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Italian Pages 644 Year 2006
Piano
dell'opera:
STORIA D'ITALIA Voi. I 476-1250 STORIA D'ITALIA Voi. II 1250-1600 STORIA D'ITALIA Voi. I I I 1600-1789 STORIA D'ITALIA Voi. I V 1789-1831 STORIA D'ITALIA Voi. V 1831-1861 STORIA D'ITALIA Voi. V I 1861-1919 S T O R I A D'ITALIA Voi. V I I 1919-1936 S T O R I A D'ITALIA Voi. V i l i 1936-1943 S T O R I A D'ITALIA Voi. I X 1943-1948 STORIA D'ITALIA Voi. X 1948-1965 STORIA D'ITALIA Voi. X I 1965-1993 STORIA D'ITALIA Voi. X I I 1993-1997
INDRO
MONTANELLI
STORIA D'ITALIA 1861 1919 INDRO MONTANELLI
L'ITALIA DEI NOTABILI Dal I8ÓI al 1900
INDRO MONTANELLI
L'ITALIA DI GIOLITTI Dal 1900 al 1920
STORIA
D'ITALIA
Voi. VI E D I Z I O N E PER O G G I pubblicata su licenza di R C S Libri S.p.A., Milano © 2006 R C S Libri S.p.A., M i l a n o Q u e s t o v o l u m e è f o r m a t o da: I n d r o Montanelli
LItalia dei Notabili © 1973 Rizzoli E d i t o r e , Milano © 1999 RCS Libri S.p.A., Milano I n d r o Montanelli
LItalia di Giolitti © 1974 Rizzoli E d i t o r e , Milano © 1999 R C S Libri S.p.A., Milano Progetto grafico S t u d i o Wise Coordinamento redazionale: Elvira M o d u g n o Fotocomposizione: C o m p o s 90 S.r.l., Milano
Allegato a O G G I di questa settimana N O N V E N D I B I L E SEPARATAMENTE Direttore responsabile: Pino Belleri RCS Periodici S.p.A. Via Rizzoli 2 - 20132 Milano Registrazione Tribunale di Milano n. 145 del 12/7/1948
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O
ra che l'Italia è fatta bisogna fare gli italiani» aveva detto Massimo d'Azeglio subito dopo la raggiunta Unità del Paese, ma a questa celebre frase fa da inquietante controcanto una battuta che il romanziere Federico De Roberto mette in bocca a un notabile e gattopardo siciliano nel suo romanzo I Viceré ambientato nella Sicilia annessa al Continente: «Ora che l'Italia è fatta, dobbiamo fare gli affari nostri...». Il cinismo di questa battuta è determinato dalle delusioni di un'Unità che, se aveva fatto più ricco il Nord, aveva di fatto ridotto il Meridione a una colonia amministrata o da «piemontesi» o da «tangentari» ante litteram che facevano incetta di denaro. Un'Italia in cui i lavori pubblici arricchiscono i privati, in cui -fatta eccezione per pochi personaggi (uno su tutti, Quintino Sella) - la cosa pubblica diviene cosa privata, in cui gli scandali economici hanno come ispiratori governi e uomini politici, in cui nasce la piaga del trasformismo in cui la destra non ha alcuna remora a divenire sinistra e viceversa. Sono anche anni in cui assistiamo al declino fatale dell'esercito italiano, con le sconfitte di Custoza e di Lissa nel 1866, ai velleitari tentativi dell'«Italietta» di trovare, il suo posto al sole in Africa (dove incorrerà però nelle disfatte di Dogali (1887) e di Adua (1896) e di essere (senza risultato) annoverata tra le «potenze» europee, alla feroce repressione del generale Bava Beccaris che non esita (1898) a ordinare all'esercito di sparare sulla folla che protestava a Milano per il rincaro del pane. Puomo che riuscì a mutare questo stato di cose fu uno dei pochi grandi statisti italiani dello scorso secolo: Giovanni Giolitti, che pose fine all'involuzione autoritaria in cui rischiava di precipitare il Paese, contribuì con le sue riforme alla nascita della grande industria, soddisfo le velleità
di potenza dell'esercito conquistando la Libia - il famoso «scatolone di sabbia» -, cercò, vanamente di tenere l'Italia fuori dal bagno di sangue del primo conflitto mondiale. Tornò per l'ultima volta al governo nel 1919 e pose fine all'impresa fiumana di D'Annunzio. Quando abbandonò il suo incarico di primo ministro non c'era più nessuno in grado di arrestare la marea montante del fascismo.
INDRO MONTANELLI (Fucecchio 1909 - Milano 2001) è stato il più grande giornalista italiano del Novecento. Laureato in legge e in scienze politiche, inviato speciale del «Corriere della Sera», fondatore del «Giornale nuovo» nel 1974 e della «Voce» nel 1994, è tornato nel 1995 al «Corriere» come editorialista. Ha scritto migliaia di articoli e oltre cinquanta libri. Tra i suoi ultimi successi, tutti pubblicati da Rizzoli, ricordiamo: Le stanze (1998), LItalia del Novecento (con Mario Cervi, 1998), La stecca nel coro (1999), LItalia del Millennio (con Mario Cervi, 2000), Le nuove stanze (2001).
Indro Montanelli
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AVVERTENZA
In questo volume ho cercato di riassumere gli avvenimenti del quarantennio compreso fra la proclamazione dell'Unità nel 1861 e l'uccisione di Re Umberto nel 1900. L'ho chiamato L'Italia d e i Notabili perché mi sembra che siano stati costoro a dare il carattere più saliente alla vita italiana di questo periodo. Molte cose vi mancano. Vi manca per esempio un panorama culturale. Me l'ero proposto. Gli avevo anche dedicato alcuni capitoli. Ma poi vi ho rinunciato, sopraffatto - lo confesso - dalla complessità del compito, e ho preferito attenermi a un quadro strettamente politico, sociale ed economico. Se sono riuscito a renderlo, sia pure con una certa sommarietà, credo di potermene contentare. Un caloroso ringraziamento lo debbo alla signora Maria Stella Signorini Sernas per la valida cMaborazione che mi ha dato nella ricerca e nella cernita delle fonti. I. M. Ottobre '73
PARTE PRIMA
G L I A N N I DELLA D E S T R A
CAPITOLO PRIMO
«SIC TRANSIT...»
C o m e abbiamo detto a c h i u s u r a del p r e c e d e n t e volume, nel g e n n a i o del ' 6 1 , q u a n d o a n c o r a nel S u d resistevano l e t r e cittadelle b o r b o n i c h e di Gaeta, Civitella del T r o n t o e Messina, si svolsero le elezioni, le p r i m e a carattere nazionale. Per il p a r t i t o m o d e r a t o di C a v o u r fu un trionfo. Ma n o n va dimenticato che su oltre 20 milioni di abitanti, il diritto di voto e r a riconosciuto solo a 4 0 0 . 0 0 0 , che r a p p r e s e n t a v a n o il d u e p e r cento della popolazione, e che a esercitarlo furono poco più della m e t à p e r c h é i p a r r o c i avevano predicato l'astensionismo. Fu questa C a m e r a r a p p r e s e n t a t i v a di u n a ristretta m i n o r a n z a , c h e nel m a r z o p r o c l a m ò l'Unità e ricon o b b e il titolo di Re a Vittorio E m a n u e l e II e ai suoi legittimi successori. D o p o d i c h é , c o m e la p r a s s i r i c h i e d e a o g n i r i n n o v o di legislatura, il g o v e r n o p r e s e n t ò le dimissioni. L'incarico di f o r m a r n e u n o n u o v o fu affidato n a t u r a l m e n t e a Cavour, che b a d ò s o p r a t t u t t o a dargli un carattere m e n o p i e m o n t e s e e p i ù italiano c o n u n abile d o s a g g i o d i e s p o n e n t i di t u t t e le r e g i o n i . Per la Toscana c'era Peruzzi, Fanti e Minghetti p e r l'Emilia, De Sanctis e Niutta p e r Napoli, Natoli p e r la Sicilia eccetera. Esso si p r e s e n t ò alla Cam e r a in aprile e, n o n o s t a n t e le forze di cui disponeva, fu subito investito dalla tempesta. A provocarla fu Garibaldi. D o p o la p a r t e n z a da Napoli, il G e n e r a l e si e r a ritirato a C a p r e r a d i c e n d o a tutti, forse a n c h e a se stesso, che di politica n o n voleva p i ù s a p e r n e . Perciò, q u a n d o i napoletani gli offrirono la c a n d i d a t u r a a d e p u t a t o , rispose: «Il m i o posto n o n è sugli scranni del p a r l a m e n t o » . Ma d o p o che, malgrado il rifiuto, lo ebbero eletto, finì p e r accettare il m a n d a t o . 9
A provocare quel r i p e n s a m e n t o , e r a stata l'onda di ritorno della Gloria. La pubblica o p i n i o n e che, nel m o m e n t o in cui egli assumeva atteggiamenti di ribelle, gli si era rivoltata c o n t r o , o r a l o c o n s i d e r a v a u n a vittima p e r gli sgarbi c h e aveva subito a Napoli e gli attribuiva u n ' a u r e o l a di Cincinnato. O g n i venerdì, sul piccolo molo di C a p r e r a , il «postale» rovesciava t o r m e di visitatori. Arrivavano vecchi amici, commilitoni, cacciatori di autografi, socialiste russe, fìlantropesse inglesi, e m a n c i p a t r i c i a m e r i c a n e , d e p u t a z i o n i patriottiche, irredentisti veneti, trentini, istriani, proscritti u n g h e r e si, polacchi, greci, r o m e n i . Lady Shaftesbury gli chiese u n a ciocca di capelli. Il Duca di S u t h e r l a n d gli sottoponeva piani di rivoluzione c o n t r o l ' I m p e r o asburgico e quello t u r c o . Un diplomatico a m e r i c a n o riferiva a Washington c h e Garibaldi era «una delle G r a n d i Potenze d ' E u r o p a » . A t a n t e sollecitazioni, si aggiunse un pretesto provocatorio: la C a m e r a doveva d e c i d e r e il t r a t t a m e n t o da fare ai volontari garibaldini che avevano conquistato le D u e Sicilie: il loro capo n o n poteva declinarne il p a t r o n a t o . Garibaldi a p r ì le ostilità d i c h i a r a n d o a u n a r a p p r e s e n t a n z a di o p e r a i venuti a o m a g g i a r l o nell'isola: «Vittorio è c i r c o n d a t o da g e n t e senza c u o r e , senza patriottismo, da u o m i n i che h a n n o creato un dualismo fra l'esercito regolare e i volontari. Quegl'ind e g n i h a n n o seminato discordie e odio». L'eco di quelle parole, g i u n g e n d o a Torino quasi contemp o r a n e a m e n t e al Generale, suscitò indignazione fra i m o d e rati e p a n i c o fra i d e m o c r a t i c i , c h e in G a r i b a l d i a v e v a n o g r a n fiducia sul c a m p o d i battaglia, m a sui b a n c h i p a r l a m e n t a r i p r e f e r i v a n o n o n averlo tra i piedi. E i fatti conferm a r o n o la loro a p p r e n s i o n e . G a r i b a l d i n o n e n t r ò , i r r u p p e a d d i r i t t u r a n e l l ' a u l a con camicia rossa e poncho grigio sulle spalle, affiancato da d u e fedelissimi. U n o scroscio d'applausi lo salutò da sinistra, un m o r m o r i o di disapprovazione e di sarcasmo da destra. Dopo c h ' e b b e r o parlato Ricasoli e Fanti, chiese la parola. «Dov e n d o p a r l a r e dell'armata meridionale - disse -, dovrei nar10
r a r e d e i fatti b e n gloriosi: i p r o d i g i da essa o p e r a t i furono offuscati s o l a m e n t e q u a n d o la f r e d d a e n e m i c a m a n o di questo ministero (rumori) faceva sentire i suoi effetti malefici (urla). Q u a n d o , p e r l'amore della concordia, l'orrore di u n a g u e r r a fratricida provocata da questo stesso ministero...» A questo p u n t o la sua voce si p e r s e nel p a n d e m o n i o . C a v o u r gridava: «Non è p e r m e s s o d'insultarci!» Gridava Garibaldi: «Sì, u n a g u e r r a fratricida!» B i s o g n ò s o s p e n d e r e p e r u n q u a r t o d ' o r a la s e d u t a , che fu r i p r e s a c o n un discorso di Bixio in cui si manifestava il disagio degli stessi garibaldini di più stretta osservanza. Garibaldi vuotò il sacco. « Q u a n d o arrivai a Torino - disse p a r l a n d o della c a m p a g n a del '59 -, accorrevano i volontari, ma a me n o n si d a v a n o che i gobbi e gli storpi...»: u n a frase che deve aver r i e m p i t o d'orgoglio i p o v e r i r e d u c i . C a v o u r tagliò c o r t o : «C'è, t r a il G e n e r a l e e m e , un fatto che ci separa: io ho c r e d u t o di a d e m p i e r e il mio d o v e r e consigliando al Re la cessione di Nizza». C'era a n c h e quello, infatti, ma n o n soltanto quello. L'Italia m o d e r a t a e quella rivoluzionaria p o t e v a n o finalmente sfidarsi in un lib e r o P a r l a m e n t o , e o g n u n a di esse rivendicava il m e r i t o di aver fatto l'unità nazionale e il diritto di darle il suo volto. L ' i n d o m a n i Cialdini scrisse a G a r i b a l d i u n a l e t t e r a c h e poi fu pubblicata da La Perseveranza: «Dacché vi conobbi, fui vostro amico, e lo fui q u a n d o l'esserlo e il dirlo era biasimato da molti. O r a le vostre parole nella C a m e r a mi p o r t a r o n o u n d i s i n g a n n o p e n o s i s s i m o , m a c o m p l e t o . Voi n o n siete l ' u o m o che io credeva, voi n o n siete il Garibaldi c h e a m a i . Voi osate mettervi al livello del Re p a r l a n d o n e con l'affettata familiarità d ' u n camerata; al di sopra del g o v e r n o , dicend o n e traditori i ministri; al di sopra del P a r l a m e n t o , vituper a n d o n e i r a p p r e s e n t a n t i ; al di s o p r a degli usi p a r l a m e n t a ri, p r e s e n t a n d o v i alla C a m e r a in costume s t r a n o e teatrale; al di s o p r a infine di t u t t o il Paese c h e v o r r e s t e s o s p i n g e r e d o v e e meglio vi aggrada...» Per evitare un d u e l l o d o v e t t e i n t e r p o r s i da p a c i e r e il Re. G a r i b a l d i finì p e r a b b r a c c i a r e Cialdini e p e r riconciliarsi a n c h e con C a v o u r cui tuttavia, da 11
q u a n t o disse a G u e r z o n i , si rifiutò di stringere la m a n o . Ma poi da C a p r e r a gli scrisse u n a lettera cortese che t e r m i n a v a con queste parole: «Fidente nelle di lei capacità superiori e ferma volontà di fare il b e n e della patria, io aspetterò la fausta voce che mi chiami u n a volta a n c o r a sui c a m p i di battaglia». Chiuso l'incidente, Cavour si p r e p a r a v a ad affrontare gl'imm e n s i p r o b l e m i dell'unificazione, q u a n d o fu colto a t r a d i m e n t o dal male. Di che n a t u r a fosse, i medici di allora n o n si r e s e r o conto. Ma quelli di oggi, dalla descrizione dei sintomi lasciatane d a alcuni testimoni, p r o p e n d o n o p e r u n attacco di malaria d e g e n e r a t a in perniciosa p e r e r r o r e di cur e . F u alla fine d i m a g g i o c h e , r i e n t r a n d o u n a sera dalla consueta visita alla sua amica Ronzani, avvertì i brividi della febbre, ma n o n vi d i e d e p e s o p e r c h é negli ultimi t e m p i gli e r a già capitato altre volte. Chiese un salasso p e r t i m o r e di un attacco a p o p l e t t i c o . E d u e g i o r n i d o p o , sfebbrato, convocò al suo letto i Ministri p e r t e n e r e consiglio con loro. Ma alla sera il t e r m o m e t r o salì a q u a r a n t a , e sopraggiunse u n ' e m o r r a g i a . Nel delirio parlava di progetti., di riforme, di leggi, di strade da costruire, e insisteva che la notizia della sua malattia n o n fosse d i v u l g a t a p e r n o n intralciare u n ' o p e r a zione di prestito che lo Stato aveva a p p e n a lanciato. Invece già tutti s a p e v a n o che le sue condizioni e r a n o gravi e facev a n o ressa davanti al p o r t a l e e n e l l ' a n d r o n e . II 4 la n i p o t e , figlia di suo fratello, c h ' e r a la p e r s o n a a lui più cara, gli chiese se voleva v e d e r e il confessore che a t t e n d e v a in anticamera. C a v o u r c o m p r e s e e a n n u ì . «Voglio che si s a p p i a - disse p o c o d o p o a Farini: - voglio c h e il b u o n p o p o l o di T o r i n o sappia ch'io m u o i o da b u o n cristiano.» L'indomani v e n n e il Re. C a v o u r lo riconobbe e p r e n d e n d o g l i la m a n o farfugliò: «Ho molte cose da c o m u n i c a r e a Vostra Maestà, molte carte da mostrarle, ma sono t r o p p o a m m a l a t o , le m a n d e r ò Farini c h e le p a r l e r à di t u t t o in particolare... N i e n t e stato d'assed i o , n e s s u n m e z z o di g o v e r n o assoluto. Tutti son b u o n i a 12
g o v e r n a r e con lo stato d'assedio... Garibaldi è un g a l a n t u o m o , io n o n gli voglio alcun male. Egli vuole a n d a r e a R o m a e a Venezia, e a n c h ' i o : n e s s u n o ne ha p i ù fretta di noi. Q u a n t o all'Istria e al Tirolo, è un'altra cosa. Sarà il lavoro di un'altra generazione. Noi abbiam fatto abbastanza, noialtri: a b b i a m fatto l'Italia, sì, l'Italia, e la cosa va...» P u r nel delirio, il suo p e n s i e r o restava fisso lì, sull'Italia. Q u a n d o e n t r ò il confessore c o n l'olio s a n t o , gli disse: «Frate, frate, libera Chiesa in libero Stato!», e furono le sue ultime p a r o l e . Aveva c i n q u a n t u n a n n o . Il 6 g i u g n o , q u a n d o si sparse la notizia della sua m o r t e , T o r i n o p r e s e il lutto. I n e g o z i a n t i a b b a s s a r o n o le saracinesche, i teatri chiusero gli sportelli, le s t r a d e si v u o t a r o n o . Il cordoglio era g e n e r a l e e sincero. Il Primo Ministro inglese, Peel, d i c h i a r ò l ' i n d o m a n i in p a r l a m e n t o c h e quella di Cav o u r era «senza d u b b i o la scomparsa d e l l ' u o m o di Stato p i ù illustre tra quelli che abbiano diretto i destini di u n a nazione e u r o p e a nella via della libertà costituzionale», e il capo dell'opposizione Palmerston: «La storia cui resterà legata la sua m e m o r i a è delle più straordinarie, anzi dirò la più romantica che ricordino gli annali del m o n d o » . Ma forse l'omaggio p i ù cavalleresco e c o n v i n c e n t e glielo r e s e , u n a v e n t i n a di giorni d o p o , alla C a m e r a dei Deputati, il suo arcinemico Ferrari, autorevole esponente dell'opposizione democratica: «No, voi n o n s e n t i r e t e d a m e i n q u e s t o r e c i n t o u n a p a r o l a c o n t r a r i a al C o n t e di Cavour, che ha c o m p i u t o l'opera sua, che ci ha vinti, e la cui m o r t e nella vittoria p u ò essere a u g u rata al migliore d e i nostri amici. La t e r r a p o t r e b b e g i r a r e mille volte i n t o r n o al sole, il C o n t e di Cavour ci avrebbe vinti. Io considero c o m e un o n o r e della mia vita di essermi misurato con lui nello scontro di poche parole, indelebili nella mia m e m o r i a . Q u a l u n q u e cosa che voi o r a facciate, a n d a t e a R o m a , p e n e t r a t e a Venezia, sarà il C o n t e di C a v o u r c h e vi avrà condotti, preceduti, consigliati, menati...» La sola eccezione ài c o r o la fece la s t a m p a clericale, la quale scrisse che C a v o u r aveva m a n d a t o a c h i a m a r e il con13
fessore p e r fare atto di ritrattazione della sua politica e chied e r n e p e r d o n o . Ma lo stesso fratello Gustavo, n o n o s t a n t e la sua bigotteria, s m e n t ì s d e g n o s a m e n t e q u e s t a v e r s i o n e . I n verità, che cosa a v v e n n e fra il p r e t e e il m o r i b o n d o n o n lo sa n e s s u n o p e r c h é il p r e t e , p a d r e Giacomo da Poirino, si rifiutò di dirlo a n c h e al Papa, q u a n d o fu convocato davanti a lui, trincerandosi dietro il segreto sacramentale. Secondo la versione più accreditata, C a v o u r si era in p r e c e d e n z a accordato con lui, i m p e g n a n d o l o a n o n fargli sul letto di m o r t e il ricatto di cui e r a stato vittima il ministro Sahtarosa d o p o le leggi Siccardi, e il confessore t e n n e p a r o l a i m p a r t e n d o g l i i Sacramenti senza esigere n e s s u n a ritrattazione. Il che, dicono i laici, troverebbe conferma nel d u r o castigo che a p a d r e G i a c o m o fu inflitto. Ma i clericali n e g a n o a n c h e questo castigo, e n e s s u n o saprà mai chi abbia ragione. O r a v e n i a m o all'eredità che il g r a n d e s c o m p a r s o lasciava. C o m e vastità e complessità di problemi, era un p a t r i m o nio i m p o n e n t e .
CAPITOLO SECONDO
ITALIA, A N N O ZERO
A s s u m e n d o il titolo di Re d'Italia c o m e Vittorio E m a n u e l e secondo, cioè col suo vecchio n u m e r a l e di Re di S a r d e g n a , questi aveva fatto u n a scelta della cui i m p o r t a n z a forse n o n si r e n d e v a esatto conto, ma che ne pregiudicava un'altra di carattere sostanziale. C e r t a m e n t e quello c h ' e r a stato proclam a t o nel m a r z o del '61 e r a u n o Stato n u o v o , consacrato dai plebisciti. Ma questi plebisciti avevano s e m p l i c e m e n t e sanzionato l'annessione al P i e m o n t e , di cui accettavano la dinastia e le leggi f o n d a m e n t a l i , e di cui così il n u o v o Stato nazionale diventava un semplice i n g r a n d i m e n t o . Esso nasceva n o n da un p a t t o fra S o v r a n o e Popolo, basato su reciproci i m p e g n i , ma da un atto deditizio, che a u t o m a t i c a m e n t e implicava la rinunzia a u n a Costituente. O r a , il vecchio Stato p i e m o n t e s e si e r a f o r m a t o sul m o dello d i quello francese, r i g i d a m e n t e a c c e n t r a t o . C a v o u r aveva cercato di a l l e n t a r n e il monolitismo. Ma, scoraggiato dalle resistenze che incontrava, aveva preferito desistere, lasciando le cose come stavano. E le cose stavano in m o d o che nella Provincia il Prefetto e r a p r a t i c a m e n t e o n n i p o t e n t e , e nel C o m u n e il Sindaco era di n o m i n a regia, cioè un funzion a r i o d i Stato più c h e u n d e l e g a t o del p o p o l o . D o p o l'annessione della L o m b a r d i a , che aveva u n a certa tradizione di a u t o n o m i e a m m i n i s t r a t i v e locali, si e r a n o a p p o r t a t i dei ritocchi. Ma il sistema restava tipicamente centralistico. E a rib a d i r e q u e s t o c a r a t t e r e , o r a c h e si trattava di e s t e n d e r l o a tutta la Nazione, c o n t r i b u i r o n o vari fattori. P r i m o , la m a n c a n z a di u n a spinta rivoluzionaria dal basso: la sola che avrebbe p o t u t o imporsi al p o t e r e centrale e li15
m i t a r n e l'invadenza. S e c o n d o : il fatto c h e lo stesso Partito d'Azione, i n t e r p r e t e delle scarse forze popolari che avevano recato q u a l c h e c o n t r i b u t o al Risorgimento, e r a rimasto d'ispirazione mazziniana a n c h e q u a n d o a Mazzini si ribellava, e q u i n d i era a n c h ' e s s o r i g i d a m e n t e u n i t a r i o . T e r z o : la n e cessità di m a s c h e r a r e in qualche m o d o , agli occhi del m o n do e degli stessi italiani, l'intrinseca debolezza di u n a Nazione d i v e n t a t a tale senza volerlo e q u i n d i b i s o g n o s a di u n a «ingessatura» c h e ne tenesse saldate le m e m b r a e desse alm e n o l'illusione di u n a volontà unitaria che in realtà nel p o polo mancava. Q u a r t o , e forse più decisivo di tutti: l'interesse della classe d i r i g e n t e di costituire il p o t e r e in m o d o da poterlo t e n e r e s a l d a m e n t e in m a n o . Gli u o m i n i che la comp o n e v a n o , quasi tutti di estrazione m o d e r a t a , avevano fondati motivi di r i t e n e r e che l'Italia da loro fatta, senza di loro si sarebbe disfatta. E da questo si sentivano m o r a l m e n t e autorizzati a g a r a n t i r s e n e il m o n o p o l i o . U n a s t r u t t u r a centralizzata, basata su Prefetti investiti di poteri proconsolari, era il mezzo più sicuro p e r conservarlo. E p p u r e , sia detto a suo o n o r e , questa classe politica n o n p r o c e d e t t e a occhi chiusi, lasciandosi g u i d a r e soltanto dai p r o p r i interessi corporativi. Anche se p e r le ragioni che abb i a m o d e t t o aveva abbracciato il p r i n c i p i o u n i t a r i o , essa si era formata all'insegna di un liberalismo che esaltava le aut o n o m i e locali, e il p r o b l e m a di rafforzarle o di darvi avvìo se lo pose. Anzi, a lanciarlo fu p r o p r i o un nobile p i e m o n t e se, Ponza di San Martino, che fin dal '53 aveva elaborato un p i a n o di d e c e n t r a m e n t o amministrativo, che suscitò l'entusiasmo di altri d u e influentissimi m o d e r a t i , Minghetti e Farini. Forse p e r p r e v e n i r e sospetti e diffidenze, esso n o n parlava di «Regioni». Ma p r e v e d e v a l'istituzione di « G r a n d i Province», che t e r r i t o r i a l m e n t e c o r r i s p o n d e v a n o p r e s s a p poco alle Regioni, dotate di poteri abbastanza a m p i . Q u a n d o nel '60 diventò Ministro d e g l ' I n t e r n i , Farini istituì p e r lo studio di questa f o n d a m e n t a l e riforma u n a C o m m i s s i o n e di cui M i n g h e t t i fu l ' a n i m a , e ne tracciò il p r o 16
g r a m m a in u n a Nota in cui si r i t r o v a n o tutti i prò e i contro della polemica regionalistica attuale. In Italia, diceva Farini riferendosi a un'Italia che ancora n o n c o m p r e n d e v a il Mezz o g i o r n o , ci s o n o sei R e g i o n i , di cui a l m e n o q u a t t r o (Piem o n t e , L o m b a r d i a , Liguria, Toscana) h a n n o u n a tradizione di Stato e q u i n d i u n a certa e s p e r i e n z a a m m i n i s t r a t i v a . Lo Stato p u ò q u i n d i delegar loro dei poteri. Ma d o p o q u e s t o p r o m e t t e n t e e s o r d i o ; la Nota faceva macchina indietro dicendo che questi poteri dovevano p e r ò essere esercitati da funzionari di Stato, cioè da qualche specie di S u p e r p r e f e t t o , e n o n da organi elettivi p e r c h é questi si sarebbero messi in c o n c o r r e n z a col P a r l a m e n t o nazionale e a v r e b b e r o s e m p l i c e m e n t e moltiplicato p e r sei i difetti del centralismo p i e m o n t e s e . Sono gli a r g o m e n t i c h e a n c h e noi a b b i a m o sentito dibattere in questo d o p o g u e r r a e che p r o babilmente c o n t i n u e r a n n o ad affliggerci a n c h e o r a che l'ord i n a m e n t o regionale ha p r e s o il suo r u g g i n o s o avvìo. Poi successe quel che successe. Garibaldi p a r t ì p e r Marsala, g i u n s e da t r i o n f a t o r e a N a p o l i , Vittorio E m a n u e l e fu p r o c l a m a t o Re d'Italia, di un'Italia alla cui completezza n o n m a n c a v a n o p i ù che R o m a e le Venezie, e il p r o b l e m a della sua s t r u t t u r a si p r e s e n t ò c o n m a g g i o r e u r g e n z a , ma sotto u n a luce del tutto nuova. Minghetti n o n aveva p e r s o il suo t e m p o . Alla vigilia della consacrazione dell'Unità, la sua Commissione aveva già a p p r o n t a t o q u a t t r o disegni di legge, che a n c h e lui c o r r e d ò di u n a Nota in cui si r i t r o v a n o le stesse s p e r a n z e , ma a n c h e le stesse p a u r e , di Farini. N e m m e n o lui parlava di Regioni. Le c h i a m a v a «consorzi di province», le voleva r e t t e da un gov e r n a t o r e di n o m i n a regia e si affrettava a d i r e ch'esse d o vevano c o l l a b o r a r e al rafforzamento, n o n a l l ' a l l e n t a m e n t o del vincolo unitario. Ma p u r c o n t u t t e q u e s t e p r e c a u z i o n i e riserve, i p o t e r i concessi ai Consorzi e r a n o sostanziali, e facevano di quella di Minghetti la p r o p o s t a più a u d a c e . Così a u d a c e che i più se ne s p a v e n t a r o n o . La Farina mobilitò c o n t r o di essa la sua 17
Società Nazionale, e N i g r a da Parigi scrisse a Cavour: «Per carità, combatta il sistema regionale, se no siam perduti». C a v o u r n o n c o n d i v i d e v a questi t i m o r i , m a e r a t r o p p o animale politico p e r i m p e g n a r s i in u n a battaglia che offriva b e n p o c h e s p e r a n z e di vittoria. S p e c i a l m e n t e i notabili del Sud, c h ' e r a n o la forza del suo p a r t i t o , invocavano lo Stato forte e a u t o r i t a r i o c h e imbrigliasse i m o v i m e n t i eversivi e sanfedisti da cui si sentivano minacciati. E p p o i doveva fare i conti con la vecchia b u r o c r a z i a p i e m o n t e s e , a b i t u a t a al com a n d o accentrato e f e r m a m e n t e decisa a esercitarlo su tutta la Nazione p e r n o n p e r d e r n e il controllo. P u r incoraggiando Minghetti a difendere in P a r l a m e n t o la sua riforma e sos t e n e n d o l a di p e r s o n a , C a v o u r si rifiutò di farla sua i m p e g n a n d o v i la sorte del g o v e r n o , e q u i n d i n o n pose la «questione di fiducia». Cioè disse a Minghetti: «Combatti la tua battaglia. Se vinci, n o i f a r e m o n o s t r a la t u a vittoria realizz a n d o la riforma. Se p e r d i , la sconfitta è soltanto tua». N a t u r a l m e n t e questo indebolì la posizione di Minghetti, ma n o n fu la causa d e t e r m i n a n t e del suo insuccesso. Agli avversari n o n m a n c a r o n o gli a r g o m e n t i p e r d i m o s t r a r e l a pericolosità di un p r o g e t t o che, a n c h e se lasciava un margin e i r r i s o r i o alle a u t o n o m i e locali, c r e a v a tuttavia q u a l c h e imbarazzo al p o t e r e centrale nel m o m e n t o in cui questo d o veva risolvere p r o b l e m i urgentissimi c o m e quelli di R o m a e di Venezia, l'unificazione di b e n sette diversi sistemi legislativi, doganali, m o n e t a r i , scolastici, eccetera, tutte operazioni che esigevano il c o m a n d o accentrato e vi c o n d u c e v a n o . Ma a r e n d e r e inevitabile la bocciatura f u r o n o altri d u e motivi, molto più profondi. Il p r i m o - su cui n o n s'insisterà mai abbastanza - e r a la particolare n a t u r a del processo unitario. Il Risorgimento e r a stato, c o m e oggi si direbbe, u n a «operazione di vertice», c h e seguitava a i n t e r e s s a r e soltanto il vertice, cioè l'esigua m i n o r a n z a che lo aveva fatto. E vero ch'essa m o s t r a v a u n a spiccata allergia a qualsiasi delega di p o t e r e . Ma è altrettanto vero che, a n c h e se avesse voluto farne, avrebbe incontra18
to grosse difficoltà p e r m a n c a n z a di p e r s o n a l e . La tradizione e l'abitudine del «pubblico servizio» m a n c a v a totalmente. Il «servitore dello Stato» e r a esistito solo a Torino e un p o ' a N a p o l i . T u t t e le a l t r e piccole capitali italane n o n a v e v a n o conosciuto che il cortigiano, cioè il servitore del p a d r o n e , e in q u e s t e c o n d i z i o n i la c r e a z i o n e di c e n t r i di p o t e r e locali era impossibile, o q u a n t o m e n o molto difficile, p e r c h é n o n si sarebbe s a p u t o a chi affidarli. Il secondo motivo e r a che la riforma si basava su un equivoco. S e b b e n e i suoi p a l a d i n i dicessero c h e n o n i n t e n d e v a n o r i a n i m a r e l'antico spirito a u t o n o m i s t i c o , essi s p e r a v a n o di trovarvi un sostegno. Ma questo spirito n o n c'era p e r c h é i vecchi Stati n o n e r a n o che delle satrapie - a n c h e se b e n e vole, c o m e in Toscana - che, i m p e d e n d o al s u d d i t o di a m m i n i s t r a r s i da sé, a v e v a n o soffocato in lui o g n i slancio di partecipazione. Gl'italiani restavano assenti dalla vita nazionale n o n p e r c h é fossero attaccati a quella regionale o m u n i cipale, m a p e r c h é e r a n o t o t a l m e n t e d i s e d u c a t i a qualsiasi f o r m a di autodecisione. Solo i l o m b a r d i avevano u n a certa tradizione amministrativa, p e r c h é sia gli spagnoli che gli austriaci gli a v e v a n o c o n s e n t i t o , i n q u e s t o c a m p o , u n c e r t o m a r g i n e di a u t o g o v e r n o . Tutti gli altri consideravano la cosiddetta «cosa pubblica» c o m e cosa del p a d r o n e , cui a d d o s savano t u t t e le responsabilità nella stessa m i s u r a in cui gli riconoscevano tutti i p o t e r i , e c o n t r o il quale si riservavano solo un diritto di protesta a voce più o m e n o alta a seconda della sua t o l l e r a n z a : u n a t t e g g i a m e n t o c h e n e a n c h e d o p o c e n t ' a n n i ha subito sostanziali m u t a m e n t i . E q u e s t o fece sì che al p r o g e t t o Minghetti mancasse a n c h e l'appoggio xieila pubblica o p i n i o n e . C o n g r a n meraviglia di tutti, esso trovò un difensore in Mazzini. I g n o r i a m o c h e cosa lo s p i n g e s s e a r i t r a t t a r e in quell'occasione il suo risoluto e tenace centralismo unitario. Ma il suo e s e m p i o n o n fece scuola n e a n c h e fra coloro che a lui s'ispiravano. Il p r o g e t t o Minghetti fu forse l'unico su cui n o n si vide u n a c o n t r a p p o s i z i o n e di s c h i e r a m e n t i . U o m i n i 19
di Destra si t r o v a r o n o alleati di u o m i n i di Sinistra sia nella critica c h e nell'elogio. Ma le critiche furono molto più massicce e a p p l a u d i t e degli elogi. Il 18 m a g g i o , cioè dieci g i o r n i p r i m a c h e C a v o u r fosse c o l p i t o d a l m a l e c h e l o a v r e b b e c o n d o t t o alla t o m b a , u n a C o m m i s s i o n e n o m i n a t a dalla C a m e r a decise di seppellire i q u a t t r o disegni di legge p r i m a a n c o r a c h e venissero in discussione. I regionalisti d ' o g g i g i o r n o p a r l a n o di p r o c u r a t o a b o r t o . Ma s b a g l i a n o . La soluzione u n i t a r i a n o n fu scelta dagli u o m i n i , ma imposta dalla stessa logica del processo risorgimentale. E r a fatale che la Nazione prevalesse sulla Regione. Per q u a n t o fragile, la p r i m a era u n a realtà concreta; la seconda u n a creatura astratta che n o n rispondeva né a u n a t r a d i z i o n e né a un anelito di p o p o l o . Possiamo d e p l o r a r l o p e r c h é l ' a c c e n t r a m e n t o aveva i suoi i n c o n v e n i e n t i : p r i m o fra tutti quello di estraniare vieppiù il cittadino dalla cosa p u b b l i c a e di d i s e d u c a r l o a l l ' a u t o g o v e r n o . Ma n o n si p u ò contestarlo. Così n a c q u e , accentrata e prefettizia, l'Italia dei «notabili». E o r a vediamo i p r o b l e m i di fronte a cui si trovava, p r o p r i o nel m o m e n t o in cui p e r d e v a l ' u o m o più qualificato ad affrontarli. Delle statistiche di quei t e m p i - e forse di tutti i t e m p i n o n c'è molto da fidarsi. Ma a l m e n o all'ingrosso s e m b r a accertato che l'Italia unificata sotto la c o r o n a di Vittorio Emanuele, e cioè senza il Lazio e le tre Venezie, contava nel '61 circa 22 milioni di abitanti, i quali p e r la p r i m a volta d o p o la c a d u t a di Roma, cioè d o p o quindici secoli, si accingevano a coabitare sotto lo stesso tetto e la m e d e s i m a legge. Di essi, circa il 70 p e r cento vivevano di agricoltura, che p e r ò n o n e r a d a p p e r t u t t o la stessa, e n o n soltanto p e r la diversa n a t u r a del suolo. Nella p i a n u r a p a d a n a d a u n pezzo aveva già p r e s o avvìo un capitalismo a g r a r i o , t e c n i c a m e n t e abbastanza evoluto. Le a z i e n d e e r a n o in m a n o a g r a n d i affittuari, che le c o n d u c e v a n o a risaie e a pascoli, i n t e g r a n d o le con allevamenti di bestiame e caseifici. Nel C e n t r o subap20
p e n n i n i c o , e specialmente in Toscana, questo sviluppo aveva trovato un insormontabile ostacolo nella mezzadria, cui i terrieri e r a n o rimasti fedeli n o n tanto p e r motivi economici, q u a n t o p e r ragioni sociali. La mezzadria era l'immobilismo, ma a n c h e , anzi a p p u n t o p e r questo, la tranquillità. C h i u s a nel suo p o d e r e , autosufficiente nei suoi bisogni e sottomessa a l l ' o n n i p o t e n t e «capoccia», la famiglia del m e z z a d r o e r a p i ù c o n s e r v a t r i c e del p a d r o n e . Nei m e t o d i tradizionali, il c o n t a d i n o toscano dava il meglio. Ma n o n evolveva. La dis t r i b u z i o n e delle p r o p r i e t à e r a a b b a s t a n z a equilibrata, razionale la r o t a z i o n e delle c o l t u r e , eccellente il p r o d o t t o , il p a n e assicurato a tutti, ma poco più che il p a n e . Un m o n d o stagnante, basato sulla parsimonia. Nel Sud, p e r m a n e v a n o i violenti contrasti tipici del sottosviluppo. Accanto a latifondi vasti c o m e province, c'era u n a piccola p r o p r i e t à sbriciolata in minifondi, insufficienti a n che ai più elementari bisogni. Salvo certe limitatissime zone privilegiate - quelle, p e r e s e m p i o , degli a g r u m e t i -, la colt u r a e r a praticata coi mezzi r u d i m e n t a l i dell'aratro a chiodo senz'altri concimi che quelli naturali e spesso senza rotazione p e r c h é quasi tutta a cereali, che impoveriscono e spossano la t e r r a . Infatti la resa era così scarsa, che fin d'allora l'Italia d o v e t t e i m p o r t a r e g r a n o , a n c h e nelle a n n a t e b u o n e , m e n t r e e s p o r t a v a il riso p i e m o n t e s e e l o m b a r d o che s u p e rava il fabbisogno nazionale. A n c h e c o m e Paese agricolo i l n o s t r o , d u n q u e , e r a u n Paese p o v e r o , e lo si vedeva dalle diete. In molte zone il pane era già un lusso domenicale: il cibo di base e r a la polenta di g r a n t u r c o , c h e p r o v o c ò il diffondersi della «pellagra». Sulla m e n s a del c o n t a d i n o settentrionale, la c a r n e n o n compariva più di u n a volta al mese, e su quella del meridionale, m e n o di u n a volta all'anno. Ma a n c h e peggio a n d a v a n o le cose nel c a m p o dell'industria, c h e c o n t r i b u i v a solo p e r u n o scarso 2 0 p e r c e n t o a l reddito nazionale e n o n assorbiva c h e un diciotto p e r cento della p o p o l a z i o n e attiva. Il suo pilastro e r a la seta greggia, 21
di cui l'Italia restava la p i ù g r a n d e e s p o r t a t r i c e d ' E u r o p a . Q u e s t o p r i m a t o era stato minacciato dalla c o n c o r r e n z a prima d e l l ' I n d i a , p o i della C i n a e infine del G i a p p o n e . Ma il costo dei trasporti da quei lontani Paesi aveva consentito ai bachicoltori italiani di s u p e r a r e la crisi, o a l m e n o di limitarn e l e c o n s e g u e n z e . P r o p r i o negli a n n i d e l l ' U n i t à u n altro flagello si era abbattuto su di loro: u n a malattia del baco c h i a m a t a pebrina. Ma a n c h e q u e s t a j a t t u r a fu di lì a p o c o scongiurata, e le filande r i p r e s e r o aìre. Esse e r a n o a d d e n s a t e quasi esclusivamente in P i e m o n t e e L o m b a r d i a , e ciò contribuisce a s p i e g a r e c o m e mai il d e collo industriale avvenne p r o p r i o in queste regioni. I p r i m i impianti industriali d e g n i di questo n o m e furono i cotonifici di T o r i n o , d e l V e r b a n o e di B u s t o Arsizio, e i lanifici di Biella, di Schio e di Prato. Alcuni studiosi dicono che questa localizzazione fu d e t e r m i n a t a soltanto da motivi orografici, e cioè dal fatto che qui c'erano dei fiumi cui, in un Paese povero di c a r b o n fossile c o m e il n o s t r o , si p o t e v a a t t i n g e r e la forza m o t r i c e p e r le m a c c h i n e . La spiegazione n o n ci convince affatto. Fiumi e t o r r e n t i in Italia ce ne sono d a p p e r tutto. I m p r e n d i t o r i e tecnici svizzeri ne avevano trovati, p e r i m p i a n t a r e un cotonificio, a n c h e a Salerno. Ma il fatto è che le i n d u s t r i e n a s c o n o grazie all'iniziativa degli u o m i n i , n o n ai favori dell'orografia. Ai p r i m i dell'Ottocento g l ' i m p r e n d i tori piemontesi e l o m b a r d i e r a n o a n c o r a terrieri, ma già a p plicavano all'agricoltura dei criteri industriali. Avevano regimato e canalizzato i corsi d'acqua e trasformato la fattoria in «cascina» che col suo caseificio e r a già u n a piccola i n d u stria di t r a s f o r m a z i o n e . A l t r e t t a n t o succedeva in Toscana. C o m e fiumi, P r a t o n o n ha che il Bisenzio, cioè un r i g a g n o lo. Ma in c o m p e n s o ha i pratesi, che già nel T r e c e n t o p r o d u c e v a n o lana e l'esportavano in tutto il m o n d o . Se il decollo industriale ebbe in queste zone i suoi epicentri, fu p e r c h é solo qui trovò degli u o m i n i disposti ad affrontarne i rischi. Il s e c o n d o passo fu la meccanica, cui d i e d e avvìo l'ebbrezza ferroviaria. Oggi è difficile r e n d e r s i conto di questa 22
u b r i a c a t u r a . Ne fu contagiato lo stesso Cavour, il quale vedeva nelle ferrovie l'unica soluzione dei problemi economici italiani. E a n c o r a q u a l c h e d e c e n n i o p i ù t a r d i C a r d u c c i scioglieva alla locomotiva u n i n n o famoso. M a n o n c'è d a meravigliarsene: in u n ' E u r o p a c o m e quella d'allora, e specialmente in un'Italia p o v e r a di strade e ferma alla diligenza, e r a logico c h e l a ferrovia a p p a r i s s e c o m e u n a g r a n d e c o n q u i s t a , la p i ù necessaria e r i v o l u z i o n a r i a di quelle c h e oggi si c h i a m a n o le «infrastrutture di base». Era p e r costruire binari e vagoni che a Napoli e r a n o nati gli stabilimenti di Pietrarsa e a Genova quelli dell'Ansaldo, i quali a l m o m e n t o d e l l ' U n i t à c o n t a v a n o già u n migliaio d i o p e r a i , p r i m o n u c l e o di un v e r o e p r o p r i o p r o l e t a r i a t o ind u s t r i a l e . Ma al l o r o s v i l u p p o m a n c a v a la f o n d a m e n t a l e c o n d i z i o n e : la s i d e r u r g i a , cioè il f e r r o . A essa n o n faceva ostacolo la p o v e r t à di minerale, di cui l'Italia d'allora ricavava dalle sue viscere circa 100 mila t o n n e l l a t e ; ma quella di c a r b o n fossile p e r f o n d e r l o e r i c a v a r n e ghisa e acciaio. Di ghisa, p r o d u c e v a m o 25 mila tonnellate, di acciaio 30 mila. E n a t u r a l m e n t e n o n b a s t a v a n o p e r fare d a p r o p e l l e n t e a u n decollo industriale che nella siderurgia ha s e m p r e il suo pilastro. Ecco p e r c h é quello n o s t r o seguitava a librarsi sulle ali malcerte delle manifatture, che p o t e v a n o c o n t a r e su u n a m a n o d o p e r a a b b o n d a n t e , senza s t r u m e n t i p e r far valere le p r o p r i e rivendicazioni, e q u i n d i sfruttabile all'osso. P u r d o v e n d o i m p o r t a r e dall'estero locomotive e macchinari, la sbornia ferroviaria continuò. Il p r i m o treno era c o m p a r s o a N a p o l i , c h e a n c o r a ne m e n a g r a n v a n t o e lo sbandiera c o m e il segno di un p r e t e s o p r i m a t o tecnologico. In realtà quel t r e n o n o n era stato che il balocco di Re B o m ba e dieci a n n i d o p o la sua c o m p a r s a , cioè alla vigilia dell'Unità, n o n aveva a disposizione che 100 chilometri di binari. Il P i e m o n t e ne aveva nel f r a t t e m p o costruiti 900, il L o m b a r d o - V e n e t o 5 0 0 , la T o s c a n a 2 5 0 , e n e l suo c o m p l e s s o la rete nazionale s u p e r a v a i 2.000. Il loro esercizio in p a r t e era statale, in p a r t e privato, e la scelta fra i d u e sistemi e r a u n o 23
dei p r o b l e m i che più dovevano travagliare e dividere la vita politica del Paese p e r alcuni decenni. C o m e quello f e r r o v i a r i o , a n c h e Io s v i l u p p o della flotta mercantile era abbastanza p r o m e t t e n t e . Per tonnellaggio, al m o m e n t o dell'Unità, e r a v a m o al terzo posto in E u r o p a d o po I n g h i l t e r r a e Francia; e, grazie alle g r a n d i tradizioni mar i n a r e di Genova e Napoli, p o t e v a m o c o n t a r e su equipaggi di p r i m a qualità. Ma n o n altrettanto poteva dirsi del m a t e riale, cioè delle navi. E r a n o quasi tutte a vela, m e n t r e le flotte concorrenti e r a n o già quasi tutte a vapore. I vantaggi del v a p o r e sulla vela n o n e r a n o a n c o r a decisivi. Ma lo diventar o n o q u a n d o il canale di Suez a p r ì la via m a e s t r a del M a r Rosso, che con le sue bonacce alla vela n o n si presta. A questi motivi di debolezza economica che facevano dell'Italia, al suo d e b u t t o di nazione, u n ' a r e a di sottosviluppo, frangia agricola di u n ' E u r o p a i n d u s t r i a l e , si a g g i u n g e v a il dissesto finanziario. Lo Stato doveva o r a accollarsi i debiti contratti dal P i e m o n t e p e r le g u e r r e di liberazione, che seg n a v a n o un passivo p a u r o s o : quasi il d o p p i o del r e d d i t o nazionale. Q u e s t o n o n sarebbe stato molto grave in un Paese i n d u s t r i a l m e n t e a t t r e z z a t o e a n i m a t o d a u n forte slancio p r o d u t t i v o . M a i n Italia m a n c a v a n o n o n soltanto q u e s t e condizioni, ma a n c h e il p r e s u p p o s t o p e r crearle: i capitali. I l d e n a r o scarseggiava a l p u n t o c h e i n m o l t e z o n e del Sud n o n lo conoscevano n e m m e n o e gli scambi avvenivano in n a t u r a . M e n o che in P i e m o n t e , d o v u n q u e e r a diffusa la diffidenza p e r la carta m o n e t a , e chi se la trovava tra le mani correva subito a convertirla in metallo che poi tesaurizzava d e n t r o il materasso o la calza di lana. Per stanare dai loro nascondigli e mobilitare a scopi produttivi questi piccoli peculi mancava la f o n d a m e n t a l e condizione: la fiducia. Specie nel M e r i d i o n e la r e n i t e n z a agl'investimenti era g e n e r a l e e irriducibile. N o n vollero farne n e m m e n o i p r o p r i e t a r i delle solfatare di Sicilia, che con qualche miglioria tecnica avrebb e r o p o t u t o c o m o d a m e n t e triplicare il loro p r o d o t t o , allora senza c o n c o r r e n t i in E u r o p a , e sfruttarlo in loco con raffine24
rie di acido solforico. Lo stesso accadeva dei vini e dei formaggi che con lo zolfo e la seta greggia r a p p r e s e n t a v a n o le più forti «voci» della nostra esportazione. Ne p r o d u c e v a m o in a b b o n d a n z a , ma di tale q u a l i t à c h e s t a v a m o p e r d e n d o quasi tutti i mercati esteri. L'unico investimento che gl'italiani seguitavano a considerare sicuro e proficuo e r a quello in t e r r e : C a t t a n e o calcolava che nella stessa L o m b a r d i a , la reg i o n e p i ù i n t r a p r e n d e n t e d i t u t t e , quello i n t e r r e r a p p r e sentava gli otto decimi di tutti gl'investimenti. Di Banche ce n ' e r a n o p e r c h é ogni Stato della vecchia Italia aveva la sua o le sue, anzi ce n ' e r a n o t r o p p e , il che contribuiva alla loro debolezza. L'Unità i m p o n e v a di fonderle in istituti p i ù robusti, o m o g e n e i ed elastici, ma s o p r a t t u t t o più disponibili a u n a politica creditizia che favorisse l'industrializzazione. Ma questo urtava contro d u e grossi ostacoli. Anzitutto, la m a n c a n z a di spirito e di coraggio i m p r e n d i t o riale. Ad a v e r n e e r a n o così pochi che si conoscevano p e r n o m e : il siciliano O r l a n d o che aveva a n i m a t o l'Ansaldo, il ligure De Ferrari, il r o m a n o Torlonia, il livornese Bastogi. Il sec o n d o ostacolo era la mentalità degli stessi governanti, tutti di estrazione «moderata», e q u i n d i attaccatissimi al vecchio assetto economico e sociale, che l'industrializzazione avrebbe c e r t a m e n t e sconvolto. Per q u a n t o la loro a g r i c o l t u r a avesse a s s u n t o c a r a t t e r i capitalistici, gli stessi t e r r i e r i d e l N o r d , c o n c o r d a v a n o coi latifondisti del S u d n e l m a n t e n i m e n t o d e l l ' o r d i n e t r a d i z i o n a l e , b a s a t o sulla s o n n o l e n z a e q u i e s c e n z a di plebi r u r a l i ligie al «notabile» ed escluse da tutto, a cominciare dal voto. Infatti se in c a m p o creditizio qualcosa si mosse, fu p i ù dal basso che dall'alto. Le g r a n d i B a n c h e , a cominciare da quella Nazionale - nata dalla fusione di quella di Torino con quelle di Genova, delle Legazioni e di P a r m a -, d'incoraggiamenti all'industria ne d e t t e r o b e n pochi. Ne d e t t e r o molti di più le Casse di Risparmio che, nate a Milano negli a n n i venti, al m o m e n t o dell'Unità s u p e r a v a n o i cento milioni di d e p o s i t i , cifra p e r quei t e m p i di t u t t o r i s p e t t o . Ma q u e s t e 25
Casse si e r a n o diffuse s o l t a n t o n e l C e n t r o - N o r d , d o v e la g e n t e cominciava già a divezzarsi dall'economia del m a r e n go nel materasso. Era d u n q u e il d e n a r o privato, n o n quello dello Stato, che accettava il rischio dell'investimento. Q u e s t o r a p p r e s e n t a v a in se stesso un notevole progresso, ma contribuiva ad a g g r a v a r e la j a t t u r a che t u t t o r a ci perseguita: il divario fra N o r d e Sud. Alcuni meridionalisti contin u a n o a sostenere che i settentrionali si servirono dell'Unità p e r schiacciare e d i s t r u g g e r e l'economia del M e z z o g i o r n o . M e n t r e le casse dello Stato p i e m o n t e s e e r a n o vuote, essi dicono, quelle del R e a m e borbonico e r a n o piene, e Napoli vantava floride industrie, che in pochi a n n i v e n n e r o spazzate via. C h e il bilancio del R e a m e fosse in attivo, è vero, p e r d u e motivi. Anzitutto p e r c h é Napoli n o n aveva d o v u t o sostenere le i m m a n i spese di g u e r r a cui il P i e m o n t e si e r a sobbarcato p e r liberare e unificare l'Italia. E p p o i p e r c h é i suoi governi b a d a v a n o solo a tesaurizzare, m e n t r e quelli p i e m o n t e si b a d a v a n o ad a t t r e z z a r e il Paese, r e a l i z z a n d o bonifiche e c o s t r u e n d o strade, ferrovie e canali. Le casse di Napoli erano p i e n e di o r o p e r c h é Re Bomba, c o m e i suoi «cafoni», n o n c r e d e v a n e m m e n o nella c a r t a m o n e t a s t a m p a t a dalla sua p r o p r i a b a n c a e si stizziva solo a s e n t i r n e p a r l a r e ; ma dei 1.848 C o m u n i del suo R e a m e , 1.621 n o n avevano n e a n c h e u n a trazzera che r o m p e s s e il loro isolamento. E sul confronto fra queste d u e politiche e c o n o m i c h e , il n a p o l e t a n o Scialoja aveva scritto anni p r i m a un saggio m e m o r a b i l e . Q u a n t o alle floride industrie, si r i d u c e v a n o a d u e : gli stabilimenti meccanici di P i e t r a r s a e i cotonifici di S a l e r n o . I p r i m i e r a n o dello Stato c h e gli g a r a n t i v a le c o m m e s s e e li e s e n t a v a dagli utili t o g l i e n d o g l i così o g n i i n c e n t i v o al mig l i o r a m e n t o del p r o d o t t o e alla riduzione dei costi. I secondi e r a n o stati i m p i a n t a t i da i m p r e n d i t o r i e tecnici svizzeri che s e g u i t a v a n o a gestirli in condizioni di m o n o p o l i o p e r c h é p r o t e t t i d a u n a tariffa d o g a n a l e c h e a r r i v a v a a l c e n t o p e r cento: cioè il p r o d o t t o concorrenziale straniero, oltre a 26
esser g r a v a t o d a forti spese d i t r a s p o r t o , p e r e n t r a r e n e l m e r c a t o n a p o l e t a n o , doveva r a d d o p p i a r e il p r e z z o p e r c h é la m e t à gli veniva sottratta dal dazio. Q u a n d o , con l'unificazione, le b a r r i e r e doganali fra Stato e Stato f u r o n o s o p p r e s s e , le m a c c h i n e di P i e t r a r s a f u r o n o s o p p i a n t a t e da quelle dell'Ansaldo e le cotonate di Salerno da quelle di Busto Arsizio p e r c h é le fabbriche liguri e lomb a r d e , sviluppatesi in r e g i m e di libera c o n c o r r e n z a , p r o d u cevano meglio e a m i n o r costo. Q u e s t o fu il motivo p e r cui le «floride» i n d u s t r i e n a p o l e t a n e d e c a d d e r o : p e r c h é e r a n o m i n a t e dal vizio d'origine dell'autarchia. N a t u r a l m e n t e a n c h e questa crisi contribuì ad a g g r a v a r e il r i t a r d o del Sud, di cui fu u n a delle cause, ma n o n la sola. Quella più grave e r a il fallimento della riforma agraria tentata fra il Sette e l'Ottocento. I ceti borghesi e r a n o riusciti a far abolire il sistema feudale p e r c h é a n c h e il Re vi aveva trovato la sua convenienza. Il b a r o n e che poteva s o t t o p o r r e il c o n t a d i n o al p r o p r i o fisco e alla p r o p r i a giustizia diventava u n o Stato nello Stato. Ecco p e r c h é il p o t e r e centrale aveva abolito questi privilegi e c e r c a t o di c o n t r a p p o r r e a quella p r o t e r v a aristocrazia u n a classe i n t e r m e d i a d i piccoli p r o p r i e t a r i d i s t r i b u e n d o loro le t e r r e del pubblico d e m a n i o e quelle confiscate alla Chiesa. I contadini r e s p i r a r o n o p e r c h é al fisco e ai tribunali del b a r o n e preferivano quelli dello Stato. Ma dalla quotizzazione delle t e r r e n o n trassero alcun beneficio, p e r c h é ad a p p r o f i t t a r n e f u r o n o s o l t a n t o i g r a n d i p r o p r i e t a r i , nobili e b o r g h e s i , che con esse i n g r a n d i r o n o i p r o p r i latifondi, lasciando ai «cafoni» soltanto le briciole e ribadendoli nelle loro condizioni di miseria. N e g a t i v a sul p i a n o sociale, l ' o p e r a z i o n e si rivelava tale a n c h e sul p i a n o economico. P u r con tutte le sue ingiustizie, il latifondo poteva servire, c o m e aveva servito nel N o r d , all ' a c c u m u l o di capitale e al suo i n v e s t i m e n t o in m i g l i o r i e agricole e in altre attività p r o d u t t i v e . Ma il t e r r i e r o del S u d s'era b e n g u a r d a t o da q u e s t e o p e r a z i o n i , e q u e s t o e r a il g r a n d e fallimento della b o r g h e s i a m e r i d i o n a l e , che n o n si 27
e r a d i m o s t r a t a migliore della nobiltà. Essa viveva di t e r r a , ma n o n sulla terra, vi praticava un'agricoltura di r a p i n a , angariava i contadini n o n m e n o di q u a n t o facessero i b a r o n i , e con costoro era p e r f e t t a m e n t e solidale nella difesa dell'ordine costituito. Da questa n u o v a classe dirigente p r o v e n i v a n o i «moderati» che avevano s e c o n d a t o l'azione di C a v o u r sia c o n t r o i B o r b o n i che c o n t r o Garibaldi. Essi accettavano u n a p o s i z i o n e s u b a l t e r n a nei c o n f r o n t i d e i s e t t e n t r i o n a l i , c h e c o m p o r t a v a l'inferiorità economico-sociale del Mezzogiorno rispetto al Settentrione. A patto che fossero rispettate le loro prerogative baronali, sulle quali si p r e p a r a v a n o a vegliare gelosamente. Lo s t r u m e n t o p e r conservarle era soprattutto il m o n o p o lio della scuola. Da un'inchiesta fatta tre a n n i d o p o , risultò che nel '61 gl'italiani analfabeti e r a n o 80 su 100. Ma m e n t r e in Piemonte, L o m b a r d i a e Liguria questa p e r c e n t u a l e scendeva al 50, nel S u d toccava il 90. A n c o r a p e g g i o a n d a v a n o le cose p e r q u a n t o r i g u a r d a v a l'istruzione m e d i a e superior e . Dei giovani fra gli u n d i c i e i diciotto a n n i , solo il n o v e p e r mille p r o s e g u i v a n o gli studi oltre quelli della scuola elem e n t a r e , e in t u t t o il R e g n o gli s t u d e n t i u n i v e r s i t a r i a m m o n t a v a n o a 6.500. I motivi di questa catastrofica situazione li abbiamo già illustrati nei volumi p r e c e d e n t i . Il vero p u n t e l l o del vecchio r e g i m e era stata l'ignoranza. Principi e preti l'avevano coltivata con s o m m a c u r a b e n s a p e n d o che solo su di essa potevano reggersi, e Francesco IV di M o d e n a , al C o n g r e s s o di Verona, ne aveva a d d i r i t t u r a fatto un p r o g r a m m a di governo d i c e n d o che bisognava m a n d a r e sulla forca tutti coloro che sapevano leggere e scrivere. A p p u n t o p e r c h é n o n sapev a n o leggerli, gl'italiani e r a n o rimasti sordi agli appelli di Mazzini, e il Risorgimento e r a rimasto l'isolata iniziativa di u n a piccola élite. O r a m a n c a v a n o le aule. M a n c a v a n o gl'insegnanti. Mancava lo stesso desiderio di cultura, che solo la c u l t u r a i n f o n d e . M a m a n c a v a a n c h e u n ' a l t r a cosa, quella f o n d a m e n t a l e : lo spirito di apostolato, che della scuola è l'a28
n i m a . L'italiano colto p r o v a v a un'invincibile r i p u g n a n z a a p a r l a r e all'italiano incolto p e r c h é n o n c'era abituato e n o n ne possedeva n e m m e n o lo s t r u m e n t o : la lingua. Sulla lingua, fra il Sette e l'Ottocento, c'erano state polem i c h e a n o n finire, di cui a b b i a m o già d a t o conto ai nostri lettori. Gl'illuministi d e l Caffè volevano che fosse a d o t t a t a quella del p o p o l o , ma di p o p o l i in Italia ce n ' e r a n o molti, che p a r l a v a n o lingue diversissime. I «puristi» volevano che si a d o t t a s s e quella c h e si p a r l a v a nelle C o r t i fra il T r e e il C i n q u e c e n t o . Manzoni p r o p o n e v a che si adottasse il toscan o , c h ' e r a forse u n a lingua n o n migliore delle altre in senso lessicale, ma sulle altre aveva q u e s t o v a n t a g g i o : che quella scritta variava poco da quella parlata, e quella parlata la parl a v a n o quasi allo stesso m o d o sia i colti c h e gl'incolti. E r a d u n q u e l'unica lingua «viva», levigata dall'uso, ma p u r t r o p po lo era solo in bocca ai toscani. In bocca agli altri, diventava artificiale e leziosa. La diatriba era destinata a c o n t i n u a r e b e n oltre l'Unità, ma provocava intanto questa nefasta conseguenza: che gl'italiani s e m p r e più si abituavano a p r e o c c u p a r s i m e n o di cosa d i c e v a n o c h e di come lo d i c e v a n o . E q u e s t o assillo dello «stile» fine a se stesso, del b e l l ' e l o q u i o p e r il b e l l ' e l o q u i o , della bella p a g i n a p e r la bella pagina, n o n solo ci ha regalato u n a l u n g a dinastia d'inutili calligrafi e retori, ma ha p o t e n t e m e n t e contribuito a isolare la c u l t u r a dalla società. Se la lingua che si parla nelle accademie, nei tribunali, in p a r l a m e n t o s e g u i t a a essere i n c o m p r e n s i b i l e a l l ' u o m o della strada, è colpa di questa frattura cui la scuola n o n ha ovviato. Perché n o n potè, o p e r c h é n o n volle? C h e n o n volle, l o d i c o n o alcuni studiosi d i e s t r a z i o n e marxista semplificando g r o s s o l a n a m e n t e un p r o b l e m a molto più complesso. Essi lasciano s u p p o r r e u n a specie di losca c o n g i u r a fra u o m i n i di p o t e r e e u o m i n i di cattedra p e r fare della scuola u n a scuola di classe, privilegio e r e d i t a r i o d e i «notabili» che avevano costruito l'Italia e i n t e n d e v a n o confiscarla a p r o p r i o esclusivo beneficio. C o m e v e d r e m o , n o n fu 29
affatto così: gli u o m i n i che d o p o Cavour g o v e r n a r o n o l'Italia, p u r nelle ristrettezze in cui il Paese versava, fecero grossi sforzi p e r diffondere l'istruzione. Però è vero che i risultati furono i n a d e g u a t i p e r i motivi che a b b i a m o detto, e cioè p e r l'incomunicabilità di u n a c u l t u r a che, nata nei palazzi, n o n ne era mai uscita e, anche ai livelli p i ù bassi, p r e t e n d e va restare «accademica» e m o n o p o l i o di «iniziati». N o n p e r congiura d u n q u e , ma p e r secolare costume, i suoi depositari r i p u g n a v a n o alla d i v u l g a z i o n e . Ma n o n c'è d u b b i o che, p e r q u a n t o n o n p r e o r d i n a t a , questa incapacità d i «apertura» finiva p e r far della scuola u n o s t r u m e n t o di classe. La politica scolastica resterà u n a delle maggiori i n a d e m pienze dei governi post-risorgimentali, e forse la più grave, quella di cui s e g u i t i a m o a p a g a r e le c o n s e g u e n z e . P e r ò le responsabilità v a n n o giudicate nel loro contesto. C r e d i a m o che p o c h e classi d i r i g e n t i a b b i a n o d o v u t o affrontare con mezzi così scarsi p r o b l e m i così a r d u i c o m e quella c h e o r a raccoglieva l'eredità di Cavour. Per q u a n t o abusata, la frase di D'Azeglio - l'Italia è fatta, b i s o g n a fare gl'italiani - ris p o n d e v a al vero. E fare gl'italiani doveva rivelarsi i m p r e s a molto più diffìcile che fare l'Italia. Tant'è vero che vi siamo ancora impegnati.
CAPITOLO TERZO
RICASOLI
«Se morissi domani, il mio successore è designato» aveva detto Cavour pochi mesi prima di chiudere gli occhi, alludendo a Bettino Ricasoli. Fra i due, i rapporti non erano sempre stati idilliaci. Ma anche nei momenti di tempesta Cavour riconosceva che, come statura morale, Ricasoli sopravanzava di parecchie spanne qualsiasi altro uomo politico. I Ricasoli erano una delle poche casate toscane che traevano la loro origine nobiliare non dalla mercatura, ma dalle armi. Mugello, Valdarno e Chianti erano irti di torri e castelli Ricasoli che datavano fin dal Mille. Con la città non si erano mai appastati, e anche Bettino la detestava. Quando nacque nel 1809, il patrimonio Ricasoli era piuttosto dissestato, nonostante la cospicua dote portata dalla madre, che apparteneva alla dinastia dei banchieri Peruzzi. Il ragazzo studiò al «Cicognini» di Prato e poi, come tutti quelli della sua condizione, fu mandato col precettore a fare il giro d'Europa. Ma nemmeno la dolce vita di Parigi e di Vienna riuscì a vincere la sua scontrosità. Solitario, taciturno e difficile alle amicizie, quando tornò a Firenze, invece di frequentare circoli e salotti, si chiuse in un laboratorio di fisica e chimica e non cercò contatti che con uomini di studio e di scienza. «In società è così maldestro, timido e imbarazzato, che si sente compassione per lui» scrisse lo storico tedesco Hillbrand che lo incontrò un paio di volte. Fu felice quando a vent'anni gli fu affidata l'amministrazione della vasta ma malandata fattoria di Brolio, dove si trasferì insieme alla moglie da poco sposata, Anna Bonaccorsi. Secondo una voce arrivata fino all'orecchio di Berenson 31
e riferita da Barzini, Sanminiatelli e M o r r a , B e t t i n o «deportò» A n n a a Brolio e ve la m u r ò viva p e r c h é l'aveva sorp r e s a ad a m o r e g g i a r e con un Petrovich m o n t e n e g r i n o , zio o prozio della futura Regina d'Italia, Elena. Ma n o n e r a che u n a maldicenza nata nei salotti fiorentini, offesi dal dispregio in cui Bettino li teneva. A n n a e r a u n a c r e a t u r a di severissima moralità e così devota al m a r i t o che riusciva a sopp o r t a r l o , e Dio sa se ce ne voleva. Il n o m i g n o l o di «orso dell ' A p p e n n i n o » c h e gli a v e v a n o affibbiato gli a n d a v a a p e n nello a n c h e c o m e m a r i t o . La vita in quell'isolato castello sol e n n e e minaccioso, doveva essere un castigo. Ma n o n p e r castigo essa la subì. I suoi apologeti dicono che in un battibaleno Ricasoli rimise in sesto il p a t r i m o n i o . Ma n o n è vero. A n c h e lui p a g ò p e d a g g i o a l l ' i n e s p e r i e n z a , e solo d o p o a n n i di sforzi r a g giunse il p a r e g g i o . Ma se commise e r r o r i , fu p e r c h é egli imp e g n a v a nell'impresa u n o spirito di apostolato che lo portava spesso a t r a s c u r a r e il lato economico. Di Brolio aveva fatto u n a piccola repubblica, di cui si considerava egli stesso il p r i m o servitore. O g n i d o m e n i c a vi r i u n i v a i c o n t a d i n i - la m a t t i n a i ragazzi, la sera gli adulti -, cui si rivolgeva con p r e diche p i ù d a p a s t o r e che d a p a r r o c o , che cominciavano r e g o l a r m e n t e con u n : «In verità, in verità vi dico», e snocciolavano massime sul tipo dell'Ecclesiaste. Forse, più che dalle sue parole, gli ascoltatori e r a n o affascinati dal suo esempio. I castellani vivevano da monaci, con pochissima servitù trattata alla pari, vestendosi e m a n g i a n do c o m e i loro m e z z a d r i . N o n ricevevano. N o n d a v a n o feste. Brolio e r a i n s i e m e la Chiesa e la Banca di tutti p e r c h é tutti vi p o r t a v a n o il loro peculio, che Bettino a m m i n i s t r a v a con scrupoloso r i g o r e . Egli intitolava i suoi s e r m o n i «Della nobiltà del lavoro», «Come possa a d o r a r s i I d d i o nello studio delle s u e o p e r e » , «Venite, amici, a i m p a r a r e m e c o le virtù c h e f a n n o l ' u o m o felice di a n i m a e di c o r p o » : t u t t a un'etica di s t a m p o p r o t e s t a n t e c h e esaltava il lavoro c o m e p r e g h i e r a e il risparmio c o m e segno della Grazia. 32
Bettino n o n sapeva molto di teologia. Ma fra i pochi amici di cui subiva l'influenza c'era Gino C a p p o n i che a sua volta aveva subito quella di Scipione d e ' Ricci, il Vescovo di Pistoia che con l'aiuto del G r a n d u c a L e o p o l d o aveva t e n t a t o di riformare il clero toscano in senso giansenista. Forse egli ne avrebbe a d d i r i t t u r a seguito l'eresia, se a t r a t t e n e r l o n o n ci fosse stato l'altro suo g r a n d e a m i c o , L a m b r u s c h i n i , un a b a t e c h e p e r le sue i d e e liberali e r a stato m a n d a t o a p u r garsi in Corsica e alla fine si era ritirato nella sua villa di Vald a r n o , ma che, sebbene ribelle alla Chiesa, seguitava a sentirsene figlio. La c o r r i s p o n d e n z a e r a fìtta fra i d u e u o m i n i , che spesso p e r meglio confrontare le loro idee si ritiravano in cenobio, cui talvolta partecipava a n c h e un terzo singolare p e r s o n a g g i o , il conte Piero Guicciardini d e t t o «il Q u a c c h e ro» dalle sue a p e r t e simpatie p e r il p r o t e s t a n t e s i m o , che lo c o n d u s s e r o a n c h e al c a r c e r e e all'esilio. E c u r i o s o c o m e il meglio dell'intelligenza toscana seguitasse a recare Io stampo p r o t e s t a n t e e a girare i n t o r n o a questi problemi. C o n la C o r t e , Ricasoli n o n aveva r a p p o r t i . E q u a n d o il G r a n d u c a lo n o m i n ò C i a m b e l l a n o , rifiutò la carica. Alla m a n o e p e r f i n o u m i l e c o n chi gli stava sotto, Ricasoli e r a s u p e r b o fino alla p r o t e r v i a c o n chi gli stava s o p r a . E di se stesso e d e l p r o p r i o casato aveva un tale c o n c e t t o c h e gli faceva c o n s i d e r a r e i L o r e n a d e i semplici parvenus, di cui n o n si s a r e b b e m a i r a s s e g n a t o a i n d o s s a r e la livrea. Ma a q u e s t o si a g g i u n g e v a un c e r t o d i s d e g n o p e r le miserie della politica m i l i t a n t e e il t i m o r e di d o v e r v i s i a b b a s s a r e . Di f o n d o , e r a un c o n s e r v a t o r e . Ma, diceva, «le rivoluzioni, a n c h e le p i ù macchiate di delitti, p r o d u c o n o un r i s a n a m e n t o m o r a l e t r a gli u o m i n i . N o n l e a m o , m a talvolta s e m b r a a m a r l e la p r o v v i d e n z a » , e guai, a g g i u n g e v a , a chi cerca di r e s i s t e r e «al p r o g r e s s o d e i l u m i e delle civili libertà». Ciò m a l g r a d o , e r a r i m a s t o e s t r a n e o alla g r a n d e s u g g e s t i o n e del m o m e n t o , quella neoguelfa, e n o n si era i m b r a n c a t o coi m o d e r a t i . U n geloso senso d ' i n d i p e n d e n z a g l ' i m p e d ì s e m p r e di a d e r i r e a partiti. E q u a n t o a simpatie u m a n e , le 33
s u e a n d a v a n o p i u t t o s t o a Mazzini p e r r a g i o n i di affinità m o r a l e , e - s t r a n o a dirsi - a G a r i b a l d i . S e b b e n e r a p p r e sentasse la sua antitesi u m a n a o forse p r o p r i o p e r q u e s t o , Ricasoli ebbe s e m p r e un d e b o l e p e r q u e l coraggioso e gen e r o s o pasticcione. E l'iniziativa di offrirgli u n a s p a d a d'on o r e q u a n d o n e l '47 g i u n s e i n Italia l'eco delle s u e gesta s u d a m e r i c a n e , fu u n o dei pretesti p e r t r a r r e l'orso dell'App e n n i n o fuor dei suoi boschi. Un altro glielo fornì Salvagnoli appellandosi al suo senso del d o v e r e . A n c h e sulla Toscana e r a cominciata a soffiare la g r a n v e n t a t a liberale p r o v o c a t a dall'elezione di Pio IX, e i fiorentini e r a n o p e r le s t r a d e a c h i e d e r e C o s t i t u z i o n e e riforme. Salvagnoli, c h ' e r a tra i p i ù focosi e p e r la politica esercitava su Ricasoli la stessa influenza c h e L a m b r u s c h i n i esercitava p e r la religione, lo p e r s u a s e che sottrarsi in quell ' e m e r g e n z a a l l ' i m p e g n o s a r e b b e stata diserzione. Ricasoli rispose nel suo stile: cioè buttandocisi a capofitto e con tale grinta da e n t r a r e in serio contrasto coi suoi amici m o d e r a t i e p e r f i n o col suo carissimo C a p p o n i . D o p o d i c h é , c o m e un soldato che avesse t e r m i n a t o la sua ferma, t o r n ò a Brolio fra i suoi m e z z a d r i e i suoi vigneti. N o n e r a ambizioso. N o n lo fu mai. Tutte le volte che scese nell'agone politico, lo fece, o credette di farlo, p e r «precetto» di coscienza. Ma gli avvenimenti n o n t a r d a r o n o a richiamarlo di n u o vo in servizio. L'annessione al G r a n d u c a t o del Principato di Lucca creò u n a «grana» col Duca di M o d e n a che con un colpo di m a n o occupò Pontremoli, e il g o v e r n o affidò a Ricasoli u n a missione p r e s s o Carlo Alberto p e r c h é si facesse m e diatore fra i d u e litiganti. A quel Re esigentissimo in fatto di etichetta, Ricasoli si p r e s e n t ò senza abito di C o r t e , s e m p r e p e r la sua allergia alla «livrea», e gli p a r l ò senza perifrasi n o n solo di Pontremoli, ma dell'Italia e della necessità di liberarla. Carlo Alberto fu evasivo. Ma Ricasoli, t o r n a t o a Fir e n z e , avvertì i m a g g i o r e n t i che la g u e r r a era i m m i n e n t e e che alla Toscana n o n restava che far causa c o m u n e col Piem o n t e . D o p o d i c h é r i p a r t ì p e r Brolio, m a qui l o r a g g i u n s e 34
la n o m i n a a Gonfaloniere, cioè a Sindaco di Firenze, accomp a g n a t a d a un'alta decorazione. Per impedirgli di rifiutare carica e patacca, ci volle tutta l'energia di Salvagnoli e di L a m b r u s c h i n i , che o r a insieme a lui avevano fondato un giornale, La Patria. Ma Ricasoli pose le sue condizioni: l'immediata riforma del sistema a m m i n i strativo e l'inclusione nello Statuto, che stava p e r essere p r o m u l g a t o , di un articolo che garantiva libertà di culto a tutte le C h i e s e . La sua i n t r a n s i g e n z a lo m e t t e v a f a t a l m e n t e in conflitto con gli u o m i n i del g o v e r n o , e specialmente con Ridolfi, n o n m e n o ispido di lui, e con Baldasseroni, un minis t r o efficiente e o n e s t o , ma t a l m e n t e p i e n o di sé c h e i fior e n t i n i lo c h i a m a v a n o Sua B a l d a n z a Eccellenzoni. Ricasoli fu tacciato di «albertista», cioè in p a r o l e p o v e r e di v e n d u t o al P i e m o n t e , e u n a delle p o l e m i c h e che ne seguì su La Patria lo costrinse a un duello con Torrigiani. D o p o essersi battuti in u n a strada del centro, e n t r a m b i a n d a r o n o a chiederne scusa al G r a n d u c a che rispose allargando le braccia: «L'avete voluta, la libertà di s t a m p a ? E o r a t e n e t e v i le c o n s e guenze». Per Torrigiani, e r a facile. Per Ricasoli, un p o ' m e n o : il duello r a p p r e s e n t a v a un caso di coscienza, che seguitò a t o r m e n t a r l o p e r tutta la vita. Per tutto il '48, fu tra i più ferventi sostenitori dell'intervento in g u e r r a accanto al Piemonte. Ma q u a n d o Guerrazzi e M o n t a n e l l i p r e s e r o la m a n o m o b i l i t a n d o la piazza e costrinsero il G r a n d u c a alla fuga, preferì ritirarsi di n u o v o a Brolio, « s p e t t a t o r e c u r i o s o e nulla p i ù di t u t t e le stoltezze che si c o m m e t t o n o » . A u r t a r l o n o n e r a il p r o g r a m m a d e m o cratico di quei capipopolo, ma la loro d e m a g o g i a . Poi v e n n e la definitiva liquidazione della p r i m a g u e r r a d ' i n d i p e n d e n za a N o v a r a , e il r i t o r n o d e l G r a n d u c a sulla p u n t a delle b a i o n e t t e a u s t r i a c h e . Ricasoli, c h ' e r a stato u n o d e i c i n q u e «probi cittadini» cui la città si e r a affidata p e r t r a t t a r e c o n L e o p o l d o u n a r e s t a u r a z i o n e senza v e n d e t t e , n o n volle coll a b o r a r e con quella imposta dai vincitori, e preferì addiritt u r a e m i g r a r e con la famiglia in Svizzera. 35
N o n t o r n ò che d u e a n n i d o p o , m a p e r rintanarsi nuovam e n t e a Brolio senza n e a n c h e p a s s a r e d a Firenze p e r n o n v e d e r e le uniformi austriache. Alle amarezze politiche si agg i u n s e r o quelle domestiche. M o r t a la moglie, a n d a t a sposa l'unica figlia, si ridusse a viver solo in d u e stanzette del castello francescanamente a r r e d a t e , più schivo e orso che mai. C o r s e voce c h e fra le a l t r e p e n i t e n z e s ' i m p o n e s s e a n c h e quella d i r i n c h i u d e r s i p e r q u a l c h e o r a a l g i o r n o d e n t r o l e corazze dei suoi avi g u e r r i e r i , e p e r questo c o m i n c i a r o n o a chiamarlo «il b a r o n e di ferro» c o m e un p e r s o n a g g i o d'Italo Calvino. C o n la politica riprese qualche contatto solo nel '55, ma a Torino, n o n a Firenze, dove n o n metteva piede. Per Cavour c o n c e p ì subito u n a s i m p a t i a vivissima, m a n o n scevra d i qualche riserva. A m m i r ò la sua c o m p e t e n z a in fatto di agricoltura, il suo progressismo, la sua visione e u r o p e a , la sua efficienza di organizzatore, e più a n c o r a forse il suo m o d o di servire lealmente il Re senza cortigianeria, il suo odio p e r la «livrea». Ma fin d'allora dovette p r o v a r e qualche repulsione p e r l a s p r e g i u d i c a t e z z a d i C a v o u r nella m a n o v r a d i c o r r i doio, p e r la sua disponibilità a qualsiasi giuoco, c h ' e r a n o la forza d e l l ' u o m o politico. I d u e tuttavia s ' i n c o n t r a r o n o solo tre a n n i d o p o , e da u n a lettera di Massari risulta che Cavour rimase molto impressionato da quell'irsuto e ascetico toscano di razza antica. N o n gli rivelò i retroscena di Plombières, da cui era a p p e n a r e d u c e . Ma gli fece capire che g r a n d i cose e r a n o alle viste, che anche la Toscana vi avrebbe avuto la sua p a r t e , e che p e r questo contava su di lui. L'attesa n o n fu lunga. Il 27 aprile del '59, d o p o le sconfitte austriache in L o m b a r d i a a o p e r a dei franco-piemontesi, il G r a n d u c a si c o n g e d ò dai fiorentini - che a dire il vero avevano fatto b e n poco p e r m a n d a r l o via -, affidando il p o t e r e a un Comitato di Liberazione, che n o n dovette faticare molto p e r m a n t e n e r e l'ordine. L e o p o l d o partì alle cinque, scortato c o n t u t t i gli o n o r i dalla G u a r d i a Civica, e «alle sei scrisse Salvagnoli - la rivoluzione a n d ò a desinare». 36
Ministro d e g l ' I n t e r n i , sotto il commissariato di Boncomp a g n i , Ricasoli fu l'anima di quel r e g i m e , in cui - dice Spadolini - p o r t ò lo stesso zelo religioso, la stessa carica apostolica che aveva spiegato nella sua Brolio. «In verità, in verità vi dico» ripeteva a n c h e ai funzionari, e giù le solite massime da Ecclesiaste. G o v e r n a v a p e r b a n d i affissi ai b a t t e n t i delle chiese, c o m e a Brolio li affiggeva alle p o r t e del castello, ligio n o n agli o r d i n i d e l C o m m i s s a r i o che li riceveva da T o r i n o , ma solo a quelli della sua coscienza. Q u i n a c q u e il p r i m o screzio con C a v o u r che n o n voleva p r e c i p i t a r e le cose p e r n o n alienarsi l'animo di N a p o l e o n e , cui la Toscana faceva gola p e r suo cugino G e r o l a m o . C a v o u r in q u e l m o m e n t o n o n si e r a a n c o r a convertito all'idea dell'unità nazionale. Il suo p r o g r a m m a si fermava a un R e g n o s a b a u d o dell'Alta Italia con L o m b a r d i a e V e n e t o . Ricasoli invece n o n aveva dubbi. Voleva l'annessione al Piemonte, la voleva s u b i t o , e p e r c o m b a t t e r e q u e s t a battaglia f o n d ò il g i o r n a l e La Nazione, e n o n esitò n e m m e n o ad allearsi coi vecchi nemici democratici, confusionari ma unitari. Senz'aspettare l'autorizzazione di Torino b a n d ì un plebiscito, e ne p o r t ò di p e r s o n a il r e s p o n s o a Vittorio E m a n u e l e , ma rimase p r o f o n d a m e n t e deluso q u a n d o si accorse che il Re ne era p i ù i m b a r a z z a t o che soddisfatto. Vittorio E m a n u e l e infatti n o n voleva r i n u n z i a r e alla Toscana, ma n e m m e n o alla p r o tezione di N a p o l e o n e . E p e r trarsi d'imbarazzo rispose che accoglieva il plebiscito, il che n o n voleva dire che lo accettava. In quel m o m e n t o e r a al g o v e r n o Rattazzi. Cavour se n'era ritirato d o p o u n a violenta scenata col Re, in segno di p r o testa c o n t r o la pace di Villafranca. Ma Ricasoli a n d ò a consigliarsi c o n lui, e l ' i n c o n t r o fu affettuoso q u a n t o p o t e v a esserlo fra u o m i n i di così d u r a scorza. C a v o u r gli suggerì d'int e r p r e t a r e quell'accoglimento c o m e meglio gli conveniva, e Ricasoli così fece. I loro r a p p o r t i r i d i v e n n e r o tesi q u a n d o , t o r n a t o di lì a poco al p o t e r e , C a v o u r chiese un altro plebiscito a Ricasoli, che ci vide u n a p r o v a di sfiducia in quello ch'egli aveva già indetto p e r conto suo. Ma poi si piegò alla 37
r a g i o n di Stato, che esigeva quella c o n t r o p r o v a , e ricorse a tutti i mezzi p e r c h é il risultato n o n lasciasse adito a d u b b i . Nel r i m e t t e r e il r e s p o n s o all'inviato di T o r i n o , Massari, gli disse: «Il mio r e g n o è finito. C o n s e g n o al Re u n a perla che abbellirà di molto la sua corona». Per c o n d u r r e a t e r m i n e quella ch'egli considerava la sua missione, n o n aveva esitato a r o m p e r e coi suoi vecchi amici m o d e r a t i , t u t t o r a attaccati alla loro «Toscanina» cui a v r e b b e r o v o l u t o g a r a n t i r e u n a c e r t a a u t o n o m i a . Perfino L a m bruschini lo aveva r i p u d i a t o con u n a lettera in cui Io tacciava p r e s s a p p o c o di t r a d i t o r e . E p e r Ricasoli era stato addiritt u r a un lutto. «Ma - diceva -, fra Dio e la mia coscienza n o n c'è posto p e r nessuno.» E n o n i n t e n d e v a farlo n e m m e n o a Lambruschini. Convinto che l'avrebbe rifiutata, C a v o u r gli offrì la carica di G o v e r n a t o r e provvisorio della Toscana. I n v e c e Ricasoli accettò, ma r i s e r v a n d o s i di fissare lui stesso i t e r m i n i d e l p r o p r i o m a n d a t o c h e nei suoi i n t e n d i m e n t i doveva d u r a r e fino a quella unificazione nazionale cui C a v o u r seguitava a n o n p e n s a r e ( G a r i b a l d i n o n e r a a n c o r a p a r t i t o p e r l a sua i m p r e s a nel Sud). E da questo m o m e n t o gli screzi fra i d u e u o m i n i d i v e n t a r o n o quotidiani. Più che da g o v e r n a t o r e , Ricasoli agì da d i t t a t o r e . D i e d e ospitalità a Mazzini sulla cui testa p e n d e v a t u t t o r a la c o n d a n n a a m o r t e , e q u a n d o da Tor i n o gl'ingiunsero di espellerlo, p r o p o s e con tutta serietà di dargli un foglio di via p e r Brolio, c o m e se Brolio fosse un R e a m e i n d i p e n d e n t e in cui lui solo faceva legge. Infischiandosi dei difficili r a p p o r t i con N a p o l e o n e , m a n d ò a r m i a Viterbo e nelle M a r c h e p e r suscitarvi la rivolta c o n t r o il Papa. E q u a n d o Napoli a p r ì le p o r t e a Garibaldi, spedì a C a v o u r il famoso i n a u d i t o t e l e g r a m m a : «Tutti gl'italiani si d o m a n d a no dov'è il Re e che fa il g o v e r n o del Re. Garibaldi p e r c o r r e trionfalmente il R e a m e di Napoli, e il Re n o n si m u o v e e il g o v e r n o n o n si scuote. Il re m o n t i a cavallo e chiami i n t o r n o a sé la Nazione». Un foglio d'ordini, insomma. Più che c o n t r o Ricasoli, C a v o u r schiumava di rabbia con38
tro se stesso che n o n riusciva a r o m p e r e con Ricasoli. Il suo rispetto p e r 1'«insopportabile barone» e r a s e m p r e p i ù forte del dispetto. E q u a n t o fosse fondato lo si vide q u a n d o , d o p o le elezioni del g e n n a i o ' 6 1 , Cavour, sebbene trionfatore, diede le dimissioni. N o n e r a che u n a formalità p e r c h é l'incarico n o n p o t e v a t o r n a r e c h e a lui. Ma il Re e s a s p e r a t o dalla sua p r o t e r v i a e «montato» da Rattazzi e dalla Rosina, cercò di a p p r o f i t t a r n e p e r disfarsi di lui. L'unico c h e la C a m e r a a v r e b b e p o t u t o accettare al suo p o s t o e r a Ricasoli, di cui si e r a detto che intrallazzava con Mazzini e Garibaldi a p p u n t o p e r s o p p i a n t a r e il C o n t e con l'aiuto della Sinistra. Ma q u a n do il Re lo c h i a m ò p e r offrirgli la carica, n o n solo rifiutò recisamente, ma si m o s t r ò s d e g n a t o di quella obliqua m a n o vra c o n t r o il solo u o m o - disse - c h e p o t e v a c o m p i e r e l'unità n a z i o n a l e . Poco d o p o ci fu alla C a m e r a il d r a m m a t i c o s c o n t r o fra C a v o u r e Garibaldi. L'aula e r a t u t t a u n o schiamazzo. Ma q u a n d o Ricasoli si alzò a p a r l a r e «alto, m a g r o , il viso scarno e angoloso, lo s g u a r d o fisso e d u r o , chiuso in un n e r o s o p r a b i t o a b b o t t o n a t o , l e m a n i , c o m ' e r a s e m p r e suo costume, c o p e r t e di guanti neri, severo e accigliato c o m e un d i s d e g n o s o p u r i t a n o » , si fece un g r a n silenzio. S'inchinò a Garibaldi r i c o r d a n d o n e gl'immensi servigi resi alla Patria e i n v o c a n d o p e r l e sue i n t e m p e r a n z e l ' a t t e n u a n t e della sua p a s s i o n e n i z z a r d a . D o p o d i c h é fece l'apologia d i C a v o u r a v a l l a n d o n e senza riserve l ' o p e r a t o politico. Alla fine della s e d u t a , C a v o u r gli strinse la m a n o c o m m o s s o . E fu allora che ad alta voce disse: «Se morissi d o m a n i , il mio successore è designato». Il Re avrebbe preferito Rattazzi o Farini. Ma Farini e r a già m i n a t o da u n a inesorabile malattia m e n t a l e ; e q u a n t o a Rattazzi, la C a m e r a n o n avrebbe mai accettato c o m e successore di C a v o u r colui che negli ultimi a n n i lo aveva p i ù subdolam e n t e c o m b a t t u t o . C h i a m ò q u i n d i Ricasoli, ma senza e n t u siasmo. L'insopportabile b a r o n e aveva già a b b o n d a n t e m e n te d i m o s t r a t o la sua scarsa m a n e g g e v o l e z z a rifiutando n o n
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solo lo s t i p e n d i o di Ministro («la paga», l'aveva c h i a m a t a ) , ma a n c h e i biglietti ferroviari g r a t u i t i . N o n voleva s a p e r e della divisa di ministro, che infatti n o n indossò mai, aveva r i n c h i u s o in un cassetto il C o l l a r e d e l l ' A n n u n z i a t a c h e gli era stato imposto quasi di forza, n o n n a s c o n d e v a la sua dis a p p r o v a z i o n e p e r la vita privata del Re, e a chi gli faceva n o t a r e la sconvenienza di quelle critiche, r i s p o n d e v a ch'egli n u t r i v a rispetto p e r la m o n a r c h i a , n o n p e r i m o n a r c h i . Ma ciò che più irritava il Re e i suoi cortigiani e r a che il b a r o n e n o n p e r d e v a occasione p e r r i c o r d a r e che i suoi avi guidavano u o m i n i m e n t r e i Savoia n o n g u i d a v a n o ancora che pecore. E questo a t t e g g i a m e n t o di superiorità n o n lo smise mai. Q u a n d o , di lì a qualche a n n o , il Re a n d ò a fargli visita a Brolio, Ricasoli lo fece p r e n d e r e ai confini del feudo sotto scorta dalle sue g u a r d i e p e r fargli b e n e i n t e n d e r e che lì il Re era lui. Ma n o n fu solo q u e s t a p e r s o n a l e incompatibilità a r e n d e r p r e c a r i o il n u o v o g o v e r n o . Esso era f o r m a t o in p r e v a lenza di «consorti», c o m e venivano chiamati i r a p p r e s e n t a n ti delle n u o v e province centro-settentrionali, e specialmente i toscani che formavano il g r u p p o più compatto; il che urtava t e r r i b i l m e n t e i p i e m o n t e s i , che fin allora avevano avuto la quasi assoluta esclusiva del c o m a n d o . Altro e l e m e n t o n e gativo era l'ostilità di N a p o l e o n e p e r l'uomo che aveva «soffiato» la Toscana a suo c u g i n o G e r o l a m o , p e r l'amico di Mazzini e Garibaldi, p e r il sobillatore delle rivolte negli Stati del Papa, suo g r a n d e p r o t e t t o . E infine il suo compito e r a reso a r d u o dalla stessa gravosità dei compiti che attendevano il successore di Cavour, fra i quali c'era a n c h e quello di n o n far r i m p i a n g e r e il predecessore. Di q u e s t o , Ricasoli si r e n d e v a c o n t o , ma n o n e r a u o m o da a d o t t a r e m a s c h e r e e da a d a t t a r e i mezzi ai fini. Lo si vide dal piglio con cui affrontò la questione più u r g e n t e , ma anche p i ù spinosa: quella di R o m a . Le p r o p o s t e che Ricasoli m a n d ò a N a p o l e o n e p e r c h é se ne facesse mallevadore presso la Santa Sede e r a n o p r e s s a p p o c o quelle stesse di Cavour: 40
r i n u n c i a del Papa al p o t e r e t e m p o r a l e , in cambio di un ricon o s c i m e n t o della sua s o v r a n i t à sul Vaticano con d i r i t t o di rappresentanza diplomatica, assegnazione di una rendita a n n u a l e di d u e milioni, assoluta libertà nella n o m i n a dei Vescovi. I n s o m m a , la solita formula di «Libera Chiesa in libero Stato». Ma a questo d o c u m e n t o , Ricasoli aggiungeva la bozza di u n a lettera, che rivelava un'impostazione del tutto diversa e piuttosto i n g e n u a . Per C a v o u r quello d i R o m a e r a u n p r o b l e m a squisitamente politico, a n c h e se coinvolgeva question i religiose. Per Ricasoli e r a u n p r o b l e m a e s s e n z i a l m e n t e religioso, a n c h e se coinvolgeva q u e s t i o n i p o l i t i c h e , p e r il q u a l e si sentiva autorizzato a i m p a r t i r e al P a p a il consiglio di r i f o r m a r e la Chiesa, p u r g a n d o l a di o g n i m o n d a n i t à , rip r i s t i n a n d o v i severità di c o s t u m i e r i p o r t a n d o l a alle p u r e fonti del Cristianesimo originario. Un linguaggio che rivelava il fondo savonaroliano d e l l ' u o m o e giustifica il n o m i g n o lo che gli v e n n e a p p i o p p a t o di «Barone evangelico». Siccome Parigi si rifiutò d'inoltrare la lettera giudicandola i n o p p o r t u n a , Ricasoli ne fece un libro verde d a n d o l a in pasto alla pubblica o p i n i o n e e di conseguenza p r o v o c a n d o un ulteriore irrigidimento della Curia. Altrettanta m a n c a n z a di duttilità, Ricasoli d i m o s t r ò nella questione del b r i g a n t a g g i o m e r i d i o n a l e , che p r o p r i o allora scoppiava in tutta la sua virulenza, e di cui d i r e m o in seguito. Incapace di coglierne i sottofondi e le implicazioni sociali, egli n o n ci vide che un f e n o m e n o di d e l i n q u e n z a c o m u n e da affrontare soltanto con m i s u r e repressive. Volle la lotta a oltranza, affidandola al G e n e r a l e di p u g n o più d u r o , Cialdini. E l'emergenza lo spinse ad abolire il r e g i m e l u o g o t e n e n ziale del Sud p e r accelerarne l'integrazione. Q u e s t o lo mise in contrasto con Minghetti che, ministro dell'interno, era rimasto fedele alle sue idee di d e c e n t r a m e n t o e finì p e r d a r e le dimissioni. Né Lanza né Ponza di San Martino ne accettar o n o la successione. E il loro rifiuto indicava q u a n t o fosse indebolito Ricasoli, che avocò a sé a n c h e quel Ministero. Al 41
Segretario Generale che gli chiedeva direttive, rispose: «Una sola: eseguire il precetto della legge, in modo da rendere impossibile l'arbitrio anche a me». Non erano parole: Ricasoli razzolava come predicava. Ma il suo procedere a scatti, l'allergia ai compromessi, la «tenacia anche nell'errore» - come dice Spadolini -, caratteristica delle anime religiose, facevano di lui più un grande moralista che un grande politico. «Che mente singolare! - diceva Scialoja. - Ha delle grandi idee, nelle quali la vista del suo intelletto è lucidissima: da quelle altissime scende a piccolissime. Gli mancano le idee mediane. Come dire un cantante privo delle corde di mezzo.» C'era chi, senza averne l'aria, sapeva approfittare dei suoi sbagli. Quando, sulla fine del '61, fu discusso l'operato del governo, Rattazzi, p u r appoggiandolo, avanzò molto abilmente critiche e riserve, un po' come dieci anni prima aveva fatto Cavour con D'Azeglio. Che fosse lui il designato alla successione, lo dimostrò la missione affidatagli dal Re alle spalle e all'insaputa di Ricasoli. Vittorio Emanuele non aveva smesso il vizio di fare una politica per conto suo e si cullava in piani fantapolitici. Ora farneticava di accendere una rivoluzione in Grecia per mettere su quel trono un Principe di Casa Savoia, che con l'aiuto dei Serbi e dei Montenegrini avrebbe dato il colpo di grazia alla Turchia, mentre Garibaldi sarebbe sbarcato in Dalmazia per accendere la rivolta in Ungheria prendendo alle spalle gli austriaci e lasciando il Veneto alla mercé di un esercito italo-francese. Si trattava di persuadere Napoleone. E questo fu il compito affidato a Rattazzi, il quale era abbastanza intelligente per capire che non ci sarebbe mai riuscito, ma anche abbastanza spregiudicato per volgere la missione a proprio vantaggio offrendosi all'Imperatore come il suo fiduciario in Italia. Orgoglioso com'era, Ricasoli non chiese spiegazioni al Re. Si limitò a ignorarne la manovra controbilanciandola con una politica del tutto opposta. Tenne desto il problema di Roma anteponendolo a quello di Venezia, e mandò un 42
emissario a Garibaldi p e r sconsigliargli la spedizione in Dalmazia. Ma q u a n d o Rattazzi t o r n ò da Parigi e gli chiese un colloquio, gli fece r i s p o n d e r e che la dignità sua e della Nazione gl'impediva di riceverlo. Sobillati dal Re, gli attacchi c o n t r o di lui alla C a m e r a si facevano s e m p r e più frequenti e insistenti. U n a volta lo accusarono perfino di «modi servili». Rispose s p r e z z a n t e m e n t e che la p a r o l a «servizio» n o n e r a nel vocabolario dei Ricasoli, se n o n riferita al Paese e ne diede la p r o v a d e n u n z i a n d o a p e r t a m e n t e «le follie della C o r o na», li Re voleva destituirlo, ma lo scaltro Rattazzi gli consigliò di lasciare che si consumasse da sé. Ricasoli si p r e s t ò al giuoco c a l d e g g i a n d o u n a petizione p r e s e n t a t a da alcuni d e p u t a t i di sinistra p e r il rientro in patria di Mazzini, g r a v e m e n t e a m m a l a t o , e rifiutandosi di sciogliere le organizzazioni democratiche. I m o d e r a t i insorsero accusandolo di voler rovesciare il regime e i n s t a u r a r e la Repubblica. A fine febbraio, Ricasoli rispose con un discorso alla C a m e r a , p i u t t o s t o m a l a c c o r t o e senza smalto, p e r c h é c o m e o r a t o r e valeva p o c o . E la discussione si concluse con un o r d i n e del giorno votato all'unanimità che p r e n d e v a sal o m o n i c a m e n t e atto delle s u e d i c h i a r a z i o n i . Ma il Re, che o r m a i aveva deciso di liberarsi di lui, disse che quell'unanimità n o n valeva p e r c h é «inquinata» dai voti di sinistra, e gli o r d i n ò di ripresentarsi alla C a m e r a . Piuttosto che piegarsi all'ingiunzione, Ricasoli offrì le dimissioni. Il Re, che n o n aspettava altro, le accolse i m m e d i a t a m e n t e , e lo stesso g i o r n o (1° m a r z o del '62) d i e d e a Rattazzi l'incarico di f o r m a r e il n u o v o g o v e r n o . D o p o l'esperienze fatte con Cavour e Ricasoli, n o n voleva più un P r i m o Ministro. Voleva solo un segretario.
CAPITOLO QUARTO
ASPROMONTE
R i e n t r a t o a L o n d r a d o p o l'inutile s o g g i o r n o a N a p o l i al t e m p o dei «Mille», Mazzini aveva ripreso a tessere la sua tela m i r a n d o a conquistare le società operaie. Sorte negli a n n i c i n q u a n t a , s i e r a n o diffuse u n p o ' d o v u n q u e . M a solo i n quelle di G e n o v a l'elemento mazziniano aveva la prevalenza; t u t t e le a l t r e e r a n o d i r e t t e da b o r g h e s i di confessione progressista, ma di a n i m a m o d e r a t a , che m i r a v a n o a fare di esse un p u r o s t r u m e n t o di rivendicazioni sindacali, c o m e la regolamentazione degli o r a r i di lavoro, l ' a u m e n t o dei salari e l'istruzione g r a t u i t a . Per d i b a t t e r e questi p r o b l e m i , esse a v e v a n o già t e n u t o vari c o n g r e s s i . Ma n e l '61 Mazzini ne convocò un altro a Firenze m e t t e n d o all'ordine del g i o r n o la questione del voto politico, da cui gli o p e r a i seguitavano a essere esclusi. La battaglia che su di essa si scatenò fu talm e n t e aspra da p r o v o c a r e u n a scissione, la p r i m a delle tante c h ' e r a n o destinate a tribolare il m o v i m e n t o o p e r a i o italian o . I m o d e r a t i a b b a n d o n a r o n o il c a m p o , di cui Mazzini rim a s e p a d r o n e . E q u e s t a vittoria gli fece s p e r a r e di p o t e r riassorbire sotto la p r o p r i a b a n d i e r a tutte le dissidenze d e mocratiche. Per riuscirci n o n c'era che un m o d o , il solito m o d o : p r e c e d e r e l'avversario e trascinarselo a r i m o r c h i o con q u a l c h e gesto risoluto. Al c o m p i m e n t o dell'unità nazionale m a n c a vano a n c o r a R o m a e Venezia, p e r le quali esistevano già dei «Comitati di provvedimento» che avevano la loro direzione centrale a Genova. Bisognava conquistarli, e p e r questo occorreva l'assenso di Garibaldi che ne restava l'alto p a t r o n o . Ma Garibaldi, q u a n d o s e p p e che Mazzini e r a riuscito a im44
m e t t e r e nei Comitati u n a m a g g i o r a n z a d i u o m i n i suoi, n e declinò la presidenza, e solo su p r e s s a n t e p r e g h i e r a di Crispi e M o r d i n i , che a n d a r o n o a p p o s t a a C a p r e r a , accettò di p a r t e c i p a r e a un'assemblea cui, oltre ai Comitati, s a r e b b e r o i n t e r v e n u t e le società o p e r a i e e varie a l t r e organizzazioni d e m o c r a t i c h e . Il r a d u n o si t e n n e a G e n o v a , e si c o n c l u s e con la fusione di tutte queste forze nella «Società Emancipatrice». Accettando la formula «Italia e Vittorio Emanuele», i mazziniani c r e d e v a n o di aver r e c u p e r a t o Garibaldi. Ma Garibaldi e r a nel giuoco del Re, di cui seguitava a subire il fascino, e che sperava, attraverso di lui, di strumentalizzare le iniziative democratiche. C o m e abbiamo d e t t o , Vittorio E m a n u e l e credeva di avere nelle m a n i le carte di un g r a n d e giuoco politico: m e t t e r e in ginocchio l'Austria c o l p e n d o l a alle spalle con u n a spedizione n e i Balcani. N o n si è m a i s a p u t o quali affidamenti avesse d a t o in q u e s t o senso a Garibaldi, che n a t u r a l m e n t e a v r e b b e g u i d a t o l'impresa. Altrettanto o s c u r o resta l'attegg i a m e n t o di N a p o l e o n e , di cui Vittorio E m a n u e l e diceva di avere in tasca l'assenso: n o n m e n o avventuroso di lui, l'Imp e r a t o r e e r a a n c h e più a m b i g u o , e Dio sa quali progetti covava. C o m u n q u e , q u a n d o si accorse che Vittorio E m a n u e l e s ' i m p e g n a v a s c o p e r t a m e n t e nell'impresa, s'affrettò a fargli s a p e r e c h e n o n lo a v r e b b e s e c o n d a t o , e il p r o g e t t o p e r il m o m e n t o sfumò. Ma n o n sfumò p e r Garibaldi che o r m a i aveva mobilitato l'Emancipatrice e p r o n u n c i a t o discorsi incendiari, regolarm e n t e conclusi d a l g r i d o : «Roma e Venezia!» Mazzini n o n aveva d u b b i : era su Venezia che p e r p r i m a bisognava m a r ciare p e r c h é gli u n g h e r e s i , scriveva in u n a lettera ad Alberto Mario, n o n aspettavano altro p e r insorgere, e le loro barricate contagiandosi in tutta E u r o p a a v r e b b e r o travolto anche N a p o l e o n e , facendo di R o m a , u n a volta sguarnita dalle t r u p p e francesi, la più facile delle p r e d e . Per u n a volta tanto, Garibaldi a d e r ì al p i a n o dell'Apostolo. C o n la scusa di p r o p a g a n d a r e la Società del T i r o a Se45
g n o di cui aveva assunto la vicepresidenza, egli stava facend o u n giro i n L o m b a r d i a , accolto o v u n q u e d a folle osann a n t i . A Milano, d o p o aver a r r i n g a t o «il p o p o l o delle cinq u e g i o r n a t e capace di venticinque», e r a a n d a t o a visitare M a n z o n i , che gli si e r a quasi b u t t a t o ai piedi c h i a m a n d o l o «Duce». N o n c o m p r e n d e n d o , scriveva Guerzoni, «quanto di r e t o r i c o , m e l o d r a m m a t i c o e c a r n e v a l e s c o si n a s c o n d e s s e , p e r antica legge ereditaria, nelle vene dei suoi concittadini», egli e r a c o n v i n t o c h e c o s t o r o n o n a s p e t t a s s e r o altro c h e il suo appello p e r arruolarsi nella crociata di liberazione. Stabilito il suo q u a r t i e r g e n e r a l e in casa del suo vecchio a m i c o C a m o z z i a T r e s c o r e n e l b e r g a m a s c o , sguinzagliò i suoi l u o g o t e n e n t i alla raccolta dei v o l o n t a r i . Per un p o ' lo lasciarono fare. L'imbarazzo di cui dava s e g n o Rattazzi dimostrava che qualche i m p e g n o a n c h e lui lo aveva preso, e il Re in q u e l m o m e n t o e r a a N a p o l i . Ma q u a n d o p e r f i n o i giornali s e p p e r o e p u b b l i c a r o n o c h e l'attacco sul T r e n t i n o era p r o g r a m m a t o p e r il 29 maggio (del '62), le prefetture di Brescia e di B e r g a m o ricevettero l'ordine di d i s a r m a r e i volontari. Alcuni di essi che a Sarnico resistettero v e n n e r o arrestati. La folla cercò di liberarli, la t r u p p a a p r ì il fuoco, e q u a t t r o morti e parecchi feriti rimasero sul selciato. L'indomani l'Italia e r a in fiamme. Rattazzi cercò di spengerle con u n a circolare ai Prefetti in cui diceva di «avere giusti motivi p e r r e p u t a r e insussistente q u a l u n q u e compartecipazione dell'illustre G e n e r a l e a i m p r e s e di simile fatta». Tutti a s p e t t a r o n o u n a risposta fulminante di Garibaldi, che n o n v e n n e . P e n s a r o n o che l'avrebbe data alla C a m e r a che si riapriva il 3 g i u g n o . Invece arrivò soltanto u n a sua lettera che in t o n o s t r a n a m e n t e remissivo s d r a m m a t i z z a v a i fatti e ne dava la s e g u e n t e versione: i volontari e r a n o accorsi di p r o p r i a iniziativa i n t o r n o a lui p e n s a n d o ch'egli volesse t e n t a r e un colpo di m a n o sul T r e n t i n o ed egli ne aveva approfittato p e r fargli fare q u a l c h e esercitazione di tiro a s e g n o . T u t t o qui. I d e p u t a t i della Sinistra insorsero d i c e n d o che quella let46
t e r a l'aveva d e t t a t a Rattazzi, p e r ò n e m m e n o essi p o t e v a n o n e g a r e che Garibaldi l'aveva firmata. Il d i s o r i e n t a m e n t o si p r o p a g ò al Paese e riecheggiò nella stampa. «Chi ne capisce qualcosa? - scriveva la Gazzetta di Bergamo. - Garibaldi nega recisamente la spedizione in Tirolo, e ci p a r e un b u o n ritrovato p e r a c c o m o d a r e alla meglio lo scandalo. Facciamo p u re noi l'atto di fede, r i n n e g h i a m o di avere u d i t o con le n o stre orecchie le disposizioni particolari e i n o m i dei designati al p r i m o passaggio, di aver v e d u t o le carte geografiche...» L'inconsueta docilità di Garibaldi aveva il suo p e r c h é . Il Re lo aveva m a n d a t o a c h i a m a r e in g r a n segreto, e che cosa gli avesse detto n o n si sa. Ma si sa che Rattazzi, p a r l a n d o p o co d o p o con l'ambasciatore francese, gli aveva confidato di aver i n v a n o cercato di convincere il G e n e r a l e a r i n u n z i a r e all'impresa nei Balcani. Si d o v r e b b e q u i n d i d e d u r n e che il Re aveva placato G a r i b a l d i p r o m e t t e n d o g l i il c o m a n d o di quella spedizione, m e n t r e il suo P r i m o Ministro provvedeva a coprirgli le spalle presso N a p o l e o n e . U n a sola cosa era certa: che i soci dell'Emancipatrice erano furenti con Garibaldi, cui o r a toccava fare qualcosa p e r r e c u p e r a r e il suo c r e d i t o . Il 25 g i u g n o egli e r a a C a p r e r a , dove col figlio Menotti e u n a ventina di fedelissimi s'imbarcò p e r Palermo. Quale fosse la sua vera meta, forse n o n lo sapev a n e m m e n o lui. G u e r z o n i , c h e faceva p a r t e del g r u p p o , scrisse: « N e s s u n o di q u a n t i lo a c c o m p a g n a r o n o s e p p e mai dal suo l a b b r o né d o v e s'andasse né p e r c h é s'andasse». A c h i u n q u e s'attentava a chiederglielo, il Generale rispondeva: «Andiamo verso l'ignoto. Dopo, sarà quel che sarà». I p a l e r m i t a n i lo accolsero t r i o n f a l m e n t e , ed egli li alluv i o n e di discorsi infiammati. L ' e x - p r o d i d a t t o r e di N a p o l i , Pallavicino, c h ' e r a lì in funzione di Prefetto, n o n fece nulla p e r i m p e d i r g l i e l o , n e m m e n o q u a n d o egli si lanciò in u n a violenta requisitoria contro N a p o l e o n e tacciandolo di despota, fedifrago, p r o t e t t o r e di briganti e di assassini, e aizzando la folla a un n u o v o Vespro. A Marsala, dalla piazza si levò un grido: «O Roma, o morte!» Il retorico dilemma, ch'era desti47
nato a risuonare anche in altre occasioni della storia d'Italia, p i a c q u e a Garibaldi che lo fece suo. Lo a d o t t ò a n c h e Fra' Pantaleo, un frate che lo aveva accompagnato nell'avventura dei Mille e che, officiando con la pistola a tracolla, lo sostituì all'/te Afosa est. Sembrava d u n q u e che la sua scelta fosse fatta e ch'egli intendesse marciare sull'Urbe, come reclamava l'Em a n c i p a t r i c e , ribelle alle direttive di Mazzini c h e insisteva p e r Venezia. Ma in un successivo proclama Garibaldi rivolse un appello a n c h e «alle genti slave sotto la d o m i n a z i o n e austriaca e ottomana» che sembrava p r e l u d e r e alla spedizione nei Balcani. Forse n o n aveva ancora deciso. A T o r i n o n o n s a p e v a n o c h e fare. La D e s t r a c h i e d e v a a Rattazzi d ' i n t e r v e n i r e , e Rattazzi cercò di c o n t e n t a r l a silur a n d o Pallavicino. Il 3 agosto a n c h e il Re lanciò un proclama agl'italiani: « G u a r d a t e v i dalle colpevoli i m p a z i e n z e e dalle i m p r o v v i s e agitazioni - diceva. - Q u a n d o l'ora del c o m p i m e n t o della g r a n d e o p e r a sarà giunta, la voce del Re si farà u d i r e da voi. O g n i appello che n o n è il suo, è un a p pello alla ribellione, alla g u e r r a civile». E concludeva: «Sap r ò conservare i n t e g r a la dignità della C o r o n a e del Parlam e n t o , p e r avere il diritto di c h i e d e r e all'Europa intera giustizia p e r l'Italia». E probabile che, più che a Garibaldi, queste p a r o l e fossero rivolte a N a p o l e o n e p e r esercitare su di lui u n o di q u e i ricatti c h e t a n t o b e n e e r a n o riusciti a Cavour: o c e d e r e R o m a al R e g n o S a b a u d o , o c o r r e r e il rischio che vi piantasse b a n d i e r a u n a rivoluzione, la quale poteva a n c h e n o n fermarsi lì. I n q u e s t o senso c o m u n q u e l'appello f u i n t e r p r e t a t o d a Garibaldi, n o n si sa se p e r la solita i n g e n u a fiducia nel Re o p e r segreti accordi presi in p r e c e d e n z a con lui e con Rattazzi. Circa tremila volontari e r a n o affluiti al suo richiamo e si stavano c o n c e n t r a n d o alla Ficuzza. Ma fra di essi n o n c'era nessuno della vecchia guardia, né Bixio, né Medici, né Sirtori, né Cosenz, o r m a i integrati nell'esercito r e g o l a r e col grado di Generali. Medici anzi, ch'era lì come c o m a n d a n t e della G u a r d i a Nazionale, cercò di dissuaderlo. «Mettiti u n a m a n o 48
sul c u o r e - gli disse -, p e n s a all'Italia, p e n s a a t u t t o quello c h e si è m i r a c o l o s a m e n t e fatto. N o n ostinarti in questa via: essa c o n d u c e alla g u e r r a civile». Alla sua supplica, si aggiunsero quelle di Cucchi e T u r r . V e n n e r o anche, p e r trattenerlo, i d e p u t a t i Calvino, Mordini e Fabrizi che, q u a n d o ripass a r o n o da Napoli, f u r o n o fermati da La M a r m o r a , il quale telegrafò a Rattazzi: «Ho arrestato i deputati. Li fucilo?» «Li rimetta in libertà e si scusi» rispose il Primo Ministro. Ma tutto fu inutile a n c h e p e r c h é mille piccoli episodi ribadivano in Garibaldi la convinzione che il Re fosse d'accord o . I r e p a r t i regolari che i n c o n t r ò nella sua marcia su Catania n o n solo gli lasciavano il passo, ma lo rifornivano di viveri. Nelle città che attraversava, le c a m p a n e si scioglievano e le autorità gli venivano festosamente incontro. Si e r a sparsa la voce che Garibaldi avesse in tasca un «talismano», cioè u n a lettera del Re che lo autorizzava a p r o c e d e r e . N e a n c h e di questa lettera r i m a n g o n o tracce. Ma tutti si c o m p o r t a r o no come se esistesse r e a l m e n t e , a cominciare dagli stessi Ministri. Quelli d e l l ' I n t e r n o e della G u e r r a p r o c l a m a r o n o lo stato d'assedio in tutto il Mezzogiorno e vi m a n d a r o n o il gen e r a l e Cialdini. Ma quello della Marina, P e r s a n o , inviò all'ammiraglio Albini, la cui s q u a d r a incrociava nello Stretto di Sicilia ed e r a q u i n d i in g r a d o di tagliare la strada a Garibaldi, la s e g u e n t e r i g o r o s a direttiva: «Agite a s e c o n d a dell'occasione, m a t e n e t e s e m p r e i n m e n t e i l b e n e d e l vostro Re e del Paese». Q u a l e fosse questo bene, Albini n o n sapeva, q u a n d o si vide sfilare sotto gli occhi i d u e piroscafi c h e t r a g h e t t a v a n o Garibaldi e i suoi volontari in Calabria. Pare che si consultasse coi suoi subalterni e che u n o di costoro gli giurasse di aver visto il «talismano». C o m u n q u e , li lasciò passare. E se Garibaldi fosse arrivato a R o m a , molto p r o b a b i l m e n t e l'Ammiraglio a v r e b b e a v u t o u n o scatto di g r a d o . I n v e c e a cose fatte, cioè fallite, fu invitato a d a r e le dimissioni da Persano, che rimase al suo posto. Chi ha detto che l'Italia si è guastata nel crescere? E s e m p r e stata la stessa. 49
Era l'alba del 25 agosto q u a n d o le camicie rosse sbarcar o n o fra Melito e C a p o d e l l ' A r m i , p r e s s a p p o c o lo stesso p u n t o in cui d u e a n n i p r i m a e r a n o sbarcati i Mille, e s'incol o n n a r o n o verso Reggio. Al p r i m o r e p a r t o regolare che inc o n t r a r o n o , sventolarono i cappelli lanciando grida di saluto. Ma la risposta fu u n a scarica di fucileria. G u a r d a r o n o sorpresi il Generale, n o n m e n o sorpreso di loro e p e r un att i m o esitante. Ma s u b i t o , c o m p r e n d e n d o c h e se al fuoco avesse risposto col fuoco sarebbe stata davvero la g u e r r a civile, o r d i n ò u n a diversione verso l'interno dell'Aspromonte. Flagellata dalla pioggia, la scalata d e l l ' i m p e r v i o e b r u l l o acrocoro fu d u r a . La colonna, priva di viveri, si era affidata a guide che poi risultarono essere delle spie e che la fecero v a g a b o n d a r e q u a t t r o giorni e q u a t t r o notti p e r c o n d u r l a al rifugio dei Forestali dov'essa sperava trovare delle vettovaglie che invece n o n c ' e r a n o . Garibaldi contò i suoi u o m i n i : di duemila, gliene restavano cinquecento. Il 29 f u r o n o attaccati da un r e p a r t o di b e r s a g l i e r i . Vedendoli avanzare, il G e n e r a l e gli si fece incontro da solo, allo scoperto, la m a n o d e s t r a sull'elsa della sciabola, la sinistra sul fianco. Forse sperava che avrebbero abbassato i fucili come a v e v a n o fatto i soldati francesi d a v a n t i a N a p o l e o n e q u a n d o e r a t o r n a t o dall'Elba. Invece gli s p a r a r o n o addosso, e u n a pallottola gli strisciò la coscia. «Non fate fuoco!» intimò ai suoi. Un'altra pallottola gli si conficcò nel malleolo. «Andate fuori g r i d a n d o viva l'Italia!» o r d i n ò m e n t r e s'accasciava, e Cairoli a c c o r r e v a p e r s o r r e g g e r l o . I volontari obb e d i r o n o , ma i b e r s a g l i e r i s e g u i t a r o n o a s p a r a r e , e allora s'accese u n a breve mischia che lasciò sul t e r r e n o 12 m o r t i e u n a q u a r a n t i n a di feriti. Garibaldi giaceva sotto un albero col p i e d e s p a p p o l a t o e il sigaro in bocca. Q u a n d o un t e n e n t e gl'intimo burbanzosam e n t e la resa, disse ai suoi: «Disarmatelo!», e il t e n e n t e n o n reagì. Sopraggiunse il colonnello Pallavicini, che a sua volta gl'intimo la resa, ma a bassa voce e togliendosi il b e r r e t t o . Garibaldi a n n u ì , e su u n ' i m p r o v v i s a t a barella si lasciò tra50
s p o r t a r e a Scilla, d o n d e p e r m a r e lo trasferirono nel forte di Varignano presso La Spezia. N e i g i o r n i successivi i suoi s p a r p a g l i a t i r e p a r t i f u r o n o catturati e internati fino al 5 ottobre, q u a n d o fu p r o m u l g a t a u n ' a m n i s t i a che li rimise in libertà. Ma nel milazzese sette volontari v e n n e r o fucilati c o m e disertori dell'esercito r e g o lare. La n o t a farsesca di tutta quella vicenda f u r o n o le settantasei medaglie al valor militare distribuite ai vincitori e la p r o m o z i o n e sul c a m p o a Pallavicini «per meriti speciali». A Torino, Rattazzi cercava affannosamente di approfittare della c h i u s u r a del P a r l a m e n t o p e r p a r a r e la t e m p e s t a che si e r a scatenata. N o n soltanto l'Italia, ma tutta E u r o p a e r a in subbuglio p e r Garibaldi. A Parigi, a L o n d r a , a Lipsia, a Stoccolma era un rincorrersi di dimostrazioni e di manifesti in suo favore. Rattazzi fece dire a N a p o l e o n e che il g o v e r n o p i e m o n t e s e aveva t e n u t o parola d i m o s t r a n d o la sua volontà di o r d i n e , ma che l'impresa dei volontari era «l'espressione di un bisogno p i ù che mai imperioso: la Nazione intera reclama la sua capitale». Sperava di o t t e n e r e d a l l ' I m p e r a t o r e qualcosa che gli p e r m e t t e s s e di placare l'opinione pubblica e di affrontare la battaglia p a r l a m e n t a r e che si a n n u n z i a v a r o v e n t e . Ma la replica d e l l ' I m p e r a t o r e fu negativa, e perfino sgarbata. Alla fine di n o v e m b r e si a p r ì il dibattito alla C a m e r a . Rattazzi fu v i o l e n t e m e n t e attaccato n o n solo dalla Sinistra, ma anche dalla Destra. Si difese con molta abilità, ma senza riuscire a dissipare l'impressione ch'egli si fosse cacciato in un giuoco più grosso di lui e ne fosse stato travolto. Sebbene alla ricostruzione dei fatti m a n c h i n o ancora parecchi elementi, a n d a t i d i s t r u t t i o seppelliti negli archivi di Casa Savoia che U m b e r t o II ha trasferito a Cascais, questa i m p r e s s i o n e r i m a n e . C h e in quella disgraziata i m p r e s a egli avesse qualc h e r e s p o n s a b i l i t à , n o n c'è d u b b i o . Resta solo da stabilire q u a n t e ne aveva, e se le aveva assunte p e r eccessiva fiducia nelle p r o p r i e risorse di t r e s c a t o r e o p e r c o m p i a c e r e al Re, che c e r t a m e n t e d e g l ' i n c o r a g g i a m e n t i a Garibaldi ne aveva 51
dati, p r o n t o ad a p p r o p r i a r s i i suoi successi o ad a b b a n d o n a r l o in caso di fallimento. Era stato il giuoco di Cavour. Ma né Vittorio E m a n u e l e né Rattazzi e r a n o Cavour. B e n e o m a l e , il P r i m o Ministro riuscì a scagionarsi. Ma c o m p r e n d e n d o che da quell'avventura il g o v e r n o usciva più discreditato e il Paese più diviso che mai, n o n si sentì di affrontare il voto di fiducia e preferì r a s s e g n a r e le dimissioni. Basato sugli equivoci c o m e il p r i m o , a n c h e il s u o s e c o n d o ministero n o n e r a d u r a t o che pochi mesi. M a d a quella t e m p e s t a , a n c h e l ' o p p o s i z i o n e uscì sconquassata. Faticosamente ricucita con l'Emancipatrice, l'unità della Sinistra si e r a di n u o v o rotta. Mazzini se ne a n d ò con le sue società o p e r a i e ; m e n t r e un altro filone, sostituendo al suo verbo quello di Pisacane, infilò la strada del socialismo. E la saldatura fra queste d u e forze si farà, d o p o d e c e n n i di travaglio, grazie a tutt'altro mastice ideologico.
CAPITOLO Q U I N T O
F I R E N Z E CAPITALE
A f o r m a r e il n u o v o g o v e r n o il Re c h i a m ò Farini, e n o n fu u n a scelta felice. Braccio d e s t r o di Cavour, i n g e g n o brillante e g r a n g a l a n t u o m o , Farini n o n aveva molto senso politico, e p e r di più e r a o r m a i ridotto da u n a incurabile malattia m e n t a l e all'ombra di se stesso. Ma fu scelto p e r c h é e r a u n o dei pochissimi n o n piemontesi che, p e r essere tanto t e m p o vissuto in mezzo a loro, godeva la fiducia dei piemontesi, e q u i n d i poteva conciliare l'esigenze, s e m p r e più contrastanti, degli u n i e degli altri. La sua p r e s e n z a doveva servire solo a gettare acqua sul fuoco di questi conflitti regionali, che già dividevano sia la Destra che la Sinistra, m e n t r e il p o t e r e effettivo sarebbe rimasto nelle m a n i del bolognese Minghetti, Ministro delle Finanze, e del fiorentino Peruzzi, Ministro dell'Interno. Ma n o n d u r ò che pochi mesi. Un giorno, a u n a r i u n i o n e di Gabinetto, Farini mise un coltello alla gola del Re minacciando di tagliargliela se n o n dichiarava seduta stante g u e r r a alla Russia, e bisognò i n t e r n a r l o in u n a clinica dove morì poco d o p o . Minghetti p r e s e il suo posto e a p p r o fittò delle u n i c h e dimissioni, quelle del Ministro degli Esteri Pasolini, p e r affidarne il portafoglio a Visconti-Venosta. La scelta fece s e n s a z i o n e p e r c h é Visconti-Venosta n o n aveva che t r e n t a q u a t t r o anni. Ma si rivelò indovinatissima. Fra i tanti p r o b l e m i c h e il n u o v o G a b i n e t t o d o v e v a affrontare, d u e p r i m e g g i a v a n o p e r la loro gravità e u r g e n z a : quello del b r i g a n t a g g i o m e r i d i o n a l e , di cui d i r e m o più tardi; e quello di Roma, reso vieppiù d r a m m a t i c o dal fattaccio di A s p r o m o n t e che divideva la pubblica o p i n i o n e e ne inaspriva i contrasti. 53
Per t u t t o il ' 6 3 , M i n g h e t t i e Visconti-Venosta c e r c a r o n o invano, attraverso l'Ambasciatore a Parigi, Nigra, di avviare trattative con N a p o l e o n e p e r i n d u r l o a ritirare d a l l ' U r b e il presidio francese. N o n riuscendovi, p e n s a r o n o di fomentare u n ' i n s u r r e z i o n e dall'interno della città. E la stavano p r e p a r a n d o sotto b a n c o , q u a n d o l ' i m p e r a t o r e c a m b i ò , c o m e spesso gli succedeva, i m p r o v v i s a m e n t e idea. Nell'aprile del ' 6 4 , di r i t o r n o dalla Russia d o v ' e r a A m b a s c i a t o r e , a n d ò a t r o v a r l o G i o a c c h i n o Pepoli c h ' e r a a n c h e suo c u g i n o , i n q u a n t o figlio d i u n a f i g l i a d i C a r o l i n a B o n a p a r t e M u r a t (questi legami di famiglia p e r N a p o l e o n e contavano). E p i ù t a r d i costui r a c c o n t ò che, messo il discorso sulla q u e s t i o n e r o m a n a , gli e r a b a l e n a t a in testa q u e s t a i d e a : la F r a n c i a avrebbe ritirato il suo presidio, l'Italia si sarebbe i m p e g n a t a a rispettare lo Stato Pontificio, e p e r d i m o s t r a r e la serietà di q u e s t o i m p e g n o a v r e b b e trasferito la capitale da T o r i n o a un'altra città. L ' I m p e r a t o r e - dice Pepoli - si era subito molto interessato al p r o g e t t o , e così le trattative avevano p r e s o avvìo. In realtà le cose stavano altrimenti. N a p o l e o n e si trovava in u n a situazione diffìcile. Per l'atteggiamento di a p e r t a simpatia assunto nei confronti dei rivoluzionari polacchi, aveva p e r s o l'amicizia della Russia. L'Austria si mostrava diffidente. Il costoso tentativo d'istaurare in Messico u n a m o n a r c h i a satellite e r a c l a m o r o s a m e n t e fallito, e all'interno del Paese il m a l c o n t e n t o cresceva. In queste condizioni, egli n o n voleva a l i m e n t a r e a n c h e i r a n c o r i dell'Italia, e p e r c i ò e r a p r o n t o a d a c c e t t a r e q u a l u n q u e soluzione della q u e s t i o n e r o m a n a che gli p e r m e t t e s s e di salvare la faccia di fronte al P a p a e ai cattolici francesi. Q u a n t o alla p r o p o s t a di cui Pepoli si attribuiva la p a t e r nità, molte cose lasciano c r e d e r e che gli fosse stata suggerita da Visconti-Venosta, e c o m u n q u e Nigra si affrettò a p r e s e n tarla c o m e «di fonte m o l t o autorevole». N o n m e n t i v a p e r c h é effettivamente l'idea di t r a s f e i i r e la capitale e r a n o in molti a sostenerla p e r «spiemontesizzare» l'Italia. La caldeg54
giava perfino un p i e m o n t e s e fra i più illustri, Massimo D'Azeglio, c h e la capitale la voleva a Firenze p e r i m p e d i r l e di andare a Roma. Il negoziato di Parigi a n d ò avanti s p e d i t a m e n t e . L'unica difficoltà furono i «tempi» dell'operazione. N a p o l e o n e voleva scinderla in d u e atti i n d i p e n d e n t i . Prima, l'Italia avrebbe trasferito la capitale. Poi, la Francia a v r e b b e r i c h i a m a t o da R o m a il suo p r e s i d i o . M i n g h e t t i invece c h i e d e v a c h e i d u e i m p e g n i fossero f i r m a t i c o n t e m p o r a n e a m e n t e : u n p o ' p e r i m p e d i r e c h e l ' I m p e r a t o r e ricominciasse, c o m e al solito, a tergiversare; un p o ' p e r c h é solo il ritiro del presidio poteva fare ingoiare al Re e ai suoi torinesi il r o s p o del trasferimento. E alla fine la sua tesi prevalse. La C o n v e n z i o n e , che fu d e t t a «di S e t t e m b r e » dal m e s e in cui v e n n e c o n c o r d a t a , si c o m p o n e v a di c i n q u e articoli e stabiliva: che l'Italia r i n u n ziava a ogni atto di ostilità c o n t r o il territorio pontificio; che la Francia ne avrebbe ritirato le sue t r u p p e via via che il gov e r n o del Papa le avesse rimpiazzate con volontari indigeni e stranieri, e c o m u n q u e e n t r o d u e a n n i ; e che questo d o p pio i m p e g n o sarebbe e n t r a t o in vigore dal m o m e n t o in cui il g o v e r n o italiano avesse decretato il trasferimento della capitale da o p e r a r s i nello spazio di sei mesi. O r a bisognava i n f o r m a r n e il Re che di quest'ultima clausola e r a stato t e n u t o all'oscuro. Per g u a d a g n a r s i l'assenso suo e la rassegnazione dei piemontesi, Minghetti cercò l'app o g g i o d i L a M a r m o r a offrendogli u n M i n i s t e r o , m a n o n o t t e n n e che u n rifiuto. N o n restava d u n q u e c h e affrontare Vittorio E m a n u e l e , i l q u a l e a n d ò sulle furie, m a m e n o d i q u a n t o Minghetti avesse t e m u t o . Egli m a n d ò a Parigi il generale M e n a b r e a p e r convincere N a p o l e o n e a lasciare la capitale dov'era. Ma q u a n d o si rese conto che il trasferimento e r a la c o n d i z i o n e dello s g o m b e r o delle t r u p p e francesi, allargò le braccia e convocò u n a Commissione di militari p e r d e c i d e r e q u a l e fosse, dal p u n t o di vista strategico, la città più qualificata all'alto o n o r e . E tutti c o n c o r d a r o n o su Firenze, la più centrale e la meglio p r o t e t t a dai suoi A p p e n n i n i . 55
A p p e n a la notizia t r a p e l ò , i t o r i n e s i scesero p e r s t r a d a . Essi e r a n o convinti che l'Italia n o n fosse c h e un i n g r a n d i m e n t o del P i e m o n t e , cui spettava il c o m p i t o di governarla, cioè di «piemontesizzarla». I t u m u l t i f u r o n o violenti e si conclusero con u n a t r e n t i n a di m o r t i e un centinaio di feriti. II Re, che n o n aveva mai avuto in simpatia Minghetti, ne approfittò p e r intimargli le dimissioni e sostituirlo con La M a r m o r a alla testa di un Ministero z e p p o di p i e m o n t e s i e p r i v o di toscani, che la s t a m p a n o n aveva esitato a d e n u n ziare come i veri autori del «complotto». E tale era il risentim e n t o c o n t r o di loro che il p o v e r o Peruzzi q u a n d o usciva p e r le strade di Torino, doveva indossare u n a maglia di ferro antipugnale. Q u e s t a r e a z i o n e e r a del t u t t o ingiustificata. Peruzzi p i ù volte aveva detto c h ' e r a impossibile g o v e r n a r e l'Italia da Tor i n o . Ma, a n c h e se era fra i pochi che avevano s a p u t o delle trattative di Parigi e le aveva a p p r o v a t e , n o n aveva fatto nulla p e r c h é la scelta cadesse su Firenze, a n c h e p e r c h é sapeva c h e Firenze n o n gradiva affatto quel r e g a l o . «Una tazza di veleno» l'aveva definito Ricasoli. La prospettiva dell'alluvione che stava p e r abbattersi sulla città riempiva di gioia solo i p r o p r i e t a r i di case e di aree fabbricabili, che videro di colpo salirne i prezzi alle stelle. Ma i ceti piccoli e m e d i e r a n o sgomenti, e n o n soltanto p e r ragioni economiche. Visceralmente attaccata alla sua «Tòscanina» g r a n d u c a l e , Firenze era refrattaria ad ambizioni di megalopoli. «Temo forte che me la sciupino» scriveva allarmato Galeotti, e p u r t r o p p o fu b u o n profeta. Gli s v e n t r a m e n t i che furono operati p e r alloggiare i Ministeri e i n u o v i quartieri che sorsero alla periferia p e r ospitare i venticinque o trentamila impiegati che calarono da Torino, lasciarono la città o r r e n d a m e n t e sfregiata e carica di debiti. Ma il trasferimento ebbe a n c h e un'altra, e più sostanziale, c o n s e g u e n z a : la s p a c c a t u r a dello s c h i e r a m e n t o politico. C o m e a b b i a m o d e t t o , nel c o m p o s i t o r a g g r u p p a m e n t o che f o r m a v a «la Destra», si e r a già d e l i n e a t o un f r o n t e tosco-
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emiliano, cui spesso facevano capo a n c h e i l o m b a r d i e qualc h e m e r i d i o n a l e , b e n deciso a i n f r e n a r e lo s t r a p o t e r e dei piemontesi. Costoro lo c h i a m a r o n o spregiativamente «Consorteria» e gli o p p o s e r o u n a «Associazione Liberale P e r m a nente», tutta p i e m o n t e s e , a n c h e se n o n tutti i piemontesi vi p a r t e c i p a r o n o . Attribuito a un intrigo dei Consorti, il trasfer i m e n t o acuì il contrasto r e n d e n d o l o più forte della p a r e n tela ideologica. O g n u n o dei d u e g r u p p i , p e r c o m b a t t e r e l'altro, si r e s e disponibile a intese sotto b a n c o c o n la Sinistra. Q u e s t a dal canto suo aveva subito lo stesso processo di dilacerazione d o p o la crisi di A s p r o m o n t e , q u a n d o l'ala gar i b a l d i n a divorziò da quella m a z z i n i a n a . E q u e s t o d i e d e avvìo a un rimescolamento di carte in cui i connotati ideologici si p e r s e r o . Lo si vide nella c a m p a g n a elettorale che il g o v e r n o b a n d ì subito d o p o il s u o trasloco. Gli u o m i n i della P e r m a n e n t e c e r c a r o n o a c c o r d i c o n quelli della Sinistra g a r i b a l d i n a e p e r c i ò a s s u n s e r o degli a t t e g g i a m e n t i t a l m e n t e sfumati e d equivoci che l'elettorato ne fu disorientato. Su mezzo milione d'iscritti al voto, n o n ne a n d ò alle u r n e che la metà, m e no della volta p r e c e d e n t e . La m a g g i o r a n z a rimase ai m o d e rati, ma falcidiata di quasi un terzo. Le spese del calo lo fecero s o p r a t t u t t o i Consorti tosco-emiliani. Solo a fatica, e al s e c o n d o scrutinio, i d u e più prestigiosi capi del m o d e r a t i smo fiorentino, Ricasoli e Peruzzi, m a n t e n n e r o i loro seggi. E questo confermava q u a n t o poco Firenze avesse gradito la p r o m o z i o n e al r a n g o di capitale. Un'altra c o n s e g u e n z a del trasferimento fu la spinta u n i ficatrice. Fin allora la c o s t r u z i o n e dello Stato u n i t a r i o e r a p r o c e d u t a con u n a certa cautela. Si era unificato il sistema d o g a n a l e , a b o l e n d o le b a r r i e r e fra Stato e Stato, ed estend e n d o a tutta l'Italia, p e r le merci d ' i m p o r t a z i o n e , la tariffa piemontese. Si era unificato il sistema m o n e t a r i o a d o t t a n d o quello p i e m o n t e s e , basato in prevalenza sulla m o n e t a a u r e a invece che su quella d ' a r g e n t o c o m e avveniva nelle altre regioni (la circolazione cartacea raggiungeva a p p e n a il 15 p e r 57
c e n t o , t a n t o scarsa e r a la fiducia nel biglietto di b a n c a ) . Si e r a unificato il debito pubblico, iscrivendo nel G r a n Libro tutti quelli lasciati in e r e d i t à dai sette Stati p r e - u n i t a r i . Si e r a unificato u n a p a r t e d e l sistema a m m i n i s t r a t i v o e s t e n d e n d o a tutta l'Italia le leggi piemontesi sui poteri degli Enti locali, che p e r il m o m e n t o si r i d u c e v a n o a b e n poca cosa. Per acquistare un p o ' d ' a u t o n o m i a C o m u n i e Province d o v r a n n o aspettare le riforme di Crispi. Ma restava da fare l'unificazione legislativa. I Ministeri c h e a v e v a n o t e n t a t o di e s t e n d e r e a tutta l'Italia un codice unico, sia in materia p e nale che in m a t e r i a civile e di p r o c e d u r a , e r a n o caduti p r i ma di p o t e r c o n d u r r e in p o r t o l'impresa. A fare opposizione e r a n o s o p r a t t u t t o i toscani, i quali effettivamente g o d e vano di u n a legislazione più liberale e avanzata, e n o n volevano rinunziarci. Ma era a p p u n t o questo che o r a i m p o n e v a di s e r r a r e i ritmi: la città c h e ospitava la capitale n o n p o t e v a s e g u i t a r e a g o d e r e d i o r d i n a m e n t i p a r t i c o l a r i senza c o n t r a d d i r e alla sua funzione di guida. Prima ancora che il trasloco avvenisse, la C a m e r a a p p r o v ò un o r d i n e del g i o r n o che i m p e g n a v a il g o v e r n o a p r o v v e d e r e con u r g e n z a «alla più p r o n t a unificazione amministrativa e legislativa del Regno». Il g o v e r n o e r a allora quello di La M a r m o r a , che tuttavia rimase in carica d o p o le elezioni del '65 forse a n c h e p e r ass i c u r a r e l a c o n t i n u i t à d e l l ' o p e r a i n t r a p r e s a . Per r e n d e r l a p i ù spedita, esso chiese e o t t e n n e u n ' a m p i a d e l e g a c h e gli p e r m i s e d i v a r a r e u n e n o r m e blocco d i p r o v v e d i m e n t i , o g n u n o dei quali, se si fosse d o v u t o seguire la prassi, avrebbe richiesto a n n i di discussioni. La p r o c e d u r a n o n e r a molto intonata alla Costituzione, ma la C a m e r a riconobbe ch'era imposta dall'urgenza dei p r o b l e m i . La fretta di risolverli indusse il legislatore a esaltare il carattere centralistico dello Stato italiano che consentiva d ' i m p o r r e regolamenti uniformi, e q u i n d i di p i ù semplice confezione, a un Paese estrem a m e n t e differenziato. E questo fece sì che la legge entrasse in molti casi in contrasto col c o s t u m e e lo sopraffacesse. 58
Molte delle m a l f o r m a z i o n i e disfunzioni e c o n t r a d d i z i o n i che t u t t o r a affliggono lo Stato italiano sono a p p u n t o il frutto di questo vizio d'origine. Ma n o n c'è d u b b i o c h e fu il lavoro di questi a n n i a d a r e , bello o b r u t t o , un volto all'Italia e a farne u n a Nazione. A battersi c o n t r o di essa in n o m e delle vecchie b a n d i e r e p r e - u n i t a r i e restavano solo i briganti.
