Riassunto A. Mario Banti [PDF]

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Zitiervorschau

Riassunto A. Banti – L’età contemporanea: Dalle rivoluzioni settecentesche all’Imperialismo 1.

Nuovi modi di commerciare, consumare, produrre

Fine ‘600-inizio ‘700: si assiste a una straordinaria fase di dinamismo economico, in cui sono coinvolti vari settori, fra cui soprattutto l’agricoltura, le manifatture e il commercio, specie quello a lunga percorrenza. Gli europei si mettono in viaggio verso terre esotiche per cercare nuove risorse, e l’effetto principale dei movimenti è di tracciare percorsi stabili che danno vita a una prima forma di globalizzazione. Da terre lontane arrivano nuovi beni di consumo, che fanno nascere luoghi appositi di aggregazione come le botteghe del caffè  nuova società dei consumi e nascita di un’opinione pubblica. I circuiti globali sono quelli che hanno preso forma tra ‘500-‘600: uno ad est, verso le Indie orientali; l’altro di forma triangolare, verso l’Africa e poi le Americhe. Verso l’inizio del ‘700, anche queste rotte attraversano una serie di trasformazioni: innanzitutto, cambia il tipo di beni commerciati. Nelle Indie orientali diminuisce il commercio di spezie in favore di tessuti, tè e caffè. Sul circuito triangolare invece, i mutamenti sono ben più profondi: a)

Man mano che aumenta la popolazione di insediamento coloniale aumenta anche la richiesta di beni prodotti in Europa, il che incrementa il settore manifatturiero. b) Dalle piantagioni del Sud America, dei Caraibi e del Nord America si esportano in Europa quantità crescenti di caffè, zucchero, tabacco e cotone. c) Aumenta vertiginosamente il commercio degli schiavi da impiegare come manodopera nelle piantagioni americane e caraibiche  sebbene ci siano voci di europei anche autorevoli che condannano la tratta degli schiavi, l’opinione dominante considera i neri come esseri inferiori. Uno dei paradossi del ‘700 europeo è proprio questo: le società che più danno sostanza al concetto di libertà sono anche quelle che accettano e praticano l’idea di un’essenziale disuguaglianza razziale. Le tre articolazioni commerciali che collegano Europa, America e Africa si saldano in un unico COMMERCIO TRIANGOLARE: dall’Europa partono navi cariche di merci di scambio utilizzate per l’acquisto di schiavi in Africa, da dove esse ripartono per il Brasile, i Caraibi o la Virginia; lì gli schiavi vengono venduti nelle piantagioni, e le navi ripartono per l’Europa cariche dei prodotti delle piantagioni stesse. Altre novità: a)

I protagonisti di questi commerci non sono più olandesi, spagnoli e portoghesi: si affermano i francesi e gli inglesi. Quest’ultimi alla fine si imporrano sui francesi, in virtù della loro flotta imbattibile. b) I commercianti e i coloni si insediano stabilmente nelle aree interessante dalle rotte, finora solo marginalmente toccate dall’espansione europea. Queste trasformazioni non produrrebbero una crescita economica da sole ma sono responsabili di innescare una serie di effetti a catena collaterali, sempre in Gran Bretagna. Il settore interessato è quello agricolo, in quanto gli incrementi di reddito prodotti dal commercio transoceanico permettono alla gente di mangiare di più e meglio, il che causa un aumento della domanda di beni agricoli  RIVOLUZIONE AGRICOLA. Essa deriva primariamente da una più razionale organizzazione delle proprietà terriere in comune che vengono privatizzate e divise in enclosures, che verranno a loro volta affidate a degli affittuari – i veri promotori delle innovazioni agricole. Cambia anche il sistema di rotazione delle colture, che diventa pluriennale. Tutto ciò era già cominciato nel XVII secolo ma nel XVIII subisce una forte accelerazione. Pe effetto di queste trasformazioni, la produttività agricola inglese aumenta notevolmente – di conseguenza si abbassano i costi (anche perché si iniziano a coltivare riso, mais e patate, più economiche del grano) ed aumenta il potere di acquisto dei consumatori, che dunque possono dedicare una parte del loro reddito ad altri beni di consumo. Altro grande evento di questo periodo è la TRANSIZIONE DEMOGRAFICA  contrariamente a quanto avveniva nei secoli precedenti, in cui gli aumenti demografici erano sempre temporanei e inseriti in un ciclo di aumenti e crolli demografici che seguivano incrementi e crolli dell’economia (modello malthusiano), il boom del XVIII secolo ha due peculiarità: è rapido e non è interrotto da crisi di aumenti del tasso di mortalità. Quello che cambia è proprio che il tasso di mortalità diminuisce drasticamente, mentre rimane alto il tasso di natalità  boom demografico. Questo è

dovuto alla 1) migliore disponibilità di beni alimentari, e al 2) miglioramento del tenore di vita e delle condizioni igieniche. Sempre in Gran Bretagna in questo periodo si verificano altri cambiamenti, innanzitutto nel settore tessile. Fino a quel momento la domanda di tessuti in cotone era soddisfatta prevalentemente dalla produzione indiana, a costi molti bassi; la possibilità di produrre tessuti di cotone direttamente in Inghilterra però spinge imprenditori e inventori a mettere a punto sistemi di produzione della stessa quantità di merce a prezzi concorrenziali  1733, invenzione della navetta volante di John Kay, il primo rudimentale telaio meccanico, che fu seguito da tutta una serie di migliorie successive. Parallelamente si sviluppò anche il settore siderurgico. La più importante invenzione del secolo fu la prima macchina a vapore, nel 1782, che permetteva di produrre artificialmente energia a ciclo continuo. Questo sancì la RIVOLUZIONE INDUSTRIALE, definita da Eric J. Hobsbawm, “la più grande trasformazione nella storia umana dal Neolitico”. Alcune caratteristiche: a)

La sequenza di trasformazioni che avviene (inizialmente) in Gran Bretagna, a differenza dei cicli precedenti, ha un carattere cumulativo inarrestabile e costituisce un modello per il resto d’Europa. b) Questi mutamenti non sono diffusi uniformemente in tutto il territorio e non avvengono allo stesso momento. c) Gli imprenditori – soprattutto quelli del settore tessile – hanno interesse a concentrare le macchine in un unico luogo, meglio se vicino a un porto: così nascono le prime unità produttive, le fabbriche, che vanno a sostituire i laboratori artigiani, e le prime aree industriali. Gli operai, quasi tutti ex artigiani, sono soggetti a orari e controlli molto rigidi. Inoltre, le innovazioni tecnologiche adottate sono tutte labour saving, cioè volte a far risparmiare sulla manodopera  DISOCCUPAZIONE, nascono i primi movimenti luddisti, che sabotano i macchinari per protesta. 2.

La rivoluzione americana

Alla fine della guerra dei Sette anni (1756-1763), la Gran Bretagna emerge come la più grande potenza mondiale: non solo ora controlla aree strategiche nella Penisola indiana, ma ha posto la sua egemonia pure su tutta l’area coloniale dell’America nord-orientale. Le esigenze dell’amministrazione e dell’esercito, già considerevoli durante la guerra, sono però ulteriormente cresciute  come farvi fronte? L’idea, condivisa sia dal sovrano Giorgio III che dai suoi governi, è di affrontare l’aumento delle spese con un aumento della pressione fiscale sui contribuenti delle colonie nordamericane. Questa posizione sarebbe stata giustificata dal fatto che l’area nordamericana sta vivendo un momento di espansione demografica ed economica; tuttavia, il calcolo risulta sbagliato quando la pressione fiscale porta a una crisi politica. I governanti britannici cercano di piegare con durezza le resistenze incontrate, ma non tengono conto di tre fattori che alimentano la fermezza dei coloni nel non voler cedere alle imposizioni della madrepatria: a)

La tradizione teologica dei gruppi protestanti puritani vede l’America come una terra promessa che, assieme con i suoi cittadini, deve essere protetta. b) Questa visione religiosa si fonde con l’elaborazione teorica dell’Inghilterra postrivoluzionaria secondo cui gli individui sono dotati di diritti naturali inalienabili. c) Entrambe queste due posizioni trovano sostegno nell’élite intellettuale, che ha assorbito i principi dell’Illuminismo europeo. La nuova politica fiscale viene messa in atto con due norme: il Revenue Act (1764), volto a limitare il contrabbando, e lo Stamp Act (1765), che imponeva l’acquisto di un bollo da applicare su ogni documento ufficiale. Il ricavato della vendita dei bolli sarebbe servito allo Stato britannico per finanziare le truppe di stanza nelle colonie, quindi sarebbe rimasto su suolo americano, ma questo non bastò a convincere i contribuenti americani, i quali cominciarono a protestare. Le proteste si concentrano nelle tredici colonie orientali, e l’argomento più forte che viene utilizzato è che un organo legislativo come la Camera dei Comuni non può approvare tasse a danno di territori ai quali non viene riconosciuto il diritto di mandarvi rappresentanti che possano difenderne gli interessi  “no taxation without representation”. Di fronte al malumore delle colonie, il governo di Londra revoca lo Stamp Act (1766), ma tiene duro sulla questione della rappresentanza. Di lì a poco i rapporti si guasteranno del tutto quando nel 1773, il Parlamento attribuisce alla East India Company il monopolio della vendita del tè in Nord America, il che si rivela una mossa infelice per tre motivi: 1) colpisce direttamente gli interessi dei commercianti; 2) colpisce il contrabbando; 3) si rivela la prova che il governo britannico non ha a cuore gli interessi delle colonie.

BOSTON TEA PARTY: il 16 dicembre del 1773, un gruppo di coloni si introduce su alcune navi della Compagnia e butta in mare alcune casse di tè. Questo provoca una reazione durissima da parte del governo: il porto di Boston viene chiuso, il Parlamento del Massachusetts abolito, e il potere viene concentrato nel potere dei governatori e dei militari. A questo punto, i ribelli rispondono convocando un Congresso dei rappresentanti delle colonie (Filadelfia, 1774), per decidere il da farsi. Le posizioni dei congressisti sono varie: ci sono i lealisti convinti come gli indipendentisti radicali; perciò, non si riesce a prendere una decisione troppo netta. Il Congresso decide comunque di chiedere formalmente al governo britannico di ritirare le norme repressive in atto e lo sollecita a manifestare un’apertura al compromesso. La risposta di Londra, però, non soddisfa queste aspettative: all’inizio del 1775 i comandanti dell’esercito britannico di stanza nel Massachusetts ricevono l’ordine di arrestare i leader dei ribelli – operazione che conduce a seri scontri a Lexington e intorno a Boston nella primavera dello stesso anno. Un secondo Congresso riunitosi sempre a Filadelfia il 10 maggio 1775 decide di illustrare pubblicamente i motivi della ribellione armata in una Dichiarazione (6 luglio 1775). I rapporti si fanno irreparabili quando il Congresso prende l’ulteriore, drastica decisione di battere moneta autonomamente e di organizzare un proprio esercito, comandato da George Washington (1732-1799), un proprietario terriero della Virginia. L’ipotesi di indipendenza, finora solo ventilata, viene definitivamente presa in considerazione dal Congresso che approva la Dichiarazione d’indipendenza il 2 luglio 1776, rendendola pubblica due giorni dopo  4 luglio 1776. Non tutti ancora sono d’accordo col proclamare l’indipendenza dalla madrepatria, ma con essa, scoppia la vera e propria guerra. La Gran Bretagna manda nelle colonie un esercito ingente, ulteriormente supportato dagli stessi coloni lealisti (indipendentisti contro lealisti  GUERRA ANCHE CIVILE); nonostante ciò, i coloni resistono bene, anche grazie alla strategia adottata. Washington, infatti, evita quanto più possibile le battaglie campali, puntando a logorare i britannici con incursioni a sorpresa. Importante anche il fatto che da un lato i soldati combattono per soldi o perché costretti, mentre i coloni sono animati dalla volontà di proteggere le proprie famiglie e un ideale di libertà che rasenta il fanatismo. Col passare dei mesi, la guerra volge a favore dei ribelli, anche perché aiutati da potenze straniere come la Spagna, l’Olanda e la Francia, che nel 1778 riconosce l’indipendenza degli Stati Uniti. Nel 1781 si combatte la decisiva battaglia di Yorktown: questa città in Virginia era stata occupata dai britannici e viene messa sotto assedio dalle forze congiunte dei ribelli e dei francesi. Nel 1781 viene finalmente riconquistata, e ciò segna la fine della guerra. Infatti, il governo britannico avvia le trattative di pace coi ribelli che il 3 settembre 1783 portano alla firma di un trattato in cui viene riconosciuta l’indipendenza delle colonie nordamericane. Inoltre, la Gran Bretagna deve restituire la Florida alla Spagna. A questo punto per i leader politici dei territori indipendenti si apre una fase di discussione per decidere quale forma istituzionale dare al nuovo Stato. Tra il 1776 e il 1780 le tredici ex colonie si sono già trasformate in Stati autonomi, ciascuno dotandosi di una Costituzione scritta che riconosce come unica forma istituzionale la repubblica e si basa su un parlamento elettivo. I rapporti tra gli Stati invece sono provvisoriamente regolati da un Congresso. Tuttavia, nel maggio del 1787, i delegati degli Stati si riuniscono nuovamente a Filadelfia e in quella sede stabiliscono di scrivere una Costituzione che configuri il nuovo Stato non come una confederazione, ma una FEDERAZIONE. Sotto la presidenza di George Washington, la Costituzione viene ultimata nel settembre del 1787. Essa prevede una divisione dei poteri netta: 1) il potere legislativo è in mano al Congresso, istituzione bicamerale diviso in Camera dei rappresentati e il Senato; 2) il potere esecutivo è in mano a un Presidente eletto ogni 4 anni; 3) il potere giudiziario è in mano alla Corte suprema. Approvata dalla maggioranza degli Stati, sin dal marzo 1789 la Costituzione entra in vigore e viene eletto il primo presidente, George Washington. Il punto più delicato per la neonata repubblica riguarda però l’equilibrio tra i poteri dei singoli Stati e del governo centrale verso di essi. A favore di una preponderanza del governo centrale si schierano i cosiddetti federalisti, mentre ad essi si contrappone lo schieramento repubblicano, sostenitore dei diritti degli Stati contro il governo centrale. Quest’ultimo ottiene una significativa vittoria quando nel 1791 viene approvato il Bill of Rights, un pacchetto di dieci emendamenti alla Costituzione che stabiliscono i limiti che il governo centrale deve rispettare nei confronti dei singoli individui e gli Stati membri. Inoltre, vanno stabiliti i criteri per l’attribuzione della cittadinanza e per l’espansione territoriale. La prima può essere concessa per nascita o a chi, dopo aver vissuto un certo numero di anni sul territorio dell’Unione, ne faccia richiesta. Per quanto riguarda l’espansione dei confini, le politiche sono del tutto flessibili e mentre i nativi vengono spinti sempre più verso ovest (spesso anche in modo brutale), si formano tre nuovi Stati:

Tennessee, Kentucky e Ohio. Donne, neri e nativi americani non hanno diritto di voto e sono completamente marginalizzati. 3.

La Rivoluzione francese

La formazione di un’opinione pubblica più consapevole aveva già notevolmente indebolito la monarchia e il prestigio del re sin dalla metà del XVIII secolo, ma il vero punto critico della monarchia francese è l’emergenza fiscale, causata dalle spese sostenute nelle guerre precedenti. Così nel 1786, d’accordo col sovrano Luigi XVI, il ministro delle finanze prepara un progetto di riforma che prevede l’abolizione delle dogane interne, la liberalizzazione del commercio, e soprattutto l’abolizione delle esenzioni fiscali di cui godono la nobiltà e il clero. Il Parlamento di Parigi si oppone, poiché desidera sia difendere i privilegi di nobiltà e clero, sia mantenere inalterati i rapporti di forza tra le istituzioni. Priva del consenso dei parlamentari la riforma non può fare passi avanti, e così il sovrano tenta di scavalcare la situazione di stallo prima cercando di sciogliere il Parlamento con la forza (senza però andare fino in fondo) e poi convocando gli Stati Generali (1788)  un organismo di rappresentanza mai più riunito dal XVII secolo. Come da prassi gli Stati Generali vengono convocati per ordini – nobiltà, clero e terzo stato – e da ciò consegue che con tutta probabilità saranno sempre i primi due, detentori di privilegi, ad avere la meglio. Si stabilisce dunque che il Terzo Stato (che rappresenta la maggioranza della popolazione) abbia un numero pari alla somma dei rappresentanti degli altri due ordini, ma sulle procedure di voto non si raggiunge alcuna conclusione. La procedura di elezione dei rappresentanti prevede inoltre che le assemblee elettorali sparse sul territorio francese manifestino la propria insofferenza attraverso la redazione dei cachiers de doléances, il che contribuisce ad animare il dibattito politico. Che cos’è il Terzo stato? di Emmanuel-Joseph Sieyès; libretto pubblicato nel 1789 che definisce nobiltà e clero come dei parassiti che gravano sulle spalle del Terzo stato, e afferma anche che una nazione può definirsi tale solo quando tutti i suoi cittadini sono soggetti alle medesime leggi, senza privilegi. Il 5 maggio 1789 vengono inaugurati gli Stati Generali a Versailles, ma scoppia subito un duro contrasto tra i rappresentanti sulle modalità di voto; situazione che viene sbloccata da un atto di forza quando il 17 giugno i deputati del Terzo stato abbandonano la riunione e vanno a costituire un’Assemblea nazionale. Quest’ultima, trovando chiusa la sala delle riunioni di Versailles si sposta nella sala vicina dove giura solennemente di non sciogliersi prima di aver scritto una nuova Costituzione  GIURAMENTO DELLA PALLACORDA. Il re mantiene un atteggiamento ambiguo: ordina ai deputati degli altri ordini di unirsi al Terzo stato, dando quindi origine alla più esplicita Assemblea nazionale costituente; ma allo stesso tempo licenzia il ministro delle finanze Necker, molto amato dall’opinione pubblica, e dà ordine ai militari di circondare Parigi. Il malumore politico poi si mescola con il disagio sociale, dovuto allo scarso raccolto dell’annata precedente e al fatto che quello dell’anno corrente, molto buono, non è ancora stato reso disponibile e quindi il prezzo del pane cresce. A Parigi scoppiano tumulti, e il 14 luglio, uno di questi si trasforma in qualcosa di più grande. Una nutrita folla si reca alla Bastiglia, una vecchia prigione-fortezza in cui si spera di trovare delle armi. Il comandante della prigione cerca di bloccare l’attacco, ma le difese cedono ed egli viene trascinato fuori, ucciso, decapitato e la sua testa infilzata su una lancia e portata in giro dalla folla inferocita  gesto simbolico molto potente, perché prima le esecuzioni capitali potevano essere ordinate solo dal re e dai magistrati. Il re ne è infatti impressionato, tant’è che solo due giorni dopo conferisce di nuovo l’incarico di ministro a Necker e il 17 luglio decide di mostrarsi pubblicamente a favore della neonata rivoluzione. Nel frattempo, disordini sociali scoppiano anche nelle campagne; i mezzi per far fronte all’emergenza sono due – viene costituita una milizia della Guardia nazionale, un corpo armato che ha l’obiettivo di difendere la Rivoluzione ma anche mantenere l’ordine quanto più possibile, e inoltre, nel corso di una riunione nella notte del 4 agosto, l’Assemblea nazionale decide di abolire tutti i privilegi feudali. È una svolta epocale. Pochi giorni dopo, l’Assemblea approva anche la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, in cui si affermano una serie di diritti sacri e inalienabili dell’uomo in quanto tale, e non come membro di una casta. Il re però si oppone a entrambe queste decisioni, e convoca a Versailles un reggimento dell’esercito. I membri dell’Assemblea, dunque, iniziano a far pressioni sul capitano della Guardia nazionale, Lafayette, affinché riconduca il re a Parigi con la forza. Il 5 ottobre, a spezzare l’esitazione di Lafayette, arriva un alto evento: alcune donne dei mercati centrali di Parigi si recano al Municipio a cercare pane e armi. Da lì proseguono verso Versailles, con 20.000 guardie nazionali e lo stesso Lafayette al seguito, convincendo il re non solo a trasferirsi a Parigi con la famiglia, ma anche ad approvare le riforme e la Dichiarazione. Nel frattempo, molti nobili fuggono con le famiglie verso l’Austria o vari paesi tedeschi. Il 19 ottobre l’Assemblea nazionale sposta la sua sede a Versailles.

Assistiamo nel frattempo alla nascita dei moderni schieramenti politici (destra e sinistra, che corrispondono alle posizioni moderata e radicale e alla disposizione dei deputati rispetto al presidente dell’Assemblea) e dei club; quest’ultimi replicano o sostengono le posizioni dei gruppi attivi all’interno dell’Assemblea. Abbiamo il club dei giacobini, che sono democratico-radicali; i foglianti, che rappresentano la destra moderata e i cordiglieri, costituitisi nel 1790, un gruppo di sinistra estrema di cui fanno parte anche personaggi di spicco come Marat, Danton e Hébert. Nel corso del 1790 l’Assemblea, impegnata nella redazione della Costituzione, vara una serie di importanti riforme, fra cui: 1) la riforma amministrativa e giudiziaria; 2) l’abolizione dei titoli nobiliari e delle corporazioni; 3) si stabilisce la confisca delle proprietà ecclesiastiche e che il clero sia obbligato a giurare sulla Costituzione  questo provoca uno strappo con Papa Pio VI, che condanna pubblicamente la Rivoluzione. Il 3 settembre 1791 viene approvata la Costituzione. Essa prevede che il nuovo stato sarà una monarchia costituzionale con ampi poteri al re, che è a capo dell’esecutivo, ma è comunque affiancato dall’Assemblea e limitato dalla Costituzione. Il 13 settembre 1791 il re approva la Costituzione, ma non senza problemi: alcuni mesi prima, infatti, egli aveva tentato la fuga verso l’Austria con la famiglia. Fermato e riconosciuto, era stato ricondotto a Parigi, ma ciò aveva comunque evidenziato l’elemento debole nella nuova architettura istituzionale: il re non era disposto ad accettare altro che una monarchia assoluta. Nel settembre del 1791 si tengono le elezioni per l’Assemblea legislativa. Essa è suddivisa in schieramenti politici, con un gruppo di centro, la destra del club dei foglianti (con a capo Lafayette) più moderata e favorevole all’assetto monarchico-costituzionale, e la sinistra, composta da cordiglieri e giacobini (di cui faceva parte un sottogruppo di rappresentanti del dipartimento della Gironda chiamato dei girondini, con a capo Brissot). All’aumentare delle tensioni con Austria e Prussia, che sono ostili alla Rivoluzione, aumenta sempre di più la spaccatura fra questi partiti: il re e la corte (che sperano in una restaurazione dell’assolutismo) così come i girondini di Brissot (che cercano invece di sanare le tensioni interne) sono favorevoli alla guerra, mentre i più restii sono i giacobini con a capo Robespierre. Alla fine, il 20 aprile 1792 il re firma la dichiarazione di guerra contro l’Austria, al fianco della quale si schiererà la Prussia. I primi momenti del conflitto sembrano preludere la vittoria delle forze austro-prussiane e Parigi è nel caos più totale, così il governo annuncia una leva di volontari a cui si aggiungono 70.000 soldati reclutati forzatamente. È proprio nell’esercito (formato da molti battaglioni di repubblicani convinti) che inizia a circolare la voce di un tradimento di re Luigi XVI, che starebbe cospirando con prussiani e austriaci.  il più rapido a sfruttare la protesta che sta montando contro il re è proprio Robespierre, che in un discorso delinea un programma alternativo che prevede di abbattere la monarchia, sostituire l’Assemblea con una Convenzione eletta a suffragio universale maschile, ed eliminare tutti i traditori. Questa linea politica trova l’appoggio dei san-culottes, e anche i girondini di Brissot, per non perdere consensi, la appoggiano. L’iniziativa prende corpo con l’assalto del 10 agosto 1792 al Palazzo delle Tuileries da parte dei sanculotti, e inizia ad essere attuato il programma di Robespierre: il re viene imprigionato, e l’Assemblea sostituita dalla Convenzione. Di nuovo si affermano come partiti predominanti i girondini e i giacobini  si nota come l’orientamento si sta sempre più radicalizzando. Poco dopo, l’esercito francese ha riportato una vittoria importante a Valmy, su un esercito prussiano indebolito da un’epidemia. Lo stesso giorno, il 21 settembre 1792, la Convenzione dichiara decaduta la monarchia e proclama la Repubblica. Verso la fine dell’anno la guerra volge a favore dei francesi, che si spingono oltre i confini nazionali dichiarando di voler prestare aiuto ai popoli che vorranno sollevarsi contro il potere regio, e nel dicembre del 1792 il re viene messo a processo. Il processo inizia l’11 dicembre 1792: la Convenzione lo giudica colpevole, e lo condanna a morte per decapitazione sulla ghigliottina, che avviene il 21 gennaio 1793.  Brissot e i girondini hanno assunto una posizione contraria all’esecuzione del re, e ciò li ha messi in una luce ambigua presso l’opinione pubblica; essi cercano infatti di trovare soluzioni che li rilancino politicamente, mentre i giacobini cercano di sfruttare la crescente insoddisfazione del popolo e in particolare dei sanculotti. I due gruppi spingono la Convenzione ad approvare una serie di misure estreme, in primo luogo per quanto riguarda la repressione del dissenso  viene istituito il Tribunale rivoluzionario, che dovrà giudicare i reati contro la sovranità popolare. La situazione va evolvendosi anche sul fronte militare. Le potenze europee si stanno schierando al fianco di Prussia e Austria per formare una grande coalizione antifrancese, il che deflagra ulteriormente quando la Convenzione dichiara guerra alla Gran Bretagna, alle Province Unite e alla Spagna. Ironicamente, l’esercito francese non ha abbastanza uomini ma conta di poterne trovare altri tramite leva obbligatoria  ciò non viene preso molto bene soprattutto nelle campagne, infatti scoppia una grave rivolta in Vandea il 10 marzo 1793. Sia a causa della leva che non produce i

risultati sperati sia a causa della diserzione del comandante Dumouriez, eroe di Valmy e affine all’ambiente girondino, l’esercito francese viene sconfitto a Neerwinden in Belgio, solo 6 giorni dopo. I giacobini ne approfittano per addossare ai girondini la colpa della disfatta. Altro problema è l’inflazione e solo dopo molte resistenze la Convenzione approva delle misure per calmierare i prezzi. A questo punto, il gruppo girondino non cerca più mediazioni e ritiene che sia necessaria un’azione repressiva; tentativo che riesce in molti dipartimenti francesi, ma non a Parigi, dove vengono anticipati  il 31 maggio 1793 una folla di sanculotti assalta la Convenzione con l’obiettivo di espellere i girondini e far approvare misure di politica sociale a favore dei più poveri. Dopo qualche giorno, la Convenzione cede e i girondini vengono arrestati. Il governo e la Convenzione passano sotto il controllo dei giacobini di Robespierre.



La repubblica del Terrore

La fase del governo giacobino si apre con l’approvazione di una nuova Costituzione che però non entrerà mai in vigore. Nel corso dell’estate del 1793 la Convenzione trasferisce il potere esecutivo al Comitato di salute pubblica, composto fra gli altri da Robespierre, Saint-Just e Couthon, mentre la Convenzione stessa rimane come organo legislativo provvisorio. I giacobini costruiscono una dittatura radicale che non segue più le regole di rappresentanza parlamentare, ma anzi vorrebbe cambiare totalmente la struttura sociale, la mentalità e l’etica del paese. Il compito è reso molto arduo dalla grave crisi interna: infatti, da un lato in diverse province scoppiano aspre rivolte “federaliste” guidate dai capi girondini locali; dall’altro si aggravano le insurrezioni già in corso in Vandea e Bretagna. Sono quattro i modi in cui i giacobini cercano di far fronte alla situazione: a)

Il ricorso al Terrore come strumento di governo, che si traduce in sistematiche azioni di violenza repressiva di ogni dissenso. La gamma di reati politici per cui si può essere denunciati al Tribunale rivoluzionario è ampliata dalla “legge dei sospetti”. Oltre ai capi girondini, anche i membri dei gruppi politici più vicini a Robespierre vengono ghigliottinati: Hébert, Danton e Desmoulins. b) Si cerca di assecondare le richieste dei sanculotti introducendo un calmiere di prezzi e salari. c) Si avvia un procedimento di scristianizzazione, con l’introduzione di un calendario rivoluzionario, il culto della Ragione e quello per l’Essere Supremo, voluto da Robespierre. d) Ampliamento dell’esercito con una coscrizione obbligatoria decretata il 23 agosto 1793. La riorganizzazione militare dà effettivamente buoni frutti, infatti i francesi riescono a riprendere Dunkerque, a respingere gli spagnoli oltre i Pirenei e l’esercito sabaudo dietro le Alpi. Questi parziali successi, anziché ammorbidire l’azione repressiva di Robespierre, la inaspriscono: tra giugno e luglio 1793 vengono giustiziate più di 2500 persone. La situazione è ormai insostenibile: sanculotti, classe media e militari sono ostili al regime, e infatti la convergenza tra i tre rende possibile un colpo di Stato messo in atto il 9 termidoro anno II (27 luglio 1794). Robespierre, Saint-Just, Couthon e altri 19 capi giacobini vengono arrestati e ghigliottinati senza processo. Durante la Rivoluzione francese emerge per la prima volta l’idea che la miriade di individui che dovrebbero partecipare alla vita politica lo faccia fondendosi in un’unica entità, e quando questa aspettativa viene disattesa, torna facile il ricorso alla violenza; essa però non è l’unico mezzo cui si ricorre per forgiare l’identità nazionale  istruzione pubblica e sistema di feste pubbliche. Questo è fondamentale anche perché ci sono altre linee di frattura ancora più profonde che percorrono l’esperienza rivoluzionaria, in particolare legate alle barriere di genere, razza e classe. 1.

2.

Genere  nei primi anni la crisi rivoluzionaria sembra offrire spazi impensati al protagonismo femminile, ma già la Costituzione del 1791 esclude totalmente le donne dalla partecipazione politica e dalle elezioni. È anche in reazione a questo testo permeato di sessismo che Olympe de Gouges dà alle stampe una Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina e si fa promotrice di istanze che si traducono nella costituzione di società politiche strettamente femminili, che chiedono a gran voce il riconoscimento alle donne dei diritti fondamentali. Queste associazioni saranno sciolte nel 1793 dai leader giacobini. Olympe, assieme ad altre quattro donne (Maria Antonietta, Charlotte Corday e Madame Roland) sarà giustiziata alla ghigliottina. Razza  la forza della Dichiarazione dei diritti dell’uomo distrugge gli equilibri in una delle più ricche colonie francesi, Santo Domingo. Sulla parte francese dell’isola vige uno spietato sistema schiavistico, ma l’ordine viene turbato quando scoppia il primo conflitto fra bianchi e mulatti, liberi ma privi di diritti, che reclamano un’estensione dei diritti anche alla loro categoria. Ciò viene rifiutato, e nell’agosto del 1791 scoppia anche una rivolta degli schiavi neri guidati dall’ex schiavo Toussaint Louverture e appoggiato da Spagna e Gran

3.

Bretagna. Nel 1792 l’Assemblea approva l’uguaglianza giuridica dei mulatti, ma ormai è tardi: l’isola è attraversata da scontri feroci e migliaia di schiavi neri reclamano la propria libertà. Essa viene concessa dalla Convenzione, che abolisce la schiavitù nel 1793, per mantenere la colonia caraibica  la misura ha successo perché Louverture giura fedeltà alla Repubblica. Diventato alla fine un dittatore autoritario, l’esperienza abolizionista finirà quando Napoleone ristabilisce la schiavitù nelle colonie francesi, anche se fallisce il tentativo di riprendersi l’isola che dichiarerà l’indipendenza della Repubblica di Haiti nel 1802. Classe  intolleranza verso le usanze dei contadini sfocia nella rivolta della Vandea nel marzo del 1793, come risposta alla coscrizione militare obbligatoria e ai ripetuti attacchi al cattolicesimo, di cui i contadini facevano un loro elemento identitario. La Convenzione risponde con una repressione brutale, tanto che alla fine della rivolta, che è del resto una sanguinosa guerra civile, si contano circa 100.000 contadini morti. Tale brutalità, infatti, porterà la resistenza a rianimarsi con la seconda rivolta in Vandea, che termina solo nel 1795 con un armistizio al seguito del quale i ribelli vandeani riconoscono la Repubblica e il governo reintegra i preti refrattari e si impegna a non chiedere imposte alla regione per dieci anni.

4.

La Francia e l’Europa

Dopo l’esecuzione di Robespierre, i club giacobini vengono chiusi e i massacri sono all’ordine del giorno; l’inflazione è fuori controllo, e l’instabilità economico-sociale non fa che accentuare l’inquietudine politica. Perciò si tenta di trovare un punto di equilibrio attraverso la redazione di una nuova Costituzione che va a sostituire quella del 1793, mai entrata in vigore  essa viene approvata il 22 agosto del 1795. Risulta più lunga e complessa della precedente, e si basa su una rigida separazione dei poteri. Prevede un Parlamento bicamerale con una Camera che ha il compito di scrivere le leggi (Consiglio dei Cinquecento) e un’altra che ha il compito di verificarle ed approvarle (Consiglio degli Anziani); le due camere poi eleggono i membri del Direttorio, un organo superesecutivo che nomina i ministri e detiene il vero potere. Il sistema elettorale è censitario e prevede elezioni a doppio grado. La risposta dell’opinione pubblica non è positiva: molti, infatti, criticano il carattere spudoratamente oligarchico del nuovo assetto costituzionale  insurrezioni. A sinistra, l’agitazione trova modo di esprimersi in due tentativi di insurrezione promossi dai sanculotti fra l’aprile e maggio 1795, entrambi repressi nel sangue. Un anno più tardi viene scoperta una congiura detta degli Eguali, coordinata dall’ex giacobini François Noel Babeuf, che puntava a rovesciare il Direttorio ed abolire la proprietà privata; venne sventata, e il suo promotore giustiziato. A destra l’inquietudine si manifesta di nuovo in Vandea dove un gruppo di filomonarchici cerca di provocare una nuova insurrezione; anche a Parigi i filomonarchici organizzano una rivolta, ma essa viene repressa da Napoleone Bonaparte a cannonate. La nuova tecnica di risoluzione delle crisi politiche pare ormai essere il colpo di Stato: ne avviene uno nell’aprile e uno nel maggio del 1797 quando il Direttorio guidato da Paul Barras annulla due volte le elezioni che avevano registrato una vittoria dei filomonarchici prima, e della sinistra giacobina poi. È evidente l’importanza dell’esercito e dei generali in questo contesto.

 L’esercito francese e le Repubbliche sorelle L’ascesa politica dei militari che caratterizza questa fase tra il 1794 e il 1799 è resa possibile da una trasformazione nel modo di organizzare l’esercito e di fare la guerra. Fino al 1791, infatti, l’esercito francese era composto da mercenari e da soldati arruolati a forza, mentre gli ufficiali erano esclusivamente nobili; ciò inizia a cambiare quanto i nobili emigrano, il che dà opportunità a tutti quei giovani generali di più modesta estrazione di mettere in luce le proprie qualità. Anche l’esperienza del volontariato militare dà un contributo essenziale: infatti, l’esperienza della leva obbligatoria non era stata accolta positivamente il più delle volte, mentre il numero molto alto di soldati volontari che sapevano bene per cosa combattessero era probabilmente ciò che rendeva l’esercito francese speciale, in qualche modo  l’energia bellica dell’esercito francese è ciò che gli consente di ribaltare le sorti della guerra contro Austria e Prussia, e anche di spingersi al di là dei territori nazionali. Questa operazione di conquista ha un carattere ambiguo: nelle terre direttamente annesse alla Repubblica vengono introdotti ordinamenti francesi; nelle terre non annesse invece si istituiscono delle repubbliche, le cui istituzioni ricalcano quelle dettate dalla Costituzione del 1795. Tuttavia, l’ambiguità sta nel fatto che sia i territori annessi sia le “repubbliche sorelle” (ex Paesi Bassi austriaci, Olanda, Svizzera e Italia) sono sottoposte a un rigido controllo politico e militare, nonostante la conquista fosse stata condotta in nome della libertà. Ad ogni modo, è così che i generali iniziano ad acquisire un peso politico particolare: stabiliscono con i propri eserciti un rapporto di strettissima fedeltà, e ciò sta alla base della forza politica di cui godono all’epoca del Direttorio; es. Napoleone Bonaparte.



