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Italian Pages 225 [226] Year 2005
Giacomo Rizzolatti, Corrado Sinigaglia
So quel che fai Il cervello che agisce e i neuroni specchio
~ Raffaello Cortina Editore
www.raffaellocortina.it
ISBN 88-6030-002-9
© 2006 Raffaello Cortina Editore Milano, via Rossini 4 Prima edizione: 2006
INDICE
Ringraziamenti
IX
Premessa
nsistema motorio 2. ncervello che agisce
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3. Lo spazio intorno a noi
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1.
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4. Agire e comprendere
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5. I neuroni specchio nell'uomo
113
6. Imitazione e linguaggio
135
7. Condividere le emozioni
165
Bibliografia
185
Indice analitico
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VII
RINGRAZIAMENTI
Desideriamo anzitutto ringraziare Giulio Giorello per avere scommesso sul progetto di un libro come questo. Senza il suo sostegno difficilmente avremmo potuto portarlo a termine. Molti dei lavori e dei risultati descritti nel volume sono il frutto di anni di ricerche condotte presso l'Università di Parma. A esse hanno partecipato in maniera decisiva numerosi amici e colleghi. Massimo Matelli, Maurizio Gentilucci e Giuseppe Luppino hanno contribuito enormemente alla definizione della molteplicità delle aree motorie corticali e allo studio delle loro funzioni. Luciano Fadiga, Leonardo Fogassi e Vittorio Gallese hanno condiviso sin dall'inizio la scoperta delle sorprendenti proprietà dei neuroni specchio. Michael Arbib, Mare Jeannerod, Hideo Sakata hanno svolto un ruolo chiave nell'elaborazione del quadro teorico qui presentato. Scott Grafton, Marco Iacoboni, Giovanni Buccino e il gruppo di brain imaging di Milano diretto da Ferruccio Fazio hanno permesso di realizzare non pochi esperimenti di PET e di risonanza magnetica funzionale. Laila Craighero, Pier Francesco Ferrari, Christian Keysers e Maria Alessandra Umiltà si sono fatti carico di un grande lavoro sperimentale. A loro e a tutti gli altri che hanno fatto e continuano a far parte dell'équipe di Parma va il nostro più sentito ringraziamento. Siamo grati anche a Claudio Barrocci, Giorgio Bertolotti, Antonino Cilluffo, Gabriella Morandi, Stefano Moriggi per aver avuto la cortesia di leggere parti del manoscritto e per non averci fatto mancare consigli e suggerimenti. Domenico Mallamo ci ha aiutato nel reperire il materiale iconografico. Un grazie, infine, a Mariella Agostinelli per la passione e competenza con cui ha seguito ogni fase del nostro lavoro, e a Raffaella Voi e Giorgio Catalano per la preziosa e paziente cura editoriale.
IX
PREMESSA
Qualche tempo fa Peter Brook ha dichiarato in un'intervista che con la scoperta dei neuroni specchio le neuroscienze avevano cominciato a capire quello che il teatro sapeva da sempre. Per il grande drammaturgo e regista britannico il lavoro dell'attore sarebbe vano se egli non potesse condividere, al di là di ogni barriera linguistica o culturale, i suoni e i movimenti del proprio corpo con gli spettatori, rendendoli parte di un evento che loro stessi debbono contribuire a creare. Su questa immediata condivisione il teatro avrebbe costruito la propria realtà e la propria giustificazione, ed è a essa che i neuroni specchio, con la loro capacità di attivarsi sia quando si compie un'azione in prima persona sia quando la si osserva compiere da altri, verrebbero a dare base biologica. Le considerazioni di Brook rivelano quanto interesse abbiano destato al di fuori degli stessi confini della neurofisiologia le inaspettate proprietà di quei neuroni. Esse hanno colpito non soltanto gli artisti, ma anche gli studiosi di psicologia, di pedagogia, di sociologia, di antropologia, ecc. Pochi forse conoscono, però, la storia della loro scoperta, le ricerche sperimentali e i presupposti teorici che l'hanno resa possibile, nonché le implicazioni che essa avrebbe sul nostro modo di intendere l'architettura e il funzionamento del cervello. È appunto tale storia che questo libro vuole provare a raccontare. È una storia che inizia con l'analisi di alcuni gesti (come raggiungere e afferrare qualcosa con la mano, portare del cibo alla bocca) che per la loro familiarità tendiamo a sottova-
PREMESSA
lutare, e che ha un protagonista cui a lungo le neuroscienze (e non solo loro!) hanno assegnato un ruolo di secondo piano, riducendolo talvolta a semplice comparsa: il sistema motorio. Per decenni ha dominato l'idea che le aree motorie della corteccia cerebrale sarebbero destinate a compiti meramente esecutivi, privi di alcuna effettiva valenza percettiva e, meno che mai, cognitiva. Le difficoltà maggiori nello spiegare i nostri comportamenti motori riguarderebbero l'elaborazione dei diversi input sensoriali e l'individuazione dei substrati neurali dei processi cognitivi legati alla produzione di intenzioni, credenze, desideri. Una volta che il cervello è in grado di selezionare il flusso di informazioni proveniente dall'esterno e di integrarlo con le rappresentazioni mentali generate più o meno autonomamente al suo interno, i problemi inerenti al movimento si risolverebbero nella meccanica della sua esecuzione - secondo il classico schema: percezione -+ cognizione -+ movimento. Uno schema del genere poteva risultare convincente finché del sistema motorio si aveva un'immagine estremamente