Riassunto Introduzione Allo Studio Del Diritto Pubblico e Delle Sue Fonti [PDF]

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Riassunto Introduzione Allo Studio Del Diritto Pubblico e Delle Sue Fonti [PDF]

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Riassunto Introduzione allo studio del diritto pubblico e delle sue fonti - Groppi, Simoncini Introduzione al diritto (Università degli Studi di Trento)

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Cap. 1 - Cosa è il diritto? Cosa è il diritto?

Il diritto può essere definito come un insieme di regole di condotta che disciplinano i comportamenti dei componenti di una certa collettività in un dato momento storico. Il diritto nasce sempre per regolare relazioni interpersonali (“Ubi societas, ibi ius”).

Quali sono i caratteri del diritto?

Il diritto presenta quattro caratteri: - Socialità del diritto: Il carattere di socialità del diritto fa sì che il diritto venga esercitato autonomamente (Normalmente, non uccido non perché potrei essere sanzionato, ma perché tale comportamento è eticamente e moralmente detestabile ecc). - Complessità del diritto: Il diritto è un fenomeno complesso. Vi sono tantissime regole del diritto, che si sovrappongono, si scontrano, si contraddicono. Ogni volta bisogna individuare quale regola si deve applicare al caso concreto, cercando di superare le “antinomie” normative (contraddizioni) tra le leggi [ciò che fanno i giudici]. Questo procedimento fa sì che il diritto sia certo (certezza del diritto). La complessità del diritto è dovuta a quella della società. - Prescrittività del diritto: Il diritto ha un carattere prescrittivo: le leggi non descrivono il mondo come è, ma ci dice come il mondo deve essere. - Relatività del diritto: Il diritto è un fenomeno relativo, muta nel tempo e nello spazio.

Cosa è la norma giuridica? Cosa è un ordinamento giuridico?

La norma giuridica è la regola del diritto. Un ordinamento giuridico è l’insieme delle norme (vigenti in un certo luogo e in un certo momento) e delle istituzioni che assicurano la produzione, l’applicazione e la garanzia di osservanza di tali norme (divisione dei poteri: funzione legislativa, esecutiva, giurisdizionale). Il diritto può essere inteso sia in senso oggettivo che soggettivo (vedi libro pag. 9)

Cosa differenzia il giuspositivismo dal giusnaturalismo nel diritto?

Ci sono due concezioni del diritto: quella giusnaturalista e quella giuspositivista. Secondo la prima, il diritto ha origini naturali; è opera della natura o eventualmente di una divinità (“Il diritto non va costruito, ma trovato, poiché esiste a priori”). Per la seconda invece, il diritto è “posto”, costruito dalla società e dall’uomo (“Il diritto è ciò che sta scritto nelle leggi”). Al giorno d’oggi, si è “positivizzato” il diritto naturale (“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo…” - Art. 2 della Costituzione - esempio di positivizzazione del diritto naturale).

La pluralità di ordinamenti giuridici.

Vi è una pluralità di ordinamenti giuridici, che si sovrappongono tra di loro (ordinamento giuridico comunale, accademico, provinciale, regionale, statale, dell’UE ecc). L’importante è che funzionino in modo armonico.

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Cosa differenzia il Il diritto pubblico è correlato al potere pubblico. Le relazioni di diritto pubblico diritto pubblico presuppongono che una delle due parti sia il potere pubblico (i vari enti: stato, da quello privato? regione, provincia ecc). In tali casi c’è una naturale prevalenza del potere pubblico, le cui caratteristiche devono però rientrare nelle norme del diritto. Le relazioni di diritto privato, invece, sono tra soggetti privati, tra individui. In tali casi, il potere pubblico esercita solo il ruolo di garanzia.

Cap. 2 - Lo stato e le sue forme Stato: participio passato del verbo essere. Indica stabilità, durata. Quali sono gli elementi costitutivi dello Stato moderno?

Vi sono tre elementi costitutivi dello Stato moderno:

- Sovranità, potere sovrano [che può essere esterna o interna. Se esterna:

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relazioni tra stati, tra sovrani… “E’ sovrano quell’ordinamento che non deriva la sua esistenza da un altro e che ha la capacità di escludere ingerenze esterne”. Se interna: da conto di come è distribuita la sovranità all’interno dello Stato (regioni, formazioni sociali ecc). Chi detiene la sovranità?]… “La sovranità interna è la capacità di porre comando giuridici volontari vincolanti nei confronti di tutti i soggetti dell’ordinamento”. Territorio, porzione della superficie terrestre delimitata da confini. Popolo (soggetti appartenenti al territorio), insieme di cittadini legati allo stato tramite la cittadinanza, che permette di godere di alcuni particolari diritti (detti politici, es. voto), ma che obbliga anche a determinati doveri (es. fedeltà alla patria).

Che tipo di fini Lo Stato è un ordinamento giuridico a fini generali. Dunque si differenzia dagli persegue lo Stato? ordinamenti giuridici che hanno fini particolari, settoriali (sindacato, federazione sportiva ecc) ed è una forma di organizzazione del potere politico che esercita tra le altre cose il monopolio della forza. Quali sono le forme di Stato?

Per quanto concerne la forma di Stato, essa è intesa come il modo attraverso il quale la sovranità si distribuisce personalmente e territorialmente (1a definizione) o in relazione ai rapporti che esistono tra autorità e libertà, tra governanti e governati ecc. Lo Stato Unitario è quella forma di stato dove è presente un solo potere sovrano. Lo Stato Federale, invece, è caratterizzato dalla compresenza di due sovranità, due poteri sovrani. La sovranità viene quindi suddivisa tra due diversi enti (stati componenti, federazioni di stati). Diversi stati si accordano e trasferiscono parte del loro potere alla federazione (vedi Stati Uniti). Lo Stato Regionale è una specie di stato unitario, perché è dotato di poteri legislativi. Ciò presupporrebbe che esso eserciti un potere sovrano, ma in realtà così non è. I poteri dello Stato Regionale sono conferiti dallo Stato centrale (vedi Italia).

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Lo Stato Assoluto [rex facit legem] nasce come Stato concentrato e accentrato: tutti i poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario) sono esercitati dal sovrano. Il fine dello Stato Assoluto è il perseguimento della grandezza (quindi l’espansione territoriale). In età più recente lo Stato Assoluto diviene “Stato di polizia” (politeia, comunità) dove il fine diventa il benessere del popolo (periodo del dispotismo illuminato). Lo Stato Liberale [lex facit regem], invece, presuppone la divisione del potere (legislativo, esecutivo, giudiziario affidati a diversi). Lascia spazio alla comunità e al libero sviluppo dell’economia di mercato. Lo Stato deve fare il meno possibile (“Stato leggero”). In che modo si è evoluto lo Stato?

Evoluzione storica delle forme di Stato: Ordinamento feudale o patrimoniale: si basava su rapporti privatistici, in cui popolo e territorio erano parte del patrimonio personale del re, e sull’assenza di distinzione tra diritto pubblico e privato. Non vi è sovranità, né esterna né interna. Lo sviluppo dei commerci e dei trasporti portò grandi trasformazioni economico-sociali, con l’esigenza di organizzare i commerci e di affermare dinamiche belliche. Tutto questo veniva finanziato con il fisco, nuovo strumento che rappresenta la nascita dello Stato moderno. Lo Stato assoluto si contraddistingue per la concentrazione del potere nelle mani di un uomo solo. La finalità di tale stato era di affermare la propria potenza, ovvero la propria sovranità sia interna che esterna. Lo Stato di polizia fu contraddistinto dall’assolutismo illuminato. Le caratteristiche dello Stato assoluto rimangono, ma le finalità mutano: ora si persegue il benessere e la felicità dei sudditi. Si accentuò dunque l’interventismo in molti settori della vita sociale, nell’economia, nell’istruzione e nei lavori pubblici. La rivoluzione industriale fece mutare il quadro sociale. Ciò determinò la fine dello Stato assoluto e l’affermazione dello Stato liberale di diritto.

Cos’è lo Stato liberale di diritto e quali sono le sue principali caratteristiche?

Per Stato liberale di diritto si intende quella forma di Stato che persegue come finalità la garanzia dei diritti individuali. L’individuo infatti è titolare di diritti naturali, che lo Stato deve garantire. La borghesia, in tale contesto, occupava un ruolo di rilievo in quanto richiedeva assetti istituzionali idonei a garantire le libertà economiche di cui aveva bisogno per affermarsi. Lo Stato liberale era dunque funzionale alla borghesia, tanto da essere definito Stato monoclasse, in quanto solo una classe sociale era politicamente attiva. Lo Stato liberale di diritto utilizzava il diritto per limitare l’arbitrio dei titolari del potere pubblico. Gli istituti giuridici erano: il principio di legalità, la nozione moderna di Costituzione e il principio della separazione dei poteri.

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Secondo il principio di legalità, ogni atto dei pubblici poteri deve trovare fondamento e limiti in una norma giuridica previamente adottata. Tale principio segna una cesura netta rispetto allo Stato assoluto. Infatti ora non è più il titolare del potere a produrre il diritto (rex facit legem), ma è il diritto che crea il potere (lex facit regem). La legittimazione del potere è di tipo legalerazionale: i titolari del potere sono tali perché c’è una norma che lo attribuisce loro e perché lo esercitano nel rispetto del diritto. La legge nello stato liberale di diritto, era caratterizzata dalla generalità e dall’astrattezza. Le norme generali sono norme che si applicano a tutti i soggetti dell’ordinamento. Le norme particolari invece si riferiscono a un gruppo determinato di destinatari. Le norme astratte sono suscettibili di ripetute applicazioni nel tempo, a differenza delle norme concrete, ad hoc, che esauriscono la loro efficacia in un’unica applicazione. Tali caratteri si collegano strettamente alla concezione del principio di uguaglianza. Nello stato liberale di diritto tutti gli uomini sono uguali, la legge è l’espressione della volontà generale e deve essere uguale per tutti. Per nozione moderna di Costituzione: la Costituzione è un atto giuridico vincolante per tutti i soggetti dell’ordinamento, che serve a garantire i diritti e costituisce il fondamento di tutti i poteri. Ma qual è il fondamento della Costituzione? La Costituzione è un atto del potere costituente. Il potere costituente è il potere che pone la Costituzione, cioè l’atto sul quale si fondano tutti i poteri costituiti. Il potere costituente è diverso dai poteri costituiti, i quali si fondano sulla Costituzione e che quindi incontrano i limiti che questa pone loro. Il potere costituente invece non incontra tali limiti, e dunque è un potere “sciolto dal diritto”. La separazione dei poteri. Secondo tale principio le diverse funzioni dello Stato, legislativa, esecutiva e giurisdizionale, devono essere conferite a organi o gruppi di organi diversi. Ma cosa si intende per potere? Il potere è il prodotto dell’esercizio di una funzione da parte di un organo. Per organo si intende un insieme di uffici pubblici che svolge un attività a rilevanza esterna. La funzione invece è un’attività preordinata ad un fine. Sulla base del principio di legalità e di separazione dei poteri si delineò un ulteriore principio, quello della tipicità degli atti, secondo il quale ogni atto ha una forma tipica, in quanto prodotto a seguito di un certo procedimento. Alla forma è collegata la capacità dell’atto di produrre effetti giuridici. Atto del potere legislativo: legge -> forza, capacità di innovare l’ordinamento giuridico. Atto del potere esecutivo: atto amministrativo -> esecutorietà, capacità di imporsi immediatamente ed autoritativamente ai destinatari.

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Quali furono le cause della crisi dello Stato liberale di diritto?

Lo Stato liberale di diritto entrò in crisi a causa delle sue contraddizioni. I diritti che si volevano garantire in realtà erano pochi, essenzialmente quelli del proprietario, maschio, borghese. Dunque era presente una notevole contraddizione circa il principio di uguaglianza, solennemente proclamato ma mai rispettato. La sovranità della nazione venne messa in dubbio, a causa del suffragio limitato. La legge, dunque, era il prodotto della volontà di pochi. La Costituzione, inoltre, non poteva porsi come atto giuridico vincolante per tutti i poteri a causa dell’assenza di una Corte Costituzionale, quindi senza garanzia che le leggi rispettassero veramente la Costituzione. Tra l’altro essa era anche soggetto di facili modifiche tramite leggi ordinarie. Dunque si trattava di una Costituzione flessibile (che non si poneva al vertice del sistema delle fonti). Con l’ingresso della classe lavoratrice sulla scena politica nacque lo Stato pluriclasse. Dopo la prima guerra mondiale, la forma di Stato liberale di diritto crollò e venne sostituita da forme di Stato autoritarie oppure totalitarie. Lo Stato autoritario è una forma di Stato che rifiuta i caratteri propri dello Stato liberale di diritto e recupera alcuni aspetti dello Stato assoluto. La legittimazione del potere è di tipo carismatico, non esiste la separazione dei poteri, che sono concentrati in un soggetto unico, né il principio di legalità. Nello Stato totalitario i caratteri dello Stato autoritario sono ancora più accentuati assumendo il volto di una ideologia “totalizzante” pervasiva di ogni aspetto del vivere sociale.

Cosa si intende per Stato contemporaneo e quali sono le sue principali caratteristiche?

Con Stato contemporaneo si intende quella forma di Stato la cui finalità principale è il mantenimento dell’unità in un contesto pluralista. Si sottopone dunque il potere delle maggioranze politiche alla Costituzione e si promuove la coesione sociale attraverso il perseguimento dell’uguaglianza sostanziale. Per certi versi, è un evoluzione dello Stato liberale di diritto. Lo Stato contemporaneo ha diverse caratterische: - è pluralista, poiché in esso esistono e sono politicamente attivi soggetti o gruppi di soggetti diversi tra loro, la cui soggettività è riconosciuta dall’ordinamento [la Costituzione italiana esprime il suo carattere pluralista in vari articoli, a partire dal fondamentale articolo 2]. - è democratico, in quanto in esso esiste una tendenziale corrispondenza tra governanti e governati. Citando la Costituzione italiana, in uno Stato democratico “la sovranità appartiene al popolo”. Non basta che ci siano libere elezioni per poter sostenere che uno Stato è democratico, ma occorre che sia presente un complesso di caratteristiche che consentano effettivamente al popolo di esprimere la sovranità. Tra queste vi è il principio di maggioranza, il rispetto delle minoranze, delle libere elezioni, il controllo delle minoranze sulle maggioranze. Tale nuova separazione dei poteri, distingue il circuito della decisione politica (affidato alle maggioranze) da quello delle garanzie (affidato invece alle minoranze) - è costituzionale, in quanto caratterizzato da una Costituzione rigida, che si pone al vertice del sistema delle fonti. La Costituzione riesce a prevalere sulla legge grazie alla presenza di due garanzie: la giustizia costituzionale e il procedimento “aggravato” di revisione costituzionale.

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La prima garantisce il controllo della costituzionalità delle leggi, mentre la seconda fa sì che la Costituzione non possa essere modificata attraverso il procedimento legislativo ordinario. - è sociale, in quanto si avvale di strumenti volti a rimuovere le disuguaglianze economico-sociali più evidenti. Lo stato sociale è quella forma di Stato che ha come fine l’uguaglianza sostanziale. - è decentrato, in quanto sono presenti al suo interno altri enti cui vengono affidate materie e competenze legislative e con le quali si instaura una leale collaborazione, e in quanto tutela le minoranze linguistiche.

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Capitolo 3 - Oltre lo Stato Su cosa si fonda il Diritto internazionale e Diritto internazionale pattizio. diritto internazionale e Lo sviluppo delle comunicazioni in generale e l’esperienza tragica della Seconda perché nasce guerra mondiale hanno fatto sì che diversi Stati sentissero il bisogno di intraprendere delle politiche di rafforzamento della pace e del benessere, a livello internazionale. Nel perseguire tale scopi, però, il principio di sovranità inteso in modo assoluto (come non ingerenza) costituiva un ostacolo; per questo gli Stati iniziarono a dar vita a diversi accordi e a creare istituzioni a livello internazionale. L’ordine internazionale è l’insieme di attività, strumento e comportamenti che regolano i rapporti tra Stati. L’ordinamento internazionale è l’ordinamento giuridico il cui elemento plurisoggettività è rappresentato dagli Stati. Il diritto internazionale pattizio si basa su trattati internazionali che, nel dar vita a istituzioni di natura politica o economica, vincolano gli Stati verso interessi comuni. Gli Stati dunque, per contribuire a tali obiettivi, cedono parte della loro sovranità, ma allo stesso tempo essa è elevata a presupposto essenziale per il mantenimento dei vari strumenti internazionali. Gli Stati infatti sono sovrani nella scelta di aderire o meno ai trattati ecc. Tra le organizzazioni internazionali si possono distinguere quelle a carattere mondiale (ONU) e quelle a carattere regionale (UE). Qual è il compito dell’ONU? Come è strutturata tale organizzazione?

Compito dell’ONU è quello di mantenere la pace e la sicurezza internazionale, risolvere i problemi internazionali e promuovere il rispetto dei diritti umani (e non solo…). Tra i vari organi dell’ONU troviamo: - l’Assemblea generale, una sorte di riunione plenaria che viene convocata regolarmente per discutere le linee generali di indirizzo (non avendo l’ONU potere legislativo, si ricorre alla mera approvazione di varie raccomandazioni) - il Consiglio di sicurezza, organo esecutivo, in cui siedono solo 15 Stati membri, di cui cinque (Cina, Francia, Russia, Gran Bretagna e Stati Uniti) a titolo permanente e con diritto di veto, mentre gli altri dieci vengono eletti dall’Assemblea con mandato biennale - il Consiglio economico e sociale, organo che coordina l’attività economica e sociale dell’ONU, composto da 54 stati membri eletti dall’Assemblea con mandato triennale - il Segretariato, organismo che si occupa quotidianamente del funzionamento della macchina dell’ONU. Al suo vertice vi è il Segretario generale, che rappresenta l’intera organizzazione. - la Corte internazionale di giustizia, organo arbitrale dell’ONU. I quindici giudici che vi siedono, eletti dall’Assemblea e dal Consiglio di Sicurezza, deliberano sulle controversie fra Stati in base alla volontaria sottoesposizione delle parti al loro giudizio.

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In seguito alle critiche e all’emergere delle fragilità di tribunali internazionali istituiti ad hoc, venne elaborata l’idea di una corte penale internazionale permanente che avesse giurisdizione su crimini di guerra e contro l’umanità, compreso il reato di genocidio. Ad oggi, 122 paesi hanno aderito alla Corte penale internazionale che accoglie all’Aja i giudizi ad essa sottoposti dai governi firmatari e dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Quali organismi nacquero dagli accordi di Bretton Woods, e qual è il loro obiettivo?

Nel 1944, gli alleati firmando gli accordi di Bretton Woods, diedero vita al Fondo monetario internazionale (FMI) e alla Banca mondiale. Il Fondo monetario internazionale ha l’’obiettivo di promuovere la cooperazione monetaria internazionale e la stabilizzazione dei cambi. La Banca mondiale, nata con lo scopo di contribuire alla ripresa del sistema produttivo dopo la Seconda guerra mondiale, oggi agisce nella direzione di aiutare i paesi emergenti. L’Organizzazione mondiale del commercio (prima GATT, poi OMC, WTO), istituita nel 1995, è il luogo in cui si discutono gli aspetti giuridici del commercio internazionale, col fine di addivenire a un sempre più agevole scambio di beni e servizi a livello mondiale e di risolvere le eventuali controversie internazionali sul commercio. Accanto a queste organizzazioni internazionali a carattere globale e con obiettivi generali, se ne affiancano altre che invece hanno scopi più specifici (INTERPOL, FIFA).

Altre organizzazioni internazionali…

Per quanto riguarda le organizzazioni internazionali a carattere regionale, esse riuniscono Stati che appartengono a una medesima area geografica sotto obiettivi comuni, più o meno ampi e di varia natura. Tra queste troviamo, a scopo economico: - il Mercoscur, organizzazione del mercato comune del Sud America - Caribbean Community (CARICOM), // dei mercati caraibici - Comunità Andina, // dei paesi Andini (Bolivia, Colombia, Ecuador, Perù) - Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico (ASEAN), col fine di provvedere a una diminuzione delle tariffe doganali (Indonesia, Malesia, Filippine, Singapore, Thailandia, Brunei, Vietnam, Laos, Birmania, Cambogia). - NAFTA, trattato di libero scambio commerciale tra Canada, USA, Messico. A scopo giuridico, con il compito di tutelare i diritti fondamentali: - Il Consiglio d’Europa - Corte interamericana dei diritti umani - Corte africana dei diritti

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Come nacque l’Europa?

Il processo di integrazione europea nasce subito dopo la Seconda guerra mondiale. Nel 1951 nasce la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA). Nel 1957 invece viene costituita la Comunità economica europea (CEE) e la Comunità europea per l’energia atomica (EURATOM). Nonostante le motivazioni politiche dietro alle istituzioni di tali comunità, il processo di integrazione si è svolto soprattutto nella sfera economica. La CEE, ad esempio, aveva obiettivi limitati: creare un’unione doganale, abolire gli ostacoli alla libera circolazione di persone, merci, capitali e servizi, armonizzare le politiche economiche, sociali e fiscali. L’ordinamento comunitario ha però successivamente subito importanti trasformazioni. Da un lato, la Corte di giustizia ha affermato la “primazia” del diritto europea self-executing. La corte ha anche affermato la propria competenza a sindacare il rispetto del diritto europeo da parte degli Stati membri. Dall’altro, le modifiche apportate ai trattati (Atto unico europeo 1986, Trattato di Maastricht sull’UE 1992 che ha istituito l’UE sulla base dei tre trattati preesistenti) hanno ampliato notevolmente le competenze originarie, estendendole anche alla politica estera e di difesa comune, giustizia e affari interni, creazione di una moneta unica e istituzione di una cittadinanza europea. Nel 1999 è stata proclamata, ad integrazione dei trattati, anche una Carta dei diritti fondamentali dell’Ue, che ha assunto carattere vincolante soltanto dieci anni dopo, con il Trattato di Lisbona. Inoltre a livello istituzionale sono stati ampliati i poteri di decisione del Parlamento europeo ed è stato istituito un Comitato delle regioni. In seguito al fallimento di dare una Costituzione all’Europa, nel 2009 con il Trattato di Lisbona, le norme sull’UE vengono distribuite in due diversi atti: il Trattato sull’UE (che stabilisce principi e norme fondamentali) e il Trattato sul funzionamento dell’UE (che contiene le regole di funzionamento dei vari organi, la disciplina del mercato interno etc). Molto si è discusso e si discute sulla natura attuale dell’UE. Molti sostengono che abbia un carattere quasi federale, e finché i trattati continuano a trarre la loro validità dalle Costituzioni nazionali, non possono prevalere su di esse e si resta nel campo del diritto internazionale.

Come funziona l’UE e quali sono i L’UE, nella maggior parte degli ambiti di competenza, agisce secondo il metodo suoi organi? comunitario: ovvero a maggioranze variamente modulate. Mentre il metodo intergovernativo, a consenso unanime, viene mantenuto per pochi settori, come politica estera e sicurezza comune. Gli organi dell’UE sono: - Il Consiglio europeo; riunisce i capi di Stato o di governo per decidere le linee di indirizzo delle politiche europee. Il consiglio è quello che definisce gli orientamenti e le priorità politiche generali dell’Unione. [Il Tr. di Maastricht ne ha riconosciuto lo stato formale, mentre quello di Lisbona lo ha reso una delle istituzioni dell’Unione] - Il Consiglio dell’UE; attua settore per settore gli indirizzi approvati dal Consiglio attraverso riunioni dei ministri di competenza. Il Consiglio dell’UE approva la legislazione europea insieme con il Parlamento, firma accordi, approva il bilancio, elabora la politica estera, promuove la cooperazione fra i tribunali e le forze di polizia nazionali.