CAPITOLO SESTO
I BRIGANTI
Il 7 a p r i l e d e l ' 6 1 , un piccolo esercito di fuorilegge si e r a a d u n a t o nel bosco di Lagopesole in Lucania, e aveva acclam a t o a suo generalissimo C a r m i n e Crocco Donatelli, alzando la b a n d i e r a dei B o r b o n e e a d o t t a n d o n e la coccarda rossa. Nel R e g n o delle D u e Sicilie e negli Stati pontifici, il fenom e n o del b r i g a n t a g g i o n o n e r a n u o v o , e r a anzi e n d e m i c o . Lo provocavano la miseria, la m a n c a n z a di comunicazioni e la stessa s t r u t t u r a dei regimi polizieschi. Ma e r a un b r i g a n taggio spicciolo, affidato all'iniziativa p r i v a t a di p a s t o r i e contadini che, scontenti del loro stato, preferivano darsi alla macchia e al saccheggio. Molte cose contribuivano a fornire reclute alle loro b a n d e : i soprusi dei signorotti, le a n g h e r i e del fisco, i dinieghi di giustizia, e la coscrizione obbligatoria, fucina di d i s e r t o r i . N o n e r a n o c h e feroci m o z z a t e s t e e taglieggiatori spietati. E p p u r e , la connivenza delle popolazion i n o n gliela p r o c u r a v a soltanto l a p a u r a che i n c u t e v a n o , ma a n c h e la simpatia. Lo dimostra la trasfigurazione del brig a n t e , s e c o n d o il m i t o p o p o l a r e , nel p a l a d i n o del p o v e r o , cavalleresco e generoso r i p a r a t o r e dei torti. Il «cafone» era carico di repressi rancori, specie da q u a n do le g r a n d i speranze suscitate dalla liquidazione del feudalesimo e r a n o a n d a t e deluse. Lo Stato aveva liberato il contad i n o da certe medievali soggezioni, ma n o n gli aveva d a t o di che n u t r i r e questa conquista. N e m m e n o la distribuzione delle t e r r e ecclesiastiche e demaniali si e r a risolta a suo vantaggio. Ad a p p r o f i t t a r n e e r a n o stati solo q u e i «notabili» di estrazione b o r g h e s e , i cosiddetti «galantuomini» che, d e t e n e n d o d o v u n q u e il p o t e r e , lo u s a r o n o con u n a spregiudica60
tezza e rapacità da far r i m p i a n g e r e i vecchi b a r o n i , coi quali del resto fecero subito lega nella difesa dei p a t r i m o n i e dei privilegi. Q u e s t a situazione faceva sì che il c o n t a d i n o fosse m e n o ostile al Re e al suo g o v e r n o da cui q u a l c h e aiuto, sia p u r e senza efficacia, gli era v e n u t o , che a questa n u o v a classe pad r o n a l e , di cui subiva d i r e t t a m e n t e le a n g h e r i e . E lo si e r a visto nel '98 q u a n d o , sotto l'incalzare delle baionette francesi, i B o r b o n e fuggirono a Palermo e a Napoli si formò la Repubblica giacobina, di cui quella classe fu, o avrebbe d o v u t o essere il p u n t e l l o . Sbarcato in Calabria, il c a r d i n a l e Ruffo n o n e b b e n e s s u n a difficoltà a raccogliere sotto la sua b a n d i e r a legittimista le masse c o n t a d i n e di cui i b r i g a n t i r a p p r e s e n t a v a n o la p u n t a avanzata. Ad a n i m a r e la loro crociata «sanfedista» n o n era tanto la fedeltà al Re e la devozione alla Chiesa, c h e il C a r d i n a l e p r e d i c a v a e i n c a r n a v a , q u a n t o l'odio p e r gli «anticristi liberali» che avevano s o p p i a n t a t o il vecchio r e g i m e e di cui fecero indiscriminati massacri. Q u e s t a fu la p r i m a strumentalizzazione politica del brigantaggio. E da essa rimase condizionato tutto il movimento risorgimentale del Sud. La C a r b o n e r i a n o n d i s d e g n ò gli accordi coi b r i g a n t i , e q u a l c h e volta riuscì a p r o c u r a r s e n e l ' a p p o g g i o . Ma l ' e l e m e n t o m o d e r a t o ne p a v e n t a v a la violenza eversiva, e a p p u n t o p e r q u e s t o e r a m o d e r a t o . I «galantuomini» volevano l'Italia, ma la volevano nell'ordine e a p a t t o che rispettasse le loro p r e r o g a t i v e . Al f o n d o del loro p a t r i o t t i s m o c'era a n c h e l'aspirazione a u n o Stato p i ù efficiente di quello b o r b o n i c o , che con polso più fermo li p r o teggesse da quegli scoppi di collera delle plebi affamate, di cui il b r i g a n t a g g i o n o n e r a c h e u n a rozza e b r u t a l e espressione. Ad allearsi con queste plebi e a sollecitarne la partecip a z i o n e al m o t o nazionale, n o n p e n s a r o n o mai: e questa è l'accusa - fondatissima - che tanti a n n i d o p o fu loro mossa da Gramsci. Perciò l'appello all'indipendenza n o n trovò mai n e s s u n a eco n e l p r o l e t a r i a t o a g r a r i o c h e r a p p r e s e n t a v a la s t r a g r a n d e m a g g i o r a n z a della popolazione. E perciò, c o m e 61
abbiamo già d e t t o , i «galantuomini» a b i u r a r o n o b e n p r e s t o alla vocazione a u t o n o m i s t a e si c o n v e r t i r o n o in massa all'unitarismo: n o n volevano trovarsi a t u p p e r t ù con c a m p a g n e in rivolta, pattugliate dai briganti. Molti di costoro, q u a n d o Garibaldi arrivò, accorsero sott o l a sua b a n d i e r a : u n p o ' p e r c h é , d a quel c h e n e a v e v a n o sentito dire, lo consideravano pressappoco u n o dei loro; un p o ' p e r c h é s p e r a v a n o di o t t e n e r e da lui il c o n d o n o dei loro delitti, e m a g a r i a n c h e l'assunzione in servizio regolare. Fra i più solleciti ci fu C a r m i n e Crocco, un ex-pastore di Rionero in Vulture che, c o n d a n n a t o p e r diserzione a v e n t ' a n n i di c a r c e r e , ne e r a evaso, si e r a d a t o alla m a c c h i a , e in p o c o t e m p o e r a d i v e n t a t o il p i ù t e m u t o e r i s p e t t a t o c a p o b a n d a della L u c a n i a n o n s o l t a n t o p e r i l s u o c o r a g g i o , m a a n c h e p e r la sua intelligenza di guerrigliero. All'origine della sua rivolta c'era un patetico episodio che b e n illustra la condizione delle plebi meridionali. Un giorno, q u a n d o era bambino, il cane d'un signore era entrato nella sua c a t a p e c c h i a e aveva a m m a z z a t o un coniglio. Un suo fratello, p e r strapparglielo di bocca, gli assestò u n a bastonata che lo stese m o r t o . Il signore se la riprese con la mad r e , e con tale violenza la m a l m e n ò da farla a b o r t i r e e lasciarla p e r s e m p r e inferma. D o p o poco il s i g n o r e fu ferito da un'archibugiata. Il tribunale ne r i t e n n e colpevole il marito della d o n n a , e lo c o n d a n n ò ai lavori forzati. Solo d o p o d u e a n n i e mezzo, un vecchietto del luogo che tutti r i t e n e vano i n n o c u o e pio, rivelò in p u n t o di m o r t e di essere stato lui l ' a u t o r e del t e n t a t o omicidio. C a r m i n e riebbe il p a d r e , ma n o n p i ù la m a d r e , d i v e n t a t a pazza, e da allora n e l suo a n i m o n o n ci fu posto p e r altro anelito che quello della vendetta. Disertò p e r n o n servire lo Stato che nella sua m e n t e di analfabeta si c o n f o n d e v a col signore. D o p o d u e a n n i di vita alla macchia p u n t e g g i a t a di r a p i n e e omicidi, si schierò con Garibaldi, partecipò all'insurrezione di Potenza, e si mise al servizio del n u o v o r e g i m e , c o n v i n t o di o t t e n e r n e la grazia e di potervisi i n s e r i r e . I n v e c e della grazia, e b b e le 62
m a n e t t e e u n a n u o v a c o n d a n n a . Ma p e r la s e c o n d a volta riuscì a e v a d e r e grazie all'aiuto di u n a famiglia di «notabili» da cui doveva uscire il p i ù g r a n d e e illuminato studioso del M e r i d i o n e : Giustino F o r t u n a t o . E riprese la sua a v v e n t u r o sa vita alla testa di u n a b a n d a c h e i n g r o s s a v a a vista d'occhio. A p r o c u r a r g l i r e c l u t e e r a la d i s s e n n a t a politica dei p r o consoli p i e m o n t e s i , che a N a p o l i a v e v a n o d a t o il c a m b i o a Garibaldi, e che della situazione locale n o n capivano nulla, a n c h e p e r c h é i «galantuomini» loro alleati n o n avevano ness u n interesse a fargliela capire. Certo n o n si poteva improvvisare u n a riforma a g r a r i a che, a n c o r a n d o i c o n t a d i n i alla t e r r a , li sottraesse alla fame e alla tentazione del b r i g a n t a g gio. Ma si p o t e v a n o a l m e n o t r a t t e n e r e in servizio i soldati dell'esercito borbonico che invece, d o p o la battaglia del Volt u r n o e la r e s a di Gaeta, f u r o n o c o n g e d a t i e gettati sul lastrico. Era u n a massa di quasi 100.000 u o m i n i senza soldo né possibilità d ' i m m e d i a t o r e i n s e r i m e n t o nella vita civile - se così possiamo c h i a m a r l a -, e q u i n d i disponibili a qualsiasi a v v e n t u r a . E r a fatale c h e si a r r u o l a s s e r o nelle b a n d e c h e già esistevano o che ne f o r m a s s e r o di n u o v e . E altrettanto fatale e r a che da R o m a , dove si era rifugiato, re Francesco tentasse di organizzarle p e r riconquistare il suo Reame con l'appoggio del g o v e r n o p a p a l i n o , s e m p r e più ostile al processo unitario. A Napoli, Ponza di San Martino aveva dato il cambio, come L u o g o t e n e n t e Generale, a Farini. Ma né l'uno né l'altro si e r a n o resi c o n t o del p e r i c o l o c h e i n c o m b e v a . E n t r a m b i c o n s i d e r a v a n o il b r i g a n t a g g i o c o m e un f e n o m e n o di delinq u e n z a c o m u n e , reso più acuto dal disordine di quella fase di passaggio fra il vecchio e il n u o v o r e g i m e , e della stessa o p i n i o n e e r a Ricasoli a Torino. Convinti di poterlo combatt e r e con m i s u r e d i polizia, b a n d i r o n o l a coscrizione p e r rinforzare le g u a r n i g i o n i piuttosto a corto di u o m i n i p e r c h é il grosso dell'esercito e r a r i e n t r a t o al N o r d p e r presidiare i confini col Veneto austriaco. Ma fu un fiasco totale: dei 70 e 63
più mila richiamati, se ne presentarono solo 20.000: il che voleva dire 50.000 disertori alla macchia. Le conseguenze si videro subito. Abbandonando i boschi e le montagne, dove sin allora si erano tenute acquattate, le bande investirono paesi e città. Una dopo l'altra, Venosa, Ripacandida e Ginestra caddero sotto i loro colpi, e le guarnigioni vennero massacrate. Ma la cosa più grave era che, alla comparsa dei briganti, il popolino insorgeva spesso facendo piazza pulita di autorità, polizia e «galantuomini» e accoglieva le bande da «liberatrici» con luminarie, feste e Te Deum perché il clero era tutto schierato dalla loro parte. Anzi, a Pontelandolfo, furono proprio i preti che, approfittando di una processione, diedero il segnale della rivolta, e che a Casalduni guidarono la folla al linciaggio di cinquanta bersaglieri. Così si era giunti a quel famoso raduno di Lagopesole, cui le bande si presentarono come a una specie di giuramento di Pontida per coordinare la loro azione, come mai sin allora era avvenuto, ed eleggere il capo. C'erano tutti: Nicola Somma detto Ninco-Nanco, Luigi Alonzi detto Chiavone, Gioseffi detto Caporal Teodoro, Guerra, Caruso, Malacarne, Sacchitiello, e quel Ciucciarello, di cui le donne di Andria, sua patria, seguitano a cantare un «lamento», dove si dice che, dopo morto ammazzato, risorse come Gesù Cristo, cui a quanto pare vagamente somigliava. Erano tutti uomini che si erano guadagnati i galloni di capibanda con prove di coraggio, di astuzia e di ferocia, non accettavano di sottomettersi a nessuno, e per questo non erano mai riusciti a mettersi d'accordo fra loro. A indurveli erano stati gli agenti borbonici, che recavano le promesse del Re, le benedizioni del Papa e gl'incoraggiamenti del comando francese, rappresentato da uno strano e misterioso avventuriero bretone, Langlois, di cui non si è mai riusciti a ricostruire i precedenti e la figura. Fu in questo arengo che Crocco venne riconosciuto Generalissimo non solo per l'autorità che gli conferivano le sue gesta, ma anche perché, sebbene mezzo analfabeta, posse64
d e v a u n ' o r a t o r i a i m m a g i n o s a e apocalittica. «Non si comm u o v e a n c o r a il cielo, n o n f r e m e la t e r r a , n o n s t r a r i p a il m a r e al cospetto delle infamie commesse ogni giorno dall'in i q u o u s u r p a t o r e piemontese?» Tutti g i u r a r o n o nelle m a n i dei cappellani che infoltivano i r a n g h i di quelle squadracce e sulle i m m a g i n i dei Santi e delle M a d o n n e di cui e r a n o imbottiti, p e r c h é questi scannatori, che adibivano i teschi delle loro vittime a boccali, e r a n o devotissimi alla M a d o n n a . Olt r e alle c o c c a r d e , f u r o n o distribuiti g r a d i e u n i f o r m i . Ma C h i a v o n e rifiutò quella d i c o l o n n e l l o m a n d a t a g l i d a r e F r a n c e s c o p e r c h é i b o t t o n i e r a n o di r a m e : li voleva d ' o r o zecchino. Alla g r a n d e assise p a r t e c i p a r o n o a n c h e le d o n n e dei capi: Arcangela C o t u g n o , moglie di C h i r i c h i g n o , d e t t o C o p p o l o n e ; Maria Lucia, c o m p a g n a di Ninco-Nanco; la bellissima Michelina D e C e s a r e , c o m p a g n a d i G u e r r a ; Rosa Giuliani, che in seguito d e n u n z i ò e fece fucilare il suo Chiavone, che l'aveva r i p u d i a t a p e r u n a levatrice di Melfi. Q u a l c h e mese d o p o giunse, con u n a dozzina di suoi compatrioti, u n c a p e r o n z o l o s p a g n o l o , J o s é Borjés, mezzo avv e n t u r i e r o , mezzo cavaliere d e l l ' I d e a l e , che aveva militato sotto la b a n d i e r a di Don Carlos, il c a m p i o n e dell'assolutis m o , e diceva di essere stato investito da re F r a n c e s c o del c o m a n d o s u p r e m o . Ma Crocco si rifiutò di mettersi ai suoi ordini. Non era u o m o da p r e n d e r n e da nessuno, e tanto m e n o da u n o straniero che n o n conosceva il paese, ne p a r lava a m a l a p e n a la l i n g u a e p r e t e n d e v a c o n v e r t i r e q u e l l e b a n d e a un galateo cavalleresco e a u n a strategia da t r u p p e regolari. Deluso dalla brutalità e indisciplina di quegli u o mini, Borjés c e r c ò s c a m p o nello Stato pontificio. Ma a Tagliacozzo fu s o r p r e s o da un r e p a r t o di bersaglieri e i m m e d i a t a m e n t e fucilato coi suoi diciassette c o m p a g n i . Crocco n o n riuscì a t e n e r e u n i t e le b a n d e , ma seguitò a esercitare su di esse u n a specie di alto p a t r o n a t o che gli p e r mise di svolgere azioni da vera e p r o p r i a g u e r r a m a n o v r a t a . A Ruvo d e l M o n t e accettò a d d i r i t t u r a battaglia in c a m p o a p e r t o con u n r e g g i m e n t o d i fanteria e d u e s q u a d r o n i d i 65
cavalleria, ne rintuzzò i tentativi di accerchiamento, e li costrinse a ritirarsi. I briganti festeggiarono la vittoria con un p a n t a g r u e l i c o b a n c h e t t o n e l b o s c o d i M o n t i c c h i o , i n cui v e n n e r o immolati mille polli e d u e c e n t o p e c o r e . Finalmente a Torino si r e s e r o conto della gravità della sit u a z i o n e , e d e c i s e r o di m a n d a r e a N a p o l i c o m e L u o g o t e n e n t e Cialdini, che da b u o n militare n o n vide né poteva ved e r e le cause del brigantaggio; b a d ò soltanto a r e p r i m e r l o , ma in q u e s t o c o m p i t o s p i e g ò la m a s s i m a e n e r g i a , e a n c h e u n a n o t e v o l e intelligenza. R o v e s c i a n d o l'alleanza stabilita dai suoi predecessori col vecchio e infido e l e m e n t o b o r b o n i co, attrasse dalla p a r t e del g o v e r n o quello democratico e gar i b a l d i n o , c h e aveva p e r l o m e n o u n a c e r t a e s p e r i e n z a d i lotta c o n t r o il b r i g a n t a g g i o sanfedista, e col suo aiuto costituì u n a G u a r d i a Mobile c h e , f o r m a t a di g e n t e del posto, si rivelò p a r t i c o l a r m e n t e efficace. Da quel m o m e n t o cominciò u n a terribile g u e r r a rustican a senza esclusione d i colpi n é d a u n a p a r t e n é dall'altra. Alle atrocità dei banditi, le t r u p p e regolari risposero con fucilazioni in massa, distruzioni d'interi paesi e incendi di foreste: g r a n p a r t e della desolazione del S u d coi suoi disalberati calanchi è il frutto della caccia all'uomo che i m p e r v e r s ò in quegli a n n i . Q u a n d o Ricasoli, indignato, cercò d ' i m p o r r e m i s u r e più u m a n e e il rispetto della legalità, Cialdini d i e d e le dimissioni, e Ricasoli dovette rifiutarle. Da quel m o m e n t o il G e n e r a l e trattò il S u d c o m e u n a colonia in rivolta. I n t o r no al confine con lo Stato pontificio, da cui sapeva che venivano a r m i , o r d i n i e d e n a r o , stese u n a vera e p r o p r i a cintura. E trattò il clero, c h ' e r a il vero sobillatore della guerriglia, con p u g n o di ferro, senza r i g u a r d o n e m m e n o p e r i più alti p o r p o r a t i . O l t r e al Cardinale di Napoli, Riario Sforza, furono b e n settanta i Vescovi espulsi, fuggiti, o arrestati p e r collusione coi briganti. Tuttavia, p e r p o r t a r e avanti le o p e r a z i o n i , gli ci vollero 120.000 u o m i n i , p e r molti d e i quali q u e l l a t r e m e n d a r e pressione r a p p r e s e n t ò un'atroce sorpresa e un d r a m m a t i c o 66
caso di coscienza. «Io sono ributtato da questa g u e r r a atroce e bassa - scriveva G a e t a n o Negri, futuro sindaco di Milano -, dove n o n si p r o c e d e che p e r t r a d i m e n t i e p e r intrighi, dove spogliamo il carattere di soldati p e r a s s u m e r e quello di birri, e sospiro all'istante di a b b a n d o n a r e q u e s t ' a t m o s f e r a di delitti e di bassezze.» Gli u o m i n i di Cialdini infatti n o n c o m b a t t e v a n o soltanto con le armi, ma a n c h e con la c o r r u z i o n e e i p a t t e g g i a m e n t i sotto b a n c o p e r dividere le b a n d e e isolarne i capi. Crocco si rivelò guerrigliero di g r a n d i risorse a n c h e nel p a r a r e questi colpi e nel restituirli. U n o d o p o l'altro, egli i n d i v i d u ò tutti gl'informatori dell'esercito che militavano nelle sue fila; ma invece di ucciderli se ne servì p e r fargli d a r e notizie false. L'unico c h e riuscì a b a t t e r l o fu q u e l c o l o n n e l l o Pallavicini che, d o p o essersi m a l a m e n t e g u a d a g n a t o i g r a d i di G e n e r a le con la cattura di Garibaldi ad A s p r o m o n t e , d i m o s t r ò tuttavia di meritarseli n o n solo p e r la decisione ma a n c h e p e r l'abilità con cui c o n d u s s e la caccia all'irriducibile b a n d i t o . Egli n o n esitò ad accordarsi con Caruso, c h ' e r a c a d u t o vivo nelle sue m a n i e che odiava Crocco, lo trasse dal carcere, e ne fece il p r o p r i o c o n s u l e n t e , n o n o s t a n t e le efferatezze di cui si era macchiato. C a r u s o gli rivelò il n o m e degl'informat o r i e m a n u t e n g o l i di C r o c c o , e g l ' i n s e g n ò i rifugi c h e gli servivano di base nei boschi di Monticchio e di Lagopesole. S e g u e n d o questi fili, la caccia all'indomito guerrigliero si fece così serrata e pressante c h e questi nel '64 s b a n d ò i suoi u o m i n i e si rifugiò nello Stato pontificio. Era sicuro di essere accolto c o m e un e r o e da re Francesco che, insieme al grado di Generale, gli aveva m a n d a t o tanti affettuosi messaggi. Lo accolse invece la polizia, c h e lo g e t t ò in p r i g i o n e e nel '70 lo c o n s e g n ò alle a u t o r i t à italiane, che lo c o n d a n n a r o n o all'ergastolo. Q u i Crocco si trasformò da u o m o di s p a d a in u o m o di p e n n a , e scrisse un libro di m e m o r i e , viziato dall'enfasi e dalle reticenze, ma n o n privo di spunti descrittivam e n t e efficaci sulla vita dei b r i g a n t i , e a b b a s t a n z a sincero. R o b u s t o c o m ' e r a e r o t t o a t u t t o , resse b e n e alle privazioni 67
del c a r c e r e , e m o r ì vecchio. Il c a p i t a n o Massa, che lo vide d o p o v e n t ' a n n i di lavori forzati, scrisse: «Ha gli occhi castagni, i capelli l e g g e r m e n t e brizzolati, il naso greco, la bocca, il m e n t o , il viso regolari, la fronte a m p i a , solcata da p o c h e r u g h e . C a l m o , s e r e n o , ilare, u b b i d i e n t e e docile c o n tutti, rispettosissimo v e r s o le g u a r d i e c a r c e r a r i e , r i c o n o s c e n t e verso chi p u ò fargli un p o ' di bene». Il suo libro finiva con q u e s t e p a r o l e : «Io n o n h o m a i p o t u t o c o m p r e n d e r e c o m e sia c o m p o s t o il consorzio sociale. So che il disonesto nessuno lo p u ò vedere, ma la legge n o n lo colpisce, e poi chiama scellerato colui che Io assassina, e n o n si vuole affatto comp r e n d e r e c o m e n o n tutti gli u o m i n i siano d e g n i di vivere». Il suo ritiro dalla lotta aveva segnato la fine di quell'atroce g u e r r a . U n o d o p o l'altro, i c a p i b a n d a c a d d e r o , quasi tutti con l'arma in p u g n o . Ninco-Nanco, catturato vivo, fu ucciso da u n o dei suoi m e n t r e lo trascinavano via, p e r c h é n o n parlasse. N e a n c h e p e r le loro c o m p a g n e ci fu clemenza: fin i r o n o quasi t u t t e fucilate e d esposte n u d e sulla p u b b l i c a piazza. Q u a n t i u o m i n i fosse costata quella g u e r r a , n o n si è mai s a p u t o c o n p r e c i s i o n e . Alla c o m m i s s i o n e d'inchiesta, L a M a r m o r a dichiarò: «Dal mese di m a g g i o del '61 al febbraio del ' 6 3 , a b b i a m o ucciso o fucilato 7.151 briganti», ma c h e tutti lo fossero c'è da d u b i t a r e . Le p e r d i t e dell'esercito n o n sono mai state accertate, ma p a r e che superassero quelle di tutte le c a m p a g n e c o n t r o l'Austria. E r a logico che l'opinione pubblica ne restasse traumatizzata, e il suo stato d ' a n i m o lo riassunse D'Azeglio in u n a lettera a Matteucci: «La q u e s t i o n e del t e n e r e N a p o l i o n o n t e n e r l a mi p a r e c h e d o v r e b b e d i p e n d e r e p i ù d i tutti d a i n a p o l e t a n i , salvo c h e v o g l i a m o , p e r c o m o d o d i circostanze, c a m b i a r e q u e i princìpi che a b b i a m o sin qui proclamati. A Napoli abbiamo cacciato u n S o v r a n o p e r stabilire u n g o v e r n o sul c o n s e n s o universale. Ma ci vogliono, e p a r e che n o n bastino, 60 battaglioni p e r t e n e r e il R e g n o , ed è notorio che, briganti o n o n briganti, n o n tutti ne vogliono sapere. Mi d i r a n n o : e il suf68
fragio universale? Io n o n so n i e n t e di suffragio, ma so che di q u a dal T r o n t o n o n ci vogliono 60 battaglioni, e di là sì. D u n q u e dev'esser corso qualche e r r o r e . D u n q u e , o cambiar principio o cambiar atti, e trovar m o d o di s a p e r e dai n a p o letani u n a b u o n a volta se ci vogliono, sì o no. P e r c h é a chi volesse c h i a m a r tedeschi in Italia, c r e d o c h e gl'italiani che n o n li vogliono h a n n o diritto di fare la g u e r r a . Ma a italiani che, r i m a n e n d o italiani, n o n volessero unirsi a noi, n o n abbiamo diritto di d a r e archibusate». N o n era la p r i m a volta che D'Azeglio p r e n d e v a u n a posizione antiunitaria. Lo aveva già fatto a n c h e pubblicando un opuscolo c o n t r o il trasferimento della capitale a R o m a . Com u n q u e , dava voce a un sentimento assai diffuso, e n o n soltanto in Italia. N o n si sa come, la sua lettera a Matteucci capitò nella r e d a z i o n e di un giornale francese che la pubblicò con molto rilievo p e r c h é p o r t a v a acqua al m u l i n o di N a p o l e o n e , il q u a l e m a n t e n e v a nei c o n f r o n t i d e l l ' u n i t à italiana u n a t t e g g i a m e n t o d i n e t t a sfiducia c o n s i d e r a n d o l a t r o p p o affrettata e senza basi. O r a questa sfiducia, grazie all'insurrezione brigantesca, dilagava in tutta E u r o p a , r e n d e n d o anc o r a p i ù difficile la vita al g o v e r n o di T o r i n o . Sia Ricasoli che Rattazzi dovettero i m p e g n a r s i a fondo p e r sdrammatizzare e s m i n u i r e i resoconti di quella g u e r r i g l i a a p p a r s i sui giornali del C o n t i n e n t e . Ma a n c o r a di p i ù d o v e t t e r o i m p e gnarsi p e r fronteggiare le t e m p e s t e che quelle notizie p r o vocavano in p a r l a m e n t o da p a r t e della Sinistra, la quale nat u r a l m e n t e n o n si c o n t e n t a v a della semplicistica spiegazione che i m o d e r a t i seguitavano a d a r e del b r i g a n t a g g i o , com e d i u n semplice f e n o m e n o d i d e l i n q u e n z a c o m u n e . Fu grazie a questa polemica che v e n n e decisa la n o m i n a di u n a commissione d'inchiesta, che passò alla storia col nome del suo p i ù attivo p a r t e c i p a n t e : Massari. Sebbene a n c h e lui m o d e r a t o , Massari spinse Io scandaglio abbastanza a fond o , d e n u n z i ò coraggiosamente gli e r r o r i c h ' e r a n o stati compiuti, e disse quello che n o n si era fatto, o che si e r a fatto all ' i n c o n t r a r i o , e quello c h e restava da fare. Di t u t t o q u e s t o 69
p e r ò n o n fu d a t a alla C a m e r a che u n a relazione sommaria, e alla s t a m p a soltanto alcuni estratti, d e b i t a m e n t e p u r g a t i delle accuse p i ù gravi. Solo in t e m p i recenti il d o c u m e n t o è stato pubblicato p e r intero. A n c h e Massari tuttavia caldeggiò, c o m e m i s u r a d ' e m e r genza, u n i n a s p r i m e n t o della r e p r e s s i o n e c h e u n d e p u t a t o abruzzese, Pica, tradusse in legge. Q u e s t a proclamava tutto il S u d , salvo p o c h e p r o v i n c e , «in stato di b r i g a n t a g g i o » , e p e r i r e a t i c h e r i e n t r a v a n o sotto q u e s t a voce trasferiva la c o m p e t e n z a d a i t r i b u n a l i o r d i n a r i a quelli militari. Per q u a n t o arbitraria, questa legge si rivelò tuttavia efficace. Alla fine del '65 il b r i g a n t a g g i o e r a effettivamente debellato. P u r t r o p p o n o n ne furono debellate le cause e le conseguenze. Q u a l c h e d e c e n n i o d o p o , Nitti scriveva che p e r il «cafone» n o n c'era a l t e r n a t i v a : «o e m i g r a n t e , o b r i g a n t e » . Ma spesso diventava insieme l'una cosa e l'altra: il gangsterismo italo-americano lo dimostra.
CAPITOLO SETTIMO
G U E R R A ALL'ITALIANA
Nel luglio del ' 6 5 , l'Ambasciatore prussiano a Firenze chiese a La M a r m o r a che a t t e g g i a m e n t o avrebbe t e n u t o l'Italia nel caso di u n a g u e r r a fra il suo Paese e l'Austria. Le d u e Potenze stavano per concludere un'alleanza ai d a n n i della D a n i m a r c a , cui infatti di lì a p o c o tolsero d u e Ducati p e r spartirseli t r a l o r o . Ma ciò c h e le divideva e r a molto p i ù sostanziale di ciò che le aveva m o m e n t a n e a m e n t e u n i t e . Si trattava di stabilire quale delle d u e avrebbe unificato la G e r m a n i a f a c e n d o n e u n a nazione. A n a l o g a m e n t e a quella c h ' e r a l'Italia p r i m a del ' 6 1 , la G e r m a n i a era un coacervo di staterelli, che solo sulla carta e r a n o uniti da un vincolo confederale. L ' I m p e r a t o r e d'Austria, che esercitava su di essi u n a specie di alto p a t r o n a t o , n o n solo n o n aveva fatto nulla p e r rafforzare questo legame, ma anzi aveva fatto e faceva di t u t t o p e r allentarlo in base alla vecchia regola del divide et impera. Ma ciò n o n e r a b a s t a t o a i m p e d i r e c h e la Prussia, s o t t r a e n d o s i al suo vassallaggio, diventasse un Reg n o i n d i p e n d e n t e e , c o n l'affermarsi i n t u t t a E u r o p a del principio di nazionalità, finisse col r a p p r e s e n t a r e , agli occhi dei patrioti tedeschi, ciò che il P i e m o n t e aveva r a p p r e s e n t a to agli occhi dei patrioti italiani: la forza unificatrice. Q u e s t a forza, m o l t o s u p e r i o r e a quella p i e m o n t e s e , e r a stata t e n u t a in freno dagli stessi Re H o h e n z o l l e r n che, p u r c o n s i d e r a n d o la G e r m a n i a , c o m e i Savoia avevano considerato l'Italia, «un carciofo da m a n g i a r e foglia a foglia» a spese dell'Austria, c o n t r o questa esitavano a p r e n d e r e posizione risoluta p e r congenialità di regime. Anch'essi infatti erano assolutisti e q u i n d i restii all'indebolimento di un I m p e r o 71
c h e dell'assolutismo r e s t a v a il g r a n d e c a m p i o n e . Ma o r a avevano trovato un Cancelliere, o P r i m o Ministro, il Princip e d i Bismarck che, c o m e Cavour, n o n condivideva q u e s t e esitazioni e n o n seguiva altri voleri che i suoi. Egli c o m p r e n d e v a c h e o r m a i l a p a r t i t a c o n l'Austria a n d a v a risolta sul c a m p o di battaglia e perciò aveva fatto quel sondaggio. L a M a r m o r a rispose c h e p r i m a d o v e v a i n t e r p e l l a r e l a Francia, e i n t a n t o iniziò segreti negoziati c o n V i e n n a p r o p o n e n d o l e l a pacifica cessione del Veneto p e r u n m i l i a r d o di lire. Fu l ' I m p e r a t o r e che fece fallire la trattativa già b e n e avviata. E n a t u r a l m e n t e la sua i n t r a n s i g e n z a spinse l'Italia nelle braccia della Prussia. Alla fine d e l l ' a n n o fu concluso t r a i d u e Paesi un trattato di commercio, e nel febbraio successivo Bismarck invitò La M a r m o r a a m a n d a r e un G e n e r a le di sua fiducia a Berlino p e r studiare le modalità di un'alleanza militare. La M a r m o r a a d e r ì p e r c h é lo stesso N a p o l e o n e ve lo spinse. S e m p r e a t t r a t t o dalle a v v e n t u r e , l'inquieto I m p e r a t o r e voleva t e n e r e a b a t t e s i m o a n c h e quella, s e b b e n e n o n sia c h i a r o quali v a n t a g g i sperasse di r i c a v a r n e : forse q u a l c h e i n g r a n d i m e n t o territoriale p e r la Francia in Belgio o in Renania, forse il rafforzamento del suo p a t r o n a t o sull'Italia. E c e r t o c o m u n q u e ch'egli n o n s o s p e t t ò d i d a r e , con quella g u e r r a , il «via» alla p r o p r i a rovina. II G e n e r a l e italiano prescelto p e r quella missione, Govon e , arrivò a Berlino d o p o che vi si e r a t e n u t o un consiglio di g u e r r a in cui il Generalissimo von Moltke aveva dichiarato che la condizione p e r b a t t e r e l'Austria e r a che questa fosse costretta a t e n e r e p a r t e delle sue t r u p p e dislocate in Italia. Ma Govone e i suoi consiglieri diplomatici n o n s e p p e r o molto a p p r o f i t t a r n e . Essi r e d a s s e r o un a c c o r d o con cui l'Italia s'impegnava a dichiarare g u e r r a all'Austria a p p e n a la Prussia l'avesse iniziata, p u r c h é questo avvenisse e n t r o tre mesi dalla firma del trattato, m e n t r e la Prussia n o n s'impegnava a fare altrettanto se fosse stata l'Austria ad attaccare l'Italia. Il c o m p e n s o sarebbe stato il Veneto, ma n o n il T r e n t i n o , che 72
Bismarck p r o m i s e solo nel caso che gl'italiani riuscissero a conquistarlo. N e s s u n a c c o r d o fu p r e s o sulla c o n d o t t a delle o p e r a z i o n i , m a q u e s t o a v v e n n e p e r rifiuto n o n d i v o n Moltke, ma di La M a r m o r a che, c o m e poi si vide, aveva in a n i m o di fare u n a g u e r r a all'italiana, cioè a mezzo. Q u a n d o si rese conto del pericolo, l'Austria cercò di stornarlo facendo sua la p r o p o s t a , che poco p r i m a aveva rifiutato, di c e d e r e il Veneto p e r via amichevole. La M a r m o r a si trovò a u n a scelta difficile: o contravvenire all'impegno contratto con la Prussia, o c o m b a t t e r e u n a g u e r r a inutile. Nap o l e o n e , p e r u n o dei suoi soliti rovesciamenti d ' i d e e (o di umori?) si e r a ora riavvicinato all'Austria, con cui si e r a imp e g n a t o a d i s s u a d e r e l'Italia dall'intervento, o p e r lo m e n o da un i n t e r v e n t o efficace. «Sarebbe utile che l'Italia n o n facesse la g u e r r a con t r o p p o vigore» aveva detto all'ambasciatore Nigra. Fu questa ambiguità di fondo a condizionare tutta la cond o t t a italiana. Forse p e r p r e v e n i r e un n o s t r o voltafaccia, il 12 g i u g n o la Prussia r u p p e le r e l a z i o n i d i p l o m a t i c h e c o n l'Austria e q u a t t r o giorni d o p o invadeva gli Stati suoi vassalli. L'Italia t a r d ò q u a t t r o giorni a c o n s e g n a r e la dichiarazione di g u e r r a all'arciduca Alberto d'Asburgo, c o m a n d a n t e delle forze austriache nel Veneto, e n o n iniziò le ostilità che il 2 3 . I l p i a n o d i o p e r a z i o n i e r a stato r e d a t t o a l l ' u l t i m o m o m e n t o , e anch'esso risentiva di tutti gli equivoci fra i quali la situazione si e r a m a t u r a t a . Il c o m a n d o s u p r e m o fu assunto dal Re, ma al suo fianco fu c h i a m a t o c o m e c a p o di Stato Maggiore La M a r m o r a , che passò la m a n o c o m e Presidente del Consiglio a Ricasoli. Ma delle venti Divisioni che formav a n o l'esercito r e g o l a r e , solo dodici e r a n o a sua disposizione p e r c h é le altre otto furono poste agli o r d i n i di Cialdini, che da La M a r m o r a si rifiutava di riceverne. A queste forze a n d a v a a g g i u n t o u n c o r p o d i volontari, n a t u r a l m e n t e raccolto sotto la b a n d i e r a di Garibaldi, c o m e al solito mobilitato p e r l e g a r e a l l ' i m p r e s a le forze di sinistra e nello stesso 73
t e m p o m a n t e n e r l e i n u n r u o l o subalterno. Garibaldi aveva chiesto l'assegnazione di alcuni ufficiali di sua fiducia, n o n ché di alcuni r e p a r t i regolari e di qualche pezzo di artiglieria. Ma le sue d o m a n d e e r a n o state eluse: i suoi 38.000 volontari e r a n o in g r a n p a r t e senza divisa e a r m a t i solo di vecchi archibugi a pietra focaia. «Per controllare ventimila garibaldini, o c c o r r o n o q u a r a n t a m i l a regolari» diceva La Marm o r a . E p e r t e n e r l i l o n t a n i dal p r i n c i p a l e t e a t r o di o p e r a zioni, gli assegnò come obbiettivo il T r e n t i n o . In t u t t o , e r a n o c o m u n q u e 260.000 u o m i n i quelli che si p r e p a r a v a n o ad affrontare i 190.000 austriaci dell'Arciduca Alberto, u n a b u o n a m e t à dei quali immobilizzati nei presidi veneti, d a l m a t i e istriani p e r p r e v e n i r v i sbarchi o i n s u r r e zioni. Il 17 g i u g n o La M a r m o r a , che con le sue dodici divisioni si e r a schierato sul Mincio, s'incontrò a B o l o g n a con Cialdini che con le sue otto si e r a schierato sul Po. Quali acc o r d i p r e s e r o n o n si è mai s a p u t o , ma a g i u d i c a r e dai successivi a v v e n i m e n t i si d i r e b b e che n o n ne p r e s e r o n e s s u n o p e r c h é o g n u n o di essi agì c o m e se spettasse a lui l'azione risolutiva e all'altro quella d ' a p p o g g i o . Il 23 La M a r m o r a prese l'iniziativa e mise d u e Divisioni a g u a r d i a di Peschiera e q u a t t r o a g u a r d i a di Mantova, convinto che il grosso austriaco si trovasse asserragliato in q u e ste d u e cittadelle del Q u a d r i l a t e r o . Fu q u i n d i solo con u n a m e t à dei suoi effettivi che l ' i n d o m a n i si trovò alle p r e s e col nemico, che si e r a invece c o n c e n t r a t o sulle posizioni di Custoza. N o n si è mai p o t u t o ricostruire l ' a n d a m e n t o della battaglia, p e r c h é questa si risolse in u n a serie di scontri fra reparti isolati e privi di collegamento tra loro, il che rese impossibile qualsiasi azione di c o m a n d o . Il Re, che voleva attaccare dalla p a r t e di Villafranca, n o n p o t è farlo p e r c h é n o n aveva t r u p p e e n o n riuscì a mettersi in contatto con La Marm o r a . I pochi u o m i n i di cui disponeva b a s t a r o n o solo a far quadrato attorno al Principe ereditario Umberto, che in quell'emergenza diede prova di freddo coraggio anche se n o n c o m p ì quei p r o d i g i di eroismo che poi gli v e n n e r o ac74
ereditati e gli valsero u n a n o m e a di g u e r r i e r o s p r o p o r z i o nata ai suoi meriti. C o m e p e r d i t e , gli austriaci ne e b b e r o il d o p p i o degl'italiani: 1.200 morti. Ma rimasero sul c a m p o , m e n t r e gl'italiani se ne r i t i r a v a n o r i p a s s a n d o in d i s o r d i n e il Mincio. La M a r m o r a c r e d e t t e di aver p e r s o la battaglia m e n t r e aveva p e r s o soltanto la testa, e ne d i e d e a n n u n c i o con t e l e g r a m m i catastrofici che fecero c r e d e r e a Vienna di averla vinta. Voleva a d d i r i t t u r a ritirarsi fin sull'Adda, e occorse tutta l'energia di C o v o n e p e r i n d u r l o a f e r m a r s i sull'Oglio. Cialdini n o n si e r a mosso, anzi aveva fatto r i p i e g a r e su M o d e n a le sue intatte Divisioni. Invece di passare al contrattacco, i d u e G e n e r a l i i n i z i a r o n o fra l o r o u n a g u e r r a di r a p p o r t i e m e moriali in cui o g n u n o dava all'altro la colpa della sconfitta e s a g e r a n d o n e la portata. L'unico che aveva r i p o r t a t o successi e r a stato Garibaldi. L a sua o r d a m a l e a r m a t a e p o c o a d d e s t r a t a aveva d o v u t o vedersela con la migliore t r u p p a alpina dell'Austria, i Kaiserjaeger del g e n e r a l e K u h n . E p p u r e , c o n aspri attacchi all ' a r m a b i a n c a , e r a riuscita a s t r a p p a r l e a l c u n e i m p o r t a n t i posizioni c o m e M o n t e Suello e il p o n t e sul Caffaro, e stava p e r sboccare sulla strada di T r e n t o , q u a n d o Garibaldi ricevette il t e l e g r a m m a di La M a r m o r a che a n n u n z i a v a la «irreparabile disfatta». Le cose e r a n o a questo p u n t o q u a n d o von Moltke agganciò a Sadowa le forze austriache e le a n n i e n t ò in u n a m e m o rabile battaglia m a n o v r a t a . L'Austria chiese la m e d i a z i o n e di N a p o l e o n e e o r d i n ò a l l ' a r c i d u c a A l b e r t o di ritirarsi v e r s o l'Isonzo p e r p a r a r e la minaccia prussiana. Il Re r i u n ì a F e r r a r a un consiglio di g u e r r a in cui fu deciso di affidare a Cialdini il grosso dell'esercito - quattordici Divisioni - p e r gettarsi all'inseguimento del nemico in cerca di un successo che rialzasse il prestigio della nostra b a n d i e ra, m e n t r e la flotta avrebbe tentato la rivincita sul m a r e . La flotta era c o n c e n t r a t a ad A n c o n a agli o r d i n i dell'ammiraglio Persano, e fino a quel m o m e n t o n o n si e r a mossa, 75
n o n o s t a n t e la sua netta superiorità. Essa disponeva di d o d i ci corazzate c o n t r o le sette austriache, ma era insidiata dallo stesso male dell'Esercito: le rivalità e i contrasti dei c o m a n d a n t i . N a t a nel '60 dall'incorporazione della M a r i n a n a p o letana in quella p i e m o n t e s e , che p r e s s a p p o c o c o m e forze si equivalevano* n o n e r a riuscita a f o n d e r l e , né P e r s a n o e r a u o m o da potervi r i m e d i a r e col suo prestigio e autorità. Più che a reali meriti, la sua c a r r i e r a era d o v u t a alle convenienze politiche. Nel '60, p e r controbilanciare le clamorose imp r e s e di Garibaldi nelle D u e Sicilie, C a v o u r aveva esaltato le o p e r a z i o n i di blocco n a v a l e d i r e t t e ad A n c o n a e G a e t a da Persano che, ambizioso c o m ' e r a , n o n aveva m a n c a t o di a p p r o f i t t a r n e , e si e r a fatto p r o m u o v e r e A m m i r a g l i o d a l gov e r n o Rattazzi, q u a n d o questo e r a già dimissionario. C o m e Ministro della Marina, p r o v e di capacità ne aveva date. Era stato lui a d o t a r e la flotta di m o d e r n e navi in ferro e a istituire l'Accademia Navale di Livorno, rimasta a n c o r a oggi la più seria scuola militare italiana. Ma a creargli antipatie, olt r e alla fama di arrivista intrigante, contribuivano i suoi difetti di c a r a t t e r e . A s p r o coi sottoposti, a r r e n d e v o l e fino al servilismo coi superiori, Persano mascherava sotto un piglio a u t o r i t a r i o u n a f o n d a m e n t a l e i r r e s o l u t e z z a , di cui tutti si e r a n o accorti. Doveva e s s e r s e n e a c c o r t o a n c h e il suo a v v e r s a r i o Tegetthoff che, n o n o s t a n t e la p r o p r i a inferiorità di forze, alla fine di g i u g n o si p r e s e n t ò davanti ad Ancona p e r provocarlo. P e r s a n o n o n si mosse n o n o s t a n t e gl'incitamenti del Min i s t r o della M a r i n a , D e p r e t i s , e la p u b b l i c a o p i n i o n e , già p r o f o n d a m e n t e scossa dalle notizie di Custoza, ne fu indignata. D o p o il consiglio di g u e r r a di Ferrara, Depretis a n d ò di p e r s o n a ad A n c o n a p e r s p i n g e r e l'Ammiraglio a p r e n d e r e l'iniziativa. A m a l i n c u o r e e senza p u n t a convinzione, Persano si risolse finalmente a un attacco c o n t r o l'isolotto di Lissa, a v a m p o s t o austriaco davanti alla costa dalmata. S e m b r a c h e q u e s t a azione avesse p e r scopo di a d e s c a r e Tegetthoff 76
fuori della sua base di Pola p e r d a r g l i b a t t a g l i a in m a r e a p e r t o . Ma u n a volta davanti all'isola Persano dovette cambiare idea p e r c h é cominciò a b o m b a r d a r l a furiosamente d a n d o avvio a n c h e a qualche tentativo di sbarco. Il tentativo fallì e le p o s t a z i o n i a u s t r i a c h e fecero alle n o s t r e navi p i ù d a n n i di q u a n t i ne subissero. Ma il 20 luglio Tegetthoff venne u g u a l m e n t e in loro soccorso. L'Ammiraglio a u s t r i a c o , c h e n o n aveva a n c o r a q u a r a n t a n n i , e r a l'antitesi u m a n a d i P e r s a n o . A s s o l u t a m e n t e d i g i u n o di politica, aveva trascorso tutta la sua vita sul m a r e e tra i m a r i n a i , sui quali esercitava un indiscusso prestigio sebbene fossero quasi tutti italiani del Veneto, d'Istria e della Dalmazia. Fu nel loro dialetto che i m p a r t ì gli o r d i n i dalla sua Ammiraglia. C o m e La M a m o r a a Custoza, Persano si fece s o r p r e n d e re senza p o t e r d i s p o r r e delle s q u a d r e di Albini e di Vacca, coi quali aveva p e r s o contatto o che (non si è mai saputo con precisione) finsero di averlo p e r s o p e r sottrarsi ai suoi ordini: il c h e gli tolse il vantaggio della superiorità n u m e r i c a . In u n ' o r a di c o m b a t t i m e n t o l'Ammiraglia austriaca s p e r o n ò e affondò quella italiana, la Re d'Italia, che Persano aveva p o co p r i m a a b b a n d o n a t o p e r trasferirsi su u n ' a l t r a corazzata, e la Palestro s'inabissò p e r l'esplosione della s a n t a b a r b a r a . N o n e r a n o p e r d i t e decisive. La nostra flotta conservava un b u o n m a r g i n e di superiorità e un'azione di c o m a n d o risoluta ed efficiente a v r e b b e p o t u t o c o n d u r l a alla rivincita. Ma Persano, c o m e La M a r m o r a , si credette sconfitto p e r c h é già lo era p r i m a di cominciare e p e r c h é aveva p e r s o ogni fiducia nei suoi subalterni che in lui n o n ne avevano mai avuta. E si ritirò in pessimo o r d i n e , lasciando Tegetthoff p a d r o n e del c a m p o . Anche stavolta Vienna s e p p e della p r o p r i a vittoria dai comunicati italiani che p a r l a v a n o di disfatta. Nel suo r a p p o r t o , l'Ammiraglio austriaco di vittoria n o n parlò. Solo n e l l ' o r d i n e del g i o r n o agli e q u i p a g g i disse che «uomini di ferro su navi di legno avevano a v u t o r a g i o n e di u o m i n i di legno su navi di ferro». 77
Cialdini, cui e r a stato affidato il c o m p i t o di r i m e d i a r e a t a n t e mortificazioni con q u a l c h e successo sia p u r e soltanto di figura sul nemico in ritirata, n o n c'era riuscito p e r c h é sull'Isonzo aveva d o v u t o fermarsi: i prussiani avevano già concluso c o n gli austriaci u n a t r e g u a c h e m e t t e v a l'Italia alla scelta: o accodarvisi, o c o n t i n u a r e la g u e r r a da sola. Garibaldi era l'unico che seguitava a o n o r a r e la b a n d i e r a . Ferito a u n a coscia e costretto a seguire le operazioni in carrozza, il 21 luglio batté K u h n in un d u r o e difficile scontro a Bezzecca, e già aveva spinto le sue a v a n g u a r d i e fino a dieci chilometri da Trento, q u a n d o fu fermato da un telegramma di La M a r m o r a , lo s p r e g i a t o r e dei volontari, che gl'ingiungeva di ritirarsi. «Ho visto - scrisse la giornalista inglese Jessie White - r o m p e r e spade, spezzare baionette, molti gettarsi a t e r r a e ravvoltarsi nelle zolle a n c o r a i n z u p p a t e del s a n g u e dei fratelli.» Forse, a furia di bazzicare gl'italiani, la W h i t e ne aveva un p o ' contratto il vizio retorico. Ma lo stato d'animo doveva essere p r e s s a p p o c o quello. Dicono che Garibaldi lo condivideva e che p r i m a di r i s p o n d e r e col famoso: «Obbedisco», e b b e la t e n t a z i o n e di d i s o b b e d i r e . Ma n o n aveva scelta. La pace, firmata a Vienna il 3 ottobre, ribadiva la mortif i c a n t e clausola della c o n s e g n a del Veneto, a m p u t a t o del T r e n t i n o , a N a p o l e o n e p e r c h é a sua volta lo cedesse all'Italia: u n ' u m i l i a z i o n e c h e c o n c l u d e v a e c o m p e n d i a v a q u e l l e già subite sul c a m p o di battaglia grazie a u n a condotta politica a m b i g u a e a u n ' a z i o n e di c o m a n d i pavidi e inefficienti. Col solito plebiscito il Veneto d i e d e circa 650.000 sì all'unione con l'Italia e solo 60 no. I n s i e m e a l l ' o m a g g i o dei n u o v i sudditi, Vittorio E m a n u e l e ricevette la c o r o n a ferrea degli antichi Re l o n g o b a r d i , che l ' i m p e r a t o r e Francesco G i u s e p pe aveva fatto p o r t a r e da Milano a Vienna e o r a restituiva. L'Italia si e r a arricchita di u n a ricca e p o p o l o s a provincia, aveva fatto un altro i m p o r t a n t e passo sulla via della completa u n i t à nazionale, e aveva e l i m i n a t o l'ultima minaccia austriaca alla sua i n d i p e n d e n z a : il Q u a d r i l a t e r o . 78
Ma n o n o s t a n t e questi sostanziosi risultati, il Paese usciva dalla p r o v a d e m o r a l i z z a t o e travagliato da u n a p r o f o n d a crisi di sfiducia nella classe d i r i g e n t e e in se stesso. C o m e s e m p r e capita in q u e s t e occasioni, cercò di l i b e r a r s e n e add o s s a n d o tutte le colpe a un c a p r o espiatorio, che fu Persan o , c o m e nel '49 e r a stato R a m o r i n o . C o m e S e n a t o r e , egli n o n poteva essere giudicato che dal Senato costituito in Alta Corte di Giustizia. Q u e s t a respinse l'accusa di codardìa, ma riconobbe l ' i m p u t a t o colpevole di negligenza e imperizia e lo c o n d a n n ò alla d e g r a d a z i o n e . Ma la pubblica o p i n i o n e n o n stette al giuoco, e della sua insoddisfazione e a m a r e z z a si rese i n t e r p r e t e C a t t a n e o in u n a lettera a Musio: «Il Senato non può esigere il r e n d i c o n t o di Lissa senza esigere il r e n d i c o n t o di Custoza... A Lissa n o n si vede c o m e a Custoza il p r o p o s i t o sofistico di vincere senza vincere, n o n si vede l'umile a c c o r d o con lo straniero i m p e rioso, il vile accordo col b u r b e r o nemico, n o n si vede il traffico d e l l ' o n o r e col g u a d a g n o , la g u e r r a finta e p u r sanguinosa che p o n e p e r s e m p r e nel c u o r e del soldato n o n la fiducia della vittoria, ma il ghiaccio d e l sospetto. E p e r q u e s t e arti i n d e g n e che l'Italia aveva p e r d u t o a m e m o r i a nostra l'on o r e delle armi».
CAPITOLO OTTAVO
MENTANA
«Mi d o m a n d o mille volte se sono io che ho fatto la j e t t a t u r a su questa p o v e r a Italia» scriveva Ricasoli a suo fratello subito d o p o Lissa. Q u e s t o g r a n d e italiano e r a così poco italiano da avanzare questo d u b b i o persino p e r iscritto.. D o p o la p r i m a disgraziata e s p e r i e n z a di g o v e r n o , aveva manifestato l'intenzione n o n solo di ritirarsi dalla politica, ma a d d i r i t t u r a di e m i g r a r e in America. Aveva r i n u n z i a t o a quei propositi u n p o ' p e r orgoglio, u n p o ' p e r c h é nella sua vita e r a e n t r a t o u n e l e m e n t o n u o v o . L'inflessibile p u r i t a n o aveva p a g a t o finalmente p e d a g g i o alla più u m a n a di tutte le debolezze, l ' a m o r e ; e c o m e tutti i p u r i t a n i , ne e r a r i m a s t o sconvolto. Fra i tanti inglesi che bazzicavano Firenze, c'era u n a giovane Florence H a m i l t o n cattolica e moglie divorziata dello scrittore M a c k n i g h t . La storia della sua r e l a z i o n e con Ricasoli è d o c u m e n t a t a nelle lettere conservate nell'archivio di Brolio. Florence aveva ambizioni di cantante lirica, e s p e r a v a di essere lanciata nei teatri italiani con l'aiuto di Bettino. N o n essendoci riuscita p e r c h é Bettino n o n poteva sostituirsi alle sue c o r d e vocali, si avvalse di lui p e r assumere u n a p a r t e d ' i s p i r a t r i c e della politica italiana. T o r n ò a L o n d r a p e r pubblicarvi un libro sull'Italia ispirato da lui (facendolo con u n o s t r a t a g e m m a t r a d u r r e dal suo e x - m a r i t o , senza che questi sapesse chi ne e r a l'autore), e scandalizzò l'ambasciatore D'Azeglio - nipote di Massimo - p r e s e n t a n d o g l i c o m e la fidanzata del B a r o n e . T o r n a t a in Italia, si fece affidare da Ricasoli u n a missione segreta presso il Vaticano v a n t a n d o alte relazioni nella Curia, dove n o n o t t e n n e alt r o risultato c h e quello di fornire ai nemici di Ricasoli, che 80
nella C u r i a e r a n o tanti, u n a r g o m e n t o p e r c o m b a t t e r l o anche sul p i a n o della vita privata. Il Papa scrisse al Re di g u a r darsi da certi collaboratori immorali e viziosi. Ma questa lettera, invece d'indignarlo, riempì il Re di tenerezza p e r il suo ex-ministro. O r a c h ' e r a diventato peccatore a n c h e lui, n o n n e p r o v a v a p i ù s o g g e z i o n e : «Caro B a r o n e , v i r i c o r d o i n ogni m o m e n t o e circostanza» gli scriveva. La riconciliazione fra i d u e u o m i n i fu suggellata nel '63 q u a n d o Vittorio E m a n u e l e , capitato a Firenze p e r u n a rivista, a n d ò a Brolio a visitare Ricasoli, che l'accolse da castellano medievale. «Non c'è che d i r e , è un g r a n g a l a n t u o m o » disse il Re a M e n a b r e a . Altra cosa che lo commosse fu il fatto che Ricasoli fu t r a quelli che p i ù si o p p o s e r o al trasferim e n t o della capitale a F i r e n z e , e n o n smise m a i di d e p r e carla. Gli sventramenti e le demolizioni cui si dovette proced e r e f u r o n o p e r Ricasoli u n a t o r t u r a . Fu in questo p e r i o d o che la sorte gl'inferse il colpo p i ù grave p o r t a n d o g l i via l'unica a d o r a t a figlia Bettina. Forse, oltre che p e r senso di r e sponsabilità, fu a n c h e p e r trovare u n o scampo al suo d o l o r e di p a d r e che accettò l'invito del Re a sostituire c o m e Presid e n t e del Consiglio La M a r m o r a , richiamato al c a m p o dalle sue m a n s i o n i d i C a p o d i Stato M a g g i o r e p e r l a c a m p a g n a del '66. Egli visse quella sfortunata g u e r r a c o m e un d r a m m a p e r sonale. Ferito da Custoza, il suo orgoglio d'italiano n o n resse all'annunzio che il Veneto sarebbe stato d a t o all'Italia n o n dall'Austria, m a d a N a p o l e o n e , c o m e u n ' e l e m o s i n a . «C'è qualcosa di più prezioso della Venezia, ed è l'onore dell'Italia, del Re, della Monarchia» telegrafò a Nigra, ambasciatore a Parigi. Siccome N a p o l e o n e minacciava, in caso di rifiuto, di allearsi con l'Austria, rispose alla Pier C a p p o n i : «Convochi p u r e il suo P a r l a m e n t o , noi c o n v o c h e r e m o il nostro». Disse Minghetti: «Ricasoli è s e m p r e al di sopra della sua p o sizione, o al di sotto». P u r t r o p p o , ne e r a s e m p r e al di sopra, che in politica è più pericoloso che starne al di sotto. Fu Ricasoli che incitò Garibaldi, sulla testa dei c o m a n d i 81
militari, a gettarsi sul Trentino, e spedì Depretis ad Ancona per forzare l'irresoluto Persano all'azione. Così la disfatta di Lissa fu un po' anche la sua, e per questo non seppe mai perdonarla all'Ammiraglio. Si prese una parziale rivincita col trionfale successo del plebiscito nel Veneto, cui volle partecipare in incognito, mescolato al popolino della Serenissima. Ma questo non bastò a metterlo al riparo dall'ondata di sfiducia che investiva la Nazione. La collera popolare scoppiò a Palermo, dove un Comitato insurrezionale cercò di comporre i contrastanti motivi che alimentavano la protesta: quello sanfedista dei clericoborbonici, quello autonomista, e quello democratico repubblicano. Ma era impossibile fondere in uno tre gridi così diversi come quelli di: «Viva Francesco II!», «Viva Santa Rosalia!» e «Viva la Repubblica!» Dapprincipio padroni del campo anche perché la guerra aveva risucchiato al Nord le truppe di stanza nell'isola, probabilmente i ribelli avrebbero finito per scannarsi tra loro. Il generale Cadorna, spedito in tutta fretta con cospicui rinforzi, non gliene diede il tempo. La repressione fu spietata, e il biasimo ricadde su Ricasoli, che dovette fronteggiare anche quella tempesta. Ma subito dopo se ne scatenò un'altra, che mise ancora più in risalto la sua sprovvedutezza di manovratore. Alla Camera venne in discussione la liquidazione del patrimonio ecclesiastico. Una legge dell'anno precedente aveva tolto il riconoscimento giuridico a quasi duemila ordini, congregazioni e corporazioni religiose, assegnando i loro beni al demanio di Stato, che avrebbe corrisposto al Fondo per il Culto il 5 per cento della rendita. Ora si trattava di stabilire la destinazione di questo patrimonio. E Ricasoli pensò di prendere il caso a pretesto per ridiscutere con la Chiesa tutto il problema dei suoi rapporti con lo Stato. Poteva essere, diceva, la grande occasione di risolvere la questione di Roma d'accordo col Papa. Il progetto di legge ch'egli fece preparare dal Ministro della Giustizia Borgatti e da quello delle Finanze Scialoja ri82
b a d i v a il p r i n c i p i o c a v o u r i a n o di «Libera Chiesa in libero Stato», ma i m p e g n a v a lo Stato a l a r g h e concessioni economiche p e r invogliare la Chiesa alla definitiva rinunzia al p o tere t e m p o r a l e . Q u e s t a pessima c o m b i n a z i o n e di rigidità e di a r r e n d e v o l e z z a d e n o t a v a l'insensibilità di Ricasoli agli u m o r i del Paese e del P a r l a m e n t o . La Destra clericale ci vide la r i a f f e r m a z i o n e d e l p r i n c i p i o s e p a r a t i s t a , c h e aveva s e m p r e rifiutato. La Sinistra ci vide u n a legittimazione di privilegi, c h e si p o t e v a a c c e t t a r e solo c o m e c o n t r o p a r t i t a della rinunzia, da p a r t e della Chiesa, a R o m a . Convinto di avere p e r sé tutta la pubblica o p i n i o n e , Ricasoli rimase s g o m e n t o nel vederla tutta c o n t r o di sé, n o n solo alla C a m e r a , ma a n c h e sui giornali e nelle piazze. E a questa levata di scudi, reagì nella m a n i e r a più malaccorta: vietando le manifestazioni. Il Re gli v e n n e in aiuto sciogliendo la C a m e r a che gli aveva votato la sfiducia, e i n d i c e n d o n u o v e elezioni. Ma molti ministri n o n vollero r e s t a r e in carica, e tutta la c a m p a g n a elettorale si svolse contro la sua politica. Le elezioni si t e n n e r o ai p r i m i di m a r z o del ' 6 7 , e l'affluenza fu a n c o r a più bassa di quelle p r e c e d e n t i . Di mezzo milione di elettori, n o n se ne p r e s e n t ò ai seggi che la metà, e gli s p o s t a m e n t i di voto f u r o n o m i n i m i . La Sinistra m a n tenne i posti che aveva, e la Destra ne perse qualcuno a vantaggio della frangia clericale. Ricasoli cercò di rafforzare il suo ministero offrendo le Finanze a Sella; ma il Re rispose che Sella era t r o p p o i m p o p o l a r e p e r la sua severità fiscale. In realtà aveva o r m a i deciso di t o r n a r e al suo docile Rattazzi. E a Ricasoli n o n r e s t a r o n o che le dimissioni. A n c h e lui ormai si era accorto di n o n avere la stoffa d e l l ' u o m o politico, e nel giudizio sulla p r o p r i a o p e r a e r a p i ù spietato dei suoi più spietati critici. La considerava un fallimento, e aveva a b b a n d o n a t o ogni speranza di rifarsene. Si ritirò a Brolio p e r iniziare alla gestione dell'azienda il n i p o t e Luigi, figlio della figlia Bettina, cui aveva intestato p a t r i m o n i o e n o m e , e alla C a m e r a n o n si fece vedere che di r a d o . Scomparve nel1"80, d u e a n n i d o p o il Re, cui era r i m a s t o p r o f o n d a m e n t e 83
affezionato. E solo da m o r t o si vide riconosciuto il titolo che gli spettava di «coscienza della Nazione». Rattazzi, c h ' e r a l a sua antitesi u m a n a , c o n d u s s e i n p o r t o con molta abilità la liquidazione del p a t r i m o n i o ecclesiastico su cui Ricasoli era i n c i a m p a t o , p r e s e n t a n d o alla C a m e ra u n a legge già discussa e a p p r o v a t a in sede di C o m m i s sione. Essa e r a m o l t o p i ù d u r a di quella Borgatti-Scialoja. S o p p r i m e v a b e n 2 5 . 0 0 0 e n t i ecclesiastici e a u t o r i z z a v a il g o v e r n o a v e n d e r n e i beni all'asta. Fu la festa degli speculatori che ci fecero affari d ' o r o ; ma fu a n c h e un grosso sollievo p e r il Tesoro, minacciato dal crescente disavanzo p e r c h é c o n s e n t ì un realizzo di 6 0 0 milioni, cifra di t u t t o rispetto in un p e r i o d o in cui le e n t r a t e dello Stato s u p e r a v a no di poco i 500. Q u e s t o d u r o colpo alla Chiesa Rattazzi lo inferse n o n soltanto p e r c h é rispondeva alle sue convinzioni laiche, ma anche p e r c h é egli aveva r i n u n z i a t o a risolvere la questione di Roma p e r via di accordo col Papa, confidando di poterlo fare con un gesto di forza: la forza di Garibaldi. Questi, rinfrancato dai successi del '66, si era p r e s e n t a t o c a n d i d a t o alle elezioni, e tutti i suoi comizi e r a n o stati u n a violenta requisitoria c o n t r o la Chiesa, «negazione di Dio», «vivaio di vipere» e «pestilenziale istituzione». S e b b e n e poi gii elettori disertassero le u r n e , le piazze e r a n o affollate e gli applausi scrosciavano. L'Ambasciatore di N a p o l e o n e fece le sue rimostranze p e r questi aizzamenti contro lo Stato pontificio e il suo p r o t e t t o re, e Rattazzi gli assicurò che si trattava solo d ' i n t e m p e r a n z e verbali. Ma n o n e r a vero, e a n c h e lui Io sapeva benissimo. Attraverso i suoi emissari, Garibaldi aveva organizzato a Roma un « C e n t r o d ' i n s u r r e z i o n e » , il cui p r o g r a m m a e r a già implicito nel n o m e . Per risolvere la questione r o m a n a senza provocare l'intervento francese n o n c'era in realtà altro m o do. La convenzione di settembre i m p e g n a v a l'Italia ad astenersi d a q u a l u n q u e azione c o n t r o R o m a , m a n o n c o n t e m 84
piava il caso di una sollevazione dall'interno. Ed era proprio questo che Garibaldi cercava di provocare. Ma, come tutte le matasse italiane, anche questa fece presto ad arruffarsi. A Roma c'era già un'altra organizzazione irredentista, il «Comitato nazionale» formato da elementi moderati che facevano capo al governo di Firenze e ne prendevano il la. E in più c'era il nucleo dei repubblicani rimasti fedeli a Mazzini. L'unico punto su cui questi tre gruppi concordavano era l'abbattimento dello Stato pontificio. Ma i moderati del Comitato volevano arrivarci con un plebiscito che immediatamente sancisse l'annessione di Roma all'Italia. I garibaldini del Centro miravano a un movimento armato che fornisse a quelli di fuori il pretesto di un intervento. I mazziniani perseguivano un piano più complesso: istituire nell'Urbe liberata un governo provvisorio che trattasse con la Monarchia un «patto nazionale» da estendere poi a tutto il Paese e che trasferisse la effettiva sovranità al popolo, lasciandone al Re soltanto il simbolo. Rattazzi conosceva questa situazione e con la consueta fiducia nelle proprie risorse di doppiogiuochista, cercava di volgerla a favore del governo senza correre rischi. Stavolta, di una sua segreta intesa con Garibaldi manca qualsiasi prova, anzi si può escluderla senz'altro, come si rileva dai carteggi di Crispi che tentò di combinarla e non ci riuscì. Ma in aprile, rispondendo a un'interpellanza di Ferrari alla Camera, dopo aver dichiarato che intendeva rispettare scrupolosamente la convenzione di settembre, aggiunse: «Noi non assumeremo impegni compromettenti». Forse, pronunciata da un altro capo di governo, la frase sarebbe passata inosservata. Ma, venendo dall'uomo di Aspromonte, tutti si misero a cercarvi significati reconditi, e l'interpretazione che alla fine prevalse fu questa: che anche Rattazzi mirava a un'insurrezione dei romani che togliesse a Napoleone ogni pretesto d'intervento e lo mettesse di fronte al fatto compiuto. Sembra però che stavolta agisse di suo, e non su istigazione del Re che di andare a Roma non mo85
strava punta fretta e manteneva col Papa un'ossequiosa corrispondenza. In giugno Garibaldi riportò un successo diplomatico, forse l'unico della sua carriera: riuscì a mettere d'accordo il suo Centro d'insurrezione coi moderati del Comitato nazionale. Coi repubblicani non tentò nemmeno, convinto che Mazzini sabotasse i suoi piani perché geloso di lui. Eppoi, pensava di non averne bisogno. Riunì i suoi fedeli, l'incaricò di reclutare volontari, ne fissò il raduno «alla rinfrescata», cioè ad autunno, e ai primi di settembre andò a Ginevra per partecipare al Congresso Internazionale per la Pace, di cui fu acclamato Presidente. Ne approfittò per tenere un discorso con cui si proponeva di preparare e guadagnare la pubblica opinione europea alla sua impresa. Ma infilò una tal serie di castronerie da lasciar tutti perplessi e costernati. La settimana dopo era già di ritorno a Firenze, dove impartì gli ordini di operazione: il figlio Menotti doveva marciare con la sua colonna su Passo Corese, Acerbi su Viterbo, Nicotera su Frosinone. Disse che non c'era bisogno né di molti uomini né di molte armi perché sarebbero bastati «alcuni spari in aria» per spingere i romani a fare il resto con le barricate. E dal modo in cui agiva e parlava, alla luce del sole, sembrava convinto di avere il governo dalla sua, sebbene poco prima Rattazzi gli avesse mandato Crispi a tentare di dissuaderlo. Ma a Sinalunga, mentre scendeva verso la frontiera pontificia, fu arrestato e ricondotto d'autorità a Caprera, cui la flotta pose il blocco. Garibaldi bombardò di proteste l'Italia e l'Europa e parlò di «tradimento», ma stavolta tutto lascia credere che si fosse tradito da solo. Risulta tuttavia dai fatti che il governo non fece nulla per ostacolare i movimenti dei volontari, già penetrati in territorio pontificio secondo gli ordini del loro Capo. Menotti era a Montelibretti, Acerbi alle porte di Viterbo, Nicotera a Frosinone. Napoleone, che in quel momento aveva subito alcuni 86
smacchi diplomatici e perciò aveva più che mai bisogno dell'appoggio dei cattolici, r u p p e gl'indugi e impartì al corpo di spedizione già concentrato a Tolone l'ordine d'imbarco per Civitavecchia. Per una volta tanto, Rattazzi diede prova di decisione suggerendo al Re di prevenire la mossa dell'Imperatore lanciando su Roma le truppe regolari col pretesto di fermare le bande garibaldine. Ma il Re respinse la sua proposta, e anzi gli ordinò di dare le dimissioni. Quella stessa notte Garibaldi, con la barba tinta di nero, riuscì a eludere il blocco sgusciando fra le navi con una piccola barca a remi, approdò alla Maddalena e di qui, a bordo di una paranza, fece vela per Livorno. La sua evasione fece sulla stampa europea quasi lo stesso scalpore di quella di Napoleone dall'Elba. E Rattazzi, tuttora in carica in attesa della formazione del nuovo Ministero, non fece nulla per fermarlo, anzi agevolò il suo viaggio verso la frontiera. Crispì mise addirittura a sua disposizione un treno speciale, e non ci pare possibile che abbia potuto farlo all'insaputa e contro la volontà del governo. Il mandato di cattura contro il fuggiasco fu firmato solo quando questi era già a Passo Corese, e Vittorio Emanuele confidò all'Ambasciatore britannico Paget che, se ne avesse avuto la forza, sarebbe corso a dare man forte al Generale ribelle anche contro i francesi. A Passo Corese, brutte notizie aspettavano Garibaldi. Gli spari in aria non erano bastati a spingere i romani sulle barricate. Cucchi, penetrato clandestinamente in città con pochi compagni, non aveva trovato aiuto per impadronirsi con un colpo di mano del Campidoglio, e aveva dovuto scampare con la fuga. Guerzoni, che doveva portare un carico d'armi, invece dei congiurati con cui aveva appuntamento, trovò a Porta San Paolo gli zuavi del Papa. Altrettanto era capitato ai fratelli Enrico e Giovanni Cairoli penetrati sino a Ponte Milvio alla testa di una settantina di uomini. Attaccati, si difesero gagliardamente, ed Enrico spirò fra le braccia del 87
fratello, c h e p e r l e ferite r i p o r t a t e l o seguì d u e a n n i d o p o nella t o m b a . C o n lui f u r o n o q u a t t r o i Cairoli c a d u t i nelle c a m p a g n e del Risorgimento. N e r i m a n e v a u n o solo, Benedetto, che in seguito fu Primo Ministro. L'unico colpo a n d a t o a segno fu quello di d u e m u r a t o r i che fecero saltare con u n a m i n a un'ala della caserma Serristori u c c i d e n d o u n a v e n t i n a d i soldati. M a n o n b a s t ò p e r scuotere la popolazione. Lo storico tedesco Gregorovius, testimone degli avvenimenti, scrisse a un amico che la polizia p a p a l i n a n o n fece nulla p e r p r e v e n i r e le barricate: bastò la pioggia. I n v a n o Garibaldi accese di n o t t e i fuochi sulla vetta del M o n t e Sacro che le sue a v a n g u a r d i e avevano già scalato. I r o m a n i li videro b e n e , ma n o n si mossero. Sapevano ch'egli n o n aveva che 7.000 u o m i n i senza cavalli né c a n n o n i , m e n t r e nella r a d a di Civitavecchia g e t t a v a n o le a n c o r e le navi del c o r p o di spedizione francese. A Firenze l'emergenza p o se fine alla crisi di g o v e r n o . Il g e n e r a l e M e n a b r e a costituì un Ministero di e s t r e m a Destra, m e n t r e il Re lanciava alla nazione un p r o c l a m a in cui, v e d e n d o l a o r m a i avviata al fallimento, sconfessava l'azione di Garibaldi. Q u e s t i si e r a r i t i r a t o su M o n t e r o t o n d o p e r r i o r d i n a r e i p r o p r i r e p a r t i già sfoltiti dalle diserzioni. Gli u o m i n i che li c o m p o n e v a n o n o n e r a n o della p a s t a dei Mille: il cattivo t e m p o e il cattivo rancio e r a n o bastati a demoralizzarli. Anche Nicotera se ne a n d ò p e r n o n guastarsi col Re e c o m p r o m e t t e r e la p r o p r i a c a r r i e r a politica. Il 2 n o v e m b r e Garibaldi decise di r a g g i u n g e r e Tivoli p e r potersi rifugiare s u l l ' A p p e n n i n o in caso di ritirata. Sapeva che questa e r a inevitabile, ma sapeva anche che un Garibaldi n o n poteva fuggire. Nei r a n g h i c'era un tale d i s o r d i n e e c o n f u s i o n e c h e l a p a r t e n z a subì u n r i t a r d o d i sette o r e , q u a n t e n e b a s t a r o n o alle t r u p p e p a p a l i n e p e r s o r p r e n d e r e la c o l o n n a in marcia a M e n t a n a . Sopraffatto p e r n u m e r o e a r m a m e n t o , Garibaldi fu a n c o r a Garibaldi nel contrattacco alla baionetta. I papalini ne f u r o n o scompaginati, ma p r o 88
p r i o in quel m o m e n t o g i u n g e v a n o i francesi coi loro n u o v i fucili a tiro r a p i d o Chassepot. Garibaldi lasciò 150 m o r t i sul c a m p o e 1.600 prigionieri nelle m a n i del nemico, e suo gen e r o Canzio dovette trascinarlo via di forza p e r impedirgli di farsi a m m a z z a r e . Ricondusse i superstiti a Passo C o r e s e dove furono presi in consegna dalle forze regolari del generale Ricotti, e in t r e n o p a r t ì p e r Firenze. A Figline lo a r r e s t a r o n o , lo t r a d u s s e r o al Forte di V a r i g n a n o d o v ' e r a stato d o p o A s p r o m o n t e , e di lì lo r i p o r t a r o n o a C a p r e r a . «Gli Chassepot h a n n o fatto meraviglie» aveva telegrafato il facile vincitore di M e n t a n a , De Failly, a Parigi. E quell'ann u n z i o , c h e doveva servire a rialzare il prestigio p i u t t o s t o basso dell'industria bellica francese agli occhi di tutta E u r o pa, fece molto c o m o d o a n c h e a certi storici italiani p e r giustificare quell'ennesima sconfitta. In realtà quei fucili si rivelarono pessimi arnesi, e infatti dovettero essere subito d o p o sostituiti. N o n da essi e r a stato sconfitto Garibaldi, ma dagli equivoci in m e z z o ai quali la sua i m p r e s a e r a m a t u r a t a . G r a n p a r t e dei volontari e r a n o accorsi al suo richiamo solo p e r c h é convinti di g u a d a g n a r s i u n ' a u r e o l a di «reduci» con pochi o p u n t i rischi. C r e d e v a n o di aver di fronte u n a città in festa p e r il loro a r r i v o e alle loro spalle l'esercito regolar e . E q u a n d o si e r a n o accorti c h e n o n e r a così, si e r a n o sbandati. Ma oltre che alla scarsezza delle forze insurrezionali, l'insuccesso e r a d o v u t o a n c h e al loro disaccordo. Garibaldi parlava d a u o m o accecato dall'odio q u a n d o accusava Mazzini di aver sobillato i volontari alla diserzione. Ma senza d u b b i o la defezione dei r e p u b b l i c a n i lo aveva privato di un grosso appoggio ideologico e morale. Tutta la Sinistra uscì - e n o n è un giuoco di p a r o l e - sinistrata dalla crisi di M e n t a n a e dalla polemica che ne seguì fra garibaldini e mazziniani. Ma stavolta la loro divisione n o n a n d ò a profìtto delle forze m o d e r a t e , c h e uscivano a n c h ' e s s e p i u t t o s t o d i s c r e d i t a t e d a quella vicenda p e r l'ambiguo c o n t e g n o t e n u t o dal g o v e r n o p e r la sua timidezza di fronte a N a p o l e o n e . e
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Gli unici beneficiari di quella ennesima umiliazione furono i movimenti protestatari ed eversivi, di cui diremo più avanti, concimati dalla sfiducia in uno Stato che non riusciva a collezionare che disfatte e per farsi rispettare dai cittadini doveva ricorrere agli stati d'assedio.
CAPITOLO N O N O
GLI A N N I DELLA «LESINA»
O u a n d o , caduto Rattazzi, il Re affidò l'incarico di f o r m a r e il n u o v o g o v e r n o a M e n a b r e a , si diffuse il t i m o r e ch'egli intendesse strangolare il P a r l a m e n t o e t o r n a r e a qualche form a d i r e g i m e assolutistico. M e n a b r e a e r a u n G e n e r a l e del Genio savoiardo, che in politica aveva d e b u t t a t o c o m e liberale abbastanza avanzato, ma poi si era spostato dalla p a r t e dei conservatori, era stato insieme a Revel u n o dei più tenaci oppositori del «connubio» di Cavour, e passava p e r l'uomo di fiducia del Sovrano. Ma il timore si d i m o s t r ò subito infondato. M e n a b r e a n o n aveva g r a n d i qualità politiche. Ma era un g a l a n t u o m o , incapace di o r d i r e colpi di Stato e di venir m e n o all'impegno di rispettare la Costituzione. N e s s u n o dei tre Ministeri ch'egli presiedette nei d u e anni in cui rimase al p o t e r e - dalla fine del '6*7 alla fine del '69 - t e n t ò di sottrarsi al controllo del P a r l a m e n t o . Anzi, usò con molta p a r s i m o n i a l'arma autoritaria del decreto-legge. In realtà, di questi Ministeri M e n a b r e a , la figura di m a g gior spicco e rilievo n o n fu M e n a b r e a , ma il Ministro delle Finanze Cambray-Digny. D i s c e n d e n t e d i u n a nobile famiglia fiorentina che aveva s e m p r e fedelmente servito i L o r e na, Cambray-Digny aveva da giovane fatto p a r t e del g r u p po m o d e r a t o di C a p p o n i e Ridolfi. D o p o il plebiscito era stato n o m i n a t o a m m i n i s t r a t o r e dei beni della Real Casa in Toscana, e a tal p u n t o aveva conquistato la fiducia del Re che a Poco a poco era diventato ciò che il d u c a A c q u a r o n e doveva Più tardi diventare p e r Vittorio E m a n u e l e I I I : il consigliere segreto, il discreto suggeritore. C o n questa differenza: che i 91
consigli e i suggerimenti di Cambray-Digny si d i m o s t r a r o n o sempre buoni. I p r o b l e m i cui dovette far fronte e r a n o angosciosi. La sit u a z i o n e finanziaria, avviata a furia di e c o n o m i e a risanam e n t o nel q u i n q u e n n i o p r e c e d e n t e , e r a di n u o v o precipitata p e r la g u e r r a del '66, che aveva p o r t a t o il disavanzo a 721 milioni, cifra mai toccata p r i m a di allora. Per p u n t e l l a r e la situazione, e r a stato adottato il corso forzoso che esentava le b a n c h e dal d o v e r e di c o n v e r t i r e la carta m o n e t a in metallo a richiesta d e l d e t e n t o r e . La m i s u r a aveva suscitato m o l t o m a l c o n t e n t o data la scarsa fiducia che gl'italiani r i p o n e v a n o n e l biglietto di b a n c a , ma le circostanze la i m p o n e v a n o e C a m b r a y - D i g n y la m a n t e n n e . B e n deciso a r i p o r t a r e il bilancio in p a r e g g i o e sfidando l'impopolarità che gliene derivava, caricò il c o n t r i b u e n t e di tasse e ne inventò u n a nuova: la tassa sul macinato. Le macine furono provviste di un cont a t o r e c o m e quello della luce elettrica. C h i ritirava il p r o d o t t o doveva p a g a r e al m u g n a i o un s o v r a p p r e z z o di 2 lire al quintale p e r il g r a n o , 1,20 p e r l'avena eccetera. Il consum a t o r e di città n o n ne risentiva molto p e r c h é a p a g a r e l'imposta e r a il grossista che poi ne ripartiva l ' o n e r e sul dettaglio r e n d e n d o l o impercettibile. Ma l'aggravio e r a i m m e d i a to e p e s a n t e p e r il c o n t a d i n o c h e p e r di p i ù , a v e n d o q u e l contatore sotto gli occhi, se ne sentiva provocato. D o v u n q u e s c o p p i a r o n o tumulti, ma s o p r a t t u t t o nella Padania, d o v e si sentì g r i d a r e «Viva il Papa!», «Viva Francesco V!» e a n c h e «Viva la Repubblica!» E negli scontri che seguirono fra polizia e d i m o s t r a n t i , r i m a s e r o sul t e r r e n o 2 5 0 m o r t i e o l t r e 1.000 feriti. Q u a n d o si fecero i conti, si dovette c o n c l u d e r e che tutto questo sangue era un prezzo sproporzionato ai vantaggi che ne derivavano alle pubbliche finanze. La tassa sul macinato fruttò, in un a n n o , m e n o di 30 milioni. E p p u re, fu m a n t e n u t a . Un'altra misura, che p e r fortuna n o n sortì effetti luttuosi, ma diede appiglio a c a m p a g n e scandalistiche, fu la privatizzazione della regìa dei tabacchi. Cambray-Digny la decise 92
n o n soltanto p e r c h é , da b u o n liberista, n o n aveva alcuna fiducia nell'impresa di Stato, ma a n c h e p e r c h é aveva u r g e n t e bisogno di d e n a r o e, a p p a l t a n d o quel m o n o p o l i o a u n a società di capitalisti privati, poteva ricavarne i m m e d i a t a m e n t e un cospicuo anticipo. Nella combinazione e n t r a r o n o a n c h e alcune fra le p i ù forti b a n c h e straniere, ma in seguito si scop r ì che dietro u n a di esse si celava un finanziere livornese, Bastogi, che già veniva accusato di aver corrotto p a r l a m e n tari e giornalisti p e r farsi c o n c e d e r e l'appalto delle Ferrovie M e r i d i o n a l i . I n Italia n o n c ' e r a a n c o r a u n v e r o e p r o p r i o capitalismo, ma già c ' e r a n o gli scandali che a c c o m p a g n a n o gli sviluppi capitalistici. Cambray-Digny n o n se ne lasciò dis a r m a r e , e c o n d u s s e in p o r t o l ' o p e r a z i o n e c h e assicurò al Tesoro un gettito di circa 170 milioni all'anno. Nel dibattito ch'essa p r o v o c ò alla C a m e r a , si r e s e a n c o r a p i ù visibile lo sfaldamento degli schieramenti tradizionali. Un'ala della Sinistra si alleò con la Destra della P e r m a n e n t e p e r combattere il p r o g e t t o ; m e n t r e l'altra ala, che già cominciava a chiamarsi «Terzo partito», guidata da Mordini, si alleava con la Destra g o v e r n a t i v a , c h e grazie a essa riportò la vittoria. Scrisse Lanza a cose fatte: «La p a u r a di un n u o v o Ministero Rattazzi ha fatto subire e Digny e Bastogi, e avrebbe a n c h e fatto i n g o i a r e il diavolo se p u r facesse p a r t e di quella società, il che è p e r ò probabile». S o r d o alle c r i t i c h e e alle divisioni c h e le s u e d r a s t i c h e m i s u r e p r o v o c a v a n o n e l suo stesso p a r t i t o , e f e r m a m e n t e risoluto a c r e a r e le c o n d i z i o n i p e r abolire il corso forzoso e n t r o il '69, il Ministro delle Finanze accelerò al massimo la vendita dei b e n i ecclesiastici. Nel '67 si e r a n o alienati circa 7.000 lotti p e r un a m m o n t a r e di 57 milioni. Nel '68 i lotti f u r o n o circa 2 6 . 0 0 0 e l'incasso r a g g i u n s e i 162 milioni. Quelli c h e r e s t a v a n o , D i g n y p r o p o s e di c e d e r l i a u n a Società dei Beni Demaniali già fondata q u a t t r o a n n i p r i m a in cambio di un anticipo di 300 milioni, e a t t i n g e r e altri 100 milioni alla B a n c a N a z i o n a l e c o n c e d e n d o l e i servizi della T e s o r e r i a di S t a t o . Ma a q u e s t o p u n t o il P a r l a m e n t o lo 93
fermò p e r c h é , disse Minghetti, «a lasciarlo fare, questo vend e a n c h e noi». Sul suo o p e r a t o si accesero roventi polemiche. Dall'estrema Sinistra, Cavallotti accusò alcuni p a r l a m e n t a r i di Destra di aver mercanteggiato il loro voto, e corse voce che perfino il Re avesse l u c r a t o sei milioni. La Storia ha p o i a p p u r a t o che queste accuse e r a n o del tutto infondate, e che a ispirare l a c a m p a g n a d e n i g r a t o r i a e r a stato s o p r a t t u t t o Crispi n o n tanto p e r screditare la Destra, q u a n t o p e r t r a t t e n e r e Mordini e il suo «Terzo partito» dall'allearsi con essa. La conclusione dello scandalo fu anzitutto un clamoroso processo i n t e n t a t o dai diffamati, c h e lo vinsero. E p p o i u n a crisi di g o v e r n o che p e r ò sortì il risultato contrario a quello c h e i diffamatori si p r o p o n e v a n o . M e n a b r e a e Digny si acc o r d a r o n o definitivamente con M o r d i n i c h i a m a n d o l o nella m a g g i o r a n z a , riuscirono a t r a r r e dalla loro la vecchia Cons o r t e r i a r i c u c e n d o n e i b r a n d e l l i , e si a s s i c u r a r o n o la «non belligeranza» della P e r m a n e n t e facendo intervenire in p r o p r i o favore il Re c h e su q u e l clan p i e m o n t e s e esercitava u n ' i n c o n d i z i o n a t a a u t o r i t à . Così n a c q u e il terzo Ministero Menabrea. Ma la Sinistra passò subito al contrattacco i n s c e n a n d o un altro scandalo. Un suo e s p o n e n t e , Lobbia, dichiarò di essere in possesso di d o c u m e n t i che p r o v a v a n o la colpevolezza di u n o dei d e p u t a t i che avevano intentato processo p e r diffamazione, Civinini, e lo avevano vinto. Il dibattito q u i n d i si riaccese, e la C a m e r a d o v e t t e n o m i n a r e u n a c o m m i s s i o n e d'inchiesta. Q u e s t a si era a p p e n a insediata che Lobbia veniva aggredito di notte da u n o sconosciuto e ferito con tre p u gnalate. Lo scalpore fu e n o r m e . Vi contribuì a n c h e Garibaldi con u n a lettera alla vittima in cui si parlava di «tempi borgiani». La s t a m p a di Destra i n s i n u ò c h e a n e s s u n o Lobbia aveva mostrato le sue ferite, m e n o che a un suo intimo amico, la cui testimonianza e r a p e r lo m e n o sospetta. Un altro testimone, chiamato a d e p o r r e , m o r ì p r i m a di poterlo fare, e il p r e s u n t o a t t e n t a t o r e fu r i n v e n u t o affogato nell'Arno. Ce
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n ' e r a q u a n t o bastava p e r m e t t e r e a fuoco il paese, e la Magistratura fece del suo meglio p e r attizzare le fiamme, trasform a n d o la d e n u n z i a sporta da Lobbia c o n t r o ignoti p e r tentato omicidio in un processo c o n t r o Lobbia p e r simulazione di r e a t o , che si concluse con u n a c o n d a n n a confermata anche in a p p e l l o . La C o r t e di Cassazione accolse il r i c o r s o e rinviò il processo a un altro Tribunale. Ma n o n ci fu il tempo di celebrarlo. A poco più di q u a r a n t a n n i , Lobbia morì, e poco d o p o lo seguì nella t o m b a Civinini, e n t r a m b i stroncati dallo scandalo. La commissione p a r l a m e n t a r e concluse la sua inchiesta con u n a r e l a z i o n e evasiva c h e assolveva tutti e n o n faceva luce su nulla. Ma da quella oscura vicenda tutta la classe p o litica usciva discreditata: la Sinistra p e r l'avventatezza con cui aveva lanciato accuse n o n suffragate da p r o v e convincenti; la Destra p e r la pesantezza con cui aveva approfittato del p o t e r e p e r r i d u r r e al silenzio gli avversari. Inoltre a p p a riva c h i a r o c h e , a n c h e se n o n c'era stata c o r r u z i o n e , c'era stata p e r ò , fra il m o n d o politico e quello affaristico, collusione. E questo a n n u n z i a v a la nascita di quel sottobosco governativo, che doveva d i v e n t a r e la caratteristica e la d a n n a z i o ne di tutti i nostri regimi. Per n o n r o m p e r e in m a n i e r a definitiva il fronte della Destra e n o n d i s p i a c e r e al Re, la P e r m a n e n t e n o n si dissociò da M e n a b r e a , ma gli tese un tranello. Dovendosi eleggere il n u o v o P r e s i d e n t e della C a m e r a , c o n c e n t r ò i p r o p r i voti su Lanza, c o n d a n n a n d o alla sconfitta il c a n d i d a t o governativo, Mari. M e n a b r e a capì e d i e d e le dimissioni. Ma n o n volle capire il Re, che d a p p r i m a cercò d ' i m p e d i r e la crisi, e p p o i di risolverla a suo m o d o . La Permanente proponeva Lanza perché, p u r essendo piemontese, n o n era dei suoi e q u i n d i e r a il meglio qualificato a r i c o m p o r r e i n t o r n o a sé tutta la Destra. Q u e s t a infatti voleva ricostituire la p r o p r i a m a g g i o r a n z a senza dover dip e n d e r e d a i voti « d e t e r m i n a n t i » , c o m e oggi si d i r e b b e , di qualche c o r r e n t e di Sinistra: un p o ' p e r c h é sapeva che il Re 95
v i s i s a r e b b e o p p o s t o ; u n p o ' p e r c h é , p u r e s s e n d o stata i n p a r t e ostile alle m i s u r e d i Digny, c o n s i d e r a n d o l e t r o p p o b r u t a l i , ne c o n d i v i d e v a il p r o g r a m m a : r a g g i u n g i m e n t o a tutti i costi del p a r e g g i o del bilancio e abolizione d e l corso forzoso attraverso u n a politica di «lesina» e di economie «all'osso». Ma, composte su questo p u n t o le rivalità tra P e r m a n e n t i e Consorti, altre ne nascevano di o r d i n e personale, e q u i n d i a n c o r a p i ù accanite. Dei t r e «cavalli di razza» della D e s t r a - Lanza, Sella e Minghetti - n e s s u n o a n d a v a d'accordo con l'altro. Figlio di un fabbro e m e d i c o di professione, L a n z a i n c a r n a v a , nella D e s t r a p i e m o n t e s e t r a d i z i o n a l m e n t e form a t a d a nobili, militari e g r a n d i b o r g h e s i , u n tipo u m a n o d e l t u t t o insolito: il n u o v o piccolo ceto m e d i o , s p a r t a n o e p u r i t a n o , formatosi nelle scuole serali e nell'Università p o polare. Coi suoi scarponi da m o n t a n a r o , la sua parsimonia, i suoi m o d i r u d i e spicciativi, Sella s e m b r a v a tagliato nello stesso legno. Ma, r a m p o l l o di u n a dinastia di lanieri di Biella, r a p p r e s e n t a v a un p a t r o n a t o ostinato e a u t o r i t a r i o , c h e fondava la sua forza sul lavoro e sul risparmio. Il bolognese Minghetti e r a la loro antitesi: colto, raffinato, g a u d e n t e , lo chiamavano «la sirena» p e r il suo eloquio forbito e le arti di seduttore. Per c o m p o r r e i loro dissidi, ci volle un mese. Ma alla fine L a n z a p o t è v a r a r e il suo g o v e r n o in coppia con Sella c o m e Ministro delle Finanze, m e n t r e M i n g h e t t i preferì r e s t a r n e fuori p e r p r e p a r a r s i a u n ' e v e n t u a l e successione. Nel suo discorso p r o g r a m m a t i c o il n u o v o Presidente del Consiglio p o se l'accento sul p r o b l e m a e c o n o m i c o r i c o n o s c e n d o n e la priorità, e cedette la parola a Sella. Questi disse che lo Stato o r m a i aveva v e n d u t o tutto quello che c'era da v e n d e r e : ferrovie, b e n i d e m a n i a l i , b e n i ecclesiastici, regìa dei tabacchi; m a n o n e r a bastato. P r o p o s e q u i n d i u n a serie d i p r o v v e d i m e n t i n o n m e n o drastici di quelli adottati dal suo predecessore, e di tale ampiezza che il suo p r o g e t t o fu chiamato «un omnibus finanziario», e la C a m e r a dovette n o m i n a r e q u a t t r o 96
C o m m i s s i o n i p e r e s a m i n a r l o . P u r c o n m o l t e modifiche, il disegno di legge fu a p p r o v a t o in p r i m a v e r a . E la «lesina» si rimise all'opera sulla pelle degl'italiani. Ma p r o p r i o in quel m o m e n t o la politica estera p r e n d e v a il s o p r a v v e n t o su quella e c o n o m i c a : la g u e r r a improvvisam e n t e scoppiata con la Prussia costringeva la Francia a ritir a r e le sue t r u p p e da Roma, a b b a n d o n a n d o l a al suo destino.
CAPITOLO DECIMO
PORTA PIA
N o n è c o m p i t o n o s t r o a d d e n t r a r c i nei motivi di fondo c h e c o n d u s s e r o alla g u e r r a franco-prussiana del '70. Ma la sequenza degli avvenimenti fu questa. Alla ricerca di un Re, la S p a g n a offrì il t r o n o a un principe della Casa H o h e n z o l l e r n di Berlino. N a p o l e o n e si o p p o se i m m e d i a t a m e n t e , e fece appello all'Italia. Il Re voleva accoglierlo: u n p o ' p e r i m p e g n o d ' o n o r e e p e r g r a t i t u d i n e verso l'antico alleato che gli aveva consentito di unificare la penisola sotto il suo scettro, un p o ' p e r c h é c r e d e v a alla superiorità militare della Francia. Ma il g o v e r n o fu di p a r e r e diverso. Sebbene gli u o m i n i della Destra che lo c o m p o n e v a no c o n d i v i d e s s e r o i s e n t i m e n t i filo-francesi d e l Re, si p r o n u n c i a r o n o c o n t r o l'alleanza p e r c h é p a v e n t a v a n o sia l e complicazioni e u r o p e e che p o t e v a n o d e r i v a r n e , sia quelle i n t e r n e : t r a d i z i o n a l m e n t e avversa a N a p o l e o n e , la Sinistra se ne a u g u r a v a la disfatta, c o m e condizione p e r risolvere la questione di Roma. Per vincere q u e s t e resistenze, N a p o l e o n e lanciò la p r o posta di un fronte italo-franco-austriaco e ritirò la sua g u a r nigione da Roma, d i c e n d o che affidava l'integrità dello Stato pontificio all'onore del Re d'Italia. D'accordo con L a n z a e Sella, Visconti-Venosta ringraziò l ' I m p e r a t o r e dello sgomb e r o , ma senza accennare a un ripristino della Convenzione di S e t t e m b r e , cioè senza p r e n d e r e i m p e g n i p e r il futuro, e respinse l'idea dell'alleanza tripartita, come del resto aveva già fatto l'Austria. La g u e r r a scoppiò subito d o p o , precipitata dal Cancelliere p r u s s i a n o B i s m a r c k c o n un abile e f r a u d o l e n t o strata98
g e m m a escogitato p e r tagliare l a s t r a d a a d altre m a n o v r e diplomatiche. E il suo a n d a m e n t o fu tale da n o n d a r t e m p o a Vittorio E m a n u e l e d ' i m p o r r e al g o v e r n o le sue volontà. Con un Blitz-krieg avanti lettera, il Generalissimo prussiano von Moltke «insaccò» a Metz il grosso dell'esercito francese togliendogli o g n i possibilità di m a n o v r a e p o n e n d o le p r e messe p e r la sua liquidazione. N o n occorse aspettarla a lungo. Fra il 1° e il 2 settembre, d o p o a p p e n a un mese dall'inizio delle ostilità, von Moltke costringeva l'avversario ad arr e n d e r s i a S e d a n , N a p o l e o n e cadeva suo p r i g i o n i e r o , e a Parigi veniva proclamata la Repubblica. Via via che la sconfìtta francese si delineava, crescevano in Italia le agitazioni p e r u n ' i m m e d i a t a azione su R o m a . In P a r l a m e n t o la discussione incominciò il 19 agosto, e all'impeto parolaio dell'opposizione, il g o v e r n o c o n t r a p p o s e u n a p e d e s t r e p r u d e n z a c h e sconfinava n e l l ' a m b i g u i t à . Sulle piazze s c o p p i a r o n o tafferugli. In u n o di questi, a R a v e n n a , fu ucciso il c o m a n d a n t e della piazza, generale Escoffier, e a Pavia a n c h e la g u a r n i g i o n e fece c o m b u t t a coi d i m o s t r a n t i . E r a n o i repubblicani ad aizzare i disordini nel solito tentativo di r i p r e n d e r e l'iniziativa. Ma il g o v e r n o n o n a b b a n d o n ò la sua posizione di a t t e n d i s m o c h e il 3 s e t t e m b r e , q u a n d o giunse la notizia di Sedan. Il p r i m o a r o m p e r e il fronte ministeriale fu Sella. L'indomani si schierò dalla sua p a r t e anche Lanza, il quale tuttavia p r o p o s e di escludere dall'occupazione la città di Roma. Solo il 5 settembre, q u a n d o si seppe c h e a Parigi e r a stata p r o c l a m a t a la R e p u b b l i c a , a n c h e questa riserva fu a b b a n d o n a t a , e il G a b i n e t t o si p r o n u n c i ò u n a n i m e m e n t e p e r l'annessione di tutto lo Stato pontifìcio, previo tuttavia un ultimo tentativo di accordo col Papa. Per il Re fu un mezzo d r a m m a . D o p o aver fino all'ultimo carezzato il sogno di a c c o r r e r e in aiuto del vecchio alleato, si sentiva mortificato di approfittare della sua disgrazia, e di a n d a r e a R o m a n o n aveva nessuna voglia. (Anca custa balussada am fan fa, a n c h e questa sciocchezza mi fan fare, disse.) Un mezzo d r a m m a fu p e r Ponza di San Martino che, i m p e 99
gnato da cinque a n n i a r i p o r t a r e la capitale a Torino, doveva o r a collaborare al suo t r a s f e r i m e n t o n e l l ' U r b e , r e c a n d o al P a p a la lettera con cui Vittorio E m a n u e l e lo supplicava, «con affetto di figlio e fede di cattolico», di n o n o p p o r r e un'inutile resistenza. E un d r a m m a completo fu p e r il Minis t r o della G u e r r a , C o v o n e , d e v o t o alla Chiesa fino alla bigotteria, cui il r i m o r s o p r o c u r ò lo squilibrio m e n t a l e t a n t o che dovett'essere ricoverato in manicomio. U n a certa a n i m a z i o n e regnava a Roma, q u a n d o Ponza vi giunse il 10 settembre. Ma a provocarla n o n e r a n o le notizie politiche. E r a n o i residuati del Concilio E c u m e n i c o Vaticano I, conclusosi da p o c h i g i o r n i . A q u a n t o p a r e , l'idea di convocarlo era v e n u t a al Papa nel ' 6 3 . E il suo proposito era quello di far riconoscere c o m e d o g m a il p o t e r e t e m p o r a l e , in m o d o c h e c h i u n q u e lo avesse violato s a r e b b e c a d u t o in eresia. Egli n o n era n u o v o a questi colpi di testa. Già col Sillabo aveva rispolverato il linguaggio di Bonifacio V i l i cont r o le «possanze laiche della t e r r a » , di u n a t e r r a in cui le possanze che largamente la d o m i n a v a n o e r a n o n o n soltanto laiche, ma p r o t e s t a n t i . Molto p i ù accorti di lui, c h e n o n lo e r a p u n t o , i Gesuiti f r e n a r o n o i suoi bollori. Cosa a v r e b b e fatto il Papa se, n o n o s t a n t e il d o g m a , l'Italia avesse occupato R o m a ? L'avrebbe s c o m u n i c a t a . E se l'Italia si fosse infischiata a n c h e della scomunica? Meglio n o n lanciare simili sfide, e ripiegare su u n a formula più sfumata che consentisse qualche scappatoia. Così si e r a giunti a quella dell'infallibilità, ma senza specificare se fosse applicabile al P a p a a n che c o m e Sovrano t e m p o r a l e . N o n o s t a n t e il l u n g o e accurato lavoro di p r e p a r a z i o n e , il Concilio fu u n o dei più solenni, ma a n c h e dei p i ù turbolenti nella storia della Chiesa, e forse fu p e r questo che ci volle quasi un secolo e la fantasia ribelle di Giovanni X X I I I p r i ma che ne fosse i n d e t t o un altro. Esso si a p r ì l'8 d i c e m b r e del '69 e lo spettacolo fu d e g n o della Basilica di San Pietro in cui si svolgeva. Le p o r p o r e dei Cardinali al g r a n comple100
to, le mitrie dei settecento Vescovi accorsi da tutto il m o n d o , le t r i b u n e g r e m i t e di Principi e d i p l o m a t i c i p r e s e n t a v a n o un colpo d'occhio impressionante, ed e r a p r o p r i o quello su cui il Papa contava p e r riaffermare la vocazione dell'Urbe a capitale della Cristianità, e n o n di u n a Nazione. Ma q u a n d o si v e n n e al nocciolo, cioè alla q u e s t i o n e p e r cui quell'assise e r a stata i n d e t t a , n o n solo m a n c ò l ' u n a n i mità su cui il Papa contava, ma la polemica si accese fino al tafferuglio: t a n t o che, a q u a n t o dice De C e s a r e , a un certo p u n t o i g e n d a r m i v o l e v a n o a d d i r i t t u r a forzare la p o r t a . Malgrado il grido di sileat, sileatì scandito in coro dagl'infallibilisti, soprattutto italiani e spagnoli, gli oppositori francesi e olandesi p r o n u n c i a r o n o violente r e q u i s i t o r i e c o n t r o il d o g m a , e i tedeschi g u i d a t i da S t r o s s m e y e r m i n a c c i a r o n o a d d i r i t t u r a u n o scisma. Alla fine il d o g m a passò con 500 placet e d u e soli non placet. Ma 200 Vescovi m a n i f e s t a r o n o il loro dissenso rifiutando di votare. Il 18 luglio, m e n t r e veniva giù un furioso temporale, il Papa lesse (aveva u n a bellissima voce) la Bolla Pastor aeternus, che lo p r o c l a m a v a infallibile. A mezzo del m o nologo, un fulmine si abbatté a pochi passi dalla Basilica seminandovi il t e r r o r e , e i r o m a n i lo p r e s e r o p e r un segno di dispetto da p a r t e del P a d r e t e r n o p e r illecita c o n c o r r e n z a alle sue prerogative. T r e g i o r n i p r i m a e r a s c o p p i a t o qualcosa d i a n c o r a p i ù grosso del fulmine. Era scoppiata la g u e r r a franco-prussiana, e a n c h e i più sprovveduti capivano che la marcia dei tedeschi su Parigi c o m p o r t a v a fatalmente u n a marcia degl'italiani su R o m a . Soltanto il P a p a s e m b r a v a n o n r e n d e r s e n e conto. Sebbene scontento del m o d o in cui gliel'avevano attribuita, l'infallibilità lo r e n d e v a felice. «Ne è così p e r s u a s o - scriveva lo storico tedesco G r e g o r o v i u s - che se la s e n t e addosso.» Il Concilio, secondo lui, aveva «liberato da tutti i mali la Chiesa e la società civile, risolto tutte le difficoltà, rimosso tutti i pericoli, r i p a r a t o a tutte le miserie, calmato tutti i patimenti». Le piazzeforti francesi cadevano c o m e birilli 101
sotto le spallate di von Moltke, e lui studiava i p r o g e t t i p e r e r i g e r e sul Gianicolo un m o n u m e n t o a r i c o r d o del fausto evento. Fu in q u e s t o stato d ' a n i m o d'infantile trionfalismo c h e Ponza gli consegnò la lettera del Re. Via via che la scorreva, il volto del Papa si faceva p r i m a rosso, poi paonazzo d'ira. E alla fine sbottò: «Siete tutti un sacco di vipere, sepolcri imbiancati, m a n c a t o r i di parola!» Ma poi aggiunse: «Non sono profeta, né figlio di profeta, ma vi assicuro che in R o m a n o n entrerete». Forse voleva m e t t e r e a p r o v a la p r o p r i a infallibilità. La stessa sera a n d ò in piazza di T e r m i n i a i n a u g u r a r e con g r a n p o m p a l ' a c q u e d o t t o dell'Acqua Marcia. E l'indom a n i , q u a n d o gli a n n u n z i a r o n o che le t r u p p e italiane avev a n o varcato il confine, r i p e t è : «Non e n t r e r a n n o , n o n e n treranno...» T a n t a spensieratezza e r a c o m p e n s a t a dal freddo realismo del Segretario di Stato, cardinale Antonelli. Figlio di contadini ciociari, Antonelli era un vero prelato r o m a n o : scettico, di scarsa cultura, ma di naso l u n g o . Si r e n d e v a conto che di evitabile, nella fine dello Stato pontificio, c'era solo il sang u e , ed ebbe il b u o n senso di m i r a r e solo a questo. L'esercito p a p a l i n o era un'accozzaglia di m e r c e n a r i delle più svariate nazionalità (c'erano perfino dei turchi). I r o m a n i li disting u e v a n o , secondo le uniformi, in Zampilli, Caccialepri, Sigari scelti, Squadriglieli eccetera: circa 15.000 u o m i n i , al c o m a n do del g e n e r a l e Kanzler. C o m p i t o g e n t i l u o m o , ligio al Reg o l a m e n t o c o m e lo e r a al Catechismo, questi aveva tuttavia un concetto tedesco d e l l ' o n o r e militare e avrebbe preferito u n a sconfìtta a u n a resa. Ma Antonelli n o n era di questa opinione. Gli o r d i n ò di ritirare le t r u p p e d e n t r o le m u r a e di limitarsi a un simulacro di resistenza. Il c o r p o di spedizione italiano, forte di 50.000 uomini, aveva attraversato il confine il giorno stesso in cui Ponza aveva recapitato in Vaticano la lettera del Re. Ma p e r d a r e t e m p o al Papa di sbollire i suoi furori e di rassegnarsi, aveva scelto 102
la via più lunga, quella p e r O r t e e Civita Castellana. Lo com a n d a v a il g e n e r a l e Raffaele C a d o r n a , un cattolico di stretta osservanza, c o m b a t t u t o fra la soddisfazione p e r l'alto incarico e lo s g o m e n t o p e r l'offesa alla Chiesa. N o n o s t a n t e il suo disprezzo p e r i garibaldini, aveva d o v u t o accettarne d u e c o m e G e n e r a l i di Divisione, Bixio e Cosenz, impostigli dal Ministero p e r esigenze di politica interna. Aveva d o v u t o accettare a n c h e i giornalisti che detestava e che faceva t e n e r e sotto sorveglianza p e r c h é n o n rivelassero il suo «piano». Credeva di a v e r n e elaborato u n o di alta strategia p r e d i s p o n e n d o un attacco dimostrativo alla Porta di San Pancrazio per cogliere di sorpresa Porta Pia. Più tardi scrisse addiritt u r a un libro su questa sua impresa, che p o t r e b b e a n c h e a p parire epica, se n o n vi fosse allegata la tabella delle p e r d i t e : 49 morti e 141 feriti da p a r t e italiana, 19 morti e 49 feriti da parte pontificia. D o v u n q u e fossero passate nella loro lenta marcia di avvicinamento, le colonne e r a n o state festosamente accolte dalla p o p o l a z i o n e . Gli unici proiettili c h e m i s e r o a r e p e n t a g l i o l'incolumità dei nostri soldati furono i mazzi di fiori e i cesti di frutta c h e gli p i o v e v a n o a d d o s s o da t u t t e le p a r t i , e gli unici crepitìi che si u d i r o n o furono quelli dei m o r t a r e t t i . Il 17 s e t t e m b r e il c o r p o di spedizione, che fin lì aveva d o v u t o affrontare soltanto problemi logistici, e a q u a n t o p a r e li aveva risolti assai m a l e , era in vista di R o m a , e fece sosta p e r dare al Papa il t e m p o d'issare b a n d i e r a bianca. D o p o tre giorni d'inutile attesa, all'alba del 20, l'attacco cominciò. Alle nove i c a n n o n i avevano già a p e r t o la famosa «breccia», larga u n a t r e n t i n a di metri. I p r i m i a varcarla fur o n o i bersaglieri, che vi p e r s e r o un c o m a n d a n t e di battaglione. Ma in quel m o m e n t o i p l e n i p o t e n z i a r i di K a n z l e r e r a n o già al q u a r t i e r e g e n e r a l e di C a d o r n a p e r t r a t t a r e la resa. Sull'accoglienza dei r o m a n i alle t r u p p e italiane, le testim o n i a n z e s o n o c o n t r a d d i t t o r i e , m a ciò n o n e s c l u d e c h e o g n u n a di esse r a p p r e s e n t i u n a faccia della verità, la quale 103
di facce ne ha m o l t e . S e c o n d o le versioni di p a r t e laica, il t r i p u d i o sarebbe stato generale e travolgente. Secondo u n a «Strenna» pontificia pubblicata poco d o p o , i soli a esultare s a r e b b e r o stati gli ebrei, i quali a v r e b b e r o approfittato del t r a m b u s t o p e r m e t t e r e la città a sacco: un sacco di cui nessuno è mai riuscito a scoprire tracce e a d d u r r e p r o v e . A G r e gorovius p a r v e «un'invasione di ciarlatani». Tutto s o m m a t o , i resoconti più attendibili sono quelli dei giornalisti, entrati con le p r i m e t r u p p e n o n o s t a n t e i divieti di C a d o r n a . Nelle loro c r o n a c h e si avverte lo sforzo di c o l m a r e alla meglio la s p r o p o r z i o n e fra la m o d e s t i a d e l l ' e p i s o d i o m i l i t a r e e la g r a n d e z z a del suo significato. Ma, a saperle leggere, la verità trapela. I r o m a n i che, in attesa del g r a n d e evento, trascorsero insonni l'ultima n o t t e di R o m a p a p a l i n a p r e p a r a n d o le b a n diere tricolori, furono pochi. Secondo un diario abbastanza i m p a r z i a l e del P a l o m b a , la s t r a g r a n d e m a g g i o r a n z a a n d ò tranquillamente a d o r m i r e anche p e r c h é il Papa, n o n potendo a m m e t t e r e di essersi sbagliato, aveva ingiunto ai suoi funzionari d i n o n a p p o r t a r e varianti all'ordinaria a m m i n i s t r a zione: tanto che un tribunale aveva a p p i o p p a t o p r o p r i o quel giorno vent'anni di carcere a d u e giovanotti p e r c h é sorpresi a leggere il Fanfulla, giornale democratico fiorentino. Q u a n d o si c o m i n c i a r o n o a u d i r e i r o m b i del c a n n o n e , i più rimasero in casa, e infatti le a v a n g u a r d i e e n t r a t e in città trovarono strade semideserte. Ma tutto cambiò q u a n d o i bersaglieri i r r u p p e r o in massa. Allora l'entusiasmo esplose, ma con esso esplose a n c h e la collera di u n a popolazione che p e r il r e g i m e p a p a l i n o n o n aveva nessun motivo di affetto. Sui giornali italiani si lesse che i r o m a n i sfogavano «la vergogna» di aver s o p p o r t a t o p e r tanti secoli «l'infame tirannia sacerdotale». Di questo dubitiamo, a n c h e se p e r u n a esigua m i n o r a n z a e r a v e r o . Quelli che sfogavano e r a n o i r a n c o r i della miseria. Su u n a popolazione di 230.000 abitanti c'erano 50.000 disoccupati e 30.000 accattoni, q u o t i d i a n a m e n t e offesi dagli sciali e dagli sfarzi di u n a C u r i a e di u n ' a r i s t o 104
crazia u g u a l m e n t e sceiccali. La città era sporca e ciabattona. I suoi scandalosi contrasti sociali e r a n o scritti nella stessa architettura: splendidi palazzi barocchi incastrati in ragnatele di t u g u r i . Di che u m o r i fosse la piazza lo d i m o s t r a il fatto che, subito d o p o il suo ingresso, C a d o r n a fu r a g g i u n t o da u n a pressante sollecitazione del c a r d i n a l e Antonelli a o c c u p a r e anche la Città L e o n i n a , c h e s e c o n d o le clausole di armistizio doveva restare sotto la giurisdizione militare del Papa, p e r sedare i disordini che vi e r a n o scoppiati. A manifestare ostilità c o n t r o l'Italia e il suo esercito e r a n o solo il patriziato (e n o n tutto) e quella pseudo-borghesia di avvocati, notai e a p paltatori, che formavano il sottogoverno laico della Curia e che ancor oggi si chiama «il g e n e r a n e » . Il principe Torlonia cambiò le giubbe dei suoi staffieri p e r c h é avevano lo stesso colore dei Savoia, e il principe Lancellotti sbarrò in segno di lutto il p o r t o n e del suo palazzo che si r i a p r ì solo nel 1929, l ' a n n o del C o n c o r d a t o e della rappacificazione fra Stato e Chiesa. Ma la massa della p o p o l a z i o n e n o n r i m p i a n g e v a il vecchio r e g i m e . Il plebiscito del 2 o t t o b r e che d i e d e all'annessione di R o m a all'Italia più di 40.000 sì e solo 46 no, forse n o n diceva tutta la verità. Ma u n a verità la diceva.
CAPITOLO UNDICESIMO
LE G U A R E N T I G I E
A Mazzini, che p e r R o m a aveva spasimato tutta la vita, quella c o n q u i s t a fatta in p u n t a di p i e d i e quasi di sotterfugio parve «una profanazione». Era un sentimento diffuso. A furia di anelarvi, gli u o m i n i del Risorgimento e quelli formatisi alla loro scuola avevano finito p e r d a r e alla p a r o l a Roma un significato magico di consacrazione e di p r i m a t o , c o m e se solo a n d a n d o a R o m a l'Italia potesse t r o v a r e il senso di u n a missione nel m o n d o . Perfino il «mercante di panni», come il Re chiamava Sella, era succubo di questi entusiasmi, ai quali la breccia di Porta Pia a n d a v a terribilmente stretta. Ma se l'Italia «reale» e r a delusa, quella «legale» e r a spav e n t a t a di ciò c h e aveva fatto. In realtà, s e b b e n e l ' E u r o p a avesse b e n altro a cui p e n s a r e , messa c o m ' e r a a s o q q u a d r o dalla g u e r r a franco-prussiana, il pericolo di un i n t e r v e n t o straniero sussisteva. Visconti-Venosta i n o n d ò le n o s t r e r a p p r e s e n t a n z e all'estero di circolari p e r c h é rassicurassero tutti i governi che la libertà del Papa n o n sarebbe stata minimam e n t e condizionata. Ma n e s s u n o di essi riconobbe l'annessione. Pio I X n o n p e r d e v a occasione p e r d e n u n z i a r e a l m o n d o la sua condizione di prigioniero, fece circolare la voce che si p r e p a r a v a ad a b b a n d o n a r e R o m a e a istallare altrove la Santa Sede, e m a n ò un'enciclica in cui definì «ingiusta, violenta, nulla e invalida» l ' o c c u p a z i o n e italiana, e ne s c o m u n i c ò i responsabili «di qualsivoglia d i g n i t à insigniti, a n c h e d e g n a di specialissima menzione». Ed era chiaro a chi alludesse. Visto che un a c c o r d o e r a impossibile, il g o v e r n o p r o c e d e t t e p e r suo conto, ma coi piedi di p i o m b o . Il 2 ottobre ci
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fu nel Lazio il plebiscito che dette il solito risultato: 133.000 sì su 135.000 votanti e 30.000 a s t e n u t i . Ma p e r il trasferim e n t o della capitale si preferì p r e n d e r e t e m p o e altrettanto se ne p r e s e il Re p e r farvi il suo ingresso. Q u a n d o gli p r o posero di a n d a r v i in p o m p a m a g n a e di salire sul C a m p i d o glio con l'elmo di Scipio, rispose che p e r lui l'elmo di Scipio era «buono solo p e r cuocervi la pastasciutta». Era assolutam e n t e insensibile al fascino di R o m a , e si sentiva a disagio nei confronti del Papa. Si decise a farvi u n a capatina solo alla fine dell'anno, q u a n d o gliene offrì pretesto il Tevere strar i p a n d o e allagando la città. Vi p i o m b ò quasi all'improvviso e a l l ' i n s a p u t a della p o p o l a z i o n e . E l ' O r i a n i r a c c o n t a c h e , s c e n d e n d o di carrozza nel cortile del Quirinale, disse in piemontese a La M a r m o r a che l'accompagnava: Finalment ij suma, finalmente ci siamo, frase che la storiografia ufficiale tradusse in: «Ci siamo e ci resteremo». Il Q u i r i n a l e e r a stato, fino al 20 s e t t e m b r e , la residenza del P a p a che, a n d a n d o s e n e , s'era p o r t a t o via le chiavi. Occorse c h i a m a r e un fabbro p e r a p r i r e le p o r t e m e n t r e l'aiut a n t e di c a m p o del Re, Spinola, si r e c a v a in Vaticano p e r esprimere i sentimenti di cattolica devozione del suo Sovrano verso il Santo P a d r e . Ma questi si rifiutò di riceverlo. Poi, con un respiro di sollievo, Vittorio E m a n u e l e ripartì p e r Firenze. Un mese e mezzo p r i m a , c o m e s e m p r e d o p o l'annessione di u n a n u o v a provincia, si e r a n o svolte le elezioni. Ma di nuovo c'era stato solo un ulteriore a g g r a v a m e n t o dell'astensionismo, predicato da tutti i pulpiti c o m e d o v e r e di p r o t e sta c o n t r o l'offesa alla Chiesa. Su 530.000 iscritti al voto, solo 240.000 a n d a r o n o alle u r n e , il 45 p e r cento. Nel suo complesso la Destra, che o r m a i n o n era più un partito, ma u n a federazione di partiti, g u a d a g n ò q u a l c h e seggio, q u a l c u n o ne perse la Sinistra, il Terzo Partito di M o r d i n i quasi scomparve. Ma ci furono quasi 200 uomini nuovi che si dichiararono i n d i p e n d e n t i p e r c h é n o n avevano o r i e n t a m e n t i precisi. Fu questa C a m e r a che discusse e a p p r o v ò la L e g g e delle 107
Guarentigie, cioè delle garanzie, destinata a regolare i r a p porti fra Stato e Chiesa fino al 1929. I suoi principali ispiratori, Lanza e Venosta, e r a n o allievi di Cavour, ma si r e n d e v a n o c o n t o che la f o r m u l a del loro Maestro, «Libera Chiesa in libero Stato», n o n si adattava più alle m u t a t e circostanze. E infatti ne r e s t ò solo lo spirito informatore della netta separazione fra i d u e poteri. La legge constava di venti articoli e si divideva in d u e parti. La p r i m a r i g u a r d a v a le p r e r o g a t i v e del Pontefice cui veniva garantita l'inviolabilità della persona, gli onori sovrani, il diritto di t e n e r e g u a r d i e a r m a t e nei palazzi Vaticano, L a t e r a n o , Cancelleria e villa di Castelgandolfo, sottoposti a un r e g i m e di extra-territorialità che li esentava dalle leggi italiane, libertà di comunicazioni postali e telegrafiche, il diritto di r a p p r e s e n t a n z a diplomatica attiva e passiva, e infine un a p p a n n a g g i o a n n u o di 3 milioni e 250.000 lire pari alla s o m m a che l'ultimo bilancio pontificio attribuiva al Papa p e r il m a n t e n i m e n t o suo, del Sacro Collegio e dei palazzi a p o stolici. La seconda p a r t e regolava i r a p p o r t i fra Stato e Chiesa, m i r a n d o a g a r a n t i r n e la massima r e c i p r o c a i n d i p e n d e n z a . Al clero e r a riconosciuta illimitata libertà di r i u n i o n e , i Vescovi esentati dal g i u r a m e n t o al Re, abolito «l'appello p e r abuso», cioè il ricorso a speciali o r g a n i amministrativi contro gli atti dell'autorità ecclesiastica, che venivano sottratti a o g n i obbligo di regio exequatur, cioè n o n avevano più bisog n o di approvazione da p a r t e dello Stato. Q u e s t a era tuttora obbligatoria solo p e r q u a n t o r i g u a r d a v a la destinazione e l'alienazione dei beni ecclesiastici, al cui r i o r d i n a m e n t o ci si r i p r o m e t t e v a di p r o v v e d e r e con ulteriori disposizioni. II dibattito si p r o l u n g ò , fra C a m e r a e Senato, p e r quasi d u e mesi, e fu tra i più elevati che mai si siano svolti nel Parl a m e n t o italiano. C o n t r o la legge furono i depositari del liberalismo ortodosso che esigevano u n a più netta separazione fra i d u e p o t e r i , e gli u o m i n i della Sinistra c h e la consid e r a r o n o un'abdicazione dello Stato alla Chiesa. Ma l'attac108
co più violento le v e n n e dal Papa che la c h i a m ò «mostruoso p r o d o t t o della g i u r i s p r u d e n z a rivoluzionaria». Pio IX n o n aveva cessato le sue m a n o v r e p e r p r o v o c a r e un i n t e r v e n t o s t r a n i e r o . Si rivolse p e r f i n o al l u t e r a n o Bismarck, che si disse p r o n t o a p a t r o c i n a r e «fino in fondo» la sua causa, p u r c h é egli si trasferisse in G e r m a n i a . A un amico che si stupiva di questa offerta, rispose c h ' e r a l'unico m o do p e r ripristinare l'unità religiosa in G e r m a n i a : u n a volta conosciuto il Papa da vicino, i cattolici tedeschi si sarebbero convertiti al luteranismo. Pio IX toccò tutte le c o r d e p e r suscitare u n a crociata i n p r o p r i o favore, d i p i n g e n d o s i c o m e un p o v e r o senzatetto in cerca di un «piccolo a n g o l o di terra» in cui p o t e r svolgere l i b e r a m e n t e il suo Ministero. E fu per avvalorare la sua condizione di perseguitato che respinse in blocco «quei futili privilegi e i m m u n i t à che v o l g a r m e n te s o n o detti guarentigie», rifiutò i « t r e n t a d e n a r i » d e l l ' a p p a n n a g g i o , e dichiarò che «nessuna conciliazione sarà mai possibile fra Cristo e Belial, fra la luce e le t e n e b r e , fra la verità e la menzogna». Q u e s t a intransigenza si tradusse a n c h e in gesti che ebbero effetti esiziali sulla vita politica del Paese. Il g r a n d e p r o blema dell'Italia e r a - ed è - quello di stimolare la partecipazione dei cittadini alla cosa pubblica. Il Papa fece il possibile p e r i m p e d i r l a . La Sacra Penitenzieria, d o p o aver d a p p r i m a dichiarato «non conveniente» p e r i cattolici p r e n d e r e p a r t e all'elezione, lo proibì a d d i r i t t u r a t r a s f o r m a n d o il non expedit in un categorico non licei. Così molti cattolici, i quali n o n a v r e b b e r o chiesto di meglio che conciliare la coscienza civile con quella religiosa e contribuire alla costruzione della N a z i o n e , ne f u r o n o i m p e d i t i , si t r o v a r o n o m o r a l m e n t e relegati in un ghetto e, c o m e s e m p r e avviene in tutti i ghetti, si r i n c h i u s e r o in un r a n c o r o s o a t t e g g i a m e n t o di «contestazione» globale verso lo Stato, che ancor oggi ha i suoi rigurgiti nelle correnti «integraliste» della Democrazia cristiana, a n i m a t e da un s o r d o e s o r d i d o spirito di v e n d e t t a nei confronti del Risorgimento, delle sue conquiste e della sua
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t r a d i z i o n e . Q u e s t a anti-Italia t r o v e r à il suo s t r u m e n t o nelYAzione Cattolica, fondata nel '74, ma di questo d i r e m o in seguito. All'intransigenza di Pio IX, lo Stato reagì con p a r i intransigenza. In tutte le Università furono soppresse le facoltà di teologia, i seminari sottoposti al controllo laico, e i preti assoggettati al servizio militare. A r e c l a m a r e e i m p o r r e queste m i s u r e fu n a t u r a l m e n t e la Sinistra che, nel suo irriducibile anticlericalismo, si dichiarava insoddisfatta delle g u a r e n t i gie e predicava contro la Chiesa un Kulturhampf, c o m e quello che Bismarck aveva scatenato contro di essa in G e r m a n i a . L u n g i dal disarmarla, il Papa seguitò a fornire b u o n i argom e n t i a questa p r o p a g a n d a , c o m e se desiderasse di vederla t r a d o t t a in p e r s e c u z i o n e . U n a volta disse che la differenza fra la Destra e la Sinistra era quella che passa fra il colera e il t e r r e m o t o , lasciando capire che preferiva il t e r r e m o t o . Fu nel colmo di questa lotta che Mazzini scomparve. Fino all'ultimo, instancabilmente, aveva tentato di ricucire i brandelli della sua b a n d i e r a . Ma alla fine la disperazione aveva p r e s o sul suo a n i m o il sopravvento. «E l'Italia? L'Italia dei miei sogni? L'Italia c h e ho p r e d i c a t o ? L'Italia che ho sognato? E soltanto un fantasma? U n a parodia?» Sebbene la polizia sapesse benissimo chi e r a e dov'era e cosa faceva, circolava con un falso passaporto inglese intestato a Mr. B r o w n . Ma q u a n d o s'avvide che le r e s i d u e forze lo a b b a n d o n a v a n o , si rifugiò a Pisa nell'ospitale casa di Pellegrino Rosselli, il g e n e r o della sua g r a n d e amica Sarah N a t h a n . Lo curava il vecchio fedelissimo Bertani, ma il paziente lo aiutava poco. «Questa vita di macchina che scrive, scrive, scrive da t r e n t a c i n q u e a n n i comincia a pesarmi» diceva. Ma seguitava a scrivere sostentandosi solo di sigari e di caffè. All'idea che l'Italia fosse solo un fantasma n o n si rassegnava. «Amate o p e r o s a m e n t e questa g r a n d e e p o v e r a patria nostra» raccom a n d a v a ai p o c h i fedeli rimastigli. E sul letto di m o r t e , le sue ultime parole furono a n c o r a di speranza: «Ora tutti la-
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v o r e r e t e c o n p i ù fede, c o n più a r d o r e p e r far sì c h ' i o n o n abbia vissuto invano». Spirò il 10 m a r z o del '72 lasciando detto che voleva essere sepolto nel cimitero di Staglieno accanto a sua m a d r e . E così fu fatto, ma alla chetichella. L'Italia «legale» n o n mosse p a l p e b r a e n o n p r o n u n z i ò parola, ma a n c h e quella «reale» n o n si m o s t r ò molto colpita dalla sua scomparsa. La rigorosa coscienza m o r a l e e la concezione tragica della vita c o m e di un d o v e r e da assolvere e di u n a missione da c o m p i e r e lo avevano s e m p r e reso straniero in un Paese da m e l o d r a m m a c o m e il nostro. La stima di cui aveva g o d u t o era stata semp r e mescolata a un certo fastidio, e n e m m e n o a un secolo di distanza se ne sa districare. Ancor oggi egli resta il p a d r e di u n a Patria che n o n si è mai sentita figlia sua. E se lo fosse, n o n sarebbe com'è.
CAPITOLO DODICESIMO
LA CADUTA DELLA D E S T R A
Quella che nel g i u g n o del 1873 pose fine al Ministero Lanza-Minghetti fu u n a crisi i n t e r n a della Destra. Subito d o p o Porta Pia e il trasferimento della capitale a Roma, i d u e statisti p i e m o n t e s i e r a n o tornati a c o n c e n t r a r e i loro sforzi sul p a r e g g i o del bilancio che, già alle viste nel '70, era stato turb a t o dalla s p e d i z i o n e d i C a d o r n a . I l p r i m o p r o d r o m o del dissenso Io si ebbe q u a n d o alcuni p r o v v e d i m e n t i finanziari p r o p o s t i da Sella f u r o n o a b b o n d a n t e m e n t e r i d i m e n s i o n a t i d a u n a commissione p a r l a m e n t a r e p r e s i e d u t a d a Minghetti. Fin allora latente, il conflitto fra i d u e u o m i n i scoppiava. E si risolveva a favore di Minghetti. Costui, p i ù c h e dalle «correnti» del s u o p a r t i t o r i d o t t o o r m a i a un coacervo di clientele personali e n u m e r i c a m e n t e d o m i n a t o d a d e p u t a t i d i n u o v a n o m i n a senza f i s s a d i m o r a ideologica e q u i n d i disponibili a ogni «combinazione», traeva la sua forza dalle maggiori simpatie che godeva nella Sinistra. E lo si vide dall'aiuto che q u e s t a gli p o r s e q u a n d o , subito d o p o , si a p r ì un altro contrasto a p r o p o s i t o di un arsenale da istallare a T a r a n t o . Lo s p a r a g n i n o Sella aveva stanziato 6 milioni. I r a p p r e s e n t a n t i d e l S u d , c h ' e r a n o in prevalenza di Sinistra, ne r e c l a m a r o n o il q u a d r u p l o , e l'ottennero. Le dimissioni offerte da L a n z a e Sella f u r o n o rifiutate p e r c h é in quel m o m e n t o e r a in discussione u n a legge sulle c o r p o r a z i o n i religiose che urgeva c o n d u r r e in p o r t o . Ma il fronte era o r m a i i r r e p a r a b i l m e n t e rotto: a fargli da mastice era solo il t i m o r e che il p o t e r e slittasse nelle m a n i della Sinistra. Q u e s t o t i m o r e d i l e g u ò q u a n d o , nel g i u g n o del ' 7 3 , 112
morì Rattazzi, l'unico u o m o che alla bell'e meglio riusciva a t e n e r n e legate le correnti. Infatti il suo cadavere n o n si era ancora raffreddato nella t o m b a che il g o v e r n o veniva battuto su un o r d i n e del g i o r n o , e stavolta le dimissioni e r a n o inevitabili. Il Re, c h e o r m a i se le a s p e t t a v a , e r a già d ' a c c o r d o con Minghetti p e r la formazione di un g o v e r n o di coalizione con le c o r r e n t i p i ù m o d e r a t e della Sinistra c a p e g g i a t e da Depretis. Si t r a t t a v a di u n a r i e d i z i o n e del «connubio» di Cavour. Ma l ' o p e r a z i o n e n o n a n d ò in p o r t o p e r le resistenze che incontrò in e n t r a m b i gli schieramenti. Minghetti dovette q u i n d i rassegnarsi a un Gabinetto tutto di Destra e perciò condizionato dalla concordia di un partito in cui la concordia e r a da un pezzo latitante. Per di più, esso dovette subito far fronte alla crisi finanziaria che investiva tutta l ' E u r o p a e anche sull'Italia riverberava i suoi effetti. A r e n d e r l i più gravi era lo stato confusionale in cui versava la circolazione monetaria. A differenza degli altri Paesi, in Italia n o n c'era un solo istituto di e m i s s i o n e , ma sei: la Banca Nazionale, la Banca Nazionale Toscana, la Banca Toscana di C r e d i t o , la Banca R o m a n a , il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia. Lo Stato assegnava un limite alle loro emissioni, ma n o n riusciva a farlo r i s p e t t a r e . Sollecitate dagli o p e r a t o r i economici p e r r i a n i m a r e il m e r c a t o colpito dalla stagnazione, le sei B a n c h e avevano s t a m p a t o biglietti oltre la misura consentita e n a t u r a l m e n t e questo provocava inflazione e disordine. M i n g h e t t i , c h e si e r a t e n u t o il Ministero delle F i n a n z e , r e n d e n d o s i conto che n o n aveva abbastanza forza p e r unificare gl'istituti di emissione, mise allo studio un p r o g e t t o di lègge c h e creava fra essi un consorzio p e r r e g o l a r n e l'attività. La discussione d i m o s t r ò in m a n i e r a l a m p a n t e q u a n t o fosse o r m a i fuori corso la tradizionale toponomastica parlam e n t a r e . Gli attacchi più violenti, il p r o g e t t o li subì da u n a parte della Destra, sostenitrice dell'assoluta libertà bancaria; m e n t r e i consensi più caldi li ebbe dalla Sinistra m o d e r a t a , 113
grazie alla quale la legge passò a forte maggioranza. Essa regolò p e r v e n t ' a n n i il sistema b a n c a r i o italiano, ma n o n lo mise al r i p a r o da guasti destinati a provocare u n a delle crisi più sconvolgenti che l'Italia abbia mai attraversato. Fu tuttavia un successo senza d o m a n i . Q u a n d o Minghetti, a n c h e lui a l l ' i n s e g u i m e n t o del p a r e g g i o , p r o p o s e degli aggravi fiscali, p e r q u a n t o modesti, la sua m a g g i o r a n z a via via si dissolse, e l'ultimo p r o v v e d i m e n t o passò con 166 voti c o n t r o 165 e 177 astenuti. Minghetti tentò un a c c o r d o con Sella p e r ricucire il fronte di Destra, ma il m u r o di r a n c o r e c h e o r m a i divideva i d u e u o m i n i si rivelò p i ù forte della coincidenza ideologica e degl'interessi del partito. Un sondaggio in direzione opposta, cioè con la Sinistra di Depretis, n o n diede risultati. N o n restavano d u n q u e che le dimissioni del governo, o nuove elezioni. Il Re preferì la seconda alternativa. La c a m p a g n a e l e t t o r a l e del '74 fu m o l t o p i ù vivace di quella del '70 a n c h e p e r c h é il g o v e r n o vi s ' i m p e g n ò a fond o , ma rivelò in m a n i e r a ancora più eloquente le d e c o m p o sizione dell'antica m a g g i o r a n z a m o d e r a t a . Il processo era già cominciato con la guerriglia fra P e r m a n e n t i e Consorti. Ma questi a l m e n o e r a n o d u e blocchi abbastanza o m o g e n e i e caratterizzati, sulla cui c o m p a t t e z z a si poteva fare assegnam e n t o . O r a , al loro posto, e r a n o s u b e n t r a t e delle forze pur a m e n t e clientelari, ribelli a qualsiasi disciplina, e i m p e g n a t e i n u n a lotta d i p o t e r e p i ù a l l ' i n t e r n o d e i l o r o rispettivi schieramenti che c o n t r o quello avversario. I discorsi di Sella e b b e r o come bersaglio Minghetti che, p e r r i p a r a r e alla sua defezione, cercò a p p o g g i presso i cattolici, cui il non expedit i m p e d ì di darglielo. Su d u e soli p u n t i p r o g r a m m a t i c i la Destra trovò u n a certa u n a n i m i t à : il solito sospirato p a r e g g i o del bilancio, e la resistenza a oltranza alle riforme d e m o c r a tiche, c o m e quella del suffragio universale, avanzate dalla Sinistra. Questa manifestava a sua volta gravi segni di dilacerazione i n t e r n a . Q u e l l o più c l a m o r o s o fu la quasi c o n t e m p o r a 114
nea c o m p a r s a di d u e manifesti. U n o , firmato da Crispi, Cairoli, Nicotera, Bertani e altri, ribadiva le tradizionali posizioni oltranziste, e r a p p r e s e n t a v a il p e n s i e r o della Sinistra «storica». U n o , a n o n i m o , m a c h i a r a m e n t e i s p i r a t o d a D e Luca, De Sanctis, C o p p i n o e altri, in s t r a g r a n d e m a g g i o r a n za m e r i d i o n a l i , p r o p u g n a v a la t r a s p o s i z i o n e dei p r o b l e m i da un p i a n o a s t r a t t a m e n t e ideologico a quello c o n c r e t o , ch'era poi il m e t o d o del m o d e r a t i s m o . «I p r o g r a m m i - diceva - n o n siamo noi che li facciamo, li fa il Paese, e il Paese ora n o n chiede riforme politiche, chiede riforme finanziarie e amministrative, sicché la vera riforma politica oggi è q u e sta.» E fu il biglietto da visita di quella che si c h i a m ò la «Sinistra giovane», la q u a l e aveva p e r p a t r o n o un vecchio, Dep r e t i s , c h e tuttavia r i m a s e d i e t r o l e q u i n t e . A n c h e q u e s t e d u e Sinistre si c o m b a t t e r o n o con la stessa virulenza con cui si c o m b a t t e v a n o le Destre, n o n o s t a n t e un accordo stipulato fra loro. P u r r e s t a n d o bassa - il 55 p e r cento -, l'affluenza alle urne, m a l g r a d o l'astensione dei cattolici, fu n e t t a m e n t e superiore a quella del '70. E il risultato complessivo fu un notevole successo della Sinistra, soprattutto nel Sud. Essa ottenne 232 seggi c o n t r o i 276 della m a g g i o r a n z a g o v e r n a t i v a , che c o n s e r v ò le sue posizioni soltanto n e l N o r d . Ma l'elem e n t o caratterizzante della n u o v a C a m e r a e r a ì'indefinibilità dei confini fra i d u e schieramenti. Essi sfumavano in un C e n t r o , d e s t i n a t o a costituire la v e r a base di ogni f u t u r a combinazione. Sulla sua conquista s'imperniò la lotta p e r il potere fra Minghetti e Depretis. Minghetti che, c o m e capo della m a g g i o r a n z a , ebbe l'incarico di f o r m a r e il n u o v o g o v e r n o , cercò n a t u r a l m e n t e di giuocare sulle divisioni fra Sinistra storica e Sinistra giovane. Ma esse si rivelarono m e n o p r o f o n d e di quelle che dilan i a v a n o la D e s t r a un p o ' p e r c h é , a differenza del p o t e r e , l'opposizione unisce; un p o ' p e r c h é nell'arte dei r a t t o p p i e dei r a m m e n d i Depretis n o n aveva rivali. In questa malcerta situazione, qualsiasi passo poteva di115
v e n t a r e fatale, e infatti il g o v e r n o ne mosse p o c h i , a l m e n o nel senso delle riforme. Q u a n d o azzardò l ' a u m e n t o d i u n a tassa di registro sugli atti immobiliari, a n d ò a un pelo dalla c a d u t a p e r c h é u n a fetta della m a g g i o r a n z a votò c o n t r o o si a s t e n n e . Stavolta il pei'icolo i n d u s s e Sella ad a c c e t t a r e un accordo e un posto nel g o v e r n o , il che p e r m i s e a Minghetti di p r o p o r r e un i n a s p r i m e n t o di m i s u r e di polizia specie in Sicilia, dove i delitti si a n d a v a n o p a u r o s a m e n t e moltiplicando e la mafia s e m p r e più spadroneggiava. La Sinistra si schierò c o m p a t t a m e n t e c o n t r o il disegno di legge, e il dibattito r a g g i u n s e toni di alta d r a m m a t i c i t à . Il discorso che più i m p r e s s i o n ò fu quello di Tajani, che c o m e e x - P r o c u r a t o r e G e n e r a l e della Corte d'Appello di Palermo, fece sensazionali rivelazioni sulle collusioni fra mafia e polizia. Ma, trascinati dal furore polemico, gli oratori della Sinistra c o m m i s e r o l ' e r r o r e di coinvolgere nelle responsabilità tutta la Destra, che reagì schierandosi c o m p a t t a m e n t e in difesa del governo. L'insuccesso a g g r a v ò i c o n t r a s t i fra i capi della Sinistra. Gli «storici» f u r o n o messi sotto accusa p e r il l o r o oltranzis m o , e q u a n t o s c o m o d a fosse diventata la loro posizione lo d i m o s t r ò la p r o n t a defezione di Nicotera, il c a m p i o n e dell ' o p p o r t u n i s m o , c h e accostò ai «giovani». A s p i n g e r l o su questa strada e r a stato il Re, che gli aveva fatto b a l e n a r e la possibilità di un Ministero Sella-Nicotera; Ma Depretis n o n e r a u o m o da lasciarsi tagliar fuori da u n a m a n o v r a e da un p e r s o n a g g i o di quella fatta. «I partiti politici che n o n s a n n o aspettare - disse ai suoi elettori di Stradella - n o n m e r i t a n o di a n d a r e al g o v e r n o . Essi d e v o n o g i u n g e r v i p e r la s t r a d a diritta, a t a m b u r o b a t t e n t e , con la loro b a n d i e r a spiegata.» A u n a simile p r e d i c a il suo p u l p i t o e r a il m e n o qualificato p e r c h é questo m e t o d o egli n o n lo seguì mai. Ma lì p e r lì gli p e r m i s e di r i c o m p o r r e il fronte delle Sinistre. A n c h e Nicotera finì p e r r i e n t r a r e nei r a n g h i . E Depretis, lungi dall'infliggergli mortificazioni, lo incaricò di c e r c a r e un a c c o r d o sottobanco coi Consorti toscani in vena di «deviazionismo». 116
Così, t r a s f o r m a n d o l o in collaboratore, si sbarazzò di un rivale, e avviò la m a n o v r a che p r e s t o doveva c o n d u r l o al p o tere. I fatti si svolsero così. Firenze aveva d a t o l'addio alla capitale senza n e s s u n r i m p i a n t o , ma chiedeva di essere i n d e n nizzata delle i m m a n i spese che aveva d o v u t o sostenere p e r ospitarla e che avevano ridotto il suo bilancio in condizioni fallimentari. G u i d a t a da Peruzzi, p r o g e n i e di b a n c h i e r i , la Destra toscana era su questo p u n t o u n a n i m e e h-riducibile. Ma altrettanto ostinato e r a il rifiuto di quella piemontese, e il contrasto ridava alimento alla vecchia g u e r r a fra Consorti e Permanenti. Ancora più aggrovigliata era la questione delle ferrovie. C o m e a b b i a m o già d e t t o , il p r o b l e m a se convenisse di p i ù affidarne la gestione allo Stato o lasciarle a società private, da a n n i divideva e avvelenava l'opinione pubblica con polemiche roventi, scandali o sospetti di scandali. N o n c'era su questo p u n t o un'antitesi Destra-Sinistra. Le società private, cui p a r t e c i p a v a n o a n c h e b a n c h e s t r a n i e r e della forza e del prestigio dei Rothschild, avevano i loro avvocati sia n e l l ' u n o che nell'altro schieramento. E questo contribuiva a r e n d e r e la lotta confusa e imprevedibile. Nel m a r z o del '76 Minghetti e il suo Ministro dei Lavori Pubblici, S p a v e n t a , p r e s e n t a r o n o dei d i s e g n i d i legge c h e p r a t i c a m e n t e d a v a n o avvìo alla statalizzazione. L'episodio d i m o s t r a q u a n t o c a n g e v o l e sia la t o p o n o m a s t i c a politica. Oggi a p p a r e quasi inconcepibile che ad avanzare u n a simile p r o p o s t a fossero degli u o m i n i di Destra, e ad avversarla fosse, quasi u n a n i m e m e n t e , la Sinistra. E p p u r e , fu q u a n t o avv e n n e nel '76. Ma i m o d e r a t i toscani e b u o n a p a r t e di quelli lombardi, p u r d ' i m p e d i r e quella saggia misura o r m a i adottata o in via di adozione in tutti gli Stati m o d e r n i , r u p p e r o il fronte e p a s s a r o n o dalla p a r t e degli avversari. Il g o v e r n o , b a t t u t o , p r e s e n t ò le dimissioni. E il Re d i e d e l'incarico di f o r m a r n e u n o n u o v o a l c a p o della vittoriosa o p p o s i z i o n e , Depretis. 117
Q u e s t a la sequenza, piuttosto casuale, degli avvenimenti c h e c o n d u s s e r o alla c a d u t a della D e s t r a . Ma se q u e s t a assunse un carattere definitivo, fu p e r c h é alla sua origine c'er a n o dei motivi sostanziali e profondi. C e r c h i a m o di chiarirli. L a p i ù a p p a r i s c e n t e d e b o l e z z a della D e s t r a , negli ultimi tempi, era stata la m a n c a n z a di un leader. D o p o la m o r t e di Cavour, essa n o n ne aveva più trovato u n o in g r a d o di d o m i n a r l a e d ' i m b r i g l i a r n e le forze centrifughe. Il suo u o m o di più alta statura m o r a l e , Ricasoli, mancava di qualità politiche, e d o p o di lui un v e r o e p r o p r i o c a p o n o n c'era p i ù stato. Dei tre c h e a s p i r a v a n o a d i v e n t a r l o - L a n z a , Sella e Minghetti -, n e s s u n o aveva la forza d'imporsi agli altri d u e . Ma forse questo d i p e n d e v a a n c h e dal fatto che l'impresa era d i v e n t a t a m o l t o p i ù a r d u a . C a v o u r aveva a v u t o a c h e fare c o n u n a D e s t r a c h e r a p p r e s e n t a v a ceti sociali a b b a s t a n z a o m o g e n e i : la g r a n d e e m e d i a borghesia agraria del C e n t r o N o r d . I suoi successori d o v e v a n o vedersela a n c h e con u n a borghesia meridionale che, sebbene essa p u r e in g r a n p a r t e agraria, e r a mossa da criteri e interessi molto diversi. In parole p o v e r e : i p r i m i e r a n o degli a g r a r i capitalisti, i secondi degli a g r a r i feudali; i p r i m i e r a n o a u t e n t i c a m e n t e liberali, i secondi a u t e n t i c a m e n t e conservatori. T r o v a r e fra loro u n a c o m p o n e n t e e r a difficile. Un altro motivo era il m u t a m e n t o del q u a d r o e u r o p e o in cui la Destra aveva o p e r a t o . In politica estera i suoi p u n t i di riferimento e r a n o s e m p r e stati l'amicizia dell'Inghilterra e il p a t r o n a t o militare della Francia. C o n t r o la Sinistra, che voleva m a z z i n i a n a m e n t e «fare da sé», la Destra aveva fatto tutto quel che aveva fatto con la Francia e grazie alla Francia. Q u e s t o passato costituiva un p a t r i m o n i o di ricordi e un leg a m e di g r a t i t u d i n e che n e m m e n o il «tradimento» di Villafranca e l'ostinato servizio di g u a r d i a m o n t a t o dai francesi allo Stato pontificio e r a n o riusciti a i n t a c c a r e . A n c h e p e r l'ultima c a m p a g n a d ' i n d i p e n d e n z a c o n t r o l'Austria, quella 118
del '66, l'Italia aveva chiesto il p e r m e s s o a Parigi, ne aveva seguito a n c h e il consiglio d ' i m p e g n a r v i s i soltanto a mezzo, ed era dalle m a n i della Francia che aveva ricevuto il Veneto. Ma la disfatta di Sedan e la caduta di N a p o l e o n e lasciavano la Destra orfana del tradizionale p r o t e t t o r e . O r a bisognava v e r a m e n t e «fare da sé», e a questo e r a molto più qualificata l a Sinistra, c h e n e aveva s e m p r e fatto u n o dei suoi p u n t i programmatici. Il terzo motivo era la crisi del liberismo economico, che p e r la Destra era stato un d o g m a : un po' p e r c h é era il p r i n cipio cui s'ispiravano le d u e Potenze Occidentali col cui aiuto l'Italia e r a d i v e n t a t a N a z i o n e , un p o ' p e r c h é esso corris p o n d e v a all'esigenze d ' u n Paese essenzialmente agricolo e d o m i n a t o dai ceti agrari c o m e il nostro. Solo n o n oberati da dazi i vini, i formaggi, la frutta, lo zolfo e la seta italiani potevano conquistare i mercati stranieri, m e n t r e si poteva, anzi si doveva c o n c e d e r e reciprocità di t r a t t a m e n t o ai m a n u fatti e macchinari stranieri p e r il semplice motivo che l'Italia n o n e r a in g r a d o di p r o d u r n e . Ecco p e r c h é C a v o u r era stato o s t i n a t a m e n t e libero-scambista e i suoi successori seguitavano a esserlo. Ma verso la m e t à degli a n n i 70 l'agricoltura fu colpita da u n a g r a v e crisi. La facilità dei mezzi di c o m u n i c a z i o n e , e quindi la riduzione dei costi di t r a s p o r t o , consentì all'America di scaricare le sue d e r r a t e sui mercati e u r o p e i a prezzi fuori di qualsiasi c o n c o r r e n z a . Per i Paesi i n d u s t r i a l i , nei quali l'agricoltura svolgeva un r u o l o s u b a l t e r n o , fu un imbarazzo. Per l'Italia fu un disastro, che p r o d u s s e d u e conseg u e n z e : i n c r i n ò la fede nel liberismo, e d i e d e u n a s p i n t a agl'investimenti nell'industria convogliandovi b u o n a p a r t e di quei risparmi che fin allora venivano quasi esclusivamente impiegati in acquisti e migliorie di terre. T u t t o q u e s t o sovvertiva il tradizionale q u a d r o e c o n o m i co. Via via c h e c r e s c e v a n o di p e s o , g l ' i n d u s t r i a l i facevano s e n t i r e l e l o r o esigenze c h ' e r a n o i n p i e n a c o n t r a d d i z i o n e con quelle degli agricoltori. A farsene portavoce fu Alessan119
d r o Rossi che aveva fondato a Schio il più m o d e r n o lanificio italiano e nel '70 era stato n o m i n a t o Senatore. Egli fece del suo banco u n a t r i b u n a p e r sostenere le tesi protezioniste. E gli a r g o m e n t i n o n gli m a n c a v a n o . Bisogna scegliere, egli diceva: se l'Italia vuole le sue i n d u s t r i e - e n o n si vede c o m e possa farne a m e n o - bisogna che le p r o t e g g a dalla concorr e n z a s t r a n i e r a con r o b u s t e tariffe d o g a n a l i , a l m e n o fin q u a n d o esse n o n siano in g r a d o di resistere da sé, c o m e del resto h a n n o fatto tutti gli Stati nel p e r i o d o del loro decollo. N o n era il solo a sostenere questa tesi. A n c h e Luigi Luzzatti, il più brillante fra gli e c o n o m i s t i italiani della n u o v a leva, parlava lo stesso linguaggio contro i liberisti della vecchia scuola. Ma se queste idee attecchirono n o n fu grazie all ' e l o q u e n z a dei l o r o sostenitori, ma al fatto ch'esse c o r r i s p o n d e v a n o ai bisogni del Paese, d o v e si profilava u n a situazione che la Destra n o n aveva previsto ed era i m p r e p a rata ad affrontare. N o n che la Sinistra si trovasse, ideologic a m e n t e , in condizioni migliori. Anch'essa seguiva in m a g g i o r a n z a il credo liberista. Ma vi e r a m e n o legata della Destra, che ne aveva s e m p r e fatto il c a r d i n e della sua politica economica e che quindi, r i n n e g a n d o l o , r i n n e g a v a se stessa. M i n g h e t t i cercò di allentare la p r e s s i o n e d e n u n c i a n d o parecchi trattati commerciali e affidandone la revisione a Luzzatti. Ma oltre n o n potè a n d a r e , e a n c h e p e r questo fu travolto. Un altro p u n t o c h e coglieva la Destra di s o r p r e s a e r a il p r o b l e m a del Mezzogiorno, sebbene ad anticiparlo fosse stato p r o p r i o u n o dei suoi u o m i n i , Massari, nell'inchiesta sul brigantaggio. Ma a p o r l o in t e r m i n i chiari e d r a m m a t i c i fu nel '75 la «Rassegna settimanale» di Firenze con gli scritti di S i d n e y S o n n i n o , L e o p o l d o F r a n c h e t t i , P a s q u a l e Villari e Giustino F o r t u n a t o . Q u e s t ' u l t i m o , che poi diventò il p a d r e e ispiratore dei «meridionalisti», sapeva quel che diceva cont r o i terrieri del Sud p e r c h é era u n o dei loro, e a p p u n t o p e r questo la sua testimonianza pesava. G r a n d e «notabile» della Lucania, malinconico e pessimista c o m e tutti i suoi conter-
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r a n e i (chi scrive ha fatto in t e m p o a conoscerlo), egli era di fondo un conservatore. Nei miracoli n o n ci credeva, e nella decadenza del Sud vedeva u n a specie di fatalità ineluttabile. Ma la probità m o r a l e e intellettuale gl'ispirò un terribile atto di accusa c o n t r o la classe sociale da cui egli stesso proveniva e che costituiva in quelle province il sostegno della Destra. Così questa m e t t e v a sotto processo se stessa e r i c o n o sceva di aver fallito il riscatto del Sud. Nelle elezioni del '76 sarà infatti il voto dei meridionali a d e t e r m i n a r e il definitivo trionfo della Sinistra. E infine, l'esaurimento della missione. I d u e obbiettivi su cui la Destra si e r a i m p e g n a t a allo spasimo e r a n o l'unificazione legislativa e amministrativa del Paese e il p a r e g g i o del bilancio. Li aveva raggiunti, ma a p r e z z o di un t e n i b i l e logorio. Più imposta dall'alto che sollecitata dalla base, l'unificazione aveva richiesto il sacrificio d'infiniti interessi p a r t i colari. Il p o t e r e centrale aveva violentato costumi e tradizioni d a n d o allo Stato le sembianze di un p a d r o n e sopraffattore e q u i n d i p r o v o c a n d o scontentezze e rancori, che o r a venivano al pettine. N o n m e n o faticoso e p r o n u b o d ' i m p o p o l a r i t à era stato il pareggio. N o n è vero che a questo t r a g u a r d o gli u o m i n i della Destra avessero sacrificato i bisogni del Paese. P u r semp r e «lesinando», un notevole passo avanti glielo avevano fatto fare. E r a n o migliorate le Forze A r m a t e , e r a migliorata la flotta mercantile, e r a n o migliorate e moltiplicate le ferrovie, e r a n o migliorate le scuole. Ma tutto questo era costato sacrif i c i d u r i s s i m i . Impeccabili, m a a n c h e implacabili a m m i n i stratori, quegli u o m i n i avevano torchiato il Paese senza discriminare; m a , a p p e s a n t e n d o la m a n o sulle i m p o s t e indir e t t e che colpivano nella stessa m i s u r a il ricco e il p o v e r o , facevano di quest'ultimo la vera vittima raschiandolo all'osso. Il sistema aveva trovato la sua più esemplare applicazione nella tassa sul macinato, rimasta in vigore a n c h e d o p o il b a g n o di s a n g u e che aveva provocato. T u t t o era stato sprem u t o , a cominciare dalle i n d e n n i t à dei Ministri e dei parla-
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m e n t a r i . E q u e s t o è un m e r i t o c h e n e m m e n o i p i ù settari paladini della Sinistra possono contestare agli u o m i n i della Destra. A n c h e se q u a l c u n o di loro fu coinvolto in scandali - p r o b a b i l m e n t e del tutto p r e t e s t u o s i -, la regola fu la più specchiata probità. E il t r a g u a r d o era stato r a g g i u n t o . La sequenza degli avvenimenti è significativa. Il 16 marzo d e l 1876 M i n g h e t t i a n n u n c i ò c h e il deficit e r a stato colm a t o . D u e giorni d o p o questo a n n u n z i o , la Destra cadeva, c o m e se le fosse v e n u t o a m a n c a r e il m o t i v o della s u a sop r a v v i v e n z a . Q u a n d o la C a m e r a t o r n ò a r i u n i r s i d o p o le elezioni che a v e v a n o c o n s a c r a t o il trionfo della Sinistra, M i n g h e t t i disse, r i v o l g e n d o s i a D e p r e t i s : «Abbiamo vinto noi. A b b i a m o straziato, se volete, c o n le i m p o s t e i c o n t r i b u e n t i , ma a b b i a m o salvato le finanze e il credito e l ' o n o r e d'Italia, e vi a b b i a m o lasciato lo stato di cose che o r a p e r m e t t e a voi di c o m p i e r e gli atti di cui vi gloriate». L'opinione pubblica salutò con dimostrazioni e l u m i n a r i e il g r a n d e evento e gli dette l ' i m p o n e n t e e i m p e g n a t i v o n o m e di «rivoluzione p a r l a m e n t a r e » . Ma i fatti si affrettarono a dim o s t r a r e che la r i v o l u z i o n e e r a p i ù nelle p a r o l e che nelle cose. E i motivi sono abbastanza evidenti. Destra e Sinistra e r a n o legate da solidarietà di fondo, più forti d i qualsiasi c o n t r a s t o . E n t r a m b e e r a n o d i e s t r a z i o n e borghese, e n t r a m b e attingevano i loro titoli morali al Risorg i m e n t o , ed e n t r a m b e e r a n o espressione della ristretta categoria di «notabili», che p r a t i c a m e n t e esercitava in esclusiva il diritto di voto. Finché d u r a v a questo assetto, che la Sinistra si g u a r d e r à b e n e p e r molti a n n i dallo sconvolgere n o n o s t a n t e la p e r e n t o r i a richiesta del suffragio u n i v e r s a l e avanzata dalla sua E s t r e m a , di rivoluzione e r a impossibile p a r l a r e . Il notabile di Sinistra che p r e n d e v a il posto di quell o d i D e s t r a e r a u n suo strettissimo p a r e n t e , q u a n d o n o n a d d i r i t t u r a la stessa p e r s o n a . Per di più già da un pezzo erano v e n u t i a c a d e r e , o si e r a n o smussati, molti dei motivi ideologici che li a v e v a n o divisi e c o n t r a p p o s t i , e che gira e
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rigira si c o m p e n d i a v a n o in questo: se l'Italia la dovesse fare il P i e m o n t e s a b a u d o col suo esercito e la sua diplomazia, o il p o p o l o in a r m i con le sue b a r r i c a t e . T u t t o il R i s o r g i m e n t o n o n e r a stato che il conflitto fra q u e s t e d u e soluzioni concorrenziali, m a a n c h e c o m p l e m e n t a r i : quella illuministica di un'Italia fatta dal Principe, cioè dall'alto; e quella rivoluzionaria di un'Italia fatta dal p o p o l o , cioè dal basso. Ma l'ult i m a battaglia d i q u e s t a g u e r r a e r a stata c o m b a t t u t a sulla q u e s t i o n e di R o m a . Risolta la quale, e così concluso il p r o cesso unitario, la polemica diventava p u r a m e n t e retrospettiva, e si trasferiva dalla sede politica a quella storica. Il p r o b l e m a n o n e r a p i ù chi dovesse fare l'Italia, ma chi l'aveva fatta. Lo si d i b a t t e a n c o r a . Lo si d i b a t t e r à s e m p r e . Ma rig u a r d a solo il retaggio m o r a l e delle d u e parti in causa. Sul piano dei p r o g r a m m i , già nel 76 aveva p e r s o g r a n p a r t e del suo significato. Ma anche su quello degl'interessi, il contrasto era sorpassato, o p e r meglio dire si presentava in m a n i e r a del tutto diversa da quella tradizionale. In seno alla Destra, che aveva s e m p r e avuto e seguitava ad avere il suo p u n t o di forza nella borghesia centro-settentrionale, si e r a n o v e n u t e s e m p r e più accentuando le spinte progressiste dei ceti mercantili e i n d u striali. M e n t r e in seno alla Sinistra, che aveva la sua roccaforte nelle borghesie meridionali, s e m p r e più si sviluppavano le resistenze conservatrici dei p r e d o m i n a n t i ceti terrieri. O g n u n o dei d u e s c h i e r a m e n t i covava i n s o m m a nel suo seno e n t r a m b e le t e n d e n z e . E infatti sui g r a n d i p r o b l e m i , c o m e quello del libero scambio, essi si e r a n o spaccati. Per questo i d u e blocchi avevano cessato di c o n t r a p p o r s i f r o n t a l m e n t e . Ma p e r questo a n c h e il passaggio del p o t e r e d a l l ' u n o all'altro n o n poteva c o m p o r t a r e t r a u m i rivoluzionari. Ciò n o n vuol d i r e che tutto restasse i m m u t a t o . Q u a l c h e c a m b i a m e n t o c'era. Ma, più che le idee e i p r o g r a m m i , rig u a r d a v a gli u o m i n i . Quelli di Destra avevano s e m p r e visto le cose da posti di responsabilità: il loro tirocinio e r a stato il p o t e r e , ch'essi a v e v a n o i n i n t e r r o t t a m e n t e esercitato p e r 123
quindici a n n i , salvo le d u e brevi p a r e n t e s i di Rattazzi (che poi era di Sinistra solo di etichetta e aveva a n c h e lui governato con u o m i n i di Destra). Militari, diplomatici, magistrati, amministratori, gli u o m i n i della Destra, a furia di stare immersi nella realtà dei p r o b l e m i concreti, spesso p e r d e v a n o di vista gl'ideali, consideravano il p o p o l o un «oggetto», e ten e v a n o verso di esso un a t t e g g i a m e n t o mescolato di p a t e r n a l i s m o , diffidenza e p a u r a . Per gli u o m i n i di Sinistra la scuola e r a stata la cospirazione; le cose le a v e v a n o s e m p r e viste dalla barricata o dal banco dell'opposizione p a r l a m e n tare; a furia di pascersi d'ideali, spesso p e r d e v a n o di vista la realtà; e mitizzavano il p o p o l o di cui si atteggiavano a direttori di coscienza. Essi n o n toccarono le istituzioni, anzi vi s'inserirono con e s t r e m a disinvoltura. Ma, p e r g r a n p a r t e infeudati alla Massoneria, furono p i ù anticlericali, p i ù avventurosi in politica estera, più audaci nel lancio delle riforme, a l m e n o sulla carta, p i ù chiassosi, d e m a g o g i c i e declamatori, p i ù massimalisti, e quindi a n c h e più esposti a tentazioni autoritarie. I n s o m m a , a subire u n a vera e p r o p r i a svolta n o n fu il «sistema», ma il suo «stile».