Il “triennio repubblicano” in Italia

Svolendo sferrare un duro attacco all’Austria, all’inizio del 1796 l’esercito francese comandato da Napoleone muove sul fronte italiano e ottiene una serie di successi importanti sia contro l’esercito sabaudo che austriaco. Alla fine, verranno stipulati dei trattati di pace ulteriormente rinforzati dal trattato di Campoformio (17 ottobre 1797) in cui la Francia cede Venezia e i territori del nord-est italiano all’Austria, ma in compenso reclama l’intera penisola, con l’eccezione di Sardegna e Sicilia. L’Italia viene così divisa fra territori direttamente controllati dall’autorità francese, le nuove “repubbliche sorelle”; addirittura papa Pio VI, nel 1798, viene deportato come prigioniero politico a Valence dove morirà solo un anno dopo. Una parte della popolazione accoglierà con ostilità i francesi, mentre altri, soprattutto la borghesia, accolgono positivamente i primi cambiamenti che l’occupazione francese porta con sé – soprattutto una serie di libertà di opinione e stampa che prima erano impensabili. Tuttavia, al fronte di queste innovazioni, le repubbliche sorelle non godono di autonomia politica, dato che i loro organismi sono controllati dalle autorità civili e militari francesi; inoltre, i territori sono soggetti a una forte pressione fiscale e a ripetute requisizioni, atti di violenza e prepotenza – il che provoca una traumatica disillusione nei patrioti italiani che avevano visto nei francesi un’opportunità di libertà. 

Spedizione in Egitto

All’inizio del 1798 l’unico altro nemico rimasto alla Francia è la Gran Bretagna; impossibile però attaccarla via mare, così Napoleone mette a punto un piano: conquistare l’Egitto, territorio ottomano, per impossessarsi delle rotte commerciali verso l’India. Il Direttorio è ben contento di allontanare il generale dalla Francia, così Napoleone parte con un seguito, oltre che di soldati, di cartografi, disegnatori e archeologi  questo perché vuole unire il successo militare a quello culturale, che garantisce prestigio. Sconfitte le truppe turche nella battaglia delle Piramidi (21 luglio 1798), l’esercito napoleonico sottopone l’Egitto a un’occupazione dura e violenta. Gli inglesi però non restano a guardare e l’ammiraglio Horatio Nelson distrugge la flotta francese ad Abukir, ragion per cui la spedizione francese può considerarsi, dal punto di vista militare, un fallimento. Dal punto di vista culturale, invece, vengono fatti ritrovamenti importanti come la stele di Rosetta.

Alla fine del 1798, Russia e Austria aderiscono a una seconda coalizione antifrancese al fianco della Gran Bretagna. Uno dei principali teatri di guerra è l’Italia, dove già le “repubbliche sorelle” avevano iniziato a implodere e a rivoltarsi contro l’occupazione francese, sia per il carattere violento e repressivo di quest’ultima, sia per l’aspetto modernizzante che era fortemente osteggiato. Nel dicembre del 1799 la presenza francese in Italia viene ridimensionata a tal punto che solo Genova, peraltro assediata, ancora resiste; ovunque si sono riaffermati le antiche istituzioni prerepubblicane. Già nell’aprile del 1799 il Direttorio era in crisi: emerge Sieyès come figura politica, che spera di annullare la Costituzione del 1795 con un colpo di Stato militare  designa Napoleone per questo scopo, ma la situazione gli sfugge di mano quando tra il 9 e il 10 novembre Napoleone effettivamente scioglie il Parlamento, ma per imporre un consolato provvisorio di tre membri. Sieyès verrà in un secondo momento escluso da questo disegno politico quando il 25 dicembre 1799 entra in vigore la nuova Costituzione, che prevede che Napoleone venga proclamato primo console. Egli ha tutto il potere esecutivo, mentre gli altri due consoli, Cambacérès e Lebrun, hanno solo ruolo consultivo. 5.

Napoleone

Le prerogative costituzionali del primo console sono cospicue: a lui spetta il potere esecutivo e gran parte del potere legislativo; c’è ancora un Parlamento bicamerale che svolge le sue funzioni secondo un sistema simile a quello previsto nella Costituzione del 1795, ma è fortemente ridimensionato. Solo dopo che questa nuova Costituzione è entrata in vigore viene organizzato un plebiscito, il cui risultato è pilotato verso un risultato obbligato, sebbene comunque meno lusinghiero di quanto Napoleone sperasse. Una volta in carica, il regime deve preoccuparsi delle minacce militari: la Russia si è ritirata dalla seconda coalizione antifrancese, cosicché l’esercito francese batte facilmente gli austriaci a Marengo, nel 1800  il 9 febbraio del 1801 viene stipulata la pace di Lunéville, sulla base della quale è riconosciuto alla Francia il controllo dell’Italia centro-settentrionale. Inoltre, il 27 marzo 1802 Napoleone firma la pace di Amiens con la Gran Bretagna, che prevede l’evacuazione dei britannici da Malta e la restituzione dell’Egitto all’impero ottomano. Sfruttando questa situazione favorevole, egli si fa nominare primo console a vita, il che viene confermato da un altro plebiscito che si tiene fra maggio e luglio del 1802.

La pace però non dura a lungo; i britannici infatti non evacuano Malta, ma anzi, nel maggio del 1803 la Gran Bretagna dichiara guerra alla Francia. Napoleone avvia i preparativi per un attacco via mare e gli inglesi, dal canto loro, adottano una particolare strategia > nell’estate del 1803 viene ordito un complotto, sostenuto dai britannici, per uccidere Napoleone. I congiurati sono scoperti e arrestati e, una volta interrogati, rivelano che la congiura era stata ordita da un principe della famiglia Borbone. Senza prove, Napoleone individua il responsabile nel duca d’Enghien – lo fa rapire, giudicare colpevole e giustiziare nel 1804. Ciò suscita un moto di indignazione fuori dalla Francia, ma all’interno l’episodio è giudicato favorevolmente: Napoleone sfrutta questa popolarità con l’ennesima spallata alla Costituzione, che viene modificata il 18 maggio 1804 per conferire al primo console e alla sua famiglia dignità imperiale. Sull’imperatore, perciò, si andrà a concentrare tutto il potere esecutivo, e ciò è ulteriormente avallato da un terzo plebiscito confermativo.

L’importanza dell’esperienza napoleonica sta soprattutto nelle riforme compiute tra il 1800 e il 1804, che riorganizzano gli aspetti essenziali della struttura statale francese. Le norme introdotte portano a compimento un rafforzamento del potere centrale meo confronti delle articolazioni periferiche, facilitato dal fatto che il nuovo potere assoluto non deve più dialogare con gli istituti cetuali  accentramento. Alcune riforme: Viene 1) istituita la figura del prefetto, posto a capo dei dipartimenti, con il compito di controllare l’ordine pubblico e l’applicazione delle leggi; inoltre, 2) si procede alla centralizzazione del sistema giudiziario; 3) viene riformato il sistema scolastico: importanti i licei, ma si trascura l’istruzione primaria – il che vuol dire che nelle aree rurali l’istruzione è ancora in mano ai preti.  data l’importanza che la religione cattolica ancora ha presso molti francesi, Napoleone ha bisogno di trovare un punto di accordo col pontefice: viene stipulato il Concordato tra il pontefice e lo Stato francese il 16 luglio 1801, attraverso cui Pio VII riconosce la Repubblica francese, vengono trovate soluzioni per quanto riguarda la fedeltà dei singoli ecclesiastici e la loro nomina, e la religione cattolica viene definita “la religione della maggior parte dei francesi”. Si nota come la separazione tra Stato e Chiesa rimanga comunque molto netta. Fondamentale anche la redazione del Codice civile, un testo che fissa le norme legislative che regolano il rapporto fra i cittadini. Fu approvato il 21 marzo 1804. Due aspetti particolarmente rilevanti riguardano il diritto individuale di proprietà e il matrimonio, riconosciuto come l’atto fondamentale fra le relazioni che devono strutturare la società. Il matrimonio previsto dal codice napoleonico è però fortemente sbilanciato, e i rapporti di forza convergono tutti sul padre, riconosciuto come padre della famiglia. La fase che segue l’autoincoronazione di Napoleone come imperatore (2 dicembre 1804) è caratterizzata da un’incessante catena di guerre, sia provocate dalle potenze straniere che vogliono ridimensionare il potere francese, sia da Napoleone stesso, che ha l’ambizione di rivaleggiare con Carlo Magno o Carlo V. L’antagonista più tenace è la Gran Bretagna, la quale è formalmente in guerra con la Francia dal 1803; i preparativi per un assalto navale vengono accantonati presto da Napoleone visto il grosso rischio che comporta attaccare direttamente la fortissima flotta britannica  battaglia di Trafalgar (21 ottobre 1805), Napoleone subisce una pesante sconfitta vicino Cadice dall’ammiraglio Horatio Nelson, che in quell’occasione muore in battaglia. Sul continente però, l’esercito francese non ha rivali. Tra aprile e agosto 1805 si è formata la terza coalizione antifrancese, formata da Austria, Russia e Gran Bretagna. Non riuscendo a battere quest’ultima, Napoleone volge le sue forze contro gli austriaci, che sconfigge a Ulm, per poi entrare a Vienna il 13 novembre 1805. Anche l’ultima resistenza austriaca viene stroncata al fianco dei russi nella battaglia di Austerlitz il 2 dicembre. Dopo la sconfitta viene firmata il 26 dicembre il trattato di pace di Pressburg; in quella sede, la maggior parte degli Stati tedeschi rompe i rapporti diplomatici con l’Austria e si alleano con la Francia. Nel 1806 il Sacro Romano Impero viene sciolto e al suo posto nasce la Confederazione del Reno, un organismo da cui è esclusa l’Austria e che diventa un protettorato francese; a quel punto l’imperatore Francesco II d’Asburgo è costretto a cambiare nome in Francesco I, imperatore d’Austria. Nonostante la disfatta austriaca, il sovrano prussiano Federico Guglielmo III, fiducioso nelle capacità del suo esercito, si fa avanti per diventare il massimo antagonista dell’espansionismo francese  dichiara guerra a Napoleone del settembre del 1806. Ciò ha risultati ridicoli perché i prussiani vengono sbaragliati prima a Jena e poi ad Auerstedt; il 27 ottobre i francesi entrano a Berlino. A questo punto rimangono solo i russi: essi sono sconfitti due volte, l’8 febbraio a Eylau e poi di nuovo il 14 giugno 1807 a Friedland  lo zar Alessandro I decide di aprire le trattative di pace, che

portano all’accordo di Tilsit nel luglio dello stesso anno. Napoleone accoglie la richiesta dello zar di ricostituire uno stato prussiano autonomo con a capo Federico Guglielmo III, ma che sia fortemente ridimensionato rispetto a prima; inoltre, lo zar ottiene da Napoleone appoggio militare nel caso di un’eventuale guerra fra Russia e Impero ottomano. Sistemate le cose a est, Napoleone rivolge le sue mire verso il Portogallo, alleato della Gran Bretagna. Tuttavia, nel 1808, accade qualcosa di inaspettato: una crisi interna travolge la monarchia spagnola, finora alleata della Francia, e scoppiano delle insurrezioni popolari contro la politica filofrancese di Carlo IV di Borbone  si crea un vuoto di potere, risolto con una prova di forza di Napoleone che installa sul trono suo fratello Giuseppe. Questo fa arrabbiare ancora di più l’opinione pubblica e la ribellione diventa una guerra incessante (aiutata dalla Gran Bretagna) combattuta non con battaglie campali, in cui l’esercito francese era superiore, ma atti di guerrilla che sfiancano il nemico. La ribellione spagnola dura quasi 6 anni, e di essa approfitta immediatamente l’imperatore Francesco I d’Austria. Nell’aprile del 1809, infatti, l’Austria e il Tirolo (sotto la guida di Andreas Hofer) sferrano un attacco congiunto alla Bavaria, alleata dei francesi; questo tentativo però fallisce, tant’è che Napoleone, rientrato dalla Spagna, li sconfigge e arriva a prendere Vienna il 13 maggio 1809. Dati i risultati deludenti, il governo austriaco cade e viene sostituito dal nuovo capo di governo Klemens von Metternich, che si occupa delle trattative di pace con i francesi.  con la pace di Schoenbrunn del 14 ottobre 1809, l’Austria perde moltissimi territori (fra cui l’Istria, che va alla Francia) ma Metternich ottiene che Napoleone ripudi la moglie Giuseppina, da cui non aveva avuto eredi, per sposare Maria Luisa d’Austria, figlia dell’imperatore Francesco I. Si sposano il 1 aprile del 1810 e da lei Napoleone ha l’erede tanto atteso. Importante citare la strategia con cui Napoleone muove guerra alla Gran Bretagna, non potendo attaccarla direttamente  il BLOCCO CONTINENTALE. Sin dal novembre 1806 Napoleone ha concepito una politica di ritorsione che prevede il sequestro delle merci britanniche, l’arresto di cittadini inglesi sul continente, il divieto di attracco nei porti inglesi etc. tutto ciò al fine di stroncare l’economia britannica e solo in seguito tentare un attacco militare. Questa politica però non sortisce l’effetto sperato, perché non tutte le nazioni che aderiscono al blocco ne rispettano le regole. Napoleone affida la gestione di molti Stati-satellite sotto il controllo francese ai suoi parenti, diretti o indiretti; per legittimarne il regno, reintroduce i titoli nobiliari, chiamati da lui titoli imperiali  hanno solo valore onorifico, non sono accompagnati da privilegi. L’impatto dell’esperienza napoleonica in Europa è profondo e si fa sentire in due direzioni: a) In molte aree del continente europeo le istituzioni francesi fungono da modello o vengono introdotte nel quadro degli Stati satellite. b) Di contro, l’occupazione napoleonica suscita reazioni difensive e contribuisce alla diffusione di sentimenti nazional-patriottici. Vediamo nel dettaglio in che modo. 



La Gran Bretagna: l’ininterrotto stato di guerra con la Francia fa in modo che gli inglesi definiscano la propria identità nazionale in particolare in opposizione al nemico, che fra l’altro è un paese cattolico e quindi “papista”. Per un brevissimo periodo l’opinione pubblica inglese cominciò a guardare più favorevolmente alla Francia rivoluzionaria, dopo il 1789, ma poi il rapido radicalizzarsi e l’avvento di Napoleone rianimò i vecchi stereotipi: i francesi sono visti come un popolo servile e aggressivo. Ciò fu ulteriormente confermato dalla rivolta del 1798 che riaccende la questione irlandese  dal 1782 l’Irlanda gode di una parziale autonomia, anni dopo il Parlamento irlandese viene esteso ai cattolici (anche se essi non potevano essere eletti come membri), ma ciò non reprime il desiderio indipendentista che esplode nel 1798, supportato militarmente anche dal Direttorio francese. La ribellione però viene repressa duramente, e ne consegue la piena annessione dell’Irlanda al Regno Unito. Inoltre, il Parlamento irlandese è abolito e ai cattolici vengono revocati tutti i diritti. La Spagna: la rivolta spagnola, supportata anche dalla Gran Bretagna, è animata da varie componenti politiche. C’è una corrente tradizionalista, che vuole che si lotti contro i francesi in difesa della casa reale spagnola e delle tradizioni religiose; ce n’è un’altra che si forma come reazione alla dura occupazione militare e che ha forte orientamento nazionalista e xenofobo; infine, ce n’è una che chiede che la lotta antifrancese si trasformi nell’occasione per dare alla Spagna una Costituzione per garantire libertà a tutti i cittadini.  nel 1810 la ribellione spinge la Giunta centrale di Cadice a convocare le Cortes (organo di rappresentanza delle varie giunte insurrezionali) con l’intento di preparare una Costituzione per la futura Spagna libera. All’interno delle Cortes prevale il gruppo politico dei liberales, i quali, nel 1812, riescono a far approvare la Costituzione di Cadice. Essa prevede un Parlamento monocamerale eletto a suffragio universale maschile, che riserva ampi poteri al sovrano come capo dell’esecutivo. La Costituzione fa della monarchia e della religione cattolica i valori fondanti della nazione spagnola.





La Prussia: in Prussia la reazione all’occupazione napoleonica è meno dura, ma non per questo meno significativa. Dopo le sconfitte di Jena e Auerstedt i ceti dirigenti prussiani sono in stato di shock, e proprio da questo trauma collettivo nascono le riflessioni di Carl von Clausewitz sulle ragioni del successo militare di Napoleone in modo da rendere l’esercito prussiano altrettanto forte. A questo fine lavorano due spinte, una intellettuale, volta a sollecitare la rinascita dello spirito nazionale tedesco; l’altra politica, dato che due governi che si succedono (quello di Karl von Stein e Karl August von Hardenberg) cercano entrambi di introdurre riforme per modificare le istituzioni nelle comunità rurali. Questo perché entrambi i capi di governo hanno capito che il motivo della debolezza dell’esercito prussiano sta soprattutto nella fragilità del rapporto fra il “popolo” e lo “Stato”  il sovrano è vicino alla nobiltà, ma tutti gli altri gruppi sociali sono stati marginalizzati. È dunque necessario intervenire sulle istituzioni rurali, e infatti il 9 ottobre 1807 Stein emana l’Atto di emancipazione con cui abolisce la servitù della gleba. Hardenberg continua su quella strada, abolendo tutte le esenzioni fiscali per i proprietari terrieri; tuttavia, con la nuova serie di guerre che coinvolgono la Prussia, le riforme si interrompono. L’Italia: nel 1810 la penisola italiana, sebbene divisa in tre aree (territori annessi, il Regno d’Italia e il Regno di Napoli) ha finalmente degli assetti normativi e istituzionali omogenei, ricalcati su modello francese. Alcune modifiche: i due regni napoleonici hanno una struttura fortemente centralizzata; inoltre, in tutte e tre le aree è introdotto il Codice civile. Tanto nel Regno d’Italia come in quello di Napoli viene organizzato poi un esercito autonomo, attraverso il sistema della coscrizione. Il Concordato con la Santa Sede viene sottoscritto dalla Repubblica italiana nel 1803. Ovunque vengono aboliti o limitati i privilegi cetuali  nel Regno di Napoli con la legge del 2 agosto 1806 si aboliscono le giurisdizioni feudali e i privilegi a esse connessi; una cosa simile avviene nella Sicilia borbonica, (quindi non controllata da Napoleone ma dall’ex re di Napoli, Ferdinando IV di Borbone) dove nel 1812 l’antico Parlamento siciliano viene riformato sulla base di una nuova Costituzione che introduce un sistema parlamentare modellato su quello inglese. Anche qui si aboliscono i privilegi feudali. Queste riforme sono in gran parte accolte favorevolmente: il disagio sociale nasce prevalentemente dalla forte pressione fiscale a cui sono soggetti gli Stati napoleonici, e dalla leva obbligatoria, che molto spesso porta i soldati a disertare e unirsi a gruppi di fuorilegge  fenomeno del brigantaggio. Inoltre, ciò porta alla diffusione di sentimenti nazionali antifrancesi, sulla spinta dei quali nascono le prime associazioni segrete filounitarie.

Campagna di Russia, sconfitta e morte  fra le nazioni che non hanno particolarmente risentito dell’espansionismo napoleonico c’è la Russia, che è stata solo parzialmente limitata dalla pace di Tilsit del 1807 e che, sebbene abbia aderito al blocco continentale, non lo rispetta affatto. Questo porta la Francia a temere una possibile alleanza fra Russia e Gran Bretagna, così nei primi mesi del 1812, Napoleone decide di giocare in anticipo e di attaccare militarmente la Russia, con un esercito di 700.000 soldati francesi e alleati (Grande Armée). La spedizione inizia il 24 giugno del 1812. L’esercito russo però, sotto il comando del generale Mikhail Kutusov, adotta una strategia difensiva efficace > continue ritirate in modo da evitare battaglie campali e la tattica della terra bruciata, così che Napoleone e i suoi hanno problemi di approvvigionamento. Il 7 settembre 1812 la Grande Armée riesce finalmente a scontrarsi con i russi a Borodino, ma la battaglia non è risolutiva; Mosca viene abbandonata dai russi, e quando Napoleone entra in città la trova in fiamme. A quel punto l’esercito napoleonico è decimato da epidemie e diserzioni, e l’inverno è alle porte: il 19 ottobre Napoleone si convince a ordinare la ritirata. Durante tutta la via del ritorno, l’esercito francese è decimato dalla fame, dal freddo, dalle malattie e dagli attacchi dei russi. Il 30 dicembre il generale prussiano Hans von Yorck von Wartenburg, che comanda il contingente che la Prussia aveva dovuto schierare al fianco di Napoleone come da accordi, stipula una pace separata con la Russia; un mese dopo anche Federico Guglielmo III stipula con lo zar Alessandro I un trattato di cooperazione antifrancese. Nell’estate del 1813 per iniziativa della Gran Bretagna si organizza una nuova coalizione antifrancese a cui aderiscono Russia, Prussia, Svezia e Austria; il 16-19 ottobre a Lipsia si combatte la battaglia decisiva che sancisce la vittoria della coalizione su Napoleone. La Francia è invasa dall’esercito della coalizione, che il 30 marzo occupa Parigi. Il 6 aprile 1814 il Senato francese dichiara decaduto Napoleone e nomina re Luigi XVIII di Borbone, fratello di Luigi XVI; infine, l’11 aprile con il trattato di Fontainebleu, Napoleone rinuncia al regno e viene esiliato all’isola d’Elba. Il 30 maggio 1814 viene firmata la pace di Parigi, con cui la Francia viene ricondotta ai suoi confini originali così come erano nel 1792, e torna ad essere una monarchia sotto Luigi XVIII – che però concede una Costituzione. Il 1° novembre 1815 si apre il Congresso di Vienna per decidere i nuovi assetti geopolitici europei. Napoleone però non si è ancora rassegnato, e infatti il 1° fugge dall’isola dell’Elba > iniziano i “Cento giorni” di Napoleone. Sbarcato a Cannes con un migliaio di uomini, si dirige verso Parigi, rendendo noto con proclami di essere interessato solo a mantenere il suo potere sulla

Francia. Austria, Russia, Prussia e Gran Bretagna si allarmano e aderiscono subito a una nuova coalizione, che ha la meglio il 18 giugno 1815 a Waterloo: stavolta è davvero la fine. Viene stipulata una seconda pace di Parigi il 20 novembre 1815, stavolta meno vantaggiosa della precedente; a seguito di ciò i regni napoleonici si sfaldano. L’ultimo a cadere è il Regno di Napoli. Poco prima, Napoleone era stato deportato dai britannici sull’isolotto di Sant’Elena: qui vi morirà il 5 maggio del 1821.

6.

La Restaurazione

Da quando Napoleone viene esiliato all’Elba nel 1814, Vienna inizia a riempirsi di diplomatici, ufficiali, politici, re e regine, che accorrono per rispondere alla chiamata di un urgente incontro diplomatico fra le potenze europee promosso da coloro che hanno sconfitto Napoleone  l’Austria soprattutto, rappresentata da Francesco I e dal Cancelliere Metternich; poi la Russia, la Prussia e la Gran Bretagna. Poi ci sono svariati altri Stati europei, fra cui la Francia nuovamente borbonica, rappresentata dal ministro degli esteri Talleyrand. Il Congresso viene inaugurato il 1° novembre 1814 e finisce il 9 giugno 1815. Il criterio fondamentale adottato per la ristrutturazione dell’Europa è il principio di legittimità  esso implica la restaurazione dei poteri “legittimi” laddove essi erano stati scalzati dalla Rivoluzione francese e da Napoleone; tutto ciò con l’intento di riportare l’intera Europa agli assetti che vigevano prima del 1789, anche se questo criterio viene spesso disatteso. Comunque, i mutamenti politici che abbiamo sono significativi:    

 

La Russia ingloba il Regno di Polonia e la Finlandia, sottratta alla Svezia. La Prussia a est riottiene la Posnania e a ovest i territori renani che nel periodo napoleonico erano stati inclusi nel Regno di Vestfalia. L’Austria riprende tutti i territori precedentemente persi, con l’aggiunta del Regno Lombardo-Veneto. Cede i Paesi Bassi austriaci, che insieme all’Olanda vanno a costituire il nuovo Regno dei Paesi Bassi. In Germania, al posto della Confederazione del Reno precedentemente abolita, si costituisce la Confederazione germanica  un organismo sovranazionale che racchiude 39 Stati fra cui l’Austria, la Prussia, la Danimarca e altri Stati minori. possiede un organo centrale di coordinamento, la Dieta della Federazione, costituita dagli ambasciatori degli stati membri, che si occupa della politica militare e commerciale. In Spagna torna sul trono Ferdinando VII di Borbone, che come prima cosa abolisce la Costituzione di Cadice. In Italia la situazione è molto frammentata. Viene ampliato il Regno di Sardegna che, sotto Vittorio Emanuele I, riottiene Nizza e Savoia e incorpora i territori genovesi; il Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla è affidato all’ex moglie di Napoleone Maria Luisa d’Austria; il Ducato di Modena è affidato a Francesco IV d’Austria-Este; il Ducato di Massa e Carrara è affidato alla madre di Francesco IV, Maria Beatrice Cybo-d’Este; il Granducato di Toscana è restituito a Ferdinando III d’Asburgo-Lorena; lo Stato della Chiesa è ricostituito sotto il regno di papa Pio VII, rientrato a Roma dalla prigionia in Francia. Il Regno delle Due Sicilie, strutturato in una compagine amministrativamente unificata, viene restituito a Ferdinando IV di Borbone, che ora prende il nome di Ferdinando I delle Due Sicilie.

Le soluzioni adottate dai congressisti sono pensate soprattutto in funzione antifrancese, come protezione da possibili ritorni di fiamma rivoluzionari o bonapartisti. Inoltre, il sistema nato a Vienna è rafforzato da accordi diplomatici fra le varie potenze volti al mantenimento dello status quo. Due sono i trattati più rilevanti: 1) il Patto della Santa Alleanza, firmato il 26 settembre 1815 da Austria, Prussia e Russia e a cui aderiscono successivamente Francia, Regno di Sardegna, Svezia e Paesi Bassi (ma non il Regno Unito) che prevede che le truppe dei paesi aderenti possano intervenire per mantenere l’ordine stabilito a Vienna ovunque necessario, anche interferendo negli affari interni di altri paesi; 2) il Patto della Quadruplice Alleanza, siglato il 20 novembre 1815 tra Gran Bretagna, Austria, Russia e

Prussia, che impegna i contraenti a escludere i Bonaparte dal trono francese e a mantenere le clausole del trattato di pace con la Francia. Dal punto di vista politico-istituzionale gli Stati della Restaurazione sono quasi tutti delle monarchie amministrative, cioè danno piena sovranità al monarca, che è coadiuvato da una serie di apparati di funzionari e ministri. Fanno eccezione Gran Bretagna e Francia  1) la Gran Bretagna si regge sui pilastri della Constitution, che non è un testo scritto bensì un insieme di norme e pratiche politiche; questi pilastri sono: il re, la Camera dei Comuni (nella quale siedono rappresentati maschi eletti sulla base del reddito) e la Camera dei Lord (composta da nobili, membri della famiglia reale e dai vescovi anglicani). Gradualmente la Camera dei Comuni acquista sempre più rilievo politico nell’attività di legiferare e infatti il sistema politico inglese si considera una monarchia parlamentare. 2) la Francia dispone dal 1814 di una carta costituzionale concessa da Luigi XVIII, che prevede un Parlamento bicamerale composto da una Camera bassa e una Camera alta; esso però ha solo la facoltà di approvare o respingere le leggi proposte dal re e non ha la facoltà di modificarle. Il re è il capo del governo, e infatti quella francese è una monarchia costituzionale. Sono comunque mantenute una serie di importanti norme come l’uguaglianza dei cittadini, la libertà di culto, di espressione e di stampa.

L’esperienza della Rivoluzione francese sollecita in questi anni e anche prima l’elaborazione di un pensiero politico che fa del principio della tradizione il fondamento di una vita collettiva più pacifica e meno sanguinaria di quella imposta durante gli anni della Rivoluzione stessa. È un orientamento che risale all’intellettuale inglese Edward Burke  egli afferma che la differenza tra un buon regime politico come quello inglese e uno pessimo come quello imposto dai rivoluzionari francesi è che mentre il primo si è evoluto gradualmente, il secondo è stato imposto rompendo con tutte le precedenti tradizioni. In tal modo, i francesi si sono dimenticati del lavoro della storia e della forza delle tradizioni  ciò che in questi anni inizia a essere chiamato “lo spirito dei popoli”. Società segrete: Da notare come in questo periodo, nei paesi in cui non ci sono restrizioni della libertà di associazione e parola, il dibattito delle idee viene ospitato sulle pagine dei giornali o nei club, o ancora nelle associazioni private. Laddove invece la censura non lo consente, nascono le prime associazioni segrete, fra cui la più importante è la Carboneria. Essa deriva da un modello associativo massonico e si struttura attraverso un reticolo di nuclei operativi detti “vendite”, i cui membri sono chiamati “buoni cugini”. L’idea di “nazione”: l’idea di nazione è una delle principali innovazioni nel linguaggio politico dell’800 europeo. Il termine infatti comincia a designare, piuttosto che una realtà geografica, la collettività che ha il diritto di esercitare la sovranità politica su uno specifico territorio. Questo spostamento concettuale avviene durante la Rivoluzione francese, e la diffusione di questo nuovo linguaggio è assicurata da due processi: 1) uno è di natura imitativa, e infatti altrove i gruppi antiassolutisti imitano i rivoluzionari francesi; 2) l’altro è di natura reattiva, in risposta alle forze napoleoniche occupanti i territori europei. Un altro elemento che si impone, fino a connotare permanentemente l’idea di nazione, è che si comincia a considerarla come una comunità composta da tutti coloro che condividono gli stessi tratti etnici, la stessa storia, lingua e cultura  in virtù di questa presunta comunanza, a tale collettività si riconosce il diritto di esercitare la sovranità su un territorio che si pensa che storicamente le appartenga. Il linguaggio nazionalistico è stato ostacolato da varie difficoltà (per esempio che la comunanza etno-linguistica non assicura una comunanza di sentimenti e progetti politici; o il fatto che esso è stato duramente osteggiato a partire dal 1815 in quanto considerato un linguaggio eversivo) ma ad ogni modo il messaggio nazionalista diviene il linguaggio politico fondamentale dell’Ottocento europeo. Anche perché si intreccia saldamente con il movimento intellettuale del Romanticismo.  esso contribuisce a creare una mitografia attraverso cui la nazione è reimmaginata attraverso sistemi di parentela e ruoli di genere demarcati etc. In questo periodo si sviluppano due correnti del pensiero politico, radicalmente contrapposte: l’orientamento liberale e quello democratico. 1) Il primo si sviluppa dal presupposto che l’attuazione del libero mercato porterebbe degli enormi benefici in quanto si eliminerebbero quelle normative che ostacolano gli imprenditori (dazi etc) che in questa narrazione vengono visti come eroi; inoltre i liberali vogliono valorizzare la “società civile” e proteggere le libertà dei privati, anche ma non solo con il consolidamento di istituzioni costituzionali o parlamentari che operino all’interno di “Stati di diritto”, in cui cioè le leggi siano uguali per tutti. La più grande eccezione e contraddizione riguarda l’esercizio dei diritti politici. Il liberismo trova anche un’altra forma di espressione nella sottocorrente del cattolicesimo liberale,

che si fa risalire a Lamennais, pesantemente condannata dal papa. 2) L’orientamento democratico invece prevede assetti politici repubblicani e vorrebbe estendere il diritto di voto a tutti i maschi adulti, senza distinzione di classe. 7.

Tornano le rivoluzioni (1820-21 e 1830-31)

Tra il 1820 e il 1849, ben tre cicli rivoluzionari distinti si susseguono fra America ed Europa. I primi due hanno un carattere politico, orientato da movimenti di ispirazione nazional-liberale; nel terzo, invece, si cominciano a sentir circolare parole che incitano a una trasformazione democratica degli assetti politici, se non addirittura a una vera e propria rivoluzione sociale. La prima ondata di rivoluzioni ha inizio nell’America latina, da dove si trasmette all’Europa attraverso la Spagna; poi, tra il 1820 e il 1825, una vera e propria sequenza di rivoluzioni scuote l’Europa, mostrando caratteristiche comuni: a)

Sono quasi tutte collegate da un regolare sistema diffusivo, vale a dire che le notizie si propagano attraverso i giornali e il modello rivoluzionario viene accolto e replicato. b) I militari hanno un ruolo decisivo > adottano la tecnica del colpo di Stato per restaurare o introdurre libertà costituzionali. c) Le società segrete sono strutture organizzative essenziali per coordinare i tentativi rivoluzionari. d) I temi dell’indipendenza e della sovranità nazionale sono al centro del discorso politico. e) Tutti i movimenti rivoluzionari sono indeboliti da spaccature interne. America Latina: La prima fiamma rivoluzionaria si accende in America Latina. Le società coloniali dell’America centrale e meridionale sono dominate dai creoli (bianchi nati in territorio americano), ricchi possessori di piantagioni ma sempre più insofferenti nei confronti dell’amministrazione e del prelievo fiscale. Nel 1808 quando la Spagna viene occupata da Napoleone, le élite di alcune aree coloniali ne approfittano per cercare di recidere i rapporti con la madrepatria. Nel 1811 a Caracas si forma una giunta di governo capeggiata da Francisco de Miranda che proclama l’indipendenza della Repubblica del Venezuela. Negli anni seguenti i gruppi di ribelli che si formano ovunque hanno anche l’appoggio del Regno Unito. La rivolta a nord è guidata da Simón Bolívar (impostosi dopo la morte di de Miranda), mentre a sud guida la ribellione José de San Martín  egli nel 1816 proclama l’indipendenza dell’Argentina; l’anno seguente organizza una spedizione in Cile e ne proclama l’indipendenza nel 1818. Nel 1819 viene costituito lo Stato federato di Gran Colombia (un’area che comprende Venezuela, Colombia ed Ecuador). Nel 1821 il Messico conquista la sua autonomia, così come gli stati compresi fra esso e la Colombia, che si uniscono nella Federazione delle Province Unite dell’America centrale. Tra il 1822 e il 1824 le truppe guidate da Bolívar e da San Martín sconfiggono l’esercito spagnolo in Perù, proclamandone l’indipendenza; inoltre, anche il Brasile si sgancia dal Portogallo, diventando un impero indipendente sotto il regno di Pedro I di Braganza. Dopo la liberazione però, l’ipotesi di una grande federazione sudamericana a modello degli Stati Uniti svanisce; anzi, persino le federazioni già esistenti si sgretolano sotto il prevalere di interessi e rivalità nazionali. Dappertutto viene abolita la schiavitù, ma persistono le disuguaglianze sociali: del nuovo assetto politico approfitteranno subito Stati Uniti e Regno Unito, che infatti riconoscono immediatamente l’indipendenza dei nuovi stati sudamericani. Spagna: nel 1814 il re di Spagna, Ferdinando VII di Borbone, ha revocato la Costituzione di Cadice – con l’intenzione di ricostituire un regime neoassolutista. La sua è una mossa politica che delude l’opinione pubblica, e traditi si sentono anche quei soldati che il sovrano pensa di inviare per reprimere le rivolte in America Latina; infatti, le truppe concentrate a Cadice si ribellano il 1° gennaio sotto la guida di Rafael de Riego e Antonio Quiroga > il loro programma è il ripristino della Costituzione. Per gestire la situazione, Ferdinando VII acconsente e convoca le elezioni. Tuttavia, il movimento rivoluzionario è disunito e in esso si contrappongono liberali moderati a democratici che vorrebbero introdurre riforme sociali; tutto è comunque frenato bruscamente da un intervento esterno della Santa Alleanza, che in seguito al Congresso di Verona (30 ottobre 1822), affida alla Francia il compito di reprimere la rivolta. L’esercito francese sconfitte i ribelli davanti a Cadice, e immediatamente la Costituzione viene nuovamente revocata. Italia: in Italia le rivolte scoppiano nell’estremo nord e nell’estremo sud della penisola. 