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- Il Parlamento; l’unica istituzione direttamente rappresentativa. Il suo ruolo

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principale è di adottare il bilancio congiuntamente al Consiglio dell’UE e di esercitare funzioni di controllo sulle altre istituzioni europee, approvando la composizione iniziale della Commissione e provocandone le dimissioni con una mozione di sfiducia. La Commissione; da impulso alla legislazione europea e vi da esecuzione. Rappresenta l’UE ed è composta da un commissario per ogni Stato, i quali sono tenuti a rappresentare gli interessi generali dell’Unione e non quello degli Stati di provenienza. Ha potere di iniziativa legislativa. Attua quotidianamente le politiche dell’Unione attraverso le sue direzioni generali. La Corte di giustizia è l’organo incaricato di interpretare il diritto dell’Unione in maniera tale che la sua interpretazione nei paesi membri sia uniforme e ha anche funzioni di risoluzione delle controversie tra i governi degli Stati dell’Unione e le sue istituzioni. Essa è costituita da un giudice per ciascuno Stato membro e si avvale di otto avvocati generali che preparano le cause sottoposte poi al giudizio della Corte. Sia gli avvocati sia i giudici restano in carica per sei anni, con mandato rinnovabile. La Banca centrale è l’istituzione competente a garantire, attraverso la politica monetaria europea, la stabilità dei prezzi e del valore dell’euro. La Corte dei conti verifica la regolarità dei bilanci dell’unione.

Cos’è il Consiglio d’Europa e quali sono i suoi organi?

Il Consiglio d’Europa ha come scopo la tutela e la promozione di ideali e principi condivisi attraverso un’azione coordinata e comune in campo economico, sociale, culturale, scientifico, giuridico e amministrativo e la tutela dello sviluppo dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Il Consiglio ha sede a Strasburgo e conta 47 Stati. I suoi organi principali sono: - il Comitato dei ministri, che rappresenta l’organo decisionale ed è composto dai ministri degli esteri degli Stati membri - l’Assemblea parlamentare che riunisce rappresentanti di tutti gli Stati designati dai Parlamenti nazionali - la Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha il compito di garantire una sede privilegiata di confronto tra le regioni e i comuni d’Europa - il Congresso dei poteri locali e regionali - il Segretario generale, designato dall’Assemblea parlamentare, è responsabile delle attività del Consiglio d’Europa

Cos’è la Convenzione Europea per i diritti dell’uomo?

Il principale strumento operativo del Consiglio d’Europa è la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamenti (Roma, 1950; in vigore dal 1953). La Convenzione è il primo strumento di diritto internazionale che consente, oltre che agli Stati, anche ai singoli individui di fare ricorso contro uno Stato firmatario per violazione dei diritti in essa codificati. Competente a giudicare è la Corte europa dei diritti dell’uomo, che ha la legittimazione a condannare lo Stato responsabile al ripristino della situazione anteriore alla violazione o alla equa soddisfazione (risarcimento). Sulla base del principio dell’ingerenza umanitaria, organizzazioni sovranazionali o semplicemente alleanze di Stati sono oggi autorizzate a intervenire militarmente nella sfera di un altro Stato in nome della tutela dei diritti umani.

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Capitolo 4 - Le fonti del diritto Cosa sono le fonti Le “fonti del diritto” sono quei “meccanismi” che pongono in essere regole del diritto? giuridiche. Il diritto non solo disciplina i comportamenti o le organizzazioni sociali, ma anche i modi per produrre regole giuridiche. Come si Vi è una distinzione per indicare tale fenomeno: da un lato ci sono le fonti di distinguono? produzione giuridica, che pongono in essere nuove regole; dall’altro vi sono le fonti sulla produzione giuridica, che invece sono i meccanismi (organi e procedure) attraverso i quali si producono le fonti di produzione. Infine abbiamo le fonti di cognizione , che sono tutti quei supporti attraverso i quali si rendono conoscibili le fonti di produzione (Gazzetta Ufficiale ecc). Vi sono due aspetti innovativi per quanto riguarda tale tipologia di fonti. Il primo sono i testi unici, testi che raccolgono una serie di fonti di produzione in vigore con lo scopo di riunirle, razionalizzandole, in un unico documento. I testi unici possono essere semplici mezzi di conoscenza delle norme in vigore (testi unici meramente compilativi) oppure possono introdurre innovazioni (normativi o innovativi). I testi normativi non solo agevolano la conoscenza di un complesso di norme, ma provvedono anche ad armonizzare la legislazione attraverso l’introduzione di nuove disposizioni o attraverso la modifica di quelle esistenti. Mentre nel primo caso le leggi e gli atti aventi forza di legge preesistenti rimangono la fonte delle norme raccolte, nel secondo caso la fonte delle norme diventa il testo unico approvato. Il procedimento di formazione dei testi unici è quello proprio dei decreti legislativi. Il secondo fenomeno da considerare è l’utilizzo di internet per rendere conoscibili le fonti normative. In che modo nascono le norme? Fonti autonome o fonti eteronome?

Le norme giuridiche possono nascere essenzialmente in due modi rispetto alla volontà del soggetto destinatario delle stesse norme (ovvero chi deve rispettarle). Una regola può nascere perché è lo stesso destinatario a porla; i destinatari, cioè partecipano direttamente e personalmente alla creazione della regola. Normalmente si definisce questo tipo di fonti come autonome. In quest’area troviamo le fonti convenzionali (cioè quelle regole che nascono da un accordo reciproco, come i contratti tra individui o gli accordi internazionali tra stati), e le fonti di autoregolamentazione (come i codici di autoregolamentazione, deontologici, etici ecc). Altre fonti invece sono quelle eteronome, in cui rientrano la maggior parte delle fonti normative oggi esistenti in cui i destinatari non partecipano direttamente alla produzione della regola stessa.

Attraverso quali Cosa accade se due norme giuridiche pongono tra di loro regole contraddittorie? criteri si risolvono In tal caso, ci troveremmo di fronte a delle antinomie. le antinomie? La scienza giuridica ha elaborato alcuni criteri per risolvere le antinomie normative. I tre principali criteri sono: - il criterio della gerarchia - il criterio della competenza - il criterio cronologico. (Alcune antinomie, dette “apparenti”, possono essere superate attraverso lo strumento dell’interpretazione)

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Crit. della gerarchia.

Cosa succede se il principio di gerarchia viene violato?

Crit. della competenza Cosa succede se viene violato? Crit. cronologico Cosa succede se viene violato?

In base al criterio della gerarchia, nel conflitto tra regole poste da due fonti, prevale la regola posta dalla fonte superiore. Il criterio gerarchico presuppone un ordinamento “a gradi” delle fonti normative, basato sulla “forza” degli atti normativi. [Per forza di un atto normativo si intende la sua capacità di produrre nuovo diritto creando nuove regole (forza attiva), nonché la capacità di resistere all’innovazione portata da un atto diverso (forza passiva)] Dalla violazione del principio di gerarchia deriva l’invalidità dell’atto normativo inferiore e dunque la sua annullabilità. L’annullamento è l’istituto giuridico attraverso il quale un atti invalido viene eliminato dal sistema normativo. Gli effetti dell’annullamento sono erga omnes (cioè riguardano tutti i soggetti dell’ordinamento) ed ex tunc (“da allora”, quindi retroattivamente). Gli effetti giuridici eventualmente prodotti vengono meno, salvo i cosiddetti rapporti esauriti (rapporti giuridici divenuti definitiva, come le sentenze passate in giudicato oppure per le quali siano decorsi i termini di prescrizione o decadenza). Secondo il criterio della competenza, nel conflitto tra le regole poste da due fonti prevale la regola posta dalla fonte competente. Ad esempio, una legge regionale che invada la competenza della legge statale (o il contrario) è annullabile per violazione dell’art. 117 Cost., che distribuisce le competenze tra Stato e regioni. Anche in questi casi, dunque, troviamo patologie di invalidità dell’atto normativo incompetente e la sua annullabilità. Secondo il criterio cronologico, nel conflitto tra le regole poste da due fonti, prevale la regola più recente. Mentre la violazione della gerarchia o della competenza è un fenomeno patologico per il sistema normativo e quindi implica l’invalidità dell’atto e la sua annullabilità, il decorso del tempo è un fenomeno fisiologico, poiché è naturale che le regole si succedano nel tempo, ragion per cui la regola posta dalla fonte successiva semplicemente prende il posto della precedente, senza per questo doverla eliminare. Quest’ultima infatti continuerà ad applicarsi per i casi accaduti precedente alla nuova regola.

Abrogazione o…

Si chiama abrogazione l’effetto che una norma successiva produce nei confronti di quella precedente, e cioè il fenomeno per cui la norma successiva delimita temporalmente la sfera di applicazione di quella precedente.

deroga?

Diversa dall’abrogazione è la deroga che deriva dall’applicazione del principio di specialità. La deroga è quell’istituto attraverso il quale si risolve una antinomia tra norme giuridiche diverse sul piano della generalità; la generalità di una norma è la sua maggiore o minore attitudine ad applicarsi ai comportamenti ovvero alle condotte prese in considerazione. Nel caso della deroga il conflitto nasce tra una norma più generale (derogata) ed un’altra (derogante) di tipo particolare: è quello che normalmente si definisce come l’eccezione alla regola. La differenza tra abrogazione e deroga sta nel fatto che mentre nella prima la norma abrogata cessa di avere efficacia per il futuro, la norma derogata non perde invece la sua efficacia ma viene limitato il suo campo di applicazione.

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In che modo le fonti producono regole? Fonti atto o fonti fatto?

Le fonti possono consistere in atti o in fatti. Per fonti atto si intendono quelle fonti di produzione del diritto che sono il risultato di procedimenti finalizzati a produrre norme giuridiche (leggi, trattati, decreti). Le fonti fatto, ovvero fatti normativi, sono quelle in cui le regole non nascono dalla volontà espressa di regolare in un certo modo i comportamenti bensì da accadimenti esterni rispetto alla volontà. L’esempio più noto è la consuetudine, l’uso, in cui la norma giuridica nasce dalla ripetizione costante nel tempo di un determinato comportamento da parte di una generalità di soggetti che lo ritengono obbligatorio sul piano giuridico. Un altro esempio è la convenzione.

Contenuto delle fonti normative: disposizione e norma.

Analizziamo ora, dopo la forma, il contenuto delle fonti normative. Sul piano descrittivo si indica con il termine disposizione l’atto in senso proprio, la formulazione linguistica; mentre con il termine norma intendiamo il significato dell’atto, la regola giuridica che poi utilizzeremo per decidere come comportarci.

Come si interpretano le disposizioni?

L’attività che consente di cogliere il significato (norma) di una formulazione normativa (disposizione) si chiama interpretazione giuridica. L’interpretazione di una disposizione non è mai un’operazione univoca. Da questo punto di vista l’attività interpretativa costituisce sempre un’approssimazione per tentativi. Corollario n.1 : non esiste necessariamente un rapporto biunivoco tra disposizioni e norme Spesso si crede che da una disposizione possa derivare solo un enunciato normativo. Così non è. A rafforzare questa ipotesi, sta il fatto che - ogni disposizione ha sempre un certo grado di indeterminatezza, poiché sono possibili diverse attribuzioni di significato. La possibilità di diverse interpretazioni del medesimo resto comporta che ad ogni disposizione non corrisponde sempre una sola norma, ma spesso una molteplicità. - esiste il fenomeno del combinato disposto, un fenomeno secondo cui una norma non sia prodotta da una sola disposizione, ma da più di una. Esempio: L’art 48 Cost afferma che sono elettori tutti i cittadini … che hanno raggiunto la maggiore età. Ma per comprendere cosa voglia dire “maggiore età” bisogna leggere un’altra disposizione, contenuta nell’art.2 del codice civile, secondo cui la maggiore età è fissata al compimento del diciottesimo anno. Corollario n.2: Una norma può vivere più a lungo di una disposizione (e viceversa) Le norme abrogate non si applicano ai fatti che si verificano dopo il tempo dell’abrogazione, ma esse invece debbono essere applicati ai fatti accaduti prima dell’abrogazione. Al momento attuale dunque potremmo trovarci a dover applicare moltissime norme (cioè interpretazioni) estratte da disposizione che in realtà sono state abrogate e dunque non producono più norme. Ma è vero anche il fenomeno opposto: esistono disposizioni formalmente in vigore (non abrogate) ma che non sono più in grado di produrre norme. Esempio: artt. 1 e 5 delle cd. “preleggi” che parlano delle norme corporative, particolari fonti approvate dalla Camera dei fasci e dalle corporazioni. Oggi, tuttavia, non esistendo più le corporazioni, la disposizione trattata non è in grado di produrre norme di tal genere. Siamo di fronte ad un’ipotesi di disposizione da cui, pur non essendo abrogata, non possiamo più estrarre norme applicabili. 13 Scaricato da Sofia Civenni ([email protected])

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1a distinzione: Norme regola o norme principio?

Vi è poi un’altra distinzione sulle norme. Queste infatti possono essere di due tipi: regole o principi. In prima approssimazione possiamo ritenere che le regole sono norme giuridiche più specifiche, mentre i principi sono norme più generiche. I principi sono norme aperte a diverse modalità applicative, mentre le regole sono soggette ad applicazione categorica (sì/no).

Come si risolvono le contraddizioni tra due regole/ principi?

Se due regole sono in contraddizione tra loro, solo una sarà applicabile (e sarà scelta in base ai criteri di cui sopra). Se invece due principi sono in contraddizione, la situazione è del tutto diversa. Avendo contenuti di per sè generali e suscettibili di applicazioni diverse, non si tratterà di identificare l’unico principio applicabile, quanto si cercherà di “bilanciare” i due principi ovvero di applicare entrambi nella misura maggiore possibile. Un’altra considerazione molto importante è che i principi generano regole. Da un principio (generale) nascono diverse regole (specifiche).

Cosa sono i principi nello specifico?

I principi rappresentano i valori di riferimento del sistema normativo. Essi da un lato sono in grado di orientare l’attività - spesso molto difficile - di interpretazione delle regole. D’altro lato, come abbiamo visto, essi generano le regole concrete, sia nel senso di costituire la base logico-giuridica (la cosiddetta ratio) delle singole disposizioni, sia consentendo di risalire ad una possibile disciplina laddove concretamente vi sia una lacuna, ovvero sia manchi una regola puntuale per decidere un caso.

2a distinzione. Norme speciali o norme generali? Cos’è la deroga?

Vi è infine un’altra distinzione, quella tra le norme speciali e norme generali, vale a dire norme che stanno in un rapporto di species a genus e che pertanto producono l’effetto della deroga. La deroga costituisce una specie di “eccezione”. In base ai vari casi, il giudice può scegliere se applicare la norma speciale o quella generale. Diverso è il caso in cui è invece il legislatore stesso ad indicare la prevalenza di una norma speciale su quella generale. Conclusioni: l’ordinamento giuridico (che chiamamo “diritto”) è composto da norme e non da disposizioni. Il sistema giuridico non è composto da testi, codici, leggi o Costituzioni (intesi come documenti), ma dai significati di tali documenti E’ fondamentale la capacità di estrarre correttamente il senso dei testi normativi, cioè l’attività interpretativa.

Sequenza logica per risolvere un antinomia:

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Capitolo 5 - Le singole fonti del diritto Quali sono le caratteristiche della Costituzione Italiana?

Leggi costituzionali e di revisione costituzionale La Costituzione Italiana è una forma di Costituzione rigida, che si pone al vertice del sistema delle fonti. Anche se in essa non è presente una vera e propria clausola di supremazia, la rigidità può essere dedotta facilmente da alcune disposizioni (ad esempio l’art 1 comma 2: “la sovranità appartiene al popolo” che tuttavia deve essere esercitata “nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Tale disposizione riassume il carattere principale dello Stato costituzionale, ovvero il fatto che le maggioranze politiche devono rispettare la Costituzione.

Quali sono le garanzie costituzionali?

All’interno della Costituzione troviamo le cosiddette “garanzie costituzionali”, ovvero garanzie della sua rigidità. Queste sono suddivise in due sezioni: “Corte Costituzionale” (artt. 134-137) e “Revisione della Costituzione. Leggi costituzionali” (artt. 138 e 139).

Come avviene la revisione costituzionale?

La revisione costituzionale, ovvero la modifica della costituzione, avviene attraverso una procedura “aggravata” e speciale , che da vita ad una fonte che prende il nome di legge costituzionale. Le leggi costituzionali servono principalmente a: a) modificare la Costituzione b) soddisfare le riserve di legge costituzionale (ovvero disciplinare quelle materie che la Costituzione affida esclusivamente a tali fonti, come ad esempio gli statuti delle regioni speciali) c) irrigidire la disciplina di certe materie. La revisione costituzionale avviene come segue:

I tempi lunghi sono funzionali ad un’attenta e meditata riflessione, mentre la maggioranza più ampia garantisce una revisione largamente condivisa. Micro-gerarchia All’interno della Costituzione possiamo anche notare una “micro-gerarchia” dei degli articoli cost. vari articoli. Infatti, va operata una distinzione tra i principi supremi e le regole costituzionali “ordinarie”. I principi supremi si sottraggono alla revisione.

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Le norme costituzionali sono effettivamente efficaci?

La costituzione come fonte Un problema importante da tenere in considerazione è quello dell’efficacia. Infatti, all’interno della Costituzione vi sono sia norme precettive sia norme meramente programmatiche, e specialmente quest’ultime non sono in grado di innovare l’ordinamento giuridico se ad esse non fanno seguito leggi ordinarie. Tale problema si manifestò subito dopo l’approvazione della nostra costituzione, con le rimanenze di alcuni istituti e norme di epoca fascista. Le fonti internazionali ed europee I principi costituzionali sulle fonti internazionali ed europee

Il sistema giuridico italiano è aperto all’esterno?

Il sistema delle fonti italiano non è chiuso rispetto all’esterno, ma si apre alle fonti proveniente da altri ordinamenti, in coerenza con la visione della sovranità esterna. La Costituzione, infatti, con gli artt. 10, 11 e 117 comma 1, stabilisce che possono entrare a far parte dell’ordinamento italiano le fonti del diritto internazionale e del diritto dell’UE. Art. 10: dice che l’Italia si conforma alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute (consuetudini universali e principi generali del diritto internazionale come immunità, tutela dei diritti umani ecc). Art. 11: afferma il principio pacifista e che l’Italia acconsente alle limitazioni di sovranità necessarie per il mantenimento della pace e della giustizia tra le Nazioni, e che inoltre promuove le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo. Art.117: completa l’art.11 affermando che la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle regioni nel rispetto della Costituzione e dei vincoli comunitari e obblighi internazionali. Esso dunque da istruzioni relative al rapporto fra le fonti interne e quelle esterne.

Il sistema italiano come riconosce le fonti provenienti dal diritto internazionale pattizio?

Problemi sull’efficacia dei trattati.

Il diritto internazionale pattizio Per il diritto internazionale pattizio il procedimento è un pò diverso. In effetti non esiste un adattamento automatico ai trattati internazionali. In genere, quando un trattato viene negoziato e concluso, esso deve essere ratificato dall’organo competente, che nel nostro caso è il Presidente della Repubblica (art.87 cost). Per alcune categorie di trattati è prevista però una previa autorizzazione del Parlamento, con apposita legge di autorizzazione alla ratifica. Essi sono: a) trattati di natura politica b) trattati che prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari c) trattati che importano variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi. Soltanto dopo la ratifica avverrà la stipulazione del trattato, che consiste nello scambio delle ratifiche fra i contraenti. Anche qui è sorto un problema per quanto riguarda l’efficacia dei trattati. Le sentenze nn. 348 e 349/2007 affermano che i trattati internazionali sono vincolanti per le fonti primarie successive, per effetto dell’art.117 comma 1 Cost. In caso di antinomia si applica il criterio della gerarchia, e dunque la norma primaria deve essere annullata. I trattati sono dunque in una posizione intermedia tra la legge e la Costituzione. Dunque i trattati devono rispettare la Costituzione (verifica effettuata dalla CC) ed essere rispettati dalle leggi ordinarie. 16 Scaricato da Sofia Civenni ([email protected])

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Come si suddividono le fonti europee?

Le fonti europee Le fonti del diritto europeo si distinguono in fonti di diritto originario (o primario) e fonti di diritto derivato (o secondario). Le fonti di diritto originario sono i trattati istitutivi delle Comunità europee. Le fonti di diritto derivato sono i regolamenti, le direttive, le raccomandazioni, i pareri e le decisioni.

Come vengono riconosciute le fonti di di diritto europee?

I regolamenti, insieme alle direttive, costituiscono le fonti più rilevanti nell’ordinamento dell’UE. La loro principale caratteristica è la diretta applicabilità nei confronti di tutti i soggetti all’interno degli Stati membri. Le direttive invece non hanno diretta applicabilità, ma sono comunque fonti di diritto derivato vincolanti, come i regolamenti. Si riferiscono esclusivamente ai singoli Stati, imponendo obblighi di risultato e un tot. di tempo per adempierli; adempimento che comunque avviene attraverso atti interni (in Italia: leggi del parlamento, regionali o decreti legislativi). Alcune direttive, tuttavia, possono essere self-executing, senza necessità di alcuna interposizione da parte degli Stati. Le decisioni sono anch’esse fonti di diritto vincolanti e non richiedono alcun atto interno di recepimento da parte degli Stati, ma non possiedono i caratteri della generalità e dell’astrattezza, rivolgendosi a destinatari specifici. Le raccomandazioni e i pareri sono fonti di diritto derivato non vincolanti.

Attraverso quali strumenti l’Italia adempie agli obblighi comunitari?

L’Italia gestisce gli obblighi comunitari attraverso due distinti provvedimenti legislativi. Il primo è la legge di delegazione europea, con cadenza annuale che contiene: a) le deleghe al governo per approvare decreti legislativi b) le autorizzazioni al governo per il recepimento delle direttive attraverso regolamenti c) i principi fondamentali a cui si debbono attenere le regioni nell’esercizio delle loro competenze legislative. Tale legge, dunque, è il mezzo con cui il Parlamento interviene in tutti quei casi in cui l’adempimento degli obblighi europei richieda, oltre a quello parlamentare, un ulteriore intervento normativo da parte di un altro soggetto (governo o regioni). Il secondo provvedimento è invece la legge europea con cui il Parlamento realizza direttamente gli interventi normativi necessari all’adempimento degli obblighi europei. [In generale, tuttavia, se i tempi sono stretti parlamento e governo possono ottemperare agli adempimenti attraverso i loro ordinari atti normativi]

Come vengono risolte le antinomie tra fonte europea selfexecuting e legge italiana?

In caso di antinomie tra fonte europea self-executing e legge italiana, esse devono essere risolte attraverso la disapplicazione del diritto interno incompatibile con il diritto europeo. Ciò implica che le fonti interne non debbano essere annullate, ma semplicemente non applicate. La “non applicazione” si fonda sul principio di competenza: nelle materie di competenza dell’Unione devono applicarsi le norme europee. La limitazione della sovranità dello Stato italiano nei confronti del diritto europeo non è assoluta. La CC con la sentenza n. 183/1973 afferma che tali limitazioni di sovranità non siano ammissibili ogni qual volta il diritto europeo violi i principi fondamenti dell’ordinamento costituzionale e i diritti inviolabili della persona umana. E’ necessario dunque che le fonti europee rispettino i controlimiti.

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E le antinomie tra fonte europea non self-executing e legge italiana?

Nel caso in cui invece l’antinomia è tra legge italiana e fonte europea non selfexecuting, la fonte interna deve essere dichiarate incostituzionale, in quanto in questa ipotesi le direttive si configurano come norme interposte tra il diritto nazionale e gli art.11 e 117 comma 1 cost. I dubbi interpretativi delle direttive, ove presenti, vengono risolti dalla Corte di giustizia, l’organo giudiziario di vertice dell’UE. [I giudici di una nazione possono, nel corso di un processo, sospendere il giudizio e sollevare una questione pregiudiziale innanzi alla Corte di giustizia, qualora abbiano dei dubbi. La decisione della Corte sarà definitiva.]

Le fonti nazionali La legge ordinaria Cos’è una legge nel diritto italiano?