PARTE SECONDA
SINISTRA AL POTERE
CAPITOLO TREDICESIMO
DEPRETIS
A r i l e g g e r e ciò c h e i c o n t e m p o r a n e i dissero e scrissero di lui, viene da chiedersi c o m e fece Depretis a d o m i n a r e la scena politica m a n t e n e n d o s i quasi i n i n t e r r o t t a m e n t e al p o t e r e p e r u n a d e c i n a di a n n i . Lo stesso Cavour, c h e in un c e r t o senso lo aveva «lanciato» n o m i n a n d o l o p r i m a g o v e r n a t o r e di Brescia e poi p r o d i t t a t o r e in Sicilia, lo giudicava «un u o m o indeciso, i r r e s o l u t o , che riuscirà u n m e d i o c r i s s i m o direttore in un g r a n m o v i m e n t o politico». D e p u t a t o di Stradella, in provincia di Pavia, in gioventù aveva militato da c o s p i r a t o r e sotto la b a n d i e r a repubblicana, ma n e m m e n o Mazzini r i p o n e v a in lui g r a n fiducia. Infatti D e p r e t i s n o n p e r s e t e m p o a trasferirsi nei r a n g h i di quella Sinistra costituzionale che accettava la m o n a r c h i a , e sotto questa insegna conquistò il collegio elettorale che poi m a n t e n n e p e r q u a r a n t a n n i , fino alla m o r t e . Da allora la sua casa e la sua vita f u r o n o il b a n c o d e l P a r l a m e n t o , della cui meccanica d i v e n n e in b r e v e il p i ù a g g u e r r i t o e s p e r t o . Nessuno conosceva meglio di lui la tecnica delle mozioni e delle interpellanze, i cavilli di p r o c e d u r a , il groviglio dei corridoi, i p u n t i d ' i n c o n t r o dietro le quinte. E n e s s u n o sapeva meglio di lui orientarvisi e profittarne. Fu grazie a questa maestria di tessitore ch'egli d i v e n n e il capo riconosciuto dell'opposizione democratica, n o n c e r t o per le sue mediocri qualità oratorie, e m e n o a n c o r a p e r l'audacia e la fantasia delle sue concezioni politiche. Forse egli avversò il famoso «connubio» fra C a v o u r e Rattazzi più p e r motivi di p o t e r e che p e r ragioni ideologiche. C o n d a n n a n d o quella o p e r a z i o n e , emarginava Rattazzi, c h ' e r a il suo più pe-
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ricoloso e a u t o r e v o l e rivale, e restava p a d r o n e della Sinistra. Q u e s t o n o n gl'impedì di accettare incarichi da Cavour, che sapeva servirsi di tutti, a n c h e dei nemici. Ma né a Brescia né a P a l e r m o fece g r a n figura. Fuori del P a r l a m e n t o e delle sue m a n o v r e e «combinazioni», si sentiva spaesato. E anche le sue esperienze di g o v e r n o e r a n o state piuttosto infelici. C e r t a m e n t e egli n o n ebbe n e s s u n a responsabilità nel «fattaccio» di A s p r o m o n t e . Ma a n c h e lui ne fu travolto come Ministro dei Lavori Pubblici del g o v e r n o in carica. T o r n ò a farne p a r t e n e l '66 c o n Ricasoli, e stavolta gli a n d ò a n c h e p e g g i o . C o m e Ministro della Marina, toccò a lui a n d a r e ad A n c o n a p e r s p i n g e r e all'azione l'indeciso e svogliato Persan o . L'ordine e r a di Ricasoli, e Depretis n o n ne fu che il messaggero. Ma sia p u r e solo c o m e tale, il disastro di Lissa coinvolse a n c h e lui. A n c h e il Re aveva scarsa o p i n i o n e di Depretis. Ma probabilmente fu p r o p r i o questo il motivo p e r cui n o n fu affatto t u r b a t o dall'obbligo di affidargli, c o m e capo dell'opposizione che aveva rovesciato Minghetti, l'incarico del n u o v o Gov e r n o . La sconfitta della D e s t r a n o n gli dispiaceva affatto. Essa n o n gli aveva fornito che dei C a v o u r e dei Ricasoli, cioè degli uomini che n o n si e r a n o mai prestati ai suoi giuochi di politica personale, anzi li avevano s e m p r e risolutamente avversati. Ecco p e r c h é aveva s e m p r e trescato con la Sinistra, e o r a sperava che questa gli desse, con Depretis, un altro Rattazzi. P r o b a b i l m e n t e D e p r e t i s , che - diceva Petruccelli della G a t t i n a - «affabile, p i a g g i a t o r e , famigliare c o n tutti, p r o m e t t e s e m p r e , p r o m e t t e tutto», p r o m i s e molto a n c h e a lui, c o m e del resto era nel suo stile. C o m e m a n i p o l a t o r e di uom i n i , n o n aveva rivali. Q u a n d o l o a c c u s a v a n o d i s a p e r n e sfruttare p i ù i difetti che le virtù, egli non r i s p o n d e v a che i difetti degli u o m i n i sovrastano di g r a n l u n g a le virtù, p e r ché questo avrebbe p o t u t o farglieli nemici. Ma c e r t a m e n t e lo pensava. «Amico delle spie e dei ladri» lo definì un giornale. «Il divo B u d d a » lo chiamava B e r t a n i . E di questi n o -
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mignoli si potrebbe compilare un interminabile elenco. «Giano bifronte», «Caino», «il clown», «il volpone», «il m a go», «l'affondatore». La sua vocazione, incalzava l'implacabile Petruccelli, è «crear dissensi, scompigliare partiti, gualcire caratteri. Egli è n a t o malfattore politico, c o m e si nasce poeta o ladro». E Silvio Spaventa, p e r p r e n d e r n e le difese, n o n trovò nulla di meglio che p a r a g o n a r l o a «un cesso, che resta pulito, sebbene ogni i m m o n d e z z a vi passi». Sotto questa g r a g n u o l a di dileggi e di accuse, Depretis rimase s e m p r e i m p e r t u r b a b i l e . Egli n o n r u p p e mai con coloio che glieli lanciavano, n e m m e n o q u a n d o essi r o m p e v a n o con lui. La sua pazienza era inesauribile. La p e r s e u n a volta sola q u a n d o in u n a discussione alla C a m e r a i n t e r r u p p e un c o n t r a d d i t t o r e che parlava a vanvera esclamando: «Che bestialità!»; ma se ne p e n t ì subito e gliene chiese scusa. BarziIai diceva c h ' e r a «invaso dal d è m o n e della p r o c r a s t i n a z i o ne». E Salvemini racconta che un giorno, i n d i c a n d o le carte che si accatastavano sul suo tavolo, Depretis disse: « O g n u n a d i queste p r a t i c h e dovevo d e c i d e r l a e n t r o v e n t i q u a t t r ' o r e , se n o n volevo m a n d a r e in rovina l'Italia. Le v e n t i q u a t t r ' o r e son passate, la pratica è s e m p r e lì, e l'Italia va avanti lo stesso». C o m e tutti gli scettici, senza illusioni sugli u o m i n i , a cominciare da se stesso, aveva anche un certo u m o r i s m o , sebb e n e n e facesse u n o sfoggio moderatissimo. Q u a n d o u n dep u t a t o gli disse che, «maestro in tutto, egli lo era a n c h e nell'arte di a n d a r piano», rispose: «Ho la gotta». Se l'avesse ver a m e n t e , n e s s u n o lo ha mai s a p u t o con certezza. Si sa solo che della gotta si ricordava soprattutto q u a n d o si trovava in qualche situazione difficile. Alla vigilia, p e r e s e m p i o , di un voto di fiducia - quello da cui d i p e n d e la sopravvivenza di un Ministero - dall'esito incerto, si p r e s e n t a v a alla C a m e r a zoppicante, tossicoloso e con l'aria d ' u n p o v e r o valetudinario o r m a i allo s t r e m o . D i c e v a n o p e r f i n o c h e p e r a p p a r i r e più vecchio si tingeva la b a r b a di bianco. I caricaturisti se ne facevano u n a pacchia, r a p p r e s e n t a n d o l o c o m e il «Vecchio della M o n t a g n a » , e giornali satirici, con d u b b i o gusto, n o n 129
e s i t a v a n o a s p e c u l a r e sul fatto c h e sua m o g l i e avesse t r e n t ' a n n i m e n o di lui. Fra le t a n t e accuse che gli v e n n e r o lanciate ci fu a n c h e quella di r u b a r e . Ma questo n o n lo cred e t t e n e s s u n o , forse n e a n c h e chi lo aveva d e t t o . Da Presid e n t e del Consiglio, egli c o n t i n u ò a vivere in un a p p a r t a m e n t o c h ' e r a poco p i ù di u n a soffitta da conquistare, gotta o n o n gotta, con centoventi scalini; e q u a n d o m o r ì , n o n lasciò u n a lira. Pareto chiamò il suo r e g i m e «la dittatura più assoluta che sia possibile in u n o Stato a r e g i m e p a r l a m e n t a r e » , e c'è del vero. Egli n o n assunse mai atteggiamenti autoritari: n o n era nella sua n a t u r a . Ma n o n c'è d u b b i o che esercitò il p o t e r e c o n u n a tecnica che lasciava p o c o spazio a l l ' o p p o s i z i o n e . Questa tecnica è passata alla Storia col n o m e un p o ' spregiativo di trasformismo, ma di n u o v o c'era a p p u n t o soltanto il n o m e . Anche Cavour l'aveva praticata, e del resto era quella che meglio conveniva alla classe politica italiana. Depretis illustrò il suo m e t o d o con queste parole: «Mentre si e r a soliti dire c h e il g o v e r n o r a p p r e s e n t a v a un partito, noi intendiamo invece g o v e r n a r e nell'interesse di tutti, ed accetteremo l'appoggio di tutti gli u o m i n i onesti e leali, a qualsiasi g r u p po a p p a r t e n g a n o » . In p a r o l e p o v e r e ciò significava che n o n d o v e v a n o p i ù esserci divisioni p r e c o n c e t t e , c h e i vecchi g r u p p i p o t e v a n o sciogliersi p e r d a r e avvìo a n u o v e coalizioni e m a g g i o r a n z e , e c h e i n s o m m a o g n i n e m i c o p o t e v a trasformarsi in a m i c o (ma a n c h e viceversa). «Io s p e r o - disse Depretis - che le mie p a r o l e p o t r a n n o facilitare quella concordia, quella feconda trasformazione delle parti liberali della C a m e r a , che v a r r a n n o a costituire quella t a n t o invocata e salda maggioranza, la quale, ai n o m i storici tante volte abusati e forse i m p r o v v i d a m e n t e scelti dalla t o p o g r a f i a della C a m e r a , sostituisce p e r p r o p r i o s e g n a c o l o u n a idea c o m prensiva, vecchia c o m e il m o t o , c o m e il m o t o s e m p r e n u o va: il progresso.» C o n questo a p p e l l o all'abbraccio e c u m e n i c o in n o m e di un ideale che n e s s u n o poteva d e c e n t e m e n t e rifiutare a prio-
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ri, Depretis i n t e n d e v a ripristinare quella p a t e r n a «dittatura p a r l a m e n t a r e » , basata sull'autorità e sul prestigio di alcuni g r a n d i «notabili» coi loro seguiti e clientele, e sulle l o r o «combinazioni», c h ' e r a stato a n c h e il m e t o d o di Cavour. Ma se Cavour vi e r a ricorso c o m e ripiego, p e r Depretis fu invece u n a vocazione e u n a professione. A p a r t e le d u e Estreme - quella reazionaria di Destra e quella radicale-repubblicana di Sinistra -, che poi e r a n o d u e esigue m i n o r a n z e , sotto di lui i partiti si dissolsero, ma con essi si dissolsero a n c h e i g r a n d i princìpi ideologici su cui si f o n d a v a n o . Alla vecchia « g u e r r a di religione» fra m o d e r a t i e democratici si sostituì lo spirito di c o m p r o m e s s o che r e n d e v a tutto fluido e n e g o ziabile, ma a n c h e facilmente corruttibile. D o p o a n n i di q u e sta pratica, Crispi dirà: «Bisognerebbe v e d e r e il p a n d e m o nio di M o n t e c i t o r i o q u a n d o si avvicina il m o m e n t o di u n a s o l e n n e votazione. Gli agenti del Ministero c o r r o n o p e r le sale e pei c o r r i d o i , o n d e a c c a p a r r a r e voti. Sussidi, d e c o r a zioni, canali, ponti, strade, tutto si p r o m e t t e , e talora un atto di giustizia, l u n g a m e n t e n e g a t o , è il prezzo del voto p a r lamentare». Era vero. Ma c o n t i n u ò ad esserlo a n c h e d o p o che al potere fu salito Crispi. Depretis formò il suo p r i m o g o v e r n o con u o m i n i esclusivam e n t e di Sinistra. Ma siccome questa n o n aveva la maggioranza, se la c o m p r ò d a n d o soddisfazione sul p r o b l e m a delle ferrovie a quei g r u p p i della C o n s o r t e r i a che, r o m p e n d o il fronte della Destra, gli avevano dato la vittoria su Minghetti. Il p r o b l e m a delle ferrovie era - c o m e abbiamo già detto quello del loro esercizio. Si doveva finalmente d e c i d e r e se esso doveva essere a s s u n t o dallo Stato o affidato a società p r i v a t e con cui e r a n o già state avviate trattative. C e n t r o e C o n s o r t i e r a n o p e r la s e c o n d a alternativa, m e n t r e la Sinistra storica e r a p e r la p r i m a . Fra gli u n i e l'altra, D e p r e t i s r a g g i u n s e un c o m p r o m e s s o . Egli fece i n g h i o t t i r e alla Sinistra la tesi privatistica, p r o m e t t e n d o l e in cambio lo sciogli-
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m e n t o della C a m e r a e le n u o v e elezioni ch'essa reclamava. Egli stesso si r e n d e v a conto che senza u n a m a g g i o r a n z a stabile e r a impossibile g o v e r n a r e . Ma n o n tutti i suoi colleghi la p e n s a v a n o c o m e lui. Il Ministro d e g l ' I n t e r n i N i c o t e r a p r e f e r i v a la s i t u a z i o n e a t t u a l e p e r c h é , essendosi s p o s t a t o verso il C e n t r o , meditava di f o r m a r e con esso u n a maggior a n z a sua p r o p r i a con cui scalzare Depretis e p r e n d e r n e il posto. Ma con queste operazioni si poteva s o r p r e n d e r e un Ricasoli, n o n un Depretis, che ne era egli stesso m a e s t r o , e che p r o b a b i l m e n t e sciolse la C a m e r a a n c h e p e r m e t t e r s e n e al r i p a r o . Il Re n o n fece obbiezioni, le elezioni furono indette p e r il 5 n o v e m b r e ( s e m p r e del '76), e Depretis i n a u g u r ò la c a m p a g n a elettorale con un discorso ai suoi fedeli di Stradella in cui svolse e fissò i p u n t i p r o g r a m m a t i c i della Sinistra: abolizione del corso forzoso, riforma tributaria, allarg a m e n t o del c o r p o elettorale, istruzione e l e m e n t a r e obblig a t o r i a , elettività dei sindaci e dei p r e s i d e n t i dei consigli provinciali che fin allora e r a n o di n o m i n a governativa. Stavolta l ' e l e t t o r a t o r i s p o s e con un c e r t o slancio. Dei 600.000 iscritti nelle liste, a n d ò alle u r n e quasi il 60 p e r cento: che n o n era m o l t o , ma e r a già qualcosa. Su questo successo, più c h e il r i c h i a m o delle riforme a n n u n c i a t e da Dep r e t i s , influì l'azione di N i c o t e r a . Fin all'ultimo ostile alle elezioni, q u a n d o queste furono b a n d i t e , come Ministro deg l ' I n t e r n i n o n gli restava che vincerle. A cose fatte, gli avversari lo a c c u s a r o n o di n o n a v e r b a d a t o ai mezzi, ed e r a vero. Specie nel suo Sud, mobilitò mafie, c a m o r r e e clientele, i n t i m i d e n d o gli avversari e c o m p r a n d o con d i s p e n s e e favori governativi tutto ciò che c'era di comprabile, e Dio sa se ce n ' è . S p a v e n t a p a r l ò di « t e r r o r e a m m i n i s t r a t i v o » e di «Stato ridotto a u n a mostruosa macchina elettorale». E vero che la Destra, q u a n d o era al potere, lo aveva usato pressapp o c o allo stesso m o d o . Ma è a l t r e t t a n t o v e r o che, p e r conquistarlo, la Sinistra aveva p r o m e s s o di «moralizzare» la sua gestione. I m e t o d i che vi aveva i n t r o d o t t o Nicotera forniva132
no b u o n i a r g o m e n t i a chi diceva che «la Sinistra n o n è che u n a D e s t r a p e g g i o r a t a » . Ma i risultati n o n e r a n o m a n c a t i . La Sinistra uscì dal c o n f r o n t o con 4 0 0 d e p u t a t i , la D e s t r a con 120. Solo C a v o u r nel '61 aveva o t t e n u t o u n a vittoria altrettanto schiacciante. L'unico c h e n o n si lasciò a c c e c a r e d a l l ' e n t u s i a s m o p e r questo trionfo fu Depretis. Egli sapeva benissimo q u a n t o il suo partito fosse e t e r o g e n e o , m i n a t o da discordie ideologiche e da rivalità personali. G u i d a t o da Bertani e Cavallotti, il piccolo ma r u m o r o s o g r u p p o della E s t r e m a , in cui c o n fluivano i resti mazziniani e garibaldini del vecchio «partito d'azione», r a p p r e s e n t a v a u n a vera e p r o p r i a dissidenza radicale, dotata di poco seguito, ma di forte credito morale. E quasi altrettanto a u t o n o m a era la cosiddetta «Sinistra pura» di Crispi, Cairoli e Zanardelli. Di quali forze disponesse era impossibile d i r e p e i x h é esse si s p o s t a v a n o c o n t i n u a m e n t e da u n a «corrente» all'altra secondo le circostanze e le convenienze. E p r o p r i o di questo era conscio Depretis che subito, p e r p r e v e n i r e colpi a s o r p r e s a , c e r c ò u n a c o l l a b o r a z i o n e con gli elementi di Destra più disposti all'intesa. Ancora u n a volta li favorì sulla q u e s t i o n e delle ferrovie a p p a l t a n d o l e a un p o t e n t e g r u p p o di b a n c h e italiane e s t r a n i e r e . Ma q u e sto gli provocò nel partito u n a mezza rivolta. Zanardelli, Ministro dei Lavori Pubblici, d i e d e le dimissioni, B e r t a n i e Cairoli uscirono dalla maggioranza, e della Sinistra p u r a rimase con Depretis il solo Crispi, ma in cambio del Ministero degl'Interni. Il p o s t o e r a v a c a n t e p e r c h é N i c o t e r a e r a scivolato sulla «gamba di Vladimiro» un episodio ridicolo, ma che rivelava il carattere d e l l ' u o m o . Un p r i n c i p e russo di stanza a R o m a aveva r i c e v u t o d a l suo Paese un t e l e g r a m m a in cui un tal Alessandro gli c o m u n i c a v a che il figlio V l a d i m i r o era stato ferito a u n a g a m b a . Nicotera aveva c r e d u t o c h e il m i t t e n t e fosse lo zar Alessandro che dava notizia di un attentato contro il figlio V l a d i m i r o e, p r i m a che al d e s t i n a t a r i o , la fece comunicare ai giornali che la pubblicarono con grandissimo 133
rilievo. Essa fu subito smentita, ma confermò quello che già si sapeva: e cioè che il Ministro d e g l ' I n t e r n i violava sistemat i c a m e n t e il s e g r e t o telegrafico. L ' i n d i g n a z i o n e fu tale e - quel che è peggio - condita di tali risate e corbellature che Nicotera dovette a n d a r s e n e . D e p r e t i s n o n ne fu dispiaciuto. La g a m b a di V l a d i m i r o gli forniva u n a b u o n a scusa p e r liberarsi di un collaboratore infido e p e r a m m a n s i r e u n pericoloso rivale. Ma, a p p e n a a s s u n t a la carica, a n c h e Crispi fu v i o l e n t e m e n t e attaccato p e r bigamia e dovette a sua volta dimettersi. P r o p r i o allora il c a n d i d a t o governativo alla Presidenza della C a m e r a venne b a t t u t o da Cairoli. La Destra aveva cominciato a dilaniarsi d o p o a n n i di p o t e r e . Alla Sinistra e r a n o bastati pochi m e si. E Depretis, il navigatore abituato più a evitare che ad aff r o n t a r e la t e m p e s t a , p r e f e r ì a s p e t t a r e c h e si placasse ritirandosi in b u o n o r d i n e . A n c h e p e r c h é nel frattempo e r a acc a d u t o qualcosa c h e p o t e v a r i m e s c o l a r e t u t t e l e c a r t e del giuoco: Vittorio E m a n u e l e e r a m o r t o , e sul suo t r o n o o r a sedeva un altro Re, di cui n e s s u n o conosceva il carattere e le intenzioni.
CAPITOLO QUATTORDICESIMO
IL MARITO DI MARGHERITA
Il 5 g e n n a i o del '78 scomparve a Firenze u n o dei maggiori protagonisti del R i s o r g i m e n t o , il g e n e r a l e La M a r m o r a . Il Re voleva mettersi in t r e n o p e r p a r t e c i p a r e ai suoi funerali e p o i p r o s e g u i r e p e r la M a n d r i a a visitarvi la Rosina, a n ch'essa m a l a t a . Ma n o n ce la fece. Da un p a i o di g i o r n i si sentiva i brividi nelle ossa, e alla fine aveva d o v u t o mettersi il t e r m o m e t r o : t r e n t a n o v e . Sulla n a t u r a del male, i medici n o n ebbero dubbi: b r o n c o p o l m o n i t e . Ma la p r o g n o s i era favorevole: Vittorio E m a n u e l e n o n aveva c h e c i n q u a n t o t t o anni ed era di fibra robusta. Viceversa, d o p o un lieve m i g l i o r a m e n t o iniziale, il suo stato precipitò, e il Papa incaricò un M o n s i g n o r e di farsi int r o d u r r e dal cappellano di Corte presso l'infermo. N o n si è mai s a p u t o di q u a l e m e s s a g g i o fosse l a t o r e . Ma e v i d e n t e m e n t e il cappellano temette che la C u r i a volesse m e r c a n t e g giare l'assoluzione condizionandola a qualche ritrattazione politica, e si sottrasse all'incombenza. Q u a n d o il medico gii chiese se voleva v e d e r e il confessore, il Re lo fissò c o n un piccolo trasalimento di s t u p o r e , ma n o n di p a u r a . «Ho capito» disse, e fece e n t r a r e il cappellano. Questi rimase con lui u n a ventina di minuti, poi a n d ò alla parrocchia di San Vincenzo p e r p r e n d e r e il viatico. Il p a r r o c o disse che n o n e r a autorizzato a darglielo, e p e r r i m u o v e r e la sua resistenza occorse l'intervento del Vicario. Cosa p o i sia successo fra costui, la Curia, il p a r r o c o e il cappellano, n o n sappiamo. Il Re r i m a s e p r e s e n t e a se stesso fino all'ultimo, e volle morire da Re. Rantolante, si fece t r a r r e sui cuscini, si b u t t ò sulle spalle u n a giacca grigia da caccia, e lasciò sfilare ai pie-
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di del letto tutti i dignitari di Corte salutandoli u n o p e r u n o con un c e n n o di testa. Infine chiese di restar solo con Umb e r t o e Margherita, ma all'ultimo m o m e n t o fece i n t r o d u r r e nella c a m e r a a n c h e il figlio c h e aveva a v u t o dalla Rosina, E m a n u e l e di Mirafiori, e p e r la p r i m a volta costui si trovò di fronte a U m b e r t o che n o n aveva mai voluto incontrarlo. Era il 9 gennaio. «Il v a n t a g g i o che ha un Re m o r e n d o - scrive Alfassio Grimaldi - è di n o n dover ascoltare le poesie che, a salma ancora calda, s p u n t a n o c o m e funghi.» E infatti l'Italia ne fu alluvionata. «E m o r t o il p i ù valoroso dei Maccabei, è m o r t o il leone d'Israele, è m o r t o il veltro dantesco, è m o r t a la provv i d e n z a della n o s t r a casa. P i a n g e t e , o c e n t o città d'Italia! P i a n g e t e a singhiozzo, o cittadini!...» scriveva // Piccolo di Napoli. Ma di questa istigazione alla prèfica n o n c'era bisog n o , p e r c h é gl'italiani p i a n g e v a n o davvero, e n o n soltanto quelli di fede monarchica. «Chi sapeva, o g r a n Re, di a m a r ti tanto?» si chiedeva Fabio Nannarelli. Perfino Cavallotti si commosse, e scrisse u n a lettera a U m b e r t o . La s t a m p a s t r a n i e r a fu quasi a l t r e t t a n t o u n a n i m e . Solo quella a u s t r i a c a a v a n z ò q u a l c h e riserva. S e c o n d o la Neue Prete Presse, «nessun Principe fu più fortunato di lui, ch'ebb e i n r e g a l o u n a m e t à d e l suo R e g n o dagli alleati, l'altra m e t à dai sudditi», e il Morgen Post p r o p o s e d ' i n c i d e r e sulla sua t o m b a q u e s t o epitaffio: «Qui giace u n Re, cui t u t t o t o r n ò vantaggioso, a n c h e le disfatte». Ma a p a r t e queste voci viennesi, le c a m p a n e r i n t o c c a r o n o a gloria in t u t t o il m o n d o , e anche il giornale della Curia, POsservatore romano, cercò a m o d o suo d'intonarsi al coro scrivendo che «il Re ha ricevuto i Santi Sacramenti d i c h i a r a n d o di d o m a n d a r e p e r d o n o al P a p a dei torti di cui s'era reso responsabile». HAgenzia Stefani s m e n t ì i m m e d i a t a m e n t e . La C u r i a s m e n t ì la smentita. E i giornali laici insorsero a u n a voce d a n d o al Papa di «avvoltoio» e accusandolo di «infame speculazione sul segreto confessionale». Così quella che avrebbe p o t u t o esse-
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re un'occasione di distensione, diventò un e n n e s i m o motivo di rissa. Un'altra polemica scoppiò p e r la sepoltura. C e r t a m e n t e il defunto avrebbe voluto essere t u m u l a t o a S u p e r g a , e Sup e r g a voleva la C o r t e , c o m p o s t a quasi e s c l u s i v a m e n t e di piemontesi. Ma Crispi disse: «II Pantheon», e questo grido, riecheggiato da R o m a e da tutta l'Italia, diventò a d d i r i t t u r a travolgente q u a n d o il Vaticano, con insigne malaccortezza, dichiarò che n e s s u n a delle q u a t t r o g r a n d i basiliche e r a disponibile p e r le esequie. A U m b e r t o n o n restò che accettare la sfida e inchinarsi alla voce p o p o l a r e . Fatta p e r gli spettacoli, R o m a - a detta di Massari - «non vide mai un trionfo di vivo p i ù s o l e n n e di quello del m o r to». All'alba, a n c h e i tetti e r a n o già gremiti di folla. I t r e n i ne avevano riversata a fiotti da tutta Italia. Oltre tremila deputazioni e tutte le associazioni combattentistiche e patriottiche e r a n o presenti con le loro b a n d i e r e . Fra d u e massicce ali di t r u p p a schierate l u n g o tutto il percorso, il corteo p r e se avvìo dal Quirinale. La salma imbalsamata e r a distesa su un c a r r o d o r a t o tirato da otto cavalli e p r e c e d u t o dal p r i m o aiutante di c a m p o che portava, con la p u n t a a p p o g g i a t a alla sella, la s p a d a del Re, g l o r i o s a m e n t e a m m a c c a t a . A p p a r t e n u t a a l G e n e r a l e francese M a s s é n a , quella s p a d a p o r t a v a sulla lama la scritta: «Viva la Repubblica Italiana!» Seguiva, parato a lutto, il cavallo arabo che Vittorio E m a n u e l e aveva m o n t a t o a Palestra e a San M a r t i n o , o r m a i u l t r a t r e n t e n n e . Dietro, su un baldacchino, la C o r o n a Ferrea. Poi, i Principi stranieri calati a frotte, fra i q u a l l'Arciduca R a n i e r i d'Austria e Federico Guglielmo di Prussia. E il c o r p o diplomatico al completo. E tutti i dignitari del R e g n o in gibus e m a r sina. Di preti, d u e soli: il cappellano, e un altro che Io aspettava al P a n t h e o n p e r insultarlo d a n d o g l i di «venduto». Il compito che aspettava il n u o v o Re n o n e r a dei p i ù facili. Se suo p a d r e fosse stato davvero «un gigante», è tuttora controverso. Ma tale e r a a p p a r s o alla m a g g i o r a n z a degl'italiani. 137
E ciò faceva sì ch'egli lasciasse un vuoto a n c o r a più g r a n d e d e l p o s t o c h e aveva o c c u p a t o . Per r i e m p i r l o , ci voleva un u o m o di stazza, e a U m b e r t o n o n ne veniva attribuita molta. Anni p r i m a , d o p o un colloquio con lui, Silvio Spaventa aveva scritto al fratello B e r t r a n d o : «Il male positivo è che il giovane è p u r t r o p p o i g n o r a n t e . Ha fatto r e g o l a r m e n t e gli studi di scuola, c o m p r e s o il diritto costituzionale insegnatogli da Mancini, ma d o p o la scuola n o n ha fatto altro e n o n fa altro, e n o n mi p a r e abbia voglia di altro». In c o m u n e col p a d r e , sembrava avere solo il genetliaco: a n c h e lui era n a t o il 14 m a r z o (del '44). Ma se un p o ' lo ricordava nel fisico atticciato, nel carattere n o n gli somigliava affatto. Alla disciplina da caserma che vigeva in Casa Savoia si e r a piegato senza resistenze, e di tenerezze n o n aveva ric o r d o . La m a d r e n o n aveva t e m p o di occuparsi di lui perc h é , spossata dalle g r a v i d a n z e , e r a s e m p r e malata, e lo lasciò orfano q u a n d o aveva undici anni. Il p a d r e n o n lo vedeva quasi mai p e r c h é i sentimenti p a t e r n i Vittorio E m a n u e l e li sfogava solo sui figli che gli aveva dato la bella Rosina: per quelli legittimi n o n aveva n e s s u n t r a s p o r t o . L'unica a rivolgergli qualche attenzione e r a la n o n n a Maria Teresa, la vedova di Carlo Alberto. Ma lo faceva da « m u m m i a a m b u l a n te» c o m e la definiva il suo fedelissimo Morozzo della Rocca, «sola, seria, stecchita». E p p o i a n c h e lei m o r ì quasi c o n t e m p o r a n e a m e n t e alla n u o r a . Da quel m o m e n t o , m e n t r e le d u e sorelle (Clotilde e Maria Pia) r e s t a v a n o a T o r i n o , U m b e r t o e i suoi t r e fratelli (Amedeo, O d d o n e e Carlo Alberto) f u r o n o istallati a Moncalieri, affidati alla pedagogia di un folto stuolo di preti e di militari, e sottoposti alle solite r e g o l e s p a r t a n e di Casa Savoia: sveglia alle 5, m e s s a alle 6, e c o m p i t i e p r e g h i e r e , e p r e g h i e r e e c o m p i t i fino alle 2 1 . O g n i t a n t o , ma solo ogni t a n t o , il Re li convocava p e r un frettoloso saluto: la sua vera casa e r a la Mandria, dove Rosina gli cavava gli stivali, gli tagliava le u n g h i e dei piedi - che poi metteva sotto teca come cimeli -, gli caricava la p i p a di maiolica, e gli p r e p a r a v a la 138
b a g n a c a u d a , m e n t r e lui giocherellava coi suoi b a s t a r d i n i , d i cui e r a orgogliosissimo: « G u a r d a t e c o m e v e n g o n b e n e - diceva a tutti -, q u a n d o si mescola il nostro s a n g u e a quello del popolo!» D o p o la proclamazione dell'unità, C a v o u r volle che l'erede al t r o n o si facesse conoscere, e lo m a n d ò in giro coi fratelli p e r tutta Italia. U m b e r t o aveva diciassette a n n i e i famosi baffi n o n se li e r a ancora fatti crescere, ma già portava i capelli «alla Umberto», cioè tagliati corti a spazzola. I sudditi n o n lo t r o v a r o n o m o l t o a t t r a e n t e p e r via delle l a b b r a cascanti e della bocca socchiusa, c o m e se soffrisse di adenoidi, che dava al suo volto un'espressione un p o ' ebete. Per di più u n a faringite, che i medici n o n avevano s a p u t o c u r a r e , gli aveva a r r u g g i n i t o le c o r d e vocali e lasciato u n a voce cavernosa, c h e s e m b r a v a iraconda a n c h e q u a n d o p r o n u n z i a va parole gentili. Sebbene di p a r o l e gentili ne dicesse molte e stesse s e m p r e al suo posto, tutti gli p r e f e r i v a n o A m e d e o , molto più discolo, ma a n c h e molto più s p o n t a n e o e spiritoso. E a q u a n t o p a r e lo preferiva a n c h e il p a d r e , che n o n cessò mai di b r i g a r e p e r p r o c u r a r e un t r o n o a n c h e a lui e alla fine glielo trovò in Spagna, ma solo a titolo provvisorio. Q u a n d o fece il suo giro, U m b e r t o e r a già c o l o n n e l l o e, da b u o n Savoia, lo e r a dalla testa ai p i e d i . Se di q u a l c h e ideale fu capace, p e r tutta la vita accarezzò quello di diventare u n g r a n d e c o n d o t t i e r o m a senza l e r o m a n t i c h e r i e d a crociato medievale di suo n o n n o , né il trascinante slancio di suo p a d r e . La sorte lo deluse fornendogli occasione di gloria u n a volta sola: a Custoza nel '66. C o n t r o il p a r e r e di cortigiani e ministri, Vittorio E m a n u e l e aveva voluto che tutti i suoi figli, legittimi e illegittimi, scendessero in c a m p o a n c h e a costo di lasciare il t r o n o senza e r e d i . E p o c o ci m a n c ò . Amedeo r i p o r t ò u n a ferita al v e n t r e . E U m b e r t o , G e n e r a l e di Divisione, p e r essersi spinto t r o p p o avanti p e r riconoscere il t e r r e n o , a un c e r t o p u n t o si t r o v ò investito da u n o s q u a d r o n e di Ulani, e fece a p p e n a in t e m p o a r i e n t r a r e fra i suoi e a disporli in difesa. 139
Q u e s t o famoso « q u a d r a t o di Villafranca» doveva diventare la pacchia di tre generazioni di poeti di corte, e i poeti italiani sono quasi tutti di corte. Fossero veri tutti i gesti e le p a r o l e che agiografi e memorialisti i m p r e s t a r o n o p e r quell'occasione a U m b e r t o , l'episodio a v r e b b e d o v u t o d u r a r e q u a l c h e g i o r n o . I n v e c e d u r ò solo m e z z ' o r a , ma il giovane p r o t a g o n i s t a vi si c o n d u s s e r e a l m e n t e b e n e , con tranquillo c o r a g g i o . Esso gli valse la m e d a g l i a d ' o r o , n o n c h é la G r a n C r o c e dell'Aquila Rossa e quella dell'Aquila N e r a da p a r t e dell'alleato p r u s s i a n o . Ma s o p r a t t u t t o gli valse u n a certa sicurezza di sé e fu p e r questo che U m b e r t o n o n lo dimenticò mai. I r e d u c i di Villafranca d i v e n t a r o n o i suoi beniamini, li favorì in tutti i m o d i , e di un solo pittore - lui che di pittura n o n capiva nulla - ebbe stima, Fattori, p e r c h é aveva r a p p r e s e n t a t o la scena di quella battaglia e gli aveva d e t t o , m e n t e n d o , che vi aveva partecipato a n c h e lui. L'anno d o p o il p a d r e decise di dargli moglie, e la prescelta fu u n ' A r c i d u c h e s s a di quella dinastia A s b u r g o L o r e n a presso la quale i Savoia n o n avevano mai smesso di rifornirsi. Ma il p r o g e t t o a n d ò in fumo, e n o n in senso figurato. Per un b a n a l e i n c i d e n t e gli abiti della Principessa p r e s e r o fuoco, e la ragazza m o r ì bruciata. Per U m b e r t o n o n fu un trauma p e r c h é n o n l'aveva m a i vista. Ma b i s o g n ò p e n s a r e a un'altra. E in quel m o m e n t o , come a p p a r e da u n a lettera di Clotilde a La M a r m o r a che l'aveva incaricata d'inventariare le varie possibilità, le Case r e g n a n t i e r a n o piuttosto a corto di m a t e r i a l e p r e g i a t o . Fu M e n a b r e a c h e s u g g e r ì al Re u n a s o l u z i o n e in famiglia: M a r g h e r i t a , la figlia o r f a n a del suo prediletto fratello F e r d i n a n d o , Duca di Genova. Il Re d a p p r i n c i p i o rifiutò r e c i s a m e n t e . C o n la cognata, Elisabetta di Sassonia, aveva r o t t o in m a n i e r a c l a m o r o s a , q u a n d o aveva saputo che costei aveva sposato morganaticam e n t e u n m a g g i o r e d i artiglieria senza blasone. D o p o u n a violenta scenata, aveva fatto r a d i a r e il Maggiore dall'esercito e confinato Elisabetta a Belgirate p o r t a n d o l e via il figlio e lasciandole solo la figlia. Ma secondo D'Ideville c'era anche
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dell'altro. Vittorio E m a n u e l e aveva s e m p r e subito il fascino della cognata, che ne aveva da v e n d e r e e che, rimasta vedova, aveva sognato di farsi sposare da lui. II Re si e r a sottratto c o n s i d e r a n d o l o quasi un incesto. Ma era rimasto segretam e n t e i n n a m o r a t o di lei, e a r e n d e r l o così spietato nei suoi confronti s a r e b b e stata a n c h e la gelosia. Ma questi e r a n o soltanto pettegolezzi di Corte. C o m u n q u e , d o p o a v e r r e s p i n t o il s u g g e r i m e n t o di Men a b r e a , il Re ci r i p e n s ò e volle a n d a r e di p e r s o n a a v e d e r e la n i p o t e , che r i c o r d a v a b a m b i n e t t a . O r a essa aveva sedici anni, e la trovò che ricopiava certi autografi di un a n t e n a t o Savoia. Q u e s t o lo colpì quasi q u a n t o la sua avvenenza. «A l'è d'mè sang», è p r o p r i o del mio sangue, esclamò soddisfatto. E q u a n d o s e p p e ch'essa stava p e r fidanzarsi con Carlo di Romania, pose fine a g l ' i n d u g i . «Vieni, ti ho trovato la sposa» scrisse al figlio. T r e giorni d o p o il P r e s i d e n t e del Consiglio diede l'annunzio ufficiale alla C a m e r a . Le nozze furono celebrate il 21 aprile del '68. E si svolsero a Torino, forse p e r darle l'illusione di essere a n c o r a u n a capitale. Per l'ultima volta la città s a b a u d a assistè a un c o r t e o di teste c o r o n a t e . Ma fu la sola a festeggiarle. In tutto il resto del Paese il p o polino faceva a s c h i o p p e t t a t e coi g e n d a r m i p e r p r o t e s t a r e contro la tassa sul macinato, e negli obitori c'erano 250 m o r ti, 1.000 feriti negli ospedali, e 4.000 nuovi ospiti nelle p r i gioni. U m b e r t o aveva accettato p e r c h é n o n p o t e v a r i f i u t a r e . Come e r e d e al t r o n o , il suo p r i m o d o v e r e era quello di mettere al m o n d o un altro e r e d e al t r o n o . Ma la d o n n a con cui gii sarebbe piaciuto farlo, n o n e r a Margherita. Chiuso e introverso, da ragazzo n o n aveva m o s t r a t o i d i r o m p e n t i a p p e titi sessuali di suo p a d r e . P r o b a b i l m e n t e e r a a n c o r a casto, q u a n d o a diciott'anni i n c o n t r ò a Milano la duchessa E u g e nia Litta d e t t a d a l n o m e p a t e r n o «la B o l o g n i n a » . Essa ne aveva sette più di lui e n o n li aveva sprecati. D u r a n t e la campagna del '59 era stata il riposo del g u e r r i e r o più famoso e i m p o r t a n t e : N a p o l e o n e I I I . E s e c o n d o le m a l e l i n g u e , e r a 141
p a s s a t a subito d o p o in e r e d i t à a Vittorio E m a n u e l e , che p e r ò e r a il m e n o a d a t t o ad a p p r e z z a r e la sua vita di vespa, le sue carni pallide e i suoi raffinatissimi gusti. Balzac le aveva reso omaggio. Boito seguitava a r e n d e r g l i e n e . D'Annunzio d i r à ch'essa «aveva r u b a t o il s e g r e t o a N i n o n de Lenclos». I n s o m m a , c o m e iniziatrice all'amore, il giovane Principe n o n poteva d e s i d e r a r n e u n a p i ù fascinosa e d esperta. Lo fu al p u n t o che, n o n o s t a n t e la differenza d'età, egli le rimase d e v o t o - a n c h e se n o n fedele - fino alla fine dei suoi giorni. Molto p r o b a b i l m e n t e , M a r g h e r i t a sapeva già di questa relazione p e r c h é la sapeva t u t t a Italia. Ma essa n o n voleva s p o s a r e u n u o m o . Voleva s p o s a r e u n Re, p e r c h é e r a nata col destino di Regina e ne aveva tutte le stigmate. Era bella, ma assai m e n o di q u a n t o dicessero i poeti che p e r l'occasione si moltiplicarono (non ci fu sindaco di villaggio che n o n si sentisse t e n u t o a r a b b e r c i a r e q u a l c h e q u a r t i n a ; a n c h e la p i ù s g a n g h e r a t a fruttava di solito u n a croce di Cavaliere). Bellissimi e r a n o i capelli fra il b i o n d o e il fulvo, ma aveva le g a m b e un p o ' corte, la pelle slavata, e s o p r a t t u t t o n o n possedeva la carica sessuale di E u g e n i a , la sua fantasia, la sua iniziativa. In c o m p e n s o e r a u n a vera e seria professionista del t r o n o , e gl'italiani lo sentirono. Essi c o m p r e s e r o che, anche se n o n avessero avuto un g r a n Re, a v r e b b e r o avuto u n a g r a n d e Regina. «Margherita, u n a g r a n d e s p e r a n z a - p e r l'Italia comincia da te» scriveva Giacosa. E a p a r t e la loro bruttezza, questi versi e s p r i m e v a n o un sentimento, o un present i m e n t o autentico. U m b e r t o e b b e i l b u o n senso d i n o n e n t r a r e i n concorrenza con lei, e anzi di mettersi al suo rimorchio. Subito dopo le nozze, essi e r a n o partiti n o n tanto p e r v e d e r e q u a n t o p e r farsi vedere in tutto il Paese. Ma il Paese vedeva soltanto M a r g h e r i t a , che n o n t r a s c u r ò nulla p e r d a r e sostanza al m i t o p o p o l a r e della «bella coppia» a r m o n i o s a e felice. Dov u n q u e andassero, U m b e r t o si p r e o c c u p a v a quasi esclusivam e n t e d i r i c o n o s c e r e nella folla u n r e d u c e del «quadrato» 142
da c h i a m a r e p e r n o m e e battergli u n a m a n o sulla spalla. Il resto lo lasciava fare a lei, che lo faceva benissimo. Era infaticabile. Aveva un gesto e u n a p a r o l a p e r t u t t i , ed e r a n o sempre gesti e parole azzeccati. C o m e andassero le cose nell'intimità, è un'altra questione, e n o n ci sono motivi p e r supp o r r e che a n d a s s e r o del tutto b e n e . Ma, di lì a pochi mesi, essa potè a n n u n z i a r e all'impaziente suocero c h ' e r a incinta. E in un m a t r i m o n i o reale, questo basta p e r farlo considerare riuscito. Il lieto evento fu atteso a Napoli. Q u a n d o la levatrice g r i d ò : «Maschio!», l'Italia m o n a r c h i c a , che n o n e r a tutta l'Italia, ma ne r a p p r e s e n t a v a u n a b u o n a fetta, fu ai piedi della Principessa c o m e se lo avesse fatto soltanto lei. C i n q u a n t a c i n q u e Vescovi c e l e b r a r o n o altrettanti Te Deum, i Comuni si caricarono di debiti p e r inviare sontuosi presenti al f u t u r o Re d'Italia, e u n a i n d u l g e n z a p l e n a r i a svuotò le carceri. Un solo n u o v o ospite politico c'entrò: il b a r d o della democrazia Felice Cavallotti, a u t o r e di u n ' o d e intitolata «Il parto e l'amnistia». D u e mesi d o p o , Margherita e r a in Duomo a baciare l'ampolla che c o n t i e n e il s a n g u e di San G e n n a r o , di cui aveva d a t o il n o m e al figlio a g g i u n g e n d o l o a quello di Vittorio E m a n u e l e p e r tradizione sabauda, di Ferdinando p e r r i g u a r d o al n o n n o m a t e r n o , e di Maria p e r omaggio alla Chiesa. Pensava p r o p r i o a tutto. Si ritirarono nella villa Reale di Monza, dove Margherita non protestò contro l'assunzione della Litta in qualità di dama di c o m p a g n i a . Ma protestò moltissimo q u a n d o un giorno, r i e n t r a n d o p r i m a del previsto da u n a passeggiata, trovò la Duchessa fra le braccia di U m b e r t o . Anzi, n o n p r o t e s t ò affatto. Fece le valige e si p r e s e n t ò al suocero, a n n u n z i a n d o gli che tornava da sua m a d r e . «Ma c o m e - le rispose il Re vuoi a n d a r t e n e soltanto per questo?» Era sinceramente sbalordito e più ancora imbarazzato: c o m e avrebbe p o t u t o t e n e r e , p r o p r i o lui, u n a lezione di m o r a l e c o n i u g a l e a suo figlio? Margherita rimase, «ma da questo m o m e n t o - disse - n o n ^ r ò più che la Principessa, mai più la moglie». Pochi giorni dopo il Gazzettino rosa r i p o r t a v a c h e d u r a n t e la n o t t e n e l s
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p a r c o della villa di Monza si era sentito un colpo di pistola c h e aveva messo in a l l a r m e le g u a r d i e , e c o n u n a serie di perifrasi comprensibili soltanto agl'iniziati lasciava intendere che a spararlo era stata Margherita alle spalle di Umberto, il q u a l e si avviava c o m e o g n i sera a r e n d e r visita all'am a n t e . R i t e n e n d o l o l ' a u t o r e d i q u e l l ' i n d i s c r e z i o n e , alcuni ufficiali schiaffeggiarono in p i e n a Galleria Cavallotti, e ne seguì u n a specie di disfida di Barletta, tanti furono i duelli che n e d e r i v a r o n o . Molto p r o b a b i l m e n t e si t r a t t a v a d ' u n chiacchiericcio. Quella di Margherita n o n era di certo gelosia. Essa n o n era d o n n a di passioni, e forse n e m m e n o di s e n t i m e n t i , m e n o quello del d o v e r e . Di suo m a r i t o , nulla lascia c r e d e r e che fosse i n n a m o r a t a . C o m e n o t a il suo più p e n e t r a n t e e inform a t o biografo, Casalegno, nelle sue lettere si t r o v a n o parole di rispetto p e r il Re, mai di tenerezza p e r il marito. Prima del m a t r i m o n i o aveva avuto un debole p e r il suo cugino e futuro cognato A m e d e o , ma si era trattato di cosa infantile e del tutto i n n o c e n t e . Le «distrazioni» coniugali che in seguito le v e n n e r o i m p r e s t a t e p a r e che n o n a b b i a n o n e s s u n fondam e n t o . «Nessuna s o v r a n a d e l l ' O t t o c e n t o ebbe i n t o r n o a sé tanti savii, e così p o c h i e r a d i ufficiali di cavalleria» scrive l'Adam. Esercitò le sue seduzioni su Carducci, ma solo per legarlo al c a r r o della Monarchia. Del generale Osio fu grande amica, ma n o n certo l'amante. Se un legame ebbe, fu col b a r o n e savoiardo Peccoz; ma u n i c a m e n t e basato, p a r e , sul c o m u n e r o m a n t i c o a m o r e p e r l a m o n t a g n a . N e m m e n o come m a d r e fu affettuosa. E l'unica p e r s o n a p e r cui m o s t r ò u n a vera tenerezza fu il nipotino U m b e r t o . Ma, Regina dalla testa ai piedi, esigeva che anche suo m a r i t o si comportasse da Re. N o n s p a r ò di certo: le Regine n o n s p a r a n o . Ma è molto probabile che, q u a n t o ai r a p p o r t i coniugali, abbia ten u t o parola, cioè n o n ne abbia più avuti. Cosa di cui lui n o n dovette molto soffrire, ma forse n e m m e n o lei. Della famiglia r e a l e , M a r g h e r i t a fu l'unica c h e accolse con gioia il trasferimento a Roma. Vittorio E m a n u e l e aveva 144
cercato di r i t a r d a r l o il più possibile p e r n o n d a r e un altro dispiacere a cui pover veij, a q u e l p o v e r o vecchio (il P a p a ) , cui a l'hai già faine abastanza, ne ho già p r o c u r a t i abbastanza. La verità è che R o m a n o n gli piaceva, n o n gli piaceva l'idea d'istallarvi u n a vera e p r o p r i a C o r t e , c o m e o r a si r e n d e v a necessario, e m e n o a n c o r a quella di separarsi da Rosina. A bassa voce, aveva a v a n z a t o la p r o p o s t a di accasarla in u n a «dipendenza» d e l Q u i r i n a l e , m a L a n z a e r a stato esplicito: «O via lei, o via io». Sicché aveva d o v u t o sistemarla in un villino di Via N o m e n t a n a , c h e di fatto e r a a n c h e la sua abitazione. La p a d r o n a di casa in palazzo reale e r a M a r g h e r i t a . Era lei che fungeva da Regina. Ed era p r o p r i o questo che la colmava di gioia. R o m a b i s o g n a v a c o n q u i s t a r l a , e n o n e r a facile. T u t t o il patriziato «nero» aveva f o r m a t o c o n t r o i p i e m o n t e s i un «quadrato» più c o m p a t t o di quello di Villafranca. A u n a visitatrice tedesca, il Papa aveva confidato: «La cosa più m e r a vigliosa r i m a n e p u r s e m p r e che a R o m a viviamo io, Re Vittorio E m a n u e l e e Garibaldi, senza divorarci». Ma questa bonomia la mostrava solo in privato. Nelle pubbliche dichiarazioni e r a aggressivo, seguitava a scagliare a n a t e m i c o n t r o «gli usurpatori». E q u a n d o s e p p e che U m b e r t o i n c o n t r a n d o un Cardinale m e n t r e conduceva in sfilata il suo r e p a r t o , gli aveva fatto r e n d e r e l ' o n o r e delle a r m i , o r d i n ò ai p o r p o r a t i di n o n uscire più dal Vaticano e di fare, c o m e lui, i prigionieri. Ma c o n t r o M a r g h e r i t a , p e r f i n o i p r e t i l o t t a v a n o m a l e . Non ci fu chiesa in cui n o n andasse a inginocchiarsi, n o n ci fu p a r r o c o c h e n o n ricevesse le sue e l e m o s i n e , n o n ci fu ospizio od o p e r a pia di cui essa n o n assumesse l'alto e fattivo p a t r o n a t o . Era d a p p e r t u t t o e d a p p e r t u t t o e r a «la Regina bionda e gemmata» più tardi descritta da Carducci. La dava da b e r e a tutti. A n c h e gl'intellettuali la c o n s i d e r a v a n o dei 'oro, m e n t r e le sue lettere d i m o s t r a n o u n a totale m a n c a n z a di cultura, e perfino di sintassi. Le venivano a n c h e i m p r e cate opinioni progressiste, m e n t r e il suo vero fondo e r a te145
descamente autoritario e militarista. Prima che le «pubbliche relazioni» fossero inventate, essa già le praticava da esperta professionista. Teneva salotto privato con gli uomini di penna, e prendeva lezioni di latino da Minghetti, ch'era il suo consulente culturale e con cui teneva una fitta corrispondenza piena di esclamativi (e di strafalcioni ortografici). Ma la sua vera «passerella» erano i balli che il Quirinale dava l'ultimo mercoledì di ogni mese. «Mediocri e pacchiani» scriveva Guiccioli storcendo il naso. Ma c'era tutto il mondo politico. C'era tutto il mondo diplomatico. C'erano le grandi personalità straniere di passaggio. C'era tutta l'intellighenzia. C'erano insomma tutte le occasioni per intrecciare utili amicizie e sapere in tempo tante cose: per esempio, dove sarebbero sorti i nuovi quartieri che abbisognavano a una capitale, di cui tutte le aree fabbricabili, se non erano dei preti, erano dei nobili. Piano piano i ranghi dell'aristocrazia nera cominciarono ad assottigliarsi, e quella che lo rimase fu meno nera di prima. Margherita accoglieva i convertiti come amici di sempre, e finalmente riuscì a convertire anche il Re, che smise di svignarsela dopo la quadriglia d'apertura e rimase sempre più a lungo, sia pure senza ballare, in piedi nel vano della porta, coi pollici infilati nelle tasche, a guardare gli scolli delle dame. Il vocabolario italiano si arricchì di un nuovo verbo: «margheritinizzare». Questo verbo però non si estendeva alla politica. Come dice Casalegno, Margherita, anche da Regina, ebbe delle simpatie per certi uomini politici, ma non un «partito». Teneva per Crispi contro Giolitti, e più tardi per Mussolini. Ma non si può dire che abbia complottato per loro. In un caso solo forse fu tentata d'intervenire: per porre il veto alla legge sul divorzio che offendeva i suoi sentimenti di fervente cattolica. Ma se ne astenne. Anche Umberto alla politica si teneva estraneo un po' per fedeltà alla vecchia regola dei Savoia per cui «si regna uno alla volta», un po' perché quel padre non gliene lasciava lo spazio. Ma Umberto lo cercava in tutte quelle attività 146
che il Re trascurava, e ce n ' e r a n o a bizzeffe. Lo rimpiazzava nei banchetti di cui Vittorio E m a n u e l e aveva o r r o r e , e n o n mancava u n congresso n é u n c e n t e n a r i o . Forse s u suggerim e n t o dei suoi consiglieri - e fra costoro Margherita doveva essere quella che p i ù pesava -, evitava il c o n f r o n t o col pad r e p o n e n d o s i un p o ' a sua antitesi. Q u a n t o Vittorio Emanuele e r a imperioso e brusco, tanto U m b e r t o era o cercava di mostrarsi paziente e a c c o m o d a n t e . Aveva fatto a n c h e un onesto sforzo p e r disintossicarsi della Litta, ma e r a riuscito solo a i m p o r l e un m a g g i o r rispetto delle a p p a r e n z e . Tutti riconoscevano la sua volonterosità. Molti gli volevano b e n e . Ma agli occhi della p u b b l i c a o p i n i o n e egli n o n e r a c h e il «principe consorte» di Margherita, che invece veniva considerata Regina p r i m a ancora che lo diventasse. Q u e s t o era l'uomo che o r a saliva sul t r o n o , e di quali intenzioni fosse a n i m a t o lo d i m o s t r a r o n o i suoi p r i m i gesti. Non sciolse la C a m e r a , implicitamente riconoscendo che la sovranità n o n era i n t e r r o t t a in q u a n t o di essa e r a depositario n o n il Re, ma il P a r l a m e n t o . C o n t r a r i a m e n t e a ciò che aveva fatto suo p a d r e , assunse il titolo di U m b e r t o I e n o n IV, c o m e a v r e b b e voluto l ' o r d i n e dinastico dei Savoia piemontesi. Nella c e r i m o n i a d e l l ' i n v e s t i t u r a a M o n t e c i t o r i o , giurò fedeltà alla C o s t i t u z i o n e n o n solo «in p r e s e n z a di Dio», c o m e voleva la formula tradizionale di s a p o r e tuttora assolutistico, ma a n c h e «innanzi alla Nazione» con cui veniva così a stabilire un p a t t o di r e c i p r o c o i m p e g n o . E a conclusione del suo p r i m o discorso, disse: «La religiosa osservanza delle libere istituzioni è la p i ù sicura s a l v a g u a r d i a contro i maggiori pericoli. Q u e s t a è la fede della mia Casa, questa sarà la mia forza. Il Parlamento, i n t e r p r e t e della volontà nazionale, v o r r à g u i d a r m i nei p r i m i passi del mio Regno». Perfino Cavallotti dovette a m m e t t e r e che, p e r cominciare', si cominciava b e n e .
CAPITOLO QUINDICESIMO
L'AVVIO D ' U N R E G I M E
C o m e successore di Depretis, il n o m e di Cairoli s'imponeva di forza p r o p r i a . Il suo stato di servizio era e s e m p l a r e . Aveva p e r s o q u a t t r o fratelli nelle g u e r r e del R i s o r g i m e n t o , in cui aveva egli stesso militato sotto le b a n d i e r e di Garibaldi in Sicilia e poi a M e n t a n a . Sul suo n o m e n o n c ' e r a n o macchie né ideologiche né morali. Sia in g u e r r a che in pace, era rimasto s e m p r e fedele al suo Eroe, di cui seguitava a essere il portavoce in P a r l a m e n t o . Tutto questo gli valeva il rispetto a n c h e degli avversari e il titolo di «Baiardo della d e m o crazia». Era, dice Bonomi, u n o di quei cavalieri e r r a n t i della politica «cui tutto era p e r m e s s o , a n c h e l'ingenuità r o m a n tica». Detto in t e r m i n i più crudi, egli n o n godeva molto credito c o m e u o m o d'azione. Nella m a n o v r a p a r l a m e n t a r e era s e m p r e a p p a r s o piuttosto impacciato, e del resto lo sapeva a n c h e lui. «Non s a r e m o abili - disse in u n o dei suoi p r i m i discorsi dal banco presidenziale -, ma vogliamo essere onesti.» N a t u r a l m e n t e questo era, a parole, il proposito di tutti. Ma in bocca a Cairoli diventava credibile. Vittorio E m a n u e l e n o n aveva mai a v u t o p e r lui molta simpatia. M a U m b e r t o n o n condivideva questa prevenzione, e p p o i n o n aveva scelta. Depretis era c a d u t o p r o p r i o perché il suo c a n d i d a t o alla Presidenza della C a m e r a e r a stato b a t t u t o da Cairoli che insieme a Bertani e a Zanardelli aveva a b b a n d o n a t o la coalizione governativa. E q u e s t o d i m o strava che i n t o r n o al suo n o m e c'era già u n a m a g g i o r a n z a precostituita. Per d i p i ù a n c h e alcuni u o m i n i della Destra c o m e Sella si d i c h i a r a r o n o in suo favore, convinti ch'egli fos-
do, grazie al suo passato, di f r e n a r n e il massimalismo. Dando l'incarico a lui, il Re si a d e g u a v a alle indicazioni del Parlamento: il gesto più adatto p e r i n a u g u r a r e un Regno. Cairoli p r e s e n t ò il suo g o v e r n o alla fine di m a r z o del '78. A p a r t e il solito G e n e r a l e e il solito Ammiraglio imposti dal Re, esso c o m p r e n d e v a un p o ' tutti i g r u p p i in cui la Sinistra si era frantumata, eccetto - si capisce - l'Estrema. Ma il n u cleo più forte e r a quello della Sinistra storica settentrionale, formato dallo stesso Presidente, Zanardelli, Seismit-Doda e Baccarini. Il p u n t o principale del p r o g r a m m a era l'applicazione di quei princìpi di libertà c h e fin allora e r a n o rimasti sulla c a r t a dello S t a t u t o . E l ' i m p e g n o fu in b u o n a p a r t e m a n t e n u t o . Le circolari di Nicotera, che aveva trasformato la m a c c h i n a b u r o c r a t i c a in u n o s t r u m e n t o di coazione e di c o r r u z i o n e , v e n n e r o revocate, e p e r la p r i m a volta l'Italia ebbe u n a giustizia amministrativa abbastanza imparziale. Un altro i m p e g n o che Cairoli affrontò con notevole risolutezza fu l'abolizione della tassa sul m a c i n a t o . Ma qui la battaglia fu a s p r a e i risultati scarsi p e r la tenace opposizione dei «notabili» m e r i d i o n a l i che, fossero di Destra o di Sinistra, r a p p r e s e n t a v a n o gl'interessi terrieri, ben decisi a caricare il p e s o fiscale sulle spalle d e l c o n t a d i n o . Cairoli e il suo Ministro delle Finanze Seismit-Doda d o v e t t e r o contentarsi di u n a r i d u z i o n e e di un i m p e g n o della C a m e r a ad abolire a n c h e il resto e n t r o 1"83. Ma il grosso scoglio fu la discussione sul diritto di riunione e di associazione. La svolta che stava p r e n d e n d o la politica estera, e di cui d i r e m o in un capitolo a p a r t e , portava fascine al fuoco d e l l ' i r r e d e n t i s m o che n o n aveva mai smesso di covare. Molti c h i e d e v a n o m i s u r e repressive c o n t r o q u e sto m o v i m e n t o che, r e c l a m a n d o la ripresa della lotta c o n t r o l'Austria p e r la «redenzione» del T r e n t i n o e della Venezia Giulia, intralciava la diplomazia. Ma Cairoli rifiutò un p o ' Perché d e l l ' i r r e d e n t i s m o e r a egli stesso u n e s p o n e n t e , u n Po' p e r motivi di principio sui quali trovava il p i e n o a p p o g gio del Ministro d e g l ' I n t e r n i Zanardelli. Questi p r o n u n c i ò 149
a Iseo un m e m o r a b i l e discorso in cui si affermava il p i e n o diritto d e l cittadino a r i u n i r s i e a m a n i f e s t a r e p u r c h é n o n violasse la legge. Il r e g i m e di libertà, disse, è un r e g i m e diffìcile; ma n o n ha altra alternativa che il r e g i m e dell'arbitrio. T r e Ministri, fra cui quello degli Esteri, Corti, c h ' e r a div e n t a t o il bersaglio d e g l ' i r r e d e n t i s t i p e r la sua «accostata» all'Austria, si dimisero s o s t e n e n d o c h e il d o v e r e del governo e r a di «prevenire» e n o n soltanto di «reprimere». Ma la favorevole i m p r e s s i o n e suscitata dal discorso di Zanardelli consentì a Cairoli di ricucire il suo Ministero, c h e anzi a p p a r v e r i n v i g o r i t o dalla crisi, e forse a v r e b b e p o t u t o collez i o n a r e altri successi se n o n fosse s o p r a v v e n u t o un episodio che s e m b r a v a fatto a p p o s t a p e r d a r r a g i o n e ai suoi avversari. Il 17 n o v e m b r e (sempre del '78) i Reali t o r n a r o n o a visitare Napoli. Cairoli, che li accompagnava, sfilò sul loro cocchio, s e d u t o di fronte al Re e alla Regina e di fianco al piccolo Principe Ereditario. Si accorse che, p e r un e r r o r e di cerimoniale, invece di dargli la destra, dava al Principe la sinistra, e fece p e r alzarsi, ma U m b e r t o lo t r a t t e n n e . U n a folla festosa si accalcava ai b o r d i della strada lanciando fiori e coriandoli. A un certo p u n t o da essa si staccò un u o m o male in a r n e s e che, balzato sul predellino, vibrò u n a p u g n a l a t a a U m b e r t o . «Cairoli, salvi il Re!» gridò la Regina che aveva indovinato il gesto. E Cairoli che, grazie a q u e l l ' e r r o r e di cerim o n i a l e si trovava di fronte a lui, riuscì a fargli s c u d o del p r o p r i o c o r p o ricevendo la stoccata sulla coscia m e n t r e il Re veniva a p p e n a scalfito al braccio, e M a r g h e r i t a g e t t a v a in faccia all'aggressore il suo mazzo di fiori. Tutto si era svolto così r a p i d a m e n t e che la folla n o n si era a c c o r t a di nulla. Q u a n d o ne fu i n f o r m a t a , si accalcò sotlo palazzo reale p e r u n a i m p o n e n t e dimostrazione di affetto. 1 g i o r n a l i u s c i r o n o con titoli a t u t t a p a g i n a e p a r l a r o n o di «terrorismo organizzato» e di un vasto c o m p l o t t o sovversivo. Viceversa p o i risultò che l ' a t t e n t a t o r e , un cuoco ventin o v e n n e di n o m e Passanante, e r a un mezzo squilibrato che 150
aveva agito di sua disperata iniziativa. Ma i n t a n t o il suo gesto prestava formidabili a r g o m e n t i ai fautori del «prevenire, n o n r e p r i m e r e » c h e a c c u s a v a n o il g o v e r n o di debolezza. L'indomani u n a b o m b a fu lanciata a Firenze c o n t r o un corteo di giubilo p e r lo scampato pericolo del Re, che lasciò sul selciato q u a t t r o morti e u n a diecina di feriti, e un'altra scoppiò a Pisa, f o r t u n a t a m e n t e senza vittime. In P a r l a m e n t o , Zanardelli dovette far fronte a un a u t e n tico t o r n a d o . A t t r i b u e n d o il gesto d e l l ' a t t e n t a t o r e a cattive l e t t u r e , B o n g h i chiese la c e n s u r a e la limitazione della libertà d ' i n s e g n a m e n t o nelle scuole. Rispose il Ministro dell'Istruzione D e Sanctis: «Io n o n posso c r e d e r e c h e F o n . Bonghi voglia p o r t a r e t r o p p o i n n a n z i quello che h a d e t t o . Io n o n c r e d o alla reazione. Ma b a d i a m o , le reazioni n o n si presentano con la loro faccia; e q u a n d o la reazione ci viene a far visita, n o n dice: Io sono la reazione. Consultate un p o ' le storie. T u t t e le reazioni son v e n u t e con questo l i n g u a g g i o : che è necessaria la vera libertà, che bisogna ricostituire l'ordine morale». Parole che n o n h a n n o p e r s o nulla della loro attualità, ma che n o n salvarono la situazione: posta la q u e stione di fiducia, il g o v e r n o fu b a t t u t o e dovette dimettersi. Il Re avrebbe voluto salvare Cairoli, che lo aveva salvato. Di p e r s o n a e r a a n d a t o a portargli e a p p u n t a r g l i sul petto la medaglia d ' o r o , lo aveva a c c o m p a g n a t o alla stazione e aiutato a salire, a n c o r a zoppicante, sul t r e n o . Ancora u n a volta, nel rischio, U m b e r t o si e r a c o m p o r t a t o da u o m o del «quadrato». A un p r a n z o , qualche g i o r n o d o p o l'attentato, aveva detto ai suoi ospiti: «Non facciamo aspettare i cuochi: avete visto di cosa son capaci». Ma p e r Cairoli n o n p o t è far nulla se n o n accoglierne le dimissioni e ricambiarle con un affettuoso abbraccio. Il Parlamento diceva: Depretis. depretis r i e n t r ò in scena s a p e n d o benissimo che n o n vi sae b b e d u r a t o a l u n g o . Le passioni scatenate dal gesto di Pass a n t e e più a n c o r a dagli attentati c h e lo avevano seguito, r
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a v e v a n o c r e a t o il clima m e n o c o n g e n i a l e alla sua tattica emolliente e dilatoria. La pressione di u n a pubblica opinione e m o t i v a e facile allo s g o m e n t o lo c o s t r i n g e v a a m i s u r e poliziesche poco compatibili con le sue pregiudiziali di Sinistra. Le «retate» si s u s s e g u i v a n o alla cieca: in u n a di esse v e n n e coinvolta u n a c e r t a A n n a Kuliscioff, rivoluzionaria r u s s a e ninfa E g e r i a del n a s c e n t e socialismo italiano; in u n ' a l t r a Francesco Saverio Merlino, la miglior testa dell'mtellighenzia anarchica. Di quest'azione intimidatrice a n d ò di mezzo perfino un giovane p o e t a di n o m e Giovanni Pascoli che d u r a n t e il processo di Passanante gridò: «Se questi sono i malfattori, evviva i malfattori!», e finì in prigione. Depretis cercò c o m e al solito di p r e n d e r e t e m p o mettendo in cantiere dei p r o g e t t i di riforma di sicura popolarità, c o m e l'abolizione del corso forzoso e l'allargamento del corpo elettorale. Ma s a p e n d o benissimo q u a n t i interessi queste m i s u r e a v r e b b e r o u r t a t o , fece in m o d o c h e restassero allo stato delle intenzioni p r o c r a s t i n a n d o n e all'infinito la discussione. L'unica cosa su cui s ' i m p e g n ò v e r a m e n t e fu un vasto p r o g r a m m a di costruzioni ferroviarie p e r c h é questo gli dava il m o d o di c o n t e n t a r e le sue clientele a n c h e a costo di modificare i tracciati e di a g g i u n g e r e linee secondarie cond a n n a t e alla passività p e r p e t u a . Ma questa politica evasiva n o n poteva d u r a r e a l u n g o , e finì p r o p r i o p e r u n o di q u e i g i u o c h i trasformistici, di cui egli stesso forniva l'esempio e il modello. Q u a n d o t o r n ò in discussione la tassa sul macinato, Depretis cercò d'insabbiare a n c h e quella rifiutando gli e m e n d a m e n t i che il Senato vi aveva a p p o r t a t o . Ma a q u e s t o p u n t o la Sinistra storica di Cairoli e Zanardelli fece c o m b u t t a con la Destra di Sella per bloccare la m a n o v r a e trascinò con sé la maggioranza. Il terzo Ministero Depretis era d u r a t o sette mesi, e nel luglio del '79 ripassò la m a n o a Cairoli. «Il San G e n n a r o del Re», c o m e lo c h i a m a v a n o a Napoli, cercò di m e t t e r e a profitto la sua p r i m a esperienza ministeriale, p r e s e n t a n d o s i con un p r o g r a m m a più cauto. E quan152
do vide che ciò non bastava a garantirgli una stabile maggioranza, procedette a un rimpasto arruolando come Ministro degl'Interni lo stesso Depretis, pronto come al solito a trasformare in amicizia la passata inimicizia. Ma questo lo costrinse a estromettere Zanardelli che a sua volta trasformò in inimicizia la passata amicizia. Così ancora una volta, grazie alla sua frantumazione, la grande Sinistra fu in balìa della piccola Destra che ora, aggiungendo il suo voto a quello dei dissidenti, poteva decidere la sorte del governo. Ciò avvenne nell'aprile dell"80 a proposito del bilancio. Stavolta però il Re respinse le dimissioni autorizzando Cairoli a sciogliere quella ingovernabile Camera e a indire le elezioni. Queste si tennero in maggio, e furono le ultime a suffragio ristretto, anzi ristrettissimo. Dei 600 e più mila iscritti andò alle urne il 60 per cento, e la Sinistra pagò il fio della confusione in cui era precipitata con le sue lotte intestine. La Destra salì da 110 a 170 seggi e l'Estrema ne guadagnò una ventina a tutto scapito della Sinistra storica e suoi affini che scesero a poco più di 200. Solo Depretis vi fece un guadagno manovrando i Prefetti in modo da dare la vittoria agli uomini suoi: il che lo rese ancora di più il vero arbitro della situazione. Egli lasciò logorare Cairoli nello sforzo di condurre in porto le due riforme più urgenti, ma anche più pericolose: l'abolizione della solita tassa sul macinato, e quella del corso forzoso. Ma intanto si accordò sotto banco con Zanardelli e con l'Estrema gettando loro come offa un progetto di riforma elettorale che estendeva il diritto di voto a due milioni di cittadini. Sia lui che Cairoli vinsero la loro battaglia. La tassa sul macinato fu drasticamente decurtata con l'impegno di totale abolizione entro quattro anni. Il corso forzoso fu revocato. E nell'aprile del!"81 venne approvata la legge elettorale. Ma a questo punto il governo inciampò nella crisi di Tunisi. Diremo più tardi come vi si giunse. Ma per anticiparlo in breve, si trattava di questo. Nel crescente disfacimento del153
l ' I m p e r o t u r c o , Bismarck aveva suggerito all'Italia di occup a r e la Tunisia, t u t t o r a sotto la platonica sovranità del Sultano. L'Italia aveva rinunciato, e la Francia ne approfittò per annettersela. Il contraccolpo fu violento, sia nelle piazze che in P a r l a m e n t o . Assalito da tutte le parti e tacciato di rinunciatario, il g o v e r n o p r o p o s e di a g g i o r n a r e il dibattito p e r un esame più a p p r o f o n d i t o di tutta la sua politica estera. Ma la sua richiesta fu respinta, e a Cairoli n o n restarono che le dimissioni. Il suo secondo Ministero era d u r a t o quasi d u e anni. E il successore c'era già. Depretis compose il suo g o v e r n o in m o d o da includervi c o m e «ostaggi» gli e s p o n e n t i d e i v a r i g r u p p i . E siccome questi g r u p p i , s e c o n d o la legge del trasformismo, cambiav a n o c o n t i n u a m e n t e , a n c h e lui c a m b i ò u o m i n i f a c e n d o e disfacendo, l ' u n o di seguito all'altro, sei Ministeri, ma res t a n d o n e s e m p r e P r e s i d e n t e fino a l l " 8 7 , a n n o d e l l a sua morte. La legge elettorale, di cui egli e r a stato l'architetto, fu subito messa alla prova, e d i e d e b u o n i frutti. Dei d u e milioni di elettori, ne a n d a r o n o alle u r n e p i ù di un milione e 200 mila, cioè quasi il 61 p e r cento. E questo era già un successo. Ma, q u a n t o ai risultati, la pratica trasformista li rendeva difficilmente decifrabili p e r c h é il sistema u n i n o m i n a l e , per cui ogni collegio veniva r a p p r e s e n t a t o da un solo d e p u t a t o , spostava la lotta più sugli u o m i n i che sulle idee, e gli uomini facevano i n m o d o d a r e s t a r e disponibili p e r qualsiasi trasformazione. Sicché di molti di essi e r a perfino difficile stabilire se fossero di Destra o di Sinistra, fra questi d u e tradizionali s c h i e r a m e n t i essendosi p e r d u t a qualsiasi discrimin a n t e ideologica, ora che le d u e riforme su cui si era svolta l'ultima loro battaglia (l'allargamento del c o r p o elettorale e l'abolizione del macinato) e r a n o state realizzate. Solo all'ingrosso si p u ò dire che i veri vincitori e r a n o i «governativi», i n t e n d e n d o s i p e r tali n o n solo i g r u p p i di Sinistra che sosten e v a n o Depretis, ma a n c h e quelli di Destra che ne accetta154
vano la tattica trasformista e q u i n d i e r a n o p r o n t i a collabor a r e con lui e a lasciarsene assorbire. Q u e s t o creava, p e r il r e g i m e , u n a condizione di relativa stabilità, di cui D e p r e t i s s e p p e a p p r o f i t t a r e da p a r suo. Gli storici t u t t o r a si d o m a n d a n o se egli si servì dell'accordo con la Destra p e r attrarla e convertirla a u n a politica di Sinistra sostanzialmente progressista, o se si avvalse dell'etichetta di Sinistra p e r svolgere u n a politica di Destra, sostanzialmente c o n s e r v a t r i c e . L a risposta varia s e c o n d o l e p r o p e n s i o n i ideologiche, e forse n o n a v r e b b e s a p u t o d a r l a n e m m e n o Depretis. C o m u n q u e , fu sull'accusa di a m b i g u i t à e d o p p i o giuoco che si costituì c o n t r o di lui la pentarchia di Crispi, Cairoli, Zanardelli, Baccarini e Nicotera. Essi d i s p o n e v a n o di u n a forza a b b a s t a n z a r a g g u a r d e v o l e , circa un c e n t i n a i o di d e p u t a t i , m a q u a n t o a o m o g e n e i t à ideologica n e a v e v a n o q u a n t a i l blocco trasformista. N o n e r a i n s o m m a c h e u n g r u p p o di p o t e r e , sulle cui i n t e r n e contraddizioni e rivalità Depretis p o t è m a n o v r a r e facilmente, c h i a m a n d o n e l suo giuoco o r a l'uno, o r a l'altro suo e s p o n e n t e . Mentre egli si dedicava a queste m a n o v r e , la Patria p e r d e v a l'ultimo dei suoi q u a t t r o Padri. S e b b e n e immobilizzato dall'artrite, Garibaldi n o n aveva cessato di c r e a r e grattacapi al g o v e r n o coi suoi t u m u l t u o s i proclami e messaggi. L'ultimo lo lanciò nel m a r z o dell"82 a Palermo, dov'era a n d a t o p e r la celebrazione dei Vespri. Era ridotto in tale stato che la folla lo accolse in silenzio, c o m e u n a salma, e lui la salutò dalla carrozza con un t r e m u l o c e n n o di mano. E p p u r e , trovò a n c o r a la forza di d e t t a r e un'invettiva contro il Papa che, a d i r e il vero, coi Vespri c'entrava p o c o . Era a p p e n a r i e n t r a t o a C a p r e r a che fu colto dalla paralisi, ^indomito guerrigliero se ne rese conto, e si dispose al passo supremo col consueto coraggio. «Muoio nel dolore di n o n veder r e d e n t e T r e n t o e Trieste» furono le sue ultime parole. A p p e n a il telegrafo e b b e trasmesso la notizia, un fiume di discorsi e u n a m a r e a di b a n d i e r e a b b r u n a t e s o m m e r s e r o 155
l'Italia. Per la sepoltura fu p r o p o s t o un mausoleo sul Gianicolo, in C a m p i d o g l i o , o nel P a n t h e o n . Ma il d e f u n t o aveva disposto che il suo corpo, vestito di camicia rossa, fosse crem a t o con legna di C a p r e r a e le ceneri raccolte in u n ' u r n a da m u r a r e accanto alla t o m b a delle sue b a m b i n e . E nonostante l'opposizione di Crispi che gridava: «A Roma!... A Roma!...», il consiglio di famiglia decise di rispettare queste vol o n t à , solo s o s t i t u e n d o alla c r e m a z i o n e l'imbalsamazione «per n o n offendere i s e n t i m e n t i religiosi del popolo». Alla cerimonia i n t e r v e n n e r o ministri, d e p u t a t i , stuoli di reduci, r a p p r e s e n t a n z e di corpi militari e civili, tutto il campionario d e l R i s o r g i m e n t o c o n le s u e fanfare e i suoi vessilli. Il Re n o n a n d ò , ma ci m a n d ò il D u c a di Savoia. «Chi è spento? - t u o n ò Bovio. - U n a popolazione, un Regno? N o . Cesare, Dante? No. E s p e n t o il verbo, l'energia della sovranità della nazione. O r a il senso del m o n d o è cenere...» A distanza d ' u n secolo, Garibaldi ci a p p a r e con b e n altri c o n n o t a t i : quelli di un u o m o semplice, d i s i n t e r e s s a t o , coraggioso, onesto, pasticcione e m e l o d r a m m a t i c o . Ma il fatto che p e r riconoscerli sia occorso un secolo d i m o s t r a quale magica suggestione egli aveva esercitato e seguitava a esercitare sulle folle italiane. S u l l ' i m p o r t a n z a dei servigi da lui lesi alla Patria si p u ò discutere. Ma u n o n o n gli si p u ò contestare: di essere stato, fra i protagonisti del Risorgimento, l'unico ch'era riuscito a farne u n a saga p o p o l a r e .
CAPITOLO SEDICESIMO
U N PAESE I N R I T A R D O
Nel 1877, subito d o p o l'avvento della Sinistra, il P a r l a m e n t o aveva deciso di m e t t e r e sotto inchiesta l'agricoltura italiana, e a questo scopo aveva istituito u n a G i u n t a di cui fu animatore Stefano Jacini. Jacini era u n o di quei cattolici l o m b a r d i d'ispirazione s i n c e r a m e n t e liberale che stavano p e r la Chiesa, ma n o n p e r lo Stato della Chiesa, e avevano caldeggiato l'annessione di R o m a . Il c o m p i t o c h e gli a v e v a n o affidato era dei più a r d u i p e r la diversità delle situazioni fra r e g i o n e e regione e p e r la scarsezza di dati statistici. E infatti gli costò sette a n n i d ' i n d a g i n i in tutti gli angoli della penisola. A leggere i quindici v o l u m i dei suoi Atti c r e d i a m o c h e siano stati in pochi, a n c h e fra i c o n t e m p o r a n e i . Ma il loro succo è condensato in u n a Relazione finale che a n c o r oggi costituisce il più esauriente ritratto dell'Italia r u r a l e di quei tempi. L'agricoltura, vi si legge, era ancora il pilastro dell'economia nazionale p e r c h é contribuiva al p r o d o t t o l o r d o p e r oltre il 55 p e r c e n t o , m e n t r e l ' i n d u s t r i a n o n a r r i v a v a al 2 0 . E p p u r e , su u n a superficie totale di circa 30 milioni di ettari, quasi 7 e r a n o incolti, e gli altri coltivati in m o d o tale che il loro r e d d i t o , in t e r m i n i di d e r r a t e , n o n arrivava a un terzo della m e d i a e u r o p e a occidentale. N a t u r a l m e n t e c'erano delle zone abbastanza b e n sviluppate c o m e quelle p a d a n e . Ma il p a n o r a m a g e n e r a l e era, a n c h e sul p i a n o agricolo, quello di un Paese a n c o r a in fase di sottosviluppo, dove la p r o d u rne, a n c h e se in lenta crescita, lo era n o n p e r investimento di capitali e a m m o d e r n a m e n t o di attrezzature, ma p e r allargamento delle a r e e coltivate spesso c o n t r o o g n i criterio di economicità. I n s o m m a , quelli che prevalevano e r a n o an157
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cora i metodi di u n a c u l t u r a estensiva, tipici dei Paesi arretrati. Era stata questa condizione di debolezza che aveva reso p a r t i c o l a r m e n t e gravi i riflessi in Italia della crisi agricola e u r o p e a degli a n n i o t t a n t a . Essa e r a d o v u t a , c o m e già abb i a m o d e t t o , all'irruzione sul m e r c a t o delle d e r r a t e americane, e s p e c i a l m e n t e del g r a n o , i cui bassi costi mettevano in difficoltà la nostra p r o d u z i o n e . Jacini p r o p o n e v a di farvi fronte con un'energica azione governativa intesa ad alleggerire il carico fiscale, a p r o m u o v e r e vaste o p e r e di bonifica, e a facilitare gl'investimenti in aziende m o d e r n e ed efficienti. Ma p e r q u e s t o ci volevano dei capitali. Di capitali ce n'era pochi. E p e r di p i ù quella che Jacini chiamava «l'Italia agricola» e r a u n m o n d o e t e r o g e n e o p e r d i s c o r d a n z a d i condizioni, interessi e idealità. Da b u o n milanese, Jacini si rifaceva al modello del t e r r i e r o l o m b a r d o c h ' e r a già un i m p r e n ditore. Ma il latifondista m e r i d i o n a l e era un r e d d i t i e r o che mirava soltanto alla conservazione dello status quo p e r p a u r a delle c o n s e g u e n z e sociali che qualsiasi m u t a m e n t o avrebbe c o m p o r t a t o . Per salvare il suo g r a n o dalla c o n c o r r e n z a di quello a m e r i c a n o , ricorse all'espediente p i ù semplice e meno rivoluzionario: chiese l ' a u m e n t o delle tariffe doganali, c o n v e r t e n d o s i a n c h e lui al p r o t e z i o n i s m o che fin allora era stato s o s t e n u t o e difeso solo d a g l ' i n d u s t r i a l i del N o r d . E q u e s t o toglie o g n i f o n d a m e n t o alla polemica di certi meridionalisti c o n t e m p o r a n e i , i quali sostengono che col protezionismo gl'interessi del M e z z o g i o r n o a g r a r i o v e n n e r o sacrificati a quelli dell'industria settentrionale. Si tratta di un falso. L'industria settentrionale fu, è vero, la p r i m a a sosten e r e la causa del protezionismo. Ma negli a n n i ottanta questa fu adottata a n c h e dagli agrari del Sud. A s o r m o n t a r e la crisi, o p e r lo m e n o ad a l l e g g e r i r n e gli effetti, s o p r a v v e n n e a n c h e un altro e l e m e n t o : l'emigrazion e . In dieci anni, q u a n t i ne corsero fra il censimento del '70 e quello d e l l " 8 0 , la p o p o l a z i o n e italiana e r a passata da 27 milioni a 28 milioni e mezzo con un tasso d ' a u m e n t o dell'u158
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n o p c e n t o a l l ' a n n o , c h ' e r a quello della m e d i a e u r o p e a . js[on è q u i n d i vero che l'Italia soffrisse fin d'allora di congestione demografica. Il motivo dell'esodo e r a un altro: il dir o m p e n t e s v i l u p p o i n d u s t r i a l e del c o n t i n e n t e a m e r i c a n o che p o m p a v a braccia da lavoro. Esso mise in m o t o la più gigantesca o n d a t a m i g r a t o r i a di tutti i t e m p i : dalla m e t à del secolo alla p r i m a g u e r r a m o n d i a l e 3 0 milioni d i e u r o p e i varcarono l'Oceano. Fin allora l ' e m i g r a z i o n e italiana e r a stata quasi t u t t a di settentrionali nei Paesi confinanti come la Francia e la Svizzera, e di carattere stagionale. Il risucchio a m e r i c a n o le diede un carattere massiccio e p e r m a n e n t e . Fra 1"80 e il '90 la media a n n u a degli espatrii passò dai 110 ai 220 mila fino ad arrivare ai 600 mila del p r i m o d e c e n n i o del n u o v o secolo, e l'emotività del n o s t r o p o p o l o d i e d e a questo f e n o m e n o un carattere d r a m m a t i c o e m e l o d r a m m a t i c o . L ' e m i g r a n t e diventò l'eroe di u n a saga p o p o l a r e intrisa di p i a n t o e carica di vittimismo, e il simbolo della nostra condizione di reietti. 11 nazionalismo, che doveva a l i m e n t a r e tutta la nostra politica coloniale con la sua retorica del «posto al sole», vi trovò il suo più efficace concime. In realtà l ' e m i g r a z i o n e e r a soltanto la c o n s e g u e n z a del mancato decollo industriale. Dal '60 in poi un certo sviluppo c'era stato, ma n o n da p a r a g o n a r s i con quello degli altri Paesi occidentali, sui quali q u i n d i il n o s t r o r i t a r d o si era fatto ancora più p e s a n t e . Delle industrie tessili, solo quella cotoniera aveva fatto notevoli passi avanti c o m e dimostrava la crescente i m p o r t a z i o n e di materia p r i m a . Ma n o n altrettanto p o t e v a dirsi di quella l a n i e r a , m e n t r e quella della seta, arretrata c o m e p r o c e d i m e n t i tecnici e ferma ai semilavorati, era alla m e r c é delle e p i d e m i e che colpivano p e r i o d i c a m e n te la cultura dei bachi. Ma a d a r e la m i s u r a del nostro sottosviluppo era soprattutto l'industria mineraria. L'estrazione si era r a d d o p p i a t a e * certi casi a n c h e q u a d r u p l i c a t a : il p i o m b o e r a passato da ^ a 40 mila tonnellate, lo zolfo da 150 a 300 mila, lo zinco lr
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a d d i r i t t u r a da 305 tonnellate a 60 mila. Ma questi minerali venivano quasi tutti esportati p e r c h é n o n c'era un'industria in g r a d o di utilizzarli. La siderurgia n o n d i s p o n e v a di carb o n e p e r fonderli, e q u i n d i trovava più c o n v e n i e n z a a imp o r t a r e dall'estero i rottami, il che le conferiva quel carattere s u b a l t e r n o e di d i p e n d e n z a che conservò fino all'ultima g u e r r a . Q u a n t o all'acciaio, ne p r o d u c e v a m e n o di 4 mila t o n n e l l a t e , l a d d o v e quella fase di s v i l u p p o ne a v r e b b e richiesto q u a l c h e m i l i o n e . Q u e s t o n a t u r a l m e n t e frenava lo slancio d e l l ' i n d u s t r i a meccanica, c h e a sua volta frenava quello di tutte le altre. I n s o m m a , il p a n o r a m a generale e r a migliore, ma n o n diverso da quello del '60. C o m e allora, tutta l'attività industriale del Paese e r a concentrata in quello che oggi si chiama «il triangolo» l o m b a r d o - l i g u r e - p i e m o n t e s e c o n q u a l c h e incip i e n t e p r o p a g g i n e nel Veneto e i d u e vecchi nuclei meridionali: quello cotoniero di Salerno e quello metalmeccanico di Napoli. Il p r i m o si era salvato p e r c h é tuttora in m a n o al capitale e alla tecnica svizzeri; il secondo grazie alle «commesse» della m a r i n a da g u e r r a . Ma né l'uno né l'altro e r a n o riusciti a stimolare iniziative collaterali e sussidiarie. Il capitale m e r i d i o n a l e era del tutto r e n i t e n t e all'investimento nell'industiia. A n c o r a oggi ci si c h i e d e il p e r c h é di questo r i t a r d o e su chi ne ricada la responsabilità. Alcuni motivi sono evidenti, e di responsabilità n o n ne c h i a m a n o in causa. L'Italia iniziava la sua corsa all'industria p r o p r i o nel m o m e n t o che meno vi si p r e s t a v a . La forte d i m i n u z i o n e dei costi di t r a s p o r t o r e n d e v a proibitiva la c o n c o r r e n z a d e i Paesi p i ù avanzati che, grazie alla loro siderurgia e alla loro meccanica, dispon e v a n o di beni strumentali con cui p o t e v a n o r i d u r r e la man o d o p e r a , p r o c e d e r e a razionali c o n c e n t r a z i o n i , e quindi p r o d u r r e a costi molto più bassi. N o n solo. Ma questi Paesi, in a s p r a g a r a fra l o r o , a v e v a n o in c o m u n e un interesse: a scoraggiare l'industrializzazione dei Paesi nuovi in m o d o da r e s t a r e p a d r o n i del loro m e r c a t o . Q u i n d i , m e n t r e abbassa-
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vano continuamente il prezzo del manufatto, tenevano alto quello del macchinario. A questo si aggiunga l'arretratezza tecnica. In Italia c'erano eccellenti artigiani, i migliori del inondo. Ma non c'erano scuole professionali in grado di trasformarli in manodopera qualificata. E tutto questo non si poteva improvvisare. Ma la causa vera, di fondo, era un'altra: la mancanza di quell'accumulazione di capitale che in tutti gli altri Paesi occidentali aveva preceduto e condizionato il decollo industriale. Questo problema è materia di ponderosi trattati. Ma noi preferiamo esemplificarlo sul piano concreto. Prendiamo come modello di sviluppo l'Inghilterra, che su questa strada era allora la Nazione più avanzata. La sua rivoluzione industriale non era la causa, ma il frutto di un sistema capitalistico, che aveva già fatto le ossa nel campo dell'agricoltura. Erano stati i terrieri che, reinvestendo continuamente nelle loro aziende agrarie, razionalizzandole e riducendone manodopera e costi di produzione, cioè conducendole con criteri capitalistici, avevano accumulato il risparmio necessario agl'investimenti industriali. Fu di qui che prese avvìo quella serie di processi a catena che si chiama appunto «decollo». La riduzione di manodopera sui campi ne rese disponibile una grossa aliquota per le fabbriche. La trasformazione del contadino in operaio agricolo mise in crisi l'industria tessile esercitata a domicilio dalle famiglie dei mezzadri con criteri artigianali dando l'aìre ai grandi complessi moderni. Eccetera. Tutto insomma era partito dall'agricoltura. E, sia pure su scala infinitesimale, il fenomeno si ripeteva anche in Italia. Il vero motivo per cui l'industrializzazione aveva preso avvìo in Lombardia era che solo in Lombardia l'agricoltura aveva subito una trasformazione capitalistica che le aveva consentito l'accumulo del risparmio. Invece che a estendere le sue proprietà, il terriero lombardo aveva mirato a renderle più produttive reinvestendovi i suoi redditi per attrezrle. L'industria era nata dalla «cascina» dove si erano colZa
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l a u d a t e le capacità d i r e t t i v e e t e c n i c h e della n u o v a classe imprenditoriale. Ecco un p r e c e d e n t e che i nostri riformatori di questo dop o g u e r r a a v r e b b e r o d o v u t o t e n e r e a m e n t e , q u a n d o si accinsero al riscatto del M e z z o g i o r n o . La decisione e r a ed è sacrosanta. Quella che lascia a d e s i d e r a r e è la sua esecuzion e . Vittima della p r o p r i a demagogia, la nostra classe politica ha preteso trasformare il Sud p a r t e n d o dall'industria invece che dall'agricoltura, cioè saltando il suo p r e s u p p o s t o . Invece che dal pastificio e dal caseificio, ha cominciato dall'acciaieria. E i risultati sono quelli che si v e d o n o . I n t o r n o ai giganti industriali istallati dallo Stato o importati dal Nord, n o n è nato nulla. Essi n o n h a n n o stimolato nessuna energia i m p r e n d i t o r i a l e né attratto il risparmio locale. Il decollo del Mezzogiorno rimane un fenomeno di p u r a importazione, senza radici nell'ambiente. Ma t o r n i a m o agli a n n i o t t a n t a . C h e fin allora fossero m a n c a t i i capitali da investire nell'industria era logico perché t u t t o il r i s p a r m i o e r a stato r a s t r e l l a t o p e r finanziare l'impianto dello Stato unitario con le sue più indispensabili «infrastrutture»: strade, ferrovie, Esercito, Marina eccetera. Q u e s t a era la missione che la Destra aveva assolto con la sua politica di «lesina». Ma o r a che q u e s t ' o p e r a e r a compiuta, molti storici m o d e r n i si c h i e d o n o c o m e mai gli u o m i n i della Sinistra, saliti al p o t e r e , n o n s e p p e r o approfittarne p e r aprire u n a n u o v a fase. In realtà c'è da d u b i t a r e che Depretis avesse u n a chiara visione della realtà economica. Ma n o n si p u ò n e m m e n o dire che i suoi governi siano rimasti con le m a n i in m a n o . La p r i n c i p a l e m i s u r a ch'essi p r e s e r o fu l'abolizione del corso forzoso, decisa nell"80, ma attuata nell"83 nella solita atmosfera di s g o m e n t o e di p a u r a che in Italia a c c o m p a g n a tutte le novità. I b e n p e n s a n t i e r a n o convinti che gl'italiani avrebb e r o fatto ressa agli sportelli delle b a n c h e p e r cambiare i biglietti in m o n e t e di metallo, e tesaurizzarle nella calza di lana s o t t r a e n d o l e alla circolazione. Ma q u e s t e pessimistiche
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previsioni furono i m m e d i a t a m e n t e smentite dai fatti. Fino a quel m o m e n t o il cosiddetto aggio, cioè la differenza di valore della lira-oro sulla lira-carta, era stato di circa il dieci p e r cento (cioè nelle contrattazioni private u n a m o n e t a d ' o r o da cento lire ne valeva centodieci di carta). Il semplice a n n u n cio del d e c r e t o di convertibilità, r i d u s s e q u e s t a differenza allo 0,80 p e r cento. E c o n t r a r i a m e n t e a tutte le aspettative, i biglietti cambiati a m m o n t a r o n o soltanto a 250 milioni. Gl'italiani si e r a n o o r m a i abituati alla circolazione cartacea. Q u e s t o p r o v o c ò diverse sostanziose c o n s e g u e n z e . Anzitutto con l'oro a c c u m u l a t o nelle sue casse p e r fare fronte alle richieste del r i s p a r m i a t o r e nel caso in cui questi avesse voluto effettivamente convertire i suoi biglietti di b a n c a , lo Stato p o t è lanciare un prestito che gli fruttò 650 milioni. Ma oltre a questo, la p r o v a di forza e di stabilità fornita dalla lira, ne rialzò la quotazione in tutte le Borse del m o n d o attir a n d o in Italia circa un mezzo miliardo di capitali stranieri. Poteva essere la g r a n d e occasione del decollo. Ma p u r troppo ne m a n c a r o n o i d u e principali s t r u m e n t i : lo Stato e le Banche. Le B a n c h e italiane e r a n o e in p a r t e sono t u t t o r a affette dal vizio congenito dell'usura. Gli alti interessi ch'esse esigevano ne r e n d e v a n o proibitivi i finanziamenti a scopo industriale che r i c h i e d o n o tassi modesti, l u n g h e scadenze, fiducia e coraggio. Perciò a l l ' i m p r e n d i t o r e esse avevano s e m p r e p r e f e r i t o lo s p e c u l a t o r e di cui e r a n o d i v e n t a t e le grandi complici. Anche o r a che avevano a disposizione tutto quel circolante ne approfittarono p e r inflazionare il credito a vantaggio soprattutto della speculazione edilizia, nella cui clamorosa b a n c a r o t t a d o v e v a n o r e s t a r e di lì a p o c h i a n n i coinvolte. Per trovare l'ossigeno necessario alle loro iniziative, gl'imprenditori italiani d o v r a n n o aspettare l'arrivo delle Banche e b r a i c h e t e d e s c h e , cioè della Commerciale di J o e l e Toeplitz. Q u a n t o allo Stato, s a r e b b e i n g i u s t o d i r e c h e n o n fece diente. C o n le sue misure protezionistiche esso creò la condizione necessaria - a n c h e se n o n sufficiente - al decollo. 163
Ma a q u e s t o «incentivo» si a g g i u n s e a n c h e il vigoroso appoggio alla costituzione di g r u p p i che o p e r a v a n o soprattutto nel c a m p o armatoriale e siderurgico. Fu col suo aiuto che i Rubattino di Genova e i Florio di Palermo d i e d e r o vita alla g r a n d e Compagnia di Navigazione generale italiana, la seconda p e r t o n n e l l a g g i o di t u t t o il M e d i t e r r a n e o . E fu su sua garanzia che B r e d a fondò le g r a n d i acciaierie di Terni. Q u e s t a azione tuttavia m a n c ò di organicità, e più che di un chiaro p r o g r a m m a di sviluppo industriale fu il p r o d o t t o delle pressioni esercitate dai g r u p p i interessati. Lo Stato insomma, lungi dall'orientare le forze economiche verso certi obbiettivi, se ne lasciava c o n d u r r e a rimorchio. E ciò provocava d u e conseguenze negative. Primo, favoriva le tendenze monopolistiche di questi g r u p p i , che n o n m a n c a r o n o di approfittarne. Secondo, c r e a r o n o fra p o t e r e politico e potere economico dei legami, destinati a gettare molti sospetti sulla vita pubblica e ad a l i m e n t a r e clamorosi scandali. Si è semp r e detto che, q u a n t o a rettitudine, i governi di Sinistra fecero r i m p i a n g e r e quelli di Destra, ed è vero. Ma questo forse d i p e n d e a n c h e d a l fatto che la politica della Destra, di stretta osservanza liberista, cioè basata sul n o n intervento in m a t e r i a e c o n o m i c a , n o n forniva occasioni di collusione, e q u i n d i n o n ne faceva nascere n e m m e n o il sospetto; m e n t r e la Sinistra p e r il solo fatto d'interferire nelle cose economiche, a questo sospetto si esponeva fatalmente. E ora vediamo che cosa avveniva fra le masse popolari di questa società in m o v i m e n t o .
CAPITOLO DICIASSETTESIMO
DA MAZZINI A MARX
Nella società italiana degli a n n i ottanta, l'elemento o p e r a i o r a p p r e s e n t a v a u n a esigua m i n o r a n z a . L e m o d e s t e d i m e n sioni delle aziende industriali n o n consentivano la nascita di un vero e p r o p r i o proletariato di fabbrica. In quelle tessili, che tuttora p r i m e g g i a v a n o , g r a n p a r t e del lavoro lo facevano a domicilio i c o n t a d i n i , che restavano a n c o r a t i alla loro mentalità individualistica e ai loro costumi patriarcali. C'erano delle categorie che si a n d a v a n o affermando p e r il nascere e il moltiplicarsi di nuovi fabbisogni e in cui si sviluppavano sentimenti e interessi di classe: i ferrovieri, gli edili, i tipografi. Ma e r a n o t r o p p o esigue p e r p o t e r esercitare un peso. Q u e s t o poteva avvenire a u n a sola condizione: ch'esse trovassero u n a s a l d a t u r a c o n l e m a s s e a g r a r i e l a r g a m e n t e p r e d o m i n a n t i in un Paese tuttora r u r a l e c o m e il nostro. Q u e s t a saldatura fu il frutto n o n di q u a l c h e forza politica, ma di certe trasformazioni strutturali. Specie nella Bassa Padana lo s v i l u p p o di a z i e n d e a g r a r i e di tipo capitalistico provocò la fine della mezzadria con la sua famiglia patriarcale, d o m i n a t a dal «capoccia» a u t o r i t a r i o e c o n s e r v a t o r e , e la nascita di un bracciantato n u m e r o s o e inquieto, molto p i ù vicino p e r interessi al m o n d o o p e r a i o e p a r t e c i p e delle sue stesse esigenze. E un dato da t e n e r e a m e n t e , p e r capirci fra noi. M e n t r e negli altri Paesi occidentali la classe o p e r a i a fu fin d a l l ' o r i g i n e soltanto o p e r a i a e n a c q u e nelle fabbriche, dove era relativamente facile organizzarla in u n a forza politica cosciente e c o e r e n t e , in Italia essa fu m e z z o o p e r a i a , mezzo contadina, ed ebbe c o m e base il «focolare» di c a m p a gna, carico di u m o r i eversivi, ma restio alla disciplina di p a r -
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tito. Ecco p e r c h é il m o v i m e n t o o p e r a i o italiano è rimasto s e m p r e a n c o r a t o a quel rozzo massimalismo, che p e r lungo t e m p o gli rese impossibile, e a n c o r oggi gli r e n d e difficile, l ' i n s e r i m e n t o nello Stato d e m o c r a t i c o . E questo spiega anche la sua tribolata vicenda politica. Fino all'unità, la sua unica espressione organizzata erano state le «Società O p e r a i e » f o n d a t e e d o m i n a t e da Mazzini, Infatti la p r i m a l'avevano istituita sotto i suoi auspici i lavoratori italiani emigrati a L o n d r a . Ma subito d o p o esse si erano diffuse p e r tutta Italia. Nel '62 se ne contavano 450, quasi t u t t e c e n t r o - s e t t e n t r i o n a l i , con 120.000 iscritti. Ma dieci a n n i d o p o , si e r a n o triplicate, e cominciavano ad attecchire nel Sud. N o n e r a senza lotte e d i l a c e r a z i o n i c h e Mazzini aveva conservato su di esse il p r o p r i o ascendente. I m o d e r a t i avevano cercato di sottrargliele p e r tenerle l o n t a n e dalla politica e f a r n e soltanto delle associazioni di m u t u o soccorso. Mazzini vinse la partita, ma a prezzo di u n a scissione, al congresso di Napoli del '64, d o v e fu a p p r o v a t o il suo «Atto di Fratellanza» ispirato ai princìpi di un solidarismo volto ai fini dell'unità e della g r a n d e z z a nazionale. Ma d o p o aver battuto il nemico di «destra», dovette fare i conti con quello di «sinistra», che lo accusava di strumentalizzare le società operaie a fini politici estranei ai loro interessi di classe. Lo stesso Mazzini fornì b u o n i a r g o m e n t i a queste critic he t r a s c u r a n d o l'organizzazione, p e r dedicarsi esclusivamente al p r o b l e m a di R o m a e di Venezia, t u t t o r a i r r e d e n t e . Solo d o p o Porta Pia, che o r m a i aveva chiuso il processo unitario, egli cercò di r i p r e n d e r e il controllo delle Società, a n c h e perché e r a n o la sola forza politica che gli restava. Ma o r m a i era t r o p p o tardi. Facciamo un passo indietro. P r o p r i o lo stesso a n n o '64 in cui a Napoli si era riunito il congresso delle Società italiane - quello dell'«Atto di Fratellanza» -, un altro di carattere internazionale se n'era t e n u t o a L o n d r a . Di questo congresso da cui p r e s e avvìo la p r i m a «Internazionale», così Mazzini 166
scrisse al suo amico C a m p a n e l l a : «L'Associazione I n t e r n a zionale, b u o n a nel suo concetto, è d o m i n a t a un p o ' t r o p p o d a u n M a r x , tedesco, piccolo P r o u d h o n , dissolvente, odiatore, c h e n o n p a r l a . c h e di g u e r r a da classe a classe». Ciò malgrado Mazzini tentò d ' i m p a d r o n i r s i di quella n u o v a organizzazione, o a l m e n o di acquistarvi posizioni di p o t e r e del e g a n d o al c o n g r e s s o a l c u n i r a p p r e s e n t a n t i della Società O p e r a i a l o n d i n e s e c h e p r o p o s e r o l ' a d o z i o n e dell'«Atto d i Fratellanza». N o n ci vuol molta fantasia p e r i m m a g i n a r e il g h i g n o d i M a r x nel sentir p a r l a r e d i fratellanza. C o m u n que, la p r o p o s t a fu subito declinata, e M a r x i m p o s e il suo criterio di organizzazione autoritaria e monolitica, c e n t r a t a su un o n n i p o t e n t e «Consiglio Generale», che fu il p r i m o Politburo avanti lettera. Di t u t t o q u e s t o , in Italia n e s s u n o aveva s a p u t o nulla. A r e c a r n e notizia, l ' a n n o d o p o , fu un s i n g o l a r e missionario, che doveva esercitare sul n o s t r o Paese u n a p r o f o n d a e d u ratura influenza: Michele B a k u n i n . Era un russo di nobile famiglia che, avviato alla carriera militare, l'aveva quasi subito a b b a n d o n a t a p e r dedicarsi a studi filosofici e imbrancarsi in quella intellighenzia rivoluzionaria che covò t u t t e le uova: liberali, socialiste, a n a r c h i c h e (o nihiliste). Per n o n finire in p r i g i o n e , e forse p i ù a n c o r a p e r obbedire al suo peripatetico istinto, p r e s e la via dell'esilio e a lungo v a g a b o n d ò p e r l ' E u r o p a occidentale, d o v u n q u e acc e n d e n d o cospirazioni, f o n d a n d o sètte e facendosi espellere dalla polizia. Era u n a specie di commesso viaggiatore della rivoluzione, p r o n t o a d a c c o r r e r e d o v u n q u e n e scoccasse una scintilla. E fu così che nel '49 si trovò sulle barricate di Dresda, gomito a gomito con Riccardo Wagner, che in quel m o m e n t o attraversava u n a fase di «contestazione globale». Arrestato e c o n d a n n a t o a m o r t e dal tribunale locale, fu poi consegnato agli austriaci che lo restituirono ai russi. Costo° gli r i b a d i r o n o la c o n d a n n a , ma poi lo graziarono, e d o p o •dcuni a n n i di carcere d u r o lo d e p o r t a r o n o a Irkutsk, nella r
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più lontana Siberia. Di qui egli era r o m a n z e s c a m e n t e evaso, e attraverso il G i a p p o n e e gli Stati Uniti era a p p r o d a t o nuovamente a Londra. 11 p i ù bel ritratto di lui ce lo ha lasciato il suo compatriota H e r z e n nella pagina in cui racconta il suo r i t o r n o : «Bakunin si riprese in mezzo a noi d o p o nove a n n i di silenzio e di s o l i t u d i n e . Egli discuteva, p r e d i c a v a , d a v a o r d i n i , urlava, decideva, organizzava, esortava l'intero g i o r n o , la n o t t e intera, p e r le i n t e r e v e n t i q u a t t r ' o r e . Nei p o c h i m o m e n t i che gli r i m a n e v a n o , si gettava sul tavolo, lo ripuliva del tabacco e della c e n e r e , e scriveva cinque, dieci, quindici lettere a Sem i p a l a t i n s k e ad A r a d , a B e l g r a d o e a C o s t a n t i n o p o l i , in Bessarabia, Moldavia e Russia Bianca. La sua attività, la sua pigrizia, il suo appetito, il suo disordine, c o m e tutte le altre sue caratteristiche, c o m p r e s a la gigantesca statura e il contin u o t r a s u d a r e , e r a n o d i p r o p o r z i o n i s o v r u m a n e . Era ancora, a c i n q u a n t ' a n n i , u n o s t u d e n t e v a g a b o n d o , un bohémien senza casa». C o n M a r x si era incontrato d u r a n t e il suo p r i m o soggiorno a Parigi. Ma n o n e r a n o amici, né p o t e v a n o esserlo. Sul p i a n o ideologico - p e r lui p r e m i n e n t e su tutti gli altri -, il professore tedesco disprezzava il nobile russo, e lo considerava soltanto un grosso pasticcione. «Non ho a n c o r a b e n capito - diceva - se B a k u n i n si diverta di p i ù ad avere dei segreti, o ad a n d a r e a raccontarli a tutti, e s p e c i a l m e n t e agli agenti dello Zar.» Ma n o n sottovalutava l'ascendente ch'egli esercitava, o r a m a g g i o r a t o d a l l ' a l o n e del m a r t i r i o . Perciò, subito d o p o il lancio dell'«Internazionale», lo indusse a farsene p r o p a g a t o r e , e gli affidò c o m e t e r r a di missione l'Italia. B a k u n i n accettò con entusiasmo. Per l'Italia aveva un debole: un po' p e r i racconti che gliene aveva fatto suo p a d r e , c h ' e r a stato vari a n n i ambasciatore dello Zar a Firenze, un p o ' p e r c h é in Siberia si e r a i n n a m o r a t o di G a r i b a l d i il cui n o m e era arrivato fin lassù. T a n t o che, a p p e n a r i e n t r a t o in E u r o p a d o p o la l u n g a odissea, era corso a C a p r e r a p e r ren-
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dere o m a g g i o all'Eroe, e c'era rimasto tre giorni. Cosa si dissero, n o n si sa. Ma c e r t a m e n t e simpatizzarono p e r c h é Bakunin descrisse il suo Garibaldoff « g r a n d i o s o , c a l m o , a p p e n a s o r r i d e n t e » . I n q u e l suo p r i m o viaggio, aveva fatto t a p p a anche a Firenze p e r ricercarvi gli amici p a t e r n i . E De G u bernatis, che in quell'occasione lo conobbe e più tardi sposò u n a sua cugina, così lo descrive: «Vidi in un salotto dieci o dodici p e r s o n e attente, sospese alla p a r o l a a n i m a t a di un grigio p e r s o n a g g i o da l e g g e n d a ; una figura tra quella di G a m b r i n u s e quella di Falstaff; u n a specie di o r c o gigantesco, i n n a n z i al q u a l e Francesco Pulszky aveva fatto p o r t a r e u n ' e n o r m e c o p p a di tè, visto che le piccole tazze egli le v u o t a v a u n a d o p o l'altra in un sorso, con qualche impazienza dei camerieri. Era un bel parlatore; aveva fatto i suoi studi nelle Università tedesche; conosceva p r o f o n d a m e n t e le d o t t r i n e di H e g e l e di Schelling, di Fichte e di S c h o p e n h a u e r , e ne d i s c o r r e v a con u n a facilità, a b b o n d a n z a e sicurezza m e r a v i g l i o s e . Aveva piccoli occhi di scoiattolo, ma essi g u a r d a v a n o in m o d o p e n e t r a n t e ; la p a r o la gli spumeggiava infuocata sulle labbra, o r a soave, o r a tonante, facilmente concitata e impetuosa». In quella visita aveva cercato di far proseliti p e r u n a «Famiglia I n t e r n a z i o n a l e Segreta» c h e esisteva solo nella sua fantasia, sebbene egli la presentasse c o m e u n a p o t e n t e organizzazione e u r o p e a ; m a c o n p o c o c o s t r u t t o . P u r simpatizz a n d o con q u e l p i t t o r e s c o e t u m u l t u o s o p e r s o n a g g i o , gli scettici fiorentini n o n a p p r e z z a r o n o molto le sue idee, d'altronde assai confuse. Il libero a m o r e , l'abolizione del matrimonio, la parificazione dei sessi, la «rivoluzione p e r m a n e n te» p a r v e r o a t u t t i delle u t o p i e , b u o n e solo c o m e balocchi da salotto. Ma il fatto è che B a k u n i n e r a a n c o r a romanticamente legato a quella specie di contestazione fine a se stessa, c h ' e r a il vecchio nihilismo russo (e un p o ' lo r e s t e r à p e r tutta la vita). N o n aveva a n c o r a e l a b o r a t o u n a vera e p r o pria dottrina. Q u e s t o avvenne l'anno d o p o a Napoli, q u a n d o B a k u n i n 169
t o r n ò in Italia c o m e ambasciatore di Marx, ma con la ferma intenzione di crearvi un m o v i m e n t o suo p r o p r i o e di restarne p a d r o n e . A N a p o l i trovò alcuni vecchi m a z z i n i a n i convertiti alle i d e e socialiste di Pisacane: Fanelli, G a m b u z z i , Dramis, Friscia, Mileti. Ed è molto difficile stabilire se fu più forte l'influenza ch'egli esercitò su di loro, o quella ch'essi esercitarono su di lui. È un fatto che da questo interscambio n a c q u e un manifesto p r o g r a m m a t i c o intitolato La situazione, c h e già c o n t i e n e i p u n t i f o n d a m e n t a l i del socialismo a n a r chico e lo differenzia da t u t t e le altre ideologie, c o m p r e s e quelle mazziniane e garibaldine della Sinistra tadizionale. Il p r o b l e m a italiano è posto in t e r m i n i s o m m a r i e grossolani, ma chiari. Le masse p o p o l a r i , esso dice, sono tagliate fuori da u n o Stato rimasto m o n o p o l i o dei ceti privilegiati che ora c e r c a n o d ' i n t e g r a r l e nelle loro istituzioni p e r meglio soffocarle. Guai ad accettare c o m p r o m e s s i e transazioni. II «sistema» n o n p u ò essere riformato, va distrutto. E n o n p e r sopp i a n t a r l o con u n altro, m a p e r liberare l'individuo d a ogni s o p r u s o autoritario e r e n d e r l o finalmente p a d r o n e del suo destino. Q u e s t a rozza schematizzazione n o n aveva nulla a che fare con la d o t t r i n a socialista c h e M a r x e il suo amico Engels stavano e l a b o r a n d o , ma era il messaggio p i ù congeniale al m a s s i m a l i s m o d i u n a società s o t t o s v i l u p p a t a c o m e quella italiana, ed esercitò un irresistibile fascino a n c h e su molti intellettuali. Da esso n a c q u e un m o v i m e n t o che formalmente a d e r ì all'«Internazionale» di L o n d r a , ma con essa n o n ebb e c h e scarsi r a p p o r t i u n p o ' p e r c h é B a k u n i n n o n aveva n e s s u n interesse ad a p p r o f o n d i r l i , un p o ' p e r c h é i suoi seguaci e r a n o tutti presi d a l l ' i m p e g n o della lotta c o n t r o Mazzini. C h e Mazzini avesse a n c o r a la sua p a r o l a da d i r e , lo dim o s t r a r o n o i tentativi i n s u r r e z i o n a l i della p r i m a v e r a del ' 7 0 . Fu in suo n o m e c h e in Valtellina si c o s t i t u i r o n o delle b a n d e a r m a t e p e r a c c e n d e r e la scintilla rivoluzionaria e che il caporale Barsanti cercò di sollevare la g u a r n i g i o n e di Pa170
via e finì davanti al plotone di esecuzione. Finché R o m a restava da c o n q u i s t a r e , il fremito r i v o l u z i o n a r i o della gioventù italiana seguitava a o b b e d i r e al r i c h i a m o patriottico, sul quale Mazzini n o n e r a battibile. Ma con la g u e r r a francoprussiana e la breccia di Porta Pia, a n c h e quel t r a g u a r d o fu raggiunto, sia p u r e in m a n i e r a poco gloriosa, e quel fremito rifluì nella lotta sociale, l'unica o r m a i che offrisse a m p i p r e testi d ' i m p e g n o alle impazienti n u o v e leve. Un manifesto di Bakunin diceva: «In t u t t e le statistiche del felice r e g n o d'Italia evvi d u e dati di u n a semplicità ed e l o q u e n z a straordinaria: p o p o l a z i o n e circa 25 milioni; c o n t r i b u e n t i della imposta dei fabbricati, t e r r e coltivate e tassa di commercio: circa 2 milioni. C h e cosa siano e che cosa facciano questi 2 milioni di bravi cittadini contribuenti, tutti lo s a n n o . Ma gli altri 23 milioni d'italiani che cosa fanno e che cosa sono? Borghesi e privilegiati, ve la siete mai fatta questa d o m a n d a ? » Su questo t e r r e n o , Mazzini era piuttosto indifeso. E la resa di conti con lui avvenne subito d o p o . Alla caduta dell'Impero, il p o p o l o di Parigi aveva istaurato, c o n t r o il g o v e r n o legale, la Repubblica socialista della «Comune». Su di essa e sui suoi m e t o d i terroristici, l'opinione pubblica m o n d i a l e si divise. Mazzini fu d e c i s a m e n t e c o n t r o «l'assurdo, r e t r o g r a do, politicamente i m m o r a l e concetto di Repubblica, trovato novellamente in Parigi». Q u e s t a p r e s a di posizione segnò il suo definitivo divorzio da Garibaldi che, d o p o aver combattuto in Francia e coi francesi la sua ultima c a m p a g n a , si era pronunciato in favore dei p o p o l a n i parigini, e gli alienò p e r sempre la gioventù socialista che vedeva nella «Comune» il proprio simbolo, a n c h e p e r c h é la s t a m p a conservatrice, forzando a l q u a n t o la verità, la p r e s e n t a v a c o m e la figlia dell'«Internazionale». L'ultima vittoria Mazzini la r i p o r t ò al congresso delle Società O p e r a i e che si t e n n e a R o m a n e l l ' a u t u n n o del ' 7 1 , ma ' a p a g ò con u n a s e c o n d a scissione d o p o quella p r o v o c a t a e t t e a n n i p r i m a dai m o d e r a t i . L a m a g g i o r a n z a c o n f e r m ò ''«Atto di Fratellanza», ma esso fu bersagliato da un piccolo s
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commando di Internazionalisti, i n t e r v e n u t i al dibattito solo p e r m a r c a r e e r e n d e r e irrevocabile il divorzio della loro «corrente», che infatti si ritirò dalle Società. Q u e s t a e n n e s i m a diserzione a m a r e g g i ò gli ultimi mesi di vita del «povero vecchio», c o m e o r m a i con sprezzante comp a t i m e n t o lo chiamavano i dissidenti, a n c h e sui loro giornali. B a k u n i n t o r n ò a p p o s t a dalla Svizzera p e r aizzare gli attacchi c o n t r o di lui. «In Milano i nostri amici v a n n o , piuttosto che attingere a fonte italiana, a cercare ispirazione da un cosacco» scriveva a m a r a m e n t e Mazzini a Canzio. Fra Bakun i n e Marx, del quale conosceva poco le o p e r e , n o n distingueva. C r e d e v a che fossero la stessa cosa, e c o n s i d e r a v a il diffondersi d e l l ' I n t e r n a z i o n a l e «una invasione d ' i g n o r a n t i selvaggi». Arrivò p e r s i n o a dire che avrebbe preferito veder di n u o v o l'Italia sotto il giogo a u s t r i a c o p i u t t o s t o che in braccio a quei d u e «falsi profeti». N e l m o m e n t o in cui egli calava nella t o m b a , d i v a m p a v a in seno all'Internazionale la g u e r r a che da l u n g o covava, e di cui solo la p r e s e n z a e il pericolo di Mazzini aveva impedito lo scoppio. Il «Consiglio Generale» di L o n d r a m a n t e n e v a i contatti coi circoli internazionalisti italiani, nati e cresciuti all'ombra di Bakunin, solo attraverso un u o m o : Carlo Cafìero. Era un pugliese di nobile e ricca famiglia che, avviato alla diplomazia, aveva invece preferito darsi agli studi sociali, e vi aveva p o r t a t o tutto l ' a r d o r e , ma a n c h e le i n q u i e t u d i n i di u n a coscienza t u r b a t a . Aveva abbracciato le idee socialiste come i sacerdoti - quelli veri - abbracciano la fede, vi si era dedicato con lo zelo del converso, e p e r meglio a p p r o f o n d i r l e era a n d a t o a L o n d r a . Q u i c o n o b b e p r o b a b i l m e n t e M a r x e cert a m e n t e Engels, c h e ne fece il suo fiduciario p e r l'Italia e con cui rimase in c o r r i s p o n d e n z a . Q u a n d o t o r n ò a N a p o l i , n e l ' 7 1 , vi t r o v ò a l l ' o p e r a il g r u p p o di B a k u n i n che, sia p u r e d o p o parecchie traversie, aveva s e g u i t a t o a o p e r a r e e a far proseliti. «Vi è un presi-
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dente, Giustiniani, che è b u o n o - scrisse a Engels -, un p u gno di eccellenti o p e r a i , d u e s t u d e n t i in medicina, q u a l c h e giovane avvocato eccetera.» U n o dei d u e studenti era un ragazzo di Santa Maria C a p u a Vetere, dall'aria contadinotta e dalla testa p i e n a di Gracchi e di Spartachi, ma coraggioso, volitivo e tenace, che a diciassette a n n i aveva già conosciuto d u e volte la galera p e r aver inviato u n a lettera di minacce al Re: Errico Malatesta. Da quel p r i m o contatto Cafiero, che ancora n o n conosceva B a k u n i n o r m a i da un pezzo ritirato in Svizzera, n o n rip o r t ò l'impressione di dissensi ideologici con la centrale di L o n d r a , e in q u e s t o senso r a s s i c u r a n t e ne scrisse a Engels. Dopodiché si mise alla ricerca degli altri focolai internazionalisti p e r costituire la « F e d e r a z i o n e delle sezioni italiane dell'Internazionale». Partita da Napoli, la scintilla aveva attecchito s o p r a t t u t t o in Toscana, nelle M a r c h e , in Emilia e nella R o m a g n a , d o v e p r o p r i o allora il m o v i m e n t o trovava un capo di tutto rispetto in un giovane s t u d e n t e imolese, allievo di Carducci: A n d r e a Costa. Costa e r a il figlio di un c a m e r i e r e di casa Orsini, quella da cui e r a uscito Felice, l ' a t t e n t a t o r e di N a p o l e o n e I I I . A quattordici a n n i e r a scappato di casa p e r arruolarsi con Garibaldi. I l p a d r e , c h e s p e r a v a d i f a r n e u n p r e t e , l'aveva riempito di botte, ma alla fine aveva d o v u t o a r r e n d e r s i alla sua vocazione di t r i b u n o della plebe tipicamente r o m a g n o lo: i r r u e n t e , e l o q u e n t e , gladiatorio. Ideologicamente, la sua matrice e r a mazziniana. Ma un ex-attore d o n n a i o l o e socialista, Pescatori, lo convertì alle p r o p r i e idee socialiste facendolo collaborare al suo giornale, Il fascio operaio. E da q u e l m o m e n t o Costa mise la sua instancabile attività e la sua inesauribile facondia al servizio della Causa. U n cronista c o n t e m p o r a n e o , Darchini, h a molto b e n d e scritto la c o m p a r s a dell'Internazionale a Imola, e le discussioni e i litigi e i duelli che provocò, in quella cittadella mezpapalina mezzo repubblicana. Fu u n a lotta a colpi di b a n chetti e b i c c h i e r a t e fra le c r a v a t t e n e r e dei m a z z i n i a n i e Zo
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quelle rosse dei socialisti, u n a g a r a di funerali e m a t r i m o n i civili, di concioni, di apostrofi, di m o n u m e n t i e di lapidi. Ma un successo decisivo le cravatte rosse lo r i p o r t a r o n o espug n a n d o la roccaforte di quelle n e r e : il giornale II Romagnolo che, convertito all'Internazionale, d i e d e anzi l'avvìo alla polemica c o n t r o Mazzini tirandosi a d d o s s o l'esecrazione della vecchia g u a r d i a repubblicana. L a battaglia e r a t a l m e n t e r u m o r o s a c h e q u a l c h e eco giunse all'orecchio del «Consiglio Generale», il quale vi avvertì parecchie stonature. Engels ne chiese conto a Cafìero, avvertendolo che d o v ' e r a passato B a k u n i n e r a nata u n ' e r e sia c o n t r o cui il Consiglio si p r e p a r a v a a l l ' a n a t e m a . Infatti n e l l ' o t t o b r e d e l '71 fu i n d e t t a a L o n d r a u n a «conferenza privata» di pochi «grandi iniziati» fra i quali B a k u n i n n o n figurava, che delegò al Consiglio il c o m p i t o di fissare a testa sua la sede, la d a t a e il p r o g r a m m a del prossimo congresso dell' Internazionale. C o m p r e n d e n d o che questo congresso era indetto per s c o m u n i c a r l o , B a k u n i n t e n t ò di p r e v e n i r l o m o b i l i t a n d o la Federazione del Giura in Svizzera francese che si era formata, c o m e quella italiana, sotto il suo segno. In un congresso t e n u t o un mese d o p o a Sonvillier essa dichiarò di n o n riconoscere al Consiglio altra funzione che di statistica e di corr i s p o n d e n z a , ovvero di c o o r d i n a m e n t o , la direzione politica d o v e n d o essere gestita d i r e t t a m e n t e dai lavoratori e svolta attraverso l'insurrezione, unica a r m a n o n p e r impadronirsi dello Stato, ma p e r distruggerlo. La contrapposizione n o n poteva essere più netta, e metteva gl'internazionalisti italiani alla scelta. U n a conferenza fu indetta a Rimini nell'agosto del '72 p e r p r e n d e r e u n a decisione. In r a p p r e s e n t a n z a delle 21 sezioni, c ' e r a n o tutti i m a g g i o r i p r o t a g o n i s t i : Malatesta, Costa, Fanelli, Nabruzzi. E a s e g n a r e la sorte di quelle assise fu s o p r a t t u t t o Cafiero, che le presiedette e che si p r o n u n c i ò p e r la tesi di Bakunin, c o n t r o il Consiglio. Il Congresso diventò così l'atto di nascita ufficiale di una 174
Internazionale italiana che, in contrasto con quella di L o n dra, rifiutava l'idea marxista di organizzare le forze o p e r a i e in un «partito» teso alla conquista dello Stato p e r vie legali. Gl'internazionalisti italiani dichiaravano il concetto stesso di «partito» i n c o m p a t i b i l e c o n la «rivoluzione p e r m a n e n t e » predicata da Bakunin, u n i c a m e n t e affidata alla libera iniziativa dei lavoratori e tesa n o n alla conquista, ma all'abolizione dello Stato. E r a u n a posizione massimalista perfettamente in t o n o con la realtà sociale di un Paese nel quale mancava un proletariato di fabbrica abbastanza n u m e r o s o e o m o g e n e o p e r p o t e r v i i s t a u r a r e la disciplina necessaria a u n a lotta politica organizzata, e dove le masse si trovavano a tale distanza dal p o t e r e d a far l o r o a p p a r i r e u t o p i c a l'idea d i c o n q u i s t a r l o . O l t r e t u t t o , l'esclusione dal voto n o n g l i e n e forniva n e m m e n o l'arma. A Rimini, fu stabilito di n o n p a r t e c i p a r e n e m m e n o al congresso che frattanto il Consiglio aveva i n d e t t o all'Aja. Vi a n d ò solo Cafiero, ma c o m e osservatore. E vi assistè alla scomunica e all'espulsione di Bakunin, che segnò p r a t i c a m e n t e la fine della Prima Internazionale, a n c h e se il suo atto di decesso v e n n e stilato solo q u a t t r o a n n i d o p o a New York. Dop o d i c h é Cafiero r a g g i u n s e Saint Imier, d o v e i «compagni» italiani si r i u n i v a n o con quelli svizzeri e spagnoli, che avevano anch'essi r i p u d i a t o Marx. A questo congresso i n t e r v e n ne, in veste di d e l e g a t o italiano, lo stesso B a k u n i n , ed esso segnò la nascita della «Internazionale anarchica», che finalm e n t e aveva trovato il suo vero n o m e e che ribadì pressappoco le tesi di R i m i n i . C h e gli s p a g n o l i si t r o v a s s e r o sulle stesse posizioni degl'italiani è del tutto n a t u r a l e , data l'analogia delle d u e società. Q u a n t o alla c o n v e r g e n z a degli svizzeri, essa e r a d o v u t a a d u e motivi: il l u n g o lavoro svolto fra loro da Bakunin, e il fatto ch'essi n o n e r a n o operai, ma artigiani, e q u i n d i istintivamente restii a qualsiasi i r r e g g i m e n t a tone. Fu in questa occasione che Cafiero incontrò n u o v a m e n t e fiakunin, c h e aveva già c o n o s c i u t o n e l '72 a L o c a m o e di 175
cui subiva il fascino sebbene la sua personalità fosse così antitetica alla sua, o forse p r o p r i o p e r questo. P e r e n n e m e n t e i m m e r s o in un'estasi che lo p o r t a v a a c o n f o n d e r e la realtà coi sogni, il gigantesco, estroverso, vorace russo travolse con la sua facondia, col suo c a l o r e u m a n o , col suo i n g u a r i b i l e ottimismo l'italiano ascetico e d i g i u n a t o r e , introverso e malinconico, in p e r p e t u o conflitto con la p r o p r i a coscienza e sempi'e sull'orlo del collasso psichico. Egli d i e d e f o n d o al suo p a t r i m o n i o p e r c o m p r a r e u n a villa presso L o c a m o , La Baronata, e farne un gabinetto di esperimenti rivoluzionari sotto la regìa di Bakunin, che vi s'istallò con largo seguito. C o e r e n t e con le sue premesse, l'Internazionale anarchica si mise subito al lavoro. Ma al lavoro si misero subito a n c h e i carabinieri, contro di essa. I suoi capi n o n facevano in tempo a uscire di prigione che ci venivano ricondotti in manette. Tuttavia le sezioni si moltiplicavano, e gl'iscritti o r a sfior a v a n o i 30.000. Nel '74 la situazione p a r v e m a t u r a p e r il lancio di un moto insurrezionale che doveva p a r t i r e da Bologna. Con d o c u m e n t i falsi, v e n n e anche B a k u n i n p e r mettersi alla testa delle barricate. Ma la polizia, informatissima di tutto, p r e v e n n e il colpo con u n a retata, in cui rimase anche Costa, che la p a g ò con d u e a n n i di galera. Bakunin riuscì a fuggire travestito da p r e t e , e q u e s t o e p i s o d i o doveva f o r n i r e a Bacchelli il p r e t e s t o del suo p i ù bel r o m a n z o : diavolo al Ponlelungo. Riuscì a fuggire a n c h e Cafìero che rip a r ò all'estero. Ma n o n era più l'uomo di p r i m a . Aveva rotto con Bakunin che si era mangiata tutta la dote della Baron a t a accogliendovi o g n i sorta di v a g a b o n d i e parassiti. E n o n aveva p i ù n e m m e n o d i c h e p a g a r s i u n a clinica, dove r e s t a u r a r e i suoi nervi malati. Era in p r e d a a crisi depressive e a m a n ì a di p e r s e c u z i o n e . E forse fu p r o p r i o q u e s t o a suggerirgli il pazzesco p i a n o di u n a insurrezione nel Sud. Costa, da poco t o r n a t o in libertà, n o n a p p r o v ò il progetto. Pochi mesi p r i m a c'era stato un congresso clandestino a Firenze, che si era trovato c o n c o r d e solo nella c o m m e m o r a 176
zione di Bakunin, m o r t o a B e r n a fra le braccia di un a g e n t e dello Zar c h ' e r a diventato il suo più intimo confidente e che, invece di s p i a r l o , aveva finito p e r fargli da balia. Le tesi anarchiche avevano vinto, ma si era delineata u n a c o r r e n t e di «evoluzionisti», di cui il perspicace r o m a g n o l o aveva subito intuito il pericolo. C o n un fronte i n t e r n o intaccato dalla dissidenza e con l'organizzazione s c o m p a g i n a t a dagli a r r e sti, n o n gli p a r e v a il m o m e n t o di t e n t a r e altre i m p r e s e . Ma Cafiero s'era infervorato dell'idea e n o n ci fu verso di fermarlo. Il m o t o doveva partire da San L u p o , un villaggio del Matese, p r e s s o B e n e v e n t o . E r a u n a plaga d i p o v e r i c o n t a d i n i analfabeti, carichi di protesta, ma abituati a sfogarla soltanto nel b r i g a n t a g g i o . P e n s a r e di t r a s f o r m a r l i in crociati di u n a ideologia e r a a s s o l u t a m e n t e utopistico. Cafiero arrivò travestito da turista britannico, con un segretario c h ' e r a Malatesta, u n a rivoluzionaria russa malata di etisìa, e u n a trentina di servitori, che p a r l a v a n o un r o m a g n o l o così stretto da p o t e r s e m b r a r e a n c h e inglese. T u t t o finì c o m e doveva finire, coi «cafoni» di San L u p o sordi al r i c h i a m o della rivoluzione sociale e l ' i n t e r v e n t o di un d i s t a c c a m e n t o di t r u p p a messo in allarme dal solito delatore. Ci furono, tra i carabinieri, d u e feriti. La g e n t e aveva accettato la r e p u b b l i c a socialista i s t a u r a t a d a quegli s t r a v a g a n t i giovanotti, m a n o n fece nulla p e r difenderla. I giovanotti, che avevano cercato scampo in u n a cascina di m o n t a g n a , si a r r e s e r o . E la faccenda fu liquidata in C o r t e d'Assise con un v e r d e t t o d'assoluzione, m a d o p o quasi d u e a n n i d i p r i g i o n e preventiva, che dettero il colpo di grazia alla m e n t e di Cafiero. In sé, l'episodio e r a di piccole d i m e n s i o n i . Ma d i m o s t r ò l'inconcludenza di quella «propaganda del fatto», che gli anarchici avevano scelto come loro metodo. Come i cospiratori del Risorgimento - dai quali in linea retta d i s c e n d e v a n o -, a n ch' essi c r e d e v a n o che l'iniziativa individuale dell'eroe solitario bastasse a scuotere l'apatia delle masse. E n o n p e r nulla mfatti il l o r o g i u r a m e n t o ricalcava quasi alla lettera quello
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della «Giovine Italia», sostituendo all'ideale di I n d i p e n d e n za quello di Giustizia e alla Patria la Classe. Ma o r a dovevan o accorgersi c h e n o n bastava c a m b i a r e i l c o n t e n u t o del messaggio, finché il destinatario n o n e r a n e m m e n o in grado di leggerlo e di c o m p r e n d e r l o . Bisognava p r i m a abbattere il m u r o d ' i g n o r a n z a che li isolava dal p o p o l o . Per abbatterlo ci volevano scuole e r i f o r m e . E p e r o t t e n e r e scuole e riforme, bisognava a n d a r e in p a r l a m e n t o s c e n d e n d o nell'ag o n e politico c o m e forza o r g a n i z z a t a , cioè c o m e p a r t i t o . C h e era q u a n t o avevano sostenuto gli «evoluzionisti» al congresso di Firenze. Q u e s t a crisi della coscienza anarchica ebbe in Costa il suo p r o t a g o n i s t a . S e b b e n e n o n avesse p a r t e c i p a t o a l l ' i m p r e s a del Matese, anzi l'avesse c o n d a n n a t a , p e r sfuggire a un n u o vo arresto fu costretto a r i p a r a r e a L u g a n o , dove già si erano rifugiati N a b r u z z i , Z a n a r d e l l i e altri c o m p a g n i E q u i trovò, imbrancata con loro, A n n a Kuliscioff. Il suo vero n o m e era A n n a Mosejevna Rozenstein, e app a r t e n e v a a u n a ricca famiglia e b r e a di Odessa. N o n aveva che ventitré a n n i ma n o n li aveva sprecati. A n d a t a a Zurigo p e r s t u d i a r e m e d i c i n a , aveva f r e q u e n t a t o l ' a m b i e n t e degli esuli russi in g u e r r a col r e g i m e zarista, ne aveva assimilato le idee, di r i t o r n o a Odessa si e r a i n t r u p p a t a coi «populisti» e ne aveva sposato u n o di cui la polizia provvide subito a lasciarla vedova, d e p o r t a n d o l o in Siberia. Ricercata anch'essa si e r a i m p r a t i c h i t a nell'arte della clandestinità ma alla fine aveva d o v u t o espatriare ed e r a finita a L u g a n o . Era la tipica e s p o n e n t e di quella intellighenzia c h e aveva covato i Bakunin, gli H e r z e n , gli Ogarev, ma con qualcosa in più, rispetto alle pasionarie di quella razza: u n a e t e r e a bellezza b i o n d a e celeste, che doveva p e r forza colpire il giovane provinciale d i I m o l a , c h e alla bellezza e r a m o l t o sensibile, m a n o n n e aveva mai incontrate di quel tipo lì. La loro storia cominciò con u n a discussione politica. E c o m e c o n t i n u ò sta scritto in u n a l e t t e r a di lui a lei: «Ecco, io ti v e d o nella t u a veste azz u r r a , con quella tua testolina di vergine, e tutta la ineffabi178
le idealità di quella sera mi si risveglia d e n t r o . Tu sai che sera sacra fu p e r noi, e se vivessi un secolo, se vivessi in eterno, n o n p o t r e i dimenticarla giammai... La candela getta intorno u n a luce pallida pallida e il fuoco del c a m i n o è mezzo spento, q u a n d o un g r i d o straziante, in cui si vela l'amore, la passione, il r i m o r s o , l ' a b b a n d o n o , tutto ciò c h e di p i ù intimo, di più vero, di più u m a n o v ' h a n e l l ' u o m o , che è tutta, tutta u n a p r o t e s t a , t u t t a u n a sintesi, tutta u n a rivelazione, grido sublime, se mai ve ne furono, squarcia la n o t t e c o m e un l a m p o : Je t'aìme! Je t'aime! Je t'aime!» T u t t o questo n o n ha nulla a che fare con l'ideologia, ma l'ideologia ha a che fare a n c h e con q u e s t o , p e r c h é d'allora in poi A n n a n o n fu soltanto la p a d r o n a dei sensi, ma a n c h e dei pensieri di A n d r e a . Q u a n d o di lì a poco questi si recò al congresso socialista universale i n d e t t o a G a n d p e r cercar di r i m e t t e r e d ' a c c o r d o il socialismo di M a r x con quello di Bakunin, sostenne le tesi a n a r c h i c h e del secondo, ma senza a s s u m e r e a t t e g g i a m e n t i di r o t t u r a e c e r c a n d o di s m u s s a r e gli angoli della polemica. Il tentativo di c o m p o s i z i o n e n o n riuscì, e il congresso si chiuse c o n f e r m a n d o le deliberazioni di quello marxista dell'Aja. Probabilmente a n c h e questo contribuì a o r i e n t a r e in m o do diverso le idee di Costa. Ma a n c o r a di più su di esse influì Anna. Molto più colta e a g g u e r r i t a di lui in c a m p o ideologico, essa n o n aveva mai accettato il rozzo massimalismo dei nihilisti e militava sotto il s e g n o del socialismo «scientifico», c o m e allora si c h i a m a v a q u e l l o di M a r x ed E n g e l s . E molto p r o b a b i l e c h e Costa ne leggesse i testi solo allora, e grazie a lei. A farglieli meglio a p p r o f o n d i r e , provvide la prigione. T u t t o r a sotto m a n d a t o d i c a t t u r a , egli n o n p o t e v a rient r a r e in Italia. Si trasferì q u i n d i c o n A n n a a Parigi. Ma la polizia li arrestò. A n n a fu espulsa. Lui fu c o n d a n n a t o a d u e anni di carcere come m e m b r o dell'Internazionale, considerata organizzazione sovversiva, e solo d o p o quattordici mesi potè riunirsi a L u g a n o con la sua c o m p a g n a , che frattanto 179
e r a finita di n u o v o in g a l e r a a F i r e n z e , d o v e si e r a r e c a t a c l a n d e s t i n a m e n t e in missione. E r a n o g e n t e che sapeva soffrire, questi rivoluzionari dell'Ottocento. A L u g a n o , Costa p o t è mettersi al c o r r e n t e di ciò che fratt a n t o e r a a v v e n u t o i n Italia, d o v e qualcosa e r a a v v e n u t o . Già poco p r i m a ch'egli la lasciasse, il dissenso degli «evoluzionisti» si era t r a d o t t o in un gesto di a p e r t a dissidenza. Sotto il p u n g o l o del giornale La Plebe, diretto e r e d a t t o da d u e polemisti di forte t e m p e r a m e n t o , Bignami e Gnocchi-Viani, la Federazione Internazionalista dell'Alta Italia si era distaccata dalle altre facendo sue le tesi dell'Aja, cioè allineandosi sulle posizioni marxiste. Era fatale che questo accadesse. In Alta Italia il decollo industriale aveva creato un proletariato di fabbrica a b b a s t a n z a o m o g e n e o e cosciente. G r a z i e allo sviluppo capitalista che gli aveva p e r m e s s o di evolvere, esso si r e n d e v a conto che la lotta c o n t r o il «sistema» n o n si poteva c o n d u r r e s o l t a n t o a s u o n di a t t e n t a t i . Q u e s t a e r a u n a scorciatoia c h e n o n c o n d u c e v a a n u l l a . «Le rivoluzioni - aveva detto Gnocchi-Viani - n o n s'improvvisano né si fanno a o r a fissa: bisogna a t t e n d e r e p e r a m o r e o p e r forza. E in questo frattempo, se il socialismo n o n dà m a n o ad altri mezzi, rischia d'intorpidirsi e di sfiduciarsi, lasciando adito agli avversari astuti di cacciarsi essi in mezzo alle classi sofferenti, acquistarne le simpatie e intralciare così l'opera nostra.» I mezzi e r a n o , n a t u r a l m e n t e , il partito e il P a r l a m e n t o , cioè il m e t o d o delle riforme. Era il r i p u d i o della formula: «O tutto, o nulla», di cui si pasceva l'utopia anarchica. Q u e s t a aveva cercato di r i p r e n d e r e il s o p r a v v e n t o s e m i n a n d o nel '78 l'Italia di b o m b e . Ne e r a n o scoppiate a Firenze, a Pisa, dov u n q u e ; e a farne le spese e r a n o stati soltanto degl'innocenti: quelli m o r t i e quelli spediti in galera da frettolosi tribunali in cerca più di capri espiatori che di responsabili. Tutti gli elementi più in vista e r a n o in prigione, e la rete organizzativa scompaginata. Costa, a L u g a n o , rifletteva su tutto questo. E il frutto di q u e s t e riflessioni fu la lettera Ai miei amici di Romagna, che 180
La Plebe pubblicò nell'agosto del '79. N o n e r a u n a ritrattazione. C o m e mèta, egli seguitava a p r o p o r r e la rivoluzione in antitesi alla «evoluzione» di Bignami e Gnocchi-Viani. Ma era sui m e t o d i ch'egli p r e n d e v a le distanze dai vecchi comp a g n i d e n u n z i a n d o l'inutilità di u n a tattica esclusivamente i n s u r r e z i o n a l e e a f f e r m a n d o la necessità di un p a r t i t o in g r a d o di trasferire la battaglia sui b a n c h i del P a r l a m e n t o . Ce n'era abbastanza p e r c h é i vecchi c o m p a g n i gridassero al t r a d i m e n t o e lo accusassero di aver cambiato b a n d i e r a p e r p r e p a r a r s i la medaglietta di d e p u t a t o . «Ho s e m p r e a m a t o e stimato Costa p i ù che un fratello - scrisse Palladino -; ma ora ch'egli a b b a n d o n a la causa della rivoluzione, n o n esito un istante a r i t e n e r l o pel m a g g i o r n e m i c o d e i lavoratori.» Ma l'attacco più feroce v e n n e da Cafiero: «Se n o n volete che il p o p o l o b e s t e m m i la rivoluzione c o m e un n u o v o dio falso e b u g i a r d o , fate giustizia del perfido ciarlatano». Per prevenire u n a frattura, destinata a restare fino ai n o stri giorni la p e r p e t u a vocazione del socialismo italiano e la sua p e r m a n e n t e insidia, fu convocato un congresso a Chiasso, che servì soltanto a renderla irreparabile. La Federazione Alta Italia accentuò la sua indipendenza, e grazie a Costa guad a g n ò alla p r o p r i a causa la Romagna, che fin allora si era dimostrata la p i ù i m p e r v i a alla linea evoluzionista. Un altro congresso regionale riunito c l a n d e s t i n a m e n t e a Rimini nell'agosto dell"81 diede il via al «Partito socialista rivoluzionario di Romagna», con m a n d a t o di «porre al Parlamento candidature socialistiche e operaie, siano positive, siano di protesta», lasciando alle singole associazioni provinciali di fissare la condotta dei compagni che potessero venir eletti deputati. Su un p u n t o la battaglia fu p a r t i c o l a r m e n t e aspra: e cioè se questi eventuali d e p u t a t i dovessero p r e s t a r e il g i u r a m e n t o al Re e allo Statuto, di cui la legge faceva la condizione p e r sedere in Parlamento, e alla fine fu deciso p e r il n o . Questa risoluzione che inabilitava i suoi r a p p r e s e n t a n t i a svolgere il m a n d a t o nel m o m e n t o stesso in cui il partito decideva di s c e n d e r e sul t e r r e n o della lotta costituzionale p e r
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affidarglielo, è indicativa della puntigliosità formalistica dei socialisti, della loro e t e r n a p a u r a di « p e r d e r e la faccia», ins o m m a di un infantilismo di cui n o n sono guariti n e a n c h e da vecchi. Fin d'allora essi si d i m o s t r a v a n o più attaccati alla liturgia dei gesti e delle p a r o l e che alla sostanza delle cose. Già li p e r s e g u i t a v a l'incubo di a p p a r i r e «borghesi» a chi si professava più p r o l e t a r i o di loro e di e s s e r n e «scavalcato a sinistra». Nella sua vicenda, Costa esemplificò q u e s t e c o n t r a d d i zioni. Per sfuggire all'accusa di aver tradito i c o m p a g n i per ambizioni di p o t e r e personale, s'impegnò a declinare la cand i d a t u r a p e r le elezioni dell"82 b e n s a p e n d o che in Romag n a il p a r t i t o n o n p o t e v a c o n t a r e c h e su di lui. Della lista nazionale, in cui figuravano Bignami, Gnocchi-Viani, Gambuzzi, Friscia e pochi altri, fu infatti l'unico a essere eletto, n o n a Imola, ma a R a v e n n a , dove raccolse b e n 3.654 voti, quasi un plebiscito. Era la fine della p e n o s a c o n d i z i o n e di «sorvegliato speciale» in cui versava da un d e c e n n i o . «Da questo m o m e n t o - gli disse il Prefetto -, ella è libera, O n o revole, di a n d a r e d o v e vuole.» Ma restava la q u e s t i o n e del g i u r a m e n t o . U n solo u o m o p o t e v a autorizzarvelo dall'alto del suo intatto prestigio: Cafiero. Gli scrisse. E Cafiero, che poco p r i m a lo aveva a d d i t a t o al linciaggio, rispose: «Va' in P a r l a m e n t o , presta f r a n c a m e n t e il t u o g i u r a m e n t o , e servi la causa comune...» Costa, che n o n chiedeva di meglio, a n d ò in Parlamento e giurò. Ma, n o n o s t a n t e l'avallo di Cafiero, dovette far fronte alla tempesta. Costituitisi in tribunale, i c o m p a g n i milanesi lo convocarono p e r r i s p o n d e r e del suo gesto. In veste di seg r e t a r i o e cancelliere, sedeva un giovane avvocato: Filippo Turati. Dai violenti attacchi degli estremisti che lo accusavano di d o p p i a diserzione, p r i m a p e r aver g i u r a t o , e poi p e r aver p r e s o p o s t o sui b a n c h i d e l l ' E s t r e m a a c c a n t o ai «borghesi» Cavallotti e Bovio, Costa si difese contrattaccando, e fu u n a delle sue migliori prestazioni oratorie. Alla fine vinse, ma rimettendoci p a r t e della sua aureola.
