Einstein Forever PDF [PDF]

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Zitiervorschau

L’autrice

Gabriella Greison è fisica, scrittrice, giornalista e attrice teatrale. Laureata in Fisica a Milano, ha collaborato con diversi istituti di ricerca e musei scientifici, e ha scritto per varie riviste e quotidiani e attualmente collabora con «la Repubblica». Ha scritto e condotto Pillole di fisica, in onda su «RaiNews24», e ha portato a teatro i monologhi: 1927. Monologo Quantistico, cui hanno fatto seguito L’alfabeto dell’universo, Due donne ai raggi X. Marie Curie e Hedy Lamarr, ve le racconto io, Faust a Copenhagen, Einstein & me e La leggendaria storia di Heisenberg e dei fisici di Farm Hall. È autrice di diversi libri di successo: L’incredibile cena dei fisici quantistici (2016), Storie e vite di Superdonne che hanno fatto la scienza (2017); Hotel Copenhagen, Einstein e io (2018), e La leggendaria storia di Heisenberg e dei fisici di Farm Hall (2019). Presso Bollati Boringhieri è apparso Sei donne che hanno cambiato il mondo. Le grandi scienziate della fisica del XX secolo (2017). Il suo sito è www.greisonanatomy.com.

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Per gli estratti da G. Greison, Einstein e io: © 2018 Salani Editore Per gli estratti da A. Einstein, Pensieri di un uomo curioso: © 2015 Mondadori Libri S.p.A., Milano © A. Einstein, Pensieri di un uomo curioso, traduzione di Sylvie Coyaud Per il diploma in appendice: © ETH-Bibliothek, University Archives, EZ-REK1/1/8701. Einstein, Albert, ne. 14.03.1879. Student Register for his studies at the Federal Polytechnikum, 18961900 Per le lettere dei bambini ad Einstein, a pp. 35, 52, 80, 90, 98, 117: Alice Calaprice (a cura di), Caro Professor Einstein. Il genio della fisica risponde alle lettere dei bambini, Archinto Editore © 2005 RCS Libri S.p.A., Milano/Archinto S.a.s., Milano L’editore è a disposizione degli aventi diritto dai quali non fosse stato possibile ottenere l’autorizzazione a pubblicare testi e immagini

di loro proprietà, e si dichiara pronto a regolare le intese economiche in base alle norme vigenti in materia di diritto d’autore © 2020 Bollati Boringhieri editore Torino, corso Vittorio Emanuele II, 86 Gruppo editoriale Mauri Spagnol Illustrazione di copertina: Albert Einstein. Personality rights of Albert Einstein are used with permission of The Hebrew University of Jerusalem. Represented exclusively by Greenlight ISBN 978-88-339-3412-9 Prima edizione digitale: gennaio 2020 Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore. È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.

Indice

Einstein Forever Introduzione ν Extra capitolo ν – La musica x Extra capitolo x – La musica N Extra capitolo N – La musica π Extra capitolo π – La musica i Extra capitolo i – La musica γ Extra capitolo γ – La musica k Extra capitolo k – La musica g Extra capitolo g – La musica α Extra capitolo α – La musica t Extra capitolo t – La musica c Extra capitolo c – La musica

e Extra capitolo e – La musica ∞ Extra capitolo ∞ – La musica Einstein’s Music Box Appendice Note e ringraziamenti Fonti delle citazioni e bibliografia delle opere consultate Opere di Albert Einstein Opere e articoli su Albert Einstein Altre opere Cronologia di Albert Einstein Bibliografia di Albert Einstein Seguici su ilLibraio

Einstein Forever

Con la fama divento sempre più stupido, un fenomeno che è ovviamente molto comune. Albert Einstein

Introduzione

Il mito di Albert Einstein è in continua crescita. A differenza di altre icone pop, da Che Guevara a Marilyn Monroe, il suo carisma e la sua leggenda non fanno che aumentare. È l’unico mito a cui accade questo strano fenomeno di crescita esponenziale: basti pensare alla recente scoperta delle onde gravitazionali, o alla foto dell’orizzonte degli eventi, entrambe rivelazioni che confermano le sue teorie e fanno continuamente parlare di lui, delle sue intuizioni, e non solo in ambienti scientifici. Le sue frasi a effetto, i suoi aforismi sono sulla bocca di tutti, sono sui social network, vengono usati in politica, ripetuti dagli economisti, ricopiati sui diari scolastici degli studenti, citati dalla gente comune. Albert Einstein rappresenta molto più di quello che è stato raccontato finora, ed è per questo che ho sentito l’esigenza di dare il mio personale contributo alla narrazione della sua vita. Le mie ricerche sono avvenute principalmente a Princeton, il luogo che meglio di tutti sa creare miti e leggende e che ha reso Einstein il modello indiscusso delle generazioni di scienziati che sono venute dopo di lui; ho poi attinto dagli archivi che la Hebrew University di Gerusalemme ha reso pubblici e da altri dei più importanti istituti scientifici, e ho divorato centinaia di libri, romanzi, saggi, lettere. Il mito di Einstein si è nutrito delle sue frasi indimenticabili, della sua forza spirituale, della filosofia, e della tenacia con cui si è battuto per la pace. Ma ad avermi attratto sono stati i suoi più intimi segreti: il suo credo, le sue debolezze, la sua capacità di creare una teoria immaginifica, un luogo dove realizzare i nostri sogni. Einstein ha vissuto alla continua ricerca di un modo per trovare, anche in una disperazione contingente, la chiave di una nuova creatività. Allo stesso modo, per questo, mi interessano i suoi momenti di sofferenza, le sconfitte, le paure, gli abissi, i baratri che

ha dovuto affrontare e che lo hanno reso indistruttibile agli occhi di tutti. Il periodo che analizzo in questo libro è quello americano, dal 1932-33 – quando lascia la Germania per non farvi più ritorno – al 1955, l’anno della sua morte, ovvero l’ultima parte della sua esistenza: in pratica, quello che ci ha lasciato in eredità dopo il successo della teoria della relatività. Ho considerato il periodo europeo di Einstein – dalla nascita nel 1879 fino alla partenza definitiva per l’America – in un mio precedente romanzo, Einstein e io. Avevo deciso di raccontare Einstein attraverso lo sguardo di Mileva Marić, perché Mileva l’aveva visto crescere e diventare un mito, e meglio di tutti poteva rendercelo umano. Mileva Marić, fisica anche lei, ha conosciuto Einstein tra i banchi di scuola del Politecnico di Zurigo, nel 1895, e i due sono rimasti insieme vent’anni; è stata la madre dei suoi figli, e sua prima moglie. Ed è stato lì, in Svizzera, parlando con i biografi di Einstein e i professori del Politecnico, che ho compreso meglio l’evoluzione della sua figura. Ma la Svizzera non è l’America, lì il mito di Einstein è molto limitato. Tant’è che il suo periodo europeo e quello americano sono diversissimi, perché lui è diverso. In Europa, Einstein ha affrontato tutte le difficoltà di questo mondo, ha subito ingiustizie, torti, ripicche, ha patito l’ostilità di accademici paludati che cercavano di tarpargli le ali. E, a sua volta, ha dato dispiaceri ai suoi affetti più cari – Mileva Marić è la persona che più di tutti ha subito il contraccolpo di avere al fianco un uomo che stava per entrare nella leggenda. È solo nel periodo americano che Einstein ha preso coscienza di tutto questo. È uscito perdente da alcune battaglie, ma ha vinto le più importanti. E soprattutto, ha vissuto un cambiamento. Le sue riflessioni in solitudine gli hanno permesso di cambiare, di trovare un altro sé. È in America che Einstein diventa un’altra persona, diventa ciò di cui portiamo avanti il ricordo. La sua fisica, quella che lui ha creato, è un’altra cosa, risale agli anni della giovinezza e della prima maturità. La relatività ristretta è datata 1905 (Einstein aveva 26 anni), la conferma della relatività generale è datata 1919 (aveva 40 anni).

Abraham Pais, il più grande biografo di Einstein, si lamentava del fatto che lo scienziato durante gli anni americani non fosse arrivato alla conclusione di nulla di significativo sulla fisica: si sbagliava. O meglio, finché Pais fu in vita questo era vero, ma negli ultimi dieci anni sono successe tantissime cose, alla luce delle quali anche il periodo americano in campo scientifico diventa importante. In America, Einstein voleva creare la sua teoria del tutto, una teoria che comprendesse tutte le forze della natura, la teoria della grande unificazione: non ce l’ha mai fatta, ma ancora oggi gli scienziati studiano quello che lui ha detto, in cerca di ispirazione. Ha elaborato il paradosso di Einstein-Podolsky-Rosen (1935), sull’entanglement quantistico, e ha messo a punto la teoria del wormhole, passato alla storia come ponte Einstein-Rosen. L’unione di questi due lavori metterebbe insieme la fisica quantistica con la gravità, e negli ultimi dieci anni sono nate tante teorie al riguardo – gli studi più avanzati puntano a questo. Quando sono stata a Princeton mi sono fatta incuriosire dai lavori in corso su questa unificazione, in particolare da quelli che sta portando avanti il fisico Juan Maldacena, con cui ho parlato a lungo della sua teoria delle superstringhe che invito tutti a leggere. Poi ho studiato un altro lascito di Einstein, sempre del suo periodo americano: la metrica di Kähler-Einstein, in cui la quinta dimensione ricopre un ruolo fondamentale nella nuova teoria che stava costruendo, e la metrica di Bergman (elaborata da Stefan Bergman, un polacco quasi coetaneo di Einstein, anche lui emigrato negli Stati Uniti, di cui Einstein si interessò nelle ultime settimane di vita). Ma sono state le mie lunghe chiacchierate con Freeman Dyson, oggi lucidissimo ultranovantenne, ad avermi fatto viaggiare con la mente e ad aver permesso la scrittura di questo libro. L’eredità che abbiamo ricevuto da Albert Einstein è immensa. Potrei continuare tutta la vita a leggere altre nuove biografe su di lui senza mai stancarmi, o a rileggere le stesse per trovare sempre qualcosa di nuovo su cui riflettere. Le conseguenze scientifiche delle sue idee, delle sue formule, delle sue teorie, sono tante e a lui dobbiamo gran parte del mondo in cui viviamo e che conosciamo: il GPS, la scoperta dei buchi neri, la comprensione del Big Bang, e tanto altro. Nel 1999 la rivista «Time» ha messo in copertina Einstein

e lo ha eletto personaggio del secolo: a parer mio, lo è anche del secolo successivo. In ogni capitolo di questo libro parto da una lettera (una lettera vera e propria, ve le ricordate ancora le lettere, no?) che un bambino ha spedito ad Einstein, indirizzandola alla sua casa di Princeton, nel New Jersey, al numero 112 di Mercer Street. La famiglia che oggi abita in quella casa mi ha raccontato di ricevere ancora lettere da tutto il mondo: la gente scrive a quell’indirizzo per parlare con lui, in una sorta di «dialogo eterno» con qualcuno che è esistito, esiste, e sempre esisterà, ed è un riferimento indiscusso, anche per l’anima. Sono andata anche all’ufficio postale nei pressi di Trenton, sempre in New Jersey: un luogo magnifico, dove c’è chi ha ancora cura di tante lettere – rovinate, perse, spaesate, sgualcite – che ora finalmente troveranno nuova luce. Un luogo che consiglio di visitare a tutti gli amanti di Albert Einstein, perché lì si sta con lui, e in buona compagnia. Qualcuno dice di scrivergli ancora perché lo fa sentire più intelligente, altri perché pensano a lui nelle giornate di grandi dubbi esistenziali, altri perché non credono più a Babbo Natale e allora non resta che lui; qualcuno perché non crede alla morte, e altri soltanto per l’irrefrenabile desiderio di tenerlo vicino. Alcune lettere sono dei tempi di Einstein, ad alcune lui ha risposto, ad altre no; altre ancora sono dei nostri giorni: a quelle che mi hanno colpito di più ho dato una risposta. Ho scelto lettere scritte da bambini, perché ai bambini Einstein rispondeva sempre. E così ho deciso di fare anch’io, all’inizio di ogni capitolo di questo racconto. Affinché il mito continui a crescere, e la curiosità a creare proseliti. Perché l’intelligenza è contagiosa. Se stai con persone intelligenti, lo diventi anche tu. Dopo queste lettere i bambini ne manderanno altre, che creeranno altre curiosità. Sono stata a mia volta messaggera di alcune lettere, scritte ad Albert Einstein da bambini italiani; ho creato in Italia un festival della fisica, e per due edizioni, negli spazi dedicati ai bambini, ho chiesto loro di scrivere personalmente ad Einstein. Ho accontentato quelli che sono stati così generosi da lasciarmi la loro lettera: l’ho portata in America, nel New Jersey, dove arrivano anche tutte le altre. Il mio è un lavoro che parte da lontano, come avrete

capito. Ogni capitolo è numerato con un simbolo scientifico e in ognuno è presente la musica. Albert Einstein suonava il violino (non m’importa se bene o male), e la musica era fondamentale nelle sue giornate. Chiamava il suo violino Lina e ne aveva molta cura. Si chiudeva nello studio e smetteva di pensare alla fisica suonando: o meglio, diceva che con la musica «il cervello resta sempre al lavoro», e per questo si dedicava alle sue sonate preferite sia nei momenti di stanchezza sia in quelli di grande fervore. Con la musica, la fisica gli veniva meglio. Un giorno alla settimana, il mercoledì, suonava con altri o partecipava a concerti. Ho ricostruito il suo elenco di musiche preferite, mi piace l’idea di riportarle tutte alla fine del libro in una sorta di juke-box di Albert Einstein – il suo cofanetto d’autore, la sua playlist. Gli argomenti che affronto in ogni capitolo sono il suo lascito, il regalo più grande che abbiamo avuto in dono, la sua eredità, non soltanto scientifica. Alla base di tutto c’è un grande insegnamento: Einstein amava la solitudine, era desideroso di viverla, la difendeva con tutte le forze, diceva che la solitudine andrebbe insegnata nelle scuole tanto è importante per crescere e creare. E amava scavare dentro di sé, sradicare la sofferenza, provare dolore per poi rinascere. Diceva che spesso si creava nuove sofferenze, disperazioni momentanee da superare per risplendere di nuovo. Albert Einstein viveva pressioni e disagi continui. La società lo faceva sentire inadeguato ed era vulnerabilissimo, non sapeva come rispondere agli sciocchi, ai supponenti, ai malvagi. Oggi io paragono Einstein a un’aragosta. L’aragosta è un animale delicato, che vive dentro un guscio duro che non si espande mai. Per crescere, deve trovare uno stratagemma. Man mano che diventa più grande, il suo guscio diventa sempre più stretto e scomodo, e l’aragosta non può fare altro che liberarsene. Per farlo, deve nascondersi, isolarsi. Nascondendosi tra le rocce lascia andare il vecchio guscio e ne crea uno nuovo. Con questo nuovo guscio, affronta le sue nuove necessità. Crescendo, anche questo guscio diventa stretto e scomodo. L’aragosta allora torna a nascondersi e ripete il processo, ancora e

ancora. La scomodità, il disagio, il dolore rendono possibile la crescita dell’aragosta, che cerca dentro di sé le risorse per il cambiamento. I medici, se esistessero i medici delle aragoste, le direbbero di prendere farmaci, o cercherebbero di sedarla per placare il suo malessere, illudendola con una soluzione immediata di avere risolto il problema. Ma l’aragosta non ha un medico, e Einstein i medici non li vedeva volentieri. Quando ultracinquantenne dovette ricorrere a loro per problemi di salute, se ne lamentava continuamente. Gli vietavano le sigarette, il sesso, il cibo troppo elaborato, e lui a fatica riusciva a rispettare queste imposizioni. Diceva: «Ma perché per vivere devo privarmi delle uniche cose per cui vale la pena di vivere?» Nell’ultimo capitolo, ho riepilogato i luoghi e le persone che mi hanno aiutato nelle ricerche. I miei viaggi sono stati tanti e molto proficui, e ho avuto intorno persone che mi hanno dato molti spunti di riflessione. Sono stata fortunata. Questo libro è il mio personale manifesto sul più grande genio di tutti i tempi. Einstein l’incantatore di folle, Einstein il visionario, Einstein il narratore di storie legate alla fisica, lui che prima di tutti ha mostrato come questa complicata disciplina possa essere narrata con parole semplici e comprensibili a tutti. Einstein il bambino, Einstein il sognatore. Einstein il genio. Einstein Forever è una dichiarazione d’amore nei confronti di chi ci ha insegnato a sognare, e ci ha rivelato il segreto di come restare bambini per sempre. Albert Einstein siamo noi quando torniamo bambini. Quando affrontiamo momenti difficili e cerchiamo la forza per superarli. Quando proponiamo qualcosa di nuovo e ci troviamo di fronte un muro. Quando vogliamo che tutti parlino di noi. Quando ci dicono «chi ti credi di essere». Quando ci fanno abbassare la testa. Quando ci dicono di non montarci la testa. Quando ci sentiamo al centro del mondo. Quando ci impediscono di realizzarci. Quando ci trovano impertinenti. Quando vogliamo tutto e subito. Quando facciamo grandi sogni. Quando reagiamo alle ingiustizie. Quando reclamiamo attenzione. Quando vogliamo giocare. Quando siamo egoisti. Quando siamo affamati. Albert Einstein siamo noi sognatori. È bello immedesimarci in lui, portarlo sempre con noi, come esempio. Sulla

rivista «Nature», alcuni anni fa, venne pubblicato un sondaggio internazionale, il cui risultato è stato affisso sui muri del negozio di indumenti di lana che si trova in Nassau Street, a Princeton. Einstein frequentava spesso quel negozio, che oggi ospita un museo dedicato a lui. Nel sondaggio si chiedeva ai bambini di tutto il mondo il nome di un personaggio che si fosse contraddistinto per l’intelligenza a cui volessero somigliare da grandi. Tutti, proprio tutti i bambini, il cento per cento, hanno risposto «Albert Einstein». Per questo sono partita dalle lettere dei bambini: perché vanno prese sul serio. Come faceva lui.

ν

Caro dottor Einstein, la sua formula E = mc2 proprio non la capisco, me la spiega? Dorottya dall’Ungheria

Cara Dorottya, volevo dirti che sei in buona compagnia. Anche i grandi si fanno la stessa domanda. Ti racconto un fatto realmente accaduto. Siamo in America, a una serata di premiazione dei film dell’anno, il tappeto rosso, tanta gente che preme per avere una foto con la propria star preferita, i fotografi che scattano a ripetizione. Un giornalista si avvicina a Cameron Diaz e le chiede: «Lei ha avuto tutto dalla vita, ogni forma di appagamento personale e professionale, il successo, ruoli importanti, interpretazioni acclamate, i premi più prestigiosi, ebbene... cosa le manca?» Tutti gli occhi sono sull’attrice, che pare non essere turbata per nulla dalla domanda, anzi. La sua risposta passerà alla storia: «Vorrei tanto capire E = mc2...». Nella mia personale classifica delle interviste più belle della storia, questa occupa senz’altro il primo posto. Ecco le mie riflessioni su cosa ci dice la più famosa formula di Albert Einstein. Albert Einstein scrisse la formula E = mc2 nel 1905, nel suo quinto lavoro dato alle stampe in quell’anno, intitolato L’inerzia di un corpo dipende dal suo contenuto di energia? La formula era al fondo dell’articolo, poco commentata, senza alcun rimando a più approfondite spiegazioni, e con un’altro tipo di notazione (questa infatti è la traduzione in termini «facili» con cui è diventata nota in tutto il mondo): E è l’energia, c la velocità della luce (ovvero 300 000 chilometri al secondo), m è la massa. È una formula piena di informazioni. In questa formula c’è tutto il mondo di Einstein. Questa

piccola formula dice che la velocità della luce nel vuoto è sempre la stessa, e che nulla può superarla. Dice anche che le leggi della natura sono le stesse per qualsiasi viaggiatore, purché viaggi a velocità costante; che le distanze e gli intervalli temporali non sono universali, ma dipendono da chi ne fa una misura. La cosa stupefacente è che tutte queste informazioni sono contenute in una formula così breve e semplice, in cui non compare neppure il tempo (le formule più importanti della fisica hanno quasi sempre nei loro membri il tempo, t). In base a questa formula con un grammo di materia possiamo produrre 30 milioni di kilowattora di energia, ovvero il fabbisogno di energia di una città come Genova per un anno. Grazie a una così grande quantità di energia un giorno forse potremmo raggiungere pianeti in orbita attorno a stelle lontane, e progettare razzi o astronavi capaci di viaggiare così velocemente da ridurre le distanze e la durata dei viaggi interstellari, tanto da portare esseri umani al di fuori del Sistema solare. Nell’articolo in cui compare la formula, dopo averla espressa con grandezze diverse (come ad esempio Δm = L/c2, ma il significato era lo stesso) Einstein raccontava la chiara consapevolezza della validità universale della sua scoperta. E c’è una cosa interessante che scriveva Einstein, come epilogo del suo racconto: diceva di andare a guardare meglio come si comporta il radio, l’elemento radioattivo scoperto da Marie Curie insieme al marito Pierre. Sosteneva che l’equivalenza tra massa ed energia, nel caso di emissione radioattiva, aveva ancora più successo. Einstein fu molto incuriosito dai lavori di Marie Curie, e da quelli era partito per i suoi ragionamenti. Gli scienziati che avevano letto la formula, però, non la capirono immediatamente. Einstein non era un fisico sperimentale, e questo faceva storcere il naso a chi invece cercava nei laboratori le risposte della scienza. La sua formula venne ignorata dalla comunità scientifica. Einstein venne preso poco sul serio. Inoltre, con le equazioni di Maxwell sull’elettromagnetismo, tutti pensavano che le informazioni fossero già chiare. La velocità della luce, c, Maxwell la descriveva come una costante, e nessuno sembrava interessato a ulteriori approfondimenti. Per di più il

contesto in cui Einstein la tirava in ballo pareva non c’entrare per nulla. Perché allora Einstein aveva ripreso in mano il concetto di c? Einstein si era semplicemente posto un limite superiore, un limite che sicuramente non poteva essere superato. E quindi se un osservatore guarda un oggetto in movimento che va aumentando la sua energia trova che deve avere necessariamente un aumento della massa. O al contrario, un oggetto in movimento usa la sua massa per produrre energia. Tutto questo ragionamento però lo aveva già fatto Marie Curie nel 1898, senza aver dato nessuna formula. Lei era una fisica sperimentale. Marie Curie aveva chiamato «radioattività» tutte quelle attività in cui dei metalli traevano energia annichilendo parti infinitesimali della loro massa, e trasformandole in energia ancora più grande. Ma non era riuscita a spiegare il fenomeno. Era rimasta solo a guardarlo. Einstein incontrò la Curie, e in diverse occasioni ebbero modo di parlare dei suoi risultati di laboratorio, e di quello che osservava. I due erano molto in sintonia, si incontrarono a Bruxelles, in occasione dei Congressi Solvay, dal 1911 in avanti, e poi si incontrarono anche per fare passeggiate sulle Alpi, o in occasione di congressi ed eventi dove i fisici del XX secolo amavano andare proprio per confrontarsi sui loro studi. Non esistevano, ai tempi, i telefonini, le email o i social network, per questo c’è traccia ovunque dei loro incontri e delle loro lettere. Piccola parentesi: in accordo con l’equazione di Einstein, furono proprio i corpi radioattivi e le leggi della fisica a essi legate a far morire madame Curie. Alcuni milionesimi di grammo di polvere radioattiva attaccarono il DNA delle sue ossa, e il suo midollo osseo non reagì alle cure. La cosa incredibile fu che Marie Curie indagava proprio questo: è morta dei suoi stessi studi, una sorta di cavia umana. A quei tempi non si pensava che la radioattività fosse così dannosa. Figuriamoci, quando venne scoperta divenne una moda: se ne appropriarono anche i santoni, i veggenti, i cartomanti, gli astrologi. Tutti usavano il radio, venivano create campagne pubblicitarie per vendere creme solari al radio, shampoo al radio, tisane al radio, dentifrici al radio e addirittura sigarette al radio. Il

secondo errore di Marie Curie fu di non depositarne il brevetto (lei pensava di favorire così il progresso e la scienza), in realtà se ne appropriarono tutti. Anche quando vennero scoperte le radiografie se ne fece un uso spregiudicato: per vendere le scarpe ai bambini, i calzolai facevano direttamente sul posto la radiografia dei loro piedini. Torniamo al racconto principale. Il cuore del racconto sta nel fatto che alcuni metalli molto densi, come il radio e l’uranio, possono cedere energia settimana dopo settimana, mese dopo mese, senza essere alimentati da alcuna sorgente al loro interno. Un corpo esposto a questi elementi avrà quindi le ossa rosicchiate piano piano, settimana dopo settimana, mese dopo mese. Il fenomeno venne studiato in laboratorio per molti anni. Nel campo della fisica nucleare si ebbero sistematiche conferme della validità dell’equazione. Il fatto che l’energia e la massa si possano trasformare una nell’altra è solo uno dei fatti più evidenti dell’equazione di Einstein, e la fisica nucleare è solo uno dei tanti campi in cui è visibile, anche se, nell’ideologia comune, è stata associata subito alla bomba atomica. E quindi Einstein fu associato alla creazione bomba atomica. Un’assurdità che ebbe spazio su tutti i giornali, la relatività di Einstein non venne affatto usata per costruire la bomba atomica. I nuclei coinvolti e le particelle non hanno mai velocità tali da poter essere considerati relativistici. Con il tempo, questa falsa credenza venne rivista e corretta, ma ancora oggi c’è qualcuno che la pensa così. Ritorniamo alla formula, e alla sua relatività. Con la relatività ristretta Einstein ha compiuto una sintesi mirabile tra la meccanica e l’elettrodinamica, che ha oggi tantissime applicazioni pratiche e di uso comune. Ci ha arricchiti di idee e risultati, ma ci ha anche lasciato tanti problemi da risolvere. Ci ha lasciato i compiti da fare. E per affrontarli è necessario avvicinarci all’approccio metodologico che proprio lui ci ha lasciato in eredità. Questo approccio è fondamentale per il progresso scientifico, e per la comprensione degli eventi della natura. Le sue rivoluzionarie idee sul moto browniano e sull’effetto fotoelettrico (i primi due risultati clamorosi di Einstein, quando decise di voler fare qualcosa di grande nella

scienza) ci hanno permesso una chiara conoscenza di una fetta di mondo. Ma è con la definizione di tempo relativo che avviene la svolta definitiva. Le correlazioni del prima e del poi tra due eventi qualsiasi sono rimaste fin quasi ai giorni nostri un fatto intrinseco alla natura delle cose, svincolato dalle caratteristiche dei sistemi di riferimento. È interessante cercare di cogliere, attraverso lo studio dei suoi scritti e le testimonianze dei suoi colleghi e amici, la transizione fra le argomentazioni basate sull’osservazione dei fenomeni empirici e la fede nel fatto che fossero invece sufficienti gli strumenti della matematica e della geometria per scoprire le radici delle leggi fondamentali che regolano l’universo. Dopo Einstein, i fisici teorici e i cosmologi hanno imparato la lezione e hanno sostanzialmente seguito il cammino che lui ha indicato: ricercare nuovi punti di vista nella nostra concezione del mondo, che possano spiegare l’enorme varietà dei fenomeni. Il processo è ancora in corso, tutti noi ne stiamo guardando oggi i risultati. È in America che Einstein ha capito tutto questo, ed è in America che ha lasciato traccia del suo modo di lavorare, del suo cambiamento e del suo processo intuitivo. Tant’è che è proprio in America che Einstein fa le prime riflessioni su se stesso, e su come era da ragazzo, su come aveva vissuto la relatività ai tempi in cui l’aveva immaginata. A Princeton, tra i suoi amici fisici che insegnavano all’Institute for Advanced Study, c’era anche il fisico Robert Oppenheimer, che si rivelò fondamentale per lo studio del mondo piccolissimo di cui la natura è fatta. Oppenheimer, responsabile del Progetto Manhattan, sì che aveva lavorato alla costruzione della bomba atomica, e fu lui a pronunciare, il giorno in cui fu sganciata la prima bomba atomica sul Giappone, la terribile frase «Sono diventato Morte, il distruttore di mondi». Secondo Freeman Dyson, Oppenheimer era un grande maestro. Nessuno al mondo insegnava la fisica come lui: come ne parlava, come sapeva fare paragoni e metafore, come la rendeva semplice. Era una persona molto gentile, molto ben disposta con tutti, con una mente sempre fresca e brillante. Dyson mi raccontò a lungo anche dei ripensamenti che tormentarono Oppenheimer quando cercò di opporsi allo sviluppo della bomba all’idrogeno e

delle accuse che gli vennero mosse dalla Commissione per le attività antiamericane, in un clima di caccia alle streghe, e di come Einstein prese le sue difese guidando la protesta della comunità scientifica. Nella sua autobiografia, Oppenheimer racconta molto bene il tormento che aveva procurato ad Einstein la copertina del «Time», datata 1° luglio 1946. In primo piano si vede lo scienziato e sullo sfondo la tipica forma del fungo atomico nel quale campeggia la formula E = mc2. Nell’articolo il giornalista attribuiva ad Einstein la paternità della creazione della bomba, e nel giro di pochi giorni la cosa era sulla bocca di tutti. Oppenheimer racconta il dispiacere di Einstein per non essere riuscito a spiegare la verità all’indomani della diffusione del giornale, e quanto le parole del giornalista gli fossero sembrate fuori luogo e sbagliate. Einstein le aveva vissute come il fallimento della sua intera esistenza. Poi, con il tempo, la verità fisica venne raccontata, e quell’articolo rimase solo la testimonianza di un ostinato luogo comune. Procediamo con ordine. Nell’agosto del 1939 Einstein aveva spedito una lettera al presidente americano Franklin Delano Roosevelt, per sollecitare l’istituzione di un collegamento permanente tra il governo e il gruppo di fisici guidati da Fermi che stava lavorando sulla reazione a catena, e caldeggiando la costruzione dell’arma atomica in considerazione del fatto che se la Germania nazista ci fosse arrivata prima sarebbe stata una catastrofe. Dopo che altre personalità della politica e della scienza spinsero in questa direzione, l’anno successivo venne avviato il Progetto Manhattan, che nel 1945 avrebbe portato alla costruziuone della prima bomba a fissione nucleare. Ma Einstein era all’oscuro di tutto questo. Dopo lo sgancio della bomba uscirono numerosi articoli che, ricostruendo gli antefatti in maniera molto sbrigativa, facevano risalire tutto alla formula E = mc2. È come se si scrivesse che il Big Bang è riassumibile in una formula: sai quanti titoli di giornali fioccherebbero, e il Big Bang sarebbe di più facile comprensione per tutti. Ma nel caso di E = mc2 non è così, è sbagliato. La formula dice che un corpo a riposo possiede un’energia uguale alla sua massa per la velocità della luce al quadrato. Negli anni trenta si scoprì che

la conversione della massa in energia si verifica nelle reazioni nucleari, ad esempio nella fissione dell’uranio, alla base della tecnologia della bomba. Un nucleo di uranio bombardato con un neutrone si scinde in due emettendo altri neutroni. I neutroni a loro volta colpiscono altri nuclei di uranio e innescano una reazione a catena che sprigiona una potenza elevatissima, che mantenuta all’interno dei reattori nucleari può essere controllata e usata per svariati scopi scientifici (se non viene contenuta all’interno di reattori nucleari, può provocare un’esplosione). La formula di Einstein descrive il bilancio energetico di questi processi – ovvero che una piccola percentuale della massa iniziale si converte in energia –, ma non il meccanismo e il modo in cui si svolgono. Tant’è che quando vennero fatte delle lezioni teoriche agli esperti scientifici di Los Alamos, la formula di Einstein non venne neppure citata per capire la scienza alla base del Progetto Manhattan. Secondo gli scienziati infatti era utile sapere solo la quantità di energia rilasciata, e non il fatto che dipendesse dalla differenza di massa. Le particelle e i nuclei coinvolti non erano affatto particelle e nuclei relativistici, ovvero non raggiungevano velocità tali da essere paragonati alla velocità della luce. Scrivendo all’amico Linus Pauling, Einstein parlò della lettera inviata a Roosevelt: «Ho fatto un errore, nella vita, quando ho firmato quella lettera al presidente Roosevelt chiedendo che venisse costruita la bomba atomica. Ma forse mi si potrà perdonare: infatti tutti noi eravamo convinti che fosse altamente probabile che i tedeschi riuscissero a costruirla, e a usarla per diventare la razza padrona». Le parole scritte da Oppenheimer in un ricordo pubblicato sulla «New York Review of Books», in occasione della celebrazione di un compleanno postumo di Albert Einstein, nel 1966, furono: «In lui non c’era quasi niente di ricercato, ed era totalmente inesperto delle cose del mondo... Ha sempre avuto una purezza meravigliosa, fanciullesca, e insieme profondamente ostinata». Dal 1945 fino all’anno della sua morte Einstein intervenne a favore di un governo mondiale, come imperativo morale e per il controllo delle armi nucleari, e si pronunciò contro ogni forma di leva

obbligatoria. «Chi ha cari i valori della cultura, non può che essere pacifista» dichiarò già nel 1922. E aggiunse: «Ogni volta che è possibile risolvere una crisi con una soluzione razionale, sono favorevole a una collaborazione leale, o se le circostanze non lo permettono, al metodo di Gandhi: la resistenza passiva». Albert Einstein conobbe Gandhi, e ne fu uno strenuo sostenitore. Pacifista dichiarato fin dall’adolescenza, nel 1929 sosteneva : «Il mio pacifismo è un sentimento istintivo, un sentimento che mi abita perché l’omicidio è ripugnante. Non nasce da una teoria intellettualistica, ma da un profondo orrore per ogni forma di odio e crudeltà». Le sue parole sono scritte sulla roccia, e sono una grande eredità che ai giorni nostri viene ancora diffusa. In un’intervista rilasciata durante un viaggio negli Stati Uniti nel 1931 pronunciò queste parole: «Non sono un semplice pacifista, sono un pacifista militante. Sono disposto a combattere per la pace... Non è meglio per un uomo morire per una causa in cui crede, come la pace, che soffrire per una causa in cui non crede, come la guerra?» Ultime considerazioni, sempre a proposito della formula E = mc2. All’interno del Sole, ogni secondo avvengono esplosioni equivalenti allo scoppio di milioni di bombe atomiche. Infatti l’equazione E = mc2 non si applica solo a fenomeni terrestri. È stata un’ironia della sorte che lo sviluppo tecnologico si sia appropriato proprio di questa formula per la costruzione di ordigni bellici. In realtà, la natura stessa ce ne offre esempi continui. E la natura diventa ancora una volta un laboratorio perfetto per l’osservazione di fenomeni straordinari. Verso la fine dell’Ottocento gli scienziati credevano che il Sole, in analogia con il nucleo della Terra, fosse costituito perlopiù di ferro. Il ferro però è un elemento della tavola periodica con un nucleo molto stabile ed equilibrato: come era possibile, dunque, applicando la formula E = mc2 ricavare quella potenza nota a tutti? Le cose cambiarono con l’utilizzo dello spettroscopio. La persona che trovò il modo di spiegare tutto con E = mc2 fu Cecilia Payne. Animata fin da giovane da una fervente curiosità, andò all’Università di Cambridge per studiare botanica, fisica e chimica. Dopo aver assistito a una conferenza di Arthur Eddington sulle

eclissi solari, però, decise di cambiare ambito di studi. Sarebbe diventata un’astrofisica. Si trasferì negli Stati Uniti, all’Università di Harvard (all’epoca, ovvero negli anni venti, alle donne non era «concesso» di laurearsi a Cambridge), e, avendo a disposizione la straordinaria raccolta di fotografie spettroscopiche dell’osservatorio, elaborò la sua teoria sulla composizione delle masse stellari. Nel 1925 fu la prima donna a ottenere un dottorato in Astronomia a Harvard. Ed ecco che il cerchio si chiude. Arthur Eddington divenne lo scienziato che provò la teoria della relatività generale di Albert Einstein. Cecilia Payne nella sua tesi di dottorato sull’interpretazione delle linee spettroscopiche formulò la teoria secondo cui era l’idrogeno ad alimentare il Sole. Ed ecco che la formula E = mc2 ebbe da questa grande scienziata la strada spianata per spiegare la combustione solare. In pratica, nell’equazione E = mc2 è nascosto il segreto delle stelle, il motivo per cui le stelle brillano e il Sole illumina e riscalda la Terra. In natura, l’equazione di Einstein è il motore cosmico che tiene insieme l’universo. Infatti, quello che accade nelle galassie, in prossimità dei buchi neri, dentro le stelle e dentro il nostro Sole è predetto accuratamente dalla celebre equazione di Albert Einstein. Nella formula E = mc2 ci siamo dentro noi. Noi siamo fatti dello stesso materiale di cui sono fatte le stelle. Noi siamo fatti di E = mc2. Sarebbe da concludere il capitolo così, con questa frase a effetto. Ma voglio aggiungere un ultimo racconto. Un altro amico di Einstein in America – un amico di antica data, dei tempi della nascita della fisica quantistica – era Max Born. Born era diventato presso l’Università di Gottinga un prestigioso riferimento per tutti, prima dello scoppio della guerra e della cacciata degli ebrei dalle università (Gottinga venne decimata). Fu un grande fisico teorico, che la comunità scientifica del XX secolo insignì del Nobel nel 1954, e fu per Einstein un valido interlocutore. Max Born fu tra i più grandi fisici del Novecento, e da tutti era apprezzato anche per la sua umanità. Tra le cose che mi piace ricordare di lui, in riferimento ad Einstein, c’è il discorso pubblico che fece in occasione dei cinquant’anni della

teoria della relatività, nel 1955: Ricordo che durante la mia luna di miele, nel 1913, avevo nel mio bagaglio alcune ristampe dei lavori di Einstein, che assorbivano la mia attenzione per ore, con grande noia della sposa. Trovavo questi lavori affascinanti, ma difficili, tanto da incutere un senso di paura. Quando incontrai Einstein a Berlino nel 1915, la teoria [della relatività] era stata molto migliorata, e coronata dal successo ottenuto grazie alla spiegazione dell’anomalia del perielio del Mercurio, scoperta da Leverrier. Io venni a conoscenza di tutto ciò non solo dalle pubblicazioni, ma anche da numerose discussioni con Einstein, il cui risultato finale fu quello di indurmi alla decisione di non intraprendere mai alcun lavoro in questo campo. La formulazione della relatività generale mi appariva allora, e mi appare ancora oggi, come la più grande impresa del pensiero umano nel processo di comprensione della Natura, la combinazione più sorprendente di penetrazione filosofica, intuizione fisica e abilità matematica. Ma le sue connessioni con l’esperienza erano esili. Mi affascinava come una grande opera d’arte, che doveva essere goduta e ammirata solo a una certa distanza.

Max Born pronunciò questo discorso durante la celebrazione di E = mc2 che avvenne dopo la morte di Einstein. E la cosa bella fu che si sbagliava. Le ultime frasi di quel discorso oggi dovrebbero essere riviste, perché recenti sono le conferme sperimentali della teoria della relatività generale di Einstein (le onde gravitazionali e l’iconica foto dell’orizzonte degli eventi). Ma la cosa ancora più sorprendente di quelle parole fu che Born aveva cambiato idea su una sua stessa convinzione. Ma non finisce qui. Fino a pochi minuti prima che lo facesse, il discorso di Born doveva essere un altro, doveva vertere su E = mc2, infatti il testo che aveva preparato per l’occasione era stato approvato e letto già da altri scienziati, che facevano parte dell’organizzazione di quella giornata di festa. Ma poi, all’ultimo momento, buttò via ogni cosa che aveva scritto e il suo racconto virò sulla relatività generale, e lo fece a braccio. Einstein era morto da qualche settimana e Born si stava preoccupando, temeva che la relatività generale venisse interpretata solo come un artificio matematico e non compresa dai posteri, mentre per la relatività ristretta ed E = mc2 non c’erano problemi, entrambi avevano avuto

ampio clamore sulla stampa e tra la gente. In poche parole, Born voleva assicurarsi che ai posteri venisse tramandata la relatività generale e non la formula. La cosa bella è che tra il pubblico, quel giorno, c’erano anche dei ragazzi, i quali ascoltarono l’accorato appello di Born e presero alla lettera tutto ciò che lui aveva raccomandato. È stato proprio come se Born avesse fatto suonare la campanella in un’aula, e chiesto attenzione. L’attenzione di quei ragazzi la ottenne eccome, e furono loro a dimostrare sperimentalmente la sua teoria. «È questa la giusta strada verso il futuro» disse Born. Quelle parole hanno dato la direzione al progresso scientifico fino ai giorni nostri. Extra capitolo ν – La musica Nelle sezioni extra di ogni capitolo, riporto un aneddoto che riguarda la musica di Einstein. Mi lascio ispirare dal contenuto del capitolo per trovare la giusta colonna sonora. Come faceva lui, quando suonava Lina, il suo violino. In un racconto pubblicato pochi mesi dopo la morte di Einstein, nell’aprile del 1955, lo scrittore americano Jerome Weidman ricorda di essere stato ospite a una cena di gala presso la casa di un facoltoso magnate newyorkese in cui si ascoltava musica da camera, Bach. Durante una pausa confessò all’uomo seduto accanto a lui che non aveva mai sentito la musica di Bach in vita sua. L’uomo al suo fianco era Albert Einstein. Che gli disse: «Venga con me!». Einstein, che evidentemente doveva conoscere bene la casa in cui si trovavano, lo portò in uno studio con un’ampia collezione di vinili e iniziò fargli sentire prima una canzone di Bing Crosby, poi la voce melodiosa di John McCormack per poi passare a un’aria della Cavalleria rusticana cantata da Enrico Caruso, per finire con una registrazione di musica senza parole. Dopo aver ascoltato ogni brano Einstein gli diceva di provare a canticchiarne il motivo, per concludere: «Ecco, ora è pronto per Bach». Quando tornarono insieme al concerto stavano eseguendo proprio una cantata di Bach. Raggiunti dalla loro ospite, preoccupata per la loro assenza, Eistein rispose sorridendo: «Eravamo impegnati

nella più grande attività di cui l’uomo è capace, aprire un altro frammento alla frontiera della bellezza».