Per legge si intende l’atto normativo, deliberato dalle due Camere del Parlamento in un identico testo, promulgato dal Presidente della Repubblica e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, che trova le sue norme sulla produzione negli artt. 70 e seguenti della Costituzione. (Legge formale ordinaria).

La Costituzione in relazione al contenuto della legge: le riserve di legge.

Il contenuto della legge La Costituzione non dice nulla sul “contenuto” della legge, ma si limita a riservare ad essa la disciplina di alcune materie attraverso l’istituto denominato riserva di legge (non solo legge, ma anche atti aventi forza di legge, con la sola eccezione delle riserve di cui all’ultimo comma dell’art. 72 cost, che si riferiscono non solo a leggi formali, ma a leggi formali approvate dall’intera assemblea di ciascuna Camera, per le quali si parla dunque di riserva di legge d’assemblea). Riserve rinforzate, più stringenti, possono essere di due sottotipi: - riserve rinforzate in base al procedimento (come ad esempio l’art. 8 comma 3 che prevede che i rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose diverse dalla cattolica siano disciplinati con legge “sulla base di intese”, quindi il legislatore non può disciplinare tali rapporti se non si basano su una previa intesa. - riserve rinforzate in base al contenuto (ad esempio l’art 16 comma 1 cost, secondo cui la libertà di circolazione dei cittadini sul territorio nazionale deve essere prevista in via generale e limitata solo per motivi di salute o sicurezza.

Riserve relative o assolute?

Un altra distinzione è quella tra riserva relativa (riferito ai soli aspetti generali della disciplina) e riserva assoluta (intera disciplina), le cui caratteristiche sono facilmente intuibili.

La Costituzione in relazione all’oggetto della legge.

Il tema dell’oggetto della legge viene affrontato poche volte dalla Costituzione, per imporre un certo procedimento di approvazione (leggi di amnistia o indulto) o per escluderla dalla possibilità di essere sottoposta a referendum abrogativo (art 75 cost). Inoltre la Costituzione affronta il contenuto della legge nell’art 117, elencando delle materie di competenza del legislatore statale e di quello regionale, dunque la legge statale non si può definire una fonte a competenza generale. 18 Scaricato da Sofia Civenni ([email protected])

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Quali sono le leggi a contenuto “tipizzato”?

Come si attua il procedimento legislativo?

Alcune leggi, col corso degli anni, hanno istituito leggi a contenuto “tipizzato”: - la legge di bilancio, che approva i bilanci - la legge di stabilità, che attua il programma di politica economica del Governo e fissa il limite complessivo di entrate e spese - la legge di delegazione europea - la legge europea - la legge di semplificazione, realizza misure di semplificazione normativa e amministrativa - la legge annuale per il mercato e la concorrenza, ha lo scopo di rimuovere gli ostacoli regolatori allo sviluppo della concorrenza e di garantire la tutela dei consumatori - la legge annuale per le micro, piccole e medie imprese, volta a definire interventi nell’anno successivo per la tutela e lo sviluppo delle medesime Sono tutte a cadenza annuale. Il procedimento legislativo L’art 70 cost. prevede che la funzione legislativa sia esercitata collettivamente dalle due Camere. Vi sono tre fasi: iniziativa, costitutiva (istruttoria e approvazione), e quella che prevede la promulgazione e la pubblicazione.

In cosa consiste… 1) Iniziativa (disciplinata dall’art 71 cost): essa spetta al governo, a ciascun - L’iniziativa? parlamentare e agli altri organi ed enti a cui è conferita dalla Costituzione. Anche al popolo, mediante la proposta di almeno 50.000 elettori di un progetto redatto in articoli.

- L’istruttoria e

2) Istruttoria e approvazione (disciplinata dall’art 72 cost): ogni disegno di legge l’approvazione? è affidato alla commissione competente per materia. Si distinguono tre subprocedimenti: - la procedura normale in cui la commissione opera in sede referente, Quali sono le - la procedura abbreviata, per l’approvazione d’urgenza di alcuni disegni di procedure? legge - la procedura decentrata nella quale la commissione assume il nome di “deliberante” o “legislativa” (limitata nell’oggetto dall’art 72, comma 3 cost). Un’altra procedura è stata creata dai regolamenti parlamentari, ovvero il procedimento per commissione in sede redigente. [La procedura di revisione costituzionale non fa parte di quelle sopra elencate] Nel procedimento normale: La commissione, esamina e, eventualmente, modifica il progetto. ➡ L’Assemblea discute articolo per articolo, poi c’è la discussione finale. ➡ L’Assemblea discute e delibera sulla legge articolo per articolo. ➡ Approvazione finale del progetto di legge nel suo complesso. Nel procedimento abbreviato, i tempi della discussione e della votazione si riducono drasticamente (procedimento usato per la conversione dei decreti-legge, che deve avvenire entro 60 gg) Il procedimento decentrato è tipico dell’ordinamento italiano ed è caratterizzato dalla centralità della commissione, che può sostituirsi all’Assemblea nella discussione e approvazione della legge. 19 Scaricato da Sofia Civenni ([email protected])

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Nel procedimento redigente (in disuso) le commissioni redigono il progetto di legge, riservando però l’approvazione alle Assemblee. Per la legge di bilancio c’è un procedimento speciale. Vi è una partecipazione di tutte le commissioni permanenti, oltre alla commissione bilancio. Una serie di disposizioni tutela le decisioni governative, per evitare che la legge venga modificata eccessivamente. Tempi certi: “sessione di bilancio”, sessione stabilita ad hoc per discutere e approvare la legge di bilancio (e anche di stabilità, ad essa collegata).

- La

3) Promulgazione e pubblicazione promulgazione La promulgazione avviene entro 30 giorni dall’approvazione parlamentare ed è e la disposta dal Presidente della Repubblica (il quale però, secondo l’art 74 cost, può pubblicazione? anche rifiutare di promulgare la legge, esercitando il potere di rinvio). Dopo la promulgazione, c’è la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana. [vacatio legis, le leggi entrano in vigore dopo 15 giorni dalla pubblicazione per fare in modo che tutti i cittadini ne possano venire a conoscenza]

Gli atti del governo con forza di legge Quali sono gli atti Il potere legislativo può essere esercitato eccezionalmente anche dal Governo avente forza di (artt. 76 e 77 cost) che, sotto il controllo del parlamento, può emanare il decreto legge? legislativo e il decreto-legge, aventi forza di legge. Cos’è il decreto legislativo? Come avviene la delega?

Il decreto legislativo L’art 76 Cost recita: “l’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti”. La delegazione legislativa è una combinazione di due procedimenti distinti: la legge delega e il decreto legislativo. La delega è temporanea, mai permanente. La legge delega deve contenere (art 76 cost): 1) l’oggetto, ovvero la precisa materia da disciplinare (non vi possono essere delega in bianco) 2) i principi, ovvero norme generali riconducibili all’oggetto, e criteri direttivi, norme strumentali di carattere procedurale 3) il termine: la data esatta entro la quale la delega deve essere esercitata. Il decreto legislativo deve rispettare i limiti imposti dalla legge delega, pena il giudizio di incostituzionalità. Molte leggi-delega oggi prevedono che prima che il decreto legislativo passi dal Presidente, debba ottenere un parere dalle commissioni parlamentari competenti. Altrettanto frequente è l’inserimento nella legge-delega di una clausola che consenta al Governo di correggere il decreto una volta scaduto il termine, così da poter risolvere eventuali problemi di prima applicazione. [Il Governo non può essere delegato ad affrontare la materia costituzionale, né ricevere deleghe su materie che presuppongono la naturale distinzione tra Governo e Parlamento (come approvazione del bilancio e ratifica di trattati)]. 20 Scaricato da Sofia Civenni ([email protected])

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Il decreto legislativo viene applicato soprattutto nel caso dei testi unici e dei codici. Cos’è il decretolegge?

Qual è il procedimento per la sua approvazione?

Il decreto-legge Il potere legislativo può essere esercitato dal governo anche attraverso il decreto legge. Per l’art 77 cost il fondamento di tale potere deriva da una situazione di straordinaria necessità ed urgenza. Il decreto-legge è un atto del Governo con forza di legge, adottato in casi di necessità ed urgenza. Il Governo è tenuto a trasmettere il decreto-legge alle Camere chiedendone la conversione in legge nello stesso giorno in cui il decreto-legge è emanato. Le Camere si riuniscono entro 5 giorni, anche se sciolte. La conversione deve avvenire entro sessanta giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Se ciò non avviene il decreto perde efficacia fin dal momento in cui è stato adottato (formula ex tunc, da allora). Appena adottato, il decreto-legge diviene dunque oggetto di un apposito disegno di legge di conversione (il decreto viene presentato come un allegato di un disegno di legge che contiene un unico comma: “E’ convertito in legge il decreto legge n… recante…”). I presupposti di effettiva urgenza vengono verificati dal Presidente in sede di emanazione del decreto e successivamente dal Parlamento. Inoltre, anche una volta convertito il decreto-legge, esso può essere sottoposto al giudizio della Corte costituzionale (che può anche sindacare la mancanza di una effettiva necessità ed urgenza dei decreti-legge).

Cosa succede se non viene convertito?

Se il decreto-legge non viene convertito, esso perde retroattivamente i suoi effetti. Per questa ragione l’art 77 cost, comma 3, provede che le Camere possano “regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti”, dando così vita ad una legge sanatoria, che ha il compito di “salvare” gli effetti prodotti dal decreto decaduto sollevando il Governo dalle responsabilità alle quali sarebbe altrimenti tenuto. Durante l’iter parlamentare per la conversione, è possibile introdurre emendamenti al decreto. In tal caso, salva diversa disposizione, le modifiche entreranno in vigore il giorno successivo alla pubblicazione della legge di conversione. La “reiterazione” del decreto-legge, ovvero la ri-presentazione di un decreto decaduto, è stata dichiarata incostituzionale dalla CC (sentenza n.360/1996). Le disposizioni di un decreto-legge che non soddisfano i requisiti di specificità, omogeneità e corrispondenza al titolo sono da ritenersi costituzionalmente illegittime, anche se aggiunte in sede di emendamento parlamentare.

Il referendum abrogativo Cos’è il Il referendum abrogativo previsto dall’art 75 Cost, è un istituto attraverso il quale referendum il corpo elettorale è chiamato a pronunciarsi direttamente circa “l’abrogazione, abrogativo e come totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge” dello Stato. funziona? Sono escluse dal referendum leggi tributarie e di bilancio, amnistia e indulto, autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali (art 75 cost). Tuttavia vi sono altri limiti impliciti, individuati dalla CC. 21 Scaricato da Sofia Civenni ([email protected])

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Come avviene il procedimento referendario?

Il procedimento referendario si articola in varie fasi: a) L’iniziativa referendaria spetta a 5 consigli regionali o a 500.000 elettori, che sottopongono la richiesta ad un apposito ufficio della Corte di cassazione entro il 30 settembre di ogni anno. b) L’Ufficio centrale per il referendum effettua un controllo sulla legittimità delle richieste. c) La Corte costituzionale giudica sull’ammissibilità delle richieste dichiarate legittime. d) Se le richieste sono ammesse, il PdR, su deliberazione del Consiglio dei ministri, indice il referendum. e) Sono previsti due quorum: uno di partecipazione (50%+1 degli aventi diritto), e uno circa l’esito (50%+1 dei voti). f) Nel caso di abrogazione, essa è dichiarata dal Presidente della Repubblica con decreto; il Parlamento non può approvare una disciplina che sia sostanzialmente riproduttiva di quella abrogata. Nel caso di esito contrario all’abrogazione, per 5 anni la stessa disposizione non può essere sottoposta nuovamente a referendum.

Limiti al referendum previsti dalla Costituzione

La Corte Costituzionale ha dato un’interpretazione di carattere estensivo dei limiti espliciti dell’art 75 Cost, enucleando anche i limiti impliciti. - Essendo il referendum abrogativo equiparabile ad una legge abrogativa, ne consegue che non sono ammissibili referendum che abbiano ad oggetto la Costituzione, le leggi costituzionali, i regolamenti parlamentari, gli atti legislativi a forza passiva peculiare, le leggi a contenuto costituzionalmente vincolato e quelle costituzionalmente necessarie, ossia quelle indispensabili per l’attuazione di organi o istituti previsti dalla Carta (leggi elettorali). Tali leggi sono state oggetto tuttavia di referendum parziali volti ad abrogarne solo alcune disposizioni. - Un altro limite fa perno sulla libertà del voto. Il quesito proposto deve essere omogeneo, chiaro, univoco, non contraddittorio.

Quali sono le fonti secondarie nel nostro ordinamento? Cosa sono i regolamenti dell’esecutivo e cosa prevedono?

I regolamenti dell’esecutivo Passiamo ora ad esaminare le fonti di carattere secondario, subordinate alla legge. I regolamenti adottati dal governo ne sono un esempio. I regolamenti governativi sono fonti secondarie, con le quali il Governo, nel rispetto delle fonti primarie, pone regole di carattere sostanziale, organizzativo, procedurale oppure provvede a disporre quanto necessario per dare attuazione ed esecuzione alle leggi. Spesso infatti le leggi hanno bisogno di altre regole per poter essere applicate, e a ciò provvedono i regolamenti. La costituzione si limita solo a richiamare questo tipo di fonte nell’art 87 comma 5 cost che, elencando i poteri del PdR, include anche l’emanazione dei regolamenti. L’art 117 comma 6 cost, limita la potestà del governo di emanare regolamenti solo nelle materie nelle quali lo Stato ha potestà legislativa esclusiva. Se le fonti primarie sono a numero chiuso, le fonti secondarie sono a numero aperto, ovvero modellabili dal potere legislativo. Le fonti secondarie non hanno uno spazio costituzionalmente definito (come le primarie), ma anzi è fortemente limitato dall’esistenza delle riserve di legge previste in Costituzione.

Quali sono?

Tra i regolamenti dell’esecutivo troviamo: -Regolamenti governativi, deliberati dal CdM ed emanati con decreto del PdR. -Regolamenti ministeriali ed interministeriali, emanati dal singolo ministro o di concerto con uno o più ministri. Questi ultimi debbono rispettare i primi. Scaricato da Sofia Civenni ([email protected])

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Come si suddividono i regolamenti governativi?

I regolamenti governativi si suddividono in: - regolamenti di esecuzione, si occupano dell’esecuzione delle leggi, dei decreti legislativi e dei regolamenti dell’UE - regolamenti di attuazione, si occupano dell’attuazione e dell’integrazione delle leggi e dei decreti legislativi recanti norme di principio, fuori delle materie di competenza regionale - regolamenti di organizzazione, si occupano dell’organizzazione e del funzionamento delle amministrazioni pubbliche secondo le disposizionei dettate dalla legge. Vi sono anche i cd. regolamenti indipendenti, che disciplinano una materia in cui non vi è una legge. Ad alcuni regolamenti spetta il compito della delegificazione, ovvero l’istituto mediante il quale il Governo può regolare una certa materia già coperta da legge attraverso regolamenti, modificando o semplicemente abrogando la disciplina legislativa che si occupava di quella materia.

Regioni a statuto speciale o ordinario?

Fonti regionali e locali Oltre alle fonti di carattere sovranazionale e statale, troviamo anche quelle di carattere regionali. Le fonti delle regioni a statuto speciale sono disciplinate non dalla Costituzione, ma dai rispettivi statuti, approvati con leggi costituzionali. Invece alle quindici regioni a statuto ordinario è la Costituzione che attribuisce la potestà normativa primaria e secondaria.

Cos’è uno statuto? In particolare, l’art 123 Cost prevede la necessità per questi enti di dotarsi di uno statuto. Si tratta di una fonte primaria del diritto con cui la regione disciplina rilevanti aspetti della sua organizzazione e struttura interna: forma di governo, principi fondamentali di organizzazione e funzionamento, diritto di iniziativa e referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della regione, e pubblicazione di leggi e regolamenti regionali. Come si modifica Quanto al procedimento, esso ricorda molto da vicino quello previsto dall’art. 138 lo statuto? cost, per le leggi costituzionali e di revisione costituzionale, a testimonianza della volontà di fare dello statuto una sorta di “piccola Costituzione”. L’art. 123 Cost, prevede anche la possibilità di un controllo di legittimità costituzionale sullo statuto su ricorso promosso dal governo. Come è Le regioni hanno poi potestà legislativa, in base all’art 117 Cost, in riferimento caratterizzata la ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato, vale a potestà legislativa dirla competenza legislativa residuale. delle regioni? In generale, quali sono i diversi tipi di competenze?

In generale: - Per competenza legislativa esclusiva statale (art 117 comma 2) s’intende quell’insieme di materie in cui il soggetto legittimato a porre le fonti legislative è esclusivamente lo Stato. - Per competenza legislativa concorrente (art 117 comma 3), // sono sia lo Stato che le regioni. - Per competenza legislativa residuale regionale, s’intendono tutte quelle materie non ricomprese nel secondo e terzo comma. Sono previsti anche statuti e regolamenti locali, ma a competenza riservata. 23 Scaricato da Sofia Civenni ([email protected])

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Capitolo 6 - Diritti e doveri Costituzioni moderne: rigide

Le Costituzioni moderne sono Costituzioni rigide, che tutelano i diritti. Esse, oltre alle “libertà negative”, proprie delle Costituzioni liberali, presentano anche “libertà positive”, ovvero quelle che richiedono un intervento attivo da parte dello Stato. La garanzia dei diritti assume anche una dimensione sovranazionale, nello Stato contemporaneo (basti pensare alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo ecc).

I diritti e i doveri Libertà ed uguaglianza nella Costituzione Italiana nella Costituzione Dopo i principi fondamentali, troviamo i cd. Diritti e doveri dei cittadini (rapporti Italiana. civili, rapporti etico-sociali, rapporti economici, rapporti politici). L’architettura dei diritti e delle libertà è ispirata e ordinata da due “punti di fuga” prospettici: gli artt. 2 e 3. L’art 2 e le caratteristiche dei diritti e dei doveri nella nostra Costituzione.

L’art. 2: i diritti inviolabili e i doveri inderogabili “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. - Protezione dei diritti fondamentali - Principio personalista (uomo come persona caratterizzata da bisogni e di conseguenza dalle relazioni necessarie a rispondere a questi bisogni) - I diritti sono preesistenti allo Stato (riconosce… diritti inviolabili dell’uomo). - La Costituzione afferma espressamente l’inviolabilità soltanto di quattro dei diritti del titolo I, cioè libertà personale (art. 13), libertà di domicilio (14), libertà e segretezza della corrispondenza (15), diritto di difesa (24 comma 2); tuttavia questo attributo va riconosciuto anche ad altri diritti, come il diritto alla salute, alla vita, a manifestare il proprio pensiero, ad associarsi, a riunirsi, diritto della persona nell’ambito familiare, il diritto di contrarre matrimonio, i diritti dei minori al mantenimento, all’educazione e all’istruzione, e tanti altri il cui denominatore comune è l’essenzialità per la forma di Stato contemporaneo. - La Corte Costituzionale ha esteso la protezione costituzionale anche ai cd. nuovi diritti (privacy, identità sessuale, ambiente), interpretando estensivamente l’art 2 e rifacendosi alla CEDU. - I doveri inderogabili sono legati ad un valore, la solidarietà, ritenuta una dotazione originaria dell’uomo e della sua propensione alla socialità.

Da cosa è caratterizzata l’uguaglianza nella Costituzione?

Art. 3: l’uguaglianza - Il 1° comma riproduce la tradizionale concezione liberale dell’uguaglianza in senso formale: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di…” - Il 2° comma afferma il principio dell’uguaglianza in senso sostanziale, in cui la Repubblica si impegna a “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitato di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. - Occorre trattare in maniera eguale situazioni uguali ed in maniera ragionevolmente differenziata situazioni diverse

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- Oltre al giudizio di uguaglianza abbiamo il giudizio di non discriminazione, che vieta le differenziazioni di trattamento. Cos’è l’uguaglianza formale?

L’uguaglianza formale Per uguaglianza formale si intende classicamente l’uguaglianza di fronte alla legge: “La legge è uguale per tutti”, concetto connesso con il principio di legalità, che determina un vincolo dei poteri pubblici rispetto al diritto e il divieto che essi si comportino in modo difforme da quanto previsto dalla legge. “Pari dignità sociale” -> emersione del principio della dignità umana. L’uguaglianza formale si traduce nel divieto per il legislatore sia di adottare trattamenti irragionevolmente differenziati tra i cittadini, sia di introdurre discriminazioni. I divieti menzionati nella Costituzione sono quelli della distinzione in base a: - sesso - razza - lingua - religione - opinioni politiche - condizioni personali e sociali

Cos’è l’uguaglianza sostanziale?

L’uguaglianza sostanziale L’art.3 comma 2, impegnando la Repubblica a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che di fatto limitano la libertà e l’uguaglianza, come abbiamo già detto, costituisce una novità senza precedenti. Secondo questa visione sostanziale dell’uguaglianza, il compito della Repubblica non è solo quello di riconoscere che tutti sono uguali davanti alla legge, ma di aiutare coloro che si trovano in condizioni svantaggiate a poter raggiungere la pena promozione della loro personalità, al pari di chi si trova in condizioni migliori. L’uguaglianza sostanziale giustifica il riconoscimento dei diritti sociali, quali il diritto al lavoro, i diritti dei lavoratori, il diritto al gratuito patrocinio, il diritto alla salute, il diritto all’istruzione etc.

Cost. parte prima: L’architettura dei diritti nella Costituzione e i loro limiti diritti e doveri dei Quattro tipologie di rapporti: cittadini. Rapporti civili (titolo I), etico-sociali (titolo II), economici (titolo III), politici (titolo IV). Gli articolo tra 13 e 16 disciplinano i diritti a matrice individuale: - Libertà personale (14) - Liberta di domicilio (15) - Libertà e segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione (16) - Libertà di circolazione (17) Oltre a questi, il titolo I contiene anche diritti che attengono alla sfera pubblica della vita: di riunirsi (17), di associarsi (18), libertà di manifestazione del pensiero (21); questi sono completati da due previsioni che garantiscono una tutela particolare per i diritti di associazione (20), di manifestazione del pensiero e libertà di coscienza (19) legati all’ambito religioso. Il titolo II contiene il riferimento alla famiglia (artt. 29,30,31), alla salute (art. 32), e alla sfera della cultura e istruzione (artt. 33, 34). Scaricato da Sofia Civenni ([email protected])

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Due sono le forme principali di garanzia costituzionale delle libertà: la riserva di legge (vista nel capitolo V) e la riserva di giurisdizione. Secondo quest’ultima, ogni atto che incide sulle libertà non solo deve rinvenire nella legge la sua astratta previsione, ma deve essere in concreto autorizzato da un giudice. Le libertà costituzionali: Personale

I singoli diritti costituzionali

In quali casi può essere limitata la libertà personale dell’individuo?

Oltre alla regola, i commi 3 e 4 prevedono delle deroghe a queste garanzie: “in casi eccezionali di necessità ed urgenza”. In tali circostanze l’intervento dell’autorità giudiziaria non è necessario prima del provvedimento restrittivo, ma successivamente al fine di convalidare gli atti adottati, cioè al fine di verificarne i presupposti in fatto e in diritto. Il sistema di tutela si completa poi con due ulteriori principi: quello di “punire ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà”, e quello di imporre “i limiti massimi della carcerazione preventiva”.

Di domicilio

Libertà di domicilio La protezione dello spazio primario di vita è la seconda delle libertà menzionate nel Titolo I sui rapporti civili.

Libertà personale Dopo la solenne affermazione della inviolabilità della libertà personale, seguono quattro commi che individuano con puntualità le condizioni che permettono allo Stato (e solo ad esso) di limitare la libertà fisica della persona (detenzione, ispezione e perquisizione personale).