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Da Berna, Anna gli scrisse: «Dunque sei deputato, e io me ne congratulo teco». Niente altro. Da quando gli aveva dato una figlia, essa non era più per lui che la madre di sua figlia, e lo sentiva e non se ne dava pace. Le sue lettere erano tutte un rimprovero per la sua indifferenza, o un silenzio peggiore del rimprovero. Andrea eia il solo uomo di cui quella cerebrale non fosse stata innamorata soltanto di testa. «Sento che siamo invecchiati in materia d'amore - gli scrìveva -, e ciò è sintomo che siamo invecchiati generalmente. L'idealismo se n'è andato, e con lui tutto il resto. Ci vogliamo bene, abbiamo la Ninuccia, ognuno di noi va per la propria via, v'ha ancora l'abitudine, e poi? Guardo con malinconia i ruderi di quell'edificio gigantesco che abbiamo creato con la nostra fantasia, e sorrido. Chi l'avrebbe mai detto?» Due anni dopo, essa conobbe a Napoli il giovane avvocato milanese che aveva fatto da cancelliere nel processo contro Costa. Ma non fu la stessa cosa. Quella con Turati fu una liaison alla francese, più d'intelletto che di letto, e come convivenza fu più armoniosa. Ma fino alla morte, Anna seguiterà a sentirsi vedova di Andrea e del suo calore animale. Il motivo per cui gli evoluzionisti lombardi non erano riusciti a conquistare nessun seggio e ad affiancare a Costa qualche loro rappresentante, era stata la renitenza degli operai. Come abbiamo già detto, le loro Società erano sfuggite al controllo di Mazzini, ma ciò non significa che si fossero sottratte al suo lascito morale. Quanto questo fosse forte lo dimostrava l'influenza che su di esse esercitavano i radicali di Cavallotti, eredi del vecchio «Partito d'Azione» e depositari della tradizione mazziniana e di quella garibaldina, finalmente rappacificate dopo la morte dei due ispiratori. Erano i radicali che manovravano il Consolalo Operaio di Milano, una specie di federazione di società di arti e mestieri a base cittadina e con un programma quasi esclusivamente mutualistico e previdenziale. 183
Per gli evoluzionisti, q u e s t o e r a un gravissimo smacco: senza gli operai, era impossibile accreditarsi come i n t e r p r e ti delle classi p o p o l a r i e dei loro interessi. Bisognava d u n q u e s t r a p p a r e questi o r g a n i s m i alla c o n c o r r e n z a radicale, che aveva dalla sua, oltre al prestigio di Mazzini, un piccolo ma a g g u e r r i t o g r u p p o di d e p u t a t i alla C a m e r a e un giornale battagliero e di g r a n d e diffusione: II Secolo. La lotta p e r la conquista di questa roccaforte si e r a accesa già nel s e t t e m b r e d e l l " 8 1 , q u a n d o il Consolato indisse un c o n g r e s s o , cui i n t e r v e n n e r o i delegati di 86 Società, p e r il varo di u n a Confederazione Operaia Lombarda. Essa fu a p p r o vata, e lo S t a t u t o , i s p i r a t o d a i radicali, r i b a d ì in g e n e r a l e u n a linea p r o g r a m m a t i c a essenzialmente mutualistica. M a nel dibattito si delineò u n a t e n d e n z a che rivendicò agli operai - «quelli coi calli alle mani», disse il loro p o r t a p a r o l a - i posti direttivi fin allora d e t e n u t i dai «borghesi» e fece includ e r e fra gli scopi della Confederazione quello di «appoggiare le agitazioni», d a n d o l e con ciò un c o n t e n u t o di rivendicazione sindacale. Q u e s t e tesi furono subito vigorosamente sostenute sul loro giornale da Bignami e Gnocchi-Viani i quali ci videro u n a breccia a p e r t a all'influenza socialista. E infatti il risultato fu la nascita di un Partito Operaio Italiano, che a l u n g o a n d a r e a quest'influenza n o n poteva sottrarsi. Il suo p r o g r a m m a restava fedele, p e r il m o m e n t o , ai princìpi radicali. Ma la decisione di a s s u m e r e un carattere esclusivamente o p e r a i o e di a p p o g g i a r e gii scioperi e le leghe di resistenza, d a n d o avvìo a u n a lotta sindacale e di classe, lo costringeva fatalmente a discostarsene. Così accanto al g r u p p o r o m a g n o l o , formato s o p r a t t u t t o da artigiani e braccianti, si costituiva quello operaio lombard o . Perseguivano obbiettivi differenti. Il p r i m o m i r a v a alla conquista del p o t e r e politico coi mezzi legali della lotta parl a m e n t a r e , il s e c o n d o p u n t a v a al p o t e r e e c o n o m i c o attraverso la lotta sindacale. Ma era dalla loro fusione che doveva nascere, di lì a qualche a n n o , il partito socialista. Da que184
sto processo r i m a s e r o tagliati fuori gli anarchici, di cui Cafiero incarnava 1'«alienazione». S e g u i a m o n e p e r un tratto la vicenda, forse la più d r a m matica e «italiana» fra tutte quelle che si stavano svolgendo nel c a m p o politico nazionale.
CAPITOLO DICIOTTESIMO
I «MALFATTORI»
Un g i o r n o di febbraio dell"83 alcuni c o n t a d i n i che lavoravano a u n a cava di pietra presso Fiesole t r o v a r o n o un u o m o s e m i n u d o , squassato d a u n t r e m i t o che n o n e r a soltanto d i freddo e di d i g i u n o , e dallo s g u a r d o allucinato. N o n s e p p e d i r e chi fosse né c o m e mai si trovava lì. Lo rivelarono i doc u m e n t i c h e p o r t a v a i n d o s s o . E r a C a r l o Cafiero. I medici del manicomio di San B a r t o l o m e o , d o v e v e n n e t r a d o t t o , lo t e n n e r o p e r alcuni giorni in osservazione. Poi lo i n t e r n a r o no c o m e pazzo. Gli ultimi d u e a n n i li aveva trascorsi a v a g a b o n d a r e e a contraddirsi. Da L o n d r a aveva lanciato i più violenti anatemi c o n t r o Costa e la sua c o n v e r s i o n e ai m e t o d i legalitari. «Andare in P a r l a m e n t o vuol d i r e p a r l a m e n t a r e ; p a r l a m e n tare vuol d i r e patteggiare. La nostra azione dev'essere la rivolta p e r m a n e n t e , con la parola, con Io scritto, col p u g n a l e , il fucile, la dinamite...» Q u a n d o t o r n ò a L u g a n o , convocò gli amici, p o i li scacciò con p a r o l e minacciose, infine li richiamò, li abbracciò, e t o r n a t o a L o n d r a , scrisse a u n o di loro: «Gli ultimi attriti con Costa mi h a n n o fiaccato. N o n vedo n e s s u n o t r a n n e Errico (Malaiesta), ma r a r a m e n t e p e r c h é siam o lontani». D'improvviso p a r t ì p e r Milano, d o v e r i t r a t t ò c o m p l e t a m e n t e le sue dichiarazioni rilasciandone u n a in favore di Costa, e dove fu arrestato. In prigione tentò di suicidarsi tagliandosi le vene dei polsi, e forse a n c h e p e r questo si affrettarono ad accompagnarlo alla frontiera di Chiasso. L'ospitarono alcuni c o m p a g n i p e r c h é del suo bel p a t r i m o n i o , a n d a t o in fumo con la Baron a t a , n o n gli r e s t a v a c h e un piccolissimo vitalizio. Ma e r a 186
ossessionato dalle accuse lanciate c o n t r o Costa, e n o n faceva che chiedergliene p e r d o n o in l u n g h e sconclusionate lettere. Fu in p r e d a a q u e s t a agitazione c h e un g i o r n o s c o m p a r v e da L u g a n o p e r a p p r o d a r e , n o n si sa come, nella cava di Fiesole. I medici che lo avevano p r e s o in custodia d o v e t t e r o immobilizzarlo p e r impedirgli di strapparsi peli, u n g h i e e d e n ti ch'egli c o n s i d e r a v a un intralcio alla «spiritualizzazione della materia». E nel loro r a p p o r t o riferirono che il d e g e n t e n o n faceva che d e t t a r e lettere confidenziali al Re e al Papa, che voleva a r r u o l a r s i nell'esercito inglese, e che sollecitava un incontro col G e n e r a l e dei Gesuiti p e r p e r s u a d e r l o ad allearsi coi socialisti. Molti amici a n d a v a n o a visitarlo. Un g i o r n o si p r e s e n t ò a n c h e u n a giovane rivoluzionaria russa, O l i m p i a Kutusov, d e t t a Lipa, che disse di essere la moglie del malato, ed e r a vero. Cafiero l'aveva sposata dieci a n n i p r i m a a P i e t r o b u r go, ma solo p e r p r o c u r a r l e un passaporto che le p e r m e t t e s se di sottrarsi alle persecuzioni poliziesche, e d o p o quel mat r i m o n i o bianco n o n si e r a n o più rivisti. Espulsa dalla Russia c o m e c i t t a d i n a italiana, Lipa d o v e v a esservi r i e n t r a t a ciandestinamente p e r c h é poco d o p o risulta d e p o r t a t a in Siberia, d o n d e e r a r o m a n z e s c a m e n t e evasa p e r v e n i r e a sald a r e il suo d e b i t o di g r a t i t u d i n e con Cafiero. Essa riuscì a farselo affidare, sia p u r e p e r breve t e m p o , ma n o n a guarirlo. Egli r i m a s e a n c o r a alcuni a n n i s p r o f o n d a t o , c o m e dice Turati, «in u n a mite e poetica follia» che gli p r o c u r a v a strane visioni, e nel '92 m o r ì nel manicomio di Nocera. Alla stessa sorte si stava avviando un altro g r a n d e p r e d i catore dell'anarchismo catastrofico e illegalista: Covelli. Anche lui aveva p r o n u n c i a t o accuse spietate c o n t r o Costa, «questo r i n n e g a t o c h e ha accettato di essere d e p u t a t o e t r i u m v i r o della d e m o c r a z i a » , e da L o n d r a seguitava a ric h i a m a r e i c o m p a g n i al d o v e r e dell'intransigenza. E dall'azione, diceva, che n a s c o n o le idee, n o n viceversa. E contin u ò a dirlo a n c h e dal manicomio in cui lo i n t e r n a r o n o qua-
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si c o n t e m p o r a n e a m e n t e a Cafiero. Un p o ' d e n t r o , un p o ' fuori, visse farneticando altri t r e n t a n n i . I n q u e s t e t r a g e d i e i n d i v i d u a l i s ' i n c a r n a v a quella dello stesso anarchismo. Ribelle a ogni forma di autorità, esso faceva del rifiuto di qualsiasi organizzazione un'ideologia fine a se stessa che dissolveva a n c h e il suo tessuto. L'unico filo che riusciva a t e n e r n e cuciti i brandelli era la persecuzione. Nella qualifica di «malfattori» c h e t r i b u n a l i e s t a m p a a p p i o p p a v a n o agli anarchici, questi ritrovavano un motivo di unità e di orgoglio, tanto che Covelli adottò questa etichetta c o m e titolo del suo giornale, I Malfattori. Sul banco degl'imp u t a t i e in galera, essi si scoprivano solidali e u n a n i m i . Ma solo lì. T o r n a t i in libertà, ricominciavano a combattersi fra loro e a distruggersi c o n t e s t a n d o c h i u n q u e accennasse a voler i m p o r r e qualche regola e freno. D'altra p a r t e , d o p o la defezione di Costa e l'eliminazione di Cafiero, di u o m i n i qualificati ad a s s u m e r e funzione di capi, n ' e r a rimasto u n o solo, Malatesta, l'irriducibile lottatore, il t e n a c e g u a r d i a n o d e l v a n g e l o di B a k u n i n . B r a c c a t o da tutte le polizie e u r o p e e , n o n faceva che girovagare con falsi d o c u m e n t i tra Svizzera, Francia, Belgio, I n g h i l t e r r a , p a r t e c i p a n d o a tutti i congressi clandestini insieme a K r o p o t k i n , Luisa Michel, H e r z i g e a tutti gli altri santoni dell'anarchismo m o n d i a l e , intenti a ricostituire la Prima Internazionale, r i p u d i a t a e strozzata dai marxisti. Ma il suo forsennato attivismo u r t a v a s e m p r e c o n t r o la r e n i t e n z a dei «compagni» a qualsiasi forma associativa. A schierarsi al suo fianco e a sec o n d a r e i suoi sforzi, ce ne fu u n o solo: Francesco Saverio Merlino. Merlino veniva da u n a famiglia di «notabili» napoletani: suo p a d r e e r a Consigliere della C o r t e di Cassazione, e un suo fratello si stava avviando sulla stessa strada. P r i m a d'iscriversi a Legge, Francesco Saverio aveva frequentato l'istit u t o degli Scolopi, dove studiava a n c h e Malatesta. Ma n o n c r e d i a m o che sia stato questo incontro a d e t e r m i n a r e i suoi o r i e n t a m e n t i p e r c h é con Malatesta, di alcuni a n n i più gran188
dicello, ebbe pochi contatti e p e r c h é n o n e r a u o m o da subire influenze esterne. Anche nel fisico recava le stigmate del tipico intellettuale m e r i d i o n a l e : fragile, m i n u t o , t o p o di biblioteca. A l l ' a n a r c h i s m o a p p r o d ò negli a n n i u n i v e r s i t a r i , n o n p e r impulsi di ribellione o p e r smania d'avventura, ma p e r u n a deliberata scelta ideologica, m a t u r a t a sui testi. Merlino era u n o dei pochi che li conoscesse a fondo. E lo scopo che si p r o p o s e , subito d o p o la laurea, fu di divulgarne e a p p r o f o n d i r n e la tematica. I «compagni» subivano il fascino della sua s u p e r i o r e intelligenza, del suo rigore dialettico; ed e r a s e m p r e a lui che r i c o r r e v a n o , q u a n d o si t r o v a v a n o sul banco d e g l ' i m p u t a t i . Ma p r o p r i o p e r la sua c u l t u r a , p e r i suoi natali, p e r la sua b o r g h e s e «rispettabilità», n o n lo c o n s i d e r a r o n o mai dei lor o , n e m m e n o d o p o ch'egli e b b e fatto i suoi bravi t u r n i di p r i g i o n e e di esilio. Il l o r o idolo e r a un altro p e r s o n a g g i o molto p i ù pittoresco e pasticcione, da cui a p p u n t o p e r q u e sto si sentivano meglio «rappresentati»: Amilcare Cipriani. Cipriani era un Ciceruacchio di Anzio, cresciuto p e r ò a Rimini nell'aria s u r r i s c a l d a t a delle passioni anticlericali e antimonarchiche romagnole. A quindici anni combatteva già nell'esercito p i e m o n t e s e a San M a r t i n o , ma disertò p e r imbrancarsi coi Mille. T o r n a t o ad a r r u o l a r s i p e r la c a m p a gna contro il brigantaggio, disertò di nuovo per seguire Garibaldi in A s p r o m o n t e , e p e r un pelo sfuggì alla fucilazione. D o v u n q u e in quegli a n n i si combattesse, lo si trovava: coi r e p u b b l i c a n i greci in rivolta c o n t r o la m o n a r c h i a , con gl'insorti di C a n d i a c o n t r o i turchi. Nelle p a u s e , fa l'esploratore nel S u d a n al seguito di Miani, e finisce magazziniere al Cairo. U n a sera, d o p o u n a cena offèrta da alcuni compatrioti, si accese un tafferuglio fra i c o m m e n s a l i , e C i p r i a n i ne stese u n o m o r t o a p u g n a l a t e . I n s e g u i t o da d u e g u a r d i e , le affrontò e stese m o r t e a n c h e quelle. Riuscì a fuggire d e n t r o la stiva di u n a nave e a r i p a r a r e a L o n d r a , dove strinse amicizia con Mazzini. Ma q u a n d o a Parigi s'instaurò la Comune, 189
corse ad a r r u o l a r s i sotto le sue b a n d i e r e . Le sue p r o d e z z e gli valsero il g r a d o di colonnello, ma anche, d o p o che la rivolta fu d o m a t a , la c o n d a n n a a m o r t e , poi c o m m u t a t a nella d e p o r t a z i o n e a vita nella N u o v a C a l e d o n i a . A n c h e da dep o r t a t o , riuscì ad a n d a r e in p r i g i o n e p e r le sue insubordinazioni. Finché liberato da u n ' a m n i s t i a d o p o dieci a n n i di «bagno», r i e n t r ò in patria p e r nulla d ò m o , e anzi più battagliero di p r i m a . D o p o u n a visita a Cafiero, si b u t t ò a n i m a e c o r p o al lavoro di p r o p a g a n d a . Il suo passato, la sua b a r b a da profeta, il suo cappello a l a r g h e falde, la sua s c o m b i c c h e r a t a ma gladiatoria eloquenza, facevano di lui un m a t t a t o r e irresistibile. Predicava che n o n c'era bisogno d'idee, p e r c h é in realtà lui n o n ne aveva nessuna. Bisogna agire, diceva, n o n pensar e . Ma la polizia n o n gliene d i e d e il t e m p o . I m p a d r o n i t a s i d e l l ' i n c a r t a m e n t o relativo all'episodio del Cairo di quindici a n n i p r i m a , lo consegnò al tribunale che gl'inflisse altri venticinque a n n i di carcere. La speciosa sentenza provocò u n a violenta reazione. Portato c a n d i d a t o alle elezioni dell"82, m e n t r e languiva in u n a cella di P o r t o l o n g o n e Cipriani n o n riuscì. Ma riuscì a quelle di q u a t t r o a n n i d o p o e il r e s p o n s o , invalidato, fu n u o v a m e n t e confermato dagli elettori. C o m e s e m p r e capita quando abusa dei suoi poteri, il g o v e r n o aveva fatto della vittima un m a r t i r e , e o r a n o n sapeva c o m e uscire da quella situazion e . Cercò invano di p e r s u a d e r e il prigioniero a sottoscrivere u n a d o m a n d a di grazia, e alla fine d o v e t t e c o n c e d e r l a senza che venisse richiesta. Il t r i b u n a l e cercò d'infliggergli u n ' a l t r a c o n d a n n a p e r la diserzione di ventisei a n n i prima. Ma d o v e t t e r i n u n c i a r v i . Il r i t o r n o di C i p r i a n i a Rimini fu un'apoteosi, in cui forse p e r l'ultima volta anarchici e socialisti si t r o v a r o n o affratellati. Se avesse a v u t o il cervello di M e r l i n o , forse C i p r i a n i i n q u e l m o m e n t o a v r e b b e p o t u t o c o m p i e r e il miracolo della rappacificazione. Viceversa assunse tali posizioni, che Malatesta dovette sconfessarlo: «Cip r i a n i - scrisse - è restato s e m p r e garibaldino, garibaldino 190
nel senso m e n o intelligente della p a r o l a , cioè u o m o senza idee chiare, senza p r o g r a m m a d e t e r m i n a t o , p r o n t o s e m p r e a battaglia comechesia...»: u n a d i a g n o s i c e n t r a t a , a n c h e se lasciava in o m b r a le qualità positive d e l l ' u o m o : il coraggio, il disinteresse, la generosità. Secondato da Merlino, l'irriducibile Malatesta aveva lanciato l'idea di un c o n g r e s s o p e r d i s c u t e r e la c r e a z i o n e di qualche a p p a r a t o organizzativo che coordinasse l'azione insurrezionale. Ma già la semplice enunciazione dell'idea aveva sollevato un vespaio. Divisi in «individualisti» e «associazionisti», gli anarchici si scannavano sui loro giornaletti alla macchia c h e s'intitolavano: La Canaglia, La Plebaglia, La Ciurmaglia, La Marmaglia, La Gentaglia, La Poveraglia, I Pezzenti, I Ribelli. Ma il polso e l'energia di Malatesta riuscirono u g u a l m e n te a c o n d u r r e in p o r t o il p r o g e t t o . Travestiti e c o n d o c u menti falsi, i delegati delle varie sezioni r a g g i u n s e r o ai primi di gennaio del '91 il piccolo centro ticinese di Capolago, ch'era stato il rifugio di C a t t a n e o e la sede della più efficiente s t a m p e r i a r i s o r g i m e n t a l e . E r a n o u n ' o t t a n t i n a , e fra loro figurava a n c h e Cipriani. Ma lo scontro che, d o p o la polemica, tutti p a v e n t a v a n o fra lui e Malatesta, n o n s c o p p i ò . Il congresso si d i c h i a r ò «aperto a tutti i socialisti» p e r c h é tali ancora gli anarchici seguitavano a considerarsi, e il dibattito si svolse in un'atmosfera di distensione anche q u a n d o Malatesta e M e r l i n o a v a n z a r o n o s c o p e r t a m e n t e la p r o p o s t a di fondare un partito. I dissenzienti chiesero che la loro o p p o sizione venisse messa a verbale, ma n o n r e c l a m a r o n o votazioni, p a g h i della risoluzione di a d e r i r e alla Festa del Lavoro del 1° maggio e di un appello da diffondere in tutta Italia che ribadiva le tesi tradizionali: «Tu credesti nei p r e t i e sperasti in Dio, ma Dio fu s o r d o alle t u e p r e g h i e r e e i p r e t i si allearono coi tuoi p a d r o n i e ingrassarono alle tue spalle. Tu credesti nei p a t r i o t i , c o m b a t t e s t i p e r c o n q u i s t a r t i u n a patria, e la patria ti ha sfruttato, affamato, umiliato. Tu credesti nella libertà, p e r la libertà cospirasti e combattesti; e la li191
berta si rivelò amara ironia, che solo ti lascia libero di morir di fame. Tu credesti e credi ancora nei ciarlatani che, sotto il pretesto di fare il tuo bene, ti domandano l'appoggio del tuo voto e del tuo braccio; e i ciarlatani si fanno sgabello di te e saliti in alto ti opprimono, t'irridono, ti sfruttano. Ancora una volta, rivoltati da te e per tuo conto. Abbatti il governo, prendi possesso della terra, delle case, delle macchine, di tutto ciò che esiste, e organizza da te la produzione e il consumo per il maggior vantaggio di tutti. Soprattutto, non rinunziare nelle mani di alcuni alla libertà che avrai conquistata». Perfettamente ortodossa, questa professione di fede non diceva nulla di nuovo. La grande novità era la consacrazione del partito, che si chiamò Socialista Anarchico Rivoluziona-
rio Internazionale. Esso forniva finalmente a Malatesta e a Merlino uno strumento di scelte ideologiche e operative, anche se queste dovevano fare i conti con la congenita protervia individualista dei «compagni». Ma accanto alle conseguenze positive, ce n'era anche una negativa che forse i due capi non previdero o non misurarono. Fin allora, sebbene sempre più discordi fra loro, anarchici e socialisti erano rimasti formalmente uniti sotto il segno della Internazionale di Rimini. Ma ora che gii anarchici si costituivano in partito, i socialisti dovevano scegliere: o arruolarsi anch'essi sotto la loro bandiera, o innalzarne un'altra sul proprio pennone. E naturalmente quella destinata a trionfare era ìa seconda alternativa. Infatti la decisione maturò nello spazio di un anno. Ma di questa drammatica rottura che, con un ventennio di ritardo su quelli degli altri Paesi occidentali, diede avvìo a un partito socialista italiano liberato dalla sua matrice anarchica, ma afflitto da un inguaribile complesso di colpa nei confronti dei «fratelli ripudiati», parleremo più avanti.
CAPITOLO DICIANNOVESIMO
LA T R I P L I C E
Se l'avvento al p o t e r e della Sinistra n o n fu u n a rivoluzione nella politica i n t e r n a , n o n lo fu n e m m e n o nella politica estera p e r c h é la svolta che v'impresse n o n fece che a c c e n t u a r e quella c h e già la D e s t r a le aveva d a t o . Essa n o n risale al 1876, ma al 1870, l'anno della g u e r r a franco-prussiana e di Porta Pia. La politica estera di questo p e r i o d o ha un n o m e : Visconti-Venosta. Q u e s t o nobile l o m b a r d o e r a stato in gioventù un fervente mazziniano, ma d o p o il '59 si e r a convertito a Cavour e lo aveva p r e s o a suo m o d e l l o . N o n avrebbe mai potuto e m u l a r l o p e r c h é n o n ne possedeva la fantasia e la spregiudicatezza, ma ne condivideva gl'ideali e ne aveva profond a m e n t e s t u d i a t o i m e t o d i . A n c h e lui e r a un c o n s e r v a t o r e illuminato, a n c h e lui e r a convinto che «la peggior C a m e r a è s e m p r e migliore della migliore anticamera», cioè che il regime costituzionale e r a in q u a l u n q u e caso da preferire a quello assolutistico, e che l'avvenire dell'Italia era in u n a s e m p r e più stretta collaborazione con l'Occidente liberale. Al servizio di queste convinzioni egli metteva tali doti di equilibrio, di m i s u r a , di duttilità, di pazienza e di tatto che, diventato Ministro degli Esteri nel '63 - e n o n aveva che t r e n t a q u a t t r o a n n i -, lo rimase con brevi intervalli fino al '76, lo ridiventò d o p o la l u n g a parentesi di Crispi p e r r i m e d i a r n e i guasti, e a n c o r a nel 1906 lo r i t r o v e r e m o alla testa della delegazione italiana alla conferenza di Algesiras. La sua intramontabilità era d o v u t a anche al fatto che, fra gli u o m i n i politici italiani, Visconti-Venosta e r a u n o dei pochissimi i m m u n i dal vizio che affliggeva e seguita ad affliggere tutti gli altri: il provin193
cialismo. Conosceva i Paesi stranieri, ne parlava le lingue, e sapeva c o m e c o m p o r t a r s i tanto a un tavolo che a tavola. In u n a classe politica come quella italiana, n o n e r a n o qualità di o r d i n a r i a amministrazione. Fu a m a l i n c u o r e che, d o p o il '70, egli si r a s s e g n ò a «un n u o v o corso» sul p i a n o internazionale. Le forze che avevano p r e s o il sopravvento in Francia d o p o la disfatta di Sedan e r a n o tutte ostili all'Italia, «questa nazione - diceva il nuovo Presidente della Repubblica, T h i e r s - creata dall'infelice cecità di Napoleone», un p o ' p e r c h é n o n si e r a schierata al suo fianco contro la Prussia, un p o ' p e r c h é i cattolici, c h ' e r a n o il p u n t e l l o del n u o v o r e g i m e , n o n accettavano Porta Pia. Essi d i c e v a n o c h e la p r o t e z i o n e d e l P a p a e r a s e m p r e stata «la càusa indiscutibile della g r a n d e z z a della Francia tra le nazioni», c h e p e r t a n t o essa n o n p o t e v a r i n u n z i a r e a q u e s t a missione, e p e r contentarli T h i e r s dovette lasciare ancorata nel p o r t o di Civitavecchia u n a nave da g u e r r a . Visconti-Venosta n o n ne sopravvalutava la minaccia. Sapeva che la Francia n o n e r a in g r a d o di p r o m u o v e r e crociate. Ma doveva vedersela con u n a pubblica o p i n i o n e che, aizzata d a u n a Sinistra t r a d i z i o n a l m e n t e francofoba, reagiva con violenza alla provocazione. E s o p r a t t u t t o doveva p r e n d e r e atto che, p e r d u t o quello francese, l'Italia si trovava priva del suo tradizionale a p p o g g i o . Per cui, fedele al suo motto: « I n d i p e n d e n t i s e m p r e , isolati mai», egli decise di compiere un'accostata a V i e n n a e a Berlino, i n d u c e n d o il Re ad andarvi in visita e a c c o m p a g n a n d o v e l o . Fu il p r i m o passo in u n a d i r e z i o n e del tutto n u o v a perc h é l'alleanza del '66 con la Prussia n o n costituiva un «precedente» in q u a n t o l'Italia l'aveva c o n t r a t t a con l'approvazione della Francia, anzi su suo s u g g e r i m e n t o e senza sottrarsi alla sua influenza. E p r o d u s s e subito i suoi effetti. All a r m a t o , il n u o v o P r e s i d e n t e della R e p u b b l i c a francese, Mac-Mahon, ritirò da Civitavecchia la nave da g u e r r a . Visconti-Venosta n o n chiedeva p e r il m o m e n t o di più, e infatti n o n prese n e s s u n i m p e g n o né a Berlino né a Vienna. 194
O l t r e t u t t o , n o n aveva affatto simpatizzato c o n B i s m a r c k , «un c o m p a g n o di passeggiate - disse - che n o n vorrei avere sempre» e che gli reciprocava l'antipatia. Meglio s'intese con ali austriaci, c h e p a r l a r o n o con m o l t a franchezza. Dissero che p e r loro il passato era sepolto e che n o n avevano nessuna intenzione di creare difficoltà all'Italia sulla questione di Roma e del P a p a p u r c h é l'Italia n o n ne creasse a loro sulle questioni di T r e n t o e Trieste. E a r i p r o v a delle sue b u o n e intenzioni, l ' i m p e r a t o r e Francesco G i u s e p p e restituì subito d o p o la visita a Vittorio E m a n u e l e s c e n d e n d o a Venezia, la città c h e fino a p o c h i a n n i p r i m a era stata «la g e m m a » del suo I m p e r o . Q u a s i c o n t e m p o r a n e a m e n t e v e n n e a Milano l ' I m p e r a t o r e di Prussia. L'anno d o p o la Sinistra saliva al p o t e r e nel m o d o che abb i a m o d e t t o , e Visconti-Venosta v e n n e a c c a n t o n a t o . Q u a s i nessuno si era accorto del g r a n d e servigio ch'egli aveva reso al Paese togliendolo dal suo isolamento senza legarlo al carro di altre Potenze. Grossolana ed emotiva, l'opinione p u b blica n o n era in g r a d o di afferrare i p r o b l e m i ch'egli aveva dovuto risolvere. E la classe dirigente e r a fatta di u o m i n i dal limitato orizzonte, che di politica estera capivano poco e la concepivano solo in funzione di quella interna, cioè delle loro lotte di p o t e r e . Anche Depretis e r a affetto da questo vizio. F o n d a m e n t a l m e n t e , e r a favorevole all'intesa con la Francia. Ma diceva che di politica estera «bisogna farne q u a n t o m e n o si p u ò . Basta, q u a n d o si v e d o n o all'orizzonte dei nuvoloni, m e t t e r e le spalle al m u r o e a p r i r e l'ombrello». P u r t r o p p o , i nuvoloni e r a n o in quel m o m e n t o p a r t i c o l a r m e n t e densi. La penisola balcanica e r a in rivolta c o n t r o il giogo t u r c o , la Russia e r a i n t e r v e n u t a in favore dei ribelli, e d o p o u n a g u e r r a - l a m p o aveva i m p o s t o alla T u r c h i a u n t r a t t a t o c h e r i v o l u z i o n a v a tutto l'equilibrio e u r o p e o . Austria, Francia e I n g h i l t e r r a si s e n t i r o n o minacciate dall'avanzata del g i g a n t e slavo, e p e r un m o m e n t o s e m b r ò che si fosse alla vigilia di u n a seconda g u e r r a di Crimea. Fu Bismarck a salvare la situazione, o p e r 195
1 m e g l i o d i r e ad a p p r o f i t t a r n e , c o n v o c a n d o a B e r l i n o un Congresso in cui si p r e s e n t ò da «onesto sensale», e di cui diventò l'arbitro. Esso si svolse e si concluse nello spazio di un mese, fra il g i u g n o e il luglio del ' 7 8 , e l'Italia vi fu r a p p r e s e n t a t a dal suo n u o v o Ministro degli Esteri, Corti, a n c h e lui l o m b a r d o e diplomatico di carriera, quindi piuttosto esperto di negoziati, ma senza b a s e politica. Il C o n g r e s s o e r a i m p e r n i a t o sul p r o b l e m a delle «compensazioni» cioè del b o t t i n o da spartire fra le altre Potenze a spese dei turchi in m o d o ch'esse p o t e s s e r o c o n t r o b i l a n c i a r e i g u a d a g n i russi. L'Austria si era già assicurata la Bosnia-Erzegovina, e gl'irredentisti italiani r e c l a m a v a n o ch'essa, in c o m p e n s o , cedesse all'Italia qualche boccone di T r e n t i n o e di Venezia Giulia. Irredentista a n c h e lui, il n u o v o Presidente del Consiglio, Cairoli, era costretto ad avallare questa pretesa. Ma si arrese alla minaccia di dimissioni di Corti che n o n la condivideva affatto. Corti n o n si o p p o s e all'occupazione austriaca della Bosnia-Erzegovina; esigette solo che n o n fosse tramutata in a n n e s s i o n e . Ma q u a n d o l ' I n g h i l t e r r a a sua volta si assic u r ò Cipro, fu b o m b a r d a t o da Cairoli di tali t e l e g r a m m i che dovette c o r r e r e dal vice-Bismarck, von Biilow, p e r chiedere a n c h e lui qualche c o m p e n s o . Von Bùlow gli p r o p o s e la Tunisia. «Volete farci litigare con la Francia?» rispose Corti spaventato. E che l'intenzione dei tedeschi fosse p r o p r i o questa lo dimostrava il fatto che pochi giorni p r i m a la stessa offerta Bismarck l'aveva fatta alla Francia. Ma Corti n o n lo sapeva, e forse n o n lo sapeva n e m m e n o Bùlow. Il Ministro italiano qualificò la p r o p r i a azione c o m e «politica delle m a n i nette». Ma la pubblica o p i n i o n e la chiamò «delle m a n i vuote», e Crispi p a r l ò di «umiliazione nazionale». Corti a Milano fu quasi lapidato, e poco d o p o d i e d e le sue dimissioni in segno di protesta contro le violente dimostrazioni a n t i a u s t r i a c h e che si s u s s e g u i v a n o n e l Paese. Bismarck, che voleva legare s e m p r e più l'Austria al suo carro, ne aizzò la reazione. «Questi italiani - disse a Vienna - han-
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n o u n magnifico a p p e t i t o , m a pessimi denti.» V i e n n a rinforzò le sue guarnigioni nel T r e n t i n o , il che diede esca in Italia a n u o v e dimostrazioni. Fu m e n t r e si scatenava questa rabbia nazionalista che il console italiano a Tunisi, Macciò, diede inizio a u n a sua guerra privata contro il collega francese: il che fece c r e d e r e a Parigi che l'Italia si preparasse a qualche azione su quella terra. I motivi n o n s a r e b b e r o m a n c a t i p e r c h é in Tunisia l'Italia aveva u n a colonia e degl'interessi m o l t o più forti di quelli francesi. Ma a Berlino ci aveva rinunziato, m e n t r e Parigi, che sotto banco aveva avuto da Bismarck la stessa offerta, si era riservata di decidere. O r a , scambiando l'iniziativa di Macciò p e r un'iniziativa di R o m a , Parigi si affrettò a c o m u n i c a r e a Cairoli ch'essa considerava la Tunisia sfera d'influenza francese. Conscio dell'impotenza italiana a i m p e d i r n e l'occupazione, Cairoli rispose che l'Italia aveva in Tunisia un solo interesse: il m a n t e n i m e n t o dello status quo, cioè della situazione com'era. Ma Macciò insistè nella sua g u e r r a privata, chiam a n d o a Tunisi armatori e i m p r e n d i t o r i italiani ad accaparrarsi posizioni di privilegio. E la Francia, spinta da Bismarck ben contento di acuire il contrasto fra essa e l'Italia, rispose nell'aprile del 1880 o r d i n a n d o alle sue t r u p p e stanziate ad Algeri di sconfinare in Tunisia e di occuparla. A R o m a la reazione fu tale che Cairoli dovette dimettersi e lasciare il posto n u o v a m e n t e a Depretis. C o m e s e m p r e r u m o r o s o e velleitario, il nazionalismo italiano si sfogò in dimostrazioni c o n t r o la Francia. S e b b e n e mezzo paralizzato, Garibaldi, che in aiuto della Francia si era a r r u o l a t o volontario nel '70 e p e r la Francia aveva c o m b a t t u t o le sue ultime battaglie, p r o n u n c i ò c o n t r o di essa p a r o l e terribili, avallando col suo prestigio il furore p o p o l a r e . Depretis avrebbe voluto calmare le acque, ma n o n e r a u o m o da sfidare gli u m o ri della piazza q u a n d o si m e t t e v a n o a t e m p e s t a . A n c h e alla C a m e r a la polemica e r a r o v e n t e e p r o d u s s e effetti sconvolgenti sugli s c h i e r a m e n t i tradizionali. T r e a u t o r e v o l i e s p o nenti della Destra - Lanza, Bonghi e Peruzzi - fecero corag197
giosamente stecca nel coro delle invettive c o n t r o l'antico alleato d i c e n d o che lo smacco l'Italia lo doveva solo a se stessa. A l o r o fecero eco, dai b a n c h i d e l l ' E s t r e m a , Cavallotti e I m b r i a n i . Ma la schiacciante maggioranza, sia di Destra che di Sinistra, esigeva la r a p p r e s a g l i a . E la r a p p r e s a g l i a n o n poteva essere che un colpo di b a r r a in direzione d e g l ' I m p e ri Centrali, Austria e G e r m a n i a . E di qui che p r e s e avvìo la n u o v a politica estera italiana. Sia Depretis che il suo Ministro degli Esteri Mancini n o n ne e r a n o affatto convinti, ma n o n t r o v a r o n o la forza di opporvisi. Nell'ottobre del 1881 m a n d a r o n o il Re in visita a Vienna che gli fece un'accoglienza incoraggiante. Bismarck invece nicchiava. Ma q u a n d o si sparse la notizia di segreti accordi tra la Francia e la Russia, a n c h e lui, che viveva nell'incubo dell'accerchiamento, si dichiarò disponibile ad accogliere l'Italia nel patto che già lo legava all'Austria. Così la Duplice diventò Triplice. Il t r a t t a t o fu firmato a V i e n n a nel m a g g i o dell"82. Esso i m p e g n a v a le tre Potenze al reciproco aiuto nel caso in cui u n a fosse a g g r e d i t a e alla benevola n e u t r a l i t à nel caso che aggredisse. I n o l t r e Austria e G e r m a n i a d i c h i a r a v a n o di disinteressarsi del p r o b l e m a del Papa, c o n s i d e r a n d o l o un affare i n t e r n o italiano. Q u e s t ' u l t i m a clausola fu, insieme alla fine dell'isolamento, il g r a n d e vantaggio che l'Italia trasse dal patto, ma niente altro. Essa n o n vi era e n t r a t a su un p i e d e di parità con le consocie. Aveva semplicemente acceduto all'alleanza che già legava le altre d u e , le quali restavano p e r così dire le p a d r o ne di casa, e Bismarck n o n p e r s e occasione di farcelo sentir e . Diceva che l'unico c o n t r i b u t o che si aspettava dall'Italia in caso di g u e r r a era «un caporale con la b a n d i e r a , un tamb u r i n o e la fronte rivolta verso la Francia invece c h e verso l'Austria»: tale e r a la sua o p i n i o n e del nostro esercito. Fece a n c h e subito c a p i r e che «la via tra R o m a e V i e n n a passava p e r Berlino», e cioè che a n c h e i nostri r a p p o r t i con l'Austria dovevano essere regolati da lui. 198
Su q u e s t o n o n ebbe b i s o g n o d'insistere p e r c h é tali r a p porti t o r n a r o n o subito a guastarsi in seguito a un incidente che sembrava fatto a p p o s t a p e r stuzzicare l'emotività italiana. La polizia austriaca arrestò a Trieste un giovane intellettuale, Guglielmo O b e r d a n , m e n t r e si p r e p a r a v a a lanciare una b o m b a c o n t r o l'imperatore Francesco G i u s e p p e in visita alla città. O b e r d a n , c h e la s t a m p a clericale c h i a m a v a O b e r d a n k p e r farlo passare da slavo e togliergli l'alone del patriottismo, aveva disertato dall'esercito austriaco e, rifugiato a Roma, aveva militato nelle file dell'irredentismo più acceso, d o v e aveva m a t u r a t o il suo gesto. C o n d a n n a t o e avviato al c a p e s t r o , e r a m o r t o g r i d a n d o : «Viva l'Italia! Viva Trieste italiana!» Ce n ' e r a q u a n t o bastava p e r fare n u o v a m e n t e d i v a m p a r e le passioni risorgimentali. Carducci t u o n ò c o n t r o «l'imperatore degl'impiccati». Cavallotti affermò c h e «con la salma del pallido m a r t i r e , p e n z o l a dal c a p e s t r o l ' o n o r e italiano». I n s o m m a l'alleanza e r a a p p e n a conclusa che già e n t r a v a in crisi. N e s s u n o del resto ne sapeva nulla. F i r m a n d o l a , i tre governi si e r a n o i m p e g n a t i al più assoluto segreto, e infatti il suo c o n t e n u t o fu rivelato solo nel 1920. Le voci che circolavano su di essa t r o v a v a n o nell'incidente di O b e r d a n u n a smentita, e u n ' a l t r a n e e b b e r o subito d o p o , q u a n d o p a r v e che la Francia si disponesse a o c c u p a r e il Marocco. M e m o r e delle r e a z i o n i c h e aveva p r o v o c a t o l ' o p e r a z i o n e di Tunisi, Mancini si rivolse a B i s m a r c k facendogli p r e s e n t e c h e il rafforzamento delle posizioni francesi in M e d i t e r r a n e o andava a tutto d a n n o degl'interessi italiani. Il Cancelliere rispose s g a r b a t a m e n t e che l'Italia in M e d i t e r r a n e o n o n aveva interessi, solo s ' i m m a g i n a v a di a v e r n e . Ma D e p r e t i s , c h e n o n voleva far la fine di Cairoli, aveva m e s s o su p i e d e di g u e r r a un c o r p o di spedizione da sbarcare a Tripoli p e r far da c o n t r a p p e s o all'iniziativa francese. Per f o r t u n a q u e s t a n o n si c o n c r e t ò p e r c h é la crisi m a r o c c h i n a si risolse senza colpi di forza. Ma o r m a i la p a s s i o n e colonialista aveva invaso l'Italia, 199
che forse cercava inconsciamente un c o m p e n s o alle umiliazioni di Custoza e di Lissa. C u r i o s a m e n t e assai, essa e r a viva s o p r a t t u t t o nel Mezzogiorno, che avrebbe avuto u r g e n t e bisogno di essere a sua volta colonizzato. Mancini diceva che r i n u n c i a r e alle colonie sarebbe stato «un delitto di lesa patria». E, finanziati da organizzazioni culturali e commerciali, già molti italiani avevano p r e s o di loro iniziativa la via dell'Africa, chi p e r esplorarla, chi p e r tentarvi a v v e n t u r e . L'ap e r t u r a del canale di Suez li aveva attratti specialmente verso il Mar Rosso, dove l ' i n t r a p r e n d e n t e a r m a t o r e Rubattino, a n c h e su incitamento di Vittorio E m a n u e l e , aveva c o m p r a to dal Sultano locale il p o r t o di Assab. Allergico a ogni interferenza sulla «via delle Indie», il Primo Ministro inglese Disraeli aveva avversato quell'operazion e . Ma il suo successore G l a d s t o n e , g r a n d e amico d e l n o stro Paese, ne sollecitò la collaborazione. A darvi la spinta fu, c o m e s e m p r e in Italia, un fatto e m o t i v o . L'esploratore Bianchi fu ucciso dagl'indigeni in Dancalia, e così il colonialismo ebbe il suo «martire» da vendicare. C o m e tutte le mode italiane, a n c h e questa era d'importazione. Dietro di essa, n o n c ' e r a n o interessi concreti. L'Italia n o n aveva capitali in cerca d ' i n v e s t i m e n t i . N o n aveva u n ' i n d u s t r i a in cerca di mercati. Ma subiva il contagio dei Paesi che, d i s p o n e n d o di tutto questo, e r a n o in p i e n a frenesia imperialistica. S p i n t o dalla pubblica o p i n i o n e , il g o v e r n o r i c o m p r ò da Rubattino Assab, chiese e o t t e n n e dagl'inglesi il p e r m e s s o di o c c u p a r e Massaua, e un g i o r n o di g e n n a i o del 1885 un batt a g l i o n e di bersaglieri salpò da N a p o l i «in u n ' a t m o s f e r a - dice Seton Watson - che rievocava l'imbarco dei Mille nel '60». In P a r l a m e n t o Mancini affermava con la più g r a n d e serietà che l'Italia a n d a v a nel M a r Rosso a cercarvi «le chiavi del M e d i t e r r a n e o » e il r e p u b b l i c a n o Bovio, p e r d a r e all'impresa un alibi ideologico, asseriva che gl'indigeni africani n o n avevano il diritto di restare barbari. D o p o aver d a t o avvìo all'avventura africana, Mancini rim a s e p r i g i o n i e r o d e i superficiali m a r u m o r o s i e n t u s i a s m i 200
ch'essa aveva suscitato. Secondo lui, Massaua doveva essere soltanto il t r a m p o l i n o di lancio di u n ' a z i o n e sul S u d a n da c o n c o r d a r e c o n l ' I n g h i l t e r r a che p r o p r i o i n quel m o m e n t o era i m p e g n a t a a d o m a r n e la resistenza. Q u e s t a e r a g u i d a t a dal famoso M a h d i , che sorprese a K h a r t u m il generale Gord o n e lo t r u c i d ò . Mancini offrì il suo aiuto, ma gl'inglesi lo d e c l i n a r o n o , e così l'Italia si trovò «incatenata a u n a roccia nel Mar Rosso» senza p r o s p e t t i v e di e s p a n s i o n e nell'interno. Propose a L o n d r a di o c c u p a r e H a r a r e il p o r t o di Zeila, m a incontrò u n n u o v o rifiuto. La d e l u s i o n e degl'italiani fu p a r i alle illusioni in cui essi si e r a n o cullati di u n a facile e r a p i d a conquista, e t r o v ò la sua eco in P a r l a m e n t o . Bersagliato da amici e nemici, e sop r a t t u t t o da Crispi che, s e n t e n d o vicina la sua ora, n o n p e r deva occasioni p e r accusare il g o v e r n o di debolezza e i n d e cisione, Mancini si dimise. Il C o n t e di Robilant che prese il suo posto e r a un ex-Generale che, d o p o u n a brillante c a r r i e r a nelle c a m p a g n e del Risorgimento, e r a e n t r a t o in diplomazia e fin dal '71 teneva il difficile p o s t o di Ambasciatore a Vienna. U o m o f r e d d o e risoluto, abituato all'azione, n o n si lasciava irretire dai formalismi e dalle p r o c e d u r e . C o m e Ministro, gli m a n c a v a n o d u e qualità: l'oratoria e l'esperienza della m a n o v r a p a r l a m e n t a r e . Ma aveva u n a chiara visione sia degl'interessi del Paese che dei suoi limiti. Egli aveva d i s a p p r o v a t o l'avventura africana, un p o ' p e r c h é la considerava s p r o p o r z i o n a t a alle forze italiane, un p o ' p e r c h é n o n si fidava della Triplice dove, aveva detto a Mancini, «noi a b b i a m o degli alleati, ma n o n degli amici». Ma, o r a c h ' e r a v a m o a Massaua, n o n int e n d e v a a b b a n d o n a r l a . Voleva soltanto c o n s o l i d a r e quella base sia m i l i t a r m e n t e c h e d i p l o m a t i c a m e n t e . Perciò fece espellere la g u a r n i g i o n e egiziana che tuttora vi stazionava e cercò d i allacciare r a p p o r t i amichevoli con l ' i m p e r a t o r e Giovanni di Etiopia e col suo p i ù p o t e n t e ma indocile vassallo, Menelik dello Scioa, destinato a succedergli sul t r o n o . Q u a n t o alla Triplice, il cui trattato scadeva e doveva essere 201
r i n n o v a t o nell"87, è difficile s a p e r e s'egli i n t e n d e v a ritirarsene, o se volle soltanto farlo c r e d e r e p e r s p u n t a r e condizioni migliori. Fatto sta che scrisse al suo A m b a s c i a t o r e a Berlino che «l'Italia è stanca di questa alleanza infeconda» e rifiutò la p r o p o s t a d ' i n c o n t r a r e Bismarck, questo « p a d r o n e del m o n d o prò tempore» c o m e lui lo chiamava. Giuocava d ' a u d a c i a , ma p o n d e r a t a m e n t e . II riavvicinam e n t o della G e r m a n i a alla Francia e r a fallito, così c o m e per il riacutizzarsi della crisi balcanica era fallito quello dell'Austria alla Russia; e questo r e n d e v a l'appoggio italiano molto più i m p o r t a n t e e prezioso. Sia p u r e a malincuore, Bismarck dovette p r e n d e r n e atto e, c o m e Robilant aveva previsto, fu lui stavolta a m u o v e r e il p r i m o passo. Robilant pose al rinn o v o u n a c o n d i z i o n e precisa: c h e l'alleanza e s t e n d e s s e la sua garanzia degl'interessi italiani sia in M e d i t e r r a n e o che nei Balcani. Il n u o v o p a t t o fu firmato il 20 febbraio dell"87. Esso rip r o d u s s e i n t e g r a l m e n t e il trattato di cinque a n n i p r i m a , ma ve ne a g g i u n s e altri d u e : u n o italo-tedesco che i m p e g n a v a la G e r m a n i a a schierarsi con l'Italia se questa avesse ritenuto di o p p o r s i a un'eventuale iniziativa francese c o n t r o il Marocco o la Tripolitania; u n o italo-austriaco che i m p e g n a v a l'Austria a n o n m u t a r e l'assetto dei Balcani se n o n d o p o un accordo con l'Italia «tale da d a r e soddisfazione agl'interessi e alle pretese b e n fondate delle d u e parti». In parole povere: se l'Austria si fosse i n g r a n d i t a nei Balcani, l'Italia avrebbe avuto diritto a q u a l c h e c o m p e n s o in T r e n t i n o o Venezia Giulia. Q u e s t a clausola fornì poi a n c h e il pretesto al disanc o r a m e n t o dell'Italia dalla Triplice nel 1914, q u a n d o l'Austria occupò la Serbia senza avvertire Roma. C o n questi accordi, Robilant aveva riscattato l'Italia dalla «posizione ancillare» ch'essa occupava nella p r i m a Triplice, m e n t r e con u n a l t r o t r a t t a t o s t i p u l a t o s e g r e t a m e n t e con l ' I n g h i l t e r r a se ne assicurava la g a r a n z i a al m a n t e n i m e n t o dello status quo nel M e d i t e r r a n e o . Ma p r o p r i o nel m o m e n t o in cui otteneva questi successi, egli veniva travolto dagli av202
venimenti del Mar Rosso. Il suo tentativo di allacciare cordiali r a p p o r t i coi d u e capi abissini e r a fallito, e la b a s e di Massaua e r a r i m a s t a isolata. Egli c o m m i s e l ' e r r o r e di n o n dar p e s o alle azioni di d i s t u r b o che l ' i m p e r a t o r e G i o v a n n i aveva i n t r a p r e s o p e r ostacolare l ' o c c u p a z i o n e italiana. Ris p o n d e n d o in P a r l a m e n t o a u n ' i n t e r r o g a z i o n e su quegl'incidenti, aveva d e t t o c h e n o n e r a il caso di p r e o c c u p a r s i di «quei q u a t t r o predoni». U n a settimana d o p o giunse la notizia di Dogali, d o v e i q u a t t r o p r e d o n i a v e v a n o s o r p r e s o e sterminato u n a colonna di 500 italiani. C h i a m a t o sul b a n c o degl'imputati in u n a t e m p e s t a di accuse e di r a m p o g n e , Robilant r i c o n o b b e s i g n o r i l m e n t e di aver commesso un grave e r r o r e di calcolo, ne assunse la piena r e s p o n s a b i l i t à , e seguì la s o r t e del g o v e r n o , che aveva p r e s e n t a t o le dimissioni, p e r a n d a r e a o c c u p a r e il p o s t o di A m b a s c i a t o r e a L o n d r a . Ma n o n o s t a n t e q u e l l ' i n f o r t u n i o , egli aveva dato al Paese, sul p i a n o internazionale, u n a posizione di tutto riposo e u n a stabile direttiva alla sua diplomazia. Specialista in c a d u t e e r e s u r r e z i o n i , D e p r e t i s e b b e di nuovo dal Re l'incarico di f o r m a r e il g o v e r n o , l'ottavo della sua serie. Ci riuscì solo accogliendovi Crispi e Z a n a r d e l l i , che gli g a r a n t i v a n o l ' a p p o g g i o della P e n t a r c h i a . Ma pochi mesi d o p o m o i ì , e la successione di Crispi fu quasi a u t o m a tica. Lo invocava l'opinione pubblica c o m e l'unico u o m o capace di vendicare le «Termopili italiane» di Dogali.
CAPITOLO VENTESIMO
CRISPI
«Incipit vita nova», comincia u n a n u o v a vita, scrisse u n o degli e s p o n e n t i della Pentarchia, Baccarini, q u a n d o Crispi salì al p o t e r e . E n e s s u n o infatti sembrava meglio qualificato di lui a ravvivare u n a vita politica che D e p r e t i s aveva a d d o r m e n t a t o r i d u c e n d o l a a un p u r o giuoco di equilibri e compromessi. Crispi era n a t o nel '18 a Ribera in provincia di Agrigento da u n a famiglia di origine greco-albanese, che a ogni generazione forniva qualche p r e t e alla Chiesa di questo rito. Gli altri facevano i «campieri» o «gabelloti», c h ' e r a la categoria sociale cui la mafia attingeva i suoi q u a d r i . N o n ci sono elementi p e r affermare che i Crispi ne facevano p a r t e . Ma n o n ce ne sono n e m m e n o p e r escluderlo. Francesco, detto Cicciu, fu messo dal p a d r e in seminario sotto la p r o t e z i o n e di u n o zio Vescovo. E fu solo grazie a lui che n o n ne v e n n e espulso p e r indisciplina e p r o t e r v i a . Gli unici autori che studiò con passione furono gli storici r o m a ni. E fu questo, di lì a tanti anni, u n o dei motivi della sua infatuazione p e r Bismarck, a n c h e lui g r a n cultore di classici. Q u a n d o s'incontrarono, passarono più t e m p o a discutere di Tacito e di Svetonio che di E u r o p a e di diplomazia. Visto che da quel ribelle n o n c'era speranza di tirar fuori un p r e t e , la famiglia lo m a n d ò a s t u d i a r legge a P a l e r m o , dove arrivò quasi c o n t e m p o r a n e a m e n t e al colera. Il p a d r e corse a r i p r e n d e r l o e lo r i p o r t ò a R i b e r a . Ma F r a n c e s c o fuggì p e r t o r n a r e in città dove aveva lasciato l ' i n n a m o r a t a , prese il contagio, e a casa lo p i a n s e r o per m o r t o . Viceversa era u n o dei pochi che se la fossero cavata, ma n o n osava far205
si vivo p e r via della ragazza, di cui il p a d r e n o n voleva saper e . Rimasto senza sussidi, s'impiegò p r e s s o un avvocato, e t r o v ò m o d o di f o n d a r e a n c h e un g i o r n a l e t t o che usciva su d u e fogli u n a volta al mese. Tanti a n n i d o p o , c o m e vuole il malcostume polemico italiano, gli avversari rispolverarono i suoi scritti di allora, d'intonazione filoborbonica. E si scoprì che aveva c o m p o s t o a n c h e delle cattive poesie. A v e n t i d u e a n n i sposò la sua Rosina, c h e gli d e t t e u n a figlia, ma ent r a m b e m o r i r o n o poco d o p o . Fu p e r lui u n a tragedia, in cui s e m b r ò che si spengessero i suoi giovanili entusiasmi. Tornò agli studi giuridici, p r e s e la l a u r e a e si trasferì a Napoli per esercitarvi la professione. N a p o l i lo g u a r ì d a l suo filoborbonismo, e l'amicizia dei Poerio gli fece da p a s s a p o r t o negli a m b i e n t i liberali, dove assunse subito, c o m ' e r a nel suo carattere, u n a posizione di p u n t a . Q u a n d o nel '47 s c o p p i a r o n o in Sicilia e in Calabria i moti che p r e l u d e v a n o alla rivoluzione i n d i p e n d e n t i s t a dell'isola, Crispi faceva già p a r t e del Comitato che l'ispirava e solo p e r un p e l o sfuggì a l l ' a r r e s t o . Pochi mesi d o p o e r a a Palermo, che le t r u p p e b o r b o n i c h e avevano d o v u t o evacuar e , e a lui fu affidato il c o m p i t o di trasformare i ribelli in soldati. C o m e organizzatore dovette d a r e b u o n a p r o v a perché le sue s q u a d r e resistettero b e n e al r i t o r n o offensivo dei borbonici, e questo gli valse un posto di prestigio nel g o v e r n o provvisorio di R u g g e r o Settimo. Sebbene n u t r i t o di Mazzini, i suoi scritti e discorsi di questo p e r i o d o n o n rivelano tuttavia nulla di unitario e nazionale. Crispi pensava e agiva da siciliano, p e r l ' a u t o n o m i a dell'isola. La sua voce n o n si levò p e r l'invio di t r u p p e sotto le b a n d i e r e del Piemonte in guerra con l'Austria: il suo orizzonte si fermava a Messina. Ma in fatto d'ideologia d i m o s t r ò fin d'allora u n a certa disinvoltura p e r c h é q u a n d o fu a v a n z a t a la p r o p o s t a di offrire il t r o n o della Sicilia al secondogenito di Carlo Alberto, il repubblicano Crispi l'appoggiò calorosamente. Q u a n d o , d o p o Custoza e N o v a r a , il g e n e r a l e Filangieri v e n n e a r e s t a u r a r e l ' o r d i n e b o r b o n i c o , a Crispi n o n restò 206
che la fuga. La p r i m a t a p p a fu Torino, dove sbarcò alla m e glio il l u n a r i o scrivendo p e r i giornali, ma senza riuscire a inserirsi. La città e r a ostile a quella t o r m a di fuorusciti che l'avevano alluvionata (ce n ' e r a oltre ventimila), e Crispi era fra i m e n o assimilabili. Offeso c h e il g o v e r n o p i e m o n t e s e n o n gli avesse offerto u n a c a t t e d r a , s'era r i t i r a t o a vivere s p a r t a n a m e n t e in u n a casuccia di periferia, d o v e riceveva solo gli amici che accettavano un r a n g o s u b a l t e r n o . Scrisse alcuni saggi, piuttosto mediocri, sulla Sicilia e la sua rivoluzione, e a n n o d ò u n a fitta c o r r i s p o n d e n z a con Mazzini, cosa che n a t u r a l m e n t e n o n sfuggì alla polizia. Nel '53 lo arrestar o n o e g l ' i n t i m a r o n o lo sfratto. Partì su u n a nave d i r e t t a a Malta, ma n o n solo. Lo seguiva u n a ragazza savoiarda, Rosalia Montmasson, «stiratrice in bianco» semianalfabeta, ma appetitosa e a sua volta p i e n a di a p p e t i t i : doti a cui Crispi era molto sensibile, e lo resterà p e r tutta la vita. A Malta si r i p e t è la stessa e s p e r i e n z a di T o r i n o . L'esule definì l'isola « u n o scoglio ingrato» e n o n legò c o n gli altri fuorusciti che vi si e r a n o rifugiati: « q u a n t o di p i ù s o r d i d o - disse di l o r o - abbia p o t u t o r i g e t t a r e il '48». F o n d ò un giornale di cui e i a l'unico r e d a t t o r e , e le autorità lo lasciarono fare finché vi scrisse cose che r i g u a r d a v a n o solo l'Italia e la Sicilia. Ma q u a n d o si mise a criticare la politica locale, lo sfrattarono a n c h e di lì. S'imbarcò p e r L o n d r a d o p o aver sposato in chiesa Rosalia, e fu un viaggio terribile p e r c h é soffriva a t r o c e m e n t e il m a r e . Mazzini lo accolse f r a t e r n a m e n t e , lo p r e s e n t ò agli altri e m i g r a t i e fece del suo m e g l i o p e r i n t r o d u r l o n e l l ' a m biente inglese, ma con poco successo. O m b r o s o e suscettibile, n o n era mai c o n t e n t o degl'impieghi che via via gli davan o , ma s o p r a t t u t t o forse n o n si rassegnava a u n a posizione in s o t t o r d i n e nei confronti del Maestro. Per questo preferì trasferirsi a Parigi, a n c h e a costo di vivere di ripieghi. Ma la polizia lo teneva d'occhio, e q u a n d o Orsini, ai primi del '58, lanciò la famosa b o m b a contro l ' I m p e r a t o r e , lo trasse in arresto. 207
N o n si è mai saputo con esattezza quali r a p p o r t i in realtà fossero corsi t r a lui e l ' a t t e n t a t o r e . N e g l ' i n t e r r o g a t o r i , egli a m m i s e di averlo conosciuto a L o n d r a , ma affermò di n o n averlo da allora p i ù i n c o n t r a t o , e la polizia n o n t r o v ò elem e n t i p e r smentirlo. Ma più tardi u n o dei complici, Rudio, che aveva avuto la grazia, rivelò che Crispi e Orsini si e r a n o visti mezz'ora p r i m a del colpo. C o m u n q u e , egli fu espulso a n c h e da Parigi, e p e r alcuni mesi g i r o v a g ò fra Lisbona e L o n d r a , m a s e m p r e m a n t e n e n d o s i i n stretto c o n t a t t o con Mazzini e con gli amici di Sicilia. N e l luglio del '59, c o n r e g o l a r e p a s s a p o r t o a r g e n t i n o , sbarcò a Palermo un certo M a n u e l Pereda. Era Crispi, senza baffi e con gli occhiali. Vide i suoi fidi, s'informò di molte cose, e t o r n ò a L o n d r a p e r m e t t e r e Mazzini al c o r r e n t e della situazione. Grazie alla pace di Villafranca che le lasciava il Veneto, l'Austria aveva ancora un p i e d e in Italia, ma n o n ne e r a p i ù la p a d r o n a . A N a p o l i , il dispotico Re B o m b a era m o r t o e sul suo t r o n o sedeva l'anemico e irresoluto Franceschiello. La situazione dell'isola n o n poteva essere più p r o pizia p e r un'azione rivoluzionaria che strappasse al Piemonte m o n a r c h i c o e c o n s e r v a t o r e l'iniziativa dell'unificazione nazionale. Perché o r m a i Crispi, riposti i sogni autonomistici, solo a questo mirava, e n a t u r a l m e n t e Mazzini n o n gli lesinava il suo incoraggiamento. In ottobre t o r n ò in Sicilia con un falso p a s s a p o r t o inglese, ma ne fu deluso. Gli amici di P a l e r m o n o n vollero nemm e n o vederlo p e r p a u r a di c o m p r o m e t t e r s i e gli consigliar o n o di r i p r e n d e r e il largo. Stoicamente, d a t a la sua allergia al m a r e , s'imbarcò p e r Atene. Di lì, d o p o un inutile tentativo di fermarsi n u o v a m e n t e a Malta, c i r c u m n a v i g ò il Medit e r r a n e o , senza mai potersi alzare dalla cuccetta, e via Barcellona r a g g i u n s e Genova, p e r convincere Farini, allora gov e r n a t o r e delle province emiliane ribelli al Papa, a organizzare u n a spedizione in Sicilia sotto la g u i d a di Garibaldi. Così n a c q u e l'idea dei Mille, e n a c q u e nella m e n t e di Crispi. Farini gli consigliò di p a r l a r n e a Rattazzi, che in quel mo208
m e n t o aveva p r e s o il posto di Cavour, e Rattazzi gli suggerì d ' i n t e n d e r s i col suo c o m p a e s a n o La Farina, che di C a v o u r era il consulente p e r le questioni siciliane. Fra i d u e u o m i n i n o n c'era possibilità d'accordo: u n p o ' p e r c h é e r a n o d i o p posta estrazione ideologica: m o d e r a t o La Farina e devotissimo a Cavour, democratico e rivoluzionario Crispi; ma forse ancora di più p e r la ombrosità e p r o t e r v i a del loro carattere. E n t r a m b i si consideravano il n. 1 della Sicilia e volevano restarlo. Fatto sta che d o p o un p r i m o inutile colloquio, Crispi preferì rivolgersi a Rosalino Pilo p e r c h é p e r s u a d e s s e Garibaldi, di cui e r a g r a n d e amico. E siccome G a r i b a l d i nicchiava, si fece scortare presso di lui da Bixio. Giunse perfino a falsificare le notizie in a r r i v o da P a l e r m o p e r vincere l'esitazione d e l G e n e r a l e , che a un c e r t o p u n t o si trovò di fronte al fatto c o m p i u t o , e c o m p i u t o da Crispi, di un c o r p o di volontari a r m a t o e sul piede di g u e r r a . Fra i Mille che il 6 m a g g i o p r e s e r o il largo c'era a n c h e lui, in t u b a e m a r s i n a ; e con lui c'era Rosalia, che p r i m a di d i v e n t a r e a Calatafìmi «l'angelo dei feriti» - c o m e la chiam e r à Cavallotti -, dovette farlo al capezzale del suo u o m o , in p r e d a al solito m a l di m a r e . Aveva rifiutato la carica di sottocapo di stato m a g g i o r e p e r c h é di g u e r r a sapeva di n o n saper nulla. Ma sapeva anche di essere indispensabile a Garibaldi, «il più g r a n c o n d o t t i e r o che sia stato al m o n d o , ma inetto a g o v e r n a r e un villaggio», c o m e disse a n n i d o p o a F e r d i n a n d o Martini. E infatti la m e n t e politica della spedizione fu lui. Fu lui che suggerì al G e n e r a l e di a s s u m e r e la dittatura sull'isola in n o m e di Vittorio E m a n u e l e , fu lui che ne r e d a s s e i p r o c l a m i e c h e , c o m e S e g r e t a r i o di Stato, e m a n ò le p r i m e misure, fra le quali ci fu l'abolizione del baciamano e del titolo di Eccellenza, e l'espulsione dei Gesuiti. Preso c o m p l e t a m e n t e alla sprovvista dal successo della s p e d i z i o n e , Cavour, che f r a t t a n t o e r a t o r n a t o a l p o t e r e , spedì in tutta fretta a Palermo La Farina p e r c h é sorvegliasse «quei matti» e gliene riferisse. La Farina riferì che sulla fedeltà di Garibaldi al Re si poteva contare, ma n o n su quella 209
di Crispi, che faceva solo gl'interessi di Mazzini e mirava a istaurare u n a Repubblica. N o n era vero: Crispi aveva da un pezzo rinunziato ai sogni autonomistici e fatto sinceramente suo il g r i d o di Garibaldi: «Italia e Vittorio E m a n u e l e » . Ma e r a vero che si o p p o n e v a all'annessione i m m e d i a t a dell'isola p e r f a r n e a n c o r a la b a s e delle successive o p e r a z i o n i su Napoli, che Cavour tentava di ostacolare. La Farina n o n b a d ò a mezzi p e r screditare il suo arcinemico agli occhi di Garibaldi. Alla fine ci riuscì, ma p e r poco. Un bel giorno il G e n e r a l e lo fece espellere c o m e un malfatt o r e qualsiasi e r e s t i t u ì il p o t e r e a Crispi. Ma La Farina t o r n ò con le credenziali di C a v o u r e t e n t ò di far a r r e s t a r e Crispi che fuggì da u n a finestra. I d u e u o m i n i si ritrovarono di lì a poco faccia a faccia, c o m e d e p u t a t i nel p r i m o Parl a m e n t o nazionale, La Farina a destra, Crispi a sinistra, e fu tra loro un duello alla siciliana, cui n e m m e n o la m o r t e di La Farina pose fine. Pubblicato p o s t u m o , il suo carteggio costituiva u n tale a t t e n t a t o all'onorabilità d i Crispi, c h e questi o t t e n n e dal T r i b u n a l e il s e q u e s t r o del libro e la c o n d a n n a dell'editore p e r calunnia. S e d u t o a l l ' e s t r e m a sinistra, Crispi fu p e r a n n i la bestia n e r a di tutti i governi. Q u a n d o si alzava a p a r l a r e - e si alzava c o n t i n u a m e n t e -, in aula si faceva silenzio. «Si d i r e b b e che stia p e r tirar fuori di tasca un paio di revolver» scriveva Petruccelli della Gattina, e c o m e tali infatti usava le sue parole p e r lanciare accuse e a n n u n c i a r e catastrofi. La m o d e stia n o n era il suo forte. «Costante nei miei propositi, fedele alla b a n d i e r a dell'unità nazionale, il d o m a n i mi ha d a t o semp r e ragione» diceva di sé. «Si stupefa c o n t i n u a m e n t e della p r o p r i a g r a n d e z z a - osservava m a l i g n a m e n t e B o n g h i - e come a lui v e n g a n o spontanei, p r o n t i , improvvisi in grandissima copia s u g g e r i m e n t i , consigli, idee, che gli altri, a stillarvisi il cervello, n o n t r o v e r e b b e r o in c e n t o anni.» Si richiamava s e m p r e ai g r a n d i princìpi ideali e morali p e r d e n u n ciare i patteggiamenti, i compromessi, gli o p p o r t u n i s m i della Destra. E così fece a n c h e in u n a m e m o r a b i l e requisitoria 210
tinte apocalittiche c o n t r o il m a l g o v e r n o della Sicilia e lo stato di a b b a n d o n o in cui e r a lasciata da un r e g i m e che faceva r i m p i a n g e r e quello dei B o r b o n i . Suscitò tale i m p r e s sione, che b e n diciotto d e p u t a t i del suo g r u p p o , fra cui Garibaldi, Bertani e Guerrazzi, si dimisero p e r protesta r i n u n ciando al m a n d a t o p a r l a m e n t a r e . Lui, che aveva provocato quel finimondo, rimase al suo posto. E a chi gli chiedeva se era con Garibaldi o con Mazzini, r i s p o n d e v a : «Io sono con Crispi», ch'è la cosa più vera che abbia mai detto di sé. Alle ostilità che questo egocentrismo gli p r o c u r a v a , la sua c o n d o t t a privata n o n faceva m a n c a r e p r e t e s t i . L a f i g l i a d i u n alto m a g i s t r a t o b o r b o n i c o d a lui stesso e p u r a t o , L i n a Barbagallo, a n d ò da lui a p e r o r a r e la causa del p a d r e . E la p e r o r ò così b e n e che Barbagallo riebbe il suo posto, m e n t r e Lina p r e n d e v a quello di Rosalia. Anche sul p i a n o ideologico, il p a l a d i n o dei «grandi princìpi» mostrava nei loro confronti u n a certa disinvoltura. Nel '65, al t e r m i n e di un lungo discorso sulla questione r o m a n a , dichiarò che «la Monarchia ci ha unito, la Repubblica ci dividerebbe», e alla fulminante risposta di Mazzini che lo tacciava di t r a d i t o r e , replicò con un opuscolo s t r a n a m e n t e pacato, o forse soltanto imbarazzato, che tuttavia dimostrava l'evoluzione del suo pensiero verso u n a forma di democrazia autoritaria che n o n escludeva n e m m e n o la dittatura. «Ti sei messo al chiaro e al sodo - gli scrisse Bertani -. O r a sei ministeriabile.» In verità s e m b r a v a che ai ministeri n o n ci tenesse, p e r ché rifiutò quelli che gli offrirono p r i m a Ricasoli e poi Rattazzi. Ma solo p e r c h é il p o t e r e lo voleva in esclusiva, n o n in c o m p a r t e c i p a z i o n e . N e l l ' i m m i n e n z a della g u e r r a d e l '66 auspicò all'Italia «un b a t t e s i m o di sangue» e nel '70 fu t r a coloro c h e c o n p i ù i m p a z i e n z a r e c l a m a r o n o la s p e d i z i o n e su R o m a . Dicevano che si serviva p e r le sue ambizioni della massoneria, di cui era c e r t a m e n t e un alto dignitario, e che in fatto di d e n a r o n o n a n d a v a p e r il sottile. S e b b e n e dalle accuse più gravi la Storia poi lo abbia assolto, la sua vita privata le a
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r e n d e v a plausibili. Aveva a carico tre famiglie p e r c h é , oltre a Lina, che gli aveva dato u n a figlia, m a n t e n e v a a n c h e un'alt r a a m a n t e , che gli aveva d a t o un figlio, e Rosalia si faceva r i p a g a r e la tolleranza con lussi d ' o g n i g e n e r e . L'ex-angelo di Calatafimi era diventata u n a m e g e r a grassa e volgare, vestita c o m e u n a sciantosa e spesso u b r i a c a . Q u a n d o Crispi decise di disfarsene a p p r o f i t t a n d o del fatto che il loro mat r i m o n i o religioso di Malta n o n era stato trascritto sul registro dello stato civile, dovette pagarle u n a cospicua liquidazione. Per di più il trasferimento della capitale a R o m a l'obbligava a svendere la g r a n d e casa che aveva c o m p r a t o a Fir e n z e nel m o m e n t o in cui il prezzo degl'immobili era salito alle stelle, e n o n gliene restava che un mucchio di cambiali, o g n u n a delle quali, in m a n o ai suoi nemici, diventava un'arma politica c o n t r o di lui. Fu questo il motivo p e r cui, q u a n d o la Destra c a d d e e Depretis c o n d u s s e la Sinistra al p o t e r e , n o n offrì n e s s u n portafoglio a Crispi, c h e p u r e e r a u n o dei suoi p i ù autorevoli r a p p r e s e n t a n t i . Cercò di placare il suo r a n c o r e affidandogli u n a missione diplomatica a Parigi, L o n d r a e Berlino, donde Crispi t o r n ò entusiasta di Bismarck e f e r m a m e n t e convinto - c o m e un p o ' tutti gli u o m i n i della Sinistra - che il n e m i c o dell'Italia fosse la Francia e l'amico la G e r m a n i a . Ma con D e p r e t i s n o n si riconciliò e alle s u e c o n t i n u e mozioni degli affetti rispose: «Scuse e proteste di amicizia in privato, battiture in pubblico. R i p r e n d o libertà d'azione». Q u e s t a libertà si t r a d u s s e , c o m e s a p p i a m o , nella famosa Pentarchia, cui n o n si sa se più facesse da c e m e n t o il nostalgico richiamo della vecchia Sinistra r o m a n t i c a e barricadiera o l'impazienza verso la t r o p p o l u n g a d i t t a t u r a di Depretis. «Fin dal 1878 - d i r à Crispi p i ù t a r d i -, in Italia n o n vi furono partiti politici, ma u o m i n i politici. Deplorai codesto stato di cose, e me ne stetti in disparte con pochi fedelissimi amici. N o n p o t e n d o essere con gli uomini, fui con le idee.» Ma q u a n d o Depretis gli offrì il Ministero d e g l ' I n t e r n i al posto di Nicotera c a d u t o sulla g a m b a di Vladimiro, si affrettò 212
ad accettarlo d i m e n t i c a n d o tutti i suoi s p r o l o q u i c o n t r o il trasformismo. Negli ultimi t e m p i egli aveva a c c e n t u a t o la sua intransigenza nazionalistica, t a c c i a n d o di r i n u n c i a t a r i a la politica che aveva accettato il p r o t e t t o r a t o francese sulla Tunisia e declinato l'invito inglese a un i n t e r v e n t o in Egitto. P u r e , q u a n d o il g o v e r n o decise lo sbarco a Massaua p e r c e r c a r e nel Mar Rosso «la chiave del Mediterraneo» - u n o slogan destinato dalla sua stessa stupidità alla più d u r a t u r a fortuna -, lo criticò a s p r a m e n t e d i c e n d o che quell'impresa poteva avere un senso solo se fosse stata seguita da u n a spedizione su Tripoli. E q u a n d o , d o p o u n ' e n n e s i m a requisitoria c o n t r o di lui, tese il dito verso lo scanno di Depretis g r i d a n d o : «Mettete un u o m o energico, là», tutti c a p i r o n o a chi alludeva. E lo capì a n c h e il Re, che da un pezzo aveva cessato di covare diffidenze p e r l'ex-repubblicano e o r a vedeva in lui soltanto l'uomo che aveva voluto suo p a d r e nel P a n t h e o n e che reclamava il rafforzamento del p o t e r e esecutivo e degli a r m a menti militari p e r quella politica di prestigio che gli stava tanto a cuore. Ecco p e r c h é , d o p o la m o r t e di Depretis, sulla successione n o n ci furono d u b b i . C o n t e m p o r a n e o di Vittorio E m a n u e l e , di Cavour e di Garibaldi, Crispi r a p p r e s e n t a va la continuità ideale del Risorgimento, e ne conciliava un po' tutte le t e n d e n z e , o p e r meglio dire ne riassumeva tutte le c o n t r a d d i z i o n i . Per di p i ù era il p r i m o m e r i d i o n a l e che saliva al p o t e r e d a n d o un sembiante di realtà all'integrazione del Mezzogiorno. A p p e n a c o m p o s t o il suo Ministero, l'autoritario giacobino si affrettò a d a r e c o r p o alla p r e d i z i o n e di Baccarini con una visita-lampo a Berlino. Q u a l c h e giornale l'annunziò come «l'incontro dei d u e Cancellieri». E c'era del vero p e r c h é Crispi pi-oprio questo aveva in m e n t e di fare: p i ù il Cancelliere che il P r i m o Ministro.
CAPITOLO VENTUNESIMO
UCCIALLI
Crispi t o r n ò da Berlino più che mai inebriato di Bismarck e b e n deciso a imitarne l'esempio. Dimostrò subito in che modo voleva g o v e r n a r e t e n e n d o p e r sé i d u e Ministeri più importanti, quello d e g l ' I n t e r n i e quello degli Esteri, e organizz a n d o u n a folta S e g r e t e r i a p e r il controllo di tutti gli altri. «L'Italia - aveva detto poco p r i m a - è un Paese t r o p p o fatto p e r la libertà p e r tollerare dittature.» Ma Crispi finiva semp r e p e r fare il c o n t r a r i o di ciò che diceva. Aveva d e t t o anche che m a g g i o r a n z a e opposizione d o v e v a n o r i p r e n d e r e i loro precisi c o n n o t a t i ideologici r i p u d i a n d o il m e t o d o corr u t t o r e del t r a s f o r m i s m o da lui stesso definito «un incesto p a r l a m e n t a r e » . Ma questo n o n gl'impedì di accogliere come collaboratori e alleati u o m i n i sia di Destra che di Sinistra e perfino di fare Ministro un irriducibile r e p u b b l i c a n o appena uscito di galera. C o m e disinvoltura trasformistica, insomma, n e s s u n o n o t ò differenze fra lui e il suo predecessore. Quello che cambiò, anzi si capovolse, fu il m e t o d o di gov e r n o . Depretis e r a l ' u o m o che n o n faceva mai oggi quello che poteva fare d o m a n i , e anzi quasi s e m p r e lo r i m a n d a v a a d o p o d o m a n i : t u t t o sotto di lui funzionava a r i l e n t o , ogni p r a t i c a seguiva il s u o iter, n e s s u n a iniziativa veniva presa senza la d o v u t a stagionatura, la vita dei Ministeri e r a placida e o r d i n a t a , i c a m p a n e l l i squillavano di r a d o , i fattorini n o n affrettavano il passo. I n v a s a t o di «efficienza», Crispi d e t t e a q u e s t o a n d a z z o un violento scossone. Fu u n a pioggia di leggi, decreti-legge e regolamenti, tutti volti a rafforzare il p o t e r e centrale. Il C a p o del G o v e r n o si a r r o g a v a facoltà d'istituire o s o p p r i m e r e Ministeri. V e n i v a n o creati 1 214
Sottosegretari, cioè i Viceministri. Al Consiglio di Stato fu attribuita, grazie all'aggiunta di u n a n u o v a sezione, l'ultima parola in fatto di giustizia amministrativa. Sindaci e Presidi di Provincia, fin allora di n o m i n a regia, d i v e n t a v a n o elettivi, ma sottoposti a un o r g a n o misto che g a r a n t i v a u n a più rigida tutela governativa. Sanità pubblica e pubblica beneficenza ebbero u n a n u o v a r e g o l a m e n t a z i o n e . Ma la riforma più sostanziale e positiva fu quella del Codice Penale che p r e s e il n o m e d e l Ministro della Giustizia che vi p r e s i e d e t t e , Zanardelli: essa finalmente unificava le varie e difformi legislazioni rimaste in vigore fin allora, aboliva la p e n a di m o r t e , sanciva il diritto di sciopero, e a p p e santiva la m a n o sui s a c e r d o t i c h e a p p r o f i t t a s s e r o del l o r o ministero p e r fare o p e r a di p r o p a g a n d a c o n t r o lo Stato e le sue leggi. P r o g e t t i c h e sotto i Ministeri D e p r e t i s a v e v a n o sonnecchiato p e r a n n i , in p o c h i mesi v e n n e r o varati in un gran r i n c o r r e r s i di o r d i n i , di r i c h i a m i , di t e l e g r a m m i , di «circolari», di scampanellate, che c r e a v a n o nei c o n s u e t u d i nari e felpati templi della burocrazia un r i t m o d r a m m a t i c o e convulso. Era un'autentica rivoluzione che recava il segno dell'uomo, del suo attivismo, della sua impazienza, delle sue indiscutibili capacità operative, del suo altrettanto i n d u b b i o egocentrismo e d e m a g o g i s m o . Fra le sue iniziative ce ne fur o n o di eccellenti e d u r e v o l i ; a l t r e f u r o n o p r e s e solo p e r compiacere la platea e convincerla ch'egli era «l'uomo che ci voleva», il d e m i u r g o che pensava e faceva p e r tutti. Ma il c a m p o in cui si cimentò con più i m p e g n o fu quello della politica estera. «Vi son di quelli che da ventisette a n n i erano avvezzi a c r e d e r e che l'Italia dovesse aspettare il verbo da Parigi o da Berlino. Venne p e r ò il giorno in cui surse un u o m o , il quale credette che l'Italia fosse uguale a tutte le altre nazioni, e volle far sentire la sua parola, e farla rispettare» disse Crispi di Crispi a c o m m e n t o dei suoi successi d o po il p r i m o a n n o di g o v e r n o . Questi successi consistevano anzitutto nel rafforzamento dei vincoli coi d u e alleati della Triplice, e specialmente con 215
la G e r m a n i a . D o p o la p r i m a visita a Bismarck, Crispi gliene aveva reso u n a seconda, e p p o i era t o r n a t o a incontrarsi con lui in occasione del viaggio di Re U m b e r t o a Berlino nell"88. Il frutto di questi colloqui era stato u n a convenzione militare italo-tedesca che di sostanziale aveva poco; ma c h e segnava, da p a r t e della diplomazia italiana, un notevole cambio di rotta. Depretis e Robilant avevano s e m p r e concepito là Triplice c o m e un'alleanza p u r a m e n t e conservatrice e difensiva che garantisse l'Italia dal pericolo dell'isolamento ma senza impedirle u n a politica di b u o n vicinato e di accordi con l'Inghilterra e la Francia. Crispi rimase fedele a questo principio per q u a n t o r i g u a r d a v a l'Inghilterra. Ma con la Francia i n a u g u r ò u n a vera e p r o p r i a «guerra fredda», di cui il p r i m o atto fu a p p u n t o la convenzione militare, che impeg n a v a l'Italia, in caso di g u e r r a tra Francia e G e r m a n i a , a mobilitare sulle Alpi e a inviare cinque corpi d ' a r m a t a e tre divisioni di cavalleria sul R e n o . Il gesto sottolineava u n a delle più stridenti contraddizioni di Crispi, che più tardi si ritroverà a n c h e in Mussolini: il complesso r a p p o r t o di a m o r e - o d i o che lo legava alla Francia. T u t t o il suo bagaglio ideologico - l'anticlericalismo, la fede laica nella scienza e nel libero p e n s i e r o , il patriottismo giacobino, il c e n t r a l i s m o u n i t a r i o - e r a di m a r c a francese. Ma egli e r a a n c h e l ' e x - g a r i b a l d i n o che n o n d i m e n t i c a v a il « t r a d i m e n t o » della F r a n c i a c o n t r o l a R e p u b b l i c a R o m a n a del '49, gli Chassepot di M e n t a n a nel '67, e m e n o a n c o r a l'app o g g i o che i cattolici francesi seguitavano a d a r e al Papa e alle sue pretese di restaurazione. Ma a spiegare la sua francofobia, c o n c o r r e v a n o a n c h e altri d u e motivi. P r i m o , il n a z i o n a l i s m o . Q u e s t a p a r o l a n o n e r a stata a n c o r a coniata, ma la vocazione esisteva digià. A differenza degli altri patrioti risorgimentali della sua gener a z i o n e , Crispi n o n si c o n t e n t a v a di u n ' I t a l i a u n i t a e indip e n d e n t e ; la voleva protagonista di u n a missione imperiale, di cui p e r geografica fatalità la Francia le chiudeva gli sbocchi. Di qui, il suo a n t i - i r r e d e n t i s m o . Le p e n d e n z e con l'Au216
stria, diceva, r i d u c e n d o s i a T r e n t o e a Trieste, si p o t e v a n o liquidare a n c h e p e r via diplomatica, e n o n a v r e b b e r o risolto nulla. Il destino dell'Italia e r a n o il M e d i t e r r a n e o e l'Africa. Era q u i c h e b i s o g n a v a forzare il p a s s a g g i o , s b a r r a t o dalla Francia. Secondo, la pressione degl'interessi economici. Come tutti gli altri u o m i n i della sua g e n e r a z i o n e r i s o r g i m e n t a l e , Crispi era un liberista p o r t a t o alla pace doganale, che implica a n c h e u n a p a c e politica. C a v o u r e la D e s t r a l'avevano s e m p r e p r a t i c a t a c o n la Francia, che r e s t a v a il n o s t r o p i ù i m p o r t a n t e mercato, quello che assorbiva il m a g g i o r quantitativo delle n o s t r e esportazioni agricole. Ma ora, c o m e già abbiamo d e t t o , il liberismo e r a in p i e n a crisi. S o p r a t t u t t o i g r u p p i l o m b a r d i e gli a r m a t o r i liguri c h i e d e v a n o l'innalzamento delle tariffe c o n t r o i macchinari e i manufatti francesi. E Crispi fu l'avvocato di questi interessi. Le sue colpe tuttavia furono più di eccesso che di scelta. Sulla strada del protezionismo si era già messo Depretis p e r il semplice motivo ch'essa era imposta dalla logica dello svil u p p o industriale. Ma Depretis l'aveva b a t t u t a con cautela. Crispi vi si avventò, secondo il suo t e m p e r a m e n t o , bruciandone e d r a m m a t i z z a n d o n e le t a p p e . Disgrazia volle che l'interlocutore fosse a n i m a t o dagli stessi propositi. I g n a r a dei veri t e r m i n i della Triplice, ma convinta che si trattasse di un patto aggressivo nei suoi confronti, la Francia e r a decisa a r i c o r r e r e a t u t t o p u r di c o s t r i n g e r e l'Italia a r i t r a r s e n e . Q u a n d o , p e r u n a indiscrezione - p a r e - di C o r t e , v e n n e a sapere della convenzione militare italo-tedesca, Parigi r u p pe le trattative p e r il r i n n o v o d e l t r a t t a t o c o m m e r c i a l e e colpì le merci italiane con u n a tariffa discriminatoria. L'Italia rispose e l e v a n d o del 50 p e r cento la sua c o n t r o i m a n u fatti francesi. E fu l'inizio di u n a rovinosa g u e r r a doganale. Da quel m o m e n t o , Crispi n o n fece che t o r m e n t a r e i soci della Triplice p e r c h i e d e r e a p p o g g i e garanzie c o n t r o le m e ne francesi. Bismarck sfruttò da p a r suo la psicosi dell'alleato aizzandola o s e d a n d o l a secondo le p r o p r i e convenienze. 217
Nel febbraio d e l l " 8 8 lo avvertì che t u t t a la flotta francese, c o n c e n t r a t a a Tolone, si p r e p a r a v a a un'azione di forza contro le coste italiane, e Crispi reagì n o n solo g e t t a n d o l'allarme in t u t t e le capitali d ' E u r o p a , ma a n c h e a c c e l e r a n d o al massimo le costruzioni navali già p r o g r a m m a t e dal Ministro della M a r i n a , B r i n . C o n le dieci c o r a z z a t e di p r i m a classe messe in c a n t i e r e , la flotta da g u e r r a italiana d i v e n t a v a la terza del m o n d o , ma in attesa di m a n d a r e a picco quelle avversarie, m a n d a v a a picco il bilancio dello Stato. Mai la diplomazia italiana e r a stata così r u m o r o s a , a r r o g a n t e e ammalata di «presenza». D o v u n q u e trovava interessi italiani da difendere, anche nelle faccende dinastiche della Bulgaria, e d o v u n q u e a n n u s a v a complotti e pericoli di g u e r r a . Nel luglio dell"89 Crispi rimise a s o q q u a d r o le Cancellerie d'Eur o p a d a n d o p e r sicura e i m m i n e n t e un'aggressione francese d ' a c c o r d o col P a p a p e r r e s t a u r a r n e il p o t e r e t e m p o r a l e . E mai smise di d e n u n c i a r e le m i r e francesi sulla Libia p e r ott e n e r e dalla G e r m a n i a e d a l l ' I n g h i l t e r r a l'autorizzazione a istallarvisi. Siccome n o n l'ottenne, ripiegò sull'Africa Orientale. La t r a g e d i a di Dogali aveva diviso gl'italiani, p r o v o c a n d o a n c h e u n a curiosa inversione delle parti. Carducci, sempre p r o n t o a d a r flato alle t r o m b e dell'eroismo, si rifiutò di comm e m o r a r e le vittime di u n a «spedizione inconsulta» calata in Africa a fare «ciò c h e i C r o a t i a v e v a n o fatto in Italia», e a n c h e l'altro n a s c e n t e b a r d o degli «immancabili destini», D ' A n n u n z i o , d i s d e g n ò «i q u a t t r o c e n t o b r u t i m o r t i brutalm e n t e » . Ma il g r o s s o della p u b b l i c a o p i n i o n e p a r l a v a di «eroico olocausto», t r i b u t ò trionfali accoglienze ai pochi scampati, e ora chiedeva la rivincita. Crispi, c h e aveva a s p r a m e n t e r i m p r o v e r a t o a Mancini «l'avventura» di Massaua, ne d i v e n n e di colpo u n o strenuo p a t r o n o e ne assunse p e r s o n a l m e n t e le redini. C o m e prima cosa, inviò sul p o s t o u n ' a l t r a s p e d i z i o n e di 20.000 uomini col c o m p i t o di r i c o n q u i s t a r e Dogali. D o p o d i c h é si mise a 218
tessere u n a complicata tela diplomatica p e r disgregare dall'interno l'Abissinia, un Paese di cui n o n sapeva nulla. A questo giuoco, l'Abissinia si prestava. Il Negus Neghesti - che vuol dire «Re dei Re» - Giovanni era un sovrano feudale, che d o v e v a v e d e r s e l a con vassalli infidi e spesso p i ù p o t e n t i di lui. Il p i ù p o t e n t e e infido e r a il Re dello Scioa, Menelik. Il loro c o n t r a s t o e r a d o c u m e n t a t o in d u e lettere, g i u n t e a Re U m b e r t o . Q u e l l a di G i o v a n n i diceva: «Siamo e n t r a m b i cristiani e Re di d u e g r a n d i p o p o l i . Io p r e f e r i r e i combattere c o n t r o gl'infedeli {cioè gli Scioani, che sono musulmani). Perciò la v e n u t a d e i t u o i a Massaua mi d i s p i a c q u e , ma pazienza, dal m o m e n t o che tu hai le navi, e io n o . Per il resto, p o t r e m m o metterci d'accordo». Quella di Menelik diceva: «L'imperatore Giovanni mi r i m p r o v e r a di essere anima e c o r p o con l'Italia, e dice che gl'italiani lo h a n n o assalito dietro consiglio mio». Secondo il conte Antonelli, incaricato di u n a missione diplomatica presso Menelik, era su costui che bisognava p u n tare. Secondo il g e n e r a l e Baldissera, che aveva assunto il com a n d o delle nostre forze, bisognava diffidare di e n t r a m b i e intendersi invece coi Ras dei territori vicini a Massaua, tutti più o m e n o ribelli al p o t e r e centrale e q u i n d i , p e r tenersi al riparo dalle sue sopraffazioni, disponibili ad accordi con l'Italia. Le p r o s p e t t i v e m u t a r o n o q u a n d o G i o v a n n i , sceso in g u e r r a c o n t r o i dervisci d e l S u d a n , fu ucciso in c o m b a t t i mento, e Menelik ne occupò di forza il t r o n o . Crispi p e n s ò di a p p r o f i t t a r n e o r d i n a n d o a Baldissera di risalire l'altopiano e di o c c u p a r e Asmara, e s'incollerì q u a n do il m i n i s t r o della G u e r r a Bertolé-Viale gli bocciò la p r o posta. «Io s o n o a n c o r a g a r i b a l d i n o - gli scrisse - e, n o n o stante i miei sessantanove a n n i , vedo le cose d i v e r s a m e n t e da quello che le v e d o n o i tattici educati alle scuole militari.» «L'audacia vale molto - gli rispose il Ministro -. Ma in Africa, più a n c o r a c h e altrove, d e v ' e s s e r e a c c o m p a g n a t a dalla p r u d e n z a e dalla previdenza.» Era, dice g i u s t a m e n t e Battaglia, il conflitto fra le d u e Italie: quella della Sinistra b a r r i 219
cadiera e avventurosa, e quella della Destra m o d e r a t a e professionale. Baldissera si mosse, ma senza precipitazione. Era un veneto che fino al g r a d o di C a p i t a n o aveva militato nell'esercito austriaco, e ne aveva assorbito la mentalità. B u o n comand a n t e e tattico esperto, aveva d a t o subito avvìo all'inquadram e n t o d e g l ' i n d i g e n i in r e p a r t i r e g o l a r i - i famosi Ascari. c h e f o r n i r o n o eccellenti p r o v e . E i n t a n t o stringeva accordi coi caperonzoli locali p e r p r e v e n i r n e le resistenze. Grazie a questa diplomazia, scalò l'altipiano eritreo e piantò bandiera su C h e r e n e A s m a r a senza s p a r a r e un colpo di fucile né versare u n a goccia di s a n g u e . Ma a p p u n t o p e r c h é n o n aveva nulla di s p e t t a c o l a r e , la sua i m p r e s a n o n v e n n e apprezzata, e al suo consiglio di proc e d e r e c a u t a m e n t e giocando sulle divisioni dei Ras periferici p e r e r o d e r e il t e r r i t o r i o abissino fu preferita la strategia di Antonelli c h e p r o p o n e v a di p u n t a r e su Menelik ch'egli diceva disposto ad accettare il p r o t e t t o r a t o italiano su tutto il suo I m p e r o . Dapprincipio i fatti s e m b r a r o n o dargli ragione. Il 2 maggio dell"89, Menelik accolse con g r a n d i o n o r i Antonelli nel suo a c c a m p a m e n t o , Uccialli, firmò il testo dell'accordo stilato dal g o v e r n o italiano, e inviò a R o m a u n a n u t r i t a missione di alti dignitari, guidati da suo cugino M a k o n n e n , p e r cons e g n a r e il trattato e n e g o z i a r e un prestito. In u n a lettera a Re U m b e r t o , Menelik gli faceva n o t a r e c h e m a i , p r i m a di allora, dei m e m b r i della famiglia imperiale etiopica si erano recati all'estero. Ma lo esortava anche a o r d i n a r e ai suoi «generali di Massaua di n o n ascoltare le p a r o l e dei ribelli che si t r o v a n o dalla p a r t e del Tigrai». Era u n a c h i a r a allusione a Baldissera, che cercava un a c c o r d o p r o p r i o col Ras di questa r e g i o n e , Mangascià, il più ostile a Menelik p e r c h é , come figlio n a t u r a l e di Giovanni, era il più qualificato a succedergli e quindi vedeva in Menelik un u s u r p a t o r e . I r o m a n i fecero ressa davanti al Q u i r i n a l e p e r vedere la pittoresca d e l e g a z i o n e c h e , r u t i l a n t e di scudi, lance e pen220
tracchi, portava un elefante in d o n o a Re U m b e r t o . Questi li accolse s e d u t o sul t r o n o in alta u n i f o r m e e con l'elmo. M a k o n n e n , in tunica di seta ricamata, m a n t e l l o di p a n t e r a nera e trecento p i u m e in testa, si prostrò ai suoi piedi. Poi da un servo si fece gettare sulle spalle lo sciamma p e r farne paravento m e n t r e si cambiava d'abito. E, rivestito all'europea, si a p p a r t ò a colloquio col Re e con Crispi. Gli ospiti furono trattati con tutti i r i g u a r d i e condotti, p e r impressionarli, a visitare fabbriche, caserme, corazzate e c a n n o n i . Il 2 dicembre ripartirono col trattato d e b i t a m e n t e firmato, un prestito di q u a t t r o milioni, e un orribile q u a d r o commissionato a p posta a n o n so quale pittore di Corte, che r a p p r e s e n t a v a l'Ascensione al cielo di Gesù, c o n t o r n a t o dal Re, dalla Regina e dal massone Crispi in ginocchio e a m a n i giunte. Tutto s e m b r a v a fatto. L'Etiopia riconosceva lo «stato attuale», cioè la sovranità italiana sui territori occupati da Baldissera, che c o r r i s p o n d e v a n o p r e s s a p p o c o a l l ' E r i t r e a . Ma c'era stata u n a piccola negligenza r e d a z i o n a l e . C o m e volevano gli usi diplomatici, il d o c u m e n t o era stilato in d u e lingue: quella italiana e quella etiopica, c h ' e r a I'amarico. Ma m e n t r e in italiano l'articolo più i m p o r t a n t e - il 17 - diceva che «Sua Maestà il Re dei Re d'Etiopia c o n s e n t e di servirsi del g o v e r n o di Sua Maestà il Re d'Italia p e r tutte le trattative di affari che avesse con altre Potenze o governi», in amarico s u o n a v a così: «Il Re dei Re d'Etiopia può t r a t t a r e tutti gli affari che desidera con i Regni d ' E u r o p a m e d i a n t e l'aiuto del R e g n o d'Italia». E la differenza salta agli occhi. Secondo l'interpretazione italiana, l'Etiopia delegava all'Italia il compito di regolare i suoi r a p p o r t i con gli Stati stranieri, e quindi l e a t t r i b u i v a u n d i r i t t o d i « p r o t e t t o r a t o » . S e c o n d o l'interpretazione etiopica, questa delega e r a soltanto u n ' o perazione di c o m o d o , cui Menelik si riservava di r i c o r r e r e °lo q u a n d o gli fosse c o n v e n u t o . Né Antonelli né il Ministero degli Esteri si c u r a r o n o di fere un rigoroso raffronto fra i d u e testi. Le g r a n d i Potenze, 'riformate d e l l ' a v v e n i m e n t o s e c o n d o la versione di R o m a , s
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r i c o n o b b e r o - t r a n n e la Russia - il p r o t e t t o r a t o italiano, e Crispi, esaltato dal successo, parlò a d d i r i t t u r a di cancellare l'Etiopia dalla carta geografica. T u t t o s e m b r a v a favorire il s u o ambizioso d i s e g n o . Poco p r i m a alcuni S u l t a n a t i della Somalia avevano pacificamente accettato la sovranità italiana. «Un vastissimo r e g n o - proclamava trionfalmente Crispi a P a l e r m o - si a p r i r à alla n o s t r a i n d u s t r i a e al n o s t r o comm e r c i o . Vaste zone di t e r r a colonizzabili si offriranno alla e s u b e r a n t e fecondità italiana.» M e n t r e R o m a si a b b a n d o n a v a a questi sogni, Menelik badava ai fatti. O r d i n ò a M a k o n n e n di t r a d u r r e i q u a t t r o milioni del prestito in u n a grossa fornitura di armi e munizioni, di cui u n a certa aliquota era già in viaggio p e r Assab, e i n f o r m ò Mangascià c h e o r a m a i d o v e v a v e d e r s e l a con lui p e r c h é l'Italia lo aveva a b b a n d o n a t o . Mangascià se n'era accorto da q u a n d o Baldissera, v e d e n d o r i p u d i a t a la propria politica e d i s a p p r o v a n d o a p e r t a m e n t e quella che gli veniva i m p o s t a , aveva chiesto e o t t e n u t o il p r o p r i o r i c h i a m o . Sia p u r e con r i l u t t a n z a , il Ras d o v e t t e s o t t o m e t t e r s i al rivale, che così fu liberato dal pericolo della dissidenza interna. Nel febbraio del '90 gli Ambasciatori stranieri a Roma si p r e s e n t a r o n o al Ministero degli Esteri p e r c h i e d e r e come mai l ' i m p e r a t o r e Menelik, d o p o aver solennizzato con una i m p o n e n t e c e r i m o n i a la p r o p r i a ascesa al t r o n o , ne aveva dato d i r e t t a m e n t e comunicazione a tutte le Potenze. O non si e r a i m p e g n a t o a t e n e r e i l ' a p p o r t i con esse attraverso il g o v e r n o italiano e le sue r a p p r e s e n t a n z e diplomatiche? Furioso, Crispi ingiunse ad Antonelli, r i e n t r a t o a Addis Abeba, di fare le più energiche rimostranze e c h i e d e r e spiegazioni. Ma Antonelli, t i m o r o s o di v e d e r n a u f r a g a r e la sua opera, n o n trasmise la protesta e cercò soltanto, senza riuscirvi, di r a g g i u n g e r e u n a c c o r d o p e r l a d e l i m i t a z i o n e dei confini dell'Eritrea, tuttora indefiniti. Quali fossero le intenzioni di Menelik, lo si vide dal fatto ch'egli affidò il g o v e r n o del 1 grai, c o n f i n a n t e c o n la n o s t r a colonia, a Mangascià; ma le zone di frontiera le mise sotto la g u a r d i a di un suo fedelissi1 _
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ino, il Degiac Mesciascià, p e r i m p e d i r e c o n t a t t i d i r e t t i fra Mangascià e gl'italiani. Q u a n d o Crispi se ne rese conto, richiamò Antonelli e lo sostituì con S a l i m b e n i . I l q u a l e , n o n a v e n d o nulla d a nascondere p e r c h é di nulla e r a responsabile, nei suoi r a p p o r t i fu esplicito. Menelik n o n riconosceva la v e r s i o n e italiana dell'art. 17, di «protettorato» n o n voleva sentir parlare, e in questo senso aveva indirizzato u n a nota ufficiale ai governi di G e r m a n i a e d ' I n g h i l t e r r a . Bisognava d u n q u e scegliere: o r i n u n z i a r e alle n o s t r e p r e t e s e , p e r q u a n t o legittime; o imporgliele con la forza. Ma Crispi questa scelta n o n e r a più in g r a d o di farla. A m e t t e r l o in crisi n o n e r a stato lo smacco africano, di cui l'opinione p u b b l i c a e r a p o c o i n f o r m a t a ; m a l a s i t u a z i o n e economica. La «recessione», c o m e oggi si d i r e b b e , coinvolgeva un p o ' tutta l ' E u r o p a p e r l'aggravarsi di u n o di quegli squilibri che r i e n t r a n o nella stessa fisiologia dei sistemi capitalistici, e sui quali n o n è qui il caso di dilungarsi. Ma in Italia essa riverberava effetti p a r t i c o l a r m e n t e gravi p e r la fragilità delle n o s t r e s t r u t t u r e e p e r l'accavallarsi di fattori ambientali e contingenti. Il p r i m o era il r e g i m e di d a n a r o facile i n t r o d o t t o dal Ministro delle Finanze Magliani, che Crispi aveva ereditato da Depretis e confermato al suo posto. La crescita delle città, e specialmente di R o m a , aveva p r o v o c a t o un a u t e n t i c o boom edilizio, a cui m o l t e B a n c h e avevano d a t o c o r d a oltre o g n i limite di p r u d e n z a , c o m e v e d r e m o a p r o p o s i t o della Banca Romana. Q u e s t o creò u n o stato di p r o s p e r i t à fittizia, basata solo sulle cambiali e sui debiti, che n o n c o r r i s p o n d e v a affatto allo stato reale dell'economia italiana, c o m e dimostrava il progressivo d e t e r i o r a m e n t o della bilancia d e i p a g a m e n t i , cioè del r a p p o r t o fra e s p o r t a z i o n i e i m p o r t a z i o n i . Q u e s t o rapporto, che fino all"83 era stato attivo, nel '90 d e n u n z i a va un p a u r o s o passivo. L'inversione d i t e n d e n z a e r a d o v u t a s o p r a t t u t t o alla 223
g u e r r a d o g a n a l e , s c a t e n a t a da Crispi c o n la F r a n c i a p e r i motivi che a b b i a m o già illustrato, e spinta oltre ogni limite di ragionevolezza. La sua vittima e r a l'agricoltura. Ma l'agricoltura a quei t e m p i era ancora la s t r u t t u r a p o r t a n t e dell'economia nazionale e assorbiva i d u e terzi della popolazion e . N o n r i u s c e n d o più a e s p o r t a r e in Francia, c h ' e r a semp r e stata il suo m e r c a t o p i ù accogliente, essa c a d d e in crisi. E la crisi dell'agricoltura era la crisi del Paese. Crispi, che di economia s'intendeva poco, credette di rim e d i a r e licenziando Magliani. Ma Magliani, a n c h e se aveva delle grosse responsabilità, n o n le aveva tutte. La crisi era il p o r t a t o inevitabile della politica di Crispi, che, oltre a rovin a r e l ' a g r i c o l t u r a , scavava p a u r o s i vuoti nelle casse dello Stato p e r gli a r m a m e n t i e le spedizioni richieste dalle imp r e s e coloniali. Q u e s t o lo capivano anche i successori di Magliani, G r i m a l d i e Seismit-Doda, ma n o n o s a r o n o dirlo. E n o n osò dirlo n e m m e n o il Ministro del Tesoro Giolitti, cert a m e n t e p e r n o n dispiacere al Re che s e m p r e più entusiasta delle i m p r e s e africane, n o n voleva sentire di riduzione delle spese militari. Crispi ricorse al g r a n d e amico Bismarck che indusse alcuni riluttanti b a n c h i e r i tedeschi a porgergli aiuto. Ma, acc o r g e n d o s i c h e q u e s t a e r a soltanto u n a m i s u r a d i p r o n t o soccorso, d o v e t t e a r r e n d e r s i alla necessità di cercare qualche accordo con la Francia, che ne riaprisse le frontiere alla nostra esportazione. Ma la Francia pose la solita condizione: il c a m b i a m e n t o di rotta della politica estera italiana, cioè il ritiro dalla Triplice. Via via che si diffondeva la sensazione della insormontabilità della crisi, la m a g g i o r a n z a di Crispi si squagliava. A d a r n e il segnale fu il solito Nicotera, che cominciò a trescare c o n t r o di lui sia con la Destra che con l'Estrema Sinistra di Cavallotti. Costui p e r ò , p u r essendo in disaccordo con Crispi, gli e r a p e r s o n a l m e n t e legato dai ricordi delle imprese garibaldine nelle quali avevano insieme militato; e anche se lo combatteva sul p i a n o ideologico, lo rispettava su quello
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u m a n o . Alla g u e r r a dei sotterfugi egli preferì quella in campo a p e r t o r a c c o g l i e n d o t u t t e le forze d e m o c r a t i c h e in un Patto di Roma, che chiedeva la r i d u z i o n e dei poteri dell'esecutivo, quella delle spese militari, il r i p u d i o della Triplice e altre misure. Crispi incontrava difficoltà s e m p r e più gravi a r i s p o n d e r e alle interpellanze della C a m e r a . Q u a n d o F o r t u n a t o e Jacini gli rinfacciarono di aver p o r t a t o l'Italia fuori dei suoi binari obbligandola a fare u n a politica di G r a n d e Potenza che n o n si addiceva alla sua reale condizione di Nazione di secondo rango e lo accusarono di m e g a l o m a n i a , egli rispose che l'Italia era stata fatta solo grazie ai megalomani; ma n o n s e p p e che misure p r o p o r r e p e r riassestare l'economia. E alla fine, sentendo sfaldarsi la sua base, ricorse al solito rimedio di e m e r genza: c h i u d e r e il Parlamento e indire nuove elezioni. U n a c a m p a g n a c o n d o t t a senza esclusione di colpi gli consentì di allargare la sua maggioranza. Ma il Paese dimostrò la p r o p r i a stanchezza con le astensioni. Dei 2 milioni e 725 mila cittadini chiamati alle u r n e nel n o v e m b r e del '90, se ne p r e s e n t a r o n o poco più della metà. I 400 e più d e p u t a ti governativi d i m o s t r a r o n o u n a m a n c a n z a di c o m p a t t e z z a ch'ebbe un i m m e d i a t o riflesso a n c h e in seno al g o v e r n o . Il nuovo Ministro delle Finanze, Giolitti, e quello dei Lavori Pubblici, Finali, d i e d e r o le dimissioni. Il pretesto fu l'inconciliabilità delle loro v e d u t e . Ma la vera r a g i o n e era che entrambi sentivano la barca affondare e n o n volevano essere coinvolti nel n a u f r a g i o . G r i m a l d i , che successe a Giolitti, propose i n a s p r i m e n t i fiscali p e r r i m e d i a r e al deficit. Ma su questo p u n t o fu subito chiaro che la maggioranza si sarebbe divisa. Dai b a n c h i di Destra, B o n g h i attaccò v i o l e n t e m e n t e il governo d i c e n d o che n o n aveva il rigore amministrativo e la t e m p r a m o r a l e p e r b a t t e r e la strada dei Sella e dei Minghetti. Il focoso Crispi sobbalzò sul suo scanno: B o n g h i e la Destra, rispose, n o n avevano d o v u t o risolvere p r o b l e m i di flotta e di bilancio p e r c h é la loro politica era stata quella dei «servi dello straniero». 225
Questa offesa alle «sante memorie», come disse Luzzatti, mise a fuoco la C a m e r a . Molti degli amici di Crispi si schier a r o n o coi suoi avversari, e su u n a mozione di fiducia lo misero in m i n o r a n z a obbligandolo alle dimissioni. Era il g e n n a i o d e l 1891. Ma p r i m a di affrontare il laborioso sviluppo di questa crisi ministeriale, bisogna registrare d u e avvenimenti destinati a esercitare un notevole peso sul corso della nostra Storia.
CAPITOLO VENTIDUESIMO
I SOCIALISTI
In quello stesso anno 1891 gli operai di Milano tennero un congresso in cui fu deciso d'indirne per l'anno seguente un altro che raccogliesse tutte le forze proletarie e rivoluzionarie. Qualcuno propose ch'esse venissero organizzate sotto la generica etichetta di Partito Operaio Socialista, ma l'idea fu violentemente osteggiata dagli anarchici, ostili come sempre al concetto dipartito e più ancora alla qualifica socialista, che sempre più andava acquistando un significato suo proprio in contrapposizione con quello della vecchia Internazionale di Rimini. Turati risolse la diatriba coniando, o meglio facendo coniare da uno dei suoi, un altro nome che lo lasciava in sospeso: Parlilo dei Lavoratori italiani. In realtà, per il momento, la sigla gl'importava poco. Ciò che gli premeva era il congresso, unica sede in cui si potevano regolare definitivamente i conti con gli anarchici. Rampollo di una dinastia borghese di Milano, Turati aveva debuttato in politica con un saggio sullo «Stato delinquente» che già nel titolo denunziava un orientamento ideologico in contrasto con la sua condizione sociale. Ma, anche se era approdato sulle sponde dell'anarchismo, la sua formazione non era quella di un Cafiero o di un Malatesta. Alto, barbuto, nerovestito, cappello a larghe tese, cravatta alla Lavallière, era ancora un uomo del Risorgimento, cresciuto nell'ambiente romantico e declamatorio della «scapigliatura» milanese; i suoi veri maestri erano stati Romagnosi e Cattaneo, il suo idolo Garibaldi, la sua filosofia quella positivista delle logge massoniche e dei circoli del «Libero Pensiero». Insomma, di sangue apparteneva alla famiglia 227
dei radicali alla Cavallotti, e il suo accostamento a B a k u n i n era soltanto il frutto di un giovanile entusiasmo u m a n i t a r i o allo stato più di s e n t i m e n t o che d'idea. Ma a questo p u n t o c o n o b b e e s ' i n n a m o r ò di A n n a Kuliscioff, che ripetè su di lui la stessa o p e r a z i o n e di plagio comp i u t a a n n i p r i m a s u A n d r e a Costa. C o n ciò n o n vogliamo d i r e che fu lei a d e t e r m i n a r e la sua conversione. Ma certam e n t e l'affrettò familiarizzandolo coi testi di M a r x e di Engels e facendo della sua casa il p u n t o di raccolta di u n a intellighenzia c o s m o p o l i t a che c o n t r i b u ì moltissimo a slargare i provinciali orizzonti del n a s c e n t e socialismo italiano. Freq u e n t a t i soprattutto da esponenti della g r a n d e e m a t u r a socialdemocrazia tedesca che stava p e r d a r e scacco m a t t o a Bis m a r c k , q u e i r a d u n i d i e d e r o avvìo a m o l t e cose: a n c h e a u n o snobismo socialista, che doveva restare caratteristico di u n a certa borghesia milanese, in cui n o n si era ammessi che d o p o il battesimo di un tè dalla «signora Anna» (della signora, n o n della «compagna»). A un simile a m b i e n t e l'apologia del «malfattore» era poco congeniale. E infatti l'avvocato Turati iniziò la sua milizia giornalistica su un p e r i o d i c o rivoluzionario, ma di stampo m a z z i n i a n o : Cuore e Critica. Fu un p e r i o d o di r o d a g g i o in cui, più che a e s p r i m e r e idee p r o p r i e , Turati b a d ò a fare il sismografo di q u e l l e a l t r u i senza riuscire a d e c i d e r s i per q u a l e socialismo o p t a r e fra i tanti - m a r x i s t i o positivisti, scientifici o evoluzionisti - che si c o n t e n d e v a n o l'esclusiva dell'etichetta. Ma nel ' 9 1 , q u a n d o Cuore e Critica decise di trasformarsi in Critica sociale affidandosi alla sua direzione, egli aveva o r m a i chiarito il p r o p r i o p e n s i e r o , o p e r meglio dire credeva di averlo chiarito. «Senza p e r d e r e quel carattere un po' eclettico - scrisse a Costa p e r invitarlo a collaborare - che fu fin qui la sua forza, io i n t e n d e r e i di farne sempre più un o r g a n o nostro, vo' dire del socialismo scientifico italiano.» Sul p i a n o o p e r a t i v o l ' i m p r e s a gli riuscì in q u a n t o fu su quella rivista che si f o r m a r o n o i q u a d r i dirigenti del futuro
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partito. Ma sul p i a n o ideologico, essa r i m a s e impigliata in un equivoco di cui ancora si avvertono le conseguenze. Egli aveva o p t a t o p e r il socialismo scientifico, cioè p e r il socialismo di Marx, ma senza r i n n e g a r e la p r o p r i a matrice positivista, c o n v i n t o c o m ' e r a c h e fra l ' u n o e l'altra n o n ci fosse contraddizione. Invece questa c o n t r a d d i z i o n e c'era, e su di essa vale la p e n a di s p e n d e r e qualche parola p e r facilitarne la c o m p r e n s i o n e a coloro (e sono tanti) che n o n a p p a r t e n gono alla categoria degli «addetti ai lavori». Un riassunto del p e n s i e r o di M a r x richiederebbe un volume, anzi p i ù volumi. Ma v e d i a m o d'isolarne il p u n t o che c'interessa. Del socialismo, M a r x n o n fu l'inventore. Esso è vecchio c o m e il m o n d o , e la sua concezione m o d e r n a aveva avuto p e r p a d r i Saint-Simon, O w e n , Fourier, p e r citare solo quelli più diretti. Marx fu colui che gli dette la sistemazione più rigorosa, p o r t a n d o v i tutto il suo cospicuo bagaglio filosofico. Egli veniva dall'idealismo di H e g e l , che v e d e nella Storia l'ineluttabile marcia dell'umanità verso la realizzazione dell'Idea. Il reale, dice Hegel, è s e m p r e razionale, a n c h e q u a n d o n o n lo sembra; cioè ogni avvenimento è fatale e inevitabile c h e a v v e n g a p e r c h é è u n a t a p p a obbligata verso quel s u p r e m o t r a g u a r d o . Trasposto sul p i a n o politico, questo s u p r e m o t r a g u a r d o è, secondo Marx, la liberazione del proletariato, grazie all'abolizione delle classi. Il sistema capitalistico, egli dice, reca in sé u n a contraddizione che lo c o n d a n n a a m o r t e . C o n la sua tecnica, con la sua organizzazione, col suo gigantismo, esso «socializza» s e m p r e di p i ù il lavoro, ma nello stesso t e m p o p r e t e n d e di lasciare alla p r o p r i e t à privata i mezzi di p r o d u zione: fabbriche, terra, miniere eccetera. Q u e s t o n o n è possibile. La socializzazione del lavoro c o m p o r t a fatalmente anche la socializzazione dei mezzi di p r o d u z i o n e . E siccome non è pensabile che a questi mezzi la classe d o m i n a n t e possa abdicare i n q u a n t o essa d o m i n a a p p u n t o p e r c h é p o s s i e d e questi mezzi, la rivoluzione è inevitabile, come s e m p r e capita q u a n d o le superstrutture di u n a società - cioè le sue leggi, la 229
sua morale ecc. - n o n sono più in a r m o n i a con la sua struttura economica. La rivoluzione sboccherà fatalmente nella dittatura del vincitore, cioè del proletariato. E questa a sua volta sboccherà nella soppressione di tutte le classi, che è il vero t r a g u a r d o della Storia, la realizzazione dell'Idea hegeliana. Q u e s t o n o n è - lo ripetiamo - che un s o m m a r i o abbozzo delle p r e m e s s e da cui partiva Marx, f e r m a m e n t e p e r s u a s o che la Storia è condizionata u n i c a m e n t e dai m o d i e sistemi di p r o d u z i o n e dei beni materiali (di qui, il n o m e di «materialismo storico» dato alla sua dottrina), tutto il resto - morale, costumi, cultura, religione ecc. - e s s e n d o n e soltanto la c o n s e g u e n z a . Ma basta p e r c o m p r e n d e r e le conclusioni ch'egli ne traeva sul piano dell'azione pratica. Per abolire la p r o p r i e t à privata, il proletariato deve anzitutto conquistare lo Stato e gestirlo d i t t a t o r i a l m e n t e fino al r a g g i u n g i m e n t o dei suoi fini. D o p o d i c h é p o t r à , anzi d o v r à abolirlo perchee s s e n d o lo Stato lo s t r u m e n t o inventato dalle classi privilegiate p e r conservare i suoi privilegi, u n a società senza classi né privilegi n o n ne ha più bisogno. Il positivismo, cui viene c o m u n e m e n t e assegnato p e r pad r e il filosofo francese A u g u s t o C o m t e , p a r t e da t u t t ' a l t r e p r e m e s s e , e q u i n d i giunge a tutt'altre conclusioni. Q u a n d o l'uomo, esso dice, cerca d'indagare i p e r c h é della Storia e di a s s e g n a r l e u n f i n e u l t i m o , u n t r a g u a r d o (come facevano H e g e l e Marx), pecca di p r e s u n z i o n e . Il massimo a cui egli p u ò a r r i v a r e è a filtrare e o r g a n i z z a r e i d a t i delle scienze esatte. Essi ci forniscono u n a sola certezza: quella dell'evoluzione, di cui Darwin - g r a n positivista a n c h e lui - aveva formulato la legge. Come evolve l'uomo che p r i m a era una scimmia, così evolvono le società, p a s s a n d o da u n o stadio a r r e t r a t o a u n o più p r o g r e d i t o . E c o m e la scienza ha liberato l'uomo da tutte le sue superstizioni fornendogli la spiegazione di tutti quei fenomeni che p r i m a gli riuscivano incomprensibili, così la politica è destinata a liberarlo dalla servitù delle ingiustizie sociali. Progresso scientifico e progresso politico c a m m i n a n o di pari passo. Per evoluzione. E l'evoluzio230
n e , p o s t u l a n d o la g r a d u a l i t à , cioè il m e t o d o delle riforme, esclude la rivoluzione. Di q u e s t a inconciliabilità fra le d u e scuole e d o t t r i n e , il positivista Turati n o n si r e n d e v a conto. Ad a c q u i s t a r n e coscienza fin da principio ci fu u n o solo, in Italia: Antonio Labriola, c h e a M a r x e r a a r r i v a t o b a t t e n d o la stessa via di Marx. E si capisce p e r c h é . Era di Napoli, l'unica città italiana in cui l'idealismo di H e g e l aveva a v u t o dei g r a n d i p r o consoli e cultori, specialmente in B e r t r a n d o Spaventa. Egli capiva M a r x p e r c o m u n a n z a di origini filosofiche. E con lui si trovava a l l ' u n i s o n o in t a n t e cose, a c o m i n c i a r e dal disprezzo p e r l ' i n s u r r e z i o n a l i s m o r o m a n t i c o . Infatti n o n v i aveva mai partecipato. La sua rivoluzione nasceva dai libri, aveva eletto a suo s t r u m e n t o n o n le b a r r i c a t e , ma la cattedra. «Sono un tedesco nato p e r sbaglio a Napoli» scriveva a Engels con cui teneva u n a fitta c o r r i s p o n d e n z a . Ma se q u e sto faceva di lui l'unico vero e rigoroso marxista italiano, ne faceva a n c h e un esule in patria c o n d a n n a t o a l l ' i n c o m p r e n sione e alla solitudine. C o n t r o gli anarchici aveva p r o n u n ciato, c o m e tutti i marxisti, c o n d a n n e spietate, e già da un pezzo reclamava la costituzione di un partito socialista. Turati rimase q u i n d i sorpreso q u a n d o , avendolo invitato a collaborare alla sua rivista, si sentì r i s p o n d e r e : «Voi vedete la cosa d i v e r s a m e n t e da m e . Voi volete fare la p r o p a g a n d a tra i borghesi, voi volete r e n d e r e simpatico il socialismo. Dio vi aiuti in tale filantropica i m p r e s a . In q u a n t o a m e , i borghesi li c r e d o b u o n i solo a farsi impiccare. N o n avrò la fortuna d'impiccarli io, ma n o n voglio n e m m e n o contribuire a dilazionarne l'impiccagione». E d a n d o a n n u n z i o di quel rifiuto a Engels, con cui a n c h e T u r a t i e r a in c o r r i s p o n d e n z a , spiegò: «I nostri o p e r a i n o n s a r a n n o certo gli eredi della filosofia classica tedesca, a p p u n t o p e r c h é quella filosofia a malapena passò p e r il solitario cervello di qualche professore italiano. La n u o v a g e n e r a z i o n e n o n conosce che i positisti, che sono p e r me i r a p p r e s e n t a n t i della d e g e n e r a z i o n e cretina del tipo borghese». V1
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Così, m e n t r e L a b r i o l a si r i n c h i u d e v a fra i suoi libri p e r elaborare quella Concezione materialistica della Storia che r a p p r e s e n t a il Vecchio T e s t a m e n t o del m a r x i s m o italiano, Turati si p r e p a r a v a fra gli o p e r a i milanesi la «base» necessaria al periglioso passo della scissione. Nessuno e r a meglio qualificato a orientarsi nel discorde m o n d o della Sinistra italiana: lì si era formato, ne aveva bazzicato tutti i filoni, ne parlava la lingua. E infine aveva in A n n a u n a m a e s t r a di «pubbliche relazioni» c o m e n o n ce n'era di uguali. Col suo aiuto egli redasse e pubblicò sulla sua rivista il Programma della Lega socialista milanese. E r a un d o c u m e n t o p i u t t o s t o astratto, ricco più di enfasi ideologica che di riferimenti ai problemi concreti. Ma esso r a p p r e s e n t a v a tuttavia un notevole passo avanti rispetto a quelli elaborati fin lì, e s o p r a t t u t t o forniva u n a piattaforma all'incontro degli operaisti milanesi coi socialisti rivoluzionari di R o m a g n a . Solo da q u e s t o i n c o n t r o poteva p r e n d e r e avvìo un vero partito socialista in g r a d o di liberarsi dall'ipoteca anarchica. E Turati, che dei sacri testi sapeva m e n o d i Labriola, m a c o m e f i u t o politico n e aveva più di lui, se n ' e r a reso conto, e al servizio di questa o p e r a zione aveva messo a n c h e i suoi innegabili d o n i di simpatia u m a n a , di e l o q u e n z a , e a n c h e di d e m a g o g i a . N o n e r a u n a lotta facile p e r c h é b i s o g n a v a f o r n i r e a r g o m e n t i ideologici c h e servissero nello stesso t e m p o agli o p e r a i milanesi p e r sottrarsi alle r e s i d u e influenze mazziniane e radicali, e ai socialisti r o m a g n o l i p e r i n t e n t a r e il divorzio dagli anarchici. E lo si era visto p r o p r i o al congresso operaio milanese del '91 q u a n d o le forze radicali e mazziniane r e s p i n s e r o l'etichetta socialista. Ma avallando la p r o p o s t a di t e n e r e l ' a n n o seguente un c o n g r e s s o su scala n a z i o n a l e , cui e r a sottinteso che a v r e b b e r o partecipato a n c h e i socialisti r o m a g n o l i , si accettava implicitamente di r i m e t t e r e in discussione il problema. E la battaglia si a n n u n c i a v a decisiva. Il lavoro p r e p a r a t o r i o fu affidato a u n a commissione in cui s p a d r o n e g g i a v a Maffi, c h ' e r a insieme d e p u t a t o radicale e dirigente del Consolato Operaio: un arrivista arruffone e ar232
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raffone, a u t o r e di un d o c u m e n t o che provocò i sarcasmi di Labriola e li giustificava in p i e n o . T u r a t i si t e n n e più sulle sue p e r n o n far n a u f r a g a r e il congresso, unica cosa che gli p r e m e v a , p r i m a che cominciasse. Le sue carte voleva giuocarle lì. La città prescelta p e r il r a d u n o fu G e n o v a p e r c h é p r o prio in q u e l l ' a n n o 1892 essa celebrava il q u a r t o c e n t e n a r i o della s c o p e r t a dell'America a o p e r a del suo C o l o m b o , e le ferrovie c o n c e d e v a n o a chi vi si recava forti riduzioni sul biglietto. A quei t e m p i i partiti n o n d i s p o n e v a n o dei miliardi di cui d i s p o n g o n o oggi, e i delegati d o v e v a n o p r o v v e d e r e alla trasferta di tasca p r o p r i a . Quelli c h e la m a t t i n a del 14 agosto si r i u n i r o n o alla Sala Sivori e r a n o circa 200. E sebbene o r m a i tutti sapessero c h ' e r a in giuoco la scissione, nessuno e r a in g r a d o di p r e v e d e r e a chi sarebbe toccata la m a g g i o r a n z a . L'unico g r u p p o c o m p a t t o e r a quello a n a r c h i c o , che p e r ò n o n poteva c o n t a r e sui suoi d u e più prestigiosi alfieri, Merlino e Malatesta, costretti all'esilio da qualche dozzina di m a n d a t i di cattura. E r a n o u n ' o t t a n t i n a capeggiati da Gori, e la loro posizione e r a c h i a r a : e r a quella del Partito Anarchico Rivoluzionario uscito l'anno p r i m a dal congresso di Capolago. La lotta e r a p e r la conquista degli altri 120 d e legati, fra cui ce n ' e r a n o molti, forse la m a g g i o r a n z a , c h e s e b b e n e c o n c e t t u a l m e n t e c o n q u i s t a t i d a l l ' i d e a socialista, s e n t i m e n t a l m e n t e r i m a n e v a n o legati ai «malfattori» e avevano l ' i m p r e s s i o n e , r i p u d i a n d o l i , d i m a c c h i a r s i d i t r a d i m e n t o . Q u e s t o «complesso di colpa» e r a il più insidioso n e mico di T u r a t i , c h e infatti aveva cercato di p r e v e n i r l o con una serie di articoli su Critica sociale in cui, sia p u r e con molta abilità, sosteneva q u e s t a capziosa tesi: che gli anarchici, « t e m p e r a m e n t i di apostoli e di m a r t i r i veri», avevano tutto da g u a d a g n a r e da u n a separazione p e r c h é solo c o m e forza a u t o n o m a a v r e b b e r o a v u t o l'esclusiva di q u e i valori di libertà e d'iniziativa individuale da difendere, all'occorrenza, anche c o n t r o un r e g i m e socialista c h e avesse p r e t e s o sacrificarli al suo collettivismo. 233
La battaglia scoppiò subito, e il p r i m o a s c e n d e r e in campo fu l'operaista Casati, il quale chiese che alla Presidenza venissero eletti solo u o m i n i «coi calli alle mani», c h ' e r a u n a frecciata contro Turati e il suo stato m a g g i o r e d'intellettuali. Lo seguì l'anarchico Pellaco p r o p o n e n d o il rinvio della discussione sul p r o g r a m m a p e r c h é molti delegati n o n avevano avuto il t e m p o di p r e n d e r n e visione. Era un cavillo p r o c e d u r a l e molto pericoloso: la m a g g i o r a n z a n o n aveva di che m a n t e n e r s i fuori di casa più di d u e giorni, e q u i n d i il rinvio avrebbe significato l'aborto del congresso. La p r o p o s t a venne bocciata, ma d o p o u n a rissa c h ' e r a già un p r e l u d i o di rottura. Nel p o m e r i g g i o ricominciò la tattica ostruzionistica degli a n a r c h i c i , che e s a s p e r ò v i e p p i ù gli a v v e r s a r i . A un c e r t o p u n t o si alzò a p a r l a r e u n o dei più fidi e autorevoli alleati di Turati, Camillo Prampolini. «Vi t r a t t e r r ò pochi m i n u t i - disse -, ma vi p a r l e r ò col cuore, da amico franco, e p a r l e r ò per voi anarchici e nell'interesse c o m u n e . D o p o che mi avrete ascoltato, dovrete dire che ho ragione, e c o n v e r r e t e con me nella p r o p o s t a che faccio. Da a n n i e a n n i , q u a n d o cominciò a sorgere il p a r t i t o socialista in Italia, n o i c o m b a t t i a m o fra noi u n a lotta c o n t i n u a nei giornali, nelle assemblee, nelle p u b b l i c h e piazze, nei c o n g r e s s i . Io n o n d i r ò c h e vi sia da u n a parte o dall'altra malafede, anzi n o n vi è. Voi siete onesti q u a n t o noi, ma è indiscutibile che questa lotta esiste, ed è di tutti i giorni, di t u t t e le o r e , e ciò p e r c h é noi siamo d u e partiti essenzialmente diversi, p e r c o r r i a m o d u e vie assolut a m e n t e o p p o s t e , fra noi n o n c i p u ò essere c o m u n a n z a , d u n q u e lasciateci in pace...» Ma a q u e s t o p u n t o si accasciò colpito d a m a l o r e , t a l m e n t e d o l o r o s o e r a a n c h e p e r lui l o sforzo di p r o n u n c i a r e quelle parole di r o t t u r a . Replicarono con veemenza Galleani e Cori. La tensione crebbe. S e m p r e più il congresso assumeva i toni di un r e g o l a m e n t o di conti. La sera T u r a t i , la Kuliscioff e P r a m p o l i n i t e n n e r o r a p p o r t o in u n a trattoria ai loro fidi e decisero di d i r a m a r e ai socialisti l'invito a d i s e r t a r e la Sala Sivori e di r i u n i r s i fn 234
quella del Circolo dei C a r a b i n i e r i Genovesi, gli e x - c o m p a gni d ' a r m e di Garibaldi. N o n sapevano quanti vi avrebbero aderito, ma f u r o n o più del previsto: circa un 130. Tuttavia fra di essi m a n c a v a p r o p r i o colui che si poteva c o n s i d e r a r e il p i o n i e r e di quella scissione: A n d r e a Costa. Da dieci a n n i beffeggiato e svillaneggiato dagli anarchici p e r il suo legalitarismo di d e p u t a t o , n o n si era tuttavia sentito di ripudiarli e, d o p o aver invano tentato di ricucire le d u e fazioni, aveva deciso con un piccolo g r u p p o di altri delegati di n o n p a r t e cipare a n e s s u n o dei d u e congressi. A n c o r a u n a volta egli incarnava, fino alla diserzione, il d r a m m a di quella r o t t u r a . Gli a n a r c h i c i rimasti alla Sala Sivori si c o n t a r o n o , e d o vettero c o s t a t a r e c h ' e r a n o ridotti a un b r a n d e l l o , e p e r di più avulso dalla classe o p e r a i a , i cui delegati e r a n o passati in massa dall'altra p a r t e . Ciò li lasciava a n c o r a più in balìa delle c o r r e n t i estremiste e centrifughe, ribelli a qualsiasi forma di organizzazione e c o n d a n n a t e dal p r o p r i o nìhilismo all'autodistruzione, che solo la presenza dei socialisti aveva fin allora frenato. Lo si capì dal grido di: «Viva Ravachol!» che a più riprese risuonò. Ravachol era il d i n a m i t a r d o francese che meglio aveva i n c a r n a t o l'illegalismo a n a r c h i c o e il suo apocalittico furore, e c h e da poco era salito sulla ghigliottina. Scrisse Malatesta dal suo esilio: «Con l'odio n o n si rinnova il m o n d o ; e la rivoluzione dell'odio o fallirebbe comp l e t a m e n t e , o p p u r e farebbe c a p o a u n a n u o v a o p p r e s s i o ne». Ma la sua voce e quella di Merlino furono subito coperte dal fragore delle b o m b e che r i p r e s e r o a scoppiare un p o ' dovunque. Ben altrimenti p r o c e d e t t e r o le cose al Circolo dei Carabinieri. N e m m e n o lì la concordia regnava sovrana. Q u a n d o Turati p r e s e n t ò un e m e n d a m e n t o al p r o g r a m m a p e r dargli un indirizzo ideologico più definito, Maffi si o p p o s e vivacem e n t e p e r conservargli u n ' i m p r o n t a generica che lasciasse spazio all'influenza radicale. Ma dalla discussione e m e r s e la s u p e r i o r e statura di Turati, che infatti ne uscì c o m e il vero d o m i n a t o r e e capo del n u o v o partito. 235
Q u e s t o conservò il suo n o m e di Partito dei Lavoratori italiani, in cui la p a r o l a socialista n o n appariva. Ma il suo p r o g r a m m a n o n lasciava in p r o p o s i t o alcun dubbio. Esso gli ass e g n a v a c o m e m è t a la c o n q u i s t a delle fonti di ricchezze e dei mezzi di p r o d u z i o n e : t e r r a , miniere, fabbriche, trasporti, tutto doveva essere confiscato ai privati e gestito dalla com u n i t à . Per r a g g i u n g e r e questo fine, la battaglia doveva essere i m p e g n a t a c o n t e m p o r a n e a m e n t e i n d u e c a m p i : i n quello dei «mestieri», cioè in quello sindacale p e r conquistare posizioni s e m p r e più vantaggiose sul p i a n o economico; e in quello elettorale p e r conquistare il p o t e r e sia politico che a m m i n i s t r a t i v o . Perciò si costituiva un p a r t i t o , c h e a differ e n z a di tutti gli altri, sarebbe stato s t r e t t a m e n t e di classe in q u a n t o espressione del p r o l e t a r i a t o , e soltanto del proletariato. Siccome ne mancava il t e m p o , la r e d a z i o n e dello Statuto fu r i m a n d a t a a più tardi, e infatti vi si provvide tre anni d o p o , al congresso di Parma. I risultati di G e n o v a a n d a v a n o forse o l t r e le s p e r a n z e dello stesso T u r a t i , e c o m u n q u e s t u p i r o n o Labriola, che si era rifiutato di parteciparvi p e r c h é n o n lo riteneva u n a cosa seria. Egli scrisse a Turati u n a lettera che è a n d a t a p e r d u t a , ma il cui c o n t e n u t o si p u ò facilmente d e d u r r e dalla risposta d e l suo c o r r i s p o n d e n t e . P u r con q u a l c h e riserva sull'ortodossia m a r x i s t a del P r o g r a m m a , si felicitava del suo varo; ma - e questo è tipico d e l l ' u o m o e del suo pessimismo - lo attribuiva n o n a u n a chiara visione politica, ma solo «a coinc i d e n z e fortuite». E siccome Engels se ne m o s t r a v a invece i n c o n d i z i o n a t a m e n t e entusiasta, gli scrisse che su quel doc u m e n t o qualcosa si poteva, sì, costruire, ma a patto di purgarlo del suo p r e s s a p p o c h i s m o ideologico c h e « n o n è solt a n t o l'effetto di u n a confusione intellettuale, ma l'espressione di u n a situazione. Q u a n d o pochi, più o m e n o socialisti, si rivolgono a un proletariato i g n o r a n t e , impolitico, e in b u o n a p a r t e r e a z i o n a r i o , è quasi inevitabile che ragionino da utopisti e o p e r i n o da demagoghi». Sulla l u n g a distanza doveva rivelarsi b u o n profeta. Ma lì 236
p e r lì i fatti lo s m e n t i r o n o . Le adesioni fioccarono, specie dalla R o m a g n a . La diede anche Gnocchi-Viani, che n o n era a n d a t o a G e n o v a e si e r a ritirato in u n a posizione a t t e n d i sta. E finì p e r darla a n c h e Costa. L'anno d o p o , riunito a congresso a Reggio Emilia, il partito adottò e iscrisse all'anagrafe il suo vero n o m e di Partito Socialista dei Lavoratori italiani. Esso segnava l'ingresso, nello s c h i e r a m e n t o di quelle tradizionali, di u n a n u o v a forza a u t e n t i c a m e n t e p o p o l a r e , a n c h e se i m m a t u r a e incolta, con cui sarebbe stato difficile convivere, ma impossibile fare a m e n o .