A sud, l’esempio della rivoluzione spagnola chiama all’azione i gruppi carbonari presenti nel Regno delle Due Sicilie; infatti, nella notte fra il 1° e il 2 luglio 1820 una trentina di carbonari della vendita di Nola e 127 sottoufficiali e soldati si muovono verso Avellino per chiedere una Costituzione. Per la connivenza del generale borbonico Guglielmo Pepe (che appoggia la rivolta) e per la reazione morbida del re Ferdinando I di Borbone, l’insurrezione ha successo > il 9 luglio le truppe rivoluzionarie entrano a Napoli. Francesco di Borbone viene nominato da suo padre suo sostituto e promuove un governo liberale, che fa approvare la



Costituzione spagnola del 1812. I problemi si presentano quando appena due giorni dopo, a Palermo scoppia una rivolta autonomista > fallita, poiché Napoli invia un contingente militare che fa capitolare Palermo i primi di ottobre. A nord, il fermento rivoluzionario si trasmette nel Piemonte, dove gruppi di carbonari puntano alla concessione di una Costituzione e a muovere guerra all’Austria. L’insurrezione scoppia tra il 9 e il 10 marzo 1821 ad Alessandria, e si propaga nei giorni seguenti a Torino, costringendo il re Vittorio Emanuele I ad abdicare in favore del fratello Carlo Felice; tuttavia, a causa della temporanea assenza di quest’ultimo, nomina reggente il nipote Carlo Alberto, che il 13 marzo annuncia la concessione della Costituzione spagnola del 1812. Carlo Felice però sconfessa immediatamente la decisione di Carlo Alberto, ordinandogli di recarsi a Novara – egli obbedisce, abbandonando i rivoluzionari al loro destino.

Come finiscono i moti del 1820-21 in Italia? Il 27 ottobre 1820 si riunisce a Troppau un congresso delle potenze europee, con l’intento di valutare la situazione creatasi in Spagna e nel Regno delle Due Sicilie; il 26 gennaio 1821 poi si apre un altro congresso a Lubiana, al quale partecipa anche Ferdinando I delle Due Sicilie, intenzionato a chiedere un intervento militare austriaco che metta termine all’esperienza costituzionale in atto nel suo regno. La richiesta viene accettata, e il 4 febbraio gli austriaci varcano il Po, muovendo verso sud. Sconfiggono l’esercito napoletano comandato da Guglielmo Pepe, e il 24 marzo 1821 sono a Napoli. Contemporaneamente, un altro corpo di spedizione austriaco è inviato in Piemonte a sostenere le truppe di Carlo Felice > l’esercito costituzionalista è facilmente sconfitto a Novara, e il 10 aprile 1821 gli austriaci sono a Torino.

Balcani: in Serbia un primo tentativo indipendentista, scoppiato nel 1804, viene represso nel 1813; una seconda serie di insurrezioni, che ha luogo fra il 1815 e il 1816, porta a un significativo mutamento negli assetti amministrativi dell’area: il sultano ottomano attribuisce a Miloš Obrenovich, capo della rivolta, il titolo di capo della regione serba > la sovranità resta ottomana, ma alla Serbia è riconosciuta un’ampia autonomia. Intanto a Odessa sin dal 1814 alcuni mercanti greci fondano una società segreta che vuole raccogliere tutti i cristiano-ortodossi animati da sentimenti indipendentisti, la “Società degli Amici” > dal 1820 ne diventa capo Alèxandros Ypsilàntis, aiutante di campo dello zar Alessandro I, che spera di convincere a sostenere un’insurrezione anti-ottomana in Grecia. Nel marzo 1821 Ypsilàntis prova effettivamente a passare all’azione, promuovendo un’insurrezione nelle comunità greche in Moldavia e Valacchia con un proclama. Nonostante egli sia costretto a scappare in Austria e lì arrestato, la rivolta scoppia nel Peloponneso e in diverse isole dell’Egeo > efficacemente coordinata dalla Società, ha successo e conduce nel 1822 alla proclamazione dell’indipendenza della Grecia. La rivolta greca riesce nel suo intento anche perché è sostenuta da larghi strati della popolazione, incoraggiata dal clero e addirittura da volontari stranieri. La lotta per l’indipendenza non avrà un vero punto di svolta fino al 1827, grazie all’intervento congiunto di Regno Unito, Francia e Russia > firmano un trattato con il quale si impegnano a garantire l’autonomia della Grecia, e concretamente inviano delle squadre navali che sconfiggono la flotta turca a Navarino il 20 ottobre 1827. 

Pace di Adrianopoli: firmata nel settembre del 1829, è il trattato che risolve le insurrezioni nell’Impero Ottomano. Quest’ultimo riconosce uno Stato greco indipendente (a cui, nel 1832, le potenze europee impongono l’adozione di un monarca tedesco, Ottone I, che si rifiuterà di concedere una Costituzione fino al 1843), un Principato autonomo di Serbia guidato da Obrenovich, e due distinti Principati di Moldavia e Valacchia. Questi tre rimangono formalmente sotto il controllo ottomano, ma la forte autonomia concessa fa sì che si possa considerare la Pace di Adrianopoli un tassello importante nella dissoluzione dell’Impero.

Si arriva ora al secondo ciclo rivoluzionario, che ha inizio nel 1830 e segue il medesimo schema diffusivo (da ovest verso est) coinvolgendo il Regno di Francia, il Regno dei Paesi Bassi, l’Italia e la Polonia. In questa seconda ondata, accanto a rivolte promosse da organizzazioni segrete, ve ne sono altre più propriamente “di piazza”, come avviene in Francia. Regno di Francia, “Rivoluzione di luglio”: nel 1824, al defunto re Luigi XVIII succede suo fratello Carlo X di Borbone. Il suo orientamento punta a una ricostruzione di un regime monarchico neoassolutista > autorizza indennizzi per tutti i nobili che, fuggendo dalla Rivoluzione francese, avevano perso terre e beni; introduce la pena di morte per il reato di sacrilegio e norme che limitano la libertà di stampa. Un segnale del dissenso che smuove l’opinione pubblica, però, arriva quando con le elezioni del 1827 si afferma alla Camera dei deputati una maggioranza liberale. Dopo una breve

esperienza di governo liberale, l’8 agosto 1829 Carlo X decide di forzare la situazione, nominando Primo ministro Jules de Polignac, leader dei monarchici di destra. La tensione che questo gesto genera spinge il re a sciogliere la Camera il 16 maggio 1830 e indire nuove elezioni, sperando in un risultato a lui più favorevole: aspettative disattese, perché le elezioni rafforzano nuovamente la maggioranza liberale. Pensando comunque di aver consolidato il suo prestigio con l’occupazione militare dell’Algeria, Carlo X emana quattro ordinanze con le quali sospende la libertà di stampa, scioglie la Camera appena eletta, modifica la legge elettorale e indice nuovamente le elezioni. Il popolo a quel punto scende in piazza, e seguono intensi scontri con l’esercito regio che durano dal 27 al 29 luglio 1830. Il 30 luglio i capi liberali (Thiers e Mignet), per scongiurare un esito repubblicano/democratico, proclamano Luigi Filippo d’Orléans (cugino di Carlo X) capo di un esecutivo provvisorio > come prima cosa, Luigi Filippo fa redigere una nuova Costituzione che fra le altre cose impone che la Francia abbia un assetto monarchico > dopo l’abdicazione di Carlo X, lui è l’unico ad avere i requisiti per diventare re, e così viene proclamato “re dei francesi”. Rispetto a quella del 1814, la Costituzione del 1830 introduce una serie di novità: a) b) c) d) e)

La religione cattolica non è più religione di Stato. La censura sulla stampa è proibita. Anche il Parlamento può formulare leggi. Il re non può emanare ordinanze per sospendere dei principi costituzionali. Viene adottato il tricolore rosso-bianco-blu come bandiera nazionale.

Belgio, “Rivoluzione di agosto”: il Regno dei Paesi Bassi, costituito nel 1815, è frutto delle decisioni prese dal Congresso di Vienna; tuttavia, appare presto evidentemente che riunire dei territori rimasti divisi per tre secoli non è stata una gran mossa. Gli abitanti del Belgio (ex Paesi Bassi austriaci) hanno caratteristiche culturali differenti dai loro concittadini olandesi: sono cattolici, laddove gli olandesi sono calvinisti; parlano francese, e sono spinti da interessi politico-economici di tipo conservatore, mentre gli olandesi guardano a politiche liberiste. Inoltre, i belgi si sono sentiti discriminati dal re Guglielmo I e dai suoi governi a maggioranza olandese, che non proteggono i loro interessi. Le tensioni si accumulano fino a esplodere nel 1830, sulla spinta della Rivoluzione di luglio in Francia e di un famoso melodramma di Daniel Auber che metteva in scena la rivolta di Masaniello a Napoli > la folla inneggiante all’indipendenza del Belgio prende possesso di alcuni edifici governativi, e si scontra duramente con l’esercito regio per le strade di Bruxelles. Il 4 ottobre 1830 il governo provvisorio proclama l’indipendenza del Belgio, riconosciuta nel gennaio del 1831 dalle maggiori potenze europee in una conferenza che si svolge a Londra. Come per la Grecia, al Belgio viene imposto un assetto monarchico sotto la guida di un principe tedesco, Leopoldo di Sassonia-CoburgoGotha, che sale al trono il 21 luglio 1831. Il riconoscimento del Belgio come nazione autonoma e neutrale viene perfezionato con un trattato del 1839 firmato da Regno Unito, Francia, Austria, Russia e Prussia. Polonia: nel 1815 il Congresso di Vienna aveva stabilito la formazione di un Regno di Polonia, il cui re è lo zar di Russia Alessandro I. Inizialmente al regno polacco, che dispone di una sua Costituzione, sono riconosciute istituzioni proprie e una certa autonomia; col passare del tempo però, Alessandro I e ancora di più il suo successore Nicola I pongono lo Stato polacco sotto un più diretto controllo russo > la tensione esplode quando lo zar nomina un russo alla carica di governatore della Polonia. Il 29 novembre 1830 il conflitto scoppia quando un gruppo di soldati di Varsavia prende le armi e costringe il governatore alla fuga, mentre nei giorni seguenti gran parte dell’esercito polacco si schiera coi rivoltosi. Nel gennaio 1831 il governo provvisorio dichiara Nicola I decaduto dal trono di Polonia; la reazione però non si fa attendere, e a febbraio un ingente esercito russo si dirige verso Varsavia. La resistenza polacca spera in un aiuto di Regno Unito e Francia, che però non arriverà mai, e così nel settembre del 1831 i ribelli sono sconfitti, la Costituzione polacca abolita e molti polacchi fuggono per scampare alle misure punitive. Italia: nei primi mesi del 1831 un tentativo insurrezionale scoppia in Italia, coinvolgendo i Ducati padani e lo Stato della Chiesa. Tutto parte dalla congiura che coinvolge due giovani modenesi, Enrico Misley e Ciro Menotti, e il duca di Modena Francesco IV d’Austria-Este, che però li tradisce e fa arrestare Menotti. L’insurrezione scoppia ugualmente e porta alla formazione dello Stato delle Province Unite Italiane, proclamato il 4 marzo 1831; i patrioti sperano in un intervento della Francia, che però si rifiuta di interferire con la repressione austriaca, e così la situazione viene ripristinata molto velocemente quando il governo provvisorio firma la resa alla fine di marzo 1831. 8.

Il Risorgimento italiano

Nei primi due cicli rivoluzionari che scuotono l’Europa, l’Italia è sempre coinvolta > sono segni chiari di un’ampia diffusione del movimento politico che si ispira alle nuove idee di nazione. Tuttavia, il processo non è facile: i tentativi

rivoluzionari sono eventi che hanno luogo nelle città e a cui le campagne guardano con apatia; inoltre, tra gli stessi rivoluzionari ve ne sono alcuni che antepongono interessi regionali o municipali agli obiettivi nazionali. A rilanciare questo movimento però interviene un fenomeno tipico di tutta l’Europa romantica, cioè la produzione di opere artistiche di varia natura che rielaborano in vari modi il mito della nazione italiana. Succede poi che i testi di ispirazione nazional-patriottica che iniziano a circolare in questo periodo sono il frutto del lavoro di alcune delle menti più brillanti della penisola – tutti testi che disegnano un quadro coerente di cosa sia la nazione italiana. Essa è riconosciuta come una realtà legata da fattori bio-culturali, di comune cultura, lingua, religione e passato. Le storie narrate in questo periodo hanno elementi ricorrenti, come le tre figure dell’eroe nazionale, il traditore e l’eroina nazionale. In Italia poi, il movimento nazionale è internamente diviso in due correnti, quella democratica e quella liberalmoderata: 



Mazzini e la Giovine Italia – all’interno dell’universo democratico sin dal 1831 si impone la figura di Giuseppe Mazzini e la sua rete organizzativa, la Giovine Italia. Egli si avvicina alla politica affiliandosi a una vendita carbonara genovese; nel 1831 è però costretto all’esilio in seguito ad un arresto, stabilendosi a Marsiglia. Proprio lì, nel luglio dello stesso anno, Mazzini fonda la Giovine Italia > un’associazione politica, diversa dal modello carbonaro, che basi la sua attività sulla propaganda diretta tramite la diffusione di opuscoli che spieghino i punti fondamentali del programma dell’associazione. L’obiettivo di Mazzini è di costituire in Italia una repubblica unitaria e democratica. Questo secondo lui può essere raggiunto tramite un’insurrezione militare (le cui premesse la Giovine Italia contribuisce a creare), a cui deve seguire una lotta per bande contro gli eserciti regolari; nel periodo della guerra la direzione politica dovrebbe essere affidata ad un’autorità dittatoriale che però, a guerra conclusa, dovrebbe cedere il proprio potere ad un’assemblea costituente eletta dal popolo. La Giovine Italia viene considerata una società eversiva e i suoi membri sono bollati come terroristi, ma essa mostra buone capacità di reclutamento nelle città, mentre nelle campagne l’iniziativa non riesce a sfondare > questo in gran parte perché i contadini erano analfabeti, ma fare propaganda orale era pericoloso. L’associazione organizza due tentativi insurrezionali, uno nel 1833 e uno nel 1834, in Piemonte e a Genova: il primo tentativo però fallisce e il secondo viene scoperto. Mazzini deve trasferirsi in Svizzera, dove fonda la Giovine Europa, con obiettivi ancora più ambiziosi di autodeterminazione dei popoli europei oppressi; tuttavia, questa iniziativa viene stroncata sul nascere da un’ondata di arresti. Nel 1837 Mazzini si trasferisce a Londra, dove rifonda la Giovine Italia > il programma è sempre incentrato sull’obiettivo di unità nazionale, ma egli si è fatto anche più sensibile alle rivendicazioni operaie, la cui causa compare ora negli impegni dell’associazione. Gioberti e il Neoguelfismo – in questo periodo comincia a consolidarsi un’alternativa più cauta alla concezione radicale della rivoluzione nazionale, moderata e di ispirazione monarchico-costituzionale. Il programma politico che darà voce a questa parte di opinione pubblica arriva con la pubblicazione del libro “Del primato morale e civile degli Italiani” scritto dal sacerdote piemontese Vincenzo Gioberti > in questo libro di grandissimo successo, Gioberti afferma che la comunità italiana fonda la sua identità sulle credenze cristiane e la guida papale, il che le conferisce un primato morale sugli altri popoli. Gioberti, dunque, immagina che una nascita della nazione italiana possa avvenire attraverso la costituzione di una unione confederale degli Stati esistenti, la cui presidenza sia attribuita al Papa > da qui il termine neoguelfismo. Secondo lui le riforme da introdurre non dovrebbero essere molte e solo di natura istituzionale. I critici del pensiero di Gioberti fanno notare che esso non tiene conto di due fattori: 1) il carattere reazionario del papa in carica, Gregorio XVI; 2) il problema dell’Austria. Cesare Balbo commenta il libro di Gioberti avanzando la teoria dell’inorientamento dell’Austria, cioè secondo cui l’Austria, in virtù del fatto che conquista nuovi territori con la dissoluzione dell’Impero ottomano, dovrebbe cedere il Lombardo-Veneto per bontà d’animo. Tutto ciò è completamente campato per aria e infatti la posizione di Gioberti sembra un’utopia.

E invece iniziano ad avvenire dei cambiamenti in favore di questa posizione politica verso gli anni 40 dell’800. Tra il 1843-45 falliscono tre tentativi insurrezionali di ispirazione mazziniana, il che fa sì che la popolarità di Mazzini sia ai minimi storici. Nel 1846 poi muore il papa, e gli succede Pio IX il 17 giugno, che sembra fin da subito incarnare la figura del papa liberale immaginata da Gioberti; nel frattempo, in Toscana, il granduca Leopoldo II attenua la censura e fa riforme. Alla fine del 1847 si avviano colloqui diplomatici fra lo Stato Pontificio, il Granducato di Toscana e il Regno di Sardegna. Inaspettatamente, iniziano a realizzarsi dei punti importanti del programma neoguelfo.

9.

Le Rivoluzioni del 1848-49

Siamo ad un punto in cui la tensione in Europa è altissima, e talvolta scoppia in conflitti armati  come in Svizzera, dove si assiste a uno scontro tra una lega di cantoni separatisti e il resto della Confederazione, con la vittoria di quest’ultima; o in Galizia, regione austriaca, dove un tentativo di insurrezione polacca viene represso brutalmente dai contadini aizzati dalle stesse autorità > questo episodio spaventa moltissimo i proprietari terrieri, a maggior ragione che c’è un malcontento crescente fra il popolo a causa delle cattive annate agricole e della caduta della domanda industriale, che ha fatto licenziare molti operai. Verso la fine del 1847, la gente in Europa muore di fame, e quindi per forza di cose tornano anche le rivolte popolari. Italia: tutto nasce dal 12 gennaio del 1848, quando a Palermo un gruppo di autonomisti siciliani prepara un’insurrezione che ha successo e sembra volersi trasmettere a macchia d’olio alla parte continentale del Regno. Il re Ferdinando II reagisce come aveva fatto suo nonno Ferdinando I, cioè giocando d’anticipo: il 29 gennaio annuncia di voler concedere una Costituzione al Regno delle Due Sicilie, il che fa scattare un effetto domino  altri sovrani italiani fanno lo stesso per accattivarsi la simpatia dell’opinione pubblica e non essere da meno a Ferdinando II. L’8 febbraio il re di Sardegna, Carlo Alberto di Savoia, concede uno Statuto costituzionale (Statuto Albertino); l’11 febbraio fa lo stesso il granduca di Toscana Leopoldo II; infine, il 14 febbraio, anche papa Pio IX annuncia una serie di riforme che si traducono nella concessione di uno Statuto per lo Stato pontificio. Francia: da tempo una parte cospicua dell’opinione pubblica si è allontanata dal re Luigi Filippo e dalla classe politica che lo sostiene, e da tempo vengono avanzate richieste di ampliamento del suffragio, puntualmente disattese. Il momento cruciale arriva nel 1848 > i gruppi politici di opposizione erano soliti organizzare campagne di banchetti, cioè riunioni conviviali private, per raccogliere consensi a favore di una riforma elettorale; il governo però decide di proibire un banchetto previsto per il 22 febbraio. I radicali, quindi, promuovono una manifestazione di protesta inizialmente pacifica, ma la sera del 23 febbraio l’esercito apre il fuoco sui manifestanti > la reazione è violenta e partono gli scontri. Nella tarda mattinata del 24 febbraio Luigi Filippo capisce di non avere più il controllo della situazione; quindi, abdica in favore di suo nipote di soli nove anni e fugge dalla Francia. La folla di dimostranti sopraggiunge in Parlamento prima che si possa ratificare la successione, e viene istituito un governo provvisorio guidato dal poeta Alphonse Lamartine, che proclama subito la Repubblica (la Seconda Repubblica francese, dopo la prima istituita nel 1792). Nelle settimane seguenti il governo vara una serie di riforme come l’abolizione della schiavitù, la libertà di stampa e di associazione e la riforma della legge elettorale. Impero austriaco: il modello rivoluzionario viene replicato a Vienna; infatti, il 13 marzo 1848 una grande folla si riversa per le strade della capitale chiedendo riforme come quelle attuate in Francia e in Italia. L’imperatore Ferdinando I, per scongiurare una rivolta, licenzia Metternich il giorno seguente e promette una Costituzione: l’agitazione si è però propagata, e infatti il 15 marzo 1848 a Budapest si forma un governo autonomo guidato dal patriota ungherese Lajos Kosuth, mentre a Venezia e Milano partono una serie di rivolte indipendentiste. Dopo cinque giorni di scontri ( le Cinque Giornate di Milano) Milano viene liberata e gli austriaci sono costretti a ritirarsi nel “ Quadrilatero” > l’area compresa fra le città di Mantova, Verona, Legnago e Peschiera. Il 22 marzo anche Venezia viene liberata, ed è proclamata la Repubblica di Venezia guidata da Daniele Manin. Approfittando della debolezza dell’Austria sui fronti ungherese e italiano, il 23 marzo il re di Sardegna Carlo Alberto decide di dichiararle guerra > prima guerra d’indipendenza. L’imperatore austriaco deve smorzare almeno uno dei due fronti, e infatti l’11 aprile 1848 concede al governo ungherese una larga autonomia. Viene approvata una Costituzione ungherese, con un Parlamento eletto a suffragio censitario, e vengono aboliti sia i privilegi fiscali che le servitù feudali che gravano sui contadini. Inoltre, l’imperatore convoca un’Assemblea costituente imperiale che dovrebbe essere eletta a suffragio ristretto > ciò solleva altre proteste; dunque, è costretto a cedere alle richieste di un suffragio universale maschile. Le inquietudini per l’Impero austriaco però non sono finite, e infatti il 2 giugno 1848 a Praga si apre un Congresso dei popoli slavi dell’Impero, con obiettivi federali e di forte autonomia per gli Stati membri. Prussia e Germania: il 18 marzo 1848, mentre insorge anche Milano, a Berlino scoppia una rivolta che viene duramente repressa dall’esercito, causando anche la morte di molti manifestanti. Il giorno seguente una nuova manifestazione spinge il re ad allontanare l’esercito dalla città. Il 25 marzo il re di Prussia Federico Guglielmo IV autorizza l’elezione di un’Assemblea costituente prussiana, eletta a suffragio universale maschile a doppio turno, e adotta la bandiera del movimento nazionalista tedesco. Fra marzo e aprile, gli Stati della Confederazione germanica

autorizzano l’elezione a suffragio censitario dei rappresentati da mandare all’Assemblea nazionale tedesca > assemblea che si riunisce a Francoforte il 18 maggio e coincide con lo scioglimento della Confederazione germanica. Nel frattempo, in Posnania, l’area della Polonia occupata dalla Prussia, i nazionalisti polacchi iniziano a chiedere al governo prussiano e all’Assemblea di Francoforte una larga autonomia > un preludio di tentativo indipendentista che viene represso duramente, con l’esercito polacco che viene completamente sconfitto il 9 maggio 1848. Moldavia e Valacchia: anche i principati danubiani, sulla spinta delle rivoluzioni che hanno investito l’Europa, rivendicano la loro autonomia da Russia e Impero ottomano – formando governi indipendentisti provvisori. Le forze congiunte dei due imperi però porranno fine all’esperienza rivoluzionaria. ASSETTI POLITICI A INIZIO ANNO 1848 VEDI SOPRA ASSETTI POLITICI DALLA PRIMAVERA DEL 1848 AL 1849 VEDI SOTTO

Il periodo denominato “la primavera dei popoli” si conclude bruscamente un po’ dappertutto. In che modo? In Francia, il 23 aprile 1848 si tengono le elezioni a suffragio universale maschile dell’Assemblea costituente, e i risultati sono sconcertanti: è vero sì che la maggioranza politica va ai repubblicani moderati, ma viene anche eletta una cospicua rappresentanza di orientamento monarchico, mentre i radicali e i socialisti sono in minoranza > ciò è spiegabile perché le campagne hanno reagito negativamente alle misure del governo, in particolare alla sovrattassa per finanziare gli Ateliers Nationaux; a ciò inoltre si aggiunge l’intesa propaganda antirepubblicana di notabili e clero nelle campagne. Il 15 maggio 1848, durante una manifestazione dei radicali, una folla entra nel palazzo dell’Assemblea e cerca di imporre la formazione di un Comitato di salute pubblica che istituisca una tassa sulla ricchezza > il tentativo è represso e i radicali, ormai considerati pericolosi, sono esclusi dal nuovo governo che si è appena formato. Il 22 giugno il governo repubblicano-moderato decide di chiudere gli Ateliers, ma senza considerare l’ondata di disoccupazione che questa mossa avrebbe generato; e infatti, il giorno dopo una gran folla si riversa per le strade di Parigi, dando origine a una rivolta armata, che viene repressa nel sangue. In tutto ciò però lo Stato rimane una Repubblica: il 21 novembre 1848 viene promulgata la Costituzione, e come previsto nel testo, il 10 dicembre si tengono le elezioni presidenziali. Il candidato che si impone con una solida maggioranza è Luigi Napoleone Bonaparte > le sue derive semi-autoritarie sono chiare sin dal maggio del 1849, quando alle elezioni per l’Assemblea legislativa radicali e socialisti, che nel frattempo si erano riorganizzati, ottengono un buon risultato elettorale. Di fronte a questo spostamento a sinistra, Bonaparte intensifica gli interventi repressivi, in particolare escludendo le fasce più povere dal voto e limitando la libertà di stampa. Nell’Impero austriaco i luoghi critici sono Vienna, l’Ungheria e Praga, dove si era precedentemente riunito il Congresso dei popoli slavi > esperienza che si risolve in un nulla di fatto quando, nonostante le resistenze e le proteste dei praghesi, l’esercito austriaco riprende completamente il controllo sulla città. Una cosa simile avviene in Ungheria, dove il 5 luglio 1848 si era riunito il Parlamento nazionale ungherese, attraversato da forti vene indipendentiste; consci di ciò e volendo mettere fine all’autonomismo ungherese, nel mese di settembre gli austriaci cercano di attuare una repressione come a Praga, ma stavolta va diversamente > gli ungheresi, forti di un Comitato di difesa nazionale guidato da Kosuth, attaccano Vienna. L’impresa è agevolata dal fatto che anche l’opinione pubblica austriaca li supporta con proteste e lotta armata. La situazione cambia alla fine di ottobre, quando l’esercito imperiale riesce a riprendere controllo di Vienna e costringe gli ungheresi a ritirarsi. Il 2 dicembre l’imperatore Ferdinando abdica in favore del nipote Francesco Giuseppe, che il 7 marzo 1849 scioglie l’Assemblea costituente imperiale per emanare una Costituzione redatta da suoi collaboratori personali (che comunque sarà abolita nel 1851) e inoltre risponde alla proclamazione d’indipendenza da parte dell’Ungheria chiedendo aiuto allo zar di Russia > l’esercito russo a giugno 1849 entra in Ungheria e sconfigge gli ungheresi a Vilagos, mettendo fine all’esperienza indipendentista. 

Per quanto riguarda il Lombardo-Veneto, va fatto un discorso a parte. Eravamo rimasti che Carlo Alberto di Sardegna aveva dichiarato guerra all’Austria, approfittando della debolezza interna di quest’ultima, iniziando la prima guerra d’indipendenza con l’obiettivo di prendersi le terre che vanno dal Ticino all’Adriatico. La guerra volse rapidamente a sfavore quando gli austriaci lanciarono una controffensiva che culminò, il 25 luglio 1848, nella sconfitta dell’esercito sabaudo a Custoza. In seguito a ciò gli austriaci si ripresero Milano e la Lombardia. Le tensioni però continuarono, e infatti nel marzo del 1849, visto che l’Austria è in difficoltà contro l’Ungheria, il governo piemontese d’accordo con Carlo Alberto sferra una seconda offensiva che però

fallisce immediatamente. Carlo Alberto, dunque, abdica in favore del figlio Vittorio Emanuele II, che mantiene in vigore lo Statuto Albertino. o Inizialmente, quando gli austriaci si ripresero Milano nel 1848, non riuscirono a riconquistare Venezia, che aveva continuato a resistere strenuamente e si era anche dotata di istituzioni democratiche nonostante il continuo assedio austriaco. Le speranze erano che l’assedio fosse rotto dall’arrivo delle truppe ungheresi; speranze che furono disattese quando arrivò la notizia che anche l’Ungheria era capitolata contro i russi. Nell’agosto del 1849, Venezia è infatti costretta a cedere e tornare sotto l’imperatore d’Austria. Nel resto d’Italia, durante la primavera del 1848 il sogno neoguelfo di una federazione italiana era davvero sembrato a portata di mano, con l’appoggio militare di Toscana, Stato Pontificio e Regno delle Due Sicilie al Regno di Sardegna nella guerra contro l’Austria. Il 29 aprile 1848 però papa Pio IX si tira indietro, affermando di non voler appoggiare una guerra fra cattolici, e immediatamente si sfilano anche il granduca di Toscana e Ferdinando II di Borbone > questa mossa, tuttavia, produce dei contraccolpi all’interno dei primi due regni, sull’onda della delusione per tali decisioni. 



A Roma, la situazione precipita il 15 novembre 1848 quando un gruppo di patrioti uccide il ministro dello Stato pontificio Pellegrino Rossi, che ai loro occhi era colpevole di tradimento; temendo per la sua vita, il 24 novembre Pio IX fugge a Gaeta. In sua assenza viene convocata l’elezione di un’Assemblea costituente che il 9 febbraio 1849 proclama l’istituzione della Repubblica romana, di cui il potere esecutivo è attribuito a un triumvirato con a capo Mazzini. Il governo inizia subito a far riforme che però non faranno in tempo ad entrare in vigore, perché alla fine di aprile una guarnigione francese sbarca a Civitavecchia per ristabilire il potere papale – mossa che aiuterà Bonaparte ad attirarsi le simpatie di una parte di opinione pubblica. I romani, aiutati anche da volontari sopraggiunti come Garibaldi, oppongono strenua resistenza ma alla fine il 3 luglio i francesi entrano a Roma e la riconquistano, permettendo al papa di tornare. Nell’autunno del 1848 in Toscana le pressioni popolari inducono il granduca Leopoldo II a nominare un governo di orientamento democratico, guidato da Giuseppe Montanelli e da Francesco Domenico Guerrazzi; tuttavia, questo governo è talmente indebolito da contrasti interni che non riesce nemmeno a dotarsi di una chiara linea politica. I primi di maggio 1849 gli austriaci si dirigono a Livorno e poi conquistano Firenze, permettendo al granduca di riprendere pieno possesso dei suoi poteri.

Le Costituzioni precedentemente concesse sono revocate: in Italia, ormai, solo il Regno di Sardegna conserva uno Statuto costituzionale. In Prussia, l’Assemblea riunitasi il 22 maggio 1848 ha vita breve > il 5 dicembre 1848 il re di Prussia, Federico Guglielmo IV, la scioglie e procede all’emanazione di una Costituzione redatta direttamente dai suoi collaboratori. Essa attribuisce al re il potere esecutivo, riservando il legislativo a un Parlamento bicamerale con una Camera alta composta dai principi e dai nobili prussiani, mentre la Camera bassa è eletta a suffragio indiretto sulla base del sistema elettorale delle tre classi (rappresentanza sulla base della divisione cetuale, con le classi più ricche che avevano una rappresentanza molto più ampia delle altre). Intanto in Germania, a Francoforte, l’Assemblea nazionale tedesca si è espressa a favore della nascita di un Regno “piccolo tedesco”, cioè che comprenda tutte le aree tedesche tranne quelle austriache > tale regno dovrebbe essere una federazione e la corona dovrebbe andare al sovrano del più forte Stato tedesco esclusa l’Austria. Viene offerta a Federico Guglielmo IV di Prussia, ma egli rifiuta sdegnosamente > ciò mette fine, per il momento, al sogno di uno Stato tedesco unitario. L’Assemblea nazionale continua a lavorare fino al 18 giugno 1849, quando viene definitivamente sciolta. Tirando le somme, si potrebbe affermare che dopo due anni di rivoluzione i risultati ottenuti siano miseri: mutamenti geopolitici significativi non ce ne sono. Di importanti mutamenti istituzionali abbiamo solo l’esempio della Francia, che da monarchia è diventata repubblica presidenziale ma comunque con ispirazioni conservatrici. Un’idea importante che però emerge è che, a questo punto, le rivoluzioni della metà dell’800 sollevano la questione della sovranità, chiedendo che essa sia affidata al popolo. 10. Un progresso che sembra non avere ostacoli All’inizio dell’Ottocento il modo più rapido e sicuro di viaggiare era quello tradizionale: via mare con le navi a vela, via terra con le carrozze trainate da cavalli. Il problema però era che le strade erano poche, maltenute e pericolose > è nel Regno Unito che il sistema dei viaggi inizia a cambiare prima di tutto con la costruzione di nuove strade, e con il miglioramento delle carrozze. La vera svolta però arriva con il treno: inizialmente sperimentato come mezzo di

trasporto per il carbone, verso gli anni ’20 inizia a essere utilizzato anche per il trasporto passeggeri > si avvia la costruzione su larga scala di una rete di linee ferroviarie. Peraltro, importanti implicazioni dello sviluppo di quest’ultime sono prodotte dalle interdipendenze strutturali attivate dal sistema di trasporto su rotaia: per costruire vagoni ci vogliono legno, ferro e ghisa > le industrie siderurgiche, meccaniche e del legname ricevono dunque nuove commissioni, e tendono ad ampliare gli impianti e ad assumere nuovi operai. La rivoluzione industriale si è ulteriormente diffusa, tanto in Gran Bretagna quanto nella parte centro-settentrionale del continente europeo; la concentrazione delle attività produttive nelle città industriali ha attratto manodopera dalle campagne > inurbamento. L’urbanizzazione ottocentesca ha luogo perché cresce particolarmente la popolazione nelle aree rurali, e questo perché diminuisce il tasso di mortalità mentre rimane alto quello di natalità; pertanto, le famiglie si fanno troppo numerose, ed ecco che molti si spostano per cercare fortuna altrove. Negli ultimi decenni spuntano numerose banche: istituti che raccolgono il risparmio dei privati in cambio di un compenso > tasso d’interesse. Vengono inoltre inventate istituzioni bancarie chiamate banche centrali con lo scopo di conservare le riserve auree dei vari Stati ed emettere moneta nelle quantità permesse dalle riserve stesse; questo perché da queste banche dipende il gold standard, cioè un meccanismo introdotto nel 1821 che determina il valore del cambio della moneta cartacea sulla base delle riserve auree di un paese. Questo sistema aiuta a stabilizzare il corso dei cambi monetari e con ciò favorisce l’uso e la diffusione della carta moneta, il cui valore è assicurato da una pronta convertibilità in oro. Un altro fattore che interviene in ambito economico e che, nello specifico, favorirà enormemente il commercio è il modello politico liberista > affermatosi in Gran Bretagna, esso comporta la diminuzione o l’abbattimento dei dazi doganali. Nello specifico, nel corso dell’800, l’Europa è divisa economicamente in un’area nord-occidentale che produce tecnologia avanzata e la esporta a sud, e un’area sud-orientale che è più povera e arretrata, produttrice di beni alimentari. La visione ottimistica che scaturisce dalle meraviglie dei tempi nuovi trova la sua celebrazione filosofica attraverso l’idea di progresso elaborata da pensatori come Auguste Comte e Herbert Spencer; secondo la loro prospettiva, infatti, la storia dell’umanità sarebbe caratterizzata da un progressivo passaggio attraverso una serie di stadi. Non dissimile è il pensiero di Charles Darwin, che nel 1859 pubblica il suo libro L’origine delle specie > in esso Darwin afferma che la vita ha avuto origine milioni di anni prima della comparsa dell’uomo, e a partire da ciò elabora la teoria dell’evoluzione, secondo cui nuove forme biologiche derivino dalle precedenti tramite una serie di meccanismi di adattamento per cui le forme di vita più adatte sopravvivono  selezione naturale. 11. Le classi sociali Nell’Europa dell’Ottocento i nuovi eroi sociali sono i borghesi, in particolare gli imprenditori. Nell’analisi dei pensatori tedeschi Marx e Engels si afferma che il sistema economico costruito dalla borghesia ha però due elementi di grande debolezza: in primo luogo le crisi interne di sovrapproduzione, che porteranno prima o poi il sistema al crollo in quanto l’eccesso nell’offerta farà sì che le merci restino invendute, e quindi che posti di lavoro e risorse vadano perdute finché non si riporta l’offerta al livello della domanda. In secondo luogo, ciò che indebolisce il sistema capitalistico è la nascita di un proletariato di fabbrica. Con questo termine i due autori vogliono indicare gli operai che lavorano nelle nuove imprese produttive e che versano in condizioni di povertà tali che tutto ciò che possiedono sono i figli. La società che Marx ed Engels descrivono è quindi una società duale, dominata da queste due grandi classi > borghesia e proletariato. È sicuramente vero che c’è un grande divario di ricchezza fra i capitalisti e gli operai, ed è anche vero che quest’ultimi hanno cominciato ad organizzarsi in associazioni fino a dotarsi di veri e propri sindacati (Trade Unions) che utilizzano forme di protesta come gli scioperi per ottenere miglioramenti nelle condizioni di lavoro. Ma questa descrizione della società è solo parzialmente veritiera > per esempio, nell’analisi di Marx ed Engels c’è l’idea che questi due gruppi sociali siano naturalmente compatti al loro interno. In realtà i processi sociali non danno automaticamente vita a una borghesia o classe operaia di cui i membri abbiano tutti le stesse caratteristiche o idee: esistono le 1) differenze nazionali; 2) differenze confessionali; 3) la retorica della concorrenza, soprattutto nei confronti di donne e bambini, che sono più richiesti perché vengono pagati meno. Infine, vale la pena aggiungere che la società europea ottocentesca non è semplice e binaria come affermano Marx ed Engels, poiché essi non tengono conto del cosiddetto ceto medio > quei soggetti sociali che sono economicamente agiati ma non coinvolti nel processo di produzione industriale, i liberi professionisti. In questo periodo, comunque, la separazione fra classi sociali diventa particolarmente netta > formazione di quartieri borghesi e quartieri operai etc.