semplificata. Ma oggi non è più così. Sappiamo che tale sistema è formato da un mosaico di aree frontali e parietali strettamente connesse con le aree visive, uditive, tattili, e dotate di proprietà funzionali molto più complesse di quanto si potesse sospettare. Si è scoperto, in particolare, che in alcune aree vi sono neuroni che si attivano in relazione non a semplici movimenti, bensì ad atti motori finalizzati (come lafferrare, il tenere, il manipolare, ecc.), e che rispondono selettivamente alle forme e alle dimensioni degli oggetti sia quando stiamo per interagire con essi sia quando ci limitiamo a osservarli. Questi neuroni appaiono in grado di discriminare l'informazione sensoriale, selezionandola in base alle possibilità d'atto che essa offre, indipendentemente dal fatto che tali possibilità vengano concretamente realizzate o meno. Se guardiamo ai meccanismi secondo cui funziona il nostro cervello ci rendiamo conto di quanto astratta sia la descrizione abituale dei nostri comportamenti che tende a separare i puri movimenti fisici dagli atti che tramite questi verrebbero ese-
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PREMESSA
guiti. Così come astratti appaiono molti degli esperimenti condotti di solito per registrare l'attività dei neuroni e in cui gli animali, per esempio le scimmie, vengono considerati alla stregua di piccoli robot capaci di eseguire solo compiti rigidamente specificati. Se però si effettuano le registrazioni dei neuroni in un contesto il più naturale possibile, lasciando l'animale libero di prendere come più gli piace il cibo o gli oggetti che gli vengono offerti, si trova che a livello corticale il sistema motorio non ha a che fare con singoli movimenti, ma con azioni. Del resto, non diversamente dai primati non umani, per lo più noi non ci limitiamo a muovere braccia, mani e bocca, ma raggiungiamo, afferriamo o mordiamo qualcosa. È in questi atti, in quanto atti e non meri movimenti, che prende corpo la nostra esperienza dell'ambiente che ci circonda e che le cose assumono per noi immediatamente significato. Lo stesso rigido confine tra processi percettivi, cognitivi e motori finisce per rivelarsi in gran parte artificioso: non solo la percezione appare immersa nella dinamica dell'azione, risultando più articolata e composita di come in passato è stata pensata, ma il cervello che agisce è anche e innanzitutto un cervello che comprende. Si tratta, come vedremo, di una comprensione pragmatica, preconcettuale e prelinguistica, e tuttavia non meno importante, poiché su di essa poggiano molte delle nostre tanto celebrate capacità cognitive. Questo tipo di comprensione si riflette anche nell'attivazione dei neuroni specchio. Scoperti all'inizio degli anni Novanta, essi mostrano ~ome il riconoscimento degli altri, delle loro azioni e perfino delle loro intenzioni dipenda in prima istanza dal nostro patrimonio motorio. Dagli atti più elementari e naturali, come appunto afferrare del cibo con la mano o con la bocca, a quelli più sofisticati, che richiedono particolari abilità, come l'eseguire un passo di danza, una sonata al pianoforte o una pièce teatrale, i neuroni specchio consentono al nostro cervello di correlare i movimenti osservati a quelli propri e di riconoscerne così il significato. Senza un meccanismo del genere potremmo disporre di una rappresentazione sensoriale, di una raffigurazione "pittorica" del comportamento altrui, ma que-
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PREMESSA
sta non ci permetterebbe mai di sapere cosa gli altri stanno dawero facendo. Certo, in quanto dotati di capacità cognitive superiori, potremmo riflettere su quanto percepito e inferire le eventuali intenzioni, aspettative o motivazioni che darebbero ragione degli atti compiuti dagli altri. Tuttavia, il nostro cervello è in grado di comprendere questi ultimi immediatamente, di riconoscerli senza far ricorso ad alcun tipo di ragionamento, basandosi unicamente sulle proprie competenze motorie. Il sistema dei neuroni specchio appare così decisivo per l'insorgere di quel terreno d'esperienza comune che è all'origine della nostra capacità di agire come soggetti non soltanto individuali ma anche e soprattutto sociali. Forme più o meno complicate di imitazione, di apprendimento, di comunicazione gestuale e addirittura verbale trovano, infatti, un riscontro puntuale nell'attivazione di specifici circuiti specchio. Non solo: la nostra stessa possibilità di cogliere le reazioni emotive degli altri è correlata a un determinato insieme di aree caratterizzate da proprietà specchio. Al pari delle azioni, anche le emozioni risultano immediatamente condivise: la percezione del dolore o del disgusto altrui attivano le stesse aree della corteccia cerebrale che sono coinvolte quando siamo noi a provare dolore o disgusto. Ciò mostra quanto radicato e profondo sia il legame che ci unisce agli altri, owero quanto bizzarro sia concepire un io senza un noi. Come ricordava Peter Brook, al di là di ogni differenza linguistica o culturale, attori e spettatori sono accomunati dal vivere le stesse azioni ed emozioni. Lo studio dei neuroni specchio sembra offrirci per la prima volta un quadro teorico e sperimentale unitario entro cui cominciare a decifrare questo genere di compartecipazione che il teatro mette in scena e che di fatto costituisce il presupposto di ogni nostra esperienza intersoggettiva.