CAPITOLO VENTITREESIMO
I CATTOLICI
M e n t r e q u e s t o avveniva sul fronte di sinistra, qualcosa di analogo si verificava su quello di destra. Alla rottura, dovuta all'intransigenza della Chiesa fra cattolici e laici, abbiamo già fatto alcuni riferimenti. Ma o r a bisogna ricostruirla in maniera più particolareggiata anche p e r l'attualità ch'essa conserva in q u a n t o lì sono le origini di un certo «integralismo» cattolico che tuttora insidia lo Stato laico risorgimentale. Il 7 febbraio 1878, cioè a un mese di distanza dalla m o r t e di Vittorio E m a n u e l e II, Pio IX lo aveva seguito nella tomba d o p o oltre t r e n t ' a n n i di pontificato, il più l u n g o nella storia dei Papi, e forse a n c h e il più c o n t r a d d i t t o r i o . Q u a n d o e r a asceso al Soglio, gl'italiani a v e v a n o visto in lui l ' u o m o del destino, il capo carismatico v e n u t o a realizzare il sogno neo-guelfo di u n a crociata di liberazione nazionale guidata dalla Chiesa. N o n era, si capisce, che un'illusione ottica, ma di cui anch'egli d a p p r i n c i p i o era rimasto vittima. N o n d u r ò che pochi mesi, cioè fino al 29 aprile del '48, q u a n d o in u n a famosa «allocuzione», invece di b e n e d i r e la crociata contro l'Austria, Pio IX la maledisse. Ma n o n r i m a s e senza effetti. Per q u a n t o falsa e assurda, l'idea di un Papa patriota aveva spinto molti cattolici, che c o n t r o o senza di lui mai avrebbero osato farlo, ad arruolarsi sotto la b a n d i e r a liberale, e parecchi ci r i m a s e r o a n c h e d o p o il voltafaccia a n d a n d o a ingrossare le file di quel m o d e r a t i s m o che, p e r q u a n t o conservatore, n o n r i n n e g a v a lo Stato laico e collaborava alla sua costruzione. Q u e s t a e r a stata la «voce attiva» dell'operazione neo-guelfa, p e r tutto il resto fallimentare. Ma aveva avuto la sua importanza. 238
Per risolvere il p r o b l e m a dei r a p p o r t i fra i d u e p o t e r i , Cavour aveva escogitato la formula «Libera Chiesa in libero Stato», cioè un r e g i m e di netta separazione fra di essi. N o n s a p p i a m o s'egli c r e d e s s e v e r a m e n t e alla sua praticabilità. S e m b r e r e b b e di sì, visto che la r a c c o m a n d ò a n c h e in p u n t o di m o r t e . In realtà, e r a anch'essa illusoria. Urtava c o n t r o i princìpi di u n a Chiesa che considerava la coscienza del «fedele» suo esclusivo m o n o p o l i o , e nello stesso t e m p o c o n t r o gli ancestrali rancori che questa pretesa aveva suscitato nei laici. Infatti la sua applicazione fu i m p e d i t a dalle d u e o p p o ste i n t r a n s i g e n z e . Q u a n d o , d o p o la p r o c l a m a z i o n e dell'Unità, f u r o n o estese a t u t t ' I t a l i a le leggi laiche c h e , sotto la spinta di Cavour, il P i e m o n t e aveva varato fra il '50 e il '60, cadde o g n i possibilità di dialogo fra Chiesa e Stato, e n o n ci fu più posto che p e r rappresaglie. La soppressione di alcuni o r d i n i religiosi, la c h i u s u r a di m o n a s t e r i e conventi, e p i ù ancora l'introduzione del m a t r i m o n i o civile e del controllo dello Stato sulle scuole gestite dai preti, furono d e n u n z i a t e dalla Curia c o m e «persecuzioni», e nel '64 spinsero il Papa a f o r m u l a r e quella catastrofica d i c h i a r a z i o n e d i g u e r r a n o n soltanto all'Italia, ma al m o n d o m o d e r n o , che fu il Sillabo. Di anatemi, la storia della Chiesa è ricca. Ma, dice giustam e n t e Spadolini, mai essa si era spinta a c o n d a n n a r e un intero secolo e a offenderlo in tutti i suoi sentimenti, c r e d e n z e e passioni. Sul p i a n o internazionale, questi eccessi del Papa furono p e r l'Italia u n a f o r t u n a . Le Potenze a cui egli si rivolgeva p r i m a p e r c h é puntellassero il suo vacillante p o t e r e t e m p o r a l e poi p e r c h é lo restaurassero, e r a n o i n d i g n a t e dal Sillabo, o p e r lo m e n o n o n si s e n t i r o n o di sfidare u n a p u b blica o p i n i o n e che lo rifiutava risolutamente. Esso n o n trovò sostenitori n e m m e n o nella cattolicissima S p a g n a . L'unico Stato che r u p p e le relazioni con quello italiano in seguito a Porta Pia fu l'Ecuador. Mai la Chiesa si era trovata in condizioni di più completo isolamento. Ma all'interno le conseguenze furono gravi. La p r i m a fu la crisi di quel cattolicesimo liberale che, come abbiamo det239
to, cercava di conciliare la coscienza religiosa con quella civile e r a p p r e s e n t a v a l'elemento che meglio poteva combattere i d u e opposti estremismi, u g u a l m e n t e pericolosi e nefasti. Il P a p a fece di tutto p e r affossarlo d e f i n e n d o il suo att e g g i a m e n t o «una carezza fatta c o n t e m p o r a n e a m e n t e a Dio e al diavolo», e p o n e n d o esplicitamente l'alternativa: «O lib e r a l e o cattolico, o cattolico o liberale». Essa c o m p o r t a v a u n a vera e p r o p r i a secessione dalla vita politica nazionale, che Don Margotti riassumeva nell'imperativo: «Né eletti, né elettori». Q u e s t o divieto p e r ò n o n si estendeva alle elezioni amministrative, e si capisce p e r c h é : i C o m u n i e le province n o n e r a n o l o Stato, anzi p o t e v a n o d i v e n t a r e l o s t r u m e n t o p e r combattere lo Stato. Ed ecco p e r c h é i cattolici sono semp r e stati regionalisti: n o n p e r gestire meglio quella «oppressione morale, civile e religiosa» c o m e essi definivano lo Stato d e l l ' « u s u r p a t o r e subalpino», ma p e r d i s t r u g g e r l o dal di d e n t r o . E fu p r o p r i o la necessità di organizzarsi p e r conquistare le roccheforti amministrative che li trasse dal ghetto in cui si e r a n o d a p p r i m a rinchiusi. Di e s p e r i e n z a organizzativa, i cattolici ne a v e v a n o poca p e r c h é il clero, che tiene in g r a n sospetto e disprezzo tutti i laici, a n c h e se devoti, n o n aveva loro consentito altre associazioni che quelle caritative. La p i ù forte e r a quella di S. Vincenzo de' Paoli, da cui i clericali avevano derivato il loro n o m i g n o l o : paolotti. Ma ora che p e r loro si trattava n o n più di dividere il p o t e r e , ma di riconquistarlo, i preti smisero di d i s d e g n a r e la collaborazione dei laici, e anzi ne b a n d i r o n o la mobilitazione. A q u e s t a r i s p o s e r o p e r p r i m i i bolognesi p r o m u o v e n d o u n a Associazione cattolica, che ebbe subito le sue succursali in p a r e c c h i e altre città. Vi p r e v a l s e r o i reazionari, fedeli all'id e a neoguelfa di un'Italia di parrocchie unita, sì, ma sotto il g o v e r n o del Papa. U n o di loro, Cantù, scriveva: «Un Comune e un Santo: ecco gli elementi di cui gl'italiani c o m p o n e vano le loro libertà». Ma si era nel '66, l ' a n n o in cui l'Italia scendeva p e r la terza volta in g u e r r a con l'Austria, e n o n in240
t e n d e v a t o l l e r a r e simili disfattismi. L'Associazione fu s o p pressa, e n o n r i n a c q u e p e r c h é al suo posto l'anno d o p o ne sorse un'altra, su b e n diversi p r e s u p p o s t i ideologici: quella della Gioventù cattolica, che r a p p r e s e n t ò subito l'elemento di p u n t a , lo s q u a d r i s m o del cattolicesimo militante. F u r o n o questi Camelots du Pape che c e r c a r o n o di sollevare «il p o p o l o cristiano» d ' I t a l i a e d ' E u r o p a c o n t r o «l'esec r a n d o avvenimento», la violazione della «tomba i m m o r t a le del Principe degli Apostoli», cioè l'annessione di R o m a , e che subito chiesero il «castigo di Dio», cioè in p a r o l e p o v e r e l'intervento delle Potenze s t r a n i e r e , c o m p r e s e quelle p r o testanti c o m e la Prussia, p e r r i p a r a r e all'oltraggio, restaur a n d o lo Stato pontificio. Ma q u e s t a fase finì p r e s t o , liquidata dal s u o stesso fallimento. A n c h e i ciechi p o t e v a n o ved e r e c h e , s e b b e n e rifiutata dalla Chiesa, l a L e g g e delle G u a r e n t i g i e aveva assolto il suo c o m p i t o d i s a r m a n d o l'opin i o n e pubblica m o n d i a l e e che n e s s u n o s a r e b b e v e n u t o in soccorso di un P a p a c h e faceva il p e r s e g u i t a t o in un ling u a g g i o da p e r s e c u t o r e . Sicché q u a n d o n e l '74 i cattolici i n d i s s e r o a Venezia il l o r o p r i m o c o n g r e s s o , il p r o b l e m a che si p o s e r o n o n fu più quello di disfare l'Italia, ma d'impadronirsene. Q u e s t o n o n significava rinunzia all'intransigenza ideologica, che anzi v e n n e riconfermata. «La nostra è la d o t t r i n a del S o m m o Pontefice - disse il V i c e p r e s i d e n t e D ' O n d e s Reggio -. O g n i d o t t r i n a difforme da quella è scisma o eresia.» Ma il fatto c o m p i u t o dell'unità nazionale era implicitam e n t e riconosciuto, e il dibattito s ' i m p e r n i ò solo sui m o d i per volgerlo a favore della Chiesa. A tale scopo, furono gettate le basi di quella g r a n d e o r g a n i z z a z i o n e n a z i o n a l e che poi si c h i a m ò Azione Cattolica, e fra i p r i m i obbiettivi che le v e n n e r o fissati ci fu la lotta c o n t r o l'istruzione e l e m e n t a r e obbligatoria, «contraria ai sacri d o v e r i e diritti della p a t r i a potestà». Il bersaglio n o n era, si capisce, la scuola in g e n e r e , ma la scuola di Stato, cui i cattolici si p r o p o n e v a n o di cont r a p p o r r e quelle loro p e r c o n t e n d e r e alla «rivoluzione», co241
me essi seguitavano a chiamare lo Stato laico, la formazione delle coscienze. L'anno d o p o , a F i r e n z e , v e n n e istituita l'Opera dei Congressi, c h e articolata in comitati regionali, diocesani e p a r rocchiali, doveva c o o r d i n a r n e l'azione. Il suo indirizzo e r a riassunto nel Programma per l'Azione Cattolica in Palla ed era tuttora di stampo sanfedista, cioè reazionario. Lo dimostrar o n o le alleanze che i cattolici contrassero, nelle elezioni amministrative, con gli elementi della Destra più conservatrice, e l'inflessione dei loro giornali, tutti accordati sulla musica apocalittica del Sillabo. Le cose e r a n o a questo p u n t o q u a n d o Pio IX m o r ì . Molti b u o n i cattolici, che volevano essere a n c h e b u o n i italiani, acc a r e z z a r o n o la s p e r a n z a di u n a distensione, ma furono subito delusi. Alcuni Cardinali a v a n z a r o n o la p r o p o s t a di ten e r e il Conclave fuori d'Italia. E Crispi, da p o c o n o m i n a t o Ministro d e g l ' I n t e r n i , dichiarò che d o p o averli fatti accomp a g n a r e alla frontiera con tutti gli o n o r i ma senza biglietto di r i t o r n o , avrebbe fatto o c c u p a r e il Vaticano. Questa replica provocatoria era del tutto superflua p e r c h é gli altri Stati cattolici avevano già fatto capire alla Curia che n o n gradivano l'alto o n o r e di ospitarla, ma somigliava all'uomo e rispecchiava lo stato d ' a n i m o dell'Italia laica. Il n u o v o eletto fu Gioacchino Pecci, Arcivescovo di Perugia, che salì al Soglio col n o m e di L e o n e X I I I . È probabile che sulla sua scelta influissero a n c h e dei motivi anagrafici. Coi suoi sessantotto a n n i , Pecci forniva b u o n e g a r a n z i e di un Pontificato p i ù breve di quello del predecessore, che n o n aveva p o r t a t o fortuna alla Chiesa: n e s s u n o poteva p r e v e d e re ch'egli avrebbe s u p e r a t o l a r g a m e n t e la novantina. Ma ancor più d o v e t t e r o p e s a r e le p r o v e ch'egli aveva già d a t o di fedeltà alla linea del suo p r e d e c e s s o r e , s e b b e n e sul p i a n o u m a n o ne r a p p r e s e n t a s s e l'antitesi. Pio IX e r a stato un Pap a alla b u o n a , volubile e d e m o t i v o . L e o n e e r a u n p r e l a t o del Rinascimento, che aveva altissimo il senso della maestà 242
della Chiesa e lo incarnava nella regalità dei modi, nel m a r m o r e o e sfingeo volto, nei gesti statuari, nelle p a r o l e e p i ù ancora nei silenzi. Per ribadire la p r o p r i a condizione di prigioniero, si rifiutò di b e n e d i r e , d o p o l'elezione, i fedeli dalla loggia sulla piazza, e riaffermò il p r o p r i o diritto al p o t e r e temporale. P u r n o n c r e d e n d o alla possibilità di u n a restaurazione, p e r venticinque a n n i ne t e n n e vivo il p r o b l e m a . Ma un Sillabo non lo avrebbe mai b a n d i t o . Il suo più riservato atteggiamento incitò i cattolici d'ispirazione m o d e r a t a a r i t e n t a r e la conciliazione. E a farlo n o n furono soltanto dei laici c o m e J a c i n i , Prinetti e C a m p e l l o , ma a n c h e alcuni p o r p o r a t i di alto r a n g o e prestigio. L'iniziativa fu presa dal Vescovo di C r e m o n a , Bonomelli, che scrisse al Papa u n a lettera p e r incitarlo a ristabilire la pace fra la Chiesa e l'Italia. Il Papa la fece pubblicare insieme alla p r o pria risposta che n o n e r a d i consenso, m a n e m m e n o d i rifiuto, e subito d o p o , in un'allocuzione ai Cardinali, riconobbe che u n a distensione sarebbe stata proficua a tutti. In favore della causa si schierarono a n c h e alcuni fra i collaboratori più vicini al Pontefice. E Conciliazione fu il titolo che l'illustre storico b e n e d e t t i n o , P a d r e Tosti, diede a un suo o p u scolo. Forse, i n c o r a g g i a n d o queste t e n d e n z e , il Papa voleva soltanto saggiare le intenzioni dell'avversario. Ma l'avversario in quel m o m e n t o era Crispi, che dalle p r o p r i e idee giacobine e più ancora dal p r o p r i o t e m p e r a m e n t o era p o r t a t o più a d r a m m a t i z z a r e che a smussare i contrasti. «Né s a p p i a m o né vogliamo sapere quello che si pensa in Vaticano - dichiarò in risposta a un'interpellanza del r e p u b b l i c a n o Bovio -. Ma da p a r t e nostra nulla sarà toccato al diritto nazionale sancito dai plebisciti. L'Italia a p p a r t i e n e a se stessa, a sé sola, e n o n ha che un capo: il Re.» La replica gli v e n n e da un suo c o n t e r r a n e o , p r o p r i o allora n o m i n a t o Segretario di Stato: il cardinale Rampolla, che q u a n t o a ostinazione e passionalità era a n c h e lui un Crispi, ma a rovescio. Invitato a ritrattare, Tosti lo fece con u n a let243
t e r a p r i v a t a , c h e a sua i n s a p u t a v e n n e data, p e r umiliarlo p u b b l i c a m e n t e , alle s t a m p e . Rampolla n o n c r e d e v a né alla possibilità, né a l l ' o p p o r t u n i t à di u n a conciliazione, che sec o n d o lui a v r e b b e favorito soltanto, d a n d o loro l'appoggio cattolico, quelle forze di Destra su cui si sosteneva la Monarchia. Egli p e n s a v a c h e la Chiesa potesse i n t e n d e r s i molto meglio c o n u n a R e p u b b l i c a che col Re, e trasferiva queste sue convinzioni a n c h e sul p i a n o della politica estera, dove stava o p e r a n d o un vero e p r o p r i o rovesciamento di alleanze. Fin allora la diplomazia vaticana aveva p u n t a t o sull'Austria e sulla G e r m a n i a . Ma d o p o l'ingresso dell'Italia nella Triplice, R a m p o l l a aveva deciso di p u n t a r e sulla Francia, p e r q u a n t o repubblicana e anticlericale. Q u a l u n q u e regime p e r lui era b u o n o , p u r c h é fosse anti-italiano. Il conflitto rincrudì. Il sindaco di R o m a v e n n e destituito p e r un atto d'omaggio al Papa, e un m o n u m e n t o v e n n e innalzato a G i o r d a n o B r u n o , che fornì a Bovio e ad altri oratori il pretesto p e r a n n u n c i a r e i m m i n e n t e la fine del Papato a n c h e c o m e p o t e r e spirituale. Il Papa t o r n ò ad avanzare la minaccia di a b b a n d o n a r e R o m a . E Crispi gli m a n d ò a dire che n o n ci avrebbe mai più rimesso piede. Le rappresaglie della Curia n o n si fecero a t t e n d e r e . Essa c o n d a n n ò u n o scritto a p p a r s o sulla Rassegna nazionale in cui si p r o p o n e v a la liquidazione del contrasto fra Stato e Chiesa con la creazione di un piccolo Stato Vaticano sulla destra del Tevere, che fu poi la soluzione adottata, sia p u r e con altri limiti territoriali, nel 1929. L'autore era il vescovo Bonomelli, che v e n n e indotto a ritrattare p u b b l i c a m e n t e la sua tesi dal p u l p i t o della C a t t e d r a l e di C r e m o n a . Il C a r d i n a l e di Milan o , F e r r a r i , che aveva a u t o r e v o l m e n t e a p p o g g i a t o i conciliatoristi, fu richiamato b r u s c a m e n t e all'ordine. Ma la misura più grave fu la p e r e n t o r i a riaffermazione del Non expedit, cioè del divieto di partecipazione all'elezioni politiche. Q u e s t a m i s u r a n o n soltanto pose gravi intralci all'opera di Jacini e di Prinetti che stavano d a n d o avvìo a un partito liberal-conservatore capace di a t t r a r r e nel g r a n d e alveo mo244
d e r a t o le masse cattoliche, e già avevano r i p o r t a t o notevoli successi; ma o r i e n t ò in m a n i e r a decisamente reazionaria le forze che Y Opera dei Congressi stava s e m p r e più raccogliendo sotto la sua b a n d i e r a . Negli ultimi a n n i q u e s t a organizzazione aveva p e r s o un po' il suo slancio a n c h e p e r la lotta di p o t e r e che si svolgeva nel suo i n t e r n o fra il g r u p p o b o l o g n e s e , più possibilista, e quello veneto, c a m p i o n e dell'intransigenza. N a t u r a l m e n t e l'irrigidimento della C u r i a favorì il secondo. L'avvocato ven e z i a n o P a g a n u z z i e d o n J a c o p o Scotton d i v e n t a r o n o rispettivamente Presidente e Segretario. E sotto la loro spinta YOpera assunse i caratteri di u n a vera e p r o p r i a milizia che, esclusa dalla lotta politica vera e p r o p r i a in forza del Non expedil, cercò sfogo sul t e r r e n o economico e sociale. N o n si trattava di u n a novità assoluta p e r c h é fin dal suo debutto YOpera si era p r o p o s t a d'interferire in questi campi, e infatti e r a riuscita a organizzare alcune società o p e r a i e di m u t u o soccorso. Ma i suoi dirigenti e r a n o poco qualificati a questa azione p e r c h é e r a n o tutti di estrazione nobile o borghese. Infatti nel '75 le società n o n r a g g i u n g e v a n o la ventina, e ricalcavano il modello delle «corporazioni» medievali, composte insieme da lavoratori e d a t o r i di lavoro. Il tentativo di conciliare gl'interessi degli u n i c o n quelli degli altri era n a t u r a l m e n t e utopico, ma trovò un efficace b a r d o in un professore di e c o n o m i a politica, che t u t t o r a la Democrazia Cristiana riverisce c o m e un suo p r e c u r s o r e : Toniolo. Fra le rivendicazioni di Toniolo ce n ' e r a n o a n c h e di m o d e r n e : gli a u m e n t i salariali, un p r o g r a m m a di edilizia p o polare e d'istituti previdenziali, l'obbligatorietà del r i p o s o festivo, l'esclusione dal lavoro delle d o n n e e dei fanciulli eccetera. Ma la sua appassionata difesa della mezzadria e delle piccole industrie artigiane c o n t r o le g r a n d i concentrazioni capitalistiche e il suo p r o g e t t o di corporazione mista con la condizione del lavoratore affidata s o p r a t t u t t o allo spirito paternalistico del d a t o r e di lavoro, facevano di lui un anticip a t o r e del passato, il nostalgico di un m o n d o r u r a l e e pa245
triarcale i n p i e n o c o n t r a s t o con quello m o d e r n o . E p p u r e , un effetto lo sortì: accese di e n t u s i a s m i sociali il c u o r e dei militanti, e c o n t r i b u ì a i m p e g n a r n e le e n e r g i e in q u e s t o campo. L'autoritario Paganuzzi ne fu indispettito e insospettito. Secondo lui, quella sociale doveva restare un'attività subalt e r n a rispetto al c o m p i t o principale del m o v i m e n t o cattolico: m o n t a r e la g u a r d i a al Papa. E p p o i forse t e m e v a che il « g r u p p o di lavoro», come oggi si direbbe, fondato da TonioIo a Padova - VUnione cattolica per gli Studi sociali, - gli sfuggisse di m a n o e p r e n d e s s e il sopravvento sull'Ocra. Ma a risolvere questo contrasto fu lo stesso Papa pubblicando il 15 maggio 1891 l'enciclica Rerum novarum. A l e g g e r e q u e s t o d o c u m e n t o c o n gli occhi di oggi, si fa fatica a capire c o m e mai suscitò tanta impressione e i cattolici seguitino a p a r l a r n e c o m e di u n a « g r a n d e svolta», di un fatto quasi rivoluzionario. Nel linguaggio u n t u o s o e polivalente c h ' è tipico della Chiesa, esso avanzava in favore della classe lavoratrice le stesse scontate rivendicazioni di TonioIo. Q u a n t o ai salari, sosteneva che dovevano c o r r i s p o n d e r e all'esigenza di vita di un «operaio frugale e b e n costumato», c h ' è un bellissimo concetto, ma passibile di qualsiasi interp r e t a z i o n e ; e q u a n t o al p r o b l e m a sociale nel suo insieme, cioè ai r a p p o r t i fra capitale e lavoro, n o n ne p r o p o n e v a nessuna soluzione. Ma accanto a questi princìpi di carattere più m o r a l e che e c o n o m i c o , ce n ' e r a n o degli altri di c o n t e n u t o più sostanzioso e c h e r a p p r e s e n t a v a n o u n a grossa novità. I cattolici, diceva il Papa, n o n possono i g n o r a r e la lotta di classe, né dis i n t e r e s s a r s e n e . D e b b o n o anzi i n t e r v e n i r v i f o r m a n d o le p r o p r i e associazioni o p e r a i e in m o d o che le loro forze popolari n o n siano obbligate ad arruolarsi sotto altre b a n d i e re, e c o n d u r r e avanti la loro battaglia con tutti i mezzi legali, c o m p r e s o lo sciopero. Era la p r i m a volta che la Chiesa interferiva esplicitamente in queste materie e vi p r e n d e v a u n a posizione così netta. 246
E a spiegarne il motivo, dice giustamente J e m o l o , bastano le coincidenze. Il 1891 era, come il lettore ricorderà, l'anno in cui Turati si p r e p a r a v a al lancio del partito socialista, di cui era facile p r e v e d e r e il fascino che a v r e b b e esercitato sulle masse lavoratrici. Se i cattolici n o n si affrettavano a opporgli una p r o p r i a organizzazione, rischiavano di regalargli la loro «base», che s o p r a t t u t t o nelle c a m p a g n e era a n c o r a m o l t o forte. Ma per assolvere questo compito concorrenziale, n o n c'era che un m o d o : allinearsi sulle posizioni rivendicative e contestatrici dei rivali, e possibilmente sopravanzarle. Così le forze cattoliche che fin allora avevano contestato lo Stato liberale da posizioni reazionarie di «destra», cominciarono a combatterlo da posizioni giustizialiste di «sinistra». All'invito del Papa, i cattolici risposero con e n t u s i a s m o . E, c o m e P a g a n u z z i aveva p a v e n t a t o , q u e s t o s e g n ò la fine della vecchia g u a r d i a che fin allora li aveva tenuti legati alla nostalgia del vecchio Stato pontificio e all'impossibile sogno di u n a sua r e s t a u r a z i o n e . Essi smisero di r i m p i a n g e r e la vecchia Italia papalina, e si lanciarono a costruirne un'altra con un a r d o r e in cui e r a n o facilmente riconoscibili d u e diverse c a r i c h e psicologiche: la sete di p o t e r e i n c u b a t a nel ghetto in cui p e r t r e n t ' a n n i e r a n o rimasti rinchiusi, e il perd u r a n t e odio p e r lo Stato risorgimentale e laico, alla cui costruzione n o n avevano partecipato. La democrazia cristiana non e r a a n c o r a nata, o p e r lo m e n o n o n aveva a n c o r a ricevuto il suo battesimo. Ma queste d u e c o m p o n e n t i e r a n o già chiare, e sono esse che t u t t o r a le d a n n o i connotati. Gli effetti si v i d e r o subito. Pochi mesi d o p o l'enciclica, i giovani dell'Unione p r e s e r o la m a n o ai vecchi notabili dell'Ocra, f o n d a r o n o u n a Rivista internazionale di Scienze sociali, e b a n d i r o n o il Programma dei Cattolici, d e t t o a n c h e Programma di Milano, che s c o p e r t a m e n t e r a p p r e s e n t a v a il g u a n t o di sfida al socialismo sul suo stesso t e r r e n o . Esso n o n ripudiava la c o r p o r a z i o n e di Toniolo, ma ne riconosceva l'inadeguatezza, e lanciava il sindacato «esclusivamente operaio» c o m e s t r u m e n t o d i u n « r e s t a u r o cristiano» d ' i s p i r a z i o n e
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m o r a l e m o l t o diversa, m a d i c o n t e n u t o sociale n o n m o l t o dissimile dall'archètipo socialista. Così l'assalto al cosiddetto «sistema» si scatenava contemp o r a n e a m e n t e su d u e fronti. Ma il fatto grave n o n era questo. Il fatto g r a v e e r a c h e q u e s t a c o n t e s t a z i o n e mobilitava delle masse p o p o l a r i che, r i m a s t e e s t r a n e e , e in molti casi avverse al processo risorgimentale, e r a n o a n i m a t e verso di esso da un sordo r a n c o r e . A differenza degli altri socialismi e u r o p e i , che a v e v a n o p e r b e r s a g l i o Io «Stato b o r g h e s e » , quello italiano - laico e cattolico - aveva p e r bersaglio lo Stato n a z i o n a l e e m i r a v a , c o n s a p e v o l m e n t e o i n c o n s a p e v o l m e n t e , a disfarlo. A questa sfida, l'opinione m o d e r a t a si p r e parava a reagire, rozzamente, con gli stati d'assedio. Ma fra i suoi e s p o n e n t i ce ne f u r o n o alcuni che di q u e s t a d o p p i a minaccia v i d e r o a n c h e il lato positivo: il fatto c h e le masse p o p o l a r i fossero uscite dal l o r o r a n c o r o s o i s o l a m e n t o e si mettessero in moto, sia p u r e a suon di barricate socialiste e di a n a t e m i preteschi: meglio la loro aggressione che la loro secessione. E a p e n s a r l a così era a n c h e l ' u o m o che p r o p r i o allora saliva al p o t e r e : Gioiitti.
CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO
GIOLITTI
Visto c h ' e r a stata la principale artefice della c a d u t a di Crispi, era logico che a raccoglierne la successione fosse la Destra, la q u a l e così t o r n a v a al p o t e r e d o p o q u i n d i c i a n n i di p u r g a , ma d e b i t a m e n t e «trasformata». La lotta dell'ultimo a n n o aveva sanato le sue i n t e r n e dissidenze, ma la m o r t e di Minghetti l'aveva lasciata orfana. Il marchese di Rudinì che ne aveva ereditato la p a r t e di capo e r a il frutto di un'illusione ottica. S i n d a c o di P a l e r m o a ventisette a n n i , aveva affrontato con m o l t o coraggio la rivolta che vi e r a scoppiata nel '66, e questo lo aveva accreditato c o m e il fanciullo-prodigio d e l m o d e r a t i s m o , d e s t i n a t o a gloriose i m p r e s e . Ma, diceva De Sanctis, col passare del t e m p o il p r o d i g i o dileguò, e rimase solo il fanciullo. Ministro d e g l ' I n t e r n i a t r e n t a n n i in u n o dei governi Menabrea, la sua carriera si era fermata lì. P u r e , la fama di « u o m o forte» gli e r a r i m a s t a a d d o s s o , suffragata a n c h e dalla sua alta statura, dai l a m p e g g i a m e n t i del monocolo, dalla fluente barba, dalla nobilesca alterigia. I d e e , n o n ne aveva. Ma aveva delle i m p e n n a t e che facevano c r e d e r e alla sua risolutezza. E questo, in u n a Destra i m p o verita di p e r s o n a l i t à di rilievo, gli e r a bastato p e r g u a d a gnarsi i galloni di capo. Egli formò un g o v e r n o di coalizione con la Sinistra, che dimostrò subito la sua disunione e debolezza. Nicotera, Min i s t r o d e g l ' I n t e r n i , t o r n ò subito a i suoi m e t o d i repressivi p r o v o c a n d o l'indignazione dei radicali. Il Luzzatti Ministro del Tesoro fece r i m p i a n g e r e , p e r la sua totale m a n c a n z a di qualità o p e r a t i v e , lo s t u d i o s o che t a n t a p a r t e aveva a v u t o nel r i n n o v a m e n t o del p e n s i e r o economico; e i d u e santoni 249
del liberismo, Pantaleoni e Pareto, n o n p e r s e r o occasione di d e n u n z i a r n e gli e r r o r i . L'unico c a m p o in cui R u d i n ì si m o s t r ò abbastanza attivo fu quello della politica e s t e r a di cui a s s u n s e la d i r e t t a r e sponsabilità. C o n la sua frenesia africana, Crispi gli aveva lasciato sulle spalle u n a situazione difficile: il conflitto con la Francia p e r via di Tunisi, e l'attrito con l'Inghilterra p e r via del S u d a n e della Somalia nel q u a d r o di u n a Triplice c h e n o n garantiva all'Italia n e s s u n aiuto d a p a r t e dei suoi d u e alleati. C o n la Francia, Rudinì d i e d e avvìo a u n ' a z i o n e distensiva, c h e m i r a v a a n c h e a o t t e n e r e un p r e s t i t o dalla Banca Rothschild. Il prestito n o n v e n n e p e r c h é Parigi ancora u n a volta p o s e c o m e c o n d i z i o n e d i v e n i r e p r e v e n t i v a m e n t e i n f o r m a t a di o g n i novità c h e sopravvenisse nella Triplice. Ma il conflitto p e r Tunisi fu sdrammatizzato. E con l'Inghilt e r r a fu r a g g i u n t o un accordo che definiva le frontiere dell'Eritrea e della Somalia e sanciva la r i n u n c i a sia a Cassala che ai territori oltre il Mareb: il che significava l ' a b b a n d o n o della politica scioana di Crispi intesa a i n a s p r i r e il conflitto fra Menelik e Ras Mangascià. Liquidate così le p i ù u r g e n t i p e n d e n z e con gii Occidentali, R u d i n ì sollecitò a B e r l i n o e a V i e n n a il r i n n o v o della Triplice con un a n n o di anticipo sulla scadenza del trattato. A Berlino n o n c'era più il p r e p o t e n t e Bismarck, e il suo successore Caprivi finì p e r a d e r i r e alla richiesta di c o n d e n s a r e i patti in un testo unico al posto dei d u e distinti trattati italotedesco e italo-austriaco, il che sottolineava la condizione di p a r i t à r a g g i u n t a dall'Italia coi d u e alleati. C ' e r a a n c h e u n articolo n u o v o che r i g u a r d a v a Tripoli. S e c o n d o il vecchio accordo, u n ' e v e n t u a l e occupazione da p a r t e italiana avrebbe avuto l ' a p p o g g i o degli alleati solo se fosse stata imposta da u n a minaccia di occupazione francese. Secondo il n u o v o patto, l'Italia avrebbe p o t u t o procedervi a n c h e senza questa minaccia, p u r c h é col previo assenso della G e r m a n i a . Sebbene modesti, e r a n o dei successi. Ma l'opinione p u b 250
blica n o n li apprezzò. Essa era protesa in quel m o m e n t o verso tutt'altro t r a g u a r d o : il pareggio del bilancio c o m e condizione d e l r i s a n a m e n t o d e l l ' e c o n o m i a . O r a m a i tutti e r a n o persuasi che n o n vi si potesse arrivare che p e r d u e strade: o un u l t e r i o r e i n a s p r i m e n t o fiscale, o u n a drastica r i d u z i o n e delle spese militari. Alla p r i m a si o p p o s e il Ministro delle Finanze, Colombo, a d d i r i t t u r a dimettendosi. Sulla seconda si accese un a s p r o d i b a t t i t o c h e divise i r r e p a r a b i l m e n t e la maggioranza. Lo stesso Colombo sostenne la necessità di rip o r t a r e i C o r p i d ' A r m a t a da dodici a dieci, e t r o v ò un insperato a p p o g g i o p r o p r i o in colui c h e sotto Crispi li aveva portati da dieci a dodici: Saracco. La loro tesi fu s o s t e n u t a dal m o n d o i m p r e n d i t o r i a l e all'affannosa ricerca di capitali, e dalla sua p o t e n t e stampa. Ma scatenò le ire dei nazionalisti di Destra e di Sinistra che nell'indebolimento dell'esercito vedevano n o n solo u n a contraddizione agl'impegni della Triplice, ma a d d i r i t t u r a la demolizione dell'unico p u n t e l l o d e l l ' u n i t à n a z i o n a l e . E la l o r o posizione e r a condivisa d a l Re. D o p o le dimissioni di Colombo, Rudinì gli aveva p r e s e n tato le sue. Il Re le respinse invitandolo a ripresentarsi alla C a m e r a p e r il voto di fiducia. U n o dei protagonisti della discussione fu Giolitti che n o n difese gli stanziamenti militari, ma si o p p o s e agl'inasprimenti fiscali. Prosaico e privo di coloriture, ma n u t r i t o di fatti e cifre, fu il suo discorso che dette il colpo di grazia a Rudinì. Tuttavia n e s s u n o sul m o m e n t o sospettò che quel discorso fosse u n a c a n d i d a t u r a alla successione. Infatti il Re n o n si rivolse a lui p e r la f o r m a z i o n e di un nuovo g o v e r n o : t u t t e le più autorevoli personalità, ma soprattutto Crispi, sostenevano che Giolitti «non e r a all'altezza». Lincarico fu q u i n d i offerto al Presidente del Senato, Farini, che aveva già manifestato la sua intenzione di rifiutare. E allora il Re, con l'aria di chi n o n avesse altra scelta, convocò Giolitti.
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Per l'uomo della strada la notizia che l'incarico di formare il n u o v o g o v e r n o e r a stato d a t o a G i o v a n n i Giolitti, dovette r a p p r e s e n t a r e u n a grossa s o r p r e s a . I n m e z z o a l g r a n d e pubblico questo n o m e e r a pressoché ignoto. E i più dovettero p e n s a r e che si trattava d ' u n m o m e n t a n e o ripiego, d'una f i g u r a d i p a s s a g g i o . C o m u n q u e , n e s s u n o i m m a g i n ò che q u e s t o p a s s a g g i o s a r e b b e d u r a t o , sia p u r e c o n p a u s e e d eclissi, t r e n t ' a n n i . Giolitti era nato nel '41 a M o n d o vi, e in culla era rimasto orfano di p a d r e , ma ne aveva trovati altri q u a t t r o : i quattro fratelli di sua m a d r e , E n r i c h e t t a Plochiù che, e s s e n d o scapoli e attaccatissimi alla sorella, se la r i p r e s e r o nella loro casa di T o r i n o e t r a t t a r o n o il b a m b i n o come figlio loro. Giuvanin corrispose in tutto e p e r tutto alla loro sollecitudine. Studiò b e n e , e a diciannov'anni e r a già laureato in legge. Non aveva alzato gli occhi dalle P a n d e t t e n e m m e n o q u a n d o Vittorio E m a n u e l e aveva lanciato il famoso «grido di dolore» e, s e b b e n e fosse un pezzo di g i o v a n o t t o di solido i m p i a n t o e b e n allenato alla m o n t a g n a , n o n fu n e m m e n o sfiorato dalla tentazione di arruolarsi. «Ero figlio di m a d r e vedova» scriverà nelle Memorie. Più che indifferenza, e r a allergia agli entusiasmi. Alla politica e r a stato in un certo senso iniziato da u n o dei suoi zii c h ' e r a stato d e p u t a t o nel '48 ed era ancora azionista del Risorgimento, il g i o r n a l e di Cavour, col cui s e g r e t a r i o Castelli m a n t e n e v a stretti r a p p o r t i . Quasi ogni sera i d u e s'incontravano p e r la consueta passeggiata sotto i portici di piazza Castello, Giuvanin li seguiva ascoltando i loro discorsi, e qualc h e volta si univa a loro lo stesso Cavour. Ma il giovanotto s e m b r a v a p o c o i n t e r e s s a t o a i l o r o p r o b l e m i . Sua m a d r e - u n a di quelle d o n n e che i piemontesi c h i a m a n o «teste quadre» p e r la forza del l o r o c a r a t t e r e - gli r i m p r o v e r a v a un eccesso di riservatezza. «Alla gente n o n piacciono quelli che riflettono t r o p p o - gli diceva - e tu finirai p e r p a s s a r e p e r s u p e r b o . » N o n s i sbagliava: g r a n p a r t e d e l l ' i m p o p o l a r i t à che s e m p r e c i r c o n d ò Giolitti f u r o n o l'alta statura e la reni252
tenza a familiarizzare: a n e s s u n collega dette del tu, né mai gli batté la m a n o sulla spalla. N o n volle fare l'avvocato. Preferì e n t r a r e in Magistratura, c o m e del resto e r a nella t r a d i z i o n e di famiglia. E forse ci s a r e b b e r i m a s t o , se il M i n i s t r o di G r a z i a e Giustizia, Conforti, n o n Io avesse c h i a m a t o , d o p o la p r o c l a m a z i o n e dell'Unità, nel suo G a b i n e t t o p e r risolvere lo spinoso p r o blema dell'integrazione dei Magistrati n a p o l e t a n i nel n u o vo Stato italiano. Fu questo incarico che rivelò a tutti, forse a n c h e allo stesso Giolitti, la sua v e r a v o c a z i o n e : q u e l l a di apparatchik, c o m e dicono i russi, cioè di u o m o dell'Apparato. A p p e n a i n s e r i t o v i , s ' i m p a d r o n ì i m m e d i a t a m e n t e della m a c c h i n a statale e rivelò u n a s o r p r e n d e n t e efficienza nel disbrigo delle «pratiche». Per cinque a n n i , p r i m a a T o r i n o , poi a Firenze, egli fu il tipico «gabinettista»: un infaticabile cavallo da tiro, un c u l d i p i e t r a solerte e o r d i n a t o , un macin a t o r e di c a r t e . I Ministri si susseguivano, lui restava, e di tutti catturava la fiducia. R i e n t r ò in M a g i s t r a t u r a p e r otten e r e un trasferimento a T o r i n o e assistere la m a d r e a m m a lata. Ma q u a n d o questa p o c o d o p o m o r ì , r i p r e s e il suo p o sto a Firenze, ma stavolta con u n a c o m p a g n a . E r a stato un m a t r i m o n i o affrettato, ma n o n avventato. «Vidi p e r la p r i ma volta q u e l l a c h e fu p o i m i a m o g l i e l'8 g e n n a i o 1869 - scrisse più tardi Giolitti con la consueta burocratica precisione -, e ci s p o s a m m o il 31 g e n n a i o dello stesso anno.» In queste d u e r i g h e egli c o m p e n d i a v a tutta la sua storia sentimentale, e altre n o n ne ebbe. Su Rosa S o b r e r o aveva posato gli occhi su indicazione degli zii, ma p r i m a di c h i e d e r n e la m a n o aveva p r e s o le s u e b r a v e i n f o r m a z i o n i . Aveva sap u t o c h ' e r a anch'essa f i g l i a d i u n magistrato, che aveva u n a certa d o t e o l t r e alla p r o s p e t t i v a d i u n ' e r e d i t à d i q u a t t r o «cascine», e che q u a n d o , d o p o aver rifiutato la corte di un nobile f a n n u l l o n e , le a v e v a n o chiesto p e r s c h e r n o se p r e tendeva sposare un ministro, aveva risposto: «No, ma qualc u n o che possa diventarlo». In più, alta e vigorosa c o m ' e r a , gli piaceva a n c h e fisicamente. Ma questo forse e r a del tutto 253
secondario. Fu un m a t r i m o n i o allietato da molti figli e che n o n subì mai i n c r i n a t u r e . A n c h e nei p e r i o d i della sua maggior p o t e n z a , la vita domestica di Giolitti si m a n t e n n e sul livello di quelle d e g l ' i m p i e g a t i di Stato e al r i p a r o da qualsiasi pubblicità. Sella, che aveva s a p u t o di lui e che nel frattempo e r a div e n t a t o Ministro delle Finanze, se lo p r e s e c o m e capodivisione e segretario particolare. I d u e si p a r l a v a n o in dialetto, e la loro simbiosi fu perfetta. Efficiente e spicciativo, Sella a p p r e z z ò al massimo la s t r a o r d i n a r i a capacità di Giolitti di r i a s s u m e r e e semplificare le questioni più complesse. E p e r s p r o n a r l o a tagliare a n c o r a p i ù c o r t o , usava lo stratag e m m a di r i c e v e r l o «di p r i m a m a t t i n a , a finestre a p e r t e ; sicché io, g e l a n d o , n o n vedevo il m o m e n t o di essere congedato». Alla vita sociale rimase del tutto e s t r a n e o . N o n mise mai p i e d e né a C o r t e né nel salotto di Emilia Peruzzi, il centro p o l i t i c o - l e t t e r a r i o - m o n d a n o di Firenze, e gli unici suoi svaghi furono il cavallo e il giuoco del pallone di cui e r a un g r a n d e tifoso. Q u a n d o p o t e v a , s i a r r a m p i c a v a c o n Rosa s u l l ' A p p e n n i n o . Al m a r e n o n ci a n d a v a , e n o n i m p a r ò mai a nuotare. La collaborazione con Sella c o n t i n u ò a n c h e a R o m a , dove s e m p r e p i ù il M i n i s t e r o delle F i n a n z e r u o t ò i n t o r n o a Giolitti che ne reggeva la direzione g e n e r a l e . E tutti e r a n o convinti, forse a n c h e lui, c h e q u e s t o fosse il c o r o n a m e n t o delle s u e a m b i z i o n i di g r a n d e commis, di g r a n d e servitore dello Stato, a l i e n o d a o g n i c o m p r o m i s s i o n e politica. N o n frequentava circoli, n o n si occupava di partiti, e più che p e r c o m a n d a r e s e m b r a v a tagliato p e r o b b e d i r e . Q u a n d o u n g i o r n o il d e p u t a t o Riberi, che p e r tre legislature aveva r a p p r e s e n t a t o il collegio di D r o n e r o , o r m a i vecchio e voglioso di ritirarsi, gli offrì la p r o p r i a successione. Da quelle parti, Giolitti era conosciuto p e r c h é da ragazzo ci aveva villeggiato, e s e m p r e ci t o r n a v a d'estate, zaino in spalla a scalare con la moglie e i figli q u a l c h e vetta, n o n da r o c c i a t o r e , ma da a p p a s s i o n a t o escursionista. Vagliò a 254
l u n g o la p r o p o s t a . E alla fine l'accettò solo p e r c h é , essendo o r m a i Consigliere di Stato, poteva conservare questa carica a n c h e d a p a r l a m e n t a r e . I n o l t r e , l'avallo d e l d e p u t a t o u s c e n t e l o d i s p e n s a v a dalla c a m p a g n a e l e t t o r a l e . Giolitti detestava i comizi, p e r i quali la sua scarna e opaca oratoria n o n e r a tagliata, e infatti n o n ne t e n n e n e m m e n o u n o . Vinse, p e r così d i r e , sulla p a r o l a . E fu u n a vittoria a vita p e r ché D r o n e r o gli rimase fedele fino alla m o r t e , cioè p e r quasi mezzo secolo. Era il 1882. Per d u e a n n i la C a m e r a n o n si accorse della presenza di Giolitti, che n o n fece nulla p e r c h é se ne accorgesse. Fece p a r t e della C o m m i s s i o n e del Bilancio solo p e r ché e r a l'unico che sapeva leggerlo. Ma s o p r a t t u t t o g u a r d ò e ascoltò. I dibattiti p a r l a m e n t a r i , nei quali p e r il suo gusto c'erano t r o p p e parole e t r o p p o pochi fatti, n o n gli piacevano, e infatti v'intervenne solo di r a d o e s o m m e s s a m e n t e p e r p r e c i s a r e q u a l c h e circostanza o rettificare q u a l c h e cifra. U n a volta il t o n i t r u a n t e e gladiatorio Cavallotti lo corbellò p e r la sua laconicità. «Il fatto è c h e io - rispose Giolitti -, q u a n d o ho finito di dire quel che devo dire, ho finito a n c h e di parlare.» E questa rimase s e m p r e la sua regola. Di tutti i «mattatori» di M o n t e c i t o r i o , l ' u n i c o c h e gli a n d ò a s a n g u e fu quello che n o n lo era: Depretis. E fu anche p e r questo che se lo scelse c o m e m a e s t r o . «In lui e r a assai sviluppata u n a delle principali doti d e l l ' u o m o di governo: il b u o n senso.» E q u e s t o r i c o n o s c i m e n t o c h e , p r e s o a sé, p u ò s e m b r a r e f r e d d i n o , nel ghiacciaio delle Memorie fa spicco p e r l a sua calorosità. I n c o m p e n s o , s p r e g i a v a Magliani p e r la disinvoltura con cui m a n i p o l a v a le cifre del bilancio, e p e r c o m b a t t e r l o n o n esitò a votare, dal suo b a n c o di centro-sinistra, c o n t r o il g o v e r n o Depretis che seguitava ad affidare a un simile falsario le pubbliche finanze. In varie occasioni p r e s e la p a r o l a c o n t r o di lui. Ma - scrissero i cronisti - «l'esposizioni d e l l ' o n . Giolitti lasciano f r e d d a la Camera», e fu u n a delle p o c h e volte che i giornali citarono il suo n o m e . 255
Q u a n d o , alla m o r t e di Depretis, Crispi ne p r e s e il posto e n o m i n ò Giolitti Ministro del Tesoro, il più celebre e scanzonato giornalista del t e m p o , Gandolin, scrisse: «L'on. Giolitti, quale a p p a r i s c e , e quale è n e l f o n d o d e l l ' a n i m o , è sovrattutto un funzionario. A m a il suo lavoro a tavolino, ed è c o n v i n t o , o n e s t a m e n t e c o n v i n t o , che i fogli e m a r g i n a t i da lui sono un g r a n d e servigio reso alla Patria, equivalente alm e n o a u n a battaglia c o n t r o lo straniero. Il b e n e dell'Italia è p e r lui u n a "pratica", b e n e esposta e d i l i g e n t e m e n t e p r o tocollata. F r e d d o , lento, onesto, solenne c o m e un capodivisione, laborioso c o m e un i m p i e g a t o p a g a t o a cottimo, egli i n c o n t r ò p e r caso, l u n g o il m a r g i n e della s t r a d a (stavo p e r dire l u n g o il m a r g i n e del "modulo") u n a meravigliosa scorciatoia, e si trovò al governo». E il lettore veda quali falsi si possono costruire su delle verità a seconda dello spago con cui v e n g o n o cucite. Giolitti r i m a s e m i n i s t r o p e r diciotto mesi, fino alla fine del '90, ed è difficile spiegare c o m e p e r tanto t e m p o riuscisse a convivere con Crispi in un accavallarsi di avvenimenti d r a m m a t i c i c o m e quelli d'Africa. Il giudizio c h e di Crispi egli d i e d e in s e d e di Memorie è, c o m e al solito, c a u t o e distaccato: «La scarsa abitudine all'esame p o n d e r a t o delle cose lo p o r t a v a alle volte a d d i r i t t u r a al fantastico» scrisse. Ma l'incompatibilità fra i d u e u o m i n i n o n poteva essere più strid e n t e . Al p i e m o n t e s e c o m p a s s a t o e prosaico che, cresciuto alla scuola di Sella, considerava lo Stato u n ' a z i e n d a e il par e g g i o d e l bilancio un sacro i m p e g n o , e c h e diffidava di ogni eloquenza che n o n fosse quella delle cifre, le g r a n d e z zate di Crispi, la sua enfasi, la sua g u a p p e r i a , la platealità con cui, nel bel mezzo della sua millenaristica oratoria condita di previsioni apocalittiche, traeva dal taschino del gilè bianco e b r a n d i v a in aria il c o r n o anti-jella p e r scongiurare l e s v e n t u r e nazionali, d o v e v a n o a p p a r i r e p u r a d e m e n z a . N e m i c o delle a v v e n t u r e , egli già c o n s i d e r a v a un e r r o r e lo sbarco a Massaua. L'occupazione dell'altopiano gli p a r v e add i r i t t u r a u n a t e m e r a r i a p r o v o c a z i o n e . E , c o n v i n t o ch'essa 256
fosse foriera di qualche disastro, prese a pretesto un conflitto di s t a n z i a m e n t i col suo collega dei L a v o r i Pubblici, p e r a b b a n d o n a r e la barca p r i m a del naufragio. Le sue dimissioni furono un colpo p e r Crispi che n o n lo d i m e n t i c ò mai p i ù . M a Giolitti aveva d a t o p r o v a del s u o t e m p i s m o nell'assestarlo, e s e p p e sfruttare il vantaggio con un'abilità d e g n a in tutto e p e r tutto del suo maestro D e p r e tis. C a p ì subito c h e il M i n i s t e r o R u d i n ì - N i c o t e r a e r a u n a t o p p a male imbastita, resistè all'invito d'imbarcarvisi, e seppe aspettare. Quello che poi fu detto, e cioè che da un pezzo trescava col Re, è falso. Da b u o n p i e m o n t e s e , Giolitti e r a rispettosissimo della C o r o n a . Ma a C o r t e n o n aveva particolari «entrature», a n c h e p e r c h é n o n godeva le simpatie della Regina, e n o n aveva fatto nulla p e r conquistarsele. In compenso, godeva la stima di un u o m o che a Corte invece ci stava come a casa sua. U r b a n o Rattazzi d e t t o «Urbanino» p e r d i s t i n g u e r l o dal suo o m o n i m o zio, s e g r e t a r i o g e n e r a l e della Real Casa, e consigliere amministrativo, ma n o n soltanto amministrativo di U m b e r t o , era un personaggio-chiave di quegli ambienti. P r o b a b i l m e n t e a n c h e senza di lui il Re a v r e b b e s c o p e r t o Giolitti. Ma U r b a n i n o , che da t e m p o e r a alla ricerca di qualc u n o da s u g g e r i r e al Re, glielo fece s c o p r i r e in a n t i c i p o . Q u a n d o di lì a pochi mesi Rudinì e Nicotera c a d d e r o , c o m e del resto era nelle previsioni di tutti, salvo i d u e interessati, egli avanzò c a u t a m e n t e la c a n d i d a t u r a di Giolitti. A combatterla con tenacia, anzi con frenesia, fu Crispi che si precipitò dal Re e p r o n u n c i ò c o n t r o Giolitti u n a requisitoria che p r o prio p e r la sua violenza raggiunse l'effetto o p p o s t o a quello che si p r o p o n e v a . «Roba da camerotto di Nocera» disse U m berto d o p o averlo c o n g e d a t o (Nocera e r a la sede di un famoso manicomio, e il camerotto la stanza in cui venivano rinchiusi i furiosi). Subito d o p o convocò Giolitti e gli affidò l'incarico, ma p o n e n d o g l i c o m e condizione che i dicasteri militari fossero affidati a Pelloux e a S a i n t - B o n e quello degli Esteri all'ammiraglio Brin, quale p e g n o che il trattato di al-
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leanza con g l ' I m p e r i C e n t r a l i n o n venisse toccato e c h e le spese militari n o n subissero riduzioni. Giolitti accettò, e il 26 m a g g i o (del 1892) p r e s e n t ò alla C a m e r a il suo p r i m o Ministero che all'ingrosso si p u ò qualificare di centro-sinistra, n o n o s t a n t e la presenza dei tre militari imposti dal Sovrano.
CAPITOLO VENTICINQUESIMO
LA BANCA ROMANA
Sia dal P a r l a m e n t o che dalla s t a m p a , Giolitti ebbe pessime accoglienze. «In t e m p i m i n o r i , a Principi m i n o r i , Ministri minori» t u o n a v a I m b r i a n i dai banchi della Estrema. Da Destra gii faceva eco B o n g h i d i c e n d o che mai aveva visto un Presidente del Consiglio arrivare alla C a m e r a «con così piccolo bagaglio». Alludeva al p r o g r a m m a c h e Giolitti aveva esposto c o n la sua p l u m b e a d i m e s s a o r a t o r i a fatta di frasi cucite alla meglio e t u t t e fatti e cifre. Il suo g o v e r n o , disse, non voleva avventure né in E u r o p a né in Africa, cioè intendeva d a r e alla Triplice u n senso p u r a m e n t e difensivo p e r dedicarsi con i m p e g n o ai problemi interni, alla riforma e al miglioramento dei pubblici servizi, al r i s a n a m e n t o della circolazione, al r i o r d i n o d e l c r e d i t o . «Se q u e s t o - concluse voi lo considerate un p r o g r a m m a m o d e s t o , io d o m a n d o che cosa si deve i n t e n d e r e p e r un p r o g r a m m a serio.» Fece p a u sa, poi a g g i u n s e : «Se volete della retorica, allora avete ragione di darci un voto contrario». Vinse, ma solo con u n o scarto di n o v e voti. L ' i n d o m a n i Giolitti a n n u n z i ò che, vista l'esiguità della maggioranza, aveva presentato al Re le sue dimissioni. Scoppiò un g r a n d e a p plauso. Giolitti lo lasciò sfogare. Poi a g g i u n s e : «Però Sua Maestà le ha rifiutate». Q u e s t o significava che il Re lo aveva autorizzato a sciogliere la C a m e r a e a indire n u o v e elezioni. Atterriti da questa prospettiva che p e r molti di loro poteva significare la perdita del seggio, i d e p u t a t i t o r n a r o n o alle urne, e stavolta gli d e t t e r o u n a maggioranza di settanta voti. I motivi di questa preconcetta ostilità e r a n o vari. Anzitutto, Giolitti n o n e r a d e i «loro», in q u a n t o aveva fatto la sua 259
c a r r i e r a n o n nella politica militante, ma nella burocrazia: il travet, lo chiamavano con disprezzo. Secondo, si era risaputo ch'egli e r a salito al p o t e r e p e r u n a m a n o v r a di U r b a n i n o , su cui le fantasie si e r a n o sbizzarrite fino a farla d i v e n t a r e un intrigo di Corte, sicché ora egli passava p e r «l'uomo della C o r o n a » . T e r z o , e p i ù g r a v e di tutti, e r a il p r i m o u o m o politico che arrivava, senza un passato combattentistico né b e n e m e r e n z e risorgimentali, a u n a carica rimasta fin allora m o n o p o l i o dei «gloriosi reduci». Di tutto questo, Giolitti si r e n d e v a p e r f e t t a m e n t e conto. Egli c o m p r e s e che con quella C a m e r a gli sarebbe stato impossibile g o v e r n a r e , la sciolse, indisse n u o v e elezioni p e r il n o v e m b r e (del '92), e fu dal suo m o d o di c o n d u r l e che gli avversari si accorsero di averlo sottovalutato. Procedette anzitutto a un'infornata di 60 nuovi Senatori, scegliendoli parte fra i suoi più fidati amici, p a r t e fra i suoi più pericolosi n e m i c i p e r l i b e r a r e dalla loro c o n c o r r e n z a i c a n d i d a t i governativi alla C a m e r a . Poi, su 69 Prefetti, ne destituì o trasferì 46 p e r c h é n o n gli d a v a n o a b b a s t a n z a g a r a n z i e di a p poggiare gli u o m i n i suoi. E, q u a n t o a metodi di seduzione e intimidazione sugli elettori, n o n esitò ad a d o t t a r e quelli di Nicotera, a n c h e se li applicò in m a n i e r a m e n o grossolana e sfrontata. Q u e s t o e r a l ' u o m o : onesto nella sua vita privata, ma p r o n t o in quella pubblica a servirsi a n c h e dei furfanti, c o n v i n t o c h e tutti lo fossero e che n o n m e r i t a s s e r o meglio di quei sistemi. C h e poi era a n c h e la convinzione di Depretis. Gliene dissero e scrissero di tutti i colori. Lo c h i a m a r o n o falsario, c o r r u t t o r e , b a r o , «un c a r a b i n i e r e travestito d a g u a r d i a di pubblica sicurezza in borghese» secondo u n a definizione attribuita a F e r d i n a n d o Martini. Ma fu il fiorentino Vamba a escogitare, dalla giacca abbottonata e l u n g a come un paltò ch'egli soleva indossare, il n o m i g n o l o che doveva restargli appiccicato p e r t u t t a la vita: «Palamidone». Giolitti n o n se ne a d o n t ò . L'unica cosa che lo interessava era il responso delle u r n e , e questo responso fu p e r lui trionfa260
le. A votare e r a a n d a t o il 60 p e r c e n t o degl'iscritti, c h e o r a e r a n o circa tre milioni, e che gli d e t t e r o u n a m a g g i o r a n z a schiacciante. Ridotta d i n u m e r o , l'opposizione a u m e n t ò d i violenza. Siccome p r o p r i o q u e l l ' a n n o m o r i r o n o b e n q u a t t r o Ministri in carica, essa ne approfittò p e r d a r e a Giolitti la fama di jettatore, e a lanciare questa c a m p a g n a fu Crispi che, q u a n d o si alzava a p a r l a r e c o n t r o il g o v e r n o - e n o n c'era s e d u t a in cui n o n lo facesse -, n o n d i m e n t i c a v a mai di t r a r r e dal taschino del gilè il famoso c o r n o e di agitarlo in aria suscitando la g e n e r a l e ilarità. Ma n e m m e n o di q u e s t o , Giolitti si adontò. Affrontava le avversità con u n a flemma che convalidava la sua n o m e a di «freddo burocrate». E le avrebbe t r a n q u i l l a m e n t e s u p e r a t e , se n o n gli fosse c a p i t a t o fra c a p o e collo il più grosso scandalo scoppiato fin allora. Per ricostruirlo, bisogna rifarsi qualche passo indietro. Il trasferimento della Capitale a R o m a , vi aveva provocato u n a vera e p i o p r i a «febbre edilizia». C o n l'ardore di coloro che n o n sono abituati a rimboccarsi le m a n i c h e , i r o m a n i si e r a n o gettati alla speculazione sulle aree fabbricabili i cui prezzi in poco t e m p o e r a n o saliti alle stelle. C o m e s e m p r e i piani regolatori in Italia, a n c h e quello varato p e r p o r r e un argine alla devastatrice frenesia r i m a s e sulla carta. In vista di u n ' e s p a n s i o n e u r b a n a c h e p o i n o n ci fu, o p e r lo m e n o non fu quale la si prefigurava, R o m a fu tutta un cantiere. E per alimentarlo gl'impresari attinsero a m a n bassa al credito delle Banche. C o m e a b b i a m o già d e t t o , gl'istituti di emissione, cioè le Banche c h e avevano facoltà di s t a m p a r e e m e t t e r e in circolazione carta m o n e t a e r a n o sei. I governi che si e r a n o succeduti avevano più volte tentato di attribuire questo diritto in esclusiva alla Banca d'Italia, c h e allora si c h i a m a v a B a n c a Nazionale. Ma n o n c'erano mai riusciti p e r la resistenza delle altre cinque, fra cui quella R o m a n a , autorizzata a emettete biglietti p e r un a m m o n t a r e di 45 milioni. 261
Q u a n d o il g r a n d e boom edilizio finì nella solita voragine di fallimenti, la Banca R o m a n a si trovò seppellita sotto u n a valanga di cambiali cioè di crediti inesigibili p e r c h é i debitori n o n e r a n o più in g r a d o di pagarli, e corse voce che fosse a n c h ' e s s a p r o s s i m a a fallire. Il M i n i s t r o d e l l ' I n d u s t r i a e C o m m e r c i o , Miceli, p r e s e l'iniziativa di un'inchiesta che affidò a d u e solerti funzionari, Alvisi e Biagini. E costoro app u r a r o n o che la Banca n o n solo aveva messo in circolazione 25 milioni p i ù di q u a n t o le fosse c o n s e n t i t o , ma ne aveva p e r f i n o s t a m p a t i c l a n d e s t i n a m e n t e altri 9, c h e oggi corris p o n d e r e b b e r o a parecchie e parecchie diecine di miliardi. R e s p o n s a b i l e di q u e s t a colossale truffa e r a il d i r e t t o r e T a n l o n g o , c o m u n e m e n t e n o t o c o m e il «sor B e r n a r d o » : un p e r s o n a g g i o che ci s e m b r a di aver conosciuto tanto è eterno e tipico di quel sottobosco governativo che a R o m a fiorisce con particolare rigoglio. In gioventù aveva d e b u t t a t o come confidente della polizia papalina, ma poi e r a salito di g r a d o grazie alla sua devozione al B a m b i n o di Aracoeli e p e r la sua disponibilità a p r o c u r a r e piccole distrazioni ai Monsignori. Q u e s t o passato clericale n o n gli aveva i m p e d i t o d o p o l'arrivo dei «buzzurri», di e n t r a r e nelle grazie di massoni patentati c o m e Crispi fino a d i v e n t a r e perfino consigliere e fiduciario di Vittorio E m a n u e l e . Affabile, cordiale, con le tasche gonfie di sigari da distribuire a facchini e fiaccherai e la bocca piena di grossolane barzellette r o m a n e s c h e , era un maestro nell'arte di farsi degli amici e di trasformarli in complici. La politica del c r e d i t o facile i n a u g u r a t a da Magliani gli aveva p e r m e s s o di moltiplicarli. Sicché q u a n d o si vide colto con le m a n i nel sacco, n o n se ne allarmò. T r o p p a g e n t e era interessata a m e t t e r tutto a tacere: g r a n d i i m p r e n d i t o r i , uomini politici, giornalisti. Il suo calcolo si dimostrò fondato. A d d u c e n d o a pretesto le gravi c o n s e g u e n z e c h e la p u b b l i c a z i o n e del r a p p o r t o a v r e b b e p o t u t o sortire nel m o n d o della f i n a n z a , Crispi n e o r d i n ò l'insabbiamento. E qui sorge un interrogativo, cui sin o r a n o n si è riusciti a d a r e u n a risposta sicura. Di questo 262
r a p p o r t o , Giolitti, che in quel m o m e n t o era Ministro del Tesoro, p r e s e conoscenza? Egli lo n e g ò , a n c h e in sede di Memorie. Ma la cosa ci s e m b r a poco verisimile, a n c h e p e r c h é fu p r o p r i o lui a lanciare insieme a Miceli, che del r a p p o r t o e r a il p a d r e p u t a t i v o , la p r o p o s t a di a t t r i b u i r e facoltà di emissione a u n a sola Banca: il che fa r i t e n e r e che sapesse degli abusi che si e r a n o verificati, e che volesse rimediarvi. La p r o p o s t a fu bloccata dalle pressioni delle altre B a n che. Poi il governo c a d d e . E q u a n d o , tre anni d o p o , Giolitti formò quello suo, tutti p e n s a r o n o ch'egli intendesse realizzare il suo p r o g e t t o , che avrebbe consentito un più rigoroso controllo della circolazione m o n e t a r i a e messo alle strette il Tanlongo. Viceversa egli scelse c o m e Ministro del Tesoro e poi anche delle Finanze un u o m o che quel p r o g e t t o lo aveva s e m p r e a v v e r s a t o a n c h e p e r c h é legatissimo alla B a n c a R o m a n a : Grimaldi. Q u e s t o è tipico di Giolitti. Egli aveva un'idea esatta delle riforme c h e u r g e v a n o . M a affrontava solo q u e l l e c h e n o n c o m p o r t a v a n o rischi p e r il suo p o t e r e . Invece di c o m b a t t e r e le potenti forze bancarie che si o p p o n e v a n o all'unificazione, preferì allearsele a s s u m e n d o c o m e c o l l a b o r a t o r e il l o r o campione, che gii faceva c o m o d o a n c h e p e r c h é era u n o dei pochi in g r a d o di s c o m p a g i n a r e le clientele elettorali di Nicotera. N o n solo. Ma invece di colpire Tanlongo, ne p r o p o se la n o m i n a a Senatore. S e n o n c h é p r o p r i o i n quel m o m e n t o moriva u n o dei d u e inchiestatori di tre a n n i prima, Alvisi, che, t u r b a t o nella sua coscienza dal silenzio che gli avevano imposto, aveva affidato l'originale del suo r a p p o r t o a un giovane amico, Leo Woll e m b o r g . Il q u a l e , a sua volta i n c e r t o sul da farsi, passò il d o c u m e n t o a Maffeo P a n t a l e o n i . Q u e s t i se ne confidò con Pareto e altri amici, alcuni favorevoli, altri c o n t r a r i alla d e nuncia del caso in P a r l a m e n t o . Perazzi, m a l g r a d o il suo risoluto antigiolittismo, fece n o t a r e c h e lo s c a n d a l o n o n avrebbe giovato n e m m e n o all'opposizione, la quale vi aveva la sua p a r t e di responsabilità. Ma o r a m a i le voci e r a n o dila263
gate, e r a n o g i u n t e a n c h e all'orecchio d i L a b r i o l a che n e informò Engels, e di N a p o l e o n e Colajanni, il focoso socialista siciliano impaziente di «museruole». C e r t a m e n t e informato di tutto quel tramestìo e r e n d e n dosi conto che n o n poteva evitare la tempesta, Giolitti cercò di prevenirla p r e d i s p o n e n d o contro la Banca Romana u n ' i n c h i e s t a amministrativa che tagliasse la s t r a d a a quella parlamentare. Ma ormai era t r o p p o tardi. L'indomani, in un'atmosfera di g r a n d e tensione, Colajanni lesse alla C a m e ra le conclusioni dell'inchiesta Alvisi-Biagini, il dibattito si t r a m u t ò in battaglia, e Giolitti si trovò sotto il fuoco concentrico dei suoi nemici di destra e di sinistra. O p p o n e n d o alla loro furia il suo inalterabile s a n g u e f r e d d o , egli riuscì a far a p p r o v a r e il suo p r o g e t t o d ' i n c h i e s t a a m m i n i s t r a t i v a . E lì p e r lì p a r v e che fosse riuscito a p a r a r e il colpo a n c h e p e r c h é l'indagine, affidata al s e n a t o r e Finali, fu c o n d o t t a a t a m b u ro b a t t e n t e e senza r i g u a r d i p e r n e s s u n o . F u r o n o accertati fatti e circostanze ancora più gravi di quelle e m e r s e dall'inchiesta p r e c e d e n t e : oltre alla circolazione abusiva, risultava un v u o t o di cassa di venti milioni e u n a falsificazione di bilanci c h e d u r a v a d a o l t r e venti a n n i . C e n ' e r a a b b a s t a n z a p e r motivare l'ordine d ' a r r e s t o c o n t r o Tanlongo che, in gibus e marsina, si fece a c c o m p a g n a r e dalla polizia al carcere sulla p r o p r i a carrozza, d i s t r i b u e n d o l u n g o il tragitto sorrisi, saluti e sigari alla folla p l a u d e n t e , tanto era sicuro di cavarsela. Ma n o n tutto si svolse su questo t o n o di farsa. Q u a n d o i carabinieri si p r e s e n t a r o n o in casa del d e p u t a t o De Zerbi, accusato di aver intascato dalla Banca R o m a n a u n a mancia di mezzo milione p e r aver insabbiato un p r o g e t t o di riforma che la danneggiava, lo trovò m o r t o , n o n si è mai saputo se p e r infarto o suicidio. Subito d o p o un direttore del Banco di Napoli fu sorpreso m e n t r e , travestito da p r e t e , tentava di espatriare con d u e milioni e mezzo sottratti al suo istituto. E quasi c o n t e m p o r a n e a m e n t e veniva assassinato in treno il m a r c h e s e N o t a r b a r t o l o che aveva poco p r i m a d e n u n 264
ciato celti abusi del Banco di Sicilia, di cui era stato egli stesso direttore. G r a v e m e n t e indiziato del delitto e r a il d e p u t a to Palizzolo, n o t i s s i m o p a t r o n o della mafia, c h e infatti fu c o n d a n n a t o a t r e n t ' a n n i (ma la Cassazione a n n u l l ò la sentenza e o r d i n ò un n u o v o processo che si concluse con u n a vergognosa assoluzione). Questi episodi n o n a v e v a n o nulla a c h e fare con quello della Banca R o m a n a . Ma la loro concomitanza fece s u p p o r re vaste e tenebrose complicità fra interessi economici, potere politico e malavita, c o n t r i b u e n d o a u n a tensione che u n a semplice inchiesta amministrativa n o n poteva più bastare a dissolvere. Q u a n d o Giolitti si p r e s e n t ò alla C a m e r a p e r illustrarne i risultati, Colajanni aveva già avanzato la p r o p o s t a di un'inchiesta p a r l a m e n t a r e . Giolitti cercò ancora di sventarla. Per giustificare il m a n c a t o controllo sulla Banca Rom a n a e la designazione di Tanlongo al Senato, egli affermò di aver i g n o r a t o la r e l a z i o n e Alvisi-Biagini. Ma Crispi, uscendo allo scoperto c o n t r o di lui, lo smentì. In u n a intervista ai giornali, egli assunse la responsabilità di aver insabbiato il d o c u m e n t o p e r n o n gettare altro panico in un m o n do finanziario già t u r b a t o , ma aggiunse di aver p r e s o quella decisione d ' a c c o r d o col suo M i n i s t r o d e l T e s o r o , cioè c o n Giolitti; m e n t r e Pietro Tanlongo, figlio di B e r n a r d o , lanciava contro Giolitti u n ' a l t r a e più grave accusa: quella di aver preso d e n a r i dalla Banca R o m a n a a titolo personale. Più tardi quest'accusa si rivelò del tutto infondata, e colui che l'aveva lanciata dichiarò di averlo fatto su istigazione di Crispi che in c a m b i o gii aveva p r o m e s s o il salvataggio del p a d r e . Ma intanto Giolitti dovette far fronte a un autentico t o r n a d o . Faticosamente, egli riuscì a dilazionare di altri d u e mesi la discussione sulla p r o p o s t a Colajanni, e ne approfittò per e l a b o r a r e alcuni p r o g e t t i di legge che p r e v e d e v a n o la fusione di q u a t t r o delle sei p r i n c i p a l i B a n c h e in u n a sola, autorizzata in esclusiva all'emissione di biglietti. Era l'atto di costituzione della Banca d'Italia. Il 20 m a r z o si r i p r e s e n t ò alla C a m e r a con questo proget265
to e col r a p p o r t o di Finali, a m p i a m e n t e c o r r e d a t o di documenti, nei quali e r a n o i n o m i di tutti coloro che avevano attinto alle casse della Banca R o m a n a . L'assemblea ne fu spaurita. A n c h e quelli che n o n avevano nulla d a r i m p r o v e r a r s i c a p i r o n o che, dati in pasto alla pubblica o p i n i o n e , quei doc u m e n t i a v r e b b e r o d i s c r e d i t a t o l ' i n t e r a classe politica. E perciò la m a g g i o r a n z a decise di affidarne l'esame a un Comitato di sette d e p u t a t i in r a p p r e s e n t a n z a di tutti i partiti e correnti. Solo i socialisti si rifiutarono di parteciparvi, e abb a n d o n a r o n o l'aula. «L'inchiesta oggi n o n è p i ù c h e u n a c o m m e d i a , e noi vi lasciamo a recitarla» g r i d ò P r a m p o l i n i . E in u n a sola frase riuscì a d i r e d u e sciocchezze: l'inchiesta n o n e r a affatto u n a c o m m e d i a p e r c h é Finali aveva a p p u r a to sino in fondo la verità, e l'insinuazione lanciata c o n t r o il g o v e r n o colpiva lo statista italiano p i ù d e m o c r a t i c o e più a p e r t o alle istanze socialiste, facendo così il giuoco delle forze reazionarie. M e n t r e i Sette vagliavano il materiale, Giolitti conduceva in p o r t o la legge bancaria. Ma decisamente quel suo p r i m o M i n i s t e r o e r a n a t o sotto u n a cattiva stella. U n a complessa crisi finanziaria investiva tutta l'Europa; a farne le spese erano soprattutto i titoli p i ù deboli c o m e quelli italiani; e la moneta metallica scomparve di circolazione p e r c h é i risparmiatori, fidandosi solo di essa, la tesaurizzavano. Il carovita p r o vocava d o v u n q u e dimostrazioni, scioperi, tumulti. Ma i dis o r d i n i p i ù gravi f u r o n o quelli che s c o p p i a r o n o in Sicilia, dove i c o n t a d i n i si costituirono in Fasci che misero l'isola a s o q q u a d r o . La p a u r a della rivoluzione contagiò tutti, anche il Re che sollecitò le m i s u r e p i ù energiche. Ma qui si vide l'altra faccia di Giolitti. Q u e s t ' u o m o scettico, incline p i ù a servirsi dell'altrui disonestà che a combatterla, e c h e s e m b r a v a d i s p o s t o a qualsiasi c o m p r o m e s s o ideologico p u r di conservare il p o t e r e , su certi p u n t i era irremovibile. E u n o di questi p u n t i era che con gli stati d'assedio n o n si g o v e r n a e che lo sciopero è un sacrosanto diritto dei lavoratori. Egli o r d i n ò a Prefetti e Q u e s t o r i di Sicilia di 266
sciogliere solo, c o m e «associazioni di malfattori», quei Fasci cui fossero iscritti dei pregiudicati, e di r e p r i m e r e le m a n i festazioni che violavano la legge. Ma i n v a n o U r b a n i n o , che paventava u n a crisi di g o v e r n o e il r i t o r n o di Crispi, cercò di spingerlo a u n a r e p r e s s i o n e più decisa. Piuttosto che far sparare sulla folla, egli preferì p e r d e r e i favori del Re e farsi tacciare di debolezza. Q u a n d o si r i p r e s e n t ò alla C a m e r a , il Comitato dei Sette aveva t e r m i n a t o i suoi lavori e chiese di leggere la sua relazione in aula. Giolitti n o n si oppose, sebbene sapesse che, di quei sette, la m a g g i o r a n z a gli e r a ostile. E ne ebbe conferma. Il d o c u m e n t o era un atto di accusa c o n t r o di lui che, diceva, fingendo d'ignorarlo, aveva insabbiato il r a p p o r t o Alvisi-Biagini e designato al Senato T a n l o n g o , p u r conoscend o n e le malefatte. Q u e s t e accuse e r a n o c e r t a m e n t e giuste. Ma n o n e r a giusto che a esse la relazione si limitasse, p a s s a n d o del t u t t o sotto silenzio le r i s u l t a n z e e m e r s e a carico dei nemici di Giolitti, e specialmente di Crispi. Questi, che già doveva conoscere il c o n t e n u t o della relazione, aveva spolverato un binocolo da teatro p e r godersi la scena del massacro del rivale. E p o t è sentirsene soddisfatto. C o n t r o Giolitti, fatto s e g n o a u n a t e m p e s t a di accuse e ingiurie, fu formulata u n a mozione di censura, e nel suo solito stile declamatorio I m b r i a n i gli gridò: «Ruzzolate nel fango!» Giolitti ribatté: «Onorevole Imbriani, p e r q u a n t o Ella si sforzi, n o n riuscirà a gettar fango n e a n c h e sui miei stivali!» D o p o d i c h é si alzò di scatto e, c h i u s o nel suo p a l a m i d o n e , uscì dall'aula p e r a n d a r e a p r e s e n t a r e le s u e dimissioni al Re, i n s e g u i t o dalla voce di Cavallotti: «Scappa, il governo scappa!». Crispi g o n g o l a v a , b e n l o n t a n o d a l l ' i m m a g i n a r e c h e l o scandalo che lo aveva sbarazzato del rivale sarebbe t o r n a t o a galla travolgendolo a sua volta.
CAPITOLO VENTISEIESIMO
I L P R E T O R I A N O DELLA B O R G H E S I A
U n ' o n d a t a di p a u r a investì l'Italia. Lo scandalo della Banca R o m a n a aveva p r o v o c a t o un tale s c o n q u a s s o c h e alla fine del '93 d u e dei principali Istituti finanziari, il Credito Mobiliare e la Banca Generale, chiusero gii sportelli a l i m e n t a n d o il p a n i c o c h e già dilagava. Le piazze e r a n o in f e r m e n t o . Q u a n d o giunse la notizia che ad Aigues Mortes presso Marsiglia trenta lavoratori italiani e r a n o stati massacrati dai loro c o m p a g n i francesi p e r c h é si c o n t e n t a v a n o di salari inferiori ai loro, ci furono dimostrazioni violente che rivelavano l'imp o t e n z a dei pubblici poteri. Ma le novità p i ù allarmanti seguitavano a venire dalla Sicilia, dove si faceva p a r t i c o l a r m e n t e sentire la crisi economica provocata dalla g u e r r a d o g a n a l e con la Francia. Le principali risorse dell'isola - vino, frutta e zolfo - n o n trovavano p i ù sbocco su q u e l m e r c a t o p r o v o c a n d o d i s o c c u p a z i o n e e miseria. E r a stato q u e s t o a d a r e avvìo ai Fasci, c h e r a p p r e sentavano qualcosa di mezzo tra la società di m u t u o soccorso e il sindacato. Ideologicamente, n o n e r a n o organismi ben definiti. Ma al congresso di G e n o v a i loro delegati si e r a n o riconosciuti socialisti ed e r a n o stati anzi fra quelli che più avevano collaborato alla nascita del n u o v o partito. I Fasci si e r a n o r a p i d a m e n t e diffusi in tutta l'isola. Ma, se i capi avev a n o i d e e a b b a s t a n z a c h i a r e , n o n a l t r e t t a n t o p o t e v a dirsi degl'iscritti, poveri peones che t e n e v a n o il crocefisso accanto alla b a n d i e r a rossa e p o r t a v a n o in processione la M a d o n n a i n n e g g i a n d o c o n t e m p o r a n e a m e n t e a M a r x , a Mazzini, e qualche volta anche al Re. Le loro rivendicazioni e r a n o più che legittime: distribuzione delle t e r r e demaniali, esenzioni 268
fiscali, r i d u z i o n e dei canoni di affitto, a d e g u a m e n t o dei salari. Ma q u a n d o scendevano in piazza p e r reclamarle, sfuggivano a.qualsiasi disciplina, e si a b b a n d o n a v a n o a violenze, che avevano s e m i n a t o il t e r r o r e nei ceti borghesi. Sia a Palermo che a Roma, molti e r a n o convinti che si fosse vicini al crollo del «sistema», e i c u p i schianti delle b o m b e a n a r c h i che s e m b r a v a n o c o n f e r m a r l o . In q u e s t o clima di suspense, tutti g u a r d a v a n o a Crispi c o m e all'unica procellaria in grado di affrontare la tempesta. Il fatto che anche lui fosse stato censurato dalla commissione d'inchiesta p e r la Banca Rom a n a n o n contava più: la g e n e r a l e p a u r a lo reclamava alla ribalta. Dapprincipio il Re si era rivolto a Zanardelli, p e r c h é questo e r a il n o m e fatto dai p i ù autorevoli capi p a r l a m e n t a r i . Ma anche lui era convinto che «l'uomo della situazione» fosse Crispi e p e r c i ò , d ' a c c o r d o con S o n n i n o , fece fallire la c o m b i n a z i o n e b o c c i a n d o il c a n d i d a t o al M i n i s t e r o degli Esteri che Zanardelli gli p r o p o n e v a , Baratieri, p e r c h é inviso all'Austria e c o n s i d e r a t o antitriplicista. Zanardelli d o v e t t e declinare e lasciare il posto a Crispi. N o n o s t a n t e i s e t t a n t a c i n q u e a n n i s u o n a t i , l ' u o m o dava ancora u n ' i m p r e s s i o n e d ' i n d o m i t a energia. E ne fornì subito un saggio i m p o n e n d o al Re di allontanare dalla C o r t e colui che lo aveva s e m p r e osteggiato: U r b a n i n o Rattazzi. Dop o d i c h é c o m p o s e un g o v e r n o di « u n i o n e sacra» con esponenti di Destra, di C e n t r o e di Sinistra a n c h e p e r d a r e corpo alla «tregua di Dio» da lui invocata in un d r a m m a t i c o a p pello a tutti i partiti. Voleva presentarsi c o m e il «pacificatore», e tutti gli fecero credito, anche il d e p u t a t o radicalsocialista Colajanni, che accettò di t o r n a r e nella sua Sicilia p e r svolgervi o p e r a distensiva. Ma il t e m p e r a m e n t o prevalse sulle intenzioni. Quasi cont e m p o r a n e a m e n t e a Colajanni giunse nell'isola, c o m e commissario s t r a o r d i n a r i o , il g e n e r a l e M o r r a di L a v r i a n o con 40.000 uomini. La situazione era effettivamente grave. I Fasci si stavano a b b a n d o n a n d o a u n a serie di disordinate vio269
lenze, la t r u p p a aveva a p e r t o il fuoco, e i dimostranti avevano lasciato sui selciati un centinaio di m o r t i . Fra i d u e m i l a a r r e s t a t i c ' e r a n o tutti i capi del m o v i m e n t o , c o m p r e s o De Felice, s e b b e n e fosse d e p u t a t o . Q u a t t r o g i o r n i d o p o aver p r o m e s s o c h e n o n a v r e b b e mai i m p o s t o alla Sicilia lo stato d'assedio, Crispi lo firmò. «Faccio oggi quello c h e feci nel '60», disse. E p e r meglio giustificarlo, si fece m a n d a r e da un c o m m i s s a r i o di polizia dell'isola le p r o v e di un c o m p l o t t o ordito coi Fasci da agenti francesi e russi p e r staccare la Sicilia dall'Italia. N o n e r a c h e u n a g r o s s o l a n a «patacca», ma s e m b r a c h e Crispi ci c r e d e s s e d a v v e r o : e q u e s t o e r a tipico d e l l ' u o m o , s e m p r e p r o n t o a cader vittima dei p r o p r i inganni. Un attentato che p e r poco n o n gli costò la vita e u n a sollevazione degli anarchici di C a r r a r a ch'egli c o n s i d e r ò concertata con le sovversioni siciliane, m e n t r e invece n o n aveva nulla a che farci, lo convinsero vieppiù di un vasto complotto internazionale ai d a n n i dell'Italia. Lo stato d'assedio fu esteso a n c h e alla Lunigiana, e la polizia ebbe m a n o libera nel s e q u e s t r a r e giornali e sciogliere associazioni. Q u e s t a azione repressiva i n c o n t r ò larghi consensi in P a r l a m e n t o che riecheggiava le p a u r e della borghesia, ma fece n a u f r a g a r e q u e l l o c h e forse e r a stato il p r o g r a m m a iniziale di Crispi: a c c o m p a g n a r e al ripristino dell ' o r d i n e il v a r o di r i f o r m e e c o n o m i c h e e sociali c h e eliminassero le cause del disordine. La radicalizzazione della lotta fece d i m e n t i c a r e a Crispi la s e c o n d a p a r t e del suo p r o g r a m m a e lo costrinse ad a s s u m e r e il suo vero volto di camp i o n e della r e s t a u r a z i o n e autoritaria. Lo si vide dall'imbarazzo dei radicali che fin allora gli avevano fatto credito. Dal m o m e n t o in cui c o m i n c i a r o n o i processi c o n t r o i dirigenti dei Fasci, Colajanni e Cavallotti r u p p e r o con lui e lo attaccar o n o c o m e «il p r e t o r i a n o della borghesia». D i m e n t i c a n d o il p r o p r i o passato di anticlericale e di massone, Crispi invocò l'appoggio della Chiesa e sciolse tutte le «organizzazioni sovversive», c o m p r e s o il Partito Socialista. Q u e s t ' u l t i m o aveva a l u n g o esitato sull'atteggiamento da 270
p r e n d e r e nei confronti dei Fasci. II m o v i m e n t o siciliano n o n aveva i n c o n t r a t o molta c o m p r e n s i o n e né simpatia presso i «compagni» del C e n t r o - N o r d , che ci v e d e v a n o un r i t o r n o di quello spirito a n a r c h i c o , a p p e n a r i p u d i a t o al congresso di Genova. «La rivolta della fame n o n è u n a rivolta di partito» scrisse s p r e z z a n t e m e n t e un loro giornale. E ne n a c q u e u n a polemica che minacciò di d i v i d e r e il fronte. Colajanni parlò di «camorra milanista». Ma a n c h e Labriola, che milanista n o n era, in u n a lettera a Engels definì la rivolta siciliana «un miscuglio di socialistico, anarchico, affaristico e mafioso», in breve «del r o m a g n o l i s m o peggiorato». F u r o n o le m i s u r e repressive di Crispi a ristabilire l'unità. Davanti alle fucilate della polizia e alle d u r e c o n d a n n e inflitte dai tribunali, la solidarietà ideologica e di classe riebbe il s o p r a v v e n t o . La Kuliscioff, c h e aveva e s p e r i e n z a del p o pulismo russo, ne vide nella rivolta siciliana u n a riedizione, in questi termini ne riferì a Engels, e ispirò a Turati un articolo che smentiva il giudizio negativo dei «milanisti». Anche Labriola ritrattò il suo. E la reazione dei socialisti trovò consensi in u o m i n i n o n solo di Sinistra, ma a n c h e di Destra, turbati dai m e t o d i autoritari di Crispi. C o m u n q u e , la p e r s e cuzione a cui il partito fu sottoposto sanò le sue i n t e r n e dissidenze e lo spinse a s e r r a r e i r a n g h i . Ma t u t t o questo contribuì ad accreditare v i e p p i ù Crispi agli occhi della o p i n i o n e b o r g h e s e che gli e r a grata di aver r e s t a u r a t o , sia p u r e c o n m e t o d i illegali, un c e r t o o r d i n e e riassestato la situazione economica. In q u e s t ' u l t i m o c a m p o egli aveva r i p o r t a t o innegabili successi grazie all'accortezza e a l l ' e n e r g i a del suo M i n i s t r o del T e s o r o e delle F i n a n z e , Sonnino. S o n n i n o e r a il figlio di un israelita livornese c h e aveva fatto u n a grossa fortuna in Egitto e aveva sposato un'inglese di rigida osservanza p r e s b i t e r i a n a . Il figlio aveva e r e d i t a t o dalla m a d r e u n r i g o r e m o r a l e , che nel m o n d o politico italiano faceva di lui un p e r s o n a g g i o fuori serie. L a v o r a t o r e infaticabile e o r d i n a t o , t a c i t u r n o , a u s t e r o , a n c h e nel fisico 271
sembrava un miscuglio di professore e di pastore protestante. Per certi lati p u r i t a n i , ricordava Ricasoli; p e r altri, Sella. Alla carriera politica si era p r e p a r a t o c o m e a u n a libera docenza s t u d i a n d o m e t o d i c a m e n t e p r o b l e m a p e r p r o b l e m a , e lo aveva d i m o s t r a t o nella sua inchiesta sul M e z z o g i o r n o , frutto di un'esplorazione in profondità fatta sul posto e doc u m e n t a t a con altissimo scrupolo. Per accettare nel '94 un Dicastero c o m e quello del Tesor o , ci voleva del coraggio. S o n n i n o ne diede p r o v a ricorrendo a n c h e a m i s u r e i m p o p o l a r i c o m e l ' a u m e n t o delle i m p o ste sui generi di p r i m a necessità. Ma queste n o n furono che iniziative di c o m p l e m e n t o . Egli b a d ò s o p r a t t u t t o a restaurare il b u o n o r d i n e amministrativo secondo severissimi criteri e a riorganizzare il debito pubblico p e r r i d a r e stabilità alla m o n e t a . La sua più brillante o p e r a z i o n e fu quella che p o r t ò alla fondazione della Banca C o m m e r c i a l e . Quella di cui l'Italia soprattutto soffriva in quel m o m e n t o era la fuga dei capitali all'estero, c o n t r o cui n o n ci sono divieti che t e n g a n o . Bisognava r i c r e a r e la fiducia, e S o n n i n o vi p r o v v i d e con quella Banca finanziata e diretta dai tedeschi. C o m e a p p o r to di capitali, fu più m o d e s t o di q u a n t o si sia g e n e r a l m e n t e c r e d u t o . Ma il fatto c h e lo si c r e d e s s e i m m e n s o , d i m o s t r a q u a n t a fiducia restituì agli scoraggiati r i s p a r m i a t o r i e imp r e n d i t o r i italiani. Il mezzo miracolo fu d o v u t o soprattutto ai nuovi m e t o d i che la Commerciale introdusse a g e n d o cont e m p o r a n e a m e n t e su d u e fronti: il c r e d i t o c o m m e r c i a l e a b r e v e t e r m i n e e quello i n d u s t r i a l e a l u n g o t e r m i n e . Q u e st'ultimo e r a p r o p r i o quello di cui g l ' i m p r e n d i t o r i italiani avevano p a r t i c o l a r m e n t e bisogno in quel p e r i o d o di decollo p e r uscire dalle strettoie in cui a n c o r a si dibattevano. E infatti fu d o p o l'avvento della Commerciale che l'industrializzazione ebbe un decisivo avvìo. I capitali fuggiti t o r n a r o n o , la lira r i p r e s e quota nelle borse estere, e p e r la p r i m a volta d o p o sette a n n i di c o n t i n u o p e g g i o r a m e n t o , la bilancia commerciale, cioè il r a p p o r t o fra e s p o r t a z i o n i e i m p o r t a z i o n i , migliorò. 272
Il successo ridiede ossigeno a Crispi, ma forse gliene diede t r o p p o . I m b a l d a n z i t o , egli si c r e d e t t e o r m a i abbastanza forte p e r d a r e battaglia a Giolitti e a n n i e n t a r l o definitivam e n t e . L'affare della Banca R o m a n a n o n era stato a n c o r a digerito dalla pubblica o p i n i o n e . Anzi, p r o p r i o in quell'estate del '94 era stato rilanciato dal processo c o n t r o Tanlongo, che si e r a concluso con u n a scandalosa assoluzione p e r c h é i giudici avevano accolto le tesi della difesa, secondo cui alcuni d o c u m e n t i r i n v e n u t i in casa d e l l ' i m p u t a t o al m o m e n t o del suo arresto e r a n o stati sottratti p e r coprire le responsabilità d ' i m p o r t a n t i personaggi. Gl'importanti p e r s o n a g g i n o n p o t e v a n o essere che quelli al p o t e r e in q u e i g i o r n i : cioè Giolitti. Crispi n o n lo incriminò d i r e t t a m e n t e . Ma sollecitò dalla m a g i s t r a t u r a un p r o c e d i m e n t o c o n t r o il q u e s t o r e Felzani c h e aveva o p e r a t o la perquisizione in casa del b a n c h i e r e , convinto di p o t e r risalire, a t t r a v e r s o di lui, al suo n e m i c o . E p e r r a g g i u n g e r e lo scopo, n o n b a d ò ai mezzi, c o m p r e s o quello di r i m u o v e r e alcuni magistrati p e r assicurarsi un tribunale docile. Giolitti si rivolse al Re p e r c h é i m p e d i s s e la m a n o v r a . Ma in realtà la sua lettera m i r a v a ad altro: mirava soltanto a d i m o s t r a r e c h e a volere quella g u e r r a all'ultimo s a n g u e non e r a lui, ma Crispi, sul quale p e r t a n t o r i c a d e v a n o t u t t e le conseguenze ch'essa avrebbe c o m p o r t a t o . D o p o d i c h é passò alla controffensiva rilasciando a Felzani u n a dichiar a z i o n e da esibire al t r i b u n a l e , in cui affermava c h e i famosi d o c u m e n t i e f f e t t i v a m e n t e c ' e r a n o , m a e r a n o g i u n t i in m a n o del g o v e r n o «da t u t t ' a l t r a p a r t e che dai funzionari di pubblica sicurezza». N o n si sa c o m e , questa riservatissima lettera v e n n e a conoscenza dei giornali che la pubblicarono con e n o r m e rilievo, sfidando Giolitti a fare le rivelazioni di cui si diceva d e p o s i t a r i o . Giolitti p r o b a b i l m e n t e non c h i e d e v a di meglio, ma la sollecitazione della s t a m p a non gli bastò. Volle a n c h e quella dei più autorevoli u o m i n i politici c o m e Z a n a r d e l l i , R u d i n ì , Cavallotti, c h e gli consig l i a r o n o d i v u o t a r e i l sacco. F u u n a m a n o v r a abilissima 273
c h e gli c o n q u i s t ò m o l t e amicizie, e s o p r a t t u t t o q u e l l a di Cavallotti, l'avversario che p i ù lo aveva b e r s a g l i a t o di accuse. Q u a n d o in d i c e m b r e la C a m e r a si r i a p r ì , tutti gli occhi e r a n o fìssi su Giolitti che, s e d u t o al suo posto, aveva posato sul tavolo u n a cartella, e subito i cronisti c o n i a r o n o p e r lui un n u o v o epiteto: «L'uomo del plico». La discussione si accese subito violenta. Alcuni chiesero che il plico venisse respinto, altri che venisse a p e r t o e data lettura ai d o c u m e n t i . Alla fine prevalse u n a soluzione di c o m p r o m e s s o : d a r e in visione q u e l m a t e r i a l e a u n a commissione di c i n q u e parlam e n t a r i che, se vi avesse trovato elementi di qualche rilievo, ne avrebbe dato pubblico conto. In realtà il plico n o n conteneva g r a n c h é . Ma c'erano d u e lettere di T a n l o n g o a Giolitti, dalle quali risultava in maniera indiretta, ma l a m p a n t e , che n o n c'era stata n e s s u n a sottrazione di d o c u m e n t i . E a esse e r a n o allegate un centinaio di altre lettere indirizzate a T a n l o n g o da D o n n a Lina Crispi che, a n c h e se n o n facevano n u o v a luce sulla Banca R o m a na, ne g e t t a v a n o u n a p o c o edificante sui costumi di quella signora e sulla vita privata della famiglia, indebitata con la Banca p e r oltre un milione di lire. Se Crispi fosse al c o r r e n te di tutto questo sudiciume, n o n s a p p i a m o . S a p p i a m o soltanto che l'«uomo forte», con sua moglie era debolissimo e ne accettava tutto. Q u a t t r o giorni d o p o la commissione lesse la sua relazion e che deluse u n p o ' tutti p e r c h é delle lettere p r i v a t e n o n faceva - g i u s t a m e n t e - p a r o l a . Ma Cavallotti, c h e le conosceva p e r c h é e r a stato u n o d e i c i n q u e c h e a v e v a n o letto i d o c u m e n t i , chiese che Crispi si p r e s e n t a s s e a r i s p o n d e r e s o l l e v a n d o la «questione m o r a l e » . Nella «terribile notte» - com'egli stesso scrisse più tardi - in cui aveva p r e s o visione del plico, il t u r b o l e n t o e vociferoso, ma a n c h e g e n e r o s o b a r d o della democrazia che, n o n o s t a n t e i dissapori politici, era p e r s o n a l m e n t e rimasto s e m p r e legato a Crispi, se n'era sentito tradito nella sua b u o n a fede, e o r a lo azzannava con 274
lo stesso i m p e t o c o n cui, p e r s o s t e n e r l o , aveva a z z a n n a t o Giolitti. C o n s o v r a n o disprezzo p e r la prassi p a r l a m e n t a r e , Crispi strozzò la discussione c h i u d e n d o la C a m e r a , e d e n u n z i ò Giolitti al t r i b u n a l e p e r uso privato di d o c u m e n t i d'ufficio. Giolitti sollevò eccezione d ' i n c o m p e t e n z a s o s t e n e n d o , con piena ragione, che solo il Senato costituito in Alta Corte p o teva giudicarlo. Ma il t r i b u n a l e , o p p o r t u n a m e n t e a d d o m e sticato, respinse l'eccezione, e Giolitti, su consiglio dei suoi amici che ne p a v e n t a v a n o l'arresto, partì p e r Berlino con la scusa di u n a visita a sua figlia, sposata là. T o r n ò solo q u a n d o la Corte di Cassazione ebbe riconosciuto le sue b u o n e ragioni a n n u l l a n d o la sentenza del tribunale. S o r d o alle proteste che si levavano da ogni p a r t e , Crispi seguitò ad a g g i o r n a r e la sessione p a r l a m e n t a r e oltre il limite di q u a t t r o mesi concesso dallo Statuto, e nel maggio (del '95) sciolse a d d i r i t t u r a la C a m e r a i n d i c e n d o n u o v e elezioni. Egli c o n d u s s e u n a f o r s e n n a t a c a m p a g n a sullo slogan: «O Crispi, o il caos», tentò di mobilitare in p r o p r i o favore il voto cattolico a t t e g g i a n d o s i a c a m p i o n e della libertà della Chiesa, e aizzò i risentimenti del Sud p r e s e n t a n d o s i c o m e il meridionale vittima di un complotto di settentrionali. Il P a p a n o n abboccò, e c o n f e r m ò il Non expedit. Ma il Mezzogiorno gli fece credito come s e m p r e ne fa a chi tocca (mesti tasti. L'affluenza alle u r n e si m a n t e n n e sul solito livello: circa il 60 p e r cento. E i risultati f u r o n o c o n t r a d d i t t o r i : nel N o r d m a g g i o r a n z a e o p p o s i z i o n e p r e s s a p p o c o si equivalsero, ma nel C e n t r o - S u d e nelle isole i ministeriali p r e valsero n e t t a m e n t e e d i e d e r o a Crispi u n a robusta maggioranza. Un successo netto lo e b b e r o i socialisti che triplicarono i loro seggi, p o r t a n d o l i da cinque a quindici. Per un p a r tito quasi alla macchia, e r a un d e b u t t o p r o m e t t e n t e , ma che soprattutto servì alla sua m a t u r a z i o n e . Esso decise, nella tattica p a r l a m e n t a r e , di far blocco su certe questioni con gli altri g r u p p i della Sinistra, e questo contribuì a trarlo dal suo isolamento. 275
Su un p i a n o s t r e t t a m e n t e elettorale, la posizione di Crispi si e r a rafforzata. Ma d a l l ' u l t i m o c o n f r o n t o con Giolitti egli usciva m o r a l m e n t e imbrattato, m e n t r e i m e t o d i autoritari gli toglievano qualsiasi credibilità democratica. Nel suo stile m e l o d r a m m a t i c o ma giornalisticamente efficace, Cavallotti lo a g g r e d ì con u n a Lettera agli onesti di tutti i partiti in cui gli d a v a a n c h e del «bustarellaro» p e r a v e r intascato u n a mancia di 60.000 lire in cambio di un'alta onorificenza a un b a n c h i e r e francese di equivoca fama. E il fatto che di questo libello si vendessero in pochi giorni 300.000 copie dimostra quale eco le sue accuse suscitassero nella pubblica coscienza. Grazie a esso, il b a r d o della democrazia era diventato il personaggio p i ù p o p o l a r e d'Italia, il Re lo consultò p e r la formazione del n u o v o Ministero, e Turati lo volle al suo fianco nella «Lega p e r la difesa della libertà» che suggellava l'alleanza fra radicali e socialisti. Q u a n d o in dicembre la nuova C a m e r a esaminò il prob l e m a d e l l ' i n c r i m i n a z i o n e d i Giolitti, questi p r o n u n z i ò u n discorso pacato in cui r i n n o v ò la richiesta di c o m p a r i r e davanti all'Alta Corte di Giustizia. Sia la C a m e r a che il Governo r i f i u t a r o n o d i c h i a r a n d o insussistenti le accuse mosse c o n t r o di lui, e così l i q u i d a n d o definitivamente il caso che p e r tre a n n i aveva avvelenato il Paese e g r a v e m e n t e discreditato tutta la sua classe politica. Ma il vero motivo di quella frettolosa ritirata e r a la consapevolezza che la r i a p e r t u r a d e l l ' i n c a r t a m e n t o sarebbe and a t a t u t t a a discapito di Crispi, la cui posizione e r a fortem e n t e indebolita m a l g r a d o la m a g g i o r a n z a di cui disponeva. A t r a r l o dai g u a i f u r o n o gli a v v e n i m e n t i africani. Sull'Amba Alagi un battaglione italiano e r a stato sopraffatto e massacrato dagli abissini. L'emergenza fornì a Crispi il p r e testo p e r r i l a n c i a r e , in n o m e della Patria in p e r i c o l o , la «tregua di Dio» e l'«unione sacra» di tre a n n i p r i m a . Ma c'è da chiedersi se la risoluta azione coloniale in cui s'impegnò n o n gli fosse ispirata a n c h e dal d e s i d e r i o di d i s t r a r r e l'attenzione del Paese dallo scandalo in cui si e r a trovato coin276
volto e di r i g u a d a g n a r e in Africa il prestigio che aveva p e r so in Italia. . .. Invece della rivincita, ci trovò la definitiva sconfitta. Ma a n c h e la r i c o s t r u z i o n e di q u e s t a catastrofe ci obbliga a un passo indietro. r
CAPITOLO VENTISETTESIMO
ADUA
Nel d i c e m b r e d e l '94 (Crispi e r a risalito al p o t e r e solo da pochi giorni), un g r u p p o di battaglioni italiani in Eritrea, al c o m a n d o del colonnello A r i m o n d i i n t r a p r e s e u n a spedizione punitiva c o n t r o 10.000 dervisci che dal S u d a n tentavano di scalare l'altopiano, e li disfece nella p i a n a di Agordat. Era la p r i m a vittoria del n o s t r o esercito d a l l ' U n i t à in poi, e gli entusiasmi c h e essa suscitò f u r o n o tali da s p e n g e r e , p e r il m o m e n t o , le p o l e m i c h e c h e la politica coloniale seguitava ad alimentare. A r i m o n d i aveva agito di p r o p r i a iniziativa, a p p r o f i t t a n d o dell'assenza del suo diretto s u p e r i o r e , il generale Baratieri, in c o n g e d o a R o m a . B a r a t i e r i d o v e v a i p r o p r i galloni e la carica di G o v e r n a t o r e d e l l ' E r i t r e a un p o ' al suo passato di reduce dei Mille, un p o ' alla fama di g r a n d e stratega che si era fatta nel '70 p r o n o s t i c a n d o la disfatta francese a S e d a n in u n a serie di articoli p u b b l i c a t i su un piccolo g i o r n a l e , L'Avvenire di Sardegna, cui collaborava c o m e e s p e r t o di cose militari. L e s u e a r g o m e n t a z i o n i e r a n o p i u t t o s t o p e d e s t r i . Ma nel p a n o r a m a intellettuale del n o s t r o Stato M a g g i o r e passarono, a profezia avverata, p e r lampi di genio, e del loro a u t o r e si c o m i n c i ò a p a r l a r e c o m e di un v o n Moltke in attesa della sua Sadowa. In realtà, del soldato, Baratieri n o n aveva n e a n c h e il fisico. Grasso, sgraziato, con gli occhiali & pince-nez, s e m b r a v a molto più vecchio dei suoi c i n q u a n t ' a n n i e costruito più p e r la cattedra che p e r l'elmo. Ma, ambiziosissimo e assetato di gloria militare, si senti c o m e d e f r a u d a t o di quella che il suo subalterno si e r a g u a d a g n a t a ad Agordat. E perciò, rientra279
to p r e c i p i t o s a m e n t e in sede, organizzò u n a s e c o n d a spedizione a Cassala, dove si p r o c u r ò anche lui la sua vittoria sbar a g l i a n d o i dervisci che t o r n a v a n o a concentrarvisi. N o n era stata u n a g r a n battaglia, ma i giornali la spacciarono p e r tale r i n f o c o l a n d o gli e n t u s i a s m i già svegliati da A r i m o n d i , e B a r a t i e r i n e a p p r o f i t t ò p e r collezionare altri d u e successi r e p r i m e n d o la rivolta di un c a p e r o n z o l o locale e poi avanz a n d o risolutamente b e n oltre il confine del Mareb, nel cuore del Tigrai, il feudo di Mangascià, le cui b a n d e furono disperse p r i m a a Coatit, poi a Senafè. Questa azione p o n e v a fine a ogni giuoco diplomatico con l'Etiopia. Q u a n d o e r a a n d a t o a l p o t e r e , Giolitti, c h ' e r a p r o f o n d a m e n t e ostile alle a v v e n t u r e coloniali, aveva inaug u r a t o u n a politica di «raccoglimento», r i p r e n d e n d o il piano di Baldissera, cioè quello d e l l ' a c c o r d o c o n Mangascià che, c o m e p a d r o n e del T i g r a i , e r a il n o s t r o i m m e d i a t o dir i m p e t t a i o , e q u i n d i quello c h e p i ù p o t e v a infastidirci. E, p e r riallacciare il negoziato con lui, gli aveva fatto scrivere u n a l e t t e r a a m i c h e v o l e dal Re. M a poi era t o r n a t o Crispi. C o n Crispi e r a t o r n a t o , in q u a l i t à di s o t t o s e g r e t a r i o agli Esteri, Antonelli. E con Antonelli aveva ripreso p i e d e la cosiddetta «politica scioana», cioè quella dell'accordo diretto e «globale» con Menelik p e r i n d u r l o ad accettare il protettor a t o . L'ordine i m p a r t i t o a B a r a t i e r i , m e n t r e si trovava in c o n g e d o a R o m a , e r a a p p u n t o quello di r a g g i u n g e r e delle posizioni di forza p e r trattare e r i d u r r e alla r a g i o n e l'Imperatore. S e n o n c h é l ' I m p e r a t o r e n o n e r a affatto scontento dell'azione italiana in T i g r a i p o i c h é q u e s t a gli s p i n g e v a fra le braccia il rivale Mangascià, cui infatti n o n restava altra scelta. La sola cosa che Menelik paventava era la dissidenza interna. Al resto aveva già p r o v v e d u t o coi mezzi che gli aveva fornito l'Italia. Egli n o n aveva c r e d u t o ai p r o p r i occhi quand o , d o p o la d e n u n c i a del trattato di Uccialli e il rifiuto di riconoscersi «protetto», aveva visto u g u a l m e n t e arrivare il resto delle forniture militari in cui suo cugino M a k o n n e n ave280
va investito i q u a t t r o milioni prestatigli dal nostro g o v e r n o . A chi avanzava d u b b i sulla o p p o r t u n i t à di a r m a r e il N e g u s ora che stava a s s u m e n d o atteggiamenti ostili, il Ministro degli Esteri di Giolitti, Brin, aveva risposto che sarebbe stato «atto arbitrario» i m p e d i r e l'invio di q u e l materiale. E così, m e n t r e fra i d u e Paesi cresceva la t e n s i o n e e il n o s t r o r a p p r e s e n t a n t e in Etiopia, Salimbeni, s c o n g i u r a v a R o m a di t r a t t e n e r e il carico, q u a t t r o milioni di c a r t u c c e v e n i v a n o sbarcate ad Assab. Menelik se l'aspettava così poco che n o n aveva n e m m e n o predisposto u n ' a d e g u a t a carovana di cammelli p e r t r a s p o r t a r l e n e l l ' i n t e r n o , d o v e t t e lasciarne u n a metà sulle b a n c h i n e del p o r t o , e a p p e n a le ebbe in m a n o le fece m e t t e r e in p r o v a p e r c h é sospettava che fossero state confezionate in m o d o da far e s p l o d e r e la c a n n a del fucile. Q u a n d o vide che n o n e r a così, disse: «Aspetta. O r a li faremo cucinare nel loro grasso!» Quelle cartucce p e r lui e r a n o la salvezza. L'Abissinia n o n aveva fabbriche di p o l v e r e da sparo, e le Potenze coloniali a q u e i t e m p i , p u r c o m b a t t e n dosi a vicenda, e r a n o d ' a c c o r d o nel n o n v e n d e r n e ai Paesi africani. Per a r m a r n e u n o c o n t r o l'Italia, ci voleva l'Italia. Frattanto Baratieri, imbaldanzito dai suoi successi, aveva spinto le p r o p r i e a v a n g u a r d i e nel c u o r e del Tigrai occupando Macallè, Adigrat, A d u a e Aksum, dove aveva i m p i a n t a t o degli avamposti. Poi, n o n resistendo alla tentazione di raccogliere il «lauro» di tanti successi, era t o r n a t o a passare l'estate (del '95) in Italia, dove l'accolsero come un Garibaldi, ma dove invano chiese grossi rinforzi in vista della g u e r r a ch'egli riteneva ormai inevitabile. Il Ministro delle Finanze Sonnino n o n volle concedere più di tre milioni. Era u n o stanziamento i n a d e g u a t o . Ma il Generale aveva u n a fiducia illimitata in se stesso e u n a sfiducia altrettanto illimitata nell'avversario ch'egli c o n s i d e r a v a «un colosso dai piedi d'argilla». Q u a n d o , rientrato in sede, seppe da un t e l e g r a m m a del n o stro Console a Zeila che Menelik avanzava verso di lui, n o n rettificò n e m m e n o lo s c h i e r a m e n t o , convinto che gli avamposti a v r e b b e r o resistito di forza p r o p r i a , e anzi o r d i n ò ad 281
Arimondi, che ora era Generale e vicecomandante s u p r e m o , di distaccare un battaglione p e r o c c u p a r e l'Amba Alagi. Per tutta risposta, A r i m o n d i offrì le dimissioni, ma dovette ritir a r l e in seguito a un p e r e n t o r i o t e l e g r a m m a di Crispi, ed eseguire l'operazione che considerava pazzesca. Così ancora u n a volta la sorte delle nostri a r m i era affidata a d u e uomini che n o n s'intendevano e si disistimavano a vicenda. Baratieri e r a convinto che Menelik avesse t r e n t a o quarantamila uomini. Ne aveva invece oltre centomila e armati, grazie all'Italia, p r e s s a p p o c o c o m e i ventimila italiani, fra bianchi e di colore. Q u a n d o il m a g g i o r e Toselli, che comandava il d i s t a c c a m e n t o dell'Amba Alagi, si vide investito da u n a forza dieci volte s u p e r i o r e alla sua, chiese istruzioni. In realtà Baratieri gli aveva impartito quella di ritirarsi manten e n d o il contatto col nemico. Ma A r i m o n d i , che da Macallè doveva trasmettergliela, aveva t a r d a t o , e q u a n d o si decise a farlo, il messo n o n p o t è più r a g g i u n g e r e il destinatario già circondato sul suo acrocoro. Toselli era un p r o d e soldato, di cui in Eritrea è rimasta viva fino a ieri la leggenda: il battaglione i n d i g e n o di cui e r a stato c o m a n d a n t e rimase intitolato al suo n o m e e ha p o r t a t o in segno di lutto la fascia nera fino al 1936, q u a n d o l'Amba Alagi v e n n e riconquistata dalle forze italiane. Egli si batté d i s p e r a t a m e n t e , lasciandovi la vita e quella di quasi tutti i suoi 2.500 u o m i n i . Solo 300 riuscir o n o a scampare. In Italia la notizia sollevò u n ' e n o r m e eco. Ma, a differenza di q u a n t o era accaduto p e r Dogali, la reazione fu più di orgoglio che di cordoglio p e r il m o d o in cui gl'italiani si erano battuti. La Regina scrisse al generale Osio: «Non pensiamo che all'Africa», e la C a m e r a a p p r o v ò lo stanziamento di altri 20 milioni p e r i rinforzi. Ma Critica sociale a u g u r ò all'esercito « u n a batosta sintetica e risolutiva» che togliesse «a q u e i m a n i g o l d i c h e ci g u i d a n o n o n t a n t o la velleità - che q u e s t o è impossibile - q u a n t o la possibilità m o r a l e di ricominciare», e S o n n i n o disse a Blanc: «Dio ci aiuti, ma ce lo m e r i t i a m o poco». 282
M e n t r e Baratieri, che aveva perso la sua baldanza, tentava invano di r a g g i u n g e r e sotto b a n c o un accordo col n e m i co, A r i m o n d i , p e r n o n restare tagliato dal grosso, ripiegava su Adigrat, lasciando a Macallè un presidio c o m a n d a t o dal m a g g i o r e Galliano sull'acrocoro di E n d a J e s u s . La posizione e r a fortissima, ma aveva un p u n t o debole: l'acqua. Galliano ne aveva accumulato p e r i suoi 1.500 u o m i n i u n a b u o na riserva, convinto c h e p r i m a o poi, in caso d'assedio, sarebbe stato soccorso. Ma questo n o n avvenne. Secondo u n a voce, sarebbe stata l'imperatrice Taitù, moglie di Menelik, a c o m p r e n d e r e che p e r aver ragione del presidio bastava isolarlo dalle d u e polle scavate nella petraia circostante, e a occuparle. In capo a tre settimane, le scorte e r a n o esaurite, e la sete cominciò. Galliano fece p e r v e n i r e un messaggio a Baratieri: p e r q u a n t o d i s p e r a t a , si p r e p a r a v a a u n a sortita in c a m p o a p e r t o d o p o aver fatto saltare il forte. E stava p e r farlo, q u a n d o il soccorso giunse sotto forma di u n a lettera a Menelik, in cui Re U m b e r t o gli a n n u n z i a v a l'invio di un plenipotenziario p e r t r a t t a r e la pace. In realtà quella lettera il Re n o n l'aveva firmata. Era stato il Ministro degli Esteri Blanc a concordarla con Baratieri, autorizzandolo a far c r e d e r e al Negus c h ' e r a di p u g n o di U m b e r t o . Menelik ci c r e d e t t e e rispose nel suo solito t o n o fra m a g n a n i m o e sprezzante: «II vincitore del L e o n e della stirpe di Giuda, Menelik II, n o m i nato da Dio Re dei Re di Etiopia, al rispettato e o n o r a t o S. M. U m b e r t o , Re d'Italia. Per d a r p r o v a della mia fede cristiana, c o m e e r a nostro desiderio, facemmo uscire con tutte le loro robe, accompagnati da Ras M a k o n n e n e in b u o n a salute, quelli che e r a n o nel forte di E n d a Jesus, assetati, stretti, circondati e quasi calpestati dai nostri piedi...» E concludeva: «I soldati italiani si b a t t o n o , ma s o n o soldati da d u e anni, m e n t r e i nostri v a n n o alla g u e r r a che sono a n c o r a attaccati alle p o p p e della m a d r e . L'Italia è forte, lo so. Essa m a n d e r à molte t r u p p e , e io le schiaccerò. Ne m a n d e r à tre volte tante, e allora I d d i o deciderà il nostro conflitto». 283
Menelik desiderava effettivamente la pace, ma n o n la desiderava affatto Crispi, cui solo il successo militare poteva r e s t i t u i r e c r e d i t o e p r e s t i g i o . P u r fìngendo di c e d e r e alle pressioni di colleghi e p a r l a m e n t a r i che lo richiamavano alla cautela, aveva accelerato l'invio dei rinforzi e deciso di affidare il c o m a n d o a Baldissera, ma senza dirlo a Baratieri nel t i m o r e che costui, p e r p a r a r e il colpo, p r e n d e s s e qualc h e decisione avventata. Baldissera infatti partì alla fine di febbraio (del '96) in borghese e con un passaporto intestato a un falso n o m e , m e n t r e Baratieri, che ancora non sospettava di nulla, c o n c e n t r a v a le forze su A d u a , ma senza p r o v o care il nemico che a sua volta, s p e r a n d o nella pace, si guardava dal provocarlo. Fu allora che forse p e r p r e p a r a r l o al «siluro» e p e r giustificarlo, Crispi gl'invio il famoso telegramma: «Codesta è u n a tisi militare, n o n u n a g u e r r a ; piccole scaramucce nelle quali ci t r o v i a m o s e m p r e inferiori d i n a n z i al n e m i c o , sciupìo di eroismo senza successo. N o n ho consigli da d a r e p e r c h é n o n s o n o sul l u o g o , ma c o n s t a t o c h e la c a m p a g n a è senza un preconcetto, e vorrei fosse stabilito. Siamo p r o n t i a qualunq u e sacrificio p e r salvare l'onore dell'esercito e il prestigio della monarchia». Più tardi, a giustificazione del p r o p r i o o p e r a t o , Baratieri d i c h i a r ò che a n c h e se n o n e r a stato q u e s t o t e l e g r a m m a a spingerlo ad agire, e r a n o stati i contraddittori ordini che gli g i u n g e v a n o da R o m a . In realtà s e m b r a che la v e r a spinta fosse la notizia della sua i m m i n e n t e sostituzione. C o m u n que, la sua decisione di attaccare fu la m a n n a del cielo per il N e g u s che si trovava in gravi difficoltà p e r la m a n c a n z a di r i f o r n i m e n t i , e d o p o a v e r scartato l'ipotesi di u n a ritirata p e r r a g i o n i di prestigio, stava c o n s i d e r a n d o quella di u n a m a n o v r a a g g i r a n t e nel c u o r e dell'Eritrea che, coi q u a d r i e le t r u p p e di cui disponeva, difficilmente gli sarebbe riuscita. Egli dovette t r a r r e un respiro di sollievo nel vedere, all'alba del 1° m a r z o , i 16.000 italiani sboccare nella conca di Adua. C ' e r a n o arrivati stanchi e a s s o n n a t i , d o p o u n a marcia 284
n o t t u r n a d u r a n t e la quale i r e p a r t i avevano perso i contatti fra loro, e infatti le tre colonne in cui e r a n o divisi si p r e s e n t a r o n o alla spicciolata facilitando il c o m p i t o dei c e n t o m i l a etiopici che p o t e r o n o affrontarle e liquidarle u n a d o p o l'altra. Di p a r t e italiana i m o r t i furono quasi settemila (quanti n ' e r a n o caduti in tutte le battaglie del Risorgimento): fra di essi c'erano d u e dei q u a t t r o Generali che si dividevano il com a n d o , e a n c h e il «miracolato» di E n d a Jesus, Galliano. Il contraccolpo in Italia fu violento. Le piazze t u m u l t u a r o no al g r i d o di «Viva Menelik I» e «Via dall'Africa!» Cavallotti rivelò che il Re aveva sborsato fior di talleri p e r riscattare la vita di Galliano e dei suoi u o m i n i , ma che M a k o n n e n n o n li aveva mai ricevuti p e r c h é Crispi li aveva intercettati e dirottati verso altri scopi. E s e b b e n e di vero, in questa storia, ci fosse solo che u n a certa s o m m a era stata p a g a t a c o m e rimborso delle spese di t r a s p o r t o del materiale e dei feriti, tutti ci c r e d e t t e r o , e si profilò u n o scandalo ancora più clamoroso di quello della Banca R o m a n a . I giornali si a b b a n d o n a r o no a descrizioni t r u c u l e n t e della battaglia e delle sevizie subite da feriti e p r i g i o n i e r i . Si scrisse che Antonelli aveva suggerito quella sciagurata politica p e r fare gl'interessi della R e g i n a Taitù, di cui e r a stato l ' a m a n t e (e q u e s t ' u l t i m o particolare s e m b r a che corrispondesse a verità). E r a la reazione di un Paese legittimamente i n d i g n a t o di quelle contin u e umiliazioni, ma a n c h e privo di autocontrollo e di decoro nazionale. Crispi n o n ebbe n e a n c h e il coraggio di affrontare il Parlamento. Senza aspettare il voto contrario diede le dimissioni, e uscì definitivamente di scena. A n c h e nel fisico e r a un u o m o finito, e il suo t r a m o n t o fu malinconico. Gli avversari n o n gli r i s p a r m i a r o n o i loro colpi, fra cui ce ne furono a n che di bassi. C h i a m a t o a r i s p o n d e r e di p e c u l a t o d a v a n t i al Tribunale (uno strascico dell'affare della Banca R o m a n a ) , il Giudice gli inflisse l'umiliazione di u n a l u n g a attesa in anticamera. Q u a n d o la Cassazione riconobbe legittima - c o m e 285
l'aveva r i c o n o s c i u t o p e r Giolitti - la sua p r e t e s a di essere g i u d i c a t o dal P a r l a m e n t o , q u e s t o lo e s e n t ò dal c o m p a r i r e davanti all'Alta Corte di Giustizia, ma dichiarò il suo operato «meritevole di censura». Il vecchio u o m o rassegnò le dimissioni da d e p u t a t o , ma P a l e r m o lo rielesse a schiacciante m a g g i o r a n z a . O g n i t a n t o aveva dei guizzi di orgoglio. «Se l'Italia - disse u n a volta - avrà a n c o r a b i s o g n o d e l l ' o p e r a mia, n o n la negherò.» «Speriamo di no!» gli fece eco u n a voce fra le generali risate. Q u a n d o lo provocavano, ricordava a tutti c h e n o n e r a stato lui a voler a n d a r e in Africa, e in questo aveva ragione, ma n e s s u n o voleva riconoscerlo. «Ricordatevi di A d u a e tacete, incosciente!» gli gridò u n a volta P r a m p o l i n i . La c a t e r a t t a lo aveva r e s o m e z z o cieco i m p e d e n d o g l i l'ultimo sfogo: le lettere. Ne scriveva a tutti, anche al Re, p e r difendere la sua politica e a m m o n i r e che «un'Italia rannicchiata d e n t r o le sue frontiere, che a b b a n d o n i i suoi m a r i al naviglio straniero, che n o n parli nel consesso dei gov e r n i civili, che c h i u d a gii occhi p e r p a u r a della luce, non p u ò essere l'Italia alla quale h a n n o aspirato Mazzini, Garib a l d i e Vittorio E m a n u e l e » , dei quali seguitava a considerarsi l'ultimo e p i g o n o . Morì n e l l ' a g o s t o del 1 9 0 1 . E G i o v a n n i A m e n d o l a , che n o n lo amava, ma che fu u n o degli ultimi a vederlo, scrisse: «Era u n r u d e r e gigantesco».