Ciononostante, l’Europa rimane ancora un’area a dominante agricola. È nelle aree rurali che si addensano le maggiori ricchezze, però, poiché sono i proprietari terrieri a possedere i patrimoni più ingenti, non solo in paesi tipicamente agricoli ma anche in Gran Bretagna. Inoltre, la varietà di condizioni osservata nelle città è ancora più accentuata nelle campagne, sebbene un fattore di omogeneità sia stato dato dall’abolizione delle giurisdizioni feudali e della servitù della gleba un po’ dappertutto. 12. Passioni e sentimenti Ancora nell’Ottocento prevalgono i matrimoni combinati, ma sulla spinta del nuovo movimento culturale iniziano a diffondersi anche ideali di amore romantico che spingono i giovani a perseguire il matrimonio per amore e non come un contratto, spesso anche contro il volere dei genitori. Ciononostante, non dobbiamo aspettarci chissà quale miglioramento delle condizioni politico-sociali delle donne: il matrimonio resta un’istituzione asimmetrica, con nette divisioni di genere, e laddove venga introdotto il divorzio per adulterio esso può essere richiesto dalla donna solo se insieme il marito si è macchiato di un’altra colpa che offende la morale > incesto, sodomia etc. La società ottocentesca è violentemente misogina, ma ciononostante anche in questo contesto brillano delle donne coraggiose come Mary Wollstonecraft > scrittrice inglese che nel 1792 pubblica il testo che le darà fama, Rivendicazione dei diritti della donna, un saggio da porre accanto alla nota Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina di Olympe de Gouges. La Wollstonecraft sostiene che lo stato di subordinazione nel quale si trovano le donne non ha niente di naturale, anzi: esso è piuttosto il frutto di un’artificiale diversificazione nei sistemi educativi riservati ai maschi e alle femmine, che abitua gli uni e le altre a pensare che le donne sia naturalmente diverse dagli uomini e intellettualmente inferiori. Nonostante la campagna di diffamazione contro di lei, saranno molte in seguito a seguire l’esempio di Wollstonecraft, e infatti in questo periodo si affermano molte infermiere e donne scrittrici. 13. Il modello parlamentare: il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda In Gran Bretagna, la struttura costituzionale articolata nella diarchia re-Parlamento ha superato indenne l’impatto della Rivoluzione francese e non viene messa in discussione nemmeno durante i vari cicli rivoluzionari che tra il 1820 e il 1849 scuotono l’Europa, senza sfiorare nemmeno lontanamente il Regno Unito. Vediamo come si articola il Parlamento inglese. Tra fine Settecento e inizio Ottocento lo schieramento parlamentare tory si è proposto come il guardiano dell’identità e delle tradizioni britanniche e ciò gli ha garantito il sostegno di quella parte di opinione pubblica con forti sentimenti antifrancesi; viceversa, l’iniziale simpatia dei capi whig per la Rivoluzione francese ha pesato negativamente sulla fortuna di quest’altro gruppo parlamentare. La lunga guerra contro Napoleone viene dunque condotta dai vari governi tory, e a consolidarne l’egemonia furono le Corn Laws introdotte nel 1815  norme che innalzano i dazi sui cereali d’importazione per favorire la produzione agricola britannica. Forti di questi successi, i tory hanno a lungo dominato la scena politica britannica, con quattro governi tory dal 1812 al 1830; questo anche perché l’unico cavallo di battaglia dei whig risulta essere il tema della riforma delle norme che disciplinano l’elezione dei deputati alla Camera dei Comuni > secondo i whig è infatti necessario includere in politica i vari protagonisti della rivoluzione industriale, quindi gli imprenditori, i mercanti e i banchieri. Ma dati gli elevati redditi di questa fascia sociale, come mai essa non era stata già inclusa nella vita politica? Questo perché il sistema elettorale inglese non era solo basato sul reddito, ma sulle circoscrizioni elettorali > aree territoriali la cui popolazione ha il diritto di eleggere un certo numero di rappresentanti alla Camera dei Comuni in base al censo. Questo sistema va però riformato perché la popolazione si è spostata da un’area geografica all’altra, con numerose zone rurali che si sono spopolate mentre sono cresciuti gli abitanti delle città industriali. Perciò alcune zone che in tempi passati erano quasi spopolate ancora non godevano del diritto di eleggere deputati, nonostante la loro popolazione fosse cresciuta notevolmente. Quindi il raggruppamento whig, capeggiato da Charles Grey e John Russell, vuole dare rappresentanza a queste zone ormai industrializzate e ad alta densità demografica  la campagna a favore è condotta efficacemente, ma da sola non basterebbe a spezzare l’egemonia tory se non fosse che nel 1829 si verifica una grave crisi. Dopo la costituzione del Regno Unito (1801), in Irlanda si sono formate organizzazioni cattoliche che chiedevano con insistenza l’abolizione delle norme che impedivano ai cattolici di partecipare alla vita politica (Test Acts) > per depotenziare la tensione, il capo del governo tory, il duca di Wellington, decide di attuare una doppia riforma. La prima legge, approvata nel 1828, abolisce le discriminazioni nei confronti dei protestanti dissidenti; la seconda legge, approvata nel 1829, abolisce invece le discriminazioni nei confronti dei cattolici e la loro esclusione dalla vita politica. Questo però non basta a salvare il governo, perché le tensioni in Irlanda continuano e la seconda

legge in particolare irrita l’elettorato tory, tradizionalmente anglicano > alle elezioni del 1830 i tory perdono, e i whig tornano al governo dopo 36 anni. Nel 1832, il Parlamento a maggioranza whig approva la riforma elettorale e ridisegna le circoscrizioni, raddoppiando anche il corpo elettorale per includere la borghesia capitalistica delle aree industriali. Il voto alle donne rimane sempre fuori questione. Nel 1837 sale al trono la nuova regina d’Inghilterra, Vittoria Hannover. La successione femminile può sembrare fuori contesto in una società come quella ottocentesca, in cui alle donne non si vuole riservare alcuno spazio significativo nella scena pubblica. Nel 1840 Vittoria sposta il cugino Alberto di SassoniaCoburgo-Gotha, e sebbene non si sottragga alle proprie responsabilità, finisce sempre più spesso per delegare al marito molte incombenze di governo > questo insieme di comportamenti, con i quali Vittoria vuole apparire come una buona moglie e madre prima ancora che come personaggio pubblico, la fanno apparire rassicurante e le conferiscono grandissima popolarità. Dopo l’introduzione della riforma elettorale, i governi whig vogliono proporsi come forza propulsiva alle innovazioni. E così, nel 1833, a seguito di una commissione d’inchiesta, la maggioranza whig approva una legge (Factories Regulation Act) che include la proibizione dell’impiego in fabbrica dei bambini che hanno meno di nove anni e regole ancora più stringenti sullo sfruttamento del lavoro minorile > tecnicamente questo pacchetto di norme va a sfavore della borghesia industriale di cui i whig vogliono comunque accattivarsi le simpatie, motivo per cui nel 1834 approvano un’altra riforma che va nella direzione opposta rispetto al Factories Regulation Act, e cioè il Poor Law Amendment Act, la riforma del sistema assistenziale. Quello preesistente nel Regno Unito era fondato sulla distribuzione di sussidi elargiti dalle parrocchie anglicane ai lavoratori temporaneamente disoccupati, che potevano anche scegliere di andare a lavorare nelle workhouses  le fabbriche gestite dalle stesse parrocchie. Questo sistema però era stato aspramente criticato, così il governo whig di Charles Grey fa approvare la legge che abolisce i sussidi temporanei e trasforma le workhouses in dei terribili istituti di reclusione > in tal modo i lavoratori, privati dei sussidi, preferiscono cercarsi un lavoro altrove piuttosto che finire nelle workhouses. Negli anni seguenti i tory (che ora si chiamano conservatori) devono trovare il modo di contrastare l’efficace azione riformista dei whig, e in questa fase la guida del partito è affidata a Robert Peel > egli elabora un programma politico fondato su due importanti riforme: la prima, il Factory Act (1844), riduce ulteriormente l’orario di lavoro di donne e bambini nelle fabbriche e rende obbligatori una serie di basilari norme di sicurezza; la seconda, l’abolizione delle Corn Laws (1846), è motivata da due ragioni: (1) Peel vuole fronteggiare la tragica crisi che si è abbattuta sulle campagne, in particolare in Irlanda; inoltre, (2) vuole assicurare ai conservatori i consensi delle classi medie imprenditoriali. La seconda riforma ha un iter più travagliato e provoca un’altra spaccatura fra i conservatori, il che causa la caduta del governo Peel, mentre va al potere il governo whig guidato da Russell. Nuova politica e pratiche clientelari: nel caso del Regno Unito, i capi politici attuano la “nuova politica” identificando temi ritenuti significativi per il proprio elettorato potenziale, su cui poi montano campagne propagandistiche. Inoltre, la base elettorale di ciascuno schieramento politico viene costruita con tecniche “clientelari” poiché si basano su uno scambio di favori tra un candidato che promette determinati benefici materiali agli elettori e quest’ultimi che rispondono dando il loro voto al candidato che li ha beneficiati. I rapporti clientelari possono essere di tre tipi: 

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Nelle aree rurali, il legame tra il proprietario terriero locale e il corpo elettorale composto prevalentemente da affittuari e commercianti (che da lui dipendono) è un legame di deferenza e riconoscenza. Nelle aree urbane, per ottenere voti si ricorre alle competizioni elettorali (a colpi di propaganda) ma anche alla corruzione. I governi in carica dispongono anche di un’altra risorsa, ovvero la possibilità di attribuire incarichi ben retribuiti ai propri sostenitori.

Nel 1838, per protestare contro quelle che sono vissute come delle gravi ingiustizie politiche, un’associazione di operai londinesi redige un testo chiamato Carta del Popolo, attraverso il quale si chiedono riforme che modifichino il sistema rappresentativo e lo rendano più giusto. Intorno alla Carta si forma un movimento politico di vaste proporzioni che prende il nome di movimento cartista > esso ricorre a nuove tecniche comunicative come petizioni e manifestazioni di piazza, contribuendo a ridefinire le modalità dell’azione politica extraparlamentare. Sebbene il movimento abbia molto seguito, esso non riesce a sfondare presso le élite politiche; le sue proposte di riforma vengono entrambe

respinte in Parlamento. Nondimeno, anche se l’esperienza cartista non raggiunge alcun risultato, è ugualmente molto importante perché il movimento operaio inglese si dota di una formazione politica che rimane interna alle logiche di rappresentanza parlamentare > i cartisti non vogliono abolire il Parlamento, ma riformarlo, e ciò suggerisce anche quanto sia profondo il fascino e il rispetto che esso suscita presso l’opinione pubblica britannica. Negli anni seguenti la discussione politica è egemonizzata da conservatori e liberali, ma saranno quest’ultimi a detenere più a lungo il potere (15 anni); al centro della discussione politica, soprattutto fra gli anni ’30 e ’40, rimane il tema dell’ampliamento del corpo elettorale. All’inizio degli anni ’60 l’ipotesi di un allargamento del corpo elettorale è portata avanti soprattutto dallo schieramento liberale guidato da William Gladstone, che è stato ministro delle finanze di numerosi governi liberali > tuttavia la spaccatura provocata da questa riforma all’interno dei liberali causa la caduta del governo Russell, sostituito da un nuovo governo conservatore guidato da Lord Derby con Benjamin Disraeli come ministro delle finanze. La vera sorpresa è che è proprio questo governo, nonostante l’orientamento conservatore, a far passare la seconda legge di riforma (1867) che ridisegna la distribuzione dei seggi tra le circoscrizioni elettorali e abbassa i requisiti di censo. La mossa però non reca buoni frutti e alla successiva tornata elettorale i conservatori vengono sconfitti, il che porta alla formazione di un governo liberale guidato da Gladstone. Negli anni ’70 l’ampliamento dell’elettorato obbliga entrambi gli schieramenti politici a dotarsi di forme organizzative permanenti, capaci di mobilitare stabilmente gli elettori per raccoglierne il consenso, specie in vista delle elezioni > la ristrutturazione delle organizzazioni dei liberali e dei conservatori va considerata come uno dei momenti di formazione in Europa dei moderni partiti politici. Oltre a ciò, questo periodo è caratterizzato da un’ulteriore novità, ovvero lo scontro fra due opposte figure-simbolo (Gladstone e Disraeli); due capi politici che vogliono riassumere nella loro persona e nelle loro opinioni l’interno orientamento del proprio schieramento politico. 14. La Francia del Secondo Impero e l’Unità d’Italia Nel ventennio che va dal 1850 e il 1870, mentre il quadro politico britannico rimane stabile, quello continentale conosce due importanti fattori di mutamento: l’attivismo francese anche in materia di politica estera, e la forza degli ideali nazionalisti > questi due fattori producono due importanti conseguenze, ovvero (1) la formazione di due grandi Stati unitari, cioè Italia e Germania; (2) la diffusione del sistema rappresentativo costituzionale quasi dappertutto.

1) La Francia del Secondo Impero >> tra il 1850 e il 1851 la Seconda Repubblica francese è attraversata da una forte tensione politica: il Parlamento è diviso fra diversi raggruppamenti che stentano a imporsi gli uni sugli altri. La situazione di stallo si risolve nel 1851 quando il Parlamento respinge una proposta formulata dal governo che vorrebbe autorizzare la rieleggibilità di Luigi Napoleone Bonaparte alla carica di presidente > Bonaparte è un uomo ambizioso, e infatti, vedendosi preclusa la possibilità di una rielezione, tenta il colpo di Stato il 2 dicembre 1851. L’esercito occupa la sede del Parlamento mentre egli diffonde un proclama che annuncia la convocazione di un plebiscito che si tiene tra il 21 e il 22 dicembre, il quale darà risultati a lui favorevoli. Dunque, lo scioglimento della Camera viene seguito dall’elaborazione di una Costituzione autoritaria e dall’attribuzione a Luigi Bonaparte del titolo di imperatore, passaggio segnato da un ulteriore plebiscito confermativo. Il 2 dicembre 1852 si tiene la cerimonia di investitura dell’imperatore, che assume il nome di Napoleone III, guida del Secondo Impero. Formalmente sopravvive un sistema parlamentare, ma in realtà l’equilibrio politico-istituzionale è tutto sbilanciato a favore dell’imperatore, a cui spetta il controllo dell’esercito e di tutti e tre i poteri. La politica interna di Napoleone III incoraggia lo sviluppo tecnologico ed economico, attuando una politica liberista che culmina con un accordo commerciale tra Francia e Regno Unito nel 1860; inoltre favorisce una vasta ristrutturazione urbanistica di Parigi, con la costruzione di grandi boulevards. Per quanto riguarda la politica estera, egli vuole presentarsi come il degno erede di Napoleone I > la prima iniziativa importante arriva quando, nel 1853-55, la Francia si impegna al fianco del Regno Unito e del Regno di Sardegna in una spedizione militare in Crimea contro l’espansione nei Balcani dell’Impero russo; operazione che ha successo e che si risolve con la sconfitta della Russia e la convocazione di una conferenza di pace a Parigi (1856) che di nuovo pone la Francia al centro della politica europea, conferendo a Napoleone III grande prestigio. Seguono altre imprese extraeuropee, alcune di successo e altre invece molto disastrose, come il tentativo di conquista del Messico  il paese era uscito da una guerra civile negli anni Cinquanta e il governo liberale di Benito Juarez aveva coraggiosamente deciso di non pagare i debiti che il Messico aveva con le banche europee. Con la scusa di difendere gli interessi francesi, Napoleone III invia un esercito nel paese nel 1861 e tenta di insediarvi come imperatore Massimiliano d’Asburgo > l’operazione incontra una tenace resistenza

messicana, supportata inoltre dagli Stati Uniti, e infatti nel 1866 i francesi sono costretti a ritirarsi. Questo inciderà negativamente sul prestigio di Napoleone III in patria. Ad ogni modo, le sue iniziative politiche più ambiziose sono quelle europee, quando si allea con il Regno di Sardegna contro l’Austria (1859) e lo scontro con la Prussia (1870). 2) Il Regno di Sardegna >> negli anni successivi al fallimento delle rivoluzioni del 1848-49, la situazione italiana è caratterizzata da due tratti fondamentali: da un lato la sequenze di insuccessi ottenuti nei tentativi insurrezionali ha allontanato il favore dell’opinione pubblica dai vari gruppi mazziniani attivi, e dall’altro le stesse persone deluse da Mazzini trovano nel Regno di Sardegna un soggetto istituzionale e politico in grado di accogliere le istanze del movimento risorgimentale, anche e soprattutto grazia alla scelta del re Vittorio Emanuele II di mantenere in vigore lo Statuto Albertino e all’apertura da parte del governo di Massimo d’Azeglio ad accogliere nel Regno i rifugiati politici del resto d’Italia. Il prestigio del Regno di Sardegna, inoltre, si accresce quando la guida del governo viene assunta da Camillo Benso conte di Cavour (1852) > brillante uomo politico che aveva già ricoperto il ruolo di ministro nei precedenti governi d’Azeglio. Sotto la sua guida prosegue l’azione di ridimensionamento dei privilegi ecclesiastici già avviata dal governo precedente con le Leggi Siccardi, anche se questo provoca un duro scontro tra Cavour e Vittorio Emanuele II che non vuole incrinare ancora di più i rapporti fra il suo regno e la Santa Sede. Alla fine, Cavour riesce a far prevalere la sua linea, anche in virtù del fatto che è sostenuto da un’ampia maggioranza > importanti conseguenze costituzionali, poiché inizia ad essere applicata la norma non scritta secondo cui i governi devono essere scelti sulla base della maggioranza politica alla Camera e non solo dal re. Per quanto riguarda la politica estera, la prima mossa importante di Cavour è la partecipazione alla guerra di Crimea al fianco di Francia e Regno Unito. L’intervento del piccolo Regno di Sardegna non è militarmente determinante, ma gli assicura prestigio e visibilità internazionali. La mossa successiva, altrettanto importante, è la stipulazione di un’alleanza politico-militare con Napoleone III in funzione antiaustriaca. Paradossalmente, l’accordo è favorito da un attentato che l’imperatore e sua moglie subisce da parte di un gruppo di italiani che vuole vendicarsi del suo intervento nella resa della Repubblica romana > l’attentato è sventato, ma Napoleone III si convince che la stabilizzazione della penisola italiana rientra fra i suoi più urgenti interessi. Nel 1858 invita Cavour a un incontro diplomatico riservato a Plombières, e si dice disposto ad aiutare militarmente il Regno di Sardegna contro l’Austria in vista di un riassetto geopolitico da concretizzarsi in una Confederazione italiana composta da quattro regni autonomi (Alta Italia, Centro Italia, Napoli e Roma papale) sotto la presidenza del papa. Viene quindi siglato un trattato di alleanza tra Francia e Regno di Sardegna il 24 gennaio 1859 in cui si prevede la formazione di un Regno dell’Alta Italia, la cui corona spetterebbe a Vittorio Emanuele II; la cessione di Savoia e Nizza alla Francia, e si stabiliscono le condizioni per l’aiuto militare francese. Non si dice però nulla di esplicito riguardo al destino del resto della penisola. L’UNIFICAZIONE ITALIANA (1859-60): la situazione di tensione tra il Regno di Sardegna e l’Impero austriaco ha come esito un ultimatum militare che gli austriaci notificano al governo di Torino il 24 aprile 1859 > è l’inizio della seconda guerra d’indipendenza. Immediatamente, Napoleone III unisce le sue truppe a quelle del Regno di Sardegna per difenderlo dall’aggressione austriaca, e la guerra che le force congiunte franco-sarde combattono contro l’Austria ha successo e porta all’occupazione della Lombardia; quando però la conquista del Veneto è a portata di mano, Napoleone III si tira indietro e stipula un armistizio con gli austriaci  Villafranca, 11 luglio 1859. Come mai? Ci sono varie ragioni: (1) pesa il malumore per l’altissimo numero di vittime francesi; (2) si temono movimenti di truppe prussiane sul fronte del Reno, che fanno presagire un attacco ora che la Francia è concentrata altrove; (3) contano inoltre gli sviluppi nell’Italia centrale, che stanno sconvolgendo tutti i piani previsti a Plombières > lì, tra la fine di aprile e il giugno 1859, sollevazioni popolari portano alla cacciata dei duchi di Toscana, Parma e Modena nonché delle autorità pontificie di Bologna e Romagna, e all’installazione di governi provvisori favorevoli all’annessione col nuovo Stato che si sta formando a nord > quindi l’ipotesi di una formazione di uno Stato nell’Italia centrale che sia sotto il controllo francese sta definitivamente svanendo. Successivamente alla formazione di governi provvisori, in EmiliaRomagna e Toscana si convocano plebisciti di annessione il cui risultato è nettamente favorevole. Il 25 marzo 1860 in Piemonte, Sardegna, Lombardia, Emilia-Romagna e Toscana si tengono le elezioni per il Parlamento di Torino, con le regole elettorali dell’ex Regno di Sardegna > il risultato è la formazione di una Camera dei Deputati dominata da una solida maggioranza liberale che sostiene la politica di Cavour. Un mese dopo si celebrano i plebisciti d’annessione di Nizza e Savoia alla Francia, che sono effettivamente tutto ciò che la Francia ha guadagnato dalla sua partecipazione nel conflitto contro l’Austria. Nel frattempo, Giuseppe Garibaldi raccoglie a Genova un migliaio di volontari con i quali, tra il 5 e il 6 maggio 1860, si dirige verso la Sicilia, in un’impresa militare assolutamente autonoma sebbene permessa e tollerata dal nuovo Stato. Sbarca a Marsala l’11, e da lì l’impresa

garibaldina ha un incredibile successo > i Mille sbaragliano l’esercito borbonico ed entrano trionfalmente a Napoli il 7 settembre 1860. Scoppiano qua e là rivolte popolari (come a Bronte) che diventano spesso anche molto violente, ma Garibaldi non intende ascoltare le rivendicazioni dei contadini in quanto la sua è una rivoluzione politica, non sociale. Ciononostante, egli riesce a mantenere il controllo delle terre liberate. Nel frattempo, il 7 settembre, l’esercito inviato da Cavour entra nelle Marche e poi in Abruzzo; Garibaldi ordina che il 21 ottobre 1860 si tengano in tutto il Mezzogiorno dei plebisciti d’annessione, che anche in questo caso vedono risultati nettamente favorevoli > a quel punto, il 26 ottobre, Vittorio Emanuele II alla testa del suo esercito incontra Garibaldi a Teano, che gli cede la sovranità delle terre conquistate. Il 4 novembre si tengono i plebisciti d’annessione di Umbria e Marche, anch’essi favorevoli, e il 7 novembre il re entra trionfalmente a Napoli. Così, nel giro di un anno e mezzo, la formazione di uno Stato-nazione italiano è divenuto realtà: il 17 marzo 1861 viene proclamato il Regno d’Italia. Le terre italiane escluse dal nuovo Regno d’Italia sono Roma e il Lazio; Venezia e il Veneto. La società italiana postunitaria >> nel 1861, per quanto finalmente unificata, l’Italia è una nazione profondamente divisa soprattutto in due aspetti principali: la lingua e l’economia. 



Per quanto riguarda la lingua, nel 1861 meno del 10% della popolazione del Regno usa la lingua italiana come mezzo di comunicazione quotidiana e meno del 20% sa leggere e scrivere in italiano. I canali ufficiali della politica usano il francese, mentre la gente comune parla una serie di dialetti diversi. Per quanto riguarda l’economia, possiamo dividere l’Italia postunitaria in tre diverse regioni economiche: a. L’area della Valle Padana, la cui agricoltura è organizzata intorno ad aziende capitalistiche gestite da affittuari che impiegano forza lavoro salariata e che utilizzano tecniche produttive per l’epoca piuttosto efficienti; specializzati soprattutto nel settore tessile e manufatturiero. b. L’Italia centrale, caratterizzata dalla divisione delle terre in miriadi di unità produttive relativamente piccole – i poderi – concesse dai proprietari alle famiglie contadine da lavorare in mezzadria. c. L’area meridionale e le Isole, caratterizzate dai latifondi, ovvero proprietà terriere molto grandi suddivise in diverse parti, lavorate impiegando braccianti salariati o affittate. Le diversità produttive corrispondono a diversi interessi economici, non facilmente armonizzabili tra loro.

Altro fenomeno che deflagra nel Mezzogiorno nei mesi successivi all’Unità è il brigantaggio: bande armate di contadini che commettono azioni criminali nell’area meridionale della penisola, soprattutto fra Abruzzo e Lucania, con la motivazione politica di voler difendere i diritti dell’ex re Francesco II di Borbone e del pontefice. Una legge del 1863 autorizza l’attuazione di misure eccezionali cosicché il fenomeno viene quasi del tutto cancellato, ma esso è comunque un potente indicatore dei disagi che percorrono il nuovo Regno d’Italia. La politica degli anni postunitari >> il nuovo Stato italiano è una monarchia costituzionale. Il primo Parlamento del Regno d’Italia si riunisce a Torino il 18 febbraio 1861; la legislatura che si apre in questa occasione è indicata come l’VIII legislatura del Regno d’Italia, poiché si continua la numerazione delle legislature del Regno di Sardegna – analogamente, il primo re d’Italia si chiama Vittorio Emanuele II, e anche lo Statuo Albertino entra in vigore senza modifiche. Alla morte di Cavour (6 giugno 1861) il processo di costruzione degli assetti normativi e istituzionali è affidato a uno schieramento politico di ispirazione liberal-monarchica, la Destra storica, che si mantiene al governo fino al 1876. Esso ha una visione elitista della politica, ritenendo che essa sia riservata solo agli uomini più ricchi e colti, e infatti la legge elettorale ammette al voto solo il 2% della popolazione. Gli esponenti della Destra sono favorevoli a strutture statali basate sull’accentramento amministrativo (cioè ritengono che la maggior parte delle decisioni spetti agli organismi centrali); e in generale la loro politica continua sulla linea cavouriana di (1) costruzione degli assetti normativi e delle infrastrutture; (2) netta separazione tra Stato e Chiesa. (1)

 Viene varata una politica doganale liberista; approvano la costruzione e il potenziamento della rete ferroviaria, di strade e porti; viene potenziato l’esercito e il sistema scolastico; vengono riqualificate le città. Per fare tutto ciò è necessario imporre misure fiscali severe, e infatti il sistema fiscale si basa su tre tipi di imposte: l’imposta di ricchezza mobile (che riguarda le attività lavorative), l’imposta fondiaria (che riguarda le proprietà terriere) e le imposte indirette (che colpiscono i consumi) > quest’ultime risultano particolarmente inique e infatti nel 1868 un’imposta sul macinato – cioè sulla farina – fece aumentare il prezzo del pane, diffondendo un malcontento che nel 1869 fece scoppiare tumulti dappertutto  i moti del macinato. Le rivolte vennero represse con l’esercito.

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 vengono requisiti i beni terrieri di molti enti ecclesiastici soppressi e viene introdotto il matrimonio civile nel 1865, volto a laicizzare ulteriormente le strutture del nuovo Stato. Nell’attuazione di queste norme la Destra storica può contare sull’appoggio dell’altro grande schieramento parlamentare, la Sinistra liberale, composta prevalentemente da ex repubblicani, ex garibaldini ed ex mazziniani che hanno abbandonato i loro ideali repubblicani ma conservano alcuni aspetti del loro passato democratico come > l’ambizione ad ampliare il corpo elettorale e il potenziamento ulteriore del sistema scolastico. Questi due raggruppamenti non sono veri e propri partiti politici ma più una costellazione di gruppi parlamentari guidati da uno o più capi, spesso soggetti a relazioni clientelari. La prova più difficile che il nuovo Stato deve fronteggiare arriva nel 1866. Ai primi di quell’anno il governo guidato da Alfonso La Marmora si accorda col governo prussiano per una possibile guerra comune contro l’Austria; per evitare di avere due fronti aperti, l’Austria comunica la sua disponibilità a cedere il Veneto e la provincia di Mantova, con l’intermediazione di Napoleone III, purché l’Italia si ritiri dall’alleanza. Tuttavia, il governo italiano decide di rispettare l’impegno preso con i prussiani e rifiuta la proposta, dando inizio alla terza guerra d’indipendenza. L’Italia può schierare un esercito più consistente di quello austriaco, quasi tutto impegnato contro i prussiani, ma la guerra viene condotta male e infatti l’esercito italiano è sconfitto il 24 giugno 1866 a Custoza mentre la flotta è battuta il 20 luglio a Lissa. Solo Garibaldi, impegnato con i suoi volontari nel Trentino, riesce a conseguire importanti successi > il 21 luglio batte gli austriaci a Bezzecca, aprendosi la strada verso Trento. Gli austriaci hanno però perso la guerra contro i prussiani, nel frattempo, e anche con gli italiani, il 26 luglio, sottoscrivono una tregua; il 9 agosto, dunque, Garibaldi riceve l’ordine di ritirarsi dal Trentino perché le forze austriache si stanno ora muovendo in quella direzione e l’Austria ha intenzione di cedere solo il Veneto. Negli accordi di pace è appunto imposta la clausola di cessione dei soli territori del Veneto e della provincia di Mantova, dove poco dopo si svolge un plebiscito di annessione al Regno d’Italia il cui risultato è favorevole. Conquistato così il Veneto, rimane solo il problema dello Stato pontificio e di Roma. Garibaldi è insofferente nei confronti della cautela che i governi di destra mostrano per una possibile annessione di Roma, il che si traduce in ben due azioni militari autonome condotte da lui e dai suoi volontari: nel 1862 e nel 1867.





Nel 1862, Garibaldi organizza una spedizione che parte dalla Sicilia ed intende marciare su Roma > il motivo di questo giro lungo è puramente simbolico, per completare e celebrare l’impresa di due anni prima. L’iniziativa, tuttavia, è del tutto illegale e il governo del Regno d’Italia manda l’esercito a bloccarla: il 29 agosto 1862 i militari italiani fronteggiano i garibaldini sull’Aspromonte, in Calabria. Garibaldi viene catturato e rinchiuso in prigione, ma il clamore internazionale intorno alla sua figura inducono il governo a liberarlo un mese dopo. Nel 1867 il tentativo garibaldino di raggiungere Roma viene bloccato a Mentana da un corpo di spedizione francese stanziato in Italia a protezione di ciò che resta dello Stato pontificio. Anche in questa circostanza Garibaldi viene arrestato e poi nuovamente liberato poco dopo; l’anno seguente lui, sdegnato, si dimette da deputato. Il motivo che spinge i governi di destra a dissociarsi dalle sue azioni è che si teme un conflitto tra Regno d’Italia e Francia, che si è fatta garante del papa, ma Garibaldi gode di un tale prestigio che la maggior parte dell’opinione pubblica non comprende questo atteggiamento nel governo > ciò si traduce in una generale delusione e distacco, soprattutto di Mazzini e dei suoi seguaci, che denuncia soprattutto il fatto che il popolo non ha mai potuto scegliere per sé se non attraverso dei plebisciti d’annessione. Mazzini morirà il 10 marzo 1872 e gli ultimi anni della sua vita sono segnati da questa profonda frattura con la politica italiana, che infatti lo porterà a vivere in esilio.

Come fu annessa Roma allora? Innanzitutto, la frattura decisiva fra il papa e lo Stato italiano in formazione era avvenuta già tra il 1859 e il 1860, nel pieno del processo di unificazione, quando una parte dei territori dello Stato pontificio – Umbria e Marche – gli era stata arbitrariamente sottratta per entrare a far parte del Regno d’Italia. La reazione del pontefice fu una Scomunica Maggiore, lanciata il 26 marzo 1860, nei confronti di tutti coloro che avevano preso parte all’unificazione. Negli anni seguenti, lo Stato italiano non fa molto per attenuare la tensione: solo nel 1865 era stato introdotto il matrimonio civile, e nel 1866-67 si vendono i beni degli enti ecclesiastici aboliti. La svolta però arriva il 20 settembre 1870, quando, approfittando di una crisi internazionale che ha coinvolto la Francia e che ha costretto Napoleone III a ritirare il contingente stanziato a protezione del papa (vedi: v guerra con la Prussia), l’esercito italiano entra nello Stato pontificio ed occupa Roma  breccia di Porta Pia. Al pontefice viene riconosciuta la sovranità di una piccola area della città di Roma, e sebbene il 13 maggio 1871 venga promulgata una legge per

assicurare al papa una serie di diritti e garanzie (legge delle Guarentigie) la frattura è ormai insanabile. L’opinione pubblica di fede cattolica si spacca fra chi ritiene che il rispetto del magistero spirituale del papa non deve necessariamente comportare fedeltà assoluta alle sue direttive politiche, e chi segue fedelmente l’indirizzo papale (i cattolico-intransigenti) e pertanto decide di non riconoscere la legittimità delle nuove istituzioni. Intanto, il 2 ottobre 1870, l’annessione di Roma e del Lazio è sancita da un plebiscito che dà risultato favorevole. Come conseguenza, la capitale è spostata a Roma. 15. L’unificazione tedesca e le sue conseguenze Tra gli anni ’60 e ’70 dell’Ottocento ha luogo un altro grande mutamento geopolitico che questa volta conduce alla formazione di uno Stato nazionale tedesco; un processo guidato dal Regno di Prussia, che è una monarchia costituzionale. Ma come si presenta la Prussia dopo le rivoluzioni del 1848-49? Innanzitutto, la Costituzione prussiana, concessa da Federico Guglielmo IV nel 1850, si fonda sulla preminenza del sovrano sul Parlamento – che è bicamerale, diviso in un Senato (Herrenhaus) ereditario e di nomina regia; ed una Camera elettiva regolata da una legge elettorale che ammette la partecipazione di tutti i maschi adulti ma che, essendo regolata dal sistema delle tre classi, dà agli individui più ricchi una rappresentanza sproporzionatamente superiore al loro numero. Dal punto di vista sociopolitico la Prussia continua a reggersi su una solida alleanza tra i proprietari terrieri nobili delle regioni orientali – gli Junker – e il sovrano; costui li predilige quando deve nominare nuovi membri del Senato, per i ruoli direttivi della burocrazia e dell’esercito. Inoltre, gli Junker dispongono dei diritti feudali di nominare i funzionari di polizia e i magistrati dei tribunali di prima istanza nei territori dei quali esercitano l’autorità di feudatari > questo si traduce in un sentimento di timorosa deferenza dei contadini nei confronti del potere feudale, e a causa di altre leggi in vigore che impedivano ai contadini di organizzare scioperi e riunioni sindacali, le probabilità di successo di un qualche candidato che non fosse gradito alle élite terriere sono assolutamente remote. Un dominio di questo genere non è invece pensabile nelle aree urbane, dove le elezioni mandano al Parlamento dei deputati di orientamento liberale, favorevoli ad un maggiore sviluppo e delle garanzie costituzionali. Dunque, la partita politica che si apre in Prussia a metà Ottocento vede contrapposti due schieramenti: la Destra conservatrice, che ha radici agrarie e nobiliari, e la Sinistra liberale che ha invece un profilo urbano e borghese.

