Storia di Chiara e Francesco 8806205137, 9788806205133 [PDF]

Due ragazzi benestanti, colti, imbevuti di letture - soprattutto lui - di nobili cavalieri e amori cortesi. Ma quando un

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Zitiervorschau

© 2orr Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino

www.einaudi.it ISBN

978-88-o6-205r3-3

Chiara Frugoni

Storia di Chiara e Francesco

Einaudi

Storia di Chiara e Francesco

A Jacques Le Goff, maestro generoso.

Breve avviso a lettrici e lettori. Non ho voluto scrivere un racconto che intrecciasse le intere biografie dei due santi ai quali ho già dedicato: Vita di un uomo (Einaudi) e Una solitudine abitata (Laterza). Ho scelto di privilegiare qui le voci di Chiara e Francesco e ascoltare poco quelle dei loro agiografi, costretti spesso a seguire la volontà dei committenti. Mi premeva capire in che cosa fosse consistita davvero la novità del progetto di vita cristiana di Francesco e Chiara: entrambi, anche se in modo diverso, non vollero assistere infatti, senza farsene carico, alla realtà sociale dei loro tempi, trovando nelle parole del Vangelo la lingua per dichiararsi e agire. Per quanto riguarda la visione dell'allattamento di Francesco raccontata da Chiara, avverto di avere ripreso, pur non alla lettera, quanto ne scrissi in Una solitudine abitata. Poiché il libro non è un saggio, le pagine sono prive di note. Per risolvere qualche curiosità si può ricorrere al mio indirizzo: [email protected]; farò del mio meglio nel rispondere. Ringrazio i miei primi lettori, Andrea e Donato, Marco Grondona e Nicoletta Scalati: le loro osservazioni hanno molto contribuito a migliorare il libro; per pareri e consigli su singoli punti sono grata a Felice Accrocca, Attilio Bartoli Langeli, Alessandro Barbero, Luciano Bertazzo, Antonio Ciceri, Carlo Paolazzi. Sono lieta che non si sia interrotta la lunga consuetudine con la professionalità attenta e premurosa di Angela Rastelli, nelle cui mani il libro ha preso forma.

Capitolo primo Francesco e Chiara in famiglia

Un poco di storia. noiosa, per cominciare. Nell'Abbazia di Northanger di Jane Austen, due dame conversano a proposito delle loro letture preferite. La prima dite: «Io posso anche leggere poesie, teatro e cose del genere, e non mi dispiacciono i libri di viaggio; l'unica cosa che non riesce ad interessarmi è la storia, la storia vera, solenne. E a voi?» L'altra risponde: «A me si, a me la storia piace moltissimo». «Vorrei che piacesse anche a me,- continua la prima,- ma non ci trovo nulla che non mi annoi e non mi stanchi. In ogni pagina papi e re che litigano, pestilenze, gli uom,_ini sono tutti buoni a nulla e di donne non si parla mai. E molto noiosa, eppure penso che è strano che sia cosi noiosa, perché per buona parte dev'essere invenzione». Il mio racconto comincia rispettando proprio gli elementi che tediano la prima signora: date, questioni minute, definizioni. Prometto di continuare per poco: un fastidio indispensabile, per orientare il lettore, indispensabile tanto quanto la cornice per appendere la tela; non posso promettere invece di eliminare del tutto l'ultimo degli elementi sgraditi all'amabile dama e che tanto la stupiva. Nelle prime pagine mancano le voci di Francesco e Chiara. Vorrei che i lettori non si spaventassero. A volte capita che a teatro il sipario si apra su una scena, per poco, silenziosa. Gli spettatori hanno cosi modo di osservare l'arredo e farsi un'idea, capire se l'azione si svolgerà ad esempio in un salotto o in un'osteria. Ho preferito anch'io fare attendere brevemente i miei protagonisti dietro le quinte per-