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Caro dottor Einstein, voglio sapere che cosa c’è oltre il cielo. La mia mamma mi ha detto che tu puoi dirmelo. Tuo, Frank, Bristol, Pennsylvania

Caro Frank, so che Einstein ti ha già risposto, ma se non sei soddisfatto ti prego di proseguire qui la tua lettura, anche perché so per certo che lui ti ha fatto solo una battuta. Ecco la mia risposta, un pochino più approfondita: dietro al nostro cielo c’è il suo spazio-tempo. Il racconto di cos’è lo spazio-tempo di Albert Einstein richiede una storia un pochino lunga, che parte da molto lontano. Ma seguimi nel discorso, è interessante, perché lo spazio-tempo di Einstein rappresenta la meraviglia oltre il cielo, e quindi la sua relatività generale. Quando formulò la teoria della relatività Einstein fece delle previsioni. Grazie a queste previsioni si possono fare viaggi magnifici, in altri mondi, in cui la gravità è il cuore di tutto. Dunque, partiamo dalle basi. Esistono quattro interazioni fondamentali in natura (lo so, i fisici partono sempre da questa frase quando vogliono raccontare qualcosa, qualsiasi cosa, potrebbe diventare una barzelletta questa frase iniziale, ma è fondamentale veramente partire da lì): l’interazione nucleare forte, quella cioè che tiene insieme protoni e neutroni nel nucleo; l’interazione debole, quella dei procedimenti radioattivi, del decadimento beta; poi ce ne sono altre due, che contrariamente alle precedenti sono a lungo raggio, cioè si sentono anche a distanza, e sono la forza elettromagnetica e la forza gravitazionale. La differenza fondamentale tra le forze di tipo elettrico e quelle gravitazionali è che in questo secondo caso non c’è un opposto, non esiste una gravità negativa. Due forze gravitazionali

si sommano sempre, attirano sempre altri corpi. La forza gravitazionale è una forza che fa crescere i corpi celesti, che plasma l’universo; è la scultrice dell’universo. Con una rapida ricerca su Google, si possono trovare in rete le foto del telescopio Hubble: ve ne consiglio la visione, sono foto bellissime. Le foto mostrano come è fatto l’universo. Ve le descrivo: in ognuno dei punti più visibili c’è una galassia, in ogni galassia ci sono miliardi di stelle. Esistono miliardi di galassie, tutte animate dall’azione della gravità. Capito quanto è portentosa questa forza? Ma la domanda è: come è stato immaginato storicamente l’universo dall’umanità? Cioè, prima che si osservasse, prima di oggi, come se lo immaginavano i nostri predecessori? Dapprima con il modello di Tolomeo, poi con quello copernicano, dopo è venuto quello di Galileo, poi quello di Newton, e soltanto dopo è arrivato quello di Albert Einstein. Lo snodo fondamentale di queste visioni diverse dell’universo è stato Copernico: prima di lui, gli uomini mettevano al centro dell’universo la Terra, con lui, il posto privilegiato spetta al Sole. La differenza sostanziale è profonda, sta nella distinzione tra mondo celeste e mondo terrestre: nel modello geocentrico, quello di Tolomeo e di Aristotele, la Terra era concepita come sede di fenomeni con cui si può interagire, mentre la sfera celeste era considerata la perfezione. La sfera celeste era fatta di pianeti o stelle, tutti incastonati in sfere di cristallo, e quella era ritenuta la perfezione. Poi Galileo ha introdotto il metodo sperimentale: e ci ha detto che solo con l’osservazione diretta è possibile scrivere una solida teoria scientifica. Agli inizi del Seicento, Galileo comunicò al mondo le scoperte che aveva fatto osservando il cielo per la prima volta, con un nuovo strumento da lui stesso costruito, il telescopio. Dopo aver osservato il cielo con il suo telescopio, Galileo passò allo studio delle leggi del moto, e si mise a fare ingegnosi esperimenti di immediata visualizzazione. A lui piaceva creare modelli che replicassero quello che vedeva in natura. Ad esempio, fece scendere lungo un piano inclinato oggetti di masse diverse, per osservare direttamente come cadono. E così formulò la legge sulla caduta dei gravi. Aristotele pensava che la velocità di caduta di un corpo dipendesse dal suo peso. Lasciando cadere una palla di piombo e una palla uguale di

sughero, arriva a terra prima quella di piombo. Ed è quello che dice anche il nostro buon senso. Ma Galileo aveva proprio fatto l’esperimento, per vedere esattamente cosa succedeva. E aveva inoltre generalizzato, dicendo che quello che si vede in questo caso è solo un caso limite, rispetto a qualcosa di più grosso, una teoria che contiene tutto, e che deve tenere in considerazione più in generale il mezzo che contiene gli oggetti. Il mezzo in cui cadono i corpi è la cosa più importante, diceva. Se lo stesso esperimento lo facciamo all’interno di una piscina d’acqua, i tempi di caduta sono differenti. Galileo aveva fatto anche questo esperimento. Alla fine di tutti gli esperimenti, giunse alla sua conclusione generale che dice: «Se si levasse totalmente la resistenza del mezzo, tutte le materie discenderebbero con eguali velocità». In pratica, Galileo ha tolto il rumore di fondo, ha isolato il fenomeno della caduta dei gravi da qualsiasi altro disturbo. Ha generalizzato, cosa che sanno fare solo i migliori scienziati della storia. Questo modo di operare è caratteristico del metodo scientifico moderno. L’importanza di Newton, invece, sta in altro. Con Newton prende forma la matematica che c’è dietro al cielo. Mondo terrestre e mondo celeste sono in realtà la stessa cosa, dice Newton. Le stesse leggi valgono sia se noi andiamo in cima a una montagna e lanciamo una pietra da una finestra, sia se la tiriamo in orizzontale: in entrambi i casi la pietra cade a terra. Se poi cerchiamo di tirare la pietra sempre più lontano, in direzione parallela al suolo, a un certo punto potrebbe accadere una cosa strana. La Terra ha dimensioni finite, quindi se, da un punto molto elevato, lanciamo la pietra molto molto molto lontano in orizzontale, a un certo punto non la vediamo più, perché entra in orbita. Questa fu l’immagine che colpì Newton, il quale si interrogò a lungo anche sulla nostra Luna. Osservava la Luna e all’inizio pensava che fosse sospesa. Noi sappiamo oggi che in realtà trae in inganno, non è sempre lì, nel vuoto, non è sospesa. La Luna ruota, molto lentamente, ma ruota. L’intuizione fondamentale di Newton fu questa: così come una mela che si stacca dall’albero casca a terra, per lo stesso motivo la Luna è attratta dalla Terra, ma non ci cade sopra perché la sua orbita è più grande della circonferenza terrestre. Ed ecco la prima conseguenza

importante di questo discorso: la gravità è universale, ed è responsabile dei fenomeni terrestri così come di quelli celesti. La gravitazione vale ovunque, in tutto l’universo. Ed è il primo esempio di universalità delle leggi fisiche. Oggi, dalle rilevazioni più recenti, con strumenti che Newton, Galileo o Einstein neanche si immaginavano, sappiamo che non solo la forza gravitazionale vale dappertutto, ma anche che tutte le interazioni agiscono allo stesso modo nell’universo tutto. E non solo. Esse hanno agito allo stesso modo anche nel passato: è per questo che noi vediamo la luce di oggetti stellari lontanissimi, emessa miliardi di anni prima di arrivare a noi, e abbiamo così moltissime informazioni sul cielo, sulla natura e sull’universo. Ma torniamo indietro, continuiamo sul filo che ha tracciato la storia. Dopo Newton, gli scienziati si sono chiesti: cosa avviene nel vuoto? E come avvengono le azioni a distanza? Se tra la Terra e la Luna ci fosse il vuoto, come avverrebbero le interazioni a distanza? Le forze come si trasmettono? Come è possibile che il vuoto trasmetta qualcosa? A dare la risposta è arrivato James Clerk Maxwell. Fu lui, con le sue equazioni matematiche, a spiegarci l’elettromagnetismo e il campo elettromagnetico. E in questo elenco di fisici che ci hanno spiegato cosa c’è dietro il cielo, Albert Einstein si colloca esattamente dopo Maxwell, e da lui si è fatto ispirare (piccola parentesi, Einstein è nato esattamente nell’anno della morte di Maxwell, così come Newton è nato l’anno del-la morte di Galileo). Einstein ci ha detto che la gravità è una manifestazione della curvatura dello spazio-tempo. Una cosa nuova, mai detta prima. Come possiamo immaginare questa curvatura? Allora, innanzitutto immaginiamo due persone, fingiamo che siano due fisici. Assumiamo che decidano di vivere su un piano, su un piano infinito, che sarà il loro universo, steso e piatto, senza confini, come un tavolo gigantesco oltre il quale c’è il vuoto. Su questo piano in due dimensioni immaginiamo che i due fisici facciano un esperimento (altrimenti che fisici sarebbero?! I fisici fanno sempre esperimenti, anche su questo ci sono miliardi di barzellette). Uno dice all’altro: vediamo se la nostra distanza cambia quando andiamo in due direzioni a caso. La sola condizione è che debbano andare in

direzione perpendicolare alla retta che li unisce. Si mettono in moto, ciascuno lungo la propria retta, e procedono con la stessa velocità stando su due rette parallele. Misurano la distanza tra di loro all’inizio, e poi anche dopo un po’. Presumono di trovare sempre quella distanza. Se la velocità non cambia, la distanza deve restare quella. E invece, la cosa sorprendente è che trovano valori diversi. Man mano che vanno avanti, fanno nuove misurazioni, e misura dopo misura trovano sempre valori diversi. I due fisici si avvicinano, la loro distanza si accorcia, e a un certo punto addirittura si incontrano. Allora uno pensa che l’altro abbia imbrogliato. E quindi rifanno l’esperimento, un’altra volta, e poi un’altra volta ancora, finché non si convincono che effettivamente è così. Traggono come conclusione il fatto che esiste una forza che li attrae. La cosa interessante di questo esperimento è che i due fisici non mettono in discussione il fatto di vivere uno spazio-tempo bidimensionale piatto, e devono quindi introdurre una forza esterna per spiegare il fenomeno che osservano. Ci sarebbe però anche un’altra spiegazione: il loro mondo non è piatto ma è curvo, e ciò implica un salto concettuale. Se i due fisici vivono su una sfera, le regole cambiano: muovendosi ad esempio dall’equatore seguendo due meridiani, e quindi andando sempre in direzione perpendicolare alla retta che li unisce, si incontreranno per forza, perché il mondo in cui vivono è curvo. Quindi dovete pensare alle linee che i due fisici percorrono come due spicchi di un mandarino, e i poli sono i punti in cui i due fisici si incontreranno. Non è necessario allora introdurre una forza esterna per spiegare quel fenomeno: semplicemente, i due fisici hanno rivisto la geometria nella quale vivono per descrivere un fatto ben preciso. Il cuore della relatività generale sta proprio in questo. Einstein dà la sua visione, la sua spiegazione del Sistema solare, e dice che esiste una forza che attira i corpi in uno spazio piatto. Il Sole curva lo spazio, perché il Sole è la massa più pesante che esista, esattamente come farebbe una biglia di piombo su un tappeto elastico. Questa curvatura – questa deformazione dello spazio – forza gli altri corpi a muoversi intorno, esattamente come succede a

una pallina che viene spinta a girare lungo le pareti di un imbuto. Nel vuoto non c’è attrito, e quindi nel vuoto la pallina ruoterebbe per milioni di anni. Questa è una spiegazione alternativa di un fenomeno che viene osservato: dice che tutti i corpi si muovono liberi, e si muovono non in linea retta proprio perché lo spazio è curvo; quindi, non fanno altro che seguire le linee geodetiche dello spazio in cui si trovano, che vengono loro imposte dalla materia circostante. Da questo punto di vista la visione di Einstein può sembrare alternativa a quella di Newton. Newton diceva che il tempo e lo spazio sono assoluti, e poi c’è la forza che tiene vicine le varie masse, ovvero la gravità. Einstein, invece, dice che non c’è solo lo spazio, non c’è solo il tempo, ma che la forza di gravità e lo spazio-tempo sono la stessa cosa. Questa è la relatività generale. Einstein predice che c’è una velocità, quella della luce, che non si può superare, e tutti gli osservatori la vedono con lo stesso valore. Questo dettaglio è compatibile con la relatività ristretta e con tutti i fenomeni che si possono osservare in natura. Ci sono degli effetti precisi: secondo Einstein una massa curva lo spazio, ma anche la luce viaggia nello spazio, e quindi anche la luce deve seguire le linee geodetiche dello spazio, deve seguire linee curve. Quindi la luce di una stella viene deviata dalla presenza del Sole e, quando arriva sulla Terra, l’osservatore la vede come se la stella fosse in un altro punto, in una posizione apparente, non reale. Questa predizione di Albert Einstein aveva solo carattere teorico ed era necessario provarla sperimentalmente. Einstein formula la relatività generale nel 1915. Quattro anni dopo, nel 1919, arriva la prova sperimentale della sua teoria, con Arthur Eddington. L’astronomo inglese parte per una spedizione con l’intento di fare una foto della volta celeste durante un’eclissi solare. Eddington si reca su sull’isola di Principe, nel Golfo di Guinea al largo dell’Africa occidentale, e scatta la foto: effettivamente c’è un movimento. Eddington era partito dalla teoria di Einstein: noi conosciamo la posizione delle stelle nella notte, ma se fotografiamo il cielo di giorno, quelle stelle devono essere in un’altra posizione, proprio perché lo spazio è curvo. Nell’eclissi di Sole, la Luna è di fronte al Sole, è tra noi e il Sole, quindi oscura il Sole, quindi si può osservare

bene il cielo. Eddington fa la foto del cielo scuro dietro al Sole, e vede che c’è un movimento, c’è una discrepanza, la posizione delle stelle è cambiata. Fino a quella prova sperimentale, la relatività generale era considerata una cosa un po’ astrusa che conoscevano veramente in pochissimi. Einstein aveva scritto che il suo testo sulla relatività generale era «per dodici persone sagge», cioè non più di dodici persone al mondo stavano comprendendo la sua teoria. Eddington partì per la sua spedizione quasi senza sostegno da parte del governo britannico – figuriamoci un inglese che andava a provare la teoria di un tedesco! Ma partì lo stesso, e scattò le foto. Tutti i giornali ne parlarono, e la notorietà di Einstein fu immediata. Un giornale dell’epoca scrisse: «Gli uomini di scienza sono tutti stupefatti dai risultati dell’osservazione dell’eclissi, questo è il trionfo della teoria di Einstein»; un altro dichiarò che «Le stelle non stanno dove sembrano essere, dove è stato calcolato finora», e un altro ancora riportò che «La luce si deforma nei cieli». Romantici o meno, questi commenti fecero scattare la curiosità della gente comune, e la relatività divenne un argomento sulla bocca di tutti. Ecco finalmente la risposta alla domanda che tutti si ponevano, ecco cosa c’è dietro al cielo. Un altro esperimento che dà una risposta a questa domanda è legato al tempo. Altra parola tanto cara a Einstein. Siamo tutti d’accordo ormai nel dire che il tempo non scorre in maniera uguale in punti diversi del campo gravitazionale. Più si va in alto e più il tempo scorre rapidamente, più si è vicini a un campo gravitazionale forte, come il centro della Terra, più il tempo rallenta. Si tratta di qualche milionesimo di secondo nella vita di un uomo, ma questa differenza nello scorrere del tempo c’è, è reale, esiste. Se si usano orologi di precisione, atomici, si può chiaramente distinguere questo intervallo diverso tra chi sta più in alto e chi sta più in basso. Ed è per questo che il campo di Einstein si chiama campo dello spaziotempo. In pratica, il tempo scorre diversamente a seconda di quanto è forte il campo gravitazionale. Ed ecco che la deformazione spaziale di cui ho parlato prima diventa una deformazione spaziotemporale: è lo spazio-tempo nel suo complesso che viene

deformato dalla presenza della materia, della gravità. Un orologio vicino a un campo gravitazionale rallenta rispetto a un orologio posto più lontano. È quello che hanno provato i fisici con gli orologi atomici, cioè orologi precisissimi. E furono loro ad avvertire l’esercito americano negli anni settanta (che sperimentò il Transit, nel primo sistema di navigazione satellitare) che gli orologi sui satelliti sarebbero stati più veloci rispetto a quelli posti sulla Terra. Ma i graduati dell’esercito responsabili del progetto non li ascoltarono, e nei primi test ignorarono un fatto fisico fondamentale che fece fallire il test. Fu così che anche loro dovettero accettare la fisica che dice che con l’altezza il tempo scorre più veloce, accelera, seguendo le predizioni di Einstein e la sua teoria della relatività generale. Einstein è dentro la tecnologia dei nostri giorni. Prendiamo un grosso campo gravitazionale come, ad esempio, un buco nero, e sia chiaro, il concetto di buco nero esiste prima dell’arrivo di Einstein. Per spiegare cos’è un buco nero, e cos’è il raggio di Schwarzschild, ovvero l’orizzonte degli eventi, prendiamo una palla da tennis e lanciamola in aria. Dopo poco dal lancio la palla torna giù. L’energia cinetica si trasforma in energia potenziale, dal momento in cui la palla si stacca dalla mano, raggiunge l’apice, e poi quando arriva a terra. Se la tiro più in alto, acquista più energia potenziale, ma la cosa certa è che poi torna giù comunque. Se la tiro ancora più in alto, ma molto molto in alto, succede una cosa strana. Esiste una velocità limite in cui l’energia cinetica acquisita diventa pari all’energia di attrazione gravitazionale da parte della Terra. Questa velocità limite si chiama velocità di fuga. Per cui se io lancio da terra un oggetto a una velocità maggiore della velocità di fuga, esso lascia la Terra e non ci ritorna mai più. Questa velocità di fuga per la Terra è di 11 chilometri al secondo, ma non è una cosa semplice da raggiungere. Esiste una formula che parla di questa velocità di fuga. Senza scriverla, vi dico che cosa racconta. La formula dice che la velocità di fuga aumenta tanto più è grande massa della Terra, ma anche tanto più piccolo è il raggio (cioè tanto più la massa è concentrata). Seguendo questa formula, è logico pensare che possiamo immaginare un oggetto con una massa

grande e un raggio piccolo, tanto grande e tanto piccolo da riuscire a pensare che da quel corpo lì non si può far partire niente, perché nulla gli sfugge via, tutto rimane confinato al suo interno. La velocità della luce non si può superare. Questo corpo celeste può ricevere un raggio di luce, ma non lo può riflettere, ecco perché è nero, non fa andare via niente. Una volta che sta dentro non esce più, per uscire dovrebbe superare la velocità di fuga, ma non è possibile. Perché questo corpo esista la massa deve essere concentrata nel raggio (chiamato raggio di Schwarzschild, che è la persona che l’ha pensato per primo). La Terra per diventare un buco nero dovrebbe essere concentrata in una sferetta di 8 millimetri di diametro, e questo numero si trova con calcoli semplici, applicando la formula semplicissima che ho richiamato prima (che è una formula classica, una formula che non ha tensori, niente di complicato). Il Sole, che ha una massa molto più grande della Terra, dovreste concentrarlo in una sfera di 3 chilometri di diametro per ottenere questo buco nero. Usando il Sole tutto sembrerebbe più semplice, perché il Sole è gassoso e ipoteticamente sembrerebbe più facile concentrarlo in quello spazio. Ma se ci riuscite, quell’oggetto non appartiene più a questo universo. Non comunica più. Può solo «prendere cose» dall’esterno senza mai restituirle. Che fine fa la materia che va lì dentro? Questa è la domanda che si pongono i fisici oggi. Un buco nero è una massa concentrata in una zona piccolissima. Una prova recente dell’esistenza dei buchi neri è la foto dell’orizzonte degli eventi, la foto del secolo – aprile 2019 –, ma su questo tornerò più avanti. Ai fisici di oggi piace tantissimo questo argomento, perché i buchi neri permettono di capire molte cose, le informazioni contenute dentro un buco nero sono più numerose di quelle che immaginiamo. Con i buchi neri però non si possono fare esperimenti reali, soltanto la natura può farli. Non tutto si può fare in laboratorio, ed è per questo che oggi si osserva il cielo. Il cielo è un laboratorio naturale. Per questo gli scienziati guardano continuamente il cielo. I buchi neri in cielo sono dei laboratori naturali di fisica nel senso che gli scienziati ne traggono informazioni. È così da sempre. I fotoni che

osserviamo ci dicono che esistevano i pianeti, le stelle, i satelliti di Giove, le galassie. Ma le informazioni che ci arrivano dall’universo hanno anche altre forme, non arriva solo luce visibile. Durante fenomeni violenti osserviamo fotoni ad altissima energia, che ci danno altre informazioni, e per osservarli sono necessari strumenti sempre più accurati. Il buco nero è prodotto naturalmente dalla natura, durante il collasso di stelle grandi (grandi oltre dieci volte la massa del Sole). È proprio dal collasso delle stelle che siamo nati noi. Noi siamo le stelle. Gli elementi chimici non li ha fatti il Big Bang. Carbonio e ossigeno non li ha fatti il Big Bang. Il Big Bang ha fatto solo delle particelle elementari, idrogeno e un po’ di elio. Tutti gli altri elementi chimici vengono creati all’interno delle stelle, perché la stella, grazie alla gravità, comprime l’idrogeno, fa fondere i nuclei e produce elementi chimici superiori (elio, carbonio, azoto, ossigeno ecc.). La stella reagisce a questa compressione, e fa uscire energia. Questa energia è frutto della fusione nucleare ed equilibra la forza di attrazione gravitazionale. Quando Newton, o Galileo o Maxwell guardavano il Sole, lo vedevano lì, tranquillo, quieto. In realtà oggi sappiamo che non è così. Se noi guardiamo il Sole non possiamo pensare come pensavano Galileo, Maxwell e Newton. All’interno del Sole c’è una battaglia continua tra due forze contrapposte: la gravità, che tenderebbe a comprimerlo sempre di più, e la radiazione nucleare, che è dovuta alla fusione nucleare, radiazione fatta di luce e di neutrini, che tende invece a espanderlo sempre di più. Perché è così che vive una stella. Una stella vive grazie alla continua battaglia di forze nel suo interno, per miliardi di anni, e produce gli elementi chimici, tutti, fino al ferro (se visti nella sequenza della tavola periodica). Ma oltre il ferro, la stella non ce la fa più e collassa. Quando collassa, implode e manda in giro per l’universo elementi chimici, ed è così che siamo nati noi. Noi nasciamo tutti dalle stelle. Quando queste stelle sono grandi, generano elementi più pesanti del ferro, come l’uranio, l’oro o il piombo. Questo nucleo così pesante, durante il collasso, può diventare talmente concentrato da riuscire a entrare dentro il limite del raggio di Schwarzschild, cioè la natura può essere in grado in quel caso di creare un buco nero. Ogni giorno nell’universo se ne forma uno. Quando la massa entra nel raggio di

Schwarzschild, la curvatura di Einstein diventa pronunciatissima, e il buco nero, secondo la sua teoria, diventa un pozzo senza fondo. Un pozzo che va giù verso l’infinito, dove la curvatura dello spaziotempo tende a un valore infinito. Ed ecco che avviene ciò che è chiamato con una parola molto usata in America, ossia la spaghettification, che abbiamo visto molto bene nel film Interstellar (il fisico Kip Thorne, premio Nobel nel 2017, era tra gli sceneggiatori). Se un uomo potesse fare due o tre giri intorno a un buco nero in quello che sembrerebbe un intervallo di tempo di pochi mesi, quando tornebbe sulla Terra sarebbero passati mille anni. Vicino a un campo gravitazionale il tempo rallenta, come ho detto prima. Ecco perché avvicinandoci a un buco nero si potrebbe viaggiare nel futuro. Ora la domanda è: se questo buco nero è un pozzo senza fondo, dove va a finire? È lecito pensare che vada a finire in un altro punto dell’universo, nel pozzo di un altro buco nero. Oppure in un altro universo. Non si sa. Per ora gli scienziati gli hanno dato il nome di singolarità, ma la singolarità non è spiegata dalla relatività generale di Einstein, e non è compatibile con la meccanica quantistica. Bisogna creare qualcosa di diverso per spiegare questo fenomeno, ed ecco perché si parla di nuove teorie in corso di formulazione, come ad esempio la relatività quantistica, una teoria che mette d’accordo relatività generale e fisica quantistica. Ma tutto è ancora in fase di studio. Un avvenimento recente, l’assegnazione del premio Breakthrough per l’anno 2019, andato alla teoria della supergravità, diviso tra i fisici Sergio Ferrara, Daniel Freedman e Peter van Nieuwenhuizen, è significativo. La teoria descrive le particelle e le forze fondamentali della natura in termini di campi che incarnano le leggi della meccanica quantistica. È nata a metà degli anni settanta, ed è stata molto influente per gli studi successivi. Ma ancora non si è arrivati a una teoria definitiva. Torniamo ad Einstein, e al nostro cielo. L’ultima predizione compiuta da Einstein, avvenuta un anno dopo la nascita della relatività generale e sempre all’interno della relatività generale, sono le onde gravitazionali. Dice questo: se lo spazio-tempo è flessibile, elastico, quando due stelle ruotano una intorno all’altra generano

onde, esattamente come due paperelle in uno stagno increspano l’acqua nuotando una intorno all’altra. Come l’acqua, anche lo spazio-tempo è flessibile. Le perturbazioni dello spazio create dal movimento della materia sono le onde gravitazionali. A iniziare per primo la ricerca delle onde gravitazionali è stato Joseph Weber, un fisico statunitense con un passato come ufficiale di marina. Einstein si era posto il problema, e Weber portò avanti il suo quesito. Si mise a studiare la relatività generale, e il suo scopo era trovare qualche effetto dovuto alle onde gravitazionali per provarne l’esistenza. L’effetto macroscopico del passaggio di un’onda gravitazione è l’allargamento e lo stiramento della luce. Per studiare il passaggio della luce, Weber pensò a un interferometro, lo costruì e si mise per giorni e giorni davanti a un microfono in ascolto delle vibrazioni dello spazio-tempo. Nel 1969 pubblicò un articolo intitolato Scoperte le onde gravitazionali, ma nessuno gli credette (infatti ancora non era vero). In tutto il mondo, però, la curiosità aumentò, e in tanti si misero a fare gli esperimenti di Weber con strumenti molto più sofisticati. Nel 2016 finalmente è arrivata la conferma dell’esistenza delle onde gravitazionali. Le ha rilevate in America lo strumento LIGO (Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory), e i dati sono stati analizzati dalla collaborazione internazionale LIGO e Virgo, quest’ultima facente capo all’European Gravitational Observatory (EGO), fondato e finanziato dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e dal Consiglio Nazionale della Ricerca Scientifica francese (CNRS). È stato così osservato il primo evento in assoluto nel quale una collisione non produce dati osservabili se non attraverso le onde gravitazionali. I due buchi neri formavano una coppia, un sistema binario nel quale l’uno ruotava intorno all’altro. E poi la collisione, dalla quale si è formato un unico buco nero, con massa uguale alla somma dei due buchi neri, e una quantità di energia liberata sotto forma di onde gravitazionali. A nemmeno quattro anni dall’annuncio della scoperta del bosone di Higgs, questo evento ha entusiasmato tutti gli amanti del cielo. Ecco la dimostrazione sperimentale della cattura dell’increspatura dello spazio-tempo generata da una catastrofe cosmica come la collisione tra due massicci buchi neri

avvenuta un miliardo di anni fa. L’esistenza delle onde gravitazionali, quindi, è stata una verifica, in condizioni estreme, della teoria della relatività generale, prevista un secolo fa da Albert Einstein. Tutto questo c’è dietro al cielo. Extra capitolo x – La musica Oggi guardando il cielo, io penso spesso a quando lo faceva Einstein. E la prima donna con cui ha condiviso questa visione fu Mileva Marić. Quando Albert Einstein era ancora studente, spesso andava a trovare Mileva alla pensione dove viveva. Una volta si presentò con il suo violino. Sapeva che Mileva amava la musica e suonava spesso, la sera, a beneficio delle altre ragazze che vivevano con lei. Anche Mileva aveva un buon orecchio musicale: il suo strumento preferito era la tamburica, appartenente alla famiglia dei liuti a collo lungo e originario dei paesi balcanici. Suonava anche il pianoforte – aveva preso lezioni durante il periodo di studi al liceo di Zagabria. Dicevo, Einstein entrò nella pensione e le chiese di suonare insieme. Lei accettò. Lui al violino, e lei al pianoforte suonarono uno di quelli che sarebbero diventati i cavalli di battaglia della coppia, Beethoven, la Sonata per violino e pianoforte n. 6, op. 30 n. 1.

N

Caro signor Einstein, Mi chiamo Louise e ho dieci anni. Il mio Papà pensa che sei un uomo molto meraviglioso. Uno dei più grandi mai vissuti, e io la penso come lui. Visto che sei un uomo così grande, credo che alla gente piacerebbe avere la tua foto autografata. Potrei organizzare una lotteria e vendere i biglietti a 25 centesimi l’uno. Al vincitore andrebbe la tua foto. E poi manderei il denaro al United Jewish Appeal. Mi manderesti per favore due tue foto autografate, così una potrei darla al mio Papà, perché anche lui è un grand’uomo. Louise, Toronto, Canada

Cara Louise, so per certo che Albert Einstein ha già risposto alla tua lettera, e che ti ha spedito le due foto appoggiando la tua lotteria; hai pensato a un’ottima iniziativa, brava. Lui stesso si è impegnato, negli ultimi anni della sua vita, alla causa ebraica, e ha lasciato in dono alla Hebrew University di Gerusalemme alcuni suoi documenti importanti. Altri sono a Princeton, e altri sono stati resi accessibili in rete tramite il Digital Einstein Papers. Ma è la Hebrew University che a un certo punto mi ha incuriosito, per il fatto che Einstein non ci ha mai messo piede. E quindi un giorno sono andata a guardare tutto con i miei occhi. Ora ti racconto quello che ho visto. Nella seconda parte della sua vita, quella americana, Einstein ha sentito la necessità primaria di sostenere le minoranze, gli oppressi, i dimenticati, tutti coloro che sono stati lasciati indietro dalla società dominante. Il cambiamento che lui ha vissuto, nella seconda parte della sua vita, è stato clamoroso. Da ragazzo non la pensava certo così. Da ragazzo pensava solo a se stesso, viveva alla giornata, tutto ciò che progettava era solo per il raggiungimento dei suoi personalissimi obiettivi. In pratica, è come se, una volta esauditi i suoi primi sogni, si sia dedicato a quelli degli altri, si sia chiesto come aiutare chi ne avesse bisogno, e abbia messo in atto una serie

di azioni volte a dare loro sostegno. In America appoggiò le cause dei neri, quelle dei nativi americani, e diede il suo sostegno alla causa ebraica. Negli ultimi dieci anni della sua vita, rinunciò alle cattedre universitarie più prestigiose che gli venivano offerte in ogni parte del mondo, e decise di andare a insegnare in un sobborgo di New York, il Bronx, in una classe composta da gente disagiata, per la maggior parte di colore, senza alcun titolo di studio, e senza alcuna specializzazione scientifica. Decise che la fisica e la scienza potevano diventare il motore per far scattare la scintilla dentro la testa di questi ragazzi, e suggerire nuove vie di fuga. Il giorno dedicato all’insegnamento era uno alla settimana, e si faceva chilometri e chilometri di viaggio in treno, con in testa un solo obiettivo: risvegliare la curiosità nelle persone che non hanno alcun stimolo culturale. Con la scienza si costruisce il proprio riscatto, sosteneva Einstein. Le persone che ascoltavano le sue lezioni lo guardavano sbigottite. Prima di allora, la fisica non aveva per loro alcun significato, e per di più avevano di fronte a loro Einstein che la raccontava con parole semplici. La notizia naturalmente fece il giro del mondo e ne scrissero tutti i giornali. Non durò a lungo quell’esperienza, il tratto di strada che doveva percorrere era via via sempre più tempestato di giornalisti. Einstein in America era una vera e propria rockstar, ogni cosa che faceva usciva sulle prime pagine dei quotidiani. Tutti volevano intervistarlo, i fotografi gli chiedevano di gettare in aria il cappello a favore di uno scatto, signorine lo fermavano per le strade, bambini gli chiedevano l’autografo. Parlava direttamente con i capi di Stato, interveniva alla radio e sui giornali sulle questioni di attualità più importanti. Ma la sua foto in mezzo ai nativi americani è una di quelle che Einstein appese nel suo studio a Princeton. Ed era tra le sue preferite. Tra le altre foto, c’era anche quella con il presidente israeliano Ben Gurion (oggi l’aeroporto di Tel Aviv porta il suo nome, così come centinaia di altri luoghi di interesse sparsi nel paese). Veniamo ora a Israele, e al suo legame con questa terra. Delle sue origini ebraiche ho già accennato, ma ora è il momento dell’approfondimento.

Sono andata alla Hebrew University, a Gerusalemme, e ho voluto vedere con i miei occhi. Anche per capire qualcosa di più di questa United Jewish Appeal di Toronto, una delle organizzazioni nate per sostenere gli ebrei oltreoceano. La Hebrew University è il luogo dove Einstein ha lasciato in deposito 80 000 manoscritti, tra cartoline, appunti, lettere, quaderni e diari. Per la maggior parte, questi documenti sono stati digitalizzati e messi online. Altri ne arriveranno ancora. Alcuni si possono leggere soltanto andando lì a consultarli. La lettera di Louise Baker ha suscitato in me altre domande, e allora sono andata di persona a cercare le mie risposte. Gerusalemme. Quando entro al Science Campus, e mi dirigo al secondo edificio sulla destra dell’Edmond J. Safra Campus, nel quartiere Givat Ram, una delle cose che mi colpisce all’ingresso, dopo aver passato metal detector e controlli, è l’enorme cassetta delle donazioni su un tavolo – in nessuna università europea c’è traccia di cassette per le donazioni. Poi entro nel giardino, finalmente. Attorno sono raccolti gli edifici più grandi di questo enorme complesso universitario, e ci metto un po’ a orientarmi. Tutto è uguale ogni cinquanta metri, tutto si ripete identico, gli stessi colori alternati (pochi, nero e grigio), le stesse porte e finestre in alluminio anodizzato, gli stessi percorsi di chi si sposta da un palazzo a un altro. È tutto molto decadente. Ma c’è una statua bellissima, laggiù in fondo: è la più grande statua al mondo di Albert Einstein. È un po’ nascosta, ma se chiedi ai ragazzi, loro sì che sono felici di accompagnarti e di farti una foto con il telefonino. È un Einstein ormai adulto, non in posa, in procinto di andare da qualche parte. Qui, alla Hebrew University, è presente il più importante archivio di Einstein, ma lui, curiosamente, non ci ha mai messo piede. Albert Einstein non si riteneva ebreo dal punto di vista religioso, ma soltanto culturale. A tredici anni osservava le regole della kasherut, ovvero mangiava solo certi cibi, anche se la sua famiglia non seguiva le stesse prescrizioni; non celebrò però il bar mitzvah, che segna il passaggio all’età della maturità del bambino ebreo, responsabile da quel momento per se stesso nei confronti della Halakhah, la legge ebraica che dà loro la coscienza di distinguere il

bene dal male. Negli anni venti, quando Einstein aveva circa quarant’anni, stava crescendo il movimento sionista e in Europa dilagava l’antisemitismo; l’Organizzazione Sionista Mondiale, presieduta da Chaim Weizmann, si rivolse allo scienziato, e gli chiese di partecipare a una raccolta fondi. Einstein accettò. Un anno più tardi decise di visitare la Palestina, all’epoca sotto mandato britannico, e ci rimase quasi due settimane: fu l’unica occasione in cui Albert Einstein mise piede in questa terra. Nel 1952 (Einstein aveva 73 anni) Chaim Weizmann morì, e il primo ministro israeliano Ben Gurion gli offrì la carica di secondo presidente dello Stato d’Israele. Einstein rifiutò con una lettera: «Sono commosso per quanto mi viene proposto dal nostro Stato d’Israele, allo stesso tempo sono triste e mi vergogno per non poter accettare. Ho trascorso tutta la mia vita ad occuparmi di problemi oggettivi, al punto che scarseggiano in me la naturale attitudine e l’esperienza per affrontare opportunamente le persone ed esercitare funzioni ufficiali». In occasione del settimo anniversario della nascita dello Stato ebraico, nel 1955, le TV americane chiesero ad Einstein di pronunciare un discorso in merito. Una settimana prima del discorso, il 18 aprile, Albert Einstein morì. Quel discorso ora si trova qui, nell’archivio della Hebrew University: Oggi è il settimo anniversario della nascita dello Stato di Israele. La fondazione di questo Stato è stata largamente approvata e riconosciuta a livello internazionale con l’intento di proteggere i resti del Popolo Ebraico dagli indescrivibili orrori della persecuzione e dell’oppressione. Perciò, la fondazione di Israele è un evento che impegna attivamente la coscienza di questa generazione. Pertanto, è un amaro paradosso il fatto che un Paese che è stato creato per difendere un popolo martoriato debba a sua volta affrontare gravi minacce alla sua stessa sicurezza. Le coscienze universali non possono rimanere indifferenti a un tale pericolo. Non è giusto che l’opinione pubblica mondiale critichi solo la reazione di Israele alle ostilità e non si sforzi attivamente di porre fine all’ostilità araba che è alla radice delle tensioni. Le politiche internazionali in Medio Oriente dovrebbero essere fondate sugli sforzi di assicurare la pace a Israele e ai suoi vicini. Ciò sarebbe coerente con gli ideali di pace e fratellanza che sono il più grande contributo che il Popolo Ebraico ha dato nella sua lunga storia.