Lo scontro fra queste due anime della politica prussiana si consuma intorno alle modalità di potenziamento di un’istituzione centrale nel sistema di potere prussiano, ovvero l’esercito. Esso, dal 1814 cioè dalle sconfitte nelle guerre napoleoniche, ha subito una riorganizzazione molto originale > viene introdotta la coscrizione universale obbligatoria, con l’obbligo per ogni maschio adulto di svolgere un periodo di ferma biennale nell’esercito, seguito da altri due anni di iscrizione fra le truppe di riserva e da altri quattordici anni nella milizia territoriale; in questi sedici anni finali di militanza tra le truppe di riserva e nella milizia territoriale ai coscritti si chiedono solo brevi periodi annui di addestramento per conservare la propria efficienza. Il vantaggio è nel disporre di un esercito di quantità, cioè un considerevole numero di soldati pronti al bisogno tra quelli in servizio attivo e quelli in riserva. Inoltre, gli storici sottolineano che si tratta di un sistema che produce potenti effetti nazionalizzanti. Nel 1861, alla morte di Federico Guglielmo IV, sale sul trono prussiano il fratello Guglielmo I, che nel 1862 nomina lo Junker Otto von Bismarck capo del governo. Insieme a lui il sovrano vara un piano di riorganizzazione e di potenziamento tecnologico dell’esercito, che però provoca una crisi politico-costituzionale > i gruppi parlamentari liberali non vogliono approvare il piano di potenziamento sia per le spese che esso comporta sia per la pressione fiscale che ne deriverà. Ma Bismarck, sostenuto dalla Destra conservatrice, per tre anni di seguito fa approvare il bilancio relativo alle spese militari solo dal re e ignorando l’opposizione del Parlamento, anche perché ciò gli era consentito dalla Costituzione. La crisi politica, quindi, potenzia l’autorità del re ai danni del Parlamento. Il potenziamento dell’esercito può avvalersi delle produzioni belliche fornite dalle industrie della Prussia renana, e anche delle agevolazioni dell’accordo commerciale liberista stipulato fra la Prussia e gli altri Stati tedeschi, lo Zollverein (Unione doganale), che dal 1834 consente l’acquisto e lo scambio di prodotti fra i paesi germanici (esclusa l’Austria) a prezzi ridotti. Da tale contesto l’esercito prussiano emerge come una forza inarrestabile; Guglielmo I e Bismarck vogliono testare la sua forza inaugurando una stagione di politica estera aggressiva, e infatti volgono l’attenzione al Regno di Danimarca.

LE GUERRE DI UNIFICAZIONE (1864-1870) CONTRO AUSTRIA E FRANCIA: tutto comincia con una crisi dinastica interna al Regno di Danimarca, che offre alla Prussia l’occasione di avviare una guerra di conquista per prendersi i Ducati di Schleswig e Holstein, a maggioranza tedesca. Per l’occasione, la Prussia si allea con l’Austria, per impedire un possibile intervento di quest’ultima in difesa della Danimarca. Il corpo di spedizione austro-prussiano, tra il gennaio e il febbraio del 1864, costringe la Danimarca alla resa, che viene ufficializzata nell’agosto dello stesso anno > in via provvisoria, lo Schleswig va alla Prussia e l’Holstein all’Austria. In realtà, però, la Prussia punta ad annettere entrambi i Ducati – anche perché vuole imporsi come unica potenza egemone nell’area germanica. ¹ Il progetto è favorito dalla tensione crescente fra Austria e Prussia in merito all’amministrazione dei due territori danesi; nel frattempo Bismarck comincia a preparare il campo, alleandosi con l’Italia nel 1866 (vedi: ^ terza guerra d’indipendenza italiana) e a giugno scoppia la guerra. L’Austria può contare sull’alleanza di diversi Stati germanici, fra cui la Sassonia, ed è convinta della propria superiorità militare > l’esercito prussiano però è nettamente più forte. Entra in Baviera mentre un altro contingente diretto in Boemia il 3 luglio sconfigge gli austriaci a Sadowa. L’Austria paga un prezzo molto alto: deve cedere il Veneto all’Italia, e con la pace di Praga, siglata con la Prussia il 23 agosto 1866, finisce la sua egemonia sugli Stati di lingua tedesca > lo Hannover, l’Assia-Cassel e lo Schleswig-Holstein vanno alla Prussia; la Sassonia e altri Stati del nord entrano a far parte della nuova Confederazione della Germania del nord, sempre sotto il dominio prussiano. Alcuni Stati del sud come la Baviera rimangono formalmente autonomi, ma devono pagare alla Prussia un’indennità di guerra. Questo successo militare suscita un grandissimo entusiasmo nell’opinione pubblica prussiana, tant’è che quando Bismarck chiede al Parlamento di votare la sanatoria sui bilanci militari, anche i liberali si schierano in suo favore. ² L’ampliamento territoriale della Prussia mette in allarme Napoleone III. Egli cerca un accordo preventivo con Austria e Russia e ciò suscita nei diplomatici prussiani e nell’opinione pubblica tedesca la paura che la nuova Confederazione della Germania del Nord sia accerchiata e soffocata dalle altre potenze europee; similmente una crisi dinastica in Spagna nel 1868 viene temporaneamente risolta ponendo sul trono spagnolo un principe prussiano, Leopoldo di Hohenzollern, e questo provoca analoghi sospetti di accerchiamento nell’opinione pubblica francese. Napoleone III teme la potenza dell’esercito prussiano e non vorrebbe arrivare ad una guerra, ma Bismarck è, dal canto suo, determinatissimo a far precipitare le relazioni già tese > nel luglio del 1870 l’occasione si presenta quando Bismarck manipola un telegramma da Ems che il re Guglielmo I gli ha inviato in merito alla questione spagnola, dando l’impressione che il re si sia rifiutato di ricevere l’ambasciatore francese – dopodiché passa il telegramma alla stampa. A quel punto, Napoleone III è costretto, il 19 luglio 1870, a dichiarare guerra alla Prussia. In questo modo Bismarck ottiene non solo la guerra che tanto voleva, ma anche di far passare la Prussia per il paese aggredito. La guerra parte già segnata: l’esercito tedesco irrompe nel territorio francese e dopo sei settimane di combattimento sconfigge definitivamente i francesi a Sedan il 1° settembre 1870 > Napoleone III è fatto prigioniero e firma la resa. Il 4 settembre 1870 il Corpo legislativo francese dichiara decaduta la dinastia napoleonica e proclama la formazione della Terza Repubblica francese. Nel frattempo, Parigi è assediata e non si può più resistere: il 28 gennaio il governo provvisorio francese deve chiedere l’armistizio. Intanto dieci giorni prima, senza neanche attendere la cessazione delle ostilità, Guglielmo I – che si è ormai assicurato l’assenso dei principi degli Stati tedeschi meridionali – viene proclamato imperatore tedesco nella Sala degli specchi del Palazzo di Versailles. Il nuovo Stato, l’Imperi tedesco o Secondo Reich (poiché il precedente sarebbe il Sacro Romano Impero) è formato, oltre che dalla Prussia e dalla Confederazione della Germania del Nord, anche da quegli Stati tedeschi meridionali che erano rimasti autonomi. Il 16 aprile 1871 viene promulgata la Costituzione dell’Impero. Essa prevede alcune caratteristiche: a)

L’Impero ha il carattere di una federazione di 25 Stati, sottoposta alle norme e alle decisioni prese dagli istituti fondamentali dell’Impero. Tali istituti sono l’imperatore, a cui è affidato il potere esecutivo e il comando delle forze armate; il suo Primo ministro o Cancelliere che è il capo del governo; il Parlamento imperiale bicamerale, diviso in Camera dei Deputati e il Consiglio federale. b) La Camera dei deputati viene eletta a suffragio universale maschile segreto. Si tratta di una scelta di Bismarck, radicata nella convinzione che gli elettori delle aree rurali voteranno per i loro “capi naturali”, cioè le élite nobiliari e terriere. Il Consiglio federale invece è una camera formata dai rappresentanti dei 25 Stati aderenti. Il 10 maggio 1871 viene firmato il trattato di pace con la Francia. Le condizioni sono molto dure > lo Stato francese deve pagare una pesante indennità di guerra e soprattutto deve cedere le regioni dell’Alsazia e della Lorena, che vengono annesse all’Impero tedesco.

La Terza Repubblica francese >> la costituzione dell’Impero tedesco è la causa di una gravissima crisi politico-sociale in Francia. Dopo la caduta di Napoleone III, la proclamazione della Terza Repubblica e la firma dell’armistizio, in Francia l’8 febbraio 1871 si tengono le elezioni per la nuova Assemblea nazionale. Il governo, sostenuto dalla maggioranza monarchica che domina l’Assemblea, è presieduto da Adolphe Thiers; i suoi orientamenti e le sue scelte, però, vengono duramente contestati dagli strati popolari della capitale, che hanno posizioni più radicali ed infatti insorgono. Il governo, stabilitosi a Versailles, il 18 marzo invia le truppe a Parigi per cercare di riprendere il controllo ma invano; la città resta nelle mani degli insorti e della Guardia nazionale che li supporta. Il 28 marzo 1871 viene eletto il consiglio per il Comune parigino, che diventa l’organo di autogoverno della città. Dominata da repubblicani, anarchici e sociali, la Commune approva norme di rilievo puramente simbolico e di scarsa utilità; dura solo due mesi, fino a che Thiers non invia nuovamente l’esercito che riesce a riprendere il controllo della città > la repressione della Commune è un evento sanguinoso, tanto che in una sola settimana (la “settimana di sangue”) 20.000 persone vengono giustiziate negli scontri o anche sommariamente; anche i ribelli, dal canto loro, compiono rappresaglie non meno sanguinose. Riportato l’ordine, si deve stabilire l’assetto della Terza Repubblica: i monarchici vorrebbero per l’appunto una monarchia costituzionale, ma l’unico candidato al trono si presenta come un neoassolutista e perciò l’opzione viene accantonata, sebbene essi si adoperino affinché il Presidente della nuova Repubblica concentri nella sua persona una grande quantità di poteri. Dal gennaio al luglio del 1875, l’Assemblea nazionale approva tre leggi costituzionali, che prevedono: a) Un Presidente della Repubblica, eletto dal Parlamento e con mandato settennale. b) Un Parlamento bicamerale che sostituisce la provvisoria Assemblea nazionale, diviso in Camera dei Deputati, eletta a suffragio universale maschile, e il Senato, composto da alcuni membri permanenti e dal resto che invece sono eletti da un corpo elettorale di secondo grado. L’Impero austro-ungarico >> l’unificazione tedesca produce gravi contraccolpi anche nell’Impero austriaco. Durante gli anni l’Austria ha attraversato crisi e perduto territori, e soprattutto ha perso ogni influenza sulle regioni tedesche centro-settentrionali, dal 1871 tutte racchiuse nel nuovo Impero tedesco. La risposta alla crisi consiste in un mutamento degli assetti costituzionali: nel 1861 era già stata concessa una Costituzione che però riconfermava l’assetto centralista e aveva suscitato dissenso soprattutto nell’élite ungherese; nel 1867 invece la Costituzione viene radicalmente riformata attraverso il cosiddetto “accomodamento” (Ausgleich), ovvero una riforma costituzionale che trasforma l’Impero austriaco in Impero austro-ungarico. Secondo la nuova Costituzione, Francesco Giuseppe è imperatore al tempo stesso d’Austria e d’Ungheria > i due stati condividono il ministro della Guerra, degli Esteri e delle Finanze, ma poi possiedono due distinti governi e due Parlamenti, entrambi bicamerali, che hanno sede a Vienna e a Budapest. La struttura dualistica permette all’Impero di sopravvivere marginalizzando i popoli slavi e nel riconoscere l’importanza di tedeschi e ungheresi nella geografia umana della nazione. 16. Gli Stati Uniti e la Russia Premessa: schiavitù e servitù della gleba >> tra fine Settecento e inizio Ottocento, l’Occidente europeo scopre quanto orrore ci sia nella schiavitù, e infatti in diversi paesi europei e negli Stati del Nord degli Stati Uniti si vota per abolirla; e sebbene il commercio clandestino di schiavi sia ancora tollerato talvolta, la stagione schiavista si sta definitivamente chiudendo. Allo stesso modo viene abolita in sempre più paesi la servitù della gleba, quel sistema di assoggettamento che lega un contadino e la sua famiglia ad un’azienda agricola e/o al proprietario terriero. Due grandi eccezioni però resistono in ambedue i casi: gli Stati meridionali degli Stati Uniti, dove non solo la schiavitù è legale ma è il perno di un’economia fondata su piantagioni di cotone e tabacco; e la Russia zarista, dove la servitù della gleba continua ad essere una delle fondamentali istituzioni che regolano la vita nelle campagne. 1) Gli Stati Uniti – nei primi decenni dell’Ottocento gli Stati Uniti sono una realtà in piena espansione sia demografica che territoriale. A ovest degli Stati membri della federazione si estendono spazi non occupati da alcuna potenza europea, ancora occupati da tribù di nativi non molto numerosi che sono prevalentemente cacciatori nomadi. Per tutto l’Ottocento, a spese di questa gente, si replica la dinamica dell’occupazione delle nuove terre a ovest da parte di gruppi di pionieri, il che porta quasi sempre a scontri con le tribù indigene > il risultato è lo sterminio quasi totale dei nativi; quelli che sopravvivono vengono costretti a risiedere nelle riserve. Questa spinta verso il Far West si traduce nella formazione di nuovi territori, i quali poi aderiscono alla federazione; ma i governi statunitensi non si fermano lì, e vorrebbero espandersi anche verso nord e verso sud > verso nord, l’espansione in Canada è fermata subito dalla guerra del 1812-15 con il Regno Unito, vinta da quest’ultimo; verso sud invece i risultati sono migliori – gli Stati Uniti comprano la Louisiana da Napoleone III (che aveva bisogno di finanziamenti) e la Florida dalla Spagna. La

consapevolezza che guida l’azione dei pionieri e dei governi alla conquista di nuove terre, unita alla coscienza delle grandissime potenzialità economiche di questa marcia, trovano espressione in due concetti chiave radicati in profondità nella mentalità statunitense di questo periodo: a)

Da un lato prende forma il mito della frontiera, ovvero l’idea di una sorta di necessaria missione civilizzatrice (retorica del destino manifesto) dei territori selvaggi da parte dei coloni wasp, che è sia dovuta alla spinta espansiva e opportunista sia all’ossessione per la “retorica dell’accerchiamento” – la preoccupazione di trovarsi isolati e circondati da nemici selvaggi e ostili, il che ovviamente porta alla demonizzazione degli indigeni. b) Dall’altro, nel 1823 il presidente James Monroe traccia un programma di politica estera nel quale enuncia una linea di netta separazione dall’Europa e di egemonia degli Stati Uniti nel continente americano – a spese, in particolare, del Messico  imperialismo civilizzatore. A causa di queste mire espansionistiche sempre più ambiziose, e con il pretesto di difendere un gruppo di coloni insediatisi nell’allora territorio messicano del Texas, gli Stati Uniti dichiarano guerra al Messico nel 1846-48 > un conflitto da cui emergono vincitori, annettendo il Texas e preparandosi per la futura annessione dei territori con esso confinanti dell’Arizona, del Nuovo Messico, dello Utah e della California. È chiaro che la grande espansione territoriale richiede mezzi di comunicazione adeguati, e infatti dal 1830 le ferrovie appaiono come la soluzione ideale per coprire i grandi spazi nordamericani. L’irradiazione della rete ferroviaria oltretutto favorisce la nascita di un’agricoltura specializzata, che può facilmente far viaggiare i prodotti su rotaie > questo tipo di agricoltura però si realizza attraverso un disboscamento sistematico e generalizzato. Nel nord-ovest le colture che si sviluppano di più sono il mais e il grano, mentre a sud le piantagioni lavorate da schiavi si concentrano sulla produzione di cotone. Lo sviluppo delle ferrovie e dell’agricoltura specializzata hanno un’importante conseguenza, ovvero la sollecitazione delle produzioni industriali, che si concentrano soprattutto nell’area nordorientale; il punto debole di questo sistema sembra essere il fatto che l’offerta di manodopera è scarsa perché gli immigrati europei sono prevalentemente contadini, ma ciò porta i salari degli operai ad essere del 30% più alti rispetto a quelli inglesi e inoltre si traduce in una serie di innovazioni produttive labour saving  che ottengono il risultato migliore con meno tempo e minor impiego di manodopera. Il sistema politico >> gli Stati Uniti nascono come una società nuova, nella quale la nobiltà di tipo europeo non è mai esistita e c’è una fortissima mobilità sociale. Questi elementi spiegano perché la democrazia e l’egualitarismo siano ideali politici così potenti da radicarsi in tutti gli Stati della Federazione, e sono alla base della scelta di adottare il suffragio universale maschile come sistema elettorale > sistema che ovviamente comprende solo i maschi bianchi, tant’è che infatti l’intera identità collettiva americana si struttura intorno all’opposizione con tutte le diversità. Intorno al 1830 il suffragio universale maschile e la differenziazione sociale e territoriale in atto favoriscono un mutamento significativo nel funzionamento del sistema politico, ovvero la nascita, dal comune ceppo repubblicano, di due formazioni politiche distinte > i democratici e i whig. I whig sono statalisti e protezionisti, quindi sostenuti dagli imprenditori e dagli operai del nord-est, mentre i democratici guidati da Andrew Jackson sono a favore di un mercato autoregolato con minori tariffe doganali e di maggiore autonomia ai singoli Stati, e per questo sono appoggiati dai grandi proprietari del sud. > La cosa rilevante è che questi raggruppamenti si dotano di forme organizzative più adatte a dialogare con un’opinione pubblica di massa, e per questo possono essere considerati i primi veri partiti politici nella storia dei sistemi rappresentativi. Il nuovo sistema, che comporta congressi e campagne elettorali con una grande mobilitazione di sostenitori, si basa su una forma di clientelismo istituzionalizzato che prende il nome di spoils system  ai posti pubblici che dipendono da una nomina politica il candidato vincente designa i suoi più fedeli sostenitori. La questione della schiavitù >> tra fine Settecento e inizio Ottocento i Parlamenti degli Stati del Nord hanno abolito la schiavitù, mentre nel sud non solo è legale, ma è anche il perno fondamentale dell’economia. Nella prima metà dell’Ottocento ancora il Congresso non si è espresso sulla questione, e la cosa non sorprende, dal momento che una cospicua parte dell’élite nazionale viene dal sud. Nondimeno se la schiavitù è per alcuni una grande risorsa economica, è anche una realtà sociale terribile > negli anni ’30 inizia a formarsi un ampio movimento antischiavista nel nord, formato da afroamericani liberi e da bianchi ispirati dai principi religiosi evangelico-protestanti. Di fronte a questo movimento i capi politici degli Stati del Sud reagiscono aspramente, facendo approvare una serie di leggi  nel 1850 il Fugitive Slave Act, una legge federale che autorizza i padroni a inseguire gli schiavi fuggiaschi nei territori liberi e riprenderseli senza processo; nel 1854 il Kansas-Nesbraska Act, che abroga il divieto di introdurre la schiavitù negli

Stati di nuova acquisizione. Questo provoca una spaccatura politica profonda tra i whig meridionali che approvano la legge e quelli settentrionali che vi si oppongono, e la nuova geografia politica che emerge è tripartitica: a) Resistono i democratici, perché questo partito ha già una base prevalentemente meridionale. b) Nascono i repubblicani, che uniscono ex whig settentrionali, antischiavisti ed altri militanti accomunati da una base che si trova tutta negli Stati del nord. c) Nascono i whig meridionali, che si staccano dal partito madre per andare a fondersi coi rappresentanti di più piccoli partiti xenofobi, con base quasi esclusivamente meridionale. Il partito repubblicano fonda il suo programma sul protezionismo doganale, favorevole alle industrie del nord-est, e sostiene l’abolizione della schiavitù. I whig meridionali e i democratici invece sono uniti in difesa della schiavitù, ma sono divisi su tutto il resto, e infatti alle elezioni presidenziali del 1860 presentano candidati diversi che singolarmente prendono una percentuale di voti inferiore al candidato repubblicano, Abraham Lincoln  avvocato e politico dell’Illinois apparentemente moderato; infatti, non è contrario alla schiavitù in sé quanto all’introduzione di essa negli Stati di nuova acquisizione. Al sud, però, si teme che la presunta moderazione di Lincoln sia solo di facciata e che i repubblicani vogliano davvero procedere ad abolire la schiavitù su tutto il territorio americano > così gli Stati del sud, uno dopo l’altro, arrivano alla conclusione che le differenze di interessi e di cultura politica tra loro e il nord siano troppo profonde per continuare a convivere all’interno di uno stesso Stato e tra la fine del 1860 e l’inizio del 1861, South Carolina, Mississippi, Florida, Alabama, Georgia, Louisiana e Texas proclamano la secessione e la costituzione di un’entità politica indipendente, chiamata Stati Confederati d’America. Nel marzo 1861 questa Confederazione si dota di una Costituzione, di un presidente provvisorio (Jefferson Davis) e di una capitale, Montgomery, in Alabama. LA GUERRA DI SECESSIONE (1861-65): il casus belli che scatena la guerra tra i due nuovi Stati è l’attacco delle forze confederate a un forte unionista che ancora resiste in South Carolina, il 12 aprile 1861. A quell’attacco Lincoln risponde denunciando l’insurrezione degli Stati meridionali e annunciando l’inizio delle ostilità. Intanto, tra aprile e maggio 1861 anche la Virginia, l’Arkansas, il Tennessee e la North Carolina si uniscono alla Confederazione meridionale, la cui capitale viene trasferita a Richmond, in Virginia. La guerra, che dura ben cinque anni, è al tempo stesso moderna (poiché le armi impiegate sono tecnologicamente molto avanzate) e tradizionale, e questa combinazione fa sì che sia sanguinosissima. Nel corso della guerra, Lincoln diviene protagonista di un processo di radicale emancipazione indotto dagli eventi, e il 1° gennaio del 1863 emana il Proclama di emancipazione > permette di indebolire il fronte interno della Confederazione e reclutare i neri liberi nell’esercito unionista. Ciò però non è determinante nelle sorti della guerra, che vengono invece decise dal maggior numero di soldati dell’Unione e dalla maggiore capacità di rifornirli di armi e munizioni, dato che le fabbriche si trovavano a nord. Nel 1863 l’esercito nordista guidato dal generale Ulysses Grant riesce a respingere un’offensiva dei Confederati a Gettysburg, in Pennsylvania; i nordisti poi proseguono verso sud, nel 1864 espugnano Vicksburg in Mississippi e prendono Atlanta > alla fine l’esercito sudista non è più in grado di resistere. Il 9 aprile 1865 il generale Robert Edward Lee, dell’esercito confederale, firma la resa: la secessione è finita, l’integrità degli Stati Uniti è ripristinata. La frattura è stata profondissima, e anche se formalmente la guerra viene combattuta da due entità statali distinte, essa è una violenta guerra civile – combattuta soprattutto per la volontà di preservare identità e pratiche socioeconomiche differenti. Il 14 aprile 1865 un simpatizzante sudista uccide il presidente Lincoln, facendone, in qualche modo, un martire della lotta alla schiavitù. Secondo le norme, a Lincoln succede il vicepresidente Andrew Johnson, l’unico senatore democratico del sud rimasto fedele all’Unione; Johnson però è un razzista convinto e autorizza i governatori degli Stati del Sud a emanare i cosiddetti Black Codes – codici normativi che confermano per il dopoguerra la schiavitù dei neri. Tuttavia, il partito repubblicano reagisce a questa decisione e nel 1865 impone l’approvazione del XIII Emendamento della Costituzione, con il quale viene abolita la schiavitù; inoltre fa approvare, con il XIV e il XV Emendamento, la cittadinanza e il voto ai neri > scelta dettata anche dal desiderio dei repubblicani di imporsi come partito dominante nel sud, appoggiandosi all’elettorato nero. Negli anni ’70 i neri iniziano addirittura a conquistarsi spazi importanti sulla scena politica, con una democrazia finalmente multirazziale, ma ci sono anche delle controspinte > nel 1866 viene fondato il Ku Klux Klan, un’associazione terroristica e razzista che organizza aggressioni contro i neri, ma non solo. L’élite politica di ambe le parti vuole ricomporre la grave frattura fra nord e sud avviando soprattutto una politica di ricomposizione dell’identità bianca – di cui fanno spese i neri. La piena uguaglianza razziale si rivela una semplice parentesi > tanto il Congresso quanto i Parlamenti dei singoli Stati fanno approvare leggi che limitano la libertà sia politica sia civile dei neri, fino a che nel 1896 non viene riconosciuta la validità legale del principio “separati ma uguali”

che sta alla base della segregazione razziale. In pochi anni, l’abolizione della schiavitù lascia il posto non ad una piena uguaglianza dei neri, ma a una loro netta marginalizzazione. 2) La Russia zarista – all’inizio del XIX secolo, la Russia dello zar Alessandro I persegue una politica di espansione territoriale che le consente di annettersi la Finlandia, la Bessarabia e diversi territori caucasici sottratti alla Persia. Alla morte di Alessandro I, il successore Nicola I continua la linea di politica estera avviata dal padre: conquista tutta l’area caucasica e quella ad est del Mar Caspio, l’area a nord di Vladivostok e del fiume Amur, anche se cede l’Alaska agli Stati Uniti e le isole Curili al Giappone. L’ampliamento territoriale si accompagna a una significativa crescita demografica, essenzialmente concentrata nelle aree rurali – infatti c’è un forte squilibrio geografico tra la sterminata area a est degli Urali, completamente spopolata, e la Russia europea dove si concentra tutta la popolazione. Le campagne sono anche il cuore economico della società russa, in particolare per la produzione di grano > produzione che però non è incentivata da innovazioni tecnologiche, ma dalla messa a coltura di nuove terre e da una durissima pressione esercitata sui contadini, che sono dei veri e propri servi della gleba. Per queste ragioni, è proprio dalle campagne che partono i primi segnali di instabilità per la pura e inflessibile autocrazia amministrativa russa: 1) Il primo segnale è dato dalla rivolta decabrista del dicembre del 1825 > alla morte di Alessandro I, un gruppo di ufficiali dell’esercito tenta un colpo di mano per costringere il successore dello zar defunto a concedere una Costituzione; tuttavia, la ribellione non ha alcuna radice nella società né è supportata da organizzazioni segrete, e infatti fallisce. 2) Il secondo segnale è dato dalla tensione che attraversa la Polonia, dove nel 1830-31 scoppia un’insurrezione indipendentista, repressa a fatica. 3) Il terzo segnale d’instabilità è dato dall’inquietudine che serpeggia nelle campagne, dove nella prima metà del XIX secolo scoppiano diverse centinaia di rivolte contadine, che pure non riescono a portare da nessuna parte perché non comunicano tra di loro. 4) Altro fattore importante è il malcontento che si genera quando Nicola I tenta di conquistare la Moldavia e la Valacchia, il che sfocia nella guerra di Crimea, in cui la Russia viene sconfitta. Tutto ciò convince il successore di Nicola I, Alessandro II, a tentare di realizzare un piano di riforme dall’alto > nello specifico, lo zar vuole abolire la servitù della gleba prima che scoppi una rivoluzione. La procedura di abolizione, prevedendo che i contadini ex servi debbano riscattare una parte delle terre che lavoravano attraverso forme di pagamento rateale, finisce per spingere molte famiglie ad indebitarsi con i proprietari terrieri. Inoltre, la riforma prevede il mantenimento di istituzioni come la “comunità di villaggio”, dotata di un suo organo amministrativo chiamato mir > i mir hanno il compito di amministrare le terre concesse ai contadini ex servi. Nonostante queste riforme però, le campagne continuano ad essere inquiete e continuano a verificarsi rivolte. Altre riforme introdotte da Alessandro II sono quella dell’esercito e del sistema giudiziario; inoltre, reprime un’altra insurrezione in Polonia e avvia un processo di russificazione del paese, imponendo il russo come lingua ufficiale e la religione ortodossa a posto di quella cattolica polacca. In Russia viene attenuata la censura, il che porta alla formazione di un’opinione pubblica più vivace e articolata, in cui emergono due correnti di pensiero: i panslavisti, coloro che guardano con simpatia all’azione riformista di Alessandro II e ritengono che alla Russia spetti il ruolo di guida di tutti i popoli slavi; e i populisti, ovvero quegli intellettuali che vedono nelle campagne e nelle comunità di villaggio il nucleo profondo della cultura e dello spirito russo. Diversi populisti ritengono che solo un’azione terroristica potrebbe provocare una crisi tale da avviare una rivoluzione etica e sociale, tant’è che mettono in atto quattro tentativi di assassinare Alessandro II. Il quinto tentativo, metto in atto nel 1881, finisce per uccidere lo zar, che verrà comunque ricordato dalle comunità rurali come Alessandro il Liberatore, per i benefici che ha portato loro. 17. Globalizzazione e dominio coloniale Già evidente nel corso del XVIII secolo, il processo di colonizzazione permanente di territori lontani dall’Europa prosegue su scala maggiore, anche grazie al fatto che gli straordinari progressi tecnici raggiunti in quest’epoca dalle industrie europee permettono un salto di qualità nei processi di integrazione commerciale > l’integrazione economica mondiale o globalizzazione fa passi da gigante. Un’altra importante ricaduta dell’industrializzazione europea è il miglioramento delle tecnologie applicate alla produzione di armi, il che presenta, durante l’Ottocento, il fattore che apre il più vasto divario fra l’Occidente e il resto del mondo > la superiorità bellica fa sì che le potenze occidentali siano in grado di dettar legge dappertutto; i principali modi di dominio coloniale sono tre: a)

Il dominio economico-commerciale indiretto.

b) Il dominio coloniale diretto, con l’occupazione dei territori coloniali e l’instaurazione di forme di governo caratterizzate dall’assoggettamento della popolazione o dalla formazione di colonie bianche, costruite con l’eliminazione o l’allontanamento delle popolazioni autoctone. c) Azione militare e diplomatica per l’esercizio di un’egemonia economica e/o politica su aree territoriali sottratte ad altri Stati. Altrettante sono le risposte che vengono dalle società oggetto delle varie forme di aggressione coloniale: a) Varie forme di modernizzazione, basato sull’imitazione delle istituzioni degli aggressori occidentali. b) Forme di irrigidimento dei tratti identitari propri delle società locali, che talvolta si esprime con forme di resistenza armata. c) In entrambi i casi, sia i modernizzatori cercano di dialogare con le confessioni religiose dominanti nei paesi: ciò avviene attraverso forme di sacralizzazione del politico, o perché si concentrano autorità politica e religiosa nella stessa figura, o perché si instaura un complicato dualismo in cui i capi politici e religiosi cooperano strettamente. 1) L’Impero ottomano nella prima metà del XIX secolo – da tempo le strutture dell’impero ottomano sono sottoposte a una grande pressione e i confini dell’Impero sono arretrati continuamente, il che ne segnala uno stato di gravissima debolezza. Il motivo di questa fragilità sta nel fatto che, sin dal tardo Seicento, i sultani hanno perso progressivamente il controllo delle amministrazioni periferiche > nelle province dell’Impero ottomano, infatti, i pascià, pur riconoscendo la sovranità del sultano, hanno preso a comportarsi come signori di potentati autonomi, soprattutto per quanto concerne il fisco. A ciò si aggiunga che il corpo militare dei giannizzeri, che era stato il punto di forza dell’Impero, è diventato una sorta di casta che contratta da pari a pari con i sultani, rendendo estremamente caotica e difficile la gestione dell’esercito. Alla fine del XVIII secolo il sultano Selim III tenta di introdurre riforme nell’amministrazione e nell’esercito che contrastino le tendenze centrifughe in atto, cercando anche di farsi guidare da collaboratori europei > questo provoca resistenze soprattutto tra gli ulema, i custodi dell’ortodossia musulmana. Selim III tenta di organizzare nuovi reparti dell’esercito che rispondano direttamente a lui, ma i giannizzeri si oppongono in quanto la riforma indebolirebbe la loro posizione, e nel 1807 danno vita a una rivolta che costringe Selim ad abdicare. Tuttavia, il figlio Mahmud II continua la politica paterna, perseguendo le stesse riforme volute dal padre. (1) A livello centrale egli adotta un organigramma che ricalca i governi occidentali: il Gran Visir, il primo collaboratore del sultano, diviene a tutti gli effetti un Primo ministro; l’azione di governo è coordinata dal Consiglio dei ministri del sultano, e nel 1838 viene creato anche un Consiglio della Sublime Porta, nominato dal sultano, che ha il compito di preparare le proposte di legge discusse in Consiglio dei ministri. (2) Oltre a ciò, vengono organizzati censimenti e il catasto delle terre, presupposto per una redistribuzione delle imposte basata sull’effettivo valore delle terre possedute dai sudditi. (3) Si vuole inoltre favorire la formazione di una classe di funzionari preparata e per fare ciò si avvia un primo tentativo di riforma del sistema educativo, con l’istituzione di scuole secondarie laiche, anche se questa operazione viene osteggiata dagli ulema. (4) Infine, l’intervento più delicato è quello operato sull’esercito: Mahmud II nel 1826 costituisce dei nuovi reparti militari d’élite, separati dal corpo dei giannizzeri, che però suscita un secondo tentativo di ribellione da parte di quest’ultimi > la rivolta viene duramente repressa e il corpo dei giannizzeri viene definitivamente sciolto. Inoltre, viene sottratto il controllo dei reparti dell’esercito ai governatori locali, per perseguire un’organizzazione statale più centralizzata. Sia gli ulema che i notabili locali ostacolano queste riforme, supportati anche dagli interventi delle potenze europee che cercano di favorire lo sganciamento dei vari territori dall’Impero ottomano. È infatti proprio durante il periodo di attuazione delle riforme volute da Mahmud II che l’Impero deve combattere una seria minaccia di secessione da parte di una delle province più importanti, l’Egitto. Nel 1805 il sultano ha nominato governatore d’Egitto Mehmet Ali, un giovane ufficiale. Nel giro di sei anni costui è riuscito a sconfiggere i notabili locali, sostenuti dagli inglesi, e si è concentrato sugli avvenimenti nella Penisola arabica, dove era in corso un’insurrezione di ispirazione wahabita (da al-Wahhab, un predicatore che mirava a restituire all’Islam la purezza originaria) che aveva occupato le città sante di La Mecca e Medina. Costoro erano stati ricacciati intorno a Riyad, e questo provoca un notevole aumento di prestigio per Mehmet Ali, che pur non disconoscendo l’autorità del sultano, procede autonomamente alla realizzazione di un vasto programma di riforme modernizzanti che coinvolgono l’esercito, il sistema educativo e il sistema fiscale, indispensabile per finanziare le sue mire espansionistiche. Nel 1831 infatti, Mehmet Ali dà inizio ad un tentativo di conquista della Palestina e della Siria >

comincia così una fase di guerra tra Egitto e Impero ottomano, in cui, di nuovo, le potenze europee intervengono in favore dell’uno o dell’altro. Il conflitto si conclude un anno dopo la morte di Mahmud II: nel luglio del 1840 il nuovo sultano, Abdul-Mecid I, riconosce a Mehmet Ali il titolo di kedhivè, cioè governatore ereditario dell’Egitto. Mehmet Ali, da parte sua, riconosce la sovranità del sultano e restituisce la Siria all’Impero, ottenendo però il riconoscimento della sua effettiva autorità sull’Egitto e sulla Valle del Nilo fino al Sudan. Proprio durante la guerra, Mahmud II redige un proclama con il quale vuole annunciare le successive riforme; proclama che, alla sua morte avvenuta il 1° luglio 1839, sarà letto dal figlio Abdul-Mecid I alle maggiori autorità dello Stato. il testo prende il nome di Carta imperiale di Gulkhane, e traccia le linee di una piena occidentalizzazione dello Stato e della società ottomana > con ciò si apre una fase detta delle Tanzimat, ovvero delle riforme, in cui si impegnano sia Abdul-Mecid I sia il suo successore, Abdul-Haziz. Viene rivisto il Codice penale, quello di commercio, quello agricolo e anche il Codice civile, modellato su quello napoleonico, che però si fonda sul rispetto delle norme religiose islamiche. Viene riformato il sistema educativo, sebbene con lentezza, e vengono fondati licei a cui possono accedere sia i musulmani che i non-musulmani – allo scopo di creare una nuova classe di funzionari imperiali. Per quanto riguarda il diritto di famiglia, esso resta competenza dei tribunali religiosi musulmani  le strutture familiari ottomane recano un’impronta patriarcale. Il matrimonio è considerato un contratto privato a fini riproduttivi, e la segregazione spaziale delle donne insieme alla pratica del velo sono espressioni chiare della subalternità femminile nei confronti dell’autorità dell’uomo. Il potere patriarcale, inoltre, si manifesta anche nelle pratiche della poliginia e del concubinato. Comunque, se tutto ciò rimane pressoché invariato, un’altra pratica viene abolita, almeno in teoria, durante le Tanzimat: la schiavitù. O perlomeno, viene chiuso il mercato degli schiavi, ma la schiavitù soprattutto femminile a scopi sessuali continua ad esistere. Se tutte queste riforme hanno l’effetto di porre le fondamenta di un moderno Stato laico, le cui conseguenze si fanno sentire soprattutto nel cuore dell’Impero, esse non servono affatto ad attenuare la violenza delle spinte centrifughe che emergono incessantemente nelle aree più periferiche. Intorno alla metà del secolo, le aree problematiche sono tre: i Balcani, Creta e il Libano. a)