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CAPITOLO PRIMO

ché i lettori potessero familiarizzare con la realtà di fronte alla quale Francesco e Chiara furono chiamati a misurarsi. Quando nel II52 Federico I Barbarossa fu eletto imperatore si trovò a dovere ricompensare i suoi sostenitori, fra questi lo zio, Guelfo VI di Baviera, duca di Tuscia e di Spoleto, un familiare potente di fedeltà però non sicurissima, che ricevette una serie di concessioni. Passarono alcuni anni e Federico I pensò bene di ritagliare nel ducato di Spoleto un territorio piu piccolo, il comitato di Assisi. La qualifica di comitato per indicare una circoscrizione amministrativa dell'impero risaliva direttamente all'epoca di Carlo Magno, quando a governare ciascun comitato l'imperatore mandava per suo rappresentante il conte (comes, comitis, in latino). Il Barbarossa stabili che il comitato di Assisi (il territorio e la città) fosse sottratto al potere di Guelfo e rispondesse direttamente all'imperatore stesso o a un suo inviato. Nel I I77 il Barbarossa, in una situazione politica sempre piu complessa, fece sentire tangibilmente il suo potere in Assisi e non solo sulla carta, inviando in città un suo rappresentante, Corrado di Urslingen che ora riuniva un duplice potere, fregiandosi del titolo di« duca di Spoleto e conte di Assisi». Corrado e il suo seguito si insediarono con la loro presenza minacciosa nella Rocca, la roccaforte che sovrasta ancora oggi, con le sue imponenti rovine, la città. L'improvvisa morte del figlio del Barbarossa, Enrico VI, nel II97, fece però rovinare il potere imperiale in Italia centrale. Ad Assisi gli homines populi- di cui subito dirò- si ribellarono e, come dice una fonte perugina del I I99, agli inizi del II98 «scarcarse le roche d'Asese», cioè la Rocca, dove era situata la guarnigione teutonica, fu distrutta. Che la presenza degli stranieri fosse proprio poco gradita agli assisiani lo dimostrò, sempre nel I I98, Innocenza III quando, approfittando del mutato assetto politico, cercò di portare dalla sua parte le città umbre ricordando proprio il dominio molesto dei tedeschi, gente rude, forzuta, con

FRANCESCO E CHIARA IN FAMIGLIA

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la quale - scriveva il pontefice - era impossibile istituire alcun rapporto «perché la lingua non si intende». La rivolta in Assisi fu portata avanti non da tutti i cittadini. Furono gli homines populi (difficili da definire esattamente, si potrebbe dire la popolazione attiva e non nobile della città, artigiani e commercianti), che se da una parte cacciarono i tedeschi, dall'altra si rivoltarono contro i boni homines, i potenti concittadini, una ventina di famiglie in tutto, che possedevano all'interno della cerchia muraria residenze fortificate e nel contado detenevano la base patrimoniale e militare (terre, castelli, uomini) e poteri giurisdizionali. Tutti milites erano i boni homines, cioè cavalieri discendenti dalla vecchia nobiltà feudale, probabilmente al servizio e dunque dalla parte dell'imperatore, sentiti come oppressori insopportabili. Per la rivolta del I 198 i boni homines furono costretti a fuggire, ad abbandonare le loro case-torri incendiate e furiosamente assalite e ad asserragliarsi nelle proprietà del contado. Ma neanche qui furono al sicuro, perché una diecina di castelli furono presi e distrutti. Alcuni boni homines chiesero e ottennero rifugio a Perugia che li accolse come suoi cittadini, impegnandosi a difendere i nuovi arrivati ma nello stesso tempo obbligandoli a sottomettersi, risiedere in città e porre a disposizione alcune delle loro terre per consentire l'allargamento del contado di Perugia stessa. Fu cosf gettato il seme per lo scontro armato fra le due città. Dalla discordia fra assisiani si passò ben presto alla guerra fra assisiani e perugini, accesasi nel 1202 e che si trascinò per anni. All'interno di questa guerra, nella battaglia di Collestrada (una collinetta vicino a Perugia che domina sia la pianura percorsa dal Tevere che la piana di Assisi) combattuta nel 1202, come ritenuto generalmente, o forse nel 1203, gli homines populi ebbero la peggio. Fra loro combatté a cavallo anche Francesco, ventenne o poco piu. Finf quindi con molti suoi concittadini nelle durissime prigioni di Pe-

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CAPITOLO PRIMO

rugia dove rimase rinchiuso assai a lungo, almeno un anno. Francesco non dimenticò piu la battaglia e la prigionia, neppure divenuto frate, ricordando «con voce di pianto» che «molto danno avevano arrecato i perugini ai loro vicini»; i perugini a loro volta non dimenticarono piu che Francesco era stato un loro nemico. Infatti- concediamoci un breve balzo in avanti - quando egli tentò di predicare nella piazza di Perugia a una gran folla che si era radunata, fu fermato~a cavalieri armati in groppa ai loro cavalli, che irruppero quasi giostrando e sconvolsero l'uditorio. A dare retta alla cosiddetta Compilazione d'Assisi (composta rispondendo all'appello del capitolo di Padova del I 2 76 di continuare a raccogliere ricordi sul santo e sui compagni, dove preponderante è però la voce di frate Leone), Francesco reagi in modo veemente: «Udite e cercate di capire quello che il Signore vi preannunzia per bocca di me, suo servo. E non state a dire: "Quello là è uno di Assisi!" Il santo disse questo perché tra assisiani e perugini c'era un odio grande». Francesco denunciò l'arroganza dei perugini: «