già stato ammesso alla confidenza del narratore e sa chi è Gesù. Perciò il lettore ha una conoscenza superiore al singolo personaggio dei racconti che si confrontano con Gesù perché in contrasto con loro riconosciamo che Gesù è il logos incarnato, rivelatore del Padre. Questa dinamica letteraria spinge il lettore ad abbracciare il punto di vista ideologico dell‟autore, cioè la confessione di fede di Gesù come il Cristo, il Figlio di Dio (20,30). L‟ignoranza del cieco, dei giudei… dà alla storia una forza drammatica continua, così come l‟uso delle metafore innalza la lettura tenendo sempre sveglio l‟interesse del lettore.
LO SVILUPPO DEL PLOT IN GV
Il prologo introduce Gesù come il logos attivo già alla creazione. La sua missione è rivelare il Padre La prima sez. del Vangelo in 2,22 introduce drammaticamente Gesù e il suo lavoro Acclamato da Gv Battista e da alcuni suoi discepoli, rivela la sua gloria a Cana. Il primo capitolo è ottimistico… molti lo riconoscono
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Con il secondo la narrazione si complica. L‟opposizione di Gesù all‟abuso nel tempio. 2,22 «Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù» è la prima indicazione per il lettore non iniziato del destino di morte e risurrezione di Gesù. Ma si pone anche un‟altra grossa questione: la differenza tra coloro che credono e i discepoli: 2,11: «Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea, manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui»… il capitolo 2 si conclude dunque meno ottimisticamente del primo: il destino di sofferenza… e alcuni che pur credendo nel suo nome non avranno parte con lui. Cap. 3: non c‟è ancora vera opposizione con Gesù; ma vengono chiariti alcuni aspetti dell‟opposizione: non tra Gesù e Giudei ma tra Gesù e quelli che rifiutano di accogliere la sua rivelazione. Il non credere è la reale opposizione L‟influsso di Gesù cresce come pure il suo seguito. Gv 4 ancora piccola opposizione a Gesù: allusione ai farisei ( 4,1.3) Riferimento prolettico al rifiuto 4,44: « Ma Gesù stesso aveva dichiarato che un profeta non riceve onore nella sua patria.» ma il resto del capitolo è positivo… Dunque c‟è poca opposizione in Gv 1-4… hanno l‟effetto di dare al lettore una prima impressione dell‟identità e della missione di Gesù. Gv 5 prende un nuovo sviluppo. Si intensifica il conflitto sull‟identità di Gesù. I “Giudei” diventano per la prima volta importanti e viene spiegata la base del conflitto. Il problema è il locus della rivelazione: la Legge o Gesù? Gesù ha violato il sabato commettendo blasfemia e l‟evangelista lo sottolinea in 5,18: « Per questo i Giudei cominciarono a perseguitare Gesù, perché faceva tali cose di sabato…. [18]Proprio per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo: perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio». Gesù stesso parlerà di se come del Figlio dell‟uomo (5,25-47). Il potere drammatico del vangelo si costruisce intorno a questo conflitto! Il conflitto con l‟incredulità cresce nel capitolo 6: notare che non ci sono altri conflitti significativi: né con la natura né con i demoni, né con se stesso… lo stesso camminare sulle acque ha a che fare piuttosto con la simbologia dell‟esodo e ha il carattere di una epifania. Anche il conflitto con i discepoli dipende piuttosto dal fatto che la loro conoscenza resterà incompleta fino all‟ora della morte-risurrezione. Il rifiuto dei giudei di credere in Gesù dipende dalla non comprensione della Torah, di Mosè e dell‟esodo.22 In Gv 7 l‟opposizione a Gesù si mobilita: decidono di ucciderlo, e tentano di arrestarlo. Gesù dichiara che andrà da colui che lo ha mandato: elemento di “dramma” per chi non conosce la soluzione, o di ironia per il lettore informato. Gv 8 il conflitto con i Giudei diventa più stridente. Punto centrale è la paternità che acuisce il conflitto. Gesù è più vecchio dello stesso Abramo. Gesù viene definito spregiativamente come Samaritano e demoniaco… Il capitolo 9 e parte del 10 costituiscono un “interludio”. La guarigione del cieco è occasione per sottolineare l‟ostilità dei giudei e la loro cecità. Il capitolo 10 rappresenta le posizioni popolo “giudei” Gesù nelle parole sul buon pastore… La crescente opposizione degli ultimi cinque capitoli si conclude con le parole di Gesù sulla sua capacità di lasciare la vita e riprenderla di nuovo, cosa che accresce l‟intrigo. Il rapporto vita-morte viene focalizzato particolarmente nel capitolo 11. Il capitolo 12 è di transizione in diversi sensi. Crea un legame tra 11 e 13. Già si prefigura lo scenario della morte (l‟unzione). Si manifesta il senso della sua morte. Si interpreta anche il motivo dell‟incredulità. Con il cap. 13 si sottolinea che Gesù conosce l‟ora della sua morte. Il suo valore purificatore viene indicato con la lavanda dei piedi. Il traditore è inviato alle tenebre e alla loro forza che, paradossalmente, porteranno alla sua glorificazione. I discepoli, che non saranno in grado di seguirlo, sono invitati ad amarsi reciprocamente. Si delinea il destino dei discepoli… per i quali Gesù prega… capitoli 16-17. 22
CASTELLO G., La Legge nel IV Vangelo, in G.CASTELLO (a cura di), Le Sacre Scritture di Israele per ebrei, cristiani e musulmani, ECS, Napoli 2008, 141-167;
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Con il capitolo 18 inizia la sequenza rapida degli ultimi eventi. La posizione di Pilato tra Gesù e i suoi accusatori è drammatizzata poiché questi restano fuori. In realtà il giudicato, una volta che Pilato esce fuori, è proprio lui, più che Gesù. Nel dialogo Gesù-Pilato viene chiarita la natura dell‟autorità di Gesù e la sua regalità. Pilato lo dichiara tre volte innocente, e con la scritta sulla croce ne riconosce, in realtà, la vera identità. Mentre i giudei dichiarano la loro bestemmia “non abbiamo altro re se non Cesare” Pilato si decide a consegnarlo a loro. Gesù viene ucciso alla vigilia di Pasqua, quando si immolava l‟agnello nel tempio. Gesù è sepolto in una sepoltura regale. Nel primo giorno della settimana Maria Maddalena scopre la tomba vuota… Tommaso, con la sua esigenza di constatare fisicamente la risurrezione, fa la confessione di fede più alta e completa verso Gesù. Al termine del capitolo 20 l‟intera narrazione viene conclusa con la motivazione della scrittura evangelica: per condurre i lettori, o ascoltatori, a credere. Il cap. 21 è un epilogo apparentemente aggiunto al vangelo una volta che esso era già concluso. Risolve alcuni dei conflitti minori (Il discepolo prediletto e Pietro; Pietro e Gesù). Il vangelo di Gv si conclude senza riferimento all‟ascensione, compresa nella “esaltazione” di Gesù. Alla fine Gesù è con i discepoli; il Paraclito rimarrà con essi. Alludendo al futuro dei discepoli e alla scrittura del vangelo, si crea un gancio tra la storia ed il lettore. La storia può dipingere il passato ideale ma il presente è in relazione al passato in maniera tale che la storia diventa determinante per il lettore presente. L‟intreccio, il PLOT, è alimentato dal conflitto tra credere e non credere come risposta a Gesù. Ciò è confermato dal fatto che circa metà delle ricorrenze di “credere” nel NT si trovano in Gv (98 su 239). Il suo intreccio è episodico e perciò difettivo. Ma l‟autore usa i vari episodi per arricchire la tessitura del tutto. L‟integrazione tematica pervasiva tra i diversi episodi, fa si che il lettore possa scorgere la sua fine e i suoi significati, in ciascuno degli episodi familiari. Il vangelo è la testimonianza di uno che parla per tutti quelli che riconoscono la Parola in Gesù. Il “Noi” può perciò essere compreso come atto ad includere tutti i caratteri nel vangelo che alla fine hanno creduto e sono diventati testimoni: Gv Batt., i discepoli, la Samaritana, il cieco… gli altri. Gli effetti di questa struttura narrativa con il suo prologo seguito dall‟episodica ripetizione del conflitto tra fede e non-fede, serve ad includere il lettore nella compagnia della fede. L‟intreccio evangelico è controllato da uno sviluppo tematico e una strategia che tende al corteggiamento del lettore perché accetti la sua interpretazione di Gesù. Un breve presentazione dell‟intreccio (the plot) narrativo nel Vangelo di Giovanni la troviamo anche nel volumetto di V.Mannucci, Giovanni. Il Vangelo per ogni uomo, LoB 2.4, Queriniana, Brescia 1995, 29-39. Tra le tante possibilità, Mannucci, a partire dal saggio di Segovia, predilige la scelta del “viaggio della Parola” come motivo conduttore dell‟intera narrazione giovannea. Propone perciò il seguente schema: 1. PRIMA PARTE: 1,1-18 Il viaggio cosmico mitico della Parola nel mondo degli uomini 2. SECONDA PARTE: 1,19-17,26 Il ministero di Gesù e i suoi viaggi ministeriali 3. TERZA PARTE: 18,1-21,25 La morte in croce, Risurrezione e significato permanente della sua missione
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Bibliografia più citata durante le lezioni indicazioni bibliografiche essenziali di preferenza in traduzione italiana 1. INTRODUZIONI GENERALI (oltre a quelle incluse nei commentari) COTHENET E., «Il quarto Vangelo», in A. GEORGE - P. GRELOT, Introduzione al nuovo Testamento V: La tradizione Giovannea, Borla, Roma 1978, 85-272 e 276-301 (Bibliografia). COTHENET E., «Il Vangelo secondo San Giovanni», in Gli scritti di San Giovanni e la Lettera agli Ebrei, (Piccola enciclopedia biblica 10), Borla, Roma 1985, 11-162. G. GHIBERTI e coll., Opera Giovannea (Logos 7), ElleDiCi, Leumann (To) 2003. MAZZEO M., Vangelo e lettere di Giovanni. Introduzione, esegesi e teologia, Paoline, Milano 2007. PANIMOLLE 5., L 'evangelista Giovanni. Pensiero e opera letteraria del quarto Vangelo, Borla, Roma 1985. SEGALLA G., «Giovanni (Vangelo di)», in Nuovo dizionario di teologia Biblica, Paoline, Milano 1988, 666-673. TUÑÌ J.O. – ALEGRE X., Scritti giovannei e lettere cattoliche, (Introduzione allo studio della Bibbia 8), Paideia, Brescia1997 (orig. Spagnolo Verbo Divino, Estella 1995). 2. COMMENTARI ANTICHI CIRILLO DI ALESSANDRIA, Commento al Vangelo di Giovanni, trad., intr. E note a cura di Luigi Leone, 3 voll., (collana di Testi patristici diretta da Antonio Quacquarelli) città nuova editrice, Roma 1994 (coll. Capodimonte A.24.111/112/113). ORIGENE, Commento al Vangelo di Giovanni, UTET, Torino 1968. SAN BONAVENTURA, Commento al vangelo di San Giovanni, (collana Opere di San Bonaventura), 2 voll.,Città Nuova, Roma 1990. 1991; ( coll. Capodimonte A.20.3. 7/1-2). S. AGOSTINO, Commento al Vangelo e alla prima epistola di San Giovanni, traduzione e note di Emilio Gandolfo (collana Nuova Biblioteca Agostiniana) Città Nuova Editrice, Roma 1968. TEODORO DI MOPSUESTIA, Commentario al Vangelo di Giovanni, Borla, Roma 1991. S. TOMMASO D’AQUINO, Commento al Vangelo di San Giovanni, I-IV, Città Nuova, Roma 1990. 3. COMMENTARI MODERNI BARRET C.K., The Gospel according to St. John, SPCK, London 1985 (I ed. 1955). BEASLEY-MURRAY G.R., John, (Word biblical commentary 36), Word, Dallas 1987. BLANCK J., Das Evangelium nach Johannes, 4 voli. Patmos, Dùsseldorf 1977-1981; versione inglese, The Gospel according to John, 3 voli., Crossroad, New York 1981; versione spagnola, EI Evangelio segun San Juan, 4 voli., Herder, Barcelona 1979-1984. BOISMARD M.E. - LAMOUILLE A., L Èvangile de Jean. Commentaire: Synopse des quatres évangiles en franais III, Du Cerf, Paris 1977. BROWN R.E., Giovanni. Commento al Vangelo spirituale, Cittadella, Assisi 1979. BULTMANN R., Das Evangelium des Johannes, Göttingen, 1941; + supplemento del 1966: The Gospel of John, Oxford 1971. CASALEGNO A., “Perché contemplino la mia gloria” (Gv 17,24). Introduzione alla teologia del Vangelo di Giovanni, ed. San Paolo, Alba (Cuneo) 2006 FABRIS R., Giovanni (traduzione e commento), Borla, Roma 1992. GNILKA J., Johannesevangelium, (Neue Echter Bible), Echter, Wùrzburg 1983. HÄNCHEN E., Das Johannesevangelium. Ein Kommentar, Mohr, Tübingen 1980; versione inglese, A Commentary of the Gospel of John, 2 voli., Fortress, Philadelphia 1984. LACONI M., Il racconto di Giovanni, Cittadella, Assisi 1989. LÉON-DUFOUR X., Lecture de lÈvangile selon Jean I: Chapitres 1-411: Chapitres 5-12, Du Seuil, Paris 1988-1990; tr. it. Lettura del Vangelo secondo Giovanni, I, (cc. 1-4); Il (cc. 5-12), Paoline, Roma 1990-1992. MAGGIONI B., «Il Vangelo di Giovanni», in I Vangeli, a cura di G. BARBAGLIO - li. FABRI5 - M. MAGGIONI, Cittadella, Assisi 1975. MATEOS J. - BARRETO J., Il Vangelo di Giovanni. Analisi linguistica e commento esegetico, Cittadella, Assisi 1982. PANIMOLLE S., Lettura pastorale del Vangelo di Giovanni, 3 voli., Dehoniane, Bologna 1978-1984.
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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 31
«Videte ergo, fratres, ne forte de ipsis montibus est Iohannes, de quibus paulo ante cantavimus: Levavi oculos meos in montes, unde venit auxilim mihi (Ps 120,1). Ergo, fratres mei, si vultis intellegere, levate oculos vestros in montem istum; id est, erigite vos ad evangelistam, erigite vos ad eius sensum» S.Agostino, In Iohannis Evangelium Tractatus 1,6 Il PROLOGO Gv. 1,1-18 1 kai. kai. 2
VEn avrch/| h=n o` lo,goj( o` lo,goj h=n pro.j to.n qeo,n( qeo.j h=n o` lo,gojÅ ou-toj h=n evn avrch/| pro.j to.n qeo,nÅ
3 pa,nta diV auvtou/ evge,neto( kai. cwri.j auvtou/ evge,neto ouvde. e[nÅ o] ge,gonen 4 evn auvtw/| zwh. h=n( kai. h` zwh. h=n to. fw/j tw/n avnqrw,pwn\ 5 kai. to. fw/j evn th/| skoti,a| fai,nei( kai. h` skoti,a auvto. ouv kate,labenÅ 6 VEge,neto a;nqrwpoj( avpestalme,noj para. qeou/( o;noma auvtw/| VIwa,nnhj\ 7 ou-toj h=lqen eivj marturi,an i[na marturh,sh| peri. tou/ fwto,j( i[na pa,ntej pisteu,swsin diV auvtou/Å 8 ouvk h=n evkei/noj to. fw/j( avllV i[na marturh,sh| peri. tou/ fwto,jÅ 9 +Hn to. fw/j to. avlhqino,n( o] fwti,zei pa,nta a;nqrwpon( evrco,menon eivj to.n ko,smonÅ 10 evn tw/| ko,smw| h=n( kai. o` ko,smoj diV auvtou/ evge,neto( kai. o` ko,smoj auvto.n ouvk e;gnwÅ 11 eivj ta. i;dia h=lqen( kai. oi` i;dioi auvto.n ouv pare,labonÅ 12 o[soi de. e;labon auvto,n( e;dwken auvtoi/j evxousi,an te,kna qeou/ gene,sqai( toi/j pisteu,ousin eivj to. o;noma auvtou/( 13 oi] ouvk evx ai`ma,twn ouvde. evk qelh,matoj sarko.j ouvde. evk qelh,matoj avndro.j avllV evk qeou/ evgennh,qhsanÅ 14 Kai. o` lo,goj sa.rx evge,neto kai. evskh,nwsen evn h`mi/n( kai. evqeasa,meqa th.n do,xan auvtou/(
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do,xan w`j monogenou/j para. patro,j( plh,rhj ca,ritoj kai. avlhqei,ajÅ 15 VIwa,nnhj marturei/ peri. auvtou/ kai. ke,kragen le,gwn( Ou-toj h=n o]n ei=pon( ~O ovpi,sw mou evrco,menoj e;mprosqe,n mou ge,gonen( o[ti prw/to,j mou h=nÅ 16 o[ti evk tou/ plhrw,matoj auvtou/ h`mei/j pa,ntej evla,bomen kai. ca,rin avnti. ca,ritoj\ 17 o[ti o` no,moj dia. Mwu?se,wj evdo,qh( h` ca,rij kai. h` avlh,qeia dia. VIhsou/ Cristou/ evge,netoÅ 18 qeo.n ouvdei.j e`wr, aken pw,pote\ monogenh.j qeo.j o` w'n eivj to.n ko,lpon tou/ patro.j evkei/noj evxhgh,satoÅ OSSERVAZIONI Problemi : Come va interpretato il pros del v. 1? Stato in luogo o moto a luogo? Come leggere il theos a conclusione del v. 1? Dio oppure “un Dio” o “divino”? Ho gegonen va a fine del v. 3 oppure a inizio del v. 4 come indicano anche molti padri? Tre possibili divisioni del testo 1,3-4 nella tradizione antica (nei papiri e nei codici non vi sono segni di interpunzione): A. Versioni e antichi scrittori Scrittori ortodossi ed eretici prima del concilio di Nicea (325) (3) pa,nta diV auvtou/ evge,neto( kai. cwri.j auvtou/ evge,neto ouvde. e[n
B. Presente in versioni e scrittori latini
C. Forma rara.
(3) pa,nta diV auvtou/ evge,neto( kai. cwri.j auvtou/ evge,neto ouvde. e[n o] ge,gonen
(3) pa,nta diV auvtou/ evge,neto( kai. cwri.j auvtou/ evge,neto ouvde. e[n o] ge,gonen evn auvtw/|
(4) o] ge,gonen evn auvtw/| zwh. h=n( kai. h` zwh. h=n to. fw/j tw/n avnqrw,pwn\
(4) evn auvtw/| zwh. h=n( kai. h` zwh. h=n to. fw/j tw/n avnqrw,pwn\
(4) zwh. h=n( kai. h` zwh. h=n to. fw/j tw/n avnqrw,pwn\
3….e senza di lui non avvenne nulla
3….e senza di lui non avvenne nulla di ciò che avvenne
3….e senza di lui non avvenne nulla di ciò che avvenne in lui.
4. Ciò che avvenne in lui, era vita oppure Ciò che avvenne, in lui era vita
4. In lui, era vita…
4 Era vita
A favore: struttura, parallelismo antitetico nel v. 3: «tutto per mezzo di lui… nulla senza di lui».
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Al v. 5 si passa dal passato al presente: si tratta di una digressione dell‟evangelista (che si vede anche nella preferenza di Gv per skotia anzicchè skotos) Katalambanein: discusso fin dall‟antichità: Padri+ alcuni esegeti moderni= sopraffare; per Schnackemburg è da cogliere analogamente a paralambanein: accogliere qualcosa che arriva; perciò = afferrare qualcosa che è presente. Erchomenon al v. 9 va riferito al en iniziale in funzione perifrastica oppure all‟anthropon che precede (Vg)? Una terza posizione è quella di considerare l‟intera ultima proposizione, da erchomenon in avanti come un‟aggiunta a to phos nel senso di di una relativa abbreviata ma ci si attenderebbe un articolo davanti a erchomenon. Schnackemburg sembra condividere l‟idea secondo cui l‟inno originario fino al v. 14, usando il passato en, si riferisce al mondo della creazione e prima della venuta di Cristo. L‟idea che fa parlare Giustino del Logos spermatikos. Solo con il 14 si inizia a parlarne a partire dall‟incarnazione. Ma, osserva l‟autore, l‟evangelelista sembra insinuare già alla fine del 9 l‟esperienza storica del Verbo. v.11: eis ta idia: nella sua patria? Tra i suoi? Nella sua proprietà? Meglio “sua proprietà”. Sua patria infatti sarebbe il mondo intero. Idioi tuttavia non va inteso come gli israeliti, ma potrebbe intendere in generale gli uomini che si opposero e continuano ad opporsi all‟accoglienza del Logos. v.13 La grande maggioranza dei manoscritti, versioni e scrittori, a partire dal IV secolo riporta il testo nella forma plurale «i quali furono generati». Ireneo e Tertulliano in testi antignostici riporta il singolare conformemente ad altri scrittori più antichi. Si tratta di un appoggio alla concezione verginale? v.18 Alcuni manoscritti riportano non l‟Unigenito Figlio di Dio ma l‟Unigenito Dio (papiri Bodamer IIIsec. Cod. Sinaitico, Vaticano, versioni e scrittori antichi.
INTRODUZIONE
1.
Guardando complessivamente i 4 evangeli nella loro forma attuale, si percepisce il crescente interesse, nel cristianesimo primitivo, per l‟origine di Gesù. Non tanto dal punto di vista storico bensì come risposta a questioni di tipo cristologico che a mano a mano dovettero emergere in relazione alla determinazione stessa della natura messianica e soprattutto in relazione alla figliolanza divina di Gesù. Marco, il più antico dei Vangeli, inizia fa iniziare il suo racconto con la figura di Giovanni il Battista e con il racconto fondamentale del battesimo di Gesù. È tuttavia interessante notare già la preoccupazione di presentare Gesù come il Figlio di Dio (l‟evangelista o la tradizione immediatamente successiva?) 1:1 VArch. tou/ euvaggeli,ou VIhsou/ Cristou/ Îui`ou/ qeou/ÐÅ Matteo e Luca iniziano invece con un inquadramento certamente più ampio riscontrabile in particolare nelle genealogie (Mt a partire da Abramo, Luca a partire da Adamo) con uno sguardo retrospettivo che si concretizza nei racconti dell‟infanzia e con le descrizioni altamente teologizzate degli eventi della nascita, come compimento delle attese e soprattutto con la manifestazione della natura di Gesù Cristo già al momento della nascita. Giovanni spinge questa riflessione ancora più ardita, giungendo sino al “principio” collegandosi in tal modo con lo stesso progetto creativo e parlando
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esplicitamente non tanto del Gesù Messia ma del Logos che dall‟inizio era già presso il Padre…. (per la descrizione grafica della situazione cfr. pagina finale).
Giovanni dunque ha voluto premettere al suo Vangelo una introduzione in forma poetica in cui presentare già la sua sintesi teologica su Gesù? E come: attingendo dalla tradizione precedente ed utilizzando già un inno preesistente, o componendolo del tutto di sua mano? Come si spiegherebbe in questa ipotesi il fatto che esista tra il prologo e il resto del vangelo un legame “tenue” per linguaggio e stile? Sembrerebbe trattarsi di qualcosa di più di una semplice sintesi poetica composta dall‟autore e premessa alla sua opera. Probabilmente utilizzò in parte un inno preesistente e lo agganciò al vangelo con alcuni incisi. L‟attenzione va, naturalmente ai due passi che trattano di Giovanni il Battista (6-8 e 15) e che vengono ripresi a partire dal v. 19. Sono state compiute analisi ritmiche, stilistiche ed anche esegetiche al fine di determinare quale dovesse essere l‟inno originario e quale l‟elaborazione dell‟evangelista. Tra le varie e diverse interpretazioni, rifiutando il criterio di riunire le varie conclusioni in un risultato frutto di molteplici approcci, Schnackenburg propone il seguente testo: 1. (1) VEn avrch/| h=n o` lo,goj( kai. o` lo,goj h=n pro.j to.n qeo,n( kai. qeo.j h=n o` lo,gojÅ (3) pa,nta diV auvtou/ evge,neto( kai. cwri.j auvtou/ evge,neto ouvde. e[n o] ge,gonen 2. (4) evn auvtw/| zwh. h=n( kai. h` zwh. h=n to. fw/j tw/n avnqrw,pwn\ (9) +Hn to. fw/j to. avlhqino,n( o] fwti,zei pa,nta a;nqrwpon( 3. (10) evn tw/| ko,smw| h=n( kai. o` ko,smoj auvto.n ouvk e;gnwÅ (11) eivj ta. i;dia h=lqen( kai. oi` i;dioi auvto.n ouv pare,labonÅ 4. (14) Kai. o` lo,goj sa.rx evge,neto kai. evskh,nwsen evn h`mi/n( plh,rhj ca,ritoj kai. avlhqei,ajÅ (16) o[ti evk tou/ plhrw,matoj auvtou/ h`mei/j pa,ntej evla,bomen kai. ca,rin avnti. ca,ritoj\
Si ipotizza dunque la successione di quattro strofe : 1. primordiale e divino essere del Logos e la sua funzione nella creazione; 2. importanza per il mondo degli uomini (vita e luce); 3. rifiuto della sua opera da parte dell‟umanità prima dell‟incarnazione; 4. l‟evento dell‟incarnazione fonte di letizia e apportatore di salvezza.
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Un inno tradizionale dunque, in cui si accentuava il periodo precedente all‟incarnazione; qualche minima traccia del genere c‟è solo in 1Cor 10,4. Diverso dunque dagli altri inni tramandati (1Tim 3,16; Fil 2,6-11; Col 1,15-20; Eb 1,2s.) anche perché nell‟inno giovanneo non si fa riferimento all‟esaltazione di Cristo. In nessun altro inno si fa riferimento al rifiuto del Redentore. Concepito in relazione alla speculazione sapienziale? Quanto alla provenienza? 1923 Bultmann: inno gnostico sorto nell‟ambiente del Battista; Schaeder: inno gnostico su modello aramaico costituito da un inno a Enosh (il Dio uomo); posizione elaborata sulla base della retroversione dell‟inno in aramaico dove il v.6° suona: «Enosh fu mandato da Dio…» e diventa chiave di comprensione. Con Bultmann e accogliendo l‟identificazione gnostica dell‟ambiente di origine si sono schierati diversi studiosi. Ma, osserva Schnackenburg: come spiegare l‟idea dell‟incarnazione in 1,14, autentica professione di fede cristiana? Dunque proviene da circoli cristiani, certamente ellenistici (per l‟uso di Logos)… giudeo ellenisti convertiti (presenza di riminiscenze dell‟AT soprattutto sapienza e torah).
Struttura Letteraria del Prologo nella sua forma attuale 1. tre parti corrispondenti alla storia della salvezza: 1-5 creazione 6-13 storia universale e Israele 14-18 incarnazione e comunità cristiana 2. Schema tematico chiasmatico o parabolico (un po’ rigido) A. B. C. D. E. F.
1-2 3 4-5 6-8 9 10-11
A1. 18 B1. 17 C1. 16 D1. 15 E1. 14 F1. 12-13
OSSERVAZIONI ESEGETICHE VEn avrch/| nel IV vangelo solo qui. Ap‟arches 8 volte in 1Gv ma con il valore di inizio storico… Richiama Gn 1,1 e Pr 8,23 in un contesto creazionale, specficata in Pr: prima di fare il la terra Riferimento al ruolo della Sapienza, figura personalizzata e attiva accanto al creatore cfr. Sir 24,9. In Gv risalta l‟espressione assoluta, l‟indicazione di una relazione permanente e dinamica del logos con Dio: era… pros “con” o piuttosto “rivolta verso”? Cfr. De La Potterie. Le prime frasi si concentrano sul Logos che a pieno titolo è nell‟ambito di Dio. Con l‟egeneto del v.3 si passa a considerare il rapporto con il creato (cfr. Gn 1,3 con il verbo ebraico hayàh a cui corrisponde nei LXX egèneto. Al panta iniziale corrisponde l‟ oudè hen secondo lo stile biblico e giudaico. Si riprende l‟idea giudaica della creazione attraverso la Parola (cfr. Sl 33; Sir 43,26) Ho gegonen, ciò che avvenne, sembra andare meglio all‟inizio del v. 4: ciò che avvenne in lui era la vita… anche se crea qualche difficoltà interpretativa: ciò che era in lui era “vita”
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v.4 “Vita” ben 36 volte nel vangelo (su 133 nel NT) è associato a luce termine che definisce il rapporto di Cristo con gli uomini: Io sono la luce del mondo (8,12) si veda il Sl 36,10: Dio come sorgente perenne di vita piena e sicura. Del resto il motivo della vita, che ha la priorità su quello della luce ricorre alla fine stesso del Vangelo come motivazione dell‟annuncio della buona notizia: 31 Questi sono stati scritti affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e, credendo, abbiate la vita nel suo nome. È da notare che la tradizione sapienziale prima, e il giudaismo successivamente, porrà in risalto la corrispondenza Legge-Vita; Legge-Luce cfr. Baruch 4,1. La riflessione sapienziale opera già l‟unione profonda tra ciò che la luce ha significato nel mondo cosmico a ciò che essa significa nel mondo antropologico. Le tenebre, skotia non vanno semplicemente identificate con il mondo umano. Il prologo è attraversato comunque da un senso positivo nel confronto, in cui le tenebre non riescono a sopraffare la luce. Qui viene in mente il dualismo di Qumran che tuttavia è ben più radicale e separa nettamente le due realtà… Ma a quale contrapposizione specifica si riferisce Giovanni: l‟ambito della creazione? Quello del popolo di Dio? Al contrasto di Gesù Cristo con il mondo del peccato? In realtà il testo non lo indica, resta da determinare… Il tema della luce continua nei versetti seguenti in cui si introduce la figura di Giovanni Battista che non era la luce. L‟introduzione “Vi fu un uomo inviato da Dio” riecheggia il linguaggio biblico cfr. 1Sam 1,1 LXX… ma anche, nei libri profetici “giunse la parola di Dio a… (nome del profeta)”. Giovanni viene introdotto con il suo ruolo funzionale di “Inviato” rispetto alla Parola – Vita – Luce di cui si sta parlando. Si accentua il ruolo testimoniale che continuerà a caratterizzare in Gv la figura del Battista. Procedendo col v. 7 si insiste in positivo e in negativo sulla differenza tra il suo ruolo e quello del Verbo-Luce. (cfr. 1,20-31; 3,28.30). Mi pare difficile pensare, come Fabris, che non vi sia dietro alla ripetuta puntualizzazione, il problema storico del discepolato di Giovanni che interpreta il proprio maestro come la Luce e come il Cristo… In questo senso di puntualizzazione mi pare vada intesa anche la specificazione seguente “veniva nel mondo la luce, quella vera…”. Va segnalata l‟originale tesi che vuole riferire il primo inciso del prologo, solitamente inteso come primo riferimento ala missione del Battista, come un riferimento all‟evangelista Giovanni: l‟unica dichiarazione esplicita del Vangelo circa la missione dell‟evangelista come testimone della luce perché tutti credessero per mezzo di lui.23 Dal termine del v.9 e nel v.10 si ripete quattro volte il vocabolo kosmos. Lo scenario resta ampio, cosmico e antropologico. v. 11 “I suoi” non va interpretato in senso restrittivo (i giudei), piuttosto “i suoi” sembra riprendere quanto si diceva del mondo che fu fatto per mezzo di lui. v.12 “Quelli che lo accolsero” verranno specificati alla fine del 12 e nel 13: i credenti nel suo nome, i quali…. Credere nel suo nome appare 2 volte in Gv su 96 ricorrenze del verbo credere. Exousia “diritto-potere” ma anche “dare la facoltà… rendere capaci” dice il compito che il Figlio ha avuto dal Padre che gli ha dato potere su ogni uomo (5,27; 17,3). v.13 L‟accento cade sull‟ultima dichiarazione che esplicita quanto affermato nel 12: la capacità di diventare figli di Dio. Essa rimane dono di Dio da accogliere nella fede. Alla generazione dalla carne si oppone la generazione dallo Spirito (cfr Gv 3,3-8 Nicodemo). Ireneo e Tertulliano pongono il pronome al singolare: il quale è stato generato…è nell‟ambito, probabilmente, della controversia antignostica… La scelta del singolare accentua la concentrazione cristologica e lega strettamente il v.13 al 14a in cui “E il verbo divenne carne” metterebbe l‟accento non tanto sulla modalità quanto piuttosto sull‟origine divina. Possibilità da considerare con attenzione non facendosi semplicemente distrarre dalla prospettiva della concezione verginale che associerebbe questo testo a quelli di Lc e Mt. 23
RIGATO M.L., Giovanni: l’enigma, il Presbitero, il culto, il tempio, la cristologia, Dehoniane, Bologna 2007, 23s.
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14. versetto centrale. Riappare il LOGOS che ora è soggetto del verbo divenire, associato alla sarx. Polemica antidocetista? Reminiscenza di una formula tradizionale di fede? L‟affermazione “e abitò fra noi” dà al versetto un‟ambientazione biblica. Il verbo utilizzato richiama al simbolo della tenda skene, dimora di Dio prolungata nel tempio (Es 40,34-35; 2Sm 7,6; 1Re 8,10-11) Qui prende dimora la Sapienza per ordine di Dio (Sir 24,8-12) così come i profeti promettono che Dio dimorerà in mezzo al suo popolo (Ez 43,7; Gl 4,17.21; Zc 2,14; 8,3). E abbiamo contemplato (il verbo si ritrova in 1Gv1,1) alla prima plurale. Gruppo di cui l‟evangelista si fa portavoce. Elemento chiave della contemplazione è la doxa, associata nella Bibbia alla presenza di Dio in mezzo al popolo e al contesto dell‟alleanza. Per “vedere la gloria” cfr. Es 33,18; Is 6,3.5. L‟esperienza di Isaia è attualizzata da Gv a proposito dell‟incapacità dei Giudei a credere in Gesù nonostante i segni (Gv 12,37-41). È quella “gloria” che i discepoli credenti sono chiamati a “vedere” per dono di Dio (17,24). Nella parola divenuta carne, nei segni e nella morte di Gesù si rende presente l‟azione benefica e salvifica di Dio attesa per il tempo finale. v. 14… plh,rhj ca,ritoj kai. avlhqei,ajÅ cfr. Es 34.6: ḥ esed we‟emet, nei LXX polyèleos kai alethinos (cfr. Es 33,18-23) Per Fabris Giovanni rinvia alla nota coppia di termini Ḥ esed we‟emet dell‟AT. Mi pare che proprio accettando questa indicazione esegetica, la traduzione che renderebbe maggiormente la sottostante espressione semitica sia “grazia (amore) fedele”: ciò che il Verbo comunica è quell‟amore misericordioso di Dio che è “vero” (radice ‟mn), cioè stabile per sempre. Si tratta dunque della presenza salvifica del Logos diventato carne. I temi della rivelazione biblica vengono riletti e rimeditati da Giovanni in prospettiva cristologica. v.16 dalla sua pienezza evk tou/ plhrw,matoj auvtou/ si riprende l‟espressione pleres di 1,14 apax legomenon nel IV evangelo mentre è presente 12 volte nei LXX e 17 volte nel NT. Indica la totalità e l‟ampiezza dell‟azione divina (cfr. Sl 24,1 e 1Cor 10,26… Ef 1,10,23; 3,19…) Nel logos incarnato si incontrano, o è possibile incontrare i beni salvifici, la loro “pienezza”. kai. ca,rin avnti. ca,ritoj si indica l‟ininterrotto flusso di grazia. Come va tradotta la preposizione? Grazia “su” grazia? v. 17: Mosè e Gesù Cristo. Si osservi la struttura simmetrica della frase: Dio – per mezzo di Mosè – ha donato la Legge Dio – per mezzo di Gesù Cristo rende presente il suo amore fedele. Vanno lette in un crescendo positivo o come opposizione …. Invece…. ? Ambedue le letture sembrano consentite dal testo, anche guardando agli usi antecedenti dei termini. La Legge è rivelazione storica di Dio e rende testimonianza a Gesù (Gv 1,45; 5,39; 10,34; 15,25) Ma è vero anche che “i giudei” si appellano alla Legge contro Gesù (Gv 18,31; 19,7); analogamente per Mosè: cfr 1,45;7,39; 7,45.47 e, per contro, 9,28s. La lettura dunque può essere fatta in progressione, non come semplice parallelismo né come opposizione di negativo a positivo, bensì come sviluppo. v. 18 riprende e conclude quanto già affermato: il versetto si ricongiunge al v.1, osservazione particolarmente importante per chi rappresenta la struttura del prologo come parabola che discende dal v.1 (Verbo presso Dio) al 14 (diventa carne) per riapparire presso il Padre come unigenito
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(v.18). Tutto ciò attraverso una indubitabile progressione: adesso infatti si tratta del Logos incarnato. Osservare l‟interessante uso del verbo exegeo: evkei/noj evxhgh,satoÅ che troviamo 6 volte in Luca con il significato di narrare, raccontare; derivante dall‟uso dell‟AT soprattutto nei testi sapienziali: Gb 28,27; Sir 43,31.