Nei Balcani continua il processo di disgregazione dell’Impero. In Valacchia e in Moldavia nel 1848 un tentativo rivoluzionario ha cercato di costituire uno Stato unitario rumeno, tentativo represso dall’azione congiunta dell’esercito russo ed ottomano. Passata la parentesi della guerra di Crimea, nel 1857 le Assemblee dei due principati votano a favore dell’unificazione in un unico Principato di Romania e nel 1859 eleggono Alessandro Cuza come principe unico. L’iniziativa riscuote il sostegno delle grandi potenze europee, in particolare della Francia. Per evitare una crisi politico-militare, l’Impero ottomano riconosce nel 1861 la formazione di un unico Principato di Romania – ma nel 1866 un colpo di Stato appoggiato dalla Prussia costringe Cuza all’abdicazione e vi installa un principe tedesco, Karl Hohenzollern-Sigmaringen, che assume il nome di Carol I di Romania. b) A Creta, sin dagli anni ’30, la comunità greca tenta tenacemente di cacciare gli ottomani per riunirsi allo Stato indipendente greco e nel 1866 dà vita ad un’insurrezione, duramente repressa; l’Impero, tuttavia, deve fare concessioni ai greci di Creta, così nel 1868 riconosce loro maggiore autonomia. c) Il Libano, già negli anni ’30 è stato oggetto di un tentativo di conquista militare da parte delle truppe egiziane di Mehmet Ali. In quell’occasione, gli egiziani hanno fatto leva sulle differenze etno-religiose, appoggiandosi alla comunità cristiano-maronita mentre la comunità drusa si è, per reazione, schierata con il sultano. Le tensioni fra i due gruppi non si attenuano con la fine della guerra, e nel 1860 gli scontri interconfessionali riprendono con violenza. La Francia ne approfitta intervenendo a favore dei cristiano-maroniti, e lo sbarco dei francesi venuti a sedare il conflitto è il preludio di una conferenza internazionale che riconosce al Libano la piena autonomia, sebbene il paese resti un protettorato francese. In tutta questa fase, le grandi potenze continuano a considerare l’Impero ottomano come un’entità di cui appropriarsi poco a poco. L’Impero austro-ungarico come quello russo è interessato ai Balcani; il Regno Unito per il momento si limita a controllare la situazione per preservare il proprio dominio marittimo sul Mediterraneo, dove però incontra la concorrenza della Francia, che mira a sfruttare la debolezza ottomana per espandersi sulle coste mediterranee. Importantissima anche la presenza entro i confini dell’Impero di operatori economici europei, che cercano di sfruttarne le ricchezze – operazione facilitata dalla nuova politica economica liberista adottata durante il periodo delle Tanzimat. 2) La Persia e l’Afghanistan – ai confini orientali dell’Impero ottomano incontriamo la Persia, dominata sin dal 1794 dalla dinastia dei Cagiari. Il potere del sovrano (shah) tuttavia non è particolarmente solido a causa dell’assetto

federale tribale della nazione, mentre invece l’autorità delle élite religiose islamiche – i mullah sciiti – è notevole, poiché ad essi si riconosce non solo il ruolo di guide spirituali ma anche il diritto di amministrare la giustizia, dal momento che le leggi persiane sono basate sui principi della Sharia. Alla metà del XIX secolo, lo shah Nasir al-Din cerca di modernizzare le strutture dello Stato e di limitare il potere dei mullah, incontrando però diverse resistenze > la Persia è stata già parzialmente conquistata da numerose potenze europee, non solo militarmente ma anche economicamente, e sia la pressione militare che l’impressione che lo shah abbia svenduto la loro terra rende le élite tribali e religiose avverse a qualsiasi riforma, in quanto si ritengono le vere custodi dell’identità locale di fronte all’invadenza europea. Ancora più a est si estende l’Afghanistan, un’area che fino ai primi dell’Ottocento è rimasta ai margini. Negli anni ’30 dell’Ottocento però la situazione cambia > il Regno Unito ha già iniziato la propria espansione in India, e i britannici trovano estremamente preoccupante la marcia costante di truppe russe in direzione sud-est, verso appunto l’Afghanistan, poiché temono che presto o tardi questa spinta espansiva possa tramutarsi in un attacco diretto all’India britannica. Per questo, nel 1838, il Regno Unito attacca militarmente l’Afghanistan per occuparlo e farne un avamposto che serva a proteggere l’India da eventuali minacce russe. All’epoca le istituzioni dell’Afghanistan non sono troppo dissimili da quelle della Persia: l’area è sotto il controllo di un sovrano che regna su una confederazione di potentati tribali con il sostegno delle élite religiose > la struttura quasi feudale rende l’Afghanistan vulnerabile ad attacchi militari, ma ingovernabile ad attacco compiuto. Ai primi del 1839 i britannici occupano effettivamente il paese e rovesciano il sovrano afghano Dost Mohammad Khan, insediandovi un governo fantoccio, ma nel 1841 le tensioni verso l’occupazione straniera sfociano in una ribellione che costringe i britannici a fuggire rovinosamente verso l’India; così il legittimo sovrano è rimesso sul trono e quello fantoccio assassinato. Negli anni seguenti i russi continuano ad avanzare verso l’Afghanistan, ma proprio per l’ingovernabilità del territorio non sembrano costituire una minaccia per i possedimenti britannici in India. 3) L’India britannica – il potere coloniale britannico in India si è formato attraverso le operazioni commerciali e militari compiute dalla East India Company, a cui, nel corso del tempo, il Parlamento britannico ha riconosciuto vari poteri amministrativi. Negli anni ’70 del XVIII secolo la EIC si è assicurata il controllo della parte mediana della costa orientale indiana, così come il golfo del Bengala; in queste zone la EIC è riuscita a imporsi ai sovrani locali e farsi pagare dai loro sudditi una parte dei tributi a essi dovuti, sfruttando tali risorse per commerciare calicò, tè, caffè e altro. Il sistema di governo britannico in India viene definito compiutamente con l’India Act del 1784  sancisce che gli azionisti della EIC scelgano i direttori che si occupano di affari economici ed amministrativi, mentre le questioni politiche e militari sono affidate al governo britannico, rappresentato in India dalla figura del governatore generale. Il sistema fiscale si fonda soprattutto sulla tassazione dei redditi provenienti dalla coltivazione delle terre > poiché tuttavia vige il principio secondo cui – nel caso di insolvenza fiscale di un proprietario – la terra debba essere messa all’asta, accade che il sistema promuova la concentrazione della proprietà terriera nelle mani di un numero ridotto di proprietari indiani. Il mutamento nella distribuzione della proprietà terriera e la sua maggiore concentrazione ha un ulteriore effetto: i più grandi proprietari terrieri introducono sulle loro terre colture specializzate, destinata a una facile commercializzazione; quindi, nel XVIII secolo si coltiva soprattutto cotone, destinato ad essere lavorato dalle industrie indiane che producono i calicò = tessuti pregiati. Dai primi dell’Ottocento, però, l’industria tessile indiana va in crisi perché i nuovi macchinari introdotti in Gran Bretagna abbattono i costi per le merci autoprodotte rispetto che importate > le ripercussioni sul settore agricolo spingono i proprietari terrieri a concentrarsi su altri tipi di coltivazioni, come l’indaco, il tabacco, il tè, la juta e il papavero. Intanto, negli anni seguenti all’India Act, l’espansione militare britannica continua incessantemente fino ad assicurare al Regno Unito un controllo quasi completo dell’interno subcontinente indiano. Questo però non si allinea con un tentativo di integrazione fra i britannici che fisicamente occupano il suolo indiano e le popolazioni locali, che anzi vengono escluse dai ruoli di responsabilità e i matrimoni misti scoraggiati. L’amministrazione britannica si impegna anche in un’azione di civilizzazione che non tiene conto delle usanze dei due principali gruppi confessionali nel paese, i musulmani e gli indù, ma anzi introduce il principio dell’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, il che però contrasta con il rigido sistema di caste che caratterizza la società indiana. Il disagio provocato dall’intrusiva presenza britannica deflagra in una ribellione, l’Indian mutiny, nel 1857, che coinvolge entrambe le componenti confessionali > sono i sepoys (le truppe indiane arruolate nell’esercito dell’EIC) che si ribellano quando si sparge la voce che le cartucce per i nuovi fucili sono oliate con grasso di suino e di bovino, un insulto per entrambe le religioni. La rivolta si sparge in una vasta area dell’India centrale e raccoglie il sostegno dei principi indiani, che tuttavia non riescono ad

accordarsi con i sepoys sugli obiettivi da perseguire e sono divisi anche rispetto alla componente musulmana, che invoca al jihad. La ribellione è infine repressa anche grazie all’arrivo di rinforzi, ma per effetto di questa crisi il governo britannico decide di sciogliere la EIC nel 1858 e di affidare l’India al controllo governativo tramite l’istituzione della figura del viceré. Quali cambiamenti seguono questa mossa? Vengono migliorate le infrastrutture e viene potenziata la burocrazia civile e l’esercito, il quale è riorganizzato per ridurre il rischio di nuove ribellioni > le truppe indiane sono ora reclutate di preferenza tra sikh e nepalesi, per ridurre quanto possibile la presenza di musulmani e indù nell’esercito. La politica di civilizzazione lascia ora il campo ad una sorta di “dispotismo benevolo”: i viceré non si propongono più di modificare usi e costumi degli indiani, vogliono solo assicurarsi l’ordine e il dominio britannico. 4) Le Indie orientali olandesi – nelle are di colonizzazione olandese (Giava, Sumatra, Borneo) l’amministrazione e la gestione dei traffici commerciali è stata affidata alla Compagnia Olandese delle Indie Orientali, che ha poteri simili alla EIC e ha organizzato un sistema di prelievo forzato dei prodotti agricoli; sommersa da debiti, viene però sciolta nel 1800. Ricostituita nel 1825 col nome di Compagnia commerciale olandese, seda una rivolta a Giava grazie a un mutamento nel sistema amministrativo, che si basa sul “sistema delle colture” > i proprietari o contadini possono scegliere di non pagare le imposte se riservano 1/5 dei loro prodotti al governo. 5) La Cina – l’Impero cinese, il più grande e antico del mondo, ha una struttura politica centrata sulla persona dell’imperatore e su un articolato organismo burocratico dominato da funzionari che dipendono dall’imperatore, i mandarini. Entrato più intensamente a contatto con gli occidentali nel corso del XVIII secolo, l’Impero ha deciso di chiudersi quanto più ermeticamente possibile a eventuali penetrazioni commerciali, lasciando aperto solo il porto di Canton dove gli europei possono avere i loro magazzini. È proprio qui che nel 1839 scoppia un incidente diplomatico > il problema nasce a monte, dal fatto che siccome le industrie tessili britanniche avevano messo in crisi quella indiana, i coltivatori indiani si erano dati a una coltura molto più redditizia ovvero quella del papavero, da cui si ricava l’oppio. I mercanti britannici trafficavano illegalmente l’oppio in Cina poiché la diffusione era già ampia tra la popolazione e quello dell’oppio è un mercato che si autoalimentava per via dell’assuefazione alla sostanza > questo dà il via a un nuovo commercio triangolare tra Gran Bretagna, India e Cina. Le autorità cinesi però decidono di vietare il commercio dell’oppio sia per le gravi ripercussioni sociali sia perché essendo un contrabbando esterno non potevano ricavarne alcun profitto tramite imposte  nel 1839, il divieto si traduce nella distruzione da parte dell’autorità cinese di 1300 tonnellate d’oppio stoccate nel porto di Canton. LA PRIMA GUERRA DELL’OPPIO (1840-42): il gesto provoca una violenta reazione britannica che attacca la Cina e la sconfigge facilmente; dalla vittoria, i mercanti britannici ottengono l’isola di Hong Kong e l’apertura di altri quattro porti cinesi. Inoltre, impongono alla Cina una pesante indennità di guerra. Nel 1850, poi, in Cina scoppia una grande rivolta > se ne fa promotore Hung Hsiu-Ch’uan, che fonda la Società degli adoratori del Cielo. Il messaggio che egli offre si basa su una visione tradizionale derivata dal confucianesimo relativa al ciclo storico delle dinastie, secondo cui a fasi in cui operano imperatori giusti seguono altre in cui governo imperatori incapaci e corrotto, come infatti Hung Hsiu-Ch’uan giudica la fase in corso. A tutto ciò egli unisce elaborazioni concettuali derivanti dal cristianesimo come l’uguaglianza spirituale, che egli trasforma nella predicazione di un’idea di uguaglianza ancora più radicale da raggiungere attraverso la redistribuzione delle proprietà terriere. Le idee di Hung Hsiu-Ch’uan hanno grande successo tra i vari strati sociali e vanno ad alimentare una grande rivolta contro l’imperatore, che sfocia nella conquista di Nanchino da parte delle truppe ribelli nel 1853, che viene proclamata capitale del nuovo regno chiamato Taiping Tianguo, di cui Hung è il sovrano. Nel regno viene abolita la proprietà privata, viene introdotta l’uguaglianza di genere, si riducono le imposte e si proibisce l’uso di oppio, tabacco o alcol. LA SECONDA GUERRA DELL’OPPIO (1856-1864): le potenze europee non stanno a guardare. Il Regno Unito punta ad ampliare ulteriormente i privilegi ottenuti con la prima guerra dell’oppio, e interviene anche la Francia, che punta ad espandersi nell’Indocina e in particolare in Vietnam, nazione tributaria all’Impero cinese; perciò, entrambi i paesi hanno interessi ad indebolire la Cina. Possiamo distinguere due fasi di questo secondo conflitto: nella prima (1856-60), approfittando della rivolta di Taiping, i britannici e i francesi attaccano militarmente la Cina e entrano a Pechino, costringendo il governo imperiale ad altre pesanti concessioni. Nella seconda fase (1861-64) le forze militari francesi e inglesi collaborano con il governo imperiale nella repressione della rivolta di Taiping, in quanto è molto

meglio dialogare con il fragile imperatore cinese che con i ribelli. La repressione viene soffocata completamente, e a quel punto il governo imperiale è costretto a piegarsi al dominio occidentale, legalizzando anche il consumo di oppio. 6) Il Giappone – nel XVIII il Giappone si è chiuso a ogni infiltrazione occidentale e all’inizio dell’Ottocento mantiene istituzioni e forme organizzative particolari > al vertice sta l’imperatore, che è il capo spirituale e religioso, ma il vero potere sta nelle mani dei Tokugawa, una dinastia nobile che si trasmette la carica di shogun = formalmente è il massimo dignitario imperiale, ma in realtà è il vero capo dell’Impero. Nel 1853 quattro navi da guerra statunitensi si presentano a largo di Tokyo per chiedere l’apertura dei porti commerciali giapponesi: lo shogun si rende conto di non poter competere militarmente con gli americani, e con due trattati del 1854 e del 1858 acconsente all’apertura di porti commerciali e al transito di stranieri sul suolo giapponese. Ciò però anima una rivolta interna che nel 1867 dichiara decaduto lo shogun. Il governo che si installa però intuisce che di fronte alla superiorità tecnologica occidentale il Giappone deve rispondere o soccombere, e che l’unica risposta può essere una rapida modernizzazione del paese su modello occidentale, che viene attuata. 18. La seconda rivoluzione industriale Una nuova ondata di innovazioni, analoga a quanto accadde nell’industria britannica durante la seconda metà del XVIII secolo, si verifica tra Ottocento e Novecento nelle industrie euroamericane > infatti si parla di seconda rivoluzione industriale. Questa fase ha degli spiccati caratteri proprio, per esempio che le invenzioni non partono più solo dall’Inghilterra e riguardano settori produttivi nuovi; le più importanti sono il miglioramento nella produzione dell’acciaio, la sintesi dei composti organici, la dinamite, la gomma, il motore a scoppio, i primi velivoli e la lampada a filamento incandescente inventata da Edison nel 1879. Nel 1913 inoltre nasce la prima catena di montaggio, messa a punto in un’officina della Ford. 19. Il sole dell’avvenire (socialismo e comunismo) Alla fine dell’Ottocento gli operai, in particolare quelli specializzati, hanno potuto frequentare qualche classe almeno di scuola elementare e molti di loro, anche quelli che non hanno imparato a leggere e scrivere, sono influenzati dalle nuove conoscenze e speranze in circolo. Le origini di un pensiero antagonista alle condizioni sociali e politiche esistenti vanno rintracciate nell’elaborazione e nelle esperienze di una costellazione di uomini che sin dall’inizio dell’Ottocento capiscono l’importanza delle novità introdotte dall’industrialismo, ne criticano gli effetti e propongono delle soluzioni. 

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Claude-Henri de Saint-Simon, un aristocratico francese, è uno dei primi a teorizzare la nascita di una futura società dominata da produttori e da tecnici capaci di impiegare le innovazioni tecnologiche a beneficio dell’intera collettività sociale. Più critica è la posizione di Robert Owen, un industriale gallese che cerca di costruire un’impresa modello nella quale edifica case per gli operai, mettendo in piedi anche scuole per i loro figli e luoghi di ritrovo. Non troppo dissimile da quella di Owen è la proposta di Charles Fourier: anch’egli immagina che, per evitare disastri, possano essere costituite tante piccole comunità autosufficienti che egli chiama falansteri, internamente ordinate sulla base di principi egualitari. Più radicali ancora sono le proposte di intellettuali successivi come quella di Étienne Cabet, il primo ad usare la parola “comunismo” per descrivere la possibile società futura che deve nascere dal superamento delle contraddizioni e dei contrasti della società industriale. Pierre-Joseph Proudhon invece si fa sostenitore di politiche anarchiche che portino alla costituzione di una società priva di Stato e perfettamente egualitaria.

Le teorie di tutti questi pensatori, però, non sono in grado di offrire un quadro chiaro e convincente sul quale basare un’organica azione politica capace di attrarre stabilmente gli operai > è invece ciò che riescono a fare due pensatori tedeschi, Karl Marx e Friedrich Engels, i quali influenzeranno il pensiero e la vita politica mondiale per i successivi centocinquant’anni. Essi devono la loro fama e il loro impatto all’analisi delle modalità di funzionamento del sistema capitalistico e, in particolare, delle forme di produzione introdotte dalla rivoluzione industriale e dal macchinismo. Tale analisi fonda quello che viene chiamato “socialismo scientifico”, per differenziare la loro proposta da tutte le precedenti teorie definite “utopiste” in quanto basate solo su principi umanitari e non su una serie analisi politicoeconomica. Marx ed Engels presentano un primo disegno delle trasformazioni in corso e dei loro effetti nel Manifesto del Partito comunista, pubblicano nel 1848; già negli anni precedenti Engels aveva offerto un’impietosa descrizione della Situazione della classe operaia in Inghilterra, titolo di un suo libro, ma poi è soprattutto Marx che esplora in profondità le caratteristiche e i limiti del sistema di produzione industriale nel Capitale  in esso, Marx sostiene che il

sistema capitalistico – cioè il sistema economico nato dalla rivoluzione industriale – contiene in sé limiti e contraddizioni che lo spingono irrimediabilmente verso una crisi generale che ne provocherà la fine . Tali limiti derivano innanzitutto dal rimodellamento della struttura della società, che tende a polarizzarsi nel terribile contrasto di interessi che contrappone un numero sempre crescente di operai impoveriti (il proletariato) e un gruppo di imprenditori nelle cui mani si concentrano risorse e mezzi di produzione (la borghesia) > tale contrasto provoca un conflitto sociale definito lotta di classe. Questa evoluzione sociale rende più acuto un secondo grave limite del capitalismo che si manifesta nelle crisi periodiche di sovrapproduzione: queste crisi sono dovute al sovrainvestimento di capitali in settori che finiscono per offrire più merci di quante il mercato possa assorbirne. Tale dinamica è determinata dalla trasformazione della struttura sociale, poiché la massa crescente di poveri proletari non può comprare i beni che il sistema produttivo è tecnicamente in grado di produrre. Sulla base di questa analisi Marx ed Engels formulano una chiarissima proposta politica: sostengono che, se il capitalismo ha già in sé gli elementi che lo faranno crollare, compito di tutti coloro che aspirano ad una società più giusta è il creare organizzazioni politiche capaci di diffondere visioni critiche del sistema socioeconomico vigente e quindi di accelerare l’evoluzione della lotta di classe. L’esasperazione del conflitto sociale avrò come esito una rivoluzione che porterà alla crisi del capitalismo industriale e al suo superamento attraverso la formazione di una società nuova: è proprio questo il compito che dev’essere attribuito al movimento comunista. La conclusione del Manifesto, poi, sottolinea uno degli aspetti più innovativi del pensiero di Marx ed Engels: essi vogliono che il movimento dei proletari sia un movimento internazionalista, poiché tanto le leggi di funzionamento del sistema industriale quanto le sofferenze del proletariato solo le stesse dappertutto. E infatti qua e là in Europa i due pensatori fondano organizzazioni operaie o sindacali, la prima delle quali a Londra nel 1864 ha il carattere di una federazione internazionale delle organizzazioni operaie  Associazione internazionale dei lavoratori, meglio nota come Prima Internazionale. La vita interna dell’Associazione è caratterizzata da uno scontro piuttosto duro tra due componenti significative del movimento operaio europei. Una segue la prospettiva marxista e ritiene che lo sviluppo del movimento debba passare attraverso la formazione di organizzazioni politiche strutturate, finalizzate a preparare le condizioni per lo scoppio della rivoluzione > saranno queste a condurre alla fondazione di una società nuova, passando per la fase transitoria della “dittatura del proletariato”, un periodo nel quale i capi della rivoluzione dovranno riorganizzare l’intera struttura sociale. A questa prospettiva si contrappone la componente anarchica, guidata dal russo Michail Bakunin, i cui seguaci sostengono che la rivoluzione dev’essere preparata dalla propaganda e da azioni dimostrative, ma poi dev’essere libera di scoppiare e svilupparsi spontaneamente, senza che ci sia un partito-guida > la via della rivoluzione deve passare per l’abolizione dell’autorità statale, che è la necessaria premessa alla formazione di una società egualitaria. Lo scontro tra queste posizioni però porta a una scissione nel 1872, in cui l’Associazione internazionale dei lavoratori afferma che “il proletariato può agire solo costituendosi in un partito politico”. Il movimento anarchico ha comunque buona diffusione nelle aree rurali, in cui la prospettiva marxista radicata nell’analisi della produzione industriale è sentita come estranea. Negli anni seguenti il movimento anarchico ricorre agli attentati per far scoppiare la rivoluzione, anche se ciò li allontana dalle simpatie della gente.

La scissione del 1872 indebolisce molto l’Associazione, che si scioglie definitivamente nel 1876. Tuttavia, l’indicazione contenuta nella risoluzione di espulsione degli anarchici viene accolta dai capi politici del movimento operaio tedesco, che nel 1875 fondano il primo partito socialista della storia europea, il Partito socialista dei lavoratori di Germania, che poi prende il nome di Partito socialdemocratico tedesco (Spd); successivamente vengono fondati altri partiti socialisti europei, fra cui quello italiano nel 1892 con il nome di Partito socialista italiano. Queste formazioni, inoltre, vanno considerate come i primi partiti politici moderni della storia europea (non contando i partiti americani) per via di una serie di caratteristiche essenziali: in primo luogo sono delle associazioni federali, nel senso che raccolgono le adesioni di numerose associazioni locali e si propongono di agire in loro nome sul piano nazionale; inoltre, sono delle associazioni formali, cioè possiedono uno statuto che ne delinea gli obiettivi e i principi fondamentali che deve essere rispettato dai suoi militanti. Periodicamente vengono convocati dei congressi a cui possono partecipare i rappresentanti delle associazioni locali legate ai partiti, che iniziano a dotarsi anche di giornali ed organi di stampa propri > in Italia sin dal 1891 viene fondata da Filippo Turati la rivista di riflessione “Critica sociale” e poco più tardi il quotidiano “Avanti!”. Oltre a ciò, i partiti socialisti si dotano anche di associazioni collaterali come le organizzazioni sindacali, che sì mantengono una loro autonomia ma data la coincidenza degli obiettivi esse molto

spesso vi si associano. Proprio l’associazione con i partiti socialisti fa acquistare ai sindacati grande importanza, e militano con grande decisione soprattutto negli scioperi, la loro primaria forma di protesta  se inizialmente gli scioperi hanno solo obiettivi specificamente sindacali, verso la fine del secolo a questi se ne affiancano altri di natura più politica > per esempio, il 1° maggio 1890 in tutta Europa viene indetto uno sciopero generale che vuole dimostrare la forza del movimento socialista. Inoltre, i partiti socialisti si dotano di un insieme di simboli, canti e musiche, e di una giornata-simbolo che è per l’appunto il 1° maggio. Anche se tutto il loro sviluppo avviene entro la cornice dei singoli Stati, tutti i partiti socialisti si presentano come organismi internazionali > questo fondamento identitario viene rinnovato con la fondazione di un’ulteriore associazione, l’Internazionale socialista – meglio nota come Seconda Internazionale – fondata a Parigi nel 1889. La Seconda Internazionale ha la forma di una federazione tra partiti socialisti nazionali di orientamento marxista, e dal 1900 dispone anche di una segreteria permanente, il Bureau Socialiste International, con sede a Bruxelles. All’interno dei vari partiti socialisti europei, però, ben presto iniziano ad emerge nuove correnti non proprio ortodosse rispetto al pensiero marxista: la linea revisionista, la linea radicale, e una linea di mediazione fra le due. a)

La posizione revisionista è quella del socialdemocratico Eduard Bernstein, che osserva come la previsione marxiana della sempre crescente polarizzazione della struttura sociale si è rivelata infondata in quanto le recenti tendenze economiche mostrano che le condizioni di almeno una parte della classe operaia sono nettamente migliorata. Secondo lui, quindi, il Partito socialdemocratico non deve continuare a inseguire la rivoluzione sociale – bensì concentrarsi sull’aiutare concretamente la classe operaia ottenendo riforme che ne migliori le condizioni di vita. b) La posizione radicale è sostenuta in Germania da Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg, e per l’appunto sostiene la necessità di creare immediatamente le condizioni per una rivoluzione sociale e politica. c) La posizione di mediazione fra i primi due orientamenti è quella di Karl Kautsky, che se da un lato continua a identificare nella rivoluzione l’obiettivo massimo del movimento socialista, dall’altro ritiene che i tempi per raggiungere tale obiettivo si siano allungati e che nel frattempo occorre stringere alleanze politiche utili per ottenere riforme concrete > il cosiddetto programma minimo. Questa posizione è quella prevalente in Europa. Importante citare il caso della Russia zarista. Sin dal 1898 il partito socialista che esiste in Russia, il Partito operaio socialdemocratico russo, è costretto alla clandestinità; il congresso del 1903 si tiene infatti a Bruxelles, e lì si emergono due diverse proposte > quella minoritaria chiamata menscevica, che si sviluppa sulla linea moderata tracciata da Kautsky, e quella maggioritaria chiamata bolscevica, sostenuta da un trentenne Vladimir Il’ic Ul’janov detto Lenin, che afferma che invece proprio l’arretratezza della società russa offre le possibilità per una rivoluzione immediata. Per raggiungere questo obiettivo, secondo Lenin, si deve costituire un partito guidato da militanti disciplinati capaci di svolgere il ruolo di avanguardie della rivoluzione. Accanto a questi orientamenti poi si diffonde l’esperienza del sindacalismo rivoluzionario (o anarco-sindacalismo) che rilancia l’esperienza anarchica, diffuso soprattutto in Francia. Da questo quadro complessivo però si distaccano tanto il caso britannico quanto quello statunitense:



Il laburismo britannico >> in Gran Bretagna, una volta tramontata l’esperienza del Cartismo, una parte importante della classe operaia trova nel liberalismo di Gladstone, con la sua promessa di riforme politiche ed istituzionali, un punto di riferimento. Ciò non significa che non ci siano operai che mostrino simpatia per i conservatori, perché anche loro mostrano disponibilità alla riforma sociale per concorrenza coi liberali. È in questo contesto che nel 1883 viene fondata la Social Democratic Federation (Sdf) di Henry Hyndman, e l’ancor più significativa Fabian Society, promossa da George Bernard Shaw e da Sidney e Breatrice Webb, il cui nome si ispira a Fabio Massimo Temporeggiatore e che sta a indicarne la visione gradualistica dell’avvento del socialismo > immaginano infatti che le trasformazioni che porteranno ad una società socialista debbano avvenire all’interno di una cornice parlamentare e costituzionale. Ancora più importante è l’azione svolta dai sindacati operai: nel 1868 le diverse associazioni sindacali si coordinano attraverso la costituzione del Trades Union Congress, che raccoglie i rappresentati delle varie associazioni; esse vengono legittimate dal governo di Gladstone, nel 1871, con il Trade Union Act > dà pieno riconoscimento legale ai sindacali ed apre loro le porte del Parlamento. Tuttavia, negli anni ’90 la crisi del partito liberale e l’autorevolezza del movimento sindacale

inducono l’operaio sindacalista James Hardie a fondare un partito socialista inglese autonomo, l’Independent Labour Party  si chiama laburista e non socialista proprio per evidenziarne il legame privilegiato con i sindacati. Esso non ha inizialmente successo, ma le repressioni delle proteste sindacali degli anni seguenti spingono Hardie a riorganizzarne l’azione politica, convocando anche una conferenza nel 1900 che nomina un Labour Representation Committee con il compito di scegliere i candidati da presentare alle elezioni. L’orientamento ideologico del Lrc è comunque moderato e attribuisce grande importanza all’azione parlamentare, come la Fabian Society. Il Labour Representation Committee ottiene un sostegno sempre crescente dai vari sindacati, e nel 1903 stringe un accordo politico segreto con il Partito liberale per sostenersi a vicenda in caso di vittoria alle elezioni. L’accordo ha successo poiché i liberali trionfano, ma anche i candidati del Lrc vengono eletti: il gruppo composito che si forma alla Camera decide di chiamarsi Labour Party – il suo programma è moderatamente riformista, del tutto rispettoso del Parlamento. 

Il socialismo negli Stati Uniti >> ancora meno toccati dal socialismo marxista sono gli Stati Uniti. La principale organizzazione sindacale americana, l’American Federation of Labour, registra sì una grande crescita di adesioni ma il loro orientamento è rigorosamente apolitico e non punta alla rivoluzione; è nondimeno attivissimo nell’organizzare scioperi e la partecipazione è anche maggiore rispetto agli scioperi europei. Nel 1901 viene fondato il Socialist Party of America, ma esso ottiene solo risultati miseri, così come l’associazione sindacale radicale Industrial Workers of the World, fondata nel 1905, che ha obiettivi dichiaratamente rivoluzionari. Ma come mai il socialismo in America non riesce a mettere radici? Le ragioni principali sono tre: o

o o

Il Partito socialista d’America si forma in un contesto politico in cui già da molto tempo vige il suffragio universale maschile e sono attivi partiti politici organizzati e di massa che, in forma corretta o scorretta, si sono conquistati un solido seguito tra le classi lavoratrici statunitensi. La classe operaia americana è attraversata da notevoli divisioni interne, prima fra tutte quella etnica. Le componenti bianche anglosassoni delle classi operaie sono attratte dal mito della mobilità sociale, ovvero dall’idea che una vita di duro lavoro possa aprire le porta ad un’ascesa sociale.

20. Il nuovo razzismo Nella sua originaria elaborazione primottocentesca il discorso nazionalista ha raramente delle componenti razziste; tuttavia, nella seconda metà dell’Ottocento l’insistenza nazionalista sul sangue e sui caratteri parentali della comunità nazionale si intrecciano con la riflessione “scientifica” sulla differenza razziale, sollecitata tanto dalle teorie di Darwin quando dal contatto sempre più frequente tra bianchi europei e altri popoli. La più importante delle tesi elaborate dal nuovo razzismo dice che non solo è possibile una classificazione delle razze, ma anche una loro gerarchizzazione attraverso la definizione di una scala in cui la posizione di vertice è occupata dalla razza bianca. Un contributo essenziale alla nascita del nuovo razzismo viene dal francese Joseph-Arthur de Gobineau, che nel 1853 pubblica un saggio intitolato Saggio sull’ineguaglianza delle razze umane > in esso non solo delinea la gerarchia, ma formula anche la teoria del problema della decadenza delle razze derivata dalla mescolanza fra esse. Dunque, il punto essenziale è che l’elaborazione razzista sembra dare un nuovo slancio all’identificazione delle comunità nazionali. -

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È ciò che succede negli Stati Uniti, dove nel tardo Ottocento l’intera ricomposizione della “nazione bianca” in seguito alla guerra civile avviene grazie alla sua contrapposizione nei confronti in primo luogo della componente nera, che si esprime con la politica segregazionista che durerà fino agli anni ’60 del Novecento, e poi anche nei confronti di nativi americani, immigrati etc. In Europa invece il razzismo ha un altro obiettivo, cioè gli ebrei. Essi vengono discriminati più nell’Europa dell’est (Russia, paesi slavi etc) che nell’Europa occidentale, dove tra fine Settecento e inizio Ottocento tutte le comunità ebraiche attraversano un processo di emancipazione in cui vengono offerti loro gli stessi diritti ed opportunità degli altri cittadini. Tuttavia, proprio questo inserimento degli ebrei nelle società europee occidentali non viene accolto da tutti nello stesso modo > non di rado esso rinfocola la tradizionale ostilità antiebraica, che è portato avanti soprattutto dai sostenitori del discorso nazionalista perché gli ebrei vengono accusati di essere un gruppo “internazionalizzato” ed estraneo alla nazione che li ospita, quindi una nazione dentro la nazione. Inoltre, con la diffusione del nuovo razzismo scientifico, gli ebrei iniziano ad essere considerati come appartenenti ad una vera e propria razza inferiore > antisemitismo.