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1 IL SISTEMA MOTORIO
Una tazzina da caffè Un esempio, per cominciare. Nulla ci sembra più semplice che prendere in mano una tazzina da caffè. Eppure, questo gesto così naturale comporta una pluralità di processi tanto interconnessi da risultare a prima vista indistinti. Anzitutto dobbiamo identificare la tazza scegliendola tra gli eventuali altri oggetti che sono presenti intorno a noi e che si contendono la nostra attenzione. Per fare questo dobbiamo orientare la testa e gli occhi in maniera tale che l'immagine della tazza cada sulla nostra fovea, owero sul punto della retina in cui l'acuità visiva è massima, consentendoci così di apprezzarne nel modo migliore gli aspetti (forma, orientamento del manico, colore, ecc.). Se poi vogliamo prenderla, dobbiamo localizzarla rispetto al nostro corpo: solo allora possiamo allungare la mano e raggiungerla. Allo stesso tempo dobbiamo prenderne, per così dire, le misure per poterla afferrare nel modo che riteniamo più opportuno. La tazza ci detta un insieme di misure e di modalità di afferramento: sta a noi rispondere e decidere come muoverci e conformarci a esse, assumendo tra le prese possibili quella più idonea all'uso o magari più consona alle nostre abitudini. Benché di solito non ce ne accorgiamo, prima ancora di raggiungerla, le dita e il palmo della nostra mano hanno già cominciato aprefigurare la conformazione geometrica della porzione della tazza che ci interessa e gli eventuali tipi di prensione a essa corre-
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SO QUEL CHE FAI
lati. Non appena la raggiungiamo, la mano riceve informazioni dalla cute, dalle articolazioni e dai muscoli che le permettono di raffinare la presa e di portare la tazza alla bocca. Anche senza considerare gli aggiustamenti della postura - che anticipano l'attuazione di ciascuno dei movimenti sopra descritti, prevedendone le conseguenze e consentendo un opportuno controllo dell'equilibrio dinamico del corpo nelle diverse situazioni in cui esso si trova ad agire - e il ruolo svolto dall'apprendimento e dall'esperienza nelle varie fasi di identificazione, localizzazione, raggiungimento e prensione dell'oggetto, un gesto elementare come afferrare una tazzina da caffè rivela un complicato intreccio di sensazioni (visive, tattili, olfattive, propriocettive, ecc.), nessi motivazionali, disposizioni corporee e performance motorie che interagiscono tra loro e con gli oggetti che ci circondano, realizzando di volta in volta forme di sintonia più o meno fine. Ma che cosa accade se dal piano descrittivo passiamo a quello neurofisiologico? Ci dobbiamo aspettare che i differenti processi sopra elencati siano riconducibili a circuiti corticali distinti dal punto di vista anatomico e funzionale? Quali sistemi neurali sarebbero allora coinvolti a livello corticale nel nostro prendere una tazzina da caffè? E come coopererebbero tra loro? ,
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Il lettore sarà forse sorpreso dalla semplicità del nostro esempio, e magari stupito dal fatto che esso possa servire per discutere di neuroscienze o, addirittura, di scienze cognitive. Eppure, l'analisi dei meccanismi neurali sottostanti a un atto elementare come l'afferrare (o come i molti altri che intessono la nostra esperienza quotidiana) ci ha portato negli ultimi vent'anni a rivedere non pochi aspetti chiave del modo tradizionale di concepire il funzionamento del cervello - in particolare per quanto concerne l'organizzazione del sistema motorio e le relazioni funzionali che esso ha con i restanti sistemi (sensoriali, ma non solo) in cui si dispiega l'attività cerebrale.
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IL SISTEMA MOTORIO
A lungg_s!.~ _1jt~l,l!.