L’art 14 definisce due tipologie di garanzie. - La prima tipologia prevede il regime ordinario di tutela: “Non […] si possono eseguire ispezioni o perquisizioni o sequestri [nel domicilio], se non nei casi e modi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale”. - La seconda tipologia è prevista dal comma 3, dove si introduce una deroga al regime ordinario: “Gli accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità e di incolumità pubblica o a fini economici e fiscali sono regolati da leggi speciali” Come si può notare, la ragione di questa deroga risiede nella diversità di interessi che vengono tutelati (interessi pubblici che prevalgono su interessi di tipo economico della persona). Corrispondenza

Libertà e segretezza della corrispondenza L’.art 15 Cost completa la tutela della persona attraverso la sottoposizione ad una speciale garanzia dei modi con i quali si entra in contatto con altri soggetti specificamente individuati. Esso tutela, sotto il profilo soggettivo, due situazioni: quella di chi comunica e del destinatario che egli individua. Questa libertà deve essere intesa sia come diritto di ciascuno di comunicare con altri soggetti sia come diritto di ricevere, senza interferenze, tali comunicazioni. Quanto agli strumenti di garanzia, l’art. 15 prevede, al comma 2, una riserva di legge e di giurisdizione, con la particolarità, a differenza delle libertà fino ad ora esaminate, che in questo caso viene specificato che la legge deve prevedere le garanzie mediante le quali l’autorità giudiziaria può agire a limitazione di questa libertà. Per questo la riserva di legge può essere qualificata come “rinforzata”. 26 Scaricato da Sofia Civenni ([email protected])

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Circolazione e soggiorno

La libertà di circolazione e soggiorno La proiezione spaziale della vita della persona si completa con la previsione della libertà di circolare e soggiornare su tutto il territorio italiano e di espatriare. La libertà di circolazione e soggiorno si riferisce alla protezione contro quei provvedimenti obbligatori che pongono semplicemente dei limiti alla libertà di circolare e di soggiornare sul territorio della Repubblica o condizionano a determinati obblighi il diritto di lasciarlo o tornarvi. L’articolo è composto poi di due altre disposizioni. La prima prevede che sia impossibile determinare una restrizione per “ragioni politiche”. La seconda prevede un’altra libertà, quella di espatrio, garantita senza alcun limite specifico salvo l’adempimento “degli obblighi di legge”.

Riunione e associazione

Libertà di riunione e di associazione Introduce la parte dei diritti civili che hanno come oggetto l’agire di una collettività di persone. La libertà di riunione è disciplinata dall’art. 17 cost, in modo alquanto ampio, prevedendo solo il requisito che le riunioni si debbano svolgere in modo pacifico e senza armi. Dunque, sono libere le riunioni in luoghi privati e in luoghi aperti al pubblico; diversamente accade per le riunioni in luogo pubblico, per le quali occorre dare preavviso, affinché l’autorità possa verificare l’esistenza di “comprovati” motivi di sicurezza o di incolumità che possano giustificarne il divieto. N.b.: il preavviso non è un’autorizzazione. E’ semplicemente un obbligo notificare determinate informazioni alla pubblica autorità, e non è necessario che essa debba dare una risposta. Anche la libertà di associazione è alquanto ampia. Il collegamento tra singolo e associazione è il dato dominante della garanzia del comma 1 dell’art.18. “I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale”. Il diritto di associazione reca con sè, in primo luogo, il diritto a non associarsi. Un contenuto del tutto particolare ha la previsione del comma 2, che proibisce “le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare”. [Associazioni segrete: quelle che, anche all’interno di associazioni palesi, occultando la loro esistenza e i loro fini, svolgono attività diretta ad interferire sull’esercizio delle funzioni di organi costituzionali, amministrazioni pubbliche, anche ad ordinamento autonomo, di enti pubblici anche economici, nonché di servizi pubblici essenziali di interesse nazionale]; [Associazioni militari: quelle costituite mediante l’inquadramento degli associati in corpi, reparti o nuclei, con disciplina ed ordinamento gerarchico interno analoghi a quelli militari].

Manifestazione del pensiero

Libertà di manifestazione del pensiero Oggetto di tale diritto sono tutte le ipotesi di manifestazione del pensiero orali, scritte e espresse attraverso ogni possibile altro mezzo di comunicazione a una platea di destinatari indeterminata (comprendendo anche il pensiero altrui fatto proprio, fatti di attualità e notizie, così ricomprendendovi anche la libertà di informazione. Dunque, l’art 21 dedica la massima attenzione alla stampa. Per essa, la Costituzione individua tre principi fondamentali che formano l’architettura della sua libertà: 27 Scaricato da Sofia Civenni ([email protected])

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1) il divieto di sottoporre la stampa ad autorizzazioni o censure 2) l’obbligo di sottoporre la stampa a sequestro “soltanto per atto motivato dall’autorità giudiziaria nel caso di delitti o di assoluta urgenza ove non sia possibile il tempestivo dell’autorità giudiziaria”. In tali casi il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all’autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro è da intendersi revocato e privo di ogni effetto 3) la possibilità che il legislatore “imponga, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica”. Unico limite esplicito per tutte le forme di manifestazione del pensiero è il buon costume (interpretazione: senso del pudore e pubblica decenza legati essenzialmente alla sfera della morale sessuale). Rimangono esclusi da tale limite quelle azioni o fatti che si esauriscono nella sfera privata o che sono legati alla libertà di espressione artistica (art. 33 Cost). Accanto a questi diritti, si è poi evidenziata l’esistenza di un diritto di natura diversa, ma connesso strettamente con la libertà di manifestazione del pensiero: il diritto all’informazione. Dall’art 21 cost si può trarre il principio del pluralismo (pluralità delle fonti), frutto anch’esso di una lettura combinata di alcuni articoli (artt. 21, 41 e soprattutto 3). Esso tende ad assicurare effettività alla libertà di manifestazione del pensiero evitando che essa possa divenire una prerogativa esclusiva in capo a pochi soggetti. Sentenza n.826/1988: “[…] Sotto altro profilo, il pluralismo si manifesta nella concreta possibilità di scelta, per tutti cittadini, tra una molteplicità di fonti informative […] aventi caratteri eterogenei”. I diritti sociali

Cosa sono?

I diritti sociali Si trovano all’interno del titolo II e III della prima parte della Costituzione. Analizzando l’art. 2 Cost, abbiamo detto che la Costituzione italiana si caratterizza per una visione della persona titolare dei diritti come di un essere inevitabilmente “sociale”. Sono diritti sociali, quelli che nascono da bisogni della persona (salute, lavoro, educazione, assistenza, previdenza), e che trovano soddisfazione - in primo luogo - in quegli ambiti di vita sociale o comunitaria necessari al libero sviluppo della persona umana, fino a richiedere l’azione della Repubblica laddove sia necessario rimuovere gli ostacoli che impediscono tale piena e libera soddisfazione. In molti casi i diritti sociali comportano un intervento dei pubblici poteri che genera spesa pubblica.

Il diritto all’istruzione

Le norme costituzionali sull’istruzione sono contenute negli art. 33 e 34. Tra le norme in essi contenute, assume un primario valore la previsione dell’art. 33, che si riferisce alla libertà dell’arte e della scienza e del loro insegnamento.

Il diritto alla salute

L’art. 32 dichiara invece che “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interessa della collettività”. Il diritto alla salute è sia un diritto del singolo, sia un diritto della collettività (si pensi ad esempio al diritto alla salubrità dell’ambiente). Inoltre, il diritto alla salute riguarda sia i rapporti tra cittadino e potere pubblico (art. 32 Cost: la Repubblica ha il compito di garantire “cure gratuite agli indigenti”; comma 2: “Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario”), sia i rapporti tra privati (ad es. il risarcimento del cd. “danno biologico”, diminuzione del benessere psico-fisico prodotto dall’altrui azione illecita). Scaricato da Sofia Civenni ([email protected])

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I diritti e i doveri politici Cosa sono?

Il diritto di voto

I diritti politici Il titolo IV della prima parte della Costituzione è dedicato ai Rapporti politici. Esso comprende i diritti politici, ovvero quei diritti (artt. 48-51) mediante i quali i cittadini contribuiscono alla formazione della volontà dello Stato (diritto di voto, di associazione in partiti politici, di petizione, di accesso ai pubblici uffici), ma anche i doveri (artt. 52-54) che sono diretta attuazione del già richiamato art. 2, secondo il quale la Repubblica richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale (dovere di difesa della patria, obbligo di concorrere alle spese pubbliche, dovere di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione e delle leggi). Il diritto di voto è al tempo stesso definito dalla Costituzione un dovere civico (art. 48 Cost), nel senso che il suo adempimento non è un obbligo giuridico, ma risponde a un sentimento di appartenenza e partecipazione alla vita pubblica. Il diritto di voto spetta ai cittadini italiani che hanno raggiunto la maggiore età e che non siano incapaci civilmente, moralmente indegni secondo la legge o condannati con sentenza passata in giudicato. Il voto, per espressa previsione costituzionale, deve essere personale; uguale (ogni testa vale un voto); libero; segreto.

Art 49: i partiti politici

I partiti politici, giuridicamente parlando, non sono altro che associazioni alle quali l’art. 49 Cost riserva una tutela ulteriore rispetto a quella prevista all’art. 18 Cost. Ne sono dunque elementi costitutivi gli stessi elementi della libertà di associazione, non richiedendosi altro che pluralità di persone, organizzazione e scopo per la sua costituzione, stante la loro funzione di “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Il primo dato che emerge dalla disciplina costituzionale dei partiti, è il diritto di non iscriversi ad alcun partito, cosa non sempre scontata. Il secondo dato, consequenziale al primo, e derivante anche dal tenore letterale dell’. art 49 Cost, è il pluralismo di partiti, attraverso il quale impedire la minaccia di dar vita a uno Stato “monopartitico”.

I doveri costituzionali Cosa sono? Quali sono?

I doveri costituzionali Nella Costituzione esistono vari riferimenti ai doveri dei cittadini. La norma matrice di molti doveri previsti in Costituzione è l’art. 2, dove - come abbiamo visto in precedenza - si fa riferimenti ai “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Il primo dei doveri imposti nella Costituzione si trova nell’art. 4 comma 2, secondo il quale “ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società. Altri doveri sono previsti nell’art. 23 Cost. che fissa il principio per il quale “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”. Il principio sancito nell’art. 23 Cost. trova una specificazione immediata in due altre norme costituzionali: nell’ art. 52 che prevede il “dovere di difesa della Patria” e nell’art. 53 che prevede il dovere di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria “capacità contributiva”. L’ultima previsione relativa ai doveri è contenuta nell’art. 51, che disciplina il “dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi”. 29 Scaricato da Sofia Civenni ([email protected])

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Cos’è propriamente la cittadinanza?

I titolari dei diritti e dei doveri: cittadini e stranieri In molti articoli della Costituzione compare la parola “cittadini”. Ma cos’è effettivamente la cittadinanza? Tradizionalmente la cittadinanza è uno status cui l’ordinamento giuridico connette un insieme di diritti e di doveri. La Costituzione non disciplina come si acquista questo status, ma afferma che si tratta di materia riservata alla legge statale e sottratta a quella regionale, oltre ad affermare che “nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome”.

Come avviene l’acquisto della cittadinanza?

L’acquisto della cittadinanza può avvenire secondo due grandi criteri: lo ius soli e lo ius sanguinis, ovvero “diritto della terra” e “diritto del sangue”. Questi due “macro-criteri” sono bilanciati in maniera diversa nei diversi Stati.

Il caso italiano: …

La disciplina della cittadinanza in Italia L’acquisto della cittadinanza italiana avviene secondo due principali modalità: per fatto naturale oppure per fatto volontario. Fatto naturale è la nascita, che prescinde dalla volontà del soggetto cui viene attribuita automaticamente la cittadinanza. Fatto volontario, invece, vuol dire acquisto della cittadinanza italiana per richiesta, al ricorrere di certe condizioni.

…fatto naturale… Per quanto riguarda il fatto naturale: nella tradizione italiana, la regola portante è lo ius sanguinis: Si diventa cittadini italiani se si nasce da almeno un genitore cittadino (art.1 comma 1 legge 91/1992). [Vi sono casi particolari in cui si segue lo ius soli: figlio di ignoti, figlio di apolidi, o figlio di genitori cittadini di uno Stato che segue esclusivamente lo ius soli] … o fatto volontario.

Per quanto riguarda il fatto volontario, in Italia si hanno molteplici ipotesi: - coniuge di un cittadino o di una cittadina italiani, che dopo il matrimonio risieda legalmente da almeno due anni nel territorio italiano, oppure dopo tre anni dalla data del matrimonio se residente all’estero; - lo straniero nato in Italia, che vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età; - lo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica (quattro per cittadini UE). La legge del 1992: - consente anche il mantenimento della doppia cittadinanza - disciplina le cause per cui è prevista la perdita della cittadinanza (anche se ciò avviene, è molto facile riacquistarla)

Cos’è propriamente una nazione? Nazione etnos…

Dalla cittadinanza alla nazione Per nazione si intende un’entità pregiudica, costituita da una comunità umana caratterizzata da legami capaci di produrre unità. La nazione etnos fa riferimento a elementi di tipo materia come la lingua, la religione, la cultura, la storia, la razza, che esistono a prescindere da ogni aspetto volontaristico. Secondo l’art. 51, comma 2, la legge può, per l’ammissione a pubblici uffici e alle cariche elettive, parificare ai cittadini gli italiani non appartenenti alla Repubblica. L’altra norma di rilievo è l’art. 6 Cost., benché parli soltanto di minoranze linguistiche.

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… e nazione demos

La nazione demos fa invece riferimento all’elemento volontaristico. È costituita da quei soggetti che manifestano la volontà di vivere insieme, di condividere una serie di principi e di valori comuni, in altre parole di dar vita a una unità nazionale. Da un lato, sotto lo ius sanguinis c’è la volontà di far sì che il popolo coincida con la nazione etnos. Al contrario, attribuire la cittadinanza a chiunque nasca sul territorio (ius soli), indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori, vuol dire consentire agli immigrati di seconda generazione di diventare immediatamente cittadini. Gli ordinamenti a ius soli sono, quindi, più aperti dal punto di vista etnico e coincidono con Stati che hanno sperimentato una forte immigrazione, come gli Stati Uniti, il Canada, l’Australia. Tre profili evolutivi della cittadinanza …

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Capitolo 7 - La Costituzione economica Di cosa si occupa la Costituzione economica?

La Costituzione economica è l’insieme delle norme costituzionali che riguardano le posizione e le relazioni degli individui, intesi come soggetto economici. In primo luogo, considereremo quelli che vengono espressamente definite come “rapporti economici”.

La persona umana al centro dell’attenzione.

Riferimenti costituzionali Il lavoro e i diritti sociali connessi alla condizione lavorativa Gli articoli con sui apre il titolo III sui rapporti economici sono dedicati alla condizione dei lavoratori e alle connesse garanzie tipiche di una forma di Stato sociale. Anche all’interno della Costituzione economica, al centro dell’attenzione c’è la persona umana, in questo caso nella figura del lavoratore a cui debbono essere garantite delle condizioni minime vitali. Il lavoro in generale, trova un posto fondamentale nella nostra Costituzione, che sottolinea il valore fondante del lavoro inteso come “una attività o una funzione che concorre al progresso materiale o spirituale della società”, secondo la definizione data dalla stessa Costituzione all’art. 4, comma 2. Non è dunque il lavoro in quanto tale ad essere tutelato dall’art.1, ma il lavoro in quanto mezzo espressivo della persona umana e dunque fattore costitutivo della società e del suo benessere nel suo complesso.

Lavoro: sia diritto Esso costituisce un diritto senz’altro, ma anche un dovere. che dovere Le varie attività lavorative previste dal titolo III sono dunque da leggersi innanzitutto nell’ottica personalistica. Il costituente era ben consapevole che nella realtà economica, il lavoro dipendente rappresentava l’anello debole della catena lavorativa cui conferire dunque una maggior tutela. Si percepisce dunque un certo favor costituzionale per il lavoro dipendente che trova nell’articolo sullo sciopero (art. 40) la più manifesta espressione. Dell’art. 35, il comma 2 stabilisce che la Repubblica cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori. Il comma 3 stabilisce invece la promozione degli accordi e delle organizzazioni internazionali per l’affermazione dei diritti del lavoro. L’ultimo comma dell’articolo è invece dedicato alla libertà di emigrazione. L’assenza di lavoro

Parte della dottrina ha infine ipotizzato, quanto all’art. 35, che esso tuteli anche le situazioni di assenza di lavoro, una posizione economica di svantaggio per la quale il costituente ha approntato specifiche tutele all’art. 38. Indirizzi e limiti più specifici per la tutela del lavoro dipendente provengono dall’art 36 Cost, che costituisce il fondamento costituzionale della legislazione sule retribuzioni, sugli orari giornalieri, sui riposi e le ferie, rappresentanti dunque la norma basilare dello statuto giuridico del lavoratore. Le garanzie del lavoratore, pertanto, non possono essere solo garanzie sulla retribuzione, per quanto a questa sia riservato un comma specifico, ma anche garanzie di salute e di svago.

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Retribuzione del lavoratore

Secondo la Costituzione, al lavoratore deve essere garantita una retribuzione proporzionata al lavoro svolto. Tale proporzione avviene tramite il criterio minimo della sufficienza e dal criterio ragionevole della proporzione. Il primo riflette l’ottica solidaristica e dell’uguaglianza sostanziale, affinché il lavoratore e la sua famiglia non si vengano a trovare nella condizione di non poter vivere liberamente e dignitosamente. L’altro riflette l’ottica tipica dei rapporti “sinallagmatici”, cioè di quei rapporti contrattuali in cui le parti si scambiano beni (in questo caso lavoro e salario) con carattere di reciprocità. In una Costituzione in cui il valore della solidarietà è essenziale alla realizzazione della personalità umana, il limite minimo della sufficienza conferma una dimensione non solo contrattuale, ma anche sociale del lavoratore.

Le donne e i minori

L’art. 37 Cost, sempre nell’ambito della tutela del lavoro subordinato, ha per destinatari due categorie ritenute dagli ordinamento contemporanei particolarmente vulnerabili: le donne e i minori. La previsione di condizioni di tutela specifiche per costoro si giustifica in base all’obiettivo dell’uguaglianza sostanziale di cui all’art. 3, comma 2. Cost. L’art 37 ribadisce dunque che la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, la stessa retribuzione dell’uomo lavoratore. Prescrive inoltre che le condizioni di lavoro devono consentire alla donna lavoratrice l’adempimento della sua essenziale funzione familiare.

Previdenza e assistenza

L’ultimo articolo del titolo III dedicato al rapporto tra diritti economici e sociali è l’art. 38 Cost: in esso la connessione tra i due tipi di diritti emerge in modo particolarmente accentuato. Tale articolo introduce in effetti l’essenza della sicurezza sociale (diritti sociali di previdenza e assistenza) in un’ottica solidaristica. Ciò che viene preso in considerazione è la persona, intesa in modo “esistenziale”, come soggetto che, al di là dell’apporto dato, ha diritto a un’esistenza “libera e dignitosa”, in virtù del combinato del principio personalista, di quello solidaristico e di quello dell’uguaglianza sostanziale. L’art. 38 prevede anche il riconoscimento di misure previdenziali e assistenziali per i cd. “disoccupati involontari” (pensioni sociali, pensioni e assegni di invalidità, assegni di accompagnamento, indennità di frequenza per i minori invalidi”. L’aspetto più rilevante della previdenza è l’attribuire il diritto a una pensione “adeguata”: è adeguato quel trattamento previdenziale che sia in qualche modo proporzionato alla retribuzione ottenuta durante l’attività lavorativa ma che al tempo stesso non sia inferiore a un trattamento minimo. Distinto rispetto alla previdenza è il diritto all’assistenza, di carattere solidaristico, che si indirizza a tutti i soggetti. Strumenti di tutela e di partecipazione dei lavoratori Gli artt. 39,40 e 46 Cost. riconoscono ai lavoratori anche il diritto a partecipare alla politica economica o alle scelte aziendali. In particolare, primi due articoli riconoscono ai lavoratori il diritto di organizzazione sindacale e il diritto di sciopero.

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I sindacati

L’art. 39 Cost. sui sindacati è uno degli esempi più significativi di dissociazione tra una previsione costituzionale e la sua evoluzione. La mancata registrazione dei sindacati è da ritenersi ormai definitiva, e conseguentemente l’art. 39 Cost. inattuato nella sua parte prescrittiva.

Libertà sindacale

La libertà sindacale, infatti, deve anch’essa essere vista come libertà della persona, il cui esercizio è finalizzato a correggere le asimmetrie tra forze economiche. Si tratta dunque di un diritto di partecipazione alle scelte economiche e di politica del lavoro. L’inattuazione della registrazione dei sindacati ha comportato numerosi problemi relativamente all’efficacia del contratti collettivi. Essi servono a stabilire una regolamentazione minima del rapporto di lavoro, che i contratti aziendali e individuali dovranno rispettare. La dottrina ha in prevalenza ricondotto tali atti all’autonomia contrattuale privata. Dopo un primo momento in cui la dottrina aveva comunque giustificato il valore normativo dei contratti collettivi in quanto espressione dell’interesse collettivo, si è passati definitivamente all’idea che essi vincolano solo i soggetti iscritti alle associazioni stipulanti. É quindi ormai pacifico che i contratti collettivi, pur avendo in linea di principio efficacia inter partes, hanno in linea di fatto una sorta di efficacia erga omnes. Venendo meno la registrazione dei sindacati, il criterio che per lungo tempo ha prevalso nell’accreditamento dei sindacati alla contrattazione è stato quello della maggiore rappresentatività. Rispetto alla contrattazione collettiva, la concertazione si concretizza nella negoziazione sui contesti macroeconomici, piuttosto che sulle clausole contrattuali. Innestandosi nel procedimento di formazione delle scelte di politica economica, i sindacati entrano prepotentemente come attori politici, fino ad incidere, dall’inizio della vita repubblicana e in maniera imprevista per i costituenti, sulla legislazione statale.

Il diritto allo sciopero

L’art 40 Cost, riconosce il diritto di sciopero, ovvero il diritto all’astensione collettiva dal lavoro finalizzata al conseguimento di un comune interesse dei lavoratori. Al contrario, non è riconosciuto il diritto di “serrata” per i datori di lavoro. Tale scelta si giustifica con la “asimmetria dei ruoli” tra datore di lavoro e dipendenti e con la “asimmetria degli effetti” tra sciopero e serrata (da questa infatti deriva il blocco totale dell’attività lavorativa anche per volere di un solo datore di lavoro).

La collaborazione Secondo l’art. 46 Cost., i lavoratori hanno diritto di “collaborare, nei modi e nei dei lavoratori alla limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”. gestione delle aziende L’articolo in questione, dunque, rappresenta il “fratello minore” dell’art. 39 Cost. Tuttavia l’art. 46 Cost. resta da un punto di vista di principio un articolo importante. La sfortuna dell’articolo si deve ad almeno due ragioni. La prima, in ordine storico, è stata la scomparsa dei consigli di gestione.

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Il secondo motivo è invece dovuto all’affermarsi del modello sindacale. Libertà economica e diritto di proprietà

Impresa, proprietà e risparmio Cuore della Costituzione economica sono il diritto di iniziativa e economica e il diritto di proprietà. Previsti in generale agli artt. 41 e 42, trovano poi alcune specificazioni negli artt. 43 e 44 Cost. L’art. 41 e 42 cost., sono stati interpretati sia in chiave “socialista” che “liberale”. Ovvero, alla base dei due diritti economici vi era la convinzione che né il mercato potesse da solo garantire l’esercizio universale di tali diritti, né che la soluzione opposta della “collettivizzazione” della proprietà o dell’impresa potesse riuscire vincente. L’obiettivo del costituente era quello di consentire a tutti gli italiani una elevazione spirituale e materiale anche attraverso l’esercizio dei diritti economici, secondo gli artt. 2 e 3 Cost. Le libertà economiche sono dunque strumenti per la promozione della persona.