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Il caso Dreyfus >> il più clamoroso episodio di antisemitismo ha luogo in Francia durante la Terza Repubblica. Il 22 dicembre 1894 il Consiglio di guerra francese condanna un capitano d’artiglieria ebreo, Alfred Dreyfus, alla deportazione in Guyana; l’accusa è di aver passato documenti riservati ai responsabili dell’esercito tedesco. L’inchiesta è condotta in modo assolutamente sommario e le accuse sembrano mal fondate, e infatti la stampa liberale francese inizia a protestare vigorosamente, documentando l’arbitrarietà del processo giudiziario a cui è stato sottoposto il capitano. Nel 1898 lo scandalo prende un rilievo ancora maggiore per l’intervento dello scrittore Émile Zola, che pubblica una lettera aperta di protesta al presidente della Repubblica, il cui titolo è J’accuse > nella lettera Zola chiede la riapertura del processo, accusando i responsabili dell’esercito francese di cieca prepotenza. La lettera vale a Zola un processo per diffamazione e una condanna a reclusione, che lui evita scappando in Inghilterra. La risonanza del caso è talmente grande che si trasforma in un’occasione di scontro politico: si formano organizzazioni di innocentisti, che sono soprattutto socialisti e radicali, e colpevolisti, tra cui si distingue il movimento nazionalista di Action Française, fondato nel 1898, che interviene pesantemente sul caso Dreyfus ricorrendo ad argomentazioni di carattere antisemita per illustrare la colpevolezza dell’imputato. Il fondamento teorico delle posizioni espresse da Action Française si trova in un libro pubblicato nel 1886 da Édouard Drumont, la Francia giudea, in cui si sostiene l’esistenza di un complotto ebraico ordito contro la Francia > argomentazioni di questo genere vengono utilizzate contro Dreyfus, che per i gruppi antisemiti diventa il simbolo dell’ebreo straniero ed avido. Nel fuoco della polemica inizia a circolare anche un altro mito antiebraico, che sostiene l’esistenza di un complotto ebraico internazionale da cui dovrebbe emergere una sorta di regno dominato dagli ebrei  Protocollo dei saggi anziani di Sion, un falso creato ad hoc. Alla fine, nel 1899, i dubbi sempre più fondati sul caso Dreyfus inducono il presidente della Repubblica Loubet a concedergli la grazia – nel 1902 però, Dreyfus ottiene che si apra una nuova inchiesta che nel 1906 porta alla sua piena assoluzione e al riconoscimento della colpevolezza del comandante Ferdinand Walsin Esterhazy. Il caso comunque sollecita, all’interno della stessa comunità ebraica, l’idea della promozione di uno Stato-nazione ebraico autonomo, da collocarsi preferibilmente in Palestina.

21. La politica in Occidente La nazionalizzazione delle masse offre uno strumento importante di integrazione sociopolitica, ma c’è anche bisogno di risposte più materiali: la prima consiste nell’ampliamento dei confini del sistema politico con l’ estensione del diritto di voto. Una qualche forma di democratizzazione sembra a molti una necessità, e a fare questa riflessione sono sia i liberal-conservatori che i liberal-democratici. Tra i primi abbiamo Benjamin Disraeli, dirigente conservatore inglese che nel 1867 si fa promotore di una riforma elettorale che amplia il corpo elettorale dal 4% all’8%, e anche Otto von Bismarck, cancelliere tedesco che è tra i più decisi sostenitori del suffragio universale. Tra i secondi invece gode di notevole prestigio William Gladstone, guida dei liberali britannici fino al 1893. Da questo processo di ampliamento degli spazi politici restano comunque escluse le donne >> tuttavia, anche da questo punto di vista le cose iniziano a cambiare.

Da un lato qualche voce maschile si alza per chiede l’estensione del voto alle donne, dall’altro sono le donne stesse a lottare per la loro emancipazione. Se i movimenti femminili nascono un po’ ovunque in Occidente, essi sono particolarmente combattivi nei paesi protestanti, in parte anche perché l’idea dell’uguaglianza spirituale e la pratica della lettura della Bibbia sono cose che molte donne interpretano come un incoraggiamento all’indipendenza intellettuale e sociale > è soprattutto negli Stati Uniti e in Gran Bretagna che si sviluppano i più significativi movimenti suffragisti, e non è un caso, perché sono anche i paesi che possiedono da più tempo istituzioni rappresentative rispettate e prestigiose. Nel continente europeo invece il percorso dei movimenti femminili è diverso > le prime significative presenze femminili sulla scena pubblica si hanno in concomitanza con le rivoluzioni, e poi nei decenni seguenti anche nell’Europa continentale si fondano organizzazioni votate all’emancipazione civile e politica delle donne, di cui però vanno sottolineati due aspetti:

a)

Uno riguarda i paesi cattolici, dove il movimento femminile è meno dinamico poiché la tradizione cattolica non offre alcun elemento che induca a mettere in discussione la gerarchia di genere e le organizzazioni, se ci sono, sono molto meno radicali che altrove. b) L’altro riguarda la divisione interna dei movimenti femminili a causa della coesistenza con il movimento socialista, i cui esponenti sono molto cauti sull’argomento. Le ragioni principali sono tre: a. b. c.

Nei paesi cattolici i socialisti temono che le donne votino per i partiti cattolici o comunque per quelli conservatori. Laddove gli uomini non hanno ancora conquistato il suffragio, i socialisti ritengono che il suffragio femminile debba passare in secondo piano rispetto a quello maschile. Tutti i partiti socialisti adottano la teoria elaborata da August Bebel e da Engels secondo cui la disuguaglianza tra uomini e donne è frutto della logica organizzativa del capitalismo che, mentre attribuisce agli uomini i compiti “produttivi”, riserva alle donne solo i ruoli “riproduttivi” e che solo dopo la rivoluzione socialista che distruggerà la struttura economica capitalista, potrà essere attuata una vera uguaglianza fra sessi. Questa teoria è accettata in larga misura fra le stesse militanti socialiste.

Comunque, se le donne non sono toccate dal processo di democratizzazione, i maschi adulti ne beneficiano un po’ ovunque. All’inizio del Novecento il suffragio universale maschile esiste negli Stati Uniti, in Francia, in Germania, in Spagna e in Austria; mentre forme di suffragio allargati sono introdotte in Gran Bretagna e in Italia. Nel frattempo, si verificano altre forme di intervento che riguardano le politiche sociali e si traducono nei primi veri sistemi previdenziali e assistenziali >> cosa che in precedenza era monopolio esclusivo delle Chiese. Il processo non è indolore, soprattutto da parte della Chiesa cattolica, che oppone una vigorosa resistenza alla laicizzazione degli Stati. Le tensioni sono acuite soprattutto dalla rigidità di papa Pio IX, ma alla sua morte, le sue posizioni vengono continuate anche da Leone XIII > egli prende posizione nell’enciclica del 1891 Rerum Novarum, con cui condanna il socialismo ma introduce delle novità, ovvero riconosce la necessità che gli imprenditori non trattino gli operai come merce; allo stesso tempo, afferma che anche gli operai devono rispettare una serie di doveri, fra cui laboriosità, frugalità e rispetto dell’ordine sociale. Proprio gli orientamenti esposti nell’enciclica sollecitano lo sviluppo di una corrente intellettuale e politica definita democrazia cristiana; tra i teorici maggiori vi è Giuseppe Toniolo, un economista che elabora una teoria socioeconomica di taglio corporativo, fondata cioè sull’idea di un’equa relazione e collaborazione tra i lavoratori e i datori di lavoro come presupposto per uno sviluppo economico dinamico ma privo di fratture sociali. 1) Gli Stati Uniti – a partire dagli anni ’80 dell’Ottocento il sistema delle “macchine di partito” americane viene sottoposto a critiche; la prima delle quali viene dalle campagne dell’ovest ed è causata dagli effetti della crisi agraria. La diminuzione dei prezzi dei prodotti agricoli, determinata da un notevole aumento dell’offerta, mette in difficoltà quegli agricoltori che si sono indebitati per acquistare le proprietà terriere o per mettere a coltura le terre dell’Ovest. I coltivatori dell’Ovest chiedono interventi perché siano abbassati i tassi di interesse sui prestiti, così come i costi dei macchinari etc. > in difesa degli interessi degli agricoltori si formano numerose Farmers’ Alliances (Alleanze contadine) le cui richieste, tuttavia, non sono recepite dai due partiti nazionali. All’interno di queste alleanze allora si sviluppa una retorica politica, talora razzista, che contrappone le città – luoghi di corruzione – alle campagne, che invece ospiterebbero gente solida e virtuosa. Nel 1892 le varie associazioni dei farmers si uniscono in un partito, il People’s Party (partito populista), che alle presidenziali dello stesso anno presenta un proprio candidato e ottiene l’8%. Alle successive elezioni il Partito si unisce allora ai democratici, ma il loro candidato viene sconfitto da quello repubblicano, William McKinley. A quel punto gli elettori del People’s Party si orientano verso il Partito democratico, ma la spinta riformatrice anticorruzione non si esaurisce lì. Il protagonista della successiva fase progressista è Theodore Roosevelt, presidente repubblicano dal 1901 al 1909; molte delle riforme che furono attuate in questa fase si devono a lui. Uno dei principali campi che vengono toccati dalle iniziative riformiste è quello della lotta contro le grandi aziende o contro i trust di grandi aziende; già nel 1890 il Congresso aveva cercato di porre un limite agli accordi tra le imprese, senza particolare successo. Roosevelt invece promuove una serie di iniziative, fra cui il ridimensionare le attività della Standard Oil, una grande compagnia petrolifera, e impone rigidi controlli sulle condizioni degli ambienti di lavoro e sulle qualità dei prodotti dell’industria alimentare. Inoltre, nel 1902 Roosevelt interviene personalmente per mediare tra dei minatori scioperanti e i responsabili delle miniere, il che gli valse grande popolarità. Fa inoltre approvare delle norme che circoscrivono la possibilità di ricorso allo spoils system e impone alle compagnie ferroviarie tariffe e costi più bassi, una misura da

tempo richiesta dai farmers dell’Ovest. Dopo due mandati, nel 1909, Roosevelt non si ricandida per lasciare spazio ad un collega di partito, William Howard Taft > egli viene eletto presidente, ma nel 1912 Roosevelt decide di fondare un partito proprio, a causa di un dissenso con Taft, e lo chiama Partito progressista. Di questa scissione però approfittano i democratici, e il loro candidato Woodrow Wilson vince le elezioni. Ad ogni modo, Wilson prosegue l’azione riformista: nel 1913 crea la Federal Reserve, la banca centrale, e introduce due emendamenti alla Costituzione per imporre una tassa sui redditi e per far eleggere i senatori in modo diretto. Nonostante tutte queste riforme, non si parla nemmeno di estendere il diritto di voto alle donne, anzi > diverse norme finiscono per escludere dalla vita politica i soggetti considerati più esposti a tentativi di corruzione, quindi i più poveri e i meno alfabetizzati. Vengono promosse iniziative di stampo nazionalistico per riconciliare le varie parti della popolazione statunitense bianca, e sotto la presidenza McKinley ha vero e proprio inizio l’azione imperialista statunitense nel mondo con la guerra contro la Spagna del 1898. 2) Il Regno Unito – nel Regno Unito gli anni ’60-’70 dell’Ottocento sono caratterizzati da una ravvicinata alternanza tra governi conservatori e liberali; proprio in questa fase avviene l’attuazione di due riforme elettorali che ampliano il corpo elettorale, di leggi anticorruzione e di leggi volte a porre limiti alle spese elettorali per arginare il fenomeno della compravendita dei voti. In questi anni sono due i temi principali che infiammano l’opinione pubblica e lo scontro politico:

a) Il rapporto con le classi operaie e il movimento sindacale >> nel 1871 il Parlamento aveva approvato, con il Trade Union Act, il riconoscimento dei movimenti sindacali. La norma è molto apprezzata, ma parallelamente viene anche approvata una restrizione al picchettaggio, il che diffonde il malumore fra gli operai ed è una questione che viene risolta solo nel 1875 con il nuovo governo conservatore di Disraeli, che punta a guadagnarsi il sostegno di una parte della classe operaia. Il Partito liberale però non resta a guardare e nel 1880 si fa promotore di una norma che attribuisce responsabilità oggettiva agli imprenditori nel caso di infortuni sul lavoro > ciò dà avvio a una lunga collaborazione politica fra i liberali e le Trade Unions. b) La questione irlandese – in Irlanda l’unione con la Gran Bretagna è vissuta come una sottomissione a élite nazionalmente distinte. La separatezza ha sia basi economiche, visto che buona parte delle proprietà terriere sono in mano a inglesi, che culturali > gli irlandesi sono cattolici e i britannici protestanti; quest’ultimi inoltre hanno imposto l’uso dell’inglese laddove nelle comunità rurali si parlava gaelico. Sin dalla prima metà dell’Ottocento si sono formate associazioni politico-culturali che hanno cominciato ad avanzare richieste di autonomia e talora persino di indipendenza, per esempio la Irish National Land League, fondata nel 1879, il cui scopo era di proteggere gli interessi dei contadini irlandesi. Allo stesso tempo si forma un gruppo politico irlandese di orientamento nazionalista che, nel 1880, riesce ad eleggere 60 deputati alla Camera dei Comuni > entrambe le organizzazioni sono guidate da Charles Parnell. Il movimento di Parnell ripone grandi speranze nel governo liberale di Gladstone, ma in Irlanda sono anche attive società segrete nazionaliste che organizzano attentati, il più clamoroso dei quali è l’uccisione del ministro per l’Irlanda del governo Gladstone l’8 maggio del 1882 > di fronte a questa situazione, il governo inglese oscilla tra una politica di aiuto ai contadini irlandesi e di dura repressione poliziesca. L’opinione pubblica però giudica o troppo debole o troppo dura la politica britannica nei confronti dell’Irlanda, che con la nuova organizzazione di Charles Parnell la Irish National League, ha mire dichiaratamente autonomiste; i liberali perdono le elezioni del 1885, ma i conservatori comunque non ottengono la maggioranza, così Gladstone tenta un azzardo > nel gennaio 1886 annuncia di voler concedere la Home Rule, cioè una larga autonomia all’Irlanda, benché dentro la cornice istituzionale del Regno Unito. Di fronte a ciò un gruppo di liberali guidati da Joseph Chamberlain lasciano il partito e vanno a unirsi a quello conservatore, il che determina un grave indebolimento del Partito liberale. Gladstone tenta di nuovo di far approvare la Home Rule nel 1893, ma l’insuccesso determina la fine della sua carriera politica. Il Partito conservatore, nel frattempo, riesce a raccogliere consensi sia per la strenua opposizione all’autonomia irlandese, sia per l’attuazione di nuove iniziative coloniali in Asia e Africa > mosse politiche di questo genere rinfocolano i sentimenti patriottici dell’opinione pubblica. Nel frattempo, sebbene la monarchia perda potere politico, acquista una sempre crescente autorità simbolica e prestigio, coronata nel 1876 dall’attribuzione alla regina Vittoria del titolo di imperatrice d’India. All’inizio del Novecento, il quadro politico britannico cambia nuovamente. L’emarginazione politica del Partito liberale termina nel 1903 quando i liberali sottoscrivono un accordo elettorale coi laburisti del Labour Representation

Committee, il nuovo organismo che sta ponendo le basi per un partito autonomo della classe operaia. Anche grazie a questo accordo, alle elezioni del 1906 i liberali trionfano. Con queste premesse si apre una stagione di riforme liberali > il governo liberale di Herbert Asquith soprattutto presenta un’imponente serie di disegni di legge che vuole tutelare i lavoratori: i più importanti sono l’imposizione di un limite di otto ore giornaliere per chi lavora in miniera; la determinazione di salari minimi; la costituzione di uffici di collocamento etc. In parte è proprio per finanziare questo piano di riforme che il governo liberale di Asquith nel 1909 presenta una legge finanziaria che provoca una grave crisi politico-istituzionale > la legge finanziaria, ribattezzata People’s Budget, prevede un netto inasprimento del prelievo fiscale sui patrimoni più alti. La Camera dei Lord, composta in larga misura da proprietari terrieri, reagisce ponendo il veto alla legge – Asquith allora decide di risolvere il problema presentando un disegno di legge, il Parliament Act, che intende ridurre il peso attribuito alla Camera dei Lord. Il contrasto provoca un’immediata crisi politica, tuttavia nel 1911 Asquith ripresenta il disegno di legge e stavolta con l’accordo del re Giorgio V, annuncia di voler nominare una serie di nuovi lord potenzialmente favorevoli alla riforma > a questo punto la Camera dei Lord si piega ed approva la legge che ridimensiona il suo stesso potere. La vicenda è importante perché sostanzialmente cancella uno dei più significativi privilegi cetuali ancora riconosciuti in Europa. Sono di nuovo due le questioni che in questi anni attraggono stabilmente l’attenzione dell’opinione pubblica: le iniziative di un imponente movimento suffragista e, di nuovo, la questione irlandese. a)

Il suffragio femminile – la propaganda del movimento suffragista preesistente, l’Unione nazionale delle società per il suffragio femminile, non aveva avuto molto successo; così nel 1903 Emmeline Pankhurst se ne distacca e fonda l’Unione sociale e politica delle donne. Pankhurst si impegna a fondo nell’opera di proselitismo, con buon successo, nonostante molte iniziative delle suffragiste terminino con la loro incarcerazione. Nel 1910 Asquith annuncia la sua intenzione di discutere di un possibile disegno di legge sul voto alle donne, ma l’anno seguente l’ipotesi viene lasciata cadere > le suffragiste, allora, adottano tecniche più aggressive, con lanci di pietre. Ciononostante, il governo e i liberali appaiono irremovibili nel loro disinteresse per la questione, e solo i laburisti inseriscono nel loro programma l’estensione del voto alle donne. b) La questione irlandese – alla già esistente crisi politica si sovrappone quella irlandese. Da tempo il Partito nazionalista irlandese chiede la Home Rule; nel 1893 l’opposizione dei Lord ha bloccato il secondo progetto presentato da Gladstone, ma ora con la cancellazione del diritto di veto dei Lord i tempi sembrano favorevoli ad una rapida approvazione della legge. Nel 1912 Asquith propone per la terza volta la Home Rule > la proposta prevede che si costituisca un Parlamento irlandese che si occuperebbe delle questioni interne all’isola, mentre politica estera e forze armate rimarrebbero competenza del Parlamento di Londra. Nell’Ulster, però, i parlamentari locali filo-britannici sono contrari alla Home Rule e si preparano a resistere anche con le armi; nel frattempo, anche nell’Irlanda cattolica si fondano organizzazioni paramilitari. Di fronte alla minaccia di una guerra civile irlandese, introduce una modifica al disegno di legge sull’Irlanda che permetta all’Ulster di dissociarsi da essa. La legge viene così approvata nel settembre del 1914, ma il governo si impegna a non applicarla prima della fine della Prima guerra mondiale. 3) La Francia della Terza Repubblica – le leggi costituzionali del 1875 stabiliscono i tratti fondamentali del sistema politico francese; la Francia è una Repubblica presidenziale con un Parlamento bicamerale eletto a suffragio universale maschile. La vita politica francese è dominata dai raggruppamenti parlamentari repubblicani e radicali, talora guidati da personalità di grande rilievo come Léon Gambetta o Georges Clemenceau. Nel caso dei repubblicani e dei radicali francesi è difficile parlare di partiti, poiché tutta la loro azione politica prende impulso da fluide alleanze parlamentari guidate da singoli politici di fama nazionale. Nel caso dei repubblicani e dei radicali francesi è difficile parlare di partiti, poiché tutta la loro azione politica prende impulso da fluide alleanze parlamentari guidate da singoli politici di fama nazionale. A ciò si aggiunga che l’azione politica dei notabili repubblicani e radicali si fonda su un ricorso frequente al clientelismo elettorale e alla corruzione: i gruppi parlamentari intrecciano spesso rapporti privilegiati con banche e imprese, da cui ricevono finanziamenti per l’organizzazione delle proprie campagne elettorali. In cambio le imprese “finanziatrici” ottengono norme legislative favorevoli ai loro interessi. Se il cuore del sistema politico francese è caratterizzato da questa mobile e fluida galassia repubblicano-radicale, a destra esiste una variegata area di opinione pubblica animata da filomonarchici, neobonapartisti e cattolici integralisti, che non cessa di guardare con sospetto le istituzioni rappresentative. A sinistra, all’inizio del Novecento prende forma un’area politica socialista che si allontana sempre di più dalle posizioni del centro repubblicano-radicale.

A causa dell’inquietudine dell’opinione pubblica di destra, per due volte, a pochi anni dalla sua fondazione, la Terza Repubblica rischia di cadere di fronte a un colpo di Stato. Il primo episodio di lega al nome di un presidente della Repubblica, il generale Edmé Patrice Maurice MacMahon > un uomo di convinzioni autoritarie e monarchiche. Dopo che nelle elezioni del 1876 i repubblicani hanno conquistato la maggioranza in Parlamento, MacMahon tenta di forzare la situazione e nel 1877 scioglie le Camere, indicendo nuove elezioni. Esse riconfermano la maggioranza, dunque MacMahon riconosce la sconfitta e si dimette. Il secondo tentativo, più pericoloso del primo, si ha nel 1889 con la fulminea ascesa e l’altrettanto fulminea caduta del generale Georges Boulanger. Nel 1886 costui è il ministro della Guerra nel governo presieduto dal repubblicano Freycinet e da quella carica avvia un piano di riorganizzazione e rinnovamento dell’esercito in funzione dichiaratamente antitedesca. Di fronte a un’opinione pubblica ancora ferita per l’esito della guerra franco-prussiana, l’iniziativa di Boulanger acquista i caratteri di una rivincita patriottica che gli vale grande popolarità. Nelle sue intenzioni è di organizzare un colpo di Stato per la costruzione di un sistema politico autoritario; al momento cruciale però si tira indietro. Nel 1889 è costretto a fuggire in Belgio, dove muore suicida nel 1891. Una terza crisi, di natura diversa, investe la Repubblica nel 1894-1906 con l’Affaire Dreyfus. I segni di fragilità palesati dal sistema politico nel corso di queste crisi sono tuttavia controbilanciati da una notevole azione legislativa realizzata dai governi repubblicani e radicali > gli ambiti di azione più rilevanti riguardano la laicizzazione dello Stato e le legislazioni sociali. La prima stabilisce la completa separazione tra Stato e Chiesa già avviata nei decenni precedenti, il che però sancisce la rottura delle relazioni diplomatiche con la Santa Sede; le seconde procedono con una sistematica alternanza di politiche repressive e di misure di assistenza sociale. Nel 1905 viene fondato un partito socialista di orientamento marxista, la Sfio, che porterà ad una ridislocazione della galassia socialista e alla caduta del governo di Combes > lo sostituisce Clemenceau, ma il quadro politico francese nel 1914 è fortemente frammentato, a vantaggio dei gruppi nazionalisti e conservatrici. 4) La Germania imperiale – il nuovo Stato tedesco creato nel 1870-71 in conseguenza della guerra franco-prussiana costituisce un esempio interessante di adattamento alla nuova realtà della società di massa. Il capo del governo tedesco, Otto von Bismarck, è favorevole alla democratizzazione del diritto di voto perché lo considera uno strumento che può produrre stabili maggioranze conservatrici; al tempo stesso però, Bismarck vuole ridimensionare i privilegi giurisdizionali ancora posseduti dagli Junker delle aree orientali dell’Impero. Egli è convinto che la forza della nobiltà possa e debba essere conservata, ma solo attraverso un coraggioso adattamento ai tempi nuovi, che comporta l’eliminazione dei suoi privilegi. Inoltre, Bismarck ritiene di dover dare ascolto anche alle critiche che gli esponenti del partito liberale rivolgono contro gli abusi commessi nelle amministrazioni dei feudi nobiliari prussiani > perciò egli presenta un piano per la definitiva abolizione delle giurisdizioni feudali. Nel 1872 vengono nominati nuovi senatori favorevoli alla riforma, che viene approvata da entrambe le Camere. Una delle più importanti formazioni politiche esterne alla maggioranza bismarckiana è lo Zentrum, il partito cattolico fondano nel 1870 > secondo il suo programma, lo Zentrum intende tutelare la libertà della Chiesa, l’uguaglianza delle comunità religiose, l’esistenza delle scuole cattoliche e la sacralità del matrimonio. Inoltre, si propone di difendere le autonomie locali contro la centralizzazione imperiale. Di fronte ad un partito cattolico organizzato, Bismarck decide di attaccare con forza la Chiesa cattolica; nei primi anni postunitari, l’azione del governo si pone due obiettivi primari cioè una completa laicizzazione delle istituzioni statali e un netto ridimensionamento della forza politica dello Zentrum. Il primo dei due obiettivi viene raggiunto molto rapidamente: tra il 1873 e il 1875 una serie di leggi circoscrive di molto le autonomie e l’influenza della Chiesa cattolica tedesca. Viene così introdotta la supervisione di funzionari statali sulle scuole private e viene introdotto il matrimonio civile obbligatorio > il clero reagisce rifiutandosi di applicare le norme e perciò metà dei vescovi vengono imprigionati tra il 1874 e il 1875. L’opinione pubblica cattolica però considera questa un’inutile aggressione, e infatti il piano di Bismarck per scalfire lo Zentrum politicamente non ha successo > egli è indotto a cambiare strategia anche dal rapido successo di un altro partito percepito come una minaccia ancora maggiore, ovvero il Partito socialista dei lavoratori di Germania. Nel 1878 si apre infatti una nuova fase politica in cui Bismarck alterna un’azione duramente repressiva nei confronti dei socialisti ad una politica innovativa in ambito sociale  sistema di assicurazione per malattie e infortuni e un sistema pensionistico. Nel 1888 alla morte dell’imperatore Guglielmo I, gli succede al trono il nipote Guglielmo II, determinato a cambiare l’azione del governo soprattutto in ambito di politica estera. Nel 1890, Bismarck viene spinto dall’imperatore a dare le dimissioni proprio per aver trascurato quest’ultima. Dal 1890 il “nuovo corso” della politica tedesca annunciato dall’imperatore si manifesta con l’abbandono delle leggi antisocialiste, mentre continua a restare in vigore il sistema assistenziale, il che porta il Partito socialdemocratico a crescere considerevolmente – sebbene non abbia alcuna

influenza nella formazione dei governi imperiali, che continuano a poggiare su maggioranze di partiti conservatori e liberali. Determinante è soprattutto la volontà di Guglielmo II, che si impegna da subito in nuove iniziative coloniali. 5) L’Impero austro-ungarico – dopo la trasformazione istituzionale che ha visto l’Impero austriaco diventare l’Impero austro-ungarico, con la formazione di due entità statali distinte, si è proseguito su una politica di laicizzazione > nel 1870 il Concordato tra Stato e Chiesa cattolica viene revocato, il che, sebbene generi un’ondata di sdegno nell’opinione pubblica cattolica, non è il problema più grave che l’Impero si trova a fronteggiare. Le difficoltà maggiori infatti vengono dalla Boemia e dalla Moravia, il cui caso è complesso  in quelle zone la maggioranza della popolazione è di etnia ceca, ma c’è anche una numerosa popolazione di lingua tedesca. I governi di Vienna devono trovare un compromesso fra le due, la cui tensione si dipana soprattutto sulla questione della lingua: in BoemiaMoravia, la lingua ufficiale è il tedesco; i cechi chiedono invece che si usi la lingua ceca. Addirittura, i gruppi più radicali chiedono più ampie forme di autonomia rispetto alla lingua, ma né l’una né l’altra vengono concesse dal governo liberale di Adolf Auersperg, che nel 1879 si trova senza maggioranza. L’Imperatore Francesco Giuseppe allora dà l’incarico di Primo ministro a Eduard von Taaffe, un conservatore, che introduce una serie di leggi sociali volti a garantire la sicurezza dei lavoratori nella speranza che esse calmino anche le tensioni etniche. Nel 1882 autorizza anche l’uso della lingua ceca, ma fa l’errore di voler suddividere dei distretti sulla base delle maggioranze etniche e concedere maggiore o minore autonomia a seconda del distretto, il che scontenta i movimenti nazionalisti cechi > il governo Taaffe cade perché viene meno la maggioranza. La crisi dei liberali prima e dei conservatori poi manda in frantumi l’intero quadro politico austriaco. Nel 1885 si costituisce il Movimento pangermanico, di orientamento nazionalista radicale e antisemita; nel 1889 viene fondato il Partito socialdemocratico unificato, di ispirazione marxista ma non particolarmente radicale; nel 1893 viene costituito il Partito cristiano-sociale, monarchico, cattolico e antisemita, che desidera l’allargamento del diritto di voto – il fondatore di quest’ultimo, Karl Lueger, adotta l’innovativa tecnica politica del comizio. A prescindere da questi raggruppamenti, le tensioni etniche non si placano, anzi peggiorano. Agli inizi del Novecento anche gli sloveni iniziano a chiedere forme di riconoscimento; i boemi insorgono quando una proposta di legge sostiene di voler equiparare la lingua tedesca e quella ceca, tanto che nel 1908 il governo austriaco deve proclamare lo stato d’assedio in Boemia > qualche anno prima è stato ampliato il diritto di voto, con l’introduzione del suffragio universale maschile nel 1906, ma esso non ha sortito effetti sulle tensioni interne. Anche nella parte ungherese, a causa del leggere elettorale che attribuisce il diritto di voto solo agli strati più ricchi (quindi i proprietari terrieri ungheresi) le minoranze etniche iniziano ad agitarsi > soprattutto i croati, che vorrebbero la costituzione di una zona federata interna all’Impero che unisca tutte le popolazioni slave (>> Iugoslavia) o direttamente una Grande Croazia indipendente. Essi si scontrano ben presto con le intenzioni dei nazionalisti serbi, da cui differiscono per lingua e religione; quest’ultimi hanno un punto di riferimento esterno all’Impero che è il Regno di Serbia, indipendente dal 1878, ragion per cui i gruppi nazionalisti serbi all’interno dell’Impero austro-ungarico sono i più attivi e pericolosi. 6) La Russia zarista – il figlio di Alessandro II, Alessandro III, mette in atto una politica duramente repressiva, attuata col sostegno della Chiesa ortodossa > tutte le popolazioni non russe per lingua o religione sono sottoposte ad un processo di “russificazione”; gli ebrei invece sono oggetti di attacco da ogni parte. Ad una politica di repressione, sia Alessandro III che il suo successore Nicola II affiancano un programma di potenziamento delle infrastrutture e di sostegno alle industrie, in gran parte finalizzato ad un’ulteriore espansione dell’Impero. Le direttrici sono l’area balcanica, l’Estremo Oriente e l’area centro-asiatica della Persia e dell’Afghanistan. Il banco di prova più importante arriva nel 1904 nella guerra contro il Giappone, in cui però l’esercito russo viene sconfitto > l’andamento sfavorevole della guerra fa diminuire la popolarità dello zar, e l’insoddisfazione generale confluisce in una vera e propria rivoluzione antizarista nel gennaio del 1905 a San Pietroburgo. Un gruppo di operai decide di indire uno sciopero a cui segue un’affollata processione che si dirige verso il Palazzo d’Inverno per consegnare allo zar una petizione in cui si chiede la fine della guerra col Giappone, maggiore libertà politica e una legislazione sociale. Le truppe schierate davanti al Palazzo però aprono il fuoco, e il massacro che ne deriva alimenta una nuova ondata di proteste in altre fabbriche; il tutto mentre in diverse città si formano organismi di rappresentanza degli operai chiamati soviet. La protesta si trasmette alle campagne e si diffonde persino nell’esercito. Per evitare il peggio, Nicola II decide di concedere libertà di associazione e di stampa, e di convocare un Parlamento elettivo, la Duma > le prime due volte però viene eletto il Partito costituzionale democratico, sgradito allo zar, che scioglie subito la Duma. Viene addirittura modificata la legge elettorale per favorire gli elettori più ricchi e ciò produce il risultato sperato: alle elezioni del 1907 prevale una maggioranza conservatrice più in linea con le preferenze dello zar, guidata da Petr Stolypin > oltre che attuare una dura repressione, abolisce i mir mentre al tempo stesso vara un piano di sostegno per incentivare le

famiglie contadine ad acquistare piccole proprietà terriere e formare così una classe media. Il piano, sebbene pesantemente criticato da ogni parte, ha successo. Stolypin viene ucciso nel 1911. 22. La politica in Italia da Depretis a Giolitti All’altezza del 1870 uno degli aspetti che più alimentano il conflitto politico nei paesi europei è il processo di laicizzazione delle istituzioni > in Italia, il mondo cattolico intransigente, cioè fedele alle direttive del papa, si organizza attraverso un’associazione politica nazionale, l’Opera dei Congressi, fondata nel 1874 e affiancata anche da innumerevoli altre iniziative cattoliche. Il tratto caratterizzante di questa galassia sta nella decisione di non partecipare alle elezioni politiche come segno di disconoscimento del Regno d’Italia. Ciononostante, i cattolici partecipano attivamente alle elezioni amministrative per l’elezione dei consiglieri comunali e provinciali, assicurandosi così un buon radicamento politico sul territorio. La scelta dei cattolici spiega sia l’alto astensionismo di questi anni e l’indisturbato dominio liberale nella scena politica nazionale. Qualcosa di importante inizia a cambiare negli anni ’70, tuttavia > una sezione dello schieramento liberale, finora rimasta all’opposizione, punta con sempre maggiore decisione a sostituire la Destra storica al governo del paese: essa è costituita da una varia costellazione di politici sommariamente raccolti sotto l’etichetta di Sinistra. Costoro, pur non essendo un partito politico strutturando, sono accomunati dal percorso politico e biografico: tra essi spiccano Agostino Depretis, Francesco Crispi, Benedetto Cairoli e Giovanni Nicotera. Sono quasi tutti repubblicani che hanno sacrificato i loro ideali in nome dell’indipendenza nazionale, accettando quindi la monarchia, sebbene non dimentichino completamente le loro passate convinzioni > sanno infatti che è indispensabile trasmettere alle masse la coscienza di appartenere alla comunità nazionale e vorrebbero aprire ulteriormente gli spazi del politico. Nel 1876 una crisi interna alla Destra storica determina un rovesciamento delle alleanze politiche che permette a Depretis di costituire un governo di Sinistra: il problema è relativo alla gestione della rete ferroviaria, che la Destra vorrebbe nazionalizzare. Alcuni esponenti toscani della maggioranza, tuttavia, sono loro stessi interessati ad aziende private del settore > ciò genera un conflitto d’interessi che li spinge ad unirsi alle file della Sinistra, contraria alla nazionalizzazione. Il mutamento parlamentare è comunque reso meno traumatico dall’apertura di Depretis verso i rappresentanti della Destra, affinché non si irrigidiscano in un’opposizione a priori ma anzi entrino nella maggioranza. Intanto si procede a due riforme fondamentali e legate fra loro: (1) la riforma dell’istruzione elementare, approvata nel 1877 che porta l’obbligo della frequenza scolastica a nove anni di età; e (2) l’allargamento del suffragio elettorale, approvata nel 1882, che abbassa il limite d’età e il livello di reddito per votare ma soprattutto introduce come requisito alternativo l’alfabetismo, cioè estendendo il diritto di voto a tutti i maschi che sappiano leggere e scrivere. Nella retorica della Sinistra questo avrebbe dovuto rendere il suffragio praticamente universale, ma così non è perché il processo di alfabetizzazione procede molto a rilento. Un simile ampliamento del corpo elettorale comunque desta qualche preoccupazione nella misura in cui potrebbe dare spazio a gruppi politici più estremisti (repubblicani, socialisti etc); per evitare ciò, in un’operazione voluta da Depretis, si crea in Parlamento un grande Centro liberale quasi privo di opposizioni > la cosiddetta “ trasformazione dei partiti”. Alle elezioni si presentano liste elettorali comuni ed esponenti della Sinistra e della Destra fanno accordi tra loro; nonostante ciò, rimangono delle minuscole opposizioni come quella radicale di Felice Cavallotti e quella socialista di Andrea Costa. Questa operazione inizia ad essere fortemente condannata dagli oppositori con il termine “trasformismo”, che vuole giudicare severamente il clima di cinico opportunismo che accompagna questa fase e che vede politici pronti ad abbandonare il proprio schieramento per entrare o rimanere nella maggioranza. A ciò contribuisce anche l’evento dello scandalo della Banca romana, nel 1889, in cui il direttore della Banca che è accusato di immettere illegalmente cartamoneta viene anche accusato di aver avuto rapporti con diversi politici > lo scandalo finisce in una bolla di sapone, ma ciò contribuisce ad alimentare il clima di decadimento morale della politica italiana. Dal punto di vista economico, il governo di Sinistra si fa promotore di una prima tariffa protezionistica con lo scopo di porre le premesse per la formazione di un’industria pesante che produca attrezzature per l’esercito e la marina. Nel 1884 il governo favorisce la nascita di un’acciaieria a Terni.