E aggiunge: «Mi sento vicino a voi, più che ad altri». Ecco spiegato tutto. Nel marzo del 2019, per i 140 anni dalla nascita di Einstein, l’Archivio apre al pubblico nuovi documenti. Oggi la lettura di queste carte è un privilegio di assoluto livello: è un peccato aver avuto incontri poco empatici con chi gestisce questi archivi. Avevo accennato al discorso del mansplaining, no? Ma aver fatto la foto con l’enorme statua di Einstein nel giardino del Campus, è stato molto emozionante. ll resto che ho trovato l’ho disseminato in questo libro. Extra capitolo N – La musica La sorella di Albert Einstein si chiamava Maja. Nelle memorie che ha lasciato, racconta che quando Einstein era intento a suonare il violino poteva capitare che all’improvviso gli venisse in mente qualcosa; allora si alzava urlando: «Sì, ecco, ora ce l’ho!», e di corsa andava ad appuntarsi qualcosa. Una volta, scrive Maja, Einstein era in salotto nella sua casa di Princeton a Mercer Street, e accadde una cosa nuova. Aveva preparato tutto con cura, aveva aperto il grammofono, aveva cambiato la puntina, l’aveva posizionata, e aveva fatto partire una melodia bellissima. Compiva queste azioni, sempre le stesse, con lentezza, come dei piccoli rituali, facendo sempre gli stessi movimenti di mani, braccia e corpo. Quel giorno, dopo che la melodia era iniziata, aveva preso il violino e si era messo a seguirne il ritmo, suonando in sottofondo. Era l’Andantino della Sonata per violino e pianoforte n. 26 K 378 di Mozart. Dopo neanche un minuto che aveva iniziato ad andare d’accordo con la musica, ripose di scatto il violino nella custodia, alzò la puntina, spense il grammofono e si chiuse nel suo studio per due giorni interi. Maja racconta che era assolutamente imprevedibile cosa gli facevano scattare nella testa la musica e il suono del suo violino. Il rapporto tra Einstein e la musica non è molto evidenziato nelle varie biografie che raccontano di lui, ma è importante. Torniamo allora ad Albert Einstein e alla musica. Einstein aveva a cuore Mozart, la sua purezza, il suo candore. Naturalmente, non gli importava nulla di ciò che si diceva del

musicista – in generale, della vita privata delle persone non s’interessava affatto, men che meno se famose o leggendarie. Un po’ come accadde con Marie Curie, quando la conobbe al primo Congresso Solvay di Bruxelles nel 1911. Marie era vedova già da cinque anni (Pierre era morto nel 1906) e in quel periodo la stampa francese aveva pubblicato uno scoop, raccontando che la Curie aveva una storia d’amore con Paul Langevin, anche lui fisico e anche lui conosciuto in tutto il mondo, sposato e padre di quattro figli. Ovviamente si scatenò una catena di odio contro di lei, e i giornali iniziarono a titolarle articoli cattivissimi. «La ladra di mariti» scrissero una volta. La gente la fermava per strada per insultarla, per additarla, per prenderla in giro. Lei si chiuse in casa, disperata per quell’atteggiamento ostile che aveva preso il posto della stima ossequiosa. Per tutti lei era la grande Marie Curie, con il primo Nobel già in tasca, tra l’altro. Al Congresso Solvay in cui Einstein la conobbe nessuno le rivolgeva la parola, tutti ridacchiavano di lei, l’atmosfera nella sala quando venne inaugurato il seminario era tesissima per la sua presenza e la tensione nell’aria si tagliava con un coltello. Nel momento esatto in cui riferirono ad Einstein tutto questo, per sdrammatizzare lui si mise al pianoforte in un angolo della sala e iniziò a suonare Mozart. Poi si alzò e andò da lei a parlarle e a farle i complimenti, perché come fisica la apprezzava tantissimo. Parlò tutta la sera con lei. Piccola parentesi: la musica che suonò era la Sonata K 378. Per concludere il racconto su Marie Curie, mi piace l’idea di riportare la lettera che Einstein le scrisse al termine di quel periodo bruttissimo. Dopo il viaggio a Bruxelles, alla Curie arrivò la telefonata da Stoccolma in cui le annunciavano che aveva vinto il suo secondo premio Nobel – e questa volta tutto per lei, in chimica –, ma le chiedevano di non andare a ritirarlo perché non volevano che lo scandalo arrivasse fin lì. Marie Curie si chiuse in casa e visse il periodo peggiore della sua vita. Fino a quando, dopo tre settimane, ricevette una lettera di Einstein:

Non rida di me se le scrivo senza avere nulla di ragionevole da dire. Ma sono talmente in collera per le maniere indecenti con cui il pubblico si sta ultimamente interessando a Lei, da sentire il dovere di dare sfogo a questo mio sentimento. Ad ogni modo, sono convinto che Lei coerentemente disprezzi questa gentaglia, sia che questa elargisca ossequiosamente stima nei suoi confronti sia che tenti di soddisfare il proprio appetito per il sensazionalismo! Mi sento spinto a dirle quanto io sia arrivato ad ammirare il suo ingegno, la sua energia e la sua onestà, e che mi sento fortunato ad aver avuto la possibilità di conoscerla di persona a Bruxelles. Chiunque non appartenga a questa schiera di rettili è certamente felice, ora e anche prima, del fatto che abbiamo tra noi persone come lei, e anche come Langevin, persone reali rispetto alle quali si prova il privilegio di essere in contatto. Se la gentaglia dovesse continuare a occuparsi di Lei, non legga queste fesserie ma piuttosto le lasci ai rettili per cui sono state prodotte. Con i miei più amichevoli ossequi a lei, e a Paul Langevin, cordialmente, A. Einstein

Alla lettura di queste parole il cuore di Marie Curie si riempì di gioia e, benché sempre più malata, decise di andare a ritirare il Nobel. Salì le scale che l’avrebbero condotta sul palco della premiazione tra due ali di folla festanti, malgrado quelle che erano state le premesse, a testa alta, fiera come non mai. E tutto questo grazie ad Albert Einstein, e alla sua lettera passata alla storia.

π

Caro Einstein, io e il mio amico Francesco vorremmo sapere cosa fa quando non studia scienze. Così per sapere anche noi cosa fare. E vorremmo avere qualche informazione sui suoi giochi e passatempi, nessuno ce lo dice dei grandi. E come passa le giornate. Insomma, tutta la sua vita reale. Grazie per la risposta, Matteo da Roma (5a elementare)

Caro Matteo, la vita di Albert Einstein fuori dalla scienza è stata molto interessante. Hai ragione tu, i libri di scuola e i grandi non ce la raccontano. Pare quasi che la vita di Einstein debba stare lassù in alto, intoccabile, sacra, e non vada fatta scendere tra noi. E, invece, per me non è così. Quindi, te la racconto una volta per tutte. Albert Einstein nacque a Ulma, una città del sud della Germania, il 14 marzo del 1879, un venerdì. Sin dall’inizio della sua avventura terrena, mostrò segni di un’esistenza assolutamente fuori dall’ordinario. Pare che il padre Hermann e la madre Pauline mostrassero una certa preoccupazione per quel loro figlio, che nei primi anni di vita sembrava così diverso dagli altri bambini: una certa forma del cranio, un’apparente dislessia, sicuramente una chiusura ostinata nei confronti del mondo esterno. Albert Einstein iniziò a parlare a tre anni e aveva il vizio, o meglio il vezzo, di ripetere la stessa frase due volte, come se la persona che si trovava davanti non capisse ciò che diceva. Certo era Albert Einstein fin da bambino... Iniziò la scuola regolarmente all’età di sei anni e, nonostante il luogo comune ormai tramandato, i suoi biografi riferiscono che aveva un ottimo rendimento, malgrado i suoi insegnanti lo descrivessero in termini poco benevoli. Come passatempo, gli piaceva stare con gli oggetti in legno che costruiva egli stesso, e giocare con un treno in miniatura che faceva correre

lungo i binari sistemati per terra nella sua stanza. A nove anni iniziò a frequentare il Luitpold Gymnasium di Monaco: andava bene in latino e in matematica ma non si adattava al sistema scolastico e alla rigidità delle scuole tedesche. Nel 1895 lasciò il Gymnasium senza aver terminato gli studi e raggiunse a Pavia la famiglia, costretta a spostarsi spesso per il lavoro del padre, un imprenditore nella nascente industria elettrica. Detto fra noi, i professori non si erano certo rattristati dell’abbandono del giovane Einstein, una vera testa calda in continua polemica contro le regole della geometria degli antichi greci e le leggi della fisica allora note. «Con la sua sola presenza lei distrugge il rispetto della classe nei miei confronti» gli urlò un professore una volta. Nell’autunno dello stesso anno venne bocciato all’esame di ammissione al Politecnico di Zurigo. Dunque non era uno studente così eccellente come ci eravamo immaginati?! Ma sì, certo che lo era! In realtà ottenne voti altissimi, ma c’era un piccolo particolare che non aveva tenuto in considerazione: nel 1895 Albert Einstein era appena sedicenne, e quindi non aveva né l’età né il diploma necessario per iscriversi all’università. Una volta preso il diploma e raggiunta l’età giusta, tornò a Zurigo, si ripresentò all’esame e fu finalmente ammesso al Politecnico. Terminò più che brillantemente gli studi, nel luglio del 1900. Nonostante si fosse dimostrato uno dei migliori allievi, non ottenne un posto come assistente al Politecnico di Zurigo, e dopo aver vissuto per un paio di anni grazie a lezioni private di matematica e fisica, nel 1902 venne assunto all’Ufficio brevetti di Berna: un semplice lavoro di passacarte, che gli lasciava poco tempo libero. Continuò le sue ricerche in sostanziale solitudine e proseguendo in quella sua ostinata osservazione del mondo. Voleva riscrivere la definizione della parola «tempo». E lo faceva pensando, oziando, leggendo di nascosto Galileo e Newton. Fino ad arrivare a quel 1905, l’anno della consacrazione, e della parola «tempo» riscriverà eccome la definizione, creerà la teoria della relatività ristretta. Lui stesso descriveva il suo modo di lavorare: «Semplicemente immagino che sia così, poi cerco di provarlo». Nel 1921 arrivò il premio Nobel e la fama universale, imperitura.

Einstein era di famiglia ebraica, ma non credeva negli aspetti strettamente religiosi dell’ebraismo: «La parola Dio non è niente di più che un’espressione e un prodotto dell’umana debolezza, e la Bibbia è una collezione di onorevoli ma primitive leggende, piuttosto infantili [...] Per me la religione ebraica, come tutte le altre, è un’incarnazione delle superstizioni più infantili». Credeva però nel mistero. E suonava il violino. La musica costituiva una sorta di riposo intellettuale: era convinto infatti che anche così il cervello continuasse a lavorare. Einstein era un grande sostenitore dell’ozio, del riposo. Gli piacevano le code, le file, le attese. Gli piacevano gli orologi a pendolo, e gli specchi. Si racconta che un giorno, a un amico che si scusava per averlo fatto attendere a un appuntamento, sotto un ponte a Praga, Einstein rispose: «Non si preoccupi, non ho perduto il mio tempo, stavo lavorando». Anche dopo lo straordinario successo, Einstein continuava ad avere orrore per qualsiasi imposizione. Tanto per dire: anche nell’abbigliamento non sopportava l’omologazione o i modelli imposti da altri. Metteva sempre un maglione, un paio di pantaloni sgualciti e un paio di sandali. Spesso si presentava a qualche convegno per tenere conferenze con i pantaloni sformati e senza calze, e non si capacitava di come gli altri dessero importanza a simili dettagli, che per lui erano solo sciocchezze. Nel 1933 in Germania sale al potere Adolf Hitler, e viene promulgata la legge che obbliga tutti gli studenti e i professori di origine ebraica a lasciare le università. In quell’anno Einstein è a Princeton presso l’Institute for Advanced Study, in qualità di docente: non metterà mai più piede in Germania. Nel corso dello stesso anno si dimette dall’Accademia prussiana e dall’Accademia bavarese delle scienze, e nel 1935 fa formale richiesta di poter risiedere negli Stati Uniti, ottenendo la cittadianza cinque anni più tardi (pur mantenendo anche quelle svizzera). Albert Einstein era dichiaratamente pacifista, antirazzista e internazionalista e la sua vita negli Stati Uniti fu per oltre vent’anni sotto osservazione dell’FBI, che raccolse un monumentale dossier di circa 1427 pagine su di lui, nel quale si poteva leggere che Einstein

credeva, consigliava, difendeva o insegnava una dottrina ritenuta «capace di permettere all’anarchia di progredire indisturbata». Si legge anche che «era stato membro, sostenitore o affiliato a 34 movimenti comunisti». Nel 1999 però la rivista «Time», senza menzionare le antiche accuse di socialismo, lo incorona come personaggio del secolo. Nel 1955 Einstein fu firmatario assieme a Bertrand Russell dello straordinario manifesto contro la proliferazione delle armi atomiche: Si apre di fronte a noi, se lo vogliamo, un continuo progresso in felicità, conoscenza e saggezza. Sceglieremo invece la morte, perché non sappiamo dimenticare le nostre contese? Ci appelliamo, come esseri umani, ad altri esseri umani: ricordate la vostra umanità e dimenticate il resto. Se vi riuscirete, si apre la via verso un nuovo paradiso; se no, avete di fronte il rischio di morte universale.

La firma sotto queste parole fu l’ultima, ma veramente l’ultima, azione della sua vita. Extra capitolo π – La musica Più di una volta, nelle sue dichiarazioni pubbliche, Albert Einstein ha dato alla musica il merito delle sue intuizioni scientifiche. In un’intervista del 1929, tra le altre cose, dichiarò che se non fosse stato un fisico, probabilmente sarebbe diventato un musicista, «Io penso spesso in musica. Quando fantastico ad occhi aperti la musica mi accompagna, e vedo la mia vita in termini musicali». Durante il suo periodo in Svizzera, Einstein aveva amava suonare nei momenti di tensione una musica in particolare. Bach, Sonata n. 3 in mi maggiore per violino e clavicembalo (catalogata come BWV 1016). Questa musica gli permetteva di ritrovare la calma e l’equilibro. Ho trovato traccia di questa melodia durante una serata nella hall dell’Hotel Metropole di Bruxelles, dove Einstein era solito essere ospite insieme agli altri fisici in occasione dei Congressi Solvay. Anche a Bruxelles naturalmente si portava dietro il suo amato violino, con il quale si intratteneva prima di andare a dormire. Il fisico Paul Ehrenfest racconta che nella hall dell’hotel c’era un

grammofono a disposizione di tutti: una volta Einstein scelse Beethoven e chiuse la giornata così, suonando per tutti i presenti la Sonata n. 5 in fa maggiore per violino e pianoforte. Era la sera del quinto Congresso Solvay, anno 1927; in quel convegno sarebbe poi nata la fisica quantistica.

i

Caro dottor Einstein, mi dice cos’è la relatività, come e dove l’ha vista? Grazie, le mando i saluti anche da parte di mia mamma Sophie. Io sono Christopher, ho 8 anni, abito a New York, da grande voglio essere lei

Caro Christopher, so che Einstein ti ha inviato la sua risposta, ma voglio comunque aggiungere qui anche la mia. La tua è la domanda più bella che si possa fare ad Albert Einstein. Complimenti! E ti dirò di più, alla tua età la puoi fare soltanto a lui. Quando ero piccola io, e facevo quella domanda, i grandi a cui mi rivolgevo mi dicevano che non era il momento di sapere quelle cose, ero troppo piccola. E così sono cresciuta con l’idea che per capire la relatività fosse necessaria la maggiore età, come per prendere la patente! In realtà, crescendo, ho capito soltanto che niente di tutto questo era vero. Einstein si divertiva un mondo a immaginare, a fare pensieri divertenti, a dare spiegazioni semplici alle cose scientifiche che studiava. Faceva voli incredibili con la fantasia, usando raggi di luce, orologi, treni, campanili. Per questo, tutti possiamo capire quello che lui intendeva dirci. E ora ti racconto anche come Einstein è diventato Einstein, per lasciarti ispirare, visto che vuoi diventare come lui. Per vedere la sua relatività, Einstein studiò a lungo i testi e i libri di Newton e Galileo. Prendeva quei libri e se li portava sotto un albero in giardino per leggerli e rileggerli. Era la sua occupazione preferita. Einstein leggeva il principio di Newton, poi chiudeva gli occhi e lo immaginava. Quando pensava all’accelerazione, non si concentrava sulle formule o sui numeri. Faceva così: immaginava una palla sparata nel cielo. Poi immaginava una palla sparata nello spazio, a cui è stata applicata la stessa forza che alla palla precedente. E poi si chiedeva: quale palla vince la gara di velocità? Un’altra sua occupazione prediletta era riflettere sul tempo. Sulla

parola «tempo». Voleva dare un’altra definizione alla parola, non gli piaceva quella in uso, non gli bastava, voleva darne una tutta sua, una più bella. E così passava ore a pensare al tempo. Guardava il campanile della torre di Berna per ore e ore, e poi guardava la gente. In un intervallo di tempo fisso, sempre lo stesso, guardava i movimenti di una persona, e poi quelli di un’altra, e li paragonava. Lui pensava: se guardate una rappresentazione teatrale, ad esempio, un’ora e mezza passa con un certo intervallo di tempo, ma la stessa ora e mezza nella vita di tutti i giorni, mentre ad esempio si fa la spesa o si studia, non vale la stessa durata. E la stessa ora e mezza per gli attori in scena, che magari ripetono la parte da sei anni, sempre con le stesse battute, non scorre alla stessa maniera che per un attore esordiente. Poi, c’è da dire un’altra cosa. Tra le occupazioni preferite di Einstein, quella che cioè gli faceva passare il tempo velocemente, c’era corteggiare le ragazze. Lo faceva con molta facilità, da giovane. Fino a quando non ne ha trovata una che non ne voleva sentire di avere altre rivali. Gli anni erano quelli del Politecnico di Zurigo, e sto parlando ancora di Mileva Marić, naturalmente. Lei era l’unica donna tra i banchi che seguiva le lezioni con lui. Mi sono quindi immaginata come si possa essere rivolto a lei, per farla innamorare. Tramite Mileva la mia fantasia è volata lontano. Seguitemi, che la cosa si fa interessante. Ecco come può aver corteggiato Mileva: «Signorina Marić, quando parlo con lei mi sembra di riuscire a fermare il tempo. Non riesco a fare a meno di pensarla quando non la vedo, e mi piacerebbe avere la possibilità di conoscerla meglio, stando di più insieme. Forse a lei pensare di lasciarci appena finisce la lezione e rivederci la mattina successiva in aula sembra un battito di ciglia, ma per me è un’eternità. Eppure, si sa, il tempo non può procedere a due velocità diverse». Bello, no? Come può una donna resistere a queste parole? Una volta, mentre facevano un giro in bicicletta per le strade di Zurigo, Einstein si mise a pedalare più forte, e poi ancora più forte, sempre più forte, perché voleva diventare una particella di luce. Voleva immaginare cosa volesse dire viaggiare a 300 000 chilometri

al secondo. Mentre pedalava velocissimo, immaginava di essere un’onda che viaggia nell’etere, e lanciato in una folle corsa decise di seguire un treno che gli viaggiava di fianco. Pedalò ancora più veloce e gli sembrò quasi di andare veloce come il treno, e proprio quando raggiunse una velocità esorbitante gli sembrò di essere immobile nel tempo, gli sembrò di fermare il tempo. Questo è stato un passaggio fondamentale, nel grande processo di immaginazione che lo avrebbe portato alla teoria della relatività. Un’altra volta era alle prese con lo studio della legge di raffreddamento di Newton (era una delle poche volte che studiava: solitamente si presentava agli esami con poche nozioni in testa, sparse qua e là). Non concluse la frase che stava leggendo, buttò via i libri, mise le mani dietro la testa, e si mise a immaginare. Di nuovo. Qualcosa d’altro, qualcosa di ancora più grandioso. Si mise a immaginare le molecole. A quei tempi ancora nessuno aveva dato una definizione di molecole, nessuno le sapeva rappresentare. Lui lo fece. Suppose che le molecole fossero delle persone, e le mise dentro una stanza. All’inizio le mise in una stanza piccola, e osservò come si muovevano. Poi decise di metterle in una stanza più grande, dove veniva organizzato un ballo. La stanza era grande e le persone erano libere di muoversi senza scontrarsi. Le lasciò ballare liberamente nella sua testa, e poi fece una magnifica deduzione: più volume, meno collisioni, minore pressione... Decise di scrivere un articolo su questa trovata, che aveva chiamato «esperimento mentale» (cioè un esperimento fattibile solo nel laboratorio del suo cervello). Lo scrisse e ne fece diverse copie, le spedì alle più importanti riviste svizzere e tedesche. Si era fatto un film in testa, pensava di aver dedotto il modo per provare l’esistenza delle molecole, e di diventare famoso grazie a quell’esperimento mentale. Nessuno gli pubblicò mai l’articolo, anzi ancora peggio: proprio nessuno prese sul serio i suoi ragionamenti. E allora lui decise di pubblicarne un altro. Voleva inserire quel suo ragionamento in qualcosa di più grande, non lo buttò via, lo tenne lì. Continuò a pensarci, a creare nuovi esperimenti mentali. Ma senza costanza, occasionalmente tra un caffè e un altro al bar con gli amici, che infatti lo vedevano sempre ciondolare da un tavolino all’altro.

Lontano, a Vienna, Ludwig Boltzmann accennava a nuove definizioni di atomo. Ancora più lontano, a Berlino, Max Planck pubblicava sugli «Annalen der Physik» tutte le novità sulla fisica teorica. Albert Einstein, invece, faceva esperimenti mentali e perdeva tempo. Era la sua occupazione preferita, e consigliava a tutti il suo modo di vivere. Meglio riposare e stare a casa, non lavorare, diceva; solo se si perde tempo si arriva da qualche parte. E aveva ragione lui. Arrivò il 1905, e gli esperimenti mentali che fece in quell’anno lo consacrarono per sempre come genio indiscusso. Si era trasferito a Berna, e restava a guardare la torre dell’orologio per ore, dopo il lavoro all’Ufficio brevetti, quella era diventata la sua nuova occupazione preferita. Nel frattempo, dopo cinque anni di insistenze, iniziarono a pubblicare i suoi articoli sugli «Annalen der Physik». Ma nessuno pareva leggerli. Un giorno pubblicò Un punto di vista euristico relativo alla generazione e alla trasformazione della luce. Ancora una volta non ottenne nessuna risposta, nessuna menzione negli articoli successivi, nessuna nota che rimandasse ai suoi ragionamenti, il mondo scientifico taceva di fronte ai suoi ragionamenti. Lui non si diede per vinto. Me lo sono immaginato mentre notava imbufalito che i suoi articoli venivano ignorati: «Il mondo scientifico non ha aperto bocca, ancora. Va bene. Ne pubblicherò un altro. E se non mi notano ancora, ne scriverò un altro. Niente? Un altro ancora. Un altro ancora. Non possono ignorami per sempre. Mi serve trovare un nuovo problema, un’incongruenza, un paradosso, qualcosa che nessun altro vede...» Lui voleva trovare qualcosa che nessun altro vedeva, voleva dare risposte a domande che nessuno pensava fossero domande. Ecco che le molecole tornarono a essere la sua ossessione. Riprese in mano il suo vecchio articolo, un giorno mentre faceva colazione. E guardando la tazzina del caffè e lo zucchero che si scioglieva dentro immaginò una cosa nuova: «E se la tazza di caffè che ho davanti avesse ragione? Quando lo zucchero si dissolve nel caffè, l’acqua circonda il glucosio e gli strappa dei cristalli, giusto? Più zucchero aggiungo, più denso diventa il caffè. Se riuscissimo a calcolare la pressione osmotica forse potremmo dedurre l’esatto numero di

molecole!» Ed ecco che scrisse un altro articolo, esattamente con questa spiegazione per il calcolo delle molecole, che nessuno prima aveva fatto. Lo ignorarono ancora. I paludati accademici dicevano che aveva «troppa ambizione, questo ragazzo». Passò altro tempo. Un giorno era seduto davanti alla torre dell’orologio di Berna, su una panchina, e di fianco aveva il suo amico Michele Besso, un ingegnere svizzero di origine italiana (lo frequentava perché gli dava ai nervi la sua formazione da ingegnere, diceva che gli ingegneri non immaginano mai abbastanza, quindi lo usava per i suoi esperimenti mentali). Immaginiamo cosa possono essersi detti: Tempo fa ho brevettato un aggeggio, che ora è montato sull’orologio della torre di Berna. Quel marchingegno ogni ora emette un segnale alla velocità della luce, che arriva a degli orologi che si trovano a Ginevra, a Basilea, a Zurigo, sincronizzandoli. Ma cosa succederebbe se spedissimo il segnale verso un orologio che sta su un treno in corsa? Immagina di avere un orologio, qui, fermo; e adesso cerca di sincronizzarlo con uno laggiù in movimento. Cosa succede? Gli orologi si sincronizzano perché il tempo e lo spazio sono assoluti, secondo Newton. Ma perché ciò sia vero, la luce dovrebbe accelerare o rallentate la sua velocità, per mantenere gli orologi sincronizzati. Ma Maxwell dice che la luce si muove a un’unica velocità. Quindi è Newton o è Maxwell ad aver ragione. Non possono averla entrambi!

(A questa conclusione Michele Besso suppongo abbia obiettato che soltanto Newton tra i due poteva avere ragione, perché gli ingegneri ragionano così...). Dopo questo straordinario esperimento mentale, che ancora non aveva una conclusione, Einstein si chiuse nella sua stanza, e ci rimase a pensare per tre giorni consecutivi. Non uscì mai, e non dormì mai. L’unico svago era giocare con un trenino, un giochino che aveva montato in casa su binari in miniatura che attraversavano tutta la stanza del figlio Hans Albert (nel frattempo si era sposato con Mileva, e Hans Albert era il loro primo figlio maschio, la prima figlia, Lieserl, era morta di tubercolosi).

Una mattina ebbe un’intuizione geniale. Immaginiamo di nuovo cosa raccontò a Michele Besso: Immagina di guardare un binario ferroviario... Immagina che passi un treno... Immagina che questo treno viaggi più velocemente di qualsiasi treno che tu abbia visto. Ora, mentre il treno passa, voglio che immagini due fulmini che cadano oltre il binario, nello stesso momento, a cento metri di distanza uno dall’altro. Ora immagina di trovarti al centro del treno, durante la stessa identica scena. In questo caso, i lampi sarebbero comunque simultanei?

(Michele avrà risposto di sì, certo; Einstein dovette insistere, per farlo immaginare meglio). No... non se la luce si muove a una velocità fissa, come dice Maxwell! Riprova, chiudi gli occhi. Immaginati di nuovo sul treno e pensaci bene, rivedi i lampi, pensaci attentamente, il treno sta viaggiando... Vedi che i fulmini non sono simultanei, li vedi?! Perché ti stai allontanando da uno e stai andando verso l’altro. Per me che stavo fermo invece i due fulmini erano simultanei. Come è possibile che abbiamo vissuto diversamente lo stesso evento? A meno che... non sia Maxwell a prendersi la pallottola in faccia, ma Newton! Capito, no? Il tempo non è assoluto!

Decise di scrivere un articolo, con tutto questo ragionamento dentro. Il titolo dell’articolo era L’elettrodinamica dei corpi in movimento. Albert Einstein aveva risposto a una domanda che nessuno si stava ponendo: fu questa la sua grande rivoluzione. E in una nota a margine di un altro articolo, di poco successivo, scrisse una piccola formula E = mc², che fece il giro del mondo, e questa volta suscitò i commenti di tutti. Una formula magnifica. Gli articoli che Einstein pubblicò nel giro di sette mesi furono sei – anche uno solo di quelli lo avrebbe iscritto per sempre nell’olimpo della scienza, e lui ne scrisse sei. C’era riuscito, aveva riscritto la definizione della parola tempo: aveva definitivamente dato al mondo la sua teoria della relatività ristretta. Il suo sogno era raggiunto. Ma era soltanto il primo. Tra il 1905 e il 1909, Einstein pubblicò una quarantina di scritti, che approfondivano la relatività e rispondevano alle critiche

che gli venivano mosse. Di critiche Einstein ne riceveva parecchie. I paludati accademici gli davano contro sostenendo che la sua relatività era senza dubbio già stata espressa da Hendrik Lorentz, ma in realtà non ne capivano le differenze. Einstein, dal canto suo, stava espandendo ancora la sua visione del mondo, e voleva creare qualcosa di più grande, che inglobasse tutto. Faceva sempre così: ogni volta che arrivava a una conclusione, poi voleva generalizzare, e trovare qualcosa di più grande che contenesse i ragionamenti precedenti. Così aveva fatto per Newton, e poi per Maxwell, e così faceva anche per le sue teorie. Un giorno, mentre si trovava a vivere un’altra situazione reale, immaginò qualcosa di nuovo: L’altro giorno ho preso un ascensore, per raggiungere degli amici a cena in una casa al quinto piano... Quando l’ascensore è partito, ho sentito una botta strana dentro la pancia. Come se l’ascensore avesse avuto un percorso al contrario e si fosse messo a scendere. Come se l’ascensore stesse cadendo e io stessi fluttuando al suo interno. All’inizio è stato terrificante. Ma poi all’improvviso era come se non avessi più avuto peso... Perché un uomo che cade non sente il suo peso! Il mio cappello, i miei fogli, la mia pipa stavano cadendo insieme a me. Ma poi l’ascensore ha preso a salire... stava accelerando per recuperare terreno in direzione opposta... e quindi ha prodotto in me la sensazione opposta... sentivo il pavimento che mi spingeva... questa è la gravità... come ho fatto a non capirlo prima: l’accelerazione e la gravità sono la stessa cosa.

Era questa l’idea che gli mancava per completare la teoria della relatività, per aggiungerci un altro pezzo che completasse l’opera. Una riflessione sulla gravità mancava, non ne aveva tenuto conto nella sua prima teoria. Da quel momento, Albert Einstein letteralmente esplose. Fu il periodo più bello della sua vita. Anche se coincise con la separazione da Mileva. I due non si capivano più, i figli erano diventati due, ma Einstein era in volo. Mileva smise di fare la fisica, la società maschilista e sessista aveva avuto la meglio. Un giorno Einstein era a una cena, e una cameriera incuriosita dai suoi discorsi gli chiese di spiegargli la teoria della relatività con

parole semplici. Lui la accontentò. Immaginatevi la scena: Einstein che le risponde serio «Signorina, certo che gliela spiego, glielo racconto subito...» A capannello si chiusero in venti intorno a lui ad ascoltare. Albert Einstein stava per spiegare a tutti cos’è la relatività. Tutti in silenzio, zitti, non si sentiva volare una mosca. C’era anche il suo amico Michele Besso, che si sporgeva ancora di più, per sentire meglio. Silenzio. Stava per parlare... Signorina, se venissi chiuso per due ore in una stanza con lei, il tempo sembrerà passarmi in un attimo. Se invece... be’, sì... se venissi chiuso per due ore in una stanza con il qui presente, ingegnere illustrissimo Michele Besso, il tempo sembrerà non passarmi mai! È semplicemente questa la relatività, signorina...

Einstein rispondeva alle domande di tutti, cercava di rendere la fisica semplice e di facile comprensione. Una volta litigò con Wolfgang Pauli, durante un simposio pubblico. Pauli era un fisico viennese (divenuto famoso, tra le altre cose, per il principio di esclusione), e sosteneva che la fisica non va mai banalizzata e resa semplice per tutti, perché lui e quelli come lui ci avevano messo una vita per capirla. Mentre Einstein sosteneva il contrario: diceva a Pauli che se non riusciva a spiegare a un bambino il suo principio di esclusione, allora voleva dire che non lo aveva capito neanche lui. E Pauli gli rispondeva che non voleva spiegarlo a un bambino. Le discussioni tra i due andavano avanti per ore. Ieri come oggi, c’erano – e ci sono ancora – queste due scuole di pensiero. Chi dice che la fisica deve essere raccontata con semplicità, e deve essere alla portata di tutti; e chi invece sostiene il contrario. Io sto dalla parte di Albert Einstein (immagino fosse chiaro). A un certo punto, Einstein ebbe un’altra intuizione delle sue. Realizzò un’altra conseguenza alla sua idea. Disse: la gravità piega la luce. Immaginate un tronco che galleggia in un fiume. Il tronco supponiamo sia una particella di luce e il fiume supponiamo sia lo spazio. Ora immaginate di veder passare un barcone che sta navigando, ecco, quello è il Sole, mentre si muove increspa l’acqua... quindi la gravità del Sole modifica la forma dello

spazio. Quelle pieghe che il barcone ha creato arrivano fino al tronco, cioè alla nostra particella di luce... e quindi: la gravità piega la luce.

Ma per provare questa intuizione, questa volta non potevano bastare oggetti semplici, come ascensori e orologi. Era necessario un atrofisico, per guardare le stelle. Einstein allora si mise a cercare un buon astrofisico, finché nel 1919 si palesò di sua iniziativa un inglese che il 29 maggio durante un’eclisse totale di Sole fece delle fotografie che dimostrarono la deflessione gravitazionale della luce. Si chiamava Arthur Eddington. Fu lui il principale artefice della fortuna di Einstein. Verificò sperimentalmente la teoria della relatività generale. L’eclissi sarebbe stata visibile solo nella fascia dell’Atlantico, e fu inviata una spedizione all’Isola di Principe, al largo delle coste dell’Africa, finanziata dal governo inglese (per alcuni ciò fu uno smacco, perché inglesi e tedeschi erano stati in conflitto durante la guerra, per altri invece fu un motivo di pace tra i due popoli). Il «Times» titolò Einstein contro Newton, e nell’articolo era scritto «L’eclissi ha evidenziato una variazione della gravità, la deviazione dei raggi di luce intacca i principi di Newton». Il Nobel per Albert Einstein arrivò nel 1921, e gli fu assegnato per la scoperta della legge dell’effetto fotoelettrico. Per quella motivazione Einstein rise tantissimo, perché i paludati accademici non accettavano ancora la relatività, e siccome dovevano premiarlo – perché ormai era diventato il fisico più famoso al mondo, la relatività aveva incuriosito tutti ed era diventata un fenomeno di massa – lo premiarono per l’effetto fotoelettrico, che riguardava una sua intuizione alla base della nascente fisica quantistica (su questo tornerò più avanti). La consacrazione di Einstein arrivò dopo: le sue equazioni tentavano di rappresentare un mondo imperfetto, e l’unico modo per farlo è stato di introdurre imperfezioni nei fondamenti della teoria. Aveva ragione a dire che sono i dettagli imperfetti a rendere tutto perfetto. Metafora magnifica, la fisica. Per la teoria della relatività generale, Albert Einstein si mise a capire quale doveva essere la matematica più utile, la studiò e se ne servì. Tullio Levi-Civita, Gregorio Ricci Curbastro, Bernhard Riemann, i tensori, tutta roba difficile e lui lo

sapeva, non bastavano più le equazioni differenziali per raccontare la relatività generale, doveva studiare e usare un’altra matematica. Quando un bambino gli disse che trovava difficile la matematica, lui rispose «Che cosa dovrei dire io?!». Sì, perché ad Einstein della matematica non importava poi tanto, semplicemente la usava, se gli serviva. E siccome in quel caso, per formalizzare la teoria della relatività generale, non poteva usare una matematica facile (come quella della relatività ristretta), doveva appropriarsi di una più difficile, prenderla, e applicarla al suo caso specifico. E quello fu un altro periodo della sua vita, fatto di calcoli tensoriali e scambi di lettere con i matematici più bravi che aveva conosciuto nella sua vita. Una volta formalizzata anche la teoria della relatività generale, Einstein si rilassò. E iniziò l’ultima fase della sua esistenza. Quella del divo riconosciuto da tutti per strada. E poi la fase americana, la teoria della grande unificazione, e tanto altro che ancora devo raccontarvi. Extra capitolo i – La musica La madre di Einstein, Pauline, era una pianista di talento e questo fatto stimolò il piccolo Albert ad avvicinarsi con entusiasmo alla musica. Si racconta che già all’età di sei anni abbia iniziato a studiare il violino e che a tredici eseguisse le prime sonate di Mozart. Proprio come era nel suo stile, quando iniziarono a fargli i complimenti per la sua bravura e i professori a congratularsi per la velocità con cui imparava, smise di prendere lezioni. E fece di testa sua. Lasciò che il suo intuito lo guidasse per esprimersi al meglio. Niente doveva essere ridotto a schemi. Essere autodidatta era la sua prima regola di vita. Einstein improvvisava, e suonava solo quello che gli piaceva. Quando si trasferì da Monaco in Svizzera, nel 1895, per completare la sua istruzione, dedicò molto del suo tempo alla musica: in particolare svolse un durissimo lavoro di studio sulla Sonata n. 1 per violino in sol maggiore di Brahms, a seguito della visita ad Aarau del grande violinista Joseph Joachim. A diciassette

anni Einstein sostenne un esame scolastico che comprendeva anche la materia musicale. E pur praticando la musica occasionalmente, e solo per diletto, per gioco, suonò davanti a tutti Bach, un brano della Partita n. 2 per violino in re minore (catalogata come BWV 1004). Ricevette i complimenti da parte di tutta la commissione.