Libertà di iniziativa economica

Diritto di proprietà, libertà contrattuale, libertà di concorrenza

L’art 41 Cost. riconosce la libertà di iniziativa economica, in senso ampio come intrapresa economica, ovvero attività di impresa, come pure ogni attività occasione di chi utilizza la ricchezza per produrne di nuova. Ampi e pervasivi sono i limiti alla libertà di impresa, elencati al comma 2 dell’articolo: l’attività non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale, e non deve recare danno alla sicurezza, alla libertà, e alla dignità umana. È questo uno dei passaggi che più di altri hanno giustificato l’intervento dello Stato in economia. Il comma 3 dell’articolo affida alla legge la determinazione dei controlli e dei programmi affinché l’attività economica pubblica o privata sia indirizzata e coordinata a fini sociali. Questo passaggio giustifica a tal punto l’intervento dello Stato da ammettere il controllo delle attività economiche tramite la programmazione che è un forte strumento di controllo delle scelte di mercato, tipico di un’economia mista fortemente dirigista, in cui lo Stato può persuasivamente indirizzare e suggerire le scelte dei privati. In sostanza, al costituente interessa che l’iniziativa, pubblica o privata che sia, concorra alla ricchezza materiale e spirituale del paese. L’attività economica, infatti, sia privata che pubblica, deve sottostare a regole comuni che limitano la direzione politica dello sviluppo economico e costituiscono il parametro di condotta anche per l’attività economica pubblica. La programmazione e l’intervento diretto in economia possono sembrare oggi eccessivi, ma nelle pieghe dell’articolo si possono anche leggere alcuni principi ritenuti fondamenti nel mercato unico, come il diritto di proprietà e la libertà contrattuale, senza i quali l’iniziativa economica non potrebbe essere esercitata, e forse anche la libertà di concorrenza. L’art. 43 Cost. si pone in continuità logica con le previsioni dell’art. 41. L’articolo infatti consente la riserva originaria o il trasferimento allo Stato, a enti pubblici o a continuità di lavoratori o utenti di determinate imprese o categorie di imprese. Troviamo qui una duplice condizione: il perseguimenti di fini di utilità generale e l’oggetto dell’attività economica, individuato in “servizi pubblici essenziali”, “fonti di energia” o “situazioni di monopolio che abbiano carattere preminente di interesse generale”. 35 Scaricato da Sofia Civenni ([email protected])

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L’intervento pubblico nell’economia ha storicamente seguito anche un’altra via: quella della creazione di enti pubblici incaricati di acquisire e gestire partecipazioni in società private. La proprietà nello La proprietà, dunque, che l’art. 42 individua come pubblica o privata, è specifico… riconosciuta e garantita dalla legge, allo scopo di assicurarne, appunto, la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. Il diritto di proprietà, insomma, non è un diritto assoluto né tanto meno inviolabile, ma graduabile a seconda della sua funzione. La tipologia più rilevante di limitazione è costituita dall’espropriazione. Abbiamo tre diverse condizioni affinché possa aver atto un’espropriazione: - la presenza di un titolo espropriativo - la sussistenza di un interesse generale che deve essere esplicitato nella legge - l’obbligo di indennizzo. Di una particolare proprietà privata, quella terriera, tratta specificamente l’art. 44 Cost. I costituenti vollero tenere distinte la proprietà e le attività agricole rispetto agli artt. 41 e 42 Cost. e vollero indicare al legislatore, con sufficiente precisione, non solo l’oggetto della riforma agraria, ma anche le finalità. Il risparmio

La Costituzione dedica inoltre un articolo — il 47 — ad una forma particolare di proprietà: il risparmio. Il risparmio viene ritenuto una modalità di garanzia degli investimenti e uno strumento di distribuzione della proprietà e della ricchezza. Un “altro modo” di fare impresa: cooperative e artigiani: La Costituzione prevede anche una sorta di “terza via” tra i due poli del dirigismo economico e del libero mercato, basati sulla formula “cooperativa” e sull’”artigianato”.

La cooperativa

La cooperativa rappresenta un’ipotesi specifica di partecipazione e gestione dei lavoratori all’impresa. L’art. 45 riconosce “la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata”. Piuttosto, in esse centrale è l’elemento personale, a fronte di una minore rilevanza di quello patrimoniale. Perché il modello cooperativo sia rispettato, la Costituzione richiede la presenza di due elementi: il carattere di mutualità (ovvero che ha come scopo la fornitura ai soci di quei beni o servizi per i quali è sorta) e l’assenza di fini di speculazione privata (da intendere non in senso stretto: le coop possono bene avere come fino quello della redistribuzione economica; è vietato invece l’intento del singolo socio di realizzare un suo utile personale rispetto agli altri).

L’impresa artigiana

Un altro modello di iniziativa economica a cui la Costituzione, nel medesimo art. 45, riconosce una posizione di favore è l’impresa artigiana. Tale elemento è dato dall’apporto lavorativo dei titolari dell’impresa, che sono al tempo stesso gli artigiani che vi lavorano.

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La Costituzione fiscale

Il fisco e la finanza pubblica Gli artt. 23, 53 e 119 compongono quella che può essere definita “Costituzione fiscale”. Si tratta di una parte della Costituzione economica diretta ad incidere sul patrimonio economico dei soggetti dell’ordinamento, spostando flussi finanziari da questi allo Stato, con la finalità di contribuire alle spese pubbliche. La Costituzione fiscale, benché scarna di contenuti, divenne in realtà il punto di snodo tra Costituzione economica e sociale. L’art 23 Cost., come anticipato nel cap. VI, par. 5, prevede che lo Stato possa attraverso la legge imporre al cittadino sia l’obbligo di prestazioni personali che di prestazioni patrimoniali. In primo luogo, la prestazione patrimoniale si giustifica nell’ottica solidaristica. La riserva di legge, più che presuntiva della volontà generale, sarebbe garanzia che le modalità di distruzione dei carichi impositivi siano effettuate in seguito a una ponderazione in Parlamento. L’art. 119, infatti, riconosce espressamente una autonoma capacità impositiva delle regioni, salva la competenza dello Stato a fissare i principi fondamentali del coordinamento tributario. I tributi che le regioni possono istituire con legge sono tributi regionali e locali. Per evitare un’eccessiva disparità di trattamento tra gli enti, l’articolo prevede comunque l’esistenza di un conto perequativo statale per i territori con minore capacità fiscale per abitante e di risorse aggiuntive statali, se necessarie.

Obbligo di contribuzione…

L’art. 53 Cost. completa la “costituzione fiscale” e esplicita l’obbligo di contribuzione come categoria delle prestazioni patrimoniali. Quello di concorrere alle spese pubbliche è innanzitutto ritenuto dal costituente un dovere, da esercitare secondo due parametri: la capacità contributiva e il criterio della progressività.

… in relazione alla capacità contributiva

Con la capacità contributiva, il costituente intende affermare che presupposto del pagamento dei tributi deve essere l’esistenza di eventi che possono aver conferito una certa forza economica al contribuente, e che, generando ricchezza, debbono rimanere per una parte nella sua disponibilità.

Progressività del fisco

La soglia di indisponibilità per l’erario statale viene misurata dal legislatore col criterio della progressività, che determina il rapporto di parte a tutto tra la quota destinata all’erario e la quota di ricchezza lasciata al contribuente. Si tratta di un principio non di giustizia formale, ma di giustizia tributaria, riconducibile alla solidarietà collettiva. I due parametri trattati sono parametri di cui solo un controllo di ragionevolezza consente di determinare l’adeguatezza. [Considerazioni finali: La legge costituzionale n.1/2012 introdusse nella Costituzione il cd. “principio del pareggio di bilancio”. Tale principio era infatti assente nella Costituzione, ed era uno dei motivi per cui la parte “fiscale” e “monetaria” della Cost. è stata talvolta considerata laconica o carente.]

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La Costituzione economica come norma sugli obiettivi: l’adeguamento del dettato costituzionale alle evoluzioni economico-finanziarie e al diritto europeo. Il Costituente non ha inteso scegliere un modello economico preciso, quanto piuttosto garantire l’obiettivo finale fissato dal principio personalista ex art. 2 Cost. col principio di uguaglianza sostanziale ex art. 3, comma 2 Cost. Proprio un tale rapporto flessibile tra intervento pubblico e libera iniziativa economica è stato ciò che ha permesso alla nostra Costituzione di restare coerente e immodificata, nonostante lo sviluppo di un diritto dell’economia internazionale e comunitario. Fino agli anni 90, infatti, lo Stato è intervenuto con vigore sia in via diretta, sia in via indiretta. Gli interventi diretti e indiretti dello Stato

Quanto agli interventi diretti, un apposito ministero si occupava delle “partecipazioni statali”: o lo Stato estive il settore direttamente, tramite enti che fossero organi del ministero competente, oppure tramite enti di gestioni di cui aveva il controllo. Tra gli interventi indiretti, invece, si annoverano innanzitutto i finanziamenti che consistevano in contributi a fondo perduto. In generale, qualsiasi forma di programmazione, generale o settoriale, è un modo di intervento indiretto, così come ogni attività di pianificazione e indirizzo. In definitiva, il condizionamento pubblico del mercato, che culminò negli anni Settanta con il controllo delle banche, l’IRI e la pletora di enti pubblici economici, rappresentò il frutto di precise scelte di politica economica, dettate dalla cultura politica, dalla situazioni economica e, certo, dallo spiriti “welfarista” della forma di Stato — piuttosto che attuazione a rime obbligate della Costituzione, che — come ripetuto — avrebbe ben potuto essere diversa.

Il Trattato CEE: verso una forma di neoliberismo

L’adesione al Trattato CEE e le sue successive modifiche hanno fatto virare la Costituzione economica dell’Italia verso una forma di neoliberismo. Strumentali a tale obiettivo sono le “quattro libertà” di circolazione delle persone, dei servizi, delle merci e dei capitali. La libertà di concorrenza diviene dunque una nuova pietra miliare della Costituzione economica, creando un sistema economico assai regolato, ma in un senso differente rispetto al governo dell’economia fino a quel momento conosciuto in Italia.

-> Divieto di aiuti Da un lato, il divieto di aiuti di Stato e l’obbligo di apertura dei mercato hanno di stato provocato la questione della compatibilità dei monopoli pubblici e degli interventi diretti dello Stato. -> Principi di D’altra parte, i principi di rigore finanziario, introdotti dall’Europa hanno rigore finanziario imposto un risanamento dei conti pubblici e un controllo dell’equilibrio finanziario che hanno obbligato gli Stati con un disavanzo enorme, come l’Italia, a cercare di fare cassa anche attraverso la cessione delle proprie partecipazioni azionarie. L’inglobamento della politica monetaria tra le competenze europee ha chiuso infine la possibilità per gli Stati di utilizzare la leva inflazionistica per abbassare nominalmente i debiti. 38 Scaricato da Sofia Civenni ([email protected])

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Le scelte di politica monetaria, dunque, specie per i diciassette paesi che hanno adottato l’euro, sono sottratte alla competenza degli Stati dell’UE. -> Privatizzazioni La privatizzazione degli enti pubblici economici e la liberalizzazione dei mercati e liberalizzazioni hanno dunque rappresentato una necessità per il risanamento pubblico ma anche un obbligo nei confronti del sistema comunitario. -> Funzione regolata ed arbitrale (non più programmazione ed intervento diretto)

Le regole comunitarie chiedono un sempre maggior spostamento del ruolo delle autorità pubbliche in economia da una funzione di programmazione e intervento diretto ad una funzione regolata ed arbitrale. Anche queste nuove regole, per quanto non espressamente previste dalla nostra Costituzione, non si pongono in contrasto con il modello economico ivi disegnato, se è vero, come abbiamo detto più volte, che i costituenti non sposarono un preciso modello economico, ma lasciarono alle future maggioranze la scelta tra i più diversi mezzi per realizzare il fine prescritto di un giusto equilibrio tra benessere sociale e libertà economica, a patto che vengano comunque tutelati i principi supremi, ovvero la dignità della persona umana e il principio di uguaglianza e solidarietà. La conferma di questa impostazione viene dal valore costituzionale principio di sussidiarietà. Tale principio giustifica l’intervento pubblico nell’economia solo se e fino a dove è necessario ad aiutare gli individui, sia come i singoli sia come corpo sociale, nel loro sforzo di costruire una società più sviluppata, fiorente e, in definitiva, più giusta e umana. La sussidiarietà è il criterio di individuazione di quel giusto equilibrio che spesso è stato definito, in quanta alla Costituzione economica, come modello misto.

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Capitolo 8 - Le forme di Governo Definizione Forma di governo La forma di governo indica le modalità con le quali la funzione di indirizzo politico è ripartita tra gli organi costituzionali e le relazioni che intercorrono tra questi. Funzione di Per funzione di indirizzo politico si intende la determinazione delle finalità da indirizzo politico perseguire da parte dei poteri pubblici in un preciso momento storico. Negli Stati provvisti di una Costituzione rigida non si tratta di una funzione libera, in quanto essa trova il suo quadro di riferimento e i suoi limiti nella Costituzione. Già dalla definizione è evidente che il concetto di forma di governo è strettamente legato a quello di forma di Stato: quando tutti i poteri sono concentrati in un unico soggetto, la forma di governo finisce per coincidere con la forma di Stato. Già dalla definizione è evidente che il concetto di forma di governo è strettamente legato a quello di forma di Stato: quando tutti i poteri sono concentrati in un unico soggetto, la forma di governo finisce per coincidere con la forma di Stato. La forma di governo costituzionale pura

Un modello storico: la forma di governo costituzionale pura La forma di governo costituzionale pura prevede una netta separazione dei poteri: al re e al suo Governo spetta il potere esecutivo, al Parlamento il potere legislativo, alla magistratura il potere giudiziario.

Forma di governo Un modello estremamente flessibile: la forma di governo parlamentare parlamentare La forma di governo parlamentare deriva da quella costituzionale pura, della quale è diretto discendente. È la forma di governo nella quale il Governo è legato al Parlamento da un rapporto di fiducia. La fiducia passa quindi ad essere, da elemento costitutivo del rapporto tra re e ministri, a elemento costitutivo del rapporto tra Governo e Parlamento. In conseguenza di tale evoluzione, si venne a determinare una situazione nella quale il Governo aveva una “doppia fiducia” essendo legato sia al Parlamento che al re (forma di governo parlamentare dualista). Fu soltanto in un momento successivo che giunse a maturazione la forma di governo parlamentare monista: “Il re regna, ma non governa”; in essa il re perde ogni possibilità di incidere sulla composizione del Governo. Agli inizi del XX secolo, e soprattutto dopo la Prima guerra mondiale, i Parlamenti si trasformarono in un luogo dove si proiettava il conflitto sociale così che divenne sempre più difficile assicurare la stabilità governativa. Razionalizzazione Si arrivò così alla razionalizzazione, ossia la scrittura nella Costituzione delle (scrittura nella regole sul rapporto di fiducia che, fino a quel momento, si erano sviluppate costituzione delle soltanto nella prassi. regole sul rapporto di Germania e Spagna hanno introdotto regole incisive. In particolare è stata fiducia) valorizzata la figura del primo ministro o cancelliere, che è l’unico destinatario della fiducia e che propone la nomina e la revoca dei ministri al capo dello Stato. Per questo motivo tale forma di governo viene a volte definita anche Cancellierato/ cancellierato o premierato. Inoltre, per assicurare la stabilità dell’Esecutivo, è premierato prevista la mozione di sfiducia costruttiva, secondo la quale il Parlamento può votare la sfiducia al primo ministro solo se ne elegge contestualmente un altro.

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Forma di governo Tra le forme di governo parlamentari razionalizzate troviamo anche quella neoparlamentare definita “neoparlamentare”: una forma di governo basata sulla elezione diretta del vertice dell’esecutivo, che però è al contempo vincolato dal rapporto di fiducia con l’assemblea legislativa. I due organi, vertice dell’esecutivo e assemblea legislativa, sono legati dal principio aut simula stabunt, aut simula cadent, per cui se uno dei due per qualche motivo viene meno, anche l’altro è costretto a dimettersi e si torna a votare contestualmente per entrambi. Tale forma di governo è stata adottata in Italia con buoni risultati nei comuni e nelle province fin dal 1993 e successivamente, a partire dal 1995, per le regioni. Governo presidenziale (USA)

Un modello difficilmente imitabile: la forma di governo presidenziale La forma di governo presidenziale fu introdotta negli Stati Uniti d’America alla fine del XVIII secolo. Il Presidente della Repubblica non è solo capo dello Stato, ma anche capo del governo. L’esecutivo è quindi monocratico, anche se il Presidente si avvale dei segretari di Stato, che svolgono una funzione simile a quella dei ministri, ma non rispondono al Parlamento, bensì al presidente che, come li ha nominati, così li può revocare. Il fatto che il Presidente, che detiene il potere esecutivo, sia direttamente investito dal popolo rende superfluo l’istituto della fiducia tra Governo e Parlamento. Il Parlamento ha un potere di inchiesta, di solito esercitato dalle commissioni parlamentari. Il Presidente, il vicepresidente e tutti i titolari di cariche pubbliche possono essere messi in stato d’accusa dal Congresso tramite l’impeachment. Si tratta di un istituto che non ha valenza penale ma è volto esclusivamente alla destituzione dall’ufficio. Inoltre, tutte le nomine che il Presidente può compiere sono soggette a ratifica da parte del Senato, che può in tal modo incidere profondamente sulle scelte del Presidente. Esistono poi meccanismi attraverso i quali il Presidente può influire sull’esercizio delle funzioni del Congresso: il principale è il veto presidenziale sulle leggi, che può essere motivato da obiezioni sia di legittimità sia di merito.

Un modello intermedio: la forma di governo semipresidenziale Governo La forma di governo semipresidenziale prevede l’esistenza di un Presidente semipresidenziale dotato di rilevanti poteri e di un Governo responsabile davanti al Parlamento, che (Francia) comporta inevitabilmente un carattere bicefalo del potere esecutivo. Governo direttoriale (Svizzera)

Un modello unico: la forma di governo direttoriale La caratteristica della forma di governo direttoriale è quindi l’assenza di figure monocratiche di rilievo costituzionale e la divisione del potere politico tra un Parlamento eletto e un Governo che svolge sia le funzioni di Esecutivo che di capo dello Stato. In Svizzera, infatti, accanto al Parlamento eletto a suffragio universale vi è un direttorio composto da sette membri, che vengono eletti al Parlamento ma non sono da questo revocabili.

I diversi sistemi elettorali

Sistemi elettorali e forme di governo Esiste un legame fondamentale tra le forme di governo e i sistemi politici che a loro volta sono profondamente influenzati dalle diverse legislazioni elettorali.

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La parte centrale della legislazione elettorale è il sistema elettorale, ossia il meccanismo volto a trasformare i voti in seggi.

Maggioritario Turno unico o doppio turno

Proporzionale

Soglia di sbarramento e premio di maggioranza Governo regionale e locale

I sistemi elettorali si dividono in due grandi famiglie: quelli maggioritari e quelli proporzionali. Un sistema è maggioritario quando chi ottiene più voti all’interno della circoscrizione conquista tutti i seggi assegnati alla circoscrizione stessa. Tra i sistemi maggioritari si collocano, oltre ai sistemi a turno unico, quelli a doppio turno. Se la percentuale richiesta non viene raggiunta, si effettua una seconda votazione a breve distanza dalla prima, detta ballottaggio. Di norma, il sistema maggioritario consente di individuare, a seguito delle elezioni, una chiara maggioranza politica. I sistemi proporzionali, invece, prevedono circoscrizioni più “grandi”: i seggi sono attribuite alle liste in proporzioni ai voti ottenuti. Il sistema proporzionale assicura una tendenziale corrispondenza tra l’organo elettivo e la volontà popolare espressa dai voti. In assenza di una maggioranza chiara risultante dalle elezioni, è necessario formare governi di coalizione, sovente molto instabili. Per cercare di minimizzare i difetti dei due sistemi sono stati elaborati, con operazioni di “ingegneria elettorale”, sistemi misti. I correttivi più utilizzati sono la soglia di sbarramento e il premio di maggioranza. La forma di governo regionale e locale La riforma costituzionale ha lasciato aperte alle regioni due possibili opzioni. Nel caso in cui la regione scelga l’elezione diretta del presidente della giunta, essa deve obbligatoriamente accettare la regola dell’aut simula stabunt, aut simul cadunt, secondo la quale, come si è detto, il venir meno del rapporto fiduciario fra consiglio e presidente determina automaticamente lo scioglimento degli organi regionali e l’indizione di nuove elezioni. Se invece la regione opta per l’elezione indiretta del presidente e dell’esecutivo regionale, che vengono eletti dal consiglio, la formula simul…simul non sussiste e la forma di governo rimane nell’alveo di quella parlamentare. Attualmente, tutte le regioni hanno optato per la prima soluzione. Gli organi necessari della regione sono il presidente, la giunta e il consiglio.

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Capitolo 9 - Il circuito della decisione politica

Cos’è il circuito della decisione politica?

Premessa Nello Stato costituzionale, come si è detto, il principio della separazione dei poteri si sviluppa attraverso due distinti “circuiti”: il circuito della decisione politica e quello delle garanzie. Il “circuito della decisione politica” è il processo attraverso il quale la funzione di indirizzo politico si forma e si attua. Fanno parte di questo circuito innanzitutto Parlamento e Governo, nonché il Presidente della Repubblica. Quest’ultimo è un organo di difficile classificazione, in quanto svolge una funzione che lo pone in qualche modo al confine tra i circuiti della decisione politica e delle garanzie. Per perseguire il proprio indirizzo politico il Governo si avvale dell’amministrazione pubblica statale.

Il Parlamento Il Parlamento Definizione Il Parlamento è l’organo legislativo dello Stato italiano, costituito da due assemblee la cui funzione principale, sebbene non l’unica, è quella legislativa (artt da 55 a 82). Il Parlamento Italiano e la sua composizione

Come funziona il nostro parlamento?

Proroga o prorogatio?