Proprio nel 1887 Depretis muore. Al suo posto alla guida del governo subentra Francesco Crispi, il quale formula un programma politico che si sostanzia in quattro punti fondamentali: (1) nazionalizzazione delle masse; (2) riforma istituzionale; (3) repressione dei conflitti sociali; (4) avvio di una politica coloniale.

(1)

Ѐ con la Sinistra, e con Crispi in particolare, che la classe politica italiana si impegna in un’intensa azione di diffusione dei simboli e dei valori che devono servire a insegnare la nazione alle masse. L’operazione è resa possibile dal superamento di buona parte dei contrasti che hanno accompagnato il processo di unificazione: la separazione tra Destra e Sinistra è caduta, e i protagonisti delle contrapposizioni risorgimentali sono tutti morti. Anche la riforma dei programmi di studio del 1894 è funzionale a ciò, poiché si dispone che si insegnino la lingua italiana, la storia e la geografia col fine di “far conoscere ed amare la patria”. (2)

Oltre a ciò, Crispi si fa promotore di riforme significative che mutano aspetti essenziali delle amministrazioni locali (legge del 1888 che abbassa i requisiti richiesti per poter partecipare alle elezioni amministrative); delle norme penali (nuovo Codice penale del 1889 detto Codice Zanardelli) e delle norme di pubblica sicurezza. (3)

Le potenzialità repressive del governo Crispi vengono esibite già nei primi anni ’90. All’epoca la crisi più grave scoppia in Sicilia, dove tra il 1891 e il 1893 si formano associazioni politiche che prendono il nome di Fasci dei lavoratori > guidati da borghesi di idee democratiche o socialiste, i Fasci raccolgono l’adesione dei minatori, dei contadini e dei lavoratori urbani, e hanno un carattere politico eterogeneo. Nell’estate del 1893 a Corleone si riunisce un congresso di contadini aderenti ai Fasci che chiede la modifica dei patti agrari; poi le manifestazioni cambiano oggetto e i manifestanti cominciano a protestare in varie località contro le tasse e contro le amministrazioni locali. In più di un’occasione ci sono scontri coi carabinieri che aprono il fuoco sulla folla. Dunque, nel gennaio del 1894, Crispi decide di intervenire proclamando lo stato d’assedio dell’isola > nei mesi seguenti circa 2000 persone vengono arrestate e processate da tribunali militari. Il 13 gennaio 1894, intanto, scoppia un’insurrezione armata in Lunigiana, organizzata da gruppi anarchici per protestare contro la repressione in Sicilia. Sebbene non ci sia alcun collegamento organizzativo tra le due rivolte, Crispi proclama di nuovo lo stato d’assedio e seda l’insurrezione. Per evitare future sommosse, inoltre, nel luglio dello stesso anno, Crispi presenta in Parlamento tre leggi antianarchiche che hanno anche l’effetto collaterale di attaccare il Partito socialista dei lavoratori italiani > il 22 ottobre 1894 viene sciolto d’autorità, ma esso cambia nome in Partito socialista italiano e continua a riunirsi; anzi, con una modifica allo Statuto si stabilisce che il Partito può allearsi all’occorrenza coi radicali e i repubblicani, e questo garantisce un buon risultato ai socialisti nelle elezioni del 1895. (4)

Per quanto riguarda i tentativi di espansione coloniale, già prima di Crispi vengono mossi dei passi nel Mar Rosso con la conquista della Baia di Assab da parte della compagnia marittima Rubattino. Nel 1885 la presenza coloniale italiana nell’area si rafforza con l’invio di una spedizione militare che occupa il porto di Massaua e un lembo di terra circostante; da lì gli italiani cercano di muoversi in direzione dell’ Etiopia, un’area dotata di un’organizzazione politica di tipo feudale con l’imperatore al vertice. L’occupazione di questo territorio però si rivela difficolta, e già nel gennaio 1887 un reparto italiano viene attaccato e massacrato a Dogali. Crispi, che assume la presidenza del Consiglio qualche mese dopo questo evento, decide di inviare un altro corpo di spedizione per preparare un’espansione territoriale > nel 1889 viene firmato a Uccialli un accordo con l’imperatore etiope Menelik; tuttavia, il governo italiano lo interpreta come un riconoscimento del protettorato italiano sull’Etiopia, mentre l’imperatore lo considera un semplice trattato d’amicizia. Quando l’equivoco emerge nel 1893, Menelik revoca l’accordo. Intanto l’area coloniale italiana viene riorganizzata e dal 1890 prende il nome di Colonia Eritrea; contemporaneamente si avviano trattative con il Regno Unito per l’acquisizione di strisce di costa in Somalia. Nel 1894 riprendono tentativi di espansione in Etiopia, il vero obiettivo, ma l’esercito italiano subisce numerose sconfitte e col trattato di pace del 1896 l’Italia deve riconoscere l’indipendenza dell’Etiopia. A causa delle gravi ripercussioni politiche interne alla luce delle sconfitte in Etiopia, inoltre, Crispi dà le dimissioni il 9 marzo. In un primo momento la caduta di Crispi sembra stemperare le tensioni politiche e sociali, che però riesplodono anche più gravemente nel 1898, quando il prezzo del pane cresce improvvisamente > scoppiano ovunque manifestazioni e proteste che il governo in carica, presieduto da Antonio di Rudinì, reprime come aveva fatto prima di lui Crispi, ovvero impiegando l’esercito e proclamando lo stato d’assedio. A Milano la situazione ha un esito tragico: l’8-9 maggio i manifestanti sono affrontanti dall’esercito comandato dal generale Fiorenzo Bava-Beccaris, che dà ordine di sparare sulla folla e viene addirittura premiato dal re Umberto I per la strage compiuta. Intanto, al Parlamento, prima di Rudinì e poi Luigi Pelloux presentano misure repressive volte a limitare la libertà di stampa e di associazione > ciò spacca l’unità liberale che si era formata col trasformismo, portando a fronteggiarsi due raggruppamenti, uno liberalconservatore e uno liberal-progressista. La posizione dei conservatori è espressa da Sidney Sonnino, il quale sostiene il

bisogno di una riorganizzazione degli assetti costituzionali che restituisca al re la centralità riconosciutagli dallo stesso Statuto. Contro questa tendenza si oppone un buon numero di parlamentari guidati da Giuseppe Zanardelli e da Giovanni Giolitti, che ingaggiano una dura lotta in Parlamento facendo ricorso alla tecnica dell’ostruzionismo  durante le discussioni ciascuno membro liberal-progressista chiede la parola, poi imbastisce interventi lunghissimi che fanno sì che non si arrivi mai a votazione. Tra il 1899 e il 1900 si crea una situazione di stallo assoluto, risolta infine dall’attentato al re Umberto I, il 29 luglio 1900, da parte dell’anarchico Gaetano Bresci, che vuole vendicarsi delle vittime di Milano. Gli succede il figlio Vittorio Emanuele III, che con un colpo di scena decide di attenuare le tensioni affidando l’incarico di Primo ministro a Zanardelli, che sceglie come ministro dell’Interno Giolitti. È proprio Giolitti a dare il tono politico al nuovo governo: egli è convinto che l’obiettivo da perseguire sia l’attuazione di un programma volto a realizzare l’integrazione delle masse nella cornice dello Stato liberale; per ottenere questo scopo ritiene che lo Stato svolga un’azione di arbitrato neutrale nelle lotte sociali, senza intervenire in modo brutale – e inoltre ritiene necessario trovare forme di apertura nei confronti dei radicali e dei socialisti. Alla morte di Zanardelli, avvenuta il 26 dicembre 1903, Giolitti diventa presidente del Consiglio e si adopera subito affinché cessi il sistematico uso della forza nei confronti degli scioperanti > con questa politica di neutralità, i conflitti di lavoro trovano modo di esprimersi. Le aree calde sono soprattutto al nord, concentrate nella Valle Padana, e ad esprimere il loro disagio sono soprattutto i braccianti agricoli che versano in condizioni tremende, sottopagati o disoccupati anche per lunghi periodi. Sono appunti i braccianti a promuovere un’ondata di scioperi agrari, ma i conflitti lavorativi aumentano anche nel settore industriale. C’è però un risvolto positivo, perché a seguito di questa stagione di conflittualità sociale in Italia i salari industriali e agricoli aumentano significativamente > si tratta di un risultato economicamente importante perché dà stimolo ai consumi. Altri interventi per migliorare le condizioni di lavoro e di vita inaugurano una nuova politica sociale: nel 1902 viene istituito l’Ufficio del Lavoro, vengono introdotti limiti all’impiego delle donne nelle fabbriche e viene perfezionata la legge sul lavoro minorile; inoltre, si procede alla municipalizzazione dei servizi pubblici, a cui segue, nel 1905, la nazionalizzazione delle ferrovie. La “questione meridionale” >> sin dai primi anni dopo l’unificazione il divario economico tra Italia meridionale e settentrionale si è decisamente accentuato. Le produzioni industriali non decollano, mentre l’attività agricola principale cioè la produzione del grano, coltivato nelle aziende latifondistiche, ha comunque un andamento alterno. Le ragioni individuabili sono due: innanzitutto il sud presenta infrastrutture inefficienti e una minore concentrazione di competenze tecniche; l’altra peculiarità è la formazione di gruppi criminali organizzati, già piuttosto visibili in Sicilia (Mafia) e nel napoletano (Camorra), ma non assenti in altre zone del Mezzogiorno. In Sicilia, i gruppi criminali si sono formati dopo l’abolizione delle istituzioni feudali, avvenuta all’inizio del XIX secolo; gli armigeri dei feudi, non esistendo più i feudi stessi, si mettono in proprio e operano sul mercato, compiendo estorsioni, furti ed offrendo forzosamente la loro protezione ai proprietari terrieri o i commercianti. Paradossalmente, proprio il sistema rappresentativo ha favorito l’operatività di questi gruppi, i quali offrono i loro servigi ai notabili locali per intimidire gli elettori e convincerli a votare per i candidati da loro protetti – ricavandone vantaggi economici. Queste formazioni comportano un pesante costo aggiuntivo per l’economia nei confronti della quale svolgono un’azione parassitaria, poiché rende meno competitive e redditizie le attività imprenditoriali. Una delle accuse mosse a Giolitti è proprio quella di non fare nulla per sradicare queste organizzazioni, ma anzi di servirsene a proprio vantaggio, e fu infatti definito da Gaetano Salvemini il “ministro della malavita”. Sebbene non aggredisca queste organizzazioni direttamente, Giolitti fa comunque approvare un piano legislativo per aiutare le economie meridionali attraverso quella che viene chiamata “legislazione speciale”; fa cioè costruire infrastrutture, attua degli sgravi fiscali nei Provvedimenti speciali per Napoli e per la Basilicata, poi estesi a tutto il sud; inoltre, attua una riforma dei contratti agrari. Dal punto di vista più puramente politico, invece, il progetto giolittiano vuole includere stabilmente la Sinistra entro il quadro politico dominato dai liberali > nonostante l’iniziale endorsement al governo Zanardelli, però, i socialisti di Filippo Turati ben presto si allontanano dalla maggioranza. Dal 1904 in poi a prevalere sarà una linea riformista che non concederà la fiducia ai governi borghesi, ma voterà le singole riforme. Nel brevissimo lasso di tempo tra il 1911 e il 1913, infine, Giolitti gioca le sue carte più audaci > il periodo si apre con un rilancio dell’azione nazionalizzante per il cinquantennio dell’Unità; inoltre, in quello stesso anno, sfruttando una crisi interna all’Impero ottomano, il governo Giolitti decide di attaccarlo militarmente per impossessarsi della Libia. L’impresa è caldeggiata da un’ampia gamma di sostenitori, il che spinge Giolitti a prendere la decisione di mandare un

ultimatum agli ottomani senza nemmeno consultare prima il Parlamento. Ai primi d’ottobre del 1911 autorizza l’attacco militare > la guerra è dura e gli italiani incontrano una notevole resistenza, ma nell’aprile del 1912 l’attacco e l’occupazione delle isole del Dodecaneso, unito alle gravi difficoltà che l’Impero affronta parallelamente nella prima guerra balcanica, spingono gli ottomani a cedere > il trattato di pace, firmato a Losanna il 18 ottobre 1912, riconosce la sovranità italiana sulla Libia – che pure è tutt’altro che sotto controllo. La vittoria ha comunque una grande risonanza interna, e viene salutata come un risultato più che positivo. Contemporaneamente, nel 1911 Giolitti fa partire l’operazione che porta alla riforma elettorale approvata dal Parlamento nel 1912  secondo la nuova legge diventano elettori i maschi di oltre 21 anni capaci di leggere e scrivere, e i maschi analfabeti che abbiano compiuto trent’anni e abbiano fatto il servizio militare. Nel 1913 dunque ci sono le prime elezioni a suffragio universale maschile. Giolitti sa benissimo che la riforma potrebbe anche ritorcerglisi contro perché potrebbe portare un sacco di voti ai socialisti; tanto più che negli ultimi anni gli equilibri interni al Partito socialisti si sono spostati nuovamente e sono più favorevoli agli intransigenti, cioè la sinistra radicale e rivoluzionaria, capeggiata da un giovane Benito Mussolini. A causa di ciò, spazi di collaborazione con il Psi non possono più essercene > proprio per evitare che i socialisti si impongano alle elezioni, in molti collegi i candidati liberali stringono accordi con i cattolici. Nei cattolici stessi si è cominciata a distinguere una contrapposizione di opinioni tra i più intransigenti (Giovan Battista Paganuzzi) e quelli che manifestano aperture (Romolo Murri) che vorrebbero tradotte nella costituzione di un movimento politico cattolico che si presenti alle elezioni. La distanza fra questi due schieramenti non si colma fino a quando non viene eletto il nuovo papa, Pio X, che per prima cosa scioglie l’Opera dei Congressi e permette ai cattolici la partecipazione alla vita politica nazionale, sebbene rigorosamente in funzione antisocialista. Già alle elezioni del 1904 e del 1909 ci sono stati i primi accordi coi liberali, che costituiscono la premessa per la svolta delle elezioni del 1913 > il presidente dell’Unione elettorale cattolica, Vincenzo Gentiloni, invita i cattolici a votare per candidati propri quando siano sicuri di vincere; altrimenti li invita a sostenere i candidati liberali, purché questi si impegnino a sostenere sette punti programmatici del movimento cattolico, quali la difesa delle istituzioni cattoliche e della sacralità della famiglia  Patto Gentiloni. All’apparenza i risultati sono comunque favorevoli a Giolitti, che resta in carica come presidente del Consiglio; tuttavia, la situazione politica è complessa perché oltre 200 deputati liberali hanno deciso di sottoscrivere al Patto. Sfilandosi i radicali dalla maggioranza, poiché non approvano l’accordo, Giolitti non può fare a meno dell’appoggio di quei deputati che si sono accordati coi cattolici; tuttavia, non vuole farsi condizionare da loro, e così dà le dimissioni, convinto che comunque il nuovo governo di Antonio Salandra non durerà. 23. L’Occidente alla conquista del mondo Tra il 1870 e il 1914 l’espansione coloniale occidentale non si ferma: tutto il mondo non occidentale, in forma diretta o indiretta, finisce sotto il controllo dell’una o dell’altra grande potenza. La globalizzazione economica ne riceve una spinta ulteriore; parti intere del globo sono sotto il controllo economico di imprenditori e finanzieri euro-americani > il dominio, adesso, è veramente integrale. Per rimarcare la novità in questi anni entra in uso il termine imperialismo. Tuttavia, se si considerano le innumerevoli tensioni che talvolta attraversano sia i popoli colonizzatori che i colonizzati, come mai le classi dirigenti trovano il tempo, le risorse e lo spirito di intraprendere nuove azioni di conquista lontane dalla madrepatria, e su così larga scala? Le ragioni: a)

Gli interessi economici >> le potenze occidentali possono desiderare il controllo di paesi lontani per le materie prime che offrono, o perché vi trovano mercati per la collocazione dei propri prodotti, o ancora perché costituiscono aree di investimento, o infine perché offrono specifici vantaggi ambientali. b) Motivazioni di carattere strategico >> come avviene per esempio in Egitto, fortemente indebitato nei confronti delle banche inglesi, che viene occupato militarmente con la scusa di reprimere un colpo di Stato e sottoposto al dominio britannico perché il Canale di Suez di recente costruzione costituisce un collegamento navale immediato con la più importante colonia britannica, l’India. c) Ragioni di politica interna >> talvolta i governanti si muovono alla conquista di regioni economicamente e strategicamente poco appetibili solo per dimostrare ed enfatizzare la propria forza e il proprio prestigio, il che si ricollega a ragioni politico-simboliche, cioè la volontà di rimarcare l’inferiorità dei popoli colonizzati.

Tutto ciò viene ottenuto tramite la conquista militare diretta, il controllo economico e le punizioni e coercizioni sulla popolazione locale. Un’espansione così estesa, inoltre, rende il mondo un po’ piccolo per tutte le potenze coloniali

occupanti, il che fa spesso scoppiare conflitti regionali e rivalità > per esempio tra russi e inglesi in Afghanistan, che si conclude con un trattato che sancisce che i russi non avanzeranno pretese sull’Afghanistan e gli inglesi da parte loro non si intrometteranno nelle sue politiche interne; tra inglesi e francesi in Sudan, che culmina con la ritirata dei francesi e la caduta di tutta la regione in mano inglese; tra inglesi e boeri (olandesi) in Sudafrica e nel Transvaal, particolarmente sanguinosa che vede la conquista del territorio da parte degli inglesi. Un conflitto particolarmente importante è quello tra Stati Uniti e Spagna, che scoppia nel 1895 quando una rivolta indipendentista a Cuba danneggia anche gli interessi per le società statunitensi sull’isola > la classe dirigente statunitense, fra cui Roosevelt, vede un’opportunità per un’espansione coloniale statunitense, e così si decide l’intervento militare a Cuba a sostegno delle forze indipendentiste. Il pretesto è l’esplosione di un incrociatore statunitense a largo di L’Avana, attribuito agli spagnoli; le forze spagnole vengono distrutte e la Spagna è costretta a riconoscere l’indipendenza di Cuba, sebbene solo formalmente, in quanto concretamente l’isola è posta sotto il protettorato statunitense. Anche il Giappone comincia a muoversi, scontrandosi coi cinesi e con i russi per il controllo della Corea e della Manciuria. Oltre a combattersi tra loro, le potenze coloniali hanno il problema di tenere sotto controllo le popolazioni dei territori conquistati. E ciò perché quasi ovunque nei territori coloniali si manifestano forme di resistenza o di ribellione > in quasi tutti i casi la resistenza è animata dalla riscoperta delle radici religiose dei popoli colonizzati, spesso associata ad un tentativo di definire un’autonoma identità nazionale delle popolazioni assoggettate alla colonizzazione occidentale; per esempio, i più significativi movimenti di rinascita islamica si sviluppano in Sudan e Somalia, dove danno vita a concreti tentativi di ribellione, e in Egitto, dove la resistenza stimola la nascita di una corrente della religione islamica chiamata modernismo islamico, con degli spiccati aspetti anticoloniali e modernizzanti. Vediamo i due casi più importanti di resistenza contro le forze coloniali, ovvero quelli dell’India e della Cina. a)

India >> dopo la costituzione del governo britannico successivo alla ribellione del 1857-58, l’India è governata da un viceré che dispone di un suo governo locale, anche se deve rendere conto al governo centrale del Regno Unito. È anche per conferire maggiore unità a questa particolare struttura statale, ulteriormente suddivisa in piccoli principati governati dai maharaja indiani, che dal 1876 l’India diventa ufficiale un Impero di cui la regina Vittoria è imperatrice per virtù del Royal Titles Act. Oltre a questo, vengono costituite delle assemblee locali parzialmente elettive, che dovrebbero consentire alle élite indiane di trovare forme di positiva e costruttiva collaborazione con le autorità britanniche. Proprio nello spirito di una possibile collaborazione, nel 1885 viene fondato il Congresso nazionale indiano, un’organizzazione politica animata da indiani con una buona formazione culturale. Il Congresso si mantiene moderato fino al XX secolo, quando emergono gruppi che chiedono un maggiore rispetto dei valori della tradizione indù e sulla base di ciò iniziano ad avanzare richieste d’indipendenza. La figura più autorevole è Lal Gangdhar Tilak, il fondatore del nazionalismo indù, considerata l’unica religione capace di garantire una base identitaria all’India. La contrapposizione tra moderati e indipendentisti all’interno del Congresso ben presto spinge i britannici a intervenire, arrestando molti esponenti del movimento di Tilak tra cui lui stesso. Nel frattempo, anche le élite islamiche indiane cominciano a muoversi: fra loro si distinguono i più spiccatamente tradizionalisti, e quelli che invece vorrebbero promuovere un rinnovamento dell’Islam > i due gruppi fondano la Lega musulmana, ma la natura divisiva delle loro opinioni favorisce gli inglesi. b) Cina >> nel 1883-85 la Cina ha cercato di bloccate l’occupazione militare francese del Vietnam, un’area nella quale la potenza europea ha iniziato a porre le sue basi; lo scontro militare è favorevole ai francesi, che si impadroniscono dell’area che comincia a essere chiamata Indocina. Intanto nel resto della Cina la penetrazione occidentale è proseguita, e ciò ha suscitato tra la popolazione cinese un risentimento di carattere sia religioso che politico > le due forme di resistenza convergono nell’ideologia e nell’azione di alcune società segrete dette dei boxer. I boxer, diffusi sia nelle aree rurali che nelle città, manifestano la loro insofferenza per gli stranieri con una serie di aggressioni nel corso del 1900, che culminano con l’uccisione dell’ambasciatore tedesco a Pechino. Come reazione, ben otto potenze straniere decidono di intervenire militarmente, stroncando duramente la rivolta dei boxer e riaffermando il potere di condizionamento delle potenze imperialiste sulla Cina. L’ennesima sconfitta del potere imperiale cinese, considerato dalle potenze come connivente dei rivoltosi, conduce l’imperatrice Cixi a tentare la via delle riforme > il tentativo non dà però buoni frutti perché l’autorità imperiale è largamente screditata dalle sconfitte, e contro di essa si formano diversi centri di dissenso che trovano la loro guida in Sun Yat-sen. Egli è l’organizzatore di una Lega repubblicana e sostenitore dei Tre principi del popolo, che consistono in (1) identità nazionale; (2) rappresentanza democratica; (3) benessere materiale del popolo cinese. Nel 1911 Sun Yat-sen si pone a capo della ribellione antimperiale e proclama la costituzione della Repubblica cinese, di cui diventa per breve

tempo presidente; il comandante dell’esercito imperiale Yuan Shikai, infatti, apre una trattativa con lui affermando di essere disposto ad aiutare militarmente la rivolta solo se Sun Yat-sen è disposto a cedergli il ruolo di presidente. Sun Yat-sen accetta, ma la repubblica si trasforma presto in una dittatura personale di Yuan Shikai; nel 1912 Sun Yat-sen fonda il Partito nazionalista cinese (Kuomintang) e con esso cerca di opporsi al nuovo regime, senza successo. È costretto ad andare in esilio, ma comunque la Repubblica dura giusto fino alla morte di Yuan Shikai nel 1916.

24. Alleanze e contrasti fra le grandi potenze Dal 1870 al 1914, i campi di tensione che si creano sono tutti interni al quadrante europeo. Abbiamo: (a) la grave frattura che separa permanentemente Germania e Francia, nata con la guerra franco-prussiana; (b) l’area di contrasto che vede fronteggiarsi Austria-Ungheria e Russia, soprattutto per il controllo dei Balcani; (c) un terzo contrasto oppone Regno Unito e Germania e nasce dal desiderio di quest’ultima di disporre di una marina paragonabile a quella britannica. Le prime crisi si erano già verificate tra il 1873 e il 1878 >> dopo la guerra franco-prussiana, infatti, Bismarck aveva cercato di isolare la Francia stipulando un patto di amicizia e cooperazione politico-militare tra Austria-Ungheria, Russia e Germania (la Lega dei tre imperatori); tuttavia la situazione internazionale cambia quando scoppiano nuove rivolte all’interno dell’Impero ottomano, il che mostra l’inconciliabilità degli interessi di Russia e Austria-Ungheria. Nel 1875-76 gravi ribellioni antiottomane scoppiano nei Balcani, che gli ottomani reprimono duramente > la situazione però precipita quando il 19 aprile 1877 la Russia dichiara guerra all’Impero ottomano per difendere i “fratelli slavi”; ai primi del 1878 la guerra si conclude con la disfatta ottomana e con il trattato di Santo Stefano, che garantisce la nascita della Bulgaria come stato indipendente ma satellite della Russia. Ciò destabilizza ulteriormente la regione, perché le potenze non accettano un predominio russo sui Balcani > le tensioni vengono risolte da Bismarck, che propone di riunire a Berlino una conferenza internazionale per ridiscutere l’intero assetto della regione. L’imperatore russo Alessandro II, preoccupato per l’ipotesi di una guerra con Regno Unito e AustriaUngheria, accetta > la conferenza di Berlino si conclude con un nuovo accordo di pace che riconosce la piena indipendenza di Serbia, Montenegro e Romania; inoltre, si costituisce un principato autonomo di Bulgaria, più piccolo del precedente. In conseguenza di questi sviluppi, i rapporti diplomatici tra Russia e Austria-Ungheria peggiorano. La Russia decide di non rinnovare la Lega dei tre imperatori, mentre dal canto loro Austria-Ungheria e Germania rinsaldano i loro rapporti con la stipula, nel 1879, di un trattato di alleanza difensiva > la Duplice alleanza. Nel 1882 il governo italiano, guidato da Depretis, decide di aderire a questa alleanza, che viene indicate come Triplice alleanza. Non è una decisione facile dal momento che comporta un accordo con la nemica storica del Risorgimento, l’Austria; oltretutto, entro i confini dell’Austria-Ungheria restano ancora aree con popolazioni italiane, le “terre irredente” (Trento e Trieste). Di fronte all’ingresso dell’Italia nella Triplice, i movimenti irredentisti che vorrebbero l’annessione al Regno d’Italia scatenano proteste anche perché, nello stesso anno, viene impiccato Guglielmo Oberdan – giovane triestino che in nome delle terre irredente ha cercato di uccidere l’imperatore Francesco Giuseppe. Perché, dunque, Depretis decide di entrare ugualmente nell’alleanza? La scelta nasce come reazione all’occupazione francese di Tunisi nel 1881, che il governo italiano ritiene come propria area di pertinenza > la lesione dei diretti interessi italiani spingono il governo ad aderire ad un’alleanza nella quale lo Stato più forte (quello tedesco) ha pessimi rapporti con la Francia. Nel frattempo, la tensione fra Austria-Ungheria e Russia per i Balcani ha spezzato la Lega dei tre imperatori. Tuttavia, non considerando la Duplice (poi Triplice) alleanza una garanzia sufficiente contro la Francia, nel 1887 Bismarck procede a stipulare con la Russia un trattato di contro-assicurazione segreto che prevede una reciproca neutralità in caso di guerra con altri Stati, con due eccezioni: nel caso di guerra tra la Germania e la Francia, o nel caso di guerra tra Austria-Ungheria e Russia. Bismarck, in tal modo, avvia una sorta di doppio gioco diplomatico con Austria-Ungheria e Russia. Quest’ultima, nel 1890, chiede un rinnovo del trattato; tuttavia, il nuovo imperatore tedesco, Guglielmo II, decide di scostarsi dalla linea di Bismarck e di lascia cadere l’alleanza segreta con la Russia > la decisione è dettata da tre considerazioni, ovvero (1) la preoccupazione che l’accordo possa compromettere le relazioni diplomatiche con l’Austria-Ungheria; (2) la speranza che una distanza dalla Russia possa indurre il Regno Unito ad avvicinarsi alla Germania; infine, (3) la convinzione che l’isolamento diplomatico della Russia impedisca un’alleanza con uno Stato istituzionalmente troppo distante dall’autocrazia zarista, cioè la Terza Repubblica francese.

Il calcolo però si rivela sbagliato perché, proprio al fine di uscire dal loro isolamento diplomatico, Francia e Russia nel 1894 stipulano un trattato di mutua protezione; facilitato anche dal fatto che Francia e Russia non hanno rivalità in Europa né nelle aree coloniali, ed entrambi temono molto la Germania > anche questa alleanza incorpora un patto militare che stabilisce che gli interventi di soccorso reciproco avvengano automaticamente. Con questa contrapposizione fra Triplice alleanza e Alleanza franco-russa, la Germania è salvaguardata ai suoi confini meridionali, ma si sente minacciata da tutti gli altri lati: a occidente e oriente da Francia e Russia, al nord dalla potenza marittima del Regno Unito, che pure finora è rimasto neutrale > questo è proprio il motivo per cui, nel 1898, la Germania avvia un piano di rafforzamento della marina. La mossa tedesca, di rimando, induce il governo britannico a fare altrettanto; nonché a riconsiderare la linea di politica estera basata sul principio di “splendido isolamento”, ovvero l’idea di un’assoluta autosufficienza diplomatica e militare. In ragione di una comune diffidenza nei confronti dell’Impero tedesco, tuttavia, nel 1904 i governi di Regno Unito e Francia sottoscrivono un patto diplomatico > l’Entente cordiale, “intesa cordiale”, che consente la risoluzione dei numerosi contenziosi coloniali tra i due paesi. Il triangolo diplomatico si completa quando la stessa cosa avviene anche tra Regno Unito e Russia. A questo punto si sono pienamente formati due sistemi di alleanza contrapposti, la Triplice alleanza (Germania, Austria-Ungheria e Italia) e la Triplice Intesa (Regno Unito, Francia e Russia). L’intero sistema è reso più instabile da vari fattori, fra i quali la corsa al riarmo > gli eserciti si dotano di armamenti tecnologicamente avanzati, il che ha la conseguenza psicologica di diffondere la convinzione che la guerra, se dovesse scoppiare, sarebbe breve. L’altro problema è dato dalla grave crisi dell’Impero ottomano, che ha come effetto collaterale una sequenza di tensioni che si addensa nel quadrante balcanico. Il crollo dell’Impero ottomano >> l’Impero ottomano continua a subire attacchi e perdere territori. Il sultano Abdul-Hamid II ha avviato una politica autocratica, revocando la Costituzione e facendo appello all’islam contro la laicizzazione dello Stato; questa politica però suscita una notevole opposizione e varie spinte nazionalistiche (fra cui una che culmina con un’ennesima rivolta a Creta nel 1896, che sfocia nella guerra greco-ottomana e che ribadisce l’autonomia dell’isola). Ancora più grave per il sultano è la nascita di un movimento nazionale armeno, che egli cerca di reprimere in tutti i modi, con stragi e soprusi. Intanto, la sospensione della Costituzione diffonde il malcontento tra gli studenti turchi, molto vicini ai principi liberali e patriottici occidentali > si costituisce il movimento dei Giovani Turchi, i cui ideali si diffondono anche nell’esercito. Quest’ultimo, nel 1908, si solleva contro il sultano chiedendo la reintroduzione della Costituzione del 1876. Questa crisi indebolisce ulteriormente l’Impero, e accelera il processo di smembramento in quanto la Bulgaria proclama la sua indipendenza; Creta si riunisce alla Grecia; l’Austria-Ungheria si prende la Bosnia-Erzegovina. Il Comitato Unione e Progresso, ovvero il partito che esprime le posizioni del movimento dei Giovani Turchi, si impone alle elezioni parlamentari del 1908, ma deve fronteggiare l’opposizione dei religiosi islamici > lo scontro provoca l’intervento dei militari in favore dei Giovani Turchi, che costringono Abdul-Hamid II ad abdicare in favore del fratello Maometto V. L’impero è però ormai debole, e di questa debolezza approfitta prima l’Italia per cercare di strappargli la Libia, e nel mentre anche le forze alleate di Bulgaria, Serbia, Montenegro e Grecia che cercano di impossessarsi e di spartirsi la Macedonia > prima guerra balcanica, l’Impero è sconfitto e si forma lo Stato indipendente dell’Albania. Tuttavia, le proposte di spartizione della Macedonia non soddisfano la Bulgaria, che attacca i suoi precedenti alleati per assicurarsi i territori macedoni > seconda guerra balcanica, termina con la sconfitta della Bulgaria. Questi rovesci militari provocano dei contraccolpi interni all’Impero, che nel 1913 portano ad una sorta di colpo di Stato da parte del Comitato Unione e Progresso, che diventa di fatto l’unico partito riconosciuto. Anche più grave è lo stato di ostilità che inizia a crearsi tra Austria-Ungheria e Serbia sin dal 1903. Fino a quell’anno la Serbia è stata guidata da una dinastia filoaustriaca che ha comportato per la nazione serba una condizione di assoluta subalternità all’Austria-Ungheria; questo cambia quando nel 1903 una rivolta nazionalista serba, guidata dal Partito radicale serbo (>> formazione politica con obiettivi panserbisti, cioè di riunire tutti i serbi in una sola nazione) rovescia il re filoaustriaco, il che comporta un’immediata tensione con l’Austria-Ungheria. Essa è acuita dall’annessione della Bosnia-Erzegovina, nel 1908 > ciò spinge la Serbia, che si sente minacciata da tale mossa, a rinforzare i suoi rapporti di alleanza con la Russia. All’interno della stessa Bosnia-Erzegovina, un certo numero di giovani serbi aderisce a società segrete nazionaliste filoserbe come la Mano Nera, che utilizzano pratiche terroriste di stampo anarchico. Proprio a Sarajevo il 28 giugno 1914, un gruppo di congiurati appartenenti alla Mano Nera e in contatto con i servizi segreti serbi, programmano un attentato contro l’erede al trono dell’Austria-Ungheria Francesco Ferdinando; sia come atto dimostrativo sia perché l’arciduca si era espresso favorevole alla concessione di autonomie ai serbi dell’Impero, il che avrebbe indebolito le rivendicazioni nazionaliste del gruppo. L’attentato ha successo, l’arciduca viene ucciso con un colpo di pistola dal nazionalista serbo Gravilo Princip > l’Austria-Ungheria, contando sull’appoggio tedesco, manda

immediatamente un ultimatum chiedendo che il governo serbo condanni la propaganda antiaustriaca, che persegua i militari e i politici serbi coinvolti nell’attentato, e che permetta che all’inchiesta giudiziaria per l’individuazione dei colpevoli partecipino anche magistrati austroungarici. La Serbia accetta tutti i punti tranne l’ultimo. L’AustriaUngheria, insoddisfatta della risposta, dichiara guerra alla Serbia, contando sulla disponibilità tedesca a intervenire in caso di allargamento del conflitto.