CAPITOLO VENTOTTESIMO
I C A N N O N I DI BAVA BECCARIS
Per la seconda volta, a e r e d i t a r e la situazione fallimentare con cui Crispi soleva c h i u d e r e le sue gestioni, fu Rudinì, cui perciò v a n n o riconosciute molte attenuanti. N o n aveva u n a maggioranza p e r c h é quella del suo predecessore si e r a frantumata in diverse correnti. Riuscì a tenersi in piedi solo grazie all'appoggio dell'Estrema Sinistra. Ma q u a n d o chiese la fiducia del P a r l a m e n t o , i sì e b b e r o tre voti soli in più dei no. C o n questo striminzito m a r g i n e di sicurezza, e r a difficile sciogliere gli aggrovigliati n o d i c h e Crispi aveva lasciati al p e t t i n e . Il p r o b l e m a p i ù u r g e n t e e r a la l i q u i d a z i o n e della g u e r r a d'Africa. Sull'Eritrea p e n d e v a la minaccia n o n soltanto del vittorioso Menelik, ma a n c h e dei dervisci sudanesi che, ansiosi di rivincita, si p r e p a r a v a n o ad assalire Cassala. Di suo, R u d i n ì a v r e b b e preferito a b b a n d o n a r e a d d i r i t t u r a l'Eritrea; e p r o p r i o p e r c h é conosceva queste sue intenzioni, la Sinistra gli aveva dato l'appoggio. Ma n o n potè realizzarle p e r c h é glielo vietava l'opinione pubblica, glielo vietava il Re, e glielo sconsigliava a n c h e l ' I n g h i l t e r r a , c h e infatti riprese le sue iniziative nel S u d a n p e r alleggerire la pressione dei dervisci sugl'italiani. Baldissera, che frattanto aveva sostituito Baratieri e ricevuto i cospicui rinforzi inviati p r i m a di Adua, ne approfittò p e r infliggere a quei ribelli u n a secca batosta; e p p o i , s a p u t o che Menelik si e r a ritirato verso sud, ritornò sul M a r e b di cui fece la sua linea di confine. Q u e s t o confine, e r a abbastanza chiaro che Menelik n o n aveva nessuna intenzione di contestarlo. P u r e , i negoziati di pace furono l u n g h i e si conclusero solo nell'ottobre (del '96) col trattato di Addis Abeba, che annullava quello di Uccia!li. 287
ma lasciava all'Italia l'Eritrea e la Somalia. I prigionieri fur o n o restituiti o p e r meglio d i r e «ricomprati» al p r e z z o di dieci milioni, q u a n t i il N e g u s p r e t e n d e v a di a v e r n e spesi p e r il loro m a n t e n i m e n t o . E i reduci v e n n e r o sbarcati a Napoli di notte, come se si fosse trattato di colpevoli. Poco d o p o , in qualità di G o v e r n a t o r e , fu m a n d a t o all'As i n a r a F e r d i n a n d o M a r t i n i , u n a delle migliori teste di cui d i s p o n e s s e la classe politica italiana, c h e , a b b a n d o n a t i i g r a n d i sogni di fare dell'Eritrea u n a colonia di p o p o l a m e n to trasferendovi massicciamente u o m i n i e capitali, b a d ò soltanto ad a m m i n i s t r a r e s a g g i a m e n t e i pochi fondi che il gov e r n o gli metteva a disposizione, e avviò l'Eritrea a u n o svil u p p o m o d e s t o , m a s a n o e d equilibrato, basato soprattutto su floride piantagioni. D u r a n t e la sua d e c e n n a l e gestione, e a n c h e d o p o fino al ' 3 5 , quella t e r r a smise di «fare notizia». Ma, diceva Martini, «siano b e n e d e t t e le colonie di cui nessuno parla». C o m e liquidazione di u n a disfatta, i n s o m m a , non e r a stata disastrosa. Ma p e r il Re il boccone fu a m a r o . Egli, dice Farini, n o n p e r d o n ò mai a R u d i n ì di averlo costretto, lui «il discendente di Principi che p e r otto secoli fondarono la loro fortuna sul valore militare, ad a p p o r r e la p r o p r i a firma su un t r a t t a t o di p a c e accanto a quella di u n a scimmia africana». Secondo Finali, da allora egli «non ebbe più letizia». N e m m e n o il Paese ne aveva, ma p e r altre ragioni. Prima, le difficoltà e c o n o m i c h e . Le spese di g u e r r a a v e v a n o vieppiù dissestato il bilancio, r e n d e n d o necessario il ritorno alla vecchia «lesina». Un p r e s t i t o di g u e r r a aveva raccolto 140 milioni, cifra per quei t e m p i cospicua. Ma n o n bastava. Urgeva r i d u r r e d r a s t i c a m e n t e le spese, e le più invise e r a n o quelle militari. Siccome il Re n o n voleva sentirne parlare, il ministro del Tesoro, Colombo, si dimise, e Rudinì rimpastò il suo g o v e r n o con u o m i n i di Destra che alla «lesina» erano 1 più qualificati. Luzzatti sostituì C o l o m b o , agli Esteri t o r n ò Visconti-Venosta, e S o n n i n o ebbe carta bianca p e r lesinare su t u t t o e con tutti. Il M i n i s t r o della G u e r r a , Pelloux, per 288
potei" m a n t e n e r e i d o d i c i C o r p i d ' A r m a t a , d o v e t t e rassegnarsi a r i d u r r e il p e r i o d o di ferma. Q u e s t e m i s u r e tuttavia n o n a v r e b b e r o sortito n e s s u n effetto se in tutta E u r o p a alla fase della «recessione» n o n fosse seguita u n a ripresa, di cui a n c h e l'Italia avvertiva le benefiche c o n s e g u e n z e . U n o dei motivi che avevano c o n d o t t o alla crisi di Crispi, già in atto p r i m a di A d u a , e r a p r o p r i o questo: c h e il capitalismo s e t t e n t r i o n a l e , v e d e n d o spalancarsi la p r o s p e t t i v a di un «decollo», n o n voleva c h e le sue risorse fossero s p r e m u t e p e r finanziare la politica coloniale. M e n t r e q u e s t a politica t r o v a v a sostenitori n e l S u d p e r l'eterna illusione che spinge i sottosviluppati a cercare sollievo alle p r o p r i e m i s e r i e i n t e r r e a n c o r a p i ù d e p r e s s e d i quelle l o r o , la b o r g h e s i a l o m b a r d a si alleava coi radicali e coi socialisti nemici acerrimi di Crispi, sino a far p a r l a r e di u n o «Stato di Milano» in lotta con quello di R o m a . Q u e s t a alleanza fu decisiva p e r gli u l t e r i o r i sviluppi della n o s t r a politica i n t e r n a : aiutò a t r a r r e i socialisti dal loro isolamento, spinse il n a s c e n t e p a d r o n a t o industriale a riconoscere i sindacati e a t r a t t a r e con essi, e costrinse i cattolici a uscire allo scoperto p e r c o n t e n d e r e ai socialisti il m o n o p o l i o delle forze p r o l e t a r i e . Tutto questo aveva i suoi lati positivi e i suoi lati negativi. C e r t a m e n t e il «dialogo», c o m e oggi si dice, della borghesia imprenditoriale con le organizzazioni politiche ed economiche o p e r a i e favorì il decollo i n d u s t r i a l e del N o r d , su cui il protezionismo d o g a n a l e e l'intervento dei capitali stranieri della C o m m e r c i a l e facevano già sentire i loro stimolanti effetti. Ma su questa strada il Settentrione si allontanava ancora di più dal Mezzogiorno, a g g i u n g e n d o al divario di condizioni e c o n o m i c h e e sociali un conflitto di interessi e aspirazioni: d o g a n e chiuse e produttivismo al N o r d , d o g a n e aperte e colonialismo al Sud. Questo contrasto ridette ali al regionalismo. Esso n o n aveva gli a m b i g u i sottintesi di v e n t i c i n q u ' a n n i p r i m a , q u a n d o faceva soltanto da maschera ai rimpianti e alle nostalgie p e r i 289
vecchi Stati prerisorgimentali, e p e r questo era stato accanton a t o coi p r o g e t t i di legge elaborati da M i n g h e t t i . Stavolta aveva ben altre e più solide motivazioni. Lo volevano i socialisti che, a v e n d o la loro m a g g i o r e forza nel proletariato urbano, avevano b u o n e possibilità di conquistare il p o t e r e amministrativo dei g r a n d i centri, e q u i n d i miravano a r e n d e r l o più forte e a u t o n o m o . Lo volevano i cattolici p e r i motivi che a b b i a m o già illustrato di lotta c o n t r o lo Stato laico risorgim e n t a l e . Lo volevano i radicali e i r e p u b b l i c a n i v e d e n d o c i u n a forma di a u t o g o v e r n o più vicina al loro ideale di d e m o crazia diretta. Ma lo volevano soprattutto le n u o v e classi imprenditoriali p e r liberarsi dalle pastoie di u n a burocrazia rom a n a fatalmente sorda ai loro interessi e bisogni. A n c h e stavolta le p r o p o s t e di d e c e n t r a m e n t o incontrarono le stesse fiere opposizioni del '70, c o m p r e s e quelle di Domenico Farini, il figlio di quel Luigi Carlo che più aveva collaborato con Minghetti a e l a b o r a r n e i progetti. Egli diceva che se si fosse riorganizzato l'esercito su basi regionali, «ent r o sei mesi i r e g g i m e n t i r o m a g n o l i a v r e b b e r o p r o c l a m a t o la Repubblica». Tuttavia il p r o b l e m a di «colmare l'abisso fra il g o v e r n o e il popolo» e r a sul tavolo, e Rudinì d o v e t t e affrontare a n c h e quello. Lo fece in m a n i e r a malaccorta p r e n d e n d o come t e r r e n o sperimentale la t e r r a in cui il regionalismo aveva le sue più forti radici e dove più accentuate erano le agitazioni, la Sicilia, che v e n n e affidata a un Commissario, cioè a un s u p e r p r e f e t t o con pieni poteri. Q u e s t a mis u r a , in flagrante antitesi coi p r i n c ì p i d e l l ' a u t o g o v e r n o , servì soltanto a fornire a r g o m e n t i agli avversari del decent r a m e n t o , che v e n n e p e r la seconda volta insabbiato. E l'Es t r e m a Sinistra n e a p p r o f i t t ò p e r r o m p e r e l'alleanza con Rudinì e chiedere n u o v e elezioni. Rudinì t e n t ò di t e m p o r e g g i a r e c e r c a n d o amici a Destra che c o m p e n s a s s e r o la defezione di Cavallotti. Ma alla fine d o v e t t e risolversi al g r a n passo, e nel m a r z o d e l '97 richiamò i cittadini alle u r n e . I risultati n o n gli furono avversi. S e b b e n e i socialisti c o n s e r v a s s e r o i p r o p r i seggi, anzi li 290
portassero da 15 a 16 e il g r u p p o radical-repubblicano arrivasse a q u o t a 5 1 , la più alta mai r a g g i u n t a , la coalizione governativa m a n t e n n e un largo m a r g i n e . Ma essa aveva il difetto di t u t t e le coalizioni: l'eterogeneità, e q u i n d i la friabilità. Un Cavour o un Depretis sarebbero riusciti a t r o v a r n e il mastice. Ma Rudinì n o n aveva la loro stoffa, e fra la formazione di u n a m a g g i o r a n z a di C e n t r o ricavata da u n o dei soliti connubi fra Destra e Sinistra, e la ricostituzione di u n a forte Destra i n t o r n o a un p r o g r a m m a chiaro e definito, n o n seppe decidersi. Q u e s t o consentì a S o n n i n o di a s s u m e r e posizioni d'indip e n d e n z a atteggiandosi a e r e d e di Crispi e raccogliendone sotto la p r o p r i a b a n d i e r a i seguaci, che r a p p r e s e n t a v a n o tuttora u n a forza cospicua. Nella Nuova Antologia egli p u b blicò un articolo, Torniamo allo Statuto, c h e in r e a l t à era il «manifesto» di u n a n u o v a Destra, in cui sosteneva che bisognava r e s t i t u i r e tutto il p o t e r e esecutivo al Re r e n d e n d o i Ministri responsabili di fronte a lui e n o n di fronte al Parlam e n t o p e r c h é il r e g i m e p a r l a m e n t a r e n o n si addiceva a u n o Stato assediato da forze che volevano distruggerlo - i socialisti e i clericali -, né a un p o p o l o che concepiva e praticava la libertà c o m e licenza. Solo u n o Stato i n c a r n a t o n e l Re e c o p e r t o dal suo p r e s t i g i o a v r e b b e p o t u t o c o n q u i s t a r e l e masse p r o c e d e n d o a coraggiose riforme. Q u e s t o p r o g r a m m a autoritario e paternalistico r i e m p ì di sdegno quegli u o m i n i della vecchia Destra che, p e r q u a n t o di t e n d e n z e conservatrici, restavano fedeli alla pregiudiziale liberale. E fra costoro ci fu - sia detto a suo o n o r e - lo stesso Re, che qualificò quello scritto «una vera follia», un impasto di «fisime di sociologo, t e d e s c a m e n t e nebuloso», la cui adozione « e q u i v a r r e b b e a disfare u n a t r a d i z i o n e di cinq u a n t a n n i , che d i e d e p o t e r e e gloria a Vittorio Emanuele». Ma piacque a tutti coloro - ed e r a n o molti - che si sentivano orfani dell'«uomo forte» e, m a l g r a d o la lezione di Adua, seguitavano a illudersi che solo un altro u o m o forte avrebbe p o t u t o risolvere i problemi del Paese. 291
Rudinì ripudiò Sonnino, ma n o n seppe approfittare della r o t t u r a che il suo pronunciamiento aveva provocato nella Destra, anche perché la situazione n o n gliene dette il t e m p o . L'agitazione era generale e convulsa. Nel N o r d essa si manifestava con comizi, cortei e s o p r a t t u t t o scioperi cui tutto forniva pretesto e che paralizzavano n o n soltanto la p r o d u z i o n e , ma la vita stessa delle città. Nel S u d scoppiava in t e m p o r a l i di breve durata, ma di effetti devastatori, dei quali Giustino Fort u n a t o ci ha lasciato impressionanti testimonianze: Municipi saccheggiati, Prefetture a sacco, cariche di cavalleria, fucilate, morti e feriti sul selciato, arresti indiscriminati. Poi u n a calma gravida di scirocco. E subito d o p o , un altro tornado. A g u a z z a r v i n o n e r a n o s o l t a n t o i socialisti r i c a d u t i in braccio alle loro tentazioni eversive, ma a n c h e i clericali passati r i s o l u t a m e n t e all'offensiva. Nel r a d u n o d e l l ' O p e r a dei Congressi del 1897 la disfatta di A d u a v e n n e esaltata c o m e u n a lezione della Provvidenza p e r m e t t e r e finalmente a fuoco «la casa dei liberali», cioè l'Italia del Risorgimento. Ma questi aizzamenti n o n avrebbero p o t u t o nulla se n o n fossero stati l'eco di un disagio i cui motivi v a n n o cercati n o n nella situazione e c o n o m i c a , c h e p r o p r i o i n q u e l m o m e n t o volgeva al m e g l i o g r a z i e alla r i p r e s a i n d u s t r i a l e e c o m m e r c i a l e d i t u t t a E u r o p a , m a i n quella m o r a l e . A d u a aveva u m i l i a t o gl'Italiani. Alcuni r e a g i r o n o col nazionalismo che infatti n a c q u e allora e p r e p a r ò la strada al fascismo. Altri con l'atto d'accusa al «sistema» su cui f u r o n o scaricate alla rinfusa t u t t e le responsabilità, p e r scagionare il p o p o l o e lavarlo da quella «vergogna». C o m e dice Seton Watson, alt r e nazioni h a n n o subito disastri militari n o n m e n o d r a m matici, ma senza r i s e n t i r n e effetti così sconvolgenti. Lo fur o n o in Italia p e r c h é il Paese, già r e d u c e da u n ' a l t r a «vergogna» - quella del '66 - aveva d i s p e r a t a m e n t e bisogno di un p o ' di fiducia in se stesso. E n o n r i u s c e n d o a t r o v a r l a sui c a m p i di battaglia, la cercò sulle piazze e negli attentati. Le coincidenze n o n lasciano adito a dubbi. E c o n o m i c a m e n t e , si e r a in piena espansione. Politicamente, nel N o r d si delinea292
va u n a specie di «blocco progressista» tra forze p o p o l a r i e borghesia i m p r e n d i t o r i a l e che faceva registrare ai radicali e ai socialisti, usciti finalmente dal g h e t t o , notevoli successi. E p p u r e , è p r o p r i o in questo p e r i o d o che si assiste a u n a ripresa anarchica in g r a n d e stile, che - fatto significativo - recluta i suoi pistoleros s o p r a t t u t t o fra gli e m i g r a t i . Scherniti come italiani p e r le poco onorevoli p r o v e della Nazione, essi c e r c a r o n o nel gesto individuale un'affermazione c o m e rivoluzionari. U n o di essi fallisce di p o c o - e p e r p o c o - Re U m b e r t o . Un a l t r o uccide in Svizzera l ' I m p e r a t r i c e d'Austria. Malatesta r i t o r n a p e r c o o r d i n a r e , e forse p i ù a n c o r a per controllare e frenare questo scoppio di violenza che n o n conduce a nulla. Cioè, no: c o n d u c e alla reazione. Disgrazia volle che p r o p r i o in questo m o m e n t o venisse a m a n c a r e Cavallotti. U o m o p i ù di passione che di r a g i o n e , capace di g r a n d i e r r o r i c o m e di g r a n d i generosità, l'impetuoso t r i b u n o a p p a r t e n e v a tuttavia al Risorgimento ed e r a l'unico in g r a d o di accreditarlo presso le masse, grazie al fascino che seguitava a esercitare su di esse. La sua p r o s a enfatica ma efficace, la sua g l a d i a t o r i a e l o q u e n z a s a r e b b e r o state in quel m o m e n t o preziose p e r placare le piazze, o com u n q u e p e r sottrarle a tentazioni eversive. Ma aveva il vizio dei duelli. Ne aveva già fatti t r e n t u n o . Il t r e n t a d u e s i m o gli fu fatale: la l a m a d e l l ' a v v e r s a r i o gli s'infilò in bocca e gli squarciò il palato fino al cervelletto. P r o p r i o allora scadeva il c i n q u a n t e n a r i o delle « C i n q u e Giornate» del '48. Il ricordo delle barricate eccitò gli animi. In u n o s c o n t r o c o n la polizia u n o s t u d e n t e fu ucciso e t r e operai arrestati. Bastò p e r far scoppiare violente dimostrazioni che si estesero a tutta Italia e che Turati, da solo, n o n fu in g r a d o d'imbrigliare. U n o sciopero g e n e r a l e paralizzò il Paese, p e r d o m a r l o il g o v e r n o fece a p p e l l o alle t r u p p e , Milano c o m m e m o r ò le b a r r i c a t e d r i z z a n d o n e delle altre, e il generale Bava Beccaris scatenò contro di esse l'artiglieria. S e c o n d o le fonti ufficiali, il c o n t o si c h i u s e col p e s a n t e Passivo di 82 morti. Secondo le fonti socialiste, i morti furo293
no 118, i feriti 6 0 0 , gli a r r e s t i n o n si c o n t a v a n o : tutti gli esponenti della Sinistra, a cominciare da Turati e dalla Kuliscioff, e r a n o in p r i g i o n e . Responsabili di quella b r u t a l e repressione e r a n o un p o ' tutti: Rudinì che aveva p e r s o la testa fino a p r e n d e r e p e r vera la voce di un'invasione di anarchici dalla Svizzera; Bava Beccaris che aveva i n t e r p r e t a t o gli ordini nella m a n i e r a più ottusa fino a spianare coi suoi cann o n i u n m o n a s t e r o d i p o v e r i frati c h e forse n o n s i e r a n o n e m m e n o accorti di q u e l c h e succedeva; lo stesso Re che avallò l ' o p e r a t o d e l G e n e r a l e c o n f e r e n d o g l i un'altissima onorificenza «per servigi resi alle Istituzioni e alla civiltà». Nella tempesta, che a n c h e d o p o il ristabilimento dell'ord i n e seguitava a far p e s a r e la sua minaccia, R u d i n ì rimase solo. A u n o a u n o , i suoi Ministri a b b a n d o n a r o n o il govern o . Egli ne c o m p o s e un altro, convinto che, se n o n avesse o t t e n u t o la fiducia, il Re gli avrebbe consentito di sciogliere il P a r l a m e n t o e d'indire n u o v e elezioni. Ma q u a n d o il Re gli disse chiaro e t o n d o che n o n ne aveva n e s s u n a intenzione, si dimise senza n e m m e n o a t t e n d e r e il voto della C a m e r a . Trovargli un successore n o n fu facile. Si p r o v ò Finali, e fallì. Si p r o v ò Visconti-Venosta, e fallì. Al Re, già p r o s t r a t o dalla disfatta di A d u a che lo aveva colpito nel suo più geloso sent i m e n t o , quello d e l l ' o n o r e militare, saltarono i nervi. «Stavolta facciamo burnì» disse a Farini, a c c e n n a n d o al proposito di risolvere la crisi con un gesto d'autorità, affidato a qualche suo fiduciario. Ma n o n e r a u o m o da colpi di forza un p o ' p e r m a n c a n z a d i c o r a g g i o , u n p o ' p e r sincero attaccam e n t o alla regola costituzionale. L'uomo a cui finì p e r d a r e l'incarico aveva infatti le carte in regola. Luigi Pelloux era Generale, ma era a n c h e Senatore, e p e r di più godeva simpatie a n c h e nella Sinistra p e r la fermezza con cui si era opposto alla politica coloniale di Crispi e p e r il senso di misura che, quale c o m a n d a n t e della zona militare di Bari, aveva d i m o s t r a t o nella «primavera calda» di quell'anno, m a n t e n e n d o l'ordine senza ricorrere allo 294
stato d'assedio. E infatti fu s o p r a t t u t t o con u o m i n i della Sinistra ch'egli c o m p o s e un g o v e r n o dalle intenzioni distensive. L e m i s u r e s t r a o r d i n a r i e d i polizia v e n n e r o r e v o c a t e . U n ' a m n i s t i a rimise in libertà Turati, la Kuliscioff e gli altri «sovversivi» a r r e s t a t i n e i t o r b i d i d e l m a g g i o . La libertà di stampa e quella di associazione furono ripristinate. Ma i conti a p e r t i d a l c a n n o n e di Bava Beccaris e r a n o t r o p p o grossi p e r poterli liquidare con misure così sbrigative. L'inquietudine restava e si t r a d u c e v a in c o n t i n u e agitazioni. Per imbrigliarle, Pelloux disconobbe il diritto di sciop e r o agl'impiegati statali e r e i n t r o d u s s e il fermo di polizia, il domicilio coatto, la responsabilità p e n a l e p e r incitamento alla violenza a mezzo della stampa. E ciò bastò ad alienargli le simpatie della E s t r e m a Sinistra che, a l q u a n t o e s a g e r a n d o , parlò di «bieca repressione». La p r i m a crisi scoppiò nel m a g g i o del '99, q u a n d o Pelloux e il suo M i n i s t r o degli Esteri C a n e v a r o c h i e s e r o u n a base navale alla Cina, che ne stava d i s t r i b u e n d o g e n e r o s a m e n t e a tutte le Potenze Occidentali, e ne o t t e n n e r o un secco rifiuto. Q u e s t a richiesta e r a stata a v a n z a t a soltanto p e r un rigurgito di quella politica di prestigio, in cui gl'italiani cercavano a s s u r d a m e n t e un c o m p e n s o ai loro insuccessi e mortificazioni. Per evitare lo smacco, Pelloux decise l'invio, a m o ' di ultimatum, di u n a s q u a d r a a Scianghai. E ne subì un altro p e r c h é l'Inghilterra gli pose il veto. Q u e s t o p e r ò fu soltanto il p r e t e s t o delle sue dimissioni. Il motivo vero era, come oggi si direbbe, di «schieramento». Dopo le m i s u r e restrittive, egli n o n poteva più c o n t a r e sulla Sinistra, e questo lo metteva alla m e r c é di Sonnino che gliele aveva consigliate, e che da quel m o m e n t o fu il vero arbitro della situazione, a n c h e se n o n e n t r ò nel n u o v o Ministero, di cui Pelloux ricevette ancora l'incarico. L o g i c a m e n t e lo tirò dalla p a r t e sua, cioè a destra. Le m i s u r e restrittive furono a p p e s a n t i t e e, q u a n d o v e n n e r o p r e s e n t a t e alla C a m e r a per la ratifica, p r o v o c a r o n o il finimondo. Protagonista dello scontro fu il d e p u t a t o socialista Enrico 295
Ferri c h e p r e t e n d e v a alla successione di Cavallotti c o m e « b a r d o della democrazia», ma senza p o s s e d e r n e le qualità morali. Lo batteva soltanto come resistenza oratoria, e infatti parlò p e r nove o r e di fila i n a u g u r a n d o un n u o v o m e t o d o di lotta p a r l a m e n t a r e : l'ostruzionismo. Per i m p e d i r l o , Sonn i n o chiese la modifica del r e g o l a m e n t o . Ma a n c h e questa p r o p o s t a fu combattuta con l'ostruzionismo, e a Pelloux n o n rimase che a g g i o r n a r e la C a m e r a a l l ' a u t u n n o . Questi tuttavia n o n f u r o n o che i lati spettacolari di u n a battaglia che ne aveva di b e n più sostanziali. Essa aveva p r o vocato un rimescolamento di carte destinato a pesare sui successivi sviluppi. R i p u d i a n d o la Sinistra, Pelloux era rimasto prigioniero di u n a Destra intransigente e ridotto alla parte di esecutore degli o r d i n i di S o n n i n o . Nella lotta contro questo g r u p p o , i tre partiti di Estrema Sinistra - radicali, repubblicani e socialisti - avevano finalmente trovato u n a piattaforma c o m u n e , e agivano come blocco di «fronte popolare». Fu questa c o n t r a p p o s i z i o n e , c o n tutti i pericoli ch'essa implicava di r o t t u r a del Paese e di g u e r r a civile, a richiamare sulla scena l'unico u o m o che poteva, grazie alla sua cons u m a t a sapienza nel giuoco dei pesi e d e i c o n t r a p p e s i , interporsi c o m e m e d i a t o r e : Giolitti. D o p o la c a d u t a di Crispi, egli era t o r n a t o alla ribalta, ma in p u n t a di piedi. In coppia con Zanardelli, aveva sulle prime a p p o g g i a t o Rudinì. Ma m e n t r e Zanardelli aveva insistito in q u e s t o a t t e g g i a m e n t o a n c h e d o p o la c o n v e r s i o n e di R u d i n ì a d e s t r a , egli se n ' e r a discostato g u a d a g n a n d o s i il p l a u s o di Cavallotti e della E s t r e m a . La stessa o p e r a z i o n e aveva r i p e t u t o con Pelloux. Gli aveva d a t o b u o n i consigli e prestato alcuni suoi u o m i n i p e r la formazione del p r i m o Ministero. Aveva anche votato in favore delle sue p r i m e misure repressive. Ma va via che cresceva l'influenza di Sonnino, s'intiepidiva il c o n s e n s o di Giolitti fino a d i v e n t a r e riserva critica, e poi ostilità. T u r a t i lo rilevò p u b b l i c a m e n t e : «Sull'altra riva c'è un u o m o che ci ha capito» disse. E fu l'inizio, fra loro, di un «amore proibito», d u r a t o fino al fascismo, che 296
l i spazzò e n t r a m b i a p p u n t o p e r c h é q u e s t o a m o r e r i m a s e proibito. Q u a n d o n e l l ' a u t u n n o del '99 la C a m e r a si r i a p r ì p e r la discussione delle m i s u r e restrittive, Pelloux si accorse di n o n aver p i ù la m a g g i o r a n z a . Vinse p e r c h é t u t t a la Sinistra - n o n solo l'Estrema, ma anche quella Costituzionale che fin allora lo aveva s o s t e n u t o - a b b a n d o n ò l'aula p e r p r o t e s t a . O r m a i era chiaro che gli restava solo un b r a n d e l l o della Destra. E allora, d ' a c c o r d o con S o n n i n o , chiese e o t t e n n e dal Re lo scioglimento della C a m e r a e l'appello alle u r n e . Il r i m e d i o si rivelò p e g g i o r e del male. Su circa un milione e 3 0 0 . 0 0 0 voti, i g o v e r n a t i v i ne o t t e n n e r o a fatica la metà; l'altra se la divisero la Sinistra Costituzionale e l'Estrema, ma quest'ultima si fece, con 96 seggi, la p a r t e del leone. Pelloux capì c h ' e r a finita, e rassegnò le dimissioni Fu l'ultimo G e n e r a l e a p r e s i e d e r e un g o v e r n o , p r i m a di Badoglio. A succedergli il Re c h i a m ò il P r e s i d e n t e d e l S e n a t o Saracco, un g a l a n t u o m o c h ' e r a riuscito a conservare intatta la sua r e p u t a z i o n e di democratico p u r essendo stato d u e volte Ministro nei governi di Crispi. Aveva quasi o t t a n t ' a n n i , ma conservava u n a notevole lucidità di cervello, e ne dette p r o va f o r m a n d o un g o v e r n o di coalizione che includeva un p o ' tutte le forze, m e n o l'Estrema cui d i e d e tuttavia soddisfazione c h i a m a n d o p a r e c c h i suoi u o m i n i nella commissione incaricata d i s t u d i a r e u n n u o v o r e g o l a m e n t o p a r l a m e n t a r e che, senza intaccare la libertà di discussione, impedisse l'ostruzionismo, o p e r meglio d i r e lo regolasse. Egli ebbe anche il b u o n senso di assicurarsi la benevola neutralità sia di Sonnino che di Giolitti, che o r m a i passavano p e r i più p r o babili c a n d i d a t i alla sua successione, ma senza r e s t a r e prigioniero n é d e l f u n o n é dell'altro. Era un b u o n d e b u t t o . Ma nessuno p u ò dire se egli sarebbe riuscito meglio dei suoi d u e predecessori a serbarsi fedele a questo p r o g r a m m a di equilibrio e di pacificazione, perché e r a e n t r a t o in carica a p p e n a da un mese che ne veniva rovesciato da tre colpi di pistola.
CAPITOLO VENTINOVESIMO
MONZA, 29 L U G L I O 1900
Il 5 g i u g n o arrivò a G e n o v a , da M o d a n e , un giovane o p e raio italiano che, e m i g r a t o tre a n n i p r i m a in America, tornava a rivedere la famiglia. Si chiamava G a e t a n o Bresci, ed e r a di Coiano presso Prato. Coltivatori diretti con casa e p o d e r e , i Bresci e r a n o u n a famiglia piuttosto benestante, tanto che i tre ragazzi dell'ultima generazione p o t e r o n o frequentare le scuole, e u n o di loro diventò ufficiale di artiglieria. Fu la crisi degli a n n i '80, q u a n d o sul mercato cominciarono a piovere i prodotti agricoli dell'America, che rese disagiate le loro condizioni. Per fortuna prop r i o in q u e l m o m e n t o decollava a P r a t o l'industria tessile. Mentre l'altro suo fratello si metteva a fare il calzolaio, Gaetano e n t r ò c o m e a p p r e n d i s t a nello stabilimento di filatura di un tedesco, che aveva c o m p r a t o u n a m e t à del loro p o d e r e . A vent'anni (era n a t o nel '69, lo stesso g i o r n o del Principe ereditario Vittorio E m a n u e l e ) , G a e t a n o era un giovanotto che si faceva n o t a r e , e n o n solo p e r la sua abilità di oper a i o . E r a a n c h e u n o dei p i ù attivi militanti della sezione a n a r c h i c a locale, fra le p i ù forti d'Italia. Essa trovava alim e n t o negli scompensi creati da quella improvvisa trasformazione del ceto c o n t a d i n o in proletariato di fabbrica, ch'era la c o n d i z i o n e su cui B a k u n i n aveva o p e r a t o c o n t a n t o successo. Gaetano, c o m e suo fratello L o r e n z o , a p p a r t e n e v a alla frazione p i ù i n t r a n s i g e n t e e n o n ne faceva m i s t e r o . S c h e d a t o c o m e «anarchico pericoloso», fu accusato di aver organizzato u n o sciopero, che a quei t e m p i veniva consider a t o un delitto, e m a n d a t o con u n a c i n q u a n t i n a di compagni in confino di polizia a L a m p e d u s a . 298
Ci rimase oltre un a n n o , e q u a n d o t o r n ò dovette a n d a r e a cercarsi un altro lavoro a Barga. Lo trovò p e r c h é era bravo, diventò anzi c a p o s q u a d r a , e riprese le sue abitudini che, a p a r t e le discussioni politiche, e r a n o quelle di un play-boy di paese. Investiva i suoi soldi in abiti tanto che lo chiamavano «il paino» e il suo t e m p o libero in d o n n e con le quali, bel ragazzo c o m ' e r a , aveva g r a n successo. Da u n a di esse ebbe anche un figlio. E forse fu p r o p r i o p e r sottrarsi all'impegno del m a t r i m o n i o che alla fine del '97 decise di trasferirsi in America. L'emigrazione italiana o l t r e O c e a n o e r a fatta allora in g r a n maggioranza di o p e r a i tessili centro-settentrionali, che avevano il loro p u n t o di forza e di raccolta a Paterson, u n a città di centomila abitanti nel New Jersey. Le loro organizzazioni p i ù attive e r a n o quelle a n a r c h i c h e : la «Società p e n siero e azione», quella «per il diritto all'esistenza», la «Biblioteca libertaria». D i s p o n e v a n o di u n a casa editrice, Era nuova, e di un periodico, La Questione sociale. T e n e v a n o congressi e conferenze, cui p a r t e c i p a v a n o i p i ù prestigiosi capi ven u t i a p p o s t a dall'Italia. U n a volta ci capitò Malatesta, che v e n n e v i o l e n t e m e n t e c o n t e s t a t o d a u n tal Ciancabilla. A l c u l m i n e del diverbio, r i m b o m b ò u n o s p a r o , e Malatesta si accasciò a t e r r a , ferito a u n a gamba, m e n t r e un giovane balzava sullo s p a r a t o r e immobilizzandolo. La polizia si trovò di fronte a un m u r o di o m e r t à e n o n cercò di perforarlo. Aveva stima di quegl'italiani, eccellenti lavoratori e onesti cittadini, e considerava la loro anarchia un frutto del loro passato di p e r s e g u i t a t i c h e , in un Paese libero c o m e l'America, avrebbe p e r s o la sua motivazione, e q u i n d i a n c h e la sua virulenza. Il provane che aveva d i s a r m a t o l ' a t t e n t a t o r e e r a Bresci. Egli si e r a p e r f e t t a m e n t e inserito n e l l ' a m b i e n t e , aveva imp a r a t o u n p o ' d'inglese, e r a d i v e n t a t o c a p o - r e p a r t o i n u n cotonificio, e partecipava attivamente alle riunioni politiche che si t e n e v a n o in u n a saia del «Bertoldi's Hotel», d e c o r a t a dai ritratti di Passanante, Caserio, Barsanti, Angiolillo, Ac299
ciarito, Luccheni: il G o t h a dei regicidi. Ma n o n aveva r i n u n ziato a vestirsi con ricercatezza e a c o r r e r dietro alle gonnelle. C'era in lui un f o n d o di snobismo. Per s e d u r r e u n a ragazza i r l a n d e s e , Sofia K n i e l a n d , c h e aveva il c a r a t t e r e dei suoi rossi capelli e n o n e r a a n a r c h i c a , le r a c c o n t ò che suo p a d r e possedeva u n a fami in Toscana e attribuì qualche grado in più al suo fratello t e n e n t e , col quale p r i m a di partire aveva rotto i ponti. N o n si sa se furono r e g o l a r m e n t e sposati. Ma vissero c o m e se lo fossero, ed e b b e r o u n a b a m b i n a , Madeline. Gli a v v e n i m e n t i italiani d e l '98 e le c a n n o n a t e di Bava Beccaris e b b e r o u n ' e c o p r o f o n d a fra gli anarchici di Paterson. N e i l o r o r a d u n i si c h i e d e v a a g r a n voce la m o r t e del Re, e u n a bella pasionaria biellese, Ernestina Crivello, giunse a offrire spavaldamente le p r o p r i e grazie a chi lo avesse ucciso. N o n si è mai saputo se in questo infuocato clima m a t u rasse un vero e p r o p r i o complotto. Si sa soltanto che in quel p e r i o d o Bresci a b b a n d o n ò il suo hobby della fotografìa p e r dedicarsi a un altro: il tirassegno con la rivoltella. Ne aveva c o m p r a t a u n a di quelle che si v e d o n o nei film western, e p r e sto fu in g r a d o di maneggiarla da sceriffo, infilando da dieci m e t r i la pallottola nel collo di u n a bottiglia senza r o m p e r l o . Ai p r i m i del '900 disse a Sofia che doveva «fare un salto in Italia» p e r spartire coi fratelli l'eredità del p a d r e , da p o co m o r t o , e a m e t à maggio s'imbarcò su un piroscafo francese in r o t t a p e r Le H a v r e . Il biglietto n o n e r a intestato a lui, ma a un certo Cesare Bianchi, di cui n o n si è mai accertata l ' i d e n t i t à , e q u e s t o p a r t i c o l a r e f o r n ì in s e g u i t o a r g o m e n t i alle ipotesi p i ù svariate. Un Bianchi, a Paterson, c'era. Ma si chiamava Luigi, ed era lo p s e u d o n i m o di un certo S p e r a n d i o C a r b o n e , figura p i u t t o s t o equivoca, c h e di lì a p o c o uccise un tal Pessina e si suicidò in c a r c e r e lasciando u n a l e t t e r a in cui diceva c h e , s o r t e g g i a t o p e r a t t e n t a r e al Re d'Italia, aveva preferito lasciarne l ' o n o r e ad altri e servire la Causa l i q u i d a n d o Pessina che maltrattava e sfruttava i «compagni». Da questo q u a l c u n o indusse che «l'onore» era 300
toccato a Bresci, il quale si sarebbe servito del biglietto già acquistato p e r Bianchi. Ma è un'ipotesi macchinosa e poco credibile. Sulla n a v e , Bresci si t r o v ò i m b r a n c a t o con altri italiani. C'era anche u n a bella ragazza, che c o m e al solito n o n resistè alla sua corte. C o n lei trascorse u n a l u n a di miele a Parigi, e a n c h e d o p o c h e si f u r o n o lasciati seguitò a scriverle. A Genova trovò fermo posta un vaglia di 500 lire speditogli n o n si è mai saputo da chi. E il 7 g i u g n o arrivò a Coiano dal fratello calzolaio. Agli amici r a c c o n t ò , magnificandola, la sua vita americana, p a g ò pranzi e bicchierate, e t e n n e a mostrare i suoi sgargianti vestiti. Forse fu a n c h e p e r questo che la polizia si disinteressò di lui e si limitò a negargli il p o r t o d a r m e ch'egli aveva c a n d i d a m e n t e chiesto. N o n n e s e g n a l ò n e m m e n o la p a r t e n z a p e r Castel San Pietro in quel di Bologna, dove a n d ò a salutare la sorella sposata lì. Oltre la sorella, vi trovò anche u n a ragazza chiamata «la rizzona» p e r m o tivi che s'indovinano facilmente. Essa disse p i ù t a r d i di aver convissuto con lui a Bologna fino al g i o r n o in cui egli ricevette un misterioso t e l e g r a m m a e le a n n u n z i ò c h e doveva p r o s e g u i r e p e r Milano. Ci arrivò da solo il 24 luglio, p r e s e alloggio presso u n a famiglia privata in via San Pietro all'Orto, si mise a c o r t e g g i a r e la figlia della p a d r o n a , e forse avrebbe sedotto a n c h e quella se, d o p o aver ricevuto la visita di un misterioso g i o v a n e b i o n d o , n o n si fosse trasferito in fretta e furia a Monza, d o v e si a c q u a r t i e r ò in casa di un'affittacamere. A Monza fervevano i p r e p a r a t i v i di un saggio ginnico interprovinciale in p r o g r a m m a p e r d o m e n i c a 29. Li aveva organizzati la società atletica locale «Forti e Liberi» che si e r a assicurata a n c h e la partecipazione del Re alla p r e m i a z i o n e . Bresci trascorse i d u e giorni di attesa facendosi scarrozzare lungo i viali del Parco Reale. In quel m o m e n t o s e m b r a che il suo p i a n o fosse di c o m p i e r e l'attentato m e n t r e il Re li p e r c o r r e v a a cavallo, c o m ' e r a solito fare t u t t e le m a t t i n e . Fu u n a p r o s t i t u t a , c o n cui e b b e un piccolo diversivo, a dirgli 301
che U m b e r t o a v r e b b e p r e s e n z i a t o il saggio. Allora cambiò programma. Quella mattina il Re si alzò, c o m e s e m p r e , di b u o n ' o r a , uscì p e r la consueta cavalcata nel parco col generale Avogadro di Q u i n t o , suo aiutante di c a m p o , e alla fine infilò il vialetto di Villa Litta, che aveva fatto illuminare p e r poterlo p e r c o r r e r e anche di notte. Sebbene avesse avuto molte altre amanti, Umb e r t o era s e m p r e rimasto devoto alla u l t r a s e s s a n t e n n e Duchessa, e trascorreva volentieri molti mesi a Monza a p p u n t o p e r averla vicina. La loro relazione e r a o r m a i di d o m i n i o pubblico e accettata anche da Margherita. La sera il Re faceva a tavola solo atto di p r e s e n z a p e r poi a n d a r e a p r a n z a r e da Eugenia, e la mattina passava a cavallo p e r salutarla. Si t r a t t e n n e con lei circa mezz'ora, r i e n t r ò a Villa Reale, r i p o r t ò da sé il cavallo in scuderia, e r a g g i u n s e lo studio p e r sfogliare i dispacci. Fra gli altri, ce n ' e r a u n o del P r i n c i p e e r e d i t a r i o , che dal Pireo d o v e si trovava in crociera con la moglie Elena a n n u n z i a v a il suo r i t o r n o . Prese la messa con la Regina, fece colazione con lei e a n d ò a riposarsi. La giornata e r a afosa: il t e r m o m e t r o segnava 36 gradi all'ombra. Il Re dovette aspettare il fresco del crepuscolo p e r sgranchirsi le g a m b e nel p a r c o , c o m e s e m p r e faceva. A cena fu allegro. Chiese a Margherita se voleva a c c o m p a g n a r l o al saggio ginnico, ma essa rispose che a quella festa di u o m i n i e di m u scoli si sarebbe trovata a disagio. Per il caldo, il Re aveva o r d i n a t o la carrozza scoperta, e p e r la stessa r a g i o n e aveva rifiutato la maglia d'acciaio che, d o p o l'attentato di Passanante, indossava sotto il gilè quando doveva c o m p a r i r e in pubblico. Lo seguivano i generali Ponzio Vaglia e A v o g a d r o , ma al posto dei d u e ispettori di polizia che di solito lo p r o t e g g e v a n o , ce n'era u n o solo: l'altro, Piano, era stato allontanato pochi giorni p r i m a p e i x h é i suoi m o d i di birro d a v a n o fastidio al Re. Il cocchio e n t r ò in c a m p o alle nove e t r e n t a , accolto dal Sindaco, dal Sottoprefetto e dal d e p u t a t o di Monza, Penna302
ti. In mezzo a g r a n d i applausi, il Re scese p e r p r e n d e r e posto sul palco m e n t r e la b a n d a intonava la marcia reale. I 500 atleti ripresero i loro giuochi. Il Re li seguiva con aria compiaciuta. A un certo p u n t o disse a Pennati: «Beati questi giovanotti. L'invidio proprio!» Bresci era a dieci passi da lui. Si e r a alzato la mattina piuttosto tardi, ed e r a a n d a t o a m a n g i a r e al «Caffè del Vapore». Sebbene ci fossero dei tavoli liberi, chiese a un avventore se poteva sedersi a quello suo, e si mise a p a r l a r e con lui. L'avventore era un tal Annovazzi, c o m m e r c i a n t e di cereali, che si trovava lì p e r r a g i o n i di lavoro, e c h e s o l t a n t o p a r e c c h i a n n i d o p o confidò q u e s t o p a r t i c o l a r e alla figlia. Bresci si p r e s e n t ò c o m e C a s e r i o , e la scelta di q u e s t o p s e u d o n i m o (Caserio e r a l'anarchico italiano che nel '54 aveva ucciso il Presidente della Repubblica francese, C a r n o t ) è a dir poco s o r p r e n d e n t e , ma il suo i n t e r l o c u t o r e n o n ci fece caso. Chiacchierò del più e del m e n o , ma a un certo p u n t o p a r v e cadere in p r e d a a u n a profonda malinconia, m o r m o r ò : «Oggi è p e r me u n a b r u t t a giornata», e q u a n d o si s e p a r a r o no quasi abbracciò l'Annovazzi e gli disse: «Mi g u a r d i b e n e , perché lei forse si ricorderà di me p e r tutta la vita. C o m u n que, mi a u g u r o di rivederla». Nel corso della giornata, e n trò cinque volte nella stessa gelateria a mangiarvi un gelato alla crema. Alle nove di sera, e r a davanti all'ingresso del c a m p o . Voleva c o m p i e r e lì il suo attentato p e r riservarsi qualche possibilità, sia p u r e r e m o t a , di fuga. Ma q u a n d o la carrozza reale gli passò d a v a n t i a p o c h i m e t r i , n o n riuscì a d i s t i n g u e r e il Re, o forse la decisione gli v e n n e m e n o . Così e n t r ò dietro al cocchio, mescolato alla folla. E a p p r o f i t t a n d o della confusione, che doveva essere notevole, riuscì a r a g g i u n g e r e la terza fila delle sedie, p r o p r i o di fianco alla t r i b u n a r e a l e . Dalla sua vittima Io separava u n a distanza m i n o r e di quella a cui era solito infilare i colli delle bottiglie. Ma preferì aspettare. Poco d o p o le dieci, ebbero inizio le premiazioni. Il Re, in 303
p a l a n d r a n a n e r a , si tolse il gibus p e r offrire le c o p p e ai vincitori. C'era fra di loro u n a s q u a d r a trentina, cui disse ad alta voce: «Sono lieto di stringere la m a n o a degl'italiani». La frase, in bocca a un fautore della Triplice c o m e lui, fece effetto e fu sottolineata dal pubblico con g r a n d i applausi. Poi, affiancato dai d u e G e n e r a l i , egli scese i c i n q u e g r a d i n i del palco, s t r i n g e n d o molte mani, e salì sulla carrozza con Ponzio di lato, Avogadro di fronte. Si sporse a n c o r a a salutare, m e n t r e la pariglia si avviava. E fu p r o p r i o q u a n d o compiva questo gesto di saluto che tre spari r i m b o m b a r o n o . II Re si accasciò in avanti, c o n t r o le ginocchia di Avogadro. «Avanti, c r e d o d'essere ferito», m o r m o r ò a p p o g g i a n d o s i alla spalla di Ponzio, e c a d d e riverso. Sparati a u n a distanza di cinque metri, i tre proiettili e r a n o a n d a t i tutti a bersaglio. Ci fu nella folla un attimo di s m a r r i m e n t o , di cui l'attentatore tentò di approfittare p e r cercare scampo. Ma u n o degli atleti gli fu addosso, e il cocchiere L u p p i Io immobilizzò. «Vi sbagliate! N o n ho sparato io!» gridò Biesci. Ma p u g n i e b a s t o n i si a b b a t t e r o n o su di lui, e i c a r a b i n i e r i d o v e t t e r o m e t t e r c e l a tutta p e r sottrarlo al linciaggio. A b o r d o di u n a carrozza requisita a un passante, lo c o n d u s s e r o in caserma e lo sottoposero i m m e d i a t a m e n t e a un p r i m o interrogatorio. Raccontò docilmente, senza m e n t i r e , c o m e si e r a n o svolti i fatti. Poi chiese che lo lasciassero riposare, e si a d d o r m e n t ò d i colpo, c o m e u n b a m b i n o r e d u c e d a u n a scampagnata. Il Re e r a stato trasportato alla Villa Reale, ma vi era giunto cadavere: u n o dei tre proiettili gli aveva centrato il cuore. Subito avvertita, la R e g i n a e r a accorsa sotto gli scrosci del t e m p o r a l e improvvisamente scoppiato. «Lo vidi come Gesù d e p o s t o dalla Croce» dirà p i ù tardi a Osio. A chi cercava di allontanarla rispose: «Sono d o n n a , ma forte». Chiese al chir u r g o la pallottola estratta dal petto di U m b e r t o , e la ripose in un cofanetto. Poi m a n d ò a c h i a m a r e la m a r c h e s a Litta e la lasciò sola al capezzale del defunto. Vittorio E m a n u e l e navigava i g n a r o di essere già Re. Lo s e p p e solo q u a n d o il panfdo e n t r ò nel p o r t o di Reggio Cala304
bria, e il Prefetto, a n d a n d o g l i incontro, lo chiamò «Maestà». Fra lui e suo p a d r e , n o n c'era mai stato affetto. Q u a n d o arrivò a Monza, il p r i m o o r d i n e che i m p a r t ì fu di c h i u d e r e il vialetto c h e conduceva a Villa Litta e di toglierne i lampioni. Fra lo stile di sua m a d r e e il suo la differenza si a n n u n z i a v a notevole. Il processo fu celebrato a t a m b u r o battente, e si a p r ì un m e se d o p o il regicidio. Bresci chiese di essere assistito da Filippo Turati, m e t t e n d o l o in u n a posizione di e s t r e m o disagio. Turati aveva s e m p r e difeso i sovversivi, ma e r a a n c h e il capo di un p a r t i t o c h e in q u e i g i o r n i e r a accusato di complicità m o r a l e coi t e r r o r i s t i a n a r c h i c i . E b b e un colloquio col prigioniero e lo p e r s u a s e a n o m i n a r e suo p a t r o n o Merlino. Questi accettò l'incarico, ma solo alla vigilia del dibattimento gli fu concesso di p a r l a r e col suo cliente. Bresci fu c o n d o t t o in C o r t e d'Assise nel cuor della notte p e r p r e v e n i r e d i s o r d i n i al s u o passaggio. Al d i b a t t i m e n t o , che cominciò alle nove, furono ammessi soltanto i giornalisti e i testimoni. Merlino contestò la giuria, ma v e n n e tacitato. L'ordine e r a di far p r e s t o , e infatti il caso fu sbrigato in dieci o r e . C o n calma, l ' i m p u t a t o s m o n t ò l'ipotesi del complotto avanzata dall'accusa, e m a n t e n n e la sua affermazione di n o n aver avuto complici. Perse le staffe solo q u a n d o l'avvocato d'ufficio che gli aveva assegnato il tribunale cercò di farlo p a s s a r e p e r pazzo. Merlino fece q u e l che p o t è d a n d o al delitto u n a m o t i v a z i o n e politica, ma il P r e s i d e n t e gl'ingiunse di attenersi ai fatti. Ultimo p a r l ò Bresci e disse: «La vostra c o n d a n n a mi lascerà indifferente. Sono convinto di n o n e s s e r m i i n g a n n a t o f a c e n d o quello che h o fatto. I o m i appello soltanto alla p r o s s i m a rivoluzione!» La sentenza fu quella che tutti si aspettavano: ergastolo con sette anni di segregazione cellulare. Lo t e n n e r o a n c o r a tre mesi a S. Vittore, legato con u n a catena alla p a r e t e . Poi lo t r a s f e r i r o n o a P o r t o l o n g o n e , e lo rinchiusero nella stessa cella in cui Passanante aveva langui305
to otto a n n i ed era diventato pazzo. Ma il luogo n o n fu cons i d e r a t o a b b a s t a n z a sicuro, e un s e c o n d o t r a s f e r i m e n t o fu o r d i n a t o nel penitenziario di S. Stefano a Pantelleria, dove fu a p p r o n t a t a a p p o s i t a m e n t e p e r lui u n a cella ricalcata su quella di Dreyfus all'Isola del Diavolo. A n c h e lì tuttavia i c a r c e r i e r i e r a n o p r e o c c u p a t i . Alla polizia e r a g i u n t a la segnalazione che l'ex-regina di Napoli, Maria Sofia di Borbon e , aveva offerto il p r o p r i o aiuto agli anarchici se avessero tentato di liberare il loro c o m p a g n o . Q u e s t o episodio lo racconta a n c h e Croce, cui lo aveva confidato Giolitti. Il governo dovette q u i n d i t r a r r e un respiro di sollievo q u a n d o da S. Stefano giunse la notizia che Bresci si era impiccato. Solo gli a n a r c h i c i c o n t e s t a r o n o la tesi d e l suicidio, ma senza tuttavia p o t e r a d d u r r e qualche e l e m e n t o c o n t r o di essa. Solo d o p o p a r e c c h i a n n i dei d u b b i f u r o n o avanzati anche da altre parti, ma in base a voci piuttosto vaghe. Ultimam e n t e A r r i g o Petacco ha c e r c a t o di r i c o s t r u i r e i fatti sulle «relazioni segrete» al Ministero d e g l ' I n t e r n i . Ma il fascicolo che r i g u a r d a la m o r t e di Bresci era vuoto: q u a l c u n o lo aveva a s p o r t a t o o soppresso. U n a sola circostanza e m e r g e , abbastanza significativa: che l'ispettore m a n d a t o da R o m a per i n d a g a r e sul fatto si trovava nell'isola già q u a t t r o giorni prim a c h e q u e s t o accadesse. L a sfasatura d i d a t e n o n p r o v a nulla. Prova soltanto che la nostra polizia ha u n a specie di congenita vocazione a i n t r o d u r r e nei suoi r a p p o r t i e inchieste qualche e l e m e n t o che giustifica e autorizza i peggiori sospetti. Nella saletta del «Bertoldi's Hotel» di Paterson, il ritratto di Bresci si e r a a g g i u n t o a quelli degli altri m a r t i r i . Sofia, c h e frattanto aveva d a t o alla luce u n ' a l t r a b a m b i n a , difese t e n a c e m e n t e la m e m o r i a del suo c o m p a g n o , fu aiutata dagli altri italiani, ma nel '26 lasciò Paterson, e n o n si è mai saputo p i ù nulla né di lei né delle sue figlie cui aveva dato il proprio cognome. Pochi a n n i d o p o il regicidio, a c c o m p a g n a t o dal sindaco socialista di M o n z a , un u o m o a n d ò a visitare la cappella 306
espiatoria che la città aveva innalzato a ricordo dell'avvenim e n t o , e c o n un sasso s c h e g g i a t o scrisse sulla cancellata " M o n u m e n t o a Bresci". Q u e l l ' u o m o si c h i a m a v a B e n i t o Mussolini.
Indro Montanelli
L'ITALIA DI GIOLITTI (1900-1920)
AVVERTENZA
Mi sembra superfluo spiegare al lettore perché a questo volume, che abbraccia i due primi decenni del Novecento, dal regicidio di Monza al «Natale di sangue» di Fiume, ho dato per tìtolo L'Italia di Giolitti. Nessuno può contestare che sia stato lui, ultimo grande notabile, a dominare questo periodo, non soltanto sul piano politico, ma anche su quello del costume. E nessuno può nemmeno contestare che la sua caduta segnò quella del regime liberale e delle sue democratiche istituzioni. Eavvenimento che fece precipitare la crisi - su questo mi pare che la storiografia sia pressoché unanime - fu l'intervento in guerra. Ed ecco perché ad esso ho dedicato tanti capitoli, ma tenendo l'occhio fisso, più che ai fatti militari, alle loro conseguenze economiche e sociali. Al di là della vicenda dello Stato Maggiore, mi ha interessato quella del fante perché la trasformazione della società italiana avvenne in trincea. Fu attraverso la trincea che le masse irruppero sulla scena politica e ne diventarono protagoniste sovvertendone quel tradizionale assetto di cui Giolitti era l'incarnazione e il garante. Il lettore si stupirà del poco rilievo che ho dato a Mussolini. Ma il fatto è ch'egli comincia quando il libro finisce, e quindi mi riservo di prendere daccapo il filo della sua avventura nel prossimo volume che si chiamerà appunto L'Italia di Mussolini. Non so se riuscirò a completarlo per l'anno venturo. Temo proprio di no, ora che la professione di giornalista mi richiama in servizio a tempo pieno. In tal caso, spero che i lettori mi perdoneranno l'infedeltà al solilo appuntamento natalizio. Per mia volta, una dilazione me la possono concedere. Come al solito, debbo chiedere scusa delle molte cose che mancagli
no al panorama di questo ventennio. Ma non ne conosco nessuno che possa dirsi completo. Ogni libro di storia è il frutto di una scelta, e anch'io ho dovuto fare le mie: se qualcuna ne ho sbagliata, il lettore mi usi indulgenza. Infine, un ringraziamento alla signora Maria Stella Signorini Sernas per il valido e intelligente aiuto che anche stavolta mi ha dato nelle ricerche. I. M. Ottobre 1974
PARTE PR I\L\
CAPITOLO PRIMO
IL N U O V O RE
L'uccisione di U m b e r t o a v v e n u t a a M o n z a il 29 luglio del 1900 r i e m p ì l'Italia di esecrazione e di p a u r a . A n c h e coloro che p i ù a v e v a n o motivi d i s c o n t e n t e z z a n e i c o n f r o n t i d e l cosiddetto «sistema» c o m p r e s e r o che q u e l p o v e r ' u o m o assassinato a f r e d d o m e n t r e se ne tornava da u n a gara sportiva aveva p a g a t o colpe n o n sue. A n c h e se n o n e r a stato un g r a n R e , n o n aveva d e m e r i t a t o il titolo di « b u o n o » c h e - forse in m a n c a n z a di m e g l i o - gli e r a stato a p p i o p p a t o . «Gli volevamo più b e n e di q u a n t o credessimo» scrisse un liberale, Papafava, che n o n gliene aveva mai m o s t r a t o molto. Il r e p u b b l i c a n o Bovio dichiarò che accorciando di q u a l c h e a n n o la vita di U m b e r t o si e r a allungata di parecchi d e c e n ni quella della M o n a r c h i a . E gli stessi socialisti si g u a r d a r o no dal s o l i d a r i z z a r e col r e g i c i d a . T u r a t i si rifiutò di assum e r n e la difesa in t r i b u n a l e , e VAvanti! lo definì «un pazzo criminale». Ad esaltarne il gesto ci fu solo un frate, e francescano p e r g i u n t a : d o n G i u s e p p e Volponi, e l ' e p i s o d i o n o n e r a affatto casuale: nell'odio c o n t r o l'Italia laica risorgimentale, di cui il Re era l'incarnazione, i p r e t i b a t t e v a n o anche gli anarchici. I funerali si svolsero il 9 agosto, secondo il solito cerimoniale. Apriva il corteo il g e n e r a l e Avogadro r e c a n d o la spada del Re che gli e r a m o r t o fra le braccia. Poi, su un affusto di c a n n o n e tirato da sei cavalli, veniva il feretro su cui posavano l'elmo p i u m a t o del defunto, u n a b a n d i e r a di combattim e n t o , u n a sola c o r o n a con t r e n o m i : Margherita, Vittorio, Elena. Seguiva il cavallo preferito di U m b e r t o . Poi, d o p o la b a n d a coi t a m b u r i velati di n e r o , il n u o v o Re, solo, alcuni 315
passi avanti al folto stuolo dei Principi italiani e stranieri, e tutte le alte gerarchie dello Stato. N o n o s t a n t e fosse un giovedì e un caldo t o r r i d o , d u e fitte ali di folla si assiepavano l u n g o il percorso. Ma quale fosse il suo stato d ' a n i m o , lo d i m o s t r ò l ' o n d a t a di p a n i c o di cui fu i m p r o v v i s a m e n t e p r e d a e che si risolse in un g e n e r a l e fuggi-fuggi al g r i d o di: «Gli anarchici!» Gli anarchici n o n c'ent r a v a n o . Era stato solo un m u l o degli alpini che, imbizzito, aveva s t r a p p a t o la cavezza di m a n o al c o n d u c e n t e . Ma tale e r a il t e r r o r e delle «belve umane» seminato dai giornali, che ci scappò un m o r t o e u n a q u a r a n t i n a di feriti. Ne fu contagiato a n c h e il m a n i p o l o dei Principi, da cui si vide balzare un omaccione in b r a c h e e ciocie come un pastore p e r precipitarsi a far scudo del suo c o r p o al n u o v o Re. Era suo suocero, Nicola del M o n t e n e g r o . D u e giorni d o p o , m e n t r e la folla r o m a n a seguitava a sfilare dinanzi alla b a r a t u t t o r a esposta nel P a n t h e o n , Vittorio E m a n u e l e si presentava alle d u e C a m e r e riunite nella grande aula del Senato p a r a t a a lutto p e r prestare il g i u r a m e n t o e fare le p r i m e dichiarazioni. Tutti si a s p e t t a v a n o qualche a c c e n n o al regicidio e l ' a n n u n c i o di m i s u r e repressive. Ma n o n ci fu n i e n t e di t u t t o q u e s t o . C o m e n o n aveva versato u n a lacrima sul cadavere del p a d r e , così n o n ci fu da parte sua se n o n qualche parola convenzionale di cordoglio, subit o seguita d a u n a e n e r g i c a a f f e r m a z i o n e d i f i d u c i a nei princìpi liberali. I progressisti ne c o m p l i m e n t a r o n o il capo del G o v e r n o Saracco, r i t e n u t o a u t o r e di quella allocuzione. Ma questi dovette a m m e t t e r e che, d o p o avergliene commissionato il testo, il Re lo aveva disfatto e rifatto a suo m o d o . D o p o d i c h é aveva d e t t o che n o n c'era bisogno di leggi speciali né di speciali m a g i s t r a t u r e , n e a n c h e p e r giudicare il regicida. D o p o che Bresci fu c o n d a n n a t o all'ergastolo, fece assegnare un sussidio alla moglie e alla figlia rimaste in America. Il n u o v o Re era n a t o 1' 11 n o v e m b r e del '69 a Napoli dove suo p a d r e , tuttora Principe ereditario, era stato m a n d a t o 316
p e r conquistare alla Casa Savoia gli ex-sudditi dei B o r b o n e . Privo di calore e di colore, U m b e r t o n o n era molto a d a t t o al compito. Ma Margherita lo svolse a meraviglia, e fra le tante sue t r o v a t e p e r toccare il c u o r e di quella città ci fu a n c h e l'attribuzione al n e o n a t o del n o m e G e n n a r o d o p o quelli di Vittorio E m a n u e l e e F e r d i n a n d o p e r r a g i o n i di famiglia, e di Maria p e r addolcire la Chiesa con cui i r a p p o r t i restavano pessimi. Il p a r t o e r a stato laborioso e qualcosa doveva essere andato storto p e r c h é i medici p r o n o s t i c a r o n o che la p u e r p e r a n o n a v r e b b e p o t u t o avere altri f i g l i , c o m e infatti a v v e n n e . Ma il n e o n a t o a p p a r i v a , c o m e d i m e n s i o n i e peso, assolutam e n t e n o r m a l e : e di q u e s t o fu subito i n f o r m a t o l'ansioso n o n n o che giaceva a Firenze a m m a l a t o . Per l'allattamento, il piccino fu d a t o in a p p a l t o a u n a balia locale, e p e r la prima educazione a u n a nurse irlandese, Elizabeth Lee, vedova di un ufficiale britannico, e n a t u r a l m e n t e cattolica p e r c h é la d e v o t a M a r g h e r i t a n o n a v r e b b e mai accettato u n a p r o t e stante. Elizabeth, d e t t a Bessie, r i m a s e q u a t t o r d i c i a n n i col suo pupillo, e fu u n a delle p o c h e c r e a t u r e che questi abbia amato. Il piccolo Principe aveva dieci mesi q u a n d o i c a n n o n i di C a d o r n a s f o n d a r o n o Porta Pia, e aveva da p o c o c o m p i u t o un a n n o q u a n d o fu trasferito a R o m a al seguito dei suoi genitori. N a t u r a l m e n t e la sua m e m o r i a n o n registrò quegli avvenimenti. Ma registrò u n a frase di suo p a d r e che un giorno, a d d i t a n d o l o all'ambasciatore Tornielli, esclamò in t o n o di scherno: «Guardi che bei frutti d a n n o i m a t r i m o n i fra parenti!» Effettivamente, c o m e frutto, Vittorio E m a n u e l e n o n e r a da vetrina. Era cresciuto, ma solo di testa e di tronco. Di arti e r a r i m a s t o s o t t o s v i l u p p a t o , e sulle g a m b e r a c h i t i c h e si reggeva a stento: «Me le sento di vetro» diceva a Bessie. C h e questo d i p e n d e s s e dalle c o n s a n g u i n e i t à ancestrali, è molto probabile. Anche suo p a d r e , figlio di d u e cugini, aveva sposato u n a cugina. C o m u n q u e , il ragazzo si r e n d e v a conto del317
la p r o p r i a a n o m a l ì a , ne soffriva, e i genitori n o n facevano nulla p e r alleviargli la p e n a . Un p o ' p e r c h é priva di senso m a t e r n o , un p o ' p e r c h é assorta dai suoi compiti di g r a n d e hostess d e l Q u i r i n a l e , un p o ' p e r c h é forse si v e r g o g n a v a di aver messo al m o n d o un p r o d o t t o così avariato, Margherita si occupava b e n poco di lui. E q u a n t o a suo p a d r e , lo trattava c o m e lui stesso e r a stato t r a t t a t o dal p a d r e suo, e come del resto era regola in Casa Savoia: con u n a freddezza che poteva arrivare alla brutalità. T u t t o q u e s t o n o n p o t e v a n o n avere riflessi sul carattere del piccolo Principe. A n c h e se nell'infanzia egli covò entusiasmi e a b b a n d o n i , q u e s t o t r a t t a m e n t o glieli s p e n s e . Un giorno che sua m a d r e , in vena di tenerezza, gli p r o p o s e una passeggiata p e r le vie di Roma, le rispose: «E dove vuoi and a r e a mostrarti con un nano?» Ad aprirsi, n o n trovava aiuto n e m m e n o negli amici. Gliene concedevano alcuni solo la d o m e n i c a , ma scelti u n i c a m e n t e s e c o n d o il r a n g o e dietro i m p e g n o di n o n dimenticarsi che avevano a che fare col fut u r o Re. E da futuro Re il Principino li trattava. «Oggi n o n si giuoca p e r c h é è l'anniversario della battaglia di Novara» disse loro u n a volta c o n g e d a n d o l i , e n o n aveva che sette anni. La sola che riuscì a stabilire con lui un r a p p o r t o abbastanza confidenziale fu u n a r a g a z z a dell'aristocrazia piem o n t e s e , Daisy Francesetti de H a u t e c o u r , c h e con la sua schiettezza s e p p e vincerne la ritrosia. Da vecchia essa lo ric o r d a v a c o m e u n b a m b i n o t i m i d o , cosciente della p r o p r i a inferiorità fisica, ma smanioso di nasconderla e di rivalersene in q u a l c h e m o d o . M a l g r a d o i l a n c i n a n t i d o l o r i ai piedi ingabbiati nelle scarpe o r t o p e d i c h e , si sforzava di ballare e di stare c o r r e t t a m e n t e in sella. Ma s o p r a t t u t t o si accaniva sui libri. Fin d ' a l l o r a sfoggiava u n a m e m o r i a quasi p r o d i giosa, di cui si serviva p e r c o n f o n d e r e e p r e n d e r s i qualche rivincita sul suo a i t a n t e ma i g n o r a n t e l l o c u g i n o , il Duca d'Aosta, di cui era e sarebbe s e m p r e rimasto geloso. Aveva nove a n n i q u a n d o t o r n ò in visita a Napoli con suo p a d r e , da p o c h i mesi salito al t r o n o , sua m a d r e , e il Capo 318
del G o v e r n o Cairoli. In carrozza, questi si accorse di d a r e la sinistra al Principe, e fece p e r cambiar di posto, ma U m b e r to lo t r a t t e n n e . Fu p e r q u e s t a svista di c e r i m o n i a l e ch'egli p o t è i n t e r p o r r e il p r o p r i o c o r p o fra quello del Re e il p u gnale del cuoco Passanante. Il piccolo Principe ebbe la sua divisa di m a r i n a r e t t o i m b r a t t a t a dal s a n g u e di Cairoli. Rimase, d i c o n o , impassibile, e ci c r e d i a m o : di coraggio fisico n o n fu m a i a c o r t o . Ma l'episodio d o v e t t e fargli u n a c e r t a impressione e insegnargli qualcosa sugl'incerti del mestiere di Re. Agli o m a g g i dei sudditi e alle loro proteste di fedeltà n o n credette mai. Su consiglio del Principe Ereditario di G e r m a n i a , g r a n de amico di U m b e r t o e Margherita, a fargli da p r e c e t t o r e fu c h i a m a t o il c o l o n n e l l o Osio, a d d e t t o militare della n o s t r a Ambasciata a B e r l i n o , al q u a l e s o n o state a t t r i b u i t e m o l t e colpe p e d a g o g i c h e . Si è detto che plagiò il suo pupillo e ne lesionò definitivamente il carattere terrorizzandolo e mortificandone gli slanci. Si è detto che a n c h e sul suo fisico ebbe pessima influenza costringendolo a penosi e logoranti sforzi. Si è detto che furono i suoi m e t o d i repressivi a c r e a r e nel Principe quei complessi d'inferiorità da cui fu s e m p r e afflitto, a traumatizzarlo, a inaridirlo, a r i e m p i r n e l'animo di sordi rancori. Ma se n o n p r o p r i o di falsità, si tratta di verità contraffatte. Militare dalla testa ai piedi, Osio era un u o m o d u r o , imperioso, a b i t u a t o al c o m a n d o . «Il P r i n c i p e è libero di fare tutto quello che voglio io» diceva. Ma era anche un g r a n signore, perfetto u o m o di m o n d o , e nutrito di b u o n e letture. S e b b e n e la sua c a r r i e r a p o t e s s e e s s e r n e n o t e v o l m e n t e avvantaggiata, esitò m o l t o ad accettare l'incarico, vi si risolse solo dietro garanzia che n e m m e n o i genitori avrebbero più interferito nell'educazione del ragazzo, di cui egli diventava unico e assoluto responsabile, e al t e r m i n e della sua missione n o n beneficiò di n e s s u n o «scatto di g r a d o » . Q u a n t o ai sentimenti di ribellione e di animosità ch'egli avrebbe suscitato nel pupillo, è un fatto che le u n i c h e lettere di Vittorio 319
E m a n u e l e in cui si avverte un palpito di affettuosa e rispettosa gratitudine sono quelle ch'egli seguitò a scrivere al suo ex-precettore, il quale gli r i s p o n d e v a seguitando a sua volta a t r a t t a r l o da ex-pupillo. Q u a n d o M o r a n d i , scelto da Osio c o m e insegnante di lettere, pubblicò un libro p i e n o di piaggerìe p e r il Principe e di velenose insinuazioni c o n t r o Osio c h e gli aveva affidato q u e l l ' i n c a r i c o , Vittorio E m a n u e l e scrisse al C o l o n n e l l o : «Ha visto il libro di M o r a n d i ? N o n avrei mai pensato che si potessero s t a m p a r e t a n t e ridicolaggini». La verità è che i metodi di Osio, p e r q u a n t o d u r i , e forse p r o p r i o p e r questo, e r a n o i più congeniali all'allievo. Certi suoi caratteri e r a n o ereditari, e q u i n d i irrevocabili: la diffid e n z a e l'orgoglio dinastico. A dieci a n n i , sapeva già a mem o r i a l'albero genealogico e l'ordine di successione dei Savoia da U m b e r t o B i a n c a m a n o in giù. Di suo, aveva in più un certo interesse p e r la cultura, ma concepita soltanto come c u m u l o di nozioni, di d a t e e di dati. Fu il p r i m o Savoia a s a p e r scrivere l'italiano senza s f o n d o n i . Ma e r a assolutam e n t e p r i v o di fantasia e r e f r a t t a r i o alle i d e e generali. Q u a n d o a n d a v a a visitare u n a mostra di pittura, l'unica cosa di cui s'informava e r a n o i dati anagrafici di o p e r e e di autori. Q u a n t o alla musica, u n a volta disse che p e r lui n'esistev a n o d u e sole: la Marcia Reale e la n o n Marcia Reale. Della l e t t e r a t u r a , d e t e s t a v a t u t t o ciò c h e p u z z a v a di r e t o r i c a : il c h e , di u n a l e t t e r a t u r a c o m e quella italiana, gli consentiva di a p p r e z z a r e b e n poco. Per i giornalisti aveva un'antipatia istintiva e i r r i d u c i b i l e : li c h i a m a v a «parolai», s'indignava delle loro inesattezze, e n o n capiva p e r c h é i giornali n o n si limitassero alla pubblicazione delle notizie e degli atti ufficiali. Alla d u r a disciplina che p e r otto a n n i Osio gl'impose non si ribellò mai, s e b b e n e gli esercizi fisici, e s o p r a t t u t t o il cavallo, gli costassero atroci dolori di g a m b e e di piedi. La pedagogia di Casa Savoia e r a s e m p r e stata spartana, e che nelle sue particolari condizioni fosse controindicata è smentito 320
dal fatto che il suo c o r p o stortignaccolo e meschinello si rivelò resistentissimo alle fatiche, godette s e m p r e ottima salute, e fece di lui il p i ù l o n g e v o di tutti i Re Savoia. In u n a giornata che cominciava all'alba e che fra lezioni ed esercizi n o n gli d a v a t r e g u a fino alle n o v e di sera, n o n c'era p o s t o per svaghi e d i v a g h i . Tuttavia q u a n d o gli fecero d o n o di u n a m a c c h i n a fotografica col soffiettone, ne fece u n o dei suoi d u e hobbies, cui r e s t e r à fedele p e r t u t t a la vita. L'altro era la n u m i s m a t i c a , cui si a p p a s s i o n ò fin dai dieci a n n i , q u a n d o gli r e g a l a r o n o un soldo di Pio IX. Ciò che gli piaceva deile m o n e t e n o n e r a n o i p r e g i estetici, ma il destro che gli offrivano di r i c o s t r u i r n e a vista l'anagrafe: epoca, paese eccetera. Forse n o n e r a soltanto pignoleria, ma a n c h e un'istintiva reazione polemica a quelli ch'egli s e m p r e considerò i peggiori difetti nazionali: il p r e s s a p p o c h i s m o , la faciloneria, il dilettantesimo. «Si ricordi che il figlio di un Re, c o m e il figlio di un calzolaio, q u a n d o è asino, è asino» gli aveva detto Osio insediandosi nella sua carica di p r e c e t t o r e . Ma n o n ebbe bisogno di ripeterglielo spesso p e r c h é il pupillo d i m o s t r ò u n a vocazione financo eccessiva al lavoro di tavolino. Un po' p e r c h é si vergognava della sua miseria fisica, un p o ' p e r le p e n e che gli p r o c u r a v a il c a m m i n a r e e più ancora il cavalcare, preferiva la vita del t o p o di biblioteca. Anzi, ci si sentiva così vocato che, da q u a n t o egli stesso raccontò tanti a n n i d o p o al suo aiutante di c a m p o P u n t o n i , chiese a suo p a d r e di esentarlo dalla successione e di lasciarlo alla sua p r e d i l e t t a attività di s o m m o z z a t o r e di archivi. L'unico esercizio all'aria a p e r t a che gli piaceva e r a la caccia. Fu subito un b u o n fucile. Ma p e r via di quelle m a l e d e t t e «gambe di vetro», lo usava solo da fermo, alla «posta». C o m e aveva, s t r i n g e n d o i denti, imp a r a t o a cavalcare, così i m p a r ò a n c h e a ballare, e p a r e che lo facesse a n c h e c o n u n a c e r t a grazia. Ma a p p e n a salito al t r o n o , abolì i balli di Corte. A c o m p l e t a m e n t o della sua educazione, Osio lo condusse a fare i soliti giri in E u r o p a . Per c o n s e r v a r e l'incognito, il 321
Principe aveva un passaporto intestato al C o n t e di Pollenzo, l o stesso n o m e c h e a d o t t ò p a r t e n d o p e r l'esilio. Visitò u n p o ' tutti i Paesi g u a r d a n d o ciò che Osio gli diceva di guard a r e e s t e n d e n d o n e ogni sera p e r iscritto il bilancio in resoconti minuziosi, corredati di tutti i particolari - di clima, di o r a r i o , di prezzi -, ma a s s o l u t a m e n t e privi d'impressioni e o p i n i o n i . Vedeva il m o n d o c o m e lo vedeva la sua Kodak, e senza mai uscire dal binario che il p r e c e t t o r e gli tracciava. È lecito s u p p o r r e che, fin q u a n d o rimase sotto la sua giurisdizione, cioè fino ai v e n t ' a n n i , n o n c o n o b b e altre d o n n e che quelle che f r e q u e n t a v a n o la C o r t e , né ebbe con loro altro r a p p o r t o che il baciamano. Osio prese c o n g e d o da lui nel 1889, q u a n d o o r m a i erano p a r i g r a d o . Iscritto prò forma al collegio militare della N u n ziatella, il Principe aveva avuto la carriera r a p i d a di tutti i figli di Re: s o t t o t e n e n t e di fanteria a diciassett'anni, a venti era colonnello c o m e il suo precettore, dalla cui tutela veniva o r a e m a n c i p a t o . A q u a n t o p a r e , n o n la considerò u n a liberazione. Per q u a n t o severo sino alla crudeltà, Osio era stato in quegli otto a n n i l'unica p e r s o n a con cui aveva a v u t o un r a p p o r t o u m a n o . Coi genitori si e r a ritrovato solo d u e volte la settimana, il giovedì e la domenica, a p r a n z o . N o n aveva mai fatto loro confidenze, né mai ne aveva ricevute. In quell'immenso Quirinale, di cui detestava la solennità, il lusso e le c e r i m o n i e , aveva vissuto da e s t r a n e o . Ma a n c h e questo era in perfetto stile Savoia. D o p o che Osio se ne fu andato, seguitò a scrivergli quasi tutti i giorni. Q u a n d o i giornali rip o r t a r o n o la notizia del suo m a t r i m o n i o e ironizzarono sul fatto che la sposa aveva venticinqu'anni m e n o di lui, il Principe ne fu furioso c o m e di un insulto alla p r o p r i a persona. E diffìcile d i r e se p e r la vita militare avesse un vero trasporto. Ma da q u a n d o Crispi, avendolo visto u n a sera a cena in un r i s t o r a n t e r o m a n o , aveva r a c c o m a n d a t o al Re di proibirgli gli abiti civili, n o n aveva quasi mai più smesso la divisa. Per risparmiargli l'umiliazione di venire scartato, si e r a d o v u t o abbassare di alcuni centimetri il già basso mini-
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nio di altezza richiesto. E ora, per fargli far pratica di comando, gli venne affidato quello del l Reggimento di Fanteria a Napoli. Furono i suoi anni più belli. Strano a dirsi, Vittorio Emanuele amava Napoli, ne parlava benissimo il dialetto, e napoletano fu l'unico amico al quale concesse il tu: il Principe Nicola Brancaccio. Fu lui a istradarlo nella vita segreta di Napoli, che non era quella dell'alta società, ma dei camerini di teatro e di certi salotti e salottini che di rispettabile avevano solo la facciata. Il povero Prefetto Basile ebbe il suo daffare a seguire le piste dei due giovanotti e stabilirvi misure di sicurezza. Ma i suoi rapporti, invece di allarmarli, rallegravano il Re e la Regina, i quali avevano sempre temuto che il loro erede non fosse in grado di procurarne altri alla dinastia. Il sole di Napoli e la contagiosa allegria di Brancaccio avevano sciolto la ritrosia del Principe, che mostrava anzi notevole intraprendenza. Per fare fronte agl'impegni del rango, egli ebbe anche un'amante d'alto bordo, la baronessa Barracco, di cui le venne anche attribuita una figlia. Ma le sue preferenze andavano alle ballerinette e alle sciantose di approccio facile e di coscia lesta. Brancaccio aveva fatto presto a capire i suoi gusti, e li secondava da perfetto ciambellano. Con lui il Principe si apriva, anzi si spalancava alle confidenze, anche perché fra loro parlavano napoletano, una lingua in cui le confidenze diventano facili, e perfino obbligatorie. Vittorio Emanuele gliene serbò eterna gratitudine. Quando Brancaccio fu congedato da Generale per limiti di età, Vittorio Emanuele, ormai Re da un pezzo, lo fece nominare direttore della Biblioteca Reale a Torino, ma ogni poco lo chiamava a Roma perché solo lui riusciva a procurargli qualche intermezzo di buonumore con le sue piccanti e mimate storielle. Era l'unico a cui concedeva di raccontarne anche su Mussolini. Tanto è vero che, quando morì, si sparse la voce che lo avessero avvelenato i fascisti. La voce era certamente infondata perché tutto l'antifascismo di Brancaccio si sfogava solo nelle storielle. Ma la sua 9
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scomparsa fu p e r il Re un g r a n dolore. Per le esequie a n d ò apposta a Torino, e fu u n a delle r a r e apparizioni che vi fece nel corso del suo l u n g o R e g n o . Parlava il piemontese, e specie in c a m p o militare n o n si fidava che dei piemontesi. Ma n o n amava il Piemonte. L a felice s t a g i o n e n a p o l e t a n a d u r ò f i n o a l ' 9 4 q u a n d o , p r o m o s s o G e n e r a l e , lo t r a s f e r i r o n o a F i r e n z e . Ci si trovò malissimo. Scostante, insolente e beffarda, quella città sembrava fatta a p p o s t a p e r fargli r i m p i a n g e r e il calore, la tolleranza, l'ossequiosità di Napoli. Di Brancaccio, fra i toscani, n o n ce n ' e r a n o , e negli occhi della g e n t e , q u a n d o doveva sfidarli p e r q u a l c h e c e r i m o n i a ufficiale, n o n v e d e v a che lampi d'ironia. Per di più doveva difendersi dalle insistenze dei genitori, impazienti di dargli moglie: mai e r e d e al trono di Casa Savoia e r a arrivato a venticinqu'anni da scapolo. C o m e Osio gli aveva insegnato, Vittorio E m a n u e l e aveva obbedito s e m p r e e in tutto. Finché n o n era a n d a t o a N a p o li, n e a n c h e gli amici li aveva scelti di testa sua. N o n si era ribellato n e m m e n o q u a n d o a v e v a n o a l l o n t a n a t o d a C o r t e Daisy Francesetti, l'unica c o m p a g n a di giuochi c h ' e r a riuscita a vincere la sua ritrosia. Ma q u a n d o gli p a r l a r o n o di moglie, p u n t ò i p i e d i , e n o n ci fu n u l l a da fare: i risultati dei m a t r i m o n i c o m b i n a t i solo p e r motivi dinastici glieli docum e n t a v a lo specchio, q u a n d o ci si g u a r d a v a . C o m e disse più tardi al generale Porro: «Guardi b e n e c o m e mi h a n n o fottuto le gambe!» Per sua fortuna, il Re e r a distratto in quel m o m e n t o da b e n altri p e n s i e r i . Spinti da Crispi, ma col p i e n o consenso di U m b e r t o , i soldati italiani risalivano l'altopiano eritreo. Ligio alla regola di famiglia p e r cui «si r e g n a u n o alla volta», il Principe seguiva gli a v v e n i m e n t i da semplice spettatore. «Non capisco più nulla di questa b e n e d e t t a Africa - scrisse a Osio - e mi p a r e che a R o m a sian tutti allo stesso p u n t o mio, ciò che è disastroso.» Ma n o n chiedeva né informazioni né spiegazioni, tutto p r e s o u n i c a m e n t e dai suoi compiti di Gen e r a l e , di cui s e g u i t a v a a r e n d e r e m i n u z i o s o c o n t o al suo 324
ex-precettore. In caserma si c o m p o r t a v a come se i suoi scatti di g r a d o d i p e n d e s s e r o u n i c a m e n t e dallo zelo che vi spiegava. La notizia di A d u a l ' a p p r e s e dai giornali. « Q u a n t o è accaduto - scrisse al solito Osio - era p u r t r o p p o inevitabile. Parecchie cose n o n h o p o t u t o ancora capire: p e r c h é h a n n o attaccato c o n t r u p p e affannate, d o p o u n a l u n g a m a r c i a ; perché h a n n o m a n o v r a t o in t e r r e n o difficilissimo e poco conosciuto, p e r t r e c o l o n n e ; e p e r c h é n o n h a n n o atteso i rinforzi, c h ' e r a n o vicini. Q u i c o r r e voce che Baratieri ha abb a n d o n a t o A d u a al più tardi alle 10, m e n t r e le t r u p p e h a n no v a l o r o s a m e n t e c o m b a t t u t o fino al t r a m o n t o . La città è piena di pettegolezzi, il m o n d o politico in fermento.» Tutto qui. C o m e se quel disastro fosse capitato a un altro Paese invece che a quello di cui stava p e r diventare Re. D a q u e s t a l e t t e r a n o n e r a n o trascorsi c h e p o c h i mesi, q u a n d o Osio ne ricevette dal suo ex-pupillo u n ' a l t r a datata da C e t t i g n e : «Carissimo G e n e r a l e , n o n voglio lasciare il M o n t e n e g r o senza p r i m a ringraziarla dei suoi t a n t o gentili auguri. Ella è s e m p r e stato tanto b u o n o p e r m e ; mi ha fatto infinito piacere di s a p e r e la p a r t e che Ella p r e n d e alla mia festa; ho fatto tutto di testa mia e senza alcun aiuto della p o litica, la quale p e r fortuna è lontana mille miglia dal mio fidanzamento...» Il Principe era c e r t a m e n t e in b u o n a fede. Ma le cose n o n stavano e s a t t a m e n t e c o m e lui c r e d e v a c h e stessero. P r i m a che p e r quella sua, l'idea di dargli in moglie u n a principessa m o n t e n e g r i n a e r a p a s s a t a p e r la testa di Crispi, c h e nella sua consueta m a n i a di g r a n d e z z a sognava un'attiva politica italiana nei Balcani, di cui il M o n t e n e g r o p o t e v a essere il p u n t o d ' a p p o g g i o . I l M o n t e n e g r o e r a u n P r i n c i p a t o indip e n d e n t e sotto lo scettro di Nicola Petrovich N i e g o s , u n a specie di c a p o p a s t o r e che, rivestito di pelli di capra, a m m i nistrava la giustizia sotto l'albero di fico, a t e m p o p e r s o componeva poesie, e a chi gli chiedeva q u a n t i sudditi avesse, rispondeva: «Io e il mio amico lo zar di tutte le Russia ne abbiamo c e n t o c i n q u a n t u n milioni». La sua dinastia si reggeva 325
infatti grazie a l l ' a p p o g g i o dello Zar, che p a t e r n a m e n t e p r o v v e d e v a a n c h e ad o s p i t a r e alla C o r t e di P i e t r o b u r g o i suoi nove figli - tre maschi e sei femmine -, a farli istruire e a p r o c u r a r g l i vantaggiosi m a t r i m o n i . D u e ragazze le aveva già accasate con G r a n d u c h i di famiglia. Ne restavano quatt r o senza u n a lira d i d o t e , m a d i p o c h e p r e t e s e , d i gusti semplici, di costumi illibati, e s o p r a t t u t t o di s a n g u e sano e di fusto b u o n o . Vittorio E m a n u e l e c r e d e t t e di essere stato lui a scoprire la sua Yela, q u a n d o la c o n o b b e a Venezia nella p r i m a v e r a del '95. Viceversa l'incontro e r a stato d i s c r e t a m e n t e combinato da Crispi con l'assenso di U m b e r t o e Margherita. Essi dovevano recarsi a Venezia p e r l'inaugurazione di u n a mostra d'arte. Ma all'ultimo m o m e n t o , allegando n o n so quale pretesto, vi si fecero r a p p r e s e n t a r e dal Principe p e r c h é facesse gli onori di casa alle personalità che venivano a visitarla. F r a di esse c ' e r a a p p u n t o , c o n la m a d r e e la sorella, la principessa Yela, che invece sapeva benissimo p e r c h é si trovava lì. Era u n a bella ragazzona di ventitré a n n i , che a Piet r o b u r g o era stata lì lì p e r a n d a r e sposa a un giovane ufficiale della nobiltà baltica, il b a r o n e M a n n e r h e i m , futuro eroe nazionale della Finlandia, di cui nel ' 18 g u i d e r à la vittoriosa lotta di liberazione dalla Russia e nel '40 l'eroica resistenza. Chi scrive è stato ospite nella sua casa di c a m p a g n a presso Helsinki, e ci ha visto la fotografia di Yela con affett u o s a dedica. Vittorio E m a n u e l e simpatizzò con quella bella figliola dagli occhi languidi, ma nulla di più. U a n n o d o p o fu invitato a Pietroburgo p e r l'incoronazione dello zar Nicola I I . G u a r d a caso, c'era a n c h e Yela. E, a q u a n t o p a r e , fu il solo a n o n cap i r e c o m e mai se la ritrovava accanto ai banchetti e ai balliTutti facevano a g a r a p e r lasciarli a t u p p e r t ù , e lo Zar ogni t a n t o li p r e n d e v a p a t e r n a m e n t e sotto braccio p e r un giro in giardino. I n s o m m a , era un vero e p r o p r i o complotto internazionale. Ma lui era convinto che a R o m a n o n ne sapessero nulla, e fu con un certo t r e m o r e che, r i e n t r a t o in patria, 326
comunicò le p r o p r i e intenzioni al p a d r e : temeva che questi trovasse la scelta i n a d e g u a t a al suo r a n g o . Viceversa l'assenso fu c o n d i z i o n a t o soltanto alla p r e v e n t i v a c o n v e r s i o n e di Vela alla religione cattolica. Il Papa si sarebbe c o n t e n t a t o anche di u n a conversione successiva alle nozze. Ma Margherita si m o s t r ò più intransigente di lui. L ' a n n u n c i o del f i d a n z a m e n t o v e n n e d a t o i n agosto d a Cettigne, dove Vittorio E m a n u e l e era a n d a t o col suo panfilo Gaiola. Cettigne era un villaggio di un migliaio di abitanti ancora vestiti alla turca, e la Reggia u n a casetta a d u e piani, dove p e r m a n c a n z a di spazio le Principesse d o r m i v a n o tre per stanza. La sala del t r o n o era la piazza, dove Nicola dava udienza s e d u t o su u n a panca. Ma fu p r o p r i o questa semplicità c h e p i a c q u e a Vittorio E m a n u e l e . Egli chiese da sé la m a n o di Yela, che da quel m o m e n t o cominciò a c h i a m a r s i Elena. E Nicola, d o p o aver d a t o l'assenso, t o r n ò in piazza per m o s t r a r e a tutti il braccialetto che il Principe aveva portato come d o n o di fidanzamento alla futura Regina d'Italia. Si s p o s a r o n o in o t t o b r e , e subito s c o m p a r v e r o di scena. Vittorio E m a n u e l e p r e s e in affitto p e r pochi soldi l'isola di Montecristo, c o m p l e t a m e n t e deserta e senz'altra abitazione che un padiglione di caccia mezzo diroccato. Si divertì a ricostruirselo da sé, m a t t o n e su m a t t o n e , m e n t r e E l e n a gli preparava il p r a n z o in cucina. N o n fu u n a bizzarrìa da l u n a di miele. Anche q u a n d o , saliti sul t r o n o , a v r a n n o a disposizione palazzi e castelli, p r e f e r i r a n n o s e m p r e u n a vita a p p a r tata e p i c c o l o b o r g h e s e . Elena, c h e da r a g a z z a d i p i n g e v a , suonava il violino, c o m p o n e v a poesie c o m e suo p a d r e , e amava il tennis e la danza, rinunziò a questi passatempi a p pena vide che lui li detestava, anzi a d o t t ò come hobbies quelli di lui: la n u m i s m a t i c a e l'archeologia. Per il resto fu soltanto u n a d o n n a di casa, c o m e lo e r a stata a C e t t i g n e . Sap e n d o l o insofferente dei c a m e r i e r i , e r a lei che lo serviva a tavola, e p e r farsi i vestiti si prese in casa u n a sartina. Molti trovarono da ridire su questi suoi costumi poco regali, specialmente la sua o m o n i m a cugina, Elena d ' O r l é a n s , a n d a t a 327
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sposa al Duca d'Aosta, che la chiamava la bergère, la pastora. Ma il marito glien'era gratissimo e, p u r nel suo b u r b e r o mod o , glielo d i m o s t r a v a con piccole a t t e n z i o n i . N o n t o r n a v a mai a casa senza p o r t a r l e un mazzolino di fiori di c a m p o , e p e r tutta la vita si v a n t e r à di n o n aver mai baciato la m a n o ad altra d o n n a che a sua moglie. N o n risulta infatti che abbia avuto delle a m a n t i , e n e a n c h e delle avventure: la sua int r a p r e n d e n z a l'aveva sfogata a Napoli. Fra loro p a r l a v a n o in francese p e r c h é lei n o n riuscirà mai a i m p a r a r b e n e l'italiano. Ma p a r l a v a n o , e molto. Lei e r a l'unica p e r s o n a a cui lui diceva tutto. P u r t r o p p o , q u e s t ' a r m o n i a n o n dava frutti, e ciò preoccupava sia la Corte che il governo. C h e quella ragazzona impalm a t a p e r irrobustire il c e p p o stanco dei Savoia, fosse invece sterile? O fosse i m p o t e n t e lui, m a g a r i p e r q u a l c h e malattia venerea contratta a Napoli? Il dubbio era tanto più assillante in q u a n t o , se il t r o n o fosse rimasto senza eredi diretti, sarebbe passato all'Aosta che tutti sapevano un trastullo nelle mani della Orléans, miscuglio di spocchia francese e di devozione al Papa. Specie negli ambienti della Sinistra, quasi tutti massoni, si parlava con allarme di u n a «Monarchia guelfa». Gli unici c h e n o n c o n d i v i d e v a n o q u e s t i t i m o r i e r a n o i d u e interessati, p a g h i della loro a r m o n i a . G r a n p a r t e del loro t e m p o la passavano a viaggiare sul panfilo o r a ribattezzato Yela, che costituiva il l o r o u n i c o lusso, p e r c h é e n t r a m b i avevano la passione del m a r e e delle fotografie: cioè l'aveva lui, e lei l'aveva adottata. Si spinsero fino alle Spitzbergen, di o g n i paese che visitavano s t u d i a n d o p r i m a la storia e le c a r a t t e r i s t i c h e sui libri, e p o i r e d i g e n d o diligenti e p u n t i gliosi r a p p o r t i ch'egli inoltrava alla Reale Società Geografica. Il resto d e l l ' a n n o lo passavano a Napoli, dove si trovava il C o r p o d'Armata di cui lui aveva il c o m a n d o . Ma delle vecchie amicizie ne r i e s u m ò d u e sole: Brancaccio, con cui del resto aveva s e m p r e m a n t e n u t o confidenzialissimi r a p p o r t i , e la principessa Caracciolo di C a n d r i a n o , che diventò dama di c o m p a g n i a di Elena e svolse u n a p a r t e i m p o r t a n t e nella 328
vita della coppia. O g n i volta che lui e r a di cattivo u m o r e (e d o p o l'incoronazione gli capitò spesso), Elena la tratteneva a colazione o a cena p e r c h é raccontasse qualcosa in dialetto. E il rimedio si rivelava infallibile. Nei confronti della politica, egli seguitava a t e n e r e l'atteggiamento di s e m p r e , cioè di totale disinteresse. Sebbene il m o m e n t o fosse t r a i p i ù inquieti p e r via delle agitazioni sociali e delle m i s u r e repressive adottate da Rudinì e da Pelloux, c h e p o i s b o c c a r o n o n e i m o t i di Milano, nelle l e t t e r e del Principe a Osio, che restava il suo costante p u n t o di rifer i m e n t o , n o n s i t r o v a n o che d u e accenni: u n o all'attentato dell'anarchico Acciarito c o n t r o il Re, l'altro al tentativo di ottenere u n a «concessione» in Cina (ma lui la chiamava China). D e l l ' a t t e n t a t o d a v a la colpa al Q u e s t o r e ma s e n z ' a g g i u n g e r e u n a sola p a r o l a d i d e p l o r a z i o n e , e n e m m e n o d i t r e p i d a z i o n e p e r il p a d r e . All'impresa di C i n a si m o s t r a v a avverso v e d e n d o c i il pericolo di «una s e c o n d a Africa». Ma di queste o p i n i o n i n o n mise a p a r t e che il suo e x - p r e c e t t o re, e n a t u r a l m e n t e la moglie. Il 31 luglio del 1900 egli e r a con lei sul Yela in crociera nei mari della Grecia. N a v i g a v a n o da o l t r e un m e s e , Kodak a tracolla, p e r fissare sulla lastra p a n o r a m i , visitare scavi, cercare m o n e t e . O r a il panfilo e r a sulla via del r i t o r n o , e p u n tava su Reggio Calabria. Mattiniero c o m e s e m p r e , il Principe se ne stava sul p o n t e a g u a r d a r e il levar del sole, q u a n d o sul semaforo di C a p o dell'Armi si vide u n o sventolio di b a n diere. Il c o m a n d a n t e decifrò i m m e d i a t a m e n t e la segnalazione: il Principe e r a invitato ad a c c o r r e r e a Monza p e r c h é il Re e r a g r a v e m e n t e a m m a l a t o . D o p o u n ' a l t r a o r a di navigazione, u n a t o r p e d i n i e r a si fece incontro al Yela, con la bandiera a b b r u n a t a e a mezz'asta sull'albero. N o n c'era da equivocare: U m b e r t o era m o r t o , e il n u o v o Re e r a lui, Vittorio E m a n u e l e . «Maestà» gli disse infatti il P r e f e t t o di R e g g i o , venuto a p r e n d e r l o al p o r t o p e r scortarlo fino alla stazione, dove attendeva il t r e n o reale. 329
Per l'interminabile viaggio n o n volle nel vagone speciale altra c o m p a g n i a c h e quella di sua m o g l i e . N o n aveva che t r e n t u n a n n i , e di politica sapeva solo che il m o m e n t o era dei p e g g i o r i . Suo p a d r e n o n ve lo aveva mai iniziato, e coi suoi p r o t a g o n i s t i n o n aveva a l c u n a dimestichezza. U n o di essi lo aspettava a N a p o l i p e r fargli le s u e c o n d o g l i a n z e in lacrime: Crispi. Vittorio E m a n u e l e lo accolse a occhio asciutto e lo c o n g e d ò f r e d d a m e n t e . Salirono anche, p e r accompag n a r l o , il Duca di G e n o v a e i D u c h i di Ascoli, latori di una lettera di Margherita col resoconto del regicidio. L e g g e n d o lo ad Elena, la sua voce n o n ebbe un trasalimento. A Monza a r r i v a r o n o d o p o sessanta o r e di t r e n o e di caldo t o r r i d o d e n t r o il vagone con le t e n d i n e abbassate. La salma era anc o r a lì, contesa alla p u t r e f a z i o n e con iniezioni e ghiaccio. Depose un bacio sulla fronte del p a d r e , la p r i m a u d i e n z a la concesse a Osio che lo t r o v ò «calmo e risoluto», e il p r i m o o r d i n e che diede come Re fu di s b a r r a r e il sentiero che cond u c e v a dal p a r c o della villa r e a l e a quello della m a r c h e s a Litta, che M a r g h e r i t a invece aveva invitato a vegliare il cad a v e r e la notte dell'uccisione. Al P a n t h e o n , d u r a n t e la cerim o n i a f u n e b r e , l o u d i r o n o m o r m o r a r e con impazienza: « Q u a n t o la tirano lunga, questi preti!» E bastò p e r far circolare la voce che il n u o v o Re e r a massone. La voce era infondata, ma e r a vero che qualcosa, nei rapporti fra Quirinale e Vaticano, stava p e r cambiare. Carlo Alb e r t o e r a stato u n R e bigotto; Vittorio E m a n u e l e I I u n incredulo pieno di reverenza e perfino di u n a specie di superstizioso t i m o r e nei confronti della Chiesa; U m b e r t o I un agnostico osservante e p i e n o di r i g u a r d i p e r la Gerarchia. Il n u o v o Re n o n credeva, n o n praticava, e n o n trovava nemm e n o necessario salvare le a p p a r e n z e di u n a certa devozion e . Il suo anticlericalismo veniva un p o ' dalle l e t t u r e di cui si era n u t r i t o - Corate, S t u a r t Mill, A r d i g ò -, tutte positiviste, ma un po' a n c h e dalla coscienza del suo r u o l o . Più che un laico, era un ghibellino p r o f o n d a m e n t e conscio del ruolo antinazionale che la Chiesa aveva s e m p r e svolto in Italia» 330
e p i e n o di diffidenza nei suoi confronti. I n s t a u r ò r a p p o r t i cordiali col cappellano di Corte; ma, a differenza di q u a n t o avevano fatto U m b e r t o e Margherita, gli fece subito capire che il suo r e g n o era limitato alla cappella e che n e m m e n o lì avrebbe avuto molto da fare. N o n fu la sola novità. A p p e n a insediatosi in Q u i r i n a l e , ne chiuse le p o r t e alle a m a n t i di suo p a d r e , fece v e n d e r e i c e n t o c i n q u a n t a cavalli di cui U m b e r t o aveva r i e m p i t o le scuderie reali, e abolì i banchetti di Corte. Per obbligo di cerimoniale, a p p e n a finito il lutto, d i e d e un ballo, vi c o m p a r ve in r i t a r d o , r i m a s e p e r un p o c o a g u a r d a r e le quadriglie degli ospiti senza parteciparvi, si ritirò quasi subito, e l'ind o m a n i fece c h i u d e r e i saloni. Tutti i servizi di Corte furono ridotti all'essenziale, messi sotto chiave i liquori e perfino i sigari. Forse, se avesse p o t u t o , il n u o v o Re avrebbe licenziato volentieri a n c h e i corazzieri c h e con la l o r o p r e s t a n z a sembravano messi lì p e r far vieppiù risaltare la sua miseria. C o m e la Regina M a d r e accogliesse questa ventata di austerità in flagrante contrasto col fastoso t o n o ch'essa aveva dato al Quirinale, n o n s a p p i a m o . C o m u n q u e , essa ne aveva sloggiato p e r trasferirsi nel palazzo B o n c o m p a g n i c o m p r a t o a bella posta dal figlio. Elena invece ci si a d e g u ò benissimo. Ridusse all'osso il servitorame, assunse di p e r s o n a l'amministrazione di casa facendo i conti della spesa, a r r u o l ò u n a sartina p e r rivoltare i vestiti, e deliziò il marito con m a r m e l l a t e di castagne confezionate con le sue m a n i . A n c h e p e r lei fu un giorno di gioia q u a n d o c o m p r a r o n o e a n d a r o n o a stare a Villa Savoia: in quel Q u i r i n a l e tutto fasto, specchi e spocchia, n o n si e r a mai sentita a casa sua. Ma il c a m b i a m e n t o più i m p o r t a n t e fu quello dei r a p p o r ti col p o t e r e politico. Vittorio E m a n u e l e I I , p u r a v e n d o s e m p r e f o r m a l m e n t e rispettato la Costituzione, n o n aveva mai r i n u n z i a t o a c o n s i d e r a r e i suoi Ministri c o m e esecutori di ordini, e lo d i m o s t r a v a n o le sue collere contro coloro che vi si rifiutavano. P r e t e n d e v a ch'essi si sentissero legati d a i suoi personali i m p e g n i d ' o n o r e c o m e q u a n d o tentò di schie331
r a r e l'Italia a fianco di N a p o l e o n e I I I c o n t r o la Prussia e q u a n d o r i t a r d ò il t r a s f e r i m e n t o della capitale a R o m a per n o n d a r e un altro dispiacere al Papa. U m b e r t o , p u r senza il suo piglio e le sue i m p e n n a t e , teneva lo stesso paternalistico atteggiamento. Volubile e chiacchierone (non riusciva mai a t e n e r e un segreto), trattava b o n a r i a m e n t e i suoi Ministri fino a imprestargli d e n a r o c o m e aveva fatto con Crispi, serb a n d o con loro r a p p o r t i confidenziali a n c h e d o p o ch'erano scaduti di carica, e a n d a n d o a trovarli a casa loro. A n c h e lui rispettò s e m p r e la Costituzione, ma c'è da d u b i t a r e che l'avesse letta, e c o m u n q u e n o n ebbe mai un senso esatto delle «prerogative». E n t r a m b i poi detestavano il lavoro di tavolin o , avevano o r r o r e delle «carte», e le firmavano senza leggerle. Vittorio E m a n u e l e n o n attese n e m m e n o l'investitura per i n s t a u r a r e un n u o v o stile. Q u a n d o suo p a d r e c a d d e sotto la rivoltella di Bresci, P r e s i d e n t e del Consiglio era il piemontese Saracco, u n p r o b o m a g i s t r a t o o t t u a g e n a r i o , ultimo scampolo della vecchia Destra di Sella e di Lanza con la sua religiosa c o n c e z i o n e dello Stato e del bilancio dello Stato. Avarissimo, «non va mai in vettura - scriveva di lui il r e p u b blicano Barzilai, suo avversario -, r i n u n c i a n d o ai fondi stabiliti a l l ' u o p o in bilancio e m a n g i a al caffè C o l o n n a un po' di minestra e un pezzo di c a r n e . Gli basterebbe la cucina di Sparta». E p o r t a v a abiti t a l m e n t e lisi e impillaccherati che, q u a n d o p r e n d e v a il fucile p e r mettersi dietro a lepri o pernici (suo unico svago) gli amici dicevano che a n d a v a a caccia «fra le s u e macchie». La sera d e l regicidio, Saracco e r a in piazza E s e d r a , ad ascoltare l ' o r c h e s t r i n a d ' u n caffè, ma in piedi p e r r i s p a r m i a r e la c o n s u m a z i o n e . R i e n t r a n d o , trovò un t e l e g r a m m a con l'annuncio dell'accaduto. Corse al Ministero d e g l ' I n t e r n i p e r i m p a r t i r e disposizioni nell'eventualità di qualche disordine, e partì la notte stessa p e r Monza, a r e n d e r e omaggio al defunto. Era a p p e n a uscito dalla camera a r d e n t e c h e Vittorio E m a n u e l e lo convocò n e l suo studio. Senza dargli t e m p o di p r o n u n c i a r e le solite p a r o l e di 332
cordoglio, gli m o s t r ò le carte che si a m m u c c h i a v a n o sul tavolo. E r a n o decreti su cui il p a d r e n o n aveva fatto in t e m p o a d a p p o r r e l a firma, m a c h e s e c o n d o lui a n d a v a n o p o c o d'accordo c o n la Costituzione. S b a l o r d i t o , Saracco replicò che quello n o n e r a p r o b l e m a di c o m p e t e n z a del Re, il quale doveva limitarsi a firmare c o m e sin allora aveva s e m p r e fatto. «Già - rispose il Principe -, ma d ' o r a in avanti il Re firmerà solo gli e r r o r i suoi, n o n quelli degli altri.» Saracco, che oltre tutto passava p e r un g r a n d e esperto di Diritto, si sentì offeso e offrì seduta stante le dimissioni. Il Principe fece fìnta di n o n sentire, ma insistè che i decreti, p r i m a che alla firma, gli fossero portati in lettura. D o p o d i c h é spiegò al presidente c o m e concepiva i doveri suoi e quelli altrui. «Non ho la p r e t e s a - disse - di r i m e d i a r e con le sole m i e forze alle p r e s e n t i difficoltà. Ma sono c o n v i n t o c h e q u e s t e difficoltà h a n n o u n a causa u n i c a . I n Italia p o c h i c o m p i o n o esattam e n t e il loro d o v e r e : v'è t r o p p a mollezza e rilassatezza. Bisogna c h e o g n u n o , senza eccezioni, osservi e s a t t a m e n t e i suoi obblighi. Io sarò d ' e s e m p i o , a d e m p i e n d o a tutti i miei doveri. I Ministri mi a i u t e r a n n o , n o n cullando alcuno in vane illusioni, n o n p r o m e t t e n d o che q u a n d o s a r a n n o certi di p o t e r m a n t e n e r e . » Così a l m e n o riferisce Saracco, i g n a r o d e l l ' o p i n i o n e c h e di lui si e r a fatta Vittorio E m a n u e l e , il quale la riassunse in questo ritrattino, compilato in occasione della sua m o r t e : «Saracco, sotto a p p a r e n z e liberali, era molto reazionario. Vecchio u o m o , n o n s'era fermato n e m m e n o al 1848; la sua cultura e la sua vita e r a n o quelle del p e r i o d o della rivoluzione francese, e gli u o m i n i fra i quali pareva vivesse e r a n o Royer-Collard, Barras e simili. Aveva studiato da p r e t e , poi prese d u e mogli; nei suoi discorsi, oltre ai continui ricordi dei t e m p i di Luigi Filippo, c'erano s e m p r e citazioni dei Salmi della Bibbia. Era incapace di qualsiasi favore a chicchessia. Si trincerava in un severissimo riserbo, s p r o p o r z i o n a t o alla causa. "Questo n o n si p u ò fare" diceva, r i p e t e n d o l o come un intercalare in piemontese: Ma l'onpeut nenfese». 333
U n Savoia c a p a c e d i p e n e t r a r e u n c a r a t t e r e c o n tanta p r e c i s i o n e , di d e s c r i v e r l o con t a n t a sintassi, stringatezza, u m o r i s m o , e più ancora di trovarlo eccessivamente «reazionario», fin allora n o n si era mai visto.
CAPITOLO SECONDO
I L «MIRACOLO E C O N O M I C O »
I sanguinosi moti di Milano del '98 e tutti gli altri episodi di violenza culminati alla fine nel regicidio di Monza n o n e r a n o il frutto di un tenebroso complotto delle forze eversive, come sostenevano i giornali conservatori, ma i segni di un disagio autentico e motivato. Il Paese usciva da un b r u t t o decennio. La politica triplicista, cioè di alleanza con g l ' I m p e r i Centrali (Austria e G e r m a n i a ) ci e r a costata l'inimicizia della Francia che si vendicava con la g u e r r a doganale. La perdita del mercato francese metteva in crisi l'agricoltura che tuttora restava il pilastro dell'economia nazionale, m e n t r e l'avventurosa politica coloniale di Crispi i m p o n e v a spese militari sproporzionate alle risorse del Paese. La crisi n o n era soltanto italiana: quel decennio era stato di «recessione» p e r tutta E u r o p a . Ma in Italia, data la fragilità delle sue s t r u t t u r e , essa provocava gli scompensi più gravi, e p r o p r i o nel m o m e n t o in cui le classi popolari cominciavano ad acquistare coscienza dei p r o p r i diritti e a organizzarsi come forze politiche a u t o n o m e . Verso la m e t à degli a n n i n o v a n t a c'era stata u n a svolta. Per cause di cui qui s a r e b b e ozioso r i c o s t r u i r e i complessi fattori, l ' E u r o p a usciva dalla sua fase di recessione p e r inaug u r a r n e u n a di espansione. Ma l'Italia ne risentì p o c o . Com e n o t a v a P a n t a l e o n i , i l m o n d o p r o d u t t i v o italiano n o n aveva che scarsi e deboli contatti con quello internazionale. Né poteva essere d i v e r s a m e n t e finché l'Italia restava la frangia agricola - e di un'agricoltura afflitta da molti ritardi - di un Occidente industrializzato. Alla sua ripresa, che in breve volgere di a n n i si tradusse in vero e p r o p r i o «decollo», contribuirono altri motivi. 335
Il p r i m o furono le Banche. In Italia n a t u r a l m e n t e ce n'er a n o già. Anzi, come a b b i a m o spiegato ne LItalìa dei Notabili, ce n ' e r a n o t r o p p e p e r c h é , d o p o l'Unità, quasi tutti i vecchi Stati avevano voluto conservare le loro, il che provocava un g r a v e d i s o r d i n e finanziario. N o n solo. Ma i loro criteri di gestione e r a n o i m e n o adatti a svolgere compiti, c o m e oggi si dice, «promozionali». Le più forti, c o m e consistenza di fondi, e r a n o la Cassa Depositi e Prestiti, le varie Casse di Ris p a r m i o , e le B a n c h e Popolari. E r a n o queste che rastrellav a n o d u e b u o n i terzi del r i s p a r m i o nazionale, c h ' e r a un ris p a r m i o di piccola gente di provincia e di c a m p a g n a , ignara del m o n d o m o d e r n o , timorosa delle novità, e attaccata alla sicurezza. Dagli a m m i n i s t r a t o r i dei suoi stentati peculi essa esigeva investimenti m a g a r i di m o d e s t o utile, ma di tutto riposo, c o m e i m u t u i alle Province e ai C o m u n i p e r le o p e r e p u b b l i c h e , cartelle di c r e d i t o f o n d i a r i o , o titoli del debito pubblico. Alle B a n c h e o r d i n a r i e a n d a v a invece il risparmio dei ceti più i n t r a p r e n d e n t i e attivi che, a v e n d o maggiori disponibilità, t e n e v a n o m e n o alla sicurezza, ma di p i ù agli utili, e li volevano tali da c o m p e n s a r e il rischio. Ecco p e r c h é queste B a n c h e avevano finanziato le speculazioni, e specialmente quelle edilizie, che negli a n n i ottanta avevano conosciuto un vero e p r o p r i o boom. Poi, c o m e s e m p r e capita q u a n d o l'avventurosità p e r d e i freni e il controllo, e r a s o p r a v v e n u t a la crisi col suo funesto corollario di fallimenti e scandali. Quello della B a n c a R o m a n a aveva t r a v o l t o il p r i m o Ministero Giolitti e discreditato la classe politica p i ù di q u a n t o questa meritasse, m e n t r e altri d u e g r a n d i Istituti - il Credito Mobiliare e la Banca G e n e r a l e - avevano a d d i r i t t u r a d o v u t o ammainare bandiera. Il risultato complessivo di questa situazione, al principio degli a n n i n o v a n t a , e r a q u e s t o : che né le Casse p e r il loro a t t a c c a m e n t o alla p r u d e n z a , né le B a n c h e o r d i n a r i e p e r la loro p r o p e n s i o n e alla speculazione, e r a n o disposte ad inves t i m e n t i i n d u s t r i a l i , c h e c o m p o r t a n o s e m p r e u n notevole 336
rnargine di rischio e n o n garantiscono utili che a l u n g a scadenza. Ecco u n o dei fondamentali motivi p e r cui il decollo ritardava: p e r c h é gli m a n c a v a il p r i m o insostituibile p r o p e l lente: il capitale. In Italia ce n'era poco p e r c h é l ' a m m o n t a r e olobale del r i s p a r m i o nazionale n o n toccava i cinque miliardi. Di q u e s t o p o c o , la fetta p i ù grossa e r a c o n g e l a t a dalla p a u r a . E il r e s t o a l i m e n t a v a solo il giuoco d ' a z z a r d o della speculazione. La crisi aveva toccato l'acme nel '94, q u a n d o a p p u n t o il Credito Mobiliare e la G e n e r a l e e r a n o sprofondati nel baratro. Al p o t e r e era Crispi, l ' u o m o della Triplice. C o n t r o di lui la Francia n o n si contentava della rappresaglia d o g a n a l e che c h i u d e v a il suo m e r c a t o alla n o s t r a e s p o r t a z i o n e agricola. Con abili o p e r a z i o n i di borsa, essa faceva a n c h e crollare la q u o t a z i o n e dei n o s t r i titoli. Per f r o n t e g g i a r e l ' e m e r g e n z a , Crispi chiese a i u t o al suo g r a n d e a m i c o Bismarck. Q u e s t i persuase alcuni riluttanti finanzieri tedeschi a intervenire. E fu così che n a c q u e r o la Banca C o m m e r c i a l e Italiana a Milano, e il Credito Italiano a Genova. Sebbene l'iniezione di capitale fosse modesta - u n a diecina di milioni -, bastò a infondere fiducia nello scoraggiato mercato italiano. Ma il vero beneficio n o n fu questo. Gli uomini che vennero a dirigere i nuovi istituti - Toeplitz, Joel, Goldsmith erano dei finanzieri ebrei di g r a n d e esperienza internazionale, p e r i quali la Banca n o n doveva limitarsi ad operazioni di credito ordinario, ma farsi promotrice di u n a vasta mobilitazione di capitali per fornire il propellente all'industria. Il lancio di questo tipo di Banca «mista» n o n fu pacifico. I depositari del liberismo ortodosso, da Pantaleoni al giovine Einaudi, lo combatterono vivacemente con d u e argom e n t i d i t u t t o r i s p e t t o . P r i m o : che u n a Banca n o n p o t e v a p r o c e d e r e a investimenti che n o n fossero a p p r o v a t i dai d e positanti, i quali in Italia n o n e r a n o affatto disposti a sfidare i rischi delle i m p r e s e industriali. Secondo: che, se lo avesse fatto alle spalle del r i s p a r m i a t o r e , oltre a s o r p r e n d e r n e la b u o n a fede, avrebbe c o n t r a v v e n u t o al p r o p r i o i m p e g n o sta-
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tutario che proibiva gl'investimenti a scadenza più lunga di quella d e g l ' i m p e g n i c o n t r a t t i coi d e p o s i t a n t i , e c r e a t o u n a situazione di costante pericolo. In teoria, avevano r a g i o n e . E lo si vide nel '21 e nel '29, q u a n d o a n c h e l'Italia fu coinvolta nelle g r a n d i crisi internazionali di quegli anni, i risparmiatori fecero ressa agli sportelli p e r ritirare i loro depositi; e le B a n c h e miste, n o n pot e n d o far f r o n t e alla l o r o richiesta p e r c h é q u e i depositi li avevano investiti nelle industrie già colpite dalla recessione, furono travolte nel crollo generale. Ma nella situazione dell'Italia d'allora, n o n c'era scelta. T i m i d o e timorato com'era, da sé il r i s p a r m i o italiano n o n sarebbe mai a n d a t o agl'inves t i m e n t i i n d u s t r i a l i . B i s o g n a v a m o b i l i t a r l o di forza, come del resto aveva fatto la G e r m a n i a p e r r e c u p e r a r e il suo rit a r d o sull'Inghilterra. I banchieri tedeschi venuti a rianimare la finanza italiana, d'industria s'intendevano. E la sposar o n o come l'avevano sposata in casa loro, senza c h i e d e r n e il p e r m e s s o al risparmiatore. Fu questo il p r i m o fattore del decollo italiano. Ma n o n il solo. Il secondo fu l'energia elettrica. Si è s e m p r e detto che l'Italia è povera di m a t e r i e prime, ed è sostanzialmente vero. Tuttavia le sue viscere n o n sono affatto sfornite di risorse. P u r t r o p p o mancava quella fondam e n t a l e , c h e c o n d i z i o n a la l a v o r a z i o n e di t u t t e le altre: il c a r b o n e . N o n d i s p o n e n d o che di pochi giacimenti di lignite di cattiva q u a l i t à e m a l e sfruttati, il c a r b o n e e r a v a m o costretti a i m p o r t a r l o dall'estero specie d a l l ' I n g h i l t e r r a , a un p r e z z o che il costo d e i t r a s p o r t i r e n d e v a quasi proibitivo. Era p e r questo che la siderurgia n o n decollava: n o n potend o f o n d e r l o p e r l'eccessivo costo d e l c o m b u s t i b i l e , noi e s p o r t a v a m o il m i n e r a l e di ferro di cui il n o s t r o sottosuolo n o n era affatto avaro. N o n desta q u i n d i m e r a v i g l i a l ' e n t u s i a s m o suscitato fra noi dalla scoperta del «carbone bianco» c o m e fonte di ener338
o-ia. Solo il p r i m o soffione di m e t a n o sprigionato in Valpad a n a dalle s o n d e d e l l ' A G i P nel '51 p r o v o c ò a l t r e t t a n t a ebbrezza. P r o p r i o p e r il bisogno che avevamo di u n a fonte di energia che ci liberasse dalla servitù del c a r b o n e n e r o , l'Italia era, nel c a m p o dell'elettricità, all'avanguardia, grazie agli studi di F e r r a r i s e di Pacinotti. Infatti e r a a Milano c h ' e r a sorta la p r i m a centrale elettrica, quella di Santa R a d e g o n d a . Ma la sua applicazione su larga scala all'industria era condizionata dal p r o b l e m a d e l t r a s p o r t o a distanza, c h e a n c o r a non si era riusciti a risolvere. Solo nel '98 la centrale di Pad e r n o sull'Adda p o t è rifornire Milano con u n a rete di oltre 30 chilometri, e allora parve che più nulla si potesse o p p o r re al massiccio impiego del n u o v o fattore energetico. Fu p r o p r i o in q u e s t a occasione che la C o m m e r c i a l e e il Credito Italiano fecero sentire il loro peso. F u r o n o esse ad alimentare gl'investimenti delle società elettriche facendone passare in pochi a n n i il capitale da 30 milioni a 500 e port a n d o n e la p r o d u z i o n e da 60 milioni di kilowatt a oltre un miliardo. C o n molta accortezza, l'operazione finanziaria fu condotta in m o d o da facilitare la concentrazione dei capitali in poche società, di cui la Edison fu subito la capofila, ma di cui le d u e B a n c h e c o n t i n u a r o n o a controllare la c o n d u z i o ne. E questo fu il c a m p o in cui l'industria italiana svolse in tutta E u r o p a u n ruolo d ' a v a n g u a r d i a . Col passare del t e m p o si vide che, sebbene la tecnologia ne consentisse s e m p r e n u o v e applicazioni, l'elettricità n o n bastava a risolvere il p r o b l e m a delle fonti di energia. Ma il d i s i n g a n n o s o p r a v v e n n e solo q u a n d o le s p e r a n z e a v e v a n o già c o m p i u t o il miracolo. C o m e abbiamo detto, il decollo dip e n d e v a da quello della siderurgia. E lo s a p e v a n o benissimo anche i legislatori che s o p r a t t u t t o p e r stimolare la siderurgia a v e v a n o a d o t t a t o la n u o v a politica d o g a n a l e p r o t e zionistica, che metteva il cattivo ferro italiano ricavato a costi altissimi dai rottami importati al r i p a r o da qualsiasi concorrenza. Ma la misura n o n era bastata. Solo un a n n o d o p o l ' i n a u g u r a z i o n e della c e n t r a l e i d r o e l e t t r i c a di P a d e r n o , il 339
m o n d o siderurgico si mise in m o t o grazie all'intervento di u n a società belga che p r e s e in a p p a l t o il m i n e r a l e di ferro dell'Elba p e r l a v o r a r l o sul p o s t o , a P o r t o f e r r a i o . Se i dirigenti facevano a s s e g n a m e n t o su un'applicazione del carbon bianco a n c h e al loro c a m p o , furono c e r t a m e n t e delusi perché lo sviluppo dell'elettrosiderurgia si rivelò più lento e trib o l a t o di q u a n t o si s p e r a v a . Ma i n t a n t o essi a v e v a n o dato avvìo a un processo che o r m a i seguiva la sua p r o p r i a logica. C o n s i d e r a n d o l'ipoteca belga sull'Elba u n a minaccia per se stessa, la Terni, c h ' e r a la più forte azienda siderurgica italiana, si fece p r o m o t r i c e di u n a specie di «cartello», cioè di m o n o p o l i o n a z i o n a l e , u n e n d o s i con l a Metallurgia Ligure di R a g g i o e f o n d e n d o i p r o p r i interessi con quelli del pot e n t e g r u p p o cantieristico O d e r o - O r l a n d o . Alla testa di questa coalizione, essa s t r a p p a v a ai belgi l ' a p p a l t o dell'Elba e fondava i g r a n d i stabilimenti di Piombino e di Bagnoli. Anche queste operazioni, di cui r i s p a r m i a m o al lettore i dettagli tecnici, furono guidate dalle d u e n u o v e Banche, specialm e n t e dalla C o m m e r c i a l e . E sul p i a n o s t r e t t a m e n t e economico n o n furono p e r il Paese un affare p e r c h é , dati i ritardi di sviluppo dell'elettrosiderurgia, la lavorazione del minerale richiese un a u m e n t o delle importazioni di carbone, che r a p p r e s e n t a v a n o il passivo p i ù grosso della n o s t r a bilancia commerciale e, g r a v a n d o p a u r o s a m e n t e sui costi di p r o d u zione, facevano del nostro ferro un p r o d o t t o malato ed etern a m e n t e bisognoso di p r o t e z i o n e d o g a n a l e . A n c h e in questo settore gl'investimenti toccarono p r e s t o il mezzo miliard o , ma gli utili c h e d a v a n o e r a n o i p i ù bassi di tutti, e le a z i e n d e r i m a s e r o s e m p r e p e r i c o l a n t i a n c h e p e r c h é I'ILVA, che avrebbe d o v u t o c o o r d i n a r n e e razionalizzarne i compiti, n o n riuscì a farlo. In c o m p e n s o , l'esportazione del minerale cessò, la p r o d u z i o n e di ghisa passò da 8 mila a 400 mila tonnellate e quella dell'acciaio da 60 mila a un milione. A far le spese di questo cattivo e costoso materiale autarchico fu l'industria meccanica, che ad esso doveva attingere p e r via delle proibitive tariffe doganali che colpivano quello 340
s t r a n i e r o . E q u e s t o p r o v o c ò un r a l l e n t a m e n t o del suo svil u p p o , s e b b e n e lo Stato facesse del p r o p r i o meglio p e r ovviarvi con le sue «commesse». Ma gli ordinativi di traversine e carri ferroviari, p e r q u a n t o massicci (oltre mille locomotive e 3 mila carrozze in q u a t t r o anni), n o n bastavano. Ad anim a r e q u e s t o settore fu u n ' a l t r a novità, che p r o d u s s e p r e s sappoco gli stessi effetti psicologici del c a r b o n bianco: l'automobile. Nello spazio di pochi a n n i , le società produttrici si moltiplicarono fino a 70, e la F I A T , con u n capitale di 3 milioni, si p e r m i s e il lusso di distribuirne 5 di utili ai suoi azionisti. Fu qui che più si rivelarono i caratteri patologici e «selvaggi» d e l p r i m o (ma n o n soltanto del p r i m o ) «miracolo economico» italiano: l'imprevidenza, l'avventurosità, la rap i n e r i a . N o n ci voleva m o l t o a c a p i r e c h e a l l ' a u t o m o b i l e un'Italia ancora in g r a n p a r t e agro-pastorale non poteva fornire u n m e r c a t o : d o p o c i n q u e a n n i d i p r o d u z i o n e , n o n ne circolavano che 4 mila; e a n c o r a alla vigilia della p r i m a g u e r r a m o n d i a l e e r a n o arrivate a p p e n a a 20 mila. E p p u r e le a z i e n d e si m o l t i p l i c a r o n o e i capitali fecero ressa fino a provocare u n a crisi n o n m e n o esplosiva del boom che l'aveva p r e c e d u t a . Ma q u e s t o a v v e n n e solo nel 1907 e si risolse in un salutare r i d i m e n s i o n a m e n t o . Sebbene le sue azioni crollassero in p o c h e settimane da 450 a 17 lire, o forse p r o p r i o per questo, la F I A T fu la società che p a g ò al disastro il p e d a g gio più basso e ne trasse il beneficio più alto: la liberazione da u n a c o n c o r r e n z a t r o p p o folta e l ' a d e g u a m e n t o a t e m p i di sviluppo più ragionevoli. Agnelli ebbe il g r a n d e m e r i t o di c o m p r e n d e r e che, c o m e p r o d u z i o n e di massa, l'Italia si p r e stava solo a quella delle biciclette: ne circolavano quasi un milione e m e z z o . Per quella d e l l ' a u t o m o b i l e , b i s o g n a v a aspettare un altro e più consistente «miracolo». Ciò che l'elettricità n o n era riuscita a fare nel c a m p o della siderurgia e della meccanica, era p e r ò riuscita a farlo in altri settori, e specialmente in quello tessile. La lana si era mossa poco per mancanza di materia p r i m a . Ma il cotone aveva ricevuto 341
un grosso impulso dalla sostituzione della nuova forza motrice a quella idraulica. Lo dimostravano le importazioni del greggio, r a d d o p p i a t e nel corso di pochi a n n i . Lo dimostrava la moltiplicazione dei fusi da 2 a 4 milioni. Lo dimostrava il volume degl'investimenti che si avviava al mezzo miliardo. Un'altra industria che andava a gonfie vele n o n per l'elettricità, ma per la tariffa doganale, era quella zuccheriera che ormai superava il fabbisogno nazionale e distribuiva dividendi di oltre il 10 per cento. Ma è inutile procedere in un inventario che interessa soltanto gli specialisti di economia. Per noi contano soltanto i caratteri generali di questo p r i m o «miracolo» e i suoi riflessi sulla società, e quindi anche sulla politica nazionale. Il p r i m o di questi riflessi fu n a t u r a l m e n t e l'alterazione del r a p p o r t o fra industria e agricoltura, cioè fra città e camp a g n a . N o n equivochiamo. Anche al t e r m i n e di questo processo, l'Italia r i m a n e v a un Paese p r e v a l e n t e m e n t e agricolo, di casolari isolati e di sparsi borghi e villaggi, male collegati fra l o r o e coi g r a n d i c e n t r i , e p o v e r i s s i m a m e n t e dotati di servizi civili. Molta g e n t e n o n usciva dal limitato orizzonte della sua p a r r o c c h i a che in occasione del servizio militare. E questo provocava u n a stagnazione che frapponeva un grosso ostacolo al r e c u p e r o dei nostri ritardi. Però l'industria reclamava braccia da lavoro, e la c a m p a g n a r i s p o n d e v a al ric h i a m o . In q u a r a n t ' a n n i , d a l l ' U n i t à alla fine del secolo, la popolazione agricola era scesa dal 65 al 42 p e r cento. Questo decongestionò i c a m p i r e n d e n d o m e n o disagiata la condizione di chi ci restava. Ma n a t u r a l m e n t e creava nelle città un p r o b l e m a , c o m e si suol dire, di «integrazione». Q u i bisogna sottrarsi a certa storiografia di parte intesa a d r a m m a t i z z a r e le condizioni di vita della massa operaia. Come tutti i decolli industriali, a n c h e quello italiano fin di secolo si basò in b u o n a p a r t e sullo sfruttamento del lavoratore. Senza d u b b i o gli orari e r a n o d u r i , i salari bassi, il sistema previdenziale inesistente o quasi. Ma p e r q u a n t o spremuto all'osso, l'operaio italiano n o n dovette subire le a n g h e r i e cui e r a stato sottoposto un secolo p r i m a quello inglese perche, 342
grazie al suo r i t a r d o , lo sviluppo della nostra rivoluzione industriale coincise con quello del m o v i m e n t o sindacale e u r o peo, che fin da principio fu in g r a d o d'imbrigliarne le tendenze di rapina. Lo abbiamo già visto ne\V Italia dei Notabili. Le società o p e r a i e n a c q u e r o p r i m a a n c o r a che si formasse una vera e p r o p r i a classe operaia. E q u a n d o , d o p o la l u n g a crisi degli a n n i ottanta, il vero e p r o p r i o «miracolo» cominciò, grazie alle n u o v e tariffe doganali, a l l ' a m m o d e r n a m e n t o del sistema bancario e all'avvento dell'elettricità, esso dovette subito fare i conti con un partito socialista già costituito e in p i e n a e s p a n s i o n e . Q u e s t a c o i n c i d e n z a salvò il n a s c e n t e capitalismo italiano dalle colpe di cui si era macchiato quello dei Paesi che ci avevano p r e c e d u t o sulla strada dell'industrializzazione, ma nello stesso t e m p o n o n gli c o n s e n t ì di farsi delle ossa altrettanto forti. Un altro riflesso fu l'accentuazione di certi dislivelli e divari. L'agricoltura italiana e r a già in crisi p e r via della g u e r ra d o g a n a l e iniziata con la Francia nell'epoca crispina, che p r a t i c a m e n t e c h i u d e v a quel m e r c a t o all'esportazione delle sue d e r r a t e . Q u e s t o è t u t t o r a u n o degli a r g o m e n t i preferiti della polemica meridionalistica, che p e r ò va accolto con riserva. In linea g e n e r a l e n o n c'è d u b b i o che la politica p r o tezionistica fu voluta d a l l ' i n d u s t r i a d e l N o r d c o m e c o n d i zione del p r o p r i o s v i l u p p o , e d a n n e g g i ò l ' a g r i c o l t u r a del Sud. E p p u r e , l'unico m e r i d i o n a l e che si batté c o n t r o di essa fu G i u s t i n o F o r t u n a t o . Gli altri la s o s t e n n e r o calorosamente p e r c h é in quel m o m e n t o faceva c o m o d o a n c h e a loro, come unica difesa c o n t r o la c o n c o r r e n z a del g r a n o a m e ricano c h e p r o p r i o allora c o n q u i s t a v a coi suoi bassi costi tutti i m e r c a t i e u r o p e i . La situazione e r a q u i n d i p i ù c o m plessa di q u a n t o oggi dicano i meridionalisti. A fotografarla fu, con la c o n s u e t a chiarezza, il liberista E i n a u d i : «Su u n a Produzione agricola a n n u a di 5 miliardi di lire - egli scrisse -, g r a n o r a p p r e s e n t a a m a l a p e n a 800 milioni. Di essi, la metà è c o n s u m a t a d a i m e d e s i m i p r o d u t t o r i , e solo l'altra metà va sul m e r c a t o e si giova del dazio. Si p u ò o n e s t a m e n u
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te sostenere che un regalo fatto a questa infima m i n o r a n z a degli agricoltori italiani equivalga a p r o t e g g e r e la t e r r a nostra? N o n solo n o n la p r o t e g g e , ma la d a n n e g g i a p e r c h é il g i o r n o in cui ci s a r e m o decisi ad abolire il dazio sul g r a n o , p o t r e m o o t t e n e r e dalla Russia, dagli Stati Uniti, dall'Argent i n a ecc. tali r i d u z i o n i di dazi sui n o s t r i vini, oli, a g r u m i , frutta ecc. che un i m m e n s o slancio v e r r à d a t o all'agricoltura perfezionata e progressiva italiana», m e n t r e quella a r r e trata «merita di a n d a r e in rovina, e senza r i m p i a n t o » . Ma l'agricoltura a r r e t r a t a , che p r o d u c e v a quasi esclusivamente g r a n o e sopravviveva solo grazie al dazio, e r a p r o p r i o quella del Sud: ecco p e r c h é Giustino F o r t u n a t o e r a stato l'unico m e r i d i o n a l e a c o m b a t t e r e il p r o t e z i o n i s m o . Esso ledeva gl'interessi della frutticultura e della vinicultura che anche nel S u d e r a n o in m a n o a piccoli p r o p r i e t a r i di scarso peso economico e politico; ma secondava quello dei g r a n d i e potenti latifondisti, il cui a r a t r o a chiodo n o n sapeva spremere dalla t e r r a che g r a n o . La cosa di cui l'agricoltura del S u d v e r a m e n t e soffrì fu la scarsezza di capitali. Ne aveva s e m p r e avuti pochi. E ora anche quei pochi venivano risucchiati dall'industria del Nord, in cui il r i s p a r m i a t o r e m e r i d i o n a l e si affrettò a investire i suoi peculi. Fu q u e s t o c h e rese a n c o r a p i ù g r a v e il ritardo del Mezzogiorno. La distribuzione degl'investimenti segue, in tutto il m o n d o e in tutte le e p o c h e , u n a sua logica: essi si c o n c e n t r a n o nei p u n t i in cui lo sviluppo industriale è già in atto, p e r c h é solo lì essi t r o v a n o n o n solo le cosiddette «infras t r u t t u r e » (strade, servizi eccetera), ma quel fervore d'iniziative che la rivoluzione capitalistica provoca in tutti i campi e in tutti i ceti. Fin d ' a l l o r a i m e r i d i o n a l i s t i c o m m i s e r o l ' e r r o r e - r i p e t u t o in q u e s t o d o p o g u e r r a su scala infinitam e n t e più larga - di concepire quello del Mezzogiorno solo c o m e un p r o b l e m a di stanziamenti e di «incentivi». Fin d'all o r a ne r e c l a m a r o n o , e ne o t t e n n e r o . Ma il Mezzogiorno n o n decollò, c o m e n o n decolla oggi p e r la r e n i t e n z a delle iniziative locali, d o v u t a alla m a n c a t a trasformazione capita344
Ustica dell'economia m e r i d i o n a l e . Finché quella del S u d rim a n e u n a società r e d d i t i e r a , n o n p o t r à mai uscire dal suo i m m o b i l i s m o . Già g r a v e al m o m e n t o d e l l ' U n i t à , il divario fra N o r d e Sud era diventato ancora più p r o f o n d o alla fine del secolo. Lo d i m o s t r a v a il r e d d i t o p r o - c a p i t e c h e si e r a r a d d o p p i a t o al N o r d , m e n t r e r i m a n e v a quasi stazionario al Sud. Lo dimostrava il tasso di analfabetismo che decresceva rapidissimamente al N o r d e lentissimamente al Sud. Lo dimostrava l'emigrazione salita a u n a m e d i a a n n u a di 300 mila espatrii, di cui i tre quarti e r a n o meridionali. C o m e tutti i miracoli economici i n s o m m a a n c h e q u e s t o del p r i m o Novecento n o n e r a privo di o m b r e , di c o n t r a d d i zioni e di squilibri. Ma n o n lo si p u ò n e g a r e , e si riassume in pochi dati che n o n si p r e s t a n o a contestazione: il r e d d i t o nazionale r a d d o p p i a , il r i s p a r m i o si quintuplica, il tasso d'inc r e m e n t o del c o m m e r c i o estero s u p e r a n e t t a m e n t e quello di G e r m a n i a e d ' I n g h i l t e r r a e - cosa p i ù i m p o r t a n t e - l'esportazione di m a t e r i e p r i m e cala nella stessa m i s u r a in cui cresce quella dei manufatti, il che vuol dire che l'Italia sfrutta da sé le p r o p r i e risorse, e il p r o d o t t o del suo lavoro p u ò c o m p e t e r e su tutti i m e r c a t i con quello e s t e r o . Pochi a n n i d o p o un economista poco p r o p e n s o agli entusiasmi, scriveva: «Non vi è Paese in E u r o p a che nell'ultimo d e c e n n i o abbia dato, c o m e il nostro, t a n t a p r o v a di energia individuale nel progresso economico». E p p u r e , l ' o p i n i o n e p u b b l i c a si m o s t r a v a restia ad a m m e t t e r l o , c o m e se n o n ci c r e d e s s e o ne p r o v a s s e d i s p e t t o . Lo notava un u o m o che non si p u ò certo sospettare di complicità col r e g i m e , di cui anzi e r a un critico severissimo, il socialista siciliano N a p o l e o n e Colajanni: «La massa degl'italiani p r o g r e d i s c e senza a c c o r g e r s e n e , senza d a r s e ne r a g i o n e , senza confessarlo». Egli ne dava colpa ai liberisti e alle loro d e n u n c e c o n t r o il p r o t e z i o n i s m o . Ma il fenom e n o e r a p i ù vasto e p r o f o n d o . S e m p r e p i ù l ' o p i n i o n e Pubblica s'identificava con quella delle masse p o p o l a r i che, rimaste e s t r a n e e alla c o s t r u z i o n e della N a z i o n e , la consi345
d e r a v a n o u n p r o d o t t o della classe p a d r o n a l e , d i cui n o n v o l e v a n o a m m e t t e r e i successi p e r c h é s e g u i t a v a n o a sentirsene escluse. E r a con questo stato d ' a n i m o che doveva fare i conti colui al quale il n u o v o Re stava p e r affidare quasi ininterrottam e n t e fino alla p r i m a g u e r r a m o n d i a l e i destini del Paese.
CAPITOLO TERZO
IL RITORNO DI GIOLITTI
C o n f e r m a t o nella sua carica di P r i m o Ministro d o p o l'avvento del n u o v o Re, c h e aveva r e s p i n t o le sue dimissioni, Saracco vi si reggeva tuttavia con molta difficoltà. S o n n i n o , ch'era il suo principale sostegno, pubblicò sulla Nuova Antologia un articolo che tutti i n t e r p r e t a r o n o c o m e u n a c a m p a na a m o r t o . Il regicidio, diceva, aveva d r a m m a t i c a m e n t e dimostrato che il r e g i m e e r a alla m e r c é di d u e forze anticostituzionali e sovversive, i socialisti e i clericali. Solo un «fascio» di partiti nazionali, decisi a f r o n t e g g i a r e la situazione con energia e risolutezza, poteva salvarlo. Ed e r a chiaro che alla guida di questo fascio egli p o n e v a la p r o p r i a c a n d i d a t u r a . I n d i r e t t a m e n t e gli rispose Giolitti c o n un articolo sulla Stampa di T o r i n o . Col p u g n o di ferro, diceva, n o n si risolve n i e n t e . U n Paese c h e o g n i p o c o d e v e m o b i l i t a r e l'esercito per m a n t e n e r e l ' o r d i n e i n t e r n o n o n p u ò r e g g e r s i a l u n g o . Ciò che occorre è eliminare la causa del disagio, che è p r o vocato dalle s p e r e q u a z i o n i e c o n o m i c h e e sociali. « Q u a n d o c o n f r o n t o il n o s t r o sistema t r i b u t a r i o con quello di tutti i Paesi civili, q u a n d o osservo le condizioni delle masse rurali in g r a n p a r t e d'Italia e le p a r a g o n o con quelle dei Paesi vicini, resto c o m p r e s o d ' a m m i r a z i o n e p e r la l o n g a n i m i t à e la tolleranza delle nostre plebi, e p e n s o con t e r r o r e alle conseguenze di un possibile loro risveglio. Io d e p l o r o q u a n t i altri mai la lotta di classe. Ma, siamo giusti, chi l'ha iniziata?» Il c o n t r a s t o fra le d u e concezioni n o n p o t e v a essere p i ù stridente. E bastò un episodio marginale p e r farlo scoppiare. Dopo q u a t t r o a n n i di sospensione, Saracco aveva consentito la r i a p e r t u r a della C a m e r a del Lavoro socialista di Genova. 347
Ma il 18 dicembre (del '900) il Prefetto t o r n ò a chiuderla di testa sua p e r gl'incitamenti dati alla lotta sindacale. Per p r o testa, ventimila lavoratori e n t r a r o n o in sciopero. E Saracco, che d a p p r i m a aveva a p p r o v a t o il gesto del Prefetto, lo annullò. Il gesto dispiacque a tutti. Dispiacque a S o n n i n o , che lo accusò di essersi a r r e s o alla violenza. E dispiacque a Giolitti c h e lo c o n s i d e r a v a tardivo e ne p r e s e p r e t e s t o p e r un memorabile discorso alla C a m e r a che si chiudeva con queste parole: «Il m o t o delle classi popolari si accelera ogni giorno di più, ed è un m o t o invincibile p e r c h é c o m u n e a tutti i Paesi civili, e p e r c h é poggiato sui princìpi di eguaglianza fra gli uomini. D i p e n d e p r i n c i p a l m e n t e da noi, dall'atteggiamento dei partiti costituzionali nei r a p p o r t i con le classi popolari, che l'avvento di queste classi sia u n a n u o v a forza conservatrice, un n u o v o elemento di prosperità e di grandezza, o sia invece un turbine che travolge la fortuna della patria». Sia S o n n i n o che Giolitti a v e v a n o attaccato Saracco perc h é a v e v a n o capito c h e la sua posizione o r m a i e r a logora. Q u a n t o alla successione, S o n n i n o e r a sicuro c h e s a r e b b e toccata a lui, che o r m a i aveva assunto e i n t e n d e v a svolgere la p a r t e d e l « n u o v o Crispi». Giolitti, p e r il m o m e n t o , alla successione n o n m i r a v a . Mirava soltanto a riavvicinarsi al p o t e r e da cui, d o p o lo scandalo della Banca R o m a n a , era rimasto l o n t a n o p e r sette a n n i . D u e giorni d o p o il suo discorso, Saracco d i e d e le dimissioni, e S o n n i n o attese la convocazione, convinto che, al suo d e b u t t o sul t r o n o e in un m o m e n t o difficile c o m e quello, il n u o v o Re n o n potesse affidarsi che a lui. Ma il Re, contro il p a r e r e dei suoi consiglieri, si lasciò g u i d a r e da b e n altra logica. Il g o v e r n o , disse, è stato rovesciato dalle forze del centro-sinistra, cioè da q u e l l e c h e f a n n o c a p o a Z a n a r d e l l i e Giolitti: è d u n q u e a queste che tocca la successione. E convocò Zanardelli, sebbene gli facessero n o t a r e che suo p a d r e n o n lo aveva mai p o t u t o soffrire. Zanardelli aveva al suo attivo molte cose. Anzitutto, l'origine risorgimentale. Aveva fatto il suo precoce d e b u t t o sulle 348
barricate della sua Brescia, nelle famose «dieci giornate» del '49. M a d o p o aveva d i m o s t r a t o d i n o n essere soltanto u n o s q u a d r i s t a alla Bixio. E r a stato un eccellente M i n i s t r o d e i Lavori Pubblici con Depretis e d e l l ' I n t e r n o con Cairoli. Ma il meglio di sé lo aveva d a t o c o m e Ministro della Giustizia e ispiratore del n u o v o Codice Penale che da lui aveva p r e s o il n o m e . E r a a n c h e un magnifico o r a t o r e . Ma forse il suo difetto e r a di esserlo un p o ' t r o p p o . «Ritto, m a g r o , n e r o , con le m a n i in tasca - lo descrive Faldella - c o m e quella figura che i d i s e g n a t o r i a l l u n g a n o p e r fare u n a I negli alfabeti figurati, da principio sembrava un palo vocale. Poi r o m p e v a , si dinoccolava, si riversava da u n a p a r t e e dall'altra; e la voce scolpita si concitava e avvinghiava c o m e u n a catena.» Ma dal p i a n o d e l dibattito ideologico, n e l q u a l e e r a ferratissimo, incontrava qualche difficoltà a trasferirsi su quello dell'azione concreta, ed e r a p e r questo che fin allora e r a semp r e rimasto un «brillante secondo». Q u a n d o il Re gli d e t t e l'incarico, Giolitti dovette fargli p r e s t a r e da un amico un a p p a r t a m e n t o d e c o r o s o in cui t e n e r e le consultazioni p e r c h é quello suo si riduceva a un paio di stanze da s t u d e n t e : c o m e tutti i notabili della sua g e n e r a z i o n e , n o n aveva tratto vantaggi dalla carriera politica ed era p o v e r o in canna. Le difficoltà che i n c o n t r ò p e r f o r m a r e il n u o v o g o v e r n o furono tali che vi avrebbe rinunziato, se Giolitti n o n lo avesse dissuaso. II gesto fu c e r t a m e n t e da amico, ma a n c h e da politico accorto: se Zanardelli declinava il m a n d a t o , questo sarebbe toccato a lui, c h e in q u e i f r a n g e n t i preferiva assum e r e quello più m o d e s t o , ma a n c h e politicamente più r e d ditizio, di Ministro d e g l ' I n t e r n i . Così fu, ma tutti c a p i r o n o il giuoco. «Il vero vittorioso - scrisse Albertini sul Corriere della Sera - è lui, Giolitti: è lui il Ministero.» E il suo a r c i n e m i c o Rastignac: «Stasera forse si v e r r à al voto. Io n o n so quello che uscirà da questa discussione. Ma p r e g o gli Dei tutelari, se sull'Italia ne vegli ancora q u a l c u n o , che t e n g a n o l o n t a n o dal g o v e r n o d e l Paese la minaccia di Giolitti. Q u e l l ' u o m o porta in sé i g e r m i di tutte le catastrofi». 349
Agli occhi dei conservatori, queste catastrofi e r a n o , si capisce, la politica del n o n intervento nelle contese fra datori di lavoro e lavoratori, il riconoscimento del diritto di sciopero e u n a riforma t r i b u t a r i a che finalmente colpisse i ricchi r i s p a r m i a n d o i poveri. E i poveri, o p e r meglio d i r e coloro che se ne atteggiavano ad interpreti, se ne resero conto. Sulla sua rivista, Critica sociale, Turati invitò i suoi c o m p a g n i socialisti ad a b b a n d o n a r e l'ostruzionismo che o r m a i si riduceva «a u n a p u r a posa coreografica», e a stringersi invece «int o r n o al g o v e r n o p e r p r o t e g g e r l o dagli attacchi e dalle insidie della reazione cospirante, vigilarlo p e r c h é tenesse fede al p r o g r a m m a , sospingerlo sulla via delle riforme». Cominciava così, fra Giolitti e Turati, quell'idillio che, se fosse sboccato in m a t r i m o n i o , avrebbe s i c u r a m e n t e salvato la d e m o c r a z i a . P u r t r o p p o , se Giolitti doveva vedersela coi suoi Rastignac p e r i quali la sua azione di g o v e r n o e r a «un atto d'odio, n o n d ' a m o r e , di vendetta, n o n di rivendicazione, privo di u n a q u a l u n q u e idea viva, vitale, operante», Turati doveva fare i conti coi suoi Lazzari, p e r i quali Giolitti n o n e r a che un Pelloux p i ù a g g i o r n a t o , e q u i n d i p i ù insidioso, ma s e m p r e agli stipendi del «blocco agrario-borghese». Q u a l e dei d u e massimalismi abbia p i ù c o n t r i b u i t o alla catastrofe della d e m o c r a z i a italiana, resta da stabilire. Ma ch'essi ne siano i maggiori responsabili, è accertato. Q u a n d o Giolitti p r e s e n t ò il suo p r o g r a m m a di politica interna, la C a m e r a gli dette ottanta voti di maggioranza, ma il S e n a t o t r e soli. Esso rifletteva lo s g o m e n t o del Paese di fronte alla o n d a t a di scioperi che lo investiva. Dai 400 dell'anno p r i m a , e r a n o passati a 1700. Giolitti sapeva che questo e r a il prezzo del decollo industriale; ma la pubblica opin i o n e , in m a g g i o r a n z a m o d e r a t a , lo accusava di debolezza, se n o n a d d i r i t t u r a di d o p p i o giuoco. In realtà egli era molto m e n o a r r e n d e v o l e di q u a n t o si dicesse, e lo d i m o s t r a n o 1 suoi t e l e g r a m m i ai Prefetti. A quello di Palermo: «A qualsiasi costo d o m a n i n o n d e v o n o r i n n o v a r s i d i s o r d i n i . Attendo ciò dalla sua energia». A quello di Milano: «Se fattorini tele350
grafici si m e t t o n o in sciopero s a r a n n o subito rimpiazzati e rimpatriati se n o n h a n n o mezzi di sussistenza». A quello di Foggia: «Duolmi vedere che Prefettura è retta da funzionario inetto». A quello di R o m a , d o p o alcuni disordini nell'Università: «Si ricordi che p e r le strade n o n vi sono s t u d e n t i ma cittadini tutti uguali di fronte alla legge». Q u a n d o e r a n o in ballo i pubblici servizi, la m a n o vellutata di Giolitti si tramutava in p u g n o di ferro: e q u a n d o p e r esempio i ferrovieri si m i s e r o in agitazione, egli rispose militarizzandoli. Ma subito d o p o fece votare un a u m e n t o delle loro indennità. Era u n a politica difficile a n c h e p e r c h é Z a n a r d e l l i la secondava molto c o n t r a g g e n i o . Sebbene p e r s o n a l m e n t e amici e p u r militando nello stesso schieramento, i d u e u o m i n i erano t u t t a v i a divisi da un f o n d a m e n t a l e c o n t r a s t o , di cui lo stesso Giolitti fornì in sede di Memorie la chiave. Le idee di Zanardelli, egli dice, e r a n o «passionatamente democratiche, p e r ò della d e m o c r a z i a b o r g h e s e d e l suo t e m p o , c h e n o n c o m p r e n d e v a ed avversava il socialismo». E q u e s t o spiega anche il conflitto che a poco a poco m a t u r ò fra loro. Giolitti aveva in quel governo u n a posizione di forza n o n solo p e r c h é sul p i a n o o p e r a t i v o e r a m o l t o p i ù efficiente e positivo del suo m a g g i o r collega, ma a n c h e p e r c h é e r a lui che gli garantiva in P a r l a m e n t o l'appoggio dei socialisti. Costoro t e n n e r o nel '902 un burrascoso congresso a Imola, dove la posizione m o d e r a t a e collaborazionista di Turati v e n n e violentemente attaccata sul p i a n o della d o t t r i n a da Labriola, e su quello della d e m a g o g i a da Enrico Ferri, che n o n disse nulla, ma lo disse u r l a n d o e con gesti gladiatori. T u r a t i vinse e fece confermare l'appoggio al g o v e r n o grazie ai b u o ni a r g o m e n t i che Giolitti gli aveva fornito con le ultime misure prese in favore dei lavoratori: riduzione dell'orario ed esenzione dei ragazzi al di sotto dei dodici a n n i . Ma fu u n a vittoria risicata e di breve respiro. Bastò che nel Sud alcuni torbidi, sfociati c o m e al solito in vandalismi, obbligassero i Prefetti a p r o v v e d i m e n t i repressivi p e r c h é la c o r r e n t e massimalista r i p r e n d e s s e il sopravvento nel partito e l'obbligas351
se a ritirare l'appoggio al g o v e r n o . Così Giolitti p e r s e il suo p i ù valido sostegno nei confronti n o n solo dell'opposizione, ma a n c h e di Zanardelli e degli altri colleghi di Ministero. Seguirono altri motivi di frizione. Massone di vecchia data come quasi tutti gli u o m i n i della sua generazione e estrazione, Zanardelli era più sensibile ai problemi del laicismo che a quelli sociali. Perciò aveva t i e p i d a m e n t e sostenuto la p r o p o sta di riforma fiscale elaborata dal suo Ministro delle Finanze, Wollemborg, e v e d e n d o che la maggioranza la rifiutava l'aveva abbandonata; m e n t r e si era impegnato allo spasimo su un progetto di legge che introduceva il divorzio, e accusò di condiscendenza verso la Chiesa Giolitti, che n o n lo spalleggiava. In realtà n o n si trattava di c o n d i s c e n d e n z a , ma soltanto di praticità. Giolitti prevedeva che, poco sostenuto dalla pubblica opinione, quel p r o g e t t o avrebbe fornito un p u n t o di coagulo a tutte le opposizioni, come di fatto avvenne, e n o n voleva bruciarvisi le m a n i . « Q u e l l ' u o m o lì mi scuote tutto il governo» disse di lui Zanardelli. Ed e r a n o pressappoco le stesse parole che cinquant'anni p r i m a D'Azeglio aveva pronunciato sull'indocile e invadente Cavour. C o m e Cavour, Giolitti faceva u n a politica spesso in contrasto con quella del Primo Ministro u s u r p a n d o n e le mansioni. E come Cavour, egli presentiva i naufragi e sapeva sottrarvisi in t e m p o . Lo aveva già fatto nel '90, q u a n d o a b b a n d o n ò la barca di Crispi poco p r i m a che si arenasse. E da q u a n d o i socialisti gli avevano ritirato l'appoggio, aspettava solo l'occasione p e r rifarlo. L'occasione fu offerta da Ferri. Q u e s t o cattivo genio del socialismo italiano, m o r a l m e n t e marcio, ma facondo, teatrale, esibizionista con la sua chioma arruffata sotto il cappello a l a r g h e tese e q u i n d i p i e n o di fascino agli occhi di platee che c o r r o n o dietro più al fumo che all'arrosto e preferiscono i g r a n d i gesti e le g r a n d i parole alla b u o n a sostanza, era o r a sulla cresta d e l l ' o n d a . I n v a n o T u r a t i aveva cercato di m e t t e r e in g u a r d i a i c o m p a g n i dal suo sconclusionato e gigionesco «sbraitare p e r i tetti». Il partito gli aveva affidato la direzione dell'Avariti!, di cui egli fece subito u n o strumento
di c a m p a g n e scandalistiche. U n a delle p r i m e fu c o n t r o l'ammiraglio Bettolo, Ministro della Marina, accusato d'interessati favoritismi nelle f o r n i t u r e militari. In P a r l a m e n t o fu p r e s e n t a t a u n a m o z i o n e che c h i e d e v a u n ' i n c h i e s t a sul suo o p e r a t o . Il g o v e r n o la respinse p o n e n d o la questione di fiducia, ma si vide a b b a n d o n a t o dalle forze di Sinistra sulle quali si reggeva, e a salvarlo furono i conservatori di Sonnino. In Consiglio dei Ministri, Giolitti disse che p e r il governo n o n c'era scelta: o ritirarsi, o r e s t a r e p r i g i o n i e r o della Destra, dalla quale o r m a i le sue sorti d i p e n d e v a n o . E siccome Zanardelli si rifiutò di dimettersi, si dimise lui. La mossa rivelava il suo infallibile t e m p i s m o . Il g o v e r n o aveva i giorni contati a n c h e p e r c h é contati e r a n o quelli dello stesso Z a n a r d e l l i , m i n a t o da u n a malattia m o r t a l e . Egli rabberciò alla meglio il suo Ministero a s s u m e n d o di p e r s o na quello d e l l ' I n t e r n o , e così si trascinò fino alle vacanze estive. Ma p o i l ' a g g r a v a m e n t o delle s u e c o n d i z i o n i lo costrinse al ritiro, cui n o n sopravvisse che un paio di mesi. Tutti si a s p e t t a v a n o che il Re convocasse S o n n i n o o Rudinì, che in f o n d o e r a n o stati i vincitori di quella battaglia. Invece convocò Giolitti e d i e d e a lui l'incarico di f o r m a r e il nuovo governo. La scelta n o n e r a d o v u t a a personali simpatie. I d u e u o m i n i fin allora si e r a n o incontrati di r a d o , e se qualcosa avevano in c o m u n e , oltre alla patria e al dialetto p i e m o n t e s e , era u n a certa frigidità, che alle simpatie li r e n d e v a e n t r a m b i allergici. Ma in quel m o m e n t o il Re e r a p i ù p r o p e n s o alla politica di Giolitti che a quella dei conservatori, ch'egli disistimava a n c h e p e r s o n a l m e n t e . E di q u e s t o gli va d a t o a t t o . C o m e aveva lasciato p r e s a g i r e il s u o p r i m o discorso, egli voleva realmente u n a democrazia a p e r t a alle classi popolari, c h ' e r a a p p u n t o il p r o g r a m m a di Giolitti. L'unica c o n d i z i o n e c h e gli pose fu la n o m i n a di un G e n e r a l e e di un Ammiraglio di sua fiducia al Ministero della G u e r r a e a quello della Marina, come del resto si e r a s e m p r e usato. 353
Il compito di Giolitti si d i m o s t r ò subito molto a r d u o . Egli sollecitò la partecipazione al g o v e r n o dei tre partiti che form a v a n o la cosiddetta Estrema: i radicali, i r e p u b b l i c a n i e i socialisti. E p e r d i m o s t r a r e la sua intenzione di r o m p e r e col passato e i n a u g u r a r e un n u o v o corso, escluse dalla lista tutti i collaboratori di Zanardelli. Turati gli fece capire che, se fosse d i p e s o da lui, a v r e b b e accettato; ma che se lo avesse fatto, avrebbe p e r s o il partito, o r m a i in balìa dei massimalisti alla Ferri. Q u a n t o ai radicali, p o s e r o c o n d i z i o n i che avrebbero significato l'aborto del g o v e r n o : scioglimento della C a m e r a e n u o v e elezioni, riduzione delle forze a r m a t e , e legge sul divorzio di cui il P a r l a m e n t o aveva già i m p o s t o a Zanardelli il ritiro. È difficile sapere se Giolitti ritenesse realizzabile u n a partecipazione d e l l ' E s t r e m a , o gliel'avesse offerta solo p e r dimostrarle c h ' e r a l'unico u o m o del centro-sinistra che la p r o p o n e v a e p e r conquistarsene in tal m o d o i favori. Ma la sec o n d a ipotesi ci s e m b r a più probabile. Rigettata su di essa la r e s p o n s a b i l i t à dell'insuccesso, d i s t r i b u ì i m p a r z i a l m e n t e i ministeri fra u o m i n i del centro-sinistra e del c e n t r o - d e s t r a secondo la vecchia ricetta di Depretis, i n a u g u r a n d o così ciò che Salvatorelli chiama il «neotrasformismo giolittiano». D i c o l p o , c o n t r o d u e d i loro s i s c a t e n ò u n a c a m p a g n a scandalistica, di cui il g r a n d e orchestratore fu il solito Ferri. II Ministro degli Esteri Tittoni v e n n e d e n u n c i a t o c o m e clericale e p r o t e t t o r e della mafia e della c a m o r r a . Di queste accuse, la Storia ha fatto a m p i a giustizia. T i t t o n i e r a soltanto u n b u o n cattolico che poi svolse u n a p a r t e d i p r i m o piano nella riconciliazione fra Chiesa e Stato, e c o m e Prefetto di Napoli n o n solo n o n aveva patteggiato con le d u e «onorate società», ma anzi le aveva vigorosamente combattute. E n o n gli fu difficile d i m o s t r a r l o . Ma il suo collega delle Finanze, Rosano, fu sopraffatto. Ferri scrisse che, c o m e avvocato, egli si era avvalso della sua qualifica di p a r l a m e n t a r e p e r far assolvere un suo cliente, dal quale si e r a fatto p a g a r e il servigio con u n a parcella di quattromila lire, a quei t e m p i consi-
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d e r a t a esosa. In realtà il p o v e r ' u o m o aveva assunto quel patrocinio p r i m a di essere eletto, né mai aveva fatto p e s a r e la sua qualifica di d e p u t a t o sul corso della Giustizia. Ma, amareggiato e stroncato dalla virulenza degli attacchi, si uccise lasciando u n a lettera p e r Giolitti: «Muoio col t u o n o m e nel c u o r e , r i b o c c a n t e di g r a t i t u d i n e e di affetto p e r te». Parve p e r q u a l c h e g i o r n o che si ripetesse il caso della Banca Rom a n a . M a p r o p r i o d a quell'esperienza l ' u o m o aveva t r a t t o la sua lezione. Agli attacchi, di cui n a t u r a l m e n t e il vero bersaglio e r a lui, egli o p p o s e un m u r o di silenzio e d'indifferenza. Sapeva benissimo che le «campagne morali» scatenate da uir Ferri n o n avevano né p o t e v a n o avere gli effetti di quelle di Cavallotti, di cui anche gli e r r o r i o d o r a v a n o di bucato. E infatti n o n ne rimase scosso. Ma subito d o p o fu sottoposto ad u n ' a l t r a e p i ù a r d u a prova. Per p r o t e s t a c o n t r o la d u r a repressione di disordini scoppiati in Sicilia e Sardegna, i massimalisti che s e m p r e più d o m i n a v a n o il c a m p o socialista p r o c l a m a r o n o lo sciopero generale. E r a la p r i m a volta c h e lo si t e n t a v a , e fece e n o r m e imp r e s s i o n e . S p e c i a l m e n t e la paralisi delle ferrovie sbigottì i benpensanti, e Giolitti fu violentemente attaccato p e r la sua inerzia. «Fino a ieri - disse Pelloux in Senato - si discuteva se convenisse di più p r e v e n i r e o r e p r i m e r e . L'attuale Ministero h a trovato u n terzo m e t o d o : n é r e p r i m e r e , n é p r e v e nire.» Ma Giolitti r i n n o v ò ai Prefetti l ' o r d i n e di lasciare esaurire da sé quel «movimento pazzesco». E i fatti gli dettero ragione. Al q u a r t o giorno, c o n t r o gli ordini dei loro dirigenti sindacali, o p e r a i e impiegati c o m i n c i a r o n o a t o r n a r e al lavoro. E Giolitti, che aveva capito q u a n t o i capi socialisti fossero deboli e alla m e r c é della d e m a g o g i a massimalista, decise di richiamarli alla realtà sciogliendo la C a m e r a e indicendo n u o v e elezioni. Q u e s t e si t e n n e r o nel n o v e m b r e del 1904, e costituirono un fatto di f o n d a m e n t a l e i m p o r t a n z a p e r vari motivi. Prim a d i t u t t o p e r c h é r a p p r e s e n t a r o n o u n g r o s s o successo della m a g g i o r a n z a governativa e le d i e d e r o un assetto d e 355
s t i n a t o a r e s t a r e quasi i n a l t e r a t o fino alla p r i m a g u e r r a m o n d i a l e . S e c o n d o , d i m o s t r a r o n o che il massimalismo n o n paga. Terzo, s e g n a r o n o l'ingresso dei cattolici nella vita politica n a z i o n a l e . Ed è su q u e s t o c h e o r a b i s o g n a s p e n d e r e qualche parola.