Il Parlamento nella Costituzione La nostra Assemblea costituente ha optato per un sistema bicamerale di tipo perfetto. In base all’art. 55 Cost. il Parlamento “si compone della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica”. Sono due camere elette a suffragio universale diretto, dotate di pari funzioni, ma con composizione differente: un diverso numero dei membri elettivi (630 deputati, 315 senatori, cui si aggiungono cinque senatori a vita), una differenza nell’elettorato attivo e passivo (Camera: maggiore età — oggi 18 anni — per l’elettorato attivo e 25 per l’elettorato passivo; Senato: 25 anni per elettorato attivo e 40 elettorato passivo), una disuguaglianza nella formazione delle circoscrizioni elettorali (la Camera eletta su base nazionale, il Senato su base regionale). L’organizzazione e il funzionamento è lasciata ad altre fonti (regolamenti parlamentari, consuetudini e prassi). Furono i costituenti stessi ad optare per una disciplina costituzionale agile, che sfuggisse alla descrizione dettagliata delle funzioni parlamentari. Per questo motivo l’art. 64 Cost. stabilisce che ciascuna delle due assemblee elettive deve dotarsi di un proprio regolamento. La Costituzione stabilisce direttamente alcuni principi circa l’organizzazione e il funzionamento delle Camera. Innanzitutto, ciascuna Camera dura in carica cinque anni. Per l’art 88 Cost, il PdR può sciogliere anticipatamente le Camere. Esse possono anche essere prorogate, ma soltanto in caso di guerra. Netta è la differenza tra la proroga, prevista in tale norma, e la prorogatio (art 61 comma 2; serve per evitare discontinuità nel periodo che intercorre tra lo scioglimento delle Camere e le nuove elezioni, perciò “finchè non siano riunite le nuove Camere sono prorogati i poteri delle precedenti”; poteri, tuttavia, limitati alla ordinaria amministrazione). La Costituzione indica un numero minimo di sedute ordinarie e la possibilità per ciascuna Camera di riunioni straordinarie. La Costituzione prevede il principio della pubblicità delle sedute (Nel complesso, possiamo dire che, tra i diversi organi costituzionali, il Parlamento è l’unico che agisce in modo realmente trasparente (rispetto alle commissioni ecc). 43 Scaricato da Sofia Civenni ([email protected])

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Maggioranze semplici e maggioranze qualificate

Ineleggibilità e incompatibilità

Le immunità parlamentari:

Insindacabilità

Inviolabilità

Il parlamento in seduta comune

In Assemblea è necessaria la presenza della maggioranza dei componenti per la validità delle sedute, mentre le decisioni sono assunte con la maggioranza dei presenti. Il quorum funzionale coincide con la maggioranza semplice. La Costituzione può stabilire maggioranze più elevate, dette maggioranze qualificate: tra queste rientra anche la maggioranza assoluta. Lo status del parlamentare I parlamentari godono di un insieme di diritti e doveri inerenti alla carica che formano il nucleo specifico del proprio status. Non si tratta di privilegi, ma di misure volte a garantire il libero adempimento della funzione svolta. A questo proposito la Costituzione stabilisce che sia la legge a determinare i casi di ineleggibilità e incompatibilità con l’ufficio di deputato e senatore (si tratta di casi volti ad impedire che l’eletto eserciti contemporaneamente funzioni tra loro inconciliabile). Tuttavia l’art. 66 Cost. sancisce che ciascuna Camera giudica i “titoli di ammissione dei suoi componenti” rimettendo pertanto il controllo sul rispetto di tali norme alla volontà delle maggioranze politiche, anziché ad un giudice indipendente. Ciò costituisce un unicum nel diritto comparato, in quanto gli altri Stati contemporanei affidano tale funzione a giudici indipendenti. In deroga al diritto comune sono previste anche garanzie, le immunità funzionali (insindacabilità e inviolabilità), finalizzata ad affermare la più assoluta indipendenza dei singoli parlamentari e del collegio a cui appartengono rispetto a tutti gli altri poteri dello Stato. L’insindacabilità (art 68 comma 1 Cost) afferma che “i membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni”. Le previsioni dell’art 68 comma 1 Cost. devono essere lette in stretto rapporto con le norme dell’art. 67 Cost. che vieta il cd. mandato imperativo: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. Il divieto di mandato imperativo implica anche la garanzia della libertà dei parlamentari dai partiti o dai movimenti politici che li hanno candidato e con i quali sono collegati. Questa norma consente pertanto che i parlamentari transitino verso partiti o coalizioni diversi da quelli nei quali sono stati eletti, un fenomeno che viene definito transfughismo. L’inviolabilità, invece, è disciplinata dall’art 68 comma 2 Cost., il quale stabiliva che per sottoporre il parlamentare a processo penale occorreva un’autorizzazione da parte della Camera di appartenenza. Con la modifica del 1993, tuttavia, nell’art 68 Cost compare solo l’immunità dagli arresti e dalle perquisizioni, mentre è possibile avviare procedimenti penali nei confronti di un deputato o di un senatore. Il Parlamento in seduta comune L’art. 55 comma 2 Cost. parla del Parlamento in seduta comune, un organo collegiale composto da tutti i parlamentari per lo svolgimento di funzioni tassativamente individuate nella Costituzione. Esso è presieduto dal Presidente della Camera.

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Cosa fa?

Le competenze che le fonti costituzionali enumerano sono le seguenti: a) Per l’art 83 comma 1 Cost. elegge il PdR (il collegio viene integrato anche dai delegati regionali). b) Per l’art 135 comma 1 Cost. elegge un terzo dei membri della Corte costituzionale c) Per l’art 104 comma 4 Cost. elegge un terzo dei membri del Consiglio superiore della magistratura d) Per l’art 90 comma 2 Cost. ha la competenza a mettere in stato di accusa il PdR e) Per l’art 135 comma 7 Cost. provvede alla formazione e all’aggiornamento della lista di 45 nomi tra cui vengono sorteggiati i 16 giudici non togati che si affiancano alla Corte costituzionale in sede di giudizio sui reati del PdR.

L’organizzazione delle Camere.

L’organizzazione delle Camere: presidenti, gruppi, commissioni e giunte Organi fondamentali delle due Camere sono innanzitutto il presidente e l’ufficio di presidenza (chiamato consiglio di presidenza al Senato), la conferenza dei presidenti dei gruppi, i gruppi, le giunte, le commissioni permanenti, le commissioni bicamerali e le commissioni speciali.

Di cosa si occupa l’ufficio di presidenza e da chi è composto? I gruppi parlamentari

La cd “capigruppo”

Le giunte Le commissioni permanenti

Il primo degli atti da compiere nella prima seduta è l’elezione del presidente e dei componenti dell’ufficio di presidenza. Il presidente ha anzitutto il compito di rappresentare all’esterno la Camera e di esprimerne la volontà, dirige i lavori, assicura il corretto svolgimento di questi nel rispetto della Cost e del regolamento. Una delle funzioni più importanti che svolgono i presidenti di assemblea riguarda la definizione del calendario dei lavori parlamentari. Quanto alla loro elezione, si richiedono maggioranze qualificate e successivamente la maggioranza assoluta. Subito dopo vengono scelti i quattro vicepresidenti. L’ufficio di presidenza è un organo con compiti amministrativi di disciplina interna e di natura politico-organizzativa. L’ufficio è composto, oltre che dal presidente, dai vicepresidenti, dai questori, che sovrintendono alla organizzazione interna e al bilancio interno delle Camere, e dai segretari. Il successivo adempimento è quello della costituzione dei gruppi parlamentari. Essi non sono veri e propri organi e non agiscono nell’interesse delle Assemblee, ma nell’interesse proprio. I gruppi sono la proiezione dei partiti o dei movimenti politici in seno alle Camere. I regolamenti prevedono, infatti, che ciascun parlamentare debba appartenere obbligatoriamente ad un gruppo. Per tale ragione coloro che non esprimono una preferenza sono costretti ad iscriversi al gruppo misto. La conferenza dei presidenti dei gruppi è l’organo collegiale la cui funzione principale è di predisporre il programma e il calendario dei lavori. Per tradizione alcuni organi interni delle Camere si chiamano giunte: si tratta di articolazioni interne che si occupano del corretto funzionamento delle Camere e dello status dei parlamentari. Le giunte più importanti sono: quella per il regolamento, la giunta delle elezioni, la giunta per le autorizzazioni a procedere. Le commissioni permanenti, un’ulteriore tipologia di articolazione interna, svolgono funzioni essenziali e costituzionalmente necessarie. Al pari delle giunte, sono organi monocamerali. Attualmente sono previste quattordici commissioni permanenti tanto alla camera quanto al Senato e si distinguono in relazione alla materia trattata.

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Di cosa si occupano le commissioni permanenti

Le funzioni delle commissioni permanenti possono essere raggruppate in quattro tipologie. Le prime tre riguardano il procedimento legislativo, mentre la quarta ha a che fare con il ruolo politico di questi organi. Quanto è presentato un disegno o progetto di legge, le commissioni hanno: a) il compito di rielaborarne il testo (in questa sede prendono il nome di commissione in sede referente). b) su incarico del presidente, con assenso dell’Assemblea, il compito di deliberare una legge al posto dell’Assemblea (commissione in sede deliberante o legislativa); tuttavia questo compito non può essere affidati per alcuni specifici oggetti legislativi che sono riservati all’Assemblea (materia costituzionale ed elettorale, di delegazione legislativa, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali, di approvazione di bilanci e consuntivi). c) su incarico dell’Assemblea, possono redigere definitivamente e approvare gli articoli di un progetti di legge (commissione in sede redigente), tuttavia il voto finale spetta all’aula.

Infine vi è il quarto gruppo di funzioni, di indirizzo e di controllo. Al loro interno, infatti, si può anche sviluppare un dibattito politico. Le commissioni Accanto alle commissioni permanenti vi è la possibilità di istituire commissioni speciali… speciali, o ad hoc, composte sempre in modo proporzionale ai gruppi parlamentari. … monocamerali Anzitutto possono esistere commissioni monocamerali o bicamerali, esse o bicamerali svolgono compiti molto delicati connessi a settori importantissimi della vita costituzionale. Un particolare tipo di commissioni ad hoc con funzioni molto specifiche è previsto dall’art 82 Cost, che permette alle Camere di “disporre inchieste su Commissioni di materie di pubblico interesse”. Tali commissioni di inchiesta, procedono “alle inchiesta indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell’autorità giudiziaria (art 82 comma 2 Cost). Tuttavia la loro attività non si conclude con una sentenza ma con una relazione. Quali sono le funzioni del Parlamento?

Funzione normativa

Le funzioni del Parlamento Nel vasto insieme delle attribuzioni del nostro Parlamento possono essere identificate le seguenti funzioni: a) normativa b) di indirizzo c) di informazione e controllo I Parlamenti non hanno più il monopolio della funzione legislativa, sia perché oggi la condividono con altri soggetti come il Governo, le regioni, l’UE ma anche perché il Parlamento oggi ha acquisito nuove funzioni. Chiameremo sinteticamente funzione normativa quell’insieme di attività in cui il Parlamento produce, o contribuisce a produrre, “norme” giuridiche di diverso grado (e non solo leggi). Il punto di partenza per l’analisi di questa funzione è certamente l’art 70 Cost, nel quale si legge: “la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”. Oltre al potere di approvare le leggi ordinarie, le Camere esercitano il potere di approvare le leggi costituzionali e di revisione costituzionale secondo il procedimento previsto nell’art. 138 Cost.

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Ulteriore esempio di esercizio della funzione normativa è il potere che ciascuna Camera ha di approvare il proprio regolamento interno che disciplina l’organizzazione. In base all’art 64 Cost, come si è detto, i regolamenti sono adottati a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera. Infine, espressione della funzione normativa parlamentare sono anche i pareri obbligatori che le Camere sono chiamate a dare nel procedimento di approvazione dei decreti legislativi. Funzione d’indirizzo: mozione

risoluzione

ordine del giorno

Il Parlamento esercita poi la funzione di indirizzo nei confronti del Governo, caratteristica della forma di governo parlamentare. I regolamenti delle camere prevedono tre tipi di atti di indirizzo: le mozioni, le risoluzioni e gli ordini del giorno. La mozione è il più rilevante degli atti di indirizzo. Consiste in un documento concernente tutti o determinati aspetti dell’azione del Governo, che l’Assemblea è chiamate a delibare. Possiamo richiamare la mozione di fiducia, cioè l’atto con il quale viene concessa la fiducia al Governo, e la mozione di sfiducia, l’atto con il quale si mette fine al rapporto fiduciario. Molto simile alla mozione è la risoluzione, un atto di indirizzo utilizzabile anche da un singolo parlamentare con il quale le commissioni e l’Assemblea possono esprimere il loro punto di vista e un indirizzo al Governo sull’argomento in discussione. Assai più frequente è l’utilizzo del terzo tipo di atto di indirizzo, l’ordine del giorno. Esso consiste in un documento a carattere accessorio rispetto ad un altro testo — un disegno di legge o una mozione — su cui l’Assemblea o una commissione è chiamata a deliberare.

Un caso a parte: l’indirizzo politicoeconomico:

Un carattere del tutto particolare hanno gli atti di indirizzo politico-economico in funzione del governo pubblico dell’economia. Si tratta di una serie di provvedimento ed hanno come principale obiettivo quello di assicurare il corretto funzionamento dei mercati, da un lato, e di disciplinare l’intervento pubblico nell’economia, dall’altro. A tale indirizzo possiamo oggi ricondurre: la legge di bilancio, la legge di stabilità e, più in generale, gli atti rientranti nella “manovra di finanza pubblica”.

La sessione di bilancio

In particolare, la sessione di bilancio è uno dei momenti essenziali e connaturali all’attività parlamentari. Attualmente la manovra di finanza pubblica è disciplinata dalla legge n. 196/2009 (legge di contabilità e finanza pubblica). I principali provvedimenti della manovra sono la legge di stabilità e la legge di bilancio. La prima contiene scelte e previsioni di carattere macroeconomico. Il bilancio invece è l’atto legislativo nel quale si trovano iscritte le risorse e le spese delle pubbliche amministrazioni. Legge di stabilità e legge di bilancio sono redatte sulla base degli obiettivi programmatici che, precedentemente, entro il 10 aprile di ogni anno, vengono stabiliti nel Documento di economia e finanza (DEF).

Funzione di informazione e controllo:

Numerosi sono gli strumenti a disposizione del Parlamento per esercitare la funzione di informazione e controllo. I due strumenti informativi più importanti sono le interrogazioni e le interpellanze.

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Interpellanza Interrogazione

L’interpellanza, che può svolgersi solo in Assemblea, consiste in una domanda rivolta al Governo circa i motivi o gli intendimenti della sua condotta su una questione di particolare rilievo o di carattere generale. L’interrogazione è un atto di sindacato ispettivo, di minore rilievo rispetto all’interpellanza, che consiste in una semplice richiesta che ogni deputato o senatore può rivolgere al ministro competente per avere informazioni o spiegazioni su un oggetto determinato. Con le riforme dei regolamenti parlamentari avvenute durante gli anni Ottanta sono state introdotte le interrogazioni a risposta immediata. Lo svolgimento di queste interrogazioni avviene in un contraddittorio immediato che si svolge in un tempo definito a cadenza settimanale e in diretta radiotelevisiva (cd. question time. Oltre alle commissioni d’inchiesta - che sono commissioni ad hoc - le commissioni permanenti possono assumere informazioni mediante audizioni di membri del Governo o di dirigenti pubblici responsabili di settori delle amministrazioni su determinati temi; infine esse hanno il potere di disporre indagini conoscitive.

Il ruolo del Parlamento nell’ambito delle politiche europee

In particolare, la partecipazione del Parlamento alla “fase ascendente” delle politiche europee Le Camere intervengono anche nel circuito delle decisioni europee partecipando anche alla formazione del contenuto degli atti dell’UE (cd. fase ascendente). Nello specifico, prima dello svolgimento delle riunioni del Consiglio europeo, il Governo deve illustrare alle Camere la posizione che intende assumere tenendo conto degli eventuali indirizzi dalle stesse formulati. Informazioni riguardanti: 1. il coordinamento delle politiche economiche e di bilancio 2. le iniziative rivolte alla conclusione di accordi 3. la nomina di membri italiani da parte del Governo in istituzioni, organi ed organismi europei. e nell’ambito della Per quanto riguarda più propriamente la partecipazione del Parlamento formazione di atti italiano alla formazione di atti UE, la legge n. 234/2012 stabilisce che i progetti di atti UE, gli atti preordinati alla loro formulazione e le loro modificazioni UE devono venire trasmessi alle Camere, a cura del Presidente del Consiglio dei ministri o del ministro per gli affari europei. Un rilievo particolare ha assunto il controllo sulla applicazione del principio di sussidiarietà. Un altra novità relativa alla fase ascendente riguarda le modalità di La sessione partecipazione delle regioni e province autonome alla formazione degli atti europea della UE. La sede principale in cui esse potranno fornire indirizzo al Governo rispetto Conferenza Stato- alla formazioni di atti UE che le riguardano diventa la sessione europea della Regioni Conferenza Stato-Regioni.

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Il Governo: Composizione

Ruolo Funzioni

CdM PdC Ministri

Sottosegretari Comitati interministeriali

Il Governo Definizione, composizione e organizzazione Il Governo è l’organo costituzionale responsabile di promuovere e attuare l’indirizzo politico dello Stato ed è il vertice dell’amministrazione statale. Esso è composto da tre organi: Presidente del Consiglio, singoli ministri e Consiglio dei ministri. Tali tre organi sono necessari, in quanto individuati direttamente dalla Costituzione. Tra gli organi monocratici non necessari si collocano i vicepresidenti del Consiglio, i ministri senza portafoglio, i viceministri, i sottosegretari. Tra gli organi collegiali non necessari più importanti vi sono i comitati interministeriali. Il ruolo del Governo è quello di definire e tradurre in concreto quell’indirizzo politico che gli elettori affidano al Parlamento. Il Governo svolge funzioni politiche, deliberative e di controllo. Le funzioni politiche si estrinsecano essenzialmente nell’individuazione del programma di governo, quelle deliberative consistono nell’adozione degli atti e quelle di controllo mirano alla verifica del rispetto degli obiettivi posti da parte della pubblica amministrazione. Il Consiglio dei ministri è, tra gli altri organi che compongono il Governo, quello a cui viene primariamente attribuita la funzione di indirizzo politico. Il Presidente del Consiglio ha la funzione di dirigere la politica del Governo senza, tuttavia, collocarsi su di un piano di superiorità formale rispetto agli altri ministri. I singoli ministri, invece, agiscono da un lato in quanto membri del Consiglio dei ministri, ma dall’altro sono al vertice delle amministrazioni a cui sono preposti. I ministri senza portafoglio vengono così chiamati perché il bilancio dello Stato non assegna loro specifici capitoli di spesa. Tra i monocratici, i sottosegretari di Stato hanno il compito di assistere e coadiuvare i ministeri a cui appartengono, esercitare alcune funzioni ministeriali su delega del ministro e svolgere la funzione di viceministri. Tra gli organi collegiali, vi sono i comitati interministeriali istituiti per legge. Queste linee fondamentali di definizione e organizzazione del Governo si ricavano solo in parte dalla Costituzione, che per regolare la materia ha previsto una riserva di legge di cui all’art 95 Cost. In effetti la Costituzione dedica solo cinque articoli al Governo in quanto organo di indirizzo politico.

Il Governo nella Costituzione Come si forma un La formazione e la caduta del Governo governo? Le norme costituzionali dedicate al Governo lasciano molto spazio alla prassi. Fino a quando, infatti, il sistema elettorale italiano è stato proporzionale, il PdR ha avuto un ruolo molto attivo nella individuazione di un soggetto intorno a cui convergesse il consenso dei partiti. Il PdR, esaurita la fase elettorale, apriva in via di prassi le consultazioni. Tramite le consultazioni, il PdR cercava di individuare quale soggetto politico potesse essere nominato. Egli, inoltre, ricorreva frequentemente agli istituti del mandato esplorativo o del preincarico. Oggi, il PdR ancora effettua le consultazioni, ma esse sono di fatto svuotate di significato, in quanto i presidenti dei gruppi parlamentari si limitano ad indicare quale PdC il leader della coalizione che ha vinto le elezioni. Nel caso in cui invece si ha una crisi di governo, le consultazioni mantengono la loro originaria funzione. 49 Scaricato da Sofia Civenni ([email protected])

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Il governo tecnico Analoga ipotesi in cui il PdR mantiene un ruolo determinante nella formazione del Governo si ha nel caso di “Governo dei tecnici” (governo che non è espressione di una forza politica ma nominato per far fronte a momenti molto delicati dal punto di vista istituzionale-politico o economico con l’appoggio, ovviamente, della maggioranza delle forze politiche” Il giuramento

La fiducia o la sfiducia

Quali sono le responsabilità del governo?

Civilmente… Penalmente…

Responsabilità politiche

Una volta nominati, il PdC e i ministri giurano nelle mani del PdR prima di assumere le funzioni. Giuramento che avviene per fedeltà alla Repubblica di cui all’art 54 Cost. Il Governo, dopo la nomina e il giuramento, non è tuttavia ancora nel pieno dei suoi poteri e deve limitarsi a svolgere i compiti di ordinaria amministrazione finché non ottiene la fiducia delle Camere. Come si è accennato, diversa dalla fiducia iniziale è la mozione di sfiducia. Diversa ancora è l’ipotesi della questione di sfiducia, che non è prevista espressamente dalla Costituzione, ma dai regolamenti parlamentari e trova copertura costituzionale nell’art 94 comma 4 Cost. Tuttavia, se il Governo appone sulla proposta la questione di fiducia e questa non viene approvata, esso è obbligato alle dimissioni. La responsabilità del Governo Il Governo è doppiamente responsabile: politicamente e giuridicamente. Una rappresentanza senza responsabilità, infatti, vorrebbe dire attribuzione — attraverso una procedura democratica — di un potere indiscutibile e non verificabile. Sul piano costituzionale esistono diverse forme di responsabilità. Innanzitutto, esiste una responsabilità di tipo giuridico. Come ogni funzionario dello Stato, i singoli esponenti del Governo sono civilmente responsabili per i danni arrecati a terzi nell’esercizio delle loro funzioni e innanzi alla Corte dei conti per i danni arrecati alla pubblica amministrazione. Penalmente, a norma dell’art. 96 Cost., il PdC e i ministri responsabili per i cd. reati ministeriali. Per tali reati, è prevista l’autorizzazione parlamentare affinché il ministro possa essere chiamato a rispondere dei propri atti. L’autorizzazione può essere negata a maggioranza assoluta se l’Assemblea ritenga che il ministro (o il PdC) abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante o per l’interesse pubblico. Al di là dei reati ministeriali, ciascun membro del Governo risponde dei reati comuni come qualsiasi altro cittadino. Esiste poi una responsabilità di tipo politico. La responsabilità politica del Governo è sancita dal rapporto di fiducia col Parlamento e dal correlativo potere di sfiducia che, come abbiamo detto, può essere individuale o collegiale. Il PdC infatti è responsabile della direzione della politica generale del Governo, ma si trova in una posizione di preminenza e non di superiorità gerarchica rispetto ai ministri, per cui non può revocarli. I ministri sono invece individualmente responsabili degli atti che provengono dal ministero che dirigono. Gli atti del PdR non sono validi se non controfirmati dal ministro proponente, che con la controfirma ne assume la responsabilità.

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Il PdR

Elezione del Presidente

Durata

Supplenza

Il Presidente della Repubblica Definizione Il Presidente della Repubblica è un organo costituzionale monocratico, la cui presenza qualifica il nostro ordinamento come repubblicano e contribuisce alla razionalizzazione della forma di governo parlamentare. Il secondo aspetta sottolinea che il costituente scelse una forma razionalizzata: la figura del PdR va letta anche in quest’ottica. La definizione di sintesi del suo ruolo si trova nell’art. 87, comma 1, Cost. che lo qualifica come capo dello Stato e rappresentante dell’unità nazionale. Come Capo dello Stato, infatti, egli è chiamato a verificare il corretto funzionamento dell’ordinamento costituzionale. Come rappresentante dell’unità nazionale, egli rappresenta l’unità di una comunità statale che condivide un insieme di valori comuni. La figura costituzionale del PdR è alquanto elastica, e può essere plasmata in modo diverso dal suo titolare, in relazione alle concrete circostanze politiche, elettorali, istituzionali. Il PdR nella Costituzione Il mandato presidenziale Ai sensi dell’art. 83 Cost. commi 1 e 2, il PdR è eletto da un collegio elettorale composto da tutti i parlamentari, ai quali si aggiunge un numero fisso di delegati regionali. L’elezione avviene da parte del Parlamento in seduta comune, con l’aggiunta di tre delegati appositamente eletti dai Consigli regionali per ogni regione. L’integrazione dei delegati regionali è motivata dalla ratio di rendere il Presidente rappresentate non solo dello Stato centrale, ma anche delle realtà territoriali. La segretezza del voto, come accade sempre per le elezioni di titolari a cariche da parte del Parlamento, è prevista per garantire ai votanti una scelta libera e indipendente rispetto a eventuali pressioni. I costituenti hanno previsto un quorum qualificato pari ai due terzi dei componenti il collegio elettorale. Dalla quarta votazione in poi è sufficiente la maggioranza assoluta, ovvero il sostegno del 50% più uno dei componenti del collegio medesimo. Per quanto riguarda i requisiti soggettivi, l’art. 84 Cost richiede che, al momento della votazione, il Presidente sia cittadino italiano, abbia compiuto 50 anni e goda dei diritti civili e politici. L’ufficio presidenziale è, sempre in virtù dell’art 84 Cost. incompatibile con qualsiasi altra carica, da intendersi di carattere sia privato che pubblico. L’incarico dura sette anni: si tratta di una misura che serve ad assicurare l’indipendenza del Presidente; e può terminare in caso di condanna, per attentato alla Costituzione e alto tradimento, da parte della Corte costituzionale. Se, invece, il Presidente è temporaneamente impossibilitato a svolgere il suo ruolo, la supplenza spetta al Presidente del Senato. Finora, i mandati presidenziali si sono conclusi o al naturale compimento del settennato, o a seguito di dimissioni (presentate in prossimità della scadenza naturale del mandato per accelerare le procedure di elezione del successore). La durata del mandato comincia a decorrere quando il Presidente presta giuramento di fedeltà alla Repubblica, assumendo in tal modo le sue funzioni (art 91 Comma 1 Cost).