γ

Caro signor Einstein, Sono una bambina di sei anni. Ho visto la tuo foto sul giornale. Secondo me devi tagliarti i capelli, così diventi più bello. Tua, Ann

Cara Ann, so per certo che Albert Einstein ti ha risposto, e credo anche l’abbia fatto nella maniera più simpatica possibile, visto il tuo spirito così arguto, estroso e propositivo, qualità che lui apprezzava tanto. È giunto per me il momento di approfondire una grande caratteristica di Albert Einstein, il suo anticonformismo. Anche questo fa parte dei doni preziosi che ci ha lasciato in dote. I capelli per Albert Einstein erano proprio la sua ultima preoccupazione. Figurati, non amava nessuna forma di rigore imposta dall’alto come regola di vita, tenere in ordine i capelli risultava quindi un pensiero inesistente per lui. Einstein detestava le frasi fatte, non ossequiava i potenti, non ha mai scambiato la sua libertà per il denaro, non ha mai steso tappeti rossi per un posto di lavoro o una promozione. Anzi, rifuggiva le promozioni e tutti coloro che se ne beavano. Tra il rigore di un professore universitario vecchio stampo alla Minkowski e l’estrosità di uno Schrödinger, lui preferiva Schrödinger. Tra una serata passata ai tavolini di un caffè e una a espletare le sue funzioni pubbliche in un ritrovo di cattedratici, preferiva senz’altro il caffè. Tra le ciabatte e le scarpe, preferiva le ciabatte. Tra un maglione liso e una camicia, preferiva il maglione. Tra un paio di pantaloni senza più alcuna forma e un frac, preferiva i pantaloni sformati. Quando viveva in Svizzera, aveva accolto con gioia il lavoro all’Ufficio brevetti, e al livello più basso della gerarchia

aziendale, perché così non c’era competizione con altri per un posto che riteneva inutile. La competizione lui la metteva in atto solo per gareggiare contro se stesso. Le cose a cui certe persone danno peso nella vita di tutti i giorni erano per lui dettagli inutili. Erano sciocchezze, e così le liquidava. Le apparenze non gli importavano, sia riguardo a sé, sia nei confronti delle persone che aveva di fronte. Solo la libertà desiderava, e la custodiva come il bene più prezioso di un essere umano. Libertà di pensiero, di parola, di religione, di sesso, e su questo disse la sua in diverse occasioni durante i dibattiti pubblici, e sulla stampa. Tante interviste che fece in America erano incentrate sulla libertà che ogni essere umano deve pretendere. Libertà di frequentazioni, di scelte, di azioni. La sua vita negli Stati Uniti fu caratterizzata dalla presenza costante di folle festanti e curiose intorno a lui, appena si muoveva; appena pronunciata, ogni sua dichiarazione usciva sui giornali: per questo si sentì in obbligo di diffondere i valori più alti, e le conquiste straordinarie che si possono fare in una vita terrena. Albert Einstein faceva i suoi viaggi da Princeton, dove abitava, verso New York prendendo il Dinky, un trenino che collegava (e collega tuttora) le due città, che si trovano più o meno a novanta chilometri di distanza. Questi viaggi erano molto frequenti, perché a New York c’erano le sedi dei più importanti giornali e delle radio. Il percorso in treno era per lui l’occasione per parlare con la gente comune, per firmare autografi, ma anche per ascoltare i problemi degli altri. Una volta arrivato a New York, in strada veniva immediatamente riconosciuto, e chiunque gli chiedeva di difendere i propri diritti o sostenere le proprie battaglie: associazioni di ogni tipo, qualsiasi classe sociale. Anche per questo lui si sentì investito di un’enorme responsabilità. Con Albert Einstein la figura dello scienziato diventa un punto di riferimento, un vero e proprio libero pensatore. Molto lontano da un Newton o da un Maxwell, ma molto vicino ai modelli verso cui stiamo andando di nuovo oggi. Dall’America e dall’Inghilterra, infatti, figure come la sua stanno prendendo sempre più piede, e tornano a essere molto ambite dai media e dalla stampa. Freeman Dyson mi

ha raccontato di questa nuova voglia di avere un fisico-pensatore nei salotti televisivi, nelle redazioni dei giornali, nelle serate mondane come special guest tra gli invitati. Pare proprio che il fisico-pensatore sia il nuovo modello che i giovani vogliono seguire, e nel mondo anglosassone è una tendenza sempre più in crescita. Molto interessante. Fisici che si esprimono su ogni cosa, a prescindere dagli argomenti, e che proprio perché fisici seguono un ragionamento logico e scientifico di cui ormai non si può più fare a meno. In seguito alla scoperta dell’energia atomica, i politici, i militari e la gente comune capirono che una nuova idea scientifica può trasformarsi in poco tempo in qualcosa di potente e spaventoso, in grado di cambiare le loro vite. All’inizio del XX secolo il ruolo dello scienziato cambiò, e da puro e semplice investigatore dell’universo si trovò a fare i conti con scelte morali che potevano influenzare la vita di milioni di persone. E anche favorirne il progresso. Einstein aveva capito prima di altri che scienza ed etica sono legate fra loro, e uno scienziato è prima di tutto un cittadino del mondo, con le proprie idee e posizioni politiche: deve fare delle scelte, e avere delle opinioni. Contestò duramente il potere, e impegnò una grande parte delle sue energie a criticare il sistema scolastico, sempre troppo indietro rispetto ai ragazzi. A parte la grande utilità pratica delle sue teorie, ciò che Einstein ci ha lasciato è una visione nuova del mondo. Una visione aperta, solare, suggestiva, e molto più calda dei freddi assi cartesiani di Newton. L’universo di Einstein è tumultuoso, è un sali e scendi continuo, è impeto, pancia, istinto, è passione inseguita fino allo sfinimento. Come faceva con la fisica, e con le teorie che voleva inseguire, alla stessa maniera faceva con i valori che voleva diffondere. Nella seconda parte della sua vita, come ho già accennato, Einstein cambiò la sua idea di dio. Il dio che prima ripudiava divenne un «Dio sottile ma non malizioso», un dio che ha steso davanti a noi tutta la complessità dell’universo e di cui noi non possiamo che ammirare il mistero. Einstein credeva nel mistero: la parola

«mistero» stimolava in lui nuovi pensieri, ma poi diceva che solo usando l’intelligenza è possibile trovare le soluzioni, altrimenti tutto è soltanto fine a se stesso, e questo terreno è buono solo per i filosofi. Il fisico, diceva Einstein, è qualcosa di più di un filosofo. Un fisico usa tutto, usa la filosofia, usa la matematica, e tira fuori qualcosa che non esiste, con basi solide e mirate a comprendere il mondo. Un’altra grande eredità che Einstein ci ha lasciato in dono è il desiderio del gioco. Einstein giocava sempre. Era sempre indaffarato in qualche attività ludica. Tra gli oggetti più interessanti che ho potuto ammirare con estremo interesse a Princeton, nei due musei a lui dedicati, ci sono i giocattoli con cui si dilettava e passava il tempo. Anche da adulto, soprattutto da adulto. Un oggetto fra tutti mi ha incuriosito: un oggetto di plastica rotondo, con una vetrina trasparente, che si tiene anche con una sola mano, con dentro un labirinto fatto di muretti di plastica, e una pallina di metallo che deve trovare la strada da percorrere. Facendo oscillare l’oggetto con il movimento della mano, la pallina procede nel labirinto. Il gioco consiste nel farla partire da un estremo e farla arrivare all’altro, trovando la strada giusta. Ecco, con un gioco così in mano Albert Einstein era felice. Passava ore a giocarci. E mai smise di farlo, fino alla morte. Sembra assurdo, vero? Eppure è così. Alla stessa maniera, amava giocare con un Sistema solare in miniatura, fatto con enormi palle rotanti: al centro naturalmente il Sole, e via via negli orbitali esterni tutti i pianeti. Amava giocare con i fiammiferi, li spargeva per terra e costruiva le forme più svariate, passando da una a un’altra spostando solo un numero limitato di fiammiferi, e invogliava chiunque a trovare la soluzione. Era sempre alla ricerca di compagni di giochi. Quando conobbe Niels Bohr, il fisico danese premio Nobel nel 1922, l’anno dopo il suo, non poteva credere ai suoi occhi. Anche Bohr amava giocare, era il suo compagno di giochi preferito. Einstein e Bohr litigavano, eccome se litigavano. Hanno litigato anche per la creazione della fisica quantistica, ma questa storia ve la racconterò più avanti. Un altro ottimo compagno di giochi era il fisico olandese Paul Ehrenfest, con cui Einstein passava ore a giocare a scacchi. Con

Mileva invece giocava a carte, e spesso costruivano castelli sul pavimento – una volta costruirono un’intera citta dispiegata su più stanze. La libertà per Albert Einstein era anche questo. Secondo Einstein, un uomo di scienza necessita prima di tutto di libertà interiore. Uno scienziato deve affrancarsi dai pregiudizi, e deve costantemente convincersi da capo, quando emergono fatti nuovi, e cambiare idea, se quanto emerso dai fatti nuovi svela altre direzioni. In modo comunque autorevole, ma con questa libertà interiore. L’indipendenza intellettuale è l’esigenza fondamentale dello scienziato. E la libertà politica e altresì straordinariamente importante per il suo lavoro. Lo scienziato, secondo Einstein, deve essere in grado di esprimere ciò che gli sembra vero senza preoccuparsi delle accuse che gli possono essere mosse, o delle critiche che eventualmente gli vengono fatte. La libertà assoluta è una delle pretese che Albert Einstein ha sempre invocato per lo scienziato. Il progresso della scienza sta anche nella sua diffusione, e per Einstein la diffusione deve essere fatta in ogni luogo, senza distinzione, e più si raggiungono le persone comuni, più alto è il risultato. Einstein pretendeva che i fisici fossero anche buoni comunicatori, e che la loro visibilità non dipendesse da condizionamenti di alcun tipo, ad esempio di sesso o di religione. Donne e uomini, buddhisti o cristiani, tutti con la piena libertà e sulla stessa scala di merito, quando si parla di scienza. Tant’è che Einstein trovò in Marie Curie uno dei suoi più grandi interlocutori intellettuali, si innamorò di Mileva Marić, la prima fisica donna che conobbe nella sua vita, ebbe a cuore Emmy Noether, che definì la più grande matematica di tutti i tempi. Il sostegno che Einstein diede alle scienziate è stato grande – peccato che i biografi di Einstein siano stati tutti uomini (fino ad ora, naturalmente). Un’altra libertà di cui Einstein diffondeva il valore era la libertà di comunicazione. Per lo sviluppo e l’avanzare del progresso pensava che la comunicazione dovesse essere capillare, continua e su più

fronti. Incitava i fisici a tenere banco, a esporsi, e diceva che un fisico è anche un ottimo attore teatrale, perché ha un mondo dentro, e deve riuscire a tenere la scena con grande maestria su qualsiasi palcoscenico. E poi diceva che in primo luogo, in ogni paese del mondo, deve essere garantita per legge la libertà di espressione. Ma le leggi da sole non possono assicurare la libertà di espressione: affinché un uomo possa esporre liberamente il proprio punto di vista ci deve essere uno spirito di tolleranza in tutti i popoli. Un simile ideale di libertà, diceva, non può essere ottenuto completamente, ma deve essere perseguito senza indugio per far progredire il pensiero scientifico, e in generale quello filosofico e creativo. Per garantire lo sviluppo spirituale di tutti gli individui è necessario un secondo tipo di libertà, una libertà «esterna». L’uomo non dovrebbe lavorare tanto per soddisfare i propri bisogni, perché il lavoro gli ruba le forze e il tempo per coltivare se stesso, per portare avanti le proprie attività personali di crescita interiore. I progressi tecnologici potrebbero creare le condizioni per questo tipo di libertà, senza la quale per Einstein la libertà di espressione è inutile. Lo sviluppo della scienza, e delle attività creative dello spirito in generale, esige inoltre un ulteriore tipo di libertà, una sorta di libertà interiore di livello maggiore. Si tratta di quella libertà dello spirito che consiste nell’indipendenza del pensiero dalle restrizioni di pregiudizi autoritari e sociali, così come dalla routine e dall’atteggiamento antifilosofico in generale. Questa libertà interiore è un raro dono di natura e un degno obiettivo per l’individuo. La comunità può fare molto per favorirla, o almeno non interferire con il suo sviluppo. È ciò che accade nelle scuole, che possono interferire con lo sviluppo della libertà interiore imponendo ai giovani modelli dall’alto, oltre a eccessivi carichi di lavoro. Allo stesso tempo, le scuole possono favorire una tale libertà incoraggiando il libero pensiero. Solo se la libertà esterna e quella interna vengono costantemente e coscienziosamente perseguite, c’è possibilità di sviluppo e crescita, di ciascuno di noi e della società in cui viviamo. Extra capitolo γ – La musica

La segretaria di una vita di Albert Einstein fu Helen Dukas. Scrisse che spesso si fermava a guardare Einstein quando era incantato nell’ascolto di una musica proveniente dal grammofono di casa. Era una delle poche volte in cui lo vedeva immobile. Della sua musica e della sua fisica Albert Einstein diceva che entrambe nascevano dalla stessa fonte ed erano complementari l’una all’altra. La musica sembrava catalizzare il suo processo creativo, diceva. Suonare calmava l’animo di Einstein e apriva la strada verso il suo subconscio. La sua velocità nell’apprendere e la sua mente inconscia creavano dei legami fortissimi, delle associazioni a livello neurale. Era come se il suo cervello fosse più attivo. Dukas ricorda quando lo sentì suonare Brahms al violino, con il grammofono in sottofondo. Era la Sonata n. 1 in sol maggiore per violino e pianoforte, una delle preferite anche da Helen stessa. Il ruolo di Helen fu fondamentale nella vita di Einstein: gli fu vicino durante tutto il periodo americano, e visse con lui a Princeton (quando c’era Elsa, la seconda signora Einstein, viveva con loro due; era stata Elsa a sceglierla). Era la segretaria perfetta, compita, rigorosa, silenziosa, mai una parola di troppo. Non commentava, non diceva mai niente ad Einstein, mai un commento, mai una frase fuori posto. Coetanea di Einstein, morì molto anziana, nel 1982. Dopo la morte di Einstein, nel 1955, Helen Dukas mise in ordine tutte le sue carte all’Institute for Advanced Study, dove lo scienziato aveva avuto lo studio per vent’anni. Fu lei a tenere in ordine l’archivio, fu lei a dare aiuto per le ricerche: sapeva tutto, date, luoghi, argomenti, esattamente dove erano collocati. Durante le mie lunghe chiacchierate con Freeman Dyson, anche lui con uno studio all’Institute for Advanced Study, il nome della Dukas è stato citato sempre come quello di un angelo caduto dal cielo che aveva dedicato una vita intera al servizio di Einstein, rimanendo sempre nell’ombra, nell’anonimato. Una figura importantissima. E molto amica di Freeman Dyson, tra l’altro. Nel corso degli anni settanta Helen Dukas pubblicò due libri in cui

raccontava la sua vita al fianco di Albert Einstein. Consiglio a tutti di leggerli. Uno dei passaggi che ho trovato gustosi, riguardo alla musica che accompagnava le giornate di Einstein, è l’appuntamento fisso che aveva con un quartetto d’archi, e sempre di mercoledì. Questa cosa che Einstein aveva dei rituali mi fa impazzire. Mi piace tantissimo. Spesso metteva in atto sempre gli stessi rituali, percorreva la stessa strada per andare al ritrovo musicale, con la stessa andatura, forse addirittura contando quanti passi gli occorrevano per fare lo stesso percorso. Lei stessa lo accompagnò alcune volte. La musica di Schumann, la Sonata n. 1 in la minore, e Mozart, il Concerto n. 3 per violino in sol maggiore K216, sono tra i ricordi più belli che ha condiviso nelle sue memorie.

k

Caro dottor Einstein, I miei fratelli e io abbiamo discusso di una cosa. Uno ha 16 anni, l’altro 14 e io ne ho 9. Discutevamo sul fatto che sei un genio. Il mondo sa che sei un genio e anche noi, ma tu pensi di esserlo? Vorremmo tutti sapere se ti consideri un genio. Distinti saluti, Peter, San Diego, California

Caro Peter, so che Einstein ti ha già risposto, e la sua risposta ha lasciato di stucco anche me. Ora siamo in due a saperlo. Ma siccome ha chiesto di tenere il segreto, da parte mia sarà fatto. E mi piace l’idea che lo faccia anche tu, così soltanto tu e io lo sapremo. Per quel che riguarda il suo sentirsi un genio, c’è chi prima di tutti ha pensato di riferirglielo. Quest’uomo fu Niels Bohr. Ora ti racconto il loro legame intellettuale. Niels Bohr ha vinto il premio Nobel per la fisica nel 1922; era danese, e ha creato la cosiddetta scuola di Copenaghen che in poco tempo è diventata il riferimento assoluto per molti giovani fisici talentuosi del XX secolo. Niels Bohr e Einstein erano amici fin dagli anni venti, e quell’amicizia se la portarono dietro per tutta la vita. Bohr andava a trovarlo spesso in America, perché aveva un disperato bisogno di confrontarsi con lui. Per Bohr il modo di ragionare di Einstein era geniale, e doveva alimentarsene continuamente per continuare a crescere. La fisica quantistica e le sue fondamenta nacquero proprio dalle loro discussioni. Discussioni e litigate che non finirono mai, fino alla morte di Einstein. Bohr era completamente sedotto dai pensieri di

Einstein e da tutto quello che poteva uscire dalla sua testa. Einstein rappresentava ciò che lui non poteva essere. Vedeva in Einstein la diversità. Era ossessionato da quello che Einstein poteva dire o non dire, da quello che poteva tirare fuori o lasciare intendere. Desiderava confrontarsi con lui più che con ogni altra persona al mondo. Si scrivevano sempre. Einstein litigava con Niels, poi lo cercava, poi discutevano, si azzuffavano, se le davano – a parole – di santa ragione; Bohr non poteva fare a meno di lui, e lo cercava di nuovo. Per Niels Bohr l’opinione di Einstein era importante a prescindere dall’argomento. Per dire, avrebbe chiesto il suo parere anche sul modo migliore per cucinare una torta di ribes. Dopo la morte di Einstein, Bohr ebbe una discussione animata con lui sulle questioni aperte della meccanica quantistica, stando in piedi di fronte a un muro per giorni. Immaginava che cosa Albert avrebbe potuto rispondere, e allora ricreava dal nulla e da solo le discussioni con lui. Einstein era l’interlocutore perfetto. Ma dopo aver passato una vita a dargli addosso, a stuzzicarlo, a provocarlo per suscitare una reazione e poi smettere di litigare, il giorno della sua morte scrisse un articolo, pubblicato dalla stampa americana, in cui attribuiva ad Einstein tutte le scoperte più importanti del secolo in corso e di quello a venire. I due avevano a cuore la nascita della teoria quantistica, ma i loro punti di vista erano opposti. Einstein era il contrario di Bohr, come lo yin e lo yang o lo zero e l’uno nel linguaggio binario. La carica elettrica e la carica magnetica. Il Nord e il Sud. Insomma, due opposti. Uno conosciuto in tutto il mondo fin dai tempi del Nobel nel 1921, l’altro che lo vinse l’anno seguente e non era mai uscito dall’Europa (e a fatica anche solo da Copenaghen). Uno che si beava tra donne che smaniavano per lui e giornalisti che lo inseguivano per uno scatto inedito o una nuova intervista, l’altro che non aveva mai vissuto niente del genere, se non in occasioni sporadiche, scrupolosamente organizzate a Copenaghen. Uno che usava la fantasia, il guizzo, la trovata geniale, l’altro che doveva ponderare, riflettere per tutta la notte, pensare meticolosamente a

ogni cosa prima di arrivare a una conclusione. Uno che stava sempre per conto suo, solitario per natura, e solo così riusciva a creare, l’altro che aveva sempre bisogno di avere in casa e al lavoro persone con cui confrontarsi, che ospitava almeno uno o due fisici con cui parlare la mattina appena sveglio e prima di andare a dormire, altrimenti non avrebbe concluso niente durante la giornata. Bohr non era assediato dai giornalisti che volevano conoscere la sua opinione su questioni sociali come il proibizionismo e la pena capitale; non era mai stato tormentato dai fotografi dei cinegiornali con la richiesta di lanciare il cappello in aria a favore di obiettivo. Nemmeno era mai circondato da gruppi di belle ragazze che volevano a tutti i costi chiacchierare con lui. Ma Niels Bohr difendeva con forza il suo modo di essere, il suo snobismo nei confronti dei fenomeni di massa era noto, e mai avrebbe scambiato la sua vita per quella di Einstein. Molti fisici in Europa parlavano male di Einstein proprio perché lui godeva appieno della sua fama, e c’era chi lo disprezzava per il suo indulgere in atteggiamenti che assecondavano il grande pubblico. Bohr e Einstein erano così diversi che a vederli insieme la gente si schierava con decisione o con uno o con l’altro. Una delle domande più in voga tra gli scienziati era proprio questa: sei a favore o contro il modo di vivere di Einstein? Se eri contro, prendevi a modello proprio Bohr. Ma a Bohr queste cose non interessavano, lodava Einstein per il suo ingegno e del resto non gli importava niente. Negli anni del loro incontro, nella comunità scientifica si discuteva ancora se gli atomi esistessero realmente: a quei tempi la loro struttura poteva solo essere immaginata. Il nucleo atomico sarebbe stato scoperto dopo, come anche le applicazioni pratiche dell’energia atomica. Questi argomenti furono influenzati dalla vita di Niels Bohr e dalla sua scuola di Copenaghen. Bohr è stato il primo a intuire quali forze tengono insieme l’atomo, è stato il faro che ha mostrato a tutti la nuova teoria del nucleo atomico, ed è stato il padrino della medicina nucleare. Fu anche il primo, in seguito allo sviluppo delle armi atomiche e dopo la seconda guerra mondiale, a stimolare il dialogo tra Est e Ovest. Le leggi fisiche nate dalle

ricerche condotte mentre era in vita furono le più importanti di sempre, e la presenza di Bohr è sottesa alla teoria ortodossa della fisica quantistica. Niels Bohr fu fondamentale per l’approfondimento filosofico della fisica, la comprensione dei fenomeni quantistici e la descrizione moderna dell’atomo. Sono entrata in contatto con la famiglia Bohr per approfondire il legame tra lui e Einstein, e sono stata anche a Copenaghen, a consultare gli archivi. È stato molto interessante. È anche grazie a Niels Bohr che oggi conosciamo l’Einstein che ci è stato tramandato. I loro incontri a Princeton furono molto proficui, per entrambi. La teoria quantistica di Copenaghen era continuamente in subbuglio, sembrava che avesse sempre bisogno di essere descritta meglio. E Einstein contribuiva al dibattito. Suggeriva a Bohr altri punti di vista per affrontare i problemi, punti di vista che erano sempre opposti ai suoi. A Princeton i due facevano lunghe passeggiate nei boschi, e poi si chiudevano per ore nello studio di Einstein, all’Institute for Advaced Study. Stavano davanti alla lavagna per ore. Si dimenticavano perfino di mangiare, quando erano insieme. Due volte Einstein è andato a trovare Niels Bohr a Copenaghen, negli anni venti. Nel 1923 avvenne l’incontro più divertente tra i due, freschi entrambi di Nobel e in piena crisi sulla definizione di quanto di energia e sulle nuove nozioni che la meccanica quantistica portava con sé. Successe questo: Niels Bohr andò a prendere Einstein alla stazione di Copenaghen, e rimase due ore lungo i binari ad aspettarlo. Per ansia, per rispetto nei confronti dell’ospite tanto atteso, andò alla stazione due ore prima dell’arrivo del treno. Il treno di Einstein arrivò, lui scese, e si incontrarono. Subito iniziarono a discutere di fisica quantistica, e si avviarono a prendere il tram che li avrebbe portati a casa di Bohr. Ma le discussioni proseguirono così animatamente che non fecero più caso al fatto di essere sul tram, e si dimenticarono di scendere. Per sei ore la moglie di Bohr, Margrethe, li aspettò a casa. Niels Bohr giustificò così quel ritardo: «Abbiamo preso il tram numero 6 e abbiamo parlato così animatamente di teoria dei quanti, che non ci siamo accorti del

tempo che passava. Non so quante volte siamo arrivati fino al capolinea, per poi rifare il tragitto da capo. Forse qualcuno avrà pensato che fossimo due matti, ma che importa. Aver avuto la possibilità di parlare con Einstein per tutte quelle ore è stato un privilegio». Bohr amava raccontare spesso una storiella che descrive splendidamente lo spirito dei due quando stavano insieme. Ci sono tre fisici al bar: Werner Heisenberg, Niels Bohr e Albert Einstein. Heisenberg dice: «Anche se è molto improbabile, mi chiedo se per caso non siamo finiti in una barzelletta». Niels Bohr dice: «Se fossimo fuori dalla barzelletta, lo sapremmo, ma poiché ci siamo dentro, non abbiamo modo di determinare se siamo o non siamo in una barzelletta. Le misurazioni di quanto sia una barzelletta o meno cambiano la natura stessa della barzelletta». E Einstein risponde: «Certo che è una barzelletta, ma voi la raccontate male!» Racconta Bohr che Albert Einstein non fu mai particolarmente infastidito dalla grande confusione che si creava intorno a lui. Einstein invece prendeva in giro Bohr, quando lui gli parlava degli elettroni come proiettili o quando parlava di spin, ogni argomento che tirava fuori Bohr per Einstein era motivo di ilarità. La leggerezza con cui Einstein trattava ogni cosa infastidiva parecchio Bohr. Ed era su queste basi che avvenivano le loro scaramucce. Soprattutto se l’argomento era la teoria dei quanti. Prima che Einstein partisse per l’America, anche Paul Ehrenfest si univa spesso ai loro incontri. Ehrenfest era un fisico austriaco, a detta di tutti molto divertente, giocoso (raccontò alcuni dettagli sfiziosi su Einstein: aveva le vene varicose e i piedi piatti, e di notte russava – finalmente qualcosa di umano!). E solo Ehrenfest riusciva a reggere la presenza dei due scienziati nello stesso luogo. Anzi, era lui stesso che ne favoriva gli incontri, nei luoghi più disparati, invitando entrambi a conferenze e dibattiti. Ehrenfest racconta, nelle sue memorie, che organizzava quegli incontri perché solo da due menti così, messe insieme, poteva nascere qualcosa di nuovo. E non aveva tutti i torti, visto che oggi la fisica quantistica è alla base

della nostra vita di tutti i giorni. Fu Niels Bohr, il giorno della morte di Einstein, a scrivere al «New York Times» queste parole: Grazie all’opera di Einstein, l’orizzonte dell’umanità è stato infinitamente ampliato, e al tempo stesso la nostra immagine del mondo ha raggiunto un’unità e un’armonia mai prima d’ora sognate. Le premesse per tali conquiste erano state create dalle generazioni precedenti della comunità scientifica mondiale, e le loro conseguenze saranno rivelate pienamente soltanto alle generazioni future.

Extra capitolo k – La musica Si racconta che quando Albert Einstein andò a trovare Niels Bohr a Copenaghen si portò dietro il suo violino, e la sera deliziava tutti gli ospiti di casa Bohr con la sua musica. Beethoven e Schubert erano i suoi artisti preferiti per l’occasione. Ma ci fu un episodio clamoroso, al quale assistette anche Ehrenfest. Tanto per cambiare, Einstein e Bohr discutevano animatamente, e la musica faceva da sfondo. Sul più bello della discussione, quando Bohr aveva riempito due lavagne di calcoli e sembrava aver annientato per il momento ogni ragionamento di Einstein, questi prese una spugna e cancellò tutto. Poi si accese la pipa, e rimase a guardare Niels Bohr negli occhi. Bohr fece allora la stessa cosa: si accese la pipa e si mise a fissare Einstein. Dopo pochi minuti, Einstein si alzò e riempì a sua volta le lavagne con nuove e articolate congetture. A quel punto Bohr chiese a Ehrenfest di procurargli dei fogli: Ehrenfest andò a prenderli ma impiegò troppo tempo, e quando tornò vide Bohr che ribatteva alle nuove formulazioni di Einstein scrivendo direttamente sui muri, con enormi frecce che partivano dalle lavagne e finivano sull’intonaco. Dall’altra parte della stanza, invece, Einstein si era messo a suonare il violino accompagnando le formule dell’amico con la musica di Mozart, Concerto per violino n. 5 in la maggiore K 219. Rimasero concentrati nelle loro occupazioni per ore.

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Caro professor Einstein, ho un problema che vorrei risolvere. Vorrei sapere come fa il colore a entrare nelle piume degli uccelli. Ho molti bei parrocchetti, che hanno tanti bei colori diversi. Ho chiesto a mio padre e lui mi ha detto di chiedere a te. Cordiali saluti, Anna Louise, Fall Church, Virginia

Cara Anna, so che il professor Einstein ti ha prontamente risposto, e forse nella sua risposta non c’è tutto quello che avresti voluto sentirti dire. Ti ha risposto solo con una breve battuta e quindi capisco il tuo eventuale rammarico. Per questo, ora che sei cresciuta, posso approfondire io l’argomento. Einstein nella battuta che ti ha fatto ha richiamato alla mente il modo in cui i colori si formano, ti ha parlato di arcobaleno, e ha chiaramente fatto riferimento a chi lo ha spiegato per primo. Posso dirti che è stato Isaac Newton ad avere dato una spiegazione dei colori dell’arcobaleno, e che da lì si arriva dritti fino al grande dibattito che ha fatto nascere la fisica quantistica. Così, mi piace l’idea che in risposta alla tua lettera io ti racconti come è nata la fisica quantistica, e il fatto che la teoria di Einstein sia stata nella sua testa fino alla morte. Lo ha fatto scervellare molto, e non gli ha dato mai pace. Ed questa è un’altra cosa che abbiamo ereditato da lui. Più di un secolo fa, un gruppo di scienziati ha creato qualcosa di diverso, che prima nessuno aveva immaginato, e che soprattutto non era scritto nei libri di scuola. Era un gruppo di scienziati coraggiosi che non ha voluto adeguarsi al pensiero comune della comunità scientifica. Hanno pensato a qualcosa di diverso, per descrivere il mondo. In particolare, il mondo piccolissimo, quello dell’infinitamente piccolo. Hanno creato un nuovo modo di vedere le

cose, hanno creato la fisica quantistica. La fisica quantistica è importantissima, oggi ne tocchiamo con mano le conseguenze tutti i giorni: quando usiamo i computer – i chip al silicio sono una delle applicazioni della fisica quantistica – quando usiamo i telefonini, quando facciamo una TAC, o quando usavamo i lettori CD e DVD. Ma andiamo con ordine. Partiamo dall’inizio. Il primo che, all’inizio di questa storia, disse una cosa diversa da tutti, fuori dal coro, fu Max Planck, un fisico tedesco. Anche se forse non era il più bravo, è stato il primo e il più rapido ad avere avuto un’idea diversa. Planck parla di corpo nero e fa una nuova ipotesi. Innanzitutto, cos’è un corpo nero? Un corpo nero è un oggetto limite, un oggetto immaginario, che non esiste in natura. I fisici utilizzano spesso oggetti al confine, con una certa densità, una certa temperatura, per studiare i comportamenti della natura, e per poi generalizzare e arrivare a oggetti di uso comune. Secondo la definizione canonica, un corpo nero è un oggetto che assorbe tutta la radiazione elettromagnetica incidente senza mai rifletterla. Se vogliamo visualizzarlo facilmente, il Sole con buona approssimazione può essere considerato un corpo nero. Planck dice però una cosa nuova: si limita a supporre che l’energia emessa da un corpo nero corrisponda a multipli della frequenza, e questa sua intuizione la riassume in una formula che prende appunto il nome di costante di Planck. Ma nessuno lo ascolta. Nessuno della comunità scientifica gli dà peso. E a dire la verità neanche lui ci crede tanto. Butta lì questa sua pensata, e poi si mette a fare altro. Ma c’è una persona che ci crede veramente, che prende in mano i ragionamenti di Planck e li dà per buoni. Lui dice: prendiamo quello che dice Planck per vero e facciamogli fare un passaggio successivo. Questa persona è Albert Einstein. Einstein fu l’unico a considerare la formula di Planck, e a portarla a un passo più in là. Non la discute, dice «va bene, fingiamo sia vera», e va avanti. Einstein veniva da un brutto periodo della sua vita, in cui sentiva di non essere compreso, in cui tutti lo ignoravano, in cui doveva cambiare qualcosa dentro se stesso per migliorarsi, in cui non concludeva niente. E come fanno le aragoste, si ritirò in solitudine, si

isolò dal resto del mondo, e si mise a pensare qualcosa che lo facesse svoltare. Cambiò la sua corazza, e ne uscì più forte. E dopo settimane di studio, fece una nuova proposta. Disse: «consideriamo la luce costituita di quanti di energia, oggi noti con il nome di fotoni, e studiamola così». Di nuovo la comunità scientifica parve disinteressarsi alla cosa. Nessuna reazione. Nessuno ascoltò Einstein e Planck. Ora erano in due a non essere presi sul serio. Nessuno, tranne una persona. Niels Bohr. Bohr era il più grande studioso dell’atomo, e quelli erano gli anni giusti, perché non si sapeva molto su come erano fatti gli atomi. Bohr era il fuoriclasse assoluto, l’asso dell’infinitamente piccolo. Studiava il vecchio e polveroso modello atomico di Rutherford (nucleo centrale denso e all’esterno gli elettroni), e arrivò a un’altra conclusione: postulò che l’energia degli atomi sia essa stessa quantizzata, e che gli elettroni non siano liberi ma possano stare solo su certe orbite, dette «discrete». Dice Bohr: quando un elettrone cade in un’orbita più in basso (verso il nucleo), emette un fotone (cioè luce). Al contrario, se sale lo assorbe. A questo punto della storia della fisica, entra in scena Wolfgang Pauli, un fisico austriaco, allievo di Bohr alla scuola di Copenaghen. Pauli si mette a spiegare meglio la stabilità degli atomi, e dice: ogni orbita può accomodare solo un certo numero di elettroni. E teorizza il suo principio di esclusione. Grazie a questo contributo, Bohr riesce a spiegare lo spettro atomico degli elementi. Bohr spiega l’arcobaleno: rosso, arancione, giallo, verde, blu. Sempre gli stessi colori, sempre nello stesso ordine. Ciascuno con la sua frequenza, ciascuno con la sua energia (come diceva la costante di Planck). Tutto questo discorso arriva alle orecchie di un fisico francese, Louis de Broglie, che era anche un principe, un aristocratico e viveva in un castello nei dintorni di Parigi. De Broglie dice: siccome Einstein ha parlato di luce che può comportarsi come un fascio di particelle, allora io suppongo che gli elettroni possano comportarsi, specularmente, come onde. E su questo passaggio fondamentale della fisica scrive la sua tesi di dottorato (il suo «padrino di

dottorato» fu Paul Langevin). De Broglie quindi dice che tutta questa teoria può rientrare in una elegantissima simmetria della natura. In questo momento della storia della fisica, la scena la prende un fisico americano, Arthur Compton, uno che fa esperimenti con i raggi X. E proprio in uno di questi esperimenti dimostra l’esistenza dei fotoni. Quelli che Einstein aveva ipotizzato. Tutto sembra filare liscio per questo gruppo di coraggiosi scienziati. Ma non finisce qui. La storia della nascita della fisica quantistica è una storia bellissima. Riassumo brevemente i fatti. Nel 1927 i fisici di cui ho detto sopra si riunirono a Bruxelles, in occasione del quinto Congresso Solvay. Niels Bohr scrisse la sua teoria (che chiamo «ortodossa») della fisica quantistica, nata tra le mura della sua scuola di Copenaghen, e la illustrò a tutti. Tutti lo applaudirono. Tutti, tranne Albert Einstein. Einstein detestava il concetto di probabilità su cui si basava la teoria di Bohr, e gli rispose con la famosa frase «Dio non gioca a dadi». Come è nata questa teoria di Bohr, che tanto turbava Einstein? La teoria nacque nel febbraio del 1927, quando Bohr, in vacanza per andare a sciare, si assentò dall’università per un lungo periodo. A Copenaghen il suo allievo più perspicace era Werner Heisenberg, un fisico tedesco molto arrembante. Proprio in quei giorni Heisenberg teorizzò il principio di indeterminazione che lo rese famoso. Disse: se a un dato istante si conosce con certezza la velocità di una particella, allora la sua posizione risulta assolutamente indeterminata; e viceversa. Rientrato dalla vacanza, Bohr analizzò i risultati ottenuti in sua assenza da Heisenberg e si accorse che l’articolo preparato dal giovane ricercatore era imperfetto e lo corresse (con grande disappunto di Heisenberg). Lo migliorò e lo mandò alle stampe, perché pensava fosse pronto per essere sottoposto alla comunità scientifica. Bohr ragionò a partire dalla relazione di Planck e da quella di de Broglie, e disse che la cosa interessante di queste due formule erano le grandezze fisiche coinvolte, che attenevano rispettivamente alla materia e alle onde e stavano entrambe in un’unica formula. Energia e quantità di moto sono tipiche delle particelle (materia), frequenza e lunghezza d’onda

sono tipiche delle onde (luce). La compresenza di queste due nature, ovvero la loro complementarità, induce l’indeterminazione. E la natura probabilistica della fisica quantistica è la conseguenza. Bohr afferma: Il principio di complementarità è alla base del principio di indeterminazione ed è l’unico che possa chiarire il dualismo tra materia e luce. Non esiste una realtà avulsa dall’osservazione. È ragionevole pensare che un elettrone cessi di esistere non appena si smette di osservarlo. Come naturale conseguenza, le leggi possono essere esclusivamente di natura probabilistica.

Einstein si rimboccò le maniche, e cercò di trovare l’esperimento mentale giusto per rispondere all’amico. Il primo esperimento mentale proposto da Einstein riguardava l’attraversamento di una singola fenditura da parte di un fascio di elettroni, capace di impressionare una lastra fotografica. Lo stesso esperimento venne poi reso più affascinante considerando una doppia fenditura. Einstein era convinto che una considerazione più approfondita della situazione permettesse di risalire alla posizione e alla quantità di moto di una particella, in aperto contrasto con il principio di indeterminazione, cosa che equivaleva a provare l’incompletezza della versione probabilistica della fisica quantistica. Pensava inoltre che il collasso istantaneo della funzione d’onda associata alla particella finisse per contraddire la sua teoria della relatività. Bohr rimase colpito dalle osservazioni del suo rivale, ma non si perse d’animo. Chiamò tutti a raccolta intorno a lui, e si mise a discutere. Analizzò quello e i successivi ragionamenti di Einstein, e riuscì a trovare un punto debole nelle sue argomentazioni, facendo crollare i suoi esperimenti mentali, usando addirittura la sua relatività. Einstein dichiarò la resa, sventolò il fazzoletto bianco. Ma lo fece con un’eleganza da gran signore. Gli disse: «Va be’... Dio non gioca a dadi, ma qualche volta può fare un’eccezione». Le discussioni tra i due non si esaurirono lì, e continuarono nei giorni, nelle settimane, nei mesi, negli anni seguenti. Extra capitolo g – La musica

Su Albert Einstein tutti hanno sempre avuto qualcosa da dire. Tutti avevano (e hanno tuttora) qualcosa da dire su di lui, o da criticare. Proprio quello che Einstein detestava nelle persone, e che lui non faceva nei confronti degli altri. Fra le tante critiche che gli venivano mosse c’era il suo modo di suonare. Qualcuno sosteneva che non fosse bravo, e la prova sarebbe in una delle foto che lo ritraggono con il violino in mano. C’è una fotografia che mostra Einstein con lo strumento che cade verso il basso, l’arco che incrocia le corde ad angolo non perpendicolare: i violinisti sono insorti. Una leggenda che gira a Princeton narra che quando Einstein fu invitato a fare un’entrata in un quartetto, nel quale era presente anche Fritz Kreisler, famoso violista e compositore austriaco, questi osservando la sua titubanza gli chiese: «Cosa c’è, professore, non sa contare?» Einstein naturalmente rise moltissimo, e se ne fregò. Suonarono in quell’occasione diverse musiche di Bach, le Sonate e partite per violino solo, catalogate come BWV 1001-1006.

α

Caro dottor Einstein, il mio amico preferito si chiama Nicola, vive nella mia stessa via, e andiamo a scuola insieme. Lei ha un amico preferito? Tommaso, 7 anni, di Milano

Caro Nicola, Albert Einstein faceva proprio come te, aveva un amico che abitava poco distante da lui, ogni mattina lo incontrava, e insieme andavano all’Institute for Advanced Study. Einstein era solito aspettarlo anche per tornare a casa. Diceva che quello americano era un periodo bello per lui proprio perché adorava le passeggiate con il suo amico. Si chiamava Kurt Gödel, era austriaco, ed era un matematico. Einstein grazie all’amicizia con Gödel poté approfondire tanti aspetti della fisica che aveva elaborato, e che altrimenti gli sarebbero sfuggiti. Nei primi anni quaranta, quasi dieci anni dopo essersi trasferito a Princeton, nel New Jersey, andò a vivere vicino a casa sua (al 112 di Mercer Street) una coppia molto curiosa. Lei si chiamava Adele, e aveva un passato da ballerina sui palchi dei teatri austriaci, lui si chiamava Kurt Gödel, e gli era appena stata affidata una cattedra di Matematica all’Institute for Advanced Study. Kurt Gödel era originario di Brno, nell’allora impero austroungarico, e soleva andare in giro con un abito bianco di lino. Gödel aveva ventisette anni in meno di Einstein; aveva una mente brillante, così dicevano tutti all’istituto: pareva avesse sovvertito l’ordine concettuale della matematica e sapesse parlarne in maniera astratta. Quando sentì parlare di lui, Einstein decise di appurare di persona se quelle voci fossero vere. Un giorno lo avvicinò, con la scusa di voler mantenere allenato il suo tedesco, che in terra americana era difficile esercitare. Da quel giorno per Einstein iniziò un nuovo amore intellettuale, fatto di

lunghe chiacchierate e battibecchi continui. Dopo Niels Bohr, Einstein aveva trovato in Gödel il suo nuovo compagno di battute e di gioco, ed era pure suo vicino di casa. Gödel aveva tutt’altro carattere rispetto ad Einstein. Era chiuso, introverso, astioso, pessimista e scontroso. Mai un sorriso, mai una parola carica di sentimento, mai uno slancio verso qualcuno o qualcosa. Aveva a cuore solo la sua matematica. Mostrava sempre una certa solennità quando parlava con qualcuno, usando frasi fatte e luoghi comuni. Diverso era quando parlava di matematica coi suoi «pari» (così li definiva lui). Ma con Albert Einstein il suo atteggiamento cambiò radicalmente. Einstein fu il solo che riuscì nell’impresa di indurlo a lasciarsi andare. Il film preferito di Gödel era Biancaneve e i sette nani di Walt Disney; Gödel non sapeva suonare alcuno strumento musicale, e non aveva particolari interessi. Aveva mille fissazioni, tra cui quella di mangiare poco, e solo certi cibi. Praticava una dieta ipocalorica, a base di burro, alimenti per neonati e lassativi. Temeva che qualcuno potesse avvelenarlo, e aveva paura anche di sua moglie Adele, che invece gli rimase al fianco per tutta la vita dedicandogli le sue attenzioni, con devozione e cura. Gödel era paranoico, credeva nei fantasmi, aveva il terrore dei gas del frigorifero, non stringeva la mano a nessuno per paura dei germi e di contrarre qualche malattia. All’istituto tutti erano sospettosi di lui, nessuno lo avvicinava: anche per questo stava tremendamente simpatico ad Einstein. Freeman Dyson mi ha raccontato che Gödel era il solo che poteva stare tutto quel tempo con Einstein; e Einstein era il solo che poteva stare tutto quel tempo con Gödel. Con Gödel, Einstein parlava spesso della teoria quantistica e del punto di vista di Niels Bohr: cercava in lui un alleato nella sua battaglia intellettuale con l’altro amico di una vita. Gödel, in realtà, non lo rassicurò mai, anzi gli diceva che la matematica di Werner Heisenberg, che era dietro la meccanica quantistica, era molto interessante, mentre mal tollerava la visione che i filosofi davano a questa teoria. D’altro canto anche Einstein non sopportava i filosofi puri. Einstein e Gödel volevano comprendere l’universo e accrescere il proprio intelletto, per questo alimentavano a vicenda le chiacchiere, dall’istituto a casa e

viceversa, ogni giorno. «Non volevano parlare con nessuno, volevano parlare solo tra di loro» mi ha detto Dyson. I due parlavano anche di politica. Nel 1952 ci furono le elezioni presidenziali, e Gödel sostenne il repubblicano Dwight Eisenhower, mentre Einstein votò per il democratico Adlai Ewing Stevenson. Litigavano sui loro punti di vista differenti. Quando Gödel decise di prendere la cittadinanza americana, fu Einstein ad aiutarlo. Einstein aveva già fatto quel percorso, e quindi gli diede qualche dritta. La cosa divertente accadde il giorno della cerimonia: davanti al giudice, Gödel aveva espresso il suo disappunto nel notare che il testo della Costituzione americana conteneva degli errori concettuali, e con un escamotage avrebbe potuto benissimo legittimare una dittatura. Fu Einstein a intervenire per calmare l’amico e a condurlo via. Gödel si mise a studiare la teoria della relatività. E la divisione degli eventi tra passato e futuro fu un altro argomento di discussione molto acceso tra i due. L’approfondimento di Gödel sulla teoria della relatività generale diede vita a un nuovo modello di universo, che non è in espansione ma in rotazione. Ma Einstein ascoltò questo concetto in un momento della sua esistenza in cui aveva ormai la testa da altre parti: stava creando la sua teoria della grande unificazione, e nulla d’altro gli importava. Erano i suoi ultimi mesi di vita. Kurt Gödel morì ventitré anni dopo Albert Einstein, all’ospedale di Princeton. Si lasciò morire. Semplicemente, smise di mangiare, perché la paura di essere avvelenato aveva raggiunto livelli non curabili, e aveva preso il sopravvento sulla ragione. Extra capitolo α – La musica Kurt Gödel scrisse una lettera in cui raccontava di ascoltare spesso Einstein suonare il violino. Le sue parole furono: «Ci sono molti musicisti con una tecnica decisamente migliore, ma credo che non ci sia nessuno che tocchi più sinceramente o più profondamente di Albert Einstein le corde di un violino». In un’occasione si trovavano entrambi alla Princeton University Orchestra, e Gödel sentì Einstein suonare insieme a un maestro di

violino, un certo William Rustel. Suonavano il Concerto per due violini in re minore di Bach. Dal 1952 Einstein divenne il vicepresidente della Symphony Orchestra di Princeton, e spesso lui e Gödel andavano insieme ai concerti. Fra i trascorsi musicali di Einstein, uno di quelli di cui andava più fiero fu quando lui, Artur Schnabel, pianista e compositore, e Max Planck, il fisico tedesco che lo accompagnò nella nascita della fisica quantistica, improvvisarono delle suonate. Si racconta in particolare di una serata in cui suonarono Mozart, forse la Sonata per violino e pianoforte in mi minore n. 21 K 304. Anche Paul Michael, un compositore d’avanguardia e violinista di successo, in occasione del centoventicinquesimo anniversario della nascita di Albert Einstein, nel 2004, invitato alla German Physical Society la suonò in suo onore. Sempre con Mozart Einstein si distrasse durante un duro momento di incertezza dei suoi studi di fisica, rispondendo all’invito del direttore d’orchestra Nicholas Harsanyi presso la North Carolina School of the Arts. Einstein partì e si unì alla Piedmont Chamber Orchestra, e insieme suonarono il Quartetto in sol maggiore n. 3 K 156 di Mozart. In seguito Harsanyi si trasferì anche lui a Princeton dove ottenne la cattedra alla Westminster Choir School, e i due occasionalmente si frequentarono, soprattutto durante le serate del mercoledì in Mercer Street. Una sera andò a casa di Einstein anche Valentine «Valya» Bargmann, matematico e fisico teorico della Princeton University, e tutti e tre si dedicarono allo studio di un brano che poi eseguirono in pubblico alla Trenton and Madison Symphonies: era la Sonata in sol maggiore K 301 di Mozart. A loro si unirono Eugene Ormandy, Fritz Reiner, George Szell, Antal Doráti e Georg Solti. Quando Frank E. Taplin e sua moglie li ascoltarono, vollero a tutti costi invitarli alla Marlboro School of Music. Ci andarono.

t

Caro dottor Einstein, sono una bambina di nome Chiara, ho un cagnolino della stessa mia età, in totale abbiamo 14 anni. Vorremmo chiederle come mai viviamo attaccati al pavimento, e non sui muri. Perché tutto va verso il basso? C’è una calamita sotto? Cosa ci tiene giù? Grazie per la risposta, Chiara da Genova

Cara Chiara, il dottor Einstein è la persona più adatta a cui fare questa domanda. Lui ha riflettuto a lungo sui meccanismi elementari descritti da Newton (ricordi la mela che gli è caduta in testa?). E la cosa che lo turbava, dopo aver esposto la sua teoria della relatività ristretta, era di non essere riuscito a includere la gravità nei suoi ragionamenti. Poi, grazie appunto alle sue riflessioni su quanto Newton aveva descritto, ha incluso la gravità nella sua teoria successiva, la teoria della relatività generale. La gravità può essere vista come accelerazione verso il basso, come dici tu. O più in generale la gravità è la forza di attrazione. Due corpi si attraggono, e quello che si sposta verso l’altro è sempre quello dei due che ha la massa minore. Nel tuo caso, tu e il tuo cagnolino avete massa minore rispetto alla Terra, e quindi siete voi ad andare verso il centro della Terra, e non il contrario. Ma la forza è in entrambi i sensi. I ragionamenti di Einstein relativi alla gravità sono molto ampi. È proprio il gravitone ad averlo turbato, e ad avergli fatto passare nottate insonni. Un altro degli argomenti che fa parte dell’eredità di Einstein e che oggi sono all’ordine del giorno. Ora ti racconto tutto. Il problema più grande che la fisica sta affrontando da oltre un secolo è l’incompatibilità tra le due più importanti teorie di sintesi, due veri pilastri della conoscenza: una descrive il macrocosmo (la teoria della gravitazione interpretata dalla relatività generale di Einstein, che rivoluziona il pensiero di Newton) e l’altra il

microcosmo, il mondo delle particelle elementari (rappresentato dalla meccanica quantistica), quest’ultimo inserito nel contesto di una teoria, il cosiddetto «Modello standard», che prevede l’esistenza di un vero e proprio zoo di tali particelle e le colloca in un quadro coerente e autoconsistente. Entrambe funzionano benissimo nel proprio campo di applicabilità ma insieme non possono coesistere. Il Modello standard raccoglie e in un certo senso unifica nella loro descrizione tre delle quattro interazioni fondamentali della natura: la forza nucleare forte, che rende stabile la materia, la forza elettromagnetica (responsabile della radiazione elettromagnetica, come la luce) e la forza debole, responsabile quest’ultima dei fenomeni che coinvolgono la radioattività o che regolano la fusione termonucleare nel Sole. Resta fuori la quarta, l’interazione gravitazionale, la più debole di tutte. Se rapportata all’intensità di quella nucleare forte, essa è un millesimo di miliardesimo di miliardesimo di miliardesimo di miliardesimo più debole. Ciascuna di tali interazioni è identificata dalla relativa particella mediatrice, che viene denominata «bosone». Ad esempio, nell’interazione elettromagnetica due elettroni possono interagire fra loro scambiandosi un fotone, che rappresenta il quanto fondamentale del campo corrispondente. Per l’interazione forte, il bosone mediatore è il gluone e per quella debole i bosoni W e Z. Se l’interazione gravitazionale (meglio chiamarla così perché il concetto di forza in questo contesto rimanda a una concezione troppo... classica) dovesse rientrare nel quadro coerente del Modello standard, anch’essa dovrà essere descritta come le altre tre, ma si può sperare di giungere a una sorta di unificazione fenomenologica tra le quattro interazioni fondamentali. E il bosone mediatore cercato in una ipotetica e auspicata teoria della gravità quantistica viene chiamato «gravitone». Sono essenzialmente due i rami in cui si sviluppa la ricerca in tal senso: uno è quello della cosiddetta gravità quantistica a loop, una teoria sulla struttura intima dello spaziotempo, l’altro è quello della teoria delle stringhe, un modo rivoluzionario di interpretare la suddivisione ultima in componenti delle particelle elementari (modi di vibrazione di stringhe infinitesime, che identificano le varie particelle).

La scoperta delle onde gravitazionali – ulteriore conferma delle geniali intuizioni di Einstein – potrebbe in un certo senso facilitare lo studio di una teoria quantistica della gravità in conformità con le onde elettromagnetiche, identificate a livello quantistico dal fotone. Ma si tratta solo di un’analogia al momento puramente speculativa. Di fatto, una teoria quantistica della gravitazione non toglierebbe alcun pregio al formidabile pensiero che sta dietro la gravitazione di Einstein. Ne estenderebbe anzi il campo di applicazione alle strutture più microscopiche (per esempio, nella definizione della struttura infinitesima dello spazio-tempo) e la renderebbe compatibile con la meccanica quantistica. Tutte le teorie fisiche di sintesi in massima parte sono estensioni di altre teorie a campo più ristretto. Pensiamo alla relatività speciale, che sacrifica il concetto di tempo assoluto estendendo la fisica di Galilei e la meccanica nel suo complesso a sistemi dotati di velocità confrontabili con quella della luce; o alla stessa relatività generale, che amplia la fisica gravitazionale newtoniana fino a comprendere corpi massivi che hanno influenza sulla geometria dello spazio-tempo, dando inizio alla cosmologia moderna. Oppure alla teoria dell’elettromagnetismo di Maxwell, che unifica in una mirabile teoria matematica una miriade di fenomeni legati all’elettricità e al magnetismo. Nel caso della gravità quantistica, si arriverebbe a una delle più grandi sintesi del pensiero mai immaginate e aprirebbe scenari di indagine attualmente nemmeno ipotizzabili. In realtà, si potrebbe ritenere che anche separate, le due teorie fisiche mostrino comunque la loro efficacia: esisteranno poi davvero campi in cui entrambe si fondono in un’unica grande teoria fisica unificata? La risposta è affermativa. Ad esempio, in un buco nero, un aspetto matematico della relatività generale di cui si intuiscono gli effetti ma che fino a poco tempo fa non era pensabile poter osservare, proprio per come esso è definito: un pozzo gravitazionale talmente profondo e potente da non lasciar sfuggire nemmeno la luce. Nell’aprile del 2019 l’ombra di questo oggetto mostruoso finora solamente immaginato è stata fotografata, a 55 milioni di anni luce di distanza dalla Terra. E Einstein avrà sempre ragione, perché la

gravità non l’ha mai trascurata. Torniamo allora ad Albert Einstein. Se oggi fosse in vita, parlerebbe molto volentieri con gli scienziati che lavorano agli acceleratori di particelle, me lo immagino già lì in piedi vicino all’LHC di Ginevra con la sua pipa in mano a far domande. Ai suoi tempi, una delle persone con cui Einstein discorreva di gravità e accelerazione era Michele Besso, l’ingegnere suo amico prediletto all’epoca del Politecnico di Zurigo. I due rimasero amici per tutta la vita, e anche a distanza continuarono a discutere di gravità tramite lunghissime lettere. Il giorno della morte di Besso, avvenuta un mese prima della sua, Einstein scrisse alla moglie per fare le condoglianze alla famiglia: «Ora ha lasciato questo strano mondo prima di me. Non significa niente. Per noi fisici credenti, la distinzione tra passato, presente e futuro non è che un’illusione cocciuta e persistente». Fu a Michele Besso che Einstein confessò di pensare alla gravità anche negli ultimi anni della sua vita, e la cosa in parte lo appagava e in parte lo tramortiva. È interessante questo passaggio di una delle ultime lettere, indirizzata all’amico: «Sto ancora lottando con gli stessi problemi di dieci anni fa. Ottengo buoni risultati nelle cose piccole, ma la vera meta resta irraggiungibile, anche se a volte pare quasi di poterla toccare. È un’impresa ardua ma gratificante: ardua perché la meta è al di là delle mie forze, gratificante perché mi distoglie dalle preoccupazioni della vita quotidiana». Extra capitolo t – La musica Elsa Einstein fu la seconda moglie di Einstein, nonché sua cugina. Elsa scrisse in una testimonianza che, quando era ancora bambina, si era innamorata di Albert Einstein perché lo aveva ascoltato suonare una sonata di Mozart al violino in un modo incantevole. Lo aveva sentito suonare Mozart, la Sonata per violino n. 26 in mi maggiore K 378. E così, quando divennero marito e moglie, nella loro casa di Princeton su Mercer Street gli chiedeva spesso di suonare quella melodia per ricordare la loro infanzia.

Anche alla morte di Elsa, avvenuta tre anni dopo il trasferimento a Princeton, nel 1936, Einstein la suonò.

c

Caro dottor Einstein, il mio papà e io vogliamo costruirci un razzo per andare su Marte o Venere. Speriamo che verrai anche tu. Abbiamo scelto te perché ci serve un bravo scienziato e uno che sa guidare bene un razzo. Ti dispiace se portiamo anche Mary? Ha due anni. È una bambina molto simpatica. Per il cibo ognuno dovrà pagare per sé, si capisce, perché se paghiamo tutto noi andiamo in rovina! Se vieni, spero proprio che farai un buon viaggio. Con affetto, John, Culver, Indiana

Caro John, so che Albert Einstein ti ha già risposto, e quindi non posso che essere rassicurata del fatto che anche lui ti abbia invogliato a costruire il tuo personalissimo razzo. Nel caso tu non ci riesca, non ti preoccupare, c’è chi ne sta preparando uno molto grande, per poterci salire sopra tutti insieme. A proposito del ritorno, tranquillo, c’è già chi guida, al massimo faranno dei turni. Infine, certo, l’affetto è corrisposto. Per quel che riguarda Marte, la novità dei giorni nostri è che è un obiettivo certamente raggiungibile nel breve termine. Mentre su Venere non ci giurerei. Quindi, su Marte, ho pensato bene di dare qualche informazione a riguardo, in questo capitolo. Innanzitutto perché nel giro di poco tempo sarà una meta reale, e poi perché per chi studia l’universo non può che essere interessante sapere qualcosa in più di questo pianeta così suggestivo da incuriosire chiunque. Anche in questo mio racconto c’è lo zampino di Einstein. Nel suo gioco preferito di quando era piccolo, un Sistema solare grande come un televisore, e dotato di palle rotanti disposte su

orbite girevoli con al centro il Sole, Marte era il pianeta che lo incuriosiva di più. Quando sono stata alla NASA, in California, poco tempo fa, sono entrata nell’enorme padiglione dedicato a Marte e ci sono rimasta per quattro ore, completamente affascinata da quel viaggio su un pianeta nuovo e inesplorato, come fossi realmente lì. Non trovo strano, quindi, l’interesse diffuso per un imminente turismo spaziale su Marte. Barack Obama aveva indicato il 2030 come limite massimo per andarci. Elon Musk lo ha anticipato al 2024. Mancano pochi anni, è bene essere preparati. Ecco la prima guida essenziale per andare su Marte. Una sorta di Lonely Planet del pianeta rosso, una innovativa Rough Guide on Mars. Cosa sapere prima di partire – I tramonti su Marte non sono rossi, ma azzurri. Le radiazioni emesse sono ancora in fase di studio. La densità dell’atmosfera è un centesimo di quella terrestre, i venti che si creano non possono essere potenti. L’acqua su Marte è evaporata a causa dell’atmosfera rarefatta. Tre mesi per andare e tre per tornare, tenete conto quindi di un anno. Periodo migliore – Anche su Marte esistono Polo Nord e Polo Sud. In inverno, il termometro precipita fino a –125 °C tanto che l’anidride carbonica si condensa in ghiaccio, sulla superficie. Il processo si inverte in estate, quando la CO2 sublima ritornando nuovamente nell’atmosfera. Cosa vedere – Fate visita all’enorme cratere Gale, del diametro di circa 220 km, la cui base è frastagliata di canyon: è come essere in Arizona. Salite sul monte Sharp, passando per Sulfate Bearing Unit, un’area solforosa di grande impatto. Scendete nella Gediz Vallis, entro cui scorre il canale originato dai depositi alluvionali. Esplorate Greenheugh Pediment, un falsopiano dalle forme più strane. Non perdetevi Noctis Labyrinthus, le dune fantasma. Dedicate un mese alla salita sul Monte Olimpo, alto tre volte l’Everest, e largo da Roma a Milano, facendovi largo tra una dozzina di altri vulcani, sempre altissimi. Il motivo: la forza di gravitazione è più bassa rispetto alla

Terra. Come vestirsi – La gravità su Marte è un terzo di quella della Terra, è necessario avere una tuta con rinforzi strategici; attenzione a non bucarla, si violerebbero i principi di conservazione dell’energia, e vi trovereste a subire una spinta in direzioni imprevedibili. Perché fare il viaggio – Per spirito di esplorazione, perché Marte è lì, per essere tra i primi, per favorire il progresso tecnologico. Elon Musk ha affermato che basterebbero 100 000 dollari a persona. Poi però lì non si spende quasi niente. Continuate così, restate curiosi. È quello che vuole Einstein. Extra capitolo c – La musica E ora è il momento di approfondire un po’ meglio questo legame con la musica, con un po’ di aneddoti sparsi. Il legame con Marte ci arriva direttamente da Einstein, che sosteneva che la musica è universale, come la fisica, e così musica e fisica un giorno finiranno anche su Marte, diceva. In un tempo pre-iTunes, Albert Einstein combatteva la sua personalissima lotta per portare materialmente la sua musica ovunque andasse. Per questo girava sempre con il suo violino. Ora però devo svelare una cosa: non aveva un solo violino, nella sua vita ne ha posseduti parecchi, ma quello che cambiava di rado era la custodia. Raramente si è spostato per qualche viaggio senza la sua vecchia custodia per violino. Non c’era dentro sempre lo stesso strumento ma tutti li chiamava Lina, il piccolo violino. Durante i suoi viaggi, portava Lina a suonare musica da camera nelle serate e organizzava gruppi musicali in qualsiasi città si trovasse. Grazie alla musica si era fatto nuove amicizie, e con loro suonava, suonava, e poi alla fine riprendeva sempre a raccontare la sua fisica. Aveva una sorta di avversione nei confronti della musica meno organizzata e più emotiva della fine del XIX secolo, e un compositore su tutti lo faceva imbestialire: Wagner. «La maggior parte delle volte,

odio sentirlo». Talvolta si rivolgeva direttamente a lui, per lanciargli i suoi improperi. Come ho già raccontato, quando si stabilì a Princeton, organizzava ogni mercoledì delle serate musicali. Einstein evitava accuratamente di prendere impegni il mercoledì, e cercava di tornare dai viaggi apposta per quelle serate. Nelle notti di Halloween, usciva per strada per sorprendere i bambini che andavano in giro per fare dolcetto o scherzetto, per spaventarli con improvvise serenate di violino. Era un gioco tra lui e i bambini che lo divertiva parecchio. A Natale, usciva in strada per unirsi ai cori ambulanti, e si mescolava con la gente che cantava le tipiche canzoni natalizie. Una delle prime lettere che Einstein spedì a Mileva, prima ancora che diventasse sua moglie, era sulla musica. A lei confidava i suoi compositori preferiti, e in particolare si dilungava sulla sua passione per Bach; riempiva pagine e pagine di lettere, solo per parlare di Bach. La lettera si chiudeva con un Kyrie dalla Messa in si minore di Bach, e il disegno sul pentagramma di come suonarla. In seguito, una volta insieme, la suonarono realmente. Lui al violino, lei al pianoforte. Durante i tour e le conferenze in Giappone, Einstein era riuscito a occupare il suo tempo libero chiedendo direttamente agli organizzatori delle conferenze di trovargli di tappa in tappa nuovi compagni musicisti per le sue esecuzioni serali. Divideva il suo tempo tra i discorsi sulla fisica e suonare il violino. Un articolo uscito sulla stampa giapponese racconta di una cena durante la quale Einstein fu invitato a suonare, ma siccome aveva molta fame, si alzò in piedi e continuò a mangiare pane mentre deliziava tutti con la sua musica. Aveva scelto Beethoven: la Sonata violino e pianoforte n. 9, la Sonata a Kreutzer. Quando Einstein visitò Gerusalemme fu accolto a braccia aperte in diverse scuole. La mattina teneva lezioni, anche tra i ragazzi giovani. Uno di questi ha raccontato di una sera in cui Einstein si era intrattenuto due ore con alcuni di loro per suonare un quintetto di Mozart, il n. 4. Einstein ricordava questo quintetto per archi suonato

in terra israeliana come il suo preferito, e diceva che gli israeliani avevano molto orecchio per la musica, più di tanti altri. Quando Einstein cercava dei matematici che lo aiutassero con la sua teoria della relatività generale, ne trovò due che gli diedero consigli importanti: Richard Courant e David Hilbert, entrambi tedeschi. Hilbert aveva una famiglia molto numerosa, e le cugine erano abilissime suonatrici di archi. A una festa, quasi a conclusione della scrittura della teoria della relatività, come forma di liberazione dopo tanta fatica Einstein chiese che venisse suonata la musica che preferiva in quel momento, e le cugine di Hilbert lo accontentarono. Suonarono per tre ore con lui. In particolare, si racconta di un momento molto toccante durante l’esecuzione del Quartetto per pianoforte in mi bemolle maggiore di Beethoven. Marian Anderson Serenades è stata una famosa cantante nera, un contralto celebre in tutto il mondo. Marian Anderson subì una serie di discriminazioni e atti di intollerabile razzismo, nonostante fosse una delle voci più grandi del XX secolo in America e in tutta Europa. Era una donna di colore, e malgrado la sua celebrità le venne negato l’accesso a molti hotel americani, anche durante le sue tournée. Albert Einstein si propose di ospitarla personalmente a casa. E lei accettò in diverse occasioni, quando doveva suonare a New York o dintorni. Il brano della Anderson che Einstein preferiva, e che lei cantava in queste occasioni, era Il canto del cigno di Schubert, un ciclo di quattordici lieder. Albert Einstein si metteva al pianoforte per accompagnare la sua voce. Tra le registrazione trovate all’Institute for Advanced Study di Princeton e ancora lì custodite, perché messe in ordine da Helen Dukas, ce ne sono alcune molto particolari. L’ascolto dei pezzi fa presumere che fossero presenti uno o due strumenti, probabilmente violino e pianoforte, in luoghi all’aperto. Ecco, nella Sonata per violino in la minore n. 1 di Schumann, Einstein aveva messo molta enfasi. Tra i compositori preferiti da Einstein c’era, come ho detto, Bach. Di lui amava il fatto che fosse il padre e il maestro della fuga. In una

lettera al suo secondo figlio Eduard, Einstein chiese di andarlo a trovare in America e di portare con sé una raccolta di musiche di Bach intitolata Piccolo libro di Anna Magdalena Bach, una sorta di raccolta messa insieme da Bach per la seconda moglie. Einstein voleva suonarla con Eduard. La cosa non venne mai messa in pratica, ma il quaderno arrivò comunque a destinazione.

e

Caro Albert Einstein, ho una domanda a cui non so dare risposta: uno scienziato prega? Grazie se me lo dice, Thomas da Trenton, New Jersey

Caro Thomas, so che Albert Einstein ti ha risposto con una frase che è ormai nella leggenda. Eppure... pensa che lui da ragazzo non sopportava l’idea di un Dio personale, la riteneva una forma di ingenuo antropomorfismo. Ma poi con il tempo si è ricreduto. Scrive Max Born che dopo una visita ad Einstein nella sua casa di Mercer Street, durante gli ultimi mesi della sua vita, lo vide cambiato, e lo trovò «scemo». Scrive proprio così Born, «scemo». Il fatto è che lo vide mentre credeva di parlare con Dio. In età adulta, infatti, Einstein ebbe un ripensamento e ammise l’esistenza di un Dio personale. Disse: «Chiunque faccia scienza si convince che le leggi della natura manifestano uno spirito immensamente superiore a quello umano, davanti a cui noi, con le nostre modeste facoltà, non possiamo che essere umili». Einstein pensava che se esiste qualcosa di divino nell’universo, deve farsi strada tra di noi ed esprimersi tramite noi, e soprattutto senza che noi facciamo niente. Einstein ha sempre creduto in tutto ciò che è scientificamente provato, ma ha aperto una porta nei confronti di qualcosa o qualcuno con cui poter parlare, al di sopra di tutto. Diceva che se ipotizziamo l’esistenza di un essere intangibile, questo non faciliterà la comprensione dell’ordine che troviamo nel mondo tangibile. Nella storia del pensiero, le parole di Albert Einstein rappresentano uno di quei momenti critici che forniscono una nuova visione del mondo. Einstein ha rivoluzionato il pensiero comune.

Diceva cose che nessuno pensava. E le disse per primo. Oggi molto di quello che era il suo credo è entrato nel linguaggio comune, ed è la cosa più bella che potesse succedergli. Durante il periodo americano non ha smesso un attimo di diffondere le sue convinzioni più profonde, in maniera pura, candida. Con ogni mezzo. Alcune sono racchiuse in frasi che oggi troviamo sui social network, o come fonte di ispirazione motivazionale. Purtroppo a volte se ne appropria la politica, altre volte sono inventate di sana pianta. Ciò che resta è una cosa bellissima: se ci fate caso, non passa giorno che Einstein non venga citato da amici, conoscenti, in televisione, ovunque. A me piace andare a memoria, e ricordare le frasi che si sono sedimentate dentro di me. Perché le sue parole restano, è questa la sua potenza. Ho raccontato del suo percorso tormentato, del suo essere come l’aragosta; c’è un pensiero tra tutti che racconta come Einstein ha vissuto questa condizione in prima persona: L’amaro e il dolce vengono dal di fuori, il difficile dall’interno, dai propri stessi sforzi. Faccio perlopiù quello che sono spinto a fare dalla mia stessa natura. È imbarazzante raccogliere in cambio tanto rispetto e amore. Anche contro di me sono state scagliate frecce di odio; ma non mi hanno mai colpito, perché in qualche modo appartenevano a un altro mondo, con il quale non ho niente da spartire. Vivo in quella solitudine che è dolorosa in gioventù, ma deliziosa negli anni della maturità.

Nelle parole di Einstein c’è sempre stata una propensione a guardare al futuro, all’andare oltre. Einstein consigliava di cercare, di essere curiosi, voleva che tutti si facessero più domande. Se i grandi del XX secolo avessero accettato solo quello che c’è scritto sui libri di scuola, non avrebbero mai creato la fisica quantistica. Eppure in quegli anni la fisica classica era la teoria che forniva la spiegazione alle cose che ci circondando. Se Einstein non avesse preso per buona la formula di Planck e non l’avesse ipotizzata per fare nuovi pensieri, non si sarebbe arrivati alla creazione del chip al silicio, e quindi dei computer. Eppure, ai suoi tempi, tutti dicevano che era impossibile pensare diversamente dalla fisica classica. Ma lui non lo

sapeva. Cioè, lui non seguiva il pensiero dei più, o del resto della comunità scientifica. Un altro degli argomenti che più gli stavano a cuore era l’istruzione scolastica. La scuola, il luogo per eccellenza dove le menti si formano. Einstein era molto critico nei confronti del sistema scolastico. Quello che visse a Berlino stava al primo posto nella classifica delle cose che non tollerava. Troppe regole, gente che non si poneva domande, tutti che eseguivano a testa bassa. Einstein diceva che per crescere i ragazzi devono avere bisogno esattamente del contrario. «La scuola è sempre stata il mezzo più importante per tramandare da una generazione all’altra la ricchezza della tradizione. [...] La personalità non si forma con quello che si sente e si dice, ma con l’applicazione e l’azione. La scuola però non deve produrre soggetti passivi. [...] Basta dotare gli insegnanti del minor numero possibile di strumenti coercitivi, in modo che per essi l’unica fonte di rispetto da parte dell’alunno siano le loro qualità umane e intellettive». Einstein sosteneva che nulla di quello che a scuola viene imposto da mandare a memoria era utile, che le cose da imparare a memoria si possono benissimo copiare o cercare in un’enciclopedia, senza che nulla sedimenti dentro. Diceva: «L’istruzione è cio che rimane dopo che si è dimenticato tutto ciò che si è imparato a scuola». Era un grande sostenitore dell’apertura verso più discipline. Diceva che non può esserci una formazione specialistica dopo gli anni del liceo. Lui invogliava gli studenti a seguire il proprio flusso, senza dover scegliere in giovane età un indirizzo di studi. Se poi sceglievano la fisica, tanto meglio. Einstein invogliava chiunque ad avvicinarla, a capirla, a studiarla per se stesso. Diceva che al mondo è un’ingiustizia che tutti siano filosofi, e i fisici siano pochissimi. Contrapponeva le due discipline. «Il fisico non può semplicemente lasciare al filosofo la considerazione critica dei fondamenti teorici; perché è proprio lui che sa meglio di tutti e percepisce con maggiore precisione che cosa non vada». Diceva che il fine della scienza – di questo concetto se ne sono appropriati i filosofi – è da un lato la comprensione, il più completa possibile, del

rapporto tra le esperienze sensoriali nella loro totalità, e dall’altro il conseguimento di questo fine mediante l’uso di una quantità minima di concetti primari e relazioni. La fisica è creatività, diceva Einstein, ed è un’altra cosa. «Vivevo in solitudine in campagna e notai come la monotonia di una vita quieta stimoli la mente creativa». Einstein consigliava la vita monotona, la vita ripetitiva, anche per stimolare la creatività. Il suo lavoro all’Ufficio brevetti di Berna era la dimostrazione della sua teoria. E diceva: «L’immaginazione è più importante della conoscenza». Ma non solo. Diceva di più: «La più bella sensazione per un uomo è il lato misterioso della vita. È il sentimento profondo che si trova sempre nella culla della scienza pura e dell’arte. Chi non è più in grado di provare stupore e sorpresa è morto; i suoi occhi sono spenti». E poi spingeva tutti a cercare dentro se stessi la propria strada, per il pieno appagamento personale, lontano dalle critiche o da come la società ci vorrebbe. Diceva che chiunque creda solo nella propria vita o in quella di altri che gli sono vicini, è un uomo infelice. Sosteneva a gran voce ogni forma di appagamento personale, senza dover rispondere a nessuna logica, solo alle esperienze sensoriali. Einstein diceva che la curiosità è una piantina delicata, che ha bisogno, oltre che di stimoli, di libertà. «Il matrimonio è il tentativo fallimentare di trasformare un caso in qualcosa di duraturo», ecco una delle sue frasi definitive. Ma anche sugli altri legami si esprimeva più o meno negli stessi termini. «Conosco ormai l’incostanza di tutti i rapporti umani e ho imparato a isolarmi dal freddo e dal caldo in modo da garantirmi comunque un buon equilibrio termico». Nel 1933, quando Einstein arrivò a Princeton, il suo primo stipendio all’Institute for Advanced Study era di 15 000 dollari all’anno e prevedeva una pensione annua di 5000 dollari. L’istituto ai tempi si trovava all’interno del giardino dell’Università di Princeton, in una zona chiamata Fine Hall, che oggi si chiama Jones Hall, e

attualmente è sede dell’Istituto per gli Studi sull’Estremo Oriente. Nel 1940 Einstein traslocò nella parte più rurale di Princeton, intorno non c’era niente. L’edificio è ancora lì, ma nelle vicinanze c’è qualche costruzione in più e i campi sono curati. In mezzo al verde dietro all’Istituto, Einstein fece le sue più grandi riflessioni. Quando venne assunto il direttore era Abraham Flexner, un uomo molto protettivo nei suoi confronti, e questo lo infastidiva molto. Proprio l’idea di essere protettivi verso qualcuno o qualcosa lo innervosiva. Così come non tollerava l’uso del «noi», nelle frasi. Diceva che ognuno doveva parlare per sé, e non poteva generalizzare anche per altri. Una volta Flexner rispose a una lettera del presidente degli Stati Uniti Roosevelt, assumendosi la responsabilità di dirgli che una sua visita all’istituto avrebbe potuto nuocere a livello di sicurezza, visto che Einstein era già per altri motivi subissato da richieste di interviste, e inseguito dai fotografi. Quando Einstein venne a sapere che Flexner aveva risposto a Roosevelt senza consultarlo, scrisse personalmente al presidente dicendogli che per scusarsi sarebbe andato lui a trovarlo alla Casa Bianca. Il viaggio lo fece e non si mise i calzini. Quando qualcuno glielo fece notare, lui disse che faceva quello che gli pareva senza dover dare conto a nessuno. Si arrabbiava anche quando qualcuno voleva mettere mano ai suoi scritti, per una revisione prima della pubblicazione. Non sopportava alcuna forma di controllo, sotto qualsiasi forma. Non gli piaceva che i suoi manoscritti venissero rivisti. Nell’estate del 1936 inviò una memoria alla «Physical Review». Uno dei correttori di bozze gli mandò una lettera contenente dieci pagine di commenti al suo elaborato. Einstein pretese la restituzione della memoria e negò qualsiasi tipo di pubblicazione. Albert Einstein morì all’ospedale di Princeton, il 18 aprile del 1955. Dal suo corpo vennero asportati il cervello e gli occhi, e conservati per studi successivi. Senza nessuna autorizzazione. Furono Thomas Harvey e Henry Abrams, entrambi patologi, a praticare questo scempio. Il corpo di Einstein venne cremato a Trenton il giorno stesso della morte, e le sue ceneri disperse lungo il fiume Delaware. L’ultima persona che lo vide fu l’infermiera

dell’ospedale, Alberta Rozsel, che dichiarò al «New York Times»: «Trasse due respiri profondi e morì». Ma la parola «fine» la mise lui stesso, con una delle frasi che rimarranno nella leggenda della sua vita: «Con la fama divento sempre più stupido, un fenomeno molto comune d’altronde. C’è una tale sproporzione tra quello che uno è e quello che gli altri pensano che sia, o almeno quello che dicono di pensare che sia. Bisogna però prendere tutto con il buonumore». Extra capitolo e – La musica Bohuslav Martinů è stato un compositore ceco, poi naturalizzato statunitense, che ha scritto una vasta gamma di sinfonie, opere e balletti. È conosciuto in tutto il mondo per la sua musica travolgente, ma in pochi sanno che tra le sue composizioni ha dedicato le Five Madrigal Stanzas proprio ad Albert Einstein. Sia Martinů sia Einstein facevano lezione all’Università di Princeton negli anni quaranta, e quando Martinů scoprì che Einstein era in grado di suonare alcune sonate per violino di Mozart, scrisse questi cinque pezzi per lui. La velocità dei madrigali è da lenta a moderata, e permetteva all’abilità musicale di Einstein di esprimersi semplicemente. La parte per pianoforte invece è ambiziosa – Martinů la scrisse perché il pianista Robert Casadesus un giorno era presente ai loro ritrovi. Uno degli aspetti più belli di questi brani è che chiunque può suonarli, anche senza una competenza completa. E per stessa ammissione di Einstein, questi madrigali furono un regalo molto gradito dalla sua creatività.



Caro Einstein... questo gatto è giallo... la carta è marrone... e io spero che questa mia cartolina illustrata la faccia sorridere un po’. Pitt dal Kentucky

Caro Pitt, so che il dottor Einstein ti ha risposto, e so che la tua lettera gli era arrivata nell’ultima parte della sua vita, un periodo molto tormentato, quindi sicuramente ha sorriso grazie a te. In quel periodo, sui giornali uscivano articoli che raccontavano il suo insuccesso per la nuova teoria su cui stava lavorando, e in molti lo volevano finito. Malgrado non venga raccontato, Einstein anche a Princeton è stato prolifico. Il periodo americano di Einstein si chiude con l’approfondimento di tre argomenti scientifici, e il fervore con cui ha lavorato non è mai venuto meno. La cartolina illustrata con il gatto che sorride, ti assicuro che l’ha fatto molto divertire, se non altro perché gli faceva venire in mente il gatto di Schrödinger. Ora qui entro nel dettaglio di ciò che ha studiato per ultimo. Gli studi scientifici su cui si è cimentato nell’ultima parte della sua vita, in America. Tutte cose che non lo facevano per niente sorridere, anzi. E con l’occasione qui racconto anche le cose che ho tralasciato nel resto del libro, e che fanno parte della sua eredità scientifica, di cui tutti oggi studiamo conseguenze e applicazioni. Tra i lavori che Einstein ci ha lasciato, prima di tutto, c’è il moto browniano. «Browniano» significa movimento disordinato di particelle molto piccole (del diametro di un micron, circa) presenti nei fluidi e che si possono guardare solo al microscopio. Einstein ha modellizzato questo moto, in uno dei suoi articoli dell’annus mirabilis 1905 (in tutto sono stati sei, nel giro di sette mesi). Einstein ne ha dato una spiegazione matematica – in questo consiste il modello – in

grado di poter descrivere efficacemente una classe più ampia di fenomeni casuali. Avendo a cura la generalizzazione, Einstein voleva sempre creare teorie più grandi che inglobassero tanti fenomeni. La parola «fisica» deriva dal greco physis, che significa «natura»: la fisica è quindi la scienza che studia i fenomeni naturali, e tra i suoi scopi c’è quello di capire le relazioni tra i vari fenomeni che si osservano (usando la matematica). Più si generalizza un modello che contiene i vari casi, più si è vicini all’obiettivo di creare una teoria che racconti le cose che vediamo, partendo da ipotesi e osservazioni reali (questo è il metodo scientifico). Nel caso che ho prima citato, la sua modellizzazione matematica è stata tra i grandi successi che ancora oggi gli vengono riconosciuti. E le sue applicazioni nella nostra vita di tutti i giorni sono tantissime. Il desiderio di capire le molecole, e darne una definizione, portò definitivamente Einstein alla scrittura della teoria sul moto browniano che ancora oggi viene utilizzata. Di nuovo, Einstein si è fatto domande che nessuno si era posto. Ha attribuito la causa degli urti dei granuli di polline con le molecole d’acqua, mosse da agitazione termica, a questo moto disordinato. Ma quello che sembrava solo una trattazione matematica non lo era. La teoria di Einstein sul moto browniano è stata ripresa dal matematico francese Louis Bachelier per la sua tesi di dottorato, e ne ha ricavato l’andamento dei titoli della Borsa di Parigi. E questo è solo uno dei tanti esempi che si possono fare: lascio al lettore il gioco divertente di trovarne altri. Poi c’è l’effetto fotoelettrico. Lo studio di questo fenomeno ha permesso ad Einstein di vincere il premio Nobel per la fisica nel 1921. L’effetto fotoelettrico è un fenomeno che consiste nell’emissione di elettroni da parte di una superficie di metallo, quando questa viene colpita da una radiazione elettromagnetica, quindi da fotoni con una ben precisa lunghezza d’onda. Einstein nel 1905 partì da alcuni dati sperimentali (li aveva presi da un esperimento del fisico Philipp von Lenard, tra i suoi più grandi detrattori, oltre che nazista e per giunta maschilista – fu lui a impedire a Mileva Marić di sostenere gli esami per diventare fisica all’università di Heidelberg, in Germania, dove aveva la cattedra più

importante), e da questi dati sperimenti dedusse che la radiazione incidente possiede energia quantizzata. E così si può dimostrare l’esistenza dei quanti di energia (in seguito Arthur Compton mediante un esperimento con i raggi X dimostrò l’esistenza dei fotoni, e vinse il Nobel nel 1927). E tutto questo ha posto le basi per la nascita della fisica quantistica. I fotoni che arrivano sul metallo cedono energia agli elettroni dello strato più superficiale del solido; gli elettroni acquisiscono così l’energia necessaria per rompere il legame che li tiene uniti al metallo. In particolare, il fotone cede all’elettrone (effetto fotoelettrico, appunto) tutta l’energia in suo possesso. A questo punto l’elettrone spende parte dell’energia per rompere il legame e parte per aumentare il suo livello di energia cinetica e riuscire a uscire per abbandonare il metallo. E sono gli elettroni eccitati più vicini alla superfice ad avere la velocità più alta (maggiore energia cinetica). Una delle applicazioni dell’effetto fotoelettrico sono le cellule fotoelettriche dei cancelli automatici: c’è una radiazione che arriva su una superfice, si verifica l’effetto fotoelettrico, e ci si trova ad avere energia cinetica disponibile per azionare l’apparato meccanico. Altre applicazioni pensatele voi, per gioco. Facciamo un salto e arriviamo alla fine della vita di Einstein, per poi tornare ancora indietro a ritroso. È stata la grande teoria del campo unificato l’argomento che ha occupato la mente di Einstein per la maggior parte del tempo del suo ultimo periodo americano, il più proficuo dal punto di vista intellettuale. E prima ci sono le due teorie meno conosciute: il paradosso di Einstein-Podolsky-Rosen (EPR) e il ponte di Einstein-Rosen (ER). Anche queste due teorie hanno occupato la mente di Einstein fino alla fine dei suoi giorni. L’EPR è un esperimento mentale di Einstein che ha dimostrato l’entanglement quantistico. Lui, Boris Podolsky e Nathan Rosen dimostrarono che la teoria ortodossa di Niels Bohr sulla fisica quantistica, quella nata tra le mura di Copenaghen, deriva dal fenomeno dell’entanglement (entanglement significa «intreccio»). Secondo Einstein questo fatto era paradossale perché ritenuto incompatibile con la relatività ristretta e con il principio di località.

Einstein ipotizzò quindi la presenza di variabili nascoste, ma poi altre teorie gli diedero torto. Bohr rispose a questo paradosso dopo poco tempo; poi ci fu Schrödinger, che tirò fuori l’esperimento del gatto, e in seguito arrivò David Bohm (nel 1951) con una riformulazione del paradosso in termini più facilmente verificabili. Dopo ancora arrivò il teorema di Bell e l’esperimento sulla correzione quantistica di Aspect. Ma la questione non è ancora chiusa. Il ponte di Einstein-Rosen invece, detto anche wormhole, è un’ipotesi di conformazione dello spazio-tempo. C’è una scorciatoia, dicono Albert Einstein e Nathan Rosen, che ci permette di andare da un universo a un altro. E questo ci consentirebbe di viaggiare più velocemente di quanto impiegherebbe la luce a percorrere la stessa distanza ma in uno spazio reale. Il termine wormhole, che letteralmente significa «buco del verme», è stato coniato dal fisico John Archibald Wheeler nel 1957 perché aveva immaginato l’universo come una mela, con un verme che viaggia sulla sua superfice. La distanza tra punti opposti della mela è pari alla metà della sua circonferenza se il verme si muove sulla superfice della mela, ma se invece scava un buco attraverso la mela la distanza che deve percorrere per raggiungere un punto verso qualsiasi altra parte diventa inferiore. E la galleria che il verme scava è il cunicolo spaziotemporale di cui parla questa teoria. Ma è più suggestivo immaginare lo spazio-tempo come un lenzuolo elastico a quadrettoni e una palla di metallo che messa sopra ne deforma la struttura: in questo caso, il diagramma incapsulato di un wormhole di Schwarzschild è il più bello che si possa guardare. Per una più facile comprensione: nel film Interstellar di Christopher Nolan, che ebbe tra gli sceneggiatori il premio Nobel Kip Thorne, si vede benissimo questa rappresentazione, meglio che in altri film di fantascienza che l’hanno preceduto. Oggi ci sono tanti studi che tentano di mettere insieme queste due teorie. Einstein stesso ci aveva provato. Mettere insieme le due teorie vuol dire unire la fisica quantistica con i buchi neri. Sono tanti i gruppi scientifici attivi nella creazione di questa teoria che unisce i

due mondi all’apparenza così lontani, e tutte queste teorie a oggi sono valide, finché non si farà un esperimento che ne invalidi una (la fisica procede così, cercando errori, sbagliando). Vi ho accennato del fisico Juan Maldacena, che lavora a Princeton, e che ho incontrato: lui lavora in particolare a una di queste teorie. Quello che fa Maldacena è cercare di unificare EPR con ER, e il suo lavoro è una congettura. Lui afferma che le particelle entangled sono collegate da un wormhole (o ponte Einstein-Rosen o ponte ER), e questa congettura puo essere una base per unificare la relatività generale e la meccanica quantistica in una grande teoria del tutto. La congettura è stata proposta da Leonard Susskind e Juan Maldacena nel 2013. I due hanno ipotizzato che un wormhole equivalga a una coppia di buchi neri estremamente intrecciati tra di loro. In seguito ci sono state delle prove sperimentali, e poi sono state usate delle corrispondenze matematiche (chiamate AdS/CFT) per provare ulteriormente questa costruzione teorica. Susskind e Maldacena hanno immaginato di raccogliere tutte le particelle di Hawking e di farle collassare in un buco nero. Gli autori hanno poi spinto ulteriormente più avanti questa congettura pensando a qualsiasi coppia entangled di particelle (includendo nei loro ragionamenti anche le particelle che normalmente non sono considerate buchi neri e coppie di particelle con masse o spin differenti, o con cariche che non sono opposte) e le hanno messe in collegamento da un wormhole (nella scala di Planck, quindi nell’infinitamente piccolo). La loro congettura porta a una congettura più grande: la geometria dello spazio, del tempo e della gravità è determinata dall’entanglement. E qui mi fermo. Ora sta a voi proseguire con ulteriori approfondimenti, se la vostra curiosità ve lo impone. Torno ad Einstein, e alla sua eredità. Nella sua teoria della relatività generale, Einstein sostiene che la forza di gravità derivi da un campo gravitazionale. La materia dà origine a un campo gravitazionale che a sua volta agisce su altri corpi materiali, causando delle sollecitazioni di forze. Einstein aveva preso in considerazione queste forze mediante la curvatura dello spazio. Una situazione simile caratterizzava anche le particelle

cariche elettricamente: delle forze agivano tra loro, e si sarebbe potuto considerarle pensando che la carica elettrica dà luogo a un campo elettromagnetico, il quale a sua volta produce forze su altre particelle cariche. In questo modo, la materia e il campo gravitazionale sono esattamente analoghi alla carica elettrica e al campo elettromagnetico. Per tale ragione Einstein voleva creare una teoria unificatrice di tutte le forze. Una teoria che mettesse insieme al campo elettromagnetico anche la gravità. Il significato di questa teoria si comprende appieno solo quando ci si rende conto dell’importanza di queste forze primordiali, da cui tutti i fenomeni della natura dipendono. E di cui vi ho raccontato qualcosa nei primi capitoli. Einstein pensava di riuscire a creare una teoria dei quanti di luce, cioè una teoria sui fotoni, più importante di quella di Niels Bohr, e più completa. Da quella teoria avrebbe poi ricavato le leggi della realtà fisica. Voleva generalizzare il più possibile quello che già si conosceva, in modo da inglobare tutto all’interno della stessa teoria. La teoria della relatività generale gli era andata bene, dal punto di visto matematico, aveva trovato le chiavi giuste per raccontarla. Si era messo a studiare Riemann, Levi-Civita e Ricci, e aveva capito i tensori. Con i tensori aveva raccontato la matematica che c’era dietro alla sua teoria della relatività generale. Quel metodo geometrico si muoveva nello spazio quadrimensionale. Quello spazio, oltre alla curvatura, poteva tenere conto anche degli effetti gravitazionali. Tutto filava liscio. Ma poi gli vennero nuovi dubbi sulla gravità messa a paragone con le altre forze fondamentali della natura. E iniziò a tormentarsi, volendo unificare tutto. I giornalisti che lo avvicinavano, oltre a cercare frasi a effetto su di lui per farci titoli di giornali, gli ponevano domande sugli sviluppi di questa teoria unificatrice. E lui su questo non dava alcuna informazione. Alcuni lo prendevano in giro, addirittura. Ma lui continuò a lavorarci fino alla fine dei suoi giorni. Nel 1945 Einstein si dimise dal suo incarico come professore all’Institute for Advanced Study, ma conservò l’ufficio di diritto, e lui ci andava perlopiù per completare questa sua teoria. Ad aiutarlo nelle ricerche c’era la sua fidata segretaria, Helen Dukas, sua figlia Maja,

e anche Margot, la figlia della seconda moglie Elsa. Tutti e quattro vivevano nella casa di Mercer Street, e in particolare la Dukas eseguiva per lui le ricerche più ostiche. Mi piace l’idea di concludere il libro con il racconto di una vicina di casa, che abitava anche lei in Mercer Street. La signora era madre di una bambina di dieci anni, e questa bambina andava spesso a trovare Einstein. Con lui passava tante ore delle sue giornate. All’inizio, per non preoccupare la madre, la bambina le disse una bugia: le disse che andava a giocare a casa di un’amica. Ma quando la madre si accorse che la figlia non era dall’amica, la sera stessa la sgridò e le chiese la verità. La bambina ammise tutto: «Una volta non riuscivo a fare il mio compito di aritmetica, la gente dice che al numero 112 della nostra via vive un grande scienziato, che è anche un uomo molto buono, e così sono andata da lui per farmi aiutare a finire i compiti. Lui si è mostrato ben disposto e mi ha spiegato tutto molto bene. Quello che mi diceva era molto più facile da capire di qualsiasi spiegazione dei maestri a scuola. Mi disse anche che potevo andare da lui tutte le volte che volevo, e quando trovavo un problema troppo difficile da risolvere. E così io l’ho fatto. Tutto qui». Dopo il racconto di come erano andate le cose, la signora si precipitò fuori, e si mise a bussare alla porta di casa del grande scienziato Albert Einstein. Bussò, si fece aprire, e gli chiese immediatamente scusa per il disturbo che poteva avergli arrecato la figlia, tutte le volte che si era presentata da lui. Albert Einstein non accettò le sue scuse, la ringraziò e le disse: «Non è il caso che si scusi, e non si deve preoccupare di niente. Ho certamente imparato più io dalle conversazioni con la bambina di quanto non abbia fatto lei con me». Extra capitolo ∞ – La musica Si racconta che Hans Albert, il primo figlio di Einstein, avesse con lui una buona sintonia in fatto di musica. Hans Albert aveva orecchio musicale, e i due si trovavano molto d’accordo anche sulle scelte dei brani da suonare. Ricorda il figlio: «Ogni volta che sentiva di stare

per giungere alla fine di un percorso tortuoso senza aver trovato la soluzione, o di una situazione difficile al lavoro da cui era impossibile uscire vittoriosi, si rifugiava nella musica. Spesso mi chiamava e mi chiedeva di suonare con lui, e dopo le nostre suonate riusciva a risolvere tutte le sue difficoltà». Quando partì per l’America, Einstein spedì una lettera a Hans Albert in cui gli chiedeva di studiare con attenzione Giuseppe Tartini, in particolare la sua celebre sonata in sol minore – Il trillo del diavolo –, perché quando si sarebbero visti avrebbe avuto piacere di suonarlo con lui. Hans Albert seguì con diligenza i consigli del padre, e quando si incontrarono, infatti, era molto preparato su Tartini. Suonarono la sua musica, e Hans Albert si prese tutti i complimenti del padre per averla suonata con una perfezione impeccabile. Einstein ha continuato a suonare quasi fino alla fine della sua vita. Smise solo quando la sua mano non riuscì più a controllare l’archetto, e solo allora ripose la sua Lina nella custodia e non la toccò più. La lasciò in eredità al nipotino Bernhard. La moglie del compositore Robert Casadesus, che di nome faceva Gaby, era un’ottima pianista, e divenne molto amica di Einstein negli ultimi mesi della sua vita. I due vivevano a Princeton, e lo andavano a trovare spesso, soprattutto Gaby, da sola. I dialoghi tra loro furono molto proficui, e Gaby riuscì nell’insolita missione di tenerlo attivo mentalmente, con le sue continue domande. Fu Gaby a convincerlo a partecipare all’American Friends Service Committee, e quella fu l’ultima volta che Einstein fu visto suonare il violino in pubblico. Era un ritrovo di beneficenza e suonarono Bach, la Passione secondo Matteo. Gaby racconta della sua profonda commozione nell’ascoltare quella musica suonata dall’orchestra. Pochi mesi dopo la morte di Einstein, in suo onore, la Princeton University Orchestra, di cui era diventato vicepresidente dal 1952, si esibì in sua memoria. Con Robert Casadesus al pianoforte, suonarono per lui l’Actus Tragicus, cantata BWV 106 di Bach.

Einstein’s Music Box

Questa è la playlist di Albert Einstein, nella mia personalissima ricerca sulle musiche che suonava con il suo violino. Mi piace l’idea che anche voi, come faccio io, le possiate ascolare in cuffia durante le vostre attività. Ogni musica è legata a un aneddoto raccontato nel libro. JOHANN SEBASTIAN BACH

Actus Tragicus, BWV 106. Messa in si minore, Kyrie, BWV 232. Passione secondo Matteo, BWV 244. Sonate e partite per violino solo, BWV 1001-1006 Partita per violino solo n. 2 in re minore, BWV 1004. Sonata per violino e clavicembalo n. 3 in mi maggiore, BWV 1016. Concerto per due violini, archi e basso continuo in re minore, BWV 1043. Concerto per clavicembalo n. 1 in re minore, BWV 1052. GIUSEPPE TARTINI

Sonata per violino in sol minore, Il trillo del diavolo. WOLFGANG AMADEUS MOZART

Sonata per violino e pianoforte n. 26 in si bemolle maggiore, K 378. Concerto per violino e orchestra n. 3 in sol maggiore, K 216. Concerto per violino e orchestra n. 5 in la maggiore, Turkisch, K 219. Sonata per violino e pianoforte n. 21 in mi minore, K 304. Sonata per violino n. 18 in sol maggiore, K 301. Quartetto per archi n. 3 in sol maggiore, K 156. Quintetto per archi n. 4 in sol minore, K 516.

LUDWIG VAN BEETHOVEN

Sonata per violino n. 5 in fa maggiore, Op. 24, La Primavera. Quartetto per pianoforte in mi bemolle maggiore, Op. 16a. Sonata per violino e pianoforte in la maggiore n. 6, Op. 30 n. 1. Sonata per violino e pianoforte in la maggiore n. 9, Op. 47, Sonata a Kreutzer. FRANZ SCHUBERT

Il canto del cigno, D 957. ROBERT SCHUMANN

Sonata per violino e pianoforte n. 1 in la minore, Op. 105. JOHANNES BRAHMS

Sonata per violino e pianoforte n. 1 in sol maggiore, Op. 78. BOHUSLAV MARTINŮ

Five Madrigal Stanzas, H 297.

Appendice

Questi che seguono sono i voti di Albert Einstein quando frequentava il Politecnico di Zurigo. C’è poco da aggiungere, se non rimanere a guardare queste pagelle e immaginare la sua faccia quando le ha ricevute.

Note e ringraziamenti

Una buona storia ti dà la possibilità di capire meglio la vita di qualcun altro. Può aiutarti a trovare un terreno comune. A volte leggiamo delle storie per noi stessi, ci immedesimiamo e ci ritroviamo nei personaggi raccontati. A me questo processo di immedesimazione capita spesso, e mi è successo tante volte con i fisici del XX secolo di cui divoro le vicende attingendo dagli archivi dei centri di ricerca internazionali, dalle biografie ufficiali, dalle lettere che si spedivano, andando a trovare e parlando direttamente con i parenti e gli amici ancora in vita. Quando per la prima volta ho scritto della vita di Albert Einstein nel romanzo Einstein e io avevo delle certezze. Nel rileggere alcune righe di quel romanzo provo ora due impressioni stranamente contrastanti; quello che ho scritto è vero più che mai, nella sua essenza, ma in qualche modo anche remoto e strano. E così ho sentito l’esigenza di scrivere questo libro, per esprimere meglio la mia devozione nei confronti di Albert Einstein. Con il tempo ho capito nuove cose su di lui, e quel mio romanzo non bastava. Quando decido di scrivere un libro è come se mi nascesse dentro uno stimolo incontrollabile. L’esigenza è nata in me quando Freeman Dyson mi ha fatto soffermare su una affermazione di Einstein, che io stavo per dare per scontata: «Non ho mai sentito la necessità di avvicinarmi agli uomini e alla società in generale. Sono proprio un cavallo che vuol tirare da solo; mai mi sono dato pienamente né allo Stato, né alla terra natale, né agli amici e neppure ai congiunti più prossimi; anzi, ho sempre avuto di fronte a questi legami la sensazione netta di essere un estraneo e ho sempre sentito il bisogno di solitudine; e questa sensazione non fa che aumentare con gli anni». Proprio in quelle parole sono conservate le chiavi di accesso alle sue memorie,

e il legame tra il periodo europeo e quello americano. Gli altri fisici stanno cercando di unificare le forze fondamentali della natura, mentre io sto cercando di unificare quei suoi due periodi, così diversi della vita di Einstein. Ma torniamo a noi. Io credo che non si debba trascurare il senso di affettuosa incombenza che si prova, a volte, nei riguardi dei nostri predecessori. Una incombenza che fa cantare canzoni, girare film, e scrivere, appunto, libri. Le incombenze emotive vanno sempre assecondate. Se il nostro lavoro è pubblico, diventa di forte impatto per la società, e soprattutto per i giovani. I libri lo sono, il teatro lo è, e io di questo vivo. Il ricordo dei migliori del passato stimola chi è benintenzionato nel presente a uno sforzo coraggioso. Credo anche che sia dovere di chi viaggia e accumula esperienza fare tutto questo. Perciò il mio modo di lavorare per scrivere un libro è sempre lo stesso: vado sul posto, parlo con chi ne sa, mi faccio domande, cerco sul posto le risposte, ci penso per mesi, o anni, accumulo materiale, e poi scrivo. Albert Einstein si è distinto in modo eminente per il suo contributo allo sviluppo della vita culturale. Questo è il motivo per cui su di lui si continueranno a scrivere libri, e il suo mito continuerà a crescere ancora. Questo viaggio nell’eredità di Albert Einstein è iniziato fin da quando ero bambina. Parlavo con Einstein nella mia cameretta, con il poster che lo raffigurava e che tenevo appeso alla parete; era il mio amico immaginario numero uno (con il tempo è arrivata anche Marie Curie). E ho deciso di laurearmi in fisica grazie a loro, e con loro ho proseguito nel mio percorso fino a oggi. Le mie ricerche in America sono state tante e molto fruttuose. Le chiacchierate con Freeman Dyson sono state il motore da cui è scaturita la scintilla per creare molto di questo libro. Prima delle ricerche in America sono stata a Zurigo e a Berna, altri luoghi di grande impatto, di fervore culturale, che hanno lasciato un segno su di me. Prima ancora sono stata a Copenaghen, un’altra città con archivi magnifici; la scuola di Copenaghen che ha creato Niels Bohr

è ricchezza pura: quanto tempo ho passato tra quei faldoni (la lettera di Wolfgang Pauli viene da quelle mie ricerche, dalle quali è nato anche il libro Hotel Copenaghen). E prima ancora ero stata a Bruxelles dove ho attinto agli archivi Solvay, e tutto quello che, in questo libro, fa riferimento a quegli incontri di fisici del XX secolo l’ho preso da lì (i Congressi Solvay, in particolare il primo, avvenuto nel 1911, e il quinto, del 1927, quando c’è stato il più grande ritrovo di cervelli della storia, da cui è nato il mio primo romanzo L’incredibile cena dei fisici quantistici). In questi luoghi ho attinto alle fonti primarie, dagli istituti di ricerca scientifica del posto, e ho parlato con professori e parenti (dal nipote di Niels Bohr al figlio di Werner Heisenberg, per citarne due). Negli anni ho pubblicato diverse ricostruzioni di luoghi e scienziati del XX secolo, e continuerò su questa via ancora per molto. Perché quelli sono stati gli anni in cui i grandi fisici hanno creato il mondo nel quale viviamo oggi. I ringraziamenti per la ricerca di dati e informazioni messi insieme negli anni partono da lontano. Devo ringraziare: Vincenzo Barone, che ha scritto libri su Einstein che conosco ormai a memoria, e quando lo incontro mi invoglia sempre a continuare sulla mia strada; Eugenio Coccia, che sa parlare di spazio come un grande maestro; ringrazio Brian Green, un grande affabulatore di scienza, e Brian Cox, che mi permette di immaginare quello che avviene nello spaziotempo; la Princeton University; l’Institute for Advanced Study; la Hebrew University; il Gran Sasso Science Institute; il negozio di lana e la libreria di Nassau Street; Juan Martín Maldacena, che mi ha aperto nuovi mondi raccontandomi la sua teoria; Lisa Randall, che rappresenta un grande modello per me, e tutte le donne della scienza, aver parlato con lei mi ha dato tantissimi stimoli e aperto nuovi orizzonti. Ringrazio Roberto Car, Michele Parrinello, così disponibile e gentile; Chiara Nappi, che in giro per Princeton mi ha scortato come una principessa in una favola; ringrazio Luca Bonzanigo per la sua dedizione nell’aiutarmi nelle traduzioni dal tedesco; e naturalmente – l’ho nominato più e più volte – ringrazio Freeman Dyson.

Tutte queste persone si sono rivelate fantastiche, mi hanno inondato di stimoli, mi hanno invogliato a cercare, e mi hanno spinto ad andare oltre. È grazie alle mie chiacchierate con loro che oggi ho ancora più voglia di continuare a cercare, e nuove domande mi assillano e aleggiano nella mia testa. Resta comunque il fatto che tutti gli errori contenuti in questo libro sono miei. Infine ringrazio la casa editrice e la mia agente.

Fonti delle citazioni e bibliografia delle opere consultate

Opere di Albert Einstein

Il lato umano, a cura di H. Dukas e B. Hoffmann, trad. it. di A. Gilberti, Einaudi, Torino 1980. Opere scelte, a cura di E. Bellone, Bollati Boringhieri, Torino 1988. Lettere d’amore (con Mileva Marić), a cura di J. Renn e R. Schulmann, trad. it. di M. Premoli, Bollati Boringhieri, Torino 1993. Corrispondenza con Michele Besso (1903-1955), a cura di G. Gimbello, trad. it. di M.F. Davì Trimarchi e G. Gregorio, Guida, Napoli 1995. Pensieri di un uomo curioso, a cura di A. Calaprice, trad. it. di S. Coyaud, Mondadori, Milano 1999. Caro professor Einstein. Il genio della fisica risponde alle domande dei bambini, a cura di A. Calaprice, trad. it. di G. Baglieri, Archinto, Milano 2005.

Einstein on Politics, a cura di D.E. Rowe e R. Schulmann, Princeton University Press, Princeton 2007. Albert Einstein. Il lato umano: spunti per un ritratto, a cura di H. Dukas e B. Hoffman, trad. it. di A. Gilberti, Einaudi, Torino 2005. Gioventù felice in terra pavese. Le lettere di Albert Einstein al Museo per la Storia dell’Università di Pavia, a cura di L. Fregonese, Cisalpino, Milano 2005. Relatività. Esposizione divulgativa, a cura di B. Cermignani, trad. it. di V. Geymonat, Bollati Boringhieri, Torino 2011. L’evoluzione della fisica (con Leopold Infeld), trad. it. di A. Graziadei, Bollati Boringhieri, Torino 2011. The Ultimate Quotable Einstein, a cura di A. Calaprice, Princeton University Press, Princeton 2011. Pensieri degli anni difficili, trad. it. di L. Bianchi, Bollati Boringhieri, Torino 2014. Autobiografia scientifica, trad. it. di A. Gamba, Bollati Boringhieri, Torino 2014. Il significato della relatività, trad. it. di L.A. Radicati di Bròzolo, Bollati Boringhieri, Torino 2014.

Le due relatività. Gli articoli originali del 1905 e 1916, a cura di V. Barone, trad. it. di E. Saggittario e A.M. Pratelli, Bollati Boringhieri, Torino 2015. Scienza e vita. Lettere 1916-1955 (con Max Born), a cura di M. Dorato, trad. it. di G. Scattone, Mimesis, Milano 2015. Come io vedo il mondo. La teoria della relatività, trad. it. di R. Valori e A. Pratelli, Newton Compton, Roma 2018. Pensieri, idee, opinioni, trad. it. di L. Angelini, Newton Compton, Roma 2019. Opere e articoli su Albert Einstein

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– «Sottile è il Signore...». La scienza e la vita di Albert Einstein, trad. it. di L. Belloni e T. Cannillo, Bollati Boringhieri, Torino 2012.

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Altre opere

M. Guillen, Le 5 equazioni che hanno cambiato il mondo. Potere e poesia della matematica, TEA, Milano 2018. R. Monk, Robert Oppenheimer, L’uomo che inventò la bomba atomica, Bompiani, Milano 2014. R.J. Oppenheimer, Scienza e pensiero comune, trad. it. di L. Bianchi e L. Terzi, Bollati Boringhieri, Torino 2016. W. Pauli, Teoria della relatività, trad. it. di P. Gulmanelli, Bollati Boringhieri, Torino 2008. B. Russell, L’ABC della relatività, trad. it. L. Pavolini, Longanesi, Milano 2017.

Cronologia di Albert Einstein

Il simbolo ~ indica un’incertezza di datazione non superiore all’anno 1879 14 marzo. Da Hermann Einstein (1847-1902) e Pauline Koch (1852-1920) nasce a Ulma, nel Wurttemberg, il figlio primogenito Albert. 1880 21 giugno. Gli Einstein prendono la residenza a Monaco. 1881 18 novembre. Nasce la sorella di Einstein, Maria (Maja). ~1886 Albert frequenta la scuola pubblica a Monaco. In ossequio alle disposizioni di legge relative all’educazione religiosa, gli vengono insegnati i rudimenti del giudaismo a casa. 1888 Entra al Luitpold Gymnasium. L’educazione religiosa continua, questa volta a scuola, dove Heinrich Friedmann lo prepara alla cerimonia del bar mitzvah. 1889 Max Talmud, studente in medicina, gli dà da leggere opere di divulgazione scientifica di Aaron Bernstein, Kraft und Stoff (Forza e materia) di Büchner, la Critica della ragion pura di Kant e altri libri. Talmud diviene un ospite fisso di casa Einstein fino al 1894 durante tale periodo discute con Albert di questioni scientifiche e filosofiche. ~1890 Fase religiosa, che dura circa un anno. ~1891-95 Albert si familiarizza con gli elementi della matematica superiore, compreso il calcolo differenziale e integrale. 1894 La famiglia si trasferisce in Italia, prima a Milano, poi a Pavia, poi ancora a

Milano. Albert rimane a Monaco per finire gli studi. 1894 o 95 Manda allo zio Caesar Koch in Belgio uno scritto «sullo stato dell’etere in un campo magnetico». 1895 Primavera. Einstein lascia il Luitpold Gymnasium senza aver terminato gli studi e raggiunge la famiglia a Pavia. Autunno. Bocciato all’esame di ammissione al Politecnico di Zurigo, si iscrive alla sezione industriale della scuola cantonale di Aarau. Vive nella casa di «papà» Jost Winteler, uno dei suoi insegnanti. 1896 28 gennaio. Rinuncia alla cittadinanza tedesca, rimanendo apolide per i cinque anni successivi. Autunno. Ottiene il diploma della scuola di Aarau, che lo abilita a iscriversi al Politecnico di Zurigo. Prende la residenza in tale città il 29 ottobre. Suoi compagni di studi sono Marcel Grossmann e Mileva Marić (o Marity). ~1897 La conoscenza di Michele Angelo Besso segna l’inizio di un’amicizia destinata a durare tutta la vita. 1900 28 luglio. Si diploma a pieni voti presso il Politecnico di Zurigo. Autunno. Tenta senza successo di ottenere un posto di assistente al Politecnico. 13 dicembre. Da Zurigo invia il suo primo lavoro alla rivista «Annalen der Physik». 1901 21 febbraio. Diventa cittadino svizzero. 13 marzo. Viene dichiarato inabile al servizio militare. Marzo-aprile. Alla ricerca di un impiego, si rivolge, senza successo, a Ostwald a Lipsia e a Kamerlingh Onnes a Leida. 1902 21 febbraio. Arrivo a Berna. Nei primi tempi vive con un modesto mensile inviatogli dalla famiglia e i compensi ricavati da lezioni private di matematica e fisica. 16 giugno. Viene assunto all’Ufficio brevetti di Berna. 10 ottobre. Il padre muore a Milano.

1903 6 gennaio. Einstein sposa Mileva Marić. Konrad Habicht, Maurice Solovine e Einstein fondano l’«Akademie Olympia». 5 dicembre. Einstein tiene, alla Naturforschende Gesellschaft di Berna, una conferenza sulla teoria delle onde elettromagnetiche. 1904 14 maggio. Nascita del primo figlio, Hans Albert (morto nel 1973 a Berkeley). 1905 17 marzo. Einstein termina la memoria sull’ipotesi del quanto di luce, Über einen die Erzeugung und Verwandlung des Lichtes betreffenden heuristischen Gesichtspunkt (Un punto di vista euristico relativo alla generazione e alla trasformazione della luce). 30 aprile. Completa la tesi di dottorato Eine neue Bestimmung der Moleküldimensionen (Una nuova determinazione delle dimensioni molecolari). La tesi, stampata a Berna e presentata all’Università di Zurigo, viene accettata nel luglio. È dedicata «all’amico Marcel Grossmann». 11 maggio. Ricevuta (dagli «Annalen der Physik», come tutti i lavori del 1905) la prima memoria sul moto browniano Die von der molekularkinetischen Theorie der Wärme geforderte Bewegung von in ruhenden Flüssigkeiten suspendierten Teilchen (Il moto delle particelle in sospensione nei fluidi in quiete, come previsto dalla teoria cinetico-molecolare del calore). 30 giugno. Ricevuta la prima memoria sulla relatività ristretta, Elektrodynamik bewegter Körper (Elettrodinamica dei corpi in movimento). 27 settembre. Ricevuta la seconda memoria sulla teoria della relatività ristretta, Ist die Trägheit eines Körpers von seinem Energieinhalt abhängig? (L’inerzia di un corpo dipende dal suo contenuto di energia?). Contiene la relazione E = mc2. 19 dicembre. Ricevuta una seconda memoria sul moto browniano, Zur Theorie der Brownschen Bewegung (Teoria del moto browniano). 1906 Novembre. Completa un articolo sul calore specifico dei solidi, il primo che sia mai stato scritto sulla teoria quantica dello stato solido: Die Plancksche Theorie der Strahlung die Theorie der spezifischen Wärme (La teoria planckiana della radiazione e la teoria dei calori specifici). 1907 «Il pensiero più felice della mia vita»: Einstein scopre il principio di equivalenza per sistemi meccanici uniformemente accelerati. Estende il principio ai fenomeni elettromagnetici, fornisce l’espressione corretta per lo spostamento

delle righe spettrali verso il rosso, e osserva che questa estensione comporta anche una curvatura della luce che passa vicino a corpi massivi, ma ritiene che quest’ultimo effetto sia troppo piccolo per poter essere rivelato. 1908 28 febbraio. Einstein viene nominato Privatdozent presso l’Università di Berna. L’argomento della sua tesi di abilitazione, mai pubblicata, erano le conseguenze per la costituzione della radiazione derivanti dalla legge di distribuzione dell’energia per il corpo nero. All’inizio dell’anno J.J. Laub diviene il primo collaboratore scientifico di Einstein; insieme pubblicano due articoli. 1909 Marzo e ottobre. Einstein completa due memorie, Zum gegenwärtigen Stande des Strahlungsproblems (Lo stato attuale del problema della radiazione) e Entwicklung unserer Anschauungen über das Wesen und die Konstitution der Strahlung (Evoluzione delle nostre concezioni sulla natura e la costituzione della radiazione); ciascuna di esse contiene un’ipotesi sulla teoria della radiazione di corpo nero. In termini moderni, queste due congetture sono la complementarità e il principio di corrispondenza. La memoria dell’ottobre (la seconda citata) viene presentata a un congresso a Salisburgo, il primo congresso di fisica cui Einstein partecipa. 6 luglio. Einstein si dimette dall’Ufficio brevetti e lascia l’incarico di Privatdozent. 8 luglio. Riceve la laurea honoris causa all’Università di Ginevra, la prima di una lunga serie. 15 ottobre. Comincia a lavorare come professore associato all’Università di Zurigo. 1910 Marzo. Maja sposa Paul Winteler, figlio di Jost Winteler. 28 luglio. Nascita del secondo figlio, Eduard (morto nel 1965). Ottobre. Einstein termina un articolo sull’opalescenza critica, Theorie der Opaleszenz von homogenen Flüssigkeiten und Flussigkeitsgemischen in der Nähe des kritischen Zustandes (Teoria dell’opalescenza di fluidi omogenei e di miscele fluide in prossimità della condizione critica); è il suo ultimo lavoro importante nell’ambito della fisica statistica classica. 6 gennaio. Viene nominato professore ordinario all’Università Karl-Ferdinand di Praga. Nel marzo si trasferisce in questa città. Giugno. Accenna, nello scritto Einfluss der Schwerkraft auf die Ausbreitung des Lichtes (L’effetto della gravitazione sulla propagazione della luce), a una possibile verifica sperimentale – da effettuarsi nel corso di un’eclisse totale di

Sole – del fenomeno dell’incurvamento dei raggi luminosi ad opera dei campi gravitazionali. Il valore da lui previsto per la deflessione di un raggio che, provenendo da distanza «infinita», passi radente al Sole, è 0,83” (metà del valore corretto). 30 ottobre - 3 novembre. Primo congresso Solvay; Einstein tiene la relazione conclusiva sul tema: État actuel du problème des chaleurs spécifiques. 1912 Inizio di febbraio. Einstein è nominato professore al Politecnico di Zurigo, dove si trasferisce nell’agosto. 1912-13 Collabora con Grossmann (divenuto nel frattempo professore di matematica al Politecnico) sui fondamenti della teoria della relatività generale. Per la prima volta la gravitazione viene descritta dal tensore metrico. I due ritengono di aver dimostrato che le equazioni del campo gravitazionale non possono essere generalmente covarianti. 1913 Primavera. Planck e Nernst, in visita da Einstein a Zurigo, sondano la sua disponibilità a trasferirsi a Berlino offrendogli: un posto di ricercatore presso l’Accademia prussiana delle Scienze, una cattedra all’Università di Berlino senza obbligo di insegnamento, e la direzione dell’istituendo Kaiser-WilhelmInstitut für Physik. 3 luglio. Su proposta di Planck, Nernst, Rubens e Warburg, Einstein viene nominato membro dell’Accademia prussiana. 7 dicembre. Einstein accetta il posto a Berlino. 1914 6 aprile. Si trasferisce a Berlino con la moglie e i figli. Poco tempo dopo gli Einstein si separano. Mileva torna a Zurigo con i figli. 26 aprile. Sul quotidiano berlinese «Die Vossische Zeitung» appare Relativitätsprinzip, il suo primo scritto divulgativo sulla teoria della relatività. 2 luglio. Einstein tiene la sua Antrittsrede (prolusione) all’Accademia prussiana. 1915 All’inizio dell’anno, Einstein ha un incarico temporaneo alla PhysikalischTecnische Reichsanstalt di Berlino, ove, insieme a de Haas, esegue esperimenti giromagnetici. È fra i firmatari di un «appello agli europei», per la costituzione di una lega che operi a difesa dei valori culturali del Vecchio Continente: probabilmente il primo documento politico al quale abbia prestato il proprio nome. Fine di

giugno-inizio di luglio. Tiene sei lezioni a Gottinga sulla teoria della relatività generale («Con mia grandissima gioia sono riuscito a convincere Hilbert e [Felix] Klein»). 4 novembre. Ritorna al requisito della covarianza generale per la relatività generale, ma impone la restrizione che siano consentite solo le trasformazioni unimodulari. 11 novembre. Sostituisce il vincolo dell’unimodularità con quello, ancor più restrittivo, (–detgμν)1/2 = 1. 18 novembre. I primi risultati postnewtoniani. Einstein ottiene il valore di 43” per secolo per la precessione del perielio di Mercurio. Scopre anche che la deflessione della luce è doppia rispetto a quanto aveva pensato nel 1911. 20 novembre. David Hilbert presenta alla Accademia delle Scienze di Gottinga una memoria che contiene la forma finale delle equazioni del campo gravitazionale (unitamente a un’ipotesi superflua sulla struttura del tensore di energia- quantità di moto). 25 novembre. Completamento della struttura logica della relatività generale. Einstein comprende che può e deve fare a meno delle restrizioni introdotte il 4 e l’11 di quello stesso mese. 1916 20 marzo. Die Grundlagen der allgemeinen Relativitätstheorie, la prima esposizione sistematica della relatività generale, perviene agli «Annalen der Physik»; più tardi, in quello stesso anno, viene pubblicata in forma di libro, il primo di Einstein. 5 maggio. Einstein succede a Planck nella carica di presidente della Società tedesca di Fisica. Giugno. Pubblica il suo primo lavoro sulle onde gravitazionali: Näherungsweise Integration der Feldgleichungen der Gravitation (Integrazione approssimata delle equazioni di campo della gravitazione). Scopre che (detto in linguaggio moderno) un gravitone ha solo due stati di polarizzazione. Luglio. Einstein ritorna alla teoria quantica. Negli otto mesi seguenti, pubblicherà tre scritti sull’argomento, che in parte si sovrappongono: la memoria Strahlungs-emission und -absorption nach der Quantentheorie (Emissione e assorbimento di radiazione secondo la teoria quantica) e due articoli intitolati Quantentheorie der Strahlung (Teoria quantica della radiazione). Vi tratta il coefficiente di emissione spontanea e indotta e quello di assorbimento, nonché una nuova derivazione della legge di Planck; per la prima volta, in una pubblicazione a stampa, afferma che un quanto di luce con energia hv trasferisce una quantità di moto hν/c. Prime difficoltà con il «caso» nella fisica quantica.

Dicembre. Termina Über die spezielle und die allgemeine Relativitätstheorie, gemeinverständlich (Teoria della relatività ristretta e generale: esposizione divulgativa), la sua opera più largamente conosciuta, tradotta in seguito in molte lingue. Dicembre. Viene nominato membro del consiglio direttivo della PhysikalischTechnische Reichsanstalt, incarico che ricopre dal 1917 al 1933. 1917 Febbraio. Einstein apre un nuovo capitolo della fisica con le Kosmologische Betrachtungen zur allgemeinen Relativitätstheorie (Considerazioni cosmologiche sulla teoria della relatività generale), ove introduce il termine cosmologico. 1° ottobre. Il Kaiser-Wilhelm-Institut inizia l’attività (sia sperimentale che teorica) sotto la direzione di Einstein. 1918 Febbraio. Pubblicazione della seconda memoria sulle onde gravitazionali, Gravitationswellen, contenente la formula del quadrupolo. Novembre. Einstein rifiuta un’offerta congiunta dell’Università e del Politecnico di Zurigo. 1919 Gennaio-giugno. Passa gran parte di questo periodo a Zurigo, dove tiene una serie di conferenze all’Università. 14 febbraio. Divorzio da Mileva. 29 maggio. Un’eclisse totale di Sole dà modo di misurare la curvatura della luce. Le misure vengono effettuate all’Isola del Principe, sotto la direzione di Eddington, e nel Brasile settentrionale, sotto la direzione di Crommelin. 2 giugno. Einstein sposa la cugina Elsa Löwenthal (1874-1936), dal cui primo matrimonio erano nate Ilse (1897-1934) e Margot (1899-). 22 settembre. Einstein riceve da Lorentz un telegramma che lo informa che l’analisi preliminare dei dati dell’eclisse di maggio indica per la curvatura della luce un valore compreso fra quello «di Newton» (0,86”) e quello «di Einstein (1,73”). 6 novembre. Durante una riunione congiunta della Royal Society e della Royal Astronomical Society a Londra, viene annunciato che le osservazioni di maggio confermano le previsioni relativistiche. È l’inizio del mito Einstein, anche presso il grande pubblico. Dicembre. Einstein riceve la sua unica laurea onoraria tedesca: dottore in medicina all’Università di Rostock. Discussioni con Kurt Blumenfeld sul sionismo. 1920

12 febbraio. Durante una conferenza di Einstein all’Università di Berlino si verificano contestazioni interpretabili come manifestazioni di antisemitismo. Marzo. La madre di Einstein muore nella casa del figlio. 5 maggio. Einstein tiene una conferenza a Leida sull’etere e la teoria della relatività. Giugno. Einstein tiene conferenze in Norvegia e in Danimarca. Incontra per la prima volta Bohr a Berlino. Viene nominato professore straordinario all’Università di Leida. 24 agosto. L’Arbeitsgemeinschaft deutscher Naturforscher organizza a Berlino una manifestazione contro la teoria della relatività generale. Einstein è presente. Tre giorni più tardi appare una sua replica alquanto aspra sul «Berliner Tageblatt». Laue, Nernst e Rubens, come anche il ministro della Pubblica Istruzione Konrad Haenisch, gli esprimono pubblicamente la loro solidarietà. A partire da quest’anno ha inizio una serie di articoli di carattere non strettamente scientifico. 2 aprile - 30 maggio. Prima visita negli Stati Uniti, insieme a Chaim Weizmann, con lo scopo di raccogliere fondi per il progetto di un’università ebraica a Gerusalemme. A Chicago, Boston e Princeton tiene quattro lezioni sulla teoria della relatività, poi pubblicate con il titolo The Meaning of Relativity. 1922 Gennaio. Termina la prima memoria sulla teoria unitaria dei campi (scritta in collaborazione con Jakob Grommer) intitolata Beweis der Nichtexistenz eines liberali regulären zentrisch symmetrischen Feldes nach der Feldtheorie von Kaluza (Dimostrazione della non-esistenza di un campo a simmetria centrale, ovunque regolare, secondo la teoria dei campi di Kaluza). Aprile. Einstein accetta l’invito a far parte del Comitato internazionale per la Cooperazione intellettuale (CIC) della Società delle Nazioni. 24 giugno. Assassinio di Walther Rathenau, ministro degli Esteri tedesco e amico di Einstein. 9 novembre. Gli viene assegnato il premio Nobel del 1921 per la fisica «per i suoi contributi alla fisica teorica e specialmente per la scoperta della legge dell’effetto fotoelettrico». 1923 Marzo. Deluso dell’inefficacia della Società delle Nazioni, ma fedele ai suoi scopi, si dimette dal Comitato per la Cooperazione intellettuale. Giugno-luglio. Partecipa alla fondazione dell’Associazione Amici della nuova Russia e diviene membro del suo comitato esecutivo. Luglio. A Göteborg tiene una conferenza sul tema Grundgedanken und Probleme der Relativitätstheorie (Idee e problemi fondamentali della teoria

della relatività) in segno di ringraziamento per il premio Nobel. La scoperta dell’effetto Compton pone termine all’annosa resistenza contro il concetto di fotone. Dicembre. Viene pubblicata la memoria Bietet die Feldtheorie Möglichkeiten für die Lösung des Quantenproblems? (Offre la teoria di campo possibilità di soluzione del problema quantico?) in cui per la prima volta Einstein avanza l’ipotesi che gli effetti quantici possano derivare da una sovradeterminazione delle equazioni di campo della relatività generale. 1924 Inizia l’attività l’Istituto Einstein di Potsdam, sistemato nella Einstein Turm. Lo strumento principale è il telescopio Einstein. Ilse Einstein sposa Rudolf Kayser. Giugno. Einstein torna a far patte del Comitato internazionale per la Cooperazione intellettuale. Dicembre. L’ultima grande scoperta di Einstein: dall’analisi delle fluttuazioni statistiche perviene a un argomento indipendente in favore dell’associazione di onde con la materia. La condensazione di Bose-Einstein è anch’essa una scoperta di questo periodo. 1925 Einstein firma (con Gandhi e altri) un manifesto contro il servizio militare obbligatorio. Diviene membro del consiglio di amministrazione dell’Università ebraica (ricoprirà l’incarico fino al 1928). 1926 Riceve la medaglia d’oro della Royal Astronomical Society. 1927 Ottobre. Quinto Congresso Solvay. Inizio del dibattito tra Einstein e Bohr sui fondamenti della meccanica quantica. 1929 28 giugno. Einstein riceve la prima medaglia Planck. In quest’occasione definisce i suoi contributi alla fisica quantica «intuizioni occasionali» presentatesi nel corso della «lotta infruttuosa con il problema principale». 1930 Maggio. Einstein firma il manifesto per il disarmo mondiale della Women’s International League for Peace and Freedom. 11 dicembre - 4 marzo 1931. Secondo soggiorno di Einstein negli Stati Uniti, principalmente al California Institute of Technology di Pasadena.

1931 Aprile. Einstein respinge il termine cosmologico come non necessario e ingiustificato. 30 dicembre - 4 marzo 1932. Terzo soggiorno di Einstein negli Stati Uniti, di nuovo al CalTech. 1932 Febbraio. Da Pasadena Einstein protesta contro la condanna per tradimento del pacifista tedesco Cari von Ossietzky. Aprile. Si dimette definitivamente dal CIC. Ottobre. Gli viene offerta una cattedra all’Institute for Advanced Study di Princeton. 10 dicembre. Einstein e la moglie partono per gli Stati Uniti (non rimetteranno più piede in Germania). 1933 30 gennaio. I nazionalsocialisti salgono al potere. 20 marzo. In assenza di Einstein le SA perquisiscono la sua residenza estiva di Caputh, con il pretesto di cercarvi armi nascoste dai comunisti. 28 marzo. Tornato in Europa, Einstein comunica le proprie dimissioni all’Accademia prussiana delle Scienze. Con la moglie si stabilisce a Le Coqsur-Mer, sulla costa belga, ove viene raggiunto da Use, Margot, Helen Dukas (sua segretaria dal 1928) e Walther Mayer (suo assistente dal 1930). Nel frattempo Rudolf Kayser provvede a mettere in salvo le sue carte rimaste a Berlino, spedendole al Quai d’Orsay tramite corriere diplomatico. 21 aprile. Einstein si dimette dall’Accademia bavarese delle Scienze. Il carteggio tra Einstein e Freud viene pubblicato sotto forma di opuscolo, con il titolo Warum Krieg? (Perché la guerra?). 10 giugno. Einstein tiene a Oxford la «Herbert Spencer Lecture» On the Method of Theoretical Physics. 17 ottobre. Einstein, la moglie, Helen Dukas e Mayer arrivano negli Stati Uniti, diretti alla volta di Princeton (Use e Margot restano in Europa). 1934 Morte di Ilse a Parigi. Poco dopo, Margot e il marito raggiungono la famiglia a Princeton. 1935 Maggio. Einstein chiede formalmente la residenza negli Stati Uniti. Riceve la medaglia Franklin. 1936 7 settembre. Morte di Marcel Grossmann.

20 dicembre. Morte di Elsa. 1939 2 agosto. Einstein scrive al presidente Roosevelt caldeggiando la costruzione dell’arma atomica. 1940 1° ottobre. Einstein riceve la cittadinanza americana (conserva però anche quella svizzera). 1943 31 maggio. Einstein sottoscrive un contratto di consulenza con la Marina militare degli Stati Uniti. 1944 Una copia della memoria del 1905 sulla relatività ristretta, riscritta di pugno di Einstein appositamente, viene venduta all’asta per sei milioni di dollari come contributo allo sforzo bellico (il manoscritto si trova attualmente nella biblioteca del Congresso). 1945 10 dicembre. Einstein tiene a New York un discorso sul tema della pace. 1946 Einstein viene nominato presidente dell’Emergency Committee for Atomic Scientists. Ottobre. Scrive una lettera aperta all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, sollecitando la formazione di un governo mondiale. 1948 4 agosto. Morte di Mileva a Zurigo. 1949 Pubblicazione del «necrologio», una sintesi retrospettiva essenzialmente scientifica, intitolata Autobiographisches. 1950 18 marzo. Einstein firma e sigilla il suo testamento e le ultime volontà. Otto Nathan è nominato esecutore testamentario unico. Nathan stesso e Helen Dukas vengono nominati congiuntamente amministratori del suo lascito. L’Università ebraica è scelta come sede definitiva per le sue lettere e i suoi manoscritti. 1951 Giugno. Morte di Maja a Princeton.

1952 Luglio. Morte di Paul Winteler a Ginevra. Novembre. Ad Einstein viene offerta la presidenza di Israele ma egli la rifiuta. 1954 14 aprile. La stampa riferisce una dichiarazione di Einstein in difesa di J.R. Oppenheimer, inquisito per presunte attività antiamericane. Ultimo incontro tra Einstein e Bohr (a Princeton). 1955 15 marzo. Morte di Besso. 11 aprile. Einstein si unisce all’appello di Bertrand Russell per la messa al bando delle armi nucleari in tutto il mondo. 18 aprile. Einstein muore in seguito alla rottura di un aneurisma aortico.

Bibliografia di Albert Einstein

Questo elenco è da ritenersi completo per gli scritti di argomento scientifico. Degli altri sono riportati soltanto quelli apparsi in edizione a sé, come volumi (che sono tutti raccolte di saggi e articoli) o come opuscoli. Delle varie traduzioni, oltre a quelle italiane, sono citate soltanto quelle che presentano aggiunte o variazioni rispetto all’edizione originale. Una bibliografia presumibilmente completa degli scritti sia scientifici che non scientifici, aggiornata al maggio 1951, è stata redatta da Margaret C. Shields per il volume, a cura di P.A. Schilpp, Albert Einstein: Philosopher-Scientist, Tudor, New York, 2a ed., 1951, pp. 689-760, e ad essa si rimanda per ulteriori informazioni. I Collected Papers of Albert Einstein sono in corso di pubblicazione dal 1987, con il patrocinio dell’Università ebraica di Gerusalemme, presso la Princeton University Press (l’ultimo volume, The Berlin Years: Writings & Correspondence, June 1925–May 1927, è apparso nel 2018) e disponibili sul sito https://einsteinpapers.press.princeton.edu/. 1901 1. Folgerungen aus den Kapillaritätserscheinungen, in «Annalen der Physik», ser. 4, IV, pp. 513-23. 1902 2. Thermodynamische Theorie der Potentialdifferenz zwischen Metallen und vollständig dissoziierten Lösungen ihrer Sake, und eine elektrische Methode zur Erforschung der Molekularkräfte, in «Annalen der Physik», ser. 4, VIII, pp. 798-814. 3. Kinetische Theorie des Wärmegleichgewichtes und des zweiten Hauptsatzes der Thermodynamik, ibid., IX, pp. 417-33. 1903 4. Theorie der Grundlagen der Thermodynamik, in «Annalen der Physik», ser. 4, XI, pp. 170-87.

1904 5. Allgemeine molekulare Theorie der Wärme, in «Annalen der Physik», ser. 4, XIV, pp. 354-62. 1905 6. EINE NEUE BESTIMMUNG DER MOLEKULDIMENSIONEN, Wyss, Bern, 21 pp. Dissertazione inaugurale tenuta all’Università di Zurigo. Pubblicata anche negli «Annalen der Physik» (cfr. n. 11). 7. Über einen die Erzeugung und Verwandlung des Lichtes betreffen- den heuristischen Gesichtspunkt, in «Annalen der Physik», ser. 4, XVII, pp. 13248. In questo scritto e nel n. 13 appare l’equazione fotoelettrica fondamentale in forma esplicita, benché espressa in modo diverso da quello solito. Ufficialmente, è per questo lavoro che fu conferito ad Einstein il premio Nobel. (Cfr. anche n. 45.) Traduzione italiana di J. Hendrix e F. Marchetti: Emissione e trasformazione della luce da un punto di vista euristico, in A. Einstein, La teoria dei quanti di luce, a cura di A. Hermann, Newton Compton, Roma 1973, pp. 43-72. 8. Die von der molekularkinetischen Theorie der Wärme geforderte Bewegung von in ruhenden Flüssigkeiten suspendierten Teilchen, in «Annalen der Physik», ser. 4, XVII, pp. 549-60. 9. Elektrodynamik bewegter Körper, ibid., pp. 891-921. È, questo, il primo scritto sulla relatività particolare. Traduzione italiana di P. Straneo: Sull’elettrodinamica dei corpi in moto, in Cinquant’anni di relatività, a cura di M. Pantaleo, Editrice Universitaria, Firenze 1955; nuova ed., Giunti Barbera, Firenze 1980, pp. 479-504. 10. Ist die Trägheit eines Körpers von seinem Energieinhalt abhängig?, in «Annalen der Physik», ser. 4, XVIII, pp. 639-41. L’argomento dello scritto è strettamente collegato a quello del n. 9. Traduzione italiana di P. Straneo: L’inerzia di un corpo è dipendente dal suo contenuto di energia?, in Cinquant’anni di relatività cit. (n. 9), pp. 505-07. 1906 11. Eine neue Bestimmung der Molekuldimensionen, in «Annalen der Physik», ser. 4, XIX, pp. 289-306. È la stessa dissertazione inaugurale del n. 6 con un breve Nachtrag. 12. Zur Theorie der Broumschen Bewegung, ibid., pp. 371-81. 13. Theorie der Lichterzeugungund Lichtabsorption, ibid., XX, pp. 199-206. Cfr. nota al n. 7. Traduzione italiana di J. Hendrix e F. Marchetti: Teoria dell’emissione e

dell’assorbimento della luce, in Einstein, Teoria dei quanti di luce cit. (n. 7), pp. 73-84. 14. Prinzip von der Erhaltung der Schwerpunktsbewegung und die Trägbeit der Energie, in «Annalen der Physik», ser. 4, XX, pp. 627-33. 15. Eine Methode zur Bestimmung des Verhdltnisses der transversalen und longitudinalen Masse des Elektrons, ibid., XXI, pp. 583-86. 1907 16. Plancksche Theorie der Strahlung und die Theorie der spezifischen Wärme, in «Annalen der Physik», ser. 4, XXII, pp. 180-90, 800. Traduzione italiana di J. Hendrix: La teoria della radiazione di Planck e la teoria del calore specifico, in A. Einstein e altri, La teoria quantistica del calore specifico, Newton Compton, Roma 1974, pp. 29-44. 17. Gültigkeitsgrenze des Satzes vom thermodynamischen Gleichgewicht und die Möglichkeit einer neuen Bestimmung der Elementarquanta, in «Annalen der Physik», ser. 4, XXII, pp. 569-72. 18. Möglichkeit einer neuen Prüfung des Relativitätsprinzips, ibid., XXIII, pp. 197 sg. Analisi dell’effetto Doppler. 19. Bemerkung zur Notiz des Herrn P. Ebrenfest: Translation deformierbarer Elektronen und der Fläcbensatz, ibid., pp. 206-08. 20. Die vom Relativitätsprinzip geforderte Trägheit der Energie, ibid., pp. 37184. 21. Relativitätsprinzip und die aus demselben gezogenen Folgerungen, in «Jahrbuch der Radioaktivität», IV, pp. 411-62; V, pp. 98 sg. A p. 443 appare, probabilmente per la prima volta, l’enunciazione esplicita sia dell’equivalenza di massa inerziale e gravitazionale, sia dell’equazione della massa in funzione dell’energia, che a partire dall’agosto 1945 è stata messa in grande rilievo in tutte le descrizioni grafiche della liberazione dell’energia atomica. 22. Theoretische Bemerkungen über die Brownsche Bewegung, in «Zeitschrift fur Elektrochemie», XIII, pp. 41 sg. 1908 23. Elektromagnetische Grundgleichungen für bewegte Körper, con J. LAUB, in «Annalen der Physik», ser. 4, XXVI, pp. 532-40; XXVII, p. 232. Cfr. anche n. 27. 24. Die im elektromagnetischen Felde auf ruhende Körper ausgeübten ponderomotorischen Kräfte, con J. LAUB, ibid., XXVI, pp. 541-50. 25. Neue elektrostatiscke Methode zur Messung kleiner Elektrizitätsmengen,

in «Physikalische Zeitschrift», IX, pp. 216 sg. 26. Elementare Theorie der Brownschen Bewegung, in «Zeitschrift fur Elektrochemie», XIV, pp. 235-39. 1909 27. Bemerkungen zu unserer Arbeit: Elektromagnetische Grundgleichungen für bewegte Körper, con J. LAUB, in «Annalen der Physik», ser. 4, XXVIII, pp. 445-47. 28. Bemerkung zur Arbeit von Mirimanoff: Die Grundgleichungen, ibid., pp. 885-88. Mette in evidenza il legame fra quest’opera e quella di Minkowski. 29. Zum gegenwärtigen Stande des Strahlungsproblems, in «Physikalische Zeitschrift», X, pp. 185-93. Ibid., pp. 323 sg., sotto lo stesso titolo si trova una chiarificazione del suo punto di vista nei confronti di quello di W. Ritz. 30. Entwicklung unserer Anscbauungen tiber das Wesen und die Konstitution der Strahlung, ibid., pp. 817-25. Discorso alla 81a assemblea della Gesellschaft Deutscher Naturforscher, Salisburgo 1909. Pubblicato anche in «Deutsche physikalische Gesellschaft, Verhandlungen», XI, pp. 482-500. 1910 31. Über einen Satz der Wahrscheinlichkeitsrechnung und seine Anwendung in der Strah lungs theorie, con L. HOPF, in «Annalen der Physik», ser. 4, XXXIII, pp. 1096-104. Per un’ulteriore discussione dell’argomento, cfr. n. 75. 32. Statistische Untersuchung der Bewegung eines Resonators in einem Strahlungsfeld, con L. HOPF, ibid., pp. 1105-15. 33. Theorie der Opaleszenz von homogenen Flüssigkeiten und Flüssigkeitsgemischen in der Nähe des kritischen Zustandes, ibid., pp. 127598. 34. Principe de relativité et ses conséquences dans la physique moderne, in «Archives des Sciences physiques et naturelles», ser. 4, XXIX, pp. 5-28, 125244. La traduzione, di E. Guillaume, è di uno scritto originale, non del n. 21. 35. Théorìe des quantités lumineuses et la question de la localisation de l’énergie électromagnetique, ibid., pp. 525-28. 36. Forces pondéromotrices qui agissent sur les conducteurs ferromagnétiques disposés dans un champ magnétique et parcourus par un courant, ibid., XXX, pp. 323 sg.

1911 37. Bemerkung zu dem Gesetz von Eötvös, in «Annalen der Physik», ser. 4, XXXIV, pp. 165-69. 38. Beziehung zwischen dem elastischen Verhalten und der spezifischen Wärme bei festen Körpern mit einatomigem Molekül, ibid., pp. 170-74, 590. 39. Bemerkungen zu den P. Hertzschen Arheiten: Mechanische Grundlagen der Thermodynamik, ibid., pp. 175 sg. 40. Berichtigung zu meiner Arbeit: Bine neue Bestimmung der Molekùldimensionen, ibid., pp. 591 sg. Cfr. nn. 6 e 11. 41. Elementare Betrachtungen über die thermische Molekularbewegung in festen Körpern, ibid., XXXV, pp. 679-94. 42. Einfluss der Schwerkraft auf die Ausbreitung des Lichtes, ibid., pp. 898908. Lo scritto riprende le idee del n. 21, e deduce da esse per la prima volta la necessità che i raggi delle stelle s’incurvino nel punto della loro traiettoria più vicino al disco solare. 43. Relativitätstheorie, in «Naturforschende Gesellschaft, Zürich, Vierteljahresschrift», LVI, pp. 1-14. Discorso alla riunione della Società. 44. Zum Ehrenfestschen Paradoxon, in «Physikalische Zeitschrift», XII, pp. 509 sg. Corregge un’errata interpretazione della contrazione di Lorentz. 1912 45. Thermodynamische Begrundung des photochemischen Äquivalentgesetzes, in «Annalen der Physik», ser. 4, XXXVII, pp. 832-38; XXXVIII, pp. 881-84. 46. Lichtgeschwindigkeit und Statik des Gravitationsfeldes, ibid., XXXVIII, pp. 355-69. 47. Theorie des statischen Gravitationsfeldes, ibid., pp. 443-58. 48. Antwort auf eine Bemerkung von J. Stark: Anwendung des Planckschen Elementargesetzes, ibid., p. 888. 49. Relativität und Gravitation: Erwiderung auf eine Bemerkung von M. Abraham, ibid., pp. 1059-64. 50. Bemerkung zu Abraham’s Auseinandersetzung: Nochmals Relativität und Gravitation, ibid., XXXIX, p. 704. 51. État actuel du problème des chaleurs spécifiques, in La théorie du rayonnement et les quanta, atti del 1° Congresso Solvay (Bruxelles 1911), Gauthier-Villars, Paris, pp. 407-35. Per il testo tedesco, cfr. n. 62.

52. Gibt es eine Gravitationswirkung die der elektrodynamischen Indüktionswirkung analog ist?, in «Vierteljahrsschrift für gerichtliche Medizin», ser. 3, XLIV, pp. 37-40. 1913 53. ENTWURF EINER VERALLGEMEINERTEN RELATIVITÄTSTHEORIE UND EINE THEORIE DER GRAVITATION: I. Physikalischer Teil von A. Einstein, II. Mathematischer Teil von M. Grossmann, Teubner, Leipzig, 38 pp., estratto da «Zeitschrift für Mathematik und Physik», LXII, pp. 225-61 (Physikalischer Teil, pp. 225-44). Questo scritto può dirsi una rielaborazione delle idee sviluppate nei nn. 21, 42, 46 e 47. Per il commento critico, cfr. n. 67. 54. Einige Argumente für die Annahme einer molekularen Agitation beim absoluten Nullpunkt, con O. STERN, in «Annalen der Physik», ser. 4, XL, pp. 551-60. 55. Déduction thermodynamique de la loi de l’équivalence photochimique, in «Journal de Physique», ser. 5, III, pp. 277-82. Non è una traduzione del n. 45, ma una relazione presentata il 27 marzo alla Societé française de Physique. 56. Physikalische Grundlagen einer Gravitationstheorie, in «Naturforschende Gesellschaft, Zürich, Vierteljahrsschrift», LVIII, pp. 284-90. Relazione presentata a questa società svizzera il 9 settembre. 57. Max Planckals Forscher, in «Naturwissenschaften», I, pp. 1077-79. 58. Zum gegenwärtigen Stande des Gravitationsproblems, in «Physikalische Zeitschrift», XIV, pp. 1249-66. Relazione presentata alla 85” Versammlung Deutscher Naturforscher, Vienna, 21 settembre. Le pagine citate includono la libera discussione che avvenne su di essa. 1914 59. Nordströmsche Gravitationstheorie vom Standpunkt des absoluten Differentialkalkuls, con A. D. FOKKER, in «Annalen der Physik», ser. 4, XLIV, pp. 321-28. 60. Bemerkung zu P. Harzers Abhandlung: Die Mitführung des Lichtes in Glas und die Aberration, in «Astronomische Nachrichten», CIC, pp. 8-10. 61. Antwort auf eine Replik P. Harzers, ibid., pp. 47 sg. 62. Zum gegenwärtigen Stande des Problems der spezifischen Wärme, in «Deutsche Bunsengesellschaft, Abhandlungen», 7, pp. 330-64. Questo volume è l’edizione tedesca degli atti del 1° Congresso Solvay (cfr. n. 51). Le pp. 353-64 riportano le domande e le risposte della discussione

generale. 63. Beiträge zur Quantentheorie, in «Deutsche physikalische Gesellschaft, Berichte» (oppure «Verhandlungen», XVI), pp. 820-28. 64. Zur Theorie der Gravitation, in «Naturforschende Gesellschaft, Zürich, Vierteljahrsschrift», LIX, pp. 4-6. 65. Recensione a Das Relativitätsprinzip, eine Sammlung von Abhandlungen, a cura di H. A. Lorentz, Teubner, Leipzig 1913, in «Naturwissenschaften», II, p. 1018. 66. Nachträgliche Antwort auf eine Frage von Reissner, in «Physikalische Zeitschrift», XV, pp. 108-10. Sul problema della massa del campo gravitazionale. 67. Prinzipielles zur verallgemeinerten Relativitätstheorie und Gravitationstheorie, ibid., pp. 176-80. Risposta al commento di G. Mie sul rapporto fra il lavoro di Einstein, quale appare dal n. 53, e quello di Minkowski. 68. Antrittsrede, in «Preussische Akademie der Wissenschaften, Sitzungsberichte», pt. 2, pp. 739-42. Sull’importanza relativa della fisica teorica e di quella sperimentale. Incluso in Mein Weltbild (n. 250) e Ideas and Opinions (n. 306). Traduzione italiana di F. Fortini e C. Losurdo: Princìpi della fisica teorica, in Einstein, Idee e opinioni cit. (n. 306), pp. 210-13. 69. Formale Grundlage der allgemeinen Relativitätstheorie, in «Preussische Akademie der Wissenschaften, Sitzungsberichte», pt. 2, pp. 1030-85. 70. Zum Relativitätsproblem, in «Scientia» (Bologna), XV, pp. 337-48. 71. Relativitätsprinzip, in «Vossische Zeitung», 26 aprile 1914, pp. 33 sg. Scritto di carattere divulgativo, abbastanza rigoroso e completo, non identificabile con nessun altro. 72. Kovarianzeigenschaften der Feldgleichungen der auf die verallgemeinerte Relativitätstheorie gegründeten Gravitationstheorie, con M. GROSSMANN, in «Zeitschrift fur Mathematik und Physik», LXIII, pp. 215-25. 1915 73. Theoretische Atomistik, in Die Physik, a cura di E. Lecher, Teubner, Leipzig, pp. 251-63. Ebbe un’edizione riveduta (cfr. n. 166). 74. Relativitätstheorie, ibid., pp. 703-13. Ebbe un’edizione riveduta (cfr. n. 167). 75. Antwort auf eine Abhandlung M. von Laues: Ein Satz der Wahrscheinlichkeitsrechnung und seine Anwendung auf die Strahlungstheorie, in «Annalen der Physik», ser. 4, XLVII, pp. 879-85. La discussione è sull’argomento del n. 31.

76. Experimenteller Nachweis der Ampèreschen Molekularströme, con W.J. DE HAAS, in «Deutsche physikalische Gesellschaft, Verhandlungen», XVII, pp. 152-70, 203. A questo scritto si fa riferimento ibid., p. 420. 77. Experimenteller Nachweis der Ampèreschen Molekularströme, con W.J. DE HAAS, in «Naturwissenschaften», III, pp. 237 sg. Una nota preliminare sul n. 76. 78. Grundgedanken der allgemeinen Relativitätstheorie und Anwendung dieser Theorie in der Astronomie, in «Preussische Akademie der Wissenschaften, Sitzungsberichte», pt. 1, p. 315. Riassunto dei nn. 79 e 80. 79. Zur allgemeinen Relativitätstheorie, ibid., pt. 2, pp. 778-86, 799-801. 80. Erklärung der Perihelbewegung des Merkur aus der allgemeinen Relativitätstheorie, ibid., pp. 831-39. 81. Feldgleichungen der Gravitation, ibid., pp. 844-47. 1916 82. DIE GRUNDLAGEN DER ALLGEMEINEN RELATIVITÄTSTHEORIE, Barth, Leipzig, 64 pp. Estratto dagli «Annalen der Physik» (cfr. n. 84), con l’aggiunta di un Inhalt e di una Einleitung. Ha avuto diverse ristampe. Traduzione italiana di A. M. Pratelli: I fondamenti della teoria della relatività generale, in Cinquant’anni di relatività cit. (n. 9), pp. 509-59; rist. in A. Einstein, La teoria della relatività. Newton Compton, Roma 1976, nuova ed. 1980, pp. 3, 85. 83. Prefazione a E.F. FREUNDLICH, Grundlagen der Einsteinschen Gravitationstheorie, Springer, Berlin. 84. Die Grundlagen der allgemeinen Relativitätstheorie, in «Annalen der Physik», ser. 4, XLIX, pp. 769-822. È la prima esposizione completa di un’acuta generalizzazione della teoria originale (cfr. n. 82). 85. Ober Fr. Kottlers Abhandlung: Einsteins Äquivalenzhypothese und die Gravitation, ibid., LI, pp. 639-42. 86. Einfaches Experiment zum Nachweis der Ampèreschen Molekularströme, in «Deutsche physikalische Gesellschaft, Verhandlungen», XVIII, pp. 173-77. 87. Strahlungs-emission und -absorption nach der Quantentheorie, ibid., pp. 318-23. 88. Quantentheorie der Strahlung, in «Physikalische Gesellschaft, Zürich, Mitteilungen», XVI, pp. 47-62. 89. Recensione a H. A. Lorentz, Théories statistiques en thermodynamique, in «Naturwissenschaften», IV, pp. 480 sg.

90. Elementare Theorie der Wasserwellen und des Fluges, ibid., pp. 509 sg. 91. Ernst Mach, in «Physikalische Zeitschrift», XVII, pp. 101-04. 92. Neue formale Deutung der Maxwellschen Feldgleichungen der Elektrodynamik, in «Preussische Akademie der Wissenschaften, Sitzungsberichte», pt. 1, pp. 184-87. 93. Einige anschauliche Überlegungen aus dem Gebiete der Relativitätstheorie, ibid., p. 423. È un estratto che mostra come lo scritto considerasse il comportamento degli orologi e il pendolo di Foucault. Non è mai stato pubblicato per intero. 94. Näherungsweise Integration der Feldgleichungen der Gravitation, in «Preussische Akademie der Wissenschaften, Sitzungsberichte», pt. 1, pp. 688-96. 95. Gedächtnisrede auf Karl Schwarzschild, ibid., pp. 768-70. 96. Hamiltonsches Prinzip und allgemeine Relativitätstheorie, ibid., pt. 2, pp. 1111-16. Traduzione italiana di A. M. Fratelli: Il principio di Hamilton e la teoria della relatività generale, in Cinquant’anni di relatività cit. (n. 9), pp. 561-66; rist. in Einstein, Teoria della relatività cit. (n. 82), pp. 86-94. 1917 97. ÜBER DIE SPEZIELLE UND DIE ALLGEMEINE RELATIVITÄTSTHEORIE (GEMEINVERSTÄNDLICH), Vieweg, Braunschweig, 70 pp. L’unica esposizione complessiva della sua stessa teoria compiuta da Einstein; la sua opera più largamente conosciuta e tradotta. Cfr. nn, 105, 123, 124 e 296 per le altre edizioni. Traduzione italiana di G. L, Calisse: Sulla teoria speciale e generale della relatività (volgarizzazione), Zanichelli, Bologna 1921. Altra traduzione di V. Geymonat, dalla quindicesima edizione tedesca (n. 296): Relatività generale: esposizione divulgativa, Boringhieri, Torino 1960, nuova ed. 1967. 98. Zum Quantensatz von Sommerfeld uni Epstein, in «Deutsche Physikalische Gesellschaft, Verhandlungen», XIX, pp. 82-92. 99. Recensione a H. VON HELMHOLTZ, Zwei Vorträge über Goethe, in «Naturwissenschaften», V, p. 675. 100. Marian von Smoluchowski, ibid., pp. 737 sg. 101. Quantentheorie der Strahlung, in «Physikalische Zeitschrift», XVIII, pp. 121-28. 102. Kosmologische Betrachtungen zur allgemeinen Relativitätstheorie, in «Preussische Akademie der Wissenschaften, Sitzungsberichte», pt. 1, pp. 142-52. Traduzione italiana di A. M. Pratelli: Considerazioni cosmologiche sulla teoria

della relatività generale, in Cinquant’anni di relatività cit. (n. 9), pp. 567-76; rist. in Einstein, Teoria della relatività cit. (n. 82), pp. 95-109. 103. Eine Ableitung des Theorems von Jacobi, in «Preussische Akademie der Wissenschaften, Sitzungsberichte», pt. 2, pp. 606-08. 104. Friedrich Adler als Physiker, in «Vossische Zeitung», Morgenausgabe, n. 259, 23 maggio, p. 2. 1918 105. ÜBER DIE SPEZIELLE UND DIE ALLGEMEINE RELATIVITÄTSTHEORIE (GEMEINVERSTÄNDLICH), 3a edizione, Vieweg, Braunschweig, 83 pp. Per la prima edizione e la traduzione italiana cfr. n. 97. La terza edizione e le successive fino alla nona (1918-20) portano due appendici: Einfache Ableitung der Lorentz-transfomtation e Minkowskis vierdimensionale Welt. Traduzione italiana delle appendici di V. Geymonat: Derivazione elementare della trasformazione di Lorentz e L’universo quadridimensionale di Minkowski, in Einstein, Relatività: esposizione divulgativa cit. (n. 97), pp. 6872 e 88 sg. (ed. 1967). 106. Motiv des Forschens, in Zu Max Plancks 60. Geburtstag: Ansprachen in der Deutschen physikalischen Gesellschaft, Müller, Karlsruhe, pp. 29-32. Ristampato in Mein Weltbild (n. 250) e Ideas and Opinions (n. 306). Traduzione italiana di R. Valori: I fondamenti della ricerca, in Einstein, Come io vedo il mondo cit. (n. 251), pp. 32-36 (ed. 1988). Altra traduzione con ugual titolo, di F. Fortini e C. Losurdo, in Einstein, Idee e opinioni cit. (n. 306), pp. 213-15. 107. Prinzipielles zur allgemeinen Relativitätstheorie, in «Annalen der Physik», ser. 4, LV, pp. 241-44. Sollecitato da vari commenti, Einstein si pone qui l’obiettivo «lediglich die Grundgedanken herauszuheben wobei ich die Theorie als bekannt voraussetze». 108. Lassen sich Brechungsexponenten der Körper für Rontgenstrahlen experimentell ermitteln?, in «Deutsche Physikalische Gesellschaft, Verhandlungen», XX, pp. 86 sg. 109. Bemerkung zu Gehrckes Notiz: Über den Äther, ibid., p. 261. 110. Recensione a H. WEYL, Raum, Zeit, Materie, in «Naturwissenschaften», VI, p. 373. 111. Dialog über Einwände gegen die Relativitätstheorie, ibid., pp. 697-702. 112. Notiz zu Schrödingers Arbeit: Energiekomponenten des Gravitationsfeldes, in «Physikalische Zeitschrift», XIX, pp. 115 sg. 113. Bemerkung zu Schrödingers Notiz: Losungssystem der allgemein kovarianten Gravitationsgleichungen, ibid., pp. 165 sg.

114. Gravitationswellen, in «Preussische Akademie der Wissenschaften, Sitzungsberichte», pt. 1, pp. 154-67. 115. Kritisches zu einer von Herrn de Sitter gegebenen Losung der Gravitationsgleichungen, ibid., pp. 270-72. 116. Der Energiesatz in der allgemeinen Relativitätstheorie, ibid., pp. 448-59. 1919 117. Prufung der allgemeinen Relativitätstheorie, in «Naturwissenschaften», VII, p. 776. Poche righe basate su un rapporto telegrafico dell’eclisse del 29 maggio 1919. 118. Spielen Gravitationsfelder im Aufbau der materiellen Elementarteilchen eine wesentliche Rolle?, in «Preussische Akademie der Wissenschaften, Sitzungsberichte», pt. 1, pp. 349-56. 119. Bemerkungen über periodische Schwankungen der Mondlänge, welche bisher nach der Newtonschen Mechanik nicht erklärbar schienen, ibid., pp. 433-36. Le risposte di Einstein ai commenti su questo scritto si trovano ibid., pt. 2, p. 711. 120. Feldgleichungen der allgemeinen Relativitätstheorie vom Standpunkte des kosmologischen Problems und des Problems der Konstitution der Materie, ibid., pt. 1, p. 463. Sostanzialmente è un rapporto sul n. 118. 121. My Theory, in «Times» (London), 28 novembre, p. 13. Riprodotto col titolo Time, Space and Gravitation, in «Optician», LVIII, pp. 187 sg. Compreso anche, col nuovo titolo, in Out of My Later Years (n. 297). Testo tedesco in Mein Weltbild (n. 250) sotto il titolo Was ist Relativitätstheorie?. Traduzione italiana di R. Valori: Cos’è la teoria della relatività?, in Einstein, Come io vedo il mondo cit. (n. 251), pp. 74-79 (ed. 1988). Altra traduzione con ugual titolo, di F. Fortini e C. Losurdo, in Einstein, Idee e opinioni cit. (n. 306), pp. 216-20. Altra traduzione di L. Bianchi, con titolo Tempo, spazio e gravitazione, in Einstein, Pensieri degli anni difficili cit. (n. 297), pp. 212-16. 122. Leo Arons als Physiker, in «Sozialistische Monatshefte», LII, pt. 2, pp. 1055 sg. 1920 123. ÜBER DIE SPEZIELLE UND DIE ALLGEMEINE RELATIVITÄTSTHEORIE (GEMEINVERSTÄNDLICH) 10a edizione, Vieweg, Braunschweig, 91 pp. Per la prima edizione e la traduzione italiana cfr. n. 97. Dalla decima edizione

è compresa una terza appendice: Die Rotverschiebung der Spektrallinien. Per la traduzione italiana dell’appendice cfr. n. 296. 124. RELATIVITY: THE SPECIAL AND THE GENERAL THEORY - A POPULAR EXPOSITION, traduzione di R.W. Lawson, Methuen, London, XIII + 138 pp. Traduzione del n. 123. La terza appendice è molto ampliata e assume il titolo: The Experimental Confirmation of the General Theory of Relativity. Per la traduzione italiana dell’appendice cfr. n. 296. 125. ÄTHER UND RELATIVITÄTSTHEORIE: Rede gehalten am 5. Mai 1920 an der Reichs-Universität zu Leiden, Springer, Berlin, 15 pp. Traduzione italiana di R. Cantù e T. Bembo: L’etere e la teoria della relatività, in A. Einstein, Prospettive relativistiche dell’etere e della geometria, Audace, Milano 1922, pp. 5-25. 126. Bemerkung zur Abhandlung von W. R. Hess: Theorie der Viscosität heterogener Systeme, in «Kolloidzeitschrift», XXVII, p. 137. 127. Inwiefern lassi sich die moderne Gravitations theorie ohne die Relativität begründen?, in «Naturwissenschaften», VIII, pp. 1010 sg. 128. Trägheitsmoment des Wasserstoffmoleküls, in «Preussische Akademie der Wissenschaften, Sitzungsberichte», p. 65. Estratto da uno scritto che non fu mai pubblicato. 129. Schallausbreitung in teilweise dissoziierten Gasen, ibid., pp. 380-85. 130. Meine Antwort über die antirelativitätstheoretische G.m.b.H. [Gesellschaft mit beschränkter Haftung], in «Berliner Tageblatt und Handelszeitung», n. 402, 17 agosto, pp. 1 sg. 1921 131. THE MEANING OF RELATIVITY: Four Lectures Delivered at Princeton University, May, 1921, traduzione di E. P. Adams, Princeton University Press, Princeton (N.J.), 123 pp. Argomenti: 1. Spazio e tempo nella fisica prerelativistica. 2. Teoria della relatività ristretta. 3. Teoria della relatività generale. Per le successive edizioni cfr. nn. 278, 295, 299 e 308. Per il testo originale tedesco, cfr. n. 138. Traduzione italiana di L. A. Radicati, dalla terza edizione tedesca (n. 138): Il significato della relatività, Einaudi, Torino 1950; nuova ed., Boringhieri, Torino 1976. 132. GEOMETRIE UND ERFAHRUNG, erweiterte Fassung des Festvortrages gehalten an der preussischen Akademie, Springer, Berlin, 20 pp. Questo scritto era apparso poco prima in «Preussische Akademie der Wissenschaften, Sitzungsberichte», pt. 1, pp. 123-130. Traduzione italiana di R. Cantù e T. Bembo: Geometria ed esperienza, in Einstein, Prospettive relativistiche cit. (n. 125), pp. 26-54. Altra traduzione con ugual titolo, di F.

Fortini e C. Losurdo, in Einstein, Idee e opinioni cit. (n. 306), pp. 220-32. 133. Einfache Anwendung des Newtonschen Gravitationsgesetzes auf die kugelförmigen Sternhaufen, in Festschrift (...) zu ihrem zehnjährigen Jubiläum della Kaiser-Wilhelm-Gesellschaft zur Förderung der Wissenschaft, Springer, Berlin, pp. 50-52. 134. A Brief Outline of the Development of the Theory of Relativity, traduzione di R.W. Lawson, in «Nature», CVI, pp. 782-84. Scritto per un numero speciale di «Nature» dedicato alla relatività. 135. Eine naheliegende Ergänzung des Fundamentes der allgemeinen Relativitätstheorie, in «Preussische Akademie der Wissenschaften, Sitzungsberichte», pt. 1, pp. 261-64. 136. Ein den Elementarprozess der Lichtemission betreffendes Experiment, ibid., pt. 2, pp. 882 sg. Sull’interpretazione dell’effetto Doppler data dalla teoria quantica. Non risulta che l’esperimento proposto sia mai stato compiuto. Cfr., per lo scritto collegato a questo, n. 176. 137. Lezione al Bang’s College sullo sviluppo e la posizione attuale della relatività, con citazioni, in «Nation and Athenaeum», XXIX, pp. 431 sg. Il testo tedesco è incluso in Metri Weltbild (n. 250). Lo scritto fu riportato senza diretta citazione nel «Times» del 14 giugno, p. 8, e anche in «Nature», CVII, p. 504. Traduzione italiana di R. Valori: Caratteri della teoria della relatività, in Einstein, Come io vedo il mondo cit. (n. 251), pp. 70-73 (ed. 1988). Altra traduzione di F. Fortini e C. Losurdo, con titolo Sulla teoria della relatività, in Einstein, Idee e opinioni cit. (n. 306), pp. 232-35. 1922 138. VIER VORLESUNGEN UBER RELATIVITÄTSTHEORIE, gehalten im Mai, 1921, an der Universität Princeton, Vieweg, Braunschweig, 70 pp. È il testo originale tedesco del n. 131. Nella terza edizione del 1956 prenderà il titolo: Grundzüge der Relativitätstheorie, e avrà le appendici tradotte dall’edizione americana (n. 308). Per la traduzione italiana cfr. n. 131. 139. Theoretische Bemerkungen zur Supraleitung der Metalle, in Leyden Rijksuniversiteit (...) Natuurkunding Laboratorium, Gedenkboek, a cura di H. Kamerlingh Onnes, Ijdo, Leiden, pp. 429-35. 140. Bemerkung zur Seletyschen Arbeit: Beiträge zum kosmologischen Problem, in «Annalen der Physik», ser. 4, LXIX, pp. 436-38. 141. Recensione a W. PAULI, Relativitätstheorie, in «Naturwissenschaften», X, pp. 184 sg. 142. Emil Warburg als Forscher, ibid., pp. 823-28.

143. Theorie der Lichtfortpflanzung in dispergierenden Medien, in «Preussische Akademie der Wissenschaften, Sitzungsberichte», pp. 18-22. 144. Bemerkung zu der Abhandlung von E. Trefftz: Statische Gravitationsfeld zweier Massenpunkte..., ibid., pp. 448 sg. 145. Quantentheoretische Bemerkungen zum Experiment von Stern und Gerlach, con P. EHRENFEST, in «Zeitschrift für Physik», XI, pp. 31-34. 146. Bemerkung zu der Arbeit von A. Friedmann: Über die Krümmung des Raumes, ibid., p. 326. La critica fu ritrattata in una nota successiva, ibid., XVI, p. 228. 1923 147. Grundgedanken und Probleme der Relativitätstheorie, Imprimerie royale, Stockholm, 10 pp. Discorso tenuto alla Nordische Naturforscherversammlung, Goteborg, in ringraziamento del premio Nobel. 148. Bemerkung zu der Notiz von W. Anderson: Neue Erklärung des kontinuierlichen Koronaspektrums, in «Astronomische Nachrichten», CCXIX, p. 19. 149. Experimentelle Bestimmung der Kanalweite von Filtern, con H. MÜHSAM, in «Deutsche medizinische Wochenschrift», XLIX, pp. 1012 sg. 150. Beweis der Nichtexislenz eines liberali regulären zentrisch symmetrischen Feldes nach der Feldtheorie von Kaiuza, con J. Grommer, in «Jerusalem University, Scripta», I, n. 7, 5 pp. 151. Theory of the Affine Field, in «Nature», CXII, pp. 448 sg. È una trattazione relativamente non matematica nei campi elettromagnetici e gravitazionali come geometria riemanniana generalizzata. Non è una traduzione del n. 153. 152. Zur allgemeinen Relativitätstheorie, in «Preussische Akademie der Wissenschaften, Sitzungsberichte», pp. 32-38, 76 sg. 153. Zur affmen Feldtheorie, ibid., pp. 137-40. 154. Bietet die Feldtheorie Möglichkeiten für die Lösung des Quantenproblems?, ibid., pp. 359-64. 155. Théorie de la relativité, in «Société franchise de Philosophic, Bulletin», XXII, pp. 97 sg., 101, 107, 111 sg. È una discussione a cui Einstein contribuisce con due interventi sul rapporto fra la sua teoria e quella di Kant e di Mach. Essi vengono citati per intero in «Nature», CXII, p. 253. 156. Quantentheorie des Strahlungsgleichgewichts, con P. EHRENFEST, in «Zeitschrift für Physik», XIX, pp. 301-06.

1924 157. Geleitwort, in LUCRETIUS, De rerum natura, a cura di H. Diels, Weidmann, Berlin, vol. 2, p. VI, a-b. 158. Antwort auf eine Bemerkung von W. Anderson, in «Astronomische Nachrichten», CCXXI, pp. 329 sg. 159. Das Comptonsche Experiment, in «Berliner Tageblatt», 20 aprile. 160. Zum hundertjährigen Gedenktag von Lord Kelvins Geburt, in «Naturwissenschaften», XII, pp. 601 sg. 161. Quantentheorie des einalomigen idealen Gases, in «Preussische Akademie der Wissenschaften, Sitzungsberichte», pp. 261-267. Continua col n. 169. Traduzione italiana di P. Bernardini: Teoria quantistica del gas ideale monoatomico, in S. N. Bose, A. Einstein ed E. Schrödinger, La statistica quantistica e le onde di materia, Bibliopolis, Napoli 1986, pp. 41-51. 162. Uber den Äther, in «Schweizerische naturforschende Gesellschaft, Verhandlungen», CV, pt. 2, pp. 85-93. È un resoconto storico sull’argomento. 163. Theorie der Radiometerkräfte, in «Zeitschrift fur Physik», XXVII, pp. 1-6. 164. Note aggiunte a una memoria di S.N. BOSE: Wärmegleichgewicht im Strahlungsfeld bei Anwesenheit von Materie, ibid., pp. 392 sg. 1925 165. Anhang: Eddingtons Theorie und Hamiltonsches Prinzip, in A.S. EDDINGTON, Relativitätstheorie in matematischer Behandlung, Springer, Berlin, pp. 366-71. Scritto appositamente per questa edizione tedesca del libro di Eddington. 166. Theoretische Atomistik, in Die Physik, a cura di E. Lecher, 2a edizione, Teubner, Leipzig, pp. 281-94. È una revisione del n. 73. 167. Relativitätstheorie, ivi, pp. 783-97. È una revisione del n. 74. 168. Elektron und allgemeine Relativitätstheorie, in «Physica», V, pp. 330-34. 169. Quantentheorie des einatomigen idealen Gases. 2. Abhandlung, in «Preussische Akademie der Wissenschaften, Sitzungsberichte», pp. 3-14. È la continuazione del n. 161. Traduzione italiana di P. Bernardini: Teoria quantistica del gas ideale monoatomico: seconda parte, in Bose, Einstein e Schrödinger, Statistica quantistica e onde di materia cit. (n. 161), pp. 55-71. 170. Quantentheorie des idealen Gases, ibid., pp. 18-25. Dove si deduce una condizione generale che deve essere soddisfatta da

qualsiasi teoria di un gas perfetto. 171. Einheitlicbe Feldtheorie von Gravitation und Elektrizität, in «Preussische Akademie der Wissenschaften, Sitzungsberichte», pp. 414-19. 172. Bemerkung zu P. Jordans Abhandlung: Theorie der Quantenstrahlung, in «Zeitschrift für Physik», XXXI, pp. 784 sg. 1926 173. W.H. Julius, 1860-1925, in «Astrophysical Journal», LXIII, pp. 196-98. 174. Ursache der Mäanderbildung der Flussläufe und des sogenannten Baerschen Gesetzes, in «Naturwissenschaften», XIV, pp. 223 sg. Letto di fronte all’Accademia prussiana il 7 gennaio. Incluso in Mein Weltbild (n. 250) e Ideas and Opinions (n. 306), Traduzione italiana di F. Fortini e C. Losurdo: La causa delle formazioni dei meandri nelle correnti liquide e la così detta legge di Baer, in Einstein, Idee e opinioni cit. (n. 306), pp. 235-39. 175. Vorschlag zu einem die Natur des elementaren Strahlungsemissionsprozesses betreffenden Experiment, in «Naturwissenschaften», XIV, pp. 300 sg. È una nota preliminare al n. 176. 176. Interferenzeigenschaften des durch Kanalstrahlen emittierten Lichtes, in «Preussische Akademie der Wissenschaften, Sitzungsberichte», pp. 334-40. La previsione, qui fatta, che le radiazioni dei raggi canale si comportino come i classici oscillatori hertziani fu verificata sperimentalmente da Rupp (ibid., pp. 341-51). Cfr. n. 136. 177. Geometria no euclidea y fisica, in «Revista matemàtica hispanoamericana», ser. 2, I, pp. 72-76. 1927 178. Introduzione a T. SHALIT, Di spetsyele relativitets-teorye, edizione privata, Berlin, 240 pp. Comprende sia il testo tedesco che il testo yiddish. 179. Einfluss der Erdbewegung auf die Lichtgeschwindigkeit relativ zur Erde, in «Forschungen und Fortschritte», III, pp. 36 sg. 180. Formale Beziehung des Riemannschen Krümmungstensors zu den Feldgleichungen der Gravitation, in «Mathematische Annalen», XCVII, pp. 99103. Letto di fronte all’Accademia prussiana, nel 1926, col titolo: Anwendungen einer von Rainich gefundenen Spaltung des Riemannschen Krümmungstensors. 181. Isaac Newton, in «Manchester Guardian Weekly», XVI, pp. 234 sg.

Anche in: «Manchester Guardian» del 19 marzo; «Observatory», L, pp. 14653; «Smithsonian Institution, Report», pp. 201-07. 182. Newtons Mechanik und ihr Einfluss auf die Gestaltung der theoretischen Physik, in «Naturwissenschaften», XV, pp. 273-76. Incluso in Mein Wellhild (n. 250) e Ideas and Opinions (n. 306). Traduzione italiana di R. Valori: Evoluzione della fisica: Kepler e Newton, in Einstein, Come io vedo il mondo cit. (n. 251), pp. 52-63 (ed. 1988). Altra traduzione di F. Fortini e C. Losurdo, con titolo La meccanica di Newton e la sua influenza sullo sviluppo della fisica teorica, in Einstein, Idee e opinioni cit. (n. 306), pp. 240-46. 183. Zu Newtons 200. Todestage, in «Nord und Süd», L, pp. 36-40. 184. Lettera alla Royal Society per il bicentenario di Newton, in «Nature», CXIX, p. 467; «Science», NS, LXV, pp. 347 sg. 185. Establishment of an International Bureau of Meteorology, in «Science», NS, LXV, pp. 415-17. Relazione di un sottocomitato del Comitato internazionale per la Cooperazione intellettuale, firmato anche da M. Curie e H.A. Lorentz. 186. Kaluzas Theorie des Zusammenhanges von Gravitation und Elektrizität, in «Preussische Akademie der Wissenschäften, Sitzungsberichte», pp. 23-30. 187. Allgemeine Relativitätstheorie und Bewegungsgesetz (prima parte con J. Grommer), ibid., pp. 2-13, 235-45. 188. Theoretisches und Experimentelles zur Froge der Lichtentstehung, in «Zeitschrift fur angewandte Chemie», XL, p. 546. Resoconto di una lezione tenuta alla Mathematisch-physikalische Arbeitsgemeinschaft della Università di Berlino, 23 febbraio. 1928 189. H.A. Lorentz, in «Mathematisch-naturwissenschaftliche Blatter», XXII, pp. 24 sg. Estratto da un discorso alla cerimonia commemorativa dell’Università di Leida. Ristampato in Mein Welthild (n. 250). 190. Riemanngeometrie mit Aufrechterhaltung des Begriffes des FernParallelismus, in «Preussische Akademie der Wissenschaften, Sitzungsberichte», pp. 217-21. 191. Neue Möglichkeit für eine einheitliche Feldtheorie von Gravitation und Elektrizität, ibid., pp. 224-27. 192. À propos de «La déduction relativiste» de M. E. Meyerson, in «Revue philosophique de la France», CV, pp. 161-66. 1929

193. Space-Time, in Encyclopedia Britannica, 14a ed., vol. 21, pp. 105-08. 194. Über den gegenwärtigen Stand der Feldtheorie, in Festschrift Prof. Dr. A. Stodola überreicht, Füssli, Zürich, pp. 126-32. È un’esposizione molto meno tecnica di quella del n. 209, con particolare riguardo agli antecedenti della teoria. 195. Ansprache an Prof. Planck [ricevendo la medaglia Planck], in «Forschungen und Fortschritte», V, pp. 248 sg. 196. Dall’intervista concessa al «Daily Chronicle» di Londra, 26 gennaio, che anticipa il n. 199, in «Nature», CXXIII, p. 175. 197. Nota alla ristampa della conferenza di Arago su Thomas Young tenuta all’Académie française, in «Naturwissenschaften», XVII, p. 363. 198. The New Field Theory, in «The Times», 4 febbraio. Traduzione di L.L. Whyte. Anche in «Observatory», LII (1930), pp. 82-87, 114-18. 199. Einheitliche Feldtheorie, in «Preussische Akademie der Wissenschaften, Sitzungsberichte», pp. 2-7. Costituisce un nuovo, significativo sviluppo del problema. 200. Einheitliche Feldtheorie und Hamiltonsches Prinzip, ibid., pp. 156-59. 201. Sur la théorie synthétique des champs, con Th. de Donder, in «Revue générale de l’Électricité», XXV, pp. 35-39. 202. Appreciation of Simon Newcomb, in «Science», NS, LXIX, p. 249. Traduzione di una lettera alla figlia di Newcomb, datata 15 luglio 1926. 203. Sesión especial de la Academia, 16 abril 1925, in «Sociedad cientifica Argentina, Anales», CVII, pp. 337-47. Disputa con R.G. Loyarte sull’equivalenza di massa ed energia, e discussione con H. Damianovich sull’importanza della relatività in considerazione di un possibile «campo chimico». 204. GELEGENTLICHES (...) ZUM FÜNFZIGSTEN GEBURTSTAG (...) DARGERACHT VON DER SONCINO-GESELLSCHAFT DER FREUNDE DES JÜDISCHEN BUCHES ZU BERLIN, 32 pp.

Pubblicato in un’edizione limitata. Consiste di brevi frammenti: Über Wissenschaft und Politik (compreso Motive des Forschens e Internationalität der Wissenschaft), Judenfrage (frammenti vari), Vorrede zur hebräischen Übersetzung der Relativitätstheorie, una poesia ad Alexander Moszkowski ecc. I brani più scelti sono forse Neun Fragen über das eigene Schaffen (nella forma concisa di domande e risposte), e Antwort auf neun Fragen über das Erfmderwesen (sotto forma di enunciazioni più ampie). Questi brani non si trovano in nessun altro luogo. 1930

205. Prefazione a D. Reichinstein, Grenzfläckenvorgänge in der unbelebten und belebten Natur, Barth, Leipzig. 206. Über Kepler, in «Frankfurter Zeitung», 9 novembre, p. 16, coll. 3 sg. Ristampato in Mein Weltbild (n. 250) e Ideas and Opinions (n. 306). Traduzione italiana di R. Valori: Evoluzione della fisica: Kepler e Newton, in Einstein, Come io vedo il mondo cit. (n. 251), pp. 48-52 (ed. 1988). Altra traduzione di F. Fortini e C. Losurdo, con titolo Giovanni Keplero, in Einstein, Idee e opinioni cit. (n. 306) pp. 247-50. 207. Raum-, Feld- und Ätber-problem in der Physik, in «Second World Power Conference, Berlin 1930, Transactions», vol. 19, pp. 1-5. Un discorso d’invito, largamente riportato. 208. Raum-, Äther- und Feld in der Physik, in «Forum philosophicum», I, pp. 173-80. L’argomento è analogo a quello del n. 207, ma il linguaggio è molto diverso. Entrambi sono diversi, a loro volta, da Das Raum-, Äther- und Feld-problem der Physik contenuto in Mein Weltbild (n. 250) (quest’ultimo scritto tradotto, da R. Valori, con titolo Lo spazio, l’etere e il campo, in Einstein, Come io vedo il mondo cit. (n. 251), pp. 80-95 (ed. 1988), e da F. Fortini e C. Losurdo, con titolo II problema dello spazio, dell’etere e del campo nella fisica, in Einstein, Idee e opinioni cit. (n. 306), pp. 259-67). 209. Théorie unitaire du champ physique, in «Institut H. Poincaré, Annales», I, pp. 1-24. Un’ampia esposizione del problema. Cfr. n. 194. 210. Auf die Riemann-Metrik und den Fernparallelismus gegründete einheitliche Feldtheorie, in «Mathematische Annalen», CII, pp. 685-97. 211. Das Raum-Zeit Problem, in «Koralle», V, pp. 486-88. Una rielaborazione molto semplificata e abbreviata del n. 193. 212. Recensione a S. WEINBERG, Erkenntnistheorie, in «Naturwissenschaften», XVIII, p. 536. 213. Kompatibilität der Feldgleichungen in der einheitlichen Feldtheorie, in «Preussische Akademie der Wissenschaften, Sitzungsberichte», pp. 18-23. 214. Zwei strenge statische Lösungen der Feldgleichungen der einheitlichen Feldtheorie, con W. Mayer, ibid., pp. 110-20. 215. Theorie der Räume mit Riemannmetrik und Fernparallelismus, ibid., pp. 401 sg. 216. Address at University of Nottingham, traduzione di I.H. Brose, in «Science», NS, LXXI, pp. 608-10. Un breve quadro della relatività particolare e generale e della teoria del campo. 217. Über den gegenwärtigen Stand der allgemeinen Relativitätstheorie, in «Yale University Library, Gazette», VI, pp. 3-6.

218. ABOUT ZIONISM: SPEECHES AND LETTERS, tradotto e a cura di Sir Leon Simon, Soncino Press, London, 68 pp. Pubblicato anche con l’indicazione: New York, Macmillan 1931, 94 pp. Brani tratti da «Manchester Guardian», «Jüdische Rundschau» (Berlino), «New Palestine» (New York), «Jewish Chronicle» (Londra), «Jüdischer Almanach» (Praga) ecc., tutti datati ma senza un preciso riferimento alla collocazione dell’originale. Brani diversi sono raccolti sotto i seguenti titoli: Assimilation and Nationalism, Jews in Palestine, Jew and Arab. Alcuni scritti sono ristampati in Mein Weltbild (n. 250; cfr. nn. 251 e 306) e in Out of My Later Years (n. 297). 1931 219. Prefazione a R. DE VILLAMIL, Newton, the Man, Knox, London, p.v. 220. Maxwell’s Influence on the Development of the Conception of Physical Reality, in James Maxwell: A Commemoration Volume, University Press, Cambridge, pp. 66-73. L’originale tedesco si trova in Mein Weltbild (n. 250). Traduzione italiana di R. Valori: Evoluzione del concetto di realtà fisica, in Einstein, Come io vedo il mondo cit. (n. 251), pp. 64-69 (ed. 1988). Altra traduzione di F. Fortini e C. Losurdo, con titolo L’influenza di Maxwell nell’evoluzione del concetto di realtà fisica, in Einstein, Idee e opinioni cit. (n. 306), pp. 251-53. 221. Prefazione a I. NEWTON, Optics, McGraw, New York, pp. VII sg. 222. THEORY OF RELATIVITY: ITS FORMAL CONTENT AND ITS PRESENT PROBLEMS. Lezioni tenute, in maggio, alla Università di Oxford. Le questioni trattate erano ancora, secondo Einstein, «in uno stato troppo fluido» per essere pubblicate, e quindi non lo furono. Il loro contenuto è brevemente descritto in «Nature», CXXVII, pp. 765, 790, 826 sg. 223. Knowledge of Past and Future in Quantum Mechanics, con R.C. TOLMAN e B. PODOLSKY, in «Physical Review», ser. 2, XXXVII, pp. 780 sg. 224. Zum kosmologischen Problem der allgemeinen Relativitätstheorie, in «Preussische Akademie der Wissenschaften, Sitzungsberichte», pp. 235-37. 225. Systematische Untersuchung über kompatible Feldgleichungen welche in einem Riemannschen Raume mit Fernparallelismus gesetzt werden können, con W. MAYER, ibid., pp. 257-65. 226. Einheitliche Theorie von Gravitation und Elektrizität, con W. MAYER, ibid., pp. 541-57. Continua col n. 237. 227. Thomas Alva Edison, 1847-1931, in «Science», NS, LXXIV, pp. 404 sg. 228. Gravitational and Electrical Fields, ibid., pp. 438 sg.

229. Risposta all’omaggio rivoltogli a un pranzo organizzato dal California Institute of Technology, 15 gennaio, ibid., LXXIII, p. 379. Sottolinea l’aiuto dato al suo lavoro dai fisici sperimentali. Il testo degli altri discorsi si trova nello stesso articolo. 230. Gedenkworte auf Albert A. Michelson, in «Zeitschrift für angewandte Chemie», XLIV, p. 658. 231. COSMIC RELIGION, WITH OTHER OPINIONS AND APHORISMS, Covici-Friede, New York, 109 pp. Contiene una nota biografica preparata dagli editori e un giudizio di G.B. Shaw. Comprende le seguenti sezioni: Pacifism, The Jews, Opinions and Aphorisms, e The Jewish Homeland che riprende brani del n. 218. Alcuni scritti sono compresi anche in Me in Weltbild (n. 250). Traduzione italiana, di F. Fortini e C. Losurdo, dello scritto che dà titolo all’opuscolo: Religione e scienza, in Einstein, Idee e opinioni cit. (n. 306), pp. 47-50. 1932 232. Prologue a M. PLANCK, Where Is Science Going?, Norton, New York, pp. 7-12. Mette in risalto le caratteristiche dell’opera di Planck e dei fisici teorici in generale. 233. Epilogue: a Socratic Dialogue. Interlocutors, Einstein and Murphy, ivi, pp. 201-13. «Un riassumo di resoconti stenografici fatti (...) in varie conversazioni». Verte essenzialmente sulla base scientifica necessaria a una filosofia deterministica. 234. On the Relation between the Expansion and the Mean Density of the Universe, con W. DE SITTER, in «National Academy of Sciences, Proceedings», XVIII, pp. 213 sg. 235. Zu Dr. Berliners siebzigstem Geburtstag, in «Naturwissenschaften», XX, p. 913. Ristampato in Mein Weltbild (n. 250) e Ideas and Opinions (n. 306). Traduzione italiana di F. Fortini e C. Losurdo: Nel settantesimo compleanno di Arnold Berliner, in Einstein, Idee e opinioni cit. (n. 306), pp. 76 sg. 236. Gegenwärtiger Stand der Relativitätstheorie, in «Pädagogischer Führer», LXXXII, pp. 440-42. 237. Einheitliche Theorie von Gravitation und Elektrizität, 2. Abhandlung, con W. MAYER, in «Preussische Akademie der Wissenschaften, Sitzungsberichte», pp. 130-37. Continuazione del n. 226. 238. Semi-Vektoren und Spinoren, con W. MAYER, ibid., pp. 522-550. 239. Unbestimmtheitsrelation, in «Zeitschrift far angewandte Chemie», XLV, p.

23. Estratto da una lezione tenuta all’Università di Berlino il 4 novembre 1931. 1933 240. ON THE METHOD OF THEORETICAL PHYSICS. The Herbert Spencer Lecture delivered at Oxford, June 10, 1933, Clarendon Press, Oxford, 15 pp. Il testo tedesco è pubblicato in Mein Weltbild (n. 250). Traduzione italiana di R. Valori: La questione del metodo, in Einstein, Come io vedo il mondo cit. (n. 251), pp. 40-47 (ed. 1988). Altra traduzione di F. Fortini e C. Losurdo, con titolo II metodo della fisica teorica, in Einstein, Idee e opinioni cit. (n. 306), pp. 254-59. 241. ORIGINS OF THE GENERAL THEORY OF RELATIVITY. Lecture on the George A. Gibson Foundation in the University of Glasgow, June 20th, 1933, Jackson, Glasgow, 11 pp. Il testo tedesco è contenuto in Mein Weltbild (n. 250). Traduzione italiana di R. Valori: Origine della teoria della relatività generalizzata, in Einstein, Come io vedo il mondo cit. (n. 251), pp. 96-101 (ed. 1988). Altra traduzione di F. Fortini e C. Losurdo, con titolo Note sull’origine della teoria generale della relatività, in Einstein, Idee e opinioni cit. (n. 306), pp. 268-71. 242. LES FONDEMENTS DE LA THÉORIE DE LA RELATIVITÉ GÉNÉRALE, traduzione di M. Solovine, Hermann, Paris, 109 pp. Tre saggi: i primi due sono traduzioni dei nn. 84 e 226 e il terzo, Sur la structure cosmologique de l’espace (pp. 99-109), è stato scritto appositamente per questo volume. Quest’ultimo è un’ampia trattazione dell’universo in espansione (cfr. nn. 224 e 234), in cui l’argomento viene anche situato nella sua prospettiva storica. 243. WARUM KRIEG? EIN BRIEFWECHSEL, ALBERT EINSTEIN UND SIGMUND FREUD, Internationales Institut für geistige Zusammen- arbeit, Paris, 62 pp. (Edizione numerata di circa 2000 esemplari.) La lettera di Einstein è alle pp. 11-21. Traduzione italiana di S. Candreva ed E. Sagittario: Perché la guerra? (Carteggio Einstein-Freud), in Opere di Sigmund Freud, vol. 11, Boringhieri, Torino 1979, pp. 289-303 (la lettera di Einstein è a pp. 289-92). 244. THE FIGHT AGAINST WAR, a cura di Alfred Lief, John Day, New York, 64 pp. Brani scelti da scritti e discorsi di Einstein del periodo 1914-1932. Ognuno di essi viene inquadrato storicamente, e dove è possibile viene dato un riferimento specifico. Fra le cose non facilmente reperibili altrove, c’è il Contromanifesto scritto da Einstein, Georg F. Nicolai e Wilhelm Foerster nell’ottobre del 1914, per protesta contro il manifesto firmato da novantatré

intellettuali tedeschi. Oltre che in questo libro, il Contromanifesto è pubblicato solo in Biologie des Krieges di Nicolai (Füssli, Zürich 1919). Vi è inoltre un discorso a un Congresso internazionale degli avversari della guerra, tenuto a Lione il 1° agosto 1931, col titolo Now is the Time, citato in parte nel «New York Times» del 2 agosto 1931, p. 3, col. 5. 1934 245. Dirac Gleichungen für Semi-Vektoren, con W. MAYER, in «Akademie van Wetenschappen, Amsterdam, Proceedings», XXXVI, pt. 2, pp. 615-19. 246. Spaltung der natürlichsten Feldgleichungen für Semi-Vektoren in SpinorGleichungen vom Diracschen Typus, con W. MAYER, ibid., pp. 615-19. 247. Introduzione a L. INFELD, The World in Modern Science, Gollancz, London, pp. 5 sg. Scritto appositamente per questa traduzione inglese. Originale tedesco a p. 275. 248. Darstellung der Semi-Vektoren als gewöhnliche Vektoren von besonderem Differentiationscharakter, con W. MAYER, in «Annals of Mathematics», ser. 2, XXXV, pp. 104-10. 249. Recensione a R. TOLMAN, Relativity, Thermodynamics and Cosmology, in «Science», NS, LXXX, p. 358. 250. MEIN WELTBILD, Querido, Amsterdam, 269 pp. Einstein permise «all’amico J. H.» di fare «una scelta che desse un quadro dell’uomo», composta di scritti relativi alla scienza, al giudaismo, alla politica, al pacifismo. Alcuni dei brani qui raccolti sono citati nei diversi numeri di questa bibliografia. Nel libro non vi è alcun riferimento ai luoghi in cui i brani erano stati originariamente pubblicati: alcuni di essi potrebbero apparire qui per la prima volta. Diversi scritti sono compresi anche in Out of My Later Years (n. 297). Per le successive edizioni, traduzioni e rimaneggiamenti cfr. nn. 251, 304 e 306. 251. THE WORLD AS I SEE IT, Covici-Friede, New York, 290 pp. È la traduzione del n. 250, fatta da Alan Harris, ma l’ordine dei brani è differente e vi sono aggiunte. Lo stesso testo è pubblicato anche da Lane, London 1935, 214 pp. Queste edizioni portano una Prefazione di Einstein, che non c’è nell’edizione tedesca. Traduzione italiana parziale di R. Valori: Come io vedo il mondo, Giachini, Bologna 1955; nuova ed., Newton Compton, Roma 1988. 1935 252. Elementary Derivation of the Equivalence of Mass and Energy, in «American Mathematical Society, Bulletin», XLI, pp. 223-30.

Conferenza tenuta all’American Association for the Advancement of Science il 28 dicembre 1934. 253. Can Quantum-Mechanical Description of Physical Reality Be Considered Complete?, con B. PODOLSKY e N. ROSEN, in «Physical Review», ser. 2, XLVII, pp. 777-80. 254. The Particle Problem in the General Theory of Relativity, con N. Rosen, ibid., XLVIII, pp. 73-77. 1936 255. Physik und Realität, in «Franklin Institute, Journal», CCXXI, pp. 313-47. Ristampato in Out of My Later Years (n. 297) e Ideas and Opinions (306). Traduzione italiana di F. Fortini e C. Losurdo: Fisica e realtà, in Einstein, Idee e opinioni cit. (n. 306), pp. 271-302. Altra traduzione con ugual titolo, di L. Bianchi, in Einstein, Pensieri degli anni difficili cit. (n. 297), pp. 36-75. 256. Two-Body Problem in General Relativity Theory, con N. ROSEN, in «Physical Review», ser. 2, XLIX, pp. 404 sg. 257. Lens-Like Action of a Star by Deviation of Light in the Gravitational Field, in «Science», NS, LXXXIV, pp. 506 sg. 1937 258. On Gravitational Waves, con N. ROSEN, in «Franklin Institute, Journal», CCXXIII, pp. 43-54. 1938 259. THE EVOLUTION OF PHYSICS: THE GROWTH OF IDEAS FROM EARLY CONCEPTS TO RELATIVITY AND QUANTA, con L. INFELD, Simon & Schuster, New York, X-319 pp. Come è spiegato nella prefazione, questo scritto non è «un’esposizione sistematica degli elementi fenomenologici e teorici della fisica», ma si propone «di dare un’idea dell’eterna lotta dello spirito inventivo dell’uomo per ottenere una più piena comprensione delle leggi che presiedono ai fenomeni fisici». Tratta del sorgere e tramontare del punto di vista meccanico, del campo e della relatività, e dei quanti. Traduzione italiana di A. Graziadei: L’evoluzione della fisica: sviluppo delle idee dai concetti iniziati alla relatività e ai quanti, Einaudi, Torino 1948; nuova ed., Boringhieri, Torino 1965. 260. DIE PHYSIK ALS ABENTEUER DER ERKENNTNIS, con L. INFELD, Sijthoff, Leiden, VIII-222 pp. Edizione tedesca del n. 259. 261. Gravitational Equations and the Problems of Motion, con L. INFELD e B.

HOFFMANN, in «Annals of Mathematics», ser. 2, XXXIX, pp. 65-100.

Continua col n. 264. 262. Generalization of Kaluza’s Theory of Electricity, con P.G. BERGMANN, ibid., pp. 683-701. 1939 263. Stationary System with Spherical Symmetry Consisting of Many Gravitating Masses, in «Annals of Mathematics», ser. 2, XL, pp. 922-36. 1940 264. Gravitational Equations and the Problems of Motion. II, con L. INFELD, in «Annals of Mathematics», ser. 2, XLI, pp. 455-64. Continuazione del n. 261. 265. Considerations Concerning the Fundamentals of Theoretical Physics, in «Science», NS, XCI, pp. 487-92. Discorso tenuto in maggio all’8 American Scientific Congress, Washington. Ristampato in Out of My Later Years (n. 297) e Ideas and Opinions (n. 306). Traduzione italiana di F. Fortini e C. Losurdo: I fondamenti della fisica teorica, in Einstein, Idee e opinioni cit. (n. 306), pp. 302-12. Altra traduzione con ugual titolo, di L. Bianchi, in Einstein, Pensieri degli anni difficili cit. (n. 297), pp. 114-27. 266. Science and Religion, in «New York Times», 11 settembre, p. 30, col. 2; «Nature», CXLVI, pp. 605-07. 1941 267. Five-Dimensional Representation of Gravitation and Electricity, con V. BARGMANN e P.G. BERGMANN, in Theodore von Karman Anniversary Volume, California Institute of Technology, Pasadena, pp. 212-25. 268. Demonstration of the Non-Existence of Gravitational Fields with a NonVanishing Total Mass Free of Singularities, in «Tucumän Universidad Nacional, Revista», ser. A, II, pp. 11-16. Si tratta di un discorso tenuto alle assemblee riunite dell’American Physical Society e dell’American Association of Physics Teachers, a Princeton, il 29 dicembre, sotto il titolo: Solutions of Finite Mass of the Gravitational Equations. 1942 269. Prefazione a P.G. BERGMANN, Introduction to the Theory of Relativity, Prentice-Hall, New York, p. v. 270. The Work and Personality of Walter Nernst, in «Scientific Monthly», LIV,

pp. 195 sg. Ristampato in Out o/My Later Years (n. 297). Traduzione italiana di L. Bianchi: Ricordo di Walther Nemsl, in Einstein, Pensieri degli anni difficili cit. (n. 297), pp. 144-47. 1943 271. Non-Existence of Regular Stationary Solutions of Relativistic Field Equations, con W. PAULI, in «Annals of Mathematics», ser. 2, XLIV, pp. 131-37. 1944 272. Remarks on Bertrand Russell’s Theory of Knowledge, in The Phylosophy of Bertrand Russell, a cura di P.A. Schilpp, «Library of Living Philosophers», Tudor, Evanston (Ill.), pp. 227-91. Traduzione italiana di F. Fortini e C. Losurdo: Osservazioni sulla teoria della conoscenza di Bertrand Russell, in Einstein, Idee e opinioni cit. (n. 306), pp. 28-34. 273. Bivector Fields. I, con V. BARGMANN, in «Annals of Mathematics», ser. 2, XLV, pp. 1-14. 274. Bivector Fields. II, ibid., pp. 15-23. 275. LETTERA A B. CROCE E RISPOSTA DEL CROCE, Laterza, Bari, 7 pp. La lettera di Einstein è alle pp. 1 sg. 276. TEST CASE FOR HUMANITY, Jewish Agency for Palestine, London, 7 pp. Uno scritto polemico sulla questione palestinese, con citazioni del n. 218. 277. THE ARABS AND PALESTINE, con E. KAHLER, Christian Council on Palestine and American Palestine Committee, New York, 16 pp. Due articoli originariamente pubblicati sul «Princeton Herald» del 14 e 28 aprile. 1945 278. THE MEANING OF RELATIVITY, 2a edizione, Princeton University Press, Princeton (N.J.), 135 pp. Per la prima edizione e la traduzione italiana cfr. n. 131. Vi è stata aggiunta un’appendice che tratta: del problema cosmologico, dello spazio quadridimensionale isotropico relativamente a tre dimensioni, delle equazioni del campo, della curvatura dello spazio, della generalizzazione rispetto alla materia ponderabile. Traduzione italiana dell’appendice, di L. A. Radicati, in Einstein, Significato della relatività cit. (n. 131), pp. 105-26 (ed. 1976). 279. Generalization of the Relativistic Theory of Gravitation, in «Annals of Mathematics», ser. 2, XLVI, pp. 578-84.

280. Influence of the Expansion of Space on the Gravitation Fields Surrounding the Individual Stars, con E.G. STRAUS, in «Reviews of Modern Physics», XVII, pp. 120-24; correzioni e aggiunte, ibid., XVIII, pp. 148 sg. 1946 281. Generalization of the Relativistic Theory of Gravitation. II, con E. G. Straus, in «Annals of Mathematics», ser. 2, XLVII, pp. 731-41. 282. Elementary Derivation of the Equivalence of Mass and Energy, in «Technion Journal», V, pp. 16 sg. Una derivazione, mai prima pubblicata, in cui viene usato il principio della relatività ristretta, ma non nel suo meccanismo formale. Ristampato in Out of My Later Years (n. 297). Traduzione italiana di L, Bianchi: Una deduzione elementare dell’equivalenza di massa ed energia, in Einstein, Pensieri degli anni difficili cit. (n. 297), pp. 165-68. 283. ONLY THEN SHALL WE FIND COURAGE, 8 pp. Un opuscolo composto dalla ristampa dell’intervista con M. Attirine, che era apparsa nel «New York Times Magazine» del 23 giugno, p. 7, col titolo The Real Problem Is in the Hearts of Men, e da un articolo scritto in suo appoggio da Christian Gauss, intitolato Is Einstein Right?, estratto da «The American Scholar», XV, 496-76. L’opuscolo fu pubblicato dal Comitato di emergenza degli scienziati atomici per dargli una larga diffusione nella campagna di ricerca di fondi. 1948 284. Einstein’s Theory of Relativity, in Grolier Encyclopedia, Grolier Society, New York 1947 (in realtà 1948), vol. 9, p. 19. Einstein scrisse solo questa parte dell’articolo Relativity: Time, Space and Matter. 285. Relativity: Essence of the Theory of Relativity, in American People’s Encyclopedia, Spencer Press, Chicago, vol. 16, coll. 604-08. Ristampato in Out of My Later Years (n. 297). 286. Quantenmechanik und Wirklichkett, in «Dialettica», II, pp. 320-24. 287. Generalized Theory of Gravitation, in «Reviews of Modern Physics», XX, pp. 35-39. «Una nuova esposizione (...) che costituisce un sicuro progresso, per la sua chiarezza, rispetto a quelle precedenti», preparata per il numero in onore di Robert A. Millikan. 1949

288. On the Motion of Particles in General Relativity Theory, con L. INFELD, in «Canadian Journal of Mathematics», III, pp. 209-41. 289. Autobiographisches, in Albert Einstein: Philosopher-Scientist, a cura di P. A. Schilpp, «Library of Living Philosophers», Tudor, Evanston (Ill.); testo originale tedesco e traduzione inglese, pp. 2-95. Traduzione italiana di A. Gamba: Note autobiografiche, in A. Einstein e altri, Albert Einstein scienziato e filosofo, a cura di P. A. Schilpp, Boringhieri, Torino 1958, pp. 3-49; quindi, con titolo Autobiografia scientifica, in A. Einstein, Autobiografia scientifica, con interventi di Pauli, Born, Heitler, Bohr, Margenau, Reichenbach e Godei, Boringhieri, Torino 1979, pp. 9-55. 290. Remarks Concerning the Essays Brought together in This Co-Operative Volume, traduzione di P. A, Schilpp, ivi, pp. 665-88. L’originale in tedesco: Bemerkungen zu den in diesem Bande vereinigten Arbeiten, si trova nell’edizione tedesca del volume: Albert Einstein als Philosoph und Naturforscber, Kohlhammer Verlag, Stuttgart 1955, pp. 493511. Traduzione italiana di A. Gamba: Replica alle osservazioni dei vari autori, in Einstein e altri, Einstein scienziato e filosofo cit. (n. 289), pp. 609-35; quindi in Einstein, Autobiografia scientifica cit. (n. 289), pp. 207-33. 1950 291. Prefazione a P. FRANK, Relativity - A Richer Truth, Beacon Press, Boston. 292. Prefazione a S. HECHT, Explaining the Atom, Lindsay Drummond, London. 293. The Bianchi Identities in the Generalized Theory of Gravitation, in «Canadian Journal of Mathematics», II, pp. 120-28. 294. On the Generalized Theory of Gravitation, in «Scientific American», CLXXXII, pp. 13-17. Traduzione italiana di F. Fortini e C. Losurdo: Sulla teoria generalizzata della gravitazione, in Einstein, Idee e opinioni cit. (n. 306), pp. 318-31. 295. THE MEANING OF RELATIVITY, 3a edizione, Princeton University Press, Princeton (N.J.), 162 pp. Per la prima edizione e la traduzione italiana cfr. n. 131. Contiene una seconda appendice: Generalized Theory of Gravitation. Traduzione italiana dell’appendice, di L. A. Radicati: Teoria generalizzata della gravitazione, in Einstein, Significato della relatività cit. (n. 131), pp. 127-41 (ed. 1976). 296. ÜBER DIE SPEZIELLE UND ALLGEMEINE RELATIVITÄTSTHEORIE (GEMEINVERSTÄNDLICH), 15a edizione, Vieweg, Braunschweig, 104 pp. Per la prima edizione e la traduzione italiana cfr. n. 97. Oltre la stesura definitiva della terza appendice (cfr. n. 124), contiene una quarta e quinta

appendice, sul problema dello spazio. Traduzione italiana delle appendici, di V. Geymonat: Conferma della teoria della relatività generale da parte dell’esperienza, La struttura dello spazio secondo la teoria della relatività generale e La relatività e il problema dello spazio, in Einstein, Relatività: esposizione divulgativa cit. (n. 97), pp. 132-40, 130 sg. e 294-313 (ed. 1967). Altra traduzione, di F. Fortini e C. Losurdo, della terza appendice: La relatività e il problema dello spazio, in Einstein, Idee e opinioni cit. (n. 306), pp. 335-49. 297. OUT OF MY LATER YEARS, Philosophical Library, New York, 282 pp. Raccolta di articoli e saggi scritti dal 1933 in poi, in parte pubblicati anche in MeinWeltbild (n. 250) e nelle sue traduzioni (n. 251) e rimaneggiamenti (n. 306). Traduzione italiana di L. Bianchi: Pensieri degli anni difficili, Boringhieri, Torino 1965. 1953 298. Contributo, tradotto da A. George, a Louis de Broglie, physicien et penseur, Albin Michel, Paris. 299. THE MEANING OF RELATIVITY, 4a edizione, Princeton University Press, Princeton (N.J.). Per la prima edizione e la traduzione italiana cfr. n. 131. Contiene una nuova stesura della seconda appendice (n. 293). Per un successivo supplemento a questa appendice cfr. n. 303. Traduzione italiana dell’appendice, di L. A. Radicati: Teoria generalizzata della gravitazione, in Einstein, Significato della relatività cit. (n. 131), pp. 14275 (ed. 1976); anche in Cinquant’anni di relatività cit. (n. 9), pp. 577-603. 300. Prefazione a GALILEO, Dialogue Concerning the Two Chief World Systems, Ptolemaic and Copemican, traduzione di S. Drake, University of California Press, Berkeley. 301. Reply to a Criticism of a Recent Unified Field Theory, in «Physical Review», LXXXIX, p. 321. 302. Elementare Uberlegungen zur Interpretation der Grundlagen der Quantenmechanik, in Scientific Papers Presented to Max Born, Oliver & Boyd, London, pp. 33-40. 303. Supplemento di 8 pagine (pubblicato dalla Princeton University Press) alla seconda appendice di cui al n. 299. Traduzione italiana di A. M. Pratelli: Sulla generalizzazione della teoria della gravitazione, in Cinquant’anni di relatività cit. (n. 9), pp. 605-11; quindi in Einstein, Significato della relatività cit. (n. 131), pp. 176-83 (ed. 1976). 304. MEIN WELTBILD, nuova edizione a cura di C. Seelig, Europa, Zurich, 275

pp. Edizione rivista e molto ampliata. Per la prima edizione cfr. n. 250. 1954 305. Algebraic Properties of the Field in the Relativistic Theory of the Asymmetric Field, con B. KAUFMAN, in «Annals of Mathematics», LIX, pp. 23044. 306. Ideas and Opinions, a cura di C. Seelig, Crown, New York, 377 pp. Traduzione, di S. Bargmann, del n. 304, con aggiunta di nuovi saggi. Diversi brani compaiono anche in Out of My Later Years (n. 297). Traduzione italiana di F. Fortini con la consulenza scientifica di C. Losurdo: Idee e opinioni, Schwarz, Milano 1957. 1955 307. A New Form of the General Relativistic Field Equations, con B. KAUFMAN, in «Annals of Mathematics», LXII, pp. 128-38. 308. THE MEANING OF RELATIVITY, 5a edizione, Princeton University Press, Princeton (N.J.). Per la prima edizione e la traduzione italiana cfr. n. 131. Contiene una versione modificata della seconda appendice (nn. 295, 299, 303). Traduzione italiana, di L. A. Radicati, della nuova versione della seconda appendice: Teoria relativistica del campo non simmetrico, in Einstein, Significato della relatività cit. (n. 131), pp. 184-215 (ed. 1976). 309. Prefazione a Cinquant’anni di relatività, a cura di M. Pantaleo, Editrice Universitaria, Firenze; nuova ed., Giunti Barbera, Firenze, pp. XV-XX (testo originale tedesco e traduzione italiana).

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