CAPITOLO QUARTO
CATTOLICI E SOCIALISTI
L'ammorbidimento dei cattolici nei confronti dello Stato laic o n o n e r a n a t u r a l m e n t e c h e u n riflesso d e l l ' a m m o r b i d i m e n t o della Chiesa. Papa L e o n e X I I I n o n revocò mai il Non expedit, cioè il divieto ai fedeli di partecipare alla vita politica nazionale sia da eletti che da elettori. Ma, a v e n d o avuto la ventura di vivere fino a n o v a n t a q u a t t r o a n n i , fece in t e m p o a r e n d e r s i conto che l'intransigenza n o n pagava. Il sogno di r i c o n q u i s t a r e il p o t e r e t e m p o r a l e e r a o r m a i t r a m o n t a t o . E n o n solo p e r c h é n o n c'era in E u r o p a u n a sola N a z i o n e c h e p e n s a s s e a r i p r i s t i n a r l o , ma a n c h e p e r c h é nella stessa Italia le n u o v e generazioni cattoliche, n o n avendolo mai conosciuto, n o n avevano di esso nessuna nostalgia. Lo stesso P a p a e r a g i u n t o al Soglio q u a n d o o r m a i l'annessione di R o m a e r a cosa fatta da un pezzo, e n o n e r a u o m o da n o n capire che i cattolici italiani n o n p o t e v a n o essere tenuti indefinitamente nel ghetto p e r salvare «un fossile della politica internazionale» quale, a d e t t a di Salvemini, era ormai diventata la questione r o m a n a . C o m e abbiamo detto ne L'Italia dei Notabili, questi cattolici avevano già le loro organizzazioni, di cui l'Opera dei Congressi e r a l'organo p r o p u l s i v o . Per molto t e m p o essa aveva avuto alla testa un c o n t e P a g a n u z z i c h e la c o n s i d e r a v a la «guardia bianca» del Papa, e finché il Papa si batté p e r ripristinare il p o t e r e t e m p o r a l e , a n c h e l'Opera n o n si prefisse altro scopo. Ma i nuovi q u a d r i si resero conto che la forza cattolica e r a n o soprattutto le masse contadine, sulle quali il potere t e m p o r a l e n o n esercitava nessun fascino. Esse volevano ben altro: volevano t e r r e , migliorie, sgravi fiscali, a u m e n t i 357
salariali. E questo si rese s e m p r e più e v i d e n t e via via che il p a r t i t o socialista acquistava forza. Se al suo p r o g r a m m a di rivendicazioni sociali i cattolici n o n ire c o n t r a p p o n e v a n o u n o loro, essi rischiavano di p e r d e r e le c a m p a g n e . A elaborarlo fu un professore di Pisa, Toniolo. I n t o r n o a lui e alla sua Unione cattolica per gli studi sociali si raccolse il
meglio delle giovani leve cattoliche, impazienti di b u t t a r e a m a r e la vecchia g u a r d i a conservatrice e di cimentarsi nell'azione. Il Papa n o n nascose le sue simpatie p e r quei volenterosi e baldanzosi innovatori, e in un certo senso ne benedisse le iniziative con la famosa enciclica Rerum novarum, che gli valse il titolo di «Papa economista» e di «Padre dei lavoratori». In realtà questo d o c u m e n t o era molto m e n o rivoluzionario di q u a n t o i suoi esaltatori dicessero e seguitino a dire: rivendicava l'esenzione dal lavoro delle d o n n e e dei fanciulli, il riposo festivo, la limitazione degli orari, e salari corrispondenti all'esigenze di vita di un lavoratore «frugale e b e n costumato», ch'è un m o d o di dire che n o n dice nulla. Ma rivoluzionaria e r a l'affermazione che i cattolici n o n p o t e v a n o disinteressarsi della lotta di classe, anzi dovevano intervenirvi con le loro associazioni p e r p o r t a r e avanti la loro battaglia con tutti i mezzi legali, c o m p r e s o lo sciopero. Il motivo di questa inconsueta presa di posizione lo spiega la data dell'enciclica: 1891, l'anno in cui il partito socialista si p r e p a r a v a ad uscire dalla sua incubazione anarchica e cominciava a r e g i s t r a r e grossi successi nel c a m p o o p e r a i o . Per n o n lasciare le masse p o p o l a r i in sua balìa, n o n c'era che un mezzo: s c e n d e r e in c o n c o r r e n z a con esso sul p i a n o rivendicativo. Il p r o g r a m m a di Toniolo e r a un avvìo. Esso p r o p o n e v a , c o m e s t r u m e n t o p e r risolvere i conflitti fra capitale e lavoro, la corporazione medievale, dove i m p r e n d i t o r i e salariati sedevano insieme e regolavano i loro r a p p o r t i . Q u e s t o p r o g r a m m a , che a Paganuzzi a p p a r i v a pericolos a m e n t e audace, appariva invece arcaico ai giovani della Ri' vista
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internazionale di
Scienze sociali,
che
ne
elaborarono
un
altro basato sul sindacato «esclusivamente operaio» d'ispirazione m o r a l e assai diversa, ma di c o n t e n u t o rivendicativo a n a l o g o a quello socialista. Ed esso d i v e n t ò il t e r r e n o di scontro fra le d u e g e n e r a z i o n i , divise da un c o n t r a s t o c h e n o n si prestava a compromessi. F e r m a alla c o n d a n n a di tutto il m o n d o m o d e r n o , che aveva trovato la sua espressione nel Sillabo di Pio IX, la vecchia g u a r d i a aveva lo s g u a r d o rivolto al passato e si cullava nell'impossibile sogno di restaurazione dell'Italia papalina. A questo s o g n o i giovani avevano voltato le spalle. Essi accettavano l'Italia, ma si p r o p o n e vano di conquistarla. In c o m u n e gli u n i e gli altri n o n avevano che l'odio p e r il «mostro eretico», cioè p e r lo Stato laico liberale. Fra queste d u e t e n d e n z e , L e o n e X I I I si era t e n u t o in bilico, ma s e m p r e più s m u s s a n d o la sua i n t r a n s i g e n z a . «La Chiesa ha battezzato altri barbari» disse un giorno p a r l a n d o dello Stato. E più tardi invitò p u b b l i c a m e n t e i giovani leoni della Rivista internazionale a «uscire dalla sacrestia e a n d a r e in mezzo al popolo». Era il benservito ai vecchi dirigenti tipo Paganuzzi. Ma era a n c h e , sebbene n o n esplicita, un'eccezione al Non expedit, che infatti si tradusse nell'invito di p a r tecipare s e m p r e più attivamente alle elezioni amministrative p e r la conquista dei C o m u n i e delle Province. Al p r i n c i p i o del secolo già si d e l i n e a v a u n a Democrazia Cristiana,, che n o n si considerava più la «guardia bianca» del Papa e, invece di chiudersi in u n a sterile posizione di rifiuto nei confronti della politica nazionale, smaniava di parteciparvi. Ma sin d a l p r i m o m o m e n t o in essa si a b b o z z a r o n o d u e t e n d e n z e , di cui è a n c o r a b e n visibile la traccia: quella m o d e r a t a di Filippo M e d a , e quella e s t r e m i s t a di R o m o l o Murri. M e d a e r a u n avvocato m i l a n e s e d i spirito p r a t i c o , che c o n s i d e r a v a l ' a s t e n s i o n e dal voto u n d o v e r e d a o s s e r v a r e finché il Papa lo i m p o n e v a , ma un grosso e r r o r e strategico di cui occorreva sollecitare la revoca. Lo Stato liberale, diceva, c'è e va accettato. Va soltanto salvato dalle sue tentazioni 359
autoritarie e giacobine. E questo i cattolici possono farlo solt a n t o inserendocisi e r i f o r m a n d o l o in m o d o da tenerlo al rip a r o dai pericoli d'involuzione. Lo Stato cioè p e r lui era un «peccatore da salvare». Per M u r r i , era un «nemico da distruggere». Discepolo di D o n Albertario, detto a n c h e «Don Belligero» e «martello dei liberali» p e r la v i r u l e n z a con cui li aveva c o m b a t t u t i negli editoriali d e l suo g i o r n a l e , L'Osservatore cattolico, M u r r i era un giovane sacerdote m a r c h i g i a n o , che aveva conosciuto la povertà e nel Vangelo vedeva soprattutto un messaggio giustizialista. Introverso e malinconico c o m e tutti i fanatici, egli si considerava molto più «avanzato» di M e d a p e r il carattere rivoluzionario che i n t e n d e v a i m p r i m e r e a l m o v i m e n t o . I n realtà e r a un u o m o del Sillabo che, p u r p a r t e n d o a n c h e lui dall'accettazione dello Stato u n i t a r i o , i n t e n d e v a t r a m u t a r l o in u n a teocrazia egalitaria e totalitaria, sul tipo di quella che i Gesuiti a v e v a n o f o n d a t o u n paio d i secoli p r i m a nel Paraguay. Se a ispirarlo fosse più l'amore del povero o l'odio del ricco, n o n s a p p i a m o . C o m u n q u e , c o n d i t o d i p r o g r e s s i s m o sociale p e r adattarlo ai tempi, in lui riviveva e trovava espressione il sanfedismo antinazionale delle masse cattoliche. M e d a e M u r r i furono d a p p r i n c i p i o alleati. E n t r a m b i vol e v a n o u n g r a n d e p a r t i t o p o p o l a r e i n d i p e n d e n t e dalla Chiesa. Ma M e d a lo concepiva c o m e lo sviluppo della organizzazione tradizionale, cioè dell'Opera, u n a volta strappatala alla vecchia g u a r d i a , m e n t r e M u r r i lo vedeva c o m e un organismo n u o v o , un «Fascio», come quelli che pochi a n n i prima avevano messo a s o q q u a d r o e i n s a n g u i n a t o la Sicilia. L'ora della verità v e n n e coi d i s o r d i n i di Milano del '98, che videro i cattolici in c o n c o r r e n z a di estremismo coi socialisti. Albertario, che li aveva aizzati, finì in galera. Ma il colpo più grosso al m o v i m e n t o lo inferse la p a u r a . A cominciare dal P a p a , molti cattolici c a p i r o n o quali pericoli di eversione ci fossero nel massimalismo di quei d u e preti, e si diss o c i a r o n o da l o r o . A T o r i n o fu e l a b o r a t o un d o c u m e n t o p r o g r a m m a t i c o d ' i n t o n a z i o n e m o d e r a t a in cui s'invocavano 360
riforme in perfetta a r m o n i a con la Costituzione: libertà di associazione, p r o v v i d e n z e p e r i lavoratori eccetera. In u n a n u o v a enciclica il Papa sanzionò il n o m e di Democrazia Cristiana. Al lancio del partito nell'agone politico mancava solo la revoca del Non expedit. Il Papa n o n si sentì di farla, ma ne lasciò al suo successore tutte le p r e m e s s e . M e d a e M u r r i si allearono n u o v a m e n t e p e r liquidare definitivamente Paganuzzi, e nel 1903 r i p o r t a r o n o u n a vittoria completa. Ma p o chi mesi p r i m a L e o n e X I I I e r a m o r t o . Q u a n d o il Conclave cominciò, tutti d a v a n o p e r certa la vittoria del cardinale Rampolla, Segretario di Stato. E forse sarebbe a n d a t a p r o p r i o così, se alla scelta dello Spirito Santo n o n si fosse o p p o s t o l ' I m p e r a t o r e d'Austria. Da secoli, ai Sovrani d'Austria, S p a g n a e Francia e r a riconosciuta u n a facoltà di veto. Francesco G i u s e p p e la esercitò p e r c h é R a m polla e r a di t e n d e n z e francofile. Ma fu l'ultima volta. Il n u o vo Papa, s e b b e n e p r o p r i o a questo veto dovesse la sua elezione, ne r e v o c ò il d i r i t t o m i n a c c i a n d o la s c o m u n i c a a c h i u n q u e ne avesse di n u o v o avanzato la pretesa. Q u e s t o n u o v o P a p a , c h e a s s u n s e il n o m e di Pio X, e r a G i u s e p p e Sarto, Patriarca di Venezia: un p r e l a t o all'antica, di c a r a t t e r e a u t o r i t a r i o , ma di m o d i semplici a n c h e p e r c h é veniva da u n a famiglia c o n t a d i n a . Alieno a o g n i f o r m a di t e m p o r a l i s m o e u n i c a m e n t e d e v o t o al suo m a g i s t e r o spirituale, la sua bestia n e r a e r a n o i «modernisti», cioè quei cattolici che volevano «adattare» la Chiesa al m o m e n t o attuale revisionandone i d o g m i alla luce delle scoperte scientifiche. C o n t r o di essi scatenò subito u n a «caccia alle streghe» di tipo i n q u i s i t o r i a l e , di cui fecero le spese n o n solo e m i n e n t i scrittori come Fogazzaro, le cui o p e r e v e n n e r o messe all'Indice; ma a n c h e dei sacerdoti c o m e Buonaiuti, che v e n n e sospeso a Divinis. Fra gl'indiziati sottoposti a vigilanza ci furono a n c h e il Vescovo di B e r g a m o Radini-Tedeschi e il suo segretario, un giovane p a r r o c o di n o m e Angelo Roncalli. Q u e s t o incubo dell'eresia condizionò a n c h e il suo orien361
l a m e n t o politico. R a m p o l l a fu a l l o n t a n a t o dalla Segreteria di Stato e sostituito dallo s p a g n o l o M e r r y del Val c h e fu il p r i m o s t r a n i e r o a o c c u p a r e quella carica. All'amicizia della Francia, Pio X preferiva quella dell'Austria e della G e r m a nia nelle quali vedeva l'incarnazione dell'autorità e dell'ordine. Amava r i c o r d a r e che, c o m e veneziano, per u n a b u o n a m e t à della sua vita era stato egli stesso «un leale s u d d i t o di Sua Maestà l'imperatore Francesco Giuseppe» e se n'era trovato b e n i s s i m o . N e l 1904 il P r e s i d e n t e della R e p u b b l i c a francese v e n n e a R o m a . Prima di lui, n e s s u n C a p o di Stato straniero vi aveva reso visita ufficiale p e r n o n fare sgarbo al Papa. Se a questo g e n e r e di sgarbi Pio X fosse molto sensibile, n o n lo s a p p i a m o e n o n lo c r e d i a m o . Ma ne a p p r o f i t t ò p e r r o m p e r e a d d i r i t t u r a l e relazioni d i p l o m a t i c h e con u n Paese che ai suoi occhi e r a s o p r a t t u t t o r e o di fornire molti alimenti al m o d e r n i s m o . A p p e n a r e d u c i dalla vittoria al c o n g r e s s o di B o l o g n a , i dirigenti della Democrazia Cristiana t r o v a r o n o in lui un dichiarato nemico. Egli respinse la loro pretesa di trasformare l'Opera in un partito politico, e p e r di più i n d i p e n d e n t e dalla G e r a r c h i a ecclesiastica, costrinse alle dimissioni il n u o v o p r e s i d e n t e Grosoli, fiduciario di M u r r i e Meda, e d o p o alcuni giorni sciolse a d d i r i t t u r a l'organizzazione centrale dell'Obero lasciandone sopravvivere solo i g r u p p i diocesani, ma sotto il diretto controllo del Vescovo. Parve un passo indietro, il r i t o r n o dei cattolici allo sterile rifiuto dello Stato unitario, il loro richiamo nel ghetto. E invece era p r o p r i o il contrario. A suggerire al Papa tanta severità verso la Democrazia Cristiana era il suo c o n t e n u t o prog r a m m a t i c o , e più ancora le scoperte simpatie di molti suoi dirigenti p e r il m o d e r n i s m o . Pio X si e r a convinto che p e r c o m b a t t e r e q u e s t a eresia alla Chiesa o c c o r r e v a l'appoggio dello Stato, e c h e lo Stato q u e s t o a p p o g g i o glielo avrebbe d a t o solo se la Chiesa r i n u n z i a v a ad avallare un p a r t i t o di atteggiamenti socialisteggianti e sovversivi. M e n t r e i nostalgici del temporalismo alla Rampolla p e n s a v a n o che il crollo 362
della Monarchia avrebbe restituito R o m a al Papa, Pio X, che del t e m p o r a l i s m o n o n e r a affatto nostalgico, pensava c h e il trionfo della Repubblica sarebbe stato solo quello delle dottrine materialiste, cui il m o d e r n i s m o attingeva la sua linfa. Le sue istruzioni ai Vescovi f u r o n o esplicite: ostacolare in tutti i modi, nei Comitati diocesani dell'Opera, i democratici cristiani, e favorire le intese dei clericali m o d e r a t i coi liberal-conservatori nei C o m u n i e nelle Province. Q u a n d o Giolitti b a n d ì le elezioni nel 1904, il c a n d i d a t o liberale di B e r g a m o , S u a r d i , chiese l ' a p p o g g i o dei cattolici locali. A B e r g a m o i cattolici e r a n o fortissimi e, valendosi della loro facoltà di voto in c a m p o amministrativo, d o m i n a v a no insieme ai liberali il C o m u n e e la Provincia. Ma S u a r d i fece c a p i r e che, se n o n fossero a n d a t i alle u r n e p e r sostenerlo anche sul p i a n o politico, quest'alleanza sarebbe finita a tutto beneficio dei partiti di Sinistra. I cattolici, che forse non aspettavano altro, m a n d a r o n o u n a delegazione al Papa per fornirgli lumi e chiedergliene. E il Papa, c h e forse n o n aspettava altro a n c h e lui, rispose: «Fate, fate quello c h e vi detta la vostra coscienza», ch'era un m o d o di dir di sì senza parere né p r e n d e r n e la responsabilità. N a t u r a l m e n t e la cosa fu risaputa d o v u n q u e . E in tutti i collegi in cui la sorte del c a n d i d a t o m o d e r a t o e r a i n c e r t a , i cattolici f u r o n o liberati dal Non expedit e mobilitati in suo favore. Anzi, in L o m b a r dia ce ne furono q u a t t r o che si p r e s e n t a r o n o candidati nella lista m o d e r a t a , e d u e di essi v e n n e r o eletti. A coloro che gridavano allo scandalo, si rispose che lo avevano fatto a p u r o titolo p e r s o n a l e e c h e n o n a n d a v a n o considerati c o m e d e putati cattolici, ma come cattolici d e p u t a t i . In questi distinguo, la Chiesa è maestra. N a t u r a l m e n t e , dietro questa o p e r a z i o n e c'era la m a n o di Giolitti, a n c h e se n o n lasciò i m p r o n t e digitali. Giolitti e r a u n o dei p o c h i e s p o n e n t i della Sinistra costituzionale c h e non fossero iscritti alla Massoneria. Cosa pensasse in m a t e ria di religione n o n si è mai b e n s a p u t o . U n a volta disse a Un suo amico che credeva nell'immortalità dell'anima, e sua 363
figlia assicura che o g n i sera leggeva qualche passo del Vangelo. E u n a testimonianza che n o n ci convince molto. Ma è certo che nelle battaglie del laicismo Giolitti n o n si e r a mai i m p e g n a t o né con l'acrimonia di un Crispi né col puntiglio di u n o Zanardelli, convinto c o m ' e r a - e di questo abbiamo le p r o v e - che i cattolici r a p p r e s e n t a s s e r o u n a forza che occ o r r e v a s o t t r a r r e alle tentazioni eversive sollecitandone la collaborazione e d a n d o l e il suo posto nella vita politica nazionale. Fu questo il g r a n d e successo ch'egli r i p o r t ò nelle elezioni d e l 1904, e che a n d a v a o l t r e il r i s u l t a t o delle u r n e . Pochi mesi d o p o il Non expedit fu tacitamente revocato con u n a enciclica che dava ai Vescovi la facoltà di autorizzare o negare la p a r t e c i p a z i o n e al voto, e invitava i cattolici a p r e p a r a r s i s e r i a m e n t e p e r il g i o r n o in cui s a r e b b e r o scesi anch'essi, e in p r o p r i o n o m e , nell'agone politico. Era il «via» al partito, ma nello stesso t e m p o il suo richiamo su posizioni m o d e r a t e e conservatrici. MOpera fu riorganizzata, o p e r meglio dire definitivamente s m e m b r a t a in varie Unioni su base diocesana in m o d o che n o n sfuggissero di m a n o ai Vescovi e che p e r l'indirizzo generale dovessero rimettersi alla Curia. Era la sconfitta dei democratici cristiani. M e d a l'accettò. M u r r i si ribellò. Sordo agli a m m o n i m e n t i , egli tentò di creare un partito cattolico di massa i n d i p e n d e n t e dalla Gerarchia e con un p r o g r a m m a molto avanzato, la Lega democratica nazionale. La Chiesa proibì ai sacerdoti di aderirvi, e l'anno d o p o M u r r i fu sospeso a Divinis. Trascinato dal suo stesso fanatis m o e convinto c h e la Chiesa, alleandosi con le forze della conservazione al potere, avesse ormai rinunziato alla sua missione riformatrice in senso cristiano, si mise r i s o l u t a m e n t e contro di essa, accentuando anche le sue tendenze moderniste. La sua Lega n o n ebbe mai più di 1.500 aderenti. Ma grazie all'appoggio di socialisti e repubblicani, nelle successive elezioni egli conquistò il seggio di d e p u t a t o e sedette in Parlam e n t o , vestito da p r e t e , accanto agli arrabbiati anticlericali della Estrema. «Finalmente la Sinistra si è p r o c u r a t a un cap364
pellano» disse Giolitti, q u a n d o lo vide. Scomunicato, sposò u n a ragazza svedese, dalla quale ebbe un figlio. Poi uscì di scena, ma nel '43 r i c o m p a r v e in abito talare. Aveva chiesto p e r d o n o alla Chiesa che lo aveva m a t e r n a m e n t e riaccolto nel suo grembo. La sua vicenda dimostrava che, fuori della Chiesa, per i cattolici n o n c'era spazio, e che un loro partito, qualunque n o m e prendesse, n o n poteva essere che confessionale. A m e d i t a r e su questa lezione fu s o p r a t t u t t o un giovane prete siciliano, d o n Luigi Sturzo, che condivideva quasi tutte le idee di Murri, ma n o n quella che un cattolico potesse mettersi contro la Chiesa: la quale, secondo lui, restava infallibile anche q u a n d o sbagliava. Sturzo detestava Pio X, considerava la sua politica conservatrice un suicidio, ma n o n gli si ribellò mai. Pazientemente, ma con indomabile energia, si mise a organizzare in seno al movimento cattolico u n a piccola centrale ideologica che tenesse vive le istanze progressiste dell'abortita Democrazia Cristiana, in attesa che i tempi maturassero. E maturarono. Nelle elezioni del 1904, dei loro t r e n t a t r é seggi, i socialisti ne persero quattro. Non era u n a decurtazione grave, ma era l'inversione di u n a t e n d e n z a che fin allora era stata all'espansione, d o v u t a n o n a u n a crisi di sviluppo, ma a u n a m a l f o r m a z i o n e o r g a n i c a , d i cui q u e l p a r t i t o n o n s a r e b b e mai p i ù g u a r i t o e c h ' e r a d e s t i n a t a a f a r n e , a n c h e nei m o menti di m a g g i o r fortuna, un «gigante dai piedi d'argilla». Al m o m e n t o della sua nascita, nel 1892, esso aveva r a p p r e sentato la g r a n d e speranza di tutta l'Italia progressista. Otto anni d o p o , e r a già in p r e d a a u n a dilacerazione che niente e nessuno sarebbe riuscito a sanare. Lo s c o n t r o e r a a v v e n u t o al C o n g r e s s o d e l 1900 sull'atteggiamento da t e n e r e nei confronti del g o v e r n o Zanardelli che b e n e o male p o n e v a fine a un l u n g o p e r i o d o d'involuzione reazionaria del regime. Ma il p r o b l e m a n o n era di pura tattica. La rivoluzione, disse Turati, n o n si fa soltanto con le barricate. O g n i riforma che elevi le condizioni di vita dei 365
lavoratori e metta a loro disposizione degli s t r u m e n t i di potere, è un passo avanti sulla via del totale riscatto. E siccome il n u o v o g o v e r n o aveva nel suo p r o g r a m m a alcune di queste riforme, bisognava appoggiarlo. Era l'enunciazione d e l m e t o d o «riformista» in t o n o con le concezioni evoluzioniste che Turati aveva s e m p r e professato. E la sua tesi, c o m e abbiamo d e t t o , aveva prevalso, ma con molta fatica. Al c o n g r e s s o successivo che si t e n n e d u e a n n i d o p o , essa fu b a t t u t a in breccia da Ferri, la cui alternativa - dice Seton Watson - «non era la rivoluzione, ma l'oratoria rivoluzionaria». Egli p r o p o n e v a u n a specie di «conflittualità p e r m a n e n t e » che t e n e s s e in p e r p e t u a agitazione il Paese facendone crescere le tensioni fino al p u n t o di rottura. Più c h e dalle s u e idee, a l q u a n t o confuse, l ' u d i t o r i o fu trascinato dal suo linguaggio enfatico e apocalittico, e dalle sue pose gladiatorie. L'appoggio al g o v e r n o fu revocato, il partito passò all'opposizione, e Ferri, i m p a d r o n i t o s i dell'zlvanti! lo t r a m u t ò , da o r g a n o di dibattiti ideologici, in u n o s t r u m e n t o di c a m p a g n e scandalistiche. Il fatto che un simile d e m a g o g o avesse p r e v a l s o su un politico a c c o r t o e r e s p o n s a b i l e c o m e T u r a t i e gli avesse s t r a p p a t o il c o m a n d o , era indicativo. Ma la sorte degli estremisti - e il loro castigo - è s e m p r e quella di essere scavalcati da altri più estremisti di loro. Nel p a r t i t o si era fatta avanti u n a forza n u o v a che n o n si contentava delle parole di Ferri, il quale oltre le parole n o n andava: i sindacalisti. Essi erano guidati da un p r o l e t a r i o a u t e n t i c o , Costantino Lazzari, vet e r a n o di quel Partito O p e r a i o che aveva i n c o n t r a t o molte difficoltà a r i p u d i a r e l'alleanza con gli a n a r c h i c i , e aveva aderito al socialismo senza r i n u n c i a r e al retaggio ideologico di Bakunin, Cafiero e Malatesta, e senza mai condividere le t e n d e n z e riformiste. La loi'o posizione forse s a r e b b e rimasta p u r a m e n t e nostalgica, se n o n avesse trovato n u o v a linfa e occasione di rilancio in u n a c o r r e n t e di pensiero che dalla Francia si stava diffondendo in tutta E u r o p a . E molto improbabile che Laz366
zari ne c o n o s c e s s e l ' i s p i r a t o r e , Sorel, e ne avesse letto le o p e r e . Ma le idee sono come i pòllini: li si r e s p i r a senza acc o r g e r s e n e . E quelle di Sorel a v e v a n o t u t t o p e r p e n e t r a r e nel s a n g u e di un u o m o c o m e lui. Per Sorel u n a società socialista n o n p u ò nascere senza violenza p e r c h é la violenza è la vera «levatrice» della Storia. E a costruire la Storia dev'essere la stessa classe o p e r a i a col s u o s a n g u e e col s u o strum e n t o : il sindacato. Ecco p e r c h é il dibattito ideologico n o n serve a niente. Da esso n o n p u ò nascere che u n a utopia, cioè qualcosa d'intellettualistico e frigido, che n o n riuscirà mai a scaldare le masse e a lanciarle sulle barricate. Q u e s t o p o t e r e l'ha soltanto il mito. E p e r crearlo, occorre lo scontro frontale col «sistema», attuato con lo sciopero generale. N a t u r a l m e n t e il p e n s i e r o di Sorel avrebbe bisogno di b e n altra esegesi, e col t e m p o subì r i t o c c h i e variazioni. D o p o aver v i o l e n t e m e n t e c o n t e s t a t o il m a r x i s m o a p p u n t o p e r il suo c a r a t t e r e utopistico, Sorel d i v e n t ò u n g r a n d e a m m i r a tore di L e n i n , m e n t r e la sua fiducia nella classe o p e r a i a e nel sindacato cedeva il posto a u n a totale sfiducia. Ma q u e sta m e t a m o r f o s i s o p r a v v e n n e con la g u e r r a del '14 e il d o p o g u e r r a . Al p r i n c i p i o del secolo il sindacalismo rivoluzionario sorelliano r a p p r e s e n t a v a u n a grossa scoperta, e in Italia esercitava più fascino che in q u a l u n q u e altro Paese, compreso quello d'origine, la Francia. A r e n d e r l o c o n g e n i a l e all'Italia f u r o n o gli stessi motivi che le a v e v a n o reso c o n g e n i a l e B a k u n i n : le sue condizioni di sottosviluppo che r e n d e v a n o le masse sensibili a richiami irrazionali ed emotivi, qual è a p p u n t o il mito. Infatti fu nel Sud c h e trovò il suo m a g g i o r e i n t e r p r e t e : A r t u r o Labriola, che già da t e m p o e r a in contrasto col riformismo di Turati. Proprio nel 1902, Labriola si trasferì da Napoli a Milano e vi fondò, in polemica con VAvanti!, Avanguardia socialista, che fu la centrale ideologica del n u o v o verbo. I suoi appelli alla «volontà eroica» del p r o l e t a r i a t o e alla classe o p e r a i a c o m e p r o t a g o n i s t a d i r e t t a della r i v o l u z i o n e senza ricorso a stati maggiori intellettuali e b o r g h e s i s e m b r a v a n o fatti a p p o s t a 367
p e r i Lazzari e gli altri sindacalisti, animati da u n a irriducibile animosità c o n t r o «gli avvocati e i professori» che domin a v a n o il p a r t i t o . Essi a v e v a n o rifiutato l ' a n a r c h i s m o , ma solo a parole. In realtà lo covavano a n c o r a nel s a n g u e . E il fascino c h e Sorel esercitava su di loro consisteva p r o p r i o nella sua parentela con Bakunin, di cui r i p r e n d e v a , aggiorn a n d o l i , i romantici motivi della violenza c o m e «ginnastica rivoluzionaria». Un g i o r n a l e di B o l o g n a lo scrisse chiaram e n t e : «Dopo u n a necessaria p a r e n t e s i , noi t o r n i a m o alla tattica della I n t e r n a z i o n a l e dei Lavoratori» c h ' e r a a p p u n t o quella fondata a Rimini sotto il segno di Bakunin. Sulle loro posizioni estremiste c o n v e r s e r o a n c h e alcuni repubblicani, e n e m m e n o questo p u ò far meraviglia: la concezione della vita c o m e «eroismo c o n t i n u a t o » e del p o t e r e e s e m p l a r e dell'«olocausto», p r i m a ancora che a B a k u n i n e a Sorel, aveva a p p a r t e n u t o al r e p e r t o r i o di Mazzini. T u t t o s o m m a t o , queste ideologie e r a n o ancora un poscritto del Risorgimento e un tentativo di rilanciarle arricchite d'istanze sociali. C o n t r o questi «anarchici travestiti da socialisti» che del socialismo - disse - r a p p r e s e n t a v a n o «l'età della pietra», Turati p r e s e u n a posizione di netto rifiuto. Ferri t e n t ò invece di conquistarli, r i n c a r a n d o sul loro estremismo. Ma i sindacalisti n o n si c o n t e n t a r o n o della sua demagogia. La decisione dello sciopero generale fu p r e s a da loro, «uomini coi calli alle mani», c o m e diceva Lazzari, con l'entusiastico appoggio di anarchici e repubblicani. E Labriola la salutò come la dimostrazione che «poche o r e di azione diretta r e n d o n o più di a n n i di chiacchiere parlamentari». Ma la sua esultanza n o n trovava molto riscontro nei fatti. Lo sciopero, a b b i a m o già d e t t o , n o n fu un fallimento, ma n o n fu n e m m e n o un successo p e r c h é si esaurì s p o n t a n e a m e n t e , e il suo più consistente risultato fu la spaccatura delle forze o p e r a i e . Lo si vide p o c h i mesi d o p o , q u a n d o i sindacalisti b a n d i r o n o un altro sciopero, quello delle ferrovie. Fu un fiasco, da cui i sindacalisti u s c i r o n o demoralizzati e con la t r u p p a dimezzata. 368
Ferri n e a p p r o f i t t ò p e r c e r c a r d i c o n q u i s t a r e u n a posizione di leader p o n e n d o s i a m e d i a t o r e fra riformisti e massimalisti e p r o p o n e n d o f o r m u l e di c o m p r o m e s s o destinate a fare scuola nel linguaggio socialista, come: «Né a destra né a sinistra, ma avanti», «Siamo p e r le riforme c o n t r o il riformismo, e p e r il sindacato contro il sindacalismo». Arrivò perfino a dire che si considerava «riformista in q u a n t o rivoluzionario e rivoluzionario in q u a n t o riformista». Vinse, ma n o n grazie a queste acrobazie dialettiche. Vinse p e r c h é i riformisti v o t a r o n o in suo favore, n o n o s t a n t e il disprezzo che T u r a t i n u t r i v a p e r lui. Essi uscivano a p p e n a dal g h e t t o in cui i sindacalisti, n e l m o m e n t o d e l l o r o trionfo, li a v e v a n o confinati, e a v e v a n o b i s o g n o di t e m p o p e r r i c o n q u i s t a r e le leve del cosiddetto «apparato» e ricostituire la l o r o m a g g i o r a n z a . «11 t e m p o l a v o r a p e r noi» scrisse Turati ad A n n a Kuliscioff. Ed ebbe r a g i o n e in q u a n to lavorò c o n t r o i suoi avversari, che s e g u i t a r o n o i m p e r t e r riti a c o r r e r e dietro al mito dello sciopero g e n e r a l e . La loro «conflittualità p e r m a n e n t e » r a g g i u n s e il suo c u l m i n e n e l 1907 ed ebbe p e r principale t e a t r o la Padania, t e r r a di contrasti e di u m o r i p a r t i c o l a r m e n t e aspri. Molti scioperi fallir o n o , altri riuscirono solo a mezzo, e i sindacalisti ci p e r s e ro prestigio e seguaci. Turati ebbe la g r a n d e accortezza di saper aspettare che il suicidio dei suoi nemici si consumasse. N o n prese mai posizione c o n t r o la loro «scioperomania» e le violenze che p r o vocava p e r c h é , disse, «la sua coscienza di socialista gli vietava di s e p a r a r s i dal p r o l e t a r i a t o a n c h e nelle s u e a b e r r a z i o ni». Per lui, l ' e r r o r e e r a stato il ritiro dell'appoggio a Giolitti, «l'unico u o m o di g o v e r n o serio che abbia la C a m e r a » , e non vedeva l'ora di r i p a r a r l o . Ma capiva che questo poteva avvenire solo q u a n d o il socialismo l o m b a r d o , frutto di u n a società capitalista avanzata e costituito di professionisti, di tecnici, d'intellettuali, di ferrovieri, di tipografi, avesse ripreso il sopravvento su quello da area depressa dei sindacalisti emiliani e meridionali. Perché anche il socialismo riflet369
teva il divario fra le d u e Italie, sottolineato dal fatto che questo era ancora più accentuato nei ceti proletari che in quelli borghesi: d o p o il n a p o l e t a n o Labriola, il più accanito avversario di Turati sarà il pugliese Salvemini. La resa dei conti scoccò al congresso di Firenze nel 1908. S e n t e n d o persa la partita, Ferri l'aveva a b b a n d o n a t a a n d a n d o s e n e a fare un giro di conferenze in America, e i sindacalisti n o n si p r e s e n t a r o n o n e m m e n o . V e n n e r o c o n d a n n a t i in c o n t u m a c i a c o m e «deviazionisti», e c o m b a t t u t i p r o p r i o sul l o r o t e r r e n o organizzativo con la c o n s a c r a z i o n e della C G L , cioè della Confederazione G e n e r a l e del Lavoro, c o m e unica autorità c o m p e t e n t e a indire gli scioperi. Fu il trionfo del riformismo, ma a n c h e di Giolitti, che ora poteva d i m o s t r a r e ai suoi avversari conservatori q u a n t o fondata fosse la sua fiducia nella m a t u r a z i o n e democratica delle classi lavoratrici. «La libertà ha m a n d a t o in soffitta Carlo Marx» disse. E q u a n d o nelle elezioni d e l 1909 i ventinove d e p u t a t i socialisti r i t o r n a r o n o alla C a m e r a in q u a r a n t u n o , n o n solo n o n se ne spaventò, ma se ne compiacque, e favorì l'elezione a vicepresidente del loro d e c a n o , A n d r e a Costa.
CAPITOLO Q U I N T O
IL REGIME
Le elezioni d e l 1904, c h e tolsero 13 collegi alla c o s i d d e t t a Estrema nel suo complesso (radicali, repubblicani e socialisti), furono un insuccesso a n c h e p e r l'opposizione conservatrice di Destra, che ci p e r s e u n a q u a r a n t i n a di seggi, m e n t r e i ministeriali salivano di altrettanti. Diciamo ministeriali p e r c h é o r m a i il t e r m i n e liberali n o n aveva p i ù a l c u n senso. Un v e r o e p r o p r i o p a r t i t o liberale n o n c'era mai stato, n e m m e n o ai t e m p i di Cavour, p e r c h é l'aggettivo e r a considerato incompatibile col sostantivo. O r a sotto questa etichetta r i e n t r a v a n o tutti coloro che, genericamente, accettavano lo Stato risorgimentale e le sue istituzioni, a cominciare dalla Monarchia. Liberale si e r a professato Depretis, ma a n c h e Crispi, come o r a insieme si professavano Giolitti, S o n n i n o , e Pelloux. N o n c'era un partito col suo «vertice», col suo p r o g r a m m a , con le s u e sedi, c o n le sue iscrizioni e tessere, come usa oggi. C ' e r a n o soltanto, in tutte le città e paesi, dei notabili che agivano da «grandi elettori», cioè da collettori di voti p e r il c a n d i d a t o locale in g r a d o di fornire le migliori garanzie di r i p a g a r e il favore. E la p r i m a di q u e s t e g a r a n z i e e r a di far p a r t e della m a g g i o r a n z a c h e disponeva del p o t e r e . Ecco p e r c h é le opposizioni, in Italia, h a n n o s e m p r e avuto la vita d u r a : n o n «pagano». Q u e s t o sistema n o n lo aveva inventato Giolitti. Giolitti lo trovò. E l'accusa che gli si p u ò m u o v e r e è di aver b a d a t o più a servirsene che a riformarlo. Servirsene n o n era facile perché esso aveva, p e r dirla coi medici, le sue controindicazioni. Il fatto di basarsi soltanto su r a p p o r t i e transazioni di carattere p e r s o n a l e r e n d e v a le m a g g i o r a n z e facili, ma aleato371
rie. N o n essendo vincolato da n e s s u n a pregiudiziale ideologica, ma soltanto d a g l ' i m p e g n i presi coi notabili che gli avev a n o procacciato il voto delle loro clientele, l'eletto poteva cambiare cavallo con la massima facilità r e v o c a n d o il suo appoggio a Depretis p e r d a r l o a Zanardelli o viceversa. Q u a n do Crispi b a n d ì le elezioni del '90, le u r n e gli d i e d e r o una m a g g i o r a n z a d i 4 0 0 d e p u t a t i , q u a l e n o n aveva m a i avuto n e m m e n o Cavour. Tre mesi d o p o si ritrovò in m i n o r a n z a e costretto alle dimissioni. Da q u e s t e e s p e r i e n z e , sia p u r e vissute sulla pelle degli altri, Giolitti aveva t r a t t o la sua lezione. Sapeva benissimo che, col p o t e r e in m a n o , la vittoria gli sarebbe stata facile. 11 diffìcile era d a r l e u n a certa stabilità, cioè p o r r e su basi più solide il r a p p o r t o coi suoi s o s t e n i t o r i . D u r a n t e la c a m p a g n a , e a n c h e d o p o , egli d i c h i a r ò c h e le elezioni si vincono s o l t a n t o su p r i n c ì p i ideologici c h i a r i . Ma q u e s t o fa p a r t e delle ipocrisie o b b l i g a t o r i e della politica. C h i a r i , Giolitti aveva i p r o g r a m m i di g o v e r n o . All'ideologia e r a refrattario, c o m e lo e r a stato Depretis. Le vittorie elettorali che gli c o n s e n t i r o n o di g o v e r n a r e p e r dieci a n n i l'Italia egli le ott e n n e solo grazie a u n a s a p i e n t e scelta di u o m i n i e a u n a impeccabile tessitura d'interessi, puliti o sporchi che fosser o . Ecco p e r c h é , p e r t u t t o il t e m p o in cui stette al p o t e r e , egli lo esercitò dal suo tavolo di Ministro d e g l ' I n t e r n i . Aveva bisogno dei Prefetti p e r t e n e r e in p u g n o n o n solo l'ordin e p u b b l i c o , m a a n c h e l a b a s e e l e t t o r a l e . I l v e r o pilastro del r e g i m e furono loro che n o n g o d e t t e r o mai t a n t a potenza c o m e sotto Giolitti, p a d r o n e esigentissimo, ma che sapeva c o m p e n s a r e il m e r i t o . Il merito consisteva nel dosaggio dei favori da dispensare ai notabili e alle loro clientele in m o d o che l'eletto ne fosse c o s t a n t e m e n t e condizionato. Nel N o r d , dove il p o t e r e non era un'industria, era più difficile mercanteggiarlo trattandolo c o m e un «dividendo» o titolo a z i o n a r i o . Ma nel Mezzog i o r n o , d o v e l'unica i n d u s t r i a e r a - da s e m p r e - il p o t e r e , l ' o p e r a z i o n e risultava r e l a t i v a m e n t e agevole. Infatti fu so372
p r a t t u t t o il Mezzogiorno a fornire quel paio di centinaia di deputati su cui Giolitti basò la p r o p r i a stabile maggioranza, e che a p p u n t o p e r questo v e n n e r o chiamati i suoi «ascari». Ecco p e r c h é la vittoria del 1904 risultò decisiva: n o n p e r la consistenza n u m e r i c a della sua piattaforma, ma p e r il diverso r a p p o r t o ch'egli stabilì con essa. N e m m e n o il suo maestro Depretis era mai riuscito a legarsela in m a n i e r a così stretta. Per assicurarsene la fedeltà, Giolitti n o n badava di certo ai mezzi. Lo stesso Re disse molti a n n i d o p o c h e nel reclutamento dei suoi ascari Giolitti dava la preferenza, p e r poterli meglio ricattare, ai mariuoli, di cui teneva aggiornatissimi i dossiers. N o n stentiamo a crederlo. Giolitti n o n g o v e r n ò i n i n t e r r o t t a m e n t e l'Italia f i n o alla guerra mondiale. Era t r o p p o accorto per regalare questo a r g o m e n t o a coloro che lo accusavano di « d i t t a t u r a p a r l a m e n t a r e » : la stessa accusa c h ' e r a stata lanciata c o n t r o Cavour e Depretis. Per d u e volte passò la m a n o , o r a all'amico, ora al n e m i c o , ma s e m p r e r e s t a n d o p a d r o n e della m a g g i o ranza, e q u i n d i l'arbitro della situazione. N o n è q u i n d i imp r o p r i o p a r l a r e d e l suo d e c e n n i o c o m e d i u n v e r o e p r o prio «regime», di cui vai la p e n a fissare i principali caratteri. I risultati n o n si possono discutere. Sotto il segno di Giolitti l'Italia uscì definitivamente dal l u n g o p e r i o d o di recessione che l'aveva afflitta, fece un grosso balzo avanti sulla via d e l l ' i n d u s t r i a l i z z a z i o n e , p a r e g g i ò il bilancio, r i p o r t ò il suo p r i m o successo militare - la conquista della Libia -, diede inizio a u n a legislazione sociale, e attuò la più a u d a c e di tutte le riforme: il suffragio universale. Molti storici gli contestano il merito di questi successi, dic e n d o ch'egli ebbe soltanto la f o r t u n a di a r r i v a r e al p o t e r e nel m o m e n t o in cui l ' e c o n o m i a italiana e n t r a v a in fase di espansione p e r motivi i n d i p e n d e n t i dalla politica, e ch'egli n o n fece c h e r a c c o g l i e r n e i frutti. Ma l ' o b b i e z i o n e n o n è molto persuasiva. Se la g r a n d e z z a di un u o m o politico consiste nel s a p e r s i a d e g u a r e ai t e m p i e nel t r a r n e il miglior 373
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p a r t i t o , n o n c'è d u b b i o c h e Giolitti si d i m o s t r ò l ' u o m o più adatto a cogliere quella favorevole c o n g i u n t u r a e ad assicur a r n e al Paese i maggiori benefici. Altri gli r i m p r o v e r a di essere stato soltanto un u o m o di p o t e r e e di n o n aver mai mirato ad altro che a conquistarlo o a m a n t e n e r l o con oblique m a n o v r e e giuochi di c o r r i d o i o . Ma a n c h e q u e s t a tesi alla luce dei fatti, n o n regge, o p e r lo m e n o va i n t e r p r e t a t a in altro m o d o . C h e Giolitti fosse u o m o d i p o t e r e , n o n c'è d u b b i o . N e aveva l'ambizione, la smania, la b r a m a , c o m e del resto tutti gli u o m i n i politici. Ma di oblique m a n o v r e n e a n c h e le cron a c h e a lui più avverse r e c a n o traccia. Egli e r a convinto - e lo diceva - che del p o t e r e n o n bisogna a n d a r e in cerca, ma a s p e t t a r e che v e n g a a cercarci. N a t u r a l m e n t e egli sapeva c r e a r e le condizioni p e r c h é questo avvenisse, e avvenisse nei m o m e n t i in cui gli faceva c o m o d o , ma senza mai ricorrere a quei subdoli intrallazzi che si c h i a m a n o «arti parlamentari». C o m e dice Ansaldo, i famosi divani della cosiddetta «sala dei passi p e r d u t i » a Montecitorio n o n f u r o n o mai logorati dai suoi pantaloni. Ma, p u r a m a n d o l o s p a s m o d i c a m e n t e , n o n è vero ch'egli facesse del p o t e r e il suo unico e s u p r e m o t r a g u a r d o . Certo, evitava d i g i u o c a r l o s u c a u s e p e r d u t e , a n c h e q u a n d o era convinto della loro bontà. Per questo, q u a n d o e r a stato Ministro delle Finanze con Crispi, si era rifiutato di p r o c e d e r e alla r i f o r m a del sistema b a n c a r i o , p u r s a p e n d o q u a n t o c e n ' e r a bisogno, p e r c h é capiva di n o n aver a b b a s t a n z a forza p e r d e b e l l a r e gl'interessi c h e ne s a r e b b e r o stati lesi (e la p a g ò c o n lo s c a n d a l o della B a n c a R o m a n a ) . E p e r q u e s t o a n c h e si era dissociato da Zanardelli sul p r o b l e m a del divorzio. I n s o m m a egli e b b e s e m p r e un senso m o l t o preciso di ciò che si poteva e di ciò che n o n si poteva fare; e a ciò che n o n si p o t e v a fare r i n u n c i a v a , a n c h e se Io c o n s i d e r a v a necessario e sacrosanto. «Gli u o m i n i politici - disse u n a volta n o n d e b b o n o fare i precursori.» Ma ciò n o n esclude ch'egh avesse a n c h e un disegno politico, di cui considerava il pote374
re un semplice s t r u m e n t o . Q u e s t o disegno è molto chiaro e si p u ò r i a s s u m e r e così: i n t e g r a r e le m a s s e p o p o l a r i nelle strutture dello Stato liberale che fin lì le aveva escluse. Anche su questo p u n t o ci sono delle contestazioni. Alcuni storici dicono che fu soltanto u n a m a n o v r a p e r allargare la sua m a g g i o r a n z a e q u i n d i rafforzare il p r o p r i o p o t e r e . Ma l'ipotesi n o n q u a d r a coi fatti. Giolitti affermò questa esigenza a n c h e nei m o m e n t i in cui n o n gli faceva b u o n giuoco, e le rimase s e m p r e fedele. A rileggere i suoi discorsi di solito prosaici ed opachi, si n o t a c h i a r a m e n t e che solo q u a n d o toccano q u e s t o p u n t o c a m b i a n o r e g i s t r o e a c q u i s t a n o u n certo p a t h o s . Il suo a m o r e p e r gli umili n o n e r a un'astuzia elettorale: se ne trova traccia a n c h e nei suoi a t t e g g i a m e n t i privati. Q u a n d o il s e n a t o r e Arrivabene, g r a n d e latifondista p a d a n o , telegrafò a l M i n i s t e r o p e r p r o t e s t a r e c o n t r o u n o sciopero che obbligava lui, S e n a t o r e del R e g n o , «a c o n d u r re l ' a r a t r o a b b a n d o n a t o dai c o n t a d i n i col b e n e p l a c i t o del governo», Giolitti gli fece r i s p o n d e r e : «La esorto a continuare, così p o t r à r e n d e r s i c o n t o della fatica che f a n n o i suoi mezzadri e p a g a r l i meglio». I n s o m m a , di un c e r t o p o p u l i smo egli si sarà a n c h e servito p e r i suoi scopi di p o t e r e . Ma questo n o n ne inficia la sincerità, che del resto ha u n a sua spiegazione - ci s e m b r a - abbastanza plausibile e d e g n a di essere un p o ' meglio a p p r o f o n d i t a . Q u a n d o nel '92 fu p e r la p r i m a volta incaricato di formare il G o v e r n o , Giolitti v e n n e v i o l e n t e m e n t e attaccato c o m e un «intruso». Voleva dire che, a differenza di tutti i suoi p r e decessori, egli n o n aveva b e n e m e r e n z e r i s o r g i m e n t a l i , e d era vero. Fin allora il p o t e r e e r a stato m o n o p o l i o dei «reduci», e Giolitti n o n lo era di nulla. Di tutti i notabili della sua generazione, e r a l'unico che n o n avesse partecipato a nessuna impresa né regia, né garibaldina. E q u a n d o , c o m e tutti i piemontesi di leva, e r a stato chiamato alle armi, se n'era fatto e s e n t a r e a d d u c e n d o la sua c o n d i z i o n e di figlio u n i c o di m a d r e vedova. Del Risorgimento, egli accettava lealmente il retaggio m o r a l e e ideale, ma n o n aveva legami sentimentali
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c o n esso e n o n ne c o n d i v i d e v a l ' a m o r e geloso ed esclusivo di coloro che lo avevano fatto. Il vero motivo p e r cui lo Stato liberale aveva così a v a r a m e n t e «aperto» alle classi popolari e r a questo: la concezione corporativa che i suoi artefici ne avevano s e m p r e avuto. N o n a v e n d o contribuito a costruirlo, l e masse p o p o l a r i , s e c o n d o l o r o , n o n a v e v a n o diritto d'ingresso al t e m p i o e d o v e v a n o contentarsi di far da coro ai suoi riti. Sia p u r e inconfessato, questo e r a l'atteggiamento n o n soltanto della Destra, ma a n c h e della Sinistra. Ma n o n lo era di Giolitti, che alla corporazione n o n apparteneva. Entrato giovanissimo nell'amministrazione e conoscitore p r o f o n d o della sua «macchina», egli era, sì, un u o m o dello Stato, ma di un altro Stato: quello subalpino, cui restava attaccato anche p e r tradizione familiare. D'italiano, aveva poco. Per m o d i , linguaggio, abiti e abitudini, egli era, c o m e i suoi zii Plochiù, un comviìs del vecchio Regno sabaudo, con le sue virtù e i suoi limiti. Di qui la sua allergia alla mitologia del Risorgimento e alla retorica delle sue «sante memorie», ma anche alla sua concezione di monopolio di casta. Per lui lo Stato doveva essere di tutti perché lui n o n era dei pochi che, d o p o averlo fatto, intendevano m a n t e n e r n e l'esclusiva. Ecco il motivo p e r cui costoro lo sentivano c o m e un i n t r u s o . Ed ecco p e r c h é fu p r o p r i o questo intruso il p r i m o u o m o politico italiano ad avvertire il bisogno d'integrare le masse nello Stato, chiamandole a condividerne la responsabilità. Q u e s t o p r o g r a m m a , che oggi è accettato a n c h e dai conservatori, a quei t e m p i e r a da p r e c u r s o r e , s e b b e n e Giolitti usasse r i p e t e r e che coi p r e c u r s o r i gli u o m i n i politici n o n h a n n o né d e b b o n o avere parentela. E questo toglie ogni validità all'accusa che gli si m u o v e di n o n aver fatto, nella sua azione di g o v e r n o , c h e o r d i n a r i a a m m i n i s t r a z i o n e . La sua a r t e , diceva Vitelleschi, consiste n o n nel risolvere i g r a n d i p r o b l e m i ideologici, ma nel rimpicciolirli p e r ricondurli alle sue m o d e s t e dimensioni; e la sua antiretorica n o n era che la sordità ai g r a n d i aneliti del Paese cui r i m a s e s e m p r e estran e o a n c h e p e r la pochezza della sua cultura. 376
Qui c'è del vero e del falso s t r e t t a m e n t e mescolati. Di cultura, Giolitti ne aveva poca. A p a r t e la quotidiana p a g i n a di Vangelo che sua figlia gli attribuisce, egli n o n leggeva che le «pratiche» di ufficio e d'altro n o n sentì mai il bisogno. U n a volta, u s c e n d o da u n a visita al suo a r c i n e m i c o S o n n i n o , a chi gli d o m a n d a v a cosa p e n s a v a di lui, rispose s c o t e n d o la testa: «Troppi libri, t r o p p i libri...» E un g i o r n o telegrafò al Prefetto di Napoli p e r avere ragguagli di «un certo Michetti» cui gli avevano p r o p o s t o di conferire il laticlavio, cioè la nomina a Senatore. Ma n o n bisogna c o n f o n d e r e la sostanza con lo «stile». Quello che allora veniva chiamato - con sprezzante accento «l'empirismo» di Giolitti, e c h e o g g i si c h i a m e r e b b e «qualunquismo», e r a soltanto la concretezza di cui egli soleva rivestire tutti i p r o b l e m i , e che n o n escludeva affatto la loro profondità. Soleri dice ch'egli g o v e r n ò l'Italia da premier inglese. E infatti degli u o m i n i politici inglesi egli ebbe lo spirito pratico, refrattario a qualsiasi astrazione e più a n c o r a ai condimenti retorici. A Cavallotti, che gli r i m p r o v e r a v a l'aridità oratoria, rispose: «È vero. Ma q u a n d o ho finito di dire ciò che devo dire, mi è impossibile di c o n t i n u a r e a parlare». L'unica critica che va a bersaglio è quella del malcostume su cui il giolittismo si f o n d ò . Giolitti n o n fece nulla p e r eliminare il clientelismo che a m m o r b a v a la vita politica italiana col suo codazzo di c o r r u z i o n e , intimidazioni e ricatti. Airzi, se ne servì. A chi g l i e n e faceva accusa, egli r i s p o n d e v a che «un s a r t o , q u a n d o taglia u n abito p e r u n g o b b o , d e v e far la gobba a n c h e all'abito». Ma n o n senza r a g i o n e Salvemini osservò c h e coi gobbi aveva d o v u t o v e d e r s e l a a n c h e Cavour, il q u a l e p e r ò di gobbi ne aveva lasciati m e n o di quanti ne aveva trovati, m e n t r e Giolitti ne lasciò di più. E vero, e questo resta il p u n t o n e r o di Giolitti. Egli aveva negli u o m i n i e nella possibilità di migliorarli quella totale sfiducia che caratterizza i veri conservatori. P e r c h é Giolitti n o n e r a nella sostanza che un c o n s e r v a t o r e abbastanza intelligente p e r capire che p e r conservare un sistema bisogna 377
cointeressarvi tutti, o a l m e n o le maggioranze. Egli fece molto p e r cambiare la società italiana. Ma p e r modificare il suo costume niente, p e r s u a s o c o m ' e r a che niente ci fosse da fare. N o n credeva nei suoi simili, e lo d i m o s t r a n o a n c h e i suoi r a p p o r t i privati. A sentire sua figlia, e r a un marito e un pad r e t e n e r o . Ma lo e r a soltanto d e n t r o le m u r a di casa. Fuori, e r a s o l t a n t o c o r r e t t o , ma n o n fu m a i amico di n e s s u n o , e forse n e m m e n o nemico. Q u a n d o Cavallotti, al t e m p o della Banca R o m a n a , d o p o avergli d a t o di c o r r u t t o r e e di ladro, gli g r i d ò : «Non vi d a r ò mai p i ù la mano!», Giolitti rispose: «Oh, me la d a r e t e a n c o r a ! Me la darete!» E q u a l c h e a n n o d o p o , n o n solo Cavallotti gliela diede, ma diventò la sua lancia spezzata nella lotta c o n t r o Crispi. N o n rese mai irreparabile n e s s u n a inimicizia, c o m e n o n rese mai intima nessuna amicizia. Era i m p e n e t r a b i l e . «I suoi occhi piccoli e grigi - dice Ansaldo - l e g g o n o sul viso degli u o m i n i gl'interessi che li m u o v o n o , meglio a n c o r a che gl'ideali.» Giolitti fu rispettosissimo del P a r l a m e n t o , ma più sul piano formale che su quello sostanziale. In realtà n o n gli lasciò mai svolgere altre funzione che quella di avallare e t r a d u r r e in leggi le iniziative del g o v e r n o . N o n si vede del resto come avrebbe p o t u t o essere altrimenti, visto il r a p p o r t o di personale d i p e n d e n z a c h e legava gli «ascari». U n o di costoro, chiedendogli istruzioni sul m o d o di votare, gli scriveva: «Per m e , soldato fedele alla consegna, basterà un c e n n o soltanto del mio C a p o p e r i n t e n d e r n e l'animo ed essere b u o n braccio di esecuzione». La disponibilità degl'italiani alla dittatura n o n è che la loro vocazione al servilismo. N o n sempre il c e n n o del C a p o e r a di v o t a r e in favore delle leggi ch'egli stesso p r o p o n e v a . Q u a l c h e volta chiedeva che gli votassero c o n t r o e lo c o s t r i n g e s s e r o alle dimissioni. N a t u r a l m e n t e il m o m e n t o e il pretesto li sceglieva lui. Anche se n o n è vero - e n o n lo è - che la sua fu soltanto amministrazione, n o n c'è d u b b i o che l'amministrazione per lui contò molto e n o n fu mai così efficiente come sotto di l La burocrazia ne ricevette u n ' i m p r o n t a indelebile, e «gioì' " ul
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tiano» si chiamò, anche d o p o di lui, un certo tipo di funzionario che s'identificava con la sua funzione, l'esercitava con zelo e più t a r d i ne difese le p r e r o g a t i v e a n c h e dagli arbitri del fascismo. Soprattutto, Giolitti fu un g r a n d e allevatore di Prefetti, che f u r o n o il vero p u n t e l l o del suo p o t e r e . E r a n o dei veri e p r o p r i G o v e r n a t o r i che, q u a n d o riuscivano, finivano r e g o l a r m e n t e S e n a t o r i o Ministri; ma q u a n d o n o n si mostravano all'altezza dei loro vastissimi compiti v e n i v a n o spietatamente eliminati. «L'avverto che se a v v e n g o n o n u o vamente simili fatti, la sua carriera finirà in m o d o poco decoroso», «Lei e b b e un o r d i n e , lo eseguisca, a l t r i m e n t i in giornata La e s o n e r o dalle Sue funzioni» si legge nei suoi telegrammi. R i e n t r a n d o d o p o alcuni a n n i d a l l ' I n g h i l t e r r a , il giornalista Borsa, che p u r e p e r Giolitti n o n aveva t e n e r e z za, osservava che nell'Italia giolittiana aveva t r o v a t o «più compostezza, più correttezza, più dignità». Salvatorelli ha definito il r e g i m e giolittiano «un n e o t r a sformismo», e c'è del v e r o . Egli n o n m i r ò mai a costituire un partito dai connotati ideologici definiti, un p o ' p e r c h é il suo a m o r e della concretezza lo r e n d e v a e s t r a n e o alle astrazioni dottrinarie, un p o ' p e r c h é a un m a n o v r a t o r e delle sue risorse c o n v e n i v a m o l t o di p i ù la fluidità dei vari schieramenti. C o m e Depretis, egli variava le p r o p r i e m a g g i o r a n z e secondo la n a t u r a dei p r o b l e m i che i n t e n d e v a affrontare. Ma in q u e s t o giuoco si rivelò p i ù abile del suo stesso m a e stro, sia p e r c h é della m a g g i o r a n z a rimase s e m p r e p a d r o n e anche q u a n d o , a b b a n d o n a t o m o m e n t a n e a m e n t e il p o t e r e , sedeva alla C a m e r a come semplice d e p u t a t o ; sia p e r c h é egli operava i n u n a s i t u a z i o n e m o l t o p i ù c o m p l e s s a . D e p r e t i s aveva d o v u t o vedersela con p a r l a m e n t a r i che r a p p r e s e n t a vano in tutto cinque o seicentomila elettoti, e q u i n d i e r a n o poco c o n d i z i o n a t i dal p u b b l i c o c o n t r o l l o . Giolitti fin d a p principio ebbe a che fare con un elettorato q u a d r u p l i c a t o , e dopo il suffragio universale da lui stesso i n t r o d o t t o , con le a s s e . E p p u r e i fili del giuoco, fino alla p r i m a g u e r r a m o n diale, n o n gli sfuggirono mai di m a n o . m
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È o p i n i o n e diffusa c h e il p i ù g r a n d e a p p o g g i o Giolitti lo trovò nel Re, di cui sarebbe stato il b e n i a m i n o e fiduciario. «Giolitti ha tutte le fortune - si diceva -, compresa quella di a v e r e un Re giolittiano.» Ma alla luce dei fatti e dei documenti, il r a p p o r t o fra i d u e u o m i n i risulta m e n o caloroso e rettilineo di q u a n t o allora si credesse. Un p o ' p e r gusti personali, ma forse a n c h e p e r considerazioni di o p p o r t u n i t à , Vittorio E m a n u e l e aveva d a t o al Quirinale un t o n o molto borghese. Le cariche furono mant e n u t e , ma u n a vera e p r o p r i a Corte n o n esistette più, e con essa s p a r i r o n o i fasti e le feste d e l l ' e p o c a u m b e r t i n a . La g r a n d e e solenne villa reale di Monza fu chiusa, e poco dopo fu chiuso p e r le stesse ragioni a n c h e Racconigi. Per le vac a n z e a Vittorio E m a n u e l e b a s t a v a n o il palazzotto di Sant'Anna di Valdieri e San Rossore, ch'era la sua residenza preferita a n c h e p e r c h é la più a p p a r t a t a . Alla fine a n c h e il Q u i r i n a l e gli v e n n e a noia e preferì ritirarsi in u n a casa di periferia, villa Ada, c o m p r a t a apposta ai margini della camp a g n a , dove rimase fino al 1943. Al Quirinale ci a n d a v a solo c o m e un impiegato in ufficio, e con lo stesso scrupolo dell'orario. N o n voleva che i bambini crescessero in mezzo a tutto quel lusso. Perché ora c'erano a n c h e loro. U n a piccola operazione al collo dell'utero aveva dissipato i timori sulla sterilità della Regina, che o r a snocciolava figlioli u n o sull'altro: p r i m a J o l a n d a , poi Mafalda, e alla fine, nel 1904, il sospirato e r e d e , U m b e r t o . Q u a n d o salì sul t r o n o , Vittorio E m a n u e l e conosceva app e n a Giolitti, che n o n aveva a C o r t e n e s s u n a a d e r e n z a . 11 suo vecchio amico e p r o t e t t o r e U r b a n i n o Rattazzi n o n era nelle grazie del n u o v o Re forse p e r c h é aveva g o d u t o quelle del p a d r e , ed era stato allontanato. Q u a n d o Zanardelli cadd e , Giolitti ricevette d u n q u e l'incarico di f o r m a r e il nuovo g o v e r n o n o n su «raccomandazione» di q u a l c h e consigliere (Vittorio E m a n u e l e n o n ne ebbe m a i n e s s u n o , fino ad Acq u a r o n e ) , ma p e r considerazioni esclusivamente politiche, e cioè p e r c h é garantiva la continuazione di u n a «linea» che il 380
Re considerava la p i ù a d a t t a ai t e m p i e ch'egli stesso aveva avallato r i n u n z i a n d o , d o p o l'assassinio di suo p a d r e , a leggi eccezionali e i m p e g n a n d o s i nella difesa delle libertà d e m o cratiche. Per questo aveva preferito Giolitti a S o n n i n o . S u m o l t e cose i d u e u o m i n i n o n p o t e v a n o c h e a n d a r e d'accordo. E n t r a m b i detestavano la retorica, le pose, le cerimonie, la «rappresentanza», e n t r a m b i a m a v a n o la vita semplice e ritirata, e n t r a m b i b a d a v a n o al sodo, e n t r a m b i e r a n o allergici alle astrazioni, e n t r a m b i t e n e v a n o alla p u n t u a l i t à , alla p r e c i s i o n e e all'esattezza, e n t r a m b i n u t r i v a n o u n a sostanziale sfiducia negli u o m i n i , e n t r a m b i e r a n o convinti che sotto gl'ideali n o n si celassero che degl'interessi, e p e r di più fra loro p a r l a v a n o in dialetto. Ma c'era a n c h e u n ' a l t r a cosa che li univa: la m a n c a n z a di calore u m a n o . I loro r a p p o r t i rimasero s e m p r e quelli da Re a P r i m o Ministro, che esclud e v a n o qualsiasi «amicizia». Giolitti a n d a v a in u d i e n z a al Quirinale d u e volte la settimana, il giovedì e la d o m e n i c a , r e c a n d o in u n a cartella i d o c u m e n t i p e r la firma. Ma l'ultimo loro incontro si svolse esattamente c o m e il p r i m o . D o p o quattordici a n n i di collaborazione, n e s s u n a confidenza era nata fra loro. T a n t i a n n i d o p o , q u a n d o Giolitti e r a in agonia, Vittorio E m a n u e l e n o n a n d ò a trovarlo, si limitò a chiedere, anzi a far c h i e d e r e notizie, e le sue condoglianze furon o f r e d d i s s i m e . Più t a r d i , p a r l a n d o d i lui c o n C i a n o , n e lodò l'abilità m a n o v r i e r a c o m e se fosse stata la sua u n i c a qualità. E al g e n e r a l e Gatti disse di aver conosciuto, d u r a n t e il suo R e g n o , un solo vero u o m o di Stato: il m a r c h e s e di San Giuliano. Secondo Ansaldo, il Re n o n a m ò Giolitti p e r c h é si sentiva schiacciato da lui e in posizione di debitore. Effettivamente, mai come sotto Giolitti la Monarchia raccolse le simpatie p o polari. Il Re poteva a n d a r e fra i minatori e fra gli scaricatori del p o r t o di Genova r i c e v e n d o n e , invece che revolverate, applausi. Lo a p p l a u d i v a n o le folle repubblicane di Emilia e R o m a g n a p e r le quali egli e r a «il S o v r a n o di E s t r e m a Sinistra». Perfino E n r i c o F e r r i gli r e s e o m a g g i o . E p u ò a n c h e 381
darsi che il fatto di dover tutto questo a Giolitti ferisse il suo carattere stizzoso e i suoi complessi d'inferiorità. Ma n o n è che un'ipotesi. Di accertato, c'è solo che Giolitti trovò in Vittorio E m a n u e l e un Sovrano consenziente con la sua azione di g o v e r n o finché egli fu p a d r o n e della situazione politica e questa rimase in clima di normalità. Nell'em e r g e n z a , n o n trovò in lui nessun aiuto. Se p e r q u a l c u n o il Re e b b e un d e b o l e , o a l m e n o u n ' i n t h n o r i t a a m m i r a z i o n e , n o n fu p e r Giolitti, ma p e r Mussolini.
CAPITOLO SESTO
IL SUFFRAGIO UNIVERSALE
Q u a t t r o mesi d o p o la schiacciante vittoria r i p o r t a t a nell'elezioni del n o v e m b r e 1904, Giolitti si dimise p e r ragioni di salute. N a t u r a l m e n t e tutti dissero - o p e n s a r o n o - che la salute era soltanto u n a scusa, ma avevano torto. Giolitti soffriva effettivamente di un forte e s a u r i m e n t o nervoso. Ma, avendo la specialità di fare tutto al m o m e n t o giusto, bisogna riconoscere c h e faceva al m o m e n t o giusto a n c h e gli e s a u r i menti. Il suo g o v e r n o si reggeva su u n a m a g g i o r a n z a larga e, quel che p i ù conta, abbastanza stabile, o c o m u n q u e m e n o instabile del solito. Ma si trovava di fronte ad alcuni problemi che, c o m u n q u e fossero stati risolti, minacciavano d'incrinarla. Il più spinoso era quello delle ferrovie. La battaglia sulla loro g e s t i o n e , se cioè q u e s t a dovesse essere a s s u n t a dallo Stato o affidata a c o m p a g n i e private, e r a di vecchia d a t a e presentava u n o s c h i e r a m e n t o che, visto con gli occhi di oggi, ha del p a r a d o s s a l e . La Destra, di solito i m p e g n a t a sulle soluzioni p r i v a t i s t i c h e , voleva in m a g g i o r a n z a la g e s t i o n e statale; la Sinistra, di solito sostenitrice dell'intervento statale, voleva la soluzione privatistica. E fu questa che aveva finito col p r e v a l e r e grazie a Depretis, che riuscì a far affidare per v e n t ' a n n i l'esercizio a delle società, che ne avrebbero ripartito i profitti con lo Stato. O r a i v e n t ' a n n i scadevano, bisognava d e c i d e r e se r i n n o v a r e o revocare la concessione e, date le dimensioni degl'interessi in giuoco, la lotta si a n n u n ciava a s a n g u e . Ma un p r o b l e m a a n c o r a più a r d u o era quello dei ferrovieri che r a p p r e s e n t a v a n o , insieme ai tipografi, la categoria 383
1 di salariati politicamente più m a t u r a e agguerrita. Nel 1902, p e r p r e v e n i r n e lo sciopero, Zanardelli le aveva fatto larghe concessioni, alcune delle quali e r a n o p e r ò rimaste sulla carta. O r a i ferrovieri ne r e c l a m a v a n o l'applicazione m i n a c ciando un altro sciopero. Giolitti, che dal diritto di sciopero e s c l u d e v a i servizi pubblici, p r e p a r ò un d i s e g n o di legge c h e , r e v o c a n d o le concessioni e affidando l'esercizio delle ferrovie allo Stato, faceva a n c h e di esse un servizio pubblico, e c o m e tale n o n scioperabile. Ma si rese conto che questa battaglia gli avrebbe alienato tutte le simpatie dell'Estrema. E fu allora che il suo e s a u r i m e n t o nervoso si aggravò al p u n to da costringerlo al ritiro. Egli n o n lasciò tuttavia un posto vuoto. Prima di a b b a n d o n a r l o , lo aveva già r i e m p i t o con un u o m o di sua stretta fiducia, Alessandro Fortis, col quale ebbe inizio la serie delle cosiddette «luogotenenze di Giolitti». Il quale se ne t o r n ò a C a v o u r a c u r a r e i p r o p r i m a l a n n i in attesa che i treni ricominciassero a c o r r e r e in orario. Fortis e r a un tipico notabile r o m a g n o l o di l u n g o e contraddittorio corso ideologico. Aveva d e b u t t a t o c o m e r e p u b blicano i n t r a n s i g e n t e , e r a a n d a t o i n g a l e r a p e r c o m p l o t t o rivoluzionario con gli anarchici, poi e r a stato conquistato da Crispi, era finito Ministro di Pelloux, e o r a militava sotto la b a n d i e r a di Giolitti. C o m e «trasformista», era fra i più qualif i c a t i . M a q u e s t a pecca e r a a b b o n d a n t e m e n t e c o m p e n s a t a dai suoi doni di simpatia u m a n a e da u n a g r a n d e esperienza p a r l a m e n t a r e . I ferrovieri che a v e v a n o salutato c o n giubilo la fine del «governo liberticida» di Giolitti, t r o v a r o n o in lui un osso ancora più d u r o . Egli n o n cedette n e m m e n o q u a n d o essi scesero in sciopero, e d o p o q u a t t r o g i o r n i ebbe p a r t i t a vinta. La paralisi dei trasporti aveva a tal p u n t o spaventato i sostenitori della gestione privata delle ferrovie che la statalizzazione v e n n e r a p i d a m e n t e a p p r o v a t a in m o d o da p o r r e quel servizio al r i p a r o di simili incidenti. Ma gravi contrasti sorsero sull'indennizzo alle società che lo avevano gestito. Accusato di averle t r o p p o favorite, Fortis si trovò in difficolta,
e invano Giolitti, che p e r il m o m e n t o n o n i n t e n d e v a tornare al p o t e r e , cercò d ' i n d u r r e i suoi «ascari» a sostenerlo. Al principio del 1906, la m a g g i o r a n z a a b b a n d o n ò il g o v e r n o , che d i e d e le dimissioni. E siccome Giolitti, ch'era l'unico in grado di ricomporla, n o n ne considerava m a t u r o il m o m e n to, la m a n o passò al suo avversario Sonnino. Per un pezzo, S o n n i n o si e r a atteggiato ad e r e d e di Crispi. Ma u l t i m a m e n t e aveva r i p u d i a t o le pregiudiziali autoritarie, c e r c a n d o di differenziarsi da Giolitti sul p i a n o del cosiddetto «impegno» ideologico e m o r a l e . Al t r a s f o r m i s m o del suo avversario e delle sue composite falangi, egli o p p o neva il rigore di un p u g n o di «incorruttibili» che si dicevano refrattari a qualsiasi c o m p r o m e s s o . N o n si trattava soltanto di calcolo politico. Forse e r e d i t a t o dalla m a d r e inglese, in Sonnino c'era un fondo p u r i t a n o che sotto alcuni aspetti lo rendeva un p o ' p a r e n t e di Ricasoli; e il suo s d e g n o contro i metodi giolittiani dell'intrigo e del m e r c a n t e g g i a m e n t o e r a sincero. Aveva u n a solida p r e p a r a z i o n e , e n o n affrontava u n p r o b l e m a s e n z ' a v e r l o s c r u p o l o s a m e n t e sviscerato. M a severo, nerovestito e di diffìcile approccio, aveva stoffa p i ù di predicatore che di u o m o politico, e di simpatie n o n ne attirava. S e c o n d o Sforza, c h e lo detestava, o g n i m a t t i n a egli ringraziava p i a m e n t e Dio di averlo fatto diverso da tutti gli altri u o m i n i , cosa c h e gli altri u o m i n i n o n s o n o disposti a perdonare. Con loro g r a n d e stupore, Giolitti o r d i n ò ai suoi di a p p o g giare Sonnino. Ma n o n si trattava di generosità. Privo di u n a maggioranza, S o n n i n o c h i a m ò nel suo Ministero i radicali che così si t r o v a r o n o a convivere con gli arcinemici della Destra, e chiese l'appoggio dei socialisti e l'ottenne grazie a Ferri, il quale glielo d i e d e in o d i o a T u r a t i , i r r e m o v i b i l m e n t e giolittiano. E q u e s t a ibrida c o m b i n a z i o n e piaceva a Giolitti Per d u e motivi: p r i m a di tutto p e r la sua precarietà, e p p o i Perché toglieva al suo rivale l'aureola di «uomo di princìpi» dimostrando che anche lui, q u a n d o gii faceva c o m o d o , «trasformava», e più di q u a n t o Giolitti avesse mai fatto. 385
Il suo calcolo si rivelò esatto. S o n n i n o usò il suo b a n c o presidenziale come un pulpito, e la sua fu u n a c o n t i n u a predica moraleggiante che in quel P a r l a m e n t o eletto coi metodi di Giolitti trovava l ' u d i t o r i o m e n o c o n g e n i a l e . Certi disordini in Puglia e u n o sciopero a Torino p r o v o c a r o n o alcuni m o r t i , di cui T u r a t i i m m e d i a t a m e n t e a p p r o f i t t ò p e r costringere il suo partito a ritirare l'appoggio al g o v e r n o . Sonn i n o cercò di c o n s e r v a r e quello dei radicali p r o i b e n d o alla polizia d'intervenire. L'opinione m o d e r a t a si ribellò, e in Pad a n i a si c o s t i t u i r o n o delle s q u a d r e di «volontari dell'ordine», che furono il p r o d r o m o di quelle che quindici a n n i dopo m a r c i a r o n o su Roma. In queste condizioni n o n restava a S o n n i n o che la solita e s t r e m a carta dello scioglimento della C a m e r a . Lo p r o p o s e al Re, ma q u e s t i lo rifiutò d i c e n d o - g i u s t a m e n t e - c h e la C a m e r a aveva a p p e n a un a n n o e mezzo di vita e u n a m a g g i o r a n z a l'aveva espressa. N a t u r a l m e n t e si trattava della maggioranza di Giolitti, che p r o p r i o in quel m o m e n t o guariva dei suoi malanni nervosi. Per f o r m a r e il suo terzo Ministero, egli n o n cercò a p p o g g i n e l l ' E s t r e m a u n p o ' p e r c h é n o n n e aveva b i s o g n o , u n po' p e r c h é aveva capito c h e costava m o l t o p i ù d i q u a n t o r e n desse. I p a r l a m e n t a r i socialisti e r a n o alla m e r c é della loro base massimalista, qualsiasi accordo con essi bastava un piccolo sciopero a farlo n a u f r a g a r e , e i radicali finivano semp r e p e r fare blocco con loro. Preferì circondarsi di uomini di p r o v a t a fedeltà e di riconosciuta c o m p e t e n z a , ma fra di essi volle d u e cattolici: il solito Tittoni agli Esteri e Gianturco ai Lavori Pubblici. E alla testa di q u e s t a c o m p a g i n e gov e r n ò il Paese p e r altri t r e a n n i e m e z z o , c h e f u r o n o tra 1 più produttivi in tutti i campi. La riforma p i ù a u d a c e e di m a g g i o r i c o n s e g u e n z e fu la c o n v e r s i o n e del d e b i t o p u b b l i c o . Esso a m m o n t a v a a circa otto miliardi di lire, che p e r quei t e m p i era u n a cifra da capogiro, e r e n d e v a il cinque p e r cento: cioè tanto ne ricavava c o m e interesse chi investiva i suoi risparmi in titoli di Stato. 386
Il che significava, pei" lo Stato, un esborso a n n u o di q u a t t r o cento milioni, considerato s p r o p o r z i o n a t o alle possibilità del n o s t r o bilancio. Per r i d u r l o , n o n c ' e r a n o che d u e m o d i : quello ipocrita e disonesto di svalutare la m o n e t a inflazionandola, cioè p a g a n d o un cinque p e r cento che c o m e capacità di acquisto ne valeva m o l t o m e n o , o r i d u r r e scopertam e n t e il tasso d ' i n t e r e s s e , col pericolo che i r i s p a r m i a t o r i , non t r o v a n d o n e più conveniente l'investimento, corressero a convertire i loro titoli m e t t e n d o in condizioni di insolvibilità un Tesoro che a otto miliardi n o n poteva far fronte. Già Zanardelli aveva o p t a t o p e r la s e c o n d a soluzione, e Sonnino l'aveva avviata col suo Ministro del Tesoro, Luzzatti. Sebbene o r a questi fosse fuori del g o v e r n o , Giolitti lo incaricò di p o r t a r e avanti l'operazione. Un consorzio internazionale di B a n c h e mise 400 milioni a disposizione del n o stro Stato p e r fare fronte a un eventuale crollo dei titoli italiani nelle Borse estere. Ma il crollo n o n ci fu, c o m e all'int e r n o n o n ci fu la corsa al r i m b o r s o . G i u s t a m e n t e Luzzatti d i c h i a r ò alla C a m e r a c h e l'eroe di q u e l l ' o p e r a z i o n e e r a il c o n t r i b u e n t e italiano, il q u a l e si e r a lasciato d e c u r t a r e la r e n d i t a d e i suoi titoli dal c i n q u e al t r e e m e z z o p e r c e n t o con alto spirito patriottico. Noi c r e d i a m o che il patriottismo c'entrasse poco. T i m i d o e r e n i t e n t e al rischio, questo risparmiatore seguitava a preferire u n a r e n d i t a decurtata, ma sicura, a quella azzardosa dei titoli industriali. C o m u n q u e , il successo dimostrava q u a n t o fosse in quegli a n n i cresciuto il credito dello Stato italiano, sia all'interno che all'estero. I risultati n o n si fecero a t t e n d e r e . L'anno d o p o , il bilancio si chiuse in avanzo, e la lira cominciò a fare «aggio» sull'oro, cioè a valere più del suo corrispettivo in metallo. Delle a u m e n t a t e disponibilità, il g o v e r n o si avvalse n o n solo p e r p o r t a r e avanti le più urgenti «infrastrutture» c o m e la rete stradale, quella ferroviaria e l ' a m m o d e r n a m e n t o della m a r i n a m e r c a n t i l e , ma a n c h e p e r soddisfare gl'interessi clientelari di quella che Salvemini chiamava «la mafia giolittiana». L'accusa era f o n d a t a . Giolitti p e n s a v a al Paese, ma 387
p e n s a v a a n c h e al p o t e r e , cioè p e n s a v a c h e senza il p o t e r e n o n a v r e b b e p o t u t o p e n s a r e n e m m e n o a l Paese: u n Paese in cui i voti si c o m p r a v a n o n o n con le idee, ma coi favori. Lo slancio dell'economia e il crescente b e n e s s e r e che ne derivava attutivano la t e n s i o n e sociale, e lo si vedeva dalle vicende i n t e r n e d e ! partito socialista, in cui il massimalismo p e r d e v a inesorabilmente t e r r e n o e Turati r i p r e n d e v a il sop r a v v e n t o su Ferri. A n c h e la C G L , O C o n f e d e r a z i o n e Generale del L a v o r o , c h e si e r a costituita a T o r i n o nel 1906, si sottrasse all'influenza dei sindacalisti r i v o l u z i o n a r i e si acc o r d ò con la d i r e z i o n e del p a r t i t o e col suo g r u p p o parlam e n t a r e , che aveva s e m p r e accusato di «corruzione borghese». Q u a n d o in alcune città del N o r d scoppiò u n o sciopero di p r o t e s t a c o n t r o la r e p r e s s i o n e poliziesca, la C G L impedì che si trasformasse in sciopero generale. Fu s u l l ' o n d a di questi successi c h e , s c a d e n d o i termini della legislatura, Giolitti b a n d ì nel 1909 le n u o v e elezioni. E qui si vide q u a n t o la politica di distensione sociale e l'appoggio dato al cauto riformismo giolittiano avesse giovato all'Estrema. I repubblicani c o n s e r v a r o n o i loro 24 seggi, ma i socialisti ne g u a d a g n a r o n o u n a dozzina, e quasi altrettanti i radicali. U n ' a l t r a i m p o r t a n t e novità fu la s e m p r e p i ù massiccia partecipazione dei cattolici alle spalle del Non expedit, f o r m a l m e n t e ancora in vigore. C o m e al solito, i loro ventun eletti a n d a r o n o alla C a m e r a come «cattolici deputati» e non c o m e «deputati cattolici». Ma n o n era che un puntiglio formale. Q u a n d o Giolitti si r i p r e s e n t ò alla C a m e r a poteva contare su u n a m a g g i o r a n z a di ben 350 voti, m e n t r e la pattuglia di S o n n i n o si era assottigliata ad u n a q u a r a n t i n a . L'Estrema lo attaccò sull'unico p u n t o su cui lo poteva attaccare: i metodi elettorali, p r o p r i o allora d e n u n c i a t i da Salvemini in un libello violento: // Ministro della mala vita. Giolitti si difese con la solita c o n s u m a t a abilità. «In Italia - disse -, da q u a n d o si f a n n o elezioni generali, è s e m p r e successo che i candidati respinti n o n vogliano essere stati respinti dalla volontà degli 388
elettori, ma dalle violenze del governo.» Mentiva, ma i 350 eletti grazie alle violenze, o p e r meglio dire ai m a n e g g i del croverno, lo a p p l a u d i r o n o calorosamente. Poi d'improvviso, c o m e aveva fatto d o p o le vittoriose elezioni di ciirque a n n i p r i m a , si dimise. Lo scoglio che stavolta gli si parava davanti era la m a r i n a mercantile. Lo Stato aveva fatto un grosso sforzo p e r incrementarla e p e r sviluppare i trasporti. Fra le società che li gestivano ce n ' e r a u n a , la Società G e n e r a l e di N a v i g a z i o n e che, grazie ai finanziamenti della Banca Commerciale aveva assunto u n a posizione di netto p r e d o m i n i o e i n t e n d e v a farlo valere a v a n z a n d o , p e r i suoi servizi, p e s a n t i richieste di sovvenzioni. Giolitti faceva resistenza, c o n v i n t o di p o t e r s p u n t a r e condizioni più vantaggiose con altre società. Ma, com'era avvenuto p e r le ferrovie, il p r o b l e m a toccava tali e tanti interessi che sollevò un vespaio in P a r l a m e n t o e sulla stampa. O g n u n o accusava l'avversario di essere un «prezzolato» e le r e c i p r o c h e accuse s a l i r o n o t a l m e n t e di t o n o c h e p a r v e r o t o r n a t i i t e m p i della B a n c a R o m a n a . Giolitti, c h e quei t e m p i li ricordava più e meglio degli altri, preferì trarsi lùori dalla mischia. Ma p e r c a d e r e si fabbricò un pretesto politicamente più redditizio. D i p u n t o i n b i a n c o , p r e s e n t ò u n d i s e g n o d i legge c h e prevedeva un'imposta progressiva sui redditi e sulle successioni. S a p e v a b e n i s s i m o che la m a g g i o r a n z a l ' a v r e b b e r e spinto, ma p r o p r i o p e r questo l'aveva p r e s e n t a t o . «Vedete? - disse. - È bastato che p r o p o n e s s i q u a l c h e tassa sui ricchi perché la m a g g i o r a n z a si ribelli.» Così passò p e r u n a vittima dell'ingiustizia sociale, si g u a d a g n ò il plauso dell'Estrema e se ne p r e n o t ò l'appoggio p e r l'inevitabile r i t o r n o . Ancora u n a volta, o r d i n ò ai suoi ascari di s o s t e n e r e la successione di S o n n i n o , che infatti fu incaricato di f o r m a r e il n u o v o g o v e r n o . N o n solo p e r c h é privo di seguito c o m ' e ra, egli n o n poteva reggersi che sulla m a g g i o r a n z a giolittiana che Io teneva p r a t i c a m e n t e p r i g i o n i e r o ; ma a n c h e p e r ché a Giolitti conveniva che su quello scottante p r o b l e m a si 389
bruciasse lui, c o m e difatti avvenne. Sonnino si p r e s e n t ò alla C a m e r a con un voluminoso fardello di disegni di legge min u z i o s a m e n t e studiati c o m ' e r a suo c o s t u m e , e i giolittiani gli d e t t e r o il voto. Ma a un certo p u n t o dovette affrontare lo scoglio che Giolitti aveva s a p i e n t e m e n t e evitato e, comprend e n d o di non poterlo s u p e r a r e , chiese al Re io scioglimento della C a m e r a c o m e aveva fatto la volta p r e c e d e n t e . Ma come la volta p r e c e d e n t e , il Re glielo n e g ò , n o n lasciandogli altra alternativa che le dimissioni e il n o m i g n o l o di «Presid e n t e dei cento giorni», quanti e r a n o durati e n t r a m b i i suoi Ministeri. P e r d u r a n d o l'ostacolo, Giolitti declinò la successione, ma s u g g e r ì il n o m e di chi poteva a s s u m e r l a : Luigi Luzzatti. E fu la sua seconda «luogotenenza». Luzzatti era l'opposto di S o n n i n o : e s t r o v e r s o e d e s t e m p o r a n e o , i m p u l s i v o , arguto, pieno di calore u m a n o , godeva n o n soltanto in Italia, ma in t u t t a E u r o p a , l a r g h e simpatie e p r o f o n d a stima c o m e economista. N o n p e r nulla Giolitti aveva affidato a lui il compito di costituire quel consorzio internazionale di Banche che gli aveva c o n s e n t i t o l ' o p e r a z i o n e d e l d e b i t o p u b b l i c o . Ma nell'azione politica difettava di quel «ragionevole e opport u n o m a n e g g i o degli uomini» che Giolitti c o n s i d e r a v a la condizione del successo. La g r a n d e c o m p e t e n z a in materia finanziaria e più ancora l ' e s a u r i m e n t o dei motivi polemici che p e r un a n n o avevano invelenito il p r o b l e m a delie convenzioni marittime gli p e r m i s e r o di c o n d u r l o a u n a soluzione di c o m p r o m e s s o che p e r lo m e n o consentiva di p r e n d e r e r e s p i r o . E il governo ne approfittò p e r v a r a r e altre d u e riforme di grosso impeg n o . La p r i m a fu quella dell'istruzione, p r e p a r a t a dal Ministro radicale C r e d a r o su un p r o g e t t o , c o m e al solito coscienziosamente a p p r o f o n d i t o , di Sonnino. La vecchia legge affidava la gestione della scuola e l e m e n t a r e ai C o m u n i che specialmente nel S u d si e r a n o dimostrati incapaci di esercitarla, e questo era u n o dei motivi fondamentali del p e r d u r a n t e analfabetismo di quelle zone. La legge C r e d a r o la trasferiva 390
]lo Stato, r e n d e n d o obbligatoria la frequenza fino ai 12 anni di età, invece che fino a 9, c o m ' e r a p r i m a . Il p r o g e t t o fu v i o l e n t e m e n t e avversato dai cattolici, da s e m p r e ostili alla scuola di Stato che toglieva spazio a quelle loro. Ma Giolitti la fece sostenere dai suoi in p i e n a c o n c o r d a n z a con l'Estrema. E la legge passò, a n c h e se in pratica poi si rivelò m e n o efficace di q u a n t o i suoi fautori avessero sperato. Poi fu la volta della riforma elettorale, tradizionale campo di battaglia fra progressisti e conservatori. M a l g r a d o gli sforzi dei primi, i cittadini in g r a d o di esercitare il diritto di voto n o n a r r i v a v a n o a tre milioni. A t t r i b u e n d o l o a tutti coloro che sapevano leggere e scrivere, e r e n d e n d o l o obbligatorio, il p r o g e t t o Luzzatti lo e s t e n d e v a a q u a t t r o milioni e mezzo di p e r s o n e . P u r a p p r o v a n d o l a , Giolitti avvertì il suo luogotenente della pericolosità della p r o p o s t a . Ma Luzzatti volle fare di testa sua, convinto di r i c r e a r e la m a g g i o r a n z a che si e r a formata p e r la legge C r e d a r o . Viceversa questa si spappolò. E ciò che p i ù dovette s t u p i r e il c a n d i d o Luzzatti fu che i consensi venissero da Destra e gli attacchi da Sinistra. Lobbligatorietà del voto piaceva ai conservatori c o m e arma p e r s o t t r a r r e al loro assenteismo le masse r u r a l i , quasi tutte reazionarie; ma metteva in grave imbarazzo l'Estrema che, n o n p o t e n d o r e s p i n g e r e u n a riforma così democratica, ma nello stesso t e m p o t e m e n d o di venire s o m m e r s a dall'ondata sanfedista delle c a m p a g n e , combatté il p r o g e t t o in nome del suffragio universale. Nella lotta che si accese violenta, la m a g g i o r a n z a giolittiana si divise, e fece appello al «padrone» p e r c h é t o r n a s s e «a m e t t e r e o r d i n e tra le file». Lo stesso Luzzatti, s e n t e n d o s i o r m a i c o n d a n n a t o , gli rivolse questo voto « a r d e n t e e schietto». E Giolitti, fedele al suo principio che «il p o t e r e n o n lo si cerca, lo si aspetta», accolse la supplica e t o r n ò a Roma. I m m e d i a t a m e n t e i radicali si rit i r a r o n o dal g o v e r n o p r o v o c a n d o la crisi. E il Re affidò a Giolitti l'incarico di f o r m a r e - nel m a r z o del 1911 - il suo quarto Ministero.
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Faceva p a r t e della tattica di Giolitti lasciare ad altri il compi, to di a c c e n d e r e le battaglie, a s p e t t a r e che le c o n t r a p p o s t e posizioni p o l e m i c h e vi si c o n s u m a s s e r o , e r i p r e n d e r l e in p r o p r i o a ceneri raffreddate. Così fece anche stavolta, includ e n d o nel p r o g r a m m a del suo g o v e r n o la riforma elettorale che aveva provocato la c a d u t a di quello p r e c e d e n t e , ed anzi a m p l i a n d o l a n o t e v o l m e n t e . Luzzatti voleva e s t e n d e r e il diritto di voto a q u a t t r o milioni e mezzo di cittadini, Giolitti a otto e mezzo. Era quasi il suffragio universale, in n o m e del q u a l e la p r o p o s t a Luzzatti e r a stata c o m b a t t u t a e respinta dall'Estrema, cui o r a q u e s t ' a r m a cadeva di m a n o . Fu un colpo a s o r p r e s a p e r c h é fino a n o n m o l t o t e m p o p r i m a Giolitti aveva definito l'estensione del voto «l'apoteosi d e l l ' i g n o r a n z a » , e da D e s t r a lo a c c u s a r o n o di cinico opp o r t u n i s m o p e r quella r e p e n t i n a i n v e r s i o n e d i t e n d e n z a . Ma Giolitti si era cautelato a Sinistra i n c l u d e n d o nel suo Ministero b e n tre radicali e invitandovi i socialisti. Fra costoro, 10 scandalo fu g r a n d e q u a n d o si s e p p e che il loro maggiore e s p o n e n t e p a r l a m e n t a r e , Bissolati, e r a a n d a t o i n u d i e n z a dal Re. Il r e p r o b o se ne scusò d i c e n d o c h e c ' e r a a n d a t o senz'abito di cerimonia e col cappello a cencio - particolari liturgici che in casa socialista h a n n o s e m p r e rivestito grandissima i m p o r t a n z a -, ma capì che a c c e t t a n d o l'incarico si sarebbe isolato dal partito, c o m e Turati saggiamente gli diceva, e rifiutò. Gli a r g o m e n t i dell'opposizione furono fiacchi, e si ridussero a questo: che grazie a quella riforma s a r e b b e r o andati alle u r n e tre milioni di analfabeti. Ma Giolitti rispose che questi analfabeti dovevano aver c o m p i u t o t r e n t ' a n n i e fatto 11 servizio militare, cioè avevano avuto dall'esperienza delle lezioni più istruttive di quelle che si ricavano dai libri. Il fatto è c h e i c o n s e r v a t o r i , a c o m i n c i a r e da S o n n i n o , ormai si v e r g o g n a v a n o di a p p a r i r e tali, e le loro obbiezioni rimasero marginali. A cogliere il fondo del p r o b l e m a e la posta che vi e r a in giuoco fu u n o solo, p r o p r i o Bissolati, il quale predisse che quella riforma, d i s t r u g g e n d o il m o n o p o l i o elettorale 392
della élite, distruggeva l'Italia dei notabili, e q u i n d i a n c h e il giolittismo che su di essa era fondato. Era vero. Le masse che quella riforma chiamava alle urne n o n si p o t e v a n o m a n i p o l a r e c o m e le piccole clientele su cui il sistema giolittiano si basava. E questo era talmente evidente che c'è da chiedersi c o m e fece Giolitti a n o n vederlo. Noi c r e d i a m o che lo abbia visto benissimo; ma che, v e d e n d o n e a n c h e l'inevitabilità, preferisse essere lui a c o m p i e r e l'operazione in m o d o da assicurarsene, agli occhi dei b e n e ficiari, il merito. N o n è, si capisce, che un'ipotesi. Ma, di tutte, ci sembra la più plausibile. La riforma c o m u n q u e passò a larga maggioranza. E Giolitti ne approfittò p e r p r e s e n t a r n e un'altra, m e n o rivoluzionaria, ma n o n m e n o scabrosa p e r la forza degl'interessi che toccava: quella delle società di assicurazione sulla vita. Ce n ' e r a n o u n a c i n q u a n t i n a , di cui quasi u n a m e t à a capitale s t r a n i e r o che i m m e d i a t a m e n t e r e a g i r o n o al p r o g e t t o governativo d i farne u n m o n o p o l i o statale p e r d e v o l v e r n e gli utili a u n a Cassa Nazionale di Previdenza p e r l'invalidità e la vecchiaia degli operai. Ma sarebbe ingiusto dire che gli oppositori a g i r o n o p e r fare gl'interessi delle società private e ai loro s t i p e n d i . Fra di essi c ' e r a n o degli u o m i n i al di sopra di ogni sospetto c o m e Salandra ed Einaudi che si batter o n o in n o m e di b e n a l t r o , cioè dei p r i n c ì p i , e fu p r o p r i o questo c h e conferì a l d i b a t t i t o u n a nobiltà i n c o n s u e t a . Q u a n d o Giolitti gli disse che «fare gl'interessi dello Stato è più liberale che fare quello di pochi capitalisti», S a l a n d r a gli rispose: «Prego f o n . Giolitti di spiegare le sue ultime parole dalle quali p o t r e b b e risultare che noi d i f e n d i a m o i capitalisti dallo Stato». E d o p o aver ricevuto p i e n a soddisfazione, evocò i pericoli del capitalismo di Stato con tali a r g o m e n t i che Giolitti si a r r e s e alla loro f o n d a t e z z a e accettò a l c u n i e m e n d a m e n t i , m a n o n senza alla f i n e r i c o r d a r e che o g n i qua! volta aveva tentato di r i d i m e n s i o n a r e lo s t r a p o t e r e d e gl'interessi privati, «ho o t t e n u t o soltanto il collocamento a riposo»: il che gli valse gli o s a n n a dei s o c i a ' h d e. sia p u r e
d e c u r t a t a da q u a l c h e c o m p r o m e s s o , la vittoria finale. Perché questo opaco travet, allergico alla retorica, aveva le sue demagogie. Ma, oltre a queste d u e iniziative, o r m a i t r a d o t t e in realtà, Giolitti n e m a t u r a v a nel suo a n i m o u n a p i ù grossa, d i cui n o n aveva mai fatto parola con n e s s u n o , n e m m e n o coi suoi p i ù fidati collaboratori: la conquista della «quarta sponda», cioè della Libia e della Tripolitania.
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CAPITOLO SETTIMO
« T R I P O L I BEL S U O L D'AMORE»
Giolitti aveva, alla politica estera, la stessa scarsa vocazione del suo m a e s t r o Depretis, il quale diceva che bisognava farn e i l m e n o possibile. B o r g h e s e d i p r o v i n c i a , n o n aveva viaggiato, n o n parlava le lingue, n o n conosceva i problemi internazionali. E p e r di più n o n voleva e n t r a r e in concorr e n z a col Re, che sulla politica e s t e r a si riservava l'ultima parola e n o n rinunciava a farla pesare. S e c o n d o l'ambasciat o r e inglese R o d d , il v e r o M i n i s t r o degli Esteri e r a lui, e questa opinione era condivisa anche d a l l ' I m p e r a t o r e di G e r m a n i a G u g l i e l m o I I c h e n e diffidava c o n s i d e r a n d o l o antitriplicista. I n realtà Vittorio E m a n u e l e antitriplicista n o n e r a . L o era solo un certo a m b i e n t e di C o r t e che faceva capo al clan m o n t e n e g r i n o , il quale a sua volta faceva capo allo Zar, nat u r a l m e n t e antitedesco. Ma il Re n o n era u o m o da cedere a siffatte interferenze, e n e m m e n o alle p r o p r i e antipatie. I diplomatici stranieri che avevano a che fare con lui restavano colpiti dalla sua perfetta conoscenza delle situazioni e dall'acutezza e spregiudicatezza con cui le valutava. E questo era il p u n t o su cui a n d a v a perfettamente d'accordo con Giolitti, a sua volta convinto che la politica in generale e quella estera in particolare a n d a s s e r o sottratte a ogni e l e m e n t o emotivo. Giolitti aveva avuto seri dissapori con Zanardelli che lo aveva accusato di triplicismo p e r c h é , come Ministro degl'Int e r n i , aveva r e p r e s s o le manifestazioni i r r e d e n t i s t e . Ma il triplicismo n o n c ' e n t r a v a . Il fatto è c h e Z a n a r d e l l i , uomo del Risorgimento ed e x - c o m b a t t e n t e delle dieci giornate di Brescia, «era - diceva l'ambasciatore francese B a r r è r e - i* " 1
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capace di r i n u n c i a r e al piacere di offendere l'Austria»; m e n tre Giolitti, che di quei trascorsi n o n ne aveva, pensava semplicemente che la politica estera n o n fosse cosa da risolversi con le dimostrazioni di piazza. Q u e s t o tuttavia n o n gli aveva i m p e d i t o di s e c o n d a r e la tendenza a l l ' a m m o r b i d i m e n t o dei r a p p o r t i con la Francia, che Crispi aveva p o r t a t o al limite di r o t t u r a , a c c e n t u a n d o il carattere difensivo della Triplice. Questa t e n d e n z a e r a suggerita dallo stesso m u t a m e n t o della situazione internazionale. All'alleanza con l'Austria e la G e r m a n i a , l'Italia e r a stata costretta dal minaccioso a t t e g g i a m e n t o francese d o p o l'annessione di R o m a . Sembrava che la Francia volesse ripristinare lo Stato pontifìcio. E all'Italia, p e r sfuggire a q u e s t o pericolo e sottrarsi all'isolamento, n o n restava c h e l'intesa con B e r l i n o e Vienna. Altri dissapori c o n Parigi e r a n o sopravvenuti p e r la politica africana di Crispi, cui la Francia sottraeva gli spazi c o n l ' a n n e s s i o n e della Tunisia. Ma poi, archiviata la questione di Roma p e r l'evoluzione della vicina Repubblica in senso s e m p r e più laico e anticlericale e spentesi ad A d u a le c a l d a n e colonialiste italiane, i r a p p o r t i fra Italia e Francia e r a n o entrati in fase distensiva. Ad accelerare e a c c e n t u a r e questo processo aveva contribuito soprattutto un u o m o : l'ambasciatore francese B a r r è r e che, v e n u t o a R o m a nel 1898, e r a riuscito a c o n q u i s t a r l a grazie alla sua abilità, alla sua tenacia e al suo fascino personale. Anch'egli m a e s t r o , c o m e Giolitti, di « m a n e g g i o degli uomini», fece presto a orientarsi fra i protagonisti della p o litica italiana, a i m p a d r o n i r s i dei loro segreti e a legarseli con tutti i mezzi, leciti e illeciti. La sua Ambasciata diventò il più vivace c e n t r o m o n d a n o e c u l t u r a l e di R o m a , r e g o l a r mente visitato e illuminato dalle p e r s o n a l i t à p i ù in vista di Parigi, che B a r r è r e mobilitava e strumentalizzava p e r i suoi disegni. I suoi più g r a n d i alleati italiani furono Visconti-Venosta e Luzzatti che, a n c h e q u a n d o n o n facevano p a r t e del governo, vi facevano p e s a r e il p r o p r i o indiscusso p r e s t i g i o di 397
esperti negoziatori. Grazie a loro, egli condusse in p o r t o un trattato commerciale che n o n solo p o n e v a fine alla lunga e r o v i n o s a g u e r r a d o g a n a l e fra i d u e Paesi, i n a u g u r a t a da Crispi, ma apriva a n c h e la s t r a d a a n u o v i r a p p o r t i politici. L a r e a z i o n e dei triplicisti, forti s o p r a t t u t t o n e l l ' a m b i e n t e militare, e r a stata violenta, ma vana. Lo stesso Pelloux favorì il n u o v o corso, che si accentuò con la scomparsa di Umb e r t o e col ritiro dalla scena di M a r g h e r i t a , triplicisti convinti. La stessa scelta dell'irredentista antiaustriaco Zanardelli c o m e c a p o del g o v e r n o e r a a b b a s t a n z a indicativa delle intenzioni di Vittorio E m a n u e l e , e p i ù ancora lo fu la nomina, i m p o s t a da lui, di Prinetti c o m e Ministro degli Esteri. Prinetti era un industriale milanese di t e n d e n z a clerico-moderata che aveva fieramente avversato la politica coloniale di Crispi. Molti lo accusavano d'incoerenza p e r c h é d o p o aver c o m b a t t u t o Zanardelli, o r a accettava di collaborare con lui. In r e a l t à egli collaborava col Re c h e lo aveva c h i a m a t o a quel posto n o n p e r c h é ve lo considerava qualificato, ma anzi p r o p r i o p e r il motivo opposto. G r a n g a l a n t u o m o e pieno di b u o n e intenzioni, ma emotivo, imprevedibile e piuttosto avventato, Prinetti sapeva poco di diplomazia e n o n ne possedeva le astuzie. Ma a p p u n t o p e r q u e s t o il Re contava di farne un suo docile s t r u m e n t o . E diffìcile s a p e r e se il piano di sviluppare l'intesa con la Francia p u r r e s t a n d o nell'ambito della Triplice fu suggerita da Prinetti al Re o dal Re a Prinetti. Ma la seconda ipotesi ci s e m b r a la più plausibile. Com u n q u e , il n u o v o corso fu p r o p r i o questo. Prinetti trovò la s t r a d a spianata da un a c c o r d o segretam e n t e concluso fra Visconti-Venosta e B a r r è r e , con cui l'Italia lasciava m a n o libera alla Francia in Marocco, e la Francia la lasciava all'Italia in Tripolitania e Cirenaica. La spartizione di queste «zone d'influenza» era, in quel p e r i o d o di frenesia coloniale, il motivo dei più gravi contrasti fra le Nazioni, e quello che più aveva avvelenato i r a p p o r t i fra Roma e Parigi. L'accordo n o n e r a in contrasto con g l ' i m p e g n i della 398
Triplice. Ma Vienna e Berlino sapevano benissimo che nella Triplice l'Italia era e n t r a t a p e r n o n trovarsi sola di fronte a n a Francia n e m i c a e che, cessata questa c o n d i z i o n e , sulla fedeltà dell'Italia c'era da far poco a s s e g n a m e n t o . «L'Italia dovrà scegliere molto p r e s t o fra il m a t r i m o n i o e il concubinaggio» disse il Cancelliere tedesco von Bùlow a sua suocera, c h ' e r a la vedova di Minghetti. E poco d o p o , p e r rassicurare il suo P a r l a m e n t o in cui si e r a n o levate proteste c o n t r o il d o p p i o giuoco italiano, dichiarò r i p r e n d e n d o la parabola coniugale c h e «un m a r i t o n o n d e v e d a r e i n s m a n i e s e p e r una volta sua moglie fa un giro di valzer con un altro cavaliere». E da allora la «politica del giro di valzer» e n t r ò nel linguaggio e u r o p e o c o m e sigla di quella italiana. Q u a n d o si d o v e t t e p r o v v e d e r e al r i n n o v o della Triplice - che scadeva nel 1907 -, Prinetti giuoco al rialzo c h i e d e n d o che all'alleanza venisse attribuito un carattere esclusivamente difensivo, c h e vi venisse incluso un r i c o n o s c i m e n t o dei diritti italiani su Tripoli e vi venissero aggiunti degli accordi commerciali più favorevoli alle n o s t r e esportazioni. «In diplomazia, o g n u n o h a d i r i t t o a l t r a d i m e n t o ; m a a l p r e m i o per il t r a d i m e n t o , no» c o m m e n t ò Bùlow r e s p i n g e n d o le richieste. Prinetti si d i c h i a r ò « d o l o r o s a m e n t e sorpreso» di q u e s t o rifiuto, forse nella sua i n g e n u i t à lo e r a d a v v e r o , e p o c h i giorni d o p o se ne rivalse abbozzando con B a r r è r e un n u o v o accordo col quale la Francia riconosceva a n c o r a p i ù esplicit a m e n t e i diritti dell'Italia sulla Tripolitania, e l'Italia s'impegnava a n o n p a r t e c i p a r e a u n a g u e r r a c o n t r o la Francia, anche se fosse stata questa a dichiararla, p u r c h é forzatavi da qualche provocazione. Qualche storico ha poi sostenuto che questa clausola n o n era in contraddizione con gl'impegni che ci legavano ai vecchi alleati. E forse dal p u n t o di vista formale è così. Ma che rie ledesse lo spirito, lo d i m o s t r a lo scrupolo con cui gl'italiani t e n n e r o il segreto su questa clausola e il falso a cui ricorsero a n t e d a t a n d o l a in m o d o da n a s c o n d e r e il fatto ch'esu
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sa e r a stata firmata d u e giorni d o p o il r i n n o v o della Tripli, ce. Sebbene anch'essi vi si fossero impegnati, i francesi il seg r e t o lo t e n n e r o solo a mezzo, p e r c h é poco d o p o ne inform a r o n o i russi e gl'inglesi. Tuttavia il testo nella sua interezza fu reso pubblico solo nel 1920. B a r r è r e aveva fatto m o l t o b e n e i suoi calcoli. Ciò che g l ' i m p o r t a v a n o n e r a t a n t o il d i s i m p e g n o militare dell'Italia, di cui conosceva b e n e la debolezza; ma il fatto ch'essa, s e n t e n d o s i o r m a i sicura sulle Alpi e nel M e d i t e r r a n e o , a v r e b b e s e m p r e p i ù c o n c e n t r a t o la p r o p r i a attenzione sull'Adriatico e sulle p r o v i n c e t u t t o r a i r r e d e n t e di T r e n t o e Trieste. «L'Italia - scrisse al suo Ministro degli Esteri, Delcassé - ha o r m a i imboccato u n a s t r a d a c h e la c o n d u r r à fat a l m e n t e alla r o t t u r a con l'Austria». E la r o t t u r a c o n l'Austria era a n c h e la r o t t u r a con la G e r m a n i a . I fatti si affrettarono a d i m o s t r a r e q u a n t o avesse ragione. Morto Prinetti, Giolitti, d'accordo col Re, lo sostituì con Titt o n i che, v e n e n d o dalla c a r r i e r a di Prefetto, e r a a n c h e lui p i u t t o s t o d i g i u n o di d i p l o m a z i a . B a r r è r e ne fu a l l a r m a t o p e r c h é lo considerava p i ù triplicista e m e n o malleabile del suo predecessore. T i t t o n i tentò infatti di ricucire i rapporti coi vecchi alleati, t u t t o r a ignari dell'accordo Prinetti-Barrèr e . Ma n o n potè nulla c o n t r o u n a pubblica o p i n i o n e che in ogni gesto dell'Austria vedeva u n a provocazione. C o m e tale fu i n t e r p r e t a t o il rifiuto d'istituire u n a Università italiana a Trieste e p i ù ancora l'attiva politica balcanica di Vienna. La nostra diplomazia mirava ad a t t r a r r e nella nostra sfera d'influenza l'Albania e il M o n t e n e g r o , dove - scriveva l'inglese D u r h a m - «se l'Austria costruiva un o s p e d a l e , l'Italia ris p o n d e v a con un ospizio p e r i vecchi, se l ' u n a giuocava la carta di un ambulatorio, l'altra quella di un asilo infantile, e così via, senza b a d a r e ai costi». Condivisa e p r o b a b i l m e n t e fomentata dallo stesso Re, questa politica i n v a d e n t e e ciacciona infastidiva n o n soltanto gli austriaci, ma a n c h e l'Imp e r a t o r e di G e r m a n i a , il q u a l e un g i o r n o constatò, fra divertito e irritato, che Vittorio E m a n u e l e , con la sua solita pi400
gnoleria, e r a capace di «citare il n o m e di tutti i capi-briganti albanesi». Fu in q u e s t o clima che n e l 1905 scoppiò la crisi m a r o c china, d u r o c o l l a u d o p e r l'ambigua posizione italiana. Col suo a m o r e p e r i gesti spavaldi e teatrali, il Kaiser Guglielmo sbarcò a Tangeri e in termini provocatori affermò l'interesse della G e r m a n i a alle sorti del Marocco e il suo diritto d'intervenirvi. E r a u n a sfida alla Francia, di cui il Marocco e r a considerato zona d'influenza, e condusse a un passo da un conflitto che avrebbe posto di fronte le d u e coalizioni: quella austro-tedesca e la cosiddetta Enterite, o Intesa franco-inglese che negli ultimi t e m p i si era delineata in c o n t r a p p e s o alla p r i m a . La catastrofe fu evitata con la convocazione, ai primi del 1906, di u n a conferenza internazionale ad Algesiras che dirimesse la controversia. Per r a p p r e s e n t a r v i l'Italia, su s u g g e r i m e n t o di B a r r è r e , fu richiamato in servizio Visconti-Venosta che o r m a i veleggiava verso l'ottantina, ma era l'unico negoziatore in g r a d o , per la sua abilità ed esperienza, di giuocare u n a partita che si a n n u n z i a v a difficilissima. Si t r a t t a v a di scegliere, c o m e aveva d e t t o Biilow, fra il m a t r i m o n i o e il c o n c u b i n a g g i o . Schierandosi con la Francia, l'Italia avrebbe c o n t r a v v e n u t o a g l ' i m p e g n i della Triplice; s c h i e r a n d o s i con la G e r m a n i a , avrebbe c o n t r a v v e n u t o all'accordo segreto di Prinetti e p e r so il beneplacito francese a eventuali iniziative in Tripolitania. Visconti-Venosta accettò l'incarico, ma a condizione che gli venisse data carta bianca. N o n si fidava del g o v e r n o , ora che Giolitti aveva passato la m a n o a Sonnino, e Tittoni a San Giuliano, considerati tedescofili. Egli si atteggiò subito a m e d i a t o r e fra le o p p o s t e forze, e fu u n o dei principali ispiratori del c o m p r o m e s s o c h e r e g o lava lo status del Marocco nei confronti delle G r a n d i Potenze. Ma giuoco le sue carte in m o d o che n e s s u n o capì se l'Italia faceva p a r t e della Triplice o dell'Intesa. Fu a n c h e grazie a questo suo a t t e g g i a m e n t o che la G e r m a n i a uscì diplomaticamente sconfitta. E il Kaiser, esasperato, disse all'Ambascia401
t o r e a u s t r i a c o che n o n vedeva l'ora di farcela p a g a r e con u n a b u o n a «spedizione punitiva». Egli n o n voleva n e m m e no r i n n o v a r e l'alleanza che stava di n u o v o p e r scadere. Fur o n o gli austriaci c h e ne vollero l'Italia a n c o r a partecipe. E Tittoni, t o r n a t o al g o v e r n o con Giolitti, quasi se ne scusò dic e n d o che quell'alleanza a n d a v a avanti solo p e r c h é nessuno dei soci voleva scomodarsi a m a n d a r l a in protesto. D u e anni d o p o , a questa crisi ne seguì un'altra. Nel 1908 l'Austria, con un colpo a sorpresa, ma molto ben p r e p a r a t o , si annesse la Bosnia in a p e r t a violazione del Trattato di Berlino del 1878 che le proibiva i n g r a n d i m e n t i nei Balcani, se n o n previ accordi e dietro compensazioni alle altre Potenze interessate, c h ' e r a n o soprattutto l'Italia e la Russia. A Roma la r e a z i o n e fu violenta, ma p i ù c h e c o n t r o l'Austria si app u n t ò c o n t r o T i t t o n i , e n o n senza motivo. Questi, c o m e il suo collega russo Isvolskij, e r a stato informato. Ma sembra che con molta leggerezza avesse dato il suo consenso dicendo che la cosa a v r e b b e fatto soltanto «un p o ' di chiasso», e che a n c h e q u e s t o si s a r e b b e c a l m a t o se l'Austria avesse rin u n c i a t o ai suoi p r e s i d i militari nel Sangiaccato (che con l'annessione della Bosnia diventavano del tutto superflui) e al controllo delle acque territoriali m o n t e n e g r i n e . Q u a n t o a Isvolskij, fu tacitato c o n la p r o m e s s a di un a c c o r d o sugli Stretti, di cui poi n o n si fece nulla. Tittoni cercò di placare la tempesta c h i e d e n d o all'Austria la concessione della sospirata Università italiana a Trieste, ma n o n o t t e n n e n e m m e n o quella, e gli attacchi c o n t r o di lui r a d d o p p i a r o n o d'intensità. Il più efficace fu quello di Fortis p e r c h é veniva da un triplicista convinto. Egli chiese se valev a l a p e n a p e r p e t u a r e u n a situazione d i p l o m a t i c a p e r cui l'unica minaccia di g u e r r a che pesava sull'Italia veniva da u n a Potenza alleata. 11 suo discorso fu salutato da vere e p r o p r i e ovazioni, e lo stesso Giolitti a n d ò a stringergli la mano lasciando solo, sul banco del governo, Tittoni. Q u e s t i t e n t ò la rivalsa c o m b i n a n d o c o n l'ambasciatore russo un accordo contro l'Austria da sanzionare con u n a vi402
sita dello Zar in Italia. Ma siccome la trattativa si trascinava con difficoltà, ne intavolò un'altra con gli stessi austriaci, che la m a n d a r o n o subito in p o r t o . Essi r i n u n z i a v a n o a rioccup a r e m i l i t a r m e n t e il Sangiaccato e a s t i p u l a r e accordi con altre Potenze in m e r i t o ai Balcani p u r c h é anche l'Italia s'impegnasse ad astenersene. L'accordo n o n era stato ancora firmato che da Pietroburgo giunse la notizia che lo Zar aveva accettato l'invito. La visita n o n si svolse a R o m a p e r c h é i servizi di sicurezza paventavano gli attentati anarchici, ma a Racconigi, dove l'ospite si p r e s e n t ò insieme a Isvolskij, che aveva già in tasca la bozza dell'accordo contro l'Austria p r o p o s t o da Tittoni. Questi, che poco p r i m a si e r a i m p e g n a t o con gli austriaci a n o n trattare p e r i Balcani con altre Potenze, si trovò a mal p a r t i t o . Ma Isvolskij lo trasse d ' i m b a r a z z o m o s t r a n d o g l i l'accordo segreto che l'Austria aveva a sua volta stipulato a n c h e con la Russia p e r e s c l u d e r e altre Potenze, e q u i n d i a n c h e l'Italia, dal giuoco balcanico. Così, in quel m i n u e t t o di reciproci tradimenti, T i t t o n i p o t è t r a n q u i l l a m e n t e inserire la sua «figura». E q u a n d o di lì a p o c h i giorni il Ministro austriaco Aerenthal gli chiese di cosa aveva parlato con Isvolskij, Tittoni rispose: «Oh, un semplice scambio di vedute...», e confermò l'accordo con cui i d u e c o n t r a e n t i s'impegnavano a n o n fare ciò che e n t r a m b i avevano già fatto. A q u e s t o p u n t o e r a n o le cose, q u a n d o Giolitti t o r n ò al potere. Anche se il segreto di Stato aveva c o p e r t o i dissapori con Vienna e Berlino, la pubblica coscienza avvertiva che la Triplice e r a o r m a i un c a d a v e r e , di cui chiedeva con i m p a zienza la sepoltura. Il Paese era in p r e d a a n u o v e suggestioni che m e t t e v a n o in crisi t u t t o lo s c h i e r a m e n t o politico, e delle quali il g r a n d e i n t e r p r e t e era un poeta che nell'arte di far coincidere la p r o p r i a ispirazione con quella p o p o l a r e fino al p u n t o di s e m b r a r n e il s u g g e r i t o r e , n o n aveva rivali. D ' A n n u n z i o che sulla fine del secolo aveva v i o l e n t e m e n t e avversato le i m p r e s e coloniali, c h i a m a t o i caduti di Dogali «quattrocento b r u t i m o r t i b r u t a l m e n t e » e militato, sia p u r e 403
da avventizio, nelle file pacifiste d e l socialismo, o r a si e r a convertito alla g u e r r a , la chiamava «risvegliatrice dei deboli» e diceva che solo essa poteva riscattare l'Italia dalla sua miserabile condizione di «museo e affittacamere dell'Europa spendereccia». Sulla sua scia marciava la pattuglia dei futuristi di Marinetti, che r i e m p i v a n o l'Italia dei loro manifesti, delle loro poesie, delle loro m o s t r e d ' a r t e , dei loro schiamazzanti rad u n i in cui si esaltava la m o d e r n i t à e il m o v i m e n t o , si cont r a p p o n e v a la bellezza «viva» della velocità a quella «morta» dell'immobile arte tradizionale, e s'inneggiava alla violenza e alla g u e r r a , «sola igiene del m o n d o » . D ' A n n u n z i o , oltre c h e g r a n d e p o e t a , e r a a n c h e g r a n d e istrione, e Marinetti u n a testa un po' debole. Ma la loro voce trovava eco a n c h e in u o m i n i di sicuro talento artistico come Boccioni, Soffici e C a r r à , e di alto livello culturale come Papini, Prezzolini e C o r r a d i n i . Costui fondò nel 1903 u n a rivista, // Regno, che traspose questi aneliti sul p i a n o concreto del dibattito politico s c e n d e n d o in g u e r r a c o n t r o «l'Italietta» e g e t t a n d o il seme di quell'ideologia nazionalista, che sette a n n i d o p o doveva tramutarsi in partito. All'origine di questa ventata c'erano anzitutto dei motivi psicologici. Le umiliazioni di Custoza, Lissa e A d u a avevano creato nel Paese un complesso d'inferiorità che c o m e semp r e capita si t r a d u c e v a in a t t e g g i a m e n t i di aggressiva spavalderia. A d a r e a questi e l e m e n t i emotivi u n a p a r v e n z a di p e n s i e r o era stato u n o scrittore r o m a g n o l o geniale e introverso, ricco d'intuizioni e privo di autocritica: Alfredo Oriani. Nei suoi libri, frutto di un interminabile m o n o l o g o senza contraddittori, egli sosteneva la tesi che l'Italia era, p e r così dire, c o n d a n n a t a a vivere al di sopra delle sue forze perché solo nella «grandezza» essa p o t e v a risolvere le m o l t e cont r a d d i z i o n i fra le quali e r a n a t a e cresciuta. A p p a s s i o n a t o fautore di Crispi e della sua politica coloniale, O r i a n i era rimasto del tutto inascoltato ed era m o r t o nel 1909 quasi da sconosciuto. Ma ora molti si accorgevano che nessuno aveva 404
meglio di lui i n t e r p r e t a t o e s t o r i c a m e n t e m o t i v a t o le frustrazioni di un Paese che, formatosi nel culto d e l l ' e r o i s m o predicato da Mazzini, n o n aveva poi collezionato che umilianti disfatte, e il cui nazionalismo nasceva d u n q u e anzitutto dal revanscismo, cioè dalla smania della rivalsa. Forse da solo q u e s t o m o v i m e n t o n o n s a r e b b e bastato a decollare se n o n avesse ricevuto dall'estero forti p r o p e l l e n ti. Anche se politicamente l'Italia aveva o r m a i u n a sua individualità nazionale, c u l t u r a l m e n t e e ideologicamente restava u n a «dipendenza» dei Paesi più m a t u r i e p r o g r e d i t i . Le influenze che subiva e r a n o contrastanti. Nel c a m p o filosofico prevaleva, grazie a Croce e a Gentile, quella della Germania col suo idealismo. Nel c a m p o letterario prevalevano quelle francesi. Ma era il m o m e n t o in cui tutto il m o n d o era travolto dalla v e n t a t a imperialista, che trovava i suoi b a r d i nei g r a n d i esaltatori della razza bianca: G o b i n e a u in Francia, C h a m b e r l a i n e Kipling in Inghilterra, i p a n g e r m a n i s t i a Berlino col Kaiser in testa, T h e o d o r e Roosevelt in America. Il nazionalismo italiano n o n era che un riflesso di questo vasto rivolgimento, n a t u r a l m e n t e ridotto sulle m i s u r e di un Paese sottosviluppato e abituato a t r a d u r r e tutto in retorica: operazione a cui il nazionalismo si presta meglio di qualsiasi altro credo. Ma esso n o n ebbe dalla sua soltanto l'amore degl'italiani alle g r a n d i p a r o l e e ai motti sonanti di cui D'Annunzio e i d a n n u n z i a n i lo rivestivano. T r o v ò a n c h e il concreto a p p o g g i o di molti ambienti economici. La rivoluzione industriale creava un p r o b l e m a di esportazioni, e q u i n d i di conquista di mercati, che a sua volta esigeva u n a politica di espansione. F u r o n o questi interessi che d i e d e r o ai nazionalisti i mezzi p e r fondare i loro giornali, p r o p a g a n d a r e le loro idee, e finalmente p e r costituire nel 1910 un loro partito. Esso n o n fece molte reclute, e rimase piuttosto u n a élite intellettuale. Ma influenzò in m a n i e r a decisiva tutte le altre forze politiche, c o m p r e s e quelle di Sinistra, anzi specialm e n t e quelle di Sinistra. L'attrazione p i ù forte la esercitò infatti sui sindacalisti. E n o n deve meravigliare p e r c h é in co405
m u n e con essi aveva il culto della violenza p r e d i c a t o da Sorel e l'odio p e r le ideologie evoluzioniste, riformiste e pacifiste che avevano p r e d o m i n a t o sulla fine del secolo. Q u a n d o C o r r a d i n i applicò il vocabolario socialista alla Nazione parl a n d o di u n a «Italia proletaria» in lotta contro le plutocrazie occidentali, e lanciò l'idea di un «imperialismo operaio» da c o n t r a p p o r r e a quello capitalistico, riscosse in c a m p o sindacalista vasti consensi e pose le p r e m e s s e di un pasticcio ideologico in cui Mussolini avrebbe di lì a poco guazzato. Cili effetti f u r o n o folgoranti. L'idea di t r a s f o r m a r e l ' o r d a degli e m i g r a n t i italiani in un esercito di soldati colonizzatori mise in crisi tutti i partiti di Sinistra, compresi i socialisti. Perfino il mite Pascoli, che da s t u d e n t e e r a a n d a t o in p r i g i o n e per difendere gli anarchici, se n'entusiasmò. «E o r a di r i p r e n d e re l ' o p e r a eroica di r i c o n q u i s t a r e l'Italia all'Italia» scrisse. La psicosi g u e r r i e r a aveva contagiato a n c h e lui. Il p u n t o che restava da chiarire e r a c o n t r o chi la g u e r r a si doveva fare. Gli stessi nazionalisti e r a n o divisi. Corradini e tutti quelli c h ' e r a n o cresciuti nel culto di Crispi e r a n o triplicisti convinti, c o n s i d e r a v a n o T r e n t o e Trieste delle m è t e di secondaria i m p o r t a n z a , p a r l a v a n o dell'Adriatico come di u n o «stagno», e il n e m i c o lo v e d e v a n o nella Francia che sbarrava la strada del M e d i t e r r a n e o all'unica g r a n d e avvent u r a che valesse la p e n a di c o r r e r e : quella coloniale. Solo in Africa, essi p e n s a v a n o , si p o t e v a n o collocare i milioni d'ita- '• liani c h e s e g u i t a v a n o , p o v e r a e indifesa m e r c e u m a n a , a,' p r e n d e r e la via delle Americhe. E solo lì si poteva costruire.' un i m p e r o . Altri, s e n t i m e n t a l m e n t e legati all'irredentismo, g u a r d a v a n o all'Adriatico c o m e al Mare nostrum, e all'Islria e alla Dalmazia c o m e al b a s a m e n t o di u n a leadership italiana nei Balcani, da s t r a p p a r e n a t u r a l m e n t e all'Austria. A decidere, fu l'evoluzione della politica di Vienna. Fino., al '60, questa aveva s e m p r e riservato ai suoi sudditi italiani; un t r a t t a m e n t o di privilegio a l m e n o nei confronti di quelli slavi. Ma d o p o la p e r d i t a del Lombardo-Veneto le cose era :, no cambiate: un p o ' p e r c h é la popolazione italiana d e l l ' I n i ' i
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pero si e r a ridotta a m e n o di un milione, un p o ' p e r c h é q u e sta o r a si sentiva attratta dallo Stato nazionale che si e r a formato nella penisola. Gli slavi, oltre ad essere molto più n u merosi, e r a n o a n c h e m o l t o p i ù fidati, p e r c h é n o n a v e v a n o altro polo di attrazione che la Serbia, t r o p p o piccola, debole ed arcaica p e r e s e r c i t a r n e . Nel T r e n t i n o l ' i r r e d e n t i s m o si m a s c h e r a v a sotto la b a n d i e r a socialista di C e s a r e Battisti. Ma aveva poca forza p e r c h é la convivenza fra italiani e t e d e schi e r a abbastanza pacifica, e infatti il partito di g r a n l u n g a più forte e r a l'Unione popolare di De G a s p e r i , c h e p r a t i c a m e n t e riduceva le sue rivendicazioni a u n ' a u t o n o m i a a m m i nistrativa. Ma in Istria e Dalmazia la situazione delle c o m u nità italiane si faceva s e m p r e più d r a m m a t i c a p e r l'incalzare delle masse slave e p e r la politica discriminatoria che le autorità governative praticavano in loro favore. Fu a p p u n t o d o p o un viaggio in quelle t e r r e che C o r r a d i ni si convertì all'irredentismo e ne fece il motivo ispiratore del suo partito. Egli rimase impressionato dalle vestigia r o m a n e e veneziane delle città costiere, p a r l ò dei loro abitanti come di «sentinelle avanzate dell'italianità nel folto della p o polazione slava», e n o n ne d e n u n z i ò il genocidio solo p e r ché la p a r o l a n o n e r a a n c o r a e n t r a t a nell'uso. Ma disse c h e quelle p r o v i n c e a v e v a n o u n ' a n i m a italiana, di cui l'Austria stava p e r p e t r a n d o il massacro. C'era, nei suoi appassionati appelli, un miscuglio di vero e di falso. In realtà, da Trieste in giù, gl'italiani e r a n o semp r e stati u n a piccola m i n o r a n z a . Ma e r a la m i n o r a n z a c h e contava. Il c o n t a d i n o slavo, q u a n d o e m i g r a v a in città, p e r conquistare i galloni di «borghese», imparava la lingua italiana, soggiaceva al fascino della cultura italiana, e ne diventava il più zelante assertore. Da loro era v e n u t o O b e r d a n , che in realtà si c h i a m a v a O b e r d a n k , c o m e p i ù t a r d i s a r e b b e r o venuti gli Slataper e gli Stuparich. Era attraverso quest'opera di a s s o r b i m e n t o e d ' i n t e g r a z i o n e che gl'italiani avevano conservato le loro posizioni di potere. Ma ora rischiavano di p e r d e r l e grazie alla politica del divide et impera i n a u g u r a t a 407
dall'Austria che aizzava gli slavi n o n più a fondersi con gl'italiani, di cui più n o n si fidava, ma a combatterli. Gl'incidenti si susseguivano c r e a n d o un vero e p r o p r i o conflitto razziale, che in Italia portava fascine all'irredentismo e ne toglieva al triplicismo. Per i nazionalisti n o n c'era più scelta. A q u e s t o p u n t o e r a n o le cose, q u a n d o Giolitti t o r n ò al p o t e r e . Si è s e m p r e d e t t o che nella sua freddezza di b u r o crate privo di fantasia egli fosse incapace di c o m p r e n d e r e e i n t e r p r e t a r e gli u m o r i del Paese. Ma i fatti p a r l a n o un diverso linguaggio. Egli n o n e r a di c e r t o un g u e r r a f o n d a i o , n o n aveva mai condiviso l'avventurismo di Crispi. Ma capiva che il Paese voleva uscire dall'inerzia e che n o n gli avrebbe m a i p e r d o n a t o di a v e r n e p e r s o l'occasione, se si fosse presentata. C o m e al solito, egli si o c c u p a v a p o c o di politica estera, dove aveva confermato il Ministro del g o v e r n o p r e c e d e n t e , San Giuliano. Ex-sindaco e d e p u t a t o di Catania, poi ambasciatore a Parigi e a L o n d r a , il M a r c h e s e San Giuliano era u o m o di molte doti e che sapeva farle brillare. I nazionalisti lo c o n s i d e r a v a n o dei loro p e r c h é e r a stato amico e sostenitore di Crispi, loro idolo. E p e r la stessa ragione era ben visto a n c h e a Berlino e a Vienna, dove era r i t e n u t o un triplicista c o n v i n t o . Lo e r a infatti, ma senza la passionalità del suo c o n t e r r a n e o . Da b u o n aristocratico di tradizione borbonica, egli era convinto che l'autoritaria e militaresca Germania fosse più «sana» ed efficiente della Francia e dell'Inghilt e r r a d e m o c r a t i c h e e riteneva che un crollo dell'Austria sar e b b e stato u n a catastrofe p e r tutta l'Europa, c o m p r e s a l'Italia. Ma era a n c h e un diplomatico di razza, il più abile che l'Italia avesse avuto d o p o Visconti-Venosta. Egli cercò di normalizzare i r a p p o r t i con gli alleati della Triplice, ma le p o c h e concessioni che o t t e n n e n o n bastarono a placare la febbre irredentista che o r m a i faceva tutt'uno con quella nazionalista. E fu allora che Giolitti dovette persuadersi della necessità di offrire u n o sfoaro alla smania d'ao
zione da cui il Paese era pervaso.