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Scadenza del settennato

Il giuramento presidenziale può essere considerato una forma di giuramento rafforzata rispetto a quello richiesto in via generale dall’art. 51 Cost. ai cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche. Trenta giorni prima che scada il settennato, il Presidente della Camera dei deputati è tenuto a convocare il Parlamento in seduta comune, affinché l’elezione del nuovo PdR possa svolgersi prima del termine del mandato del Presidente in carica.

Circostanze speciali di finemandato

Tuttavia: - se la fine del mandato presidenziale coincide con l’ultimo trimestre di legislatura o se nel frattempo le Camere sono sciolte, il PdR sarà eletto dalle nuove Camere entro quindi giorni dalla loro prima riunione. - se la fine del mandato è da attribuirsi a impedimento permanente, morte o dimissioni del PdR, allora il PdCam indice le elezioni del successore entro quindici giorni (salvo il caso di cui sopra).

Rieleggibilità

Nulla dice, invece, la Cost. riguardo alla rieleggibilità.

PdR -> Senatore a Al termine del mandato, ai sensi dell’art. 59 Cost., i PdR uscenti diventano di vita diritto senatori a vita, salvo rinuncia. Le funzioni del PdR Come si è detto, il PdR è una figura che si pone ad un tempo come elemento di razionalizzazione della forma di governo e come garante dell’ordine costituzionale: egli si colloca in un punto di snodo tanto nei rapporti tra le istituzioni quanto in quelli tra le istituzioni e i cittadini. Quali sono le In qualità di rappresentante della nazione e di garante della sua unità, spetta al funzioni del PdR? PdR la funzione di indire le elezioni e i referendum e di convocare le Camere per la loro prima seduta. - Con riferimento alla funzione normativa, il Presidente promulga le leggi e emana gli atti del Governo avente forza di legge e i regolamenti governativi. - Con riferimento alla funzione giurisdizionale, il PdR emana con proprio decreto i ricorsi straordinari contro gli atti amministrativi (tuttavia decisi dal Consiglio di Stato), concede la grazia e commuta le pene, presiede il Consiglio superiore della magistratura. - Con riferimento alla funzione esecutiva, nomina i più alti funzionari dello Stato, su indicazione del Governo. - Nomina altresì cinque membri della Corte costituzionale e i senatori a vita. - Con riferimento ai rapporti internazionali, il PdR accredita e riceve i rappresentanti diplomatici e ratifica i trattati internazionali dietro autorizzazione, per i principali, delle Camere. - Con riferimento alla difesa dello Stato, il PdR ha il comando delle forze armate, presiede il Consiglio supremo di difesa e dichiara lo stato di guerra. - Infine, il PdR conferisce le onorificenze della Repubblica per alti meriti. Il PdR ha il potere di nominare il PdC e i ministri e quello di sciogliere le Camere (ad eccezione degli ultimi sei mesi del suo mandato, sempre che non coincidano con gli ultimi sei mesi della legislatura — “semestre bianco”).

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Le responsabilità del PdR

Gli atti presidenziali

La responsabilità del PdR e la controfirma Il PdR è politicamente irresponsabile. L’art 89 comma 1 Cost prevede che “nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità”. La controfirma, rappresenta uno snodo essenziale nel delicato rapporto tra PdR e Governo. Si possono distinguere gli atti presidenziali in tre categorie: a) quelli formalmente presidenziali ma sostanzialmente governativi b) quelli sostanzialmente e formalmente presidenziali c) i cd. atti complessi. Per la prima categoria, essa vale come attestazione della conformità del decreto presidenziale all’atto “proposto” dal Governo e come indicazione della provenienza dell’atto; Per la seconda, la controfirma vale invece come presa d’atto della volontà presidenziale e assunzione da parte del Governo della responsabilità dell’atto; Infine per la terza, la controfirma vale come indicazione della provenienza, complessa appunto, dell’atto e come reciproco controllo. Non tutti gli atti del PdR debbono essere controfirmati: sono esclusi infatti gli atti che egli adotta in qualità di PdC superiore della magistratura e di PdC supremo di difesa, nonché i cd. atti personalissimi. L’individuazione degli atti personalissimi avviene per prassi: si ritiene che le dimissioni e la dichiarazione di impedimento permanente non debbano essere controfirmate, mentre le dichiarazioni di impedimento temporaneo (ad esempio per viaggio all’estero) risultano finora essere controfirmate.

Attentato alla Costituzione e alto tradimento

Al di là dell’esenzione della responsabilità tramite la controfirma ministeriale, il PdR è responsabile soltanto per i reati di attentato alla Costituzione e di alto tradimento.

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Capitolo 10 - La pubblica amministrazione Cos’è la pubblica La pubblica amministrazione è l’insieme delle strutture, delle persone, delle amministrazione? risorse e delle attività preposte stabilmente dalla legge alla gestione e alla cura concreta degli interessi generali. Per gli ordinamenti di civil law, come l’Italia, il prototipo di amministrazione pubblica per eccellenza resta quello francese disegnato da Napoleone Bonaparte e basato su un forte accentramento amministrativo, sulla responsabilità ministeriale e sull’asimmetria funzionale tra la pubblica amministrazione e i soggetti dell’ordinamento giuridico. In molti ordinamenti di civil law, il controllo di legittimità dell’azione amministrativa è devoluto a un giudice speciale ovvero al giudice amministrativo. Dire, pertanto, oggi, quali strutture e quali attività rientrino nella pubblica amministrazione non è più così agevole. Il diritto europeo ha elaborato una nozione di “soggetto pubblico” molto flessibile: lo è ogni “ente pubblico territoriale”, nonché ogni “organismo di diritto pubblico”. Quest’ultimo è definito come quel soggetto giuridico istituito “per soddisfare specificamente bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale e commerciale, dotato di personalità giuridica e la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti locali o da altri organismi di diritto pubblico, oppure la cui gestione è sottoposta a controllo di questi ultimi, oppure il cui organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza è costituito da membri più della metà dei quali è designata dallo Stato, dagli enti locali o da altri organismi di diritto pubblico”. Secondo tale definizione, i parametri di individuazione di un organismo di diritto pubblico sono non solo strutturali-formali ma soprattutto sostanzialifunzionali (fine: interesse generale, sottoesposizione ad un’influenza pubblica”. Definizione

Definizione: “Ogni soggetto avente personalità giuridica che risenta del controllo dello Stato, di un ente locale o di un altro organismo di diritto pubblico e che sia costituito per soddisfare i bisogni generali non reperibili nel mercato, è quindi da considerarsi soggetto gravitante nell’orbita della pubblica amministrazione.

Cos’è l’attività amministrativa?

Un’altra importante definizione, consequenziale rispetto a quella di pubblica amministrazione, è quella di attività amministrativa. Essa è l’insieme di atti e comportamenti posti in essere da una pubblica amministrazione nell’esercizio delle sue funzioni per raggiungere gli interessi generali della collettività di riferimento, interessi che vengono individuati dagli organi di indirizzo politico attraverso la legislazione e, in ultima analisi, dalla stessa Costituzione. Tali atti possono quindi essere adottati non solo a prescindere da, ma anche contro la volontà dei soggetti su cui i loro effetti ricadono. Rispetto ad essi, infatti, l’atto o il comportamento amministrativo è imperativo, ovverosia dotato di una particolare forza giuridica che lo rende efficace ed eseguibile nei confronti del destinatario, in forza dell’autoritarietà del soggetto amministrativo che lo pone in essere. Si è parlato a riguardo dell’esecutorietà dell’atto amministrativo.

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Principi di rilevanza costituzionale in materia di pubblica amministrazione La Costituzione dedica espressamente alcune norme alla pubblica amministrazione, mentre altre si possono desumere implicitamente. Vi è poi anche una categoria di principi di derivazione comunitaria normalmente adottati dal nostro sistema.

Organizzazione della pubblica amministrazione

L’amministrazione per ministeri Il modello della pubblica amministrazione italiana riflette originariamente quello napoleonico. È un’organizzazione della burocrazia per ministeri, che pone a capo di ogni settore amministrativo il ministro competente per materia. Il modello dell’amministrazione per ministeri, caratterizzato da una forte gerarchia e dalla responsabilità diretta dei ministri per l’attività amministrativa esercitata nel loro settore, rappresenta il primo modello burocratico dello Stato italiano, nel quale l’amministrazione statale ministeriale coincide con l’amministrazione pubblica. Ben presto, tuttavia, furono introdotte nuove formule organizzative, affiancabili all’amministrazione per ministeri ma non a questa sovrapponibili. L’aumento dei compiti statale portò ben presto alla constatazione che l’amministrazione per ministeri (adatta a compiti ridotti) non era più sufficiente, ma doveva essere abbinata a forme di amministrazione parastatali, legate allo Stato e all’Esecutivo, ma estranee e parallele al modello ministeriale. Ad esse furono affidati i cd. fini secondari dello Stato, ovvero la cura dei servizi pubblici, l’intervento dell’economia con finalità sociale, la promozione dello sviluppo economico. La riserva di legge e il principio di legalità Tra i vari istituti previsti a tal fine si colloca la riserva di legge relativa dell’art 97 Cost. riguardo all’organizzazione degli uffici pubblici, alle attribuzioni e alle responsabilità dei funzionari. In sostanza, il fatto che i poteri amministrativi debbano essere disciplinati con legge, secondo una riserva quantomeno relativa, vuol dire sottrarre all’arbitrio del Governo l’organizzazione della pubblica amministrazione. Vi è poi il tradizionale principio di legalità: l’attività amministrativa non può svolgersi in contrasto con la legge. Da tale principio discendono alcune caratteristiche fondamentali dell’attività amministrativa, come la tipicità e la nominatività dei provvedimenti amministrativi, per cui l’autorità amministrativa può adottare solo atti previsti dalla legge e secondo le modalità procedurali ivi prescritte; la conseguente eccezionalità degli atti atipici o innominati, come le ordinanze di necessità e urgenza; la discrezionalità amministrativa, per cui la pubblica amministrazione non è libera di scegliere gli obiettivi da perseguire, ma, dovendo rispettare i limiti positivi e negativi previsti dal legislatore, mantiene una libertà di giudizio e di scelta solo nella misura in cui il legislatore gliela concede.

Quali sono le responsabilità della pubblica amministrazione?

La responsabilità della pubblica amministrazione La Costituzione italiana responsabilizza i singoli agenti della pubblica amministrazione, prevedendo all’art. 28 Cost. che i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabile sul piano penale, civile e amministrativo degli atti compiuti in violazione di diritti. Ogni singolo agente della pubblica amministrazione può essere dunque citato in giudizio per rispondere di illeciti civili, penali e amministrativi commessi nell’esercizio delle sue funzioni. 55 Scaricato da Sofia Civenni ([email protected])

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Pur restando un’organizzazione strumentale del Governo, la pubblica amministrazione deve essere tutelata da condizionamenti politici che potrebbero influire negativamente sul suo buon andamento e sulla sua imparzialità. La responsabilità della pubblica amministrazione serve anche a questo. La separazione tra politica e amministrazione Tra dirigenti e ministri non corre un rapporto di gerarchia e l’atto dirigenziale non è impugnabile dinanzi al ministro con il ricorso gerarchico. Pertanto, gli atti e i provvedimenti dirigenziali possono essere oggetto solamente di un controllo di legittimità da parte del ministro. La responsabilità dirigenziale è quindi l’altra faccia della medaglia dell’autonomia dell’amministrazione rispetto al potere politico. Una evidente manifestazione di questo bilanciamento tra autonomia gestionale della pubblica amministrazione e sottoposizione al potere di indirizzo politico è la disciplina dello spoils system. Tale istituto, di derivazione anglosassone, consiste nella possibilità per la nuova maggioranza politica di collocare persone di propria fiducia nei ruoli apicali della pubblica amministrazione. Può sembrare una contraddizione rispetto al principio dell’autonomia e della responsabilità, ma in realtà è attuazione del principio della correlazione fra attività di indirizzo politico e attività amministrativa. Tuttavia tale sistema è giustificato solo in quei casi in cui c’è uno contatto tra posizione amministrativa e vertice politico. Decentramento e pluralismo amministrativo La Costituzione rompe anche la perfetta identità tra amministrazione statale e amministrazione pubblica, consentendo la nascita di vari soggetti amministrativi pubblici ulteriori rispetto all’amministrazione statale. La Costituzione accoglie l’obiettivo del “più ampio decentramento amministrativo”. In base all’art. 118 Cost. “Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurare l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza”. Il principio di sussidiarietà nei rapporti tra Stato, regioni e enti locali (cd. sussidiarietà verticale) prevede che i comuni sono i titolari “naturali” delle funzioni amministrative. Un altro tipo di sussidiarietà è quello orizzontale che mira a regolare le capacità gestionali degli enti pubblici con quelle dei soggetti dell’ordinamento giuridico: tutti i livelli di governo, dallo Stato ai comuni, debbono infatti favorire “l’autonomia iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale”. Tale principio non solo riconosce la capacità dei singoli di perseguire gli interessi generali, ma impone persino ai soggetti pubblici di non intralciare e anzi agevolare i soggetti che vogliano autonomamente curare tali interessi.

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I principi relativi al rapporto tra pubblica amministrazione e i soggetti dell’ordinamento giuridico Principio di imparzialità

Innanzitutto, il principio di imparzialità sottintende l’obbligo per la pubblica amministrazione di svolgere la propria attività in maniera disinteressata rispetto alle situazione giuridiche coinvolte dall’azione amministrativa e in maniera equidistante rispetto ai soggetti interessati (espressamente art 97 comma 2, implicitamente anche artt 54 comma 2 e 98 comma 1). Il fine dell’imparzialità è quello di obbligare l’amministrazione, nella ponderazione degli interessi generali e particolari, a valutare oggettivamente tali interessi. In un senso più ampio, peraltro, imparzialità significa non solo e non tanto equidistanza tra gli interessi in gioco, quanto piuttosto capacità di individuare, tramite una corretta ponderazione di questi, l’interesse prevalente a cui prestare tutela e il modo migliore per realizzarla. Da ciò discendono alcuni principi che si collegano alla nozione di un giusto procedimento amministrativo, come i principi di pubblicità e trasparenza, e di partecipazione.

Principio del buon andamento

Il principio del buon andamento, di cui all’art. 97 comma 2, è quello che reca con sè la maggior parte dei principi impliciti, trattandosi di una clausola aperta e molto generica. Essa deve quindi essere orientata all’ottimizzazione dei risultati in relazione ai mezzi utilizzati (principio di economicità), all’adeguamento delle risorse rispetto agli obiettivi da realizzare (principio di efficienza) e alla capacità di raggiungere utilmente i risultati richiesti (principio di efficacia).

Divieto di Troviamo poi il divieto di aggravamento del procedimento, per cui la P.A. non aggravamento del può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze procedimento imposte dall’istruttoria; e il principio di semplificazione, per cui l’azione amministrativa deve essere condotta secondo regole di snellezza e di celerità che evitino irrigidimenti e aggravamenti burocratici (autocertificazione, silenzioassenso, silenzio devolutivo, denuncia di inizio attività, segnalazione certificata di inizio attività, conferenze di servizi e accordi di programma etc). Principi di derivazione europea: certezza del diritto, legittimo affidamento, proporzionalità

Vi sono poi i principi di derivazione europea, come la certezza del diritto che si collega direttamente al principio del legittimo affidamento e restringendo l’utilizzabilità della revoca degli atti amministrativi; e il principio di proporzionalità, il quale garantisce che la pubblica amministrazione agisca solo e nella misura in cui ritenga necessario intervenire. 3. Gli atti amministrativi, i vizi e i rimedi Gli atti della pubblica amministrazione

Gli atti della P.A.: Provvedimenti

Gli atti di diritto pubblico restano comunque la categoria principale degli atti adottati da una pubblica amministrazione. Tra questi abbiamo i provvedimenti: manifestazioni di volontà aventi rilievo esterno che sono in grado di determinare effetti giuridici in maniera unilaterale, a prescindere dal concorso della volontà dei soggetti su cui tali effetti ricadono. Si tratta dunque di atti imperativi capaci di costituire, modificare o estinguere situazioni giuridiche soggettive (imperatività del provvedimento). 57 Scaricato da Sofia Civenni ([email protected])

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Nel caso in cui i destinatari dell’atto non collaborino al raggiungimento degli effetti da esso prodotto, esso può comunque trovare esecuzione unilateralmente (esecutorietà del provvedimento). Per evitare che la pubblica amministrazione abusi di tali poteri e agisca arbitrariamente, il principio di legalità la obbliga ad utilizzare procedimenti e modelli provvedimenti previsti tipicamente e nominativamente della legge. I provvedimenti sono quindi solo quel previsti dall’ordinamento, e ciascuno di essi è funzionale a realizzare un interesse pubblico specifico (tipicità e nominatività dei provvedimenti). Provvedimenti restrittivi…

Vi sono diversi tipi di provvedimenti: Innanzitutto abbiamo i provvedimenti restrittivi, che riducono la sfera giuridica del destinatario, imponendogli obblighi o divieti, oppure limitandone facoltà e diritti [comandi (es. ordini di demolizione) , divieti (es. circolazione), provvedimenti ablativi (es. espropriazione)].

… Provvedimenti Speculari a quelli restrittivi, vi sono i provvedimenti ampliativi, che al contrario ampliativi aumentano la sfera giuridica del destinatario, consentendogli o conferendogli nuove posizione giuridiche attive [ammissioni (conferimento cittadinanza), iscrizioni (albi professionali), autorizzazioni (rilascio della patente), concessioni (uso di un bene demaniale), dispense (es. dal servizio militare)]. Una distinzione particolarmente importante è quella tra le autorizzazioni e le concessioni, due dei provvedimenti ampliativi che più di frequente interessano i soggetti dell’ordinamento giuridico. Con l’autorizzazione si rimuove l’ostacolo all’esercizio di un diritto (autorizzazione: patente; diritto: diritto di circolazione), con la concessione invece viene attribuito al richiedente un diritto che originariamente non possiede (uso di un terreno demaniale) I provvedimenti amministrativi sono adottati a seguito di un procedimento i cui passaggi sono ben definiti dalla legge. Per procedimento amministrativo si intende una sequenza preordinata di atti, finalizzati a produrre un atto finale, il provvedimento giustappunto. Gli atti adottati nell’ambito del procedimento sono funzionali all’adozione dell’atto finale, questi sono definiti atti endoprocedimentali e possono consistere in manifestazione di conoscenza e giudizio, pareri, osservazioni ecc. Altri moduli

Altri moduli ulteriori (oltre all’atto amministrativo e al provvedimento), sempre più incoraggiati dal legislatore, si basano sul modello consensuale. Si tratta dei contratti pubblici e degli atti consensuali che la pubblica amministrazione può stringere sia con i soggetti dell’ordinamento giuridico che con altre pubbliche amministrazioni.

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I vizi degli atti amministrativi Resta ora da analizzare la patologia dell’atto amministrativo, ovvero i casi in cui l’azione della P.A. si presenti viziata sul piano giuridico. Perché gli atti amministrativi possono essere “viziati”?

I “vizi” degli atti amministrativi conseguenti alla loro contrarietà alla norma previa, sono definiti vizi di legittimità e si distinguono in vizi formali (qualora siano violate le norme che disciplinano il procedimento di produzione dell’atto) o sostanziali (quando si tratti di contrasto con il contenuto della norma previa). Essi vanno tenuti separati dai vizi di merito che attengono, invece, alla inopportunità degli atti. I vizi di legittimità sono di tre tipi: violazione di legge, incompetenza, eccesso di potere. La violazione di legge consiste nel mancato rispetto di norme giuridiche inderogabili (e quindi non solo della legge come atto tipico del Parlamento). L’incompetenza si verifica quando l’autore dell’atto è diverso da quello a cui l’ordinamento assegna il potere di emanare l’atto stesso (ci riferimento a un incompetenza relativa: l’amministrazione è competente, ma non lo è il soggettoautore dell’atto (ad esempio un atto di competenza del sindaco che invece è stato emanato da un dirigente comunale). Nel caso in cui l’incompetenza fosse assoluta saremmo di fronte a un atto nullo per difetto assoluto di attribuzione. L’eccesso di potere è un vizio che riguarda la discrezionalità amministrativa. Tale vizio si può realizzare con modalità diverse da caso a caso, anche se esistono alcune figure sintomatiche dell’eccesso di potere (travisamento dei fatti, sviamento di potere, illogicità, disparità di trattamento ecc).

Cosa succede in questi casi?

Infine, occorre distinguere i vizi degli atti amministrativi quanto alle conseguenze che possono produrre: il provvedimento è nullo quando è stato emanato in violazione delle norme che disciplinano l’esercizio del potere. Questo significa che i vizi più gravi hanno come conseguenza la nullità dell’atto. I vizi meno gravi determinano la annullabilità dell’atto (seppur viziato, è efficace e produttivo di effetti giuridici nell’ordinamento), esso pertanto può essere rimosso sia dal giudice che dall’amministrazione stessa attraverso il suo annullamento. I rimedi contro i vizi degli atti amministrativi: la tutela amministrativa e la tutela giurisdizionale dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi.

Come si può Innanzitutto, la pubblica amministrazione dinanzi ad un proprio atto annullabile rimediare agli atti può decidere autonomamente di sanare il vizio o di annullare l’atto: tale facoltà si viziati? chiama autotutela. Ma, al di là dell’ipotesi dell’autotutela, di fronte ad un atto della pubblica amministrazione che presenti un vizio esistono due tipi fondamentali di rimedi: in via amministrativa (cioè facendo valere tali vizi di fronte alla pubblica amministrazione) ovvero in via giurisdizionale (cioè facendo valere i vizi dinanzi ad un giudice).

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a) Rimedi in via amministrativa. 1. Il ricorso in opposizione: ha come destinatario l’organo che ha emanato l’atto e può essere presentato solo nel caso in cui sia previsto espressamente dalla legge. 2. Il ricorso gerarchico proprio: il soggetto si rivolge all’organo gerarchicamente superiore a quello che ha emanato l’atto viziato chiedendo di revocarlo, annullarlo o modificarlo. Tale ricorso è sempre ammesso, a meno che non sia espressamente escluso dalla legge. Va presentato entro 30 giorni dal momento in cui il soggetto ne ha avuto conoscenza e si intende respinto se l’amministrazione non risponde entro 90 giorni (silenzio rigetto). 3. Il ricorso gerarchico improprio: il soggetto si rivolge a un organo investito di un potere di generica vigilanza. Può essere presentato solo in cui la legge lo preveda espressamente. 4. Il ricorso straordinario al capo dello Stato: può riguardare solo provvedimenti definitivi (atti rispetto ai quali non sia più esperibile alcun altro tipo di ricorso amministrativo) e può avere ad oggetto solo vizi di legittimità. b) Rimedi in via giurisdizionale La seconda strada percorribile è quella della tutela giurisdizionale, attraverso la quale possono essere fatti valere solo vizi di legittimità degli atti amministrativi. La Costituzione, nell’affermare la tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica amministrazione (artt. 103, comma 1 e 113, comma 1), pone una distinzione tra i tipi di posizione giuridica soggettiva che l’amministrazione può ledere con il suo atto: interesse legittimo ovvero il diritto soggettivo. E sulla base di queste diverse posizione vengono ad esistere due diverse giurisdizioni: la giustizia ordinaria, che si occupa della lesione dei diritti soggettivi, e la giustizia amministrativa, che si occupa degli interessi legittimi. L’idea sottostante è che, se l’amministrazione lede un interesse individuale, il titolare di questo non può rivolgersi al giudice ordinario, che conosce dei diritti, ma al giudice amministrativo, competente a giudicare della legittimità dell’atto amministrativo e, nel caso, ad annullarlo. Cos’è un interesse legittimo e in cosa differisce da un diritto?

Il diritto soggettivo è la pretesa di un soggetto che l’ordinamento giuridico garantisca un bene della vita. Per interesse legittimo, invece, si intende la pretesa che la P.A., quando interferisce con l’interesse qualificato di un soggetto privato, agisca rispettando la legge. L’interesse legittimo è, infatti, la pretesa alla legittimità dell’azione amministrativa. Sulla distinzione tra diritto soggettivo e interesse legittimo si fonda il doppio sistema di tutela giurisdizionale, dove il contenzioso in materia di diritti soggettivi spetta ai giudici ordinari, mentre quello in materia di interessi legittimi ricade nella competenza del giudice amministrativo (TAR, Consiglio di Stato). L’istituzione della doppia giurisdizione, avvenuta con la legge Crispi del 1889, fu un passo verso un più ampio controllo dell’operato amministrativo. La Costituzione ha mantenuto tale dualismo, cristallizzando la distinzione diritti/ interessi legittimi negli artt. 24 (diritto di difesa), 103 (giustizia amministrativa) e 113 (tutela giurisdizionale nei confronti degli atti della P.A.). 60 Scaricato da Sofia Civenni ([email protected])

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Capitolo 11 - Il circuito delle garanzie Esiste un ambito di scelte che la Costituzione sottrae alle maggioranze politiche, per affidarlo al “circuito delle garanzie”. Sono l’insieme degli organi indipendenti dal potere politico e sprovvisti di legittimazione democratica, che agiscono sulla base di una legittimazione di tipo tecnico-giuridico. Tali organi, a differenza, di quelli politici, devono ordinariamente motivare le decisioni che prendono, indicando i vari passaggi logici del ragionamento, in modo da dimostrare di aver svolto correttamente il proprio ruolo. Diverse garanzie…

La Corte Costituzionale

Cosa fa?

Corte costituzionale, magistratura, Presidente della Repubblica, e anche autorità indipendenti sono alcune tra queste. La giustizia costituzionale Definizione, origine e modelli La giustizia costituzionale è una forma di garanzia giurisdizionale della rigidità della Costituzione, ovvero della sua supremazia su tutti gli atti e i comportamenti dei poteri pubblici. Garanzia giurisdizionale vuol dire che questa funzione è svolta da un soggetto estraneo al circuito dell’indirizzo politico. Il nucleo centrale della giustizia costituzionale è il controllo giurisdizionale di costituzionalità delle leggi. In Italia, il controllo di costituzionalità delle leggi è stato introdotto per la prima volta nella Costituzione del 1948, ma la giustizia costituzionale ha iniziato effettivamente a funzionare solo nel 1956. Il sistema di giustizia costituzionale disciplinato nella Costituzione italiana rientra nel modello austriaco, in quanto solo la Corte costituzionale può dichiarare l’incostituzionalità delle leggi.

Su cosa giudica?

La Corte Costituzionale giudica (art. 134 Cost): - sulla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge dello Stato e delle regioni; - sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato, tra lo Stato e le regioni e tra le regioni; - sulle accuse promosse dal Parlamento in seduta comune contro il PdR; - ed infine esercita il giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo, secondo la legge cost. n.1/1953

Composizione

Un elemento fondamentale, che differenzia la CC dai giudici comuni, attiene alla sua composizione: essa è composta da quindici giudici, nominato per un terzo dal PdR, un terzo dal Parlamento in seduta comune e per un terzo dalle supreme magistrature ordinaria e amministrativa (tre dalla Corte di cassazione, uno dal Consiglio di Stato, uno dalla Corte dei conti). [Per lo svolgimento del giudizio sui reati presidenziali la composizione della corte è estesa a sedici giudici aggregati, tratti a sorte da un elenco compilato dal Parlamento ogni nove anni: in questo caso la Corte giudica in “composizione integrata”.]

Durata della carica

Durata della carica di giudice costituzionale: 9 anni (mandato non rinnovabile). Tra i suoi membri la Corte elegge un presidente, che resta in carica per tre anni.

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Quali sono i tipi di giudizio sulla legittimità costituzionale delle leggi?

Il giudizio sulla legittimità costituzionale delle leggi Le vie d’accesso Il giudizio di legittimità costituzionale può essere instaurato solo attraverso due vie: la via incidentale e la via principale. - Il giudizio in via incidentale si caratterizza per l’importante ruolo svolto dai giudici comuni: una questione di costituzionalità può essere sollevata da un giudice nel momento in cui deve applicare una legge in un giudizio pendente di fronte a lui (può sospendere il processo e chiedere l’intervento della CC). A tal fine deve emanare un ordinanza di rimessione, nella quale deve motivare l’esistenza della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale. [Per rilevanza della questione di legittimità costituzionale si intende l’applicabilità del testo normativo che si ritiene incostituzionale nel giudizio innanzi al giudice a quo] [Per non manifesta infondatezza si intende l’esistenza di un dubbio ragionevole circa la costituzionalità della norma]

- Il giudizio in via principale è disciplinato nell’art 127 Cost. e può essere promosso con ricorso dallo Stato qualora ritenga che una legge regionale ecceda la competenza della regione, o dalle regioni quando ritengano che una legge statale invada la loro competenza. La legge deve essere impugnata entro 60gg dalla pubblicazione. Le vie d’accesso al giudizio della CC, pertanto, sono “strette”: in Italia è molto più difficile che in altri paesi sottoporre una questione alla CC (soprattutto perché non esiste la possibilità di un accesso diretto da parte dei singoli individui; l’individuo può solamente cercare di instaurare un giudizio di fronte a un giudice comune e richiedere al giudice di sollevare la questione di legittimità costituzionale, sperando che questi accetti di farlo). L’oggetto del giudizio di legittimità costituzionale è costituito dagli atti della cui illegittimità costituzionale si dubita (tutte le fonti primarie: leggi dello Stato e delle regioni, decreti-legge e decreti legislativi come si desume dall’art 134 comma 1 Cost, ma anche leggi costituzionali e di revisione costituzionale solo con riferimento ai principi supremi). Fonti escluse dal controllo di costituzionalità

Sono invece esclusi dal controllo di costituzionalità, i regolamenti governativi, le altre fonti secondarie e gli atti amministrativi (essi possono essere disapplicati inter partes dai giudici ordinari, o annullati, con effetto erga omnes, dai giudici amministrativi).i

Cos’è il parametro?

Per parametro si intende la norma della Costituzione che si reputa violata. Ovviamente, rientrano nel parametro la Costituzione e le leggi costituzionali, mentre sono escluse le fonti primarie (ad eccezione delle norme interposte: fonti primarie che, richiamate dalla Costituzione, ne integrano il contenuto). [Sono norme interposte la legge-delega, i trattati internazionali (art. 117 comma 1 cost) e le norme europee non self-executing, nonché il referendum abrogativo]

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Con quali strumenti si pronuncia la CC?

Le decisioni: tipologia ed effetti La Corte costituzionale, al termine del suo giudizio, può pronunciarsi con ordinanza o con sentenza. [Le ordinanze sono decisioni brevi, motivate sinteticamente, con le quali la Corte rigetta la questione di legittimità costituzionale senza entrare nel merito, ritenendo che manchino alcuni requisiti essenziali] [Le sentenze, invece, sono decisioni più ampiamente motivate. Possono essere di accoglimento o di rigetto.]

Le sentenze:

- di

accoglimento

Con le sentenze di accoglimento la Corte accoglie la questione di legittimità costituzionale, cioè dichiara l’incostituzionalità degli atti normativi sottoposti al suo giudizio, che vengono annullati. Tali sentenze, sulla base dell’art 136 Cost e dell’art 30 della legge 87/1953, determinano la perdita di efficacia, erga omnes ed ex tunc (retroattiva). L’effetto retroattivo delle sentenze di accoglimento, tuttavia, incontra il limite dei cd. rapporti esauriti (tranne nei casi in cui con la sentenza passata in giudicato sia stata disposta una pena che comporta la limitazione della libertà personale; i rapporti esauriti dunque, in questo caso, vengono riaperti, poiché il valore della libertà personale è considerato prevalente su quello della certezza del diritto).

- di rigetto

Con le sentenze di rigetto, la CC rigetta la questione di legittimità. Gli unici effetti di questo tipo di sentenza sono inter partes e hanno carattere preclusivo: il giudice a quo, nello stesso giudizio, non può risollevare la stessa questione. È invece possibile che lo stesso giudice, in un altro giudizio, risollevi l’ideata questione, oppure che lo faccia un altro giudice, in un altro grado dello stesso giudizio.

- interpretative

La CC può anche pronunciare decisioni più raffinate delle semplici sentenze, come le sentenze interpretative: si tratta di sentenze peculiari, che si collocano in una posizione intermedia tra le sentenze di accoglimento e quelle di rigetto, usate dalla Corte per pronunciarsi su uno specifico significato normativo della disposizione oggetto del giudizio. Anche tali sentenze possono essere di accoglimento (la CC accoglie la questione di legittimità costituzionale con esclusivo riferimento ad una norma desumibile dalla legge per via interpretativa, dichiarandola incostituzionali “nella parte in cui prevede…”) o di rigetto, con la quale la CC rigetta la questione sulla base di una specifica interpretazione della legge. “In linea di principio, le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali, ma perché è impossibile darne interpretazioni costituzionali”.

- manipolative

La Corte inoltre può pronunciare sentenze manipolative: si tratta di sentenze di accoglimento che non si limitano ad eliminare una norma dall’ordinamento, ma introducono nuove norme, ritenute costituzionalmente necessarie. Sono di questo tipo le sentenze additive e le sentenze sostitutive. [Con le sentenze additive la Corte dichiara l’incostituzionalità di una omissione legislativa, aggiungendo allo stesso tempo la norma mancante.] [Con le sentenze sostitutive la Corte dichiara incostituzionale una norma e, nello stesso momento, colma il vuoto che si viene a determinare, aggiungendo la norma mancante].

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I conflitti di attribuzione risolti dalla CC

La magistratura nell’ordinamento italiano: civil law

Common law

Le altre competenze: in particolare, i conflitti di attribuzione Guardando al dato numerico delle decisioni, la seconda competenza della Corte costituzionale è il giudizio sui conflitti di attribuzione. a) Conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato, che ogni singolo giudice è legittimato a sollevare. b) Conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni c) Circa il giudizio sulle accuse promosse contro il PdR, si rinvia a quanto già detto nel Capitolo IX. d) Giudizio sull’ammissibilità del referendum abrogativo La magistratura I giudici nella tradizione degli ordinamenti di civil law e di common law Nel sistema di civil law ai giudici viene attribuito un ruolo subordinato a quello del potere legislativo: essi, infatti, sono considerati bouche de la poi e hanno soltanto la funzione di applicare la legge ai casi concreti. Le loro decisioni servono a risolvere le singole controversie e non creano vincoli nei confronti degli altri giudici: i precedenti giudiziari, cioè, non sono vincolanti. Nel sistema di common law, invece, i giudici non si limitano ad applicare meccanicamente la legge alle singole fattispecie concrete, ma, attraverso l’interpretazione, la innovano (“judge makes law”. Le pronunce così adottate sono vincolanti nei confronti degli altri giudici, che hanno l’obbligo di conformarsi al loro contenuto quando decidono casi analoghi. Negli ordinamenti di common law, dunque, le decisioni dei giudici finiscono per configurarsi come fonti del diritto. I principi costituzionali sulla magistratura e la giurisdizione Iniziando dal punto di vista dei soggetti dell’ordinamento, l’art. 24 Cost. stabilisce che il diritto di difesa è inviolabile in ogni stato e grado del giudizio. Nella stessa disposizione si afferma che sono garantiti ai non abbienti i mezzi per agire e difendersi in giudizio. “Giusto processo”: espressione che deriva dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e che sintetizza il significato dell’intero art. 111 Cost. Secondo tale disposizione, il processo si svolge sulla base del principio del contraddittorio tra le parti. Un altro importante principio si rinviene nell’art. 25 Cost, per cui “nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge”. Si tratta del principio della precostituzione del giudice, in base al quale il giudice competente a risolvere una controversia deve essere stato determinato prima che sia avvenuto il fatto dal quale essa ha avuto origine.

L’autonomia e Tra i principi più rilevanti in tema di esercizio della funzione giurisdizionale vi l’indipendenza sono l’autonomia e l’indipendenza art 104, comma 1 Cost. secondo il quale “La della magistratura magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere” e dall’art 101 comma 2 Cost, il quale stabilisce che “I giudici sono soggetti soltanto alla legge”. La posizione dei giudici è protetta sia cercando di evitare possibilità di influenza e di controllo all’interno dello stesso potere giudiziario (indipendenza interna), sia escludendo interferenze di altri poteri dello Stato (indipendenza esterna).

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L’indipendenza interna

L’indipendenza interna riguarda, da una parte, l’organizzazione della magistratura (non gerarchica) e, dall’altra, il modo di funzionare della stessa (I magistrati si distinguono tra loro solo per diversità di funzioni, art. 107 comma 3 Cost.)

L’indipendenza esterna

L’indipendenza esterna riguarda i rapporti tra il potere giudiziario e gli altri poteri dello Stato (art. 104 Cost.). Il meccanismo principale di garanzia di tale forma di indipendenza è il Consiglio superiore della magistratura (art. 104 e 105 Cost). Il CSM è l’organo istituito per garantire l’autonomia e l’indipendenza della magistratura. Oggi, dunque, il CSM è composto da ventisette membri. I membri di diritto, come stabilisce l’art. 104 comma 2 Cost, sono il PdR — che lo presiede — il primo presidente e il procuratore generale della Corte di cassazione. Gli altri componenti sono eletti per due terzi da tutti i magistrati ordinari tra giudici, pubblici ministeri e magistrati della corte di cassazione e per un terzo dal Parlamento in seduta comune. I membri elettivi del CSM durano in carica quattro anni e non sono immediatamente rieleggibili. Il CSM adotta tutte le decisioni relative alla carriera e allo status dei magistrati: in particolare, le funzioni del Consiglio (art. 105 Cost) riguardano le assunzioni, le assegnazioni e i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei loro confronti.

[Il CSM: composizione

ruolo

partecipazione del ministro della giustizia]

Tuttavia, per evitare un’eccessiva autoreferenzialità del potere giudiziario, il procedimento disciplinare nei confronti dei magistrati prevede la partecipazione, oltre che del CSM, anche del ministro della giustizia: infatti, quest’ultimo promuove l’azione; il procedimento è avviato dalla sezione disciplinare del CSM; mentre la decisione finale è assunta dall’intero Consiglio.

Come si accede alla carriera giudiziaria?

Inoltre, l’ordinamento predispone altri meccanismi che garantiscono l’indipendenza esterna della magistratura (art. 106 Cost: si può accedere alla carriera giudiziaria solo in seguito ad un concorso pubblico). L’art. 92 comma 2 Cost prevede la possibilità che siano introdotte limitazioni al diritto dei magistrati di iscriversi a partiti politici.

Giudici ordinari e giudici speciali I giudici ordinari: Sono giudici ordinari i tribunali, le Corti d’appello e la Corte di cassazione: essi possono esercitare funzioni civili o penali e giudicano sulla lesione dei diritti soggettivi. - I tribunali svolgono funzioni giurisdizionali civili o penali di primo grado. Il Tribunali nostro sistema giudiziario, infatti, si basa sul meccanismo del doppio grado di giudizio. Le sentenze dei tribunali, se non impugnate entro i termini stabiliti dalla legge, diventano definitive e acquistano forza di giudicato. - Le Corti d’appello sono organi giurisdizionali collegiali, di secondo grado, Corti d’appello competente a giudicare sui ricorsi proposti contro le sentenze dei tribunali. . Contro le sentenze delle Corti di appello è possibile fare ricorso alla Corte di cassazione. - La Corte di cassazione è l’organo giudiziario di vertice dell’ordinamento Corte di italiano: le sue sentenze sono definitive e contro di esse non è ammesso alcun cassazione ricorso ulteriore. Le sue funzioni principali si distinguono in impugnatoria e nomofilattica.

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Le funzioni della Cassazione

Le funzioni principali della Corte di cassazione si distinguono in impugnatoria e nomofilattica. Quanto alla prima funzione, la Corte giudica, come anticipato, sui ricorsi provenienti dalle Corti di appello. Tuttavia, nell’esercizio di tale funzione la Corte non svolge un terzo grado di giudizio, ma effettua un giudizio di legittimità: si limita a verificare, nelle sentenze delle Corti di appello, l’esatta interpretazione e applicazione del diritto. Quanto alla seconda funzione, essa assicura l’uniforme interpretazione della legge e l’unità del diritto oggettivo nazionale. A tribunali, Corti di appello e Corte di cassazione si aggiungono i - giudici di pace: si tratta di magistrati onorari, che si distinguono dai magistrati di carriera in quanto non accedono alla funzione giurisdizionale mediante concorso pubblico.

Divieto di istituzione di giudici speciali (a parte quelli previsti dalla Cost)

L’art. 102 comma 2 Cost. stabilisce poi il divieto di istituire giudici straordinari o giudici speciali. Ad ogni modo, la Costituzione ammette l’esistenza di quelli previsti dallo stesso testo costituzionale.

I giudici speciali sono quei giudici che non fanno parte dell’ordinamento giudiziario: essi sono i tribunali amministrativi regionali (art. 125 Cost.), il Consiglio di Stato, la Corte dei Conti e i tribunali militari in tempo di pace (art. Giudici speciali: 103 Cost) [I TAR e il Consiglio di Stato esercitano le funzioni di giustizia amministrativa: TAR contro le decisioni dei TAR, cioè, è ammesso il ricorso al Consiglio di Stato.] Consiglio di Stato [La Corte dei conti è un organo giurisdizionale competente nelle materie di Corte dei Conti contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge (art. 103 comma 2 Cost).] [I Tribunali militari in tempo di pace hanno giurisdizione per i reati militari Tribunali militari commessi da appartenenti alle forze armate (art 103 comma 3 Cost)] Profili evolutivi del ruolo del giudice nello Stato contemporaneo La magistratura è passata da essere custode della legge, cioè organo di mera applicazione delle leggi, subordinato a Parlamento e Governo, come nello Stato liberale, a custode dei diritti, ovvero organo finalizzato al riconoscimento dei diritti costituzionali dei cittadini.

Il Pubblico Ministero Cosa fa?

Il pubblico ministero In base all’art 112 Cost, il pubblico ministero esercita l’azione penale, ovvero adotta gli atti dai quali prende avvio il processo penale. Il PM è tenuto ad esercitare tale azione ogni qual volta egli venga a conoscenza di una notizia di reato (principio della obbligatorietà dell’azione penale). L’esercizio dell’azione penale costituisce la funzione principale non esclusiva del pubblico ministero: egli, infatti, può essere definito come un magistrato che vigila sull’osservanza della legge, sulla pronta e regolare amministrazione della giustizia, sulla tutela dei diritti dello Stato, delle persone giuridiche e degli incapaci e fa eseguire i giudicati e ogni altro provvedimento del giudice. Art 107 comma 3: “Il pubblico ministero gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull’ordinamento giudiziario”. Art 108 comma 2 prevede che ne debba essere assicurata l’indipendenza.

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Le autorità indipendenti Definizione Cosa sono le Le autorità indipendenti sono organi statali che, in condizioni di autonomia autorità rispetto agli altri poteri pubblici e nel rispetto dei principi di neutralità e indipendenti e di imparzialità, svolgono un ruolo di garanzia di alcuni diritti fondamentali ovvero cosa si occupano? di regolazione di settori legati alle libertà economiche. Le autorità indipendenti sono una realtà istituzionale che non trova, per ora, spazio nella Costituzione. La previsione costituzionale manca anche perché la principale spinta alla creazione di queste autorità è emersa piuttosto di recente, legata alla necessità di regolare i processi di liberalizzazione del mercato avviati negli anni Novanta. Lo Stato, dunque, ha visto progressivamente mutare il proprio ruolo da attore economico ad arbitro del sistema. Ecco perché il legislatore ha ritenuto opportuno affidare questo compito di garanzia non al potere esecutivo né al potere giudiziario, quanto ad organismi indipendenti che potessero assicurare meglio il corretto svolgimento di questo ruolo arbitrale di garanzia. Il TAR Lombardia afferma “in termini generali, si definiscono autorità indipendenti i corpi amministrativi dotati di particolari competenze tecniche preposti alla cura di interessi ordinamenti “sensibili” che abbisognano dell’apporto qualificato di organismi muniti di una particolare posizione di terzietà”. Quali sono le loro Le caratteristiche delle autorità indipendenti caratteristiche? Abbiamo detto che le autorità indipendenti sono: a) Organi di natura amministrativa, poiché la loro funzione consiste nel “provvedere” al corretto svolgimento di taluni diritti e libertà, specialmente di natura economica. Per esercitare tale funzione, le autorità non solo sono, in vario grado, dotate di poteri amministrativi, ma anche di poteri normativi e quasi-giurisdizionali. Spesso possono conoscere dei reclami e ricorsi, risolvere controversie e irrogare sanzioni nelle materie di loro competenza. Tuttavia, sia le funzioni normative che quelle paragiurisdizionali rientrano pur sempre nell’esercizio di attività amministrative, cioè sono assoggettate al principio di legalità. Una prova ulteriore che si tratti di autorità amministrative, per quanto speciali, è la loro sottoposizione alla verifica contabile della Corte dei Conti. b) Indipendenti rispetto al Governo. Tale indipendenza è garantita i) dalle modalità di nomina: selezione di soggetti particolarmente qualificati; ii) dalle modalità di decadenza, che prevedono un esercizio a termine del mandato con rigide incompatibilità e divieti di riconferma; iii) dall’autonomia rispetto alle direttive del Governo nell’esercizio del mandato; iv) dall’autonomia contabile e organizzativa c) Neutrali e imparziali rispetto ai consociati d) Necessarie allo svolgimento di un ruolo di garanzia di diritti legati prevalentemente alla libertà economica.

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Le principali autorità indipendenti

Le principali autorità indipendenti: Banca d’Italia — Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB) — Istituto per la vigilanza sulle assicurazione (IVASS) — Autorità garante per la concorrenza e il mercato (Antritrust) — Autorità per l’energia elettrica e il gas (AEEG) — Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) — Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici — Commissione di garanzia per l’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali — il Garante per la protezione dei dati personali (Garante della Privacy).

- Banca d’Italia: deve assicurare la correttezza delle operazioni bancarie - CONSOB: deve assicurare la correttezza delle operazione nel mercato mobiliare

- IVASS: deve garantire la correttezza delle operazioni sul mercato assicurativo, ma in un’ottica di più stretto collegamento con la vigilanza bancaria

- Antitrust: deve assicurare il rispetto delle regole della concorrenza nel libero -

mercato dei beni e servizi, salvo che tale concorrenza per alcuni settori specifici non sia già assegnata ad altra autorità (AGCOM, CONSOB ecc) AEEG e AGCOM: devono assicurare il rispetto delle regole rispettivamente nel mercato della fornitura di gas e energia elettrica e nel mercato delle telecomunicazione, dell’audiovisivo e dell’informazione Commissione di garanzia per l’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali: deve assicurare la fornitura dei servizi pubblici essenziali in caso di sciopero Garante della Privacy: deve assicurare la correttezza del trattamento dei dati personali, che nell’attuale società dell’informazione e dell’informatica ha acquisito il carattere di diritto individuale. Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici: deve assicurare il rispetto dei criteri di efficienza e di efficacia negli appalti pubblici, secondo procedure improntate a tempestività, trasparenza e correttezza, nel rispetto del diritto europeo e della libera concorrenza tra gli operatori.

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