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Il libro dei segni: i segni giovanei:
Segno/i nel IV Vangelo 2:11 Tau,thn evpoi,hsen avrch.n tw/n shmei,wn o` VIhsou/j evn Kana. th/j Galilai,aj kai. evfane,rwsen th.n do,xan auvtou/( kai. evpi,steusan eivj auvto.n oi` maqhtai. auvtou/Å 2:18 avpekri,qhsan ou=n oi` VIoudai/oi kai. ei=pan auvtw/|( Ti, shmei/on deiknu,eij h`mi/n o[ti tau/ta poiei/jÈ 2:23 ~Wj de. h=n evn toi/j ~Ierosolu,moij evn tw/| pa,sca evn th/| e`orth/|( polloi. evpi,steusan eivj to. o;noma auvtou/ qewrou/ntej auvtou/ ta. shmei/a a] evpoi,ei\ 3:2 ou-toj h=lqen pro.j auvto.n nukto.j kai. ei=pen auvtw/|( ~Rabbi,( oi;damen o[ti avpo. qeou/ evlh,luqaj dida,skaloj\ ouvdei.j ga.r du,natai tau/ta ta. shmei/a poiei/n a] su. poiei/j( eva.n mh. h=| o` qeo.j metV auvtou/Å 4:48 ei=pen ou=n o` VIhsou/j pro.j auvto,n( VEa.n mh. shmei/a kai. te,rata i;dhte( ouv mh. pisteu,shteÅ 4:54 Tou/to Îde.Ð pa,lin deu,teron shmei/on evpoi,hsen o` VIhsou/j evlqw.n evk th/j VIoudai,aj eivj th.n Galilai,anÅ 6:2 hvkolou,qei de. auvtw/| o;cloj polu,j( o[ti evqew,roun ta. shmei/a a] evpoi,ei evpi. tw/n avsqenou,ntwnÅ 6:14 Oi` ou=n a;nqrwpoi ivdo,ntej o] evpoi,hsen shmei/on e;legon o[ti Ou-to,j evstin avlhqw/j o` profh,thj o` evrco,menoj eivj to.n ko,smonÅ 6:26 avpekri,qh auvtoi/j o` VIhsou/j kai. ei=pen( VAmh.n avmh.n le,gw u`mi/n( zhtei/te, me ouvc o[ti ei;dete shmei/a( avllV o[ti evfa,gete evk tw/n a;rtwn kai. evcorta,sqhteÅ 6:30 ei=pon ou=n auvtw/|( Ti, ou=n poiei/j su. shmei/on( i[na i;dwmen kai. pisteu,swme,n soiÈ ti, evrga,zh|È 7:31 VEk tou/ o;clou de. polloi. evpi,steusan eivj auvto.n kai. e;legon( ~O Cristo.j o[tan e;lqh| mh. plei,ona shmei/a poih,sei w-n ou-toj evpoi,hsenÈ 9:16 e;legon ou=n evk tw/n Farisai,wn tine,j( Ouvk e;stin ou-toj para. qeou/ o` a;nqrwpoj( o[ti to. sa,bbaton ouv threi/Å a;lloi Îde.Ð e;legon( Pw/j du,natai a;nqrwpoj a`martwlo.j toiau/ta shmei/a poiei/nÈ kai. sci,sma h=n evn auvtoi/jÅ 10:41 kai. polloi. h=lqon pro.j auvto.n kai. e;legon o[ti VIwa,nnhj me.n shmei/on evpoi,hsen ouvde,n( pa,nta de. o[sa ei=pen VIwa,nnhj peri. tou,tou avlhqh/ h=nÅ 11:47 sunh,gagon ou=n oi` avrcierei/j kai. oi` Farisai/oi sune,drion kai. e;legon( Ti, poiou/men o[ti ou-toj o` a;nqrwpoj polla. poiei/ shmei/aÈ 12:18 dia. tou/to Îkai.Ð u`ph,nthsen auvtw/| o` o;cloj( o[ti h;kousan tou/to auvto.n pepoihke,nai to. shmei/onÅ 12:37 Tosau/ta de. auvtou/ shmei/a pepoihko,toj e;mprosqen auvtw/n ouvk evpi,steuon eivj auvto,n( 20:30 Polla. me.n ou=n kai. a;lla shmei/a evpoi,hsen o` VIhsou/j evnw,pion tw/n maqhtw/n Îauvtou/Ð( a] ouvk e;stin gegramme,na evn tw/| bibli,w| tou,tw|\
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Ai “segni” giovannei Schnackenburg dedica un ampio excursus nel I Volume del suo commentario, già citato in bibliografia, pp. 476-493; negli appunti che seguono non si segue esclusivamente Schnackenburg. La scelta del termine Naturalmente la prima osservazione va alla preferenza giovannea di “segno” invece che di “miracolo” dynamis abituale negli altri evangeli. Il vocabolo non è esclusivo di Giovanni (17 volte nel IV Vangelo), ma l‟uso costante per indicare le opere prodigiose di Gesù fa intendere che l‟evangelista privilegia non tanto l‟aspetto “prodigioso” di lotta contro potenze caotiche, che si oppongono a Dio e alla vita (le forze della natura, il caos espresso dal mare in tempesta…) quanto piuttosto il loro valore di indicatori di un altro significato, più profondo che essi possono svelare a chi li guarda con la disposizione ad accogliere la rivelazione di cui essi sono portatori. I segni giovannei restano infatti ambivalenti: loro scopo è condurre alla fede, come viene dichiarato dall‟evangelista stesso eppure possono anche non ottenere questo effetto, persino da parte di chi ne è direttamente testimone (12,37). Distribuzione e numero delle ricorrenze Osservando poi la distribuzione delle ricorrenze nel testo ci rendiamo subito conto di come esse interessino la prima parte del Vangelo. La prima ricorrenza del termine si riferisce al segno di Cana di Galilea, il “primo” o il “principio” dei segni. Le due ultime ricorrenze sembrano particolarmente significative. 1. In 12,37 vi è come una conclusione sui tanti segni compiuti da Gesù, rispetto ai quali i giudei comunque non cedettero in lui. Ma il termine lo incontriamo ancora in 20,30 una vera e propria conclusione all‟intero evangelo che da questa conclusione sembrerebbe essere esattamente una raccolta dei segni che Gesù fece. Dunque anche la seconda parte del Vangelo va intesa come segno? In particolare la morte-risurrezione sembra essere il segno principale dal quale scaturisce il significato più profondo di tutti gli altri segni. Non la pensa così Schnackenburg che esclude che la citazione di 20,30 si riferisca a precedenti narrazioni di Gesù risorto, perché queste non sono mai chiamate “segni”. 2. Una seconda questione è relativa al numero dei segni riportati da Giovanni: 1. l‟acqua trasformata in vino a Cana (2,1-12) 2. la guarigione della figlia del funzionario del re (4,46-54) 3. la guarigione del paralitico di Betzatà (5,1-9) indicato come ergon (non semeion) importante. 4. la moltiplicazione dei pani (6,16-21) 5. la guarigione del cieco nato (9,1-41) 6. la risurrezione di Lazzaro (11,1-45) 7. la pesca miracolosa (21,1-13) Il numero dei segni giovannei, nel loro totale 7, stupisce rispetto al numero dei miracoli narrati dai sinottici (29!). Se si guarda alla prima conclusione del Vangelo, il settimo segno è la morte resurrezione. Se non ci si ferma qui, ma si considera anche il capitolo 21, questo segno rappresenta l‟ottavo segno, con Gesù già risorto. È un caso questo numero? Sette è il numero della compiutezza e della perfezione: si tratta dei segni che nel loro insieme (nell‟insieme del racconto evangelico inteso come la raccolta dei segni di Gesù) sono in grado di comunicare la pienezza di grazia e di verità portata dal Figlio di Dio. Le osservazioni appena fatte sulle ricorrenze, il numero ecc. di “segno” in Giovanni ha fatto pensare a molti esegeti ad una vera e propria “fonte dei segni”. Così, per esempio, Bultmann che attribuisce a tale fonte (a cui bisognerà poi aggiungere la Offenbarungsreden, la fonte dei discorsi di rivelazione) non solo i sette miracoli di cui sopra con le due conclusioni, ma anche altri piccoli tratti dei primi dodici capitoli.
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Ciò che comunque si evince dall‟uso giovanneo dei segni è certamente il loro profondo significato teologico; i segni giovannei provengono da Gesù e sono profondamente legati alla sua opera di rivelatore del Padre… possono essere compresi e accolti solo nella fede. Talvolta Giovanni utilizza anche il termine “opera” accanto a “segno”: non sembra sia necessario ipotizzare la provenienza da diverse fonti, nemmeno però “varianti” di uno stesso pensiero (non sono mai l‟uno accanto all‟altro) Dice Schnackenburg: «L‟evangelista deve aver collegato ai termini “segni” ed “opere” aspetti e contenuti ben determinati…». Il rimando simbolico Pur accogliendo l‟invito di molti esegeti alla prudenza nel parlare di simbolismo (vedi per es. Ashton), mi pare indubbio che la stessa scelta di parlare di segni, piuttosto che di miracoli o altro, chiami in causa, se ve ne fosse bisogno, un uso simbolico di determinate immagini del racconto giovanneo
Da Cana a Cana Prima unità: Da Cana a Cana: inclusione 2,11//4,54. Le tre regioni della Palestina (Galilea, Giudea e Samaria); incontro con figure rappresentative dell‟ambiente etnico e socioculturale… 1. Le nozze di Cana 2,1-11.12 2. Gesù a Gerusalemme 2,13-25 3. Incontro e dialogo con Nicodemo 3,1-21 4. Gesù e Giovanni: confronto e ultima testimonianza 3,22-36 5. Incontro con la Samaritana 4,1-42 6. Guarigione della figlia di un funzionario regale 4,43-54 Fabris, insieme ad altri autori24, identifica in questi tre capitoli una unità osservando l‟inclusione creata da 2,11 e 4,45. Il capitolo 1 costituisce una introduzione che prepara il campo a quanto verrà narrato in seguito. È noto come il prologo costituisca un inquadramento complessivo del Vangelo e della sua presentazione di Gesù, incluso già il rifiuto dai suoi, nel tipico linguaggio giovanneo che tuttavia nel prologo assume una forma ed un lessico del tutto particolare. Sarà perciò esaminato a parte. 1,19-34 presenta la testimonianza di Giovanni Battista che riprende e approfondisce quanto annunciato dal prologo, nelle parti narrative relative esattamente alla testimonianza del Battista su Gesù. I vv. 35-51 dello stesso capitolo 1 introducono la chiamata dei discepoli per la quale troviamo l‟interessante notizia (storica) del passaggio da Giovanni Battista a Gesù (si ricordi quanto già detto nell‟introduzione a proposito dell‟importanza degli elementi battisti nel gruppo di Giovanni!). Queste due parti, testimonianza di Giovanni il Battista e chiamata dei primi discepoli sembrano costituire una introduzione all‟intera narrazione che segue. Altri invece li considerano come facenti parte della prima unità 1,19-4,54. Schnackenburg raccoglie la sezione 1,19-4,54 sotto il titolo “gli inizi della rivelazione di Gesù” vol I p. 375 sulla base delle indicazioni cronologiche, osservando che questa prima parte si differenzia da ciò che segue anche per la mancanza di grandi discorsi di Gesù mantenendo uno stile piuttosto narrativo e informativo. La Bibbia di Gerusalemme privilegia la successione dei giorni che scandiscono la “settimana inaugurale” che culmina nel segno di Cana, la prima settimana dell‟operato di Gesù attraverso la successione di giorni:
24
Così, tra gli altri, Tillmann, Bultmann, Wikenhauser, Dodd (che fa incominciare da qui il libro dei segni)
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1,29 Il giorno dopo, Giovanni vedendo Gesù venire verso di lui disse: «Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo! 1,35 Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli 1,43 Il giorno dopo Gesù aveva stabilito di partire per la Galilea; incontrò Filippo e gli disse: «Seguimi». 2,1 Tre giorni dopo, ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea e c'era la madre di Gesù. L‟enumerazione dei giorni riprende in 4,43 4,43 Trascorsi due giorni, partì di là per andare in Galilea. mentre divide poi, sempre seguendo il criterio temporale,2,13 per la prima citazione di una delle tre feste di Pasqua citate dall‟evangelista. Vi sono tuttavia altri elementi, oltre la citazione dei due segni a Cana, che depongono a favore di una presentazione unitaria del materiale raccolto in questa prima unità che si presenta quasi come un prologo al dramma che si svilupperà successivamente (2-4): 1. un ciclo geografico completo che rappresenta l‟attività di Gesù nelle tre regioni della Palestina del tempo: 2:1 Tre giorni dopo ci fu una festa di nozze in Cana di Galilea e c' era là la madre di Gesù. 2,11 Questo inizio dei segni fece Gesù in Cana di Galilea e rivelò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui. 3:22 In seguito Gesù e i suoi discepoli vennero nel territorio della Giudea e lì si trattenne con loro e battezzava. 4:3 lasciò la Giudea e ritornò verso la Galilea. 4:4 Egli doveva passare per la Samaria. 4:5 Ora, arriva ad una città della Samaria chiamata Sichar, vicino al podere che Giacobbe aveva dato al figlio suo Giuseppe. 4:7 Viene una donna della Samaria ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». 4:43 Dopo questi due giorni ripartì di là per la Galilea. 4:45 Ora, quando Gesù arrivò in Galilea, i Galilei lo accolsero bene, avendo visto tutte le cose che aveva fatto a Gerusalemme durante la festa, poiché anch' essi erano andati alla festa. 4:46 Gesù tornò dunque a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l' acqua in vino. C' era un funzionario regio, il cui figlio era ammalato, a Cafarnao. 4:47 Avendo egli saputo che Gesù era venuto dalla Giudea alla Galilea, si recò da lui e lo pregava di scendere e guarire il figlio suo, perché stava per morire. 4:54 Gesù compì questo secondo segno ritornando dalla Giudea alla Galilea. 2. Dal punto di vista narrativo si osserva l‟accoglienza positiva, non ostile anche da parte giudaica, riservata a Gesù e ai segni che compie: 2[11]Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea, manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui. 2 [22]Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù. 2[23]Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa molti, vedendo i segni che faceva, credettero nel suo nome.
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3[1]C'era tra i farisei un uomo chiamato Nicodèmo, un capo dei Giudei. [2]Egli andò da Gesù, di notte, e gli disse: «Rabbì, sappiamo che sei un maestro venuto da Dio; nessuno infatti può fare i segni che tu fai, se Dio non è con lui». 4[39]Molti Samaritani di quella città credettero in lui per le parole della donna che dichiarava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». [40]E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregarono di fermarsi con loro ed egli vi rimase due giorni. [41]Molti di più credettero per la sua parola [42]e dicevano alla donna: «Non è più per la tua parola che noi crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo». 4[43]Trascorsi due giorni, partì di là per andare in Galilea. [44]Ma Gesù stesso aveva dichiarato che un profeta non riceve onore nella sua patria. [45]Quando però giunse in Galilea, i Galilei lo accolsero con gioia, poiché avevano visto tutto quello che aveva fatto a Gerusalemme durante la festa; anch'essi infatti erano andati alla festa. 4 [53]Il padre [funzionario regio] riconobbe che proprio in quell'ora Gesù gli aveva detto: «Tuo figlio vive» e credette lui con tutta la sua famiglia. 3. Sempre dal punto di vista narrativo si osserva la presentazione di diversi contesti e personaggi che rappresentano le differenze della Palestina del suo tempo: Nozze di Cana (matrimonio giudaico): Sposi galilei, Maria la medre di Gesù, fratelli e discepoli di Gesù 2,12 Purificazione del tempio: Pasqua dei Giudei; Nicodemo, capo dei giudei; Battesimo: Giovanni Battista; discepoli del battista Samaritana: Samaritani; Galilei: accolgono con piacere Gesù Funzionario del re: familiari del funzionario regio 4. È in questa prima unità che Gesù vive la sua prima Pasqua a Gerusalemme, con accoglienza positiva da parte di molti giudei (2,23) 5. È da osservare inoltre, dal punto di vista narrativo, che “i Giudei” saranno presentati esplicitamente in maniera aggressiva contro Gesù solo a partire dal capitolo 5, dopo la guarigione dell‟infermo a Betzaetà, quando i Giudei lo accusano di violare il sabato e soprattutto di farsi uguale a Dio (5,18) Arricchiamo adesso il quadro della prima unità: 1. 2. 3. 4. 5. 6.
Primo segno: Le nozze di Cana 2,1-11.12 Gesù a Gerusalemme 2,13-25 Incontro e dialogo con Nicodemo 3,1-21 Gesù e Giovanni (amico dello sposo): confronto e ultima testimonianza 3,22-36 Incontro e dialogo con la Samaritana 4,1-42 Secondo segno: Guarigione della figlia di un funzionario regale a Cana 4,43-54
Un primo sommario sguardo allo sviluppo narrativo: da Cana a Cana, in titolo che abbiamo dato alla sezione, sottolinea la cornice narrativa di questa unità che raccoglie i primi incontri di Gesù tra due “segni” introducendo così l‟intera prima parte di Giovanni, il cosiddetto libro dei segni. Sull’Alleanza: A Cana di Galilea tutto si svolge nel contesto matrimoniale, simbolismo dell‟alleanza (matrimonio, acqua trasformata, vino… stupore e sottolineatura del Maestro di tavola: il meglio dato alla fine!) Il contesto tradizionale è giudaico e giudaica la risposta all‟attesa dell‟Alleanza nuova… Sul Tempio: La prima salita di Gesù a Gerusalemme corrisponde alla cacciata dei venditori dal tempio… in polemica »profetica) con la situazione attuale in cui il tempio versa… Accenno alla
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risurrezione (che si comprenderà solo dopo Pasqua). Messa in questione del ruolo attuale del tempio. Cresce la fama di Gesù per i suoi “segni” Sulla necessità di rinascere dall’alto nella fede nel Figlio: Chiarimento con Nicodemo, capo dei Giudei, sulla necessità di rinascere dall‟alto… motivo della missione del Figlio. Necessità della fede nel Figlio di Dio inviato dal Padre. Sul rapporto Gesù / Giovanni Battista (amico dello sposo) e ancora sulla provenienza del Figlio dall‟alto… e sulla necessità della fede in lui Sul rapporto con i Samaritani e la loro disposizione a credere in Gesù come Taheb e salvatore del mondo Sul rapporto con i pagani: il funzionario del re arriva alla fede in Gesù con tutta la sua famiglia Quindi dal chiarimento di Gesù circa il giudaismo, le sue attese, le sue istituzioni, la necessità di accogliere Gesù come Figlio inviato del Padre, all‟accoglienza di Gesù, nella fede, da parte dei nongiudei. Il segno dell’acqua trasformata in vino: Gv 2:1-12 1 Kai. th/| h`me,ra| th/| tri,th| ga,moj evge,neto evn Kana. th/j Galilai,aj( kai. h=n h` mh,thr tou/ VIhsou/ evkei/\ 2 evklh,qh de. kai. o` VIhsou/j kai. oi` maqhtai. auvtou/ eivj to.n ga,monÅ 3 kai. u`sterh,santoj oi;nou le,gei h` mh,thr tou/ VIhsou/ pro.j auvto,n( Oi=non ouvk e;cousinÅ 4 Îkai.Ð le,gei auvth/| o` VIhsou/j( Ti, evmoi. kai. soi,( gu,naiÈ ou;pw h[kei h` w[ra mouÅ 5 le,gei h` mh,thr auvtou/ toi/j diako,noij( {O ti a'n le,gh| u`mi/n poih,sateÅ 6 h=san de. evkei/ li,qinai u`dri,ai e]x kata. to.n kaqarismo.n tw/n VIoudai,wn kei,menai( cwrou/sai avna. metrhta.j du,o h' trei/jÅ 7 le,gei auvtoi/j o` VIhsou/j( Gemi,sate ta.j u`dri,aj u[datojÅ kai. evge,misan auvta.j e[wj a;nwÅ 8 kai. le,gei auvtoi/j( VAntlh,sate nu/n kai. fe,rete tw/| avrcitrikli,nw|\ oi` de. h;negkanÅ 9 w`j de. evgeu,sato o` avrcitri,klinoj to. u[dwr oi=non gegenhme,non kai. ouvk h;|dei po,qen evsti,n( oi` de. dia,konoi h;|deisan oi` hvntlhko,tej to. u[dwr( fwnei/ to.n numfi,on o` avrcitri,klinoj 10 kai. le,gei auvtw/|( Pa/j a;nqrwpoj prw/ton to.n kalo.n oi=non ti,qhsin kai. o[tan mequsqw/sin to.n evla,ssw\ su. teth,rhkaj to.n kalo.n oi=non e[wj a;rtiÅ 11 Tau,thn evpoi,hsen avrch.n tw/n shmei,wn o` VIhsou/j evn Kana. th/j Galilai,aj kai. evfane,rwsen th.n do,xan auvtou/( kai. evpi,steusan eivj auvto.n oi` maqhtai. auvtou/Å Meta. tou/to kate,bh eivj Kafarnaou.m auvto.j kai. h` mh,thr auvtou/ kai. oi` avdelfoi. Îauvtou/Ð kai. oi` maqhtai. auvtou/
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kai. evkei/ e;meinan ouv polla.j h`me,rajÅ 12 Kai. evggu.j h=n to. pa,sca tw/n VIoudai,wn( kai. avne,bh eivj ~Ieroso,luma o` VIhsou/j Come sempre è opportuno che si facciano quelle operazioni che potrebbero essere considerate ovvie: l‟osservazione della pericope per delimitarla, giustificare perché e dove inizia e finisce, organizzarla in una quadro strutturale più chiaro (distinguendo cornice narrativa, parti descrittive, parti dialogate…) per avere inizialmente un quadro più chiaro benchè non determinante, tuttavia utile per l‟interpretazione. A queste osservazioni vanno aggiunte le normali osservazioni di critica testuale (se sono di una qualche pur minima importanza). La delimitazione appare nel nostro caso piuttosto chiara: al v. 1 si dice che si celebrarono delle nozze a Cana di Galilea, al versetto 11 si dice che «così Gesù diede inizio ai suoi segni in Cana di Galilea». Nel v. 12, inoltre, l‟ambientazione cambia attraverso lo spostamento geografico. Se si osserva l‟organizzazione della narrazione non è difficle considerare il v. 1 e il v. 12 come cornice narrativa che inquadra il racconto geograficamente con, alla fine, una sottolineatura sull‟importanza di quanto è accaduto ad opera di Gesù a Cana. Dentro alla cornice distinguiamo Il breve e in parte misterioso colloquio madre-Gesù che parte dall‟intervento di questa, alla misteriosa risposta di Gesù (negativa?) e alle disposizioni che essa impartisce ai sevi vv 3-5. Il miracolo della trasformazione dell‟acqua in vino (con descrizione delle giare, ordine di Gesù e constatazione del cambiamento prodigioso) vv. 6-9. Lunga (rispetto agli altri interventi) osservazione del Maestro di tavola v.10 Sempre in modo ancora superficiale, si può facilmente osservare come lo spazio dedicato al racconto del “miracolo” sia molto ridotto (v.9), e soprattutto come non vi siano reazioni immediate al fatto in sé, cioè al prodigio di una trasformazione del genere: l‟acqua in vino. C‟è invece, come osservazione su quanto accade quanto dice il maestro di tavola sul tempo in cui di solito si serve il vino buono rispetto a quello in cui si serve il vino meno buono. È l‟intervento più ampio che venga riportato…. Già queste piccole e semplici osservazioni di superficie orientano, come si diceva, l‟interpretazione in quanto è immediatamente percepibile che il senso di questo “segno” non risiede nel prodigio in sé, quanto piuttosto nel significato che da esso trae il maestro di tavola. Il fatto inoltre che venga segnalato che si tratta dell‟inizio dei segni, primo di altri segni, connette direttamente il nostro brano con una successione che si conclude in 12: [37]Sebbene avesse compiuto tanti segni davanti a loro, non credevano in lui; [41]Questo disse Isaia quando vide la sua gloria e parlò di lui…. Dal punto di vista della critica testuale possiamo osservare: v. 2 … kai. oi` maqhtai. auvtou…. E sostituito in una antica tradizione Epistula apostolorum dalla lectio «e i suoi fratelli» che secondo Boismard potrebbe essere quella originale. v.3: diverse versioni antiche presentano un testo più lungo con la spiegazione dell‟esaurimento del vino… v.12 “vi rimasero” nei codici e papiri più importanti; tuttavia nell‟Alessandrino e in altri cod. minuscoli si ha il singolare.
Altre osservazioni sono relative alla critica stilistica: il passo molto stringato dà più la sensazione di un racconto sinottico, che giovanneo; non vi sono passaggi (anche se vi sono parole) che appartengano allo stile giovanneo… forse un racconto già esistente? Forse si tratta di tradizioni proprie raccolte a Cana, insieme al segno del figlio del funzionario reale (c. 4)? Ma l‟accenno all‟ora presenta l‟indubbia impronta giovannea, segno di rielaborazione di una
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eventuale tradizione scritta a lui precedente. Del resto lo “stile” di un racconto che dedica così poco spazio al miracolo in se stesso e invece dà rilievo alle annotazioni teologiche, indicando la lettura più profonda del segno, ricorre spesso anche nelle altre narrazioni giovannee. Osservazioni di dettaglio: 1 Kai. th/| h`me,ra| th/| tri,th| ga,moj evge,neto evn Kana. th/j Galilai,aj( kai. h=n h` mh,thr tou/ VIhsou/ evkei/\ Abbiamo già osservato l‟indicazione temporale th/| h`me,ra| th/| tri,th a partire da 1,19 intercorre dunque una settimana. Boismard ne parla come della settimana della rigenerazione da contrapporre a quella della nuova creazione (passione morte risurrezione). Il riferimento al terzo giorno può riferirsi ai tre giorni della risurrezione (il riferimento alla gloria)? Ciò va nel senso del miracolo di Cana come anticipazione di quello che avverrà. Per Schnackenburg ed altri esegeti si tratta più semplicemente dell‟indicazione di un tempo breve. Cana viene identificata con Kafr Kenna (6 km nord ovest di Nazareth), ma è il trasferimento tradizionale dell‟originaria località di Khirbet Qana, 13 Km a nord di Nazaret. Comunque vicina a Nazaret, il che giustifica la conoscenza degli sposi da parte dei familiari di Gesù. 2 evklh,qh de. kai. o` VIhsou/j kai. oi` maqhtai. auvtou/ eivj to.n ga,monÅ Gesù viene qui associato ai suoi discepoli, piuttosto che alla madre che viene citata nella scena precedente, nella descrizione delle nozze! (Maria – Israele?). I discepoli erano stati citati poco prima, coloro che lo avevano seguito e che diventano qui i testimoni privilegiati del segno. 3 kai. u`sterh,santoj oi;nou le,gei h` mh,thr tou/ VIhsou/ pro.j auvto,n( Oi=non ouvk e;cousinÅ Il verbo hysteréô, usato qui nel participio aoristo attivo (gen. masch. sing.) indica la mancanza, il bisogno di… È da ricordare che il matrimonio prevedeva una settimana di festa. Il vino era fondamentale e la sua mancanza è comprensibile che crei imbarazzo. Molti Padri hanno ritenuto che Maria volesse chiedere un miracolo a Gesù, ma ciò non risulta chiaramente dal testo. 4 Îkai.Ð le,gei auvth/| o` VIhsou/j( Ti, evmoi. kai. soi,( gu,naiÈ ou;pw h[kei h` w[ra mouÅ Ecco un versetto dal significato misterioso, o quasi offensivo. Gesù dice alla madre che non deve intromettersi nella sua missione messianica? E perché l‟uso di una forma che almeno in apparenza è tanto reattiva: Ti, evmoi. kai. soi,( gu,naiÈ Cosa vuol dire? Le dice Gesù: «Che vuoi da me, o donna? Non è ancora venuta la mia ora». Oppure «Che c‟è tra me e te, donna?….» L‟espressione è documentata sia nel mondo veterotestamentario (mah-li walak, cfr. Gdc 11,12; 2Sam 16,10….) come in quello ellenistico. Si ricordi inoltre l‟uso che se ne fa, per es. in Mc 1,24: tì hêmin kai soi = che c‟entri con noi… è quanto dice a Gesù l‟uomo posseduto dallo spirito immondo. La stessa espressione giovannea anche in Mc 5,6, anche qui pronunciata da un posseduto… È interessante al proposito leggere diverse posizioni, comprese quelle ereticali ricordate da S. Tommaso d‟Aquino nel suo commento a Giovanni (cfr. II, 348-353). L‟interpretazione che viene ripresa allora, come oggi da molti commentatori spirituali, è la funzione “mediatrice” di Maria nell‟opera del Figlio… Mateos traduce: che ci importa a me e a te, donna?. Qui l‟interpretazione è simbolica: Maria =Israele. Le parole di Gesù sono indirizzate a Israele che ha perso fiducia, invitandolo a rompere con il passato. Gesù rileva che quella realtà è decaduta e non deve essere rivitalizzata; la sua opera
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non poggerà sulle antiche istituzioni ma porterà una novità radicale, rappresentata appunto dalla sostituzione del vino all‟acqua…. Certo l‟appellativo “donna” non è consueto (lo ritroveremo però nel secondo passo in cuii Gv cita la madre di Gesù nelle parole di lui 19,26) Proprio la seconda ricorrenza non fa pensare a un atteggiamento irriguardoso, quanto piuttosto collegato alla seconda parte: “non è ancora giunta la mia ora”. Molti esegeti, antichi e moderni, propendono per interpretare la prima parte come un interrogativo retorico: “Che vuoi da me, donna? la mia ora è venuta.” Ma più semplicemente qui sembra che si voglia indicare non l‟opposizione di Gesù alla richiesta di interessamento della madre, quanto piuttosto la sottolineatura che esiste una distanza tra la madre stessa e l‟ora di Gesù che dipende invece dal Padre. Rispetto al volere e al progetto del Padre anche la volontà, la richiesta della madre è subordinata. Si noti come questa interpretazione sia concorde con l‟insieme evangelico, per esempio nella risposta di Gesù alla ricerca di lui bambino nel tempio, ricordata dai sinottici. Dunque è il Padre che dispone di Gesù e della sua opera, dato che, come dirà più avanti l‟evangelista, il Padre opera nel Figlio. A questo primo significato si unisce anche il riferimento all‟ora della glorificazione del Figlio, quella della morte: in questo senso il segno di Cana non può essere che una parziale, forse simbolica anticipazione (il vino/sangue offerto da Gesù). Schnackenburg osserva tuttavia che tale interpretazione ridurrebbe la portata dell‟azione di Gesù nella quale già risplende la doxa, quella che è presente nel Verbo Incarnato (1,14). Il segno non ha solo il compito di indicare ma anche di manifestare la gloria presente nella persona di Gesù, dispensatore dei doni escatologici del Padre.
Schnackenburg osserva che comunque si interpreti la risposta di Gesù alla madre, rimane il fatto che ella concorre alla preparazione del miracolo: 5 le,gei h` mh,thr auvtou/ toi/j diako,noij( {O ti a'n le,gh| u`mi/n poih,sateÅ dunque Maria non può aver compreso la risposta di Gesù come un rifiuto totale a darsi da fare. Si fida del Figlio. 6 h=san de. evkei/ li,qinai u`dri,ai e]x kata. to.n kaqarismo.n tw/n VIoudai,wn kei,menai( cwrou/sai avna. metrhta.j du,o h' trei/jÅ L‟attenzione si sposta ora alle idrie di pietra, ciascuna delle quali contiene circa 100 litri d‟acqua (23 metrete: 1 metreta = litri 39,39). Recipienti piantati nel suolo, generalmente di argilla, considerati migliori quelli di pietra perché non soggetti alle impurità di cui parla il Levitico (11,33). Mateos interpreta simbolicamente il riferimento al numero e al materiale delle idrie. Anzi sottolinea anche il riferimento alla loro grande capacità di contenuto, indirettamente legato all‟immobilità…. Le idrie presidiano così, come segno dell‟Alleanza Antica, le nozze/Alleanza. “di pietra” fa riferimento alle tavole della Legge (es 31,18 ecc) Dunque il riferimento è alla Legge mosaica; al cuore di pietra fa riferimento Ezechiele (36,26) che parla della sostituzione con un cuore di carne. Il tutto rappresenta la necessità di purificazione derivante dall‟idea di impurità e di indegnità. L‟uomo di conseguenza è legato a Dio dal timore più che dall‟amore. Il tutto costituituiva un formidabile strumento di potere nelle mani del sacerdozio di Gerusalemme che poteva tenere così assoggettati gli israeliti. Si osservi che il testo dice esplicitamente “dei Giudei”, i dirigenti del regime. Ma non basta. Si dirà di riempire le idrie, segno che esse erano vuote dell‟acqua che doveva servire per la purificazione, segno di un potere iniquo ed inefficace, vuoro. Il numero sei, numero dell‟incompleto, si contrappone al sette, quello della completezza. Sei è il numero delle feste giudaiche che verranno registrate da Gv. L‟attività di Gesù si svolge in sei giorni: l‟opera creatrice non è ancora conclusa. Alla legge antica manca il vino dell‟amore. Il primo segno che Gesù realizza, come nuovo sposo, annuncia il cambio dalla vecchia alla nuova alleanza, offrendo un assaggio del suo vino.
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È una interpretazione simbolica molto interessante che tuttavia forza alcuni elementi… Nei vv 7 e 8 si susseguono le azioni senza alcuna obiezione da parte di coloro che eseguono le disposizioni di Gesù. Il riempire le idrie fino all‟orlo rappresenta la grandezza del gesto che Gesù sta per compiere. 9 w`j de. evgeu,sato o` avrcitri,klinoj to. u[dwr oi=non gegenhme,non kai. ouvk h;|dei po,qen evsti,n( oi` de. dia,konoi h;|deisan oi` hvntlhko,tej to. u[dwr( fwnei/ to.n numfi,on o` avrcitri,klinoj Il miracolo in se stesso non viene descritto, si descrivono invece le conseguenze (come per la moltiplicazione dei pani). Si sottolinea il po,qen per il significato particolare che assume nel IV Vangelo. Per la brevità del racconto del miracolo, stupisce ancor di più l‟ampio intervento dell‟architriclino, che può essere considerato spiritoso (Schnackenburg). Non sembra riferirsi ad una “norma” quanto piuttosto ad una considerazione di ordine pratico, forse un po‟ furbesca. 10 kai. le,gei auvtw/|( Pa/j a;nqrwpoj prw/ton to.n kalo.n oi=non ti,qhsin kai. o[tan mequsqw/sin to.n evla,ssw\ su. teth,rhkaj to.n kalo.n oi=non e[wj a;rtiÅ Osservazione spiritosa? (Schnackenburg) Il vino buono è quello offerto da Gesù, evidente significato simbolico… 11 Tau,thn evpoi,hsen avrch.n tw/n shmei,wn o` VIhsou/j evn Kana. th/j Galilai,aj kai. evfane,rwsen th.n do,xan auvtou/( kai. evpi,steusan eivj auvto.n oi` maqhtai. auvtou/Å Meta. tou/to kate,bh eivj Kafarnaou.m auvto.j kai. h` mh,thr auvtou/ kai. oi` avdelfoi. Îauvtou/Ð kai. oi` maqhtai. auvtou/ kai. evkei/ e;meinan ouv polla.j h`me,rajÅ Segue il commento dell‟evangelista: innanzitutto con la sottolineatura del “principio dei segni” in Cana di Galilea, poi con una osservazioni più approfondita: manifestò la sua gloria, coordinata con la conseguenza della fede dei suoi discepoli (cosa vuol dire, che i discepoli prima non credevano in Gesù?…) Segue un‟indicazione spazio-temporale nella quale si indica lo spostamento di Gesù a Cafarnao insieme alla madre, ai fratelli e ai discepoli, dove, si aggiunge, si fermarono molti giorni. Quello di Cana è dunque il segno della prima “manifestazione” della gloria di Gesù. Contestualizza precisamente (anche se per noi è inverificabile) l‟accadimento; è importante per il carattere stesso del vangelo di Gv che radica nella memoria dei fatti e non invece in una “conoscenza” superiore. Nello stesso tempo viene indicato uno dei caratteri fondamentali del “segno” giovanneo: radica nella fede quelli che lo seguono… come dire che di per sé non può determinare la fede, solo chi guarda a Gesù con occhio interessato può percepire il significato profondo dei segni che opera e giungere ad una fede più matura. In questo primo segno manca un discorso esplicativo di Gesù, come avverrà invece in seguito, che sveli il significato profondo del segno stesso. Tuttavia le sottolineature dell‟evangelista nel v.11 dicono in maniera “esemplare” ciò che caratterizza il segno, o i segni, operati da Gesù: manifestazione della gloria, del Logos che si è fatto carne, che ha come fine la fede di coloro che attraverso il segno credono in Gesù, Messia e Figlio di Dio (20,31). Si comprende così nel suo pieno significato l‟esemplarità di questo segno che è “inizio” non solo in senso cronologico ma, appunto, esemplare.
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Ma cosa vuol dire, esegeticamente l‟espressione kai. evfane,rwsen th.n do,xan auvtou Bisogna ammettere, dalla dinamica stessa della narrazione, che si tratta innanzitutto della potenza divina; in sé un concetto che ritroviamo nei sinottici e in Paolo mentre non lo si trova esplicitamente in Gv: lo stesso segno è soprattutto rimando al significato piuttosto che manifestazione di potenza contro forze ostili…. La connotazione di potenza è del resto presente nel concetto ebraico di Kābôd, alla base del concetto giovanneo. Non sembra trattarsi, secondo Schnakenburg, del momentaneo trasparire della gloria celeste, quasi mettendo da parte la sarx, o trasfigurandola. Anzi, è proprio quella sarx che il Verbo ha assunto che manifesta quella gloria visibile agli occhi della fede. La visione celeste del suo splendore è riservata al futuro, presso il Padre (17,24). È invece manifestazione della doxa che aveva presso il Padre prima di venire nel mondo. Gloria luminosa, dunque, insieme a potere divino, sono ambedue contenuti nel concetto giovanneo di doxa. La manifestazione (phaneroo), è percepibile solo in una visione spirituale. La fede dei discepoli viene così accresciuta dal segno di Cana: “essi cedettero in lui” pisteuein eis si incontra 36 volte nel IV Vangelo. L‟interpretazione fondamentale della pericope dipende esattamente da queste ultime annotazioni giovannee, ed è dunque principalmente cristologica: la rivelazione è autorivelazione di Gesù. In tal senso va interpretata anche la domanda che pone indirettamente l‟evangelista: da dove? Essi non sapevano da dove venisse quel vino… è una domanda piena di significato nel vangelo giovanneo perché pur conoscendo la provenienza terrena di Gesù, i suoi contemporanei non sanno, non arrivano a vedere la sua provenienza celeste. Egli viene dal Padre. L‟elemento particolare, il vino, non è senza significato: è offerto “all‟ultimo” ed è “abbondante”: è il dono escatologico del Messia (Am 9,13; Os 2,24; Gl 4,18; Is 29,17; Ger 31,5) e nel tardo giudaismo. Si veda in particolare Gn 49,11s.:
`ÎAtWsÐ ¿htoWsÀ ~ybin"[]-~d;b.W Avbul. !yIY:B; sBeKi Antoa] ynIB. hq'reFol;w> ÎAry[iÐ ¿hroy[iÀ !p,Gl< ; yrIs.ao Egli che lega alla vite il suo asinello e a scelta vite il figlio dell' asina sua; egli che lava nel vino la sua veste e nel sangue dell' uva il suo manto
C‟è un riferimento al vino eucaristico? Un parallelo con Gv 6, il miracolo del pane? Dunque una spiegazione sacramentale? Non è necessario restringere immediatamente il campo a questo tipo di messaggio specifico, dice Schnackenburg. Sia lo Schnackenburg che diversi altri autori fanno riferimento a letture simboliche, circa la trasformazione dell‟acqua in vino, che, a partire dall‟antichità patristica, hanno spesso assunto la trasformazione di Cana come segno del superamento del Nuovo con l‟Antico, nel senso appunto di una trasformazione – sostituzione che influiva e confermava l‟idea della rottura di Gesù con le istituzioni israelitiche, il suo culto e le sue leggi, in particolare i rituali di abluzione. Cfr. in proposito anche il commentario moderno di Mateos. Ciò sarebbe peraltro in linea con il racconto successivo della purificazione del Tempio. Faccio però notare l‟equilibrata spiegazione di San Tommaso, la terza proposta che elenca il dottore angelico sul motivo per il quale Gesù avrebbe preferito creare vino dall‟acqua anziché dal nulla: «Cristo non volle produrre il vino dal nulla ma dall‟acqua, per mostrare che egli non insegnava una dottrina del tutto nuova, condannando l‟antica; ma voleva perfezionare l‟antica; come si legge in Mt 5,17: “Non sono venuto per abolire la Legge, ma per portarla a compimento». Cosicché quanto l‟antica Legge prefigurava e prometteva, Cristo lo rese presente e lo espose con chiarezza. Di qui le parole evangeliche (Lc 24,45): “Allora aprì loro la mente all‟intelligenza delle Scritture”». Ancor prima, V sec., scrive Eusebio il Gallicano nel Sermone 5°, De Epiphania (II): «In Galilea, per opera di Cristo, l‟acqua diventa vino; scompare la Legge, succede la grazia; fugge l‟ombra, subentra la realtà; le cose materiali sono messe a confronto con quelle spirituali; la vecchia osservanza cede il posto al Nuovo Testamento... Come l‟acqua contenuta nelle giare non perde nulla di quello che era e comincia ad essere quello che non era, così
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la Legge non è stata sminuita dalla venuta di Cristo, ma avvantaggiata, perché da essa ha ricevuto il suo completamento... Mancando il vino, viene sostituito un altro vino; il vino dell‟Antico Testamento è buono; ma quello del Nuovo è migliore» (PLS 3,561s.). Come si vede qui siamo nella linea non della sostituzione ma della continuità e dell‟adempimento delle promesse… Questa linea è preferibile poiché in realtà Gesù non si dimostra ostile ai riti purificatori giudaici di cui spesso parla senza disprezzo. Come non si può accettare semplicemente in ambito esegetico l‟allegoresi spinta dei Padri, così sembra eccessivo ricorrere al motivo della leggenda di Dioniso (scuola della storia delle religioni: Bousset, Bultmann) in cui si racconta di trasformazioni simili in feste dedicate alla divinità. Una diversa ipotesi interpretativa mi pare però più convincente: suscita qualche perplessità la risposta di Gesù ala madre “donna”. Il tono, al di là di quanto si cerca di insinuare per attenuarne la durezza, sembra proprio voler sottolineare la dura contestazione di Gesù circa la sua chiamata in causa, nel matrimonio giudaico che si sta celebrando, da parte della madre che risulta invadente nel senso letterario del termine: che c‟è fra me e te? Del resto non è un fatto nuovo nei vangeli: anche la ricerca di Gesù nel tempio da parte dei genitori di Gesù presenta qualcosa di analogo: non sapete che sono venuto per fare la volontà del Padre mio?... Insomma Gesù precisa anche a Cana che ciò che è venuto a fare riguarda il suo rapporto con DioPadre e non con la volontà della madre e con la sua preghiera di intervenire. È esattamente il contrario cioè di quanto si dice nella esegesi piuttosto mariologica del brano. Di fatto però, per la tradizionale interpretazione dell‟acqua trasformata in vino alla fine, l‟affermazione di Gesù, soprattutto la sua precisazione “non è ancora giunta la mia ora” sembrano in contraddizione. Questo sarebbe da spiegare, stando all‟interpretazione tradizionale, proprio per l‟intervento in qualche modo anticipatore di Maria. In tal senso anche l‟esegesi del termine “donna” qui impiegato viene attirato in na interpretazione teologica per così dire positiva: donna nel senso genesiaco, come Eva, anzi, nuova Eva, madre dei credenti. Non che questo non funzioni, in generale. Ma rimane l‟aspetto piuttosto curioso dell‟affermazione di Gesù circa la sua ora non ancora venuta. Gesù dunque fa un‟eccezione? Anticipa qualcosa perché spinto dalla madre? Proprio per evitare la contraddizione è stato proposto da diversi esegeti di intendere in senso interrogativo la risposta di Gesù: “non è forse giunta la mia ora?” a cui più ragionevolmente seguirebbe l‟azione della trasformazione dell‟acqua in vino. Mi pare però che tutto fila meglio, senza sforzi interpretativi particolari, se si intende che il miracolo compiuto da Gesù non consiste nell‟aver trasformato le sei giare d‟acqua in vino, ma di aver semplicemente fatto assaggiare all‟architriclinio un vino eccezionalmente buono che provoca l‟elogio dell‟ignaro maestro di tavola. Infatti ciò che è stato trasformato in vino è l‟acqua “attinta” e portata al maestro. L‟indicazione del resto viene dal testo stesso: Dopo aver dato l‟ordine di riempire le giare, ordine eseguito dai servi, Gesù ordina di “attingere” avntlh,sate e portarne al maestro di tavola. Nella spiegazione che segue, circa il fatto che il maestro non sapeva di dove venisse quel vino, si aggiunge che lo sapevano i servi che avevano attinto l‟acqua oi` hvntlhko,tej to. u[dwr. Ciò che essi hanno attinto per portare al maestro è acqua, non vino. Alcune varianti testuali aggiungono a questo punto di nuovo la specificazione “diventata vino, segno di un chiarimento che il testo sembrava richiedere per far capire che essi attingono non acqua bensì acqua già trasformata in vino. Ciò permette meglio di comprendere la negazione di Gesù e la sua affermazione sul fatto che non è venuta la sua ora, non può dare adesso il vino che manca. L‟ora di Gesù, verrà detto in diversi momenti, verrà più avanti, è quella della passione. L‟assaggio è veramente tale, riguarda solo l‟acqua che i servi hanno portato all‟architriclino. La lode fatta sul vino servito alla fine allude così con chiarezza a ciò che Gesù compirà, appunto, alla fine. Dal punto di vista del piano della narrazione, la parola del maestro di tavola, trattata dagli esegeti con qualche imbarazzo, parlano infatti di una sorta di norma che tuttavia non è chiaramente parte dell‟uso abituale, non costituisce
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una vera regola di comportamento, in realtà ha il solo scopo di accennare metaforicamente a quanto si compirà solo alla fine: Gesù offrirà il vino buono, quello dell‟alleanza eterna, quello in cui ci sarà l‟abbondanza escatologica del cibo e del vino secondo la promessa profetica (cf. sopra). Così pure l‟accenno al terzo giorno che viene fatto all‟inizio, correttamente compreso di solito come allusione ai tre giorni della passione, diventa più chiaro ed esplicito: rinvia anch‟esso ad un tempo allusivamente, e solo allusivamente richiamato dall‟evento che sta per compiersi. A Cana Gesù non dà da bere il vino buono, egli ne permette l‟assaggio al maestro di tavola e solo a lui, confermando la sua intenzione a non intervenire per il momento perché non è ancora giunta la sua ora. L‟aspetto miracoloso non cambia un gran che. Cambiare un bicchiere o sei anfore di acqua in vino è la stessa cosa, ma cambia il senso: Gesù sta dando un assaggio, l‟assaggio del maestro di tavola conferma da una parte la risposta negativa altrimenti non chiaramente comprensibile, dall‟altra rinvia a qualcosa che certamente verrà compiuto e che diventa profezia nelle parole dell‟ignaro Maestro, cioè il fatto che il vino buono verrà distribuito alla fine. Gesù, sollecitato dalla madre, risponde che non interverrà, poiché non è giunta la sua ora, non può dare il vino che è venuto a portare, quello dell‟attesa escatologica. Lo darà a suo tempo. Ne farà gustare il valore di qualità superiore solo al maestro di tavola che nella lode conferma in realtà che esso viene conservato per la fine. Inconsapevolmente, come accadrà del resto con Caifa, sta dicendo qualcosa che si dimostrerà vero con la passione morte risurrezione.
Incontro con la samaritana 4,1-42 N= narratore; G= Gesù; S= Samaritana; D= Discepoli; S= Samaritani N ~Wj ou=n e;gnw o` VIhsou/j o[ti h;kousan oi` Farisai/oi o[ti VIhsou/j plei,onaj maqhta.j poiei/ kai. bapti,zei h' VIwa,nnhj & kai,toige VIhsou/j auvto.j ouvk evba,ptizen avllV oi` maqhtai. auvtou/ & avfh/ken th.n VIoudai,an kai. avph/lqen pa,lin eivj th.n Galilai,anÅ e;dei de. auvto.n die,rcesqai dia. th/j Samarei,ajÅ e;rcetai ou=n eivj po,lin th/j Samarei,aj legome,nhn Suca.r plhsi,on tou/ cwri,ou o] e;dwken VIakw.b Îtw/Ð| VIwsh.f tw/| ui`w|/ auvtou/\ h=n de. evkei/ phgh. tou/ VIakw,bÅ o` ou=n VIhsou/j kekopiakw.j evk th/j o`doipori,aj evkaqe,zeto ou[twj evpi. th/| phgh/|\ w[ra h=n w`j e[kthÅ G N S N
:Ercetai gunh. evk th/j Samarei,aj avntlh/sai u[dwrÅ le,gei auvth/| o` VIhsou/j( Do,j moi pei/n\ oi` ga.r maqhtai. auvtou/ avpelhlu,qeisan eivj th.n po,lin i[na trofa.j avgora,swsinÅ le,gei ou=n auvtw/| h` gunh. h` Samari/tij( Pw/j su. VIoudai/oj w'n parV evmou/ pei/n aivtei/j gunaiko.j Samari,tidoj ou;shjÈ ouv ga.r sugcrw/ntai VIoudai/oi Samari,taijÅ
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G avpekri,qh VIhsou/j kai. ei=pen auvth/|( Eiv h;|deij th.n dwrea.n tou/ qeou/ kai. ti,j evstin o` le,gwn soi( Do,j moi pei/n( su. a'n h;|thsaj auvto.n kai. e;dwken a;n soi u[dwr zw/nÅ S le,gei auvtw/| Îh` gunh,Ð( Ku,rie( ou;te a;ntlhma e;ceij kai. to. fre,ar evsti.n baqu,\ po,qen ou=n e;ceij to. u[dwr to. zw/né mh. su. mei,zwn ei= tou/ patro.j h`mw/n VIakw,b( o]j e;dwken h`mi/n to. fre,ar kai. auvto.j evx auvtou/ e;pien kai. oi` ui`oi. auvtou/ kai. ta. qre,mmata auvtou/È G avpekri,qh VIhsou/j kai. ei=pen auvth/|( Pa/j o` pi,nwn evk tou/ u[datoj tou,tou diyh,sei pa,lin\ o]j dV a'n pi,h| evk tou/ u[datoj ou- evgw. dw,sw auvtw/(| ouv mh. diyh,sei eivj to.n aivwn/ a( avlla. to. u[dwr o] dw,sw auvtw/| genh,setai evn auvtw/| phgh. u[datoj a`llome,nou eivj zwh.n aivwn, ionÅ S le,gei pro.j auvto.n h` gunh,( Ku,rie( do,j moi tou/to to. u[dwr( i[na mh. diyw/ mhde. die,rcwmai evnqa,de avntlei/nÅ G Le,gei auvth/|( {Upage fw,nhson to.n a;ndra sou kai. evlqe. evnqa,deÅ S avpekri,qh h` gunh. kai. ei=pen auvtw/(| Ouvk e;cw a;ndraÅ G le,gei auvth/| o` VIhsou/j( Kalw/j ei=paj o[ti :Andra ouvk e;cw\ pe,nte ga.r a;ndraj e;scej kai. nu/n o]n e;ceij ouvk e;stin sou avnh,r\ tou/to avlhqe.j ei;rhkajÅ S le,gei auvtw/| h` gunh,( Ku,rie( qewrw/ o[ti profh,thj ei= su,Å oi` pate,rej h`mw/n evn tw/| o;rei tou,tw| proseku,nhsan\ kai. u`mei/j le,gete o[ti evn ~Ierosolu,moij evsti.n o` to,poj o[pou proskunei/n dei/Å G le,gei auvth/| o` VIhsou/j( Pi,steue, moi( gu,nai( o[ti e;rcetai w[ra o[te ou;te evn tw/| o;rei tou,tw| ou;te evn ~Ierosolu,moij proskunh,sete tw/| patri,Å u`mei/j proskunei/te o] ouvk oi;date\ h`mei/j proskunou/men o] oi;damen( o[ti h` swthri,a evk tw/n VIoudai,wn evsti,nÅ avlla. e;rcetai w[ra kai. nu/n evstin( o[te oi` avlhqinoi. proskunhtai. proskunh,sousin tw/| patri. evn pneu,mati kai. avlhqei,a|\ kai. ga.r o` path.r toiou,touj zhtei/ tou.j proskunou/ntaj auvto,nÅ pneu/ma o` qeo,j( kai. tou.j proskunou/ntaj auvto.n evn pneu,mati kai. avlhqei,a| dei/ proskunei/nÅ S le,gei auvtw/| h` gunh,( Oi=da o[ti Messi,aj e;rcetai o` lego,menoj Cristo,j\ o[tan e;lqh| evkei/noj( avnaggelei/ h`mi/n a[pantaÅ G le,gei auvth/| o` VIhsou/j( VEgw, eivmi( o` lalw/n soiÅ N Kai. evpi. tou,tw| h=lqan oi` maqhtai. auvtou/ kai. evqau,mazon o[ti meta. gunaiko.j evla,lei\ ouvdei.j me,ntoi ei=pen( Ti, zhtei/j h; Ti, lalei/j metV auvth/jÈ avfh/ken ou=n th.n u`dri,an auvth/j h` gunh. kai. avph/lqen eivj th.n po,lin S kai. le,gei toi/j avnqrw,poij( Deu/te i;dete a;nqrwpon o]j ei=pe,n moi pa,nta o[sa evpoi,hsa( mh,ti ou-to,j evstin o` Cristo,jÈ N evxh/lqon evk th/j po,lewj kai. h;rconto pro.j auvto,nÅ VEn tw/| metaxu. hvrw,twn auvto.n oi` maqhtai. le,gontej( D ~Rabbi,( fa,geÅ G o` de. ei=pen auvtoi/j( VEgw. brw/sin e;cw fagei/n h]n u`mei/j ouvk oi;dateÅ D e;legon ou=n oi` maqhtai. pro.j avllh,louj( Mh, tij h;negken auvtw/| fagei/né
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G le,gei auvtoi/j o` VIhsou/j( VEmo.n brw/ma, evstin i[na poih,sw to. qe,lhma tou/ pe,myanto,j me kai. teleiw,sw auvtou/ to. e;rgonÅ ouvc u`mei/j le,gete o[ti :Eti tetra,mhno,j evstin kai. o` qerismo.j e;rcetaiÈ ivdou. le,gw u`mi/n( evpa,rate tou.j ovfqalmou.j u`mw/n kai. qea,sasqe ta.j cw,raj o[ti leukai, eivsin pro.j qerismo,nÅ h;dh o` qeri,zwn misqo.n lamba,nei kai. suna,gei karpo.n eivj zwh.n aivwn, ion( i[na o` spei,rwn o`mou/ cai,rh| kai. o` qeri,zwnÅ evn ga.r tou,tw| o` lo,goj evsti.n avlhqino.j o[ti :Alloj evsti.n o` spei,rwn kai. a;lloj o` qeri,zwnÅ evgw. avpe,steila u`ma/j qeri,zein o] ouvc u`mei/j kekopia,kate\ a;lloi kekopia,kasin kai. u`mei/j eivj to.n ko,pon auvtw/n eivselhlu,qateÅ N VEk de. th/j po,lewj evkei,nhj polloi. evpi,steusan eivj auvto.n tw/n Samaritw/n dia. to.n lo,gon th/j gunaiko.j marturou,shj o[ti Ei=pe,n moi pa,nta a] evpoi,hsaÅ w`j ou=n h=lqon pro.j auvto.n oi` Samari/tai( hvrw,twn auvto.n mei/nai parV auvtoi/j\ kai. e;meinen evkei/ du,o h`me,rajÅ kai. pollw/| plei,ouj evpi,steusan dia. to.n lo,gon auvtou/( S th/| te gunaiki. e;legon o[ti Ouvke,ti dia. th.n sh.n lalia.n pisteu,omen\ auvtoi. ga.r avkhko,amen kai. oi;damen o[ti ou-to,j evstin avlhqw/j o` swth.r tou/ ko,smouÅ Meta. de. ta.j du,o h`me,raj evxh/lqen evkei/qen eivj th.n Galilai,an\ Ancora a proposito della prima sezione del Vangelo di Giovanni, da noi intitolata da Cana a Cana, si inquadra il racconto dell‟incontro di Gesù con la donna samaritana (4,1-42). L‟evangelista inserisce questo passo in un contesto più vasto cioè quello dei capp. 2-41 del “Libro dei segni”. La sezione si apre con il racconto del primo segno a Cana di Galilea a cui fa seguito quel particolare “segno” di rivelazione messianica che abbiamo brevemente considerato in elazione alle narrazioni sinottiche, il “segno” del Tempio a Gerusalemme (2,13-22). Nei dialoghi successivi i tre personaggi che si intrattengono con Gesù rappresentano tre tipi di accesso alla fede: Nicodemo (3,121); la donna che Gesù incontra al pozzo di Giacobbe (4,1-42); il funzionario regio di Cana di Galilea (4,43-54). Tutti e tre, si direbbe, hanno valore rappresentativo della fede: sono protagonisti individuali dell‟incontro con Gesù, ciascuno però collocato in rapporto ai loro tre rispettivi gruppi di appartenenza. Infatti Nicodemo, giudeo di Gerusalemme e “maestro di Israele” (3,10) rappresenta il tipo dei giudei “ortodossi” favorevoli a Gesù, che credono sulla base dei soli segni (2,23-3,2), in alternativa ai giudei che invece ne contestano l‟autorità mostrata nel segno del tempio (2,13-22); nella persona della donna di Sicar (4,5), la cui testimonianza dà luogo alla fede dei Samaritani del suo villaggio, egli vede avvicinarsi, per così dire, a Gesù il giudaismo scismatico; il funzionario di Cana, probabilmente un pagano, alla cui fede si associa quella di tutta la sua casa (4,43-54) rappresenta per l‟evangelista il mondo non giudaico. Queste tre tipologie della fede sono disposte in una sorta di crescendo, che evidenzia sempre più accentuatamente la fondazione della fede autentica sulla parola di Gesù, e che fa emergere la dialettica tra il singolo e il gruppo, molto più vivace e rilevante nella pericope sui Samaritani. L‟incontro di Gesù con la Samaritana e i Samaritani è anch‟esso composto con la massima cura. Il narratore inquadra il racconto attraverso una introduzione (1-7a) e una conclusione (39-42) che è bene considerare specificamente. La maggioranza degli studiosi sostiene che la pericope Gv 4,1-42 è ben strutturata e si rivela di alto livello letterario25. Dice R.Fabris: «questa pagina giovannea nella sua forma attuale si presenta 1
Non tutti gli esegeti sono d‟accordo nel considerare 2,1-4,54 come un‟unità letteraria, ci riferiamo a R.E.Brown e agli studi di I.de LA POTTERIE, Gesù e i Samaritani in Studi di cristologia giovannea, ed. Marietti, Genova 1992, p. 69; C.H.DODD, op. cit., p. 390; R.VIGNOLO, Personaggi del Quarto Vangelo, ed. Glossa, Milano 1994, pp. 100-101. 25 S.A.PANIMOLLE, Lettura pastorale del Vangelo di Giovanni, v.i, ed.Dehoniane, Bologna 1999, p. 370.
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come un‟unità letteraria, incentrata sull‟incontro-dialogo di Gesù in Samaria con una donna di quella regione, vicino alla fonte o pozzo di Giacobbe. Infatti il successivo breve dialogo-istruzione di Gesù con i discepoli prepara il suo incontro-accoglienza di fede da parte dei Samaritani. Quindi la scena è dominata sempre dalla figura di Gesù attorno alla quale si muovono gli altri personaggi individuali - la donna Samaritana e collettivi, i discepoli e i Samaritani»26.
INTRODUZIONE L‟introduzione si articola in tre parti: 1. vv. 1-4 in cui viene inquadrato l‟attraversamento necessario della Samaria per spostarsi dalla Giudea verso la Galilea, dopo aver accennato alla notizia circa il battesimo (suo e di Giovanni). Questa prima parte dell‟introduzione inquadra insomma l‟episodio della samaritana negli spostamenti di Gesù che dalla Giudea lo riporteranno in Galilea (da Cana a Cana). 2. Con i vv. 5-6 si specifica che il luogo samaritano in cui Gesù sosterà è la città di Sicar, con il riferimento ai fatti patriarcali relativi a Giacobbe e Giuseppe e al pozzo di Giacobbe. Viene altresì puntualizzata l‟ora della sosta di Gesù. Il richiamo alla tradizione patriarcale è un elemento da non trascurare nella narrazione. 3. con il v.7a è introdotta, infine, l‟interlocutrice di Gesù definita come “una donna di Samaria” per attingere acqua. L‟introduzione ha quindi preparato la scena del dialogo. Da questo momento, infatti, ai verbi di movimento che hanno dominato nell‟introduzione, seguono i varba dicendi che introducono gli interventi alternati tra Gesù e la donna Samaritana. PRIMA SCENA Il dialogo tra Gesù e la donna samaritana (vv. 7b – 26): È il dialogo più lungo di tutto il vangelo di Giovanni e da sempre ha fatto pensare ad un particolare interesse dell‟evangelista per la missione in questa regione27 È Gesù che si rivolge alla donna samaritana ed apre il dialogo, come pure è con l‟affermazione finale di Gesù VEgw, eivmi( o` lalw/n soi che termina il dialogo. Unica eccezione sono due piccoli interventi del narratore: nel v. 8 spiega che i discepoli erano andati a comprare da mangiare e in 9b spiega il senso dello stupore della samaritana per il fatto che un giudeo rivolga la parola ad una samaritana. Gesù si rivela come datore dell‟acqua viva (7-15). Gesù si rivela come profeta (la figura del marito) (16-19). Gesù si rivela come Messia (il vero culto a Dio Padre)(20-26). SECONDA SCENA Entra di nuovo in campo la voce del narratore che introduce in scena i discepoli di ritorno dalla città (27) e lo spostamento della donna in città dove entrano in scena gli abitanti di Sicar (28). In pratica alla coppia Gesù samaritana seguono le due coppie Gesù-discepoli; samaritanasamaritani. Con il v. 31, e fino al 38 si riprende il dialogo tra Gesù e i discepoli - Il cibo di Gesù (31-34); - la mietitura messianica (35-38), con un lungo intervento di Gesù circa il tempo della mietitura in cui non si trova esplicito riferimento al precedente dialogo con la samaritana.
CONCLUSIONE 26 27
R.FABRIS, Giovanni, traduzione e commento, ed. Borla, Roma 1992, p. 286. Cfr.SCHNACKENBURG, op. cit., p. 656.
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Nei vv. 39-42 si registra l‟incontro tra Gesù e i samaritani e la presa di distanza degli abitanti dalla donna samaritana (42) fino alla confessione di fede dei samaritani in Gesù come “il salvatore del mondo”
Osservazioni sul testo: 1. inclusioni tematiche Se tu sapessi...CHI E‟ che ti dice (parla)...! (Gv 4,10) Noi sappiamo che QUESTI E‟ veramente il Salvatore del mondo (Gv,4,42) Alla Samaritana incredula Gesù prospetta il mistero meraviglioso della sua persona (v.10) e alla fine della scena drammatica i Samaritani scoprono la vera identità di Gesù: egli è il Salvatore dell‟umanità (v. 42). Questa inclusione indica il tema fondamentale di tutta la narrazione drammatica di Gv 4, 7-42, essa infatti vuole svelarci il mistero della persona di Gesù, che nella prima sezione ci è presentato come il rivelatore (vv. 10ss) e nel brano finale appare come il Salvatore del mondo, ossia di tutti gli uomini e non solo dei Giudei (vv. 39ss). - Tra i vv. 7 e 15 notiamo un‟altra inclusione, in forma parzialmente chiastica, fra le espressioni: viene una donna... a d a t t i n g e r e ACQUA (v.7), dammi QUEST‟ACQUA, affinché non venga qui a d a t t i n g e r e (v.15) Anche la presente inclusione indica il tema centrale di questa prima sezione del dialogo con la Samaritana, che tratta precisamente l‟argomento dell‟acqua viva, donata da Gesù, in contrapposizione all‟acqua del pozzo di Giacobbe. - Tra il brano iniziale del colloquio con la samaritana (v.10) e la sentenza finale di questa pericope (v.26). Le rispose Gesù dicendo: “CHI E‟ che ti dice: Dammi da bere” (v.10) Le dice Gesù: “IO SONO, colui che ti parlo!” (v.26) Il mistero della persona di Gesù, che è il dono di Dio per eccellenza, in quanto rivela e comunica la vita divina (Gv 4,10), è finalmente chiarito in Giovanni 4,26: Gesù è il Messia escatologico, atteso anche dai samaritani, che rivela tutte le cose. - Tra i vv. 29 e 42 scorgiamo un‟altra corrispondenza tra l‟intuizione della Samaritana la quale pensa che Gesù possa essere il Messia e la professione di fede dei concittadini di questa donna i quali affermano che Gesù è veramente il Salvatore del mondo. Si confrontino infatti le frasi: SIA EGLI forse il CRISTO? (ou-to,j evstin o` Cristo,jÈ) (v.29), QUESTI E‟... il SALVATORE (ou-to,j evstin avlhqw/j o` swth.r tou/ ko,smouÅ) (v.42). Quindi le due ultime sezione di Gv 4,1-42, ossia i vv. 27-42, sono racchiusi da questa inclusione tra il passo iniziale e l‟ultima frase di questa estesa pericope. - Nel brano finale di Gv 4,27-42 rileviamo altre due inclusioni tra vv. 27.38 e 39.42. Il brano formato dai vv.27-38 sembra racchiuso dalle due notizie riguardanti i discepoli: essi giungono da Gesù, dopo aver fatto gli acquisti in città (v.27) e Gesù parla di essi alla fine del brano, ricordando loro che sono entrati nel lavoro di altre persone (v.38).
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- Più manifesta è l‟inclusione tematica della pericope finale (Gv 4,39-42), formata dal verbo “credere”. Essa, infatti, si apre con l‟osservazione che molti Samaritani “credettero” in Gesù (v.39) e si chiude riportando la professione di fede in Gesù Salvatore del mondo espressa da questi primi discepoli non Giudei: «Non crediamo più a motivo della tua parola, noi stessi infatti abbiamo ascoltato e sappiamo che questi è veramente il Salvatore del mondo» (vv.41s). In realtà il tema trattato in Gv 4, 39-42 è la fede dei samaritani: la loro fede iniziale fondata sulla parola della loro concittadina è superata e approfondita, fino all‟adesione esistenziale a Gesù, Salvatore del mondo. 2. PARALLELISMI Un parallelismo sinonimico tra i vv. 9 e 20ss si trova nella contrapposizione tra i giudei e i samaritani. Tra i vv. 22 e 42 si rivela il seguente parallelismo sinonimico, parzialmente antitetico, perché nel primo passo la salvezza è posta in rapporto con i Giudei e nel secondo Gesù è proclamato Salvatore di tutta l‟umanità. Si osservino in sinossi le due frasi: la salvezza è d a i g i u d e i (v.22), questi è veramente il Salvatore d e l m o n d o (v.42). Altro parallelismo sinonimico lo rileviamo tra i vv. 25 e 29 ed è formato dalle locuzioni: So che v i e n e il Messia, chiamato Cristo (v.25). Che s i a e g l i f o r s e il Cristo ? (v. 29). 3. PAROLE TEMATICHE - Nella prima parte del dialogo tra Gesù e la Samaritana, il verbo dare ricorre ben sette volte e in Gv 4 s‟incontra solo nei vv. 5-15. - A questo termine si aggiunga il sostantivo dono ( ), che nel quarto vangelo ricorre solo in Gv 4,10. - In modo analogo il vocabolo bere in Gv 4 si trova solo nei vv.7-16 e per sei volte. - Parimenti il sostantivo acqua s‟incontra solo nei vv. 7-15 e per ben otto volte. - Anche il verbo aver sete in Gv 4 ricorre tre volte e solo nei vv. 13-15. Dunque le parole tematiche di questa sezione sono rappresentate dall‟acqua, il bere, l‟aver sete, il donare. Questa constatazione indica l‟argomento principale di Gv 4,7-15: è il dono dell‟acqua, che bisogna bere per dissertarsi. In Gv 4, 16-19 i termini più frequenti sono: - il sostantivo marito che in Gv 4 ricorre solo in questo brano per cinque volte, e il verbo avere, che in Gv 4,1-42 s‟incontra unicamente nei vv. 17-18 per quattro volte e poi solo nel v.11. La pericope di Gv 4,20-26 ha altre parole tematiche molto caratteristiche ed esclusive di questo brano. Il verbo adorare nei primi otto capitoli del quarto vangelo s‟incontra solo in Gv 4,2024 e per ben nove volte. In modo analogo la tematica del luogo di culto nel quarto vangelo è trattata solo in questo brano finale del dialogo con la samaritana: questa donna ritiene che sia sul monte Garizim, i giudei nel tempio di Gerusalemme e Gesù promulga il nuovo luogo del culto escatologico: lo Spirito e la Verità. Nel passo iniziale di Gv 4, 27-38 sono esplicitamente nominati per tre volte i discepoli (vv. 27.31.33). Il gruppo di vocaboli mangiare -cibo è uno dei più importanti nei vv. 31-34: il verbo mangiare ricorre tre volte (vv.31,32.33) e il sostantivo cibo s‟incontra due volte (vv. 32.34). Nel brano finale di questa pericope (vv.35-38) le parole tematiche sono costituite dai termini mietitura-mietere, che ricorrono sei volte in questi versetti e poi non s‟incontrano mai più nel quarto vangelo, dal verbo seminare che si trova due volte in questo brano (vv.36s), e dal gruppo di voci faticare-fatica, che compare tre volte nel v.38. Si osservi infine che anche i vocaboli fatica e seminare nel quarto vangelo ricorrono solo in questa pericope della permanenza di Gesù in Samaria.
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Gv 4,39-42 ha come parola tematica il verbo credere che ricorre tre volte (vv.39.41-42), mentre nei restanti brani del racconto sul soggiorno di Gesù in terra samaritana s‟incontra solo al v.21 nell‟espressione «credimi, donna» E‟ difficile dunque, contestare l‟unità globale di questa pagina evangelica sia sotto il profilo narrativo drammatico, sia sotto quello tematico. E‟ innegabile la progressiva rivelazione-scoperta dell‟identità di Gesù. Si passa dal “giudeo” che chiede da bere ad una donna samaritana, Gv 4,9, ma che con la sua promessa dell‟acqua viva pretende di essere “più grande di Giacobbe”, padre dei Samaritani, Gv 4,12, al riconoscimento del “profeta”, Gv 4, 19, che forse può essere il “messiaCristo”, Gv,4,29, e che alla fine viene proclamato “il Salvatore del mondo”, Gv 4, 4228. Tuttavia per avere un‟idea complessiva sul tipo di struttura di tutta la pericope che descrive il soggiorno di Gesù in Samaria, bisogna riconoscere che l‟evangelista qui compone con grande varietà, nonostante il carattere unitario di Gv 4,1-4229. Principali osservazioni esegetiche 6 h=n de. evkei/ phgh. tou/ VIakw,bÅ o` ou=n VIhsou/j Il pozzo di Giacobbe è citato come “sorgente” negli scritti rabbinici (non nell‟AT). Metri 2,30 di diametro, mt 32 di profondità! I recipienti toccano l‟acqua a notevole profondità. La Samaritana si reca a quell‟ora calda perché riconosciuta come pubblica peccatrice? 9 le,gei ou=n auvtw/| h` gunh. h` Samari/tij( Pw/j su. VIoudai/oj w'n parV evmou/ pei/n aivtei/j gunaiko.j Samari,tidoj ou;shjÈ ouv ga.r sugcrw/ntai VIoudai/oi Samari,taijÅ La spiegazione di Gv rispecchia la storia delle relazioni tra samaritani e giudei…. Cfr. 2 Re 17,24-41. L‟annotazione giovannea in alcuni manoscritti è omessa. Glossa? 10 avpekri,qh VIhsou/j kai. ei=pen auvth/|( Eiv h;|deij th.n dwrea.n tou/ qeou/ kai. ti,j evstin o` le,gwn soi( Do,j moi pei/n( su. a'n h;|thsaj auvto.n kai. e;dwken a;n soi u[dwr zw/nÅ Si innalza il livello del dialogo. Dall‟incontro esteriore all‟incontro interiore (ricordarsi anche dello sviluppo del tema dell‟umanità di Gesù nelle lettere giuovannee, oltre che nel prologo). Costruzione chiastica. dwrea.n ciò che Dio dona per la salvezza dell‟uomo. Per il rabbinismo la torah. Per la com primitiva lo Spirito Santo. Per Paolo la giustizia di Dio (Rom 5,17) o la salvezza, la grazia. Importante il simbolismo dell‟acqua (soprattuttto nel contesto del VOA): capacità purificatrice, dissetante, donatrice di vita, produttrice di frutti, risanatrice… così anche in molti culti in Egitto e Mesopotamia. Vasto movimento battesimale. Collegamento con il linguaggio figurato dell‟AT: Dio è fonte di acqua viva (Ger 2,13; 17,13)… dà refrigerio (Sl 36,9)… L‟mmagine passa poi da Dio alla sapienza (Bar 3,12; Ecclus 15,3; Sap 7,25…) e nel rabbinismo alla Torah, in Filone al Logos= fonte della sapienza.
28 29
FABRIS, op. cit., p. 291. PANIMOLLE, op. cit., p. 380.
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Molto vicino a Gv il riferimento all‟acqua donata dall‟Altissimo nel testo dello scritto gnostico Odi di Salomone 6,11ss…. La gnosi placa ogni sete. Altre immagini accanto a quella dell‟acqua viva: pane, vite, porta, via… v.11 Segue il fraintendimento, l‟equivoco della samaritana, come precedentemente abbiamo visto il fraintendimento di Nicodemo (3,4). Chiama Gesù “Signore” e si chiede “da dove?” po,qen ou=n e;ceij to. u[dwr to. zw/né come già in 2,9 e in 3,8, cosa che verrà poi spiegata più avanti (7,27; 8,14…) Da dove viene il Rivelatore e i suoi doni? Bisogna arrivare a riconoscere l‟origine celeste di Gesù (19,9). Il lettore conosce la provenienza. 13-14 Gesù spiega di che acqua si tratta collegandosi a Is 55,1-3, al linguaggio figurato dei profeti (anche della letteratura sapienziale). Per gli scritti gnostici, già si è detto delle Odi di Salomone, la sete è placata dalla conoscenza. L‟acqua zampillante ricorda quanto Filone dice del Logos, paragonato al fiume del Paradiso, e quanto dice il Midrash circa la Torah divina. L‟acqua diventa sorgente stabile e duratura. Rimane, come nei sinottici, un cenno escatologico, anche se il dono è attuale! Per molti esegeti antichi e moderni si tratta per Giovanni del dono dello Spirito Santo. Ma anche la “vita divina”. Le due interpretazioni non si escludono necessariamente. Di fronte all‟insistenza nel fraintendimento (v.15) Gesù imprime una nuova svolta (16): egli conosce la situazione della donna; è il sapere profondo del Rivelatore che rivelando Dio all‟uomo, rivela l‟uomo a se stesso rendendolo capace di accogliere la rivelazione (i Padri insistono maggiormente sul fatto morale: invito alla conversione). Vv 17-18: secondo il giudaismo la donna poteva risposarsi due o tre volte… la donna figura simbolica del popolo samaritano? Infedeltà coniugale=infedeltà religiosa: Schnackenburg la considera errata. v.19 innalzamento nell‟uso di titoli: profeta, anche per i sinottici uno dei modi per indicare Gesù. Notare che per l‟attesa samaritana del Taheb (Messia) ha grande importanza Dt 18,15-18: un profeta come Mosè… In 4,20-24 si affronta la questione dell‟adorazione in Spirito e verità. Gli Israeliti, dopo l‟ingresso nella terra dovevano costruire un tempio sul monte Ebal (Dt 27,4-8) ma per i Samaritani si tratta del Garizim, nominato nel Pent. Samaritano al posto dell‟Ebal. Giovanni Ircano fece distruggere il tempio del Garizim nel 128 a.C. L‟ora in cui i due luoghi di culto perderanno entrambi di importanza è giunta con la persona di Gesù. v.27: importante chiarimento da parte di Gesù che illumina grandemente la relazione GesùGiudei per il quarto evangelo. L‟autentica adorazione è in Spirito e Verità: non si tratta dell‟adorazione interiore (nello spirito dell‟uomo) ma di realtà divina: Spirito Santo e Verità si identificano con Dio stesso: la realtà divina portata da Gesù e con la quale i credenti in Gesù sono chiamati a identificarsi. È ciò che avviene adesso, con Gesù e il dono dello Spirito, secondo Gv… ricevono il potere di diventare figli di Dio. La vera adorazione nello Spirito è possibile solo nella comunione con Cristo. Lo en pneumati giovanneo corrisponde allo en Christo paolino. In Gesù la vera adorazione di Dio è possibile ed è rivolta al Padre.
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24 Dio è spirito bisogna perciò essere elevati ad un tipo nuovo di esistenza per la forza stessa di Dio (lo Spirito) altrimenti si rimane legati alla carne. L‟uomo deve diventare uomo pneumatico. 25-26 la donna guarda al futuro messianico mentre Gesù gli parla del dono presente: “equivoco giovanneo”. Gesù indica in se stesso l‟esaudimento della speranza della donna. Il Ta‟eb samaritano (= colui che ritorna, visto anche come capo politico ma discendente da Levi e non da Giuda-Davide, a motivo del suo collegamento a Mosè; essendo egli stesso sacerdote doveva, tra l‟altro, ristabilire il culto) è il profeta della fine che verrà dopo Mosè: il testo di Dt 18,18 è aggiunto nel Pent. Samaritano al decimo comandamento del decalogo. Gesù comunica la sua identità messianica con l‟espressione ego-eimi, carica di significato per il contesto biblico. vv. 31-38: chiaro scopo missionario. Interesse per la missione dei discepoli e in particolare per la missione in Samaria. Osservare il nuovo equivoco che si crea nel v.33 circa il “mangiare” vv.39-42: la fede dei samaritani Si riprende il filo del racconto (v.30) e si conclude. Qui Giovanni sviluppa una teologia della fede: la vera fede si ha solo quando si incontra personalmente Gesù e la sua parola L‟invcontro con la donna, e l‟annuncio di questa, poteva essere solo lo spunto. Come con Gv Btt, la donna può essere solo intermediaria. SI superano le divisioni e le diffidenze (il giudeo Gesù è invitato dai sicariti: la vera fede porta a superare le divisioni di popoli, razze… Le parle di Gesù contengono esse stesse una forza divina e rendono partecipi del dono di Dio e della sua salvezza. La salvezza di Gesù è portata al mondo intero. Qui è fede esemplare (testimoniata proprio dai Samaritani!) che non ha bisogno di “segni”. v. 42 La lalia della donna impallidisce davanti al Logos di Gesù. Salvatore del mondo: si giunge al massimo degli attributi rivolti a Gesù nel cap. 4. Anche la speranza dei Samaritani è soddisfatta in maniera inaspettata e più ampia della loro attesa (il Ta‟eb). È un titolo non ricorrente nel giudaismo, si trova anche in 1Gv 4,14, con una certa importanza nell‟ambiente ellenistico, qui però applicato in maniera esclusiva a Gesù. Titolo kerygmatico, atterstato anche nel culto all‟imperatore: polemica giovannea a partire da quest‟uso contemporaneo? Gv 4,1-42 le immagini, i simboli e le interpretazioni: l‟interpretazione sponsale, l‟interpretazione missionaria, il tema del culto e del discepolato. Ci fermeremo in particolare sull‟interpretazione sponsale della pericope. L’interpretazione sponsale30 nasce dall‟osservazione sulle costanti discpntinuità narrative del racconto Gv 4, 1-42. Si osservano in particolare i passaggi bruschi nella conversazione: dal tema
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In genere i sostenitori di questa interpretazione sono: MATEOS - BARRETO, op. cit., pp. 200-222; GRELOT, la Donna, op. cit., p. 16; INFANTE, art. cit., pp. 44-50.58-59; con un po‟ di riserva SCHNACKENBURG, op. cit., pp. 643s.; SCHNEIDERS, art. cit., pp. 244.246.249; SKA, Jèsus et la Samaritaine, cit., pp. 641-652; Id., Dal nuovo all‟Antico Testamento, art. cit., pp. 15-19.
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dell‟acqua viva (4,7-15) alla domanda sul marito (4,16), poi al problema sul vero luogo di culto (4, 20); infine, Gesù parla di semine e di messi. - È l‟AT che detiene la chiave di tale trama, precisamente il costante riferimento alle scene-tipo di fidanzamento presso il pozzo ed alla vicenda nuziale del profeta Osea (2,4-25) che sicuramente facevano parte della “memoria collettiva” dei lettori del vangelo giovanneo31. Il racconto di Gv 4,142 inizia con un viaggio. Gesù passa per la Samaria, un paese straniero… siede presso un pozzo. Vengono alla memoria alcune scene veterotestamentarie: 1. la missione del servo d‟Abramo incaricato di andare a trovare una sposa per Isacco (Gen 24); 2. l‟incontro di Giacobbe e di Rachele (Gentile 29,1-14); 3. la fuga di Mosè nel paese di Madian e il suo incontro con le sette figlie di Reuel vicino a un pozzo (Es 2,15-22). I tre racconti iniziano tutti descrivendo il viaggio d‟un uomo verso un paese straniero, e la sosta presso un pozzo… una o più donne vengono al pozzo… conversazione: l‟uomo chiede l‟acqua oppure dà l‟acqua o abbevera il gregge affidato alla ragazza o alle ragazze5; la donna torna a casa correndo, racconta che ha incontrato un uomo al pozzo, l‟uomo è invitato dai genitori della ragazza, che in genere, gli offrono da mangiare; la storia finisce con un matrimonio: Isacco e Rebecca, Giacobbe e Rachele (e Lea), Mosè e Zippora. In realtà, la donna che viene al pozzo è la futura sposa. Secondo diversi commentatori lo schema di questa “scena tipica” si trova pure in Gv 4, almeno sostanzialmente. Nel racconto giovanneo la scena non termina con il matrimonio… a ciò contribuisce non solo l‟ora particolare dell‟incontro, che indica un problema sottostante, ma anche l‟esplicitazione di esso quando chiede di andare a chiamare il marito… Nei racconti dell‟AT chi dà l‟acqua (4,10.14-15) è in effetti il futuro marito (cfr. Gen 29, 10; Es 2,17.19). La stessa idea si ritrova in Os 2,4-25: al v. 7, il marito indignato cita una delle parole della propria sposa come prova della sua infedeltà: “Essa ha detto: “Seguirò i miei amanti, che mi danno il mio pane, e la mia acqua, la mia lana e il mio lino, il mio olio e le mie bevande”. Per il testo di Osea è chiaro che l‟acqua non viene data dagli amanti, ma da JHWH, il Signore di Israele, e quindi la sposa infedele, sbaglia nel credere che riceve questi doni dai suoi amanti. Di qui il dialogo passa al problema del tempio: “Dove si deve adorare?” (4,20). Questa volta è indubbiamente Osea che fornisce al lettore l‟anello mancante. Anzitutto perché la Samaritana con i mariti numerosi ha qualcosa in comune con la sposa infedele del secondo capitolo di Osea, poi l‟oracolo di Os 2 mostra bene l‟equivalenza tra “falsi mariti”, i baal, da una parte, e, dall‟altra, i “falsi dei”. Dunque la Samaritana, che sempre più rappresenta il suo popolo, la Samaria9, vuole sapere dove può trovare il suo vero Dio, cioè il suo vero marito. A questo punto si può dire tranquillamente che il tema di questi versetti, il culto “in spirito e verità” (Gv 23.24), si ricollega facilmente al tema “coniugale” attraverso Os 2. -
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Con l‟arrivo dei discepoli (4,27), il colloquio cambia ancora una volta: si parla di cibo (4,3134), poi di semine e di messi (4,35-38). Ancora una volta il riferimento semba essere a Os 2., dove il tema del cibo e della fertilità del suolo è onnipresente10. La conclusione dell‟oracolo è particolarmente significativa: quando annuncia la futura conversione della sposa, JHWH descrive il tempo nuovo come una nuova era di prosperità: “ E avverrà in quel giorno oracolo del Signore io risponderò al cielo ed esso risponderà alla terra; la terra risponderà con il grano, il vino nuovo e l‟olio...” (Os 2,23-24). Ora nel nostro racconto, i
SKA, Jésus et Samaritaine, cit., p. 651. Chiedere l‟acqua significa cercare di conoscere le disposizioni della persona alla quale ci si rivolge. Dare l‟acqua a chi la domanda significa mostrarsi accogliente. SKA, Jèsus et Samaritaine, cit., p. 644. 9 La Samaritana è uno dei principali personaggi anonimi del vangelo di Giovanni. A livello narrativo, l‟anonimato, favorisce l‟identificazione del lettore con un dato personaggio, ma consente anche una maggiore rappresentatività e tipizzazione del personaggio in questione. Cfr. GRELOT, La donna, p. 16, n. 7; SCHNEIDERS, art. cit., p. 246; VIGNOLO, op. cit., p. 162. 10 Cfr. Os 2,5.7.10.11.14.17.23-24. 5
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Samaritani scendono dalla città verso il pozzo mentre Gesù conversa con i,discepoli. La “mietitura” di cui parla Gesù è dunque il popolo samaritano che viene verso di lui per vederlo e ascoltarlo. Gesù vede la Samaria ritrovare il suo vero marito e la sua fertilità. Il ritorno al marito vero è simboleggiato dall‟immagine di una terra che porta una messe abbondante. - La conclusione del racconto, con la professione di fede dei samaritani: “sappiamo che questi è veramente il Salvatore del mondo” (4,42) indica la risposta all‟uso del simbolo sponsale e della incongruenza osservata (mancanza del matrimonio): Giovanni da una parte, riprende la struttura dell‟incontro al pozzo di futuri sposi, dall‟altra sviluppa il simbolismo sponsale nel senso di Osea 2, la storia di Israele-sposa infedele. Per la donna di Samaria non si tratta di trovare marito ma di mettere ordine nella sua vita: ritrovare il suo vero marito, come la Samaria deve trovare o ritrovare il suo vero Dio. L‟ atto di fede dei samaritani è in tal senso una conclusione logica del racconto. Per Gesù si è trattato di “parlare al cuore” della sposa infedele per ricondurla al suo unico vero marito (cfr. Os 2,16). Il matrimonio è già avvenuto molto tempo fa, tra Dio e il suo popolo di IsraeleSamaria. Gesù viene a restaurare quel matrimonio oppure quell‟alleanza spezzata e i Samaritani sono i primi a rivelare le profondità insospettabili di quella salvezza che si estende d‟ora in poi a tutto l‟universo (4,42; cfr. 4,21-26). A favore di questa interpretazione sponsale depongono anche le allusioni sponsali dei capitoli precedenti (1,27.30; 2,1-12; 3,29-30); lo schema delle “scene-tipiche” presso un pozzo ed il riferimento continuo alla storia di Osea inducono a pensare che la narrazione di Gv 4,1-12 ha anch‟essa un esito nuziale anche se solo simbolico11. Proprio lei: l‟adultera, l‟infedele, la prostituta, l‟idolatra (cfr. Os 1,2; 3,1), ridiventa, per la misericordia di Dio, la sposa che il Messia, lo sposo preannunciato già presente dal Battista, è venuto a cercare e sposare nella gioia (Gv 3,29). Appendice patristica Come è facile immaginare, vi sono splendide pagine dei padri e della tradizione in generale che commentano questi brani giovannei in maniera ineguagliabile. Non sempre vengono ripresi nel nostro studio esegetico, ma è bene che la loro consultazione non venga ritenuta inutile o superata. Benché siano da rispettare le esigenze che l‟esegesi moderna ha posto in particolare rilievo, tali testi presentano infatti una ricchezza difficilmente eguagliata nei nostri commentari moderni, intuizioni di tipo ermeneutica e spirituale che è bene ricordare. A mo‟ di esempio si consideri per esempio quanto Sant‟Agostino diceva a commento della nostra pericope, in particolare del v. 6: «… Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno». Intuizioni spirituali profonde in cui prevale l‟aspetto cristologico, insieme a voli interpretativi che non sono accettabili nell‟ambito di una esegesi di tipo storicocritico… Si veda per esempio come viene spiegato il riferimento di Giovanni alla “stanchezza di Gesù”: Iesus fatigatus ex itinere, sedebat super fontem (Jo 4,1-41; Tractatus 15; PL 1511; cfr. S.Agostino, Commento a S.Giovanni, Città Nuova, p.346): Iam incipuint mysteria. Non enim frustra fatigatur Iesus, non enim frustra fatigatur virtus Dei. Invenimus fortem Iesum, et invenimus infirmum Iesum. Fortitudo Christi te creavit Infirmitas Christi te recreavit. Condidit nos fortitudine sua, 11
MATEOS – BARRETO, SCHNEIDERS, art. cit., p.
op. cit., pp. 227-249.234s.; INFANTE , art. cit., p. 58; SCHNACKENBURG, op. cit., pp. 643s.; 224; SKA, Jèsus et Samaritaine, cit., p. 649.
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Quaesivit nos infirmitate sua. “Cominciano i misteri” ; la stanchezza di Gesù è vista da S: Agostino come preludio alla passione e ci invita ad entrare più profondamente nel mistero di Cristo.
È con la sua debolezza che egli nutre i deboli, come la gallina nutre i suoi pulcini. Ma perché nell‟ora sesta? Perché era la sesta età del mondo… I. Adamo - Noè II. Noè – Abramo III. Abramo – Davide IV. Davide – esilio V. Esilio – battesimo di Giovanni VI. Battesimo di Giovanni…. Prosegue S. Agostino: «Perché ti meravigli? Gesù venne in terra e, umiliandosi, giunse fino al pozzo. Arrivò stanco, perché portava il peso della carne debole. Era l‟ora sesta perché era la sesta età del mondo. E giunse al pozzo, perché egli è disceso fino al fondo di questa nostra dimora…» Et venit mulier. Forma Ecclesiae, non iam iustificatae, sed iam iustificandae, nam hoc agit sermo… E arriva una donna. È figura della Chiesa, non ancora giustificata, ma già in via di essere giustificata: questo il tema della conversazione… …Si scires, inquit, donum Dei. Donum Dei est Spiritus Sanctus…. …. Gesù vedendo che la donna non capiva, e volendo che capisse, «chiama – le dice – tuo marito». Ecco perché tu non capisci ciò che ti dico, perché il tuo intelletto non è presente… chiama tuo marito, rendi presente il tuo intelletto. Venne l‟ora, ed è adesso, in cui i genuini adoratori adoreranno il Padre in Spirito e verità. Noialtri adoriamo ciò che conosciamo… Lo dice riferendosi ai Giudei come popolo; non lo dice riferendosi a tutti i Giudei, ai Giudei reprobi; lo dice riferendosi al popolo dei giudei di cui facevano parte gli Apostoli, i Profeti e tutti quei santi che vendettero i loro beni e ne deposero il ricavato ai piedi degli Apostoli…
Si osservi come lo stesso testo venga letto soprattutto in chiave morale da Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di Giovanni, Città Nuova, vol. II: Discorso XXXI: …stanco del viaggio = Gesù noncurante del proprio sostentamento… Noi invece ce ne preoccupiamo (del cibo) appena alzati dal letto… Rimase solo: abituava i discepoli a rifuggire dalla ricerca delle comodità (i discepoli come suoi servi). … Il Cristo diceva una cosa ed ella ne immaginava un‟altra, non udendo altro che il suono delle parole e non essendo ancora in grado di capire il significato sublime…. … chi beve quest‟acqua non avrà sete in eterno… La scrittura chiama la grazia dello Spirito ora fuoco, ora acqua, mostrando che questi nomi sono adatti ad indicare non la sostanza, ma l‟effetto dell‟opera. Perché la salvezza viene dai giudei…Puoi qui constatare come egli predica il Vecchio Testamento e dichiara che esso è la radice di ogni bene e afferma che lui non è in alcuna cosa contrario alla Legge, affermando anzi, di derivare dai Giudei l‟origine di ogni bene.
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Breve puntualizzazione sul “dialogo” come strategia narrativa di Giovanni32 In 20,30-31 è l‟autore che dialoga con il lettore chiamandolo ad entrare nel gioco pro o contro Gesù. La conclusione estende quanto Gv fa già nella sua narrazione descrivendo diversi dialoghi di Gesù. Rivelazione come dialogo interpersonale ed amicale di Dio con gli uomini (DV2). Dialogo tra il Rivelatore Inviato del Padre e tutti gli uomini, di ogni tipo, in vista della salvezza. Anche nei sinottici troviamo diversi dialoghi ma in Gv sono molto più elaborati e caratterizzano il IV Vangelo dall‟inizio alla fine. Caratteristiche del dialogo in Gv: - frequenti dettagli di tempo e di luogo - marcata caratterizzazione del personaggio (anche sotto il profilo psicologico) - forma letteraria (affermazione profetica di Gesù; risposta che rivela incomprensione o fraintendimento; risposta o rimprovero di Gesù con una spiegazione che corregge il fraintendimento) Nel mondo ellenistico esisteva una lunga tradizione sull‟uso del dialogo sia religioso che filosofico (cfr. Platone; gli ermetici) Dodd dopo aver portato diversi esempi dal corpus hermeticum giunge ad affermare: «È chiaro quindi che lo stesso principio formativo è operante sia nel quarto evangelo sia nei dialoghi ermetici, per quanto diverso possa essere il contenuto…L‟evangelista sembra aver calato il proprio contenuto nelle forme basate sui correnti modelli ellenistici dell‟insegnamento filosofico e religioso, invece di seguire le forme, di origine giudaica, presenti nei vangeli sinottici»33. Osserva giustamente Mannucci che il modo di Gesù nel portare avanti il dialogo è molto diverso da quello conosciuto nei dialoghi filosofico-religiosi di cui si parla. Si crea, attraverso i fraintendimenti, una dinamica che tende alla ricerca del chiarimento… vi è spesso il passaggio dal dialogo al monologi di Gesù in cui l‟interlocutore quasi sparisce (cfr. Nicodemo). Sempre Mannucci fa riflettere sul dialogo come caratteristica forma della rivelazione divina appoggiandosi a pensatori ebrei come Buber e Rosenzweig. Nello stesso filone di riflessione sul dialogo cita GROSJEAN J., «Le style johannique», in Variations Johanniques, Cerf, Paris 1989, 132-136: « Guardando più da vicino si constata che, se i sinottici ci riferiscono quello che Gesù ha detto, è in Giovanni che sentiamo parlare Gesù. È in lui che si scopre la vita del linguaggio di Gesù, questa limpidezza provocante, questa trasparenza che da le vertigini, questa luminosità che sembra dissolvere gli oggetti per lasciarci in preda alle persone… Egli mira al centro, polverizza i nostri postulati: “se non rinasce dall‟alto… Sei tu che dovresti chiedere a me da bere” (Gv 3,5; 4,10). Egli non retrocede per attenuare lo choc. Ci si stupisce, e lui rincara la dose. Suscita soprassalti, che mettono in luce i malintesi. Si percepisce che il linguaggio è dialogo, vale a dire né il monologo cattedratico né il chiacchiericcio democratico. Allora succede che Nicodemo risponde con gravità (3,4.9), la samaritana con insolenza (4,9.11.15), Filippo con candore (6,7 e 14,8), Marta con melanconia (11,24), Tommaso con ostinazione (11,16, 14,5; 20,25), la gente di Cafarnao con malevolenza (6,30.42.52), la gente del tempio con odio esasperato (8,48) ecc. Ma Gesù sa anche fare, per noi, la parte di colui che “fraintende”: e l‟ufficiale del re se ne accorge (4,46-54) (…). Giovanni ha saputo trasmetterrci le intonazioni singolari di un Messia che parla a ciascuno nell‟intimo, senza mai far dimenticare che egli è il Signore. La sua profonda amicizia, che è insieme discreta e gioiosa, mantiene sempre qualcosa di urtante, come se non volesse lasciare a noi l‟appannaggio dell‟inettitudine».
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Cfr. DODD, La tradizione storica del quarto Vangelo, 382-389 e V. MANNUCCI, Giovanni il Vangelo narrante, op. cit., pp. 45 ss. 33 DODD, La tradizione storica del quarto Vangelo, op. cit., 388
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Introduzione a Gv 5-12 Abbiamo considerato l‟attività e la rivelazione di Gesù nei capitoli 2-4 (da Cana a Cana). Sempre restando nella prima parte del Vangelo (2-12) consideriamo adesso la seconda parte di essa 5-12, con i noti problemi rilevai sin dall‟antichità circa la redazione (discontinuità) La successione dei capitoli è discussa. Nella loro sistemazione finale abbiamo: cap. 5 l‟introduzione dell‟autorivelazione di Gesù a Gerusalemme, durante la festa cap. 6 il culmine dell‟attività publica di Gesù a Gerusalemme cap. 7 autorivelazione a Gerusalemme cap. 8 lotta contro l‟incredulità cap. 9 Gesù luce del mondo cap. 10 vero pastore cap. 11 la risurresione e la vita cap. 12 ultima attività pubblica a Gerusalemme. Prospettiva della morte di croce Proprio da questa presentazione si vede come si sia posto il problema della successione dei capitoli 5 e 6. (cfr. Schnackenburg con tutti i motivi pro e contro. Egli è favorevole allo spostamento dei capitoli come la maggiior parte dell‟esegesi classica). Il problema, come accennato all‟inizio, è quale filo si segue per la strutturazione del vangelo. Mannucci, nel suo piccolo commento a Gv, dopo aver esposto i diversi raggruppamenti di posizioni tra gli studiosi, si chiede (l‟autore affronta Gv dal punto di vista narrativo!) se si debba riconoscere nel ripetuto riferimento di Gv agli spostamenti di Gesù un motivo strutturale e dominante dell‟intera composizione, una trama diacronica e sincronica nello stesso tempo. Seguendo la categoria del viaggio, Mannucci vede la seguente struttura generale (con Segovia): 1. Origini 1,1-18 Viaggio cosmico mitico della Parola di Dio nel mondo umano 2. Ministero 1,19-17,26 Viaggi spazio temporali della Parola che si accompagnano a successive rivelazioni di Gesù 3. Ultimo viaggio 18,1 –21,25 passione morte risurrezione ultimo viaggio storico e cosmico della Parola diventata carne che ritorna al Padre dopo aver portato a termine la sua missione
I dialoghi che hanno contraddistinto i capp. 2-4 rappresentavano la rivelazione ai diversi tipi di interlocutori… adesso prevarranno i discorsi davanti ai giudei increduli. È più manifestamente presente l‟opposizione dei giudei nei confronti di Gesù. In generale i segni (4 o 5 con il cammino sulle acque) vengono accompagnati da discorsi che ne spiegano il significato più profondo, o da proclamazioni introdotte dall‟ego eimi. Si intrecciano strettamente interesse cristologico e descrizione della vicenda di Gesù. Si osserva in particolare: - l‟ordine seguito nel calendario delle feste: in 5,1 una festa che non ha nome; in 6,4 si avvicina un festa di pasqua; segue poi la successione: tabernacoli (7,2); consacrazione del tempio (10,22); pasqua (11,54). Il che ripropone ancora una volta il problema dell‟ordine dei capitoli 5 e 6. - Alcuni momenti di fervore popolare intorno a Gesù: dopo la moltiplicazione dei pani vengono per farlo re; entusiasmo che segue la risurrezione di Lazzaro e la conseguente sentenza di morte del sinedrio. - Cresce l‟asprezza della disputa con i Giudei che diventa vera e propria condanna da parte giudaica a partire dal cap. 7(7,32; 8,59; 9,22; 10,31; 10,39; 11,53; 11,57) e accusa da parte di Gesù contro i giudei (5,39-47 non credono alla scrittura; 8,42-44 sono figli del diavolo; operano come mercenari 10,1-10)
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I veri avversari di Gesù vengono presentati a Gerusalemme (i capi e i farisei…) Fede e incredulità davanti alla rivelazione di Gesù… più chiaro ancora se si unisce alla situazione storica di Gesù, qualla della comunità giovannea, come indicato già nell‟introduzione generale. Nell‟insieme di 5-12 spicca, come centrale, la rivelazione di Gesù come luce del mondo, dal capitolo 7 al 12.
Gv 6 Gesù pane di vita 1. Il più lungo capitolo del IV Vangelo 2. si osservi il difficile aggancio con quanto precede: Gesù risultava essere a Gerusalemme, non in Galilea… abbiamo già considerato le diverse spiegazioni redazionali. 3. si presenta come una vera e propria composizione, ben concepita, rappresentando il culmine dell‟attività pubblica di Gesù in Galilea. Inanzitutto i “due segni” 1-15 La moltiplicazione dei pani 16-21 Gesù cammina sulle acque 22-24 sezione di passaggio, trasferimento della folla dalla riva orientale del lago di Tiberiade 25-59 discorso sul pane di vita (commento ai segni) 60-66 l‟incredulità di “molti discepoli” che abbandonano Gesù 67-69 opposta alla fede dei dodici di cui si fa portavoce Pietro 70-71 Gesù risponde che anche tra i dodici si nasconde un “diavolo” Shnackenburg difende, come Mannucci ed altri, l‟unità del capitolo descrivendolo come segue: «il segno della grande moltiplicazione dei pani al culmine dell‟attività di Gesù in Galilea, sostenuto dall‟apparizione di Gesù ai discepoli sul lago, è spiegato nel suo significato teologico da un discorso di rivelazione; ma costringe anche ad una decisione di fede, mette allo scoperto l‟incredulità giudaica, provoca una crisi nella cerchia dei discepoli e termina con la confessione di fede di Simon Pietro in nome dei dodici» p. 28 vol. 2. Il racconto va studiato sinossi alla mano. v.1 Meta. tau/ta avph/lqen o` VIhsou/j pe,ran th/j qala,sshj th/j Galilai,aj th/j Tiberia,dojÅ i due genitivi presentano qualche problema. Si tratta della riva occidentale, non lontano da Tiberiade? L‟apparato critico propone alcune indicazioni adottate dai trascrittori… La tradizione marciana fa riferimento alla riva orientale. v.2: da dove vengono le folle? Gv non è interessato a motivarlo. Si vede bene che domina il motivo teologico su quello descrittivo che presenta delle semplificazioni. v. 3 avnh/lqen de. eivj to. o;roj VIhsou/j kai. evkei/ evka,qhto meta. tw/n maqhtw/n auvtou/ Gesù sale sul monte ma non come il legislatore (Mt 5,1) né come il guaritore (Mt 15,29) bensì come la guida di Israele, come Mosè nel deserto. v. 4 la prossimità della Pasqua inquadra il racconto nel contesto liturgico che offre senso teologico a quanto Gesù sta per fare. v. 5 l‟evangelista non si preoccupa di motivare la necessità di dare da mangiare a tanta gente, come invece appare nei sinottici con l‟indicazione del fatto che si è fatto ormai tardi… v. 6 Le parole di Gesù servono a mettere alla prova Filippo, come in 11,11-15
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v.7 avpekri,qh auvtw/| Îo`Ð Fi,lippoj( Diakosi,wn dhnari,wn a;rtoi ouvk avrkou/sin auvtoi/j i[na e[kastoj bracu, ÎtiÐ la,bh|Å La risposta di Filippo è molto simile a quella di Mc 6,37 con l‟accentuazione, in Gv, della difficoltà. 8,s. :Estin paida,rion w-de o]j e;cei pe,nte a;rtouj kriqi,nouj kai. du,o ovya,ria\ avlla. tau/ta ti, evstin eivj tosou,toujÈ Il riferimento al pane d‟orzo è un particolare giovanneo interessante. Qui veniamo messi in relazione con un racconto veterotestamentario molto vicino a quello giovanneo della moltiplicazione dei pani e, sembrerebbe, richiamato da questo ed altri particolari: 2 Kings 4:42 kai. avnh.r dih/lqen evk Baiqsarisa kai. h;negken pro.j to.n a;nqrwpon tou/ qeou/ prwtogenhma,twn ei;kosi a;rtouj kriqi,nouj kai. pala,qaj kai. ei=pen do,te tw/| law/| kai. evsqie,twsan
~yrIWKBi ~x,l, ~yhil{a/h' vyail. abeY"w: hv'liv' l[;B;mi aB' vyaiw> 2 Re 4:42 `WlkeayOw> ~['l' !Te rm,aYOw: Anl{q.cBi . lm,r>k;w> ~yrI[fo . ~x,l,-~yrIf.[, 2 Re 4:42 Giunse poi un uomo da Baal-Shalisha, che portò all' uomo di DIO del pane delle primizie: venti pani d' orzo e alcune spighe di frumento nel loro guscio. Eliseo disse: "Dàllo alla gente perché ne mangi". Gv 6 v.10 ei=pen o` VIhsou/j( Poih,sate tou.j avnqrw,pouj avnapesei/nÅ h=n de. co,rtoj polu.j evn tw/| to,pw|Å avne,pesan ou=n oi` a;ndrej to.n avriqmo.n w`j pentakisci,lioiÅ C‟era molta erba… manca l‟annotazione sinottica del raggruppamento della folla in cinquantine… segno del richiamo all‟organizzazione del popolo nel deserto. Qui sembra dominare la sola preoccupazione di ambientazione pasquale dell‟evento… Ovvero l‟ambientazione di un banchetto messianico… 11 e;laben ou=n tou.j a;rtouj o` VIhsou/j kai. euvcaristh,saj die,dwken toi/j avnakeime,noij o`moi,wj kai. evk tw/n ovyari,wn o[son h;qelonÅ Con il riferimento all‟azione di grazie sembra essere chiaro un riferimento eucaristico in senso cristiano, contro la qual cosa vi è chi osserva la mancanza della “frazione” che invece si trova negli altri racconti. Dello spezzare il pane parlano i testi classici dell‟istituzione !Cor 10,16; Lc 24,25; At 2,42.46; 20, 7.11. Tuttavia bisogna osservare che già dall‟epoca di S.Giustino l‟eucharistein diventa espressione fissa per l‟eucaristia; Qui, inoltre, è Gesù stesso che distribuisce e non i discepoli: è Gesù che distribuisce il dono che viene dal cielo. Vi è una accentuazione cristologica che va più specificamente dei sinottici verso l‟interpretazione eucaristica. 12 l‟invito a raccogliere i pezzi avanzati è diverso dai sinottici: in Giovanni si offre la motivazione “perché nulla vada perduto”, per il rispetto verso il pane nel mondo giudaico e mediterraneo? Per il valore salvifico che ha assunto il pane eucaristico nella visione cristiana? Si osservi che lo stesso verbo synagogein è utilizzato nella LXX per la raccolta della manna Es 16,16. E che ricorre ancora per definire il senso della morte di Gesù nel IV Vangelo: kai. ouvc u`pe.r tou/ e;qnouj mo,non avllV i[na kai. ta. te,kna tou/ qeou/ ta. dieskorpisme,na sunaga,gh| eivj e[nÅ per raccogliere cioè in unità i figli di Dio che erano dispersi. Nel v. 13 si parla delle dodici ceste anche se finora Gv non ha parlato dei dodici apostoli. Riferimento alle tribù di Israele o dato stabile nella tradizione ricevuta da Gv a proposito della
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moltiplicazione? Prepara l‟ultimo riferimento del discorso sul pane della vita che è, appunto, ai Dodidci. vv. 14 e 15 si intuisce la mano dell‟evangelista: 14 Oi` ou=n a;nqrwpoi ivdo,ntej o] evpoi,hsen shmei/on e;legon o[ti Ou-to,j evstin avlhqw/j o` profh,thj o` evrco,menoj eivj to.n ko,smonÅ 15 VIhsou/j ou=n gnou.j o[ti me,llousin e;rcesqai kai. a`rpa,zein auvto.n i[na poih,swsin basile,a( avnecw,rhsen pa,lin eivj to. o;roj auvto.j mo,nojÅ cfr. Dt 18,15.18. L‟interpretazione di questi versetti va decisamente nella linea teologica: i segni… “veramente”… il profeta… Il v. 14 rappresenta probabilmete non la reale reazione della folla ma quella che si sarebbe verosimimilmente potuta avere, come il 15 rappresenta l‟incomprensione del gesto di Gesù. In ogni caso i due versetti introducono già la diversa valenza che il gesto della moltiplicazione può assumere nell‟interpretazione di coloro che hanno assistito al “segno”: interpretarlo nel suo significato più superficiale o addirittura equivoco o nel suo senso più profondo, come emergerà nel successivo dialogo. Tra le altre differenze da notare nel confronto sinottico, è che il Gesù giovanneo non agisce per “compassione” della folla, come sottolineano i sionottici, né per misericordia messianica del popolo senza guida (cfr. Mc 6,34). Egli si rivela sotto un aspetto particolare. Circa il quadro descrittivo pasquale: sinteticamente esso esprime la comprensione del miracolo della moltiplicazione dei pani come “segno” da parte di Giovanni (a cui corrisponde il discorso di rivelazione) in relazione all‟eucaristia. Segue (vv. 16-21) la narrazione del cammino sulle acque: 16 ~Wj de. ovyi,a evge,neto kate,bhsan oi` maqhtai. auvtou/ evpi. th.n qa,lassan 17 kai. evmba,ntej eivj ploi/on h;rconto pe,ran th/j qala,sshj eivj Kafarnaou,mÅ kai. skoti,a h;dh evgego,nei kai. ou;pw evlhlu,qei pro.j auvtou.j o` VIhsou/j( 18 h[ te qa,lassa avne,mou mega,lou pne,ontoj diegei,retoÅ 19 evlhlako,tej ou=n w`j stadi,ouj ei;kosi pe,nte h' tria,konta qewrou/sin to.n VIhsou/n peripatou/nta evpi. th/j qala,sshj kai. evggu.j tou/ ploi,ou gino,menon( kai. evfobh,qhsanÅ 20 o` de. le,gei auvtoi/j( VEgw, eivmi( mh. fobei/sqeÅ 21 h;qelon ou=n labei/n auvto.n eivj to. ploi/on( kai. euvqe,wj evge,neto to. ploi/on evpi. th/j gh/j eivj h]n u`ph/gonÅ Cosa possiamo dire di questi versetti? Si tratta di una interruzione o cosa? Maggiore autonomia della moltiplicazione rispetto alla tradizione sinottica (Mc 6,45-52; Mt 14,2233). Cade il motivo della tempesta sedata ma si accenna al fatto che i discepoli subito giunsero alla meta. Per Shnakcenburg per il collegamento con la moltiplicazione dei pani bisogna indagare sulla tradizione di base e sulla personale elaborazione teologica dell‟evangelista. Le indicazioni della situazione (16-18) sembrano avere un significato teologico: i discepoli, senza Gesù, lasciati esposti alle forze avverse. Con la presenza di Gesù si evidenzia il contrasto… In generale il racconto è meno elaborato che nei sinottici, dove è più evidente il significato cristiano della presenza protettrice di Gesù nella situazione difficile… In Gv prende il sopravvento la parola di riconoscimento di Gesù: v. 20 VEgw, eivmi( mh. fobei/sqeÅ È un‟autoqualificazione di Gesù che diventa automanifestazione divina. Infatti è sull‟ ego eimi che insisterà il discorso sul pane di vita disceso dal cielo (vv. 35.41.48.51).
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Per Schnackenburg l‟evangelista si è servito di un racconto originario più semplice che riportava il fatto straordinario del cammino sulle acque e del raggiungimento straordinario della meta. Egli ritiene che facesse parte della cosiddetta fonte dei segni. L‟elaborazione Giovannea della fonta ha messo in rilievo soprattutto la parola di riconoscimento ego eimi come base per l‟autorivelazione di Gesù come pane di vita disceso dal cielo; in Gesù è presente il potere di Dio che dissipa le tenebre che trionfa sul potere della morte (v.19). In Lui Dio si manifesta come soccorritore. Si tratta cioè dell‟applicazione cristologica dei motivi del racconto originario. Allusione all‟attraversamento del Mar delle Canne? Cfr Sl 77,17Ti videro le acque, o Dio, ti videro le acque e tremarono, sussultarono gli abissi; 20 S' aprì nel mare la tua via, i tuoi sentieri nella massa d' acqua; ma rimasero invisibili le tue orme. Sl 78: 13 Divise il mare e li fece passare, e le acque ristettero come trattenute da un argine. 14 Li guidò con una nube di giorno e tutta la notte con bagliore di fuoco. 15 Percosse rupi nel deserto e diede loro da bere come dal grande abisso. 16 Fece scaturire ruscelli dalla roccia, fece scorrere acqua a torrenti. 17 Eppure quelli peccarono di nuovo contro di lui ribellandosi contro l' Altissimo nel deserto. 18 Tentarono Dio nel loro cuore chiedendo cibo per le loro brame. 19 Mormorarono contro Dio dicendo: «Potrà forse Dio imbandire una mensa nel deserto?». 20 Ecco: percosse una rupe, ne scaturì acqua e strariparono torrenti. «Potrà forse dare anche del pane o procurare carne per il suo popolo?». 21 Li udì il Signore e ne fu irritato e un fuoco divampò contro Giacobbe e l' ira esplose contro Israele, 22 poiché non ebbero fede in Dio e non ebbero speranza nella sua salvezza. 23 Tuttavia comandò alle nubi dall' alto e aprì le porte del cielo 24 e fece piovere su di loro manna da mangiare, un frumento celeste diede loro. 25 Un pane di forti mangiò ciascuno, una provvigione abbondante inviò per loro. 26 Scatenò dal cielo il vento d' oriente, fece soffiare con veemenza il vento del sud; 27 fece piovere su di essi carne come polvere e come sabbia del mare volatili; 28 li fece cadere in mezzo al loro accampamento, tutt' intorno alle loro tende. 29 Essi ne mangiarono e rimasero ben sazi, furono soddisfatti nel loro desiderio.
Eppure l‟antica esegesi allegorica non ha mai fatto riferimento a questi testi proprio per il collegamento generico con essi…. Diversi studiosi (per es. Gartner) hanno fatto recentemente notare come in un antico pezzo dell‟haggada pasquale l‟attraversamento del Mar Rosso e la manna del deserto venivano collegati. Nella aggadah pasquale si insiste, inoltre, sul fatto che Dio stesso “Io, il Signore, sono io e nessun altro” (ego eimi) eseguì il giudizio sugli egiziani, non il suo angelo… insomma il sitz im Leben sarebbe quello della celebrazione cristiana della Pasqua che si fondava su quella giudaica fondata in senso cristiano; per Guilding fu Gesù stesso, non l‟evangelista, a ispirarsi alle idee giudaiche sulla pasqua (le letture del secondo ciclo dell‟anno ponevano insieme attraversamento del mare e dono della manna). Schnackenburg è scettico. Per lui ciò che è presente all‟evangelista è solo lo sfondo veterotestamentario, non l‟utilizzazione cristiana dei testi in occasione della Pasqua. Fabris: «La menzione della festa di pasqua dunque evoca la cornice spirituale in cui si deve collocare il gesto di Gesù che sfama generosamente la folla accorsa a lui» p. 391. Dopo la breve sezione di transizione dei vv. 22-24 relativo agli spostamenti della folla in cui emerge un certo contrasto con il movimento precedente rappresentato dall‟andare incontro di Gesù ai discepoli, si apre la lunga sezione del discorso sul pane di vita, 22-71. Seguendo Fabris possiamo raggruppare i tentativi di strutturazione in due gruppi a seconda del modello utilizzato: Modello tematico teologico: due unità: cristologico sapienziale (26-50) e eucaristico sacramentale (51-58) Alcuni, poi, articolano ulteriormente la prima unità in due parti 26-34 e 35-51 in modo da ottenere in tutto tre parti (cfr. Dodd, Barrett ecc.) Tra gli altri è da notare il modello delle “omelie sinagogali” (Borgen) della diaspora giudaica in cui si prevede lo sviluppo dell‟omelia in cinque parti intercalando la citazione biblica alla spiegazione.
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Altri scompongono invece il testo nelle sue parti originarie attribuendo le parti al cammino della stria della tradizione e della redazione. In particolare osservano che il brano eucaristico sacramentale di 51c-58 sembra dal punto di vista letterario e tematico un corpo estraneo…
MA quali sono gli elementi di unità? Ripetizioni 4 volte EGO EIMI ( 35.41.48.51) 4 volte IN VERITA IN VERITA VI DICO (26.32.47.53) 4 volte gli interlocutori si rivolgono a Gesù (25.28.30.34) 3 volte reazioni ostili (41.52.60) Corrispondenze Cfr. vv. 35↔41-48 Ricorrenze di termini PANE si trova 21x su 25x dell‟intero evangelo VITA 11x MANGIARE (esthiein o phagein) 11x PADRE 11x DARE il pane o la vita 9x Per la sezione 25-59, discorso sul pane di vita, seguiamo la successione: 26-40 dialogo Gesù folla 41-59 confronto Gesù-giudei
1. 26-40 dialogo Gesù folla 24o[te ou=n ei=den o` o;cloj o[ti VIhsou/j ouvk e;stin evkei/ ouvde. oi` maqhtai. auvtou/( evne,bhsan auvtoi. eivj ta. ploia,ria kai. h=lqon eivj Kafarnaou.m zhtou/ntej to.n VIhsou/nÅ 25kai. eu`ro,ntej auvto.n pe,ran th/j qala,sshj ei=pon auvtw/|( ~Rabbi,( po,te w-de ge,gonajÈ 26 avpekri,qh auvtoi/j o` VIhsou/j kai. ei=pen( VAmh.n avmh.n le,gw u`mi/n( zhtei/te, me ouvc o[ti ei;dete shmei/a( avllV o[ti evfa,gete evk tw/n a;rtwn kai. evcorta,sqhteÅ 27 evrga,zesqe mh. th.n brw/sin th.n avpollume,nhn avlla. th.n brw/sin th.n me,nousan eivj zwh.n aivwn, ion( h]n o` ui`o.j tou/ avnqrw,pou u`mi/n dw,sei\ tou/ton ga.r o` path.r evsfra,gisen o` qeo,jÅ 28 ei=pon ou=n pro.j auvto,n( Ti, poiw/men i[na evrgazw,meqa ta. e;rga tou/ qeou/È 29 avpekri,qh Îo`Ð VIhsou/j kai. ei=pen auvtoi/j( Tou/to, evstin to. e;rgon tou/ qeou/( i[na pisteu,hte eivj o]n avpe,steilen evkei/nojÅ 30 ei=pon ou=n auvtw/(| Ti, ou=n poiei/j su. shmei/on( i[na i;dwmen kai. pisteu,swme,n soiÈ ti, evrga,zh|È 31 oi` pate,rej h`mw/n to. ma,nna e;fagon evn th/| evrh,mw|( kaqw,j evstin gegramme,non( :Arton evk tou/ ouvranou/ e;dwken auvtoi/j fagei/nÅ 32 ei=pen ou=n auvtoi/j o` VIhsou/j( VAmh.n avmh.n le,gw u`mi/n( ouv Mwu?sh/j de,dwken u`mi/n to.n a;rton evk tou/ ouvranou/( avllV o` path,r mou di,dwsin u`mi/n to.n a;rton evk tou/ ouvranou/ to.n avlhqino,n\
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33 o` ga.r a;rtoj tou/ qeou/ evstin o` katabai,nwn evk tou/ ouvranou/ kai. zwh.n didou.j tw/| ko,smw|Å 34 Ei=pon ou=n pro.j auvto,n( Ku,rie( pa,ntote do.j h`mi/n to.n a;rton tou/tonÅ 35 ei=pen auvtoi/j o` VIhsou/j( VEgw, eivmi o` a;rtoj th/j zwh/j\ o` evrco,menoj pro.j evme. ouv mh. peina,sh|( kai. o` pisteu,wn eivj evme. ouv mh. diyh,sei pw,poteÅ 36 avllV ei=pon u`mi/n o[ti kai. e`wra,kate, ÎmeÐ kai. ouv pisteu,eteÅ 37 Pa/n o] di,dwsi,n moi o` path.r pro.j evme. h[xei( kai. to.n evrco,menon pro.j evme. ouv mh. evkba,lw e;xw( 38 o[ti katabe,bhka avpo. tou/ ouvranou/ ouvc i[na poiw/ to. qe,lhma to. evmo.n avlla. to. qe,lhma tou/ pe,myanto,j meÅ 39 tou/to de, evstin to. qe,lhma tou/ pe,myanto,j me( i[na pa/n o] de,dwke,n moi mh. avpole,sw evx auvtou/( avlla. avnasth,sw auvto. ÎevnÐ th/| evsca,th| h`me,ra|Å 40 tou/to ga,r evstin to. qe,lhma tou/ patro,j mou( i[na pa/j o` qewrw/n to.n ui`o.n kai. pisteu,wn eivj auvto.n e;ch| zwh.n aivwn, ion( kai. avnasth,sw auvto.n evgw. ÎevnÐ th/| evsca,th| h`me,ra|Å 26-27 Gesù viene interpellato dalla folla come Rabbi: viene riconosciuto dalla folla il ruolo di maestro autorecvole come in 3,2. Folla disorientata: quando sei venuto qui? La risposta fi Gesù si presenta come articolata: innanzitutto l‟ambivalenza e l‟equivoco nella mmotivazione della ricerca di Gesù. La critica di Gesù è relativa all‟atteggiamento generale della folla dinanzi ai “segni” non cogliendo il significato più profondo, significato messianico e, anzi, piu che messianico. È una denuncia nota già nell‟AT quella della strumentalizzazione e incomprenssione (o comprensione superficiale) delle opere di Dio (Sl 78,17.19.23-29). Il cibo che Gesù propone è quello che rimane th.n brw/sin th.n me,nousan eivj zwh.n aivwn, ion( perché in relazione con la vita eterna. È il cibo che darà per il futuro il Figlio dell‟uomo h]n o` ui`o.j tou/ avnqrw,pou u`mi/n dw,sei che il Padre “ha accreditato” tou/ton ga.r o` path.r evsfra,gisen o` qeo,jÅ Dunque il vero e unico sostentamento per la vita eterna che solo Dio, tramite il suo inviato, può donare. Il cibo ha una relazione profonda da una parte con Dio che lo dona, dall‟altra con l‟inviato stesso. Si tratta di una sentenza di apertura che orienta già lo sviluppo successivo del discorso sul pane di vita. Lo sphragìs è il segno di autenticazione, simbolo che nell‟Apocalisse designerà gli eletti (Ap 7,3-8). Il Figlio, Gesù, è l‟unico autenticato da Padre nella sua missione di datore dei beni celesti. 28-29 La folla rilancia con la domanda su cosa fare “per operare le opere di Dio” Ti, poiw/men i[na evrgazw,meqa ta. e;rga tou/ qeou/È Espressione ripresa nella risposta di Gesù Tou/to, evstin to. e;rgon tou/ qeou Si tratta delle opere che Dio compie o che chied di compiere? Nei testi biblici l‟espressione copre i due significati. Naturalmente nel caso presente si tratta piuttosto delle opere che Dio vuole che si compiano: … fare la volontà di Dio…come in 9,4: 4 h`ma/j dei/ evrga,zesqai ta. e;rga tou/ pe,myanto,j me e[wj h`me,ra evsti,n\ e;rcetai nu.x o[te ouvdei.j du,natai evrga,zesqaiÅ Fare le opere di Dio dunque, in questo caso significherà compiere la sua volontà credendo in Gesù come suo inviato. vv. 30-33: È strana la domanda del segno a questo punto… Ma Gesù stesso ne indica il senso: essi si sono saziati di pane ma non hanno “visto” il segno. Ma vi sarebbe ancora da valutare la conclusione a cui pure la folla giunse, e cioè proclamarlo profeta, cosa comunque da non sottovalutare, così pure il tentativo di farlo re… rappresentavano comunque dei tentativi di interpretare quel gesto nel suo significato! Ma qui l‟autore non si preoccupa di questo tipo di coerenza narrativa. Vuole invece sottolineare il contrasto tra la prospettiva di Gesù che denuncia la radicale incapacità a vedere i segni per approdare alla fede autentica e la prospettiva della folla che
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chiede segni come soluzione al problema… Nonostante le apparenze (profeta… Re…) non ha portato alla vera comprensione di Gesù, alla fede in lui. Viene richiamato il segno operato da Mosè nel deserto (veniamo ancora una volta riportati allo schema dell‟omelia sinagogale che alterna citazioni scritturisctiche con le spiegazioni…) il testo a cui viene da pensare, tra i tanti dell‟AT che si riferiscono all‟esodo è Sl 78,24, la rimeditazione della storia di Israele a partire dai Padri. Fabris: «Le risonanze spirituali e le connotazioni simboliche della manna sono riprese e sviluppate nella tradizione giudaica sulla base dei testi biblici. Essa è associata al dono della Legge, alla sapienza ed identificata con la rivelazione o parola di Dio» Interessanti in particolare le riflessioni di Filone a commento di Es 16,4, con l‟identificazione del dono della manna con il Logos. La risposta di Gesù è riportata nella struttura del parallelismo antitetico: si oppongono Mosè-Padre mio; l‟azione diede-dà, e il dono: pane del cielo-pane del cielo vero to.n a;rton evk tou/ ouvranou/ to.n avlhqino,n. A specificare il vero dono del Padre, viene utilizzata l‟espressione o` ga.r a;rtoj tou/ qeou/ evstin o` katabai,nwn evk tou/ ouvranou/ kai. zwh.n didou.j tw/| ko,smw|Å dove l‟ambivalenza del soggetto o` katabai,nwn predispone all‟interpretazione cristologica del “pane”. Nel Targum sia Neofiti che Onkelos di Es 16,4 si dice «Ecco che io vi farò discendere pane dal cielo (che è stato conservato per voi fin dalle origini)», segno di una concezione giudaica della manna come realtà preesistente e presupposto per la concezione giudaica che la manna sarebbe stata oggetto di una nuova donazione nei tempi finali. Cfr. anche Ap di Baruch 29,8: «in quei giorni la manna, conservata nei suoi depositi, cadrà di nuovo ed essi ne mangeranno durante quegli anni, perché essi sono arrivati alla fine dei tempi». Qui il donatore non è più il Mosè dell‟Esodo, il donatore in Gv è identificato con il dono e la vita eterna che offre è per il mondo intero: tw/| ko,smw 34-35 La richiesta della folla Ku,rie( pa,ntote do.j h`mi/n to.n a;rton tou/tonÅ ricorda l‟analoga richiesta della donna di Samaria: le,gei pro.j auvto.n h` gunh,( Ku,rie( do,j moi tou/to to. u[dwr( come pure il testo della preghiera del Padre Nostro di Mt 6,11 e Lc 11,3 3 to.n a;rton h`mw/n to.n evpiou,sion di,dou h`mi/n to. kaqV h`me,ran\ L‟accento del nostro testo cade sul sempre pa,ntote che rende ambivalente la richiesta: un dono di qualcosa che dura in eterno non ha bisogno, infatti, di essere dato sempre! In realtà, come nel caso della Samaritana, l‟equivoco continua. Il fraintendimento, anche in questo caso, assolve alla funzione di richiamare un ulteriore chiarimento da parte di Gesù VEgw, eivmi o` a;rtoj th/j zwh/j\ o` evrco,menoj pro.j evme. ouv mh. peina,sh|( kai. o` pisteu,wn eivj evme. ouv mh. diyh,sei pw,poteÅ È il primo caso in cui ricorre la formula di autopresentazione di Gesù in cui compare l‟ “io sono” seguito da un predicato nominale (cfr. 6,41.48.51; 8,12; 10,7.9.11.14; 11,25; 14,6; 15,1.5). In questa formula vi è l‟eco delle formule veterotestamentarie di presentazione divina (Es 15,26; Sl 35,3), mentre è originale l‟accostamento a immagini simboliche: pane, luce, porta, pastore, vite). Vi è anche il richiamo ad alcuni testi sapienziali in cui la sapienza personalizzata presenta il suo ruolo in rapporto a Dio (Pr 9,5-6). Cfr. in particolare Sir 24,20: «Quanti si nutrono di me avranno ancora fame e quanti bevono di me avranno ancora sete» Gesù stesso è qui il pane della vita che soddisfa le esigenze vitali dell‟uomo. L‟immagine biblica dell‟albero della vita, ampiamente rielaborata fino all‟Apocalisse e in molta parte della tradizione giudaica è identificato con la Legge o con la Sapienza, che a sua volta viene fatta coincidere con la Legge. Ma si ricorderano anche il noto testo di Dt (8,3) “non di solo pane vive l‟uomo” e quello di Am 8,11 che annuncia fame non di pane ma della parola di Dio… insomma una utilizzazione molto ampia del pane come simbolo che va certamente al di là dello specifico riferimento alla bibbia rappresentando il pane, come alimento base nel Mediterraneo, un simbolo archetipico. Sullo sfondo delle citazioni bibliche, tuttavia, le parole di Gesù assumono il significato di compimento. 36-40 Condizione per ricevere questo dono è “credere” e i versetti che concludono il dialogo con la folla ne chiariscono lo statuto: hanno visto ma non hanno creduto e hanno manifestato, chiedendo
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un segno dal cielo, di non saper vedere in quello che Gesù ha fatto. Il “vedere” autentico è orientato al “credere” Le frasi che seguono sono concatenate a incastro indicando successivamente: 1. l‟iniziativa del Padre 37 Pa/n o] di,dwsi,n moi o` path.r 2. la relazione di fede con Gesù pro.j evme. h[xei 3. la promessa escatologica kai. to.n evrco,menon pro.j evme. ouv mh. evkba,lw e;xw( 4. connessione tra il Padre il Figlio e il credente 38 o[ti katabe,bhka avpo. tou/ ouvranou/ ouvc i[na poiw/ to. qe,lhma…. L‟iniziativa è quella del Padre che dà al Figlio ogni cosa… compresi quelli che il Figlio dovrà salvare perché il Padre vuole salvare… (accento sulla globalità, non sulla predestinazione o selettività divina…) La mediazione salvifica è unicamente quella del Figlio, colui che è disceso dal cielo. L‟adesione a Gesù è definitiva, non verrà interrotta neanche dalla morte: la prospettiva escatologica di questo testo non toglie validità agli effetti già preenti dell‟adesione a Gesù e della condizione nuova che si viene a instaurare nella vita del credente, ma la dilata fino all‟ultimo giorno…. Fin dopo la morte.
2. 41-59 confronto Gesù-giudei 41 VEgo,gguzon ou=n oi` VIoudai/oi peri. auvtou/ o[ti ei=pen( VEgw, eivmi o` a;rtoj o` kataba.j evk tou/ ouvranou/( 42 kai. e;legon( Ouvc ou-to,j evstin VIhsou/j o` ui`o.j VIwsh,f( ou- h`mei/j oi;damen to.n pate,ra kai. th.n mhte,raÈ pw/j nu/n le,gei o[ti VEk tou/ ouvranou/ katabe,bhkaÈ 43 avpekri,qh VIhsou/j kai. ei=pen auvtoi/j( Mh. goggu,zete metV avllh,lwnÅ 44 ouvdei.j du,natai evlqei/n pro,j me eva.n mh. o` path.r o` pe,myaj me e`lku,sh| auvto,n( kavgw. avnasth,sw auvto.n evn th/| evsca,th| h`me,ra|Å 45 e;stin gegramme,non evn toi/j profh,taij( Kai. e;sontai pa,ntej didaktoi. qeou/\ pa/j o` avkou,saj para. tou/ patro.j kai. maqw.n e;rcetai pro.j evme,Å 46 ouvc o[ti to.n pate,ra e`wr, ake,n tij eiv mh. o` w'n para. tou/ qeou/( ou-toj e`wr, aken to.n pate,raÅ 47 avmh.n avmh.n le,gw u`mi/n( o` pisteu,wn e;cei zwh.n aivwn, ionÅ 48 evgw, eivmi o` a;rtoj th/j zwh/jÅ 49 oi` pate,rej u`mw/n e;fagon evn th/| evrh,mw| to. ma,nna kai. avpe,qanon\ 50 ou-to,j evstin o` a;rtoj o` evk tou/ ouvranou/ katabai,nwn( i[na tij evx auvtou/ fa,gh| kai. mh. avpoqa,nh|Å 51 evgw, eivmi o` a;rtoj o` zw/n o` evk tou/ ouvranou/ kataba,j\ eva,n tij fa,gh| evk tou,tou tou/ a;rtou zh,sei eivj to.n aivwn/ a( kai. o` a;rtoj de. o]n evgw. dw,sw h` sa,rx mou, evstin u`pe.r th/j tou/ ko,smou zwh/jÅ 52 VEma,conto ou=n pro.j avllh,louj oi` VIoudai/oi le,gontej( Pw/j du,natai ou-toj h`mi/n dou/nai th.n sa,rka Îauvtou/Ð fagei/nÈ 53 ei=pen ou=n auvtoi/j o` VIhsou/j( VAmh.n avmh.n le,gw u`mi/n( eva.n mh. fa,ghte th.n sa,rka tou/ ui`ou/ tou/ avnqrw,pou kai. pi,hte auvtou/ to. ai-ma( ouvk e;cete zwh.n evn e`autoi/jÅ 54 o` trw,gwn mou th.n sa,rka kai. pi,nwn mou to. ai-ma e;cei zwh.n aivwn, ion( kavgw. avnasth,sw auvto.n th/| evsca,th| h`me,ra|Å 55 h` ga.r sa,rx mou avlhqh,j evstin brw/sij( kai. to. ai-ma, mou avlhqh,j evstin po,sijÅ 56 o` trw,gwn mou th.n sa,rka kai. pi,nwn mou to. ai-ma evn evmoi. me,nei kavgw. evn auvtw/Å| 57 kaqw.j avpe,steile,n me o` zw/n path.r kavgw. zw/ dia. to.n pate,ra( kai. o` trw,gwn me kavkei/noj zh,sei diV evme,Å
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58 ou-to,j evstin o` a;rtoj o` evx ouvranou/ kataba,j( ouv kaqw.j e;fagon oi` pate,rej kai. avpe,qanon\ o` trw,gwn tou/ton to.n a;rton zh,sei eivj to.n aivwn/ aÅ 59 Tau/ta ei=pen evn sunagwgh/| dida,skwn evn Kafarnaou,mÅ Gli interlocutori diventano a partire dal v. v. 41 “i giudei” che non si rivolgono direttamente a Gesù ma invece “mormorano” tra loro. Si mette a fuoco la frase centrale del precedente dialogo «Io sono il pane disceso dal cielo» attraverso una riflessione di ordine pratico-materiale. Circa la sua appartenenza carnale e alla difficoltà che essa crea rispetto alle dichiarazioni di Gesù ve ne è ricordo anche nella tradizione sinottica (Mc 6,1-6; Mt 13,53-58; Lc 4,16-24). Gesù non nega la sua origine umana e prprio qui c‟è il problema. Qui non si attutisce il problema, ma si fa appello alla fede. Forse anche qui vi è dell‟ironia ? sanno veramente i giudei chi è il Padre di Gesù-figlio-diGiuseppe? In realtà i giudei stanno rifacendo l‟errore del deserto a cui richiama il mormorare che Gesù rimprovera loro: Mh. goggu,zete metV avllh,lwnÅ utilizzando lo stesso verbo della LXX per le mormorazioni di Israele nel deserto (Es 16,7….) v. 45 Oppone invece quanto è scritto nei profeti “E saranno istruiti da Dio” Gr 38/31,3 LXX ma anche Os 2,16; 11,4). Dio stabilisce con la comunità sposa un‟alleanza di pace (Is 54,7.10). La legge di Dio sarà scritta nei cuori (Gr 31,34) Iniziativa efficace di Dio e prospettiva universalistica vengono da Gv fuse insieme. Il credente è visto come colui che ha ascoltato il Padre e ha imparato. Col v. 46 si chiarisce con accento tipicamente giovanneo il fatto che Gesù è l‟unico che ha visto il Padre (1,18; 5,37; 8,38: 14,9) Gesù si distingue da tutti gli altri mediatori per la sua relazione fontale con Dio che è per lui il Padre,e di cui egli è l‟Unigenito (1,14) v.48ss. Gesù si autoproclama nuovamente pane della vita approfondendo il senso di tale affermazione sulla differenza con il pane del deserto. Ora l‟accento cade sul “mangiare” e sul “credere” Mangiare come condivisione profonda del destino di Gesù Pane di vita di cui si è chiamati a nutrirsi. Con il v.51 si aggiunge pane “vivente” con una qualifica attribuita solitamente a Dio e che dice che Gesù stesso, nella sua realtà storica è il pane vivo disceso dal cielo avendo dunque l‟autorità di annunciare che chi mangia di questo pane vivrà in eterno. Siamo al culmine delle affermazioni cristologiche di Gesù che introducono poi il discorso eucaristico o sacramentale. Il pane vivo, con cui Gesù identifica se stesso, viene ora identificato più precisamente con la sua carne. E non a caso ciò scatena nuovamente la mormorazione dei giudei Pw/j du,natai ou-toj h`mi/n dou/nai th.n sa,rka Îauvtou/Ð fagei/nÈ SARX è termine che richiama al realismo delle parole di Gesù… autodonazione di se stesso, della sua sarx, che è contemporaneamente il pane vivo disceso dal cielo per la vita del mondo. Sono coniugati insieme l‟aspetto dell‟incarnazione storica del Verbo in Gesù e l‟autodonazione salvifica universale di se stesso come pane di vita… attraverso la morte… qui si va al fondo del mistero eucaristico nella prospettiva giovannea. Qui compare improvvisamente anche l‟espressione, non preparata dai dialogi precedenti: “bere il suo sangue” nella forma di risposta che aggrava la perplessità di chi già si poneva la domanda sul mangiaare la carne. Mangiare la carne e bere il sangue risultano in ogni caso aberrazioni dal punto di vista religioso giudaico. Sangue e carne di Gesù sono associati nell‟interpretazione eucaristica, ma ancor prima nella concezione cristologica di Gv cfr 19,34: Il sangue è lo spirito vitale di cui l‟uomo non può impossessarsi (Lv 17,11) Ma sangue e carne di Gesù diventano in Gv il dono di Dio, dono completo per l‟uomo. Nelle espressioni conclusive si riprendono gli elementi del dialogo. Gesù è il pane di vita in quanto comunica la vita piena e definitiva a chi lo assimila interiormente nella fede che a sua volta si attua nel mangiare e bere sacramentale. Il luogo, la sinogaga è, insieme al tempio, ambito tradizionale dell‟insegnamento di Gesù.
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60-66 Compaiono poi sulla scena i discepoli di Gesù di cui non si era parlato più dopo la traversata del lago. 60 Polloi. ou=n avkou,santej evk tw/n maqhtw/n auvtou/ ei=pan( Sklhro,j evstin o` lo,goj ou-toj\ ti,j du,natai auvtou/ avkou,einÈ Il discorso o` lo,goj di Gesù è duro Sklhro,j con un interrogativo che è simile a quello dei giudei. 61 eivdw.j de. o` VIhsou/j evn e`autw/| o[ti goggu,zousin peri. tou,tou oi` maqhtai. auvtou/ ei=pen auvtoi/j( Tou/to u`ma/j skandali,zeiÈ 62 eva.n ou=n qewrh/te to.n ui`o.n tou/ avnqrw,pou avnabai,nonta o[pou h=n to. pro,teronÈ Alla domanda dei discepoli segue la risposta di Gesù sotto forma di domanda che va al centro della questione di fede in Gesù Cristo come Figlio dell‟Uomo disceso dal cielo. Lo scandalo è connesso con un punto nevralgico della fede: umanità reale a cui corrisponde la reale appartenenza al mondo di Dio. Segue la frase sullo spirito e vita che è costruita con un parallelismo concentrico 63 to. pneu/ma, evstin to. zw|opoiou/n( h` sa.rx ouvk wvfelei/ ouvde,n\ ta. r`hm, ata a] evgw. lela,lhka u`mi/n pneu/ma, evstin kai. zwh, evstinÅ 64 avllV eivsi.n evx u`mw/n tinej oi] ouv pisteu,ousinÅ La stessa contrapposizione spirito – carne che si trova nel dialogo con Nicodemo (Gv 3,6.8) Le parole sono spirito e vita vanno intese nel contesto pasquale esplicitamente evocato in precedenza. Si pone l‟accento sul ruolo dello Spirito e questo a sua volta è identificato con le parole di Gesù. Partecipare al dinamismo vitale dello Spirito, delle parole stesse di Gesù. In contrasto con l‟incredulità di alcuni discepoli, sta la successiva testimonianza dei DODICI h;|dei ga.r evx avrch/j o` VIhsou/j ti,nej eivsi.n oi` mh. pisteu,ontej kai. ti,j evstin o` paradw,swn auvto,nÅ 65 kai. e;legen( Dia. tou/to ei;rhka u`mi/n o[ti ouvdei.j du,natai evlqei/n pro,j me eva.n mh. h=| dedome,non auvtw/| evk tou/ patro,jÅ 66 VEk tou,tou polloi. ÎevkÐ tw/n maqhtw/n auvtou/ avph/lqon eivj ta. ovpi,sw kai. ouvke,ti metV auvtou/ periepa,tounÅ 67 ei=pen ou=n o` VIhsou/j toi/j dw,deka( Mh. kai. u`mei/j qe,lete u`pa,geinÈ 68 avpekri,qh auvtw/| Si,mwn Pe,troj( Ku,rie( pro.j ti,na avpeleuso,meqaÈ r`h,mata zwh/j aivwni,ou e;ceij( 69 kai. h`mei/j pepisteu,kamen kai. evgnw,kamen o[ti su. ei= o` a[gioj tou/ qeou/Å 70 avpekri,qh auvtoi/j o` VIhsou/j( Ouvk evgw. u`ma/j tou.j dw,deka evxelexa,mhnÈ kai. evx u`mw/n ei-j dia,bolo,j evstinÅ 71 e;legen de. to.n VIou,dan Si,mwnoj VIskariw,tou\ ou-toj ga.r e;mellen paradido,nai auvto,n( ei-j evk tw/n dw,dekaÅ Pietro risponde a nome dei Dodici prima con un interrogativo retorico, poi fornendo la motivazione della sua risposta. Noi abbiamo creduto e conosciuto: Si mette in rilievo il valore fondante della fede appostolica, il suo ruolo di testimonianza permanente, ma anche l‟adesione totale dei dodici a Gesù e al suo discorso sul pane di vita. Tu sei il Santo di Dio: l‟attributo hagios in Gv è dato una volta a Dio, il Padre, tre volte allo Spirito Santo. Gesù può essere proclamato il Santo di Dio in quanto Figlio inviato e partecipe della realtà divina del Padre. Ma anche perché ha parole che sono Spirito e vita, è ricolmo cioè dello Spirito e lo comunica ai discepoli per permettere loro la piena comunione con il Padre.
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Il testo si chiude con l‟accenno a Giuda che prepara il tradimento; Giuda rappresenta il fronte degli increduli partecipando al disegno dell‟oppositore, facendo sì che già si profili la conclusione tragica di Gesù.
NOTE SUL LINGUAGGIO DELLA SALVEZZA NEL IV VANGELO 1. IL VOCABOLARIO DELLA SALVEZZA NEL IV VANGELO Il vocabolario specifico della “salvezza”, a partire da una ricerca sui termine soteria/soter/sozo nel IV Vangelo appare, ad una prima esplorazione, relativamente scarso. L‟insieme dei termini formati con la stessa radice è utilizzato in non molte occasioni, tutte comprese nella prima parte del Vangelo, il cosiddetto “Libro dei segni”: 3:17 Dio infatti non mandò il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. 4:22 Voi adorate ciò che non conoscete; noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. 4:42 Alla donna dicevano: «Non crediamo più per il tuo discorso. Noi stessi infatti abbiamo udito e sappiamo che è veramente lui il salvatore del mondo». 5:34 Io però non accetto la testimonianza di un uomo, ma dico questo perché voi siate salvati. 10:9 Io sono la porta. Chi entrerà attraverso di me sarà salvo; entrerà ed uscirà e troverà pascolo. 11:12 Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se è addormentato, si salverà». 12:27 Ora la mia anima è turbata, e che devo dire?... Padre, sàlvami da quest' ora? Ma proprio per questo sono venuto a quest' ora. 12:47 Se uno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno. Non sono venuto infatti per condannare il mondo, ma per salvare il mondo.
Lasciamo il testo di 12,27 in cui la salvezza è in riferimento alla pasione di Gesù e alla liberazione dall‟ora........... Il primo riferimento è in 3,17 Non per condannare ma per salvare (3,17) Nel dialogo con Nicodemo (3,1-21), in relazione con l‟annuncio dell‟innalzamento del Figlio dell‟uomo viene esplicitata da parte di Gesù stesso la finalità dell‟invio del Figlio da parte del Padre ouv ga.r avpe,steilen o` Qeo.j to.n ui`o.n eivj to.n ko,smon avllV i[na kri,na to.n ko,smoj avll i[na _ swth o` ko,smoj diV auvtou/.. Qui il verbo sw,z| w è usato nel congiuntivo aoristo passivo (Passivo divino) e finalizzato al o` ko,smoj nell‟accezione ampia (il mondo intero come destinatario della salvezza) tanto più significativo per il fatto che interlocutore di Gesù è Nicodemo, un capo dei Giudei (3,1). La spiegazione sulla finalità salvifica universale dell‟invio del Figlio da parte del Padre è posta in relazione immediata con la “condanna del mondo” attraverso una costruzione parallela dei membri: avllV i[na kri,na to.n ko,smoj avll i[na _ swth o` ko,smoj Ciò chiarisce immediatamente la particolare funzione salvifica del Figlio dell‟uomo, diversa da quanto risulta dalla letteratura apocalittica coeva (vedi per es. il libro delle parabole di Enoch in cui il Figlio dell‟uomo è giudice escatologico), funzione rimandata, nei testi neotestamentari, al ritorno del figlio dell‟uomo nella gloria (Cf. Mc 14,62//Mt 26,64) che riprende la nota immagine di Daniele 7:13 evqew,roun evn o`ra,mati th/j nukto.j kai. ivdou. evpi. tw/n nefelw/n tou/ ouvranou/ w`j ui`o.j avnqrw,pou h;rceto kai. w`j palaio.j h`merw/n parh/n kai. oi` paresthko,tej parh/san auvtw/| 13 Io guardavo nelle visioni notturne: ecco sulle nubi del cielo venire uno simile a un Figlio d' uomo; arrivò fino all' Antico di giorni e fu fatto avvicinare davanti a lui. 14 A lui fu concesso potere, forza e dominio e tutti i popoli, le nazioni e le lingue lo servirono. Il suo potere è un potere eterno che non finirà e il suo dominio è un dominio eterno che non sarà distrutto.
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La stessa chive del chiarimento circa la missione di Gesù - Figlio dell‟uomo, la troviamo in un punto molto significativo del IV Vangelo, a conclusione del libro dei segni: 12:47 Se uno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno. Non sono venuto infatti per condannare il mondo, ma per salvare il mondo. Qui il verbo sw,|zw è usato alla prima persona del congiuntivo aoristo e la costruzione, come nel caso precedente (3,17) presenta un parallelismo antiteico 12:47 ouv ga.r h=lqon i[na kri,nw to.n ko,smon avll i[na sw,sw to.n ko,smon Circa questa finalità di salvezza universale abbiamo qualcosa di analogo in Lc 19:10 Infatti il Figlio dell' uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto». E Mt 18:11 «Infatti, il Figlio dell' uomo è venuto a trarre in salvo ciò che era perito. Ma l‟accentuazione del testo giovanneo è in questo senso molto più forte. È inoltre da notare che la funzione di giudizio, a cui è collegata tradizionalmente la figura del Figlio dell‟Uomo e che viene rinviata al ritorno del Cristo Risorto nei Vangeli sinottici, viene richiamata da Giovanni come qualcosa di attualmente presente: il giudizio si ha già qui nell‟atteggiamento che l‟uomo assume nei confronti del Figlio dell‟uomo Gv 3:19 19 Ora il giudizio è questo: la luce venne nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Gv 12:48 48 Colui che mi rifiuta e non accoglie le mie parole, ha chi lo giudica. La parola che ho pronunciato, quella lo giudicherà nell' ultimo giorno; in ambedue i casi, dunque, la specificazione della finalità della venuta del figlio dell‟uomo è contrapposta alla finalità del giudicare il mondo, quale attività positiva del FdU, ma nello stesso il giudizio del mondo avviene già nel momento in cui il mondo, l‟uomo, prende posizione in relazione alla persona dell‟inviato del Padre. La proposta di salvezza è strettamente legata alla persona dell‟inviato del Padre e diventa motivo di giudizio (di condanna) nell‟opposizione al Figlio. L‟aspetto soteriologico e quello cristologico risultano strettamente collegati. 1.2. Connessione di “salvezza con vita/luce” Vogliamo ancora fare qualche osservazione sui due testi citati: in ambedue i testi il tema della salvezza proposta dal Padre nella persona del Figlio sono connessi con i termini “vita” e “luce”. Nel capitolo 3, il v. 17 in cui si cita il verbo salvare, appare come parte della spiegazione che Gesù dà, in occasione del dialogo con Nicodemo, circa la missione del Figlio. Gesù, come l‟inviato del Padre disceso dal cielo parla per l‟esperienza di FdU, il solo che è salito al cielo 13 Nessuno è salito al cielo se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell' uomo, che è in cielo. Qui la prospettiva è post-pasquale: Giovanni parla a partire dall‟esperienza dell‟innalzamento del FdU che “attualmente” è nel seno del Padre (1,18). Tale posizione attuale passa attraverso l‟innalzamento del FdU sulla croce 14 E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così deve essere innalzato il Figlio dell' uomo, 15 affinché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Qui la finalità salvifica universale che verrà espressa più avanti (v.17) viene espressa in termini di ottenimento della zwh.n aivwn, ion concetto ribadito subito dopo con il v. 16 16 Dio infatti ha tanto amato il mondo, che ha dato il Figlio suo Unigenito affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna E ripreso, dopo il v. 17 con l‟altra importante immagine giovannea, quella della luce:
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Ora il giudizio è questo: la luce venne nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. 20 Poiché: chiunque fa il male odia la luce e non viene alla luce, perché le sue opere non siano smascherate. 21 Colui invece che fa la verità viene alla luce, perché si riveli che le sue opere sono operate in Dio». Viene ripreso il tema del prologo e il rifiuto del FdU è espresso nei termini di rifiuto della luce che è venuta nel mondo. Il riferimento ai due termini “vita eterna” e “luce” appare anche, in altro ordine nel cap. 12 già preso in esame a proposito della finalità salvifica dell‟invio del FdU: Gv 12:44-50 44 Gesù proclamò ad alta voce: «Chi crede in me, non crede in me, ma in Colui che mi ha mandato, 45 e colui che vede me, vede Colui che mi ha mandato. 46 Io, luce, sono venuto nel mondo affinché chi crede in me non rimanga nelle tenebre. 47 Se uno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno. Non sono venuto infatti per condannare il mondo, ma per salvare il mondo. 48 Colui che mi rifiuta e non accoglie le mie parole, ha chi lo giudica. La parola che ho pronunciato, quella lo giudicherà nell' ultimo giorno; 49 perché io non ho parlato da me stesso, ma il Padre stesso che mi ha mandato mi ha comandato ciò che dovevo dire e pronunciare. 50 E so che il suo comandamento è vita eterna. Ciò che dico, lo dico come il Padre me l' ha detto». Qui Gesù stesso si identifica con “luce” 12:46 evgw. fw/j eivj to.n ko,smon evlh,luqa e ancora una volta aspetto determinante rimane l‟atteggiamento che si assume davanti a lui e all‟ascolto delle sue parole (46-48) con l‟inusuale riferimento giovanneo del giudizio all‟ultimo giorno. Ma anche qui è la parola di Gesù, la sua missione, voluta dal Padre, ciò che dà la vita eterna. 1.3. La salvezza viene dai giudei (4,22) Seguendo la disposizione dei capitoli del IV Vangelo, la seconda e terza ricorrenza del vocabolario specifico della salvezza si trova nel cap. 4. I cap. 3 e 4 che stiamo considerando, sono accomunati dall‟appartenenza alla cosidetta sezione di Cana (da Cana a Cana 2-4) che diversi studiosi trovano significativa per il fatto che presenta, in una sorta di primo itinerario nella Terra Santa che va dalla Galilea alla Giudea e poi nuovamente alla Galilea passando (fatto peculiare al quarto vangelo) per la Samaria. È anche l‟occasione per l‟incontro con diversi “tipi” di personaggi che riassumono la tipologia del mondo nel quale Gesù si muoveva (dal simbolico contesto nuziale della Galilea ai giudei che credettero in lui (2,23), al rappresentante del giudaismo Nicodemo, all‟incontro con la Samaritana e con il funzionario reale. È un contesto che si presenta come fondamentalmente aperto all‟annuncio di Gesù, anche da parte dei giudei che vi sono rappresentati, contrariamente a quanto accadrà a partire dal cap. 5. In questo contesto il passaggio per la Samaria costituisce un‟occasione particolare di annuncio per Gesù (e per l‟evangelista) spesso affrontato a partire dalla storia della comunità giovannea (che comprendeva dei samaritani) piuttosto che come registrazione precisa degli avvenimenti accaduti a Gesù... È proprio in Samaria che si registra una delle confessioni di fede più alte del IV Vangelo, da parte degli abitanti di Sicar: 42 Alla donna dicevano: «Non crediamo più per il tuo discorso. Noi stessi infatti abbiamo udito e sappiamo che è veramente lui il salvatore del mondo o` swth.r tou/ ko,smou ». Il titolo non è tipicamente giudaico e sembra derivare proprio dalla lievitazione della cristologia giovannea che si apre a formulazioni cristologiche non più derivabili direttamente dall‟AT (bassa cristologia). Proprio questo fatto crea ancora più contrasto con la precedente affermazione di Gesù
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4:22 Voi adorate ciò che non conoscete; noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. – analizzata con interesse soprattutto in tempi recenti per il significato che assume nella rilettura dei rapporti della chiesa con Israele. L‟orientamento dei commenti antichi è infatti limitato a registrare la parola di Gesù h` swthri,a evk tw/n VIoudai,wn evsti,n come semplice constatazione della provenienza di Gesù dal popolo giudaico; tale lettura verrebbe confermata dall‟espansione del significato salvifico di Gesù nel v. 42. dove Gesù è presentato come salvatore del mondo, al di là e, nella migliore delle ipotesi, come sviluppo della funzione salvifica di Israele. Le letture attuali del testo che sottraggono la vicenda narrata dal tipo di interpretazione allegoricomorale (la Samaritana come donna da salvare da una condotta di vita sbagliata... i cinque mariti...) per leggerla invece come allegoria della posizione samaritana rispetto all‟autentica religiiosità, quella giudaica, e al bisogno della donna-Samaria di una conversione verso l‟unico vero Signore così come adorato e celebrato nel giudaismo, danno invece maggiore forza all‟affermazione di Gesù proprio come puntualizzazione che è la fede giudaica che conserva e trasmette la fede autentica e ne garantisce la portata salvifica. Qui si apre un capitolo molto interessante per la nostra riflessione circa la relazione teologica tra chiesa e Israele nel mutato contesto attuale e il significato di una via autentica di salvezza presente nell‟Alleanza così come vissuta nel giudaismo.... oltre che ad una più ampia considerazione circa il rapporto della salvezza in Cristo con la proposta di salvezza nelle altre religioni.... 1.4. La testimonianza che salva /dà la vita (5,34) Al capitolo 5, dopo la guarigione dell‟infermo alla piscina di Betzaetà segue un discorso di Gesù sull‟opera del Figlio, discorso in cui possiamo distinguere due parti (vv. 19-30: il rapporto del Figlio con il Padre; 31-47: la testimonianza di Gv Batt. e delle Scritture. Il versetto che ci interessa direttamente è compreso nella seconda parte del discorso laddove il motivo della testimonianza di Gesù ai giudei è motivato dalla proposta di salvezza. 34 Io però non accetto la testimonianza di un uomo, ma dico questo perché voi siate salvati. 34 evgw. de. ouv para. avnqrw,pou th.n marturi,an lamba,nw avlla. tau/ta le,gw i[na u`mei/j swqh/te swqh/te è un congiuntivo aoristo passivo (già trovato in precedenza) che si riferisce all‟azione salvifica di Dio-Padre come si esplicita nel contesto. Il “riceverre la testimonianza da un uomo” sembra essere contrapposto alla finalità del donare la salvezza come una possibile motivazione alternativa dell‟azione di Gesù, cosa che egli contesta e che motiva la riflessione successiva, e l‟accusa del ricercare la gloria gli uni dagli altri (v. 44) rivolta ai giudei presenti. Si osserva che anche in questo capitolo, ciò che precede e segue l‟affermazione di Gesù al v.34 viene connesso in positivo al dono della vita. È questa capacità divina che viene condivisa dal Figlio 21 Come infatti il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a coloro che vuole. Subito dopo il dono della vita, precedentemente connotato come la capacità del Padre di far risuscitare I morti, viene specificato come dono attuale, sottratto alla pura prospettiva della vita come risurrezione dai morti: 24 In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a Colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non incorre nel giudizio, ma è passato dalla morte alla vita. La salvezza come vita è dunque dono del Padre messo a disposizione nella attività del Figlio che non si attua solo nella prospettiva di una vita dopo la morte come salvezza (Vita eterna/risurrezione) ma come dono attuale che sottrae al giudizio Gv 5:24 24 VAmh.n avmh.n le,gw u`mi/n o[ti o` to.n lo,gon mou avkou,wn kai. pisteu,wn tw/| pe,myanti, me e;cei zwh.n aivwn, ion kai. eivj kri,sin ouvk e;rcetai avlla. metabe,bhken evk tou/ qana,tou eivj th.n zwh,n
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I verbi sono al presente, tranne metabai,nw che è all‟indicativo perfetto attivo, indicando cioè una azione compiuta e di cui si vivono le conseguenze attualmente. In tal senso (della attualità della salvezza/vita) va anche il versetto successivo 25 In verità, in verità vi dico: viene un' ora, ed è adesso, in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio e coloro che l' avranno ascoltata vivranno. 26 Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha dato anche al Figlio di avere la vita in se stesso; 27 e gli ha dato il potere di fare il giudizio, perché è Figlio dell' uomo. Sul concetto di vita si ritorna dopo il v. 34, in relazione alla parte del discorso connessa alla testimonianza di Giovanni e delle scritture: . 39 Voi scrutate le Scritture, perché per mezzo di esse pensate di avere la vita eterna: sono proprio esse che mi rendono testimonianza. 40 Ma voi non volete venire a me per avere la vita. Qui la possibilità di avere la vita eterna è nuovamente connessa alla persona stessa di Gesù e alla relazione che si sceglie di vivere con lui. La conclusione amara di Gesù, che dice “questo perché voi siate salvati”, è che essi non vogliono esserlo 40 Ma voi non volete venire a me per avere la vita. 1.5. Io sono la porta. Chi entrerà attraverso di me sarà salvo; (10,9) Un‟altra nota immagine giovannea, introdotta dalla solenne affermazione peculiare al IV evangelo “IO SONO” evgw, eivmi h` qu,ra\ è quella della porta attraverso cui passare per essere salvi swqh,setai (indicativo futuro passivo). Ashton (184) fa notare che tutti i detti con l‟Io Sono contengono una promessa di vita (la metafora centrale per il IV Vangelo per indicare i benefici connessi alla fede). Di conseguenza ognuno di essi rappresenta un vangelo in miniatura (cf. 20,31). Anche qui il contenuto dell‟essere salvi (essere salvati da Dio – Padre) consiste nel dono della vita come esplicita Gesù stesso nelle parole che seguono, attraverso l‟immagine di morte collegata alle intenzioni del mercenario contrapposta all‟intenzione di Gesù: 10
Il ladro non entra che per rubare, sgozzare e distruggere. Io sono venuto perché abbiano la vita e l' abbiano in sovrabbondanza. il dono della vita è reso più evidente dall‟avverbio: kai. perisso.n e;cwsin All‟immagine della porta dell‟ovile segue quella più nota del buon pastore 11 “Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la sua vita per le pecore.” Contrapposta a quella del mercenario. Qui è interessante osservare che il dono della vita come bene per l‟uomo avviene attraverso la consegna della vita di Gesù stesso, vita che Egli ha il potere di riprendere: 17 Per questo il Padre mi ama, perché io do la mia vita per riprenderla di nuovo. 18 Nessuno me la toglie, ma io la do da me stesso. Ho il potere di darla e ho il potere di riprenderla. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio». 1.6. Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se è addormentato, si salverà» (11,12) L‟ultimo riferimento al termine salvezza/salvare, lo abbiamo nel capitolo 11, a proposito della risurrezione di Lazzaro, laddove l‟equivoco dell‟interpretazione dei discepoli circa la situazione di Lazzaro li porta a concludere che poiché dorme “si salverà” Gv 11:12 12 ei=pan ou=n oi` maqhtai. auvtw/| Ku,rie eiv kekoi,mhtai swqh,setai, dove troviamo ancora un indicativo futuro passivo con il possibile significato riflessivo, che spesso si preferisce tradurre con “guarirà”. La differente traduzione indica la possibile duplice lettura a partire dal contesto immediato (Se è solo
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addormentato si riprenderà...) o dal significato sotteso ma ben evidenziato dalle precedenti parole di Gesù circa l‟essere addormentato di Lazzaro da cui verrà risvegliato e quanto poi segue... È in particolare nel dialogo con Marta, secondo la tecnica giovannea del dialogo che segue il segno, ma in questo caso rovesciato nell‟ordine, che appare il senso dell‟azione che Gesù sta compiendo: 11:25 Le disse Gesù: «Io sono la risurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se morisse, vivrà; Qui abbiamo la proclamazione più solenne di Gesù che connette la sua opera salvifica con il dono della vita al di là della morte, nel suo significato letterale ma anche nel significato sotteso circa la vita che l‟uomo può ottenere nell‟incontro con Gesù. Il fatto è reso ancora più evidente dalla contrapposizione operata con il continuo riferimento alla “morte” che appare vittoriosa. La Risurrezione non occorre cercarela oltre, verso un al di là, essa è già presente “Io sono”. Qui coincide il senso di “salvezza” come liberazione da morte e attualità della salvezza presente in Gesù Cristo. E la vita non è il bene dato come oggetto della salvezza, è invece la salvezza stessa come radicale liberazione dal male in tutte le sue espressioni (la vita in abbondanza). A Gesù è stata attribuita la potenza del Padre, quella di vivificare (5,21) e di farla intimamante sua (5,26) una potenza già mostrata mediante gli altri grandi segni compiuti sugli infermi (4,50-53 con il triplice ze). La vita fisica, che è tornata in una salma in putrefazione, non è che un pallido riflesso di quella vera vita che Gesù risveglia nel credente. (cf. Schnackenburg) A proposito ancora di 11,25 Schnack. dice che l‟associazione di “risurrezione” e “vita” non è un pleonasmo. Doveva essere nominato prima “risurrezione”, ma “vita”, che alcuni manoscritti omettono, costituisce l‟aggancio necessario alla affermazione che segue, che è rivolta a tutti i credenti e schiude loro il significato del grande segno. Per contenuto, la “vita” spiega soltanto ciò che è detto con “risurrezione”, ne mette in evidenza ciò che questa contiene, come avviene per altre parole simboliche. Segue il parallelismo sinonimico chi crede in me, anche se muore vivrà....... l‟enunciato sulla vita è tutte e due le volte alla fine della frase. 2. VITA COME SALVEZZA NEL IV VANGELO Da quanto osservato sopra, la restrizione del tema della salvezza al vocabolario specifico esaminato soteria/soter/sozo appare limitato. Abbiamo osservato come il concetto stesso di salvezza sia correlato a quello di vita/vita eterna/luce e opposto a quello di morte (giudizio)/tenebra secondo lo stile proprio di Giovanni. Osserviamo altresì come lo stesso termine vita ricorra in maniera assolutamente più ampia in Gv rispetto ai sinottici: Vita nei 4 vangeli Total Number of Verses in Version: 35366 Number of Hits in Version: 93 Number of Verses with Hits in Version: 79 "Book/Chapter", "Hits", "Number of Verses in Book/Chapter" "Joh ", 46, 879 "Luk ", 19, 1151 "Mat ", 18, 1071 "Mar ", 10, 678
2.1. A partire dalla conclusione: kai. i[na pisteu,ontej zwh.n e;chte evn tw/| ovno,mati auvtou/
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In realtà il lettore del IV Vangelo non può fare a meno di osservare come proprio la sintesi conclusiva offerta da Giovanni in 20,30-31 abbia a che fare con il concetto di vita/salvezza. Al contrario di Luca, Giovanni offrre a conclusione (la cosiddetta “prima conclusione”) il motivo della sua testimonianza evangelica Gv 20 30 Gesù in presenza dei discepoli fece ancora molti altri segni, che non sono scritti in questo libro. 31 Questi sono stati scritti affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e, credendo, abbiate la vita nel suo nome. Alla necessità di offrire una memoria ordinata dei fatti, a cui si richiama Luca, Giovanni esplicita il motivo della sua testimonianza con l‟avere la vita nel suo nome. Anche Schnackenburg come la maggior parte degli esegeti, ritiene che il “perché crediate” al di là delle varianti testuali che presentano un aoristo ingressivo al posto del presente, ritiene che i destinatari sono coloro che già credono a cui il vangelo è indirizzato come memoria autentica e annuncio della fede. Non si tratterebbe dunque di uno scritto missionario ma di una testimonianza che intende rafforzare la fede nei seguaci di Gesù. Altri preferiscono mantenere insieme i due aspetti, quello dell‟approndimento della fede e qeuello missionario (cf. Mannucci). «L‟aggiunta di questa breve frase prova ancora una volta che per Gv non si dà cristologia staccata dalla soteriologia. Il IV Vangelo vuole essere soprattutto messaggio di salvezza. Il Rivelatore incarnato, il Figlio di Dio, è il portatore di vita agli uomini caduti preda della morte, e in questo senso è il Messia. L‟unica cosa richiesta agli uomini per ottenere questa vita divina, è la fede, come mette in rilievo il pisteu,ontej posto al centro della frase e indicante il mezzo necessario per conseguire il fine» (vol. II p. 226s.). L‟orientamento di diversi esegeti è a ricondurre la frase finale del Vangelo alla frase conclusiva delle fonte dei segni. La finalità della testimonanza giovannea è dunque la fede dei suoi destinatari e, in ultima istanza, ottenere la vita nel suo nome. La vita di cui qui si parla, intesa evidentemente come bene supremo a cui possa aspirare l‟ascoltatore, è colegata strettamente al “nome” di Gesù il Cristo, il Figlio di Dio. Nel suo nome è espressione nota nel contesto biblico per esprimere la persona che il nome rappresenta. La Vita come Luce L‟interesse alla tematica cresce non solo con l‟osservazione dei tanti passi precedenti in cui in maniera diversa si fa riferimento allo stesso concetto, ma anche per la corrispondenza di quanto detto alla fine con l‟inizio del Vangelo a proposito del LOGOS: 1:4 evn auvtw/| zwh. evsti,n kai. h` zwh. h=n( to. fw/j tw/n avnqrw,pwn( In lui è la vita e la vita era la luce degli uomini. Si osservi come i due concetti, di vita e luce che al di là dei riferimenti ad ambienti ellenistici e gnostici hanno il loro forte radicamento nell‟AT ebraico, traducano simbolicamente l‟esigenza antropologica di vita in due termini fondamentali dell‟esperienza del vivere, della possibilità della vita. Non a caso la prima opera che Dio compì fu la creazione della luce, esigenza fondamentale del vivere che a sua volta si trasformerà in simbolo del dono di Dio all‟uomo: la Torah nel pensiero giudaico, Gesù luce del mondo nel pensiero cristiano. Le parole di apertura del prologo collegano immediatamente sia per il riferimento alla Davar di Dio che al tema della creazione, della luce... all‟apertura della Torah con la narrazione dell‟origine della vita secondo la Bibbia. Un tema che verrà sviluppato in particolare con l‟immagine dell‟albero della vita disponibile al centro dell‟Eden e reso indisponibile con
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l‟allontanamento da Eden causato dal peccato d‟origine. La tematica, fondamentale nel secondo racconto di creazione (molto più sviluppata è la riflessione intorno all‟albero della conoscenza del bene e del male, anche perché mentre questa immagine è esclusiva della Bibbia, quella dell‟albero della vita è molto più conosciuta già nell‟antichità preisraelitica cf. epopea di Gilgamesh), la tematica riapparirà a conclusione della Bibbia cristiana, con il libro dell‟Apocalisse dove si ritorna sulla stessa immagine: Ap 22: 12 Ecco: vengo presto; con me ho la mercede che darò a ciascuno secondo le sue opere. 13 Io sono l' Alfa e l' Omega, il Primo e l' Ultimo, il Principio e la Fine. 14 Beati coloro che lavano le loro vesti, così da poter mangiare dall' albero della vita ed entrare attraverso le porte nella città. 22:14 maka,rioi oi` plu,nontej ta.j stola.j auvtw/n i[na e;stai h` evxousi,a auvtw/n evpi. to. xu,lon th/j zwh/j( kai. toi/j pulw/sin eivse,lqwsin eivj th.n po,lin\ L‟ingresso alla città santa, alla Gerusalemme del cielo, è promesso a coloro che avranno lavato le proprie vesti ( i martiri) e che saranno ammessi a mangiare dall‟albero della vita. Non si vuole insistere qui sulla corrispondenza, si direbbe una inclusione tematica tra l‟inizio e la fine di Giovanni e l‟inizio e la fine della Bibbia sul tema della vita, ma indicare come esso è collegato nella telogia biblica sia alla protologia che all‟escatologia tanto da esprimere, appunto nell‟immagine particolare dell‟albero della vita, quella disponibilità di vita totale che è nell‟aspirazione più profonda dell‟uomo rappresentando nella linea temporale della narrazione biblica il suo principio e la sua destinazione rispetto alle quali la realtà storica risulta inadeguata. Si definisce così non tanto il limite iniziale e finale della narrazione biblica quanto piuttosto il contesto generale di senso nel quale si inseriscono anche le azioni storiche del Dio della salvezza che si manifesta nella storia di Israele come il liberatore e nella persona di Gesù Cristo come il definitivo liberatore dai vincoli del male. È questa chiave storica, di storia di salvezza, appunto, che fa emergere il concetto di salvezza come fondamentale nella teologia giudaica e cristiana: liberazione dal male nella sua contingenza storica, per l‟aspirazione più profonda che è la liberazione da ogni male come positivamente viene espresso nell‟esigenza di vita.
Vita eterna Una problematica connessa direttamente con il testo giovanneo è legata all‟espressione “vita eterna” e al valore che nella riflessione cristiana è stato dato a questa specificazione della vita in un senso solitamente percepito nel suo valore temporale e collegato con l‟al di là. l‟espressione “vita eterna” nel IV Vangelo, si osservi bene, non è presente nella frase conclusiva del cap. 20. A favore di questa interpretazione sembra testimoniare il dialogo con Nicodemo 3.15.16 [15]perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna». [16]Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Lo stesso concetto è rafforzato sempre nel cap. 3 nell‟ultima testimonianza di Giovanni Battista: [36]Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l'ira di Dio incombe su di lui». Qui il contrario del crederte in Gesù è espresso con la disobbedienza: in questo caso rimane su di lui l‟ira di Dio.
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Diversi altri testi presentano la vita come vita eterna. Ma ve ne sono alcuni che non fanno pensare al senso unico della vita ultraterrena come 5, [24]In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita. Così pure 6 [47]In verità, in verità vi dico: chi crede ha la vita eterna. 6, [54]Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. 10[28]Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano. 12[25]Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna. Ma soprattutto il testo di 17[3]Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo. L‟esame di Bultmann: confronto con il concetto gnostico di vita/morte: Gv in antitesi con essa. aivwn, ioj (aggettivo usato in questo modo solo in connessione con “vita” e “morte”) Sempre in relazione ai sintottici, è interessante notare che l‟unico parallelo sul tema della salvezza si può trovare in Gv 12,25 (//Mc 16,25//Mt 8,35// Lc 9,24) e in questo caso il termine salvezza dei sinottici è sostituito con “vitas eterna”: In Gv 17 volte su 46 si tratta di “vita eterna”
16:25 o]j ga.r eva.n qe,lh| th.n yuch.n auvtou/ sw/sai( avpole,sei auvth,n\ o]j dV a'n avpole,sh| th.n yuch.n auvtou/ e[neken evmou/ eu`rh,sei auvth,n
8:35 o]j ga.r eva.n qe,lh| th.n yuch.n auvtou/ sw/sai( avpole,sei auvth,n\ o]j dV a'n avpole,sei th.n e`autou/ yuch.n e[neken evmou/ kai. tou/ euvaggeli,ou( sw,sei auvth,nÅ
9:24 o]j ga.r eva,n qe,lh| th.n yuch.n auvtou/ sw/sai( avpole,sei auvth,n\ o]j dV a'n avpole,sh| th.n yuch.n auvtou/ e[neken evmou/( outoj sw,sei auvth,nÅ
12:25 o` filw/n th.n yuch.n auvtou/ avpollu,ei auvth,n\ kai. o` misw/n th.n yuch.n auvtou/ evn tw/| ko,smw| tou,tw| eivj zwh.n aivw,nion fula,xei auvth,nÅ
Zoe aionios dove aion corrisponde alla traduzione greca dell‟ebr. „olam, un periodo senza inizio o fine visibile. Ma anche senza l‟aggettivo aion, in Gv ZOE non si riferisce alla vita naturale La peculiarità del concetto di vita rispetto ai sinottici: dal riferimento chiaro al futuro escatologico (vita eterna) al tempo presente (3,15.16.36 ecc. 5,24). La vita eterna in Mc è il dono escatologico della salvezza Così in Mt e prevalentemente in Lc anche se questi c‟è qualche riferimento anche alla vita terrena. Per Gv il confronto tra vita terrena (che si può perdere) e vita eterna (imperitura) non va inteso in senso temporale ma in senso qualitativo. “Questo mondo” si contrappone non al “mondo futuro” ma al mondo “superiore” (8,23) alla sfera divina. Per dire la vita corporea Gv usa psyche (13,37; 15,13, che nei sinottici indica l‟esistenza vera, imperitura) mentre per indicare la vita vera, divina, usa Zoe (aionios). Evita, quasi come tutto il NT l‟uso di Bios. Eppure è la vita naturale che ha suggerito l‟uso ampliato del termine, come simbolo di un dono speciale di Dio, coerentemente all‟insegnamento biblico. La vita naturale è il bene più prezioso
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dell‟uomo, simbolo del dono di Dio fuori della portata dell‟uomo. Il più grande atto di amicizia di Dio nei confronti dell‟uomo è descritto analogicamentenei termini di partecipazione alla vita divina. Dodd Interpretation 144-150 presenta paralleli veterotestamentari e rabbinici di Gv ma cita anche testi ermetici e gnostici come esempi del mondo di pensiero filosofico greco in cui Gv ha introdotto il concetto semitico di vita eterna. L‟espressione ebraica alla base di ZOE AIONION è HAYYE „OLAM. Il riferimento esplicito si trova solo in Dn 12,2 dove si dice che i giusti si risveglieranno alla vita eterna (epoca tarda del pensiero dell‟AT) Paolo usa ancora spesso zen per la vita terrena, non è ancora così specificamente termine religioso come in Gv. --Buona sintesi sui tratti distintivi del concetto giovanneo di vita in Shnackenburg p. 579 (anche sulla relazione vita-salvezza) Per l‟autore “anche per la scelta del concetto di “vita” e per la sua elevazione a espressione principale del conseguimento della salvezza “Gv dipende dall‟ambiente.” P. 585. Influenze ellenistiche e gnostiche. Interessante: “Donde veniamo, dove andiamo e quale sia il significato dell‟umana esistenza sono interrogativi che venivano spontanei agli uomini di allora, ed erano tante le offerte di vie di salvezza. ... Anche per il concetto di vita Gv è debitore più di quanto si sia pensato, al mondo giudaico. Ciò emerge anche dalla concezione antropologica unitaria dove non si contrappone corpo/anima, una parte più elevata dell‟uomo o a qualcosa che abbia a che fare con l‟immortalità dell‟anima». Molto importante sulla ricerca di salvezza da parte dell‟uomo p. 586s., in particolare il fatto che l‟idea di vita eterna è collegata piuttosto alla salvezza personale. Sembra non avere risvolti di tipo sociale-comunitario anche se, dice Schn, bisogna comunque pensare che per l‟ottenimento di quella vita è previsto il vivere rapporti fraterni con gli altri e dunque l‟ottenimento di quella vita/salvezza è comunque collegato con l‟idea di amore del prossimo... cfr. loc. Molto chiaro e importante il testo di Bultmann, Teologia del Nuovo Testamento, p. 367s.: “ La missione del Figlio è l‟atto di amore di Dio” (1Gv 4,9 e Gv 3,16) Che l‟invio e la missione del Figlio sia l‟apparizione dell‟amore di Dio viene detto non solo attraverso il contenuto della frase ma anche attraverso la sua formiulazione..... Si realizza così, per coloro che credono in Gesù come al Figlio inviato di Dio, il senso di questa missione: essi ricevono l‟amore di Dio (1Gv 4,16; cf. Gv 17,26; 1Gv 2,5; 3,17; 4,7-12) mentre colui che ama il mondo non viene avvolto dall‟amore di Dio (1Gv 2,15). Il fatto che l‟amore di Dio è il fondamento della missione del Figlio trova espressione nel modo in cui si parla del fine di questo suo essere inviato, di questo suo venire. Egli è venuto nel mondo unicamente per testimoniare la verità (18,37) in qualità di luce perché chi crede in lui non rimanga nelle tenbre (12,46), perché abbiano la vita e l‟abbiano in abbondanza (10,10; Dio lo ha dato perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna (3,16) o che Dio lo ha inviato nel mondo (1Gv 4,9) oppure perché avessimo la vita per lui (1Gv 4,10) In senso più generale Dio lo ha inviato perché il mondo si salvi per mezzo di lui (3,17) Perciò può essere chiamato il salvatore del mondo (4,42; 1Gv 4,14) Il titolo è la designazione specificamente ellenistica del salvatore , ma il senso della miossione viene espresso più frequentemente con titoli provenienti dalla tradizione del giudaismo e del cristianesimo primitivo.... Gesù è il salvatore escatologico, la sua venuta è l‟evento escatologico.
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Gv 13-16 + 17 Il grande discorso di Addio e la Preghiera al Padre Per questa parte, oltre ai commentari già citati, cfr. U.NERI, L‟addio di Gesù ai discepoli: Il discorso della grande consolazione (Gv 13-16), Ed. San Lorenzo «Sussidi Biblici» N.75, Reggio Emilia 2001. Di tutto il Vangelo di Giovanni, di cui abbiamo finora apprezzato alcune peculiarità rispetto ai sinottici, questa parte è senza dubbio la più originale. Insieme ai grandi temi cristologici e trinitari, vi sono questioni importantissime anche per lo sviluppo della teologia e per il conseguente atteggiamento pastorale nei nostri giorni: il rapporto tra l‟unicità di Gesù Cristo e della sua rivelazione e il pluralismo religioso; l‟atteggiamento verso il mondo… Per quanto riguarda la forma letteraria del discorso di Addio, vengono richiamati i diversi “testamenti” della lettaratura testamentaria ebraica (cf. Moloney. J., Il Vangelo di Giovanni, 329s.) a partire dal II a.C. (test. 12 Patriarchi) al III d.C. (Test. Salomone) o anche più tardi, come testimoniano parti del Test. Di Adamo. Charlesworth, Pseudoepigrapha 1,773 ritiene che si possa ritrovare in essi un formato comune, benchè non del tutto uniforme. Anche nel discorso di Addio di Gesù troviamo alcuni elementi che possono rientrare in questo tipo di comunanza non rigida. Il grande discorso di Addio si discosta per molti particolari dai “testamenti” a cui si fa riferimento ma nondimeno presenta alcune analogie. - La predizione della morte e l’annuncio della partenza, l‟addio ambientato talvolta in un pasto comune (T.Neft. 1,2-5; 9,2) L‟accenno alla morte si trova in tutti i testamenti - Predizione delle persecuzioni dopo la morte del capo (Test. Sim 3,1-2; Test. Gad 4,1-7) si prevedono talvolta anche defezioni da parte dei discepoli. - Esortazione a una condotta ideale è una caratteristica comune - Ingiunzione finale: la raccomandazione ad essere un gruppo unito anche dopo la morte della guida - Conferma delle promesse di Dio, in tutti i testamenti, cf in particolare il Test. Di Mosè - Dossologia conclusiva di solito con la preghiera di lode a Dio - Tutti i testamenti si riferiscono alle parole di un patriarca in punto di morte richiamando le storie bibliche e popolari intorno al personaggio in questione, così come Giovanni richiama la tradizioni relative alla vita e alla morte di Gesù di Nazaret.
Gv 13,1-31 Con il capitolo 13 si apre quel “libro della gloria”, o “dell‟ora” come lo chiamano i diversi esegeti e che condurrà il lettore fino alla narrazione della passione – morte - risurrezione (18-20) che pur presentando diversi aspetti originali, riprende la narrazione tipica dei sinottici. Qui, invece, nel nostro contesto, le cose sono veramente originali: Siamo davanti alla più lunga unità discorsiva dei Vangeli (prima del famoso discorso della montagna di Mt 5-7). Pro. de. th/j e`orth/j tou/ pa,sca eivdw.j o` VIhsou/j o[ti h=lqen auvtou/ h` w[ra i[na metabh/| evk tou/ ko,smou tou,tou pro.j to.n pate,ra avgaph,saj tou.j ivdi,ouj tou.j evn tw/| ko,smw| eivj te,loj hvga,phsen auvtou,j 2
kai. dei,pnou ginome,nou tou/ diabo,lou h;dh beblhko,toj eivj th.n kardi,an i[na paradoi/ auvto.n VIou,daj Si,mwnoj VIskariw,thj
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eivdw.j o[ti pa,nta e;dwken auvtw/| o` path.r eivj ta.j cei/raj kai. o[ti avpo. qeou/ evxh/lqen kai. pro.j to.n qeo.n u`pa,gei
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evgei,retai evk tou/ dei,pnou kai. ti,qhsin ta. i`ma,tia kai. labw.n le,ntion die,zwsen e`auto,n \
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ei=ta ba,llei u[dwr eivj to.n nipth/ra
kai. h;rxato ni,ptein tou.j po,daj tw/n maqhtw/n kai. evkma,ssein tw/| lenti,w| w-| h=n diezwsme,noj 6
e;rcetai ou=n pro.j Si,mwna Pe,tron\
le,gei auvtw/| Ku,rie su, mou ni,pteij tou.j po,daj 7
avpekri,qh VIhsou/j kai. ei=pen auvtw/|
}O evgw. poiw/ su. ouvk oi=daj a;rti gnw,sh| de. meta. tau/ta 8
le,gei auvtw/| Pe,troj
Ouv mh. ni,yh|j mou tou.j po,daj eivj to.n aivw/na avpekri,qh VIhsou/j auvtw/| VEa.n mh. ni,yw se ouvk e;ceij me,roj met evmou/ 9
le,gei auvtw/| Si,mwn Pe,troj
Ku,rie mh. tou.j po,daj mou mo,non avlla. kai. ta.j cei/raj kai. th.n kefalh,n 10
le,gei auvtw/| VIhsou/j
o` leloume,noj ouvk e;cei crei,an Îeiv mh. tou.j po,dajÐ ni,yasqai avll e;stin kaqaro.j o[loj\ kai. u`mei/j kaqaroi, evste avll ouvci. pa,ntej 11
h;|dei ga.r to.n paradido,nta auvto,n\ dia. tou/to ei=pen o[ti Ouvci. pa,ntej kaqaroi, evste
12
{Ote ou=n e;niyen tou.j po,daj auvtw/n
kai. e;laben ta. i`ma,tia auvtou/ kai. avne,pesen pa,lin ei=pen auvtoi/j Ginw,skete ti, pepoi,hka u`mi/n 13
u`mei/j fwnei/te, me ~O dida,skaloj kai. ~O ku,rioj kai. kalw/j le,gete eivmi. ga,r
14
eiv ou=n evgw. e;niya u`mw/n tou.j po,daj
o` ku,rioj kai. o` dida,skaloj kai. u`mei/j ovfei,lete avllh,lwn ni,ptein tou.j po,daj\ 15
u`po,deigma ga.r e;dwka u`mi/n i[na kaqw.j evgw. evpoi,hsa u`mi/n kai. u`mei/j poih/te
16
avmh.n avmh.n le,gw u`mi/n
ouvk e;stin dou/loj mei,zwn tou/ kuri,ou auvtou/ ouvde. avpo,stoloj mei,zwn tou/ pe,myantoj auvto,n 17
eiv tau/ta oi;date maka,rioi, evste eva.n poih/te auvta,
18
ouv peri. pa,ntwn u`mw/n le,gw\ evgw. oi=da ti,naj evxelexa,mhn\ avll i[na h` grafh. plhrwqh/| ~O trw,gwn mou to.n a;rton evph/ren evp evme. th.n pte,rnan auvtou/ 19
avp a;rti le,gw u`mi/n pro. tou/ gene,sqai i[na pisteu,hte o[tan ge,nhtai o[ti evgw, eivmi
20
avmh.n avmh.n le,gw u`mi/n
o` lamba,nwn a;n tina pe,myw evme. lamba,nei o` de. evme. lamba,nwn lamba,nei to.n pe,myanta, me
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21
Tau/ta eivpw.n VIhsou/j evtara,cqh tw/| pneu,mati kai. evmartu,rhsen kai. ei=pen
VAmh.n avmh.n le,gw u`mi/n o[ti ei-j evx u`mw/n paradw,sei me 22
e;blepon eivj avllh,louj oi` maqhtai. avporou,menoi peri. ti,noj le,gei
23
h=n avnakei,menoj ei-j evk tw/n maqhtw/n auvtou/ evn tw/| ko,lpw| tou/ VIhsou/ o]n hvga,pa Îo`Ð VIhsou/j \
24 25
neu,ei ou=n tou,tw| Si,mwn Pe,troj kai, le,gei auvtw/| eivpe, ti,j evsti,n peri. ou- le,geiÅ
avnapesw.n evkei/noj ou[twj evpi. to. sth/qoj tou/ VIhsou/ le,gei auvtw/| Ku,rie ti,j evstin
26
avpokri,netai ou=n Îo`Ð VIhsou/j VEkei/no,j evstin w-| evgw. ba,yw to. ywmi,on kai. dw,sw auvtw/| ba,yaj ou=n Îto.Ð ywmi,on lamba,nei kai. di,dwsin VIou,da| Si,mwnoj VIskariw,tou 27
kai. meta. to. ywmi,on to,te eivsh/lqen eivj evkei/non o` Satana/j
le,gei ou=n auvtw/| VIhsou/j o` poiei/j poi,hson ta,cion 28
tou/to Îde.Ð ouvdei.j e;gnw tw/n avnakeime,nwn pro.j ti, ei=pen auvtw/|\
29
tine.j ga.r evdo,koun evpei. to. glwsso,komon ei=cen VIou,daj o[ti le,gei auvtw/| VIhsou/j VAgo,rason w-n crei,an e;comen eivj th.n e`orth,n h' toi/j ptwcoi/j i[na ti dw/| 30
labw.n ou=n to. ywmi,on evkei/noj evxh/lqen euvqu,j h=n de. nu,x
31
{Ote ou=n evxh/lqen le,gei VIhsou/j
Nu/n evdoxa,sqh o` ui`o.j tou/ avnqrw,pou kai. o` qeo.j evdoxa,sqh evn auvtw/| \
Il capitolo 13 inizia con l‟accenno alla “Pasqua di Gesù”, diversamente dalla “Pasqua dei Giudei”, come ci eravamo abituati a sentirla chiamare. 13,1 sembra voler introdurre l‟intera parte che precede il racconto della passione, accennando all‟ “ora di passare da questo mondo al Padre” e all‟amore di Gesù per “i suoi” «li amò sino alla fine». L‟ora non era ancora venuta in passaggi precedenti: 2,4; 7,30; 8,20) mentre viene annunciata al termnine del libro dei segni (11,55-57; 12,20-24. 27-33). Si osservi l‟uso di kosmos in una delle tre accezioni giovannee (qui quella neutra). eivdw.j o` VIhsou/j o[ti h=lqen auvtou/ h` w[ra ... avgaph,saj tou.j ivdi,ouj ... hvga,phsen auvtou,j
una serie di aoristi “gnomici” con valore universale (non collegati ad un tempo specifico). Il diavolo aveva già messo nel cuore a Giuda: beblhko,toj eivj th.n kardi,an l‟espressione in se significa “aver messo in testa qualcosa” o anche “aver deciso che”. Togliere – riprendere le vesti richiama espressioni usate nel cap. 10 a proposito del buon pastore (togliere-riprendere la vita): 10,17 dia. tou/to, me o` path.r avgapa/| o[ti evgw. ti,qhmi th.n yuch,n mou i[na pa,lin la,bw auvth,n ; 10,18 ecc. Vv 6-11 Lavare i piedi ai discepoli fa parte del disegno di Dio (vv. 1-5) e il rifiuto di Pietro si presenta come ostacolo dovuto all‟incomprensione di ciò che Gesù sta per compiere, segnala una mancanza di apertura verso il piano divino. Ci sarà tuttavia un momento nel quale la comprensione avverrà e alla quale Gesù rinvia (o anche l‟evangelista) come in casi precedenti (2,13-22; 12,12-16). v. 8b. “Essere messo a parte” sembra essere un velato richiamo alla pratica battesimale: il lavaggio indica la partecipazione all‟autodonazione di Gesù; così l‟essere già purificati indicherebbe l‟esistenza cristiana già salvata in Cristo. Al v. 15: u`po,deigma ga.r e;dwka u`mi/n Hypodeigma, nell‟esempio di Gesù, si cela il tema della morte. Nel NT ricorre solo in questo passo ma in altri testi dell‟AT fa riferimento alla morte esemplare: cf LXX 2Mac 6,28; 4Mac 17,22-23; Sir 44,16). Non si tratta solo di un invito che riguarda la condotta morale ma invito ad imitare l‟autodonazione di Gesù, il Maestro. (Cf Culpepper, hypodeigma p. 144). La partecipazione alla comunità giovannea include tale prospettiva.
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Della cena, che occupa senza dubbio un posto di grande rilievo nella memoria sinottica e dell‟intero NT, qui si parla in maniera del tutto differente: non si ricorda infatti l‟istituzione dell‟Eucarestia ma il segno che Gesù compie in quell‟occasione: la lavanda dei piedi (13,1-11) spiegato poi da Gesù stesso nei versetti successivi (13,12-20) con il riferimento, parallelamente al racconto sinottico della cena, al tradimento di Giuda (13,21-30): È a questo punto, al v. 31 che inizia il discorso di Gesù, proprio a partire dal boccone di pane preso da Giuda, segno di comunione, segno messianico (cap. 6) che adesso diventa, paradossalmente, il segno del tradimento. Il v. 31 inizia con l‟annotazione spazio-temporale “Quand‟egli fu uscito” richiamando il v. 30, l‟uscita di Giuda (osservare il movimento entrare-uscire, che assume toni particolari nella narrazione giovannea), “Ed era notte”. In questa prima parte Gesù introduce un tema molto importante nel IV Vangelo, il tema della “ricerca di Gesù” per la sua prossima “assenza”. Si sta anticipando quando accadrà con la passione – morte. Gesù non sarà più avvicinabile come uomo. È un tema che si collega a quello dell‟incarnazione e della visibilità di Dio stesso in Gesù Cristo (cfr. Prologo). La trattazione dell‟argomento consente a Gesù di introdurre una prima clausola del suo testamento “amatevi gli uni gli altri”… Entra poi in scena Simon Pietro con la domanda sulla destinazione di Gesù: Dove vado io per ora tu non puoi seguirmi… È un tema, questo della sequela che riappare continuamente, ma che in particolare ci rinvia al capitolo 21 dove verrà riformulato in termini veramente nuovi. La sequela sarà possibile allora nel suo significato più autentico di consegna alla volontà di Dio, come Gesù per primo farà indicando la strada. Il piccolo dialogo con Pietro si conclude con la predizione del rinnegamento, quale conferma della radicale incapacità del discepolo di seguire il Maestro in virtù della propria decisione. Egli, Pietro, sarà condotto dove “tu non vorrai”… predizione non tanto del martirio di Pietro, quanto piuttosto dell‟autentica consegna del discepolo che in tanto è tale in quanto avviene in modi e per destini che non si sarebbero mai scelti… Un aspetto di rilievo in questa parte, ma anche in altre parti, del discorso, è l‟andata via di Gesù, la sua separazione, che inaugura un frattempo… Si vede bene come in Gv non vi è solo la prospettiva del “già” ma anche del “non ancora”… Una escatologia cioè che rimane discorso aperto al futuro. È qui che si innesta il discorso stesso di Gesù, come insegnamento ecclesiologico oltre che cristologico. Ma vi è pure la contraddizione evidente con il messianismo giudaico che ha impedito a molti ebrei di vedere in Gesù il Messia davidico: nella concezione giudaica, non vi è più nessun frattempo dopo la venuta del Messia, Egli viene ad inaugurare il tempo nuovo e definitivo. Cosa diversa dalla visione cristiana ribadita anche qui da Giovanni circa un tempo di attesa, l‟attesa dell‟incontro definitivo con lo sposo, dell‟abbraccio con lui che avverrà subito dopo la morte, quando verrà a prenderci, e prima del definitivo generale riconoscimento della sua gloria sul mondo intero (la risurrezione generale). È il tema sviluppato subito dopo, quello del posto che Gesù va a preparare (cfr Es 20,23). Qualche accenno ai cc. 14-17 Circa l‟ordine dei capitoli, in particolare 14-17, e le diverse proposte per eliminare le incongruenze dell‟attuale disposizione redazionale, cfr. Schnackenburg vol III, p. 147 ss. Il cap. 14 inizia con il tema del “posto da preparare” che immette direttamente nella prospettiva della vita futura con Cristo. Anche qui vi è una parola di Gesù connessa alla sua destinazione e alla via da percorrere per raggiungerla che suscita la domanda di Tommaso (v. 5) (come prima vi era stata quella di Pietro). La risposta di Gesù è di grande intensità teologica “io sono la via la verità e
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la vita” (v.6). Gesù è l‟unica via per raggiungere il Padre. Questa affermazione, di evidente importanza cristologica, sembra anche rappresentare una delle maggiori difficoltà per una teologia del pluralismo religioso in cui da parte cristiana la figura di Gesù, si dice, dovrebbe indietreggiare rispetto alla figura del Padre che egli, in fin dei conti, è venuto a rivelare. Gesù sembra affermare di essere non una via, ma l‟unica via per raggiungere il Padre. Gesù aveva anche affermato di essere l‟unica porta (10,9). “Se non attraverso di me” indica indubbiamente l‟esclusione di altre possibilità: si tratta del Gesù individuato nella Palestina di 2000 anni fa… Gesù è la via in quanto è la verità e la vita. In questo senso non si tratta di una affermazione con tre termini paralleli. Verità e vita sono collocati accanto a via piuttosto per spiegarne il contenuto (cfr. Barret, Mateos). Il piccolo dialogo che qui si innesca tra Gesù e Filippo sul mostrare il Padre, è di grande significato per il messaggio complessivo del IV Vangelo (cfr. 1,18: il tema del “vedere” Dio). Gesù è mediatore della conoscenza del Padre. La conoscenza del Padre è il vertice stesso della vita cristiana (1,10: …il mondo non lo conobbe). 14,12-20 presenta quanto accadrà al mondo con la risurrezione di Gesù: compiranno opere più grandi di Gesù… invierà un altro Consolatore… L‟Unigenito è il primogenito… i suoi parteciperanno della sua gloria. Del resto il Cristo è venuto a rivelare il Padre perché attraverso di lui si partecipasse della vita del Padre. Vertice dell‟economia salvifica, lo dice Giovanni lungo il suo Vangelo ma anche già nel Prologo (1,12), non è semplicemente ottenere il perdono dei peccati, ma essere divinizzati, entrare a far parte della famiglia divina attraverso l‟insostituibile mediazione di Cristo (3,35ss; 5,24; 6,57) 14,20!. Mandati nel mondo per santificarsi come il Figlio (17,17-19): offrendo la vita. «E ne farà di più grandi»? La messianità di Cristo è inaugurata con la sua missione terrena ma si compie nella sua glorificazione, con la morte – risurrezione. È la sua presenza alla destra del Padre, nella gloria, a giustificare la sua affermazione: nella pienezza del suo essere accolto alla destra del Padre egli continua ad operare come Figlio nell‟opera di coloro che aderiscono a lui (cfr. 1Cor 15,25: finchè non abbia posto sotto i suoi piedi tutti i suoi nemici… anche Paolo parla della potenza che si manifesterà alla risurrezione dai morti, con il Cristo glorificato). La potenza messianica di Cristo si scatena nel mondo attraverso la preghiera: «qualunque cosa chiederete nel mio nome io la farò…»: il valore della preghiera è legato imprescindibilmente al suo nome, alla professione di fede in Cristo Signore. «Io, io stesso, lo farò» perché il Padre e il Figlio sono una cosa sola. Cristo va via, fa il suo discorso di addio, ma rimane, più di prima attraverso la forza della preghiera e della fede in lui. 15-17: l‟osservanza dei comandamenti come conseguenza dell‟amore. I “comandamenti” sono di Cristo perché sono del Padre. Così è di tutto quello che ha detto il Padre. Io pregherò il Padre ed egli vi manderà un altro Paraclito - a;llon para,klhton -, un altro consolatore. Un altro, posto in relazione con Cristo, una persona non una vaga consolazione. Ci darà l‟esperienza della prossimità di Dio. Dà “gioia”, frutto dello Spirito (Rm 14,17; Gal 5,22; 1Ts 1,6). Questo “altro Consolatore” ci è dato dal Padre. È la seconda persona mandata in missione, ma in relazione con la prima. È la preghiera del Figlio che attua questo invio. È la forza del Figlio che ottiene questo invio (pregherò) cfr. v.26. Insomma per ottenere lo Spirito è essenziale la mediazione del Cristo glorificato. In questo senso è Gesù Cristo stesso che viene descritto come il datore dello Spirito in 19,30 (emise) e in 20,22 (alitò su di loro). Così, seguendo questa unità di intenti e di azione, S.Paolo potrà dire “Spirito di Gesù Cristo” in Fil 1,19 (cfr. Gal 4,6: spirito del Figlio). Rispetto all‟economia della presenza del Verbo nella carne, quella dello Spirito è definitiva: «perché rimanga sempre con voi», durerà fino alla fine.
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to. pneu/ma th/j avlhqei,aj Spirito della verità: (cfr. 15,26 e 16,13) cioè il suo compito è anzitutto manifestarci la verità, Cristo stesso, facendocene conoscere il mistero. o] o` ko,smoj ouv du,natai labei/n Il “mondo” nella duplice o triplice accezione giovannea… La connotazione positiva (6,51: il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo cfr. 14,31: perché il mondo sappia): il mondo è il destinatario della rivelazione divina. Ma qui o` ko,smoj “il mondo” è il sistema ostile all‟economia salvifica di Dio… con la sua coerenza… la sua “economia” (cfr. Gv 1,10; 7,7; 12,31 “il principe di questo mondo” Satana; cfr. 1Gv 2,15s… Non amate il mondo… che pure è stato creato da Dio!). Serve, insomma, chiarezza nell‟individuare la struttura mondana che si contrappone al progetto divino, senza fughe e chiusure preconcette. È lo Spirito, e la vita che da esso nasce, donato al discepolo dalla mediazione di Gesù Cristo, che rende capaci di tale discernimento. Lo ricevono solo coloro che conoscono Cristo nella fede. Se lo si conosce solo nella carne non basta. Lo Spirito è presente nel Cristo. Lo spirito “dimora” presso i discepoli. È la nozione di in abitazione dello Spirito, sviluppata soprattutto da S.Paolo (Rm 5,5; 8,9; 1Cor 3,16; 6,19; 2Cor 1,22; Gal 4,6). v. 18: Ouvk avfh,sw u`ma/j ovrfanou,j non vi lascerò “orfani” = non vi abbandono. Nel v.19 compare qull‟ “ancora un poco” che caratterizza il messaggio relativo alla partenza e al ritorno di Cristo (cfr. 16,16): si tratta del tempo fra la morte e la risurrezione dopo la quale lo “vedranno” solo coloro che credono in lui. (At 11,41: Gesù apparve non a tutto il popolo ma a testimoni preordinati da Dio). Allora “Il mondo non mi vedrà più” perché la particolare economia della presenza del Verbo nella carne, è chiusa. VOI invece mi vedrete! Perché IO VIVO, al presente. Egli non perde in realtà la vita, ma la conserva. Gesù è il vivente (un titolo che lo associa a Dio stesso) è il messaggio che ritorna da parte di Giovanni in tutto il suo vangelo: Io sono la risurrezione e la vita (11,25). La novità è che “anche voi vivrete” perché avrete la vita eterna che deriva dal conoscere Dio in Gesù Cristo (cfr. 17,3). v.20 il nuovo rapporto che i discepoli vivranno con Dio mediante Cristo. La conoscenza di cui qui si parla è l‟esperienza di Dio resa possibile da Gesù Cristo. C‟è in abitazione dello Spirito, si diceva; l‟inabitazione dello Spirito è in abitazione del Cristo stesso e del Padre: inabitazione trinitaria. La stessa idea è presente diverse volte in S.Paolo (Gal 4,6; Rom 8,15s.; Ef 3,17) vv.21-26: ancora una parola di Gesù che viene sollecitata da un suo discepolo (Giuda, non l‟Iscariota). Quanto promesso ai suoi discepoli viene esteso ai credenti di ogni tempo. Nei vv. 21-24 emerge il tema dei comandamenti e della loro osservanza. Qui si parla di quanto accadrà ai credenti nel tempo. L‟evento Gesù non è un lampo di cui poi la chiesa conserva il ricordo. È l‟inizio di un rapporto nuovo che si prolungherà per chiunque accoglierà Gesù Cristo. Il Padre ama colui che ama Cristo. E anch‟io lo amerò e mi manifesterò a lui: Cristo si appropria di tutto ciò che è del Padre. Gesù si rivelerà a coloro che lo amano, con una esperienza che viene poi descritta, nel Vangelo, dai fatti della risurrezione, dal “vederlo” nel suo manifestarsi a chi lo cerca con fede. Questo accadrà sempre e a chiunque vivrà nella stessa ricerca. E la “conoscenza” di cui qui si parla, passa attraverso l‟adeguamento della volontà. Potrò dire “lo conosco” solo quando l‟avrò visto, ne avrò fatto esperienza diretta. Questa “conoscenza” è già frutto di fede, della fede accogliente di chi riceve la testimonianza e la accoglie, accogliendo con essa i comandamenti… l‟obbedienza… morire per amore. Al v.22 è la domanda di Giuda a sollevare una grossa questione «Signore, che è mai successo che tu stai per manifestare te stesso a noi e non al mondo?»: Gesù è venuto a sottrarre dal mondo un gruppo particolare, un piccolo gruppo di eletti? una setta? La risposta di Gesù (23-24) fa comprendere bene che le cose sono distinte: la proposta della fede riguarda il mondo intero. L‟esperienza di Dio nella fede, è riservata a coloro che accoglieranno questo dono. Gesù andrà a morte e risorgerà il terzo giorno esattamente perché “il mondo sappia”. Rifiutando la fede nella
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risurrezione, rifiutando i comandamenti, una parte del mondo si chiude al dono divino. Chi respinge me, respinge colui che mi ha mandato. vv. 25-26 L‟essere “presso di voi”, certamente una esperienza unica, irripetibile nella storia, è tuttavia subordinato, anche se necessaria premessa, all‟essere “in voi”, quando tutto potrà essere compreso alla luce della Risurrezione e con la forza dello Spirito. Egli insegnerà e ricorderà pa,nta a] ei=pon u`mi/n evgw, quello che io vi ho detto! Le parole del Cristo vengono ricordate, ravvivate… cfr. per es. 2,22 “dopo i discepoli compresero che parlava del suo corpo”. Egli insegnerà “ogni (tutte) cosa”, anche le cose non contenute in questo libro (cfr. 21,25). Possiamo capire molto di più e molto meglio di quello che un qualunque giudeo conterraneo di Gesù avrebbe capito incontrandolo… È l‟importanza dell‟interpretazione dei fatti e delle parole nella fede che non sottrae valore alle testimonianze evangeliche ma che anzi ne fa specificamente testimonianze “vere” di Gesù Cristo, portatrici cioè del senso profondo, per la fede, di quegli eventi e di quelle parole. vv. 27-28 sotto il termine greco, Eivrh,nh, vi è quello ebraico, shalom con tutta la sua pregnanza…. (cfr. Sl 72,7). Qui è la “mia” pace. Quella che Egli possiede. La sua beatitudine e comunione con il Padre. Fonda la nostra comunione con Dio e fra noi. Pace di natura sovramondana, che il mondo non può dare. “Vado e tornerò a voi” richiama 14,1-3: vado a prepararvi un posto (uno dei motivi di unità del discorso di questa sezione). Il “venire” di Gesù può essere inteso come il ritorno dopo la morte, con la Risurrezione, ma anche come l‟ultimo e definitivo ritorno, o come incontro con colui che passerà da questa vita alla vita definitiva… Dovrebbero essere contenti i discepoli per la gloria che Cristo riceverà dal Padre con la sua morte in croce, così come per gli effetti che questo passaggio avrà sui discepoli. La spiritualità del NT è cristocentrica; il problema vero è rimandato a noi: Se mi amaste... La conclusione del v. 28 o[ti o` path.r mei,zwn mou, evstin è all‟origine di molte dispute a cominciare da quella ariana. Ma la sua interpretazione va nel senso dell‟intero discorso e dell‟intero Vangelo: con l‟incarnazione il Verbo di Dio si è abbassato, si è umiliato fino alla morte. In 17,5 Cristo chiede la gloria che aveva presso il Padre “prima che il mondo fosse…” La sua risurrezione e ascensione al cielo dicono la assunzione della stessa vita fisica nel Padre, rendendo possibile all‟umanità di partecipare della vita divina. È con la risurrezione e l‟ascensione che Gesù Cristo ottiene questa divinizzazione totale. vv.29-31 il problema sarà infatti vedere nella croce di Cristo il trono della sua gloria. Gesù sta per essere consegnato in balìa del Satana principe che non potrà trionfare (cfr. Lc 4,13…22,53). Ma non ha nessun potere su di me kai. evn evmoi. ouvk e;cei ouvde,n (letteralmente: E in me non ha nulla) = niente che gli appartenga o che risulti vulnerabile. Nessuna soggezione di Cristo al Satana. Niente a che fare (ricorda l‟espressione opposta degli indemoniati sinottici che incontrano Gesù) MA bisogna che il mondo sappia… che egli si sottomette come figlio, fino in fondo, alla volontà del Padre. Si tratta di uno strumento del disegno salvifico. Alla fine del capitolo 14 vi è l‟invito che riprende il linguaggio dell‟entrare-uscire: VEgei,resqe a;gwmen evnteu/qen “Alzatevi, andiamo via di qua!” espressione analoga a quella sinottica a cui Gv sembra riferirsi intenzionalmente (Mc 14,42; Mt 26,46). È lo slancio che rende Gesù padrone del suo destino, ma che significa anche l‟uscita dal mondo. Anche i discepoli sono chiamati a questa “uscita”: a partecipare cioè all‟itinerario di glorificazione del Figlio e non ad accogliere, semplicemente, i fatti della passione con rassegnazione. È il modo spirituale di interpretare l‟invito “usciamo di qui” cioè dal mondo, che appiana la contraddizione del discorso che continua nel capitolo 15 come tutti i commentaristi osservano. Egheiresthe (cfr 18,4) alzatevi, sorgete, Risorgete! Cap. 15: 15,1-11 Il discorso della vite e dei tralci: invito a rimanere in Cristo vera vite.
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Il discorso è coerente con quanto detto prima: si tratta di quella presenza nuova di Cristo che non sarà più presso di loro con il suo corpo, ma sarà presente in loro come linfa vitale nello Spirito. VEgw, eivmi h` a;mpeloj h` avlhqinh, il testo inizia con un'altra dichiarazione che utilizza la solenne espressione “IO SONO” insieme ad un predicato (6,41; 10,7.11; 11,25; 14,6) . La vigna è Israele (AT) prediletta da Dio, che Dio stesso ha piantato (Is 5,1; Ger 2,21). L‟agricoltore è Dio stesso. Qui Gesù è la vera vite, la vigna amata, prediletta dal Padre. È richiamato qui tutto il tema della predilezione di Israele, la sua elezione. È però, Israele, una vigna che ha deluso… Collocare il discorso di Gesù nel contesto veterotestamentario attraverso il simbolismo della vite, vuol dire riallacciare la sua predicazione a quella profetica, cf. Ger 2,21; Os 10,1; al salmo messianico 80, 9ss. Il collegamento permette di non considerare le parole di Gesù come una sorta di nuova, assoluta iniziativa divina, ma in continuità con tutto quanto ha preceduto la sua venuta. Gesù si identifica con la vigna-Israele... è per lui che si ebbe la predilezione, la scelta, la cura, la costruzione della torre-tempio… (Così come è la pietra scartata dai costruttori…). È la vite “vera”: la vigna realizzata nella sua pienezza, totalmente realizzata nella verità. Qui trovo qualche difficoltà con la presentazione dell‟argomento fatta da U.Neri (L‟addio di Gesù ai discepoli: Il discorso della grande consolazione (Gv 13-16), Ed. San Lorenzo «Sussidi Biblici» N.75, Reggio Emilia 2001) che parla di Israele come “figura” (cfr. p.115), correndo così il rischio di svuotare la rivelazione veterotestamentaria del suo concreto significato storico-salvifico; l‟autore corregge tuttavia il modo di intendere il rapporto AT/Gesù a p. 116. Dio, il vignaiolo, il Padre di Gesù Cristo, si aspetta che la vigna dia frutti (di giustizia, santità, obbedienza, fedeltà) cfr. Mt 21,19s. a proposito del fico sterile. Anche rami di Israele sono stati tagliati. Quelli che portano frutti sono coloro che hanno dato il frutto atteso, la fede in Gesù Cristo, essi sono potati (in greco kathairei = purificare, termine importante nell‟AT in riferimento alla grande purificazione del tempo messianico: vi purificherò… (cfr. Ez 36,25s. 33.). Non è più la purificazione del sacerdozio del tempio con i suoi sacrifici. È la purificazione definitiva, quella del tempo messianico. v.3 Voi siete già puri… richiama quanto detto a proposito della lavanda dei piedi (13,10): una purificazione radicale in virtù della parola annunciata ed accolta. Vv 4-5 mei,nate evn evmoi, ... Ciò che resta da fare è rimanere in lui = preservare la fedeltà a Cristo, custodendo la fede, attuandone le esigenze attraverso l‟osservanza dei comandamenti, in particolare dell‟amore di Dio e del prossimo. Essendo in Cristo si porta allora moltissimo frutto (Cfr. Rom 8,5-11). o` me,nwn evn evmoi. kavgw. evn auvtw/| ou-toj fe,rei karpo.n polu,n o[ti cwri.j evmou/ ouv du,nasqe poiei/n ouvde,n Si osservi come l‟opposizione è estrema: molto frutto - nulla: non vi sono posizioni intermedie. Se si rinnega il Signore si resta “fuori”: è quanto viene detto con diverse parole in altri testi del NT (Gd 4; 2Pt 2,1s.) e soprattutto nella 1Gv (cfr. 1Gv 2,19ss.): il peccato che conduce alla morte (1Gv 5,16s.). L‟apostasia, il rifiuto di Gesù Cristo è già il giudizio. La fede non è garantita: si può perdere Cristo, la sua inabitazione e l‟inabitazione dello Spirito non è cosa scontata (cfr. 2Pt 2,3). La sanzione è espressa con i toni conosciuti già nella profezia e poi nell‟apocalittica: bruciare nel fuoco. vv. 7s. Il motivo per cui il Padre esaudisce la nostra preghiera è il “frutto di giustizia” che si compie seguendo i suoi insegnamenti. La glorificazione del Padre avviene quando il creato, le sue opere, ritornano a lui riconoscendolo come Creatore e offrendosi a lui. Ciò accade diventando discepoli di Gesù: non gli dà gloria chi non riconosce il suo Figlio, al contrario onora Di chi diventa discepolo
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di Cristo (12,26). Non si tratta semplicemente di “essere” ma di “diventare” discepoli kai. ge,nhsqe evmoi. maqhtai, : è sottolineato cioè l‟aspetto dinamico del diventare discepoli… fino a consegnarsi completamente nelle mani di Dio, nell‟imitazione di Cristo. Vv 9-11: Rimanere in Cristo vuol dire rimanere nel suo amore mei,nate evn th/| avga,ph| th/| evmh/|: non nel nostro amore verso Cristo, ma nel suo verso di noi, nell‟essere amati dal Padre (cfr. Gv 17,23; 1Gv 2,10ss). Al v. 10 risulta chiaro che rimanere nella fede vuol dire rimanere nell‟amore, la carità non è mai disgiunta dalla fede. I comandamenti di cui si parla sono quelli di Cristo: sottomissione alla Parola, al Verbo fattosi carne. L‟osservanza da parte del Cristo verso il Padre è consistita nell‟obbedienza al Padre fino a consegnarsi sulla croce. Il v.11 sembra concludere questa parte del discorso e lo fa con il riferimento alla gioia: suprema possibilità di vita per l‟uomo. Gioia come pienezza di vita in Cristo (cf sopra, l‟excursus su “vita”). vv. 12-17 al v. 12: au[th evsti.n h` evntolh. h` evmh, i[na avgapa/te avllh,louj kaqw.j hvga,phsa u`ma/j Il comandamento sommo: l‟amore reciproco. Nuove precisazioni. Superamento totale della precettistica, come in S.Paolo. L‟ubbidienza del figlio è l‟amore. L‟amore include tutti gli altri precetti. La fede in Dio non giustifica qualunque comportamento: in virtù della fede il discepolo vivrà nell‟obbedienza a lui. Fede e amore come vertice della volontà divina. Come lui ci ha amato = amore superiore spiegato al v. 13: con l‟offerta totale di sé (cfr. 1Gv 3,16). Gli amici sono “gli amati”. Il tutto è confermato dal v. 14. Restiamo nell‟atto gratuito, assolutamente gratuito dell‟amore di Cristo, solo amando, soltanto in virtù dell‟obbedienza. Con il v. 15 si riprende il linguaggio dell‟AT: servi, chiamati al “servizio di Dio” (cf la storia dell‟esodo con il termine chiave „abodah). Ma qui adesso si usa philos (= amico) distinguendo da ogni altro termine. Il rapporto è di amicizia. Questo è in fondo l‟annuncio che sin dall‟inizio fa Giovanni indicandoci in Cristo il rivelatore del Padre, colui che ce ne svela il volto… (1,18). È inaugurato il tempo di cui parlavano i profeti (Ger 31,34), in cui non ci sarà più bisogno di istruirci l‟un l‟altro perché la conoscenza di Dio è diretta (Is 11,9). Cristo ci ha fatto conoscere tutto del Padre. È lo Spirito Santo che ci conduce dentro questa verità (16,13). v. 16: per la gratuità della “scelta” non c‟è motivo: riprende la logica dell‟alleanza, logica di amore e gratuità di cui è testimone l‟intera Sacra Scrittura (cfr. Dt 7, 7 Non perché siete più numerosi di tutti gli altri popoli il Signore si è unito a voi e vi ha scelto; ché anzi voi siete il più piccolo di tutti i popoli. ... insufficiente tentativo di risposta). È tuttavia una scelta che si apre a un coinvolgimento infinito: “io vi ho scelto perché andiate”. Il frutto per la vita eterna non si riferisce a coloro che vengono inviati, ma a coloro che sono raggiunti dal loro annuncio e dalla loro testimonianza e che attraverso di essa avranno l‟accesso ai beni eterni, beni duraturi. 15,18-16,4 19
15:18-19 «Se il mondo vi odia, sappiate che ha odiato me prima di voi. Se foste del mondo, il 2 mondo amerebbe ciò che gli appartiene. ... 16:1-2 Questo vi ho detto, perché non rimaniate scandalizzati. Vi cacceranno fuori dalle sinagoghe; viene anzi l'ora in cui chi vi ucciderà penserà di rendere un culto a Dio.... I versetti in questione sono raccolti insieme perché trattano del rapporto tra i discepoli e il
mondo. È la conseguenza della scelta di alcuni, proprio il motivo che poco prima proponeva, o riproponeva, la questione del perché… (questi e non altri?). L‟elezione già per Israele e poi per i discepoli, comporta una missione che consiste nella testimonianza. La testimonianza creerà naturalmente il confronto con quel “mondo” di cui si è detto, confronto che Gesù per primo è chiamato a vivere e a pagare di persona. L‟odio del mondo è l‟opposizione del sistema mondano al progetto di Dio (cfr. prologo). È una prova che costituisce, nel medesimo tempo, una sorta di verifica: la comunità dei discepoli costituirà, se rimane fedele alla sua natura, un ostacolo alla logica del mondo e alle sue strutture. Al rovescio si potrebbe pensare che la mancanza di opposizione
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dovrebbe far pensare: è il mondo che non costituisce più problema per il progetto divino, o sono i discepoli che hanno annacquato la propria appartenenza al Cristo? Sembra essere questo il problema toccato in 15,19 ma è opportuno richiamare anche 7,7 allorché Gesù rivolto ai giudei diceva: «Il mondo non può odiare voi, odia invece me, perché io testimonio riguardo ad esso che le sue opere sono cattive» cfr. anche 1Gv 4,6. Sulla base di queste testimonianze giovannee risulta chiara l‟idea di un “mondo” che è animato da principi derivanti dalla carne i quali si oppongono necessariamente ai principi dello Spirito: una concezione che mette in guardia il discepolato di ogni tempo dall‟insinuarsi di compromessi con il mondo che non per questo va considerato come qualcosa da cui “fuggire” ma certamente come qualcosa rispetto a cui esercitare una sorta di vigilanza evangelica. Si pensi a quanto, per esempio, l‟azione pastorale anche a partire da presupposti di retta coscienza, venga valutata a partire dal gradimento o almeno dalla condivisione pubblica delle scelte, coerentemente al più generale atteggiamento di considerare buone e giuste le azioni che trovano pubblici apprezzamenti e riconoscimenti. Qui si gioca anche il problema della “visibilità” e quindi della ricerca di approvazione nella vita pastorale che è per alcuni quasi una necessità. Queste raccomandazioni giovannee, senza spostare in un senso settario e fondamentalista, sembrano costituire un avvertimento, un antidoto particolarmente necessario nell‟epoca del “prete” menager di successo… Ma ancor di più: tendono a dare valore a quella inevitabile sofferenza che si prova davanti al rifiuto e alla non comprensione (ferma restando la retta coscienza!), valore che può e deve sostenere la testimonianza cristiana in momenti difficili e senza il quale si può essere tentati dall‟idea del fallimento e quindi della rinuncia. Sì, vi è una sofferenza, prodotta dall‟avversione del “mondo” alla testimonianza cristiana, che assume in se stessa valore di partecipazione al mistero di Cristo. Torna il tema della conoscenza di Dio v.21 «… perché non conoscono colui che mi ha mandato ouvk oi;dasin to.n pe,myanta, meÅ ». È un non conoscere frutto di una scelta, non aver accettato il Cristo e colui che lo ha inviato, come spiega nei versetti successivi 22-25: si tratta di un atto voluto e perciò colpevole. È da osservare che a differenza di Paolo, Giovanni non usa mai il sostantivo gnôsis: una scelta per l‟equivoco che avrebbe creato in ambienti gnostici? Usa invece il verbo ginôskô insieme al verbo oida. Sinonimi (come molti commentatori moderni), o portatori di una certa distinzione del conoscere? Per i Greci il primo, ginôskô indica piuttosto il processo della conoscenza, l‟acquisizione della conoscenza (cfr. Aristotele Anal. Post. I,9, 76 a) traducibile quindi piuttosto con espressioni del tipo: percepire, afferrare, riconoscere, comprendere che indichino cioè il completamento di un processo. Questo è il motivo dell‟impiego maggiore di ginôskô nel vocabolario filosofico greco. Oida nella sua radice è connesso invece al vedere. Si usa come perfetto di ginôskô. Conoscenza dunque di ordine piuttosto percettivo, intuitivo. Secondo De La Potterie le due accezioni sono mantenute in Giovanni: quando usa ginôskô indica un percorso esperienziale che giunge al suo termine, mentre quando usa oida designa una conoscenza semplicemente raggiunta, come dato di fatto. La conoscenza di Cristo è indicata in Giovanni da ambedue i verbi, ma con una netta preferenza per oida (22x) rispetto a ginôskô (12x). Anche per la conoscenza dei discepoli si usano ambedue i verbi, per cui bisognerebbe tradurre ginôskô con il significato di “riconoscere”, “comprendere”. Così, occupandoci particolarmente della nostra sezione 13-15 lo troviamo impiegato in diverse occasioni (13,7.12.28; 14,9.20; 17,8.25). Il mezzo della conoscenza acquisita dai discepoli è l‟insegnamento dato da Gesù (cfr. 15,18) a cui si chiede la fede (6,69) come premessa della conoscenza vera (non come conoscenza in se stessa). La fede iniziale è occasione per trasmettere la conoscenza della verità (8,32; 15,7.8). Trova qui conferma quanto abbiamo già osservato in precedenza circa il cammino per diventare veri discepoli di Gesù, un ideale che si realizza
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gradualmente (cfr. 16,13: compito affidato allo Spirito di verità). Sullo sforzo di una conoscenza come processo in atto e mai completamente acquisito, quello della conoscenza di Dio, si veda 17,3. vv. 22-25 Gesù ha dichiarato con chiarezza che lui e il Padre sono una cosa sola. Secondo questa testimonianza evangelica, assunta così come sta, non si può dire che Gesù non si sia mai detto Figlio di Dio (cfr. 10,33 Non ti lapidiamo perché… ma perché tu che sei uomo, ti fai Dio). La parola e l‟opera (in particolare i segni) di Gesù sono andati in questo senso. Così come l‟odio del Cristo rimanda all‟odio del Padre (v.24). Ci sono alcune opere che, ci testimoniano gli evangelisti, hanno provocato esattamente la perplessità dei presenti perché avevano a che fare con una attribuzione di divinità (Mt 8,27) Il riferimento alla Legge nel v. 25 si riferisce al Sl 35,19: «mi hanno odiato senza ragione»: il rifiuto di Cristo, che si è presentato con Parole e Opere, è considerato infondato. vv. 26-27 paraklêtos consolatore, ma anche “avvocato” (traslitterato dal greco in ebraico con lo stesso significato di avvocato, comune nel Mediterraneo). È lo Spirito che agisce in un processo, in un giudizio. Che viene dal Padre non ha a che fare con la descrizione delle “processioni” in senso tecnico. È nel quadro del progetto storico-salvifico, è la missione dello Spirito, inviato da Gesù, proveniente dal Padre che qui si sottolinea. Se il compito del Paraclito era prima quella di consolare, adesso è quella di difendere, di testimoniare a favore. Lo Spirito testimonia nel grande “processo” istruito dal mondo contro Gesù Cristo e i suoi discepoli. Lo Spirito assolve a questa funzione secondo At 4,8; 8,55 ecc.: pone la parola della testimonianza sulla bocca dei discepoli. Il discorso degli apostoli, dei discepoli di Gesù, testimoniato dal NT, è il discorso che lo Spirito Santo stesso mette in bocca ai discepoli. Così come i prodigi che essi compiono. «Avrete forza dallo Spirito Santo» (At 1,8…). Lo Spirito Santo è testimone di Cristo, formalmente mandato per questo: la sua opera non inaugura una diversa economia (come in alcune eresie, ma fa parte della medesima economia salvifica. Il testo conclude (v. 27) con la testimonianza che renderanno i discepoli, un elemento fondamentale: testimoni storici di un evento storico: «perché siete con me dal principio» (cfr. At 1,22: si deve scegliere il dodicesimo… che fosse testimonio delle cose viste…). 16,1-4: la passione-morte di Gesù, il grande processo a lui intentato dal mondo, possono essere, come di fatto dovettero essere, morivo di scandalo… il Dio crocifisso! Nel v.2 si parla della “scomunica” dalla sinagoga, scandalo per ogni vero ebreo. I persecutori sono animati dallo zelo per Dio, credono di rendergli giustizia. Ritorna al v. 3 il motivo della mancanza di “conoscenza” non come semplice constatazione oggettiva, si diceva, ma piuttosto come rifiuto. La persecuzione non deve essere vista, dunque, come un evitabile incidente di percorso. Fa parte della natura stessa della rivelazione portata da Cristo e in nome di Cristo (cfr. 1Pt 4,12). 16,5-15: il discorso di Addio di Gesù ritorna sulla figura e la funzione dello Spirito la cui considerazione deve impedire che i suoi si rattristino. Benché la domanda su dove Gesù vada sia stata posta esplicitamente da Tommaso, Gesù pone l‟accento, adesso, su questa mancanza dei discepoli di allora e di sempre: il problema è infatti sapere dove Gesù vada; solo questa domanda e la risposta di Gesù potranno vincere la desolazione che rischia di impossessarsi del discepolo provato dal confronto con il mondo. Gesù sottolinea la “verità” di quanto dice: la missione dello Spirito Santo è nuovamente messa in relazione con la missione salvifica del Figlio: Egli (lo Spirito) non verrà se Gesù non tornerà al Padre. Il compimento è nella Morte - Resurrezione di Gesù; solo dopo questo fatto fondamentale potranno ricevere lo Spirito Santo (7,39). 16, 8-11
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E quando egli verrà, confuterà il mondo in fatto di peccato, di giustizia e di giudizio. In 10 fatto di peccato: perché non credono in me; in fatto di giustizia: perché me ne vado al Padre e voi non mi 11 vedrete più; in fatto di giudizio: perché il principe di questo mondo è già giudicato.
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Lo Spirito Paraclito (avvocato) porterà le prove, dimostrerà inconfutabilmente che il Cristo è il Signore. Lo dimostrerà accusando il mondo di ciò che gli impedisce di riconoscere la verità. Si tratta di una causa giudiziaria nei confronti del mondo incredulo. peri. a`marti,aj L‟accusa di “peccato” è quella rivolta a Gesù, ma il Paraclito convincerà il mondo che esso consiste esattamente nel non credere in lui peri. a`marti,aj me,n o[ti ouv pisteu,ousin eivj evme,\ Anche se non è detto qui, dopo quanto si diceva prima risulta implicito che questa attività di “convincimento” del Paraclito sarà portata avanti attraverso l‟opera, la testimonianza dei discepoli. Schnackenburg, riportando in particolare quanto sostenuto da O. Betz circa la vicinanza della funzione accusatoria del Paraclito con quanto troviamo nel libro dei Giubilei a proposito di Enoc, sottolinea che questa tematica è già testimoniata nel giudaismo dell‟epoca di Gesù, anche a Qumran. Si tratterebbe di immagini che hanno a che fare con il giudizio finale di Dio, mentre per la comunità giovannea tali immagini sono spostate al presente. Insomma lo Spirito convincerà che il “peccato” per antonomasia è proprio il non credere in Gesù. La comunità credente ne è la dimostrazione: essa vive esattamente di quella fede. kai. peri. dikaiosu,nhj Gesù è giustificato da Dio. peri. dikaiosu,nhj de, o[ti pro.j to.n pate,ra u`pa,gw kai. ouvke,ti qewrei/te, me\ La “giustizia” di cui si parla è il fatto che Egli, il Figlio, crocifisso, è risorto ed è asceso accanto al Padre: è giustificato davanti ai suoi nemici. kai. peri. kri,sewj L‟atto di giustizia reso dal Padre a Gesù sposta il mondo nella posizione di accusato. Contro i nemici di Gesù si presentano gli stessi Mosè (5,54) La Sacra Scrittura intera (5,39) … il giudizio del mondo verrà messo in crisi, condannato, dal giudizio di Dio peri. de. kri,sewj o[ti o` a;rcwn tou/ ko,smou tou,tou ke,kritai. Cristo è stato giustificato nello Spirito. Lo stesso Spirito, dopo la glorificazione, permetterà di comprendere tutte le cose che per adesso i discepoli non possono “portare” (cfr. Lc 24,45). Essi non sono stati ancora trasformati dallo Spirito in esseri spirituali. 16, 13: C‟è un‟unica sorgente di verità, che è Dio stesso, ecco perché lo Spirito non parlerà da sé. Inoltre lo Spirito parlerà delle cose future, rivelerà i misteri ultimi (cfr. al proposito Ef 1,17). È in ogni modo il Cristo che continua a parlare attraverso lo Spirito, che consentirà di ascoltarlo ancora, per sempre. Il cap. 16 continua con l‟annunzio del ritorno (16-28), la rivelazione di quanto accadrà a partire dalla Risurrezione di Gesù. Gesù allude alle sue apparizioni di Risorto e del conseguente capovolgimento di situazione vv. 20-21. Sarà come un sol giorno di gioia, così come viene rappresentato dai Vangeli il “giorno” della Risurrezione (23b). Si apre una nuova epoca, con la possibilità nuova, non prevista dallo stesso AT di chiedere nel nome di Gesù (24). Chiedete e otterrete cfr. Mt 7,7 e Lc 11,9. I discepoli faranno l‟esperienza della gioia piena, comunione profonda con Dio. (cfr. 1Gv 1,4).
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Il racconto della passione-morte-risurrezione: (18,1- 20,31 + 21,1-25) Sheda riassuntiva
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vicinanza strutturale ai racconti sinottici, molto più che nel resto del vangelo la prima parte del Vangelo che acquistò forma stabile nella tradizione proprio per questo risaltano i tratti più caratteristici della teologia giovannea
I fatti giovannei della passione si sviluppano secondo cinque scene fondamentali: 1. Introduzione: 18,1-11 la scena dell‟orto 2. Davanti ad Anna: 18,12-27 3. davanti a Pilato: 18,28-19,16a 4. al Calvario: 19,16b-37 5. epilogo: 19,38-42 la sepoltura nell‟orto Differenze riscontrabili già dal confronto con i racconti sinottici: mancano: agonia del Getsemani, bacio di Giuda e fuga dei discepoli, l‟interrogatorio sinedriale, scene di oltraggi (casa del sommo sacerdote e corte di Erode), scherni dei passanti ai piedi della croce, il grido di sconforto di Gesù, le tenebre che accompagnarono la sua morte, ladroni, morte di Giuda. Sottolinea o aggiunge: maestà su coloro che vengono ad arrestarlo, dialogo con Anna. Amplifica: l‟interrogatorio di Pilato (18,28-19,16) con scene esclusive: Ecce Homo e Ecce rex vester senza paralleli. Differenzia: nella scena del calvario registra la discussione sul cartello da affiggere; interpretazione della divisione delle vesti (Sl 21), Maria e discepolo prediletto ai piedi della croce; il colpo di lancia nel costato. Osservazioni di insieme: Gv elimina aspetti tragici umilianti e dolorosi: già Loisy (Le quatrieme evangile, Paris 1903, 820) «Nel quarto evangelo la passione viene raccontata nella prospettiva della gloria di Cristo: è Gesù glorificato nella morte» Alcuni aspetti particolari del IV evangelo: 1. L’ora di Gesù Apocalittica giudaica: Daniele (8,17 8:19; 11:35) Quell‟ora indicata da Daniele, è “ora del compimento”. Il tempo della fine come “ora” finale è del resto presente nell‟apocalisse sinottica Mt 24,36// Mc 13,32 e in 1Gv 2,18. In quest‟utlimo testo l‟ora è già arrivata, vi sono già molti anticristi. Già nei sinottici, tuttavia, l‟ora finale, pur designando il tempo finale, indica l‟ora della passione. Così troviamo in Mc 14,35, al Getsemani: Così pure al momento dell‟arresto: 14:41. Giovanni dunque riprende un tema già noto nella letteratura biblica ma ne approfondisce il senso teologicamente. Si tratta dell‟ora di Gesù, fin dall‟inizio del Vangelo: 2,4; questo orientamento verso la “sua” ora è ancora più chiaro in 7,30; 8,20, durante la festa dei tabernacoli: All‟approssimarsi della passione Gesù proclama solennemente che l‟ora è giunta: 12,23. Come dirà anche in 13,1 e 17,1. I capp. 12-17 fanno progredire, con il richiamo dell‟ora, la comprensione della passione di Gesù. È il raggiungimento del vertice dell‟amore (13,1): la prova suprema sarà il dono della vita, simboleggiato dalla lavanda dei piedi, con il deporre le vesti e il riprenderle (13,4.12). Secondo 17,1-2 Gesù sarà glorificato per estendere il suo dominio ad ogni carne: si manifesterà
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allora la fecondità del suo sacrificio, resa possibile dall‟entrata nella gloria. È l‟ora indicata dai profeti, che diventa l‟ora di Gesù, della sua morte-risurrezione. 2. L’esaltazione del Figlio dell’uomo Nei sinottici 3 predizione della passione (Mt 16,21; 17,22; 20,18). A questi passi in Gv sembrano corrispondere i tre riferimenti alla propria esaltazione futura: 3,14 E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così deve essere innalzato il Figlio dell' uomo, 8,28 Disse dunque Gesù: «Quando innalzerete il Figlio dell' uomo, allora conoscerete che io sono e che non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, queste cose dico. 12, 32 «E quando io sarò innalzato da terra, attrarrò tutti a me». 33 Questo lo diceva per indicare di quale morte stava per morire. 34 Gli rispose la gente: «Noi abbiamo sentito dalla legge che il Cristo rimane per sempre: e come dici tu che il Figlio dell' uomo deve essere innalzato? Chi è questo Figlio dell' uomo?». Anche per il tema dell‟esaltazione, lo sfondo va ricercato nella letteratura profetica. In particolare Is 52,13, il quarto canto del servo: “Ecco, il mio servo avrà successo, sarà innalzato, elevato ed esaltato grandemente”. La prima applicazione della chiesa primitiva è all‟Ascensione di Gesù: At 2,33; 5,31; Così come in Paolo: Fil 2,9-10 Giovanni ha indicato che il luogo dell‟esaltazione di Gesù è sulla croce: 12,30-34. L‟esaltazione, anticipata da Giovanni alla crocifissione, è considerata nella sua prospettiva regale e soteriologica: dalla croce attira tutti a se esercitando così la sua vera regalità. Tutti coloro che guarderanno a Cristo in croce, avranno la vita eterna. Il dominio di satana viene rimpiazzato dal potere regale di Gesù che dalla croce-trono attira tutti a se. Si comprende allora la grande importanza assegnata al tema della regalità di Cristo nel racconto giovanneo della passione. Anticipa l‟esercizio della regalità di Cristo rispetto all‟idea dell‟intronizzazione alla destra del padre dopo la risurrezione, perché considera già la crocifissione a partire dai fruti che produrrà per la salvezza del mondo. 3. Anticipazione degli eventi escatologici Sulla croce si realizzano anche eventi di solito connessi alla fine dei tempi: il giudizio: non più alla fine dei tempi, ma nell‟atteggiamento che gli uomini assumono davanti a Gesù Cristo. Il giudizio si concentra in particolare nel momento dell‟ora, come del resto Gesù stesso dice in 16,11. La croce, esaltazione del re-messia, costituisce nel contempo la condanna del mondo peccatore. Anche il tema del raduno del popolo in unità appartiene alle promesse escatologice tradizionali A proposito della restaurazione messianica Gr 31,10: «Ascoltate la parola del Signore, nazioni, e annunziatelo tra le isole lontane. Dite: Chi ha disperso Israele, lo raduna e lo custodisce, come un pastore il suo gregge.» La realizzazione di questa promessa è presentata in maniera diversa nel NT: Atti: Pentecoste (At 2,5-11); Gv vede radunarsi il popolo attorno a Gesù elevato sulla croce. Tale è il senso della inconsapevole profezia si Caifa: Gv 11,49-52. Come del resto si ritrova nelle parole di Gesù: 12, 32 E quando io sarò innalzato da terra, attrarrò tutti a me». Attorno alla croce si radunerà la nuova comunità messianica Gesù vive la sua passione con libertà e consapevolezza. Compie l‟opera di salvezza non come vittima inconsapevole ma come sovrano che conosce il senso degli avvenimenti e li accetta liberamente.
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Gv 18,33-37 33 Eivsh/lqen ou=n pa,lin eivj to. praitw,rion o` Pila/toj kai. evfw,nhsen to.n VIhsou/n kai. ei=pen auvtw/(| Su. ei= o` basileu.j tw/n VIoudai,wnÈ 34 avpekri,qh VIhsou/j( VApo. seautou/ su. tou/to le,geij h' a;lloi ei=po,n soi peri. evmou/È 35 avpekri,qh o` Pila/toj( Mh,ti evgw. VIoudai/o,j eivmiÈ to. e;qnoj to. so.n kai. oi` avrcierei/j pare,dwka,n se evmoi,\ ti, evpoi,hsajÈ 36 avpekri,qh VIhsou/j( ~H basilei,a h` evmh. ouvk e;stin evk tou/ ko,smou tou,tou\ eiv evk tou/ ko,smou tou,tou h=n h` basilei,a h` evmh,( oi` u`phre,tai oi` evmoi. hvgwni,zonto Îa'nÐ i[na mh. paradoqw/ toi/j VIoudai,oij\ nu/n de. h` basilei,a h` evmh. ouvk e;stin evnteu/qenÅ 37 ei=pen ou=n auvtw/| o` Pila/toj( Ouvkou/n basileu.j ei= su,È avpekri,qh o` VIhsou/j( Su. le,geij o[ti basileu,j eivmiÅ evgw. eivj tou/to gege,nnhmai kai. eivj tou/to evlh,luqa eivj to.n ko,smon( i[na marturh,sw th/| avlhqei,a|\ pa/j o` w'n evk th/j avlhqei,aj avkou,ei mou th/j fwnh/jÅ L‟evangelista Giovanni diversamente dai racconti sinottici non presenta il resoconto del processo sinedriale narrando invece di un interrogatorio previo davanti al Anna, influente capo della famiglia sacerdotale di cui faceva parte lo stesso Caifa. Sviluppa invece in maniera ricca e articolata l‟interrogatorio che ebbe luogo davanti all‟auotorità romana, Ponzio Pilato, prefetto della Giudea in quel tempo (18, 28-19,16). Al processo romano fanno riferimento anche i sinottici in maniera sintetica rispetto a Giovanni facendo comunque riferimento al capo di accusa principale: essersi fatto re dei giudei. Il quarto evangelista sviluppa l‟interrogatorio di Pilato in una successione di scene in cui si alternano il confronto diretto tra il prefetto e Gesù, all‟interno del pretorio, e tra il prefetto e “i Giudei”, cioè coloro che gli avevano consegnato Gesù accusandolo, all‟esterno del pretorio. Lo spostamento dall‟interno all‟esterno del pretorio e viceversa, conferisce alla narrazione, nel suo complesso, un movimento quasi da rappresentazione drammatica inducendo a parlare di una vera e propria successione di scene. Il versetto che introduce la scena di cui ci occupiamo, inizia proprio con il riferimento al rientro di Pilato nel pretorio dopo il primo contatto con coloro che glielo avevano condotto nel quale aveva tentato di rinviare l‟imputato al giudizio giudaico “secondo la vostra legge” (v. 31) ottenendone un rifiuto motivato dal fatto che secondo la pratica romana attestata anche altrove il popolo sotto amministrazione romana non poteva emettere ed eseguire condanne a morte «A noi non è consentito mettere a morte nessuno». Deve dunque aver luogo un processo romano che, secondo il diritto romano non prevede, come nel caso del processo sinedriale, l‟escussione dei testimoni, ma l‟interrogatorio diretto dell‟imputato da parte del giudice. Si trattava di un interrogatorio piuttosto sommario, diverso da quello, più minuzioso richiesto per i cittadini romani. Dai versetti precedenti non risulta la formulazione precisa dell‟accusa che ora Pilato rivolge, come domanda, all‟imputato: «Tu sei il re dei Giudei?». Si tratta della traduzione politica della pretesa messianica, resa necessaria perché l‟autorità romana la prendesse in considerazione come chiaro caso di ribellione politica. Qui veniva messa in discussione, infatti, l‟autorità stessa di Roma
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che, come dimostrerà il seguito del processo, non poteva restare indifferente di fronte ad una simile accusa. Da questo momento le repliche di Gesù si alternano con le domande di Pilato in una crescente focalizzazione sul tema della pretesa regalità ma soprattutto sul tipo di regalità che Gesù avrebbe rivendicato. Un‟occasione per chiarire la regalità di Cristo nel suo vero significato. “Re dei Giudei” appare una formulazione non giudaica: i giudei avrebbero più facilmente parlato di “Re d‟Israele” (Mc 15,32 // Mt 27,42), come fa anche Giovanni intendendo tale formulazione in senso onorifico ( 1,49; 12,13). Gesù non risponde alla domanda ma ne formula un‟altra con la chiara insinuazione di un‟accusa formulata non direttamente dal suo giudice. Pilato risponde affermativamente alla domanda di Gesù ma anche prendendo le distanze dal popolo di Gesù: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me…». Il generico riferimento alla gente (ethnos, popolo) va riferito piuttosto a coloro che glielo avevano condotto, i capi del sinedrio, probabilmente i sadducei. Dopo 18,3 in Giovanni non sono più nominati i farisei. In queste annotazioni l‟evangelista Giovanni si avvicina con maggiore verosimiglianza allo svolgimento dei fatti: furono soprattutto i sommi sacerdoti a volere la morte di Gesù per il mantenimento della situazione economica, politica e religiosa con la quale essi ormai erano abituati a convivere traendone i propri benefici. Il coinvolgimento dei farisei, e addirittura della folla, a cui accenna Matteo, è da intendere come un allargamento teologico nella responsabilità del popolo dell‟alleanza al rifiuto del Messia. Nella sua risposta Gesù parla non del suo essere re, ma del suo regno, basileia, precisandone il contenuto in negativo e in positivo. Egli parla tuttavia non del regno di Dio in quanto tale, ma della propria basileia, cioè della dignità regale che è diversa da quella del mondo. La basileia di Cristo non è “del mondo” ma neppure è presentata come qualcosa che appartiene alla sfera celeste, essa ha a che fare con il mondo, la sfera in cui viene esercitata è, cioè, il mondo per il quale il Cristo è venuto. Si mostra nel mondo laddove la voce del rivelatore è ascoltata. Sono infatti diverse le connotazioni della parola “mondo” nel IV Vangelo: se ne sottolinea spesso l‟aspetto negativo, come nel caso dell‟espressione “principe di questo mondo” (Gv 12,31; 16,11), ma può anche semplicemente distinguere lo spazio umano dalla sfera celeste (12,25; 13,1). Nella risposta a Pilato Gesù qualifica il senso della sua regalità contrapponendola alla maniera umana: questa si realizza, e ne è bene a conoscenza il prefetto romano, con il ricorso agli eserciti e alle armi, non così la regalità di Cristo. Ai “servi” hypêretai inviati per arrestarlo (18,12) egli non oppone i suoi servi che avrebbero opposto una resistenza in linea con i metodi dei regni di questo mondo. Nella risposta Gesù fa riferimento alla sua consegna si “Giudei” più che ai romani. Il termine Giudei nel IV Vangelo è stato diversamente spiegato, ritenuto spesso, soprattutto nei secoli passati, come l‟indicazione del popolo giudaico nel suo complesso. Altri hanno voluto spiegarlo in riferimento ai soli sadducei, il partito realmente interessato a contenere il “fenomeno” Gesù, come ogni altro fattore di disturbo nella situazione di delicato equilibrio con il dominatore romano. Probabilmente per spiegarne il senso bisogna far riferimento non tanto al tempo in cui si svolsero i fatti, ma al periodo in cui il Vangelo venne scritto e completato nella sua forma attuale (fine primo secolo): la comunità giovannea, anche per il suo approfondimento teologico e cristologico sulla missione del Verbo, avvertiva e registrava, nel contempo, la distanza che la separava dalle altre forme di giudaismo; percepiva ormai i giudei come estranei e da essi era allo stesso modo percepita. L‟acquisita coscienza di estraneità assumeva, naturalmente, anche la forma dell‟ostilità. È questo contesto, contemporaneo alla redazione dei fatti più che al loro svolgimento, che fa semplificare il discorso e parlare di “Giudei” nel loro complesso, avversari dei cristiani alla fine del primo secolo, avversari di Gesù Cristo e veri responsabili della sua passione e morte. Ciò spiega anche la tendenza comune, in misura diversa ai quattro evangelisti, ad insistere piuttosto sulla loro responsabilità che sulla responsabilità romana (cfr. 19, 12-16) anche se è chiaro, proprio dal nostro racconto, che la condanna a morte di Gesù per lesa maestà fu emessa ed eseguita dai romani, su denuncia dei capi giudei dell‟epoca e non certamente per una ostilità diffusa del popolo giudaico contro Gesù, come del resto gli stessi quattro vangeli attestano.
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Nonostante la risposta di Gesù avesse il senso di un distanziamento proprio dall‟accusa rivoltagli, per Pilato costituì, continua Giovanni al v.37, l‟occasione per ricavarne una ammissione: «Dunque tu sei re?». È proprio dello stile giovanneo portare avanti il discorso di rivelazione anche attraverso le inconsapevoli affermazioni degli interlocutori di Gesù che creano spesso un equivoco che però assume il valore di una confessione di fede per il lettore cristiano, insieme ad una certa ironia. Sì, Gesù è re: «Tu lo dici, sono re». Tuttavia Gesù aggiunge una nuova spiegazione circa la sua regalità che dilata i confini ristretti della prospettiva di Pilato alla ricerca di un chiaro capo di imputazione: «Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». La diversa regalità che qualifica Gesù come re, dipende dalla sua stessa origine che, come la sua regalità, non è di questo mondo. L‟esercizio di tale regalità è il motivo per il quale egli è venuto nel mondo: “Venne nel mondo… ma i suoi non lo riconobbero” (cfr. Gv 1,9-10). La specificazione di Gesù risulta così densa di riferimenti alla preesistenza, all‟incarnazione… che la trasformano in un concentrato kerygmatico chiaro solo per chi ha la possibilità di “vedere” al di là della dimensione terrena. Davanti al prefetto romano, conscio del suo potere di vita e di morte, è proprio Gesù che esprime in pieno la regalità, quella deriva da Dio e non dagli uomini, che ha a che fare con la “verità” e non con l‟esercizio del potere.
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Brevi note introduttive all‟Apocalisse di Giovanni BIBLIOGRAFIA: BAUCKHAM R., La teologia dell‟Apocalisse, Paideia, Brescia 1994; BIGUZZI G., L‟Apocalissee i suoi enigmi, Paideia, Brescia, 2004; BIGUZZI G., Apocalisse, Nuova versione introduzione e commento, Paoline, Milano 2005; BOSETTI E. – COLACRAI A. (a cura di), Apokalypsis. Percorsi nell‟Apocalisse di Giovanni, Cittadella, Assisi 2005; COMBLIN J., Le Christ dans l‟Apocalypse, Tournai 1965 ; CORSINI E., Apocalisse di Gesù Cristo secondo Giovanni, SEI, Torino 2002; FIORENZA SCHÜSSLER E., The Book of Revelation. Justice and Judgment, Fortress Press, Minneapolis1998; HOLTZ T., Die Christologie der Apocalypse des Johannes, Berlin 1962; LUPIERI E., L‟Apocalisse di Giovanni, Mondadori, Milano 1999; IV ed. 2005. MAZZEO M., La sequela di Cristo nel libro dell‟Apocalisse, Paoline, Milano 1997; Lo Spirito parla alla chiesa, nel libro dell‟Apocalisse, Paoline, Milano 1999; Il volto trinitario di Dio nel libro dell‟Apocalisse, Paoline, Milano 1999. PRIGENT P., L‟Apocalisse di Giovanni, Borla, Città di Castello 1985; VANNI U., L‟Apocalisse: ermeneutica, esegesi, teologia (Supplementi alla Rivista Biblica 17), Ed. Dehoniane, Bologna 1988;
Lo studio di questo complesso scritto, l‟ultimo del NT, comporterebbe un intero corso, per non parlare poi del peso che esso ha avuto nella storia della cultura cristiana sin dai primi secoli del cristianesimo: la sua accoglienza e il suo rifiuto, le sue interpretazioni eterodosse, il suo simbolismo… fino all‟uso del termine stesso “Apocalisse” e dell‟aggettivo “apocalittico” che vengono continuamente usati per indicare qualcosa di paurosamente distruttivo… La Bibliografia su questo libro è naturalmente molto ampia ed è facilmente consultabile anche nelle bibliografie riportate dai volumi citati. Per una breve storia dell‟interpretazione si può consultare l‟introduzione al volume di Lupieri che prolunga le sue osservazioni con un paragrafo proprio sull‟Apocalittica giudaica che legittima un‟interpretazione di tipo allegorico... Lupieri chiarisce che si può oparlare di “apocalittica” in modi diversi: Come fenomeno letterario di lunghissima durata, anche non giudaico che esiste tuttora nelle culture religiose scaturite dal tronco giudaico-cristiano-islamico; come genere letterario accomunando tra loro quei testi che in qualche modo assomigliano all‟Apocalisse (in particolare a partire dal fatto che si tratta di “rivelzazioni”); come una particolare tradizione giudica che ha prodotto testi apocalittici e dietro i quali è possibile distingere una linea comune originaria all‟interno del giudismo. (cf. Lupieri XXXI nota 2) Sulla letteratura giudaica “apocalittica” Lo studio ed il dibattito scientifico intorno alla questione dell'"apocalittica", di come si possa definirla in modo concettualmente chiaro, tale da corrispondere ai contenuti ed alla forma delle diverse "apocalissi", ha mostrato, al di là delle singole conclusioni, il suo principale punto debole: l'idea, più o meno esplicita, che l'"apocalittica" dovesse avere necessariamente una unità di pensiero chiaramente esponibile in forme concettuali. La ricerca di un denominatore comune tra opere la cui composizione è collocabile in un arco storico di cinque secoli (V-IV a.C.- I d.C.) è senza dubbio testimonianza della consapevolezza comune che una relazione specifica esiste tra loro, ma non può essere soddisfatta, per esigenze di chiarezza concettuale, con l'appiattimento delle differenze. Proprio quelle differenze hanno determinato negli ultimi tempi la proposta di diverse criteriologie per la definizione cercata, rivelando spesso il carattere tautologico delle affermazioni allorché, per definire l'apocalittica e determinare le opere che di essa fanno parte, si è operato una scelta previa di opere da cui ricavare i criteri comuni, scelta che nasceva già da una pre-definizione, almeno mentale di apocalittica.
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Pur con questi limiti, comuni peraltro ad altri campi della ricerca, l'impresa non é irragionevole dal momento che, nonostante le differenze, si percepisce che alcune opere del giudaismo degli ultimi secoli dell'evo pre-cristiano e del primo secolo cristiano sono accomunabili e non solo limitatamente alla forma letteraria. E' nell'ambito di questo dibattito che si inserisce il lavoro del prof. Paolo Sacchi, ordinario di Ebraico e aramaico all'università di Torino. E' una raccolta di 12 articoli composti dall'autore nell'arco di dieci anni, testimonianza di un lungo impegno di ricerca. L'introduzione (pp.9-26) colloca opportunamente i diversi articoli nell'ampio dibattito di cui si offrono le coordinate, segnalando le principali opere che furono alla base dell'approfondimento. A proposito di tali opere, proprio la prima di quelle citate dal professor Sacchi, D.S.Russel, The Method and Message of Jewish Apocalyptic, Philadelphia 1964, a cui riconosce un ruolo particolare nell'ambito degli studi sull'apocalittica, è disponibile oggi anche in italiano: L'apocalittica giudaica (Biblioteca teologica 23) Paideia, Brescia 1991. Gli articoli sono raggruppati nelle due parti di cui si compone il volume. La prima, "Alla ricerca di un'apocalittica storica" (pp. 29-169), è centrata sul problema più interessante ed attuale relativo alla definizione stessa di "apocalittica", la seconda, "Alcuni temi della corrente apocalittica sullo sfondo del pensiero giudaico" (pp. 171-318), raccoglie studi specifici su libri e temi dell'apocalittica. Molto curata ed utile la bibliografia conclusiva, divisa per argomenti e temi (pp. 321-361). L'autore si inserisce nel dibattito proponendo, in maniera chiara nell'introduzione e nello stesso titolo della parte I, un superamento dei termini che ne sono stati punto di partenza: non tanto la ricerca di una definizione concettualmente precisa e perciò astratta di apocalittica, quanto l'osservazione storica di un fenomeno storico-letterario che riguarda una corrente del pensiero giudaico, le cui molteplici testimonianze sono oggi più precisamente collocabili all'interno della storia giudaica. La prospettiva dello studioso è dunque di tipo storico; su questo piano è possibile rintracciare le origini dell'apocalittica che nasce come "movimento culturale, sviluppatosi sulle correnti del pensiero meridionale di Israele, quando queste, in seguito all'esilio babilonese, restarono isolate in patria" (p.128) diversificandosi teologicamente dagli esiliati, e costituendo, per la politica successiva al ritorno degli esiliati, quella che oggi definiremmo una "minoranza". E' dunque nella Teologia del Patto, definizione che l'autore preferisce a quella di Teologia meridionale "troppo compromessa con una ricostruzione della storia" improbabile (p. 319) che va rintracciata l'origine storico-teologica dell'apocalittica. Non a caso, perciò, il primo articolo del volume è dedicato al Libro dei Vigilanti, testo certamente più antico del 200 a.C., primo tomo del pentateuco enochiano (Enoc 6-36), assunto dall'autore come punto di partenza cronologico per uno studio dell'apocalittica. Il Libro dei Vigilanti permette così una verifica critica degli otto temi proposti dal Koch come fondamentali per l'apocalittica in generale. Così se il tema dell'attesa e la dottrina dei cicli rivelano, nel confronto, il loro carattere tardivo, è possibile riconoscere in temi come l'origine del male, il mondo di mezzo, la fine già presente, l'intermediario della salvezza ecc., quei temi di partenza che saranno sviluppati nel tempo, presentando anche nuovi sviluppi. Anzi, a testimoniare quanto vario e complesso sia il mondo dell'apocalittica, uno sviluppo può essere colto già all'interno stesso del Libri dei Vigilanti, attraverso i diversi strati in esso identificabili (Parte I, cap.3, pp.99-130). Si delinea così il carattere fluido dell' apocalittica e l'autore insiste, giustamente, sul carattere storico, evolutivo di un pensiero che per esigenze moderne di classificazione, viene spesso rinchiuso in definizioni a-storiche. Di particolare rilievo il problema del male, della sua origine e della salvezza da esso, uno dei temi di fondo per la comprensione del pensiero apocalittico (in particolare Parte I, cap. 2, pp. 7998), alla radice dell'apocalittica (p.128). Questo tema, insieme a quello della mediazione-mediatore, e del mondo di mezzo, vengono ripresi e approfonditi particolarmente nella seconda parte del volume. E' difficile sintetizzare un'opera come quella di Sacchi, data la sua natura di raccolta. Eppure in ogni articolo riappare, come ricerca di fondo, l'esigenza di collocare i singoli aspetti del pensiero
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apocalittico, all'interno di un quadro storico-cronologico di sviluppo che dà ragione, più che nei passati tentativi, della vitalità e della varietà del pensiero apocalittico prossimo all'era cristiana. Va sottolineata, e l'autore lo fa diverse volte, l'importanza di questi approfondimenti per lo studio dell'ambiente di formazione del Nuovo Testamento, laddove, però, biblisti e teologi rinuncino a quell'uso superficiale della letteratura tardo-giudaica e apocalittica in particolare, teso a sostenere e confermare idee e concezioni teologiche. E ciò non limitatamente al problema generale dell'apocalittica ma anche in relazione ad aspetti particolari del pensiero apocalittico che gettano una luce nuova sul mondo del Nuovo Testamento, come sempre più generalmente viene ammesso (si pensa per es. ad opere come quella di J.H.Charlesworth, Jesus within Judaism, New York 1988). A tale proposito si vuole sottolineare, in particolare, l'importanza del cap. 7., parte II: "Enoc Etiopico 91,15 e il problema della mediazione", che offre spunti di forte interesse per gli studiosi di Nuovo Testamento come indicato dallo stesso Prof. Sacchi a conclusione del capitolo (p. 198). Altrettanto interessante, per gli stessi motivi, il cap. 8. (parte seconda), "Messianismo e apocalittica", in cui viene illustrato il particolare rilievo che nell'apocalittica assume la figura di un mediatore di salvezza. La ripresa del messianismo a partire dal II sec. a.C., e soprattutto il tema del mediatore di salvezza, risvolto del messianismo (p.216), introduce il lettore ad una riflessione sulla figura enochiana del "Figlio dell'uomo" che nel Libro delle Parabole presenta, cumulate, le funzioni di mediatore e di Messia (p.217). A conclusione del capitolo l'autore sottolinea, giustamente, l'importanza della considerazione di questa figura apocalittica per gli studiosi di Nuovo Testamento: "...chiave migliore per comprendere il messianismo cristiano" (p. 219). Una suggestione che, crediamo, può spingere a riflessioni ulteriori, che non fermandosi solo al piano della letteratura e del pensiero neotestamentario, spingano a riaprire il discorso sulla stessa storia di Gesù e sulle figure e categorie di cui egli si servì per presentarsi ai contemporanei. Non manca, tra gli studiosi, chi ha messo in dubbio l‟appartenenza dell‟Apocalisse giovannea al genere apocalittico strettamente inteso. L’Apocalisse di Giovanni Data di composizione Ireneo di Lione (seconda metà II secolo, riportata da Eusebio di Cesarea nella Hist.): ultimo anno dell‟imperatore Domiziano, assassinato nel settembre del 96. Il 95 è ritenuto la data verosimile dalla maggior parte degli studiosi. Tentativi di anticipazioni: sotto le persecuzioni precedenti: Claudio (41-54), Nerone (54-68), Traiano (98-117): Giovanni avrebbe scritto per incoraggiare i compagni sotto la persecuzione. Lupieri data lo scritto tra il 70 e il 100 d.C., cioè dopo la distruzione del tempio di Gerusalemme ad opera di Tito; al massimo poco prima, 67. Tresmontand, Apocalypse, 269s., ritenendo con altri che la grande prostituta sia Gerusalemme, afferma che la sua distruzione venne annunciata dall‟Apocalisse poco prima che accadesse. Autore Ap (cf 1,4.9; 22,8) indica il proprio autore: Giovanni. La tradizione dei primi secoli lo ha identificato con Giovanni apostolo, autore degli altri scritti del corpus. Eusebio cita diverse posizioni, già nell‟antichità: quella del presbitero romano Gaio che la attribuisce a Cerinto (inizio III sec.: rifiutava anche gli altri scritti attribuiti a Giovanni per combattere il montanismo, movimento a carattere millenaristico nato in Asia Minore) e del vescovo di Alessandria Dionigi (prima metà III sec.: parla di un altro Giovanni presente ad Efeso). Incertezze e perplessità anche in Eusebio di Cesarea. Motivi sono certamente il millenarismo; ma nel caso specifico di Eusebio anche il nuovo corso del cristianesimo nell‟impero romano sotto Costantino di cui Eusebio era amico e consigliere (l‟Apocalisse descrive invece il rapporto dei
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cristiani con Roma con caratteri conflittuali…). C‟è tuttavia di rilevare che altri autori (per es. Ireneo e Origene) già precedentemente si orientavano alla collaborazione con Roma, ma non disdegnando di utilizzare l‟Apocalisse che evidentemente non dovette loro apparire tanto antiromana (in parte si deve all‟interpretazione di alcune metafore, come la grande prostituta che anche oggi molti attribuiscono a Roma mentre altri per esempio Corsini, attribuiscono a Gerusalemme). Le cose cambiarono in seguito alle grandi persecuzioni (III sec.: Settimio Severo, Decio, Valeriano, Massimino, Diocleziano): l‟impero romano è visto allora come il vero grande persecutore anticristico (cfr. Ippolito vescovo di Roma martirizzato nel 235) e, in occidente, il primo commento pervenutoci su Ap: Vittorio di Petovio (martirizzato nel 304). Con articolate dimostrazioni (anche in contrasto con differenti percorsi che raggiungono la stessa conclusione) Corsini ritiene che sia ancora possibile ipotizzare l‟apostolicità dello scritto: proprio a partire dal fatto non secondario della visione teologica dell‟escatologia realizzata che è caratteristica degli scritti giovannei e dell‟Apocalisse (nell‟interpretazione storicizzata che ne dà l‟autore per cui le immagini, per esempio della cosiddetta Gerusalemme escatologica si riferiscono in realtà alla nuova Gerusalemme dei cristiani…). L‟unità letteraria dell‟opera è stata messa in dubbio, ma la critica recente ricerca piuttosto di spiegare il testo così come esso si presenta anziché affidarsi a ricostruzioni più o meno credibili. Struttura. Tra le diverse proposte, alcune delle quali molto articolate, preferiamo la più semplice che tiene conto dei settenari. L‟uso del sette ricorda senza dubbio il precedente biblico di Gn 1,1-2,4a ed avrà successo nella divisione religiosa del tempo in sette ere… Inoltre, in tali tradizioni un ruolo particolarmente importante lo ha il sesto giorno, quello della creazione dell‟uomo che anche nei settenari dell‟apocalisse risulta essere il momento cruciale dei settenari. La ripetizione infatti del numero sette e l‟organizzazione in settenari è una delle più frequenti ed ovvie considerazioni ad una prima lettura del testo. In generale, e non senza variazioni anche significative, si riconoscono nel testo le seguenti parti::
Prologo 1,1-8 Parte I: 1,9-3,22 Parte II: 4,1-22,5
Epilogo 22,6-21
4,1-5,14 6,1-8,1 sette Sigilli 8,2-6 8,7-11,19 sette trombe 12,1-15,8 16,1-21 sette coppe 17,1-22,5
Messaggi alle sette chiese dell‟Asia Preparazione della scena dei sette sigilli Preparazione della scena delle sette trombe Introduzione alle sette coppe Sviluppo del messaggio del settenario delle coppe