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Le circostanze gli v e n n e r o in aiuto. Nel luglio del 1911, cioè a dire q u a t t r o mesi d o p o il suo r i t o r n o al p o t e r e , il Kaiser ne fece un'altra delle sue m a n d a n d o un incrociatore nel p o r t o di A g a d i r in risposta a l l ' o c c u p a z i o n e militare c h e i francesi avevano iniziato in Marocco. La tensione che ne derivò c o n d u s s e a n c o r a u n a volta l ' E u r o p a sull'orlo d i u n a guerra, ma intanto faceva anche scattare la condizione p r e vista nell'accordo P r i n e t t i - B a r r è r e p e r l'occupazione italiana della Tripolitania. Il dilemma e r a angoscioso. Se la guerra fosse scoppiata, l'Italia, i n t r a p r e n d e n d o quell'azione, vi sarebbe stata coinvolta. N o n solo. Ma Io sbarco in Tripolitania c o m p o r t a v a la g u e r r a alla T u r c h i a , di cui quella t e r r a era un p r o t e t t o r a t o . E questo poteva provocare l'insurrezione di tutti i Paesi balcanici che della Turchia a n c o r a subivano il giogo, con effetti imprevedibili sui r a p p o r t i fra Austria e Russia, che da un secolo si c o n t e n d e v a n o f e r e d i t à di quel decadente I m p e r o . In Tripolitania, da q u a n d o ci e r a v a m o a c c o r d a t i con la Francia, l'Italia aveva iniziato u n a certa p e n e t r a z i o n e economica, che o r a p e r ò e r a arrivata a un p u n t o m o r t o p e r il boicottaggio delle a u t o r i t à t u r c h e e stava p e r essere s o p piantata dalla più a g g u e r r i t a e p o t e n t e finanza tedesca. Per di più l ' I n g h i l t e r r a aveva o c c u p a t o Sollum, e c o r r e v a voce che i n t e n d e s s e e s t e n d e r e i suoi p r e s i d i verso Ovest, cioè verso la Cirenaica. In caso d'inerzia, c'era i n s o m m a il pericolo che l'Italia si vedesse sottratto l'unico lembo d'Africa su cui poteva ancora p i a n t a r e b a n d i e r a . Ma forse, più a n c o r a di questi motivi d ' o r d i n e i n t e r n a zionale, influirono su Giolitti quelli d ' o r d i n e i n t e r n o . La crisi d ' A g a d i r aveva i m p r o v v i s a m e n t e d i r o t t a t o l ' a t t e n z i o n e dei nazionalisti dall'Adriatico al M e d i t e r r a n e o , e la Tripolitania era v e n u t a di m o d a . «Laggiù possono vivere milioni di uomini» scriveva C o r r a d i n i p r e n d e n d o un grosso abbaglio, e Bevione di rincalzo asseriva che, senza di essa, «noi soffocheremo». Ma a n c h e le altre forze politiche subivano il soprassalto colonialista. Per l'azione e r a n o n o n solo i liberal409
conservatori di S o n n i n o e Luzzatti, ma a n c h e i cattolici. Per l'azione furono Chiesa e Barzilai, che r u p p e r o il fronte pacifista repubblicano uscendo del partito. Per l'azione furono alcuni radicali. Per l'azione furono i socialisti B o n o m i e Bissolati, e perfino il t o n i t r u a n t e c a m p i o n e del massimalismo, Ferri. E p e r l'azione f u r o n o g r a n p a r t e dei sindacalisti, cap e g g i a t i da L a b r i o l a e Olivetti. C o m e si v e d e , la tesi della « g r a n d e proletaria» e dell'«imperialismo operaio» aveva fatto larga e p r o f o n d a breccia nella Sinistra italiana. A rifiutarla con veemenza fu solo colui che di lì a poco doveva divent a r n e il g r a n d e araldo: il giovane giornalista e agitatore Benito Mussolini. U n a volta sicuro del fronte interno, Giolitti prese in mano l'operazione e la condusse con fredda e calcolata risolutezza. Prima ancora che sopravvenisse la definitiva schiarita tra Francia e G e r m a n i a , egli aveva già avviato i preparativi militari. Il C a p o di Stato Maggiore chiedeva 20.000 uomini. Giolitti gliene fece assegnare il d o p p i o . E alla fine di settemb r e , senza n e m m e n o c o n v o c a r e il P a r l a m e n t o né avvertire gli alleati, inviò al g o v e r n o di C o s t a n t i n o p o l i un ultimatum che n o n lasciava scampo. Molti si c h i e d o n o cosa spinse Giolitti a giuocare u n a carta così rischiosa senza assicurarsi a l m e n o u n a possibilità di ritirata. Secondo q u a l c u n o egli fu rimorchiato da u n a camp a g n a di s t a m p a che, da lui stesso o r c h e s t r a t a , e r a a n d a t a oltre i suoi disegni e gli aveva preso la m a n o . Secondo altri, egli cedette a un ricatto del Banco di Roma, che, a v e n d o in Tripolitania molti interessi, minacciava di lasciarli ai tedeschi se il g o v e r n o n o n si decideva ad agire. Ma quei famosi interessi a m m o n t a v a n o a un milione di lire - cifra, anche p e r quei tempi, piuttosto m o d e s t a -, e i giornalisti che avev a n o c o n d o t t o la c a m p a g n a di s t a m p a e r a n o u o m i n i devotissimi a Giolitti. N o n c'è quindi motivo di d u b i t a r e della spiegazione ch'egli stesso fornì in sede di m e m o r i e col suo solito dimesso ling u a g g i o . Ci sono dei m o m e n t i , egli dice, in cui un popolo 410
deve scegliere a n c h e a costo dei rischi più gravi, e questa è la situazione in cui l'Italia si trovò nel 1911. O esercitava i suoi diritti, o vi rinunziava p e r s e m p r e . N o n fu d u n q u e l'entusiasmo a d e t t a r e quella decisione, ma «un'assoluta necessità di o r d i n e nazionale, se n o n si voleva a n d a r e incontro a guai gravissimi a breve scadenza». Tutto p e r ò lascia c r e d e r e che p e r «guai» egli n o n intendesse tanto l'installazione a Tripoli di u n a Potenza straniera, q u a n t o la crisi di frustrazione e di s c o r a g g i a m e n t o che ne s a r e b b e derivata al Paese. Refrattario all'epica, q u e s t ' u o m o arido sentiva p e r ò che il Paese ne aveva b i s o g n o . E fu c e r t a m e n t e p e r q u e s t o c h e fin d a p p r i n c i p i o escluse u n a conquista «diplomatica». Più che la Libia, voleva la g u e r r a , o meglio qualcosa che desse finalm e n t e agl'italiani l'impressione di farne u n a e di vincerla. Aveva calcolato b e n e p e r c h é infatti gli entusiasmi furono u n a n i m i e sproporzionati alla modestia dell'impresa. Ne fur o n o travolti p e r s i n o degli alti Prelati che benedissero la rivincita della C r o c e sulla Mezzaluna. D ' A n n u n z i o sciolse il suo i n n o alla «gesta d ' o l t r e m a r e » , i braccianti m e r i d i o n a l i p o s e r o assedio alle Q u e s t u r e c h i e d e n d o p a s s a p o r t i p e r l a Tripolitania, e Giustino F o r t u n a t o , p u r d e f i n e n d o l'avvent u r a «infruttifera e perigliosa», disse che a n d a v a b e n e d e t t a p e r c h é dava agl'italiani «la coscienza di essere italiani». Lo sciopero generale di protesta b a n d i t o p e r i m p e g n o di firma dalla C o n f e d e r a z i o n e del L a v o r o , fallì. Solo in R o m a g n a ci fu un tentativo di bloccare le tradotte militari svellendo i binari. A inscenarlo furono il socialista Mussolini e il repubblicano N e n n i , che finirono in prigione. Un altro socialista, De Felice, c h ' e r a stato l ' e r o e dei s a n g u i n o s i «Fasci» siciliani, chiese l ' o n o r e di essere i m b a r c a t o fra i p r i m i , e da Tripoli m a n d ò al suo giornale u n a c o r r i s p o n d e n z a in cui diceva che «il deserto è tutta t e r r a coltivabilissima». La « g r a n d e proletaria», c o m e Pascoli chiamava l'Italia, cantava in coro: «Tripoli, bel suol d'amore!» Per m a n t e n e r e il Paese a questa t e m p e r a t u r a , la s t a m p a dovette mettercela tutta p e r c h é gli avvenimenti vi si presta411
v a n o poco. Il p r i m o sbarco c o m p i u t o a Tripoli il 5 o t t o b r e a n d ò b e n e p e r c h é i Turchi credetteix) che quei 1.500 marinai fossero molti di più e p r e f e r i r o n o ritirarsi nell'interno. Ma pochi giorni d o p o lanciarono un attacco, e la posizione italiana si fece critica p e r c h é gl'indigeni l'assalirono anche dall'interno. Era oltretutto una dolorosa sorpresa perché gl'italiani, presentatisi c o m e «liberatori», e r a n o convinti che gli arabi avrebbero solidarizzato con loro. La selvaggia rappresaglia c o n t r o il «tradimento» spinse a n c h e i b e d u i n i del deserto a raccogliersi sotto la b a n d i e r a del c o m a n d a n t e turco, un giovane C o l o n n e l l o di n o m e E n v e r Bey, che subito rivelò formidabili doti di guerrigliero. Il n o s t r o c o r p o di spedizione era cresciuto a 50.000 uomini b e n a r m a t i ed equipaggiati. Ma i c o m a n d i n o n avevano carte topografiche, e r a n o nuovi a quell'ambiente insidioso in cui la superiorità n u m e r i c a contava poco, e soprattutto e r a n o ossessionati dal ricordo di Adua. Ciò li r e n d e v a restii ad allontanarsi dalla costa d o v e p o t e v a n o c o n t a r e sull'artiglieria delle navi, sicché l'occupazione si riduceva a u n a serie di sparpagliati capisaldi riforniti dal m a r e e senza colleg a m e n t i fra loro. Solo in d i c e m b r e il p r e s i d i o di Tripoli si spinse fino ad Ahi Zara, a 17 chilometri n e l l ' i n t e r n o , dove Enver s'era accampato; ma n o n riuscì a catturarlo. In Cirenaica l'occupazione si limitò a Bengasi e a pochi altri centri costieri. L'interno era c o m p l e t a m e n t e in m a n o ai Senussi, il p o t e n t e o r d i n e religioso m u s u l m a n o legato a d Enver. Era chiaro che, p e r venire a c a p o di quella ostinata resistenza, bisognava colpire la Turchia in un p u n t o più vulnerabile. Ma p e r questo occorreva l'assenso delle altre Potenze. Lo sbarco era stato accettato dai governi p e r c h é la Libia era ormai c o n s i d e r a t a z o n a d ' i n f l u e n z a italiana, e anzi l'Austria l'aveva visto con favore c o m e un diversivo d e l l ' i r r e d e n t i s m o . Ma la pubblica o p i n i o n e e u r o p e a reagiva negativam e n t e , sottolineava l'incapacità di cui il nostro esercito dava p r o v a , e simpatizzava p e r la T u r c h i a , la cui sopravvivenza faceva c o m o d o a tutti. La stessa Francia, c h e sulla Libia ci 412
aveva dato m a n o libera c o m e c o n t r o p a r t i t a della sua iniziativa in Marocco, o r a che aveva realizzato il suo piano, ostacolava quello n o s t r o , facendo passare attraverso la Tunisia armi p e r Enver. Un carico v e n n e sequestrato in m a r e dalla nostra flotta, e ne n a c q u e un grosso incidente diplomatico che p e r p o c o n o n m a n d ò all'aria t u t t o il l a v o r o svolto da B a r r è r e p e r il riavvicinamento dei d u e Paesi. Il contraccolpo fu u n a rinascita di s i m p a t i e fra Italia e G e r m a n i a , che nella circostanza si rivelò preziosa. In un incontro a Venezia con Vittorio E m a n u e l e , il Kaiser si lasciò s t r a p p a r e il consenso a u n ' a z i o n e della nostra flotta c o n t r o la Turchia, p u r c h é fuori dei suoi possedimenti e u r o p e i . Per vincere la riluttanza degli austriaci e p e r s u a d e r l i che il Dodecaneso n o n era in E u r o p a , ma in Asia, San Giuliano dovette s u p e r a r e se stesso, ma alla fine ci riuscì. In aprile (del T 2 ) u n a s q u a d r a italiana al c o m a n d o dell'Ammiraglio Millo forzò n o n soltanto lo stretto dei D a r d a nelli, ma a n c h e la m a n o del g o v e r n o che n o n ve l'aveva affatto autorizzata. La Marina voleva anch'essa la sua fetta di gloria, p u r d i p r o c u r a r s e l a c o n t r a v v e n n e agli o r d i n i , occupò b e n tredici isole del Dodecaneso invece delle tre ch'er a n o state c o n c o r d a t e con gli Alleati, e subito d o p o , s e m p r e di p r o p r i a iniziativa, t o r n ò di n u o v o nei Dardanelli a b o m b a r d a r e i forti e a farsene b o m b a r d a r e . Governi e opinione pubblica d ' E u r o p a c o n d a n n a r o n o queste disinvolte iniziative, ma il Paese ne t r i p u d i ò . Per la p r i m a volta l'Italia «faceva da sé», senza l'aiuto e senza chied e r e il p e r m e s s o a n e s s u n o «schiaffeggiando le a d u n c h e Cancellerie» come scriveva il sindacalista Olivetti, e p o n e v a le basi di un suo Drang nach Osten, cioè di u n a sua m a r c i a verso l'Est, che si a n n u n c i a v a ricca di prospettive. L'azione navale e l'occupazione delle isole dell'Egeo a v e v a n o infatti appiccato il fuoco ai Balcani. Serbia, M o n t e n e g r o , Bulgaria e Grecia stavano costituendo u n a Lega p e r la definitiva cacciata dei T u r c h i d a l l ' E u r o p a , n a t u r a l m e n t e g u a r d a v a n o all'Italia c o m e allo Stato-guida di questa crociata, e ciò riem413
piva d'orgoglio e di baldanza i nazionalisti, quali o r m a i erano tutti gl'italiani. L'unico che, p u r secondandoli, n o n partecipava a questi e n t u s i a s m i e r a Giolitti. A n c h e se l'occupazione della Libia aveva fatto dei passi avanti, l'incapacità dei c o m a n d i era risultata evidente e lo aveva p r o f o n d a m e n t e deluso. «Centomila u o m i n i e t r e n t a G e n e r a l i che n o n riescono a venire a capo di un Tenente-colonnello» lo avevano sentito m o r m o r a r e . Per n a s c o n d e r e questa verità e n o n t u r b a r e la festa, faceva m a n i p o l a r e i bollettini di g u e r r a m a g g i o r a n d o gli episodi e p r e s e n t a n d o c o m e battaglie a n c h e le scaramucce. Ma da questo m o m e n t o data la sua disistima delle forze a r m a t e , c h e fu u n o d e i motivi d e l suo n e u t r a l i s m o di f r o n t e alla g u e r r a mondiale. Altra cosa che lo p r e o c c u p a v a e r a il dissesto economico. Egli diceva agl'italiani c h e la s p e d i z i o n e e r a costata mezzo m i l i a r d o , m e n t r e la spesa a s c e n d e v a al d o p p i o r i p o r t a n d o in passivo un bilancio che da parecchi a n n i era in pareggio, e q u a l c h e volta a d d i r i t t u r a in attivo. E infine il d e t e r i o r a m e n t o della situazione i n t e r n a z i o n a l e . N e s s u n o e r a g r a t o all'Italia di aver scatenato, m e t t e n d o in crisi la Turchia, il ciclone nei Balcani, i r a p p o r t i con la Francia e r a n o rimasti tesi, e a Vienna l ' i m p e r a t o r e Francesco G i u s e p p e aveva dovuto intervenire di persona per fermare la m a n o al Capo di Stato Maggiore C o n r a d che voleva u n a spedizione punitiva c o n t r o l'Italia, o r a c h ' e r a i m p e g n a t a in Africa, p e r metterla in ginocchio «prima che avesse il t e m p o di p e r p e t r a r e altri tradimenti». Per uscire da quella situazione irta di pericoli senza turb a r e l'euforia del Paese, Giolitti e San Giuliano avevano già da t e m p o d a t o incarico d'iniziare trattative con la Turchia a un abile m e r c a n t e che, c o m e console o n o r a r i o della Serbia a Venezia, godeva di p a s s a p o r t o diplomatico e q u i n d i poteva recarsi a Costantinopoli: G i u s e p p e Volpi. La scelta n o n poteva essere p i ù felice p e r c h é Volpi faceva o n o r e al suo nom e ; Tuttavia l'avvìo del negoziato fu difficile: a b b a n d o n a n -
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do la Tripolitania, i turchi t e m e v a n o di p e r d e r e il loro p r e stigio sugli altri Paesi a r a b i , c h e r a p p r e s e n t a v a n o la p i ù grossa fetta del loro I m p e r o . Giolitti invece aveva furia p e r ché n o n voleva trovarsi coinvolto nella g u e r r a balcanica che o r m a i stava p e r s c o p p i a r e . I d u e alleati della Triplice che n u t r i v a n o lo stesso t i m o r e gli p o r s e r o a i u t o e s o r t a n d o la T u r c h i a a c e d e r e . Ma ci vollero a n c o r a d u e ultimatum, u n a minaccia di sbarco a S m i r n e e l'inizio delle ostilità da p a r t e della L e g a Balcanica p e r p i e g a r e la resistenza di Costantinopoli. L'accordo fu siglato a O u c h y nell'ottobre (del T 2 ) . I termini e r a n o m o d e r a t i . D i e t r o u n m o d e s t o i n d e n n i z z o , l a T u r c h i a riconosceva la s o v r a n i t à italiana su T r i p o l i t a n i a e Cirenaica, su cui conservava solo u n ' a u t o r i t à religiosa. E l'Italia s ' i m p e g n a v a ad a b b a n d o n a r e le isole del D o d e c a n e s o a p p e n a la T u r c h i a ne avesse riconosciuto l'autonomia. I nazionalisti insorsero c o n t r o questo accordo t r o v a n d o lo lesivo d e l l ' o n o r e n a z i o n a l e e d i m i n u t i v o di u n a vittoria ch'era stata p r e s e n t a t a c o m e quella delle «legioni r o m a n e » e aveva mobilitato tutta la retorica nazionale: «Guardate in alto: vi s o n o le aquile!» aveva g r i d a t o Pascoli, c h e p o i e r a il m e n o retorico di tutti. Ma stavolta n o n r i u s c i r o n o a trascinare l'opinione pubblica, in m a g g i o r a n z a soddisfatta dei risultati. Malgrado le fanfare p r o p a g a n d i s t i c h e la verità aveva cominciato a filtrare: le g r a n d i vittorie n o n c ' e r a n o state, e l'occupazione si a n n u n c i a v a l e n t a e difficile a n c h e p e r c h é , «volpe del deserto» avanti lettera, E n v e r Bey n o n aveva riconosciuto la sconfitta, e a n c h e d o p o la p a r t e n z a dei suoi scarni m a n i p o l i t u r c h i insisteva nella sua guerriglia alla testa degli arabi. L'avanzata delle n o s t r e t r u p p e n e l l ' i n t e r n o era c o n t i n u a m e n t e m i n a c c i a t a dalle s u e i m b o s c a t e . Negli a v a m p o s t i si c o n d u c e v a u n a vita da assediati. E u n a c o m missione d i s t u d i o g u i d a t a d a F r a n c h e t t i aveva a p p u r a t o che, salvo q u a l c h e limitatissima z o n a costiera, quella immensa distesa di sabbie n o n si sarebbe prestata alla colonizzazione n e m m e n o se fosse stata i n t e r a m e n t e pacificata. 415
Q u e s t ' u l t i m a scoperta avrebbe p o t u t o p r o v o c a r e u n ' o n data di delusione se l'impresa libica avesse avuto la motivazione di quelle degli altri Stati coloniali: conquista di mercati e i m p i e g o di capitali. N o n la p r o v o c ò p e r c h é l'Italia era a n d a t a in Libia p e r tutt'altre ragioni: s u p e r a r e il «complesso» di A d u a , r i t r o v a n d o un p o ' di fiducia in se stessa. E questo compito, la Libia lo aveva assolto. Lo riconobbe perfino Salvemini, che p u r e aveva violentemente avversato l'impresa. Era, disse, u n ' o p e r a z i o n e in p u r a perdita, ma che aveva servito a darci «il s e n t i m e n t o di possedere capacità di organizzazione, d'azione, di disciplina, m e n o scarse di quel che ci a t t r i b u i v a m o » . Per q u e s t o a n c h e gl'italiani p i ù pratici e positivi a c c e t t a v a n o senza t r o p p o infastidirsene i fiumi di retorica che quella modesta avventura aveva scatenato e app l a u d i v a n o Pascoli q u a n d o affermava che «nessun'altra nazione, delle p i ù r i c c h e , delle p i ù g r a n d i , è mai riuscita a c o m p i e r e un simile sforzo». Sapevano che n o n era vero, ma sapevano a n c h e che quello sforzo gl'italiani lo avevano comp i u t o p e r acquistare questa certezza, più necessaria del pan e . A esaltarlo infatti n o n e r a n o soltanto i r e t o r i . Labriola diceva c h e quella « i m p r e s a donchisciottesca» e r a «degna d ' u n a razza che volle m e t t e r e o g n o r a un e l e m e n t o di poesia nella p r o s a q u o t i d i a n a dell'esistenza», e il suo collega Olivetti la considerava «degna della t r a d i z i o n e di Cesare Borgia e di Machiavelli». Di questo implicito elogio, Giolitti dovette sorridere. Ma è altrettanto certo ch'egli aveva saputo i n t e r p r e t a r e il Paese e il suo bisogno di «poesia» molto meglio di coloro che lo accusavano di aridità e di m a n c a n z a d'immaginazione.
CAPITOLO OTTAVO
IL C R E P U S C O L O DEGLI DEI
Per la p r i m a volta dacché esercitava il p o t e r e , d u r a n t e tutta la g u e r r a Giolitti aveva dedicato più t e m p o ai r a p p o r t i dei diplomatici e dei militari che a quelli dei Prefetti. Tutto aveva voluto v e d e r e e decidere di p e r s o n a . E il Re, p e r ringraziarlo del m o d o in cui aveva diretto l'impresa, aveva intenzione - s t a n d o a u n a testimonianza di Soleri - di offrirgli il titolo di Duca. Ma Giolitti si affrettò a fargli sapere che n o n 10 gradiva, e aveva ragione: quel titolo era incompatibile col suo stile di g r a n d e b o r g h e s e , cui si a d d i c e v a m o l t o di p i ù quello di Cavaliere. L'uomo era all'apice della sua carriera e l'opposizione t a l m e n t e a corto di a r g o m e n t i che nei tre m e si successivi alla ratifica della pace egli potè varare i d u e p r o getti di legge su cui l'anno p r i m a si era scatenata la più violenta battaglia: quello p e r il suffragio universale e quello p e r la nazionalizzazione delle assicurazioni. S e m b r a v a o r m a i che la sua posizione fosse inattaccabile. E invece p r o p r i o allora cominciava a deteriorarsi. Il p r i m o motivo e r a di o r d i n e fisiologico. Giolitti e r a prat i c a m e n t e al p o t e r e da dieci a n n i , e n o n c'è r e g i m e d e m o cratico che tolleri p r e m i n e n z e così p r o l u n g a t e . Ma la causa d e t e r m i n a n t e era la trasformazione di u n a classe di «notabili» che volgeva al t r a m o n t o sotto l'incalzare di forze elettora11 n o n più governabili c o m e «clientele». A m a n e g g i a r e quattro o c i n q u e c e n t o m i l a voti, i Prefetti b a s t a v a n o . A m a n e g giarne otto milioni ci volevano dei d e m i u r g h i , e Giolitti n o n lo e r a . Gliene m a n c a v a l'oratoria, l ' i m m a g i n a z i o n e , la d e magogia. L'impresa di Libia aveva d i m o s t r a t o che n o n e r a privo di «orecchio» e che sul vento ci sapeva stare a n c h e lui. 417
Ma s e m p r e da g r a n d e e f r e d d o b u r o c r a t e , allergico alle g r a n d i suggestioni della piazza e restìo ad alimentarle. Ad a p r i r e le ostilità, o meglio a infittirle p e r c h é n o n le avevano mai cessate, furono i nazionalisti. L u n g i dall'essergli grati della Libia, gli r i m p r o v e r a v a n o di n o n aver sentito e di n o n aver fatto sentire agl'italiani la «poesia» dell'impresa, di n o n aver saputo suscitare i n t o r n o ad essa u n o «spirito di Crociata», di averla c o n d o t t a con u n a p r u d e n z a che rasentava la codardia fino a d e p l o r a r e il protagonista dell'unico esaltante episodio di quella c a m p a g n a : l'Ammiraglio Millo, forzatore dei Dardanelli. Alla fine del '12 essi t e n n e r o un congresso, che doveva rivelarsi decisivo p e r i successivi svil u p p i della politica nazionale. R i p u d i a r o n o le pregiudiziali d e m o c r a t i c h e dicendo che la libertà era un'istanza secondaria rispetto a quella della potenza, e si p r o n u n c i a r o n o p e r il protezionismo, l'autarchia e le leggi antisciopero. N u m e r i c a m e n t e , i nazionalisti n o n e r a n o forti: un esercito di generali senza t r u p p a . Ma la loro p r o p a g a n d a dispon e v a di p o t e n t i mezzi e giornali autorevoli grazie agl'interessi di cui era portavoce. L'industria, e specialmente quella pesante, aveva bisogno di tre cose: di tenersi al r i p a r o dalla c o n c o r r e n z a straniera con le tariffe doganali battute in breccia dalla c a m p a g n a liberista di Pantaleoni, di E i n a u d i e del Corriere della Sera di Albertini; di c o n t e n e r e i salari sui livelli p i ù bassi; e di o t t e n e r e l a r g h e «commesse» da p a r t e dello Stato p e r i suoi a r m a m e n t i . Il p r o g r a m m a dei nazionalisti r i s p o n d e v a a p p u n t o a queste esigenze. Ma sarebbe e r r a t o c r e d e r e che la loro forza di pressione d i p e n d e s s e solo da questo. Essi esercitavano un notevole fascino ideologico sulla gioventù universitaria un po' esaltata dall'impresa di Libia, ma s o p r a t t u t t o in rivolta - p e r quella specie di « p e n d o l a r i s m o generazionale» che fa p a r t e della fisiologia di ogni società - c o n t r o i miti del positivismo evoluzionista, del pacifismo e del riformismo in cui si e r a n o form a t i i loro p a d r i . A questo « p u t r i d u m e » essi c o n t r a p p o n e vano l'etica dell'eroismo cantata da D'Annunzio e la «filoso418
fia dell'azione» p r e d i c a t a da Marinetti. Era il loro m o d o di sentirsi «moderni» e «rivoluzionari». Ma il richiamo nazionalista si esercitava a n c h e in altre direzioni. Se i giovani e r a n o attratti dai suoi aspetti eversivi e iconoclasti, i cattolici lo e r a n o da quelli autoritari. «Il cattolicesimo è autorità e dominazione» proclamava Papini che da poco vi si era convertito. E un giovane giornalista allievo di Oriani, Missiroli, gettava il p o n t e fra le d u e concezioni scrivendo: «Il nazionalismo d o v r à essere cattolico se vorrà davvero risalire alla tradizione italiana». Così, sotto la sua pressione, a n c h e le forze cattoliche si spaccavano: m e n t r e l'elem e n t o conservatore e tradizionalista veniva s e m p r e più attratto da questa n u o v a Destra che lanciava contro i princìpi democratici e liberali un a n a t e m a n o n dissimile da quello del Sìllabo di Pio IX, l'ala democratico-cristiana di d o n Sturzo e c o m p a g n i si sentiva vieppiù sospinta verso le posizioni della Sinistra socialista. A n c h e q u e s t a aveva subito u n p r o f o n d o t r a u m a , d i cui diede la m i s u r a il congresso del partito che si t e n n e a Reggio Emilia nel 1912. Il g r u p p o riformista e legalitario di Turati, che tre a n n i p r i m a aveva trionfato dei massimalisti alla Ferri, vi si p r e s e n t ò diviso dalla g u e r r a di Libia, p e r la quale alcuni suoi u o m i n i avevano p a r t e g g i a t o . A d r a m m a t i z z a re il contrasto e r e n d e r l o esplosivo fu l'attentato al Re compiuto dall'anarchico D'Alba. Il colpo a n d ò a vuoto, la C a m e ra decise u n a visita in massa al Quirinale p e r manifestare al Re la sua solidarietà, e a p r e n d e r v i p a r t e f u r o n o a n c h e tre deputati socialisti: Bissolati, B o n o m i e Cabrini. La r e a z i o n e della «base» fu violenta e coinvolse t u t t o il «vertice» riformista cui i tre r e p r o b i a p p a r t e n e v a n o . A farsene i n t e r p r e t e e p o r t a v o c e fu il giovane r o m a g n o l o che col r e p u b b l i c a n o N e n n i e r a finito in p r i g i o n e p e r i tentativi di sabotaggio alle t r a d o t t e militari: Mussolini. Egli era vicino a quei sindacalisti rivoluzionari sui quali la «filosofia dell'azione» aveva fatto molta presa, e fra i quali l'impresa di Libia aveva t r o v a t o caldi sostenitori. C h e Mussolini, d a t o il suo 419
temperamento, non fosse di questi, si può spiegare in un modo solo: con l'opportunismo tattico. Le indebolite trincee riformiste si potevano battere solo da posizioni massimaliste risolutamente antiborghesi e antilegalitarie. Fu quanto egli fece denunciando in termini violenti il «cretinismo parlamentare» e chiedendo l'espulsione dei tre «lacchè di Casa Savoia» e dei loro complici. Turati si oppose dicendo che il partito non poteva permettersi il lusso di una condanna che si sarebbe fatalmente tramutata in una scissione. Ma quando s'accorse che la maggioranza era per il suo avversario, anche lui si schierò dalla sua parte per non trovarsi estromesso dalla direzione. Era convinto che Mussolini fosse un altro Ferri da lasciar consumare nella sua istrionesca demagogia, e qui sbagliava di grosso: Mussolini era anche, ma non soltanto un istrione.
Espulsi dal partito, Bissolati, Bonomi, Cabrini e Podrecca ne fondarono un altro che si chiamò «socialista indipendente» e corrispondeva pressappoco a quello social-democratico attuale. Essi erano convinti che tutti i riformisti li avrebbero seguiti, ma furono delusi: i più, a cominciare naturalmente da Turati, rimasero sotto la vecchia bandiera, nella speranza di poterla riconquistare. Più fortuna Bissolati ebbe con la Confederazione Generale del Lavoro, con la quale aveva già preso accordi. Il segretario generale Rigola dichiarò che i tempi di Marx in cui gli operai non avevano da perdere che le loro catene erano tramontati, e che ora essi avevano invece qualcosa da conservare. L'organizzazione non aderì al nuovo partito, ma rifiutò ogni impegno con quello vecchio, e lasciò i suoi aderenti liberi eli scegliere fra l'uno e l'altro. Il fatto è che i sindacalisti avevano intuito con molta più chiarezza dei politici il pericolo Mussolini. Questi, oltre a un posto nella direzione del partito, aveva avuto come premio della sua vittoria al congresso la direzione cìeìY Avanti!, di cui ora si serviva non per difendere le tesi socialiste, ma per strappare la «base» ai suoi dirigenti politici e sindacali av420
viandoia «all'uso della violenza liberatrice». Era il m a t r i m o nio fra il socialismo di Sorel, che i sindacalisti rivoluzionari a v e v a n o s e m p r e p r e f e r i t o a quello di M a r x , e la «filosofia dell'azione» dei nazionalisti e dei futuristi. Q u e s t o m a t r i m o nio si sarebbe c o n s u m a t o di lì a d u e a n n i con la c a m p a g n a per l'intervento nella p r i m a g u e r r a m o n d i a l e . Ma quale richiamo fin d'allora esercitasse lo d i m o s t r ò l'adesione del più appassionato, esaltato ed efficace organizzatore di scioperi e incantatore di piazze, Filippo C o r r i d o n i . Q u e s t o Mirabeau di periferia p r e s t ò valido aiuto a Mussolini in u n a c a m p a gna incendiaria, che mise a s o q q u a d r o l'Italia e specialmente Milano, fin allora roccaforte del riformismo. Rigola si vide s c a p p a r di m a n o gli scioperi p r o c l a m a t i dall'Avanti!, e Turati dovette assistere i m p o t e n t e alla vittoria elettorale del vecchio anarchico Cipriani, sostenuto da Mussolini, sul più autorevole e prestigioso candidato del partito, Treves. Giolitti affrontò la crisi, che investiva tutte le forze tradizionali su cui il suo r e g i m e si basava, i n d i c e n d o p e r l ' a u t u n n o del '13 l'elezioni. N o n poteva evitarle p e r c h é la Legislatura stava p e r s c a d e r e e p e r c h é il suffragio universale, da p o c o introdotto, esigeva il suo collaudo. Ma, da quel freddo realista che e r a , n o n p o t e v a n e a n c h e s o t t o v a l u t a r e i pericoli a cui a n d a v a incontro. E lo dimostrò la m a n o v r a con cui cercò di allargare la p r o p r i a piattaforma. Con u n a Sinistra s e m p r e p i ù in p r e d a ai suoi u m o r i eversivi, il tentativo n o n poteva essere fatto che in direzione dei cattolici. Alle tacite intese con loro, Giolitti aveva u n a certa mano. Nelle elezioni del 1904 il Vaticano gli era già v e n u t o s p o n t a n e a m e n t e in aiuto r e v o c a n d o sotto banco il Non expedit, cioè a u t o r i z z a n d o i fedeli al voto p e r f r o n t e g g i a r e l'offensiva socialista. E l'intesa si era a p p r o f o n d i t a nelle elezioni del 1909 che avevano visto l'ingresso alla C a m e r a dei «cattolici d e p u t a t i » . Giolitti n o n e r a inviso alla Chiesa, c o n t r o cui n o n aveva mai assunto gli atteggiamenti punitivi e p r o vocatori di un Crispi o di u n o Zanardelli. Egli sosteneva che 421
Chiesa e Stato e r a n o «due parallele» che n o n d o v e v a n o interferire l'una nell'altra, c h ' e r a u n a versione in t e r m i n i pedestri del p r i n c i p i o di C a v o u r «libera Chiesa in libero Stato». Ma, come aveva s e m p r e difeso lo Stato dalle interferenze della Chiesa, così aveva s e m p r e t e n u t o la Chiesa al riparo dalle u s u r p a z i o n i dello Stato, e verso di essa aveva s e m p r e o s t e n t a t o il più g r a n d e rispetto. Fra i g r a n d i notabili della sua generazione, egli era, come abbiamo detto, u n o dei pochissimi che n o n a p p a r t e n e v a n o alla Massoneria. E questo aveva la sua i m p o r t a n z a nel m o m e n t o in cui la Massoneria era al centro di u n a furiosa polemica. Essa n o n era infatti soltanto la custode delle ideologie cui si e r a n o abbeverati gli u o m i n i del post-Risorgimento: il culto positivista della Scienza c o n t r a p p o s t a alla Fede, il Libero Pensiero, l'evoluzionismo darwiniano, il pacifismo umanitario. E r a a n c h e la roccaforte e il p u n t o d ' i n c o n t r o di quei g r a n d i e m e d i borghesi che, a v e n d o fatto l'Italia, volevano c o n s e r v a r e - dice g i u s t a m e n t e Valeri - «qualche f o r m a di segreta distinzione dalla plebe e dalla gente comune». Questo snobismo di casta, che nella diffusione delle Logge aveva contato a l m e n o q u a n t o il r i c h i a m o delle idee, in pratica si traduceva n a t u r a l m e n t e in complicità. C h e la Massoneria fosse soltanto u n a mafia, n o n è vero. Ma n o n è v e r o nemm e n o che fosse soltanto u n a Chiesa. Il reciproco aiuto era la difesa del c o m u n e interesse. E questo interesse si sentiva ora g r a v e m e n t e minacciato dal suffragio universale. Nelle sue «logge» militavano molti dei p i ù alti esponenti della politica, della cultura, dell'Università, della Magistratura, dell'Amministrazione, dell'Esercito, dell'Industria, della Finanza, delle professioni liberali: Carducci, Villari, Zanardelli, Nicotera, San Giuliano e r a n o massoni. Ma a p p u n t o per questo n o n vi figuravano i socialisti che anzi, avvertendone il carattere classista, denunziavano la Massoneria con parole di fuoco, così come la denunziavano i nazionalisti in odio al « p tridume» del suo bagaglio ideologico (il termine demopluto eccetera n o n era stato ancora coniato, ma era già nell'aria). u _
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Da queste d u e s p o n d e partiva o r a un concentrico attacco alla Massoneria, cui si u n i v a n o a n c h e u o m i n i c o m e Croce, Einaudi, P a r e t o , Verga. E q u e s t a p o l e m i c a , di cui n a t u r a l mente i cattolici si compiacevano molto, facilitò la m a n o v r a di Giolitti p e r accaparrarsi il loro aiuto. Ciò che al Vaticano stava p a r t i c o l a r m e n t e a cuore e r a di s m o n t a r e il blocco che aveva p o r t a t o in Campidoglio il massone N a t h a n , il miglior Sindaco che R o m a abbia mai avuto, ma che n o n p e r d e v a occasione d'indispettire il Papa con manifestazioni anticlericali. E solo u n a c o m p a t t a partecipazione dei cattolici alle u r n e poteva riuscirvi. N o n si è mai s a p u t o con certezza c o m e si svolse l'operazione che, b e n s'intende, doveva r e s t a r e segretissima. Giolitti n e g ò s e m p r e di avervi partecipato, e infatti d ' i m p r o n t e digitali n o n ve ne lasciò. Fu p r o b a b i l m e n t e senza le sue credenziali, ma c e r t a m e n t e n o n senza il suo b e n e p l a c i t o c h e qualche e s p o n e n t e liberale p r e s e contatto coi cattolici. Q u e sti avevano u n a «unione elettorale» di cui e r a Presidente un Conte m a r c h i g i a n o , Gentiloni, politico abile, ma vanesio e chiacchierone. Egli s ' i m p e g n ò a mobilitare il voto cattolico in favore dei candidati liberali d o v u n q u e questi fossero minacciati dalla E s t r e m a Sinistra; e i liberali s ' i m p e g n a r o n o a difendere la parificazione delle scuole confessionali a quelle dello Stato, a r i p r i s t i n a r e in queste ultime l'istruzione religiosa, a r e s p i n g e r e l'introduzione del divorzio, e - p a r e - a combattere la Massoneria. Ma il segreto n o n t e n n e . A violarlo fu lo stesso Gentiloni in u n a intervista al Giornale d'Italia in cui, o l t r e ai t e r m i n i del patto, egli fornì la lista dei d u e c e n t o e più d e p u t a t i liberali che lo avevano sottoscritto. Il giornale la pubblicò indicando quali di essi e r a n o massoni, e lo e r a n o quasi tutti. La denuncia fece l'effetto di u n a b o m b a e fornì solidi a r g o m e n ti a coloro che accusavano Giolitti di «arti corruttrici» e di «cinico o p p o r t u n i s m o » . Giolitti protestò la sua estraneità alla m a n o v r a , c h e poi r i b a d ì a n c h e in s e d e di Memorie, e lo stesso Gentiloni in u n a successiva intervista d i c h i a r ò che il 423
G o v e r n o e il Vaticano n o n c ' e n t r a v a n o : l'accordo e r a stato r a g g i u n t o coi singoli interessati. Ma l ' a r g o m e n t o n o n p e r s u a s e , e la t e n s i o n e e l e t t o r a l e contribuì alla violenza della c a m p a g n a . Gli attacchi più micidiali a quello che veniva definito un «ibrido c o n n u b i o fra malavita e sacrestia» f u r o n o condotti dal Corriere della Sera di Albertini, depositario della tradizione laica risorgimentale e legatissimo a S o n n i n o , e da un giovane professore pugliese, G a e t a n o Salvemini che, d o p o aver militato nella pattuglia della Voce di Prezzolini, aveva f o n d a t o u n a rivista in p r o p r i o , LIUnità, che voleva essere l'organo di un rinnovam e n t o democratico della vita italiana. I d e o l o g i c a m e n t e , Salvemini n o n aveva fissa d i m o r a , e n o n riusciva a t r o v a r l a p e r la sua r e f r a t t a r i e t à a qualsiasi c o m p r o m e s s o . La sua i n q u i e t u d i n e riecheggiava quella della plebe m e r i d i o n a l e da cui proveniva, e forse risentiva anche dei triboli e dei dolori da cui l ' u o m o e r a r e d u c e . Nel terr e m o t o di Messina aveva perso tutta la famiglia, moglie e figli. Ma queste sventure n o n lo avevano né demoralizzato né inasprito. Era un combattente irriducibile, ma generoso, s o r r e t t o da u n a p r o f o n d a forza m o r a l e , e di g r a n d i risorse polemiche. Egli incarnava in Giolitti tutti i mali di cui l'Italia soffriva: l'allergia ai princìpi ideali e morali, i m e t o d i corr u t t o r i , il s o p r u s o a m m a n t a t o di p e r b e n i s m o democratico. E così lo aveva dipinto nel famoso libello // Ministro della malavita. C o m e t e m p e r a m e n t o , ricordava Cavallotti, ma senza il suo chisciottismo e col c o r r e d o di u n a s u p e r i o r e cultura e intelligenza. N o n credeva nei partiti, ma c r e d e v a negli uomini, e chiamava a raccolta quelli di b u o n a volontà, quale che fosse la loro estrazione ideologica, c o n t r o «i miserabili egoismi particolaristici» sui quali il giolittismo si reggeva. Giolitti reagì al concentrico attacco di Destra e di Sinistra coi soliti sistemi. Ma se era ricorso al patto Gentiloni - o aveva lasciato che i suoi vi ricorressero -, era p e r c h é si era acc o r t o che i Prefetti e la m a n i p o l a z i o n e delle clientele n o n bastavano più a g o v e r n a r e otto milioni di voti, a n c h e se alle 424
u r n e poi ne a n d a r o n o soltanto q u a t t r o . Il coacervo di partiti g e n e r i c a m e n t e liberali su cui si sosteneva il r e g i m e conservò la maggioranza, ma perse u n a settantina di seggi a favore dei socialisti che r a d d o p p i a r o n o , dei radicali che passarono da 45 a 7 3 , e dei nazionalisti che ne conquistarono 6. Gentiloni a g g r a v ò le difficoltà di Giolitti d i c h i a r a n d o in u n ' a l t r a intervista che, dei 310 d e p u t a t i liberali, 228 e r a n o stati eletti grazie all'appoggio dei cattolici, e r i c o r d a n d o loro gl'impegni che avevano preso. Lo stesso Osservatore Romano, o r g a n o del Vaticano, d e p l o r ò «l'inesplicabile leggerezza» d e l C o n t e c h i a c c h i e r o n e e fanfarone. Ma gli o p p o s i t o r i ne a p profittarono subito p e r r i p r e n d e r e la battaglia in Parlamento. Giolitti fece i n c l u d e r e n e l discorso della C o r o n a c h e i n a u g u r a v a la n u o v a legislatura u n a ferma e risoluta dichiarazione d ' i n d i p e n d e n z a dalla Chiesa, e o t t e n n e ancora la fiducia della C a m e r a con 260 voti di m a g g i o r a n z a . Ma Arturo Labriola gli g r i d ò : «Ella, onorevole Giolitti. ha incarnato u n a situazione storica, ma ha finito le s u e funzioni, e p e r t a n t o p u ò p r e p a r a r s i a fare le valige... Vi è da u n a p a r t e un'Italia rivoluzionaria nazionalista, e dall'altra un'Italia rivoluzionaria socialista, ma n o n vi è più un'Italia giolittiana». C o m e s e m p r e d a noi, questi d u e rivoluzionarismi e r a n o più di pai-ole che di fatti; ma di r u m o r e e confusione ne facevano molta. I socialisti e n t r a v a n o in aula c a n t a n d o YInno dei Lavoratori e accoglievano Giolitti, cui dovevano g r a n parte dei loro successi, al g r i d o s t u p i d o e disonesto di «Banca Romana!» I radicali, che Giolitti aveva incluso nella maggioranza p e r conservare, come oggi si direbbe, « u n ' a p e r t u r a a sinistra», si t r o v a v a n o in g r a v e i m b a r a z z o , e q u a n d o nel m a r z o si r i u n i r o n o a congresso decisero di ritirarsi dal governo. Sul piano aritmetico, Giolitti poteva fare benissimo a meno di essi. Ma la loro defezione lo a v r e b b e costretto ad abb a n d o n a r e quella f o r m u l a di «centro-sinistra» nella q u a l e aveva s e m p r e c r e d u t o e seguitava a c r e d e r e . Perciò nel marzo del '14 preferì d a r e le dimissioni a n c h e lui, convinto di 425
p o t e r t o r n a r e q u a n d o voleva. C o m e scriveva Gramsci, egli aveva sostituito all'alleanza fra b o r g h e s i e o p e r a i socialisti u n ' a l l e a n z a fra borghesi e cattolici che r a p p r e s e n t a v a n o le masse c o n t a d i n e dell'Italia settentrionale e centrale. Ma anche di questa n u o v a combinazione credeva di restare l'insostituibile règolo. Q u a n d o , d o p o un fallito tentativo di S o n n i n o , l'incarico di f o r m a r e il n u o v o g o v e r n o fu affidato a Salandra, Giolitti gli diede la sua benedizione, anzi lo aiutò a c o m p o r r e il Ministero p e r s u a d e n d o San Giuliano, che voleva a n d a r s e n e , a restare al suo posto, tanto era sicuro che si trattasse di un'altra « l u o g o t e n e n z a » . E forse i suoi conti s a r e b b e r o a n c o r a u n a volta tornati, se il Paese avesse d o v u t o farli solo con se stesso. A m a n d a r l i a m o n t e fu la t e m p e s t a che stava p e r scatenarsi sull'Europa.
CAPITOLO N O N O
SARAJEVO
Se Salvemini incarnava lo spirito protestatario e la sete giustizialista delle plebi meridionali, Salandra incarnava lo spirito autoritario e conservatore della borghesia terriera. Proveniva da u n a famiglia di notabili pugliesi con parecchia roba al sole, e alla politica era a p p r o d a t o dalla c a t t e d r a u n i versitaria, d i cui c o n s e r v a v a molti c a r a t t e r i : u n a n o t e v o l e cultura e finezza intellettuale, ma a n c h e un compassato distacco c h e r a s e n t a v a la freddezza. P r i m a di affrontare un p r o b l e m a , lo s t u d i a v a m i n u z i o s a m e n t e , e n e s s u n o sapeva prospettarlo con più chiarezza di lui. In questo era molto simile a S o n n i n o , della cui pattuglia infatti aveva fatto p a r t e fino alla g u e r r a libica, q u a n d o si era trasferito sulla s p o n d a di Giolitti. Ma a p p u n t o c o m e S o n n i n o , a n c h e lui era privo di quel «sesto senso», fatto di fiuto, d'intuito e di t e m p i s m o , che c o n t r a d d i s t i n g u e i veri politici, e di cui il suo p r e d e c e s sore traboccava. Il suo g o v e r n o aveva a p p e n a o t t e n u t o la fiducia della Cam e r a che fu messo a d u r a p r o v a dalla piazza. Nella p r i m a vera del '14, Mussolini uscì trionfatore dal congresso socialista di Ancona, dove aveva reclamato e imposto l'espulsione dei massoni dal partito. Era u n a misura grave p e r c h é tagliava i ponti con le altre d u e forze della Estrema, i radicali e i r e p u b b l i c a n i , c h e alla M a s s o n e r i a e a t u t t o il suo c o r r e d o ideologico e r a n o legati a d o p p i o filo. Ma p r o p r i o q u e s t o Mussolini voleva p e r s t r a p p a r e d e f i n i t i v a m e n t e il p a r t i t o dalle m a n i di Turati e dei riformisti s p i n g e n d o l o sulle posizioni più intransigenti. A fine g i u g n o u n a dimosti~azione antimilitarista nelle
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Marche, orchestrata dagli anarchici, provocò duri interventi della polizia che lasciarono tre morti sul selciato. Dalle colonne cìeìY Avanti! Mussolini bollò con parole di fuoco «l'assassinio premeditalo» e chiamò Salandra «il nuovo Pelloux». Sotto il suo pungolo le masse scesero in piazza, disarmarono le truppe, occuparono i municipi, v'innalzarono la bandiera con la falce e martello, e diedero inizio a quella famosa «settimana rossa» che Mussolini definì, con pigmalionico compiacimento, «la più grande rivolta popolare che abbia scosso la Terza Italia». Giudicando col senno del poi, aveva ragione di compiacersene: quello sconvolgimento seminò uno sgomento profondo e durevole sull'opinione pubblica italiana predisponendola al fascismo. Ma gli effetti immediati non furono quelli ch'egli sperava. La Confederazione del Lavoro, che per non farsi scavalcare dagli estremisti aveva avallato lo sciopero, dopo due giorni io revocò, Treves qualificò «teppisti» coloro che credevano di agire in nome di un preteso «diritto divino della piazza», e Turati richiamò il partito alle sue responsabilità. Il vero bersaglio di questo processo era naturalmente Mussolini che ne uscì indebolito. E fu forse allora che, accorgendosi di non poterla conquistare, egli si preparò a disertare la bandiera socialista. Fu in mezzo a queste convulsioni che il 28 giugno una notizia folgorò l'Italia e l'Europa. In visita a Sarajevo, capitale della Bosnia, il Principe Ereditario d'Austria Francesco Ferdinando e sua moglie erano caduti sotto le revolverate di alcuni studenti slavi irredentisti. Era in un certo senso un ghigno del destino. Nel composito Impero asburgico, Francesco Ferdinando era considerato il campione degli Slavi e li favoriva in tutti i modi ritenendoli più docili degli Ungheresi e più fidati degl'Italiani. Ed ecco che proprio degli Slavi era rimasto vittima. Ma non c'era tempo per simili riflessioni. Addossando la colpa dell'attentato alla Serbia, Vienna le aveva inviato un ultimatum. Le capitali d'Europa erano a soqquadro, e alcuni eserciti avevano già ricevuto l'ordine di mobilitazione. 428
In tutto questo, l'Italia aveva la sua parte di responsabilità, sia pure involontaria. La guerra di Libia era stata, per le piccole Nazioni balcaniche, il segnale della rivolta alla Turchia che per secoli le aveva dominate e ancora conservava su di esse molte ipoteche. A scendere per primo in campo era stato il Montenegro sulla fine del '12. Ad esso si erano subito affiancati la Serbia, la Bulgaria e la Grecia, che avevano avuto facilmente ragione delle scarse e demoralizzate guarnigioni turche. Ma, una volta scacciato dalla penisola il vecchio padrone, sorse il problema dell'assetto da darle, e non era facile risolverlo, dato il contrasto degl'interessi che vi erano in giuoco. Per quaiche tempo, quelli dell'Italia e dell'Austria sembrarono combaciare. Né l'una né l'altra volevano che la Serbia s'ingrandisse, l'Austria perché temeva che, rafforzandosi, essa esercitasse una maggiore attrazione sugli altri Slavi dell'Impero; l'Italia perché non voleva che, fagocitando il Montenegro, essa si affacciasse sull'Adriatico. Perciò Vienna e Roma concordarono la creazione di una Albania indipendente. Anzi, fu proprio per la concomitanza di questo interesse, che l'Italia rinnovò con venti mesi di anticipo il trattato della Triplice, protraendone la validità per altri quattordici anni, cioè fino al 1926. Questo avveniva quando il governo era ancora saldamente nelle mani di Giolitti e la politica estera in quelle di San Giuliano. Fra i due uomini non c'era un'assoluta concordanza di vedute. In fondo al suo cuore, San Giuliano era sempre rimasto un triplicista convinto; Giolitti lo era per motivi di opportunità in quanto temeva, sganciandosi dalla Triplice, di restare alla mercé della Francia; ma lo era solo per questo e con molte diffidenze anche nei confronti di Austria e Germania. E della sua medesima opinione era il Re, che sulla politica estera faceva tuttora pesare la sua parola. Nel maggio del "13 era scoppiata una prima crisi. Serbi e Montenegrini, che avevano accettato a malincuore la creazione dell'Albania, la invasero, e l'Austria minacciò una spe429
dizione punitiva p e r cacciarli. Nel t i m o r e che V i e n n a poi si a c c a p a r r a s s e quella t e r r a , San G i u l i a n o voleva c h e l'Italia p a r t e c i p a s s e alla s p e d i z i o n e , ma Giolitti bocciò il p r o g e t t o che ci avrebbe legato m a n i e piedi all'Austria. E tutto si risolse con u n a pressione diplomatica delle d u e Potenze che indusse gl'invasori a ritirarsi. D u e mesi d o p o , n u o v a crisi. La Bulgaria, che tuttora faceva p a r t e della Lega Balcanica trionfatrice dei T u r c h i , attaccò di sorpresa i suoi ex-alleati Serbi e Greci. Costoro, sostenuti dai R o m e n i e dagli stessi Turchi, passarono alla controffensiva. E così ebbe origine la seconda g u e r r a balcanica. Di n u o v o l'Austria minacciò u n a spedizione punitiva in aiuto della Bulgaria, e c o m u n i c ò a R o m a che, se fosse stata attaccata a p r o p r i a volta dalla Russia - che invece proteggeva la Serbia -, l'Italia sarebbe stata t e n u t a a scendere in c a m p o al suo fianco. I m m e d i a t a m e n t e Giolitti telegrafò a San Giuliano, il quale si trovava in G e r m a n i a , di r i c o r d a r e a Bùlow che la Triplice c o m p o r t a v a l ' i m p e g n o di sostenere militarm e n t e l'alleato, se questo era attaccato, n o n se attaccava, come l'Austria si p r o p o n e v a di fare; e stavolta i Tedeschi gli d e t t e r o ragione. Non ci fu t e m p o pei" ulteriori diatribe p e r c h é , aggredita su tutti i fronti, la Bulgaria dovette c h i e d e r e la pace. Ma l'incidente aveva convinto a n c h e San Giuliano dei rischi che si correva r e s t a n d o legati a u n a politica aggressiva e avventurosa c o m e quella dell'Austria nei Balcani. E forse la rottura avrebbe p o t u t o avvenire qui. se non fosse insorta la questione del Dodecaneso. C o m e il lettore ricorderà, l'Italia si era i m p e g n a t a a restituire quelle isole ai Turchi, a p p e n a costoro ne avessero riconosciuto l'autonomia amministrativa. Ma i Greci, imbaldanziti dalle loro d u e vittorie. le reclamavano p e r sé, e con pieno f o n d a m e n t o p e r c h é la loro p o p o l a z i o n e è greca. I Turchi, che ci preferivano l'Italia, n o n ne sollecitarono la restit u z i o n e . Così il p r o b l e m a r i m a s e in sospeso. Ma Francia e I n g h i l t e r r a insistevano p e r u n a soluzione favorevole alla 430
Grecia. E questo contribuiva a t r a t t e n e r e l'Italia nell'ambito della Triplice. Ma l'ambiguità della nostra politica estera e r a d o v u t a anche a conflitti interni di p o t e r e . M e n t r e la diplomazia mirava ad a l l e n t a r e i vincoli dell'Alleanza, l'Esercito b a d a v a a stringerli sotto l'impulso del C a p o di Stato Maggiore, Pollio. G r a n d e a m m i r a t o r e della G e r m a n i a , egli redigeva coi colleghi tedeschi dei piani di operazione, convinto che in caso di g u e r r a l'Italia avesse già scelto la sua p a r t e . N e s s u n o lo aveva messo al c o r r e n t e dell'accordo Prinetti-Barrère. E la cosa più s o r p r e n d e n t e è che n o n gliene avesse parlato n e m m e n o il Re, che p u r e i capi delle forze a r m a t e li n o m i n a v a di p e r sona, scegliendoli fra i suoi fiduciari. Nella p r i m a v e r a del '14, u n a n u o v a situazione stava mat u r a n d o . L'Albania, che d a p p r i n c i p i o era stata un p u n t o di c o n v e r g e n z a fra Italia e Austria, u g u a l m e n t e interessate a sbarrare il passo dell'Adriatico alla Serbia, era o r a diventata un p o m o di discordia. Per eliminarlo, si e r a deciso di n e u tralizzare il n u o v o Stato m e t t e n d o l o sotto controllo internazionale, e r i g e n d o l o in R e g n o , e affidandone la C o r o n a a un Principe tedesco, Guglielmo di Wied. Questi era a p p e n a salito sul t r o n o che u n a c o n g i u r a lo costrinse a fuggire e a rifugiarsi su u n a nave italiana. La responsabilità del golpe fu attribuita al Ministro d e l l ' I n t e r n o , Essad Pascià, che scampò in Italia dove fu accolto c o m e un e r o e . Q u e s t o fece c r e d e r e all'Austria e alla G e r m a n i a ch'egli avesse agito su nostra istigazione. A far le spese di q u e s t i sospetti f u r o n o gl'italiani delle province i r r e d e n t e , sottoposti a m i s u r e s e m p r e più discriminatorie che in Italia provocavano violente reazioni in piazza e in P a r l a m e n t o . «Non v'è forse u n a sola q u e s t i o n e nella quale gl'interessi dell'Italia n o n siano, o n o n si credano, in c o n t r a d d i z i o n e con quelli dell'Austria» si r a m m a r i c a va San Giuliano. Ma a n c h e lui o r m a i aveva d o v u t o a r r e n d e r s i a q u e s t a realtà, e da alcuni mesi infatti stava lavorando p e r un ravvicinamento all'altra Triplice: quella anglo-franco-russa. Rice431
v e n d o a R o m a il capo del g o v e r n o greco Venizelos, gli assic u r ò che l'Italia era f e r m a m e n t e decisa a ritirarsi dal Dodecaneso. E questo fece c a d e r e il p r i n c i p a l e ostacolo al roves c i a m e n t o del fronte. In aprile San Giuliano s'incontrò ad Abbazia col collega austriaco B e r c h t o l d . Il c o m u n i c a t o sui colloqui parlava della solita «identità di vedute». In realtà i d u e avevano c o n c o r d a t o su u n a cosa sola: nell'escludere dai colloqui i temi scabrosi. Pochi giorni d o p o a Trieste scoppiar o n o gravi tafferugli fra sloveni e italiani, ma solo su questi ultimi la polizia si accanì. «Sono i frutti di Abbazia?» chiese alla C a m e r a il d e p u t a t o nazionalista Federzoni, m e n t r e gli s t u d e n t i di R o m a e di N a p o l i assalivano l'Ambasciata e il Consolato austriaci. Fu in questo clima che r i n t r o n a r o n o le revolverate di Sarajevo. «Io n o n avevo che p r o p o s i t i modesti, ed ecco che mi tocca e n t r a r e nella Storia» scrisse Salandra a S o n n i n o . Ma n o n lasciamoci i n g a n n a r e d a l t o n o d i l a m e n t o : d i e n t r a r e nella Storia, era felicissimo. Di crisi, in quegli ultimi anni, l'Europa ne aveva già attraversate parecchie. Ma stavolta i r a p p o r ti degli Ambasciatori n o n lasciavano molte speranze in qualche soluzione di c o m p r o m e s s o . D o p o aver d o v u t o abbandon a r e le p r o v i n c e t e d e s c h e alla Prussia e quelle italiane al P i e m o n t e , l'Austria n o n voleva lasciarsi spogliare a n c h e di quelle slave dalla Serbia, che gliele teneva c o n t i n u a m e n t e in subbuglio, e aveva deciso di farla finita. Ma la Russia mobilitava c o n t r o l'Austria, la G e r m a n i a c o n t r o la Russia, e la Francia c o n t r o la G e r m a n i a . In realtà la Serbia e r a soltanto il p r e t e s t o di un p i ù vasto conflitto d ' i n t e r e s s i economici, politici, ideologici, che in ogni caso s a r e b b e scoppiato. Ma di questo complesso p r o b l e m a , a noi interessa solo l'angolat u r a italiana. Le sue intenzioni aggressive, Vienna le aveva rivelate con franchezza solo a B e r l i n o c h e vi aveva d a t o il suo assenso («La gaia guerra!» aveva detto il Kaiser Guglielmo che la de432
siderava a r d e n t e m e n t e ) . C o n l'Italia aveva taciuto, nel timore che questa reagisse c o m e l'anno p r i m a , q u a n d o Giolitti le aveva ricordato che l'alleanza aveva un significato difensivo, n o n offensivo. Ma Salandra ignorava questo p r e c e d e n t e , di cui San Giuliano si g u a r d ò dall'informarlo. Anche lui considerava Salandra un Presidente di passaggio da t e n e r e più a bada che al c o r r e n t e . «In g e n e r e - gli scriveva - io r i t e n g o che c o n v e n g a p a r l a r e il m e n o possibile di politica estera in Consiglio dei Ministri.» Più tardi Albertini definì i r o n i c a m e n t e quella di San Giuliano u n a «superdiplomazia», e gli stranieri ci videro e cont i n u a n o a vederci un saggio di machiavellica doppiezza. Ma a r i c o s t r u i r l a sui d o c u m e n t i e le m e m o r i e , essa a p p a r e il frutto n o n di astuti calcoli, ma solo d ' i n d e c i s i o n e e p a u r a . Mentre Vienna e Berlino a p p r e s t a v a n o i loro piani di g u e r ra, San Giuliano consigliò ai Serbi di c e d e r e , e ai T e d e s c h i d i M'attenere gli Austriaci, m a con c o s t o r o n o n c e r c ò u n a spiegazione, anzi la evitò a c c u r a t a m e n t e . U n a spiegazione n o n poteva concludersi che con u n a r o t t u r a , ch'egli voleva evitare p e r d u e motivi: p r i m a di tutto p e r c h é questa avrebbe suscitato l'ira vendicatrice di u n a G e r m a n i a che egli dava p e r sicura vincente, e p p o i p e r c h é avrebbe precluso all'Italia quei «compensi» che il trattato della Triplice p r e v e d e v a nel caso in cui l'Austria si fosse annessa altri territori nei Balcani. Egli r i c o r d a v a con s p a v e n t o la t e m p e s t a c h e aveva travolto il suo collega Corti q u a n d o era t o r n a t o dal Congresso di Berlino con le «mani nette», cioè senza averci g u a d a g n a to nulla. La mattina del 24 luglio egli ricevette la notizia che la sera p r i m a l'Austria aveva consegnato alla Serbia un ultimatum che p r a t i c a m e n t e ne esigeva la resa a discrezione, e q u i n d i r e n d e v a inevitabile la g u e r r a . Da u n a sua l e t t e r a a Salandra, risulta ch'egli si rallegrò del fatto che gli alleati avessero p e r p r i m i c o n t r a v v e n u t o agl'impegni t e n e n d o l o all'oscuro delle loro decisioni. Q u e s t o , diceva, ci esenta dal precipitare le nostre. «Bisogna lasciare in tutti, all'estero e all'inter433
n o , l'incertezza sulla nostra attitudine», e perciò raccomandava di «parlare poco e star lontani da Roma il più possibile». Egli stesso ne d a v a l ' e s e m p i o s t a n d o s e n e rifugiato a Fiuggi p e r curarvi la sua gotta che tutti ritenevano u n a malattia «diplomatica», e di cui invece stava p e r m o r i r e . E di lì dettava dispacci, direttive, comunicati, smentite che, quanto a incertezza, ne seminavano a piene m a n i . Nel giro di u n a settimana l'incendio si estese a tutta Eur o p a . Il 1° agosto la G e r m a n i a dichiarò g u e r r a alla Russia, e il 3 alla Francia, accanto alla quale si schierò l'Inghilterra. Il 2 S a l a n d r a e San Giuliano a n n u n c i a r o n o la loro decisione: l'Italia sarebbe rimasta n e u t r a l e .
CAPITOLO DECIMO
LA N E U T R A L I T À
La p r i m a reazione del Paese fu un respiro di sollievo. Vi fecero eccezione solo alcuni conservatori che a v r e b b e r o voluto l'intervento accanto agli alleati della Triplice nei quali ved e v a n o il p u n t e l l o d e l l ' o r d i n e e d e l l ' a u t o r i t à . Fra c o s t o r o c'erano i d u e Ambasciatori a B e r l i n o e a V i e n n a , Bollati e Avarna, e S o n n i n o . Ma quest'ultimo n o n t a r d ò molto a r e n dersi conto del p r o p r i o e r r o r e . A p a r t e q u e s t e voci isolate, il c o r o fu di consenso. T u t t a l'opinione m o d e r a t a a p p l a u d ì . A p p l a u d i r o n o i socialisti, p r e g i u d i z i a l m e n t e ostili a qualsiasi g u e r r a . A p p l a u d i r o n o i cattolici, e il Papa n o n potè smentirli, sebbene sentimentalm e n t e fosse s c h i e r a t o dalla p a r t e dell'Austria e in p r i v a t o dicesse che trovava « i n t e r a m e n t e giusto» l'attacco alla Serbia. A p p l a u d i r o n o i nazionalisti che, d o p o aver tanto parlato di «guerra igiene del m o n d o » , a p p l a u d i r e n o n avrebbero voluto, ma vi e r a n o costretti d a g l ' i r r e d e n t i s t i , liberati dall'incubo di c o m b a t t e r e al fianco degli o p p r e s s o r i di T r e n t o e Trieste. E a p p l a u d ì Giolitti, che in quel m o m e n t o si trovava a Parigi, ma t e n e v a u n a fìtta c o r r i s p o n d e n z a con San Giuliano. I più avvertiti tuttavia c o m p r e n d e v a n o che la neutralità non era u n a soluzione, ma soltanto un ripiego. E p r o p r i o il giorno in cui l'annunciava, lo r i c o n o b b e lo stesso S a l a n d r a dicendo confidenzialmente che la vittoria d e g l ' I m p e r i Centrali, cioè dell'Austria e della G e r m a n i a , avrebbe fatto dell'Italia u n a loro vassalla. S'illudeva p e r c h é la sorte che Vienna e Berlino ci riservavano era molto p e g g i o r e . C o m e si rileva dai c a r t e g g i fra le d u e capitali, il « t r a d i m e n t o » italiano vi 435
aveva suscitato u n ' o n d a t a di furore, che n o n e r a soltanto di n a t u r a moralistica. La nostra neutralità aveva avuto, sull'and a m e n t o delle o p e r a z i o n i , un effetto che, a n c h e se n o n fu decisivo - c o m e r i t e n g o n o certi storici n o s t r a n i -, vi aveva esercitato notevole influenza. Grazie ad essa, la Francia aveva p o t u t o s g u a r n i r e la frontiera alpina e c o n c e n t r a r e tutte le sue forze sulla M a r n a , dove i tedeschi avevano o p e r a t o il loro tentativo di s f o n d a m e n t o a sorpresa. Il p i a n o e r a fallito, la g u e r r a di m o v i m e n t o si avviava a diventare g u e r r a di posizione, e perciò V i e n n a e Berlino a n n a c q u a r o n o le loro rimostranze p e r n o n p r o v o c a r e guai peggiori. Sulla carta, la Triplice era ancora in vigore e, se n o n un ostacolo, r a p p r e s e n t a v a a l m e n o u n a r è m o r a allo s l i t t a m e n t o dell'Italia i n c a m p o avversario. Alla fine d'agosto, l'Austria riconobbe legittima l'interpretazione italiana del trattato, cioè la neutralità, e accettò di discutere la questione dei «compensi». San Giuliano n o n m o s t r ò p r e m u r a d'intavolare negoziati. Le Potenze dell'Intesa - c o m e si chiamava l'alleanza anglo-franco-russa -, e s o p r a t t u t t o la Russia, facevano offerte m o l t o p i ù sostanziose p e r trascinarci nel loro c a m p o : p r o m e t t e v a n o T r e n t o , Trieste, l'Albania. San Giuliano lesinava le risposte col contagocce. Per il m o m e n t o , più che a guadag n a r t e r r e , mirava a g u a d a g n a r e t e m p o . Sul fronte francese, sia p u r e faticosamente, i tedeschi stavano a v a n z a n d o , e la situazione e r a a n c o r a incerta. Ma s o p r a t t u t t o bisognava r i m e d i a r e alle gravi lacune della n o s t r a p r e p a r a z i o n e milit a r e . Del milione e 800.000 u o m i n i che lo Stato Maggiore riteneva indispensabile p e r la difesa delle nostre frontiere, n o n ne avevamo sotto le a r m i che 400.000. E Salandra, dop o aver d i c h i a r a t o alla C a m e r a c h ' e r a v a m o i n g r a d o d i e q u i p a g g i a r n e tre volte tanti, scoprì che i magazzini, svuotati dalla g u e r r a di Libia, n o n e r a n o stati riforniti. Se l'Austria - scrisse p i ù tardi C a d o r n a - ci avesse attaccato, ci sar e m m o trovati alla sua m e r c é . San Giuliano tranquillizzò il G e n e r a l e scrivendogli alla fine di agosto che l'Italia n o n s a r e b b e e n t r a t a nel conflitto
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senza un n o v a n t a n o v e p e r c e n t o di p r o b a b i l i t à di vittoria perché u n a c a m p a g n a c o m e quella del 1866 avrebbe significato la fine della M o n a r c h i a , e ribadì ufficialmente la n e u tralità. Ma ai p r i m i di settembre l'avanzata tedesca in Francia fu definitivamente bloccata, m e n t r e sul fronte russo gli Austriaci c o m i n c i a v a n o a r i p i e g a r e . S a l a n d r a dice di a v e r avuto da quel m o m e n t o «la visione c h i a r a della via che si doveva seguire». Ma lo dice nelle Memorie scritte p a r e c c h i anni d o p o . Lì p e r lì, a giudicarne dai d o c u m e n t i , egli rimase i m m e r s o nei suoi «angosciosi dubbi», e accolse con solliev o u n r a p p o r t o d i C a d o r n a c h e consigliava d i r i m a n d a r e ogni decisione a p r i m a v e r a p e r m a n c a n z a di u n i f o r m i p e santi che consentissero di affrontare l'inverno. Tuttavia, siccome circolava la voce di u n a p a c e s e p a r a t a fra A u s t r i a e Russia, San Giuliano riprese segretissime trattative col Ministro inglese Grey in vista di un intervento «ove le condizioni militari lo p e r m e t t a n o » , e p e r d i m o s t r a r e agl'italiani che lo p e r m e t t e v a n o chiese che la flotta anglo-francese penetrasse in Adriatico, operasse u n o sbarco a Trieste e v'indicesse un plebiscito in favore dell'Italia. N a t u r a l m e n t e , la p r o p o s t a fu declinata. Il «via» alla c a m p a g n a p e r l'intervento a fianco dell'Intesa lo dettero coloro che vi e r a n o i più interessati, cioè gl'irredentisti, e p a r t i c o l a r m e n t e quelli del T r e n t i n o , della Venezia Giulia e della Dalmazia, che si rifugiarono in Italia p e r venirvi a fare p r o p a g a n d a . Il più prestigioso era Cesare Battisti, che a T r e n t o aveva diretto un combattivo giornale socialista e la cui voce suscitava u n a p r o f o n d a eco negli ambienti democratici e repubblicani. Per lui f u r o n o subito Bissolati, Bonomi, e tutto il g r u p p o radicale che faceva capo al Secolo. In questo ambiente intriso di spirito volontaristico si costituì una L e g i o n e al c o m a n d o dì P e p p i n o Garibaldi, n i p o t e dell'Eroe, che già in d i c e m b r e schierò i suoi 4 0 0 0 u o m i n i sul fronte francese delle A r g o n n e p e r d i f e n d e r e l a p a t r i a d e i Lumi e dei Diritti d e l l ' U o m o . 437
Fu la spinta d e g l ' i r r e d e n t i a trascinare i nazionalisti che volevano l'intervento p e r l'intervento, e infatti fino all'ultimo e r a n o stati incerti sulla scelta del campo. «Marciare, non marcire» e r a il m o t t o di Marinetti, che aveva o p t a t o p e r la Francia p e r c h é con la c u l t u r a francese il f u t u r i s m o aveva saldi legami. Ma in questo senso era orientato a n c h e Giuriati, il P r e s i d e n t e nazionalista dell'Associazione «Trento e Trieste», sotto cui si r a c c o g l i e v a n o i p r o f u g h i dell'Istria e della Dalmazia, s e b b e n e poco inclini agl'ideali democratici p e r c h é esacerbati dal conflitto con gli slavi, e animati da uno spirito punitivo verso di essi. Ma p e r q u a n t o attivi e vociferosi, questi g r u p p i non a v r e b b e r o p o t u t o nulla c o n t r o la m a g g i o r a n z a neutralista, se questa n o n si fosse incrinata p r o p r i o in quello che avrebbe d o v u t o essere il suo p u n t o di m a g g i o r resistenza: i socialisti. Il p a r t i t o e r a c o m p a t t o sul rifiuto d e l l ' i n t e r v e n t o . Ma fra i dirigenti sindacali era sopravvenuta u n a rottura. Filippo C o r r i d o n i , l'eroe della «settimana rossa», e r a passato a b a n d i e r e s p i e g a t e nel c a m p o d e g l ' i r r e d e n t i s t i , seguito d a Michele Bianchi, E d m o n d o Rossoni, Alceste De Ambris e G i u s e p p e Giulietti: tutti u o m i n i dotati di notevoli capacità organizzative e con largo seguito nelle masse. Q u e s t a conversione n o n era un voltafaccia, ma piuttosto un r i t o r n o alle o r i g i n i . Essi e r a n o gli e r e d i delle «Società operaie» di Mazzini, e al socialismo e r a n o a p p r o d a t i n o n p e r la via di M a r x , ma p e r quella di Sorel, l'apostolo della violenza «levatrice della Storia» c h ' e r a u n a stretta p a r e n t e della «guerra, igiene del m o n d o » . Q u e s t a p a r e n t e l a , un u o m o la capì meglio di c h i u n q u e altro e la strumentalizzò da maestro: Mussolini. Al momento di Sarajevo e s u b i t o d o p o egli e r a stato r i s o l u t a m e n t e neutralista. Così risolutamente da d a r e un sapore aggressivo perfino al pacifismo. Ma sullo scorcio dell'estate il suo att e g g i a m e n t o c a m b i ò : dalla difesa della n e u t r a l i t à p u r a e semplice, passò a quella della neutralità «attiva e operante», u n a formula che anticipava v a g a m e n t e quella della «cobelli438
geranza» del 1939. E q u a n d o il partito, che da un pezzo ne aspettava l'occasione, lo d e p l o r ò , egli si dimise dalla direzione dell'Avariti! p e r fondare un altro giornale, // Popolo d'Italia, e farne il più attivo o r g a n o dell'interventismo. Più t a r d i si disse che lo fece p e r c h é c o m p r a t o d a l l ' o r o francese. Ma l'accusa è infondata. Per il t r a m i t e di Filippo Naldi, direttore del Resto del Carlino, egli ricevette l'aiuto finanziario di alcuni g r u p p i industriali italiani interessati n o n soltanto alla g u e r r a ma a n c h e a u n o scisma fra i socialisti. Ma a suggerirgli quella convenzione furono il t e m p e r a m e n to e il fiuto politico. C o m e C o r r i d o n i e gli altri sindacalisti deviazionisti, a n c h e lui veniva i d e o l o g i c a m e n t e da Sorel e capiva che la g u e r r a stava p e r sprigionare quelle forze rivol u z i o n a r i e c h e p i ù facevano a l caso s u o . Q u a n d o v e n n e sconfessato e scacciato dal p a r t i t o , Prezzolini ed altri collab o r a t o r i della Voce gli t e l e g r a f a r o n o : «Partito socialista ti espelle, Italia ti accoglie». In realtà con quella scelta egli fondava un n u o v o p a r t i t o , che si c h i a m ò «Fascio a u t o n o m o di azione rivoluzionaria», voleva essere u n a specie di nazionalismo di sinistra, e si scelse c o m e m o t t o quello di B l a n q u i : «Chi ha ferro, ha pane». Al d i l e m m a da lui stesso avanzato sull'Avanti!: «O pace, o rivoluzione», egli sostituì sul Popolo d'Italia quello di: «O g u e r r a , o rivoluzione». Ma in realtà egli voleva l'una p e r c h é la considerava p r ò n u b a dell'altra. Via via c h e l'incubo di u n a vittoria a u s t r o - t e d e s c a dileguava, in Italia la causa interventista g u a d a g n a v a t e r r e n o , anche p e r c h é poteva c o n t a r e su u n o s c h i e r a m e n t o di giornali s p r o p o r z i o n a t o al n u m e r o dei suoi sostenitori. A R o m a la caldeggiavano il Giornale d'Italia, La Tribuna, PIdea nazionale; a Milano l'appoggiavano II Secolo e il Corriere della Sera. L'unico autorevole o r g a n o neutralista era La Stampa di Torino, e si capisce p e r c h é : il suo d i r e t t o r e Frassati e r a legato a Giolitti. Giolitti aveva evitato di p r o n u n c i a r s i p u b b l i c a m e n t e , ma p r o p r i o questo riserbo dimostrava la sua r e n i t e n z a agli entusiasmi bellicisti. Egli a m m i r a v a la G e r m a n i a , la r i t e n e v a 439
capace di r i p r e n d e r e in qualsiasi m o m e n t o l'offensiva, ma s o p r a t t u t t o aveva t r a t t o dalla g u e r r a di Libia u n ' o p i n i o n e catastrofica dei nostri C o m a n d i militari ed era convinto che il Paese n o n fosse in g r a d o di affrontare u n a p r o v a così severa. C o m e al m o m e n t o dell'ultimatum austriaco alla Serbia aveva r a c c o m a n d a t o a San Giuliano di attenersi all'interpretazione difensiva della Triplice, così ora gli raccomandava di resistere alle seduzioni dell'Intesa. Se un g i o r n o , diceva, dov r e m o deciderci, «bisogna t r o v a r e m o d o d ' i n t e r v e n i r e per testamento», cioè q u a n d o l'Austria fosse o r m a i spacciata. E sebbene queste cose le dicesse soltanto in privato, la pubblica o p i n i o n e le riseppe o le indovinò, e tutti i neutralisti, che seguitavano ad essere la schiacciante maggioranza, ricominciarono a g u a r d a r e a lui come al salvatore della Patria. A metà ottobre San Giuliano morì. E Salandra, dopo a v e r n e ricoperto p e r qualche t e m p o l'interinato, c h i a m ò al suo posto Sonnino. S o n n i n o e r a stato fra i pochi che avevano caldeggiato l'intervento a fianco d e g l ' I m p e r i Centrali. E sebbene n o n avesse t a r d a t o a ricredersi, restava tuttavia sent i m e n t a l m e n t e legato alla Triplice, o p e r meglio d i r e combattuto fra l'ammirazione p e r la G e r m a n i a e quella p e r l'Ing h i l t e r r a . Sugli o r i e n t a m e n t i del g o v e r n o egli esercitò un p e s o m o l t o i m p o r t a n t e , d a t o il complesso reverenziale che Salandra nutriva nei suoi confronti; o meglio avrebbe potuto esercitarlo, se ne avesse avuto u n o di suo. Ma p e r il mom e n t o si limitava a r a c c o m a n d a r e di «scoprirci il p i ù tardi possibile» in attesa che qualche s u g g e r i m e n t o maturasse dagli eventi. A n c h e lui c o m e S a l a n d r a t e n d e v a ad escludere pubblici dibattiti sulla politica estera, c o n v i n t o c h e questa fosse m o n o p o l i o di iniziati da r e g o l a r e in c a m e r a chiusa e sotto c o p e r t u r a del più assoluto segreto. Infatti i d u e uomini n o n ne misero a p a r t e n e s s u n o , salvo il Re. Il loro piano e r a di c o m p l e t a r e e n t r o l'inverno la p r e p a r a z i o n e militare seguitando a trattare con e n t r a m b e le parti. Ma il silenzio a molti s e m b r ò inazione e provocò critiche feroci. I più inquieti e r a n o i giolittiani, i quali avevano sperato
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che alle spalle di S a l a n d r a ci fosse, in veste di suggeritore e p r o n t o a p r e n d e r n e il posto, il loro vecchio capo. Invece nel r i m a n e g g i a m e n t o del governo provocato dalla m o r t e di San Giuliano, e r a n o stati esclusi gli u o m i n i di Giolitti e questi non faceva, dal suo ritiro di Cavour, che qualche r a r a comparsa a R o m a . Ci v e n n e ai p r i m i di d i c e m b r e , e p a r l ò alla Camera, ma n o n p e r attaccare il g o v e r n o , sibbene p e r elogiarne la linea neutralista. N o n è vero, disse, ch'essa sia in contrasto con gl'impegni della Triplice. La stessa Austria ne aveva r i c o n o s c i u t o la c o r r e t t e z z a fin d a l 1913, q u a n d o lui l'aveva a m m o n i t a c h e , in caso di a g g r e s s i o n e alla Serbia, non poteva c o n t a r e sulla solidarietà italiana. La C a m e r a rimase sorpresa dalla rivelazione, e lo fu ancora d i p i ù q u a n d o s'avvide che q u e s t a e r a tale a n c h e p e r Salandra. Ma Giolitti l'aveva fatta a p p u n t o p e r d i m o s t r a r e che il vero i n v e n t o r e della neutralità e r a lui e che il suo successore n o n faceva che ricalcare le sue o r m e senza n e m m e no saperlo. Stizzito, Salandra lo fece attaccare sui suoi giornali p e r aver rivelato in pubblico, e senza l'assenso del gov e r n o , dei «segreti d'ufficio». Ma Giolitti fece r i s p o n d e r e che aveva preferito d a r e un dispiacere all'Austria piuttosto che lasciare sul suo Paese l'ombra del t r a d i m e n t o . E o r d i n ò ai suoi di votare in favore del g o v e r n o . Pochi giorni d o p o egli incontrò il principe Bùlow, che la G e r m a n i a aveva m a n d a t o A m b a s c i a t o r e a R o m a p e r farvi d a c o n t r a p p e s o all'infaticabile B a r r è r e . Bulow, c h e aveva sposato la figlia di Minghetti, era u n a vecchia conoscenza di Giolitti. Questi riassunse i colloqui con lui in u n a lettera al suo amico P e a n o , c h e di lì a p o c o fu p u b b l i c a t a - n a t u r a l mente col consenso dell'autore - sulla Tribuna di O l i n d o Malagodi. «Credo - diceva fra l'altro - molto nelle attuali condizioni d ' E u r o p a p o t e r s i o t t e n e r e senza g u e r r a . » P r u d e n zialmente, Malagodi cambiò il molto in parecchio. Ma la p a r o la suscitò u g u a l m e n t e forte i m p r e s s i o n e e r i a n i m ò le polemiche sull'intervento. Giolitti se ne t e n n e , c o m e al solito, in disparte sebbene o r m a i fosse riconosciuto c o m e il capo m o 441
rale della c o r r e n t e neutralista. A differenza degl'interventisti, egli era convinto che, a n c h e se l'Italia fosse scesa in guerra, questa sarebbe d u r a t a ancora p e r anni. E n o n voleva ass u m e r e il p o t e r e nel m o m e n t o in cui il Paese stava p e r forzarlo a questa decisione. Perciò ribadì ai suoi l'ordine di votare p e r il governo e se ne t o r n ò a Cavour. Sonnino e Salandra n o n e r a n o rimasti con le mani in man o . In ottobre avevano fatto o p e r a r e u n o sbarco in Albania rimasta, d o p o la p a r t e n z a del Principe di Wied, in balìa dei suoi vicini e delle p r o p r i e ribelli tribù. Nessuna delle Grandi Potenze protestò. Protestò solo il Capo di Stato Maggiore, Cad o r n a , che in previsione dell'intervento n o n voleva distrarre t r u p p e su altri fronti. E intanto Bùlow, che della situazione aveva u n a p e r c e z i o n e esatta, n o n si stancava di avvertire il suo governo e quello austriaco che, p e r garantirne la neutralità, bisognava cedere all'Italia il Trentino fino al B r e n n e r o e la riva destra dell'Isonzo, esclusa Trieste. Berchtold finì per convincersene e presentò la proposta all'Imperatore che, per tutta risposta, lo silurò. L'attaccamento di Francesco Giuseppe al Sud-Tirolo n o n era soltanto sentimentale. Egli pensava che, c e d e n d o a quelle italiane, avrebbe incoraggiato le rivendicazioni r o m e n e , serbe, polacche, cecoslovacche fino allo s m e m b r a m e n t o dell'Impero. E n o n sbagliava i suoi conti. Q u a n d o Burian, successore di Berchtold, riprese le trattative, si sentì dire da S o n n i n o che n e m m e n o il Trentino bastava, l'Italia voleva a n c h e Trieste. «A chi mi p u n t a addosso la pistola - rispose -, sono p r o n t o a d a r e il portafoglio, ma a patto che la pistola sia carica.» Spregiatore degl'italiani, era convinto ch'essi n o n avrebbero mai osato scendere in guerra. Ma n o n voleva p r e n d e r s i la r e s p o n s a b i l i t à di r o m p e r e a n c h e p e r c h é la G e r m a n i a n o n glielo consentiva. E perciò fece delle controfferte evasive che d e n u n z i a v a n o il chiaro proposito di g u a d a g n a r t e m p o in attesa della g r a n d e offensiva di primavera sui C a r p a z i c h e , s e c o n d o i suoi calcoli, avrebbe messo in ginocchio la Russia, e l'Austria in condizione di rintuzzare il ricatto italiano. 442
Fu allora che S o n n i n o o r d i n ò all'Ambasciatore a L o n d r a , Imperiali, d'intavolare un concreto negoziato con gli Alleati, r a c c o m a n d a n d o g l i di c o n d u r l o n o n solo nella m a s s i m a segretezza, ma a n c h e «senza fretta». E difficile d i r e se in quel m o m e n t o egli mirasse a c o n c l u d e r e l'alleanza con l'Intesa o soltanto a «coprirsi» nei suoi confronti. Ma tutto lascia credere che a n c h e lui e Salandra mirassero, come B u r i a n , a g u a d a g n a r t e m p o , in attesa che gli avvenimenti militari dicessero con più chiarezza chi era il vincitore, di cui conveniva c o r r e r e in aiuto. Né l'uno né l'altro avevano fatto i conti con gli e l e m e n t i emotivi che, p i ù forti e contro o g n i calcolo politico, spingevano il Paese all'intervento.
CAPITOLO UNDICESIMO
IL VATE
Di questi elementi emotivi, il g r a n d e suscitatore e interprete fu Gabriele d ' A n n u n z i o . Per d a r e alla p r o p r i a origine un s a p o r e mitologico, egli diceva di discendere da un'antica dinastia di anacoreti della Majella, d o m a t o r i di aquile e di lupi, e di essere nato in alto m a r e su u n a galea. La verità n a t u r a l m e n t e è molto più pedestre. Suo p a d r e era un m o d e s t o m e r c a n t e di Pescara, e il suo v e r o n o m e e r a R a p a g n e t t a . Assunse quello d i suo cog n a t o D'Annunzio c o m e p r e s e n t e n d o i destini di suo figlio, a cui in realtà n o n poteva fare miglior regalo. Gabriele fu m a n d a t o al Cicognini di Prato, u n o dei più rin o m a t i collegi italiani, ma si m o s t r ò meritevole dei sacrifici cui la famiglia dovette sobbarcarsi p e r m a n t e n e r v e l o . Fu un allievo brillantissimo specie nelle m a t e r i e l e t t e r a r i e , tanto che a sedici a n n i c o n o b b e la gloria grazie a u n a raccolta di poesie, Primo vere. A quei t e m p i la poesia era m o n o p o l i o dei professori, e a dettarvi legge e r a n o Carducci e i carducciani, che p e r rilasciarne il passaporto n o n chiedevano ispirazione e originalità, ma un b e n n u t r i t o bagaglio retorico-umanistico s a p i e n t e m e n t e filtrato attraverso i modelli greci e latini, c o m e del resto voleva la tradizione aulica e accademica italiana. Il giovane d e b u t t a n t e p a g ò p e d a g g i o a t u t t e le convenzioni m o s t r a n d o s i zelante discepolo di Ovidio e di Prop e r z i o e m o b i l i t a n d o sul loro e s e m p i o tutti gli Dèi dell'Olimpo, ma con u n a spiccata preferenza p e r Venere. Fu questo che gli valse l'incondizionato elogio della critica. La quale forse n o n gliene a v r e b b e p r o d i g a t i tanti se, sotto la perfetta imitazione degli schemi scolastici, avesse p e r c e p i t o il 444
g e n u i n o lirismo c h e vi faceva c a p o l i n o , e c h e costituiva la vera «promessa» del d e b u t t a n t e . Sull'onda di quel precoce successo, D ' A n n u n z i o p i o m b ò Roma deciso a conquistarla. Per i circoli giornalistici e letterari aveva già il biglietto d ' i n g r e s s o , e infatti vi fu subito fraternamente accolto. Ma la sua ambizione e r a di e s p u g n a re quelli m o n d a n i c h e si m o s t r a r o n o m o l t o p i ù r e n i t e n t i , piccolo di s t a t u r a e p r i v o di attrattive fisiche, o b e r a t o d e i modi e dell'accento del provinciale abruzzese, e piuttosto a corto di mezzi, egli n o n aveva nulla p e r farsi largo nel chiuso ed esclusivo m o n d o dei palazzi r o m a n i , se n o n il talento e la p e n n a , cioè dei valori che in quel m o n d o n o n avevano quotazione. L'aristocrazia nera, cui il borghesuccio pescarese i m p r e s t a v a c o s t u m i e gusti rinascimentali, e r a in r e a l t à sorda a ogni stimolo intellettuale, e c o m e la Chiesa, da cui derivava i suoi titoli e i suoi feudi, c o n s i d e r a v a la c u l t u r a u n ' a r m a del diavolo. Salvo r a r e eccezioni, i suoi e s p o n e n t i si occupavano soltanto di caccia e di cavalli, n o n p a r l a v a n o altra l i n g u a c h e il dialetto r o m a n e s c o , e la l o r o grandeur - q u a n d o c'era - era quella del bovaro, sia p u r e di g r a n razza. a
Nelle c r o n a c h e m o n d a n e che p r e s e a pubblicare sui giornali, D'Annunzio descrisse questi orgogliosi e rozzi principi come dei raffinati sibariti maestri di eleganza n o n si sa se p e r sedurli o p e r c h é così seguitava a v e d e r l i nella sua fervida i m m a g i n a z i o n e d i piccolo s n o b p r o v i n c i a l e . L ' a d u l a z i o n e non fece in loro n e s s u n a breccia, ma ne fece nelle loro m o gli e figlie. Quelle di loro che sapevano leggere - e che forse non e r a n o la m a g g i o r a n z a - c o m i n c i a r o n o a p r o v a r e u n a certa curiosità, mescolata a g r a t i t u d i n e , p e r quel forbito ritrattista che, senza averle mai viste, imprestava loro colli di cigno, m a n i di fata, viti di vespa e b a t t u t e da M a d a m e de Staél. Se il ritratto era sbagliato, il calcolo si rivelò azzeccato. Felici di riconoscersi nelle raffinate g e n t i l d o n n e dai n o m i altisonanti e dai gusti perversi di cui l ' i m m a g i n o s o reporter popolava le sue c r o n a c h e con g r a n scialo di termini esotici e 445
sofisticati (fu il p r i m o a p a r l a r e di flirt e di five 'o clock tea) esse se le p r e s e r o a modello. E così cominciò lo strano e inusitato f e n o m e n o di u n o scrittore che, invece di d a r e un'imm a g i n e della società, d i e d e alla società l'immagine propria e la costrinse a rassomigliarle. Il p r i m o palazzo che si arrese al giovine parvenu fu quello di un principe r o m a n o che n o n e r a né principe né roman o . Il suo titolare era un francese, H a r d o u i n , che in ricomp e n s a dei servigi p r e s t a t i p r i m a del '70 c o m e ufficiale nel piccolo esercito m e r c e n a r i o del Papa, era stato da questi autorizzato a sposare la Duchessa di Gallese, e ad a s s u m e r n e il n o m e e il titolo. Rimasto vedovo, aveva p r e s o u n a seconda moglie, che gli aveva d a t o u n a figlia, Maria: u n a giovinetta romantica, che aveva un debole p e r la poesia e i poeti. E difficile stabilire se D'Annunzio s ' i n n a m o r ò di lei o del suo b l a s o n e , ma è a c c e r t a t o ch'essa s ' i n n a m o r ò p e r d u t a m e n t e di lui. Il D u c a che c o m e tutti i falsi nobili teneva al suo r a n g o più di quelli veri, e p e r la ragazza sognava un mat r i m o n i o con qualche Ruspoli o Colonna, minacciò perfino di r i n c h i u d e r l a in c o n v e n t o . Ma Maria fu irremovibile. Disertate dal p a d r e e da tutta l'aristocrazia, quelle nozze furono considerate u n o scandalo, ma a p p u n t o p e r questo costit u i r o n o u n o dei g r a n d i avvenimenti della R o m a degli anni ottanta. Esse r e s e r o p o p o l a r e D ' A n n u n z i o a n c h e negli ambienti che p i ù gli si m o s t r a v a n o allergici e fecero di lui il primo scrittore v e r a m e n t e «mondano» che l'Italia abbia avuto. Egli n o n v e n n e ammesso nel salotto intellettuale della Regina Margherita, ma lo costrinse a occuparsi spesso, e sia pure in t o n o di riprovazione, delle sue gesta. Il m a t r i m o n i o con Maria fu felice p e r tre anni, poi si sfasciò, o meglio a n d ò l e n t a m e n t e alla deriva, p e r c h é u n a vera r o t t u r a n o n ci fu. Diseredata dal p a d r e , la povera d o n n a rim a s e coi t r e figli c h e D ' A n n u n z i o le aveva d a t o e ai quali dovette p r o v v e d e r e da sola. Egli n o n poteva badarvi, occup a t o c o m ' e r a a perfezionare, nella vita e nei libri, il suo personaggio. 446
Di questo p e r s o n a g g i o , il c o m p i t o di ritracciare l'evoluzione spetta alla critica letteraria con cui n o n vogliamo entrare in c o n c o r r e n z a . Ma, dati gli sconvolgenti effetti ch'esso ebbe sulla società italiana, o c c o r r e d i r n e l'essenziale. La sua p r i m a i n c a r n a z i o n e fu A n d r e a Sperelli, il p r o t a g o n i s t a del Piacere, il r o m a n z o c h e fece di D ' A n n u n z i o lo scrittore più letto d'Italia. Sperelli è un g e n t i l u o m o di alto lignaggio, oberato di titoli e di stemmi, intriso di arte e di cultura, che fa del p i a c e r e la sua legge e t r a s c o r r e la vita a raffinarlo e distillarlo c o n filtri e riti s e m p r e più complicati. Q u e s t o eroe-esteta n o n e r a affatto n u o v o nella letteratura e u r o p e a : a fornirne il modello e r a n o i maestri del «decadentismo» come B a u d e l a i r e e Walter Pater, dai quali c e r t a m e n t e D'Annunzio lo derivò, e che facevano del Bello l'unica vera religione d e l l ' u o m o . Ma D'Annunzio n o n si c o n t e n t ò di descriverlo. Volle «diventarlo», f o n d a n d o così, più che u n a scuola, una v e r a e p r o p r i a d i n a s t i a l e t t e r a r i a c h e n o n fu s o l t a n t o italiana, e che arriva, a d i s p e t t o delle p r o f o n d e differenze stilistiche, fino a H e m i n g w a y e a Malraux: quella degli scrittori che i n t e r p r e t a n o la vita c o m e un «romanzo» e, p r e n d e n d o n e a pretesto i g r a n d i avvenimenti, cercano di «viverlo» da protagonisti. Come A n d r e a Sperelli, D'Annunzio fece dell'alcova il suo regno, n o n b a d ò ai mezzi p e r attrarvi le g r a n d i d a m e e irretirvele, diventò il cliente p i ù difficile (e p i ù moroso) dei sarti di Roma, si circondò di oggetti rari e preziosi o ch'egli riteneva tali ( p e r c h é di arte n o n capiva nulla, e i «pataccari» fecero s e m p r e con lui i loro migliori affari). I n s o m m a n o n t r a s c u r ò n i e n t e p e r ergersi a d a r b i t r o d i eleganza. E lo fosse o n o n lo fosse, come tale fu considerato da u n a c e r t a «gioventù d o r a t a » , c h e nello stile di A n d r e a Sperelli cominciò a p a r l a r e , a vestire, a corteggiare le d o n n e ~ le quali n o n c h i e d e v a n o di meglio - e p u r t r o p p o a n c h e a scrivere. Tutti i protagonisti dei suoi r o m a n z i e racconti del p r i m o periodo n o n sono che le diverse sfaccettature di questo stes447
so p e r s o n a g g i o via via arricchito di s e m p r e nuovi elementi: la violenza, la p e r v e r s i o n e , l'incesto, che s e m i n a v a n o scandalo nel timorato pubblico italiano m a g g i o r a n d o il successo dell'autore. Ma il Claudio C a n t e l m o delle Vergini delle rocce e il C o r r a d o B r a n d o di Più che l'amore dirazzano a l q u a n t o dalla famiglia degli eroi-esteti c h e li a v e v a n o p r e c e d u t i . Essi n o n attingono i loro titoli di superiorità alla raffinatezza del g u s t o e della c u l t u r a , ma alla loro vocazione di u o m i n i di p o t e r e e di c o m a n d o , ereditata col s a n g u e da u n a l u n g a dinastia di antenati belluini. Per loro la d o n n a n o n è la sacerdotessa della voluttà, ma il riposo del g u e r r i e r o . N o n la sed u c o n o ; la v i o l e n t a n o in base al d i r i t t o d e l p i ù forte r i d u cendola a p u r o s t r u m e n t o della preservazione di u n a razza: la razza dell'Eroe Latino. Anche Claudio Cantelmo n o n è che un figlio spurio di D'Annunzio. Il suo vero p a d r e spirituale e r a il filosofo tedesco Federigo Nietzsche che p r o p r i o in quegli a n n i aveva elab o r a t o la teoria della superiorità della sua razza incarnata in un b i o n d o Z a r a t h u s t r a , l ' u o m o , anzi il S u p e r u o m o d'azione, il d e m i u r g o esentato da ogni legge civile e da ogni scrupolo morale. C h e D'Annunzio avesse r e a l m e n t e letto le opere di Nietzsche, allora poco note e - c r e d o - n o n ancora tradotte in italiano, n o n ne siamo sicuri, ma ha poca importanza. Q u e s t e idee e r a n o nell'aria della cultura occidentale, larg a m e n t e d o m i n a t a dalle teorie darwiniane della evoluzione, p e r cui e r a legge d i n a t u r a c h e i n t u t t e l e specie animali, c o m p r e s o l ' u o m o , il più forte sopravvivesse a spese del più debole d i s t r u g g e n d o l o . Nietzsche le aveva volte a gloria del suo atletico Sigfrido r i v e n d i c a n d o n e l'esclusiva al suo ceppo g e r m a n i c o , che effettivamente sulla fine d e l l ' O t t o c e n t o aff e r m a v a i suoi p r i m a t i in tutti i c a m p i . D ' A n n u n z i o prese p a r i p a r i questo «biondo s u p e r b o a n i m a l e s e m p r e in cerca di preda» e lo tradusse in edizione m e d i t e r r a n e a con alcune variazioni: da b i o n d o lo fece b r u n o , invece di Sigfrido gli d i e d e p e r p r o g e n i t o r i Ulisse e Achille, e p i ù che ai muscoli ne attribuì la forza all'intelligenza e alla cultura, a n c h e per 448
conservargli q u a l c h e c a r a t t e r e c h e lo facesse r i c o n o s c e r e della famiglia sua e di A n d r e a Sperelli. Da vero artista quale D'Annunzio c e r t a m e n t e era, sia p u re mescolato al ciarlatano, egli aveva intuito i t e m p i e li p r e veniva, s e m p r e p e r la sua vocazione a d i v e n t a r n e p r o t a g o nista. Era il m o m e n t o in cui l'Italia ripudiava la sua politica del «piede di casa» p e r lanciarsi, sotto il p u n g o l o di Crispi, nella g r a n d e avventura coloniale. Aveva bisogno di c r e d e r e in se stessa, nella p r o p r i a missione, nel p r o p r i o p r i m a t o . E D ' A n n u n z i o , p e r f o r n i r g l i e n e i motivi, a n d ò a cercarli in Grecia sul panfilo del suo amico E d o a r d o Scarfoglio. «E t e m p o - scrisse al suo t r a d u t t o r e francese H é r e l l e - di tornare al sano pregiudizio che fece la grandezza di Atene e di Roma: c r e d e r e che tutti gli altri popoli sono barbari.» In u n o dei p o e m i , Maia, che poi d o v e v a n o c o m p o r r e il gran libro delle Laudi, la sua Summa poetica, egli descrive la partenza da Brindisi, c h ' e r a stato il p u n t o d'imbarco p e r la Grecia di tutti gl'intellettuali r o m a n i , la l u n g a navigazione sul m a r e di Ulisse, l ' a p p r o d o in L e u c a d i a , il p r o m o n t o r i o da cui gli a m a n t i delusi usavano, sull'esempio di Saffo, annegarsi in m a r e , e p p o i le b i a n c h e processioni dei sacerdoti orfici c o r o n a t i di rose, e le g a r e degli atleti n e l l ' a r e n a e le fontane di Castalia che ubriacavano i passanti con la musica del loro sciacquio, e l ' i n c o n t r o con T e l e m a c o e Alcibiade, Pindaro e Pericle, Penelope e Afrodite. Hérelle, che lo aveva accompagnato, q u a n d o lesse quelle pagine straripanti d ' i m m a g i n i e di aggettivi, ebbe u n a crisi di rabbia. Da b r a v o e diligente professore di filologia, egli aveva t e n u t o un diario di quel viaggio, dal quale risulta che il panfilo n o n partì da Brindisi, ma da Gallipoli; che d u r a n te tutta la traversata il poeta del m a r e , che diceva di essere nato su u n a galea, n o n fece che lamentarsi del mal di m a r e , si rifiutò di rileggere l'Iliade e l'Odissea, c o m e aveva p r o m e s so al suo t r a d u t t o r e , p r e f e r e n d o p a r l a r e con Scarfoglio della R o m a attuale, delle sue Duchesse e avventuriere, o p p u r e starsene n u d o a p r e n d e r e il sole (D'Annunzio fu forse il pri449
mo italiano a praticare il culto della «tintarella»). N o n chiese mai n e m m e n o il n o m e delle città che avvistavano sulle coste. Arrivato ad Atene, n o n volle più m u o v e r s e n e , s e m p r e p e r p a u r a del mal di m a r e . Trovò la città disgustosa, e l'unica cosa di cui s'interessò f u r o n o i bordelli. Solo davanti all ' H e r m e s di Prassitele rimase in c o n t e m p l a z i o n e , ma dalla sua bocca n o n uscì che questo c o m m e n t o : «Ah, se si potesse d i r n e qualcosa di nuovo!», p e r c h é questo e r a in realtà il vero scopo del suo viaggio. Egli n o n cercava qualcosa da vedere, ma soltanto da descrivere, e lo fece da p a r suo, reinvent a n d o t u t t o , e in u n o stile c h ' e r a e s a t t a m e n t e la negazione di quel sobrio e composto ideale di bellezza classica, cui egli diceva di volersi i s p i r a r e . Di q u e s t e i n t e r m i n a b i l i Laudi, ch'egli c o m p o s e col dichiarato proposito di farne la sua Divina Commedia, solo Alcione riluce di autentica poesia. Il resto somiglia piuttosto a un barocco Baedecker, in cui l'effetto è affidato soltanto alla magìa evocativa dei n o m i e alla sonorità degli aggettivi: un esercizio a freddo, da g r a n d e virtuoso del verso quale D ' A n n u n z i o c e r t a m e n t e era, ma che su un pubblico provinciale e accademico c o m e il nostro era destinato a sortire sicuri effetti. Fu nel p e r i o d o di gestazione del p o e m a ch'egli fece il suo d e b u t t o politico. Per molti, fu u n a s o r p r e s a p e r c h é D ' A n n u n z i o aveva s e m p r e ostentato p e r la politica il più p r o f o n d o disprezzo. Q u e s t o e r a un a t t e g g i a m e n t o c o m u n e a quasi tutti gl'intellettuali di allora, c o m p r e s o il g r a n d e m a e s t r o della poesia civile, Carducci. Ma m e n t r e il disprezzo di Carducci si app u n t a v a c o n t r o gli u o m i n i , n o n c o n t r o le istituzioni, delle quali anzi egli restava l'appassionato b a r d o , D'Annunzio vi coinvolgeva a n c h e queste, senza n e s s u n rispetto n e m m e n o p e r la tradizione risorgimentale di cui esse costituivano 1 an i m a e il retaggio. A queste tradizioni D'Annunzio era p legato: un p o ' p e r c h é in Abruzzo esse avevano scarse radici» ma p i ù a n c o r a p e r c h é al suo ideale aristocratico il Rinasci o C O
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m e n t o e r a p i ù congeniale del Risorgimento, cui si convertì solo più tardi e grazie a u n a laboriosa trasfigurazione poetica. C o n s i d e r a v a la d e m o c r a z i a il trionfo della m e d i o c r i t à , chiamava «cloaca» il P a r l a m e n t o , i n s o m m a forniva il più autorevole c o n t r i b u t o al diffondersi di q u e l « q u a l u n q u i s m o » che fu il vero concime del fascismo. Ma in questa disprezzata politica egli n o n e n t r ò p e r fare politica. C ' e n t r ò , c o m e scrisse al suo e d i t o r e Treves, p e r d i m o s t r a r e a tutti c h ' e r a capace di fare a n c h e quella, e di primeggiarvi i m p a r t e n d o ne lezioni ai professionisti. Pose la sua c a n d i d a t u r a al collegio di O r t o n a , dove poteva contare su n u m e r o s e relazioni di p a r e n t e l a e di amicizia, ed è probabile che si presentasse c o m e u o m o di Destra solo perché il suo avversario, Altobelli, si presentava come u o m o di Sinistra. In che conto tenesse queste etichette ideologiche lo dimostrarono i suoi discorsi, in cui di p r o g r a m m a politico non c'era traccia. Egli n o n p a r l ò c h e dei vincoli di s a n g u e che lo legavano alla sua terra, e degli struggenti ricordi e delle poetiche immagini che questa gli suggeriva, e di Roma, e di Virgilio, e di Esiodo. A un elettore che gli chiedeva cosa avrebbe fatto e dove si sarebbe collocato in P a r l a m e n t o , rispose che avrebbe c e r t a m e n t e scelto un seggio al di là sia dell'estrema Destra che dell'estrema Sinistra. E c i o n o n o s t a n t e vinse p e r c h é tutti stavano a sentire n o n cosa diceva, ma come lo diceva, e in questo rivelò autentiche doti d'incantatore. Ma nel dibattito p a r l a m e n t a r e , d o v e bisognava affrontare i p r o b l e m i sul p i a n o c o n c r e t o , q u e s t e doti gli f u r o n o di così scarso aiuto che p e r d u e volte sole egli si alzò a p a r l a r e in mezzo a un generale disinteresse condito d'ironia. Fu fors e p e r q u e s t o c h e u n g i o r n o , d u r a n t e u n acceso dibattito, egli a b b a n d o n ò il suo s c r a n n o di d e s t r a e, attraversata teatralmente tutta l'aula, a n d ò a sedersi a sinistra fra i socialisti dicendo: «Vado dalla m o r t e alla vita». N o n aveva altro m o do per attirare l'attenzione su di sé, e ci riuscì. Ne aveva anh e azzeccato il m o m e n t o : al g o v e r n o c'era Pelloux che con ^ sue misure repressive stava p o r t a n d o acqua all'opposizioc
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n e , c o m e si vide q u a n d o q u e s t a lo mise in m i n o r a n z a cos t r i n g e n d o il Re a b a n d i r e n u o v e elezioni. C o n la sua n u o v a etichetta socialista, che aveva fatto gran scalpore in tutta Italia, D ' A n n u n z i o r i p r o p o s e la sua candid a t u r a , ma dovette p e r decenza cambiare collegio, e stavolta o p t ò p e r Firenze, dove si e r a frattanto accasato. Fu u n a scelta infelice. Per avversario stavolta aveva Cambray-Digny, u o m o di levatura b e n diversa da quella di Altobelli, e come e l e t t o r a t o u n p u b b l i c o m o l t o m e n o sensibile d i quello abruzzese alle belle immagini e alla musica delle parole. Invano D'Annunzio cercò di sedurlo parlandogli di Dante, di L e o n a r d o e di Michelangelo. Per q u a n t o socialisti, i bottegai fiorentini volevano s a p e r e q u a n d o a v r e b b e p a g a t o i debiti che frattanto egli aveva a p i e n e m a n i contratto nei loro negozi, m e n t r e gli o p e r a i e gli artigiani gli c h i e d e v a n o quali m i s u r e fiscali si p r o p o n e v a di applicare c o n t r o i ricchi e in aiuto dei poveri. E siccome a questi p r o b l e m i il poeta si mostrava del tutto sordo, lo t r o m b a r o n o s o n o r a m e n t e . Così finì la carriera p a r l a m e n t a r e di D'Annunzio: d u e discorsi alla C a m e r a e un duello contro il giornalista Bernabei ne costituivano t u t t o l'attivo. Ma essa sortì d u e effetti che dovevano rivelarsi d ' i m p o r t a n z a nazionale. Primo, acuì nell'uomo, mescolandola a un'oscura smania di rivincita, l'ostilità verso le istituzioni d e m o c r a t i c h e . S e c o n d o , lo rese cosciente della m a g ì a ch'egli esercitava sulla folla, e che da quel m o m e n t o diventò p e r lui u n a specie di d r o g a . Probabilmente fu p e r m a n t e n e r e un diretto contatto col pubblico ch'egli mise da p a r t e poesia e r o m a n z o p e r dedicarsi soprattutto al teatro. In teatro si era già cimentato, con poco successo. Ma ora poteva c o n t a r e su u n a i n t e r p r e t e d'eccezione: Eleonora Duse. L'incontro fra i d u e era scritto nelle stelle p e r c h é la Duse e r a d a n n u n z i a n a p r i m a a n c o r a d i c o n o s c e r e D'Annunzio. Diva in o g n i suo gesto e p a r o l a , m a n d a v a in rovina gl'in " p r e s a r i che la s c r i t t u r a v a n o p e r c h é bastava u n a variazione di clima o la vista di un cielo fuligginoso p e r i m p e d i r l e di 1
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recitare; ed e r a così i m m e d e s i m a t a nel suo p e r s o n a g g i o che si rifiutava ai r a p p o r t i di amicizia con gli attori che nei suoi d r a m m i i n t e r p r e t a v a n o la p a r t e del cattivo. Q u a n d o fece La signora delle camelie, diede ad A r m a n d o un bacio così insistito e p e n e t r a n t e che perfino il pubblico francese ne rimase scandalizzato. Per D ' A n n u n z i o , p r i m a d ' i n c o n t r a r l o , aveva manifestato la più viva antipatia. Ma a p p e n a egli le p r o p o s e di diventare la sua eroina, essa lasciò tutto, i m p e g n i , scritture, e perfino la sua casa di Venezia p e r venire ad abitare a Settignano sui colli fiorentini, dove egli aveva affittato u n a villa dei m a r c h e s i C a p p o n i , la Capponarla. A n c h e lei ne affittò u n a a pochi passi, che con s o m m a irreverenza egli battezzò La Porziuncola, c o m e la cappella di S. Francesco d'Assisi. I n s i e m e , essi f o r m a r o n o la c o p p i a p i ù «chiacchierata» d'Europa. Si disse che la loro poetica ispirazione era attinta a misteriosi filtri distillati al chiar di l u n a d e n t r o il teschio di u n a v e r g i n e , e c h e q u a n d o a n d a v a n o al m a r e egli vi s'immergeva n u d o in g r o p p a al cavallo, m e n t r e lei lo aspettava sulla spiaggia avvolta in un peplo p u r p u r e o che poi serviva di coltre ai loro amplessi. I n r e a l t à , p u r associandola alle sue d a n n u n z i a n a t e , D'Annunzio badava ai p r o p r i affari. Diede alla Duse // sogno di un mattino di primavera, ma le n e g ò La città morta, ch'essa smaniava d ' i n t e r p r e t a r e , p e r c h é q u e s t o d r a m m a l o aveva promesso all'altra g r a n d e diva del t e m p o , la francese Sarah B e r n h a r d t . Fu forse p e r questo che la Duse, la quale aveva sempre evitato il confronto diretto con la g r a n d e rivale, decise di p o r t a r e 11 sogno a Parigi, dove la sfida fece a c c o r r e r e tutto lo snobismo intellettuale d ' E u r o p a . N o n fu un fiasco solo p e r c h é i n o m i d e l l ' a u t o r e e della interprete n o n lo consentivano. Ma la critica n o n p o t è fare a m e n o di rilevare l'artificiosità dell'intreccio, la prolissità dell'azione e s o p r a t t u t t o la d e c l a m a t o r i a verbosità dei m o nologhi. «Un e s p e r i m e n t o italiano» lo definirono p e r risparmiarsi parole più c r u d e , e la B e r n h a r d t ne gongolò. Ma n o n n d ò b e n e n e m m e n o a lei. M a l g r a d o l a sua s t r a o r d i n a r i a a
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b r a v u r a , «questa Città morta è u n a città da morire» scrissero i critici, e a v e v a n o r a g i o n e . D ' A n n u n z i o e r a un pessimo d r a m m a t u r g o . Tutti i suoi p e r s o n a g g i p a r l a n o c o m e D'Annunzio, e fanno della parola n o n il mezzo, ma il fine, cesellandola, affastellandola di aggettivi preziosi e carichi di effetti che si esauriscono nella loro sonorità. N o n s a p p i a m o q u a n t o l'insuccesso abbia c o n t r i b u i t o a p r o v o c a r e la fine d e l l ' « a m o r e d e l secolo», o a l m e n o ad affrettarla. Probabilmente egli n o n era mai stato i n n a m o r a t o . La Duse n o n era bella e aveva sei a n n i p i ù di lui. Visto che sulla scena n o n gli serviva m o l t o , egli la fece e r o i n a di un r o m a n z o , Il fuoco: il r o m a n z o del loro a m o r e . Preannunciato con g r a n d e anticipo e strepito pubblicitario, esso e r a spas m o d i c a m e n t e atteso, e a l m e n o sul p i a n o scandalistico non deluse. La Duse era riconoscibilissima nelle vesti di u n a dam a v e n e z i a n a o r m a i a l t r a m o n t o - u n t r a m o n t o descritto nei minimi dettagli fisici - p e r d u t a m e n t e i n n a m o r a t a di un u o m o v e n t ' a n n i p i ù giovane di lei. Il successo del libro fu pari all'indignazione che gli fece da concime, c o m e l'autore doveva aver calcolato. Si disse che p e r p r e v e n i r n e la pubblicazione, la Duse aveva c o m p r a t o il manoscritto col ricavato di tutti i suoi gioielli e che D'Annunzio, d o p o aver intascato la cospicua s o m m a , lo aveva d a t o u g u a l m e n t e alle stampe. Si disse che aveva d o v u t o riscriverlo p e r c h é lei lo aveva bruciato. Ma n o n era vero nulla. U m i l m e n t e , essa aveva soltanto chiesto al suo Poeta il p e r m e s s o di stargli vicino m e n t r e c o m p o n e v a il c a p o l a v o r o . E, d o p o averlo letto, si dichiarò più orgogliosa di avergliene fornito l'ispirazione che offesa p e r il m o d o in cui essa stessa e r a stata r a p p r e s e n t a t a . Per la p r i m a volta si vide q u a n t o lo scandalo giovi alla gloria letteraria. T r a d o t t o in tutte le lingue, quel b r u t t o r o m a n z o fece di D'Annunzio un a u t o r e di fama n o n più nazionale, ma internazionale. C h ' e r a poi l'unica cosa che gli stesse a cuore. Per nulla s m o n t a t o dai fiaschi teatrali, insistè a sfornare d r a m m i su d r a m m i , quasi s e m p r e a n d a n d o a c e r c a r n e i pretesti in quelle e p o c h e storiche di transizione in cui le ci454
viltà si d e c o m p o n g o n o e l'elemento barbarico r i p r e n d e con tutta la sua forza belluina il sopravvento sull'ordine sociale n o n più in g r a d o di frenarlo. Egli prediligeva n a t u r a l m e n t e questi p e r i o d i p e r c h é i p i ù c o n g e n i a l i al suo S u p e r u o m o , che poi è s e m p r e lui, D'Annunzio, sia p u r e rivestito di p a n ni s e m p r e diversi. Per r a g g i u n g e r e i suoi effetti, n o n badava a mezzi. Alla «prima» della Francesca da Rimini, a Roma, p o co m a n c ò che lo linciassero p e r c h é volle r a p p r e s e n t a r e dal vero la scena di un b o m b a r d a m e n t o , e u n a catapulta demolì u n a p a r e t e s p r i g i o n a n d o un gas inventato da un suo amico chimico che quasi asfissiò gli spettatori inferociti. Ma queste bizzarrìe c o n t r i b u i v a n o alla c r e a z i o n e d e l p e r s o n a g g i o D'Annunzio q u a n t o i suoi innegabili d o n i poetici, e forse di più. N o n o s t a n t e la p r o v a del Fuoco - è il caso di dirlo -, la Duse e r a s e m p r e i n e b r i a t a di lui, e dilapidava i suoi r i s p a r m i p e r r a p p r e s e n t a r n e le o p e r e all'estero d a v a n t i a platee semivuote. Il poeta la r i c o m p e n s ò affidando a E m m a G r a m a tica la p a r t e di p r o t a g o n i s t a ne La figlia di Jorio, sua unica o p e r a t e a t r a l m e n t e valida. La Duse se ne a m m a l ò di dolore, ma resistette a n c h e a quell'affronto. La crisi nei l o r o r a p porti s o p r a v v e n n e p e r altri motivi. Un g i o r n o che il p o e t a era assente, essa chiamò alla C a p p o n c i n a un suo amico e gli o r d i n ò di appiccarvi l'incendio: nella c a m e r a da letto di Gabriele, aveva trovato d u e forcine d ' o r o che n o n a p p a r t e n e vano al suo a r m a m e n t a r i o . «Il t e m p i o è profanato - disse -, solo il fuoco p u ò purificarlo.» E ci volle del bello e del b u o no p e r impedirle il falò. Quelle d u e forcine e r a n o cadute dalle c h i o m e di Alessand r a Di Rudinì, c h ' e r a e n t r a t a nella vita di D ' A n n u n z i o con la violenza d e l l ' u r a g a n o . Capricciosa, appassionata di cavalli e con le m a n i b u c a t e , essa d i e d e un forte c o n t r i b u t o alla m o n t a g n a di debiti su cui D'Annunzio già si teneva penosam e n t e in bilico. Nella vita privata egli e r a r i m a s t o A n d r e a Sperelli, e aveva fatto della C a p p o n c i n a il deposito di tutto ciò che considerava s u p r e m a raffinatezza. La villa g r o n d a v a 455
di oggetti, come la sua prosa di aggettivi. Damaschi, velluti, cuscini, tabacchiere, vasi, piatti, b r o n z i , busti, reliquie, miniature, frammenti: c'era tutto, e quasi tutto falso, ma lui lo aveva p a g a t o c o m e autentico p e r c h é di arte e a n t i q u a r i a t o n o n capiva nulla. E così, p e r m e t t e r e insieme quel pacchiano bric-à-brac da rigattiere di provincia, era sprofondato in un pozzo di cambiali, cui o r a Alessandra aggiungeva le sue. Essi ebbero venti servitori, cinque cavalli, t r e n t a cani e d u e cento piccioni. Su questi sfondi da palazzo orientale il Poeta si aggirava stivalato e in giacca rossa, circondato da levrieri, o p p u r e c o m p o n e v a in piedi r e g g e n d o la p e n n a senz'appoggiare il gomito al tavolo secondo un m e t o d o di scrittura che diceva di aver i m p a r a t o da un maestro giapponese. Si rifiutava di r i g u a r d a r e i conti che il segretario gli p r e s e n t a v a e che d e n u n z i a v a n o un passivo (per quei tempi!) di oltre un milione p e r c h é , c o m e Balzac, e r a convinto di p o s s e d e r e un talento commerciale che gli avrebbe consentito di r i p a r a r e a t u t t o , e infatti ci si p r o v ò t e n t a n d o u n a s p e c u l a z i o n e su u n ' a c q u a minerale che n a t u r a l m e n t e finì in un disastro. Era talmente sprovveduto in fatto di contabilità che rifiutava anche gli assegni dei suoi editori p e r c h é n o n li considerava den a r o , e voleva essere p a g a t o in biglietti, che poi nascondeva fra le pagine dei libri, spesso dimenticandoveli, p e r c h é non si fidava delle b a n c h e . Fu in questo p e r i o d o ch'egli n o n solo d i e d e il meglio della sua p r o d u z i o n e l e t t e r a r i a , ma a n c h e i m p o s e il p r o p r i o «personaggio» c o m e modello di stile e di vita. Le d o n n e ass u m e v a n o gli a t t e g g i a m e n t i e le p o s e d e l l ' e r o i n e di D'Ann u n z i o , p a r l a v a n o c o m e l o r o i n f i o r a n d o i l o r o discorsi di parole arcaiche e a r c a n e e di gesti m e l o d r a m m a t i c i , decoravano le loro case c o m e scene di D'Annunzio, e costringevano i loro u o m i n i a fare a l t r e t t a n t o . I suoi vestiti facevano m o d a . I suoi m o t t i t r o v a v a n o i m m e d i a t a m e n t e un coro p r o n t o a r i e c h e g g i a r l i . Il Duca d'Aosta, n o n r i u s c e n d o a imitare altro di lui, ne imitava la calligrafia. D o p o la r a p p r e sentazione de La nave, il pubblico eccitato sciamò p e r le stra456
de di R o m a u r l a n d o c o m e i protagonisti del d r a m m a : «Arr e m b a i A r r e m b a ! » e «Arma la p r o r a e salpa v e r s o il m o n do!» con g r a n sconcerto della polizia che n o n sapeva di che sedizione si trattasse. Quello di D'Annunzio insomma era molto più che un successo letterario. C o m e mai a n e s s u n artista fin allora e r a riuscito, egli incideva n o n soltanto sul gusto della sua epoca, ma sul c o s t u m e e la mentalità. Fu lui a u b r i a c a r e gl'italiani d a n d o u n a specie di giustificazione storica e razziale alla pretesa di un p r i m a t o politico, convertendoli al culto dell'eroismo e della violenza irrazionale, e così s p i a n a n d o la strada al D e m i u r g o , cioè alla dittatura. Tutti i fermenti anarchici e antisociali di cui l'Italia gorgogliava t r o v a r o n o in lui il g r a n d e catalizzatore e ne ricevettero un'aulica consacrazione. Perfino la c r o n a c a n e r a si vestì dei suoi p a n n i . L'avventuriera russa Maria Tarnowska compì i suoi delitti in perfetto stile d a n n u n z i a n o e i suoi p a t r o n i la difesero c o n a r g o mentazioni d a n n u n z i a n e . La sua qualifica di S u p e r u o m o e r a o r m a i così accreditata che l ' i n d i g n a z i o n e fu g r a n d e q u a n d o si s e p p e che il tribunale aveva o r d i n a t o il sequestro della C a p p o n c i n a e la vendita di tutti i suoi mobili all'asta. La stampa, e specialmente quella di p a r t e nazionalista che o r m a i riconosceva in D'Annunzio il p r o p r i o araldo, insorse attaccando violentemente il g o v e r n o che consentiva quel «sacrilegio» e r i c o r d a n d o g l i che il P a p a Paolo I I I , q u a n d o la polizia voleva a r r e s t a r e B e n v e n u t o Cellini p e r i suoi debiti, aveva risposto: «Gli artisti come Cellini n o n sono tenuti al rispetto delle leggi, e tanto m e n o a quello dei conti». Ma il g o v e r n o in quel m o m e n t o era Giolitti che con Paolo I I I n o n aveva n i e n t e in c o m u n e . Ugo Ojetti, che assistette all'asta, ricevette l'impressione di trovarsi alla svendita del palazzo di un ricco p r e l a t o . O g n i poco il battitore annunciava: «Vergine seduta!... Vergine col Bambino!... S a n t ' A n t o n i o f o n d o oro!...» D ' A n n u n z i o n o n era affatto religioso. Ma e r a m o l t o superstizioso. Si e r a riempita la casa di Santi p e r c h é li considerava portafortuna, 457
e s p e c i a l m e n t e di Onofrio, m o l t o p o p o l a r e in Abruzzo, ne aveva u n a dozzina. Il p o e t a p a r l ò del «saccheggio» c o m e di u n a bassa vendetta dei mediocri c o n t r o il g r a n d e artista che aveva avuto il torto di fare della Bellezza la sua s u p r e m a regola di vita, ma n o n se ne m o s t r ò molto turbato. A quei tempi, p e r debiti si finiva in galera. Ma lui n o n c o r r e v a q u e s t o rischio p e r c h é già da vari mesi e r a r i p a r a t o in Francia. Aveva bisogno, scrisse, di aria, di spazio, di un Paese n u o v o , di n u o v e esperienze, anche se dolorose come l'esilio. Ma era un esilio per m o d o di d i r e . In Francia egli e r a n o t o quasi q u a n t o in Italia. E Parigi lo accolse s p a l a n c a n d o g l i t u t t e le p o r t e , anche p e r c h é B a r r è r e , da Roma, r a c c o m a n d a v a al suo governo di usargli tutti i r i g u a r d i . N e s s u n a città poteva riuscirgli più congeniale. Parigi è semp r e stata maestra nell'arte di valorizzare i p e r s o n a g g i che si p r e s t a n o ad a r r i c c h i r e la sua galleria, i n c a s t o n a n d o l i , fornendogli un palcoscenico di risonanza internazionale e mett e n d o a loro disposizione tutti gli s t r u m e n t i pubblicitari, dai più massicci ai più raffinati. D ' A n n u n z i o aveva tutti i n u m e r i p e r a p p r o f i t t a r n e . Come già a Roma, egli n o n cercò di far n i d o negli ambienti lett e r a r i , m a p u n t ò subito s u quelli m o n d a n i r i c o r r e n d o alle sole a r m i con cui si p u ò conquistarli: lo snobismo, le stravag a n z e e l'alcova. Per s o t t o l i n e a r e la p r o p r i a c o n d i z i o n e di esule perseguitato, prese p r i m a lo p s e u d o n i m o di Guy d'Ard r e s e p o i quello di G e r a r d d ' A g a u n e , c h e col n o m e vero a v e v a n o in c o m u n e le iniziali. Poi si scelse c o m e a m a n t i alc u n e fra le «mattatrici» p i ù in vista di quel m o n d o cosmopolita da I s a d o r a D u n c a n a I d a Rubinstein alla Principessa de Goloubeff, che n o n e r a principessa, ma che lo diventò perché D'Annunzio la considerava tale. C h e n o n gli avesse resistito la società r o m a n a , si p u ò a n c h e spiegarlo col provincialismo. Ma il fatto che n o n gli resistesse n e m m e n o Parigi dà la m i s u r a delle sue arti di seduttore. A n c h e qui tutte le don458
ne che avvicinavano D'Annunzio diventavano d a n n u n z i a n e e collaboravano con entusiasmo al suo mito. Il d e b u t t o sulle scene p a r i g i n e lo fece col Martirio di San Sebastiano composto p e r la Rubinstein con la collaborazione musicale di Debussy, e fu u n o dei g r a n d i avvenimenti della stagione t e a t r a l e , r e s o a n c o r a p i ù c l a m o r o s o dalle vibrate p r o t e s t e dell'Arcivescovo, offeso dalla t r a s p o s i z i o n e di un Santo nelle vesti di u n a ballerina ebrea. E D'Annunzio, che n o n si lasciava m a i s c a p p a r e u n ' o c c a s i o n e di s c a n d a l o , rispose che la signora Rubinstein era asessuale, anzi a n d r ò g i na con g r a n divertimento di tutta Parigi, m e n o l'interessata. Sulle ali di quel successo, compose ancora Le chevrefeuille e La Pisanella, ou La mori parfumée. E ancora u n a volta si ripetè il f e n o m e n o p e r cui il p u b b l i c o faceva ressa a t e a t r o non p e r ascoltare u n d r a m m a , m a p e r ascoltare D ' A n n u n zio: tanto che Fortuny lanciò l'idea d'inscenare all'aperto un g r a n d e spettacolo d a n n u n z i a n o in C a m p o di M a r t e o sulla Piazza d e g l ' I n v a l i d i con 700 attori, 120 orchestrali e 5000 posti a s e d e r e . A n c h e la Francia tradizionalista e conservatrice e r a ai piedi di D'Annunzio, in cui riconosceva il b a r d o del «Rinascimento latino», e M a u r r a s scriveva di lui: «Niente di b u o n o è mai v e n u t o al m o n d o che n o n rechi un segno di m a n o italiana». N a t u r a l m e n t e l'eco di questi trionfi rianimava in Italia il culto di D'Annunzio. Luigi Albertini, il prestigioso d i r e t t o r e del Corriere della Sera, stava s i s t e m a n d o i debiti del p o e t a e aveva avanzato la p r o p o s t a di offrirgli la cattedra universitaria di Bologna, che p r i m a era stata di Carducci e poi di Pascoli. «L'onore è g r a n d e , ma l'amore alla mia libertà è ancor a p i ù g r a n d e » rispose d a n t e s c a m e n t e D ' A n n u n z i o . I n realtà egli n o n aveva i n t e n z i o n e di lasciare Parigi p r o p r i o nel m o m e n t o in cui vi mieteva i più g r a n d i successi. Q u e s t o p e r ò n o n gl'impediva di seguire le cose italiane e di farvi p e s a r e la sua presenza. Era l ' a n n o della spedizione di Tripoli. Egli ne trasse ispirazione p e r quelle Canzoni delle gesta d'oltremare che, pubblicate dal Corriere, suscitarono sfre459
n a t i e n t u s i a s m i , t r a s f o r m a n d o nella coscienza p o p o l a r e q u e l l ' i m p r e s a giolittiana in u n ' i m p r e s a d a n n u n z i a n a . JJ C o n t e Sforza r a c c o n t a c h e , d o p o la p u b b l i c a z i o n e di quei versi, i r a p p o r t i e gli o r d i n i del g i o r n o dei G e n e r a l i i m p e gnati nel d e s e r t o , di solito a l q u a n t o p e d e s t r i e talvolta anche sgrammaticati, s'infiorarono di voli lirici e assunsero le s o l e n n i c a d e n z e di p r o c l a m i n a p o l e o n i c i . I m b a l d a n z i t o , il p o e t a n o n si c o n t e n t ò di esaltare i successi - in realtà assai modesti - delle nostre armi, ma si scagliò a n c h e c o n t r o Giolitti accusandolo di fare dell'eroismo italiano un oggetto di bassi mercati coi suoi alleati di Vienna e di Berlino. Il giornale c e n s u r ò i passaggi più scabrosi, ma la s t a m p a francese li r i p r o d u s s e con g r a n risalto. Q u a n d o l'editore Treves raccolse in volume le Canzoni, D'Annunzio esigette che venissero r i p r o d o t t e i n t e g r a l m e n t e . L'idea che la c e n s u r a «profani la poesia che io dedico alla mia Patria» lo r e n d e v a esultante; Ma Treves, che esultava un p o ' m e n o alla prospettiva di un sequestro, s t a m p ò solo pochissime copie p e r n o n rimetterci t r o p p i quattrini. Le altre le mise in vendita solo d o p o che la c e n s u r a vi ebbe a p p o r t a t o i suoi tagli. Questi si ridussero in t u t t o a q u a t t o r d i c i versi, c h e tuttavia b a s t a r o n o a far di D ' A n n u n z i o u n a vittima e gli p e r m i s e r o d'iscrivere al loro p o s t o le lapidarie p a r o l e : «Questa c a n z o n e della Patria delusa fu mutilata da m a n o poliziesca p e r o r d i n e del Cavalier Giovanni Giolitti, capo del g o v e r n o italiano». La g u e r r a , fra i d u e , era dichiarata. Q u a n d o scoppiò quella e u r o p e a , B a r r è r e d a R o m a racc o m a n d ò al suo g o v e r n o di g u a d a g n a r e a tutti i costi D'Ann u n z i o alla causa dell'intervento italiano. Q u a l c u n o ha insin u a t o c h e i «costi» f u r o n o alti, ma si t r a t t a di malignità: D ' A n n u n z i o lo si c a t t u r a v a meglio g i u o c a n d o sulla sua vanità che sulla sua cupidigia. Lo c o n d u s s e r o in p o m p a mag n a a visitare il fronte, ed egli diede conto di questo «battesimo del fuoco» con inni alla «sorella latina» e al «lavacro di sangue». Davanti alla cattedrale di Reims che bruciava sotto il b o m b a r d a m e n t o tedesco, a n d ò in estasi e g r i d ò al miraco460
lo suscitando l ' i n d i g n a z i o n e del Vescovo. «Vi assicuro - ribatté placido il p o e t a - che t r a le fiamme la cattedrale raggiunge la sua perfezione.» Poi aggiunse in mezzo al generale sbigottimento: «Esse la p u r g h e r a n n o degli orribili affreschi che d e c o r a n o il suo interno». Da allora il poeta della voluttà n o n scrisse più che di eroismo e di olocausto. D o p o l'ode in francese alla Resurrezione latina, che Le Figaro pubblicò a tutta pagina, egli i n o n d ò l'Italia di poetici appelli: Alla Nazione, Ai cittadini, Ai combattenti, Al Re, che d i v e n t a r o n o il vangelo della gioventù interventista. Da M i l a n o lo i n v i t a r o n o a t o r n a r e p e r assistere alla «prima» della sua Fedra, che stava p e r essere r a p p r e s e n t a t a alla Scala. Rispose che preferiva aspettare un'occasione più significativa, ed è p r o b a b i l e c h e già ne avesse s t u d i a t o sul calendario la scadenza: il 5 maggio sarebbe stato il cinquantacinquesimo anniversario della p a r t e n z a dei Mille p e r Marsala. Q u a l e migliore occasione p e r indire a Q u a r t o un'oceanica a d u n a t a cui presentarsi c o m e un redivivo Garibaldi?
CAPITOLO DODICESIMO
L'INTERVENTO
M e n t r e D'Annunzio a Parigi faceva la p r o p r i a politica, il gov e r n o stentava a scegliere la sua. Nel d a r e al n o s t r o Ambasciatore a L o n d r a , Imperiali, l'ordine d'intavolare negoziati coi r a p p r e s e n t a n t i dell'Intesa, Salandra e S o n n i n o n o n erano affatto decisi a concluderli. C o m e abbiamo detto, volevano g u a d a g n a r t e m p o l a s c i a n d o la p o r t a a p e r t a , o a l m e n o socchiusa, a un a c c o r d o c o n l'Austria. E a n c h e p e r questo a v a n z a r o n o , in cambio dell'intervento, pretese piuttosto pesanti: il T r e n t i n o fino al B r e n n e r o , cioè col Sud-Tirolo etnic a m e n t e t e d e s c o ; T r i e s t e c o n le Alpi Giulie t u t t a l'Istria e quasi tutta la Dalmazia, il che voleva d i r e quasi un milione di slavi; Valona col suo d e l l ' e n t r o t e r r a albanese; il Dodecaneso, che fin allora Francia e I n g h i l t e r r a ci avevano contestato; e un t r a t t a m e n t o da G r a n d e Potenza coloniale nel caso di successive spartizioni in Africa e in M e d i o O r i e n t e a spese della G e r m a n i a . Convinto che l'intervento italiano avrebbe provocato anc h e quello di R o m a n i a e Grecia, il Ministro degli Esteri inglese, Grey, caldeggiò le richieste, e a n c h e i francesi le accett a r o n o . Ma le rifiutarono i russi, imbaldanziti da alcuni recenti successi e smaniosi di assurgere a protettori di tutte le popolazioni slave d ' E u r o p a . La loro opposizione rallentò le trattative i n d u c e n d o S o n n i n o a r i p r e n d e r l e c o n l'Austria. Ma q u a n d o Vienna si disse disposta a trattare la cessione del Trentino, S o n n i n o avanzò n u o v e pretese: Gorizia, l'autonomia di Trieste, alcune isole della Dalmazia, e m a n o libera in Albania. Era un vero e p r o p r i o «mercato», e Dio sa quanto sarebbe a n d a t o avanti, se da L o n d r a n o n fosse giunta noti462
zia che gli Alleati accettavano le n o s t r e p r o p o s t e . Battuti in Galizia, i russi n o n e r a n o più in g r a d o di opporvisi. Così si giunse al famoso Patto di L o n d r a . Il protocollo fu firmato il 26 aprile (del '15, n a t u r a l m e n te) p r e s s a p p o c o sulle basi p r o p o s t e dall'Italia c h e s'impegnava a dichiarare la g u e r r a e n t r o un mese, cioè e n t r o la fine di maggio. S o n n i n o , che aveva la passione quasi maniacale della segretezza, la esigette a n c h e p e r q u e s t o p a t t o , e p e r c o n t o suo la osservò s c r u p o l o s a m e n t e m e t t e n d o n e al corrente solo il Re e Salandra. I nostri nuovi alleati gli sugg e r i r o n o d ' i n f o r m a r n e a l m e n o i Serbi che, a v e n d o iniziato la g u e r r a p e r c r e a r e con la Croazia e la Slovenia - p e r o r a province austriache - u n a Nazione slava (la futura Jugoslavia), e r a n o i più interessati alla sorte dell'Istria e della Dalmazia, anch'esse p r o v i n c e t e r r i t o r i a l m e n t e ed e t n i c a m e n t e slave. Ma S o n n i n o rifiutò, e fu un grosso e r r o r e , p e r c h é era facile p r e v e d e r e che, t a c e n d o lui, avrebbero parlato i Russi. I Serbi n o n n a s c o s e r o la loro a m a r e z z a p e r essere stati tagliati fuori n o n solo dall'Adriatico - su cui n o n gli venivano lasciati che pochi e cattivi sbocchi -, ma a n c h e dai negoziati. E fu questo ad avvelenare i r a p p o r t i fra le d u e Nazioni, che ne rimasero p e r s e m p r e guasti. Il fatto è c h e S o n n i n o aveva, sulla situazione, delle opinioni molto personali. Egli n o n aveva chiesto n e s s u n a assistenza e c o n o m i c a all'Italia - salvo u n o striminzito p r e s t i t o di 50 milioni di sterline - p e r c h é e r a convinto che la g u e r r a non sarebbe d u r a t a più di qualche mese. L'intervento italiano a v r e b b e i n d o t t o il n e m i c o a c h i e d e r e u n a p a c e di c o m promesso, che gli Alleati a v r e b b e r o accettato p e r c h é militarmente, secondo lui, la G e r m a n i a n o n era battibile, e l ' I m p e ro austro-ungarico a n d a v a p r e s e r v a t o p e r far da cuscinetto fra n o i e la f u t u r a J u g o s l a v i a . L'unico p r o b l e m a restava quindi l'Adriatico, di cui il Patto ci garantiva l'assoluto controllo: e d ecco p e r c h é egli n o n aveva insistito p e r F i u m e . Questa previsione di u n a g u e r r a r a p i d a e limitata lo aveva indotto a t r a s c u r a r e a n c h e altri p r o b l e m i c o m e quello dei 463
c o m p e n s i in Medio O r i e n t e e in Africa. In caso di spartizione d e l l ' I m p e r o T u r c o , il Patto p r e v e d e v a l'assegnazione all'Italia di u n a «parte equa» in Anatolia. E q u a n t o al patrim o n i o coloniale tedesco, all'Italia n o n e r a riconosciuto altro d i r i t t o c h e a un ritocco di f r o n t i e r e nelle colonie sue. Ma S o n n i n o e r a convinto che le colonie tedesche s a r e b b e r o rimaste t e d e s c h e e che c o m u n q u e n o n valesse la p e n a giuocarci su di esse l'accordo con la G e r m a n i a , con cui contava di ripristinare l'amicizia, anzi di n o n r o m p e r l a n e m m e n o . Egli era fierissimo dell'accordo r a g g i u n t o , lo considerava un «capolavoro», e s e m p r e p e r a m o r e della segretezza, si rifiutò di c o m u n i c a r n e la conclusione ai R o m e n i , che si erano i m p e g n a t i a ricalcare la loro condotta su quella italiana. Più t a r d i C a d o r n a scrisse che, se essi avessero a p e r t o un fronte c o n t e m p o r a n e a m e n t e al nostro, p e r l'esercito austriaco non ci sarebbe stato s c a m p o . Forse questa e r a un'esagerazione. Ma sta di fatto che, in spregio ai patti, la R o m a n i a fu presa di c o n t r o p i e d e e n o n p o t è sincronizzare la p r o p r i a azione con quella italiana. Il Paese era in p r e d a alla suspense. N e s s u n o sapeva cosa stesse p e r accadere, ma tutti sentivano che qualcosa sarebbe acc a d u t o , e la polemica d i v a m p a v a più violenta che mai sulla s t a m p a e nelle piazze. Gl'interventisti avevano g u a d a g n a t o t e r r e n o , m a i l n e u t r a l i s m o p o t e v a c o n t a r e s u d u e blocchi abbastanza compatti. U n o e r a quello socialista. Specie fra i giovani, alcuni se n ' e r a n o staccati p e r seguire Mussolini e i sindacalisti, o per far fronte c o m u n e coi radicali: fra questi, col sindaco Caldara alla testa, tutta la Giunta C o m u n a l e di Milano, la città che d ' i n t e r v e n t i s m o p i ù fremeva. Ma la c o s i d d e t t a «base» era massicciamente all'unisono coi dirigenti del p a r t i t o , fedeli alla pregiudiziale pacifista. Gli attivisti scesero a più riprese nelle strade, vi lasciarono a n c h e alcuni m o r t i in scontri con gli avversari e con la polizia, e n o n smisero mai di minacciare l ' i n s u r r e z i o n e se il g o v e r n o avesse deciso la g u e r r a alle 464
loro spalle. I n v a n o u n a delegazione di «compagni» francesi v e n n e a t e n t a r e di convertirli. Risposero - e n o n senza ragione - che l'operaio francese era stato aggredito, quello italiano sarebbe stato aggressore. Più divisi e r a n o i cattolici. L'elemento c o n s e r v a t o r e e r a per la pace p r i m a di tutto p e r c h é vedeva nella cattolica Austria u n a garanzia di o r d i n e , e p p o i p e r c h é p r e n d e v a il la dal Vaticano. Pio X era m o r t o nell'agosto dell'anno p r i m a , cioè pochi g i o r n i d o p o lo s c o p p i o della g u e r r a , e l ' e m e r g e n z a aveva messo il Conclave di fronte a u n a difficile scelta. Infatti c'erano volute quindici «fumate nere» p r i m a che si formasse u n a m a g g i o r a n z a in favore del cardinale Della Chiesa, Arcivescovo di Bologna, che salì al Soglio c o m e B e n e d e t to XV. A differenza del suo predecessore, veniva da u n a g r a n d e famiglia, e la sua c a r r i e r a si e r a fatta n o n nella c u r a di anim e , m a nella d i p l o m a z i a . E r a d u n q u e u n P a p a «politico», come del resto il m o m e n t o richiedeva. E politico era a n c h e il Segretario di Stato ch'egli n o m i n ò : il c a r d i n a l e G a s p a r r i , d e s t i n a t o a r e s t a r e in carica quasi v e n t ' a n n i e a n e g o z i a r e con Mussolini i Patti L a t e r a n e n s i c h e c o n d u s s e r o alla creazione dello Stato Vaticano. E n t r a m b i graditi all'Austria, essi accarezzavano un g r a n d e disegno: ospitare a R o m a la futura conferenza della pace facendone assegnare la presidenza al Papa, che così avrebbe riaffermato la sua posizione di alto Pastore del g r e g g e cristiano, n o n c h é di vero S o v r a n o della Città E t e r n a . S o n n i n o , che di q u e s t o p r o g e t t o doveva aver avuto q u a l c h e s e n t o r e , lo aveva già p r e v e n u t o facendo inc l u d e r e nel Patto d i L o n d r a u n a clausola c h e escludeva qualsiasi intervento del Vaticano nella conferenza. Ma Papa e Segretario, che il Patto n o n lo conoscevano, seguitavano a sperare, e a n c h e p e r questo lavoravano contro l'intervento: la conferenza, l'Italia avrebbe p o t u t o ospitarla solo se fosse rimasta n e u t r a l e . «Stiamo facendo t u t t o il possibile p e r c h é l'interesse dell'Austria è a n c h e il nostro» disse un g i o r n o Gas p a r r i a Bùlow. E n o n m e n t i v a . Aveva p e r f i n o esercitato 465
pressioni sul bigotto C a d o r n a p e r c h é desse p a r e r e sfavorevole all'intervento. Neutralista, sia p u r e p e r tutt'altri motivi, e r a a n c h e l'altra e s t r e m a della falange cattolica: quella di sinistra capeggiata da Miglioli, l'organizzatore delle «leghe bianche» che, in fatto di rivendicazioni e scioperi, facevano c o n c o r r e n z a a quelle rosse e t e n e v a n o in subbuglio le c a m p a g n e . Ma l'elem e n t o i n t e r m e d i o , c h e p o i costituiva l a m a g g i o r a n z a , era incerto e diviso a n c h e p e r complessi motivi psicologici. Nei confronti dello Stato nazionale, molti cattolici covavano una specie di «complesso» p e r la m a n c a t a partecipazione alla sua c r e a z i o n e r i s o r g i m e n t a l e , e o r a v o l e v a n o r i g u a d a g n a r e il t e r r e n o p e r d u t o r i n c a r a n d o sul p a t r i o t t i s m o . Per d i più, usciti finalmente dal g h e t t o cui il Vaticano li aveva c o n d a n nati col Non expedit, n o n volevano più tornarci a p p a r t a n d o s i dagli slanci ed entusiasmi del Paese, a n c h e se li consideravano fallaci. Q u e s t o spinse i M e d a e molti altri ad a s s u m e r e un a t t e g g i a m e n t o possibilista di n e u t r a l i t à c o n d i z i o n a t a al soddisfacimento degl'interessi nazionali: p r o n t i cioè ad abb a n d o n a r l a se il Paese si fosse p r o n u n c i a t o p e r l'intervento. Ma il Paese n o n si p r o n u n c i a v a p e r c h é la m a g g i o r a n z a era, c o m e al solito, «silenziosa». Sostanzialmente neutralista, essa n o n aveva p e r ò il coraggio di o p p o r s i agl'interventisti che, s e m p r e più baldanzosi e vociferosi, s p a d r o n e g g i a v a n o nelle piazze, g o d e v a n o l'appoggio dei giornali p i ù potenti, facevano p a u r a a tutti accusandoli di aver p a u r a , e insomm a e s e r c i t a v a n o u n t e r r o r i s m o ideologico cui n e s s u n o , o quasi nessuno, aveva la forza di ribellarsi. Essi parlavano dei pacifisti c o m e oggi si parla dei «qualunquisti»: g e n t e ottusa, t e r r a terra, di corte vedute, con cui specialmente gl'intellettuali n o n volevano confondersi. Quella di neutralista era diventata u n a professione difficile. Fu in questo ribollìo di passioni che D'Annunzio t o r n ò in Italia p e r c o m m e m o r a r e a Q u a r t o la spedizione dei Mille. S e m b r a v a ch'egli avesse c o m b i n a t o il p r o p r i o r i e n t r o con l'aiuto di q u a l c h e v e g g e n t e . Q u a n d o aveva accolto l'invito 466
di t e n e r e la sua orazione, egli n o n poteva certo s a p e r e che p r o p r i o il giorno p r i m a - 4 maggio - l'Italia si sarebbe ufficialmente ritirata dalla Triplice - passo decisivo verso l'int e r v e n t o -, d o p o esser rimasta p e r otto g i o r n i , cioè dal 26 aprile, q u a n d o aveva firmato il Patto di L o n d r a , alleata cont e m p o r a n e a m e n t e dei d u e blocchi i n g u e r r a . L ' a n n u n c i o n o n era stato a n c o r a dato, ma era nell'aria ed esaltava l'entusiasmo d e g l ' i n t e r v e n t i s t i , che o r a c o r r e v a n o i n c o n t r o al loro Vate p e r p r e p a r a r g l i u n a «oceanica adunata». Il Re e Salandra si e r a n o impegnati a intervenire alla cerimonia. Ma q u a n d o ebbero visto il testo dell'orazione, preferir o n o r e s t a r s e n e a R o m a scusandosene con motivi di «servizio». E D'Annunzio vi fece un'ironica allusione rivolgendosi «al Re assente, ma presente». Dopodiché, con voce lenta e gesti ispirati, cominciò a scandire il suo sonante appello all'enorme folla che si accalcava intorno al palco. «Voi volete un'Italia più grande n o n p e r acquisto, ma per conquisto, n o n a misura, ma a prezzo di sangue e di gloria... O beati quelli che più danno p e r c h é più p o t r a n n o d a r e , più p o t r a n n o ardere... Beati i giovani affamati e assetati di gloria, p e r c h é s a r a n n o saziati...» Parlava senza leggere, ma p u r t r o p p o leggevano gli ascoltatori, perché il Camere, v e n e n d o m e n o ai patti, aveva pubblicato l'allocuzione di cui il Poeta gli aveva m a n d a t o il testo. Ma ciò n o n ne sminuì gli effetti. Le ovazioni salirono al cielo, il Poeta ci p r e s e gusto, e da quel g i o r n o si a b b a n d o n ò a u n a vera e p r o p r i a orgia oratoria, che oltre tutto dettò il modello a u n o stile tribunizio destinato nel nostro Paese alle più g r a n d i fortune: il dialogo con la folla ridotta a coro: «Udite, udite: la Patria è in pericolo, la Patria è in p u n t o di p e r d i m e n t o . Intendete? Avete inteso?» La folla: «Sììì...» Il Poeta: «Questo vuole il mestatore di DroneroL.» E la folla: «A morte!...» Col suo infallibile fiuto, egli aveva subito intuito il bersaglio contro cui incanalare e scaricare le passioni della piazza. Giolitti aveva c o n t i n u a t o a n o n fare nulla c o n t r o il governo, che di nulla lo aveva messo al c o r r e n t e . Anzi, aveva dato or467
d i n e ai suoi di sostenerlo, i g n o r a n d o gli appelli dei socialisti che, d o p o averlo c o s t a n t e m e n t e combattuto, ora ne invocavano il r i t o r n o . Ma con la lettera a Peano egli aveva assunto il p a t r o n a t o m o r a l e della causa n e u t r a l i s t a che o r m a i , agli occhi di tutti, s'identificava in lui. Q u e s t o p e r ò aveva anche degli effetti negativi: t i n g e n d o s i di antigiolittismo, l'interventismo fece breccia in molti ambienti p e r indole e p e r interesse avversi all'avventura, ma a n c o r a di più al «Ministro della malavita». Sicché, c o n f o n d e n d o s i con quello di: «Abbasso Giolitti!», il g r i d o di: «Abbasso l'Austria!» diventò ancora più t o n a n t e . D o p o il ritiro dalla Triplice, cominciò un'affannosa corsa sul t e m p o . M a n c a v a n o a n c o r a t r e s e t t i m a n e alla scadenza del t e r m i n e e n t r o il quale l'Italia doveva e n t r a r e in g u e r r a . Ma soltanto il Re, S a l a n d r a e S o n n i n o lo s a p e v a n o . Passati alla controffensiva, gli eserciti austro-tedeschi avevano sfondato il fronte russo e ora avanzavano in Galizia. Per guadag n a r e il t e m p o necessario a c o n d u r r e a t e r m i n e l'operazion e , Berlino ingiunse a Vienna di acconsentire alle